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Ipotesi per Amalassunta

Nel 1950, alla XXV Biennale di Venezia, Osvaldo Licini espose nove opere sul tema dell’Amalassunta: era la prima
volta che questo tema della sua arte veniva presentato al pubblico.

In una lettera del 21 maggio 1950 (pochi giorni prima dell’inaugurazione di quella Biennale) Licini scrisse a Giuseppe
Marchiori: “ma, se dovessi mancare e qualche anima curiosa dovesse rivolgersi proprio a Lei, critico d’arte senza
macchia e senza paura, per sapere chi è questa misteriosa “Amalassunta” di cui tanto ancora non si parla, risponda pure,
a mio nome, senza ombra di dubbio, sorridendo, che, Amalassunta è la Luna nostra bella, garantita d’argento per
l’eternità, personificata in poche parole, amica di ogni cuore un poco stanco”.

Dunque, come disse lo stesso Licini, Amalassunta è la Luna; l’artista non chiarì però il motivo della scelta di quel nome
così particolare, Amalassunta.

Sono state fatte al riguardo diverse ipotesi; anch’io ho tentato di farne una e la rendo nota oggi in occasione del 125°
anniversario della nascita di mio nonno Osvaldo.

Amalasunta (in questo caso con una esse soltanto), regina degli Ostrogoti, visse tra il 493 (o successivamente) e il 535;
si narra che per un periodo della sua vita fosse stata anche a Fermo (1), nelle Marche. Fu poi detronizzata e imprigionata
nell’isola Martana, sul lago di Bolsena, dove venne assassinata nel 535.

Sulla base di quanto può leggersi in un antico vocabolario (a pag. 233, vol. 1, del Vocabolario universale italiano,
compilato a cura della Società Tipografica Tramater e C., Napoli, 1829) il nome Amalasunta deriverebbe dal tedesco
“himmel cielo, e scheint ci riluce: Rilucente come il cielo”; per altri, sempre in base allo stesso vocabolario, la
derivazione sarebbe da “himmel, e da schein aspetto: Aspetto celeste”.

Ebbene, l’espressione “rilucente come il cielo” appare curiosamente in sintonia con le parole – “garantita d’argento per
l’eternità” – che Licini usò per descrivere la luminosità della Luna e quindi dell’Amalassunta.

Ma c’è di più; un altro tema dell’arte di Licini (sviluppato successivamente rispetto al tema dell’Amalassunta) è stato
quello dell’Angelo di San Domingo.

L’artista disse a Paolo, suo figlio, di aver chiamato così questo Angelo perché la sua forma gli ricordava quella
dell’isola dove si trova Santo Domingo.

Sulla base di questo spunto ho allora cercato, su una cartina geografica, l’isola Martana (dove Amalasunta visse i suoi
ultimi giorni) e, con molta sorpresa, ho scoperto che quell’isola ha la forma di una mezzaluna (2).

Questi elementi potrebbero forse spiegare la scelta del nome di Amalassunta per indicare “la luna nostra bella, garantita
d’argento per l’eternità”.

 
Lorenzo Licini

(1) Monte Vidon Corrado, il paese dove nacque e morì Osvaldo Licini, si trova a poca distanza da Fermo.

(2) In diverse opere di Licini la forma dell’Amalassunta ricorda proprio quella di una mezzaluna.

Amalassunta, l’anagramma e Baudelaire


Osvaldo Licini fornì poche spiegazioni sul tema dell’Amalassunta.

Nella lettera del 21 maggio 1950, ad esempio, l’artista scrisse a Giuseppe Marchiori che “Amalassunta è la Luna nostra
bella, garantita d’argento per l’eternità, personificata in poche parole, amica di ogni cuore un poco stanco”.

Anni dopo, nell’intervista rilasciata a Tony P. Spiteris (1) in occasione della Biennale di Venezia del 1958, Licini disse
di essere stato colpito – sin dall’infanzia – dal nome di “una certa principessa di Ravenna morta assai giovane” (“nella
mia fantasia infantile accoppiai questa figura di sogno con la dea della notte che percorre il cielo torno torno…”): si
trattava di Amalasunta (in questo caso con una lettera esse soltanto) che visse tra il 493 (o successivamente) e il 535 e
che divenne regina degli Ostrogoti.

Da tempo, a proposito dell’Amalassunta di Licini, mi incuriosivano due elementi: l’espressione “personificata in poche
parole” (contenuta nella citata lettera a Marchiori) e la misteriosa aggiunta di una lettera esse al vero nome del
personaggio storico.

