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Il Sal 137 qui e ora: la «storia della ricezione»

come modo di vedere e di ascoltare i salmi

Susan GILLINGHAM
(Università di Oxford)

Stamane vorrei offrirvi due nuovi approfondimenti sul modo con cui possiamo accostarci ai
salmi, e lo farò ricorrendo a un metodo relativamente nuovo negli studi biblici, chiamato «storia
della ricezione». Prima però lasciate che vi spieghi che cosa è la storia della ricezione.
In primo luogo, per quanto riguarda i testi biblici, questo approccio parte dalla storia della rice-
zione e si interessa della composizione di un testo biblico nel contesto della sua storia antica, e
attraversando i molti differenti contesti della successiva storia culturale – dai primi secoli della
Chiesa antica e della prima tradizione rabbinica, ai secoli successivi come il medioevo e il rinasci-
mento – giunge fino al giorno d’oggi. La storia della ricezione si pone quindi come una prospettiva
cronologica e diacronica, in quanto si interessa di tutti i contesti culturali, ebraici e cristiani, nei
quali i testi sono stati recepiti.
In secondo luogo, questo approccio si interessa anche della storia della ricezione. Prende infatti
in considerazione l’impatto e l’influsso che un testo biblico ha avuto nel corso della sua storia, nella
chiara consapevolezza che i lettori apportano a un testo nuovi significati negli ambienti culturali
successivi. Talora una nuova lettura si limiterà semplicemente a confermare una interpretazione
più antica. A volte invece una lettura appare effettivamente «nuova», benché resistano le interpre-
tazioni precedenti. La storia della ricezione quindi si presenta come una prospettiva sincronica, in
quanto si interessa ai lettori e ai contesti storici del testo. Per quanto riguarda i Salmi, i nuovi
significati non si trovano solo nelle parole in quanto tali, ma anche negli «effetti [performance]»
del testo: le miniature nei manoscritti, la musica cristiana ed ebraica, l’esperienza dell’uso liturgico.
È questo ciò che si intende per storia della ricezione del testo in riferimento al suo «impatto» – e
che i tedeschi chiamano Wirkungsgeschichte.
Questo per quanto riguarda il metodo con cui leggere i testi. Ora invece devo parlare dei due
nuovi approfondimenti a cui ho accennato all’inizio. Il primo si rierisce alla natura performativa
del testo. Questo approfondimento riguarda l’importanza non solo di interpretare un salmo, ma
anche di «vederlo» e «ascoltarlo» con l’aiuto della nostra immaginazione critica. Fin dall’inizio, le
parole dei salmi sarebbero state spesso accompagnate da riti e rappresentazioni drammatiche, e
quindi sarebbero state più da vedere, nel tempio di Gerusalemme o altrove; e sarebbero state piut-
tosto cantate in musica, e quindi più da ascoltare. Adesso ci troviamo con un’eredità di circa ven-
ticinque secoli di visione e di ascolto continui dei salmi. Oggi possiamo vedere i salmi in molte
forme artistiche differenti: un manoscritto miniato, una vetrata istoriata o un’acquaforte su legno,
un dipinto su tela, nei mosaici e negli arazzi. E attualmente possiamo ascoltare un salmo nelle
diverse interpretazioni musicali che ne sono state date: il canto gregoriano, i mottetti latini, i salmi
metrici, il canto melismatico ebraico, i libretti operistici e la musica popolare: reggae, hip-hop
oppure quella country e western. L’approccio della storia della ricezione ai salmi è molto più inte-
ressato a comprendere i salmi al di là della semplice prospettiva della traduzione, dell’analisi del
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come modo di vedere e di ascoltare i salmi [22 gen 2020] 2

testo e del commento esegetico. In questa conferenza cercherò pertanto di dare una nuova vitalità
a questi elementi visivi e uditivi delle parole dei salmi.
Il secondo approfondimento consiste nel farvi cogliere i differenti modi in cui gli ebrei e i cri-
stiani interpretano i salmi, specialmente dal punto di vista dell’ascolto e della vista. Il mio intento
è quello di mostrarvi le tante differenze tra l’interpretazione ebraica e quella cristiana della salmo-
dia, ma vorrei anche illustrare alcune modalità più recenti, con le quali negli ultimi settant’anni gli
ebrei e i cristiani hanno dimostrato una maggiore comprensione empatica tra loro.
Alcuni salmi sono più adatti di altri a mostrare questi approfondimenti. Per questa conferenza
ho dunque scelto di focalizzarmi sul salmo 137. Si tratta forse del migliore esempio possibile,
perché questo salmo è stata fonte di ispirazione per tantissima ricezione ebraica e cristiana, sia
nell’aspetto artistico che in quello musicale. Anche se l’attuale testo del Sal 137 è uno stimolo sia
per l’occhio che per l’orecchio, questo salmo è ideale per unire l’analisi testuale all’approccio vi-
sivo e uditivo.
Prendiamo in considerazione prima di tutto il testo di questo salmo, per osservarlo nel suo com-
plesso, senza limitarci solo alle parti che preferiamo. I vv. 1-4 sono dominati dalle forme della
prima persona comune plurale – «sedevamo» (Wnb.v;y))" , «piangevamo» (WnykiB'), «ricordandoci (= ci
ricordammo)» (WnrEkz. "B.), «appendemmo» (WnyliT') «le nostre cetre» (WnyteArNOKi). «Coloro che ci avevano
deportato» (WnybeAv), «i nostri oppressori» (Wnylel'At), che chiedevano per rallegrarsi «cantateci» (Wnl'
Wryvi). L’appello (v. 4) è «Come possiamo cantare i canti del Signore?» (ryvin" %yae). Che cosa udiamo
qui? In ebraico udiamo tutta la serie di «nȗ» finali, che foneticamente creano un tono luttuoso tipico
delle forme di lamento, e che ritorna circa nove volte nei primi tre versetti. E che cosa vediamo
qui? Vediamo dei gruppi di esuli con le loro mute cetre che piangono al ricordo di Sion; osserviamo
i loro riti funebri interrotti dallo scherno di derisione dei loro deportatori babilonesi, i quali vo-
gliono essere rallegrati da un canto di Sion – un canto che è impossibile cantare in una terra stra-
niera, e che rende ancora più umiliante la degradazione degli esuli.
I vv. 5-6 formano la seconda parte del salmo, dove prevale la prima persona singolare: si tratta
di un’automaledizione che si rivolge non a Dio, ma alla città di Gerusalemme, promettendole as-
soluta lealtà e devozione: «Se mi dimentico di te (%xeK'v.a,-~ai), Gerusalemme, si dimentichi di me
la mia destra (ynIymiy> xK;vTi)»1; «mi si attacchi la lingua (lett. “si attacchi la mia lingua”: yKixil.) al
palato (lett. “alla mia bocca”: ynIAvl.) se lascio cadere il tuo ricordo (lett. “se non mi ricordo di te”:
(ykirEK.z>a, al-{~ai)», «se non innalzo (hl,[]a; al-{~ai) Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia (ytix'm.fi
varo l[;)». E che cosa udiamo adesso? Non più un suono di pianto e di scherno, ma quello di una
pacata automaledizione: in ebraico, come era stato il suono «nȗ» a segnare i primi versetti, adesso
dominano le rime basate sul suono «ȋ», che evocano un’amara nostalgia. E che cosa vediamo nella
nostra immaginazione? Qui vediamo un individuo – probabilmente un cantore levita, con il com-
pito particolare di cantare gli inni di Sion – il quale promette di non dare mai per scontato il privi-
legio di cantare e celebrare a Gerusalemme. Non è chiaro se costui si trovi ancora a Babilonia, o se
stia tornando nello Yehud dove si potrebbe tornare a cantare i canti di Sion, sia pure con il ricordo
della prigionia che è ancora tanto forte. Molto dipende da come si interpreta il termine «là» (~v')
nei versetti 1 e 32.

