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Normale Superiore di Pisa. Lettere, Storia e Filosofia
continuazione e fine
Nella grande maggioranza dei casi l'aggettivo è detto delle febbri, ed è quin
πυρετός, in altri casi della malattia determinando i termini νοΰσος (ι, XXIV
νοΰσοι) e νόσημα (1, XXIV 11 οξέα νοσήματα, cfr. 3, XVI 10, 10). È usa
mente in 1, II 19: (febbri) τό όλον επί τό όξύτερον έπιδιδόντες , XXV ι8 δει..
τίνι τούτων όξύ καΐ θανατώδες, ecc., cfr. 3. VI 3. Vili 18.
L'avverbio οξέως è usato, in 3, Vili 15, per indicare la rapidità con cui
la morte : των δέ ούτως εχόντων πολλοί μέν οξέως άπώλλυντο, έοτι δ'οίσι κ
διήγε ν ; il comparativo όξυτέρως è usato in 1, II 9 ( άπέθνησκον δέ όξυτέρ
θισται διάγειν τα τοιαύτα) e 3» XVII 66 (έπύρεξεν όξυτέρως).
L'uso di questo aggettivo nell'accezione medica che doveva avere tanta
nella formazione della terminologia medica, sia attraverso il lat. aciit
base del nostro acuto, sia attraverso i derivati παροξύνομαι e παροξυσμός, e
all'inizio, dovuto ad un'accezione secondaria e traslata del significato di
sto aggettivo (che come si sa ha una notevole latitudine di impieghi ed
di diverse specializzazioni tecniche nelle varie discipline), non è dovuto a
pocratico », ma è attestato precedentemente e contemporaneamente an
non tecniche. Il primo passo verso questa specializzazione è da vedere n
il termine, in un'accezione ancora generica e non del tutto tecnicizzata
riferimento a parole che indicano un dolore sia fisico (es. Λ 268 ... τό
έτέρσετο, παύσατο δ'αΐμα, όξεϊαι δ'δδύναι δΰνον μένος Άτρεΐδαο) sia spiri
ως φάτο τον δ'άχος όξύ κατά φρένα τύψε βαθεϊαν, τ 5J7-■ · "είμαι ένί λέκτρ
μοι άμφ' άδινόν κήρ όξείαι μελεδώναι όδυρομένην έρέθουσιν).
Dopo Omero, troviamo l'aggettivo in contesti già propriamente medici, cfr.
οξείας δέ νόσους άπαλάλκοι, S. Ph. 808 (si sa del resto come il lessico sofo
ticolare quello del Filottete, abbondi di termini desunti dalla medicina
(sc. ή νόσος) μοι όξεΐα φοιτά και ταχεί' απέρχεται. La parola, in questa acc
veva essere usata anche nell'àmbito della filosofia presocratica, cfr. il br
ad Anassagora che abbiamo già citato s.v. νόσημα e in cui ricorre il nost
proprio in relazione a νόσημα. Tramite l'ampio uso nel CH, il termine viene
mente tecnicizzato nella terminologia medica.
Un suo derivato sostantivale è :
(158) Già in Hor. epist. 1.6.28 quod latus aut renes morbo temptentur acuto, cfr. Thesaurus Linguae
Latinae s.v. acuo, 466, 68.
(159) Cfr. J. Psichari, Sophoclc et Hippocrate ecc., cit. (n. 21).
(leo) 1, XXVI 1, 29, 54, 83, 140, 199, 212, 241, 298, 307; 3, I 3, 5, 8, 23, 117, 167, 174, 208,
221, XVII 6, 86, 114, 132, 350.
παροξυνόμενοι πεπλανημένως), cfr. XXVI 152, 175; 3, I 109, XVII 92; in un caso (3, I
101) è riferito a πόνος. Negli altri casi indica l'acutizzarsi dello stato febbrile e si
compagna quindi a πυρετός/πυρετοί ; i suoi antinomi in questi casi sono έκλείπει
ύποκουφίζειν, διακουφίξειν (ν. le singole voci). L'irregolarità con cui può manifestars
l'aggravamento è indicata con gli avverbi ατάκτως e πεπλανημένως (rispettivamente
1, XXVI 175; 3, XVII 188 e 1, III 12; 3, XVII 59).
Il verbo παροξύνω è attestato a partire dal V sec. ed è usato, soprattutto nella prosa, in
varie accezioni che muovono da quella fondamentale di ' acutizzare, eccitare ' e simili,
da cui deriva, nella forma del medio-passivo, la specializzazione medica. Il verbo rimase,
com'è noto, nella terminologia medica.
(1β1) Cfr. Ν. van Brock, Recherches sur le vocabulaire médical ecc., cit. (η. io), pp. 179 ss., le
cui conclusioni riassumiamo nel testo.
(182) \{y own illness and my observations of the experience of others è la traduzione di Classen ci
tata in A. W. Gomme, A Historical Commentary on Thucydides, II, Oxford 1956, p. 154.
ιός τοιαύτας ομιλίας κάκ τούτου τά τε βλλα συγκρίματα πάντα ποιβΐ και τά ημέτερα σώματα
κα'ι τά παθήματα αϋτών και τάς αίσθήσεις.
L'intensità del delirio è indicata per mezzo di aggettivi usati avverbialmente : πάντα
(es. 1, XXVI 28 πάντα παρέκρουσε (163)), ομικρά (es. 1, XXVI 53 σμικρά παρέκρουσε (164)),
πολλά (es. 1, XXVI no παρέκρουσε πολλά (165)).
La prima attestazione di questo verbo sembra essere in Phryn. Com. fr. 58 dov'è usato
con il significato di « rompere » (φυλάσσου μή πεσών σαυτόν παρακροτ'ισης ) ed è poi di
ampio impiego nella letteratura successiva, soprattutto nella prosa filosofica (PI.,
Arist.) e oratoria (Aeschin., Dem. ecc.); il significato proprio è quello di « trarre in
inganno, sviare » (cfr. PI. Cri. 47a κα'ι ουκ Sv σε παρακρούοι ή παρούσα ϊυμφορά) donde
la costruzione passiva, tipo PI. Tht. 168a τά σφάλματα, α αυτός ύφ'έαυτοΰ ... παρεκέ
κρουστο. Il verbo è, ad ogni modo, usato per lo più in forma mediale nel senso di
« sviarsi », « esser falso » e simili, ad es. Arist. Metaph. I025a6 διό ό έν τφ "Ιππία λόγος
παρακρούεται ώς ό αυτός ψευδής κα'ι αληθής. Nel senso di « delirare », il verbo è usato
(ΐββ) Non è del tutto chiaro il valore della prefissazione con ίιπο-, Probabilmente indica che il do
lore persiste per poco tempo e con caratteri attenuati: dal contesto si ricava che la malattia era in via
di guarigione (... εικοστή εβδόμη.,.άπυρος, ή κώφωσις εξέλιπε ν, ή των ποδών ύπέμενεν οδ
νη, τα δ' δλλα τελέοις εκρίθη).
(1β7) Cfr. Ν. van Brock, Recherches sur le vocabulaire médical ecc., cit. (η. io), pp. 208
dove sono esaminati i vari usi di παύω, παύομαι in àmbito medico.
(168) ibidem.
gimento analogo a quello di παύομαι. Cfr. anche espressioni come S. El. 231 ουδέ ποτ'έκ
καμάτων άποπαύσομαι άνάριθμος ώδε'θρήνων, e il derivato nominale άπόπαυσις « cessa
zione di un attacco » (es. Aret. SA 1.5).
