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Dai salmi al Salterio

Jean-Marie AUWERS
(Université Catholique Louvain)

Per introdurre il mio argomento e farvi comprendere l’obiettivo perseguito, vorrei proporvi
un esercizio. Poi, come ricompensa per lo sforzo, vi racconterò una parabola e un aneddoto.
Prima l’esercizio: rappresentatevi con la mente una statua del profeta Elia. Cosa avete da-
vanti agli occhi (per immaginazione)? – Una statua di Elia, naturalmente. Ora, immaginate ac-
canto alla statua di Elia una statua di Mosè. Cosa avete sotto agli occhi? Naturalmente, due
statue: una di Mosè ed una di Elia. Ma Mosè ed Elia presi insieme sono qualcosa di più di due
personaggi: Mosè ed Elia sono la Legge e i Profeti. L’accostamento di due personaggi fa sì che
essi rappresentino qualcosa di più di ciascuno di essi. Ora, immaginate tra i due una statua di
Gesù Cristo, e avrete una Trasfigurazione. Il tutto è qualcosa di più della somma delle parti.
Applichiamo questo al Salterio. Quando io leggo il Sal 120, leggo un salmo. Quando leggo
i quindici salmi delle Salite, non leggo solo il primo salmo, poi un secondo, poi un terzo, e così
via: leggo una sequenza, in cui i pezzi successivi cominciano ad avere senso l’uno in rapporto
all’altro e a formare un insieme con una propria consistenza.
Ecco ora la parabola: nel 1873, durante un suo viaggio in Inghilterra, il poeta Arthur Rim-
baud consegna a Paul Verlaine tre foglietti scritti di suo pugno. Questi foglietti hanno la parti-
colarità di presentare su un lato testi in prosa che si riferiscono ai primi capitoli del vangelo
secondo Giovanni: sono l’abbozzo di un commento al quarto vangelo sul quale il giovane di-
ciannovenne non lavorò più.
Sul retro sono riportate bozze di componimenti intitolati «Cattivo sangue» e «Falsa conver-
sione», poesie inserite poi nella raccolta Una stagione all’inferno. In un lato, quindi, l’opera
cristiana, “pia”, se così si può dire; nell’altro, frasi come:
«Dei miei antenati Galli ho l’occhio azzurrognolo, il cervello stretto, e l’impaccio nella lotta… Di
loro, ho: l’idolatria e l’amore del sacrilegio; - oh! tutti i vizi, collera, lussuria - magnifica, la lussuria,
- soprattutto menzogna e accidia».
In questo modo, l’opera pagana (e poetica) volge le spalle all’opera cristiana (e in prosa), e
questa osservazione materiale ha alimentato riflessioni sul legame tra poesia e paganesimo
nella mente di Rimbaud. E da lì è stato possibile tracciare una riflessione molto ambiziosa sul
rapporto tra cristianesimo e paganesimo nel «poeta maledetto».
In ogni caso, essendo scritti insieme sia nello spazio dei fogli manoscritti che nel tempo
della scrittura, questi testi, nonostante le loro differenze di contenuto e di stile, devono poter
essere letti insieme e gli editori di Rimbaud hanno qui una particolare responsabilità, poiché i
testi in prosa del vangelo non possono essere letti allo stesso modo se sono pubblicati isolata-
mente, o come appendice a Una stagione all’Inferno (Berrichon, nell’edizione del 1912, aveva
fatto dei testi evangelici una prefazione alla collezione) o ancora se sono uniti alle Illuminazioni
con il pretesto di una parentela tematica. Ecco altrettanti contesti di lettura diversi.
Trovo questo esempio illuminante come introduzione al mio argomento, perché mostra
molto chiaramente che il modo in cui dei testi sono disposti in una raccolta letteraria costituisce
già un primo dato per la loro interpretazione. Questo vale anche per il Salterio: il fatto stesso
che esista un libro dei salmi obbliga l’interprete a porsi, non solo di fronte ai singoli componi-
menti poetici, ma anche di fronte alla composizione finale, dove gli elementi sono venuti ad
esistere l’uno per l’altro e per l’insieme di cui sono diventati parti.
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Facciamo un’altra applicazione al Salterio: il Sal 137 («Lungo i fiumi di Babilonia…»)


evoca con tristezza il tempo dell’esilio, quando non era possibile cantare un canto di YHWH
perché, pronunciando il suo nome in terra pagana, resa impura dal culto di falsi dèi (v. 4), lo
avrebbero profanato. Il salmista serba un terribile rancore nei riguardi degli oppressori di un
tempo (vv. 7-8):
Figlia di Babel, la devastatrice [secondo la LXX],
beato chi ti renderà il male che ci hai fatto!
Beato che afferrerà e sfracellerà i tuoi piccoli contro la roccia!
Sono queste le ultime parole del salmo. Parole terribili, che a stento si osa pronunciare! Ma
non si tratta dell’ultima parola del Salterio.
Il salmo seguente ha tutto un altro tono quando si rivolge ad YHWH (Sal 138,1-2.4):
Ti celebrerò con tutto il mio cuore,
ti loderò col canto davanti agli dei (‫)נגד אלהים‬.
Mi prostrerò verso il tuo tempio santo,
celebrerò il tuo Nome per il tuo amore e la tua fedeltà:
Hai reso la tua promessa più grande del tuo nome! (…)
Ti celebreranno, YHWH, tutti i re della terra,
quando ascolteranno le parole della tua bocca.
L’atteggiamento del salmista è quello di Daniele che, a Babilonia, si volge verso Gerusa-
lemme nell’ora della preghiera e si prostra in direzione del Tempio (Dn 6,11). Il Sal 138 è la
preghiera di un ebreo della diaspora che, là dove si trova, sente il dovere di celebrare YHWH e
di salmodiare per lui di fronte alle divinità pagane locali (quasi per tenere loro testa) prostran-
dosi verso il Tempio di Gerusalemme. Qui, la speranza non è più che Babilonia sia devastata
con tutti i suoi abitanti, ma che “tutti i re della terra, sentendo le parole della sua bocca, celebrino
YHWH”, parole che gli ebrei rimasti nella diaspora hanno la missione di far conoscere (Sal
138,4). La teologia del Sal 138 è una teologia di apertura e di un certo universalismo, che,
tramite il titolo, viene posto sotto l’autorità di Davide, in opposizione alla teologia “sionista”
del precedente.
Nel quadro di una lettura continua, il finale del Sal 137 non è l’ultima parola della preghiera,
ma un momento in cui l’angoscia opprime talmente il cuore che si sente il bisogno di sfogare il
proprio risentimento; la richiesta del castigo corrisponde a un momento in cui il desiderio di
vendetta deve liberare il cuore perché questo possa essere nuovamente invaso dalla lode.
Ecco, infine, l’aneddoto promesso. Quando, nel 1990, arrivai come studente all’École Bi-
blique di Gerusalemme, spiegai al Padre R.-J. Tournay, che insegnava i salmi e i sapienziali,
che il mio progetto a lungo termine era lo studio della configurazione letteraria del libro dei
salmi e che volevo scegliere come oggetto della mia tesi il Sal 72 («O Dio, affida al re il tuo
diritto…») come conclusione del secondo libro del Salterio. Era un modo per entrare nella pro-
blematica che volevo studiare. Il P. Tournay mi rispose che il mio era un progetto senza senso:
«Il Salterio – mi disse – non è un libro come gli altri. È una collezione; anzi una collezione di
collezioni. Quindi…». Questo “Quindi” voleva dire che, dal momento che il Salterio è una
collezione di collezioni, la sua composizione non corrisponde ad alcun progetto precostituito:
è semplicemente il risultato di un’accumulazione successiva di salmi. In fondo, il P. Tournay
si interessava ai salmi presi singolarmente e ai loro autori, mentre io volevo interessarmi alla
raccolta e ai suoi editori. Di fronte alla mia testardaggine, P. Tournay mi autorizzò finalmente
a trattare l’argomento, a titolo sperimentale. Quando egli dovette poi giudicare il lavoro com-
piuto, fu così gentile da dirmi che gli avevo “aperto gli occhi” e che, effettivamente, non è
possibile interpretare il Sal 72 senza tener conto della posizione che esso occupa nel Salterio.
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Era per me una bella vittoria. Ma il motivo per cui ho riferito questo aneddoto è soprattutto
per mostrare come un rinomato specialista del Salterio ha scoperto tardi – ma con interesse – la
problematica che voglio ora trattare.

La mia esposizione comprenderà tre parti: (1) la prima è diacronica e riguarda il dibattito in
corso sulla storia della formazione del Salterio; (2) la seconda è sincronica: l’organizzazione
della raccolta corrisponde a un programma? Il Salterio suggerisce al lettore un itinerario da
percorrere? In caso affermativo, qual è il messaggio da scoprire lungo questo itinerario? (3)
Infine, in quale contesto bisogna situare l’edizione finale del libro dei salmi e a quali lettori è
destinato? Nella seconda e terza parte fornirò una sintesi dei lavori da me pubblicati tra il 1994
e il 2011. Dal 2011 il mio campo di interesse si è spostato altrove: sono convinto di aver detto
l’essenziale di quello che avevo da dire e di non aver nulla di nuovo da aggiungere. Non tratterò
qui delle obiezioni che David Willgren, nella sua dissertazione difesa a Lund e pubblicata nel
2016, ha sollevato contro la possibilità di studiare il Salterio come un libro.

I. La formazione del Salterio


Da dove veniamo?
Gli esegeti della generazione di P. Tournay avevano, sulla storia della formazione del Sal-
terio, dei punti di vista che a noi oggi sembrano rudimentali. Si sapeva, naturalmente, che la
composizione finale dei 150 salmi era stata preceduta da raccolte più brevi. Gli indizi sono
troppi per poterlo negare. Ma il modo in cui, negli anni 1950, si concepiva la storia della for-
mazione del Salterio oggi ci appare semplicistico. La prima edizione della Bibbia di Gerusa-
lemme in un volume unico (1956) era stata preceduta da una edizione in 43 fascicoli (1948-
1954). Nell’introduzione del fascicolo dedicato ai salmi (1950) si spiegava che il Salterio «sa-
rebbe stato costituito dell’insieme di tre grandi raccolte. La prima, che comprende i Sal 3–41,
attribuiti a Davide (eccetto il Sal 33) è una serie “yahvista”. La seconda (Sal 42–83) è una serie
“elohista” (…), seguita da un’appendice “yahvista” contenente salmi di Core (Sal 84, 85, 87,
88), di Davide (Sal 86) e di Etan (Sal 89). La terza raccolta (Sal 90–150) contiene solo sette
volte Élohim». Questo modo di presentare la storia della formazione del Salterio sulla base
delle ricorrenze dei nomi divini ricalca evidentemente una rappresentazione datata della storia
della formazione del Pentateuco. Questa ipotesi è oggi superata dell’avanzamento della ricerca,
in particolare per ciò che concerne i Sal 90–150, dei quali ormai nessuno più pensa che abbiano
costituito una «terza raccolta» autonoma.

Il contributo di F. Hossfeld e E. Zenger


Dove siamo oggi? Nella mia opera La composition littéraire du Psautier [La composizione
letteraria del Salterio] (2000), ho presentato uno status quaestionis completo fino alla fine del
XX secolo. Esso può essere completato con l’articolo di E. Zenger apparso negli Atti del Col-
loquium Biblicum Lovaniense, The Composition of the Book of Psalms (Zenger, 2010). In que-
sta mia esposizione presenterò l’ipotesi di Frank-Lothar Hossfeld (1942–2015) e di Erich Zen-
ger (1939–2010), una cui sintesi si trova nel loro monumentale commentario al Salterio, che ha
avuto un impatto duraturo sulla storia della ricerca (Sal 1–50, NEB, 1993; Sal 51–100, HThK,
2000; Sal 101–150, HThK, 2008) e la confronterò con alcune altre ipotesi.
Il punto di partenza del metodo di questi due autori è abbastanza classico: consiste nell’in-
dividuare gli elementi secondari nel testo attuale dei salmi. Da tempo i commentatori hanno
riconosciuto nel Salterio la presenza di glosse e di aggiunte. Il contributo decisivo dei lavori di
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Fr.-L. Hossfeld e di E. Zenger è quello di dimostrare che questi elementi secondari acquiste-
rebbero valore se situati nel contesto di sistematiche campagne di “riletture”, corrispondenti
all’una o all’altra fare dell’edizione della raccolta. L’originalità sta quindi nel partire dagli ele-
menti avventizi, non solo per stabilire la storia di ogni salmo preso isolatamente, ma anche e
soprattutto per ricostruire le tappe successive della redazione del Salterio nel suo insieme. P.-
L. Hossfeld e E. Zenger sono riusciti così a dimostrare che lo sviluppo genetico delle parti del
Salterio può essere pienamente compreso solo a partire dalla storia della redazione del libro.

La prima raccolta davidica (Sal 3–41)


P.-L. Hossfeld e E. Zenger presentano la prima collezione Davidica come la raccolta più
antica del Salterio. Secondo loro, molte delle composizioni conservate in questa raccolta risal-
gono, infatti, all’epoca del primo Tempio; sono state compilate alla fine dell’esilio (NEB, 1993,
p. 14) o poco prima dell’esilio (HThK, 2000, p. 26). Esse sono state allora oggetto di una prima
campagna di rilettura; altre composizioni più recenti sarebbero state integrate (Sal 8; 15; 24;
29; 29; 32; 36) e il tutto sarebbe stato raggruppato in quattro raccolte: Sal 3-14 (senza 9/10);
15-24 (senza 16; 19; 23); 26-32 e 35-41 (senza 37; 39; 40). In questa prima fase della sua for-
mazione, la raccolta dei salmi di Davide è l’espressione della preghiera di una comunità che si
riconosce povera e perseguitata e i cui membri vogliono vivere come persone “giuste” sotto lo
sguardo di YHWH; in mezzo alla loro angoscia, questi poveri proclamano la loro certezza che
presto saranno da lui salvati.
L’inserimento dei Sal 16; 19; 23; 25; 33 (?)1; 34; 37; 39; 40 è contemporaneo alla seconda
campagna di rilettura (in particolare l’ampliamento dei salmi 18 e 22) in funzione di una teolo-
gia in cui la parola “poveri” non indica più una situazione sociale, ma una categoria religiosa
(epoca persiana in NEB, 1993). Questi “poveri” rappresentano un gruppo particolare all’interno
della comunità di coloro che sono ritornati; essi sono convinti di rappresentare il vero Israele
che, perseguitato da ogni parte, ha la certezza che alla fine YHWH e l’ordine del mondo da lui
voluto prevarranno.
Il Sal 9–10 è rappresentativo della teologia dei redattori dell’inizio dell’epoca ellenistica
(NEB, 1993, p. 15) o più probabilmente della fine dell’epoca persiana (HThK, 2000, p 32); per
questi redattori, “povero” si riferisce a Israele nel suo insieme, minacciato dai nemici dall’in-
terno e dall’esterno. Questa fase corrisponde anch’essa a una campagna di rilettura dei testi già
inseriti nella collezione (nuovo ampliamento di Sal 22). I redattori di quest’epoca collegarono
il primo Salterio davidico ai Sal 42–88 (che hanno anch’essi una loro storia); la cornice pro-
grammatica che diedero all’insieme così costituito (Sal 2,1-9; 72; 89) ricorda le promesse di cui
la casa di Davide era portatrice e invita il “povero” Israele a riconoscersi nella persona del figlio
regale di YHWH.

Prima dell’esilio 3–8.11–14 15.17.18*.20–22*.24 26–32 35–36.38.41


+ 16; 18,26-32; 22,4-6.24- + 33 (?); 34; 37;
Epoca persiana
27; 19; 23 39; 40
3–8.11–14  15–21.22*.23–24 26–32  33(?).34–41
Fine dell’epoca persiana + 9–10 + 22,28-32
 3–14  15–24 26–32 33(?).34–41
Le tappe della formazione della prima raccolta davidica secondo Hossfeld e Zenger

1 In «Der Psalter als Buch. Beobachtungen zu seiner Entstehung, Komposition und Funktion», in E.
ZENGER (ed.), Der Psalter in Judentum und Christentum, Freiburg, 1998, p. 1-57, E. Zenger fa del Sal
33 uno dei salmi più recenti, ritenuto il prolungamento del Sal 32.
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G. Barbiero (1999; 2003) ha confermato e perfezionato questa struttura mostrando che le


stesse tematiche erano presenti in tutto il libro, ma con spostamenti significativi rispetto ai due
esegeti tedeschi. Dato che questo tema sarà oggetto della lezione che seguirà, non entrerò nei
dettagli.
Per inciso, gli autori che ho appena menzionato concordano nel sostenere, sulla scia di P.
Auffret (1999) e di molti altri (e.g. Brown, 2010), che esiste una struttura concentrica nella
sezione costituita dai Sal 15–24 (Sal 15,1: «YHWH, chi abiterà nella tua tenda?»// Sal 24,3: «Chi
salirà il monte di YHWH?»), che S. Gillingham (2005; 2010) chiama “i salmi di una liturgia
d’ingresso”, strutturata intorno a Sal 19 (lode della Torah). Questo consenso è stato infranto
recentemente da R. Meynet (2018), che propone un’altra strutturazione del primo libro del Sal-
terio.

Il libro II del Salterio


Lo stesso autore ha recentemente proposto un’analisi retorica del secondo libro del Salterio
(Sal 42–72). R. Meynet (2019) individua in esso cinque sezioni che si corrispondono in modo
concentrico intorno alla sezione dei cinque salmi ‫«( לדוד מכתם‬di Davide a mezza voce»), dove il
salmista si rivolge a coloro che sono incaricati di amministrare la giustizia, ma che si compor-
tano come leoni e vipere le cui zanne e veleno seminano la morte. Questi nemici occupano
l’intera area della sezione. Ai loro grugniti rispondono le parole di supplica e infine di ringra-
ziamento per la salvezza ricevuta da Dio.

Sal 42/43–49 Il nostro Re ci salva da tutti i nostri nemici


Sal 50–55 Il Signore che perdona il peccato, dona la salvezza
Sal 56–60 Di Davide a mezza voce nella sua angoscia
Sal 61–65 Il Signore che ascolta la preghiera dona il riposo
Sal 66–72 Tutta la terra benedice Dio che ci salva.
La strutturazione del libro II secondo R. Meynet

Siamo lontani qui, tanto per le disposizioni metodologiche che per i risultati ottenuti, dalla
rappresentazione che fa Stefan M. Attard del libro II nella sua dissertazione pubblicata nel
2016. L’esegeta maltese divide il materiale del libro in due sezioni (Sal 42–51 e Sal 52–72)
costruite in parallelo, e la seconda di queste due sezioni fornisce una risposta, attraverso la vita
di Davide, al grido di angoscia della prima di fronte all’esilio e alle sue prove. Non mi addentro
ulteriormente nella discussione sulle due strutturazioni; mi limito a segnalare che c’è spazio il
dibattito.

Il Salterio elohista
Per Fr.-L. Hossfeld e E. Zenger la prima collezione davidica è anteriore al Salterio elohista
(Sal 42–83). Questa è l’opinione della maggioranza degli esegeti (è la posizione “classica”: cfr.
BJ nel 1950).
Ma non sono dello stesso avviso Chr. Rösel (1999) e M. Rose (2009): questi autori consi-
derano la seconda collezione davidica, elohista, come il nucleo dal quale ha preso forma il
libro. Durante il periodo dell’esilio babilonese, senza Tempio né monarchia, Davide (il re di
prima del Tempio) è stato visto come un modello di pietà personale, secondo l’immagine che
di lui fornisce la storiografia deuteronomistica, che descrive Davide nella sua umanità, con i
suoi successi e le sue colpe, i suoi peccati e il loro perdono, esposto alle persecuzioni e protetto
dal suo Dio. In questo tempo dell’esilio babilonese, Davide diventa il “patrono” dei salmisti e
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a lui vengono attribuiti salmi in cui si esprime questa pietà personale; questi salmi sono messi
in relazione con determinate situazioni della sua vita descritte nell’opera deuteronomistica (e
richiamate nei titoli dei Sal 51; 52; 54; 56; 56; 57; 59; 60; 63). Nasce così la collezione dei Sal
51–72, la collezione delle “preghiere (‫ )תפלות‬di Davide, figlio di Iesse” (Sal 72,20). Al ritorno
dall’esilio, quando il Tempio fu riscostruito, i cantori aggiunsero a questa raccolta quella dei
salmi di Asaf (Sal 50; 73–83), che la incorniciano in modo che le preghiere individuali diven-
tano lodi liturgiche. La successiva fase di ampliamento fu l’aggiunta dei salmi dei figli di Core
(Sal 42–49), posta all’inizio della collezione precedente. L’intera raccolta subì un’armonizza-
zione redazionale: il tetragramma venne sostituito (non sistematicamente) da Elohim, proba-
bilmente a causa della politica religiosa dell’impero persiano, che mirava a favorire gli dei
internazionali a scapito degli dei nazionali. Solo in una fase successiva la collezione dei salmi
di Davide (Sal 3–41) viene messa in testa alla raccolta e altri salmi di Core vengono aggiunti
in appendice (Sal 84–85; 87–88). Questa rinascita del prestigio “davidico” potrebbe essere una
ripercussione delle speranze che erano state riposte nella persona del davidide Zorobabele. Poi-
ché il tempo di Zorobabele fu un periodo di intense aspettative messianiche, la raccolta rice-
vette una nuova introduzione (Sal 2) e una grande conclusione (Sal 89).

51–72
Esilio
Davide

50 73–83
Ritorno dall’esilio Davide
Asaf Asaf

42–49
Salterio elohista Asaf Davide Asaf
Core

3–41 84–88
Salterio davidico Core Asaf Davide Asaf
David C/Dav/C

Salterio messianico 2 David Core Asaf Davide Asaf C/Dav/C 89


Le tappe della formazione del “Salterio messianico” secondo M. Rose

Chr. Rösel e M. Rose concordano con Fr.-L. Hossfeld ed E. Zenger nell’ammettere l’esi-
stenza di una “Salterio messianico” incorniciato dal Sal 2 (almeno i vv. 1-9) e dal Sal 89. Un
altro punto in comune tra questi autori è che essi moltiplicano le edizioni intermedie del Salte-
rio. Questi sono i punti in comune tra Rösel e M. Rose da una parte e Fr.-L. Hossfeld ed E.
Zenger dall’altra. A nessuno sfuggono però le differenze: M. Rose vede la formazione del Sal-
terio messianico come un successivo incastrarsi di elementi a mo’ di bambole russe, mentre per
Fr.-L. Hossfeld ed E. Zenger ogni tappa della formazione della raccolta consiste non solo
nell’aggiunta di nuovi salmi, ma anche nella rilettura degli elementi anteriori della collezione.
Chr. Rösel e M. Rose hanno una visione diversa da quella di P. L. Hossfeld ed E. Zenger
delle tappe hanno portato al Salterio messianico: essi partono dal secondo Salterio davidico,
mentre P.-L. Hossfeld ed E. Zenger partono dal primo Salterio davidico.
Nell’ipotesi di Chr. Rösel e M. Rose, il secondo Salterio davidico, come collezione, è stato
concepito fin dall’inizio come diario di David; ciò significa che i titoli “storici” o “biografici”
della seconda collezione davidica sono contemporanei alla costituzione della raccolta. P.-L.
Hossfeld ed E. Zenger hanno una visione diversa delle cose: per loro, nella seconda raccolta
davidica, è possibile distinguere un nucleo primitivo formato da salmi (Sal 52; 54-57; 59; 61-
68) che presuppongono una situazione di conflitto e di persecuzione, una situazione che sembra
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essere proprio quella dell’esilio, durante la quale Israele ha dovuto imparare ad esprimere la
propria pietà al di fuori della cornice istituzionale del Tempio di Gerusalemme. Poco dopo il
ritorno dall’esilio, questa collezione è stata ampliata per diventare la collezione davidica che
conosciamo (Sal 51-72); l’evocazione di David è chiara nella cornice della collezione: Sal 51
ricorda il suo peccato; i Sal 69–70 presentano una sintesi della sua vita che mette in evidenza
la persecuzione che ha subito e il suo zelo per la Casa di YHWH; il Sal 71 rappresenta la preghiera
del re al tramonto della sua vita e il Sal 72*, il suo testamento; la collezione è stata concepita
come la seconda tavola di un dittico, il primo dei quali è formato da Sal 3–41* (primo Salterio
davidico). Qui “Davide” non è ancora l’autore presunto, ma il personaggio di riferimento in
funzione del quale i salmi devono essere interpretati. Questo lavoro editoriale va attribuito ai
cantori asafiti, che hanno incorniciato la composizione con salmi provenienti della loro cerchia
di cantori leviti (Sal 50; 73-83).

Esilio 52; 54–57; 59; 61-68

Ritorno 50 51; 52; 53; 54–57; 58; 59; 60; 61-68; 69–72 73–83
Asaf Preghiere di Davide Asaf

Prima del 400 42–49 50 51–72 73–83


Core Asaf Preghiere di Davide Asaf
Le tappe della formazione del “Salterio elohista”
secondo Fr.-L. Hossfeld ed E. Zenger

Una ulteriore differenza: M. Rose situa la formazione del Salterio messianico all’inizio del
periodo persiano, mentre Fr.-L. Hossfeld ed E. Zenger la situano alla fine di tale periodo (HThK,
2000). Nell’ipotesi di Chr. Rösel e M. Rose, sono molte le edizioni successive da collocare
all’epoca di Zorobabele.
L’ipotesi che Sal 2*–89 sarebbe stata un’edizione intermedia del Salterio (probabilmente
senza Sal 86, che sarebbe stato aggiunto nell’ultima fase dell’edizione del Salterio) è condivisa
da molti esegeti. Contro l’esistenza di questo “Salterio messianico”, alcuni esegeti hanno sol-
levato almeno due obiezioni.
La prima obiezione consiste nel dire che i Sal 1 e 2 si rispondono a vicenda e che sono stati
concepiti come un dittico, incorniciato da un macarismo (Sal 1,1a: «Beato l’uomo che non
cammina...» e Sal 2,12d: «Beati tutti coloro che si rifugiano in Lui»). Il loro inserimento nel
Salterio dovrebbe quindi essere posto nella stessa fase editoriale. In realtà, questa obiezione è
infondata. I Sal 1–2 formano effettivamente un dittico, ma questo è il risultato di un’operazione
redazionale: uno stadio più antico del Sal 2* avrebbe potuto servire come introduzione a uno
stadio più antico del Salterio. La seconda obiezione è che, nell’ipotesi sopra menzionata, il
Salterio messianico termina con una vigorosa sfida a Dio: «Dov’è, o Signore, il tuo amore di
un tempo, che hai giurato a Davide nella tua fedeltà»? (Sal 89,50) – e che, in questa fase della
formazione del Salterio, questa domanda angosciante rimane senza risposta. C’è stata davvero
una forma del Salterio che si concludeva con una domanda senza risposta? È sufficiente dire
che «il Salterio messianico finisce in modo aperto, in attesa del cambiamento della situazione
che si deplora»? (Steynmans, 2010, p. 194).
Nel mio libro La composition littéraire du Psautier [La composizione letteraria del Salterio]
(2000, pp. 71-72), ho avanzato l’ipotesi di un Salterio messianico che termina con il Sal 83,
cioè alla fine del Salterio elohista (senza i supplementi yahvisti di Core). L’inclusione tra il Sal
2 e il Sal 83 era già stata notata da P. de Lagarde: il tema della coalizione dei popoli pagani è
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trattato in modo simile in entrambe le parti. Nel Sal 83, una coalizione di dieci nazioni, prove-
nienti da ogni parte e da diversi periodi della storia, si accorda contro Israele; non è quindi una
situazione precisa quella che viene qui descritta, ma la condizione permanente di Israele che si
trova di fronte all’ostilità delle nazioni per la sola ragione di essere il popolo di Dio. Tutti co-
nosceranno la paura (‫בהל‬, Sal 83,16, come in Sal 2,5) nel giorno dell’ira di YHWH. L’editore che
ha unito il Salterio elohista (Sal 42–83) alla grande raccolta davidica del primo libro dei Salmi
(Sal 3–41) avrebbe anche aggiunto il Sal 2* come prefazione al tutto. Devo ammettere che
questa ipotesi non ha avuto alcuna eco.

I libri IV e V del Salterio


Veniamo ora agli ultimi due libri del Salterio. La prima domanda che dobbiamo porci è di
sapere se si tratta effettivamente di due piccoli libri distinti.
La divisione del Salterio in cinque libri si basa sulla presenza di formule di benedizione nel
finale dei Sal 41, 72, 89 e 106. Queste benedizioni sono state interpretate come il segno distin-
tivo finale di un libro, mentre Sal 150 è stato considerato la conclusione sia del quinto libro che
dell’intero Salterio (P. Sanders, 2010; ; S. Gilligham, 2015).

Libro Dossologia
I. Sal 1–41 41,14
II. Sal 42–72 72,18-19
III. Sal 73–89 89,53
IV. Sal 90–106 106,48
V. Sal 107–150 ??
I cinque libri del Salterio

Le prime tre dossologie coincidono con il finale di collezioni chiaramente identificabili, ri-
spettivamente: la prima raccolta davidica, la seconda raccolta davidica, la raccolta levitica dei
salmi di Asaf e di Core. In questi tre casi, le dossologie hanno chiaramente la funzione di sot-
tolineare la fine di un gruppo di salmi – il che non significa che queste tre dossologie proven-
gano dallo stresso editore e possano essere staccate dai salmi alla fine dei quali si trovano. Al
contrario, esse concludono sia il salmo che il libro (Barbiero, 2007a; 2007b; 2019). Che dire
della dossologia del Sal 106 («Benedetto sia YHWH, Dio d’Israele, da sempre e per sempre.
Tutto il popolo dica: Amen. Alleluia»)?
Il Sal 106 forma, con quello che lo precede e quello che lo segue, una serie di tre salmi
caratterizzati dallo stesso incipit (‫)הדו ליהוה‬. Questo significa forse che la dossologia, che è parte
integrante del Sal 106, non ha alcun ruolo strutturante (dato che i Sal 105–107 sembrano for-
mare una triade) e che non esistono un quarto e un quinto libro distinti? O invece che il Sal 106
è stato scelto appositamente per chiudere la serie dei Sal 90–106 perché aveva già una dosso-
logia appropriata? A favore della seconda ipotesi, si può argomentare sulla base della presenza
di un “alleluia” alla fine dei Sal 104, 105 e 106, con quest’ultimo che ha anche un “alleluia”
iniziale. Sal 107, invece, non ha né un “alleluia” iniziale né un “alleluia” conclusivo. G. H.
Wilson (1983; 1985, pp. 124-131) ha mostrato che nel grande rotolo della grotta 11 di Qumran,
i salmi alleluiatici sono utilizzati per segnare il finale di serie più o meno lunghe di salmi. Questa
stessa tecnica si trova nel Salterio canonico, dove Sal 135 (con “alleluia” iniziale e conclusiva)
serve da conclusione dei salmi delle Salite (mia ipotesi, cfr. infra) e dove i Sal 146–150 (cia-
scuno con “alleluia” iniziale e conclusiva) costituiscono il finale dell’intera raccolta (cfr. E.
Zenger, Excursus in HThK, 2008, pp. 64-67). La presenza di un “alleluia” alla fine di Sal 104–
J.-M. AUWERS: Dai salmi al Salterio [20 gen 2020] 9

106 suggerisce che con questi salmi si conclude la serie dei Sal 90–106; un editore avrebbe
voluto presentare questa serie come un “libro” che seguisse i primi tre e, con questa intenzione,
avrebbe scelto come ultimo salmo della serie un testo con una benedizione conclusiva che po-
tesse richiamare le dossologie dei Sal 41; 72 e 89.
Il quinto libro si conclude, come i precedenti, con una dossologia? Si dice spesso che è il Sal
150 ad avere questa funzione, ma esso non ne ha le caratteristiche formali. D’altra parte, l’ul-
timo versetto del Sal 145TM presenta l’eco di una dossologia (‫)לעולם ועד‬. Queste ultime parole
appaiono come un sovraccarico nel testo attuale del salmo. Potrebbero essere la testimonianza
della dossologia che 11QPsa ha conservato nel finale del Sal 145 (col. 17: «Benedetto sia YHWH,
benedetto sia il suo Nome da sempre e [per sempre]»). Nella mia ipotesi, il Sal 145 fornisce la
dossologia del libro V, immediatamente prima dell’Hallel finale, che conclude sia l’ultimo libro
che l’intero Salterio. Vediamo allora che il duplice macarismo del Sal 144,15 fa inclusione con
quello che fa da cornice all’introduzione bicefala del Salterio.
1,1 Beato l’uomo che non cammina...
2,12d Beato chi in lui si rifugia.
144,15 Beato il popolo che possiede questi beni:
beato il popolo che ha YHWH come Dio.

G. H. Wilson (1985, pp. 220-228; 1993) ha proposto una strutturazione del quinto libro del
Salterio basata sulla ricorrenza della formula «Celebrate YHWH perché è buono, perché la sua
fedeltà è per sempre» nell’incipit dei Sal 107, 118 e 136, che permette di delimitare tre sezioni
(107–117; 118–135; 136–150), ognuna delle quali è conclusa da uno o più salmi con “alleluia”.

107–117 107 ‫הדו‬ 108–110 Salmi di Davide 111–113.115–117 ‫הללו־יה‬


118–135 118 ‫הדו‬ 119 120–134 Salmi graduali 135 ‫הללו־יה‬
136–150 136 ‫הדו‬ 137 138–145 Salmi di Davide 146–150 ‫הללו־יה‬

La struttura del libro V secondo G.H. Wilson

I salmi che aprono le tre serie (Sal 107; 118; 136) sono tre celebrazioni del ‫ חסד‬divino, così
come esso si è manifestato attraverso gli eventi fondanti dell’Esodo, concepito come prototipo
delle successive liberazioni. Nel Sal 136, Israele ringrazia YHWH per la sua opera creatrice (vv.
4-9) e soprattutto per la liberazione dalla schiavitù in Egitto (vv. 10-15) e per l’installazione in
Canaan (vv. 16-22), ricordando le forze ostili (il faraone e il suo esercito, il mare, i regni pagani
e i loro re), contro le quali YHWH ha protetto il suo popolo. I salmi inaugurali di ogni sezione si
corrispondono.
I salmi conclusivi fanno eco l’uno all’altro. Il brevissimo Sal 117 si presenta come la con-
clusione dei salmi precedenti, da cui trae la conseguenza per le nazioni: queste sono invitate a
lodare e celebrare YHWH il “Valoroso d’Israele”, che mostra nei riguardi del suo popolo una
fedeltà e una lealtà del tutto speciali. Qui troviamo, raccolto in due versi, un tema che sarà
ripreso e sviluppato nell’Hallel finale (146–150). — Il Sal 135, nel finale del secondo gruppo,
fa inclusione con il Sal 118, che apre la seconda serie (Sal 118,2-4 ∕∕ Sal 135,19-21); esso si
presenta come un’appendice ai salmi delle Salite, a cui si aggancia, riprendendo molto da vicino
l’incipit del Sal 134. La formula «Benedetto sia YHWH di Sion, egli che abita in Gerusalemme»,
che conclude Sal 135 (v. 21), rende a YHWH la benedizione invocata nel Sal 134,3 e segna una
cesura, così come le dossologie alla fine dei primi quattro libri dei salmi. In sostanza, il Sal 135
celebra in YHWH il benefattore di Israele, in contrapposizione agli dei delle Nazioni, che non
J.-M. AUWERS: Dai salmi al Salterio [20 gen 2020] 10

sono in grado di salvare i loro adoratori (vv. 5,15-18). Così, i salmi che concludono le tre serie
(Sal 117; 135 e 146–150) servono tutti e tre a ricordare che YHWH ha stretto un’alleanza con un
popolo particolare, attraverso il cui destino egli si rivela agli occhi delle nazioni come l’unico
vero Dio.
Condivido qui la posizione di J. Gärtner (2012) che sostiene il carattere editoriale del Sal
135, concepito come un ponte tra i salmi delle Salite, che esso estende, e quello che segue, che
esso richiama.
Ma non è questa la struttura favorita da E. Zenger (1996; cfr. HThK, 2008), che struttura i
Sal 107–145 in modo concentrico intorno al Sal 119, incorniciato da due raccolte liturgiche
(Hallel di Pasqua; salmi delle Salite [e complementi]), con, come cornice esterna, due serie di
salmi davidici (Sal [107].108-110; 138–145), conclusi da una o due composizioni alfabetiche
(Sal 111–112; 145).
A. Sal 107.108-110 (David) + 111-112 (alfabetico)
B. Sal 113-118: Hallel di Pasqua
C. Sal 119 (Torah)
B’. Sal 120-134 + 135-137: Salmi delle Salite + complementi
A’. Sal 138-145 (David; 145 è in ordine alfabetico)
La struttura del Libro V secondo E. Zenger

Questa struttura è molto vicina a quella proposta recentemente da R. Meynet (2017). L’unica
differenza principale è che R. Meynet collega i Sal 135–137 all’ultima sottosezione (Sal 135–
145). Il punto che tutti questi autori (compreso Auwers) hanno in comune è che essi fanno
dell’Hallel finale (Sal 145–150) la conclusione di tutto il Salterio, e non solo del libro V.
Detto questo, anche le fasi della formazione dei due ultimi libri del Salterio sono difficili da
individuare. C. Westermann (1961-62) immaginava come una tappa significativa della forma-
zione del Salterio una raccolta che andava dal Sal 1 al Sal 119. Secondo questa ipotesi, la rac-
colta dei salmi graduali (Sal 120–134) e i salmi seguenti sarebbero stati aggiunti posteriormente
a un Salterio che si concludeva con il Sal 119. Questa raccolta intermedia era incorniciata da
due composizioni sapienziali che facevano l’elogio della Torah (Sal 1 e Sal 119) e non aveva,
come collezione, una funzione cultuale, ma indicava il cammino della pietà legalista.
A questa ipotesi (a mio avviso gratuita) è possibile opporre quella di Kl. Koch (1994) e di
E. Zenger (1996; cf. HThK, 2008). Sensibili alle differenze tra la composizione e la teologia del
quarto e del quinto libro, Kl. Koch ed E. Zenger ritengono che questi ultimi due libri siano stati
aggiunti uno dopo l’altro ai primi tre. Tra il Salterio “messianico” (Sal 2–89) e il Salterio attuale
bisognerebbe situare una tappa intermedia in quattro piccoli libri (Sal 2–106), dove i salmi che
concludono ognuno di essi segnano la progressione tematica dell’insieme: Sal 41, la persecu-
zione; Sal 72, la promessa messianica; Sal 89, il mancato adempimento di questa promessa; Sal
106, il compimento della promessa fatta dal Dio dell’Alleanza che viene in persona come re di
tutta la terra. Nel sottolineare il regno universale di YHWH, il quarto libro non lascia spazio al
messianismo davidico, che tuttavia riappare nei “salmi di Davide” del quinto libro. Questo sa-
rebbe un indizio di due livelli di redazioni successive. (Fr. L. Hossfeld ed E. Zenger sostengono
persino l’esistenza di un Salterio di YHWH-Re [Sal 2-100*] all’inizio del V secolo e di un Sal-
terio di Sion [Sal 2-136] creato intorno al 400).
Fr. L. Hossfeld ed E. Zenger collocano la chiusura del Salterio negli anni 200-190 (NEB,
1993) o perfino 200-150 (HThK, 2008). Questa non è una posizione estrema poiché M. Oeming
(2000, pp. 33-34 e 41) fa scendere la redazione del Salterio agli anni 100-80 a.C. e G.H. Wilson
(1990) sostiene che la disposizione canonica del Salterio non sia stata fissata prima della metà
J.-M. AUWERS: Dai salmi al Salterio [20 gen 2020] 11

del I secolo d.C.: il Salterio sarebbe rimasto fino ad allora in uno stato di fluidità (una posizione
estrema, che obbligherebbe a datare la traduzione greca del Salterio alla fine del I secolo d.C.,
cosa che gli specialisti dei LXX non sono disposti ad ammettere). Al contrario, E. Cortese
(1999, p. 100) colloca la redazione finale del Salterio intorno al 400. Il suo argomento principale
è che 1Cr 16 cita il finale del Sal 106 con la conclusione dossologica che, essendo il contrasse-
gno di un fine libro, sarebbe attribuibile agli ultimi editori e implicherebbe la chiusura della
raccolta. Se si segue il mio ragionamento, questo argomento non è valido: la dossologia con-
clusiva del Sal 106 non è un elemento editoriale, ma il finale autentico del Sal 106 (nella mia
ipotesi, il Sal 106 è stato scelto per chiudere il libro IV proprio perché aveva il finale ad hoc).
B. Gosse conclude la sua monografia L’espérance messianique davidique et la structuration du
Psautier [La speranza messianica e la strutturazione del Salterio] (2015) sostenendo l’impos-
sibilità di proporre una data per la chiusura del Salterio: «proporre delle date è illusorio» sono
le ultime parole dell’opera.
Sono ben consapevole che la mia esposizione non contribuisce molto a chiarire le tappe della
formazione del Salterio. Il mio scopo principale è quello di evidenziare i punti controversi e le
incertezze

II. Il programma del Salterio


Dalla supplica alla lode
È possibile specificare il profilo letterario e teologico del Salterio? Non è una questione ov-
via se il Salterio, come scrive W. M. Schniedewind (2006, p. 196), è «il libro più malleabile di
tutto il canone» e soprattutto se i salmi sono stati scritti come componimenti per molteplici usi.
L’osservazione più ovvia è che all’inizio del Salterio i lamenti e le suppliche sono più numerosi
degli inni e che questa proporzione si inverte alla fine della raccolta, dove dominano gli inni e
i ringraziamenti. W. Brueggemann (1990) aveva cercato di individuare le tappe significative di
questo itinerario, che inizia in lacrime e finisce in gioia. Egli colloca nel Sal 73 (primo salmo
del libro III) il punto di svolta, dal lamento alla lode. Il Sal 73 è quindi, nella prospettiva di W.
Brueggemann, il centro teologico del Salterio.

Dalla regalità di Davide al regno di YHWH


In un articolo già di alcuni decenni fa, G.H. Wilson (1986) aveva mostrato che i salmi regali
costituivano la spina dorsale del Salterio. Posto in testa alla prima collezione davidica, il Sal 2,
indipendentemente da come lo si interpreti, menziona un “decreto di YHWH”, il cui contenuto
richiama l’oracolo di Natan: «Tu sei mio figlio. Io oggi ti ho generato» (Sal 2,7; cf. 2Sam 7,14).
Viene così evocata, fin dall’inizio, l’alleanza conclusa da Dio con la casa di Davide. Alla fine
del secondo libro dei salmi, il Sal 72, come ultima delle preghiere di Davide (v. 20), disegna,
per Salomone e i suoi successori (v. 1), il ritratto ideale del re secondo il cuore di Dio. Esso
ricorda il “per sempre” dell’oracolo di Natan (v. 17). Tra questi due salmi, che evocano rispet-
tivamente l’istituzione e la trasmissione della regalità davidica, i Sal 18 e 20–21 mostrano piena
fiducia nella monarchia. Il Sal 18 termina con il ricordo che Dio «mostra benevolenza verso il
suo Unto, verso Davide e la sua discendenza per sempre» (v. 51, nuova evocazione dell’oracolo
di Natan). Il Sal 20 è una preghiera in favore del re: si chiede a Dio di rispondere al re nel giorno
dell’angoscia e di sostenerlo da Sion, cioè dal luogo consacrato (v. 2, cfr. Sal 2,6). Forte della
promessa del Sal 2, il lettore del Salterio non può immaginare che questa preghiera rimanga
senza risposta. E, infatti, il salmista afferma la sua assoluta certezza che la salvezza del re è già
garantita (v. 7: «Ora so che YHWH dà la vittoria al suo Unto»), una salvezza la cui piena realiz-
zazione è gioiosamente celebrata nel Sal 21. Il Re ha chiesto la vita; Dio gli ha dato «lunghi
J.-M. AUWERS: Dai salmi al Salterio [20 gen 2020] 12

giorni in eterno, per sempre» (v. 5), rendendolo in questo modo incrollabile (v. 8); lo ha reso
«una benedizione per sempre» (v. 7, cfr. 2Sam 7,29). Ed è su questo «per sempre», ripetuto
sette volte nell’oracolo di Natan (2Sam 7,13.16bis.24.26.29bis), che termina il libro: «Mi farai
stare alla tua presenza per sempre» (Sal 41,13). A metà strada tra Sal 2 e Sal 89, il Sal 45, in
risposta all’elegia nazionale qual è il Sal 44, celebra anch’esso un re «benedetto per sempre»
(v. 3), il cui trono sarà mantenuto «nei secoli per sempre» perché di origine divina (v. 7). La
continuità della dinastia reale sarà assicurata: al posto dei padri verranno i figli che Dio stabilirà
come principi su tutta la terra (v. 17).
Il tono muta completamente alla fine del libro III. Il Sal 84,9-10 prepara direttamente il Sal
89. Questo re, al quale Dio ha dato un’unzione di letizia, preferendolo a tutti (Sal 45,8), si trova
in una situazione critica, e il Dio degli eserciti è pregato di guardare il volto del suo Unto (Sal
84,10). Il Sal 89 prende atto del fallimento dell’istituzione monarchica. Ricorda con insistenza
le promesse divine a Davide e alla sua casa, promesse che vengono contraddette dal crollo della
monarchia. Che ne è stato del patto inviolabile (cfr. vv. 35 e 40)? Che ne è stato del trono
stabilito «come i tempi del cielo» (v. 30)? I vv. 37-38 ribadiscono che la permanenza della
dinastia davidica è commisurata all’immutabilità del sole e della luna. Questo articolo di fede
rende ancora più scandaloso il triste stato in cui è caduta la monarchia. Il salmista mostra la sua
indignazione nell’ultima parte del salmo, opponendo quasi sistematicamente a ogni promessa
divina la realtà davanti ai suoi occhi. Dio si era impegnato a non rigettare, ma ha rigettato,
venendo così meno alla sua stessa parola.
Il quarto libro del Salterio fornisce una risposta alle proteste di Sal 89, e questo fin dal primo
salmo della serie. Il Sal 90 è, come il precedente, un grido di indignazione di fronte al “furore”
di YHWH e ripropone la domanda sulla permanenza del ‫חסד‬divino. Però, dando la parola a
Mosè, il Sal 90 fa un passo indietro, il che gli permette di concentrarsi su un passato più lontano
dell’epoca reale. Mosè, l’“uomo di Dio” (v. 1), è così chiamato a testimoniare la fedeltà divina:
Dio, che è stato un rifugio in passato, molto prima che esistesse la monarchia, lo sarà ancora
oggi, ora che la monarchia non esiste più. La voce, che nel Sal 89 si interroga sul futuro dell’al-
leanza con Davide, viene così riportata al passato pre-monarchico di Israele e alle prime al-
leanze (Sal 103,18; 105,8.10; 106,45). Il Sal 105 menziona anch’esso gli unti che Dio non per-
mette che siano oppressi (vv. 14-15), ma qui il termine si riferisce ai patriarchi. Mosè conosceva
un solo re per il suo popolo: YHWH. Ed è proprio la regalità divina che celebrano i Sal 93; 95–
100, annunciando la sua piena manifestazione. In questa prospettiva, sono i salmi del Regno di
YHWH che, come risposta alla domanda sul futuro delle promesse fatte a Davide, costituiscono
il cuore teologico del Salterio, al quale danno un’apertura escatologica: arriva il giorno in cui
tutti i popoli vedranno la gloria del Regno di YHWH (Sal 97,6), gloria che i sovrani della casa di
Davide hanno mancato di far conoscere.
L’ultimo Hallel a sua volta denuncia la vanità del soccorso portato dai principi (Sal 146,3-
4) ed esalta YHWH per il suo regno divino (Sal 146,10). In modo molto caratteristico, il Sal 149,
pur riprendendo in un’ampia inclusione il vocabolario e i temi del Sal 2, conosce come re solo
YHWH (v. 2):
Gioisca Israele nel suo creatore,
esultino nel loro re i figli di Sion!
Dal punto di vista di G.H. Wilson, il Salterio è costruito per rispondere alla domanda della
fedeltà di Dio alla sua stessa parola, e più precisamente agli impegni che Egli ha preso con
Davide, impegni che sono smentiti dai fatti. C’è un “trama” (se si può usare questa parola) che
si sviluppa intorno alla domanda di Sal 89,50: «Dov’è, Signore, il tuo amore di un tempo, che
per la tua fedeltà hai giurato a Davide?».
J.-M. AUWERS: Dai salmi al Salterio [20 gen 2020] 13

Reazioni e controproposte
A G. H. Wilson è stato obiettato che l’ultimo terzo del Salterio contiene ancora salmi regali,
il che sembra indicare che il Salterio non considera estinta l’istituzione monarchica. Abbiamo
visto che E. Zenger spiega questa tensione tra i salmi del Regno di YHWH e i salmi regali che
seguono collocando il quarto e il quinto libro in due diversi livelli redazionali (ma bisogna
spiegare la presenza del Sal 101, che è stato definito lo “specchio dei principi”, nel Libro IV).
Da parte mia, sono rimasto particolarmente colpito dalla rilettura dell’oracolo di Natan
nell’ultimo libro del Salterio (Auwers, 2010, pp. 83-85). Il Sal 132 riprende questo oracolo, ma
con una modifica importante: mentre in 2Sam 7 l’alleanza davidica è presentata come un’assi-
curazione liberamente concessa da YHWH senza alcuna clausola restrittiva, non è lo stesso qui,
dove la fedeltà dei discendenti di Davide al patto divino è una condizione necessaria per il
mantenimento della regalità nella stirpe. Mentre il Sal 89 prometteva che YHWH non avrebbe
ritirato la sua fedeltà ai discendenti di Davide, anche se costretto a punirli per i loro peccati (vv.
31-34), il Sal 132 pone una condizione per il mantenimento della regalità nella dinastia: i di-
scendenti di David devono rimanere fedeli all’alleanza divina (v. 12). Se, quindi, la monarchia
davidica un giorno scomparirà da Israele, se ne conoscerà la ragione: è perché i discendenti di
Davide non saranno stati fedeli all’alleanza – e la storiografia deuteronomistica e quella suc-
cessiva è lì a dimostrare che non lo sono stati. Pertanto, è lecito vedere qui un vaticinium ex
eventu che spiega la scomparsa della monarchia.
Il Sal 84 supplicava Dio di «guardare il volto del suo Unto» (v. 10). Sal 132 ripete questa
stessa richiesta “per amore di Davide”, associandola a una richiesta per i ‫ כהנים‬e i‫ חסדים‬: «I tuoi
sacerdoti si rivestano di giustizia, gridino di gioia i tuoi fedeli!» (v. 9). Allo stesso modo, alla
sua promessa di «far germogliare un corno per Davide», Dio aggiunge un’altra promessa: mol-
tiplicare il raccolto, saziare di pane i bisognosi, vestire di salvezza i sacerdoti e far esultare di
gioia i fedeli (v. 15-16). Tutto avviene come se gli impegni divini fossero divisi tra, da un lato,
una promessa condizionata alla discendenza di Davide e, dall’altro, una promessa al popolo,
qui presentato come composto da sacerdoti e fedeli. Se l’atteggiamento dei successori di Davide
giustifica il fatto che Dio non ha mantenuto i suoi impegni nei loro confronti, egli può almeno
mantenere la sua promessa appagando il popolo e i suoi sacerdoti, che prendono il posto della
casa di Davide nel favore di Dio. Associare il popolo e il sacerdozio a una monarchia scomparsa
significa sostituire la monarchia con il popolo e il sacerdozio.
Il Sal 132 evoca il “corno” (‫ )קרן‬che Dio promette di far germogliare per Davide. Alla fine
del Salterio, il Sal 148 afferma che l’unico “corno” che YHWH fa innalzare è quello del suo
popolo (Sal 148,14):
Ha innalzato il corno (‫ )קרן‬del suo popolo:
egli è la lode per tutti i suoi fedeli,
per i figli di Israele, popolo a lui vicino.
Nel Sal 149, l’“assemblea dei fedeli” ha preso il posto del re come beneficiario e strumento
dell’intervento divino; la gloria dei ‫חסדים‬ha sostituito quella dell’Unto di YHWH, e, in questa
prospettiva, la “casa di Davide” è stata allargata alle dimensioni dell’Israele fedele al suo Signore.
In ogni caso, la comunità dei fedeli a cui il Salterio è destinato sa di essere erede delle pro-
messe fatte a Davide. Il Sal 144 lo dimostra chiaramente: la prima parte del Salmo (vv. 1-11) è
la preghiera di un re, che dichiara: «Benedetto sia YHWH, mia roccia... che sottomette a me i
popoli... tu che salvi Davide tuo servo», vv. 1,2,10). Questa preghiera del re (Davide, secondo
il titolo) continua nella preghiera del popolo per l’abbondanza e la prosperità (vv. 12-15: «I
nostri figli siano come piante, cresciute bene fin dalla loro giovinezza... Benedetto il popolo
che ha YHWH come Dio»). È possibile che il Sal 144 sia il risultato della fusione di due testi
J.-M. AUWERS: Dai salmi al Salterio [20 gen 2020] 14

originariamente indipendenti. In ogni caso, nella sua forma attuale, il poema suggerisce che la
comunità israelita è come la voce continuativa di Davide e che essa può chiedere per se stessa
un’estensione dei benefici una volta concessi a Davide e ai suoi successori. Ciò che una volta
era concesso a Davide e alla sua discendenza, ora è concesso a tutto il popolo, che trae beneficio
del patto che YHWH aveva concluso con il suo eletto. La riabilitazione della discendenza di
Davide nell’ultimo terzo del Salterio «corrisponde a una sostituzione con l’identificazione della
preghiera del salmista con quella di Davide» (Gosse, 2015, pp. 140-146).
Inoltre, quando Israele ripete i salmi, lo fa in persona David, e YHWH riconosce la voce del figlio
di Iesse attraverso la voce dei fedeli. La linfa dell’albero di Iesse continua a scorrere nelle loro vene.

III. Il Salterio: a che scopo?


Tradizionalmente il Salterio è presentato come il libro di preghiere del secondo Tempio. Poi-
ché i salmi erano cantati nel Tempio di Gerusalemme (1Cr 16,4-43; 25), si è tratta la conclusione
che il Salterio era il suo innario. E S. Gillingham (2005; 2010) non immagina altro contesto edi-
toriale per il Salterio se non i circoli levitici. È vero che alcune intere serie di salmi sono attribuite
ai leviti: dodici salmi sono attribuiti ad Asaf, undici ai figli di Core, ai quali bisogna aggiungere
tre salmi messi in relazione con Iedutùn (Sal 39; 62; 77), un salmo collegato a Eman (Sal 88), un
altro a Etan (Sal 89), personaggi che erano cantori leviti del tempio preesilico. Alcuni titoli di
salmi contengono indicazioni che riguardano l’uso liturgico: «per la dedicazione della Casa» (Sal
30,1), «per fare memoria» (Sal 38,1; 70,1), ecc. Molti versetti di salmi si riferiscono ad alcune
pratiche liturgiche: si parla di entrare nel tempio con la prosternazione (Sal 5,8), del soggiorno
sul monte santo (Sal 15,1), delle offerte e degli olocausti (Sal 20,4), della lode nella grande as-
semblea (Sal 22,6), del pellegrinaggio a Gerusalemme (Sal 122), ecc. È innegabile che gli am-
bienti levitici che gravitavano intorno al Tempio abbiano avuto un ruolo considerevole nella com-
posizione dei salmi, e non solo per i salmi delle collezioni levitiche.
Tuttavia, i salmi si presentano oggi per essere letti nell’ambito di un libro. Il Sitz im Kult è
stato sostituito da un Sitz in der Literatur (questa dichiarazione non è accettata da Willgren, 2016).
Facciamo un esempio. Dopo H. Gunkel, molti esegeti interpretano il Sal 15 come un rituale di
ammissione al Tempio: si chiama “liturgia della porta” o “Torah d’ingresso”, a seconda che l’ac-
cento sia posto sul luogo presunto della cerimonia o sui requisiti imposti a chi voleva entrare nel
luogo sacro. In risposta alla domanda dei fedeli che chiedevano quali fossero le condizioni di
accesso (v. 1), un sacerdote o un levita, guardiano della porta, elencava queste condizioni. Anche
supponendo che il Salmo 15 abbia effettivamente funzionato in questo modo (cosa che molti
esegeti negano), il salmo ha un’altra funzione nella raccolta. Non dà più accesso al Tempio; fa
entrare il lettore nella serie dei salmi che seguono. Letto nel contesto del Salterio, il Sal 15 ha una
funzione diversa da quella che avrebbe se fosse ricollocato in un Sitz im Leben cultuale.
Allo stesso modo, il Sal 135, il cui incipit («... lodate, voi servi di YHWH, che state nella Casa
di YHWH...») ricalca molto da vicino l’ultimo salmo del Libro delle Salite (Sal 134:1: («...lodate,
voi servi di YHWH, che state nella Casa di YHWH...»), ha forse lo scopo di suggerire ai salmi
graduali che precedono un punto di applicazione diverso dalle feste di pellegrinaggio: mentre
il Sal 134 termina con una formula di benedizione in nome di YHWH – benedizione che spettava
ai sacerdoti pronunciare –, la dossologia del Sal 135 è un’acclamazione che non ha nulla di
specificamente sacerdotale: «Benedetto sia YHWH, da Sion, egli che abita in Gerusalemme». I
“servi di YHWH” che, nel Sal 134,1, possono essere solo i leviti «che stanno nella casa di YHWH
durante la notte», qui designano chiaramente tutto il popolo (cfr. 135,14: «YHWH fa giustizia al
suo popolo, e dei suoi servi ha compassione»).
Il Tempio ha certamente avuto un suo innario, ma veramente i leviti cantavano nel Tempio
espressioni come: «Tu non gradisci il sacrificio; se offro olocausti, tu non li accetti»? (Sal 51,18;
J.-M. AUWERS: Dai salmi al Salterio [20 gen 2020] 15

cfr. Sal 40,7; 50,9-13)? È possibile che il personale del Tempio segasse il ramo su cui era se-
duto? I Sal 1 e 119 facevano parte del repertorio dei leviti? Possiamo dubitarlo. È verosimile
che, sebbene alcuni salmi siano stati cantati nel Tempio di Gerusalemme, il Salterio canonico
non sia stato l’innario del Tempio.
Del resto, diversi autori ritengono che l’esilio sia stato un momento favorevole per la raccolta
di collezioni di salmi. M. Millard (1994), Chr. Rösel (1999) e M. Rose (2009) situano addirit-
tura nel periodo dell’esilio la prima tappa che porta alla redazione del Salterio canonico.
Nell’ipotesi di M. Millard, il Salterio elohista è nato a Babilonia come sostituto (Ersatz) del
culto divenuto ormai impossibile. Dopo il ritorno dall’esilio, il Salterio potrebbe aver conti-
nuato a mantenere il legame tra la Diaspora e Gerusalemme come cuore della vita religiosa
israelita. Ogni utente del Salterio, ovunque si trovasse, poteva sentirsi in comunione con la
comunità che celebrava nel Tempio. La lontananza impediva agli ebrei della diaspora di parte-
cipare alle cerimonie del Tempio, ma essi avevano a disposizione il libro dei salmi e, attraverso
alcuni componimenti della raccolta, potevano sentire le voci dei leviti che officiavano nella
Casa di YHWH. Il fatto che il Salterio abbia fornito il collegamento tra la Diaspora e il Tempio
non ha impedito che esso diventasse uno degli “Scritti” della raccolta di libri sacri.
È chiaro che tutto il processo di elaborazione del Salterio di cui abbiamo parlato ha portato
alla creazione del sèfèr tehillîm. L’architettura che gli editori hanno dato al Salterio è infatti
quella di un libro e applica tecniche tipiche degli scribi (come il procedimento alfabetico). Il
lavoro di collegare tutti i salmi uno ad uno per mezzo di parole-gancio (concatenatio) avrebbe
poco senso se il Salterio fosse stato niente di più che una raccolta liturgica. Invece, questa ri-
cerca letteraria è molto più comprensibile se gli editori avessero voluto incoraggiare e facilitare
la lettura continua e la memorizzazione del libro. Inoltre, il Salterio non mette in risalto la feli-
cità dell’uomo che partecipa alla liturgia del Tempio, ma quella dell’uomo giusto che medita la
Torah giorno e notte (Sal 1,2). Anche se l’uno non esclude l’altro, l’accento non è posto sulla
partecipazione al culto. Il Salterio include certamente composizioni che erano cantate nel Tem-
pio, ma le colloca in un contesto che non è più liturgico.
È ragionevole collocare l’edizione del Salterio nell’ambiente degli scribi. Gli scribi di Ge-
rusalemme, che vivevano all’ombra del Tempio, erano nella posizione giusta per costituire,
attingendo in particolare ai tesori della liturgia del Tempio, un libro destinato a entrare nel no-
vero di quelli che si costituivano in un corpus sulla scia della Torah e dei Profeti e formavano
la “biblioteca” nella quale si riconoscevano le comunità ebraiche. È all’ambiente degli scribi
che va attribuita l’edizione del Salterio, piuttosto che ai leviti stessi, che non avevano tra le loro
competenze quella dell’edizione e della trasmissione dei Libri Sacri
La mia tesi è quindi che i successivi editori del Salterio abbiano voluto configurarlo come
un libro tra quelli che noi chiamiamo la Bibbia. Ne trovo conferma, a livello dell’ultima fase
della redazione del Salterio, nel fatto che Sal 1,2-3 ricalca abbastanza da vicino il prologo di
Giosuè (1,7-8), il cui scopo è quello di collegare l’opera di Giosuè e il libro che porta il suo
nome all’opera e al libro di Mosè (almeno al Deuteronomio).
Gs 1,7-8 Sal 1,2-3
Sii forte e molto coraggioso, per osservare e mettere in pra- (Beato l’uomo…) che medita la
tica tutta la legge che ti ha prescritto Mosè, mio servo. Non de- legge di YHWH giorno e notte,
viare da essa né a destra né a sinistra, e così avrai successo in e in tutto quello che fa, riuscirà
ogni tua impresa. Non si allontani dalla tua bocca il libro di que- ( ַ‫)יַצְ לִ יח‬.
sta legge, ma meditalo giorno e notte, per osservare e mettere in
pratica tutto quanto vi è scritto; così riuscirai ( ַ‫ )תַּ צְ לִ יח‬nel tuo
cammino e avrai successo.
J.-M. AUWERS: Dai salmi al Salterio [20 gen 2020] 16

Nelle parole del prologo, la storia di Giosuè mostra come la fedeltà alla Legge viene premiata
e l’infedeltà viene punita. Il Sal 1 adempie una funzione simile per quanto riguarda il Salterio
(Willgren, 2018, è di parere opposto): presenta la raccolta come una “meditazione” sulla Torah
(v. 2); più precisamente, ci invita a vedere nei salmi un’illustrazione della tesi che si vuole
evidenziare: la Torah è un cammino fecondo e vivificante. È significativo che, per mettere in
relazione il libro dei Salmi con la Torah, il Sal 1 riprenda i termini stessi del prologo di Giosuè,
presenta cioè il rapporto del Salterio con la Legge mosaica come quello tra i Profeti anteriori e
il Pentateuco. In questo modo, il redattore non solo avvia una lettura dei salmi fatta nella pro-
spettiva della Torah, ma rivendica anche per il Salterio un posto tra i libri che si costituivano
come corpus nel prolungamento della Torah.

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