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1
Si noti il gioco di parole sulla √ xkv che è utilizzata due volte, la seconda volta probabilmente con l’altro suo
significato: «inaridirsi» [così BCEI].
2
L’avverbio ~v' può indicare anche un’esperienza attuale: vedi, per esempio, Sal 48,6 e 76,3.
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I versetti 7-9 costituiscono la terza parte di questo salmo. Vi troviamo forme verbali di tipo
ancora differente, in quanto vengono utilizzate soprattutto quelle della terza persona maschile plu-
rale. Si ricordano gli scherni degli Edomiti: «Abbattetela»3, che riecheggiano le derisioni dei de-
portatori babilonesi del v. 3 («Cantateci canti di Sion»). Che cosa udiamo ora? Sentiamo solo ma-
ledizioni – di cui due sono ricevute e due date – imprecazioni che appaiono caustiche e violente
per il loro desiderio di vendetta, e che stridono con l’evocazione del lutto nella prima parte e con il
tono di riflessione nostalgica della seconda. E che cosa vediamo? Qui l’immaginario è estrema-
mente più violento – una città completamente devastata, tutta una popolazione distrutta, il massacro
per ritorsione della generazione futura.
In realtà, tutte e tre le sezioni – la prima incentrata sul «noi», la seconda sull’«io», la terza
sull’«essi» – contengono elementi di scherno o di maledizione. Alle derisioni dei Babilonesi nella
prima parte corrispondono gli scherni degli Edomiti nella terza parte; e l’automaledizione nella
seconda parte anticipa la maledizione su Babilonia nella terza. Babilonia, la «città della confu-
sione», struttura dunque tutto il salmo. Ciascuna parte del salmo dipende dall’altra: è il canto della
lotta partigiana per la libertà e la giustizia, anche se le maledizioni divengono particolarmente cau-
stiche quando sono rivolte contro le nazioni di Edom e di Babilonia.
L’unità del tutto è ulteriormente mostrata dalla ricorrenza del termine «ricordare» (√ rkz) che
caratterizza tutte e tre le parti: Il ricordo di Sion (!AYci-ta, WnrEk.z"B.) nel v. 1; il ricordo di Gerusalemme
(ykirEK.za> , al{-~ai) nel v. 6; e la promessa di ricordare Dio (hw"hy> rkoz>) nel v. 7. Come ha detto Erich
Zenger, questo salmo è una riflessione sulla profonda impotenza umana, un complesso unitario,
dove, tappa dopo tappa, in fondo tutto viene affidato alla giustizia di Dio4.
Ecco dunque il nostro testo. È giusto osservare le «radici» di un testo prima di spingerci oltre
per osservarne il tronco, le branche e le foglie. Ma qual è allora la sua storia della ricezione più
recente?
Questo salmo è stato letto sia dagli ebrei che dai cristiani riferendolo alla vita, sia pure ciascuno
con un’enfasi molto diversa. La focalizzazione ebraica è più materiale, terrena e incentrata sulla
comunità, e considera l’intero salmo come un dramma poetico completo – una specie di «metanar-
rativa», dove tutta la comunità, passata e presente, può incentrare la propria fede e la propria iden-
tità su Gerusalemme5. La focalizzazione dei primi cristiani appare invece più allegorica, spirituale
e incentrata sulla persona, meno interessata a una «metanarrativa», ma tesa alla ricerca di un’inter-
pretazione spirituale e cristocentrica del singolo versetto, o anche delle singole frasi di alcuni ver-
setti scelti. Tuttavia, come vedremo brevemente, anche la lettura cristiana del XVI secolo conosce
un’interpretazione più fisica e materiale. Così, prima di ritornare all’impatto visivo e musicale di
questo salmo, vogliamo esaminare le differenze esistenti tra l’esegesi ebraica e l’esegesi cristiana
del Sal 137.
La prima ricezione del Sal 137 si trova nel periodo postesilico, quando una concezione popolare
ha identificato il salmista con Geremia, il «profeta piangente»: alcune versioni greche aggiungono
——————
3
Forse meglio in questo contesto personalizzato: «Spogliatela!» [così BCEI] (l’imperativo Piel Wr[' esprime un
grande sforzo).
4
Vedi E. ZENGER, Ein Gott der Rache? Feindpsalmen Verstehen. Biblische Bücher 1 (Freiburg 1994) [trad. ing.
L. M. MALANCY, A God of Vengeance: Understanding the Psalms of Divine Wrath (Louisville 1996) 47-50; trad. it.
Salmi: preghiera e poesia. 4: Dio di vendetta? I salmi contro il nemico (Torino 2018) 103s.].
5
Vedi per es. A. BERLIN, “Psalms and the Literature of the Exile: Psalms 137, 44, 69, and 78”, The Book of Psalms.
Composition and Reception (edd. P. W. FLINT – P. D. MILLER) (Leiden 2005) 66-85.
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addirittura il titolo tw/| Ieremia. Così la prima «metanarrativa» ebraica è costituita dalla storia di
Geremia.
Il primo riscontro di una «metanarrativa» esplicita si trova negli scritti rabbinici successivi.
Anch’essi si soffermano sulle sofferenze del popolo in quel primo esilio a Babilonia. L’uso del
«là» nei vv. 1 e 3 per mettere in evidenza il fatto che agli Ebrei non era permesso di fermarsi a
riposare prima di arrivare a Babilonia6; il riferimento al pianto presso (l[;) le acque di Babilonia
(v. 1) è a causa (l[;) del popolo e dei suoi figli che in effetti vengono avvelenati presso le acque del
fiume Eufrate7; l’uso dell’«anche [BCEI: “sedevamo e piangevamo”]» (~G:) del v. 1 indica che la
sofferenza era così grande che anche Dio piangeva con loro8; le arpe appese agli alberi diventano
un atto di sfida, ossia rappresentano il rifiuto di accontentare la richiesta dei deportatori per evitare
la contaminazione dei deportati in terra straniera9.
Tra il 70 d.C. e il 135 d.C. inizia a emergere una seconda «metanarrativa». Ci troviamo ora nel
contesto della seconda caduta di Gerusalemme e delle guerre contro i Romani tra il 132 e il 135, e
questo salmo è visto come una profezia di Davide sulle sofferenze future degli Ebrei. Il salmo 137,
infatti, non solo prevede la caduta di Gerusalemme e l’esilio a Babilonia di cui si parla nella prima
parte, ma anche la caduta di Gerusalemme nel 70 d.C. fino alla diaspora finale del 135 d.C. di cui
si parla nella seconda parte. Ora, dunque, sia Babilonia che Edom sono sinonimi di Roma – una
visione nata dalla credenza che Tito e l’Impero romano fossero di origine edomita10.
Un altro strato interpretativo può essere individuato al tempo del completamento di un parafrasi
in aramaico, intitolata Targum dei Salmi risalente al VI secolo d.C. circa. Questa opera legge la
metanarrativa partendo dalla sofferenza degli Ebrei sulla terra, ma termina con la loro vendetta in
cielo. Così ora le maledizioni dei vv. 7 e 8-9 sono pronunciate da «Michele, principe di Gerusa-
lemme» (rkdya ~lvwryd hbr lakym rma) e da «Gabriele, principe di Sion» (!wycd hbr layrbg
rma). Il grido finale di vendetta viene così portato a livello soprannaturale e smette quindi di essere
una maledizione del nemico ispirata dai più elementari istinti umani.
Un’ulteriore metanarrativa appare nel contesto delle controversie medioevali tra ebrei e cri-
stiani, che furono ovviamente alimentate dalle crociate. Il migliore esempio di questa metanarrativa
è il commentario di rabbi Kimchi su questo salmo, completato nel XIII secolo. Qui gli ultimi tre
versetti appaiono divisi: i vv. 8-9 si riferiscono alla vendetta divina su quelli che hanno determinato
la distruzione del primo tempio, i Babilonesi, mentre il v. 7 si riferisce a «Edom», il nemico che ha
causato la distruzione del secondo tempo, «perchè fu determinata da Tito, il quale apparteneva
all’Impero romano, di origine edomita»11. Il grido di vendetta del v. 7 è quindi profeticamente
rivolto non solo contro gli Edomiti di quell’epoca, e non solo contro i Romani, ma implicitamente
contro tutti i persecutori gentili degli Ebrei – ossia anche contro quelli che li perseguitavano nel
medioevo.
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6
Ne parlano anche Midrash Tehillim 137,1 e Pesiqta Rabbati 130b. Vedi J. KUGEL, “Psalm 137”, In Potiphar’s
House. The Interpretive Life of Biblical Times (Cambridge MA 1990) 180-182, il quale mostra che Lam 4,19 e 5,5
venivano interpretati come dei midrashim di questo versetto.
7
Vedi Midrash Tehillim 137,1 e Pesiqta Rabbati 135a a cui fa riferimento KUGEL, “Psalm 137” 183.
8
Vedi Midrash Tehillim 137,1 e Pesiqta Rabbati 131b a cui fa riferimento KUGEL, “Psalm 137” 181-184.
9
Vedi Midrash Tehillim 137,3 e Pesiqta Rabbati 144a e 144b a cui fa riferimento KUGEL, “Psalm 137” 185-189 e
nota 35.
10
C’è un chiaro riferimento a questo nel Talmud babilonese, Gittin 57b. Vedi KUGEL, “Psalm 137” 174-175.
11
Vedi J. BAKER –E. W. NICHOLSON, Commentary of Rabbi David Kimhi on Psalms CXX-CL. University of Cam-
bridge Oriental Publications 22 (Cambridge 1973) 79-83.
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Purtroppo il tempo a nostra disposizione oggi non ci consente di esaminare dettagliatamente


tutto il corso dell’interpretazione ebraica di questo salmo fino a oggi. Tuttavia, questa metanarra-
tiva è stata riletta circa tre secoli dopo dagli Ebrei che cercavano di integrarsi dopo la loro espul-
sione da molti dei paesi di quella che attualmente chiamiamo Europa. Un’altra metanarrativa tra-
gica è divenuta importante dopo l’Olocausto e la formazione dello Stato di Israele. Illustreremo
brevemente in seguito come questo sia stato comunicato nelle rappresentazioni artistiche e musicali
e negli scritti.
Ora però occupiamoci dell’altra esegesi di questo salmo, quella cristiana, che appare molto di-
versa nello stesso periodo di tempo. San Girolamo, seguito poi da Beda il Venerabile, inizia il suo
commento del Sal 137 con una prefazione, in cui afferma che esistono tre modi di intenderlo: come
esilio degli Ebrei a Babilonia, come espulsione dei peccatori dalla Chiesa, e infine come «quell’esi-
lio superiore, ogni qual volta che lo desideriamo, con il quale una società talora nobile è condotta
in questa valle di lacrime»12. È proprio questo terzo tipo di lettura a essere più comune nella rice-
zione cristiana, almeno fino al medioevo. A tal fine vengono allegorizzate singole frasi e parole
tratte da alcuni versetti particolari.
«Le acque di Babilonia», per esempio, raramente sono intese in senso letterale, e quindi non vi
è un’identificazione reale con la sofferenza del popolo ebraico. L’esilio è in genere preso in senso
spirituale. Così per esempio Cassiodoro vede in Babilonia «la città del diavolo… orgogliosa, flo-
rida, gaudente, inondata dai vizi di questo mondo come da acque potenti»13. Così «le acque di
Babilonia» non sono più delle acque che avvelenano il corpo, ma acque di passione che minacciano
di sommergere l’anima. Rappresentano tutto quello che è estraneo a Dio, il luogo della confusione
in questo mondo, dove «il peccatore decaduto dal paradiso giunge in questa valle di lacrime»14.
Le «cetre» vengono interpretate in molti modi, ma mai in maniera letterale. Per esempio, le cetre
sono una metafora dei piaceri terreni e dei desideri carnali che bisogna bisogna mettere da parte e
che quindi occorre appendere all’albero della croce15. I «deportatori» e gli «oppressori» non sono
più i Babilonesi e i loro successori, i Romani; secondo Agostino essi rappresentano «il diavolo e
tutti i suoi servitori, che ci hanno procurato le ferite del peccato». Ma ciò è in vista di un processo
di purificazione, che prepara alla vita nella Gerusalemme celeste.
Gerusalemme non rappresenta mai la città reale e Sion non è mai il luogo del tempio di quella
città; tuttavia, sorprendentemente, quasi mai rappresenta la Chiesa reale sulla terra. Piuttosto è in-
tesa come la Città santa e celeste, in netta contrapposizione a Babilonia, la città terrena e il luogo
di ogni confusione. «Gerusalemme è il vertice della gioia, dove godiamo Dio… là non saremo più
assaliti da alcun tentatore… là non godremo di altro se non del bene: là ogni volontà scomparirà,
là sorgerà su di noi la beatitudine perfetta»16.

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12
In W. L. HOLLADAY, The Psalms through Three Thousand Years (Minneapolis MI 1993) 172 e preso da G.
MORIN (ed.), S. Hieronymi Presbyteri Commentarioli in Psalmos (CChr Series Latina 72; Turnhout 1959) 165-242.
Delle osservazioni identiche di Beda il Venerabile si possono trovare in J. M. NEALE – R. F. LITTLEDALE, A Commen-
tary on the Psalms from Primitive and Medieval Writers, Vol. IV (London 1879) 296.
13
Vedi P. G. WALSH (trad. e commentatore), Cassiodorus: Explanation of the Psalms, vol. III: Psalms 101-150
(Ancient Christian Writers 53; New York 1997) 359.
14
Preso dal trattato di s. Girolamo sul Sal 137, tradotto da HOLLADAY, The Psalms 173.
15
Vedi F. WESSELSCHMIDT, Ancient Commentary on Scripture, Old Testament VIII: Psalms 51-150 (Downers
Grove, IL 2007) 379.
16
Vedi http://www.ccel.org/ccel/schaff/npnf108.iiCXXXVII.html (sul v. 6).
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Mentre i riferimenti ai Babilonesi evocano un’interpretazione spiritualizzata più generica – pec-


cato, passione, confusione, il diavolo e le sue opere – «Edom» assume spesso un significato più
preciso e sinistro. Edom, infatti, è Esaù, il «falso parente» contrapposto a Giacobbe, il vero Israele
che ora è la Chiesa. È questo un tema che ricorre particolarmente nei sermoni sui Salmi di Agostino.
Edom è interpretato in primo luogo come immagine della sinagoga, «la chiesa più vecchia che
attentava la vita di quella più giovane, e ovunque…. si è associata alle persecuzioni dei cristiani
promosse dai governanti pagani». Giustamente, oggi, siamo molto critici verso questa lettura anti-
semitica.
I «figli [BCEI: i piccoli] di Babilonia» sono i pensieri confusi che salgono dall’anima e chi li
domina lo fa sbattendoli contro la stabile e solida potenza della ragione e della verità17. Afferma
Agostino: «Che cosa rappresentano i piccoli di Babilonia? Sono i cattivi desideri quando na-
scono… Quando nasce la concupiscenza, prima che l’abitudine malvagia la rafforzi contro di te,
quando ancora la concupiscenza è piccola, non permetterle di acquistare la forza di abitudine
malvagia; quando è ancora piccola scagliala… scagliala contro la roccia che è Cristo (1 Cor
10,4)»18.
Le differenze tra le due tradizioni nel periodo fino al Medioevo appaiono evidenti: mentre le
intepretazioni ebraiche considerano l’esilio come un’esperienza fisica, quelle cristiane lo interpre-
tano in senso allegorico-spirituale. Talora, comunque, particolari crisi esterne alla Chiesa hanno
portato a un’interpretazione cristiana più vicina a quelle ebraiche.
Durante il periodo della Riforma, la frase «La cattività babilonese della Chiesa» è stata frequen-
temente associata al salmo 137. Il secondo trattato di Lutero contro la dottrina ecclesiale dei sette
sacramenti (1520) fa riferimento al Sal 137 in due occasioni. Babilonia è ora la Chiesa romana, causa
di oppressione e di confusione; l’origine e il destino della vera Chiesa è Gerusalemme, la città celeste.
Il Sal 137 si presta ora a un’interpretazione politica cristiana, anche se lo si fa sempre ricorrendo a
delle interpretazioni allegoriche piuttosto che a una «metanarrativa». Questa interpretazione più ma-
teriale venne continuata da quanti, protestanti e cattolici, erano minacciati di esilio in Inghilterra. La
rilevanza materiale di questo salmo è evidente anche durante la Rivoluzione americana; ricompare
poi nel XX secolo, durante la miseria e l’oppressione della Grande depressione; e la ritroviamo oggi
nei tentativi di unificazione dei rapporti tra ebrei e cristiani, come vedremo tra breve.
Esaminiamo ora le miniature che hanno per oggetto questo salmo, iniziando con una miniatura
cristiana antica. Potrei offrire molti esempi, ma quello che ho scelto risale al nono secolo; è è una
miniatura tratta dal Salterio carolingio di Utrecht, che una volta era conservato nel monastero bene-
dettino di Hautvillers, ma che è stato realizzato da artisti della scuola di Reims. Attualmente tale
manoscritto si trova all’Università di Utrecht (Ms 32), dove il Sal 137 è illustrato al foglio 77r19. La
rappresentazione è particolarmente complessa: gli artisti cristiani hanno scelto sei versetti (1, 2, 3, 6,
7 e 8) allegorizzandoli in una sequenza artistica continua. Purtroppo questa è una delle poche imma-
gini che non appare molto chiara nel Salterio: utilizzo allora la versione adattata del XII secolo del
Salterio di Eadwine, realizzato probabilmente a Christ Church, Canterbury, in Inghilterra20.
——————
17
ORIGENE, Contro Celso, 7.22, citato in WESSELSCHMIDT, Ancient Commentary on Scripture 379.
18
See http://www.ccel.org/ccel/schaff/npnf108.iiCXXXVII.html (sul v. 9).
19
Il sito di Utrecht è http://psalter.library.uu.nl. Questa immagine è stata utilizzata con il permesso della Biblioteca
universitaria di Utrecht.
20
Questo manoscritto è conservato a Cambridge, presso il Trinity College, ms. 17.1. Il Sal 137 si trova sul foglio
243v. Vedi la figura 1 in appendice.
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Per prima cosa, proprio alla base della miniatura, potete riconoscere i «fiumi di Babilonia»
(come nel v. 1) che scorrono rigorosamente allineati, a simbolizzare le «acque della confusione».
Il v. 2 è rappresentato nella parte inferiore destra dell’immagine, dove un gruppo di Babilonesi
chiede un «canto di Sion». Il v. 3 invece è raffigurato al centro della parte inferiore dell’imma-
gine, dove un gruppo di Ebrei desolati siede sulle rive del fiume, con le loro cetre appese agli
alberi. All’angolo superiore sinistro, scendendo attraverso il centro dell’illustrazione e andando
verso l’angolo inferiore sinistro, si trova una rappresentazione di indole particolarmente cristiana
dei vv. 6a e 6b. Notiamo infatti un gruppetto di persone che guardano verso il cielo, da dove
emerge la mano di Dio che si eleva a benedire un altro gruppo, di fronte al quale sembra esserci
un tabernacolo [cioè la tenda del convegno] che rappresenta il tempio di Gerusalemme. Su una
collina accanto al tabernacolo è riprodotta una figura con un’aureola raggiata che rappresenta
Gesù Cristo. Accanto a lui ci sono tre discepoli: tutti questi personaggi indicano le labbra di
Gesù. Nel contesto del salmo, ciò probabilmente vuole far riferimento alla profezia di Cristo sulla
distruzione di Gerusalemme (per es. Mt 23,27; Lc 13,34, 21,20-24 e Gv 2,19-22). Ho già detto
che si tratta di una lettura particolarmente cristiana di questo salmo: proprio come Edom e Babi-
lonia erano cadute, vendicando in tal modo gli Ebrei, a sua volta il sacco di Gerusalemme da
parte di Roma nel 70 d.C. aveva segnato l’inizio del trionfo della fede cristiana. I vv. 7-8 sono
raffigurati nel resto della miniatura: qui possiamo osservare Edom e Babilonia che vengono as-
sediate e distrutte – ossia una profezia che si compie in quel momento – ma alla luce delle pre-
cedenti illustrazioni tali distruzioni divengono un segno premonitore del destino della stessa Ge-
rusalemme e del popolo ebraico insieme a essa. Per tale motivo, implicito nel tessuto
dell’illustrazione c’è un messaggio che non parla tanto della sofferenza della comunità ebraica,
quanto di una fede incentrata sulla persona di Cristo, il quale, dopo la distruzione finale di Geru-
salemme e del suo tempio, rappresenta una nuova fede e una nuova speranza, la quale non appare
più tanto materiale e temporale bensì spirituale ed eterna.
La seconda immagine è presa dal Salterio bizantino del IX secolo, denominato Salterio Chlu-
dov21, il quale testimonia una visione degli Ebrei ancora più estrema riportata dagli artisti, tipica
purtroppo di quei tempi. Qui si possono vedere gli esuli ebrei, seduti sotto degli alberi, dai quali
pendono inutilizzate le loro cetre; anche qui le «acque di Babilonia» scorrono lungo il margine
inferiore; ma la derisione dei soldati in questa immagine si inserisce ora nel contesto delle contro-
versie iconoclastiche tra cristiani ed ebrei nella Costantinopoli del IX secolo, conferendo al salmo
una lettura antisemitica; la nostra sensibilità attuale ci fa constatare con dolore questa insistenza
particolare sull’egemonia cristiana.
La terza immagine che vi propongo è un’immagine ebraica di circa tre secoli dopo. Si tratta
del Salterio di Parma, uno sfarzoso manoscritto in ebraico, prodotto qui in Italia con il patrocinio
degli Ebrei. Risale al 1280 circa e rappresenta un atto di sfida che si situa all’interno di un lungo
periodo di intensa persecuzione successiva al Concilio Lateranense IV (1215), quando i libri
ebraici venivano bruciati e gli Ebrei erano costretti ad abbracciare la fede cristiana. Il Sal 137
quindi, con la sua «metanarrativa» sull’esilio in una terra straniera, assume il valore di un testo
estremamente toccante22.

——————
21
Che attualmente è custodito a Museo di storia di Mosca (manoscritto D 29). Vedi la figura 2 in appendice.
22
Manoscritto Parm. 1870 (Cod. De Rossi 510) della Biblioteca Palatina di Parma. Stampa autorizzata del facsimile
del Salterio di Parma, disponibile al www.facsimile-editions.com. Vedi la figura 3 in appendice.
S. GILLINGHAM: Il Sal 137 qui e ora: la «storia della ricezione»
come modo di vedere e di ascoltare i salmi [22 gen 2020] 8

L’illustrazione qui segue la parola ebraica l[ e precede twrhn. Invece della moltitudine riportata
nell’illustrazione del Salterio di Utrecht, che riprende una sequenza di differenti temi cristiani, tutta
la storia dell’esilio viene ora sintetizzata da due sole figure in pianto, distese accanto all’acqua, una
in lacrime e l’altra che si percuote il petto. A destra, su una grande lettera z, sono appese due cetre.
L’illustrazione e il salmo sono circondati dal commento di Abraham Ibn Ezra, che offre altri ap-
profondimenti sull’impatto narrativo di questo salmo e sulla sua testimonianza della sofferenza del
popolo durante la sua storia, non da ultimo nell’Italia del XIII secolo.
Permettetemi ora di proporvi solo due esempi, relativamente antichi, dei modi con cui i cristiani
e gli ebrei hanno «udito» il Sal 137 attraverso la musica: il primo di questi due esempi, entrambi
cristiani, risalgono alla Riforma inglese e alla Controriforma. Nel XVI secolo, sia i cattolici che i
protestanti si erano diffusi per tutto il continente, e anch’essi sotto diversi monarchi iniziarono a
conoscere le minacce di esilio e di spogliazione materiale e spirituale. Il Sal 137 allora venne usato,
tipicamente, mediante la scelta di particolari versetti, come mezzo di speranza – una speranza non
in Gerusalemme in quanto tale, ma nell’aiuto continuo di Dio che attraverso Gesù Cristo ci mostra
la città celeste. Ho scelto come esempi due mottetti collegati tra loro: uno del cattolico Philippe de
Monte (in quel momento esiliato sul continente), e l’altro di William Byrd, che aveva operato con
il de Monte alla corte di Maria Tudor, negli anni 1554-1555.
Il «Super flumina Babylonis» del de Monte è un mottetto sui primi quattro versetti del salmo e
costituisce un implicito atto di sostegno a favore del Byrd, di inclinazione cattolica, che allora stava
componendo alla corte protestante della regina Elisabetta I. La composizione del de Monte, sulle
parole «Come cantare i canti del Signore in terra straniera?» e i riferimenti all’imposizione di can-
tare un «canto di Sion» apparivano estremamente appropriati a quel momento.
Così il Byrd replicò nel 1584 con una sua composizione «Quomodo cantabimus», utilizzando i
versetti successivi del salmo e riecheggiando il mottetto del de Monte: è u mottetto a otto voci e
comprende un canone inverso a tre voci. Ma l’enfasi maggiore del Byrd è sull’elemento del ricordo:
«Ricorderò» e «Ricorda, Signore»23.
L’appropriazione politica del Sal 137 nel XVI e nel XVII secolo si trova anche nella salmodia
metrica – le parafrasi dei salmi in versi, destinate a essere cantati dai laici – sia in Inghilterra che
in America. I Psalms of David Imitated in the Language of the New Testament di Isaac Watt (1719),
ricchi di annotazioni britanniche dell’epoca, venne pubblicato in America con una coloritura ame-
ricana alla fine del XVIII secolo nelle Chiese Congregazionaliste della Nuova Inghilterra. William
Billings era particolarmente abile nell’utilizzo politico di questo salmo. In quello che leggeremo
ora – un salmo che sarebbe stato cantato dalle Chiese Congregazionaliste – il nemico «Babele» è
costituito dalle forze britanniche durante la Rivoluzione americana del 1776. Questa parafrasi me-
trica venne scritta durante l’occupazione britannica di Boston24:
By the waters of Watertown we sat down and wept For they that held them in bondage requir’d of them
to take up arms against their brethren.
When we remember thee, O Boston… Forbid it, Lord. God forbid!
——————
23
Vedi R. BRAY, “William Byrd’s English Psalms”, Psalms in the Modern World (edd. L. P. AUSTERN – K. B.
MCBRIDE – D. L. ORVIS) (Burlington VT – Farnham Surrey 2011), 61-75. Per un’esecuzione dei mottetti di de
Monte e di Byrd, vedi https://www.youtube.com/watch?v=hJk5HGrSGPg (de Monte) e su
https://www.youtube.com/watch?v=OR1HnDTkEBc (Byrd).
24
Presa da R. A. STACKHOUSE, The Language of the Psalms in Worship: American Revisions of Watt’s Psalter
(London 1997) 83-85.
S. GILLINGHAM: Il Sal 137 qui e ora: la «storia della ricezione»
come modo di vedere e di ascoltare i salmi [22 gen 2020] 9

Forbid it Lord, God forbid! Perché quelli che li opprimevano chiedevano loro
that those who have sucked Bostonian Breasts di prendere le armi contro i loro fratelli.
should thirst for American Blood!... Impediscilo, Signore. Impedisci o Dio!
If I forget thee, if I forget thee, Impediscilo, Signore. Impedisci o Dio!
yea if I do not remember thee, che quanti hanno succhiato dal petto di Boston
let my numbers cease to flow, si dissetino del sangue americano!...
then be my Muse unkind; Se mi dimentico di te, se mi dimentico di te,
then let my tongue forget to move se davvero non mi ricordo di te,
and ever be confin’d… non riesca più a comporre,
Lungo le acque della Città delle acque sedevamo e la mia Musa non mi ispiri più,
piangevamo mi si blocchi la lingua
Ricordandoci di te, o Boston... e si fermi per sempre....

E questa versione è sopravvissuta fino a oggi. Anche se attualmente le allusioni appaiono più
irenetiche, sembra che il «Billings Round» venga ancora cantato nelle Chiese libere del profondo
Sud, come notato nel round reso popolare da Tom Paxton.
Ritorniamo nell’Italia di circa cinquanta anni dopo. Nel 1841, a Milano ebbe luogo la prima
rappresentazione del «Nabucco» di Verdi. In quell’opera si trova uno dei cori più famosi, quello
degli schiavi ebrei, anch’esso basato sul Sal 137 e una interpretazione più materiale che si riferisce
alla situazione politica del tempo di Verdi:
Va, pensiero, sull’ali dorate;
va, ti posa sui clivi, sui colli,
ove olezzano tepide e molli
l’aure dolci del suolo natal!
Del Giordano le rive saluta,
di Sionne le torri atterrate...
Oh mia patria sì bella e perduta!
Oh membranza sì cara e fatal!
Arpa d’or dei fatidici vati,
perché muta dal salice pendi?
Le memorie nel petto raccendi,
ci favella del tempo che fu!
O simile di Sòlima ai fati
traggi un suono di crudo lamento,
o t’ispiri il Signore un concento
che ne infonda al patire virtù.