(ΐβ9) cfr. Deichgraber, Die Epidemien ecc., cit. (n. 14), p. 43; Jones, p. LI; Lanata, p. 20.
Si veda, ad es., il seguente brano (VM XIX) το δε πεφθήναι γίνεται έκ τοΰ μιχθήναι καί
κοηθήναι άλλήλοισι και συνεψηθήναι.
(17°) Anche nei capp. XVIII e XIX del FA/, dove abbiamo la descrizione più completa del feno
meno, i termini sono usati come usuali e non bisognosi di una definizione.
(171) Cfr. s. ν. θερμός.
(172) Cfr. anche FYS I 340, 27 (da Plutarco) ή δέ πέψις εοικεν είναι σήψις ώς 'Εμπεδοκλής
μαρτυρεί λέγων....
(173) Il termine è attestato a partire da Omero, presso il quale ha, però, l'accezione metaforica di
« blando, gentile », e simili, come formula di cortesia, es. E 109 πέπον Καπανηϊάδη ecc. Per altri
esempi dell'uso metaforico, cfr. LSJ s. v.
(174) Un'attestazione precedente nel campo dell'epica non è sicura, cfr. H. Ebeling, Lexicon Ho
mericum, II, Lipsia 1880, s. v.
(1T5) Cfr. ad es. Thai. A 17 (= FVS I 78, 20)... θαλέτης δέ [εύρε πρώτος] ηλίου έκλειψιν
και τήν κατά τάς τροπάς αύτοΰ περίοδον, ώς ουκ Ιση άεί συμβαίνει, Heraclit. Α 1 (= FVS Τ
141, 2ΐ) γεννάσθαί τε αυτόν έκ πυρός και πάλιν έκπυροΰσθαι κατά τινας περιόδους έναλλάξ
τόν σύμπαντα αΙώνα, Id. Α 8 (= FVS I 143. 39) αΰτη δ' έστί τό αίθέριον σώμα, σπέρμα της
τοΰ παντός γενέσεως και περιόδου μέτρον τεταγμένης, ecc. ecc. (Per altri esempi, v. FVS III,
349 s., s. v., e LSJ s. v.).
(176) cfr. s. ν. κρίνω e derivati.
(177) Dal punto di vista etimologico mancano, per questo termine, sufficienti connessioni in altre
lingue: la parola formalmente pili vicina è un verbo lituano che indica il nuotare (példu : példiiu :
peldèti) e, con mancanza dell'elemento dentale —d—, espressioni come « versare » e simili (lit. pilù,
pìlti, arm. heium <; *pel-nu-mi ecc.), cfr. Frisk, GEW, s. v.
(17s) Che il significato sia questo e non quello di « di vario colore », risulta da passi come ι, X
20 e 3, I 6, in cui viene indicato un colore preciso.
(179) 1, XII 6, XXVI 107, 135, ecc. (es. XII 6 τραχήλου πόνος).
(18°) Es. 1, XII 14... γυναιξί... από όστβρέων πόνοι, cfr. XXVI 90, 3" s., 324, ecc.
C181) Utr.
Ess. : 3, III 3 πρωί δέ τοΰ ήρος άμα τοίσι γενομένοισι ψύχεσιν έρυσιπέλατα πολλά, τοΐσι
μέν μετά προφάσιος, τοίσι δ' ού, κακοήθεα, IV 30 τα μέν περί έ'λκεα <αί μετά προφάσιος
τοιαύτα, ecc.
La parola è usuale da Omero sia nell'accezione, per cosi dire, soggettiva di « causa
addotta, pretesto », sia in quella oggettiva di « causa effettiva ».
Viene specializzata nella terminologia medica dai trattatisti del CH, dove è di uso
frequente; al di fuori di esso si trova, in questa accezione, in contesti medici, cfr.
ad es. Th. 2.49 τούς δέ άλλους άπ' ουδεμιάς προφάσεως, άλλ' εξαίφνης υγιείς δντας...
θέρμαι... ερυθήματα και φλόγωσις ελάμβανε, Arist. Pr. 862bl8 ή ότι έν μέν τφ θέρει από
μικρός προφάσεως τά άρρωστήματα, έν δέ τφ χειμώνι ού ; Χ. HG 6.4-33 ° γαρ θάνατος
αΰτού έξαπιναίός τε και ούκ εχων φανεράν πρόφασιν έγένετο, ecc.
(1ίΜ) Un problema di priorità cronologica potrebbe esser posto dalla presenza di πΰρ nell'accezio
ne di « febbre » in un frammento (690) di Aristofane : ó δ' έχων θέρμαν «ai πΰρ ήκεν, ma, a parte
il fatto che non è nota la commedia cui apparteneva il frammento, e quindi la data, la presenza di un
termine tecnico come θέρμα fa pensare piuttosto che anche πΰρ rappresenti uno dei tecnicismi che
Aristofane desume dalla lingua della medicina (cfr. Miller, Aristophanes ecc., cit., n. 21).
(185) Miller, art. cit., ricorda un brano di Erotiano (106, 11 Nachmansson) secondo il quale πΰρ
sarebbe attico e πυρετός ionico. E' un fatto, però, ohe, come nota lo stesso Miller, πΰρ ricorre nor
malmente nel CH. La differenza tra le due parole sarà stata, quindi, non dialettale ma funzionale.
(18e) La differenza consisterà in una diversa intensità dello stato febbrile; Jones rende πυρετώδης
ήν con was seized with acute fever e ουκ Λπυρος con some fever.
Il suo significato originario è, ovviamente, quello di « privo di fuoco » (cfr. Hes. Op.
525 fv τ' άπύρφ οϊκφ), a partire dal quale può essere usato in diverse accezioni seconda
rie. Quella medica è una conseguenza della specializzazione del termine di base πΰρ.
In questo impiego rimane di uso comune, specialmente in opere tecniche.
L'altro termine per « febbre » è, come abbiamo già accennato:
(187) Sulla classificazione dei vari tipi di febbre cfr. Jones, p. LVII s. e, dello stesso Jones, l'in
teressante libro Malaria. A neglected Factor in the History of Greece and Rome. With an Introduction
by R. Ross. Cambridge 1920.
(188) ι, II 16, XVIII 8, XIX 25, XXVI 22, 26, 51, 64, 80, 94, 113, 134, 148, 150, 193, 232, 238,
264, 273, 290, 295, 296, 301, 321, 335; 3, I 2, 31, 38, 50, 68, 75, 81, 105, 113, 119, 126, 128, 163,
195, 218, 224, VI 6, XIII 12, XVII 2, 14, 39, 42, 74, 104, 113, 118, 126, 146, 161, 184, 244, 247, 254,
297> 805, 319.
Ο89) ι, II 16, III 2, V 22, XXIV I, 6; 3, I 100, XII 2, XIII 12, XVII 42, 126.
(19°) ι, II 16, III 11; 3, XVII 43, 107, 305, 319.
(191) ι, XIX 25; 3, XVII 118, 140, 184, 254.
(192) v. s. v.
(193) es. 3, XVII 220 τετάρτη (sc. ήμερη) φΤγος, πυρετός πολύς, ecc.
(194) Fuorché in 1, XXVI 139, 167, 33° ^ove pcrb è indicato il momento dell'inizio dell'attacco
febbrile (139 άφ' ής δε ελαβε τό πϋρ, ές νύκια έκταίη παρεκρουσεν : il sesto giorno dal primo
accesso di febbre, di notte farneticò (trad. Lanata)), 6 una sua ripresa dopo un periodo di interruzione
(167 περί δέ είχοστήν έβδόμην δπυρος.... περί δέ πρώιην και ίριακοσιήν πΰρ ελαβεν, 330
ιρεΐς διέλιπεν Λπυρος. ένδεκάιη ύπέστρεψεν, έπερρίγωσεν, πΰρ ελαβεν).
(ì95) Nc] lessico omerico di Ebeling la parola è resa con febris e Mazon traduce ...tant il porte de
fiìvres pour les pauvres humains!
Già gli antichi dovevano essere incerti sull'interpretazione del passo, cfr. ad es. Aristarch. ή διπλή
ότι άπαξ ένταΰθα ό πυρετός, και ότι πυρετόν κυρίως λέγει, οΰχ ώς τίνες δέχονται τήν διά
καυσιν τοΰ αέρος' προς γαρ το φθοροποιόν ή παραβολή.
(19e) Su questo gruppo di parole, cfr. N. van Brock, Recherches sur le vocabtdaire médical ecc.
cit. (n. io) pp. 212 ss.
Es. (208) ... καί πάλιν δυσεντεριώδεα μετά τόνον, τών δέ βλλων (ρστώνη.
La parola sembra attestata per la prima volta oltre che nel CH, in Hdt. 3.136 (έκ
(ηϊστώνης της Δημοκήδεος ) nel significato, secondario rispetto a quello comunemente
attestato, di « buona disposizione, favore » (197). Di conseguenza, la sua specializ
zazione nella terminologia medica non è attestata prima del CH, mentre in seguito
è, in questo àmbito, abbastanza usata nel senso più ο meno generico di « sollievo
ripresa » dagli effetti negativi di qualche disturbo, cfr. ad es. PI. Smp. 176b ... τό
rami τρόπφ παρασκευάζεσθαι (ρστώνην τινά της πόσεως, Lg. 779® · · · · άγνοοΰντας δ ' al·
τήν (φστώνην <ός δντως έστιν έκ τών πόνων.
Il sostantivo è, evidentemente, connesso con l'aggettivo (ρδιος che nel nostro trat
tato è attestato solo nelle forme del comparativo:
(197) Ci sono però problemi testuali e la lezione non è sicura, cfr. ad es. l'edizione oxoniense di
C. Hude in apparato, e la nota ι a p, 170 dell'edizione delle Belles Lettres di Ph. E. Legrand.
(tee) Altra lezione: δυβσεβεΐ.
(199) Casi come quello visto in 3, XVII 150, ο come 1, XXVI 203 πέμπτη έρρύη λάβρο ν έξ ά
ριστεροϋ &κρητον(€&-. 3, I 47> 55) potrebbero far pensare ad un uso personale con una parola come
αίμα sottintesa e πολύ, δχρηΐον in funzione aggettivale, ma sembra strano che in nessun caso sia
espressa chiaramente una parola simile, di modo che è preferibile pensare ad un uso costantemente
impersonale con un impiego avverbiale delle forme aggettivali.
(20°) Composto con la radice di (Séra è anche il termine α1μορρο(ς che abbiamo, però, preferito
lemmatizzare a parte per il valore autonomo che la parola ha assunto nella terminologia medica.
(201) Sul concetto di φεΰμα e il suo posto nella teoria e nella semiotica mediche, cfr. Deichgraber,
Die Epìdemien ecc., cit. (n. 14), pp. 14 s.
dicina, come άπόστασις, σημεΐον eccetera. Una conferma di questo carattere scar
samente specialistico di tanti termini ci è data dalla possibilità che hanno diverse
parole di essere contestualizzate nell'àmbito terminologico di discipline diverse e non
di essere limitate ad una sola; l'esempio di κρίσις è, credo, uno dei più tipici.
Sul piano puramente cronologico, le prime attestazioni della parola sono nel CH
e in un frammento di Aristofane (150: τούτους γαρ... ξυλλαβών ó της διάρροιας ποταμός
οΐχήσεται); cfr. anche Th. 2.49 διάρροιας άκρατου έπιπιπτούσης (si noti che tutti e tre
i termini sono tipici della terminologia medica). Ripreso da Platone e Aristotele
rimane, com'è noto, nella terminologia medica.
(203) Sulla possibile differenza tra φιγόω e έπιρριγόω ν. seconda parte, 3.3.2.
σημείων και πλείστους έρρΰσατο τών έόντων επί τοΐσι μεγίστοισι κινδύνοισιν, οίσιν έπί το
στραγγουριώδες έτράπετο, e οΰ γαρ μοϋνον αυτός (se. la quartana) εφ' έωυτοΰ τοιούτος
έστιν, άλλα και νοσημάτων ετέρων μεγάλων φύεται.
Il verbo, usuale da Omero nell'accezione di « proteggere da qualcuno ο qualcosa,
salvare » e simili (v. LSJ s.v.) è introdotto, con una specializzazione, nella termi
nologia medica.
(204) Un'espressione analoga troviamo nel riassunto di alcune teorie pitagoriche contenuto in D.L
Vili 24 (= FVS I 451, 5)...και farti) τούτων πέμπεσθαι άνθρώποις τούς τε όνε (ρους καί τά ση
μεία νόσου τε καί <ύγιείας>, ma, ovviamente, non si può stabilire se questo brano implichi solo il
fatto che i pitagorici avevano sviluppato teorie sintomatotogiahe (il ohe interesserebbe lo storico della
cultura e della medicina) ο anche che la parola σημείον circolava in àmbito pitagorico nell'accezione
medica.
(205) Connessa con il verbo σήπομαι « imputridire », la parola rientra nel gruppo di termini
in -δών che si riferiscono alla terminologia medica (es. τηκεδών «liquefazione», πρηδών « infiam
mazione », σπαδών «spasmo» ecc., cfr. Chantraine, La formation ecc., cit. (n. 85), p. 361). Etimo
logicamente, invece, le parole di questa famiglia sono meno chiare e appaiono quasi isolate: Frisk
(GEW, s. ν. σήπομαι) ricorda a.ind. « fungo », lit. iiitpti « imputridire ».
dirette, che ne abbiamo in brani relativi alle dottrine presocratiche, v. FVS III
393 s.v. La parola è di uso limitato, per lo più, a contesti medici ο più generica
mente scientifici.
(2°β) per ja formazione cfr. Chantraine, La formation ecc., cit., p. 2; per l'etimologia v. la nota
precedente.
(207) cfr. Η. Bonitz, Index Aristotelicus, cit. (n. 141), s. v.
(208) Sull'uso del termine in Aristofane, cfr. H. W. Miller, Aristophanes ecc. cit. (n. 21), p. 83.
(2i°) cfr. le definizioni di Galeno: (XIV 750) Ισχουρία μέν ούν έστιν ή τελεία εποχή τών
ούρων. στραγγουρία δέ ή κατά στράγγα ούρησις, και δυσουρία τό αΰιό τοΰχο μόνον ποιού
σα, δυσχερβιαν τοΰ άπουρεΐν, (XVII / 2, 855) όταν τις ολίγον άποκρίνη οδρον συνεχώς, στραγ
γουρία τό πάθος καλείται καί γίνεται ποτέ μέν έπ' άρρωστία της καθεκτικής δυνάμεως έν
τή κύστει, ποτέ δ' επί δριμύτητι τών οΰρων .
(211) Si confronti, ad ogni modo, anche quanto detto sulla prefissazione con συν- nella seconda
parte, 3.3.ro.
(212) Cfr. 1, II 16, III 2, V 22, VII 1, XXIV 1, 6, XXV 3; 3, I 100, XII 2, XIII 12, XVII 3, 42,
127; con πυρέτιον in 3, XVII 30.
(213) cfr, ad es, fi BoNiTZ, Index Aristotelicus, cit. (n. 141), s. v.
Si veda anche il passo del VC (19, citato dalla van Brock, op. cit. n. 10, p. 231) in
cui il concetto di sopravvivenza alla malattia e quello di guarigione sono tenuti distinti :
όστις J6é μέλλει έκ τρωμάτων έν κεφαλή άποθνήσκειν, καί μή δυνατόν αυτόν ύγιά γενέσθαι,
μηδέ σωθήναι...
Il verbo è usuale in contesti medici, sia nelle opere tecniche, sia nella letteratura (cfr.
van Brock, p. 232). Con esso è composto il verbo:
(217) Non va tralasciato di dire che forse l'aggettivo era usato anche nella terminologia delle teorie
democritee sulla vista, come sembra risultare da un passo di Thphr. Sens. 74.
(218) Μ. Leumann (op. cit. η. 32), p. 309, pone il termine tra quelli che (come ή πάθη, δργεμον,
κέδρα ecc.), mancando in Omero, sarebbero appartenuti aM'Umgangssprache ionica; il che può essere
vero, ma non dimostrabile, a parte ogni problema sulla definizione e ricostruzione di un'Umgangssprache
nel mondo antico. Certe denominazioni di malattia, particolarmente espressive (come σΰκον, δνθραξ,
ερυσίπελας ecc.) avranno avuto probabilmente un'origine « popolare », ma non mi pare che questo
si possa dimostrare con certezza.
(219) Forse έκτείνω; v. in apparato.
Es. (1, Vili 20) γενομένων δέ χρόνων μακρών και πόνων πολλών και κακής ουντήξιος, επί
τουτοισιν αποστασίες έγίνοντο...
Le prime attestazioni sono nel CH; rimane, anche se di uso limitato, nella letteratura
scientifica (cfr. ad es. Arist. GA 72óa2i ετι ή μέν σύντηξνς άεί νοσώδης, ή δέ τοΰ πε
ριττώματος άφαίρεσις ωφέλιμος, ecc. (213)).
(222) Jones, p. 283, traduce she would fduc\·, Lanata, p. 179 sfilacciava, Vegetti, p. 344, meno
genericamente, (tastava la coperta), ne tirava t fili.
(223) ibidem pp. 165 ss. Per quanto riguarda la forma dei due aggettivi, quella « normale » è
υγιεινός <# ΰγιβσ-νο-ς ; ΰγιηρός che gli fa concorrenza si spiegherà con l'influsso di νοσηρός;
cosi N. van Brock.
497. ΰδατόχλοος e
498. ύδατόχολος - acquoso e di colore bilioso.
1, XXVI 244; 3, XVII 45, 257, 342 (nei primi due casi troviamo la seconda forma).
Anche questi due aggettivi sono usati nella descrizione delle evacuazioni intestinali
dei malati, cfr. ad es. (1, XXVI 244) άπδ δέ κοιλίης... λεπτά, πολλά, ύδατόχολα διήει.
Le prime attestazioni sono nel CU.
(22β) pcr quanto i due verbi abbiano più ο meno lo stesso significato, la diversa prefissazione at
tribuisce loro sfumature diverse, insistendo έφνγραίνομαι sulla puntuatività del fenomeno, χαθνγραί
νομαι sul suo ripresentarsi, cfr. seconda parte 3.3.2. e 3.3.4.
(227^ Per la formazione v. seconda parte 2.3.13.
(228) cfr. seconda parte 1.3.2., dove sono esaminate le formazioni aggettivali con imo·.
(229) ibidem.
(230) Dove, per altro, non è chiaro quale sia il soggetto, sottinteso, di quelPiwtécrtQStpov: se i
malati, nel qual caso τοίσι πλεioxoujiv indicherebbe non « la maggior parte dei pazienti », ma « la
maggior parte dei casi », ο i disturbi nominati precedentemente. In questo caso il verbo si presente
rebbe, dunque, con una triplice possibilità di costruzione : impersonale, personale con soggetto « i ma
lati », personale con soggetto « i sintomi, i disturbi ». Resta da aggiungere che nei casi impersonali
si potrebbe pensare anche ad un soggetto sottinteso come ή νοϋσος, ό πυρετός e simili.
(233) E' da notare, ad ogni modo, che di questa accezione LSJ dà solo esempi posteriori (Isoc.,
X., PI., Aeschin., D., Arist., Phld., Sor.): essa è quindi da retrodatare.
In questa accezione il termine è attestato anche in Hdt. 7.88 (πεσών δέ αίμα τε ήμεε
και ές φθίσιν περιήλθε ή νοϋσος), ed è di ampio uso nel CH. Ripreso da Aristotele,
e attestato anche in materiale epigrafico (v. LSJ s.v.), rimane termine tecnico della
medicina.
Negli altri due casi è usato con la seconda accezione, la cui importanza nella dot
medica antica è stata sottolineata, ad es., dal Deichgràber (op. cit. n. 14, pp. 40
cfr. rispettivamente έστι δ' οίσιν ήρξατο πρώτον τότε, οίσιν έρρεπεν ή φύσις επί το
νώδες, e, τά δέ περί τά νοσήματα, έξ ων διεγινώσκομεν, μαθόντες έκ τής κοινής φύ
απάντων καί τής Ιδίης εκάστου
Il termine è di uso troppo comune e noto nella terminologia scientifica e filoso
greca perché sia necessario soffermarsi su di esso. Si veda ad es. il libro di F. He
mann, Nomos und Physis, Basilea 1945.
(234) Come rileva giustamente Jones, p. 254 η. ι, non è possibile stabilire quale dei due significati
abbia l'aggettivo nel nostro brano, in quanto, come vedremo nel testo, entrambi gli sono comuni. Che
l'aggettivo indichi in questo passo il colore degli occhi e non la loro luminosità potrebbe risultare sia
dal fatto che le altre indicazioni del tipo fisico riguardano il colore, sia dal commento di Galeno (XVII/i,
726) εΰλογον rjv ού χαροπούς, αλλά γλαυκούς μάλλον είρήσθαι,..., έμοι μέν ούν διά ταΰτ'
εδοξεν άξιον ζητήσεως τό περί της χαροπών οφθαλμών χροιάς.
(235) Secondo Μ. Leumann {op. cit. n. 32), p. 309 χαροπός sarebbe, nel CH, una parola media
ta da Omero. Ma la sua ampia presenza nella prosa scientifica rende superflua questa ipotesi.
Inoltre a Democrito è attribuito un trattato περί χυμών (cfr. FVS Π 138, 22). Ma è
noto come la teoria degli umori sia sorta in un periodo anteriore ai trattati del CH
nell'àmbito della fisiologia presocratica, soprattutto come conseguenza della dottrina
anassimandrea degli opposti e di quella di Alcmeone di Crotone sulle δυνάμεις e l'im
portanza della loro Ισονομία ο μοναρχία per la salute del corpo i236). Troviamo, quindi,
il termine χυμός variamente attestato, anche se per lo più indirettamente, nell'àmbito
della filosofia presocratica (cfr. FVS III 477 s.v.) ed è quindi presumibile che esso
fosse già nell'uso nella terminologia scientifica preippocratica.
(23β) Cfr. il famoso brano citato s. ν. θβρμός. Sulla teoria degli umori cfr. la breve ma chiara
esposizione di Jones, p. XLVI.
A parte i casi in cui è usato in contesti meteorologici, questo aggettivo è riferito a par
del corpo (in particolare alle estremità, δκρεα, ess. 1, XVIII 16, XXVI 36, 62 ecc. ecc
ο al sudore, in due sintagmi, uno nominale (ίδρωτες ψυχροί: ι, XXVI 42; 3, XIII 13
l'altro verbale (ίδρωσε ψυχρώ: ι, XXVI 38, 66, 275; 3, I 207, 219, 225).
L'aggettivo è usuale da Omero. Da esso derivano gli altri aggettivi :
(237) All'attivo è attestata anche la costruzione transitiva, cfr. ad es. Arist. Pr. 966bn ... ή ό
οί μέν δρόμοι πβριψΰχουσι τήν σάρκα.
(238) V. S. V.
SECONDA PARTE
1. Gli aggettivi.
(,24i) E' interessante osservare che, per quanto ci è dato di inferire da ciò che ci rimane, le for
mazioni aggettivali con ΰπο- non dovevano essere molto frequenti nella prosa scientifica precedente;
ad es. forme di questo tipo sono molto rare nei Presocratici, cfr. FVS 111, 448 ss. Evidentemente la loro
diffusione fu molto ampia a partire dal CH.
(242) Ahhjjavàjrage und Sprachu/issenschaft, Monaco 1934, pp. 1 ss.
(243) ibidem pp. 17 ss.
(244) ibidem p. 23.,Ο sarà forse da vedere in queste espressioni qualcosa di analogo ai nostri «in
sufficienza epatica, renale » e simili?
(245) v. s. v. nel lessico.
(2Ίβ) iqon sempre è chiaro il valore conferito alla formazione aggettivale da questo preverbio che
a volte conserverà traccia del valore locativale di επί, indicando un fenomeno che si verifica alla su
perficie di qualcosa (ξηρός: έπίξηρος ), e altre volte avrà un valore intensivo. Tanto più che in al
cuni casi la forma con έπι- coesiste con altri tipi di formazione, ad es. in -ώδης (όδυνώδης: επώδυ
νος, αφρώδης: επαφρος). Se nel caso di όδυνώδης, επώδυνος sembra intervenire la differenza
che il primo indicherebbe l'essere accompagnato ο caratterizzato da dolore (detto di un sintomo) e
I.4.I. -ώδης
Le formazioni con questo suffisso sono le più numerose, in numero
di 44 (247), nonché le più caratteristiche e tecniche.
È noto (248) come queste formazioni fossero in origine dei composti
il cui secondo elemento era ricavato dalla radice od- (cfr. lat. odor)·,
il senso di questa composizione sarebbe propriamente quello di « che
ha odore di », conservato in Omero (es. β 339 ευώδες ελαίον) e in se
guito molto raramente e dove lo permetteva la struttura del composto
(άνθεμώδης in Sapph., Β., Α., E., Ar.); anche nel nostro trattato ab
biamo incontrato l'aggettivo δυσώδης « maleolente ».
Ben presto però quest'elemento scadde al rango di semplice suf
fisso nella derivazione di aggettivi per lo più desostantivali che indi
cano una somiglianza 0 più semplicemente una qualità; già in Omero
(N 53) λυσσώδης ha il valore di « in preda all'ira ».
Queste formazioni divennero presto molto numerose, tanto che si
contano più di 1.250 parole che contengono questo suffisso, delle quali
il secondo il trovarsi in uno stato doloroso, la differenza tra αφρώδης e έπαφρος sfugge.
Si presenta la necessità di un esame lessicale sistematico del CH, in questo caso delle formazioni
con έπι- e del loro rapporto con altri tipi derivalivi.
(247) Cioè: άλμυρώδης, άσώδης, άφθιόδης, αφρώδης, βηχώδης, βραγχώδης, γαλακτώδης,
δακνώδης, διψώδης, δυσεντεριώδης, δυσώδης, είλεώδης, ελαιώδη-, ελκώδης, θανατώδης, Ικτε
ριώδης, Ικτερώδης, Ιώδης, καυσώδης, κοπιώδης, κριμνώδης, κωματώδης, λειεντεριώδης, λι
γνυώδης, μινυθώδης, ξυοματώδης, όδυνώδης, πτερυγώδης, πυώδης, πυρετώδης, φοώδης, σκο
τώδης, στραγγουριο')δης, ταραχώδης, τεινεσμώδης, ΰδατώδης, υπνώδης, φακώδης, φθινώδης,
φλεγματώδης, φρικώδης, φυσώδης, χολώδης, ΰποχολώδης.
(248) cfr. P. Chantraine, La formation ecc., cit. (n. 85), pp. 429 ss.
(252) άγρυπνος, αδιψος, ft θυμός, ακαιρος, δναυδος, δνοσος, ανώδυνος, άπόσιτος, απυρο
δχροος, βραχύπνοος, δύσπνοος, δύσφορος, έπαφρος, επίκαιρος, έπίπονος, επώδυνος, έτε
ροπος, εΰπνοος, εύφορος, εΰχροος, κακός, κούφος, μεγαλόσπλαγχνος, μειξόπυος, μελανόψθ
μος, παράληρος, πεντάμηνος, πικρόχολος, ταχυθάνατος, τρίμηνος, ϋδατόχλοος e - χολος, ΰ
λευκος, ΰπόσπληνος, ϋφαιμος, ώμος, più gli avverbi άσήμως, δυσκόλως, έπινόσως.
(253) Cfr. Chantraine, op. cit., pp. 223 ss.
(254) βλαβερός, γλίσχρος (e ΰπόγλισχρος), θολερός, Ισχυρός, λάβρος, λιπαρός, μακρός
νωθρός, ξηρός (e έπίξηρος), πονηρός, σκληρός, υγρός, υπέρυθρος, ΰπολάπαρος, φοβερός,
χρός (e περί-, ΰπόψυχρος), più gli avverbi λαπαρώς, όχληρώς, ύγιηρώς.
1.4.6. ικός
La storia e la funzione delle formazioni in - ικός, che nel nostro
trattato sono rappresentate da 12 forme (259), sono ben note soprattutto
dopo gli studi dello Chan traine (26°). Il suffisso ha conosciuto un'enor
me diffusione, dando luogo ad una delle formazioni più produttive del
greco antico (261), che ha trovato il campo più tipico di impiego e di
diffusione nella prosa ionico-attica, soprattutto per il tramite della so
fistica, della filosofia presocratica (262) e di quella classica (263). Le for
mazioni in - ικός acquistarono ben presto un valore tecnico ed è
noto come, per il tramite del latino, abbiano arricchito il lessico delle
lingue europee. Secondo lo Chantraine (265) la funzione più tipica di que
sto suffisso è quella di indicare l'appartenenza a un gruppo in una clas
sificazione; è un suffisso categorizzante, e questo spiega la sua presenza
nella terminologia delle scienze e della filosofia, specialmente di quella
aristotelica.
È ovvio che le formazioni provviste di questa funzione si trovino
frequentemente nella terminologia medica, di una disciplina, cioè, in cui
l'esame e la descrizione di « categorie » è di importanza fondamentale,
soprattutto nei trattati in cui sono descritti, raggruppandoli in categorie,
singoli casi clinici, com'è appunto il caso delle Epidemie; questo spiega
come nel nostro trattato le forme in - ικός siano al sesto posto per quanto
riguarda la quantità delle attestazioni; è probabile, per altro, che l'am
pia presenza di queste forme nella terminologia medica sia dovuta an
che ad influssi delle precedenti terminologie scientifiche e filosofiche.
Le 12 forme in -ικός del nostro trattato sono tutte attestate a par
tire dal CH, fuorché forse καρηβαρικός che poteva essere preesistente, e
μανικός (266). Quanto alla loro funzione, essa a parte il caso di περιεστικός e
forme con questo suffisso che hanno la prima attestazione nel CH; è un numero senz'altro elevato, ma
non quanto può sembrare a prima vista, specie se confrontato con la quantità delle prime attestazioni
in Platone e Aristotele, al numero totale delle formazioni greche in -ικός e, soprattutto, a quello del
le formazioni in -ώδης attestate a partire dal CH (circa 228 su 1250); anche per questa via si rivela co
me -ώδης fosse il suffisso derivativo pili tipico della terminologia medica.
(2β7) cfr. Chantraine, La formation ecc., cit., pp. 299 ss.
(288) cfr. ibidem pp. 192 ss.
(-β9) Come nel caso, ad es., di χειμερινός e νυκτερινός che hanno paralleli in altre lingue
indoeuropee, cfr. lat. hibernus e noetumus.
(27°) Chantraine, op. cit., p. 201.
2. I sostantivi.
(289) Non entriamo in un esame particolareggiato della funzione dei singoli preverbi nella deriva
zione sostantivale, sia perché si tratta di materia ancora poco studiata e conosciuta, sia perché essi sa
ranno esaminati più estesamente nel paragrafo dedicato ai verbi, nei quali la funzione del preverbio ri
(292) cfr. Chantraine, op. cit., pp. 286 s.; T. Bolelli, Origine e sviluppo delle formazioni gre
che in MEN/MON, ASNP XXII (1953), pp. 41 ss.
(293) gì vedano, del resto, le limitazioni portate allo schema dello Chantraine dal Bolelli, art. cit.,
pp. 42 ss.
(294) cfr. Chantraine, op. cit., pp. 18 ss.; J. Gagnepain, Les noms grecs en -Ος et en -a
tribution a l'étude du genre en indo-européen, Parigi 1959.
(2β51 άποφθορή, &ση, βλάβη, βοή, γνώμη, διαδοχή, καταφορή, λήθη, λύπη, μεταβ
οδύνη, οργή, παρακοπή, περιβολή, ?ήαατο)νη, φοπή, ταραχή, τέχνη, ύποστροφή, φλε
φρίκη, φδή, δίψα, φύσα, δίαιτα, περίρροια, διάρροια.
(296) cfr. Chantraine, op. cit., pp. 78 ss.; J. Gagnepain, op. cit. (n. 294), pp. 30 ss.
(297) αίμορραγίη, άκρισίη, άπορίη, άποσιτίη, ασφάλεια, άφωνίη, δυσεντερίη, δυσθυμίη,
δυσφορίη, ήσυχίη, θεραπείη, καρηβαρίη, λευκοφλεγματίης, όφΰαλμίη, παραπληγίη, παρηγορίη,
ποικιλίη, στραγγουρίη, σωτηρίη, υγιείη, ώφελείη.
(298) Ovviamente ci basiamo solamente sulle parole che sono sicuramente attestate a partire dal
CH (sicuramente, ben inteso, in relazione al materiale a nostra disposizione), tralasciando parole che,
come αίμορραγίη ο λευκοφλεγματίης, lasciano intravedere dietro di sé una storia più antica, per
analogia con termini connessi, ο come ποικιλίη e στραγγουρίη per le quali una dichiarazione di an
teriorità ο recenziorità ci sembra non sicura, dato il loro comparire anche in autori più ο meno con
temporanei al CH. E' chiaro che quando un termine come στραγγουρία ricorre sia in un trattato me
dico sia in Aristofane dovremo vedere nella medicina il suo àmbito di diffusione; ma è poi sicuro che
il modello di Aristofane sia proprio un trattato del CH, ο non è anche possibile che entrambi desuma
no il termine da opere precedenti e autonome?
(29β) άλγη μα, απόστημα, διαίτημα, εξάνθημα, ελκωμα, εμπύημα, εμφύσημα, εναιώρημα
επαρμα, ερύθημα, θέρμασμα, κύρτωμα, κώμα, νόσημα, οίδημα, πάθημα, φεΰμα, φύμα, ψίλωμ
(30°) Cfr., oltre a Chantraine, op. cit. pp. 175 ss., W. Por.zic, Bedeutungsgeschichtliche Studien
IF XLII (1924), pp. 221 ss., T. Bolelli, Origine ecc., cit. (n. 292). Sui rapporti tra queste formazio
e il cosiddetto participio medio cfr. E. Benveniste, Le participe indo-européen en -tnno-, BSLP XXX
(1933), pp. 5 ss.
(3oi) Le formazioni in -μα sono, secondo la lista di Buck-Petersen (op. cit. p. 221) più di 3.600,
delle quali 495 sono usate dai filosofi e da Ippocrate.
(3°2) E' interessante notare come il suffisso *-mri sia suscettibile di essere impiegato nella design
zione di malattie anche in altre lingue indo-europee, ess. av. pima «scabbia», va%-ma «rilassamento
astarQma « nome di una malattia », lat. petimen « ulcerazione sulla spalla di animali da tiro », tormi
«strizzoni di corpo», vermina ecc. (cfr. T. Bolelli, art. cit., p. 33).
(303) cfr. forme come εδεσμα « nutrimento », πότημα « pozione », τρόφημα « alimento », &
κεσμα « rimedio » ecc.
(304) Alcuni di questi appartengono al fondo più antico della lingua; cosi κώμα che è già in Om
ro; φεϋμα e φύμα che hanno precisi paralleli etimologici in altre lingue indoeuropee (cfr., con vari
gradi apofonici del suffisso, lit. sraumuó, trac. Στρυμών, a.nord, straumr, a.irl. sruaim, alb. rrym
a.ind. bhùma ecc.).
2.3.12. Le formazioni in - vo - (3
entrambe di uso comune anche al di fuori del CH.
2.3.13. Tra i cosiddetti «nomi-radice» che entrano nella termino
logia medica troviamo πΰρ e σήψ, il primo termine di uso comune spe
cializzato nell'indicazione dell'attacco febbrile, il secondo attestato a par
tire dal CH.
2.3.14. È risaputo che il greco possiede alcuni temi in labiale -si
che indicano malattie, soprattutto nella forma -ωψ,-ωπος (ο, se tematizzati,
-ωπός), che, contenendo la radice okw- indicano soprattutto disturbi del
la vista (άμβλυωπός, μΰωψ, τυφλώψ, νυκτάλωψ, ήμεράλωψ). Da questi ter
mini si è estratto il secondo elemento che, usato come suffissoide, ha
dato luogo a formazioni come μώλωψ, ΰδρωψ ecc. (317). Appunto ΰδρωψ
è il rappresentante di questa categoria nel nostro trattato.
2.3.15. Abbiamo, infine, il caso delle altre formazioni che sono at
testate con una sola forma. Innanzi tutto le formazioni tematiche: in
-ipo- (ίητρός (318)) -το- (πυρειός), -μνο- (κρίμνον), -ρο- (ίκτερος (319)), -νθο- (ϊον
ϋος) ; e le formazioni atematiche in dentale : -ας (ερυσίπελας), -ως (γελως),
-ης (έρπης), in nasale (σηπεδών (320)), e velare (-κ-: άνθραί, -γ-: έλμιγί).
Di queste, κρίμνον, ερυσίπελας, ερπης, έ'λμιγέ, ίκτερος, ϊονΰος, ΰδρωψ
sono attestate per la prima volta nel CH.
3. I verbi (321).
57). Se questo fatto sia ' informativo ' ο meno delle caratteristiche les
sicali del nostro trattato, cioè se il prevalere con questa proporzione dei
verbi composti su quelli semplici sia un fatto tipico di 'Ippocrate' ο di
carattere più generale, è difficile stabilire a causa della mancanza di
dati statistici su altri autori.
La ricchezza di verbi composti, ad ogni modo, è spesso interpreta
bile come il risultato della cura per i particolari e per le descrizioni pre
cise caratteristica del nostro autore. La composizione per mezzo di pre
verbi, modificando ο precisando più 0 meno profondamente il signi
ficato del verbo di base, permette evidentemente una descrizione più
accurata del fatto esaminato. Cosi, di fronte al semplice θερμαίνομαι
troviamo άνα-, δια-, επι-, ΰποθ-ερμαίνομαι; di fronte a ΐσταμαι sono usati
άν-, έξαν-, έπαν-, καθ-, μεθ·-, περι-, συν-, υφίσταμαι, ecc.
3.2. Il tipo di composizione verbale nettamente più numeroso è, ov
viamente, quello con un preverbio. Ma troviamo anche alcuni composti
verbali, per lo più denominali, che hanno come primo elemento un te
ma nominale ο avverbiale: αίμορραγέω, αίσχρομυθ-έω, τριχολογέω, δυσφο
ρέω, δυστυκέω, παλινδρομέω, ο con Γα- privativo: αφανίζομαι, άφωνέω.
Di questi verbi, αΐσχρομυθέω, παλινδρομέω, τριχολογέω, δυστοκέω sono
attestati per la prima volta nel CH (anche αίμορραγέω, che però proba
bilmente preesisteva).
Tutti gli altri verbi sono composti per mezzo di preverbi, secondo i
tipi che passiamo ad esaminare.
3.3.1. Le forme più numerose sono quelle con υπο-, di cui abbia
mo già visto la produttività nella terminologia medica a proposito della
derivazione aggettivale. Le forme sono 18 (322).
La sua funzione (a parte rari casi in cui conserva il valore dire
zionale indicando un movimento verso il basso, in senso proprio ο me
taforico: ύφίημι, υφίσταμαι) è per lo più quella di attenuare il senso
del verbo di base, e si trova quindi spesso in unione con verbi che in
dicano una condizione di salute oppure uno stato fisico ο psichico
(ύπαλγέω, ύποδιψόω, ΰποδυσφορέω, ύκοθερμαίνομαι, ΰποκουφίζω, ύπονοσέω,
ΰποπυρέσσω, ecc.), indicando che il fenomeno in questione si presenta
con caratteri attenuati ο più leggeri. Altre volte la modificazione se
mantica apportata dal preverbio non appare del tutto chiara, almeno
dal contesto in cui il verbo è attestato nel trattato (cosi per υποφέρω,
ΰποφαίνομαι).
Alcuni dati sulla ripartizione quantitativa dei vari tipi suffissali possono essere, ad ogni modo,
interessanti: le formazioni più numerose sono quelle in -έω, seguite da quelle in -άω e -όω, -ίσσω e
le varie altre (-όζω, -ίζω ecc.).
(322) υπακούω, ύπαλγέω, ΰποδιψόω, ύποδυσφορέω, ύπεναντιόομαι, ύποθερμαίνομαι, ύπο
καρόομαι, ύποκουφίζω, ύπολήγω, υπομένω, ύπονοσέω, ύποπυρέσσω, ίιποστρέφω, ύποφαίνομαι,
ύποφέρω, ύποψύχω, ύφίημι, υφίσταμαι.
(324) Questa differenza è ben resa, ad es., dalla traduzione della Lanata (p. 134): ...erano presi
da brividi ...erano còlti da brividi.., quelli che erano stati còlti da brividi... ebbero brividi.
(325) παραγίνομαι, παρακρούω, παραλέγω, παραληρέω, παραλύομαι, παραμένω, παρανοέω,
παραφρονέω, παρειρύομαι, παρέπομαι, παροξύνομαι, παροχλέω.
(32β) Ο;,-. J. Humbert, Syntaxe grecque, Parigi i9603, p. 340 § 602.
(327) in cu[ è presente anche un valore aggiuntivo, cfr. 3, XII 16 πολλοΓοι δέ και έπ'ι τοίσιν
δλλοισι νοσήμασιν οΙδήματα παρώχλει, πολύ δέ μάλιστα τοΐαι φθινώδεσι.
(332) Now most of those who fell ill in this constitution went through their illness in this manner,
trad. Jones p. 177; La maggior parte dunque di coloro che furono malati in questa costituzione ebbero
questo decorso della malattia, trad. Lanata p. 133.
(333) cfr. J. Brunel, L'aspect verbal et l'emploi des préverbes en grec, particulierement en at
tique, Parigi 1939, pp. 102 ss.
(334) cfr. J. Humbert, op. cit., p. 331 § 589.
(335) ìbidem, p. 337 § 597.
ρο|ηίχω e περιτείνομαι dove per altro sarà presente anche un'eco del va
lore spaziale di περί).
3.3.12. Restano, infine, le formazioni meno frequenti con μετα- (μεθί
σταμαι, μεταπίπτω), έν- (ένδίδωμι, ένοχλέω), ύπερ- (υπερβάλλω) e le forme com
poste con più di un preverbio (επαναδίδωμι, επανίημι, έξαγίσταμαι, έπανί
σταμαι, ΰποδιασπάω, συνεπείγω).
Di questi verbi, risultano attestati per la prima volta nel CH έπανα
δίδωμι, ΰποδιασπάω, συνεπείγω).
TERZA PARTE
1.2. D'altro canto abbiamo visto più volte come il fatto che una
parola sia attestata direttamente soltanto a partire dal CH non escluda
la possibilità di una sua esistenza precedente, di cui solo per caso non
abbiamo testimonianza. Termini come quelli connessi con il gruppo di
αίμορραγίη e come αίμορροίς,"αφεσις, βεβαιόω, δυσάνιος, επιπολάζω ecc. ecc.
erano con ogni verisimiglianza preesistenti al momento della redazione
dei trattati più antichi del CH. Il numero delle prime attestazioni viene
cosi ad essere ridotto.
1.3. Sarebbe, naturalmente, interessante riuscire a stabilire quali di
queste parole, all'interno del CH, fossero già state introdotte nella ter
minologia medica prima del trattato sulle Epidemie e quali invece com
paiano a partire da quest'opera.
A questo si oppongono, però, alcune difficoltà forse insormontabili,
per lo meno allo stato attuale degli studi e degli strumenti di lavoro re
lativi al CH. Innanzi tutto la mancanza di un indice completo dei ter
mini di questa raccolta, per cui, a parte il caso delle parole più comuni,
non siamo mai sicuri se una parola compaia solo in un trattato ο in più
di uno e, in questo caso, in quale, tanto più che gli strumenti di cui
possiamo servirci (LSJ, Foes ecc.) si limitano di solito a riportare le
attestazioni dei trattati più noti, mentre quelli 'minori' sono raramente
ricordati. Per ogni parola, quindi, si dovrebbe fare uno spoglio com
pleto dell'intero CH, opera che, evidentemente, è superiore alle forze di
un singolo ricercatore.