Se Amalassunta, come scrisse Licini, è personificata “in poche parole” (e non in una soltanto) mi sono chiesto quali
potessero essere queste parole.

Ho quindi ipotizzato che dall’anagramma di “Amalassunta” potessero derivare, appunto, più termini di senso compiuto.

Effettivamente, anagrammando il nome di Amalassunta, ho potuto scoprire i seguenti gruppi di parole:

1) la Musa Santa;

2) Malus, Satana.

Ebbene, termini come Musa, Santa, Malus (Male), Satana appaiono particolarmente vicini al mondo poetico di Charles
Baudelaire (2).

Licini, sin da giovane, fu particolarmente affascinato dall’opera del poeta francese; un fascino che l’artista continuò a
sentire anche negli anni della maturità quando, ad esempio, realizzò dipinti come l’”Angelo ribelle su fondo giallo” (3)
o il “Crepuscolo della sera” (4).

Baudelaire scrisse che “in ogni uomo ci sono, in ogni momento, due postulazioni simultanee, una verso Dio, l’altra
verso Satana. L’invocazione a Dio, o spiritualità, è un desiderio di salire di grado; quella di Satana, o animalità, è una
gioia di scendere” (5).
L’anagramma di Amalassunta, da cui derivano parole di significato così confliggente (il Bene insito ne “la Musa Santa”
e il Male di “Malus, Satana”), è proprio rappresentativo, in fondo, di queste “due postulazioni simultanee” indicate dal
poeta.

Ma Baudelaire scrisse anche che si può “estrarre la bellezza dal Male” (6): se allora si segue il procedimento inverso
rispetto a quello seguito in precedenza e si effettua l’anagramma di “Malus, Satana”, si ottiene la parola Amalassunta
(che è “la Luna nostra bella”); e, così facendo, è come se si estraesse la bellezza dal Male.

In un certo senso si può dire che Amalassunta sia “bella ma con frode”(7).

Penso che Licini, come già Baudelaire, credesse in una perenne pulsione dell’uomo verso il Bene e al tempo stesso
verso il Male; e penso che anche Licini, come il poeta francese, credesse nella possibilità di estrarre la bellezza dal
Male.

Si può quindi ipotizzare che l’aggiunta di una esse all’originario nome di Amalasunta (un’aggiunta che rende possibile
questo duplice anagramma) sia stata voluta da Licini proprio per sottolineare, anche se in modo criptico, la sua
vicinanza al poeta francese.

Spesso l’Amalassunta viene giustamente accostata alla Luna di Giacomo Leopardi, un poeta che Licini amò molto;
credo, però, che per comprendere l’Amalassunta sia utile leggere anche Baudelaire.

Lorenzo Licini

1) Tony P. Spiteris Un grande artista è morto Il pittore del sogno Osvaldo Licini concede la sua ultima intervista al
giornale Elefteria, Elefteria, 2 novembre 1958.

2) Nelle opere di Charles Baudelaire, come noto, sono ricorrenti i termini “Musa”, “Santa” (o “Santo”), “Male”,
“Satana”. L’espressione “la Musa Santa” può ricordare le parole “la Musa e la Madonna” presenti in “Che dirai questa
sera, anima mia”, una poesia di Baudelaire contenuta ne I fiori del male (Charles Baudelaire, I fiori del male I relitti
Supplemento ai Fiori del male, a cura di Luigi de Nardis, Feltrinelli Editore Milano, 1973, pag. 77).

3) L’angelo raffigurato in questa opera di Licini ricorda un’immagine descritta da Baudelaire nella poesia Il ribelle: “Un
Angelo furente giù dal cielo come un’aquila piomba” (Charles Baudelaire, I fiori del male I relitti Supplemento ai Fiori
del Male, cit., pag. 341).

4) Il titolo scelto da Licini per questa opera è lo stesso di una poesia di Baudelaire (Crepuscolo della sera, Charles
Baudelaire, I fiori del male I relitti Supplemento ai Fiori del Male, cit., pagg. 179 – 180).

5) Il mio cuore messo a nudo XI – 19 (Charles Baudelaire, Il mio cuore messo a nudo Razzi – Igiene – Titoli e spunti
per romanzi e racconti, a cura di Diana Grange Fiori, Adelphi eBook, Milano, prima edizione digitale 2015).
6) Progetti di prefazioni e di epilogo I. Prefazione dei “Fiori” (Charles Baudelaire, I Fiori del Male e tutte le poesie I
Fiori del Male, I relitti, Poesie diverse, Amœnitates belgicae, Frammenti, a cura di Massimo Colesanti, traduzione di
Claudio Rendina, Newton Compton editori, Roma, prima edizione ebook gennaio 2011, pag. 680).