Esistono solo pochi esempi di composizioni ebraiche antiche di questo salmo. Un’eccezione del
XVII secolo proviene ancora dall’Italia, dalla corte di Mantova, dove era musico di corte Salomone
Rossi. Approfittando dello spirito rinascimentale di maggiore tolleranza verso la cultura ebraica,
Rossi iniziò a comporre e a pubblicare musica ebraica per delle rappresentazioni secolari, basate sulla
musica del ghetto. Il riferimento al contesto del ghetto era dovuto in parte al fatto che a partire dalla
distruzione del secondo tempio nella liturgia sinagogale era stato proibito ogni accompagnamento
S. GILLINGHAM: Il Sal 137 qui e ora: la «storia della ricezione»
come modo di vedere e di ascoltare i salmi [22 gen 2020] 10

musicale dei salmi. Così Rossi iniziò a musicare i salmi per una rappresentazione secolare, ripren-
dendo melodie popolari del ghetto. Nel 1633 fu pubblicata una raccolta di trentatre salmi. Si trattava
di canti melismatici polifonici, con elaborazioni ispirate alle voci nel salmo, e che erano influenzati
sia da Monteverdi e dalla tradizione gregoriana della Chiesa di Mantova sia dalle melodie del ghetto.
Questa volta il coro è a cappella, ed è ricco di accordi dissonanti cantati da voci basse e gravi,
che con la loro tensione creano un senso di desolazione: e non solo per obbedire al bando della
musica strumentale nelle sinagoghe ma anche per alludere alle cetre appese agli alberi. La musica
evoca ciascuno degli stadi della sofferenza del popolo espressa dal salmo: inizia con una progres-
sione cromatica incentrata sulla parola ebraica «piangevamo» e continua con un fluido passaggio
all’unisono sulla parola ebraica «fiumi». Il riferimento alle cetre appese viene ottenuto prima scen-
dendo armonicamente di un semitono, e poi con un inatteso Fa diesis della voce più alta (canto)
alla fine della frase. Rossi si inseriva nell’enfasi (ebraica) sul salmo completo inteso come dramma
poetico, a partire dal primo esilio del popolo a Babilonia, passando poi per le sofferenze nella terra
sotto il dominio seleucidico, la distruzione del tempio con i Romani nel primo secolo dell’era cri-
stiana, la successiva diaspora ebraica e per finire ora con la sofferenza continua del popolo in tutta
Europa. Va notato che lo scherno degli Edomiti verso il finale del salmo («Spogliatela! Spoglia-
tela!») è reso con l’insistenza su una serie di accordi stridenti e insopportabili25.
Passo ora a delle interpretazioni più contemporanee di questo salmo. La mia prima scelta sono i
Rastafarians, che somigliano di più al racconto «narrativo» ebraico del salmo rispetto all’insistenza
cristiana su dei versetti specifici. Per i Rastafarians, «Babilonia» sono gli occidentali che hanno ven-
duto gli antenati africani come schiavi nelle Americhe, mentre gli «esiliati» diventano le masse gia-
maicane nere perseguitate. Ciò che sorprende è il modo con cui viene completamente rivoluzionato
il genere di questo salmo: una complessa lamentazione ebraica ora diviene un canto di protesta, che
non è pieno di autocommiserazione, ma con cui invece si sfida il potere di «Babilonia» al ritmo di
reggae: lo stesso processo del cantare diviene agente di cambiamento sociale. Anche la terribile «ji-
had» del v. 9 del salmo contro la dominazione babilonese, diventa ora una chiamata rivoluzionaria
alla liberazione e alla giustizia. Il canto è per «Re Alfa» – Hailé Selassié – e il ritornello lo fa diventare
un canto di liberazione difficilmente superabile.
By the rivers of Babylon, Lungo i fiumi di Babilonia
Where we sat down, Sedevamo,
There we wept Là piangevamo
When we remembered Zion. Al ricordo di Sion
Cause, the wicked carried us away in captivity, Perché i malvagi ci avevano deportato,
Required from us a song. E ci chiedevano un canto.
How can we sing King Alpha’s song Come possiamo cantare il canto del re Alfa
Inner (in a) strange land? In un paese straniero?

Esistono molte versioni musicali di questo adattamento del Salmo 137. È stato reso popolare
per la prima volta dai Melodians nel 1969 e da Boney Em e Bob Marley nel 1975. Il cantante di
protesta ebreo Matisyahu, combinando la fede ebraica con il reggae, il rock e l’hip-hop, nel 2006

——————
25
Per un’esecuzione di questo salmo, vedi http://www.youtube.com/watch?v=0XcjQLW1a98.
S. GILLINGHAM: Il Sal 137 qui e ora: la «storia della ricezione»
come modo di vedere e di ascoltare i salmi [22 gen 2020] 11

ha prodotto una versione intitolata «Jerusalem»26. Ma forse la versione più familiare a tutti e po-
polare è quella di Boney Em, che qui propongo con un video.
Torniamo adesso a «vedere» il Sal 137 nell’arte del XX secolo. Anche qui l’arte cristiana con-
sidera solo un versetto al fine di evocare uno scenario di rovina e di degrado materiale. Un esempio
forte proviene da Arthur Wragg, con un’opera elaborata durante il periodo della Grande depres-
sione degli anni trenta. Si intitola «Come canteremo il canto del Signore in una terra straniera?
[How shall we sing the Lord’s song in a strange land?]»27. È un’immagine cruda e potente in
bianco e nero di due finestre di un caseggiato. Quella più in alto ha un vaso di piante appassite sul
davanzale e una gabbietta con dentro uno o due uccelli. La finestra inferiore, un po’ più accostata,
ci permette di sbirciare attraverso le tende in una camera oscurata. In una seconda gabbietta pos-
siamo vedere la sagoma di un solo uccello bianco in posizione eretta: è difficile sapere se, stando
in gabbia, non può cantare, o se stia tentando qualche gorgheggio strozzato. L’impressione generale
che se ne ricava è quella del silenzio. La didascalia sotto è ricavata dal v. 4 del salmo.
Un’altra immagine proviene questa volta da un artista contemporaneo di Oxford, Roger Wagner.
«In una terra straniera [In a Strange Land]» è una serie di poesie e incisioni, molte delle quali ritrag-
gono la zona portuale allora abbandonata di East London28. Questa che vi presento rappresenta Can-
ning Town ed è intitolata «Le acque di Babele [The Waters of Babel] e utilizza le parole del Sal 137
per evocare un senso di desolazione. I colori blu, nero e beige e la sensazione di totale sterilità con le
gru, le banchine i pontili, le scale e i magazzini, tutti deserti, colpendo lo sguardo alludono alla con-
fusione e alla cupa sensazione di incuria e di miseria sia spirituale che materiale. L’esilio quindi non
è solo un’esperienza degli Ebrei del VI secolo a.C. La storia della ricezione ci fa vedere che è un’espe-
rienza universale che attraversa tutte le epoche, e il Sal 137 ci aiuta a capirlo bene.
Prenderò ora in considerazione un’immagine che corrisponde a un’interpretazione più tipicamente
ebraica, perché parla della storia della sofferenza di tutto il popolo. È di Marc Chagall, che ha pro-
dotto trentadue acqueforti di alcuni salmi per i suoi Psaumes de David [Salmi di Davide] (a partire
dal 1979) e alcune immagini tratte dai salmi su delle vetrate istoriate in Inghilterra e in Germania,
utilizzandole per tentare di riconciliare attraverso i salmi le esperienze della guerra e della morte degli
ebrei e dei cristiani29. Un’illustrazione memorabile è quella in cui descrive il Sal 137. Si trova sul
lato settentrionale della Chagall State Hall della Knesset. Si tratta dell’unico riferimento a un salmo
nella Knesset, e sotto sono citati il primo e il quinto versetto del Sal 137: «Lungo i fiumi di Babilonia,
là sedevamo e piangevamo… Se mi dimentico di te, Gerusalemme, si dimentichi di me la mia de-
stra…». Posta tra quattro vivaci arazzi a muro incentrati sui temi della diaspora e del ritorno, e inte-
grata dai più pacati mosaici pavimentali che rappresentano l’amore per la tradizione ebraica, passata
e presente, l’opera di Chagall consiste in un grande mosaico murale, alto sei metri e largo cinque
metri e mezzo, che evocando il Sal 137, rappresenta la sofferenza degli Ebrei, passata e presente30.
——————
26
Per un’esecuzione della versione dei Melodians, vedi http://www.youtube.com/watch?v=o-5E6_qtXAw; per
quella di Boney Em, vedi http://www.youtube.com/watch?v=XO1-skXZEvs; per quella di Matisyahu, vedi
http://www.youtube.com/watch?v=hirqJx6pth8; e per quella di Sinead O’Connor , vedi http://www.you-
tube.com/watch?v=abUxePtuA1M.
27
A. WRAGG, The Psalms in Modern Life (London 1933), senza numeri di pagina. Vedi la figura 4.
28
R. WAGNER, In a Strange Land (Oxford 1988), senza numeri di pagina. Vedi la figura 5.
29
Vedi A. ROSEN, “True Lights: Seeing the Psalms through Chagall’s Church Windows”, Jewish and Christian
Approaches to the Psalms: Conflict and Convergence (ed. S. E. GILLINGHAM) (Oxford 2013) 105-118.
30
L’immagine è presa da J. BAAL-TESHUVA, Marc Chagall 1887-1985 (Cologne 1998) 240 (versione inglese). Col
permesso di Chagall ®/ © ADAGP, Paris e DACS, London, 2011. Vedi la figura 6.
S. GILLINGHAM: Il Sal 137 qui e ora: la «storia della ricezione»
come modo di vedere e di ascoltare i salmi [22 gen 2020] 12

Anche se è ambientato tra gli oranti al Muro occidentale [il Muro del pianto], con la Città vec-
chia e la Torre di Davide sullo sfondo, il mosaico è stato completato nel 1966, quando Gerusa-
lemme era ancora sotto il controllo giordano. Ma il mosaico parla anche della speranza per il popolo
ebraico: circondata da tinte blu e da verdi pacati, sospesa nello spazio vi è una menorah accesa, un
simbolo moderno delle cetre che una volta pendevano, inutilizzate, dagli alberi. Qui però le fiamme
d’oro evocano luce e speranza. Sulla luce dorata si trova un angelo, che con uno shofar chiama il
popolo che sta sotto di lui a tornare a Sion: in tal modo si allude alla tradizione, che si trova nel
Targum e nel Midrash Tehillim, degli angeli che maledicono Edom e Babilonia in nome di Israele.
Altri accenni a una certa speranza messianica si possono vedere nella stella di Davide, posta in
cielo a guidare il popolo verso la sua patria (vedi Nm 24,13-17). In questa immagine si trova cer-
tamente l’anticipo di una celebrazione, in quanto si riproduce non solo la sofferenza materiale ma
si esprime anche la speranza nel ripristino della giustizia.
Voglio terminare con due interpretazioni musicali molto recenti e abbastanza personali del Sal
137. Provengono tutte e due da un contesto inglese e gli autori sono due miei colleghi. La prima
interpretazione non legge questo salmo come un simbolo di speranza, una forma di protesta o un
atto di sfida, bensì come un lamento toccante, ma catartico, sulle sofferenze del popolo ebraico.
L’interpretazione del salmo è di Robert Saxton, assistente e tutor di musica al Worcester College,
che lo ha utilizzato nella prima delle otto scene della sua opera «L’Ebreo errante [The Wandering
Jew]» composta per il canale della BBC Radio 4 nel 201031. Nella prima scena, questo salmo è
cantato dal coro dei prigionieri di un campo di sterminio nazista mentre l’«Ebreo errante» resta
fermo, impossibilitato dal salvarli. È la prima musica che sentiamo: fino a quel momento l’unica
voce è stata quella del «narratore», l’Ebreo errante. Il coro misto canta delle melodie gravi e sonore,
prima all’unisono, poi frammentandosi nella dissonanza. Un guardiano interrompe il loro canto e
due prigionieri sono portati via, evocando in tal modo il terzo versetto del dramma del salmo. I
prigionieri comunque riprendono il primo versetto del salmo e progredendo fino a parole più ge-
nerali di lamento finiscono citando il Sal 31,5: «Nelle tue mani affido il mio spirito». Questi in-
quietanti suoni funebri, con delle cadenze discendenti di quinta dal Si minore fino al Mi minore, si
trovano di nuovo nella settima scena, la penultima, ora però cantati da un «coro fantasma», quando
l’Ebreo errante incontra nuovamente Gesù e tutti e due testimoniano la sofferenza dei loro popoli.
Stavolta sentiamo solo la musica, senza le parole del salmo; lo scenario è quello della Festa delle
capanne, dove invece vengono intonati i salmi più appropriati a una tema di maggiore speranza.
Così il salmo – o almeno la musica che ci ricorda il salmo – agisce sia come espressione della
sofferenza del popolo sia in parte come sua soluzione.
La seconda versione, anch’essa completata nel 2010, si intitola «Super Flumina»; si tratta di una
composizione di Howard Goodall, un compositore inglese di musica corale, musical teatrali, co-
lonne sonore per film e per televisione, e presentatore televisivo e radiofonico. L’ho scelto non solo
per il suo adattamento musicale del salmo abbastanza insolito. Il coro («Enchanted Voices») è,
cosa alquanto inconsueta, tutto femminile: le quattro voci creano un «paesaggio sonoro di archi»32.
Così, invece del più comune lamento, affidato spesso alle gravi voci maschili, il salmo inizia con
——————
31
Per un colloquio con Saxton sull’esecuzione, vedi http://www.youtube.com/watch?v=ifoWIqnt11E. La registra-
zione («The Wandering Jew» della BBC Symphonic Orchestra e degli BBC Singers con R. Williams [baritono]) si
trova su: NMC Recordings Ltd., 2011 NMCD 170. Se ne può ascoltare l’anteprima su http://itunes.apple.com/us/al-
bum/robert-saxton-thewandering/id441406269.
32
«Super flumina» è presa da Pelican in the Wilderness Classical FM Records CFMD13 (solo: Grace Davidson).
Se ne può ascoltare l’anteprima su http://itunes.apple.com/gb/album/pelican-in-wilderness-songs/id369907442.
S. GILLINGHAM: Il Sal 137 qui e ora: la «storia della ricezione»
come modo di vedere e di ascoltare i salmi [22 gen 2020] 13

