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Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M.

270/04)
Insegnamento: DISCIPLINE DEMOETNOANTROPOLOGICHE
Lezione n°: 2
Titolo: L'approccio antropologico
Attività n°: 1

Facoltà di Psicologia

L'approccio antropologico
Se vi trovate ad una cena dove vi offrono un piatto di cavallette fritte, quasi certamente la vostra
reazione sarebbe di disgusto. Salvo poi capire che per quella persona che vi offre la pietanza e che
l’ha cucinata per voi con grande cura, un rifiuto sarebbe un’offesa molto seria. Per di più siete in
una realtà spaziale diversa dalla vostra: siete ospiti da un vostro amico, uno Gbaya della
Repubblica Centrafricana. Così, alla fine, assaggiate questa “stranezza” e trovate che il piatto di
cavallette tutto sommato non è affatto male. Questa esperienza (un’offerta alimentare a base
d’insetti che risulta impossibile da rifiutare) è fondamentale per mettere in risalto l’obiettivo
basilare di un approccio antropologico alla realtà: la scoperta improvvisa del diverso da sé, o
meglio la realizzazione che la propria realtà quotidiana, inconsapevolmente accettata come
“normale” e “data una volta per tutte”, è in effetti relativa. Si tratta di un prodotto di qualcosa che
è stato appreso e che non è innato come può esserlo la capacità di camminare o quella di parlare.
L’acquisizione di questa consapevolezza avviene grazie al confronto con una comunità diversa dalla
propria, che esprime una cultura diversa dalla propria. Cos’è la cultura? Una prima definizione
può essere proprio: un insieme di idee e comportamenti comuni ad una particolare società, che gli
esseri umani imparano non in modo consapevole ma in quanto fanno parte di quella società.

© 2007 Università degli studi e-Campus - Via Isimbardi 10 - 22060 Novedrate (CO) - C.F. 08549051004
Tel: 031/7942500-7942505 Fax: 031/7942501 - info@uniecampus.it
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Insegnamento: DISCIPLINE DEMOETNOANTROPOLOGICHE
Lezione n°: 2
Titolo: L'approccio antropologico
Attività n°: 1

Facoltà di Psicologia
Lo scopo di questo corso non è quello di imparare i molti dati, i molti risultati raggiunti dalla scienza
antropologica, né, tanto meno, quello di insegnare come si diventa antropologi di professione.
Quest’introduzione all’antropologia culturale dovrebbe servire a farvi imparare a pensare come degli
antropologi. Cioè pensare seriamente a come le culture e i gruppi sociali funzionano ed a comprendere
le azioni degli esseri umani nel loro contesto culturale.
Ed è appunto relativizzando la propria realtà culturale quotidiana in seguito al confronto con una realtà
diversa dalla propria che ogni antropologo pensa di acquisire dati in grado di contribuire alla sua
missione principale. Quest’ultima ha uno scopo tipicamente ampio, praticamente illimitato.
L’antropologia (cfr. il termine greco antico ánthropos ‘essere umano’) è la scienza che cerca di descrivere
cosa significhi essere degli esseri umani nel senso più vasto possibile. In questo senso l’antropologia è
unica fra le scienze umane.
Anche, ad esempio, la letteratura, la biologia, l’economia, la politica si occupano dell’essere umano. Ma
ciascuna ne considera un singolo aspetto, un singolo prodotto. Al contrario l’antropologia cerca di
integrare tutto ciò che si conosce sugli esseri umani e sulle loro attività nel modo più ampio e
comprensivo. Questa caratteristica basilare della prospettiva antropologica è ciò che la fa definire un
disciplina olistica, dove olismo (cfr. Greco Antico hólos ‘tutto intero’) è il nome che si dà ad al punto di
vista di chi tende a considerare la globalità di un oggetto in modo analitico, senza cioè generalizzare o
sintetizzare gli elementi che lo compongono, ma cercando di dare a tutti uguale dignità scientifica.

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Lezione n°: 2/S1
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Attività n°: 1

Facoltà di Psicologia

Una definizione di cultura


Una seconda importante caratteristica dell’antropologia da sottolineare, e che deriva direttamente
da ciò che è stato detto sopra sull’importanza del confronto, è il fatto di porsi come disciplina
comparativa, cioè basata su analisi condotte sul più ampio numero possibile di comunità umane.
Queste ultime vengono, appunto, comparate cioè confrontate sulla base delle somiglianze e delle
differenze rilevate tra di esse. Una tale comparazione (cosa che ha talora esposto l’antropologia a
critiche da parte di esponenti di altre discipline scientifiche) non ha limiti né spaziali né temporali.
Insomma, l’antropologia abbraccia società lontane fra loro sia nello spazio che nel tempo; per
esempio, la si può applicare allo studio di civiltà contemporanee (persino la propria) o scomparse
anche da molti secoli, come quella Egizia, quella Romana, o (lontane anche geograficamente dalle
precedenti) quella Maya, quella Atzeca, ecc. In altre parole è sia una disciplina di tipo sincronico
(ovvero si interessa di ciò che si può analizzare trovandosi in presenza dell’oggetto della ricerca
ovvero di ciò che è contemporaneo al ricercatore), sia una disciplina di tipo diacronico (ovvero si
occupa di ciò che si può analizzare

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Attività n°: 1

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trovandosi in assenza dell’oggetto della ricerca ovvero di ciò che deve essere storicizzato dal
ricercatore).
Una terza importante caratteristica dell’antropologia è proprio legata al fattore tempo. Dando al
termine “evoluzione” un’accezione neutra, nel senso di cambiamento né positivo né negativo ma
cambiamento e basta, è chiaro che le comunità umane hanno subito un’evoluzione nel corso della
storia. Attraverso la distinzione fondamentale già menzionata tra ciò che è innato e ciò che è
appreso, gli antropologi hanno distinto ciò che negli uomini si è evoluto grazie a fattori biologici,
geneticamente trasmessi (legati cioè alla selezione naturale teorizzata da Darwin e Wallace due
secoli fa), da ciò che è cambiato perché insegnato e quindi appreso in una certa comunità umana.
Questo interesse per il cambiamento è ciò che fa dell’antropologia in quanto disciplina
evoluzionistica.
Per tornare al concetto di cultura e alla definizione data sopra (“un insieme di idee e
comportamenti comuni ad una società, che gli esseri umani imparano non volontariamente ma in
quanto membri di questa”), è chiaro che anch’essa fa parte del patrimonio genetico dell’essere
umano, ma in quanto la cultura ha acquisito sempre maggior spazio nell’evoluzione di quest’ultimo,
caratterizzandone il modo di essere a cominciare dalla capacità di ADATTARSI alla realtà che lo
circonda. Mi riferisco innanzitutto all’ambiente naturale (i diversi biomi) in cui si è trovato a vivere.

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Facoltà di Psicologia

Un organismo bioculturale
Le scimmie antropomorfe e Homo sapiens sapiens in particolare più di tutte le altre specie
dipendono per la propria sopravvivenza da ciò che è appreso e non da ciò che è innato, basta
pensare a necessità biologiche come il reperimento del cibo, la protezione dai predatori, dal freddo,
ecc. E il fatto che l’essere umano sia tra le specie in cui l’organo dove si deposita ciò che è appreso,
cioè il cervello, è più grande in rapporto alle dimensioni totali del corpo, sta a dimostrare proprio
questo. Anzi, ne è una prova decisiva. Un’altra si trova nel fatto che il piccolo di Homo sapiens è
quello per cui i genitori spendono tempo e risorse maggiori: il piccolo dell’essere umano ha
un’infanzia più lunga che non il piccolo di qualsiasi altra specie.
La cultura, da questo punto di vista, è anche adattiva, come avremo modo di chiarire meglio in una
delle prossime lezioni.
Torniamo all’esperienza dei due antropologi Nordamericani nel Camerun settentrionale: nel mondo
occidentale nutrirsi di insetti è una cosa ritenuta sgradevole e ributtante, non certo

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perché le proteine fornite dagli insetti siano meno nobili di quelle fornite dalle mucche o dai polli
(animali di cui, per altro, l’uomo occidentale si ciba in eccesso privando il Sud del mondo di risorse
agricole fondamentali...). Il fatto è che i bambini occidentali non hanno mai visto nessun famigliare,
nessun amico, nella normalità della propria esistenza quotidiana, mangiare un insetto, nonostante
le polpette di termiti offerte dal guardiano Camerunense avessero “un gusto delicato, simile al
pollo”.
Da questo punto di vista è necessario che gli antropologi (ma questo è tipicamente parte della
formazione antropologica nordamericana, mentre l’antropologo europeo rimane ancora
fondamentalmente legato al lato umanistico-sociologico della disciplina) siano privi di “barriere
concettuali” che separino la preparazione scientifica, per esempio conoscenze di biologia umana,
da quelle più sociali, comportamentali, psicologiche dell’essere umano.
Da qui derivano i tipici fattori causali chiamati in gioco dagli antropologi nelle loro analisi. A
differenza di altri approcci scientifici, i dati analizzati portano alla definizione dell’essere umano non
più solo in quanto “animale sociale”, come lo definiva Aristotele o “uomo lupo all’uomo” come lo
pensava Hobbes, ma in quanto “organismo bioculturale” i cui tratti distintivi sono determinati sia
da fattori biologici (i geni, il cervello, l’anatomia, ecc.) che da fattori culturali.

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Facoltà di Psicologia

Approfondimento: la Persona
sociale
Inizia in quest’attività un modulo di approfondimento sulla persona sociale che proseguirà nelle
lezioni successive. Si tratta di 14 attività in tutto.
Partiamo dal concetto antropologico di natura. Gli antropologi posseggono due concetti principali
sulla natura:
a. la natura esterna, ovvero l'ecosistema;
b. la natura interna, ovvero quella umana.
Entrambi i concetti si oppongono a quello di cultura. Ciò che è culturale è sempre
qualcosa di diverso dalla natura e la cultura implica sempre una trasformazione e talora una
negazione di ciò che è naturale. L'assioma di Lévi-Strauss, che tutte le società umane distinguano tra
cultura e natura è accettato da molti antropologi, ma altri lo contestano. L'ambiente non umanizzato
che (sempre meno) ci circonda può talora apparire come una delle maggiori minacce ai progetti i
umani: può distruggere i nostri raccolti, uccidere le nostre bestie e così via. Ogni progetto culturale
sembra implicare una trasformazione sia in termini della natura esterna che di quella interna. Nello
stesso tempo la natura è intrinsecamente connessa con la cultura.

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Attività n°: 1

Facoltà di Psicologia

• Molte popolazioni sostengono che la natura fornisce la materia prima su cui costruire la cultura
e che c'è una stretta relazione di mutua interdipendenza tra le due. La natura sembra inoltre
essere più forte e stabile rispetto ai prodotti culturali, che, in confronto, appaiono fragili,
vulnerabili e temporanei. Se dunque si riesce a presentare un ordine sociale come “naturale” si
ottiene un grosso vantaggio nel controllo e nella legittimazione della struttura di una società.

• La natura è spesso percepita come minacciosa e difficile da controllare, eppure essa è sempre
necessaria perché fornisce, come già detto, la materia prima per i prodotti culturali. Nello
stesso tempo la natura è ambigua: è contemporaneamente una fonte di legittimazione ed un
antagonista.
In After nature, Marilyn Strathern (1992) descrive un sistema di parentela e discendenza che
rappresenta un'eccezione poiché fornisce agli individui la scelta di sostituire una riproduzione
“naturale” con una riproduzione “culturale”, ovvero tecnologicamente controllata
(inseminazione artificiale, test di gravidanza ecc.).

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