7) Licini, in uno scritto del 1937, affermò: “l’arte è per noi di natura misteriosa e non si definisce. Confessiamo pure
che la bellezza sfuggirà sempre ai nostri calcoli. Ed è bene che sia così. Come tutte le cose della natura, enigmatica,
menzognera, bella ma con frode. L’importante è che la menzogna sia geniale” (Osvaldo Licini, Natura di un discorso,
scritto apparso sul Corriere Padano, Ferrara, 9 ottobre 1937).

La luna nel nome


Qualche tempo fa ho scoperto che il nome di uno dei personaggi creati da Licini – Amalassunta (1) – nasconde un
duplice anagramma: “La Musa Santa” e “Malus, Satana” (2).

Per certi aspetti il caso di Amalassunta ricorda quello di Agesilaus Santander: Gershom Scholem si accorse, infatti, che
il nome Agesilaus Santander, presente in un racconto scritto da Walter Benjamin nel 1933, celava l’anagramma di “Der
Angelus Satanas” (3).

In numerosi dipinti e disegni di Licini le parole e le lettere diventano, del resto, elementi della composizione e questo,
insieme all’anagramma, conferma la particolare attenzione dell’artista per l’aspetto verbale.

Alberto Savinio scrisse che le parole “si volgono commosse e riconoscenti a chi come Leopardi le scruta nell’intimo e
manifesta tanta amorosa curiosità per il segreto, per i segreti che ciascuna di esse racchiude” (4): credo proprio che
Licini sarebbe stato d’accordo.

In certi autori la curiosità per il segreto delle parole diventa anche una riflessione sul significato del proprio cognome;
questo è avvenuto, ad esempio, per Raymond Queneau: “nel romanzo autobiografico in versi Chêne et chien scritto nel
1936 lo scrittore, insieme alla sua infanzia, ricorda le intense meditazioni sul proprio cognome. Vi ravvisa la presenza
della voce normanno-piccarda quesne (‘quercia’) e di quelle normanne quenet e quenot (‘cane’) che individuano due
principi opposti, una doppia figurazione allegorica, lo scenario di un conflitto psichico” (5).

Un altro esempio è quello di Michel Leiris che, in una pagina del suo Journal, rovescia il proprio cognome e nome in
Siriel Lechim (6): in tal modo questa “diversa sonorità consegna allo scrittore un’identità ebraica, il profilo di un
rabbino immerso nell’ascolto di parole e nomi” (7).

Credo che anche Licini avesse riflettuto sul significato del proprio cognome; e credo che questa riflessione fosse iniziata
molto presto, probabilmente già nel corso degli anni Dieci.
L’artista, nel 1914, si era trasferito a Firenze non soltanto per completare gli studi ma anche per seguire da vicino
l’attività dei futuristi; in questo contesto è probabile che Licini avesse conosciuto Arturo Reghini (8).

In un saggio su “Simbolismo e filologia” apparso sulla rivista “Ultra” nell’agosto del 1914, Reghini scrisse che “l’idea
del rapporto tra le cose e le parole la ritroviamo espressa nel noto precetto scolastico: Nomina sunt consequentia rerum,
che Dante cita nella Vita Nuova”… “Anche Raimondo Lullo, contemporaneo di Dante, dava massima importanza al
significato dei nomi; egli intendeva definire le cose secondo il loro stesso nome e non con dei sinonimi, e spiegava i
nomi per mezzo delle etimologie” … “Bruno e Campanella, che chiamava se stesso la campanella, la squilla dei tempi a
venire, ed in generale tutti coloro, che più o meno direttamente si riattaccano allo spirito od alla tradizione della scuola
italica, si attengono a questo concetto, e ricorrono volentieri perfino agli anagrammi per esprimere le loro idee” (9).

Dunque Tommaso Campanella (noto anche con lo pseudonimo di Settimontano Squilla) evidenziava un possibile
collegamento tra il proprio cognome ed il destino di innovatore, di “squilla dei tempi a venire”.

Si può ragionevolmente ipotizzare che Licini avesse letto questo saggio di Reghini o che comunque fosse venuto a
conoscenza delle idee contenute nello stesso; da qui una probabile ricerca dell’artista sull’etimologia del proprio
cognome.

Incuriosito, ho svolto anch’io, di recente, una ricerca sull’etimologia del nome Licini: con sorpresa ho scoperto che
questo nome dovrebbe derivare dal latino “licinus” che significa “dalle corna rivolte verso l’alto” (10) e lunate, come
quelle del toro.

René Guénon ha scritto “che le corna, nel loro uso simbolico, assumono due forme principali: quella delle corna di
ariete, che è propriamente ‘solare’, e quella delle corna di toro, che è al contrario ‘lunare’, richiamando d’altronde la
forma stessa della mezzaluna” (11).

Credo che Licini fosse venuto a conoscenza di questa etimologia e di questo simbolismo e che, in qualche modo, fosse
stato influenzato dal sapere di ”avere la luna” nel proprio nome.

Indico di seguito, a titolo di esempio, alcune opere tra le moltissime dell’artista nelle quali è presente la luna.

L’Arcangelo Gabriele del 1919 – che in realtà, più probabilmente, è una raffigurazione del Bruto Minore di Leopardi
(12) – dove una luna indifferente assiste ad un suicidio.

Il Paesaggio fantastico del 1927 (13) nel quale un animale dalle corna lunate fissa immobile l’orizzonte.

Il Notturno n. 2 del 1932, rischiarato dalla luna.

L’Olandese volante azzurra del 1944, dove compare una falce lunare.
 

L’uomo di neve (14) del 1947 nel quale compare un personaggio immaginario la cui testa è sormontata da due corna
lunate.

Angeli primo amore del 1955 dove una piccola mezzaluna è presente nella parte in basso a destra del dipinto.

E poi, naturalmente, tutte le opere dove appare Amalassunta che per Licini è “la Luna nostra bella, garantita d’argento
per l’eternità, personificata in poche parole, amica di ogni cuore un poco stanco” (15).

L’artista non chiarì il motivo della scelta di quel nome così particolare, Amalassunta; in un’intervista del 1958 disse
però di essere stato colpito, sin dall’infanzia, dal nome di “una certa principessa di Ravenna morta assai giovane”
(“nella mia fantasia infantile accoppiai questa figura di sogno con la dea della notte che percorre il cielo torno torno…”)
(16).

Si trattava di Amalasunta – in questo caso con una esse soltanto (17) – regina degli Ostrogoti, che visse tra il 493 (o
successivamente) e il 535; si narra che per un periodo della sua vita fosse stata anche a Fermo, nelle Marche (18). Fu
poi detronizzata e imprigionata nell’isola Martana, sul lago di Bolsena, dove venne assassinata nel 535.

Sulla base di quanto si può leggere in un antico vocabolario il nome Amalasunta deriverebbe dal tedesco e, in
particolare, da “Himmel” (cielo) e da “scheint” (splende) (19).

Dunque, sul piano etimologico, Amalasunta potrebbe avere il significato di colei che splende nel cielo. Come la luna. E,
in questo senso, è come se anche Amalasunta avesse la luna nel nome.

Questo significato etimologico appare, del resto, in particolare sintonia con le parole – “garantita d’argento per
l’eternità” – che Licini usò per descrivere la luminosità della luna e quindi dell’Amalassunta (20).

Infine un riferimento all’isola Martana, dove morì Amalasunta: quell’isola, vista dall’alto, ha, per l’appunto, la forma di
una mezzaluna (21).

Forse Amalasunta e Licini hanno veramente qualcosa in comune: è la luna nel nome.

Lorenzo Licini

 
 

(1) Nel 1950, alla XXV Biennale di Venezia, Licini espose nove opere sul tema dell’Amalassunta; era la prima volta
che questo tema della sua arte veniva presentato al pubblico.

(2) Il duplice anagramma contiene un simultaneo riferimento al Bene (“La Musa Santa”) e al Male (“Malus, Satana”);
potrebbe quindi rappresentare un (criptico) riferimento a Charles Baudelaire, un poeta che Licini amava molto e che,
come noto, credeva in una perenne pulsione dell’uomo verso il Bene e al tempo stesso verso il Male.

(3) “Agesilaus Santander è – suggellato quasi con intenzione ornamentale da una pleonastica i – un anagramma di “Der
Angelus Satanas””: così si legge in Gershom Scholem, Walter Benjamin e il suo angelo, traduzione di Maria Teresa
Mandalari, Adelphi Edizioni, Milano, 2007, pag. 38.

Come l’anagramma di Amalassunta anche “Der Angelus Satanas” contiene un simultaneo riferimento al Bene e al
Male.

(4) Alberto Savinio, Nuova enciclopedia, Adelphi Edizioni, Milano, 2017, pag. 76.

(5) Luigi Sasso, Nomi di cenere Percorsi di onomastica letteraria tra Ottocento e Novecento, Edizioni ETS, Pisa, 2003,
pag. 36.

(6) “Michel Leiris – Il me suffit de retourner mon nom (→ Siriel Lechim) pour être instantanément transformé en vieux
rabbin” si legge in Michel Leiris, Journal 1922 – 1989, Édition établie, présentée et annotée par Jean Jamin, Gallimard,
Paris, 2005, pag. 125.

(7) Luigi Sasso, Nomi ed errori in Michel Leiris, in il Nome nel testo – Rivista internazionale di onomastica letteraria,
ETS, Pisa, 2006, fascicolo VIII, pagg. 662-663.

(8) Nelle note biografiche su Arturo Reghini, a cura di Paolo Alberti, apparse sul sito internet liberliber.it, si legge che
Reghini, nel 1914, “aderì al movimento futurista. Amico di Giovanni Amendola e di Giovanni Papini, divenne in breve
personaggio di punta della scapigliatura fiorentina all’epoca delle riviste “Leonardo”, “Lacerba” e “La Voce”,
nell’ambito delle quali ebbe un ruolo rilevante”.

(9) Arturo Reghini, Simbolismo e filologia, Tipheret, Acireale, 2019, pagg. 25 – 26.

(10) Gian Biagio Conte, Emilio Pianezzola, Giuliano Ranucci, Il dizionario della lingua latina, Le Monnier, Firenze,
2000, voce “licinus”, pag. 694.

(11) René Guénon, Simboli della Scienza sacra, traduzione di Francesco Zambon, Adelphi Edizioni, Milano, 2017, pag.
173.

Guénon e Reghini furono a lungo in contatto. Tra l’altro Reghini curò la traduzione in italiano di Le roi du monde, il
famoso libro del 1927 di René Guénon (l’edizione italiana uscì nello stesso anno).

(12) Il Bruto Minore è una canzone scritta da Giacomo Leopardi nel 1821.

(13) L’opera (che talvolta viene indicata anche come Il capro) è stata recentemente riprodotta nel catalogo della mostra
a cura di Luca Massimo Barbero Osvaldo Licini Che un vento di follia totale mi sollevi, Collezione Peggy Guggenheim,
Venezia, 22 settembre 2018 – 14 gennaio 2019, Marsilio, Venezia, 2018, pag. 63.

(14) L’opera è stata di recente riprodotta a pag. 149 sul catalogo del 2018 citato in nota 13.
(15) Lettera di Osvaldo Licini a Giuseppe Marchiori del 21 maggio 1950.

(16) Tony P. Spiteris Un grande artista è morto Il pittore del sogno Osvaldo Licini concede la sua ultima intervista al
giornale Elefteria, Elefteria, 2 novembre 1958.

(17) L’aggiunta, da parte di Licini, di una esse all’originario nome di Amalasunta rende possibile il duplice anagramma
di cui ho scritto in precedenza.

(18) Monte Vidon Corrado, il paese dove nacque e morì Licini, si trova a poca distanza da Fermo.

(19) Vocabolario universale italiano, compilato a cura della Società Tipografica Tramater e C., Napoli, 1829, vol. 1,
pag. 233, voce Amalasunta.

(20) Arturo Reghini, in op. cit. in nota 9, afferma, alle pagg. 61 – 62, che la luna si collega “con l’idea della sua luce
bianca, ed il suo splendore con quello dell’argento. Luna dal latino lucna, lucina, dalla radice indo-europea ruc =
splendere, che compare con questo senso nel greco lyk (amfilike), e nel latino lux, lucere, lucerna”.

(21) In alcune opere dell’artista l’Amalassunta ha proprio la forma di una mezzaluna.

Un altro tema dell’arte di Licini (sviluppato successivamente rispetto al tema dell’Amalassunta) è stato quello
dell’Angelo di San Domingo. L’artista disse a Paolo, il suo unico figlio, di aver chiamato così questo Angelo perché la
sua forma gli ricordava quella dell’isola dove si trova Santo Domingo. Questo aneddoto potrebbe essere la conferma di
un particolare interesse di Licini per alcune forme geografiche.

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