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Impedenza

Per poter definire il concetto di impedenza è necessario prendere in esame un generico bipolo.
Si applichi una tensione sinusoidale a frequenza f al bipolo considerato; la tensione presente ai suoi
capi sarà:

cos (2π f t + φ)
Dove:

è l’ampiezza di picco della tensione;


f è la frequenza di lavoro;
φ è la fase iniziale.

Dato che si sta lavorando con grandezze sinusoidali, per poterle esprimere in maniera più compatta,
specificando la frequenza di lavoro scelta, si possono utilizzare i fasori. Il fasore è un numero
complesso con modulo e fase pari, rispettivamente, all’ampiezza di picco e alla fase della sinusoide.
In questo caso si avrà quindi:

= ejφ , f

Applicando al bipolo tale tensione, la corrente che scorrerà al suo interno dipenderà dal bipolo
stesso. Nel caso in cui il bipolo fosse lineare, la corrente sarebbe sinusoidale con la stessa frequenza
f della tensione; se fosse non lineare, si otterrebbe una sinusoide alla stessa frequenza della tensione
e tutte le varie armoniche ad essa associate.
Si prenda in considerazione il caso in cui il bipolo fosse lineare. La corrente sinusoidale che scorre
al suo interno è alla stessa frequenza f della tensione ma con fase iniziale diversa per un ∆φ.

cos (2π f t + φ + ∆φ )

Dove:

è l’ampiezza di picco della corrente;


f è la frequenza di lavoro;
φ + ∆φ è la fase iniziale.

La formula compatta in fasori è:

,f

Si può quindi definire l’impedenza del bipolo alla frequenza f come un numero complesso dato dal
rapporto tra il fasore di tensione e il fasore di corrente.

() =
Ī
Dato che l’impedenza è un numero complesso, si può rappresentare sia in coordinate cartesiane,
come somma di una parte reale e una parte immaginaria, sia in coordinate polari specificando
modulo e fase.

In coordinate cartesiane:

Z = R + jX

Dove:
R è la resistenza [Ω];
X è la reattanza [Ω].

In coordinate polari:
Z = |Z| ejθ

Dove :
|Z| è la distanza del punto Z dall’origine degli assi;
θ è l’angolo tra Z e l’asse reale.

Le due notazioni sono equivalenti e si può passare:



da coordinate cartesiane a polari sapendo che || = √
+ e  =   
da coordinate polari a cartesiane sapendo che R = |Z| cos θ e X = |Z| sen θ
N.B. E’ preferibile usare la notazione cartesiana.
Nell’immagine sono riportate sull’asse reale le resistenze pure , mentre sull’asse immaginario
positivo le induttanze pure (per un induttanza L la corrispondente reattanza XL = ωL = 2π f L ,
quantità sicuramente positiva) e sull’asse immaginario negativo le capacità pure (per una capacita C
 
la corrispondente reattanza  = − =− , quantità sicuramente negativa).
   
Nel caso si abbia un condensatore o un induttore ideale, la parte resistiva dell’impedenza tenderà a
zero e quindi θ tenderà rispettivamente a -90° e a +90°.
Si può inoltre osservare che la Z, una volta scelti L o C e R , è a destra del piano in quanto essendo
il bipolo passivo, la R sarà sicuramente positiva.

Ammettenza e fattore di Qualità


Definita l’impedenza, si può introdurre un’altra grandezza: l’ammettenza, inverso dell’impedenza.
L’ammettenza viene utilizzata in particolare quando si lavora con condensatori in quanto
contribuisce a semplificare i calcoli.

1
= = " + #$

Nell’immagine sono riportate sull’asse reale le conduttanze pure, mentre sull’asse immaginario
positivo le capacità pure (per un capacità C la corrispondente suscettanza BC = ωC , quantità
sicuramente positiva) e sull’asse immaginario negativo le induttanze pure (per una induttanza L,la

corrispondente suscettanza $% = − %, quantità sicuramente negativa).
Andando a misurare l’ammettenza Y di un condensatore ideale, fissata la frequenza, si otterrebbe
Y = jωC , ma nel caso in cui il condensatore fosse reale si avrà Y = jωC + G dove G, elemento
dissipativo, rappresenta le perdite dovute alla non idealità del dielettrico e dei collegamenti. Per
quantificare tali perdite si introduce il fattore di merito o qualità Q definito come :
'( $
&= = ; & = *+, -. /* -0/ -/ ,1./ .* 0*′/34+5+*6
" "

con Y = G + jB

Da notare che Q è adimensionale e che rappresenta inoltre la tangente dell’angolo θ del vettore di
impedenza (o di ammettenza) nel piano di misura.
Più il condensatore si avvicina all’ipotesi di idealità, più il valore di G diminuisce e Q aumenta.

L’inverso di Q è il fattore di perdita D:


"

7= ; 7= *+, -. /* 0/ -/ ,1./ .* 0*′/34+5+*6


$

Se il componente è ideale, allora Q∞ , D  0.


Q e D sono valori reali che utilizzati insieme ad un altro valore reale (quale ad esempio la capacità
C), forniscono informazioni utili a ricavare il valore dell’impedenza.
Q è generalmente usato per gli induttori e D per i condensatori. I condensatori possono avere una Q
molto alta (anche oltre 10,000) mentre un valore 100 della Q è considerato molto alto per un
induttore.

LCR METER

Per misurare l’impedenza si può utilizzare un ponte


simile a quello di Wheatstone in cui al posto delle
resistenze si hanno tre impedenze note Z1, Z2 e Z3 e
un’impedenza incognita Zx, oggetto della misura. Si
misura lo squilibrio del ponte alimentato con un
generatore in alternata.
All’equilibrio si ha:

Z1 · ZX = Z2 · Z3

A differenza del ponte di Wheatstone in cui per ottenere l’equilibrio si deve variare la resistenza, in
questo caso, avendo una quantità complessa si deve variare sia la parte resistiva che quella reattiva
(o una resistenza e una capacità o una resistenza e un’induttanza, non necessariamente posizionate
sullo stesso ramo). Affinché il ponte funzioni è necessario che il generatore fornisca un segnale
sinusoidale puro alla frequenza desiderata; questo perché la condizione di equilibrio è valida solo
per la frequenza di lavoro.
Infatti, dato che Z è funzione della frequenza, Z1, Z2, Z3 e Zx varieranno in maniera diversa l’uno
rispetto all’altro al variare di f. Nel caso in cui la sinusoide generata non sia pura ma contenente
delle armoniche, l’equilibrio del ponte non verrà mai raggiunto.
Ad oggi tale metodo non è più adoperato. Lo strumento che viene utilizzato è LCR METER, il
quale , una volta impostata la frequenza di lavoro, permette di misurare, oltre ad R(che potrebbe
essere anche misurata più semplicemente tramite un multimetro), L e C e quindi l’impedenza
complessa.
Consideriamo un condensatore ideale:

Un condensatore di tale tipo, in realtà, non è realizzabile a cause di diversi fattori.


1. Il dielettrico posto tra le armature non è un isolante infinitamente perfetto ma presenta una
ridotta resistenza di perdita Rp(in parallelo);
2. I reofori e le saldature costituiscono una resistenza Rs(in serie);
3. I fili dei reofori presentano un autoinduttanza dovuta ad effetti parassiti.
N.B. Solitamente Rs è dell’ordine dell’ohm o milli-ohm mentre Rp è dell’ordine del mega-ohm o
più grande.
Quindi il modello che rappresenta il condensatore reale sarà il seguente:
L’andamento della reattanza capacitiva in modulo Xc e della reattanza induttiva XL in funzione
della frequenza è:

Come si osserva dal grafico, all’aumentare della frequenza, Xc in modulo diminuisce mentre XL
aumenta. Trascurando le resistenze, si può considerare la serie di Xc e XL quindi sommare il valore
delle reattanze.
Si vede inoltre che al variare della frequenza, si ha un diverso comportamento del componente:

- A basse frequenze il comportamento è capacitivo Xc

- Ad alte frequenze il comportamento è induttivo XL f

Il punto dove le due curve relative alle reattanze capacitive ed a quelle induttive si intersecano
corrisponde alla frequenza di risonanza e in tal punto, il componente si comporta come un resistore.
Un esempio della misura d’impedenza è il seguente:
Questo grafico mostra Z e θ di un condensatore tra 10 MHz e 150 MHz. Prima della risonanza, la
fase è intorno a -90° e il componente effettivamente si comporta come un condensatore.
L’impedenza diminuisce con la frequenza fino al punto di risonanza, a causa dell’elemento
induttivo del componente. Da notare che alla risonanza, la fase è 0°, puramente resistiva. Dopo la
risonanza, l’angolo della fase cambia ed è +90° così che prevalgono gli elementi induttivi.

In realtà se viene rispettata la banda del componente, si può trascurare il contributo dell’induttanza
Ls e considerare solo le perdite. In tal caso il modello diventa il seguente:

Tale modello risulta essere troppo complesso poiché dal valore che lo strumento fornisce (un
numero complesso ossia due numeri reali) non riusciamo a determinare il valore delle tre incognite
Rs, Rp e C. Si deve perciò ricavare da tale modello, un modello equivalente più semplice che va
scelto tra un modello serie e un modello parallelo:

Tali modelli, alla frequenza di lavoro scelta, sono equivalenti in quanto i valori di R e C vengono
dedotti dal valore dell’impedenza Z, ricavata dallo strumento come il rapporto tra il fasore di V e il
fasore di I, misurati direttamente. E’ importante precisare che a seconda del modello scelto si
otterranno valori diversi di capacità e resistenza. Esiste, però, una relazione tra i parametri del
modello serie e del modello parallelo che permette di verificare che i diversi risultati ottenuti siano
equivalenti.

Modello parallelo:

1 1
R : jωC R : jωC
> jωC> > R> R> 1 − jωC> R >
8= = ∙ = = ∙ =
1 jωC 1 jωC R + 1 jωC R + 1 1 − jωC R
R > + jωC > R > + jωC > > > > > >
> >

R > − jωC> R > R> ωC> R >


= = − j∙
1 + ω R > C> 1 + ω R > C> 1 + ω R > C>

Abbiamo in tal modo diviso parte resistiva (parte reale) e parte reattiva (parte immaginaria); si può
@A BCA
notare come la parte immaginaria non dipenda solo da C ma è proprio .
D@C BCA CA
E  
Trovando il fattore di perdita 7 = = ∙ , il fattore di qualità sarà: & = ωC> R > .
F BA @A
Possiamo così riscrivere l’impedenza nel modello parallelo come:
R> 1 R> 1 R> 1
Z= − j = − j = − j .
1 + Q 1 + ω R > C> 1 + Q 1+Q 1 + Q ωC> (1 + D )
ωC> I J ωC> K L
ω R > C> Q

Come si osserva dalla formula, Z nel modello parallelo è data dalla somma di una parte reale e una
parte immaginaria negativa ed è quindi riconducibile ad un modello di tipo RC serie:

Modello Serie :
P
dove, in generale, Z =
O −
Q
Fissata una f, si ottiene lo stesso valore di impedenza del modello parallelo se si usa un modello
serie che abbia:

R>

O = e CS = C> (1 + D )
1 + Q

Alla frequenza di lavoro scelta, i due modelli risulteranno essere equivalenti. Non saranno più tali
se si vuole determinare l’andamento dell’impedenza in funzione della frequenza. Questo perché,
variando la frequenza, è necessario scegliere il modello opportuno in base al valore della capacità.
Più elevato è il valore della capacità C, minore sarà il valore della reattanza X; avere una X piccola
in parallelo ad una resistenza R grande significa cortocircuitare la stessa resistenza. Di conseguenza
se il valore della capacità è grande, il modello corretto da utilizzare è quello in serie.
Viceversa, minore è il valore della capacità, maggiore sarà il valore della reattanza. In questo caso il
modello corretto da considerare è quello in parallelo.
Se il condensatore utilizzato fosse ideale D tenderebbe a zero e Cs sarebbe uguale a Cp, quindi la
scelta del modello risulterebbe essere indifferente.
Il discorso fatto fino ad ora vale anche se, al posto di un condensatore, consideriamo un induttore.

Modello più complesso

Dove:
Rp è la resistenza di perdita del nucleo su cui è avvolto l’induttore;
Rs è la resistenza dei reofori e dell’avvolgimento della bobina dell’induttore.

Anche in questo caso, la scelta del modello dipenderà dal valore dell’induttanza L.
Un valore elevato di L comporta un valore di reattanza anch’esso elevato (data la relazione di
proporzionalità tra X e L  X = ωL ) perciò è preferibile utilizzare il modello parallelo. Viceversa,
un ridotto valore di L comporta un valore della reattanza ridotto ed è quindi preferibile utilizzare il
modello serie.

Riepilogando:
Lo strumento misura direttamente il fasore di tensione e quello di corrente e, facendone il rapporto,
ricava il valore dell’impedenza visualizzandola come parte resistiva e reattiva (o conduttiva e
suscettiva nel caso dell’ammettenza). Ma se, in base al componente utilizzato (condensatore o
induttore), vogliamo conoscere quale è il valore di capacità C o induttanza L, allora si dovrà
scegliere il modello equivalente opportuno in base alle informazioni che abbiamo sul componente
stesso; a quel punto l’LCR METER ricava i parametri equivalenti relativi al modello richiesto.
Incertezza
Le specifiche utilizzate dallo strumento per il calcolo dell’incertezza si riferiscono, in genere,
direttamente al valore di impedenza misurato e non al valore dei parametri equivalenti che è
possibile ricavare (capacità e induttanza). Dato che è nota solo l’incertezza percentuale relativa
all’impedenza, per conoscere quella relativa ai parametri suddetti, sarà necessario sapere quanto
valgono in termini di impedenza.
A tal fine bisognerà trasformare un valore, ad esempio di capacità, in un valore di impedenza
secondo la formula:
1 1
( → || = =
'( 2V(

Per facilitare tale operazione, sui data-sheet dello strumento, viene riportata la “carta delle
impedenze”, ossia un grafico in carta logaritmica che mostra, dato il valore di C ed f , quanto vale
Z. Il grafico riporta per diversi valori di capacità, qual è il corrispondente andamento del modulo
dell’impedenza in funzione della f .

,.W || = −,.W (2V() − ,.W  (1)

Come si può osservare dal grafico, si ha una famiglia di rette con pendenza - 45° dove ciascuna
retta è relativa ad un diverso valore di capacità. Il segno negativo nell’equazione (1) comporta che
al diminuire del valore della capacità si ottengono rette sempre più alte.
Un esempio di come si utilizza la carta delle impedenze è il seguente:
Considerato un condensatore di capacità 1nF, alla frequenza di 1 MHz, l’impedenza sarà di 160 Ω.
Rispettivamente per una frequenza di 1 kHz e di 1 GHz si avrà un’impedenza di 160 kΩ e 0.16 Ω.
Un discorso analogo può essere effettuato per le induttanze:

X → || = 'X = 2VX

In tal caso il grafico riporterà, per diversi valori di induttanza , il corrispondente andamento del
modulo dell’impedenza in funzione della f .

,.W || = + ,.W (2VX) + ,.W  (2)


In questo caso, si ha una famiglia di rette con pendenza + 45° dove ciascuna retta è relativa ad un
diverso valore di induttanza. Il segno positivo nell’equazione (2) comporta che all’aumentare del
valore dell’induttanza, si ottengono rette sempre più alte.
Tecniche di misura dell’impedenza in un LCR METER
Per effettuare la misura dell’impedenza, lo strumento utilizza due tecniche Volt-amperometriche in
cui viene misurato direttamente il fasore tensione e il fasore corrente Ī e ne viene fatto il

rapporto, secondo la definizione d’impedenza () =


Ī
1) Ponte Autobilanciante

I quattro lati del ponte sono: i lati che contengono Zx e R2 e i lati che contengono V1 e V2. Il ponte è
detto autobilanciante in quanto la presenza dell’amplificatore operazionale garantisce uno sbilanciamento
nullo.
L’amplificatore operazionale è un amplificatore differenziale che riporta in uscita la differenza tra
le tensioni in ingresso moltiplicata per un certo guadagno G.
L’operazionale ideale presenta:
1. G  ∞ che implica una tensione differenziale in ingresso nulla dato il valore finito della tensione
\]Q^_`a
in uscita: YZ[ = .
E
Ciò comporta che i due terminali dell’operazionale si trovino alla stessa tensione; in
particolare, essendo uno dei due terminali collegato a massa, si dirà che esiste una massa
virtuale al secondo terminale dell’amplificatore operazionale.

2. Z ∞ implica che in ingresso all’amplificatore non scorra corrente e quindi I= I2 .


V1 e V2 sono voltmetri vettoriali che misurano non soltanto il modulo della tensione ma anche la fase.

 = b Ī in quanto, data la massa virtuale, la ∆V ai capi di Zx è uguale alla ∆V


ai capi di V1.

= − Ī
in quanto, data la massa virtuale, la ∆V ai capi di R è uguale alla ∆V
ai capi di V2;

Allora :

 
b = = − ∙

Ī

Lo strumento fa una misura diretta dei soli fasori di tensione e, noto il valore della resistenza interna allo
strumento, ricava Z. Ci sono diversi possibili valori della resistenza interna al variare dei quali viene
modificato il fondo scala dello strumento; di conseguenza per misurare ridotti valori di Z si utilizzeranno
piccole resistenze e viceversa.
L’inconveniente di questo ponte è che, a causa della presenza dell’amplificatore operazionale, è necessario
lavorare a basse frequenze (minori di 40 MHz), altrimenti il suo comportamento si discosterebbe troppo da
quello ideale.

2) Tecnica I – V
A differenza dello schema precedente, l’amplificatore impiegato in questo caso è differenziale ma
non operazionale; quindi l’impedenza di ingresso è infinita (Zin  ∞) mentre il guadagno è finito e
pari a G.
La corrente I scorre sia sulla resistenza R che su Zx in quanto la Zin dell’amplificatore e del
voltmetro sono molto elevate.
Da cui:

 = b Ī

= "
Ī dove RĪ è la tensione differenziale in ingresso all’amplificatore.
Allora:

 
b = = "

In questo caso non si è avuto alcun tipo di bilanciamento ma sono state misurate direttamente la
tensione ai capi del bipolo e la corrente che lo attraversa. Per poter misurare la corrente, la si fa
scorrere attraverso una resistenza di valore noto e si misura la caduta di tensione ai capi di
quest’ultima.
Lo svantaggio di tale schema è che, utilizzando valori di R molto grossi, parte della corrente
potrebbe scorrere in ingresso all'amplificatore. Possiamo perciò utilizzare uno schema alternativo
in cui viene utilizzato un trasformatore mentre la resistenza viene posta sul secondario.

Tale schema è equivalente al precedente; formalmente non cambia nulla ma utilizzando il


trasformatore riesco a disaccoppiare la resistenza dal circuito. Infatti la corrente che attraversa la
resistenza, scorrendo nel secondario del trasformatore, è diversa dalla corrente I che scorre nel
primario e quindi su Zx .
Infatti:
1 d
c = c .* * = , 44..  ,+ -4/+ 5+, 4/3/. + f0+,,+ 5+, -+.*5/.
* d

 = *
con 51 resistenza vista al primario. Si fa in modo di avere Q > 1, mettendo nel
secondario un numero minore di spire rispetto al primario, così da ottenere R1 > R

Y = "
c

Y = b c

Y Y
c = → c =
"
"
*

Y
Y = b
"
*

Y
b = "
*
Y
Tecniche di compensazione
Solitamente è necessario utilizzare dei cavi di collegamento, più o meno lunghi, in aggiunta ai
terminali dello strumento per connettere la Zx con lo strumento stesso. Ma quest’ultimo misura la
caduta di tensione ai capi dei suoi terminali, quindi in realtà l’impedenza visualizzata non è solo la
Zx ma si ha anche il contributo della Z dei fili usati per la connessione. In bassa frequenza, questo
contributo è del tutto trascurabile. Invece in alta frequenza, per misurare correttamente Zx, bisogna
compensare la misura dell’effetto dei cavi di collegamento perché, in questo caso, anche millimetri di
tratti elettrici non compensati possono creare problemi di misura a 1 GHz.

La tecnica più semplice utilizzata per operare la compensazione prevede l’utilizzo del seguente
schema:

Affinché la presenza dei cavi di collegamento non interferisca con la misura dell’impedenza,
sarebbe auspicabile che Rs e Ls tendessero a zero mentre Ro e Co tendessero a ∞.
In realtà non è così quindi per eliminarne l’effetto, sarà necessario stimare il valore dei suddetti
parametri.
Prima di misurare il valore dell’impedenza Zx si effettuano due misure preliminari:
1) Misura in SHORT : si effettua ponendo i due terminali in cortocircuito in maniera tale da
annullare l’effetto del parallelo; in questo caso vengono ricavati i valori di Rs e Ls tramite la
misura della serie: R S + j ω LS .
2) Misura in OPEN : si effettua lasciando i terminali aperti. Lo strumento misura la serie tra
Rs, Ls e il parallelo Ro-Co. Essendo la serie tra Rs Ls molto minore del parallelo tra Ro Co,
può essere trascurata; per cui ricavo il parallelo tra Ro Co.
Eseguite le due misure SHORT e OPEN, lo strumento ha ricavato il valore dei parametri e, per ogni
misura successiva, elimina automaticamente l’effetto dovuto a Rs, Ls, Ro e Co. In tal modo si
leggerà dallo strumento la misura compensata.

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