la voce, elegantemente pura e inquietante, del solo soprano; immediatamente proviamo un senso
di afflizione, che colpisce tutta la persona. Gli archi – che ascoltiamo immediatamente sotto voce
– ci ricordano paradossalmente le cetre e i canti che una volta erano stati negati, ma che ora sono i
mezzi con cui si esprime il ricordo della sofferenza e della perdita. Il soprano canta un Fa diesis
acuto e poi un Sol diesis, per poi scendere a un La grave – ossia con un intervallo di ottava aumen-
tata diverso dal solito salto di ottava giusta con cui spesso si imita la salita e la discesa dell’ango-
scia. Altre voci femminili intervengono gradualmente ad accompagnare il ricordo del lamento: «As
for our harps, as for our harps, we hanged them up… [E le nostre cetre, le nostre cetre appen-
demmo…]». La tristezza (di cantare quello che una volta non poteva essere cantato) continua fino
alla fine del salmo, con le sue armonie evanescenti: «How shall we sing?... How shall we sing?
[Come canteremo?... Come canteremo?]». Goodall mi ha scritto per illustrarmi i motivi che lo
hanno spinto a scrivere questo salmo. Ricordando i suoi giorni da corista al New College di Oxford,
dice:
…Serate buie, la luce fioca della lampada da tavolo, frasi lente, pacate e misurate… Il nostro salmodiare
era preciso, disteso, le emozioni erano contenute… E tuttavia le parole dei salmi contenevano delle emo-
zioni tanto estreme: perdita, sofferenza, rabbia, piacere o estasi. Così da compositore maturo, vi sono
tornato sopra volendo scatenarne l’intensità… Super Flumina mi ha parlato direttamente, in quanto vi si
esprime la tristezza attraverso il suo impatto sui canti dei derelitti…
Un’altra impressione che da ragazzo ho avuto dei salmi è stata la loro virilità, in parte a causa del tipo di
coro con cui li cantavo, e in parte perché, nel mio mondo incentrato sui ragazzi, ritenevo che i musicisti
del re Davide fossero maschi. Ma i miei coristi ora sarebbero stati delle donne: così ho maturato istinti-
vamente l’idea di «ascoltare» in questo salmo il lutto delle donne in schiavitù. È stato forse questo a dare
al mio adattamento la sua particolare e tenera tristezza?33
Spero di avervi convinti che il metodo della storia della ricezione è una maniera feconda di
leggere il Sal 137. Questo salmo infatti parla della nostra precarietà umana, in un mondo insicuro
dove occorre cercare Dio con la determinazione di Giobbe, per chiedere che sia fatta giustizia e
che ciò si veda; e i suoi interpreti negli ultimi due millenni e mezzo ci mostrano continuamente
come leggerlo e utilizzarlo nella propria esperienza di ingiustizia. Credo inoltre di aver dimostrato
quanto sia importante partire con il testo situandolo nel suo antico contesto ebraico, e inquadrare
la successiva storia della ricezione del salmo considerando il testo stesso. Ma soprattutto spero di
aver mostrato come l’ascolto di un salmo attraverso la musica («esegesi uditiva») e la sua visione
in un’opera d’arte («esegesi visiva») ci offra degli strati di significato che si aggiungono a quelli
che normalmente vengono trovati quando ci fermiamo al semplice testo. Le rappresentazioni mu-
sicali e artistiche del Sal 137 mostrano che questo salmo ha la capacità di parlare non solo alle
nostre comunità di fede, ma anche alla cultura secolare, mostrando come l’uso della storia della
ricezione permetta al salmo di andare al di là del suo antico contesto, ebraico, maschile, caustico,
ottenendo anche una risonanza universale. E infine spero di avervi offerto dei nuovi approfondi-
menti riguardo ai modi differenti, ma anche complementari, in cui gli ebrei e i cristiani vedono
questo salmo. Gli ebrei e i cristiani condividono la ricca eredità del libro dei Salmi: e quando nella
nostra generazione attuale esplorano insieme questa eredità, la storia della ricezione di un salmo
può offrire una visuale che i primi salmisti non potevano mai immaginare.

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33
Testo tratto dalla corrispondenza email dell’autrice con Howard Godhall nel dicembre 2011.
S. GILLINGHAM: Il Sal 137 qui e ora: la «storia della ricezione»
come modo di vedere e di ascoltare i salmi [22 gen 2020] 14

Opere citate
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S. GILLINGHAM: Il Sal 137 qui e ora: la «storia della ricezione»
come modo di vedere e di ascoltare i salmi [22 gen 2020] 15

STEC D., The Targum of Psalms, The Aramaic Bible Vol. 16, (Collegeville, MI 2005).
TOURNAY R. J., Voir et entendre Dieu avec les Psaumes ou la liturgie du second temple à Jerusa-
lem (Paris 1982) [trad. ingl. di J. E. COWLEY, Seeing and Hearing God with the Psalms. The
Prophetic Liturgy of the Second Temple in Jerusalem (JSOTSup 118; Sheffield 1991).
WAGNER R., In a Strange Land (Oxford 1988).
WALSH P. G. (trad. e commentatore), Cassiodorus: Explanation of the Psalms, vol. III: Psalms
101-150 (Ancient Christian Writers 53; New York 1997).
WESSELSCHMIDT F., Ancient Commentary on Scripture, Old Testament VIII: Psalms 51-150 (Do-
wners Grove, IL 2007).
WRAGG A., The Psalms in Modern Life (London 1933).
ZENGER E., Ein Gott der Rache? Feindpsalmen Verstehen. Biblische Bücher 1 (Freiburg 1994)
[trad. ing. L. M. MALANCY, A God of Vengeance: Understanding the Psalms of Divine Wrath
(Louisville 1996); trad. it. Salmi: preghiera e poesia. 4: Dio di vendetta? I salmi contro il
nemico (Torino 2018)].
APPENDICE

Immagini utilizzate nella conferenza (nell’ordine in cui vengono esaminate)

Immagine 1

Eadwine Psalter: Copia adattata di un’immagine simile del Salterio di Utrecht (MSR 17.1 Fol
243v. (Questa imagine si può trovare per esempio in: https://commons.wikime-
dia.org/wiki/File:Eadwine_psalter_-_Trinity_College_Lib_-_f.243v.jpg).

Immagine 2

Salterio Khludov: Museo di storia di Mosca MS D 29


Figure Three

Ms. Parm. 1870 (Cod. De Rossi 510), Biblioteca Palatina, Parma, Italia. Riproduzione consentita dal facsimile del
Salterio di Parma, a www.facsimile-editions.com.

Immagine 4

«How shall we sing the Lord’s song in a strange land?» . Preso da A. Wragg, (1933). Senza numero di pagina.
Immagine 5

Questa imagine è tratta da C. Miller (2009), pp. 8-9, ed è utilizzata da Roger Wagner per rappresentare i moli
allora deserti di Canary Wharf. L’impressione che se ne ricava è un senso di sterilità e desolazione totali, che allude
all’atmosfera del salmo 137.

Immagine 6

«By the waters of Babylon we sit down and weep…». Questa imagine è presa da J. Baal-Teshuva (1998), p. 240
(versione inglese) per gentile concessione di Chagall ®/ © ADAGP, Paris and DACS, London, 2011.

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