Altra grave difficoltà è costituita dall'incertezza della datazione del
la maggior parte dei trattati. Se per il primo e terzo libro delle Epide
mie la datazione è sicura (con un margine di incertezza quasi irrilevan
te), non altrettanto può dirsi degli altri trattati, anche di quelli più studiati.
Tanto per fare un esempio, per il trattato περί άρχαίης Ιητρικής, che
di solito viene considerato uno dei più antichi del CH, è stata recente
mente proposta dal Diller una datazione più bassa (337).
In conclusione, è molto pericoloso affermare che una parola è atte
stata, all'interno del CH, per la prima volta in questo ο quel trattato.
Si consideri, infine, che per i trattati più antichi la differenza cro
nologica è spesso minima. Ad esempio, secondo la datazione proposta dal
Pohlenz (338), i trattati περί αέρων, υδάτων, τόπων e περί Ιερής voti σου sareb
bero stati composti in un periodo compreso tra il 430 e il 415. Come
si vede, la distanza che li separa dai due libri delle Epidemie (410)
è veramente poca e basarsi su di essa per stabilire l'anteriorità del sin
golo trattato per la prima attestazione di un termine è davvero rischioso.
1.4. Ovviamente si potrebbero eliminare dalle presunte prime atte
stazioni del primo e terzo libro delle Epidemie, quelle parole che ricor
rono anche in trattati più antichi ο per lo meno contemporanei (περί Ιερής
νοΰσου, π. αέρων υδάτων τόπων, forse περί άρχαίης ίητρικής, προγνωστιν.όν ) ;
termini, quindi, come γλίσχρος, ερευθος, υπέρυθρος, ερυσίπελας, θανατώδης
ecc. che sono presenti anche nel προγνωστικόν, ο come άμφημερινός, δια
θερμαίνομαι ecc., presenti anche nel περί Ιερής νουσου, non saranno da
considerare come attestati a partire dal nostro trattato. Lo stesso si dica
per casi come άνείλησις che sarà stato un termine preesistente, visto che
nel Pronostico troviamo il verbo corrispondente άνειλέομαι, per εναιώρη
μα: έναιωρέομαι nello stesso trattato ecc. Ma procedendo cosi giungiamo
solo al risultato di creare una casistica « aperta » che non dà garanzie
di conclusioni sicure (33S).
1.5. A questo punto sembrerebbe risultare, da quanto siamo venuti
dicendo, che il materiale raccolto nel lessico non sia suscettibile di un'e
laborazione che consenta il raggiungimento di conclusioni, soprattutto
storiche, sulla formazione del lessico medico. Invece ci sembra che di
verse conclusioni possano ugualmente essere tratte.
1.6. Partiamo, innanzi tutto, dall'osservazione fondamentale che, a
prescindere da particolari problemi di datazione, il primo e terzo libro
delle Epidemie costituiscono uno dei trattati più antichi del CH; il suo
lessico rappresenta, quindi, una fase tutto sommato iniziale della forma
(337) Hippokratische Medizin uni attische Philosphie, Hermes LXXX (1952), pp. 385-409. Si ve
dano le riserve del Di Benedetto, art. cit. (n. 2), p. 350 n. 71.
(338) M. Pohlenz, Hippokrates and die Begriindung der wissenschaftlichen Medizin, Berlino 1938,
Ρ· 45·
(339) Interessante sarebbe, invece, un esame comparativo del lessico dei singoli trattati, indipen
dentemente da considerazioni cronologiche; ad esempio, un esame superficiale dell'indice posposto
all'edizione del Pronostico di B. Alexanderson (Goteborg 1963) fa intravedere che esistono maggiori
contatti lessicali tra il primo e terzo libro delle Epidemie e il Pronostico che tra la prima opera e, ad
es., la Malattia sacra.
il termine più preciso a quello più generico. È logico, quindi, che l'au
tore sia portato anche all'introduzione di nuovi termini, soprattutto di
aggettivi, quando quelli offertigli dalla tradizione precedente non appaia
no abbastanza precisi per il suo scopo. Abbiamo già osservato che molto
spesso le prime attestazioni aggettivali sono formazioni ottenute, per suf
fissazione ο composizione, da termini preesistenti. La ragione è chiara:
ξηρός e ψυχρός, ad esempio, sono aggettivi di uso comune che indicano
il «secco» e il «freddo», ma essi sono, in un certo senso, troppo gene
rici e non servono all'indicazione dei vari gradi di aridità e di raffred
damento da cui può essere colpito un organo; una tale precisione di sfu
mature (necessaria per la fondazione di una « semeiotica » sempre più
scientifica) è però ottenibile mediante la prefissazione: έπίξηρος, περίψυ
χρος, ΰπόψυχρος sono aggettivi di impiego più limitato e di significato
più particolare; la loro assunzione nella terminologia medica è, quindi,
utile per la descrizione analitica dei casi clinici. Lo stesso discorso vale,
in gran parte, come abbiamo visto, anche per i verbi: se θερμαίνομαι,
ξηραίνομαι, ψύχω ecc. sono troppo generici, άνα-, δια-, έπιθερμαίνομαι, è
πιξηραίνομαι, περι-, ΰποψυχω sono molto più precisi.
Questo spiega ad esempio la ricchezza, soprattutto negli aggettivi
e nei verbi, delle forme composte con ύπο-, la maggior parte delle quali
sono, come abbiamo visto, prime attestazioni. Una volta introdotte in
un trattato e, per cosi dire, codificate, queste voci, dovute inizialmente
ad una necessità contestuale, assumono automaticamente una connota
zione di termini tecnici, tant'è vero che esse, al di fuori dei CH, sono
assenti o, tutt'al più, limitate ad altre opere 0 contesti di carattere tec
nico. Ognuna di esse, presa isolatamente, potrebbe essere, al limite, una
creazione occasionale ed interessare il piano stilistico dell'opera; nel loro
insieme, però, esse giungono a formare un sistema lessicale (e a volte
semantico) ben individuato sul piano funzionale e connotato da un ca
rattere abbastanza netto di termini tecnici della medicina.
Per i sostantivi il discorso sarebbe diverso, in quanto le prime at
testazioni indicano non tanto la ricerca di una maggior precisione conte
stuale e descrittiva, quanto una carenza terminologica precedente, nel
senso che, come stiamo per vedere, questi sostantivi designano concetti
di importanza basilare per la medicina in genere, costituendo il nucleo
indispensabile della sua terminologia, intorno al quale possono svilup
parsi tutti gli altri termini che siano richiesti, volta per volta, dal con
testo dei singoli trattati, cioè dalle singole branche della disciplina.
(341) Si vedano le perplessità dello Chantraine (Éludes ecc., cit., n. 260, p. 130) sull'utilizzazione
del materiale presocratico per lo studio, nel suo caso, del suffisso -ικός.
(342) Secondo la definizione, ad es., del Dizionario Garzanti della Lingua Italiana (Milano 1965).
Diamo qui di seguito, in ordine strettamente alfabetico, l'elenco dei termini che
nella prima parte (' il lessico ') sono stati ordinati con un criterio leggermente di
verso (cfr. § 2.3.). I numeri posti a lato di ogni termine corrispondono a quelli con
cui i singoli lemmi compaiono nel testo.