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Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M.

270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 1
Titolo: INTRODUZIONE al CORSO
Attività n°: 1

Corso di Laurea Scienze e Tecniche


Psicologiche

Psicologia dello sviluppo tipico e atipico


9 cfu

Docente: Prof.ssa Elena Camisasca


elena.camisasca@uniecampus.it
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 1
Titolo: INTRODUZIONE al CORSO
Attività n°: 1

Mi presento:
mi chiamo ELENA CAMISASCA e sono Professore Associato per il settore scientifico-
disciplinare di Psicologia dello sviluppo, presso la Facoltà di Psicologia dell’Università e-
Campus.
Mi sono laureata in Pedagogia e successivamente in Psicologia, indirizzo clinico, presso
l’Università degli Studi di Torino e mi sono specializzata in psicoterapia della famiglia
(scuola Mara Selvini Palazzoli).

Da molti anni svolgo attività di studio e di ricerca nell’ambito della psicologia dello
sviluppo ed in particolare mi sono occupata di maltrattamento e abuso all’infanzia,
genitorialità (sensibilità materna, stress genitoriale, conflittualità genitoriale) e
cogenitorialità e del loro impatto sull’adattamento psicologico dei figli.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 1
Titolo: INTRODUZIONE al CORSO
Attività n°: 1

Il corso di psicologia dello sviluppo tipico e atipico ha l’obiettivo di far


conseguire allo studente i seguenti risultati formativi.

Con riferimento alla conoscenza e capacità di comprensione


Acquisizione di elementi conoscitivi di base su:
- le principali traiettorie di sviluppo tipiche e atipiche in età evolutiva, alla luce delle
principali prospettive epistemologiche e teoriche.
- metodologie e strumenti più idonei per individuare gli elementi atipici dello
sviluppo, in modo da saper progettare adeguati interventi di supporto a tutela dei
minori e della famiglia.

Con riferimento alla conoscenza e capacità di comprensione applicate

Acquisizione di capacità applicative di base rispetto a:


a. Scelta ragionata e somministrazione dei principali strumenti e procedure di valutazione
e misurazione degli elementi atipici dello sviluppo;
b. Elaborazione, interpretazione e stesura dei dati raccolti;
c. Collaborazione nella pianificazione di interventi di supporto rivolti ai minori e alla
famiglia;
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Lezione n°: 1
Titolo: INTRODUZIONE al CORSO
Attività n°: 1

Con riferimento all’autonomia di giudizio


Sviluppo di consapevolezza rispetto a:
a. La criticità del lavoro di valutazione e di intervento sul disagio psicologico;
b. I limiti del livello di formazione raggiunto e del proprio margine di attività;
c. La necessità di supervisione da parte di un laureato magistrale.

Con riferimento alle abilità comunicative


Apprendimento di efficaci competenze comunicative orali e tramite scrittura, sia in
presenza che a distanza, con particolare riferimento a:
a. Produzione di relazioni scritte e orali sui risultati delle indagini valutative e degli
interventi di supporto

Con riferimento all’abilità ad apprendere


Acquisizione di conoscenze teoriche e di competenze nel metodo di studio, utili per accedere ad
un percorso di laurea magistrale.
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Lezione n°: 1
Titolo: INTRODUZIONE al CORSO
Attività n°: 1

Il programma di studio copre 9 crediti formativi universitari (CFU), 7 nuclei


tematici e si sviluppa in 72 lezioni (vedi anche la scheda corso sulla piattaforma)
Molte di queste lezioni sono composte da slides integrate da audio lezioni, prove
di approfondimento con domande aperte da discutere sul forum, quiz di
autoverifica, esercitazioni su casi clinici da discutere sul forum.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 1/S1
Titolo: INTRODUZIONE al CORSO
Attività n°: 1

IL PROGRAMMA DEL CORSO

L’INSEGNAMENTO DI PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO prevede due


principali macro-aree.
La prima parte macro-area del corso concerne lo sviluppo tipico con un particolare
approfondimento degli aspetti emotivi ed affettivi dello sviluppo e dello sviluppo
delle competenze mentalistiche

La seconda macro-area del corso concerne lo sviluppo psicologico atipico, con


riferimento sia ai sistemi diagnostici internazionali relativi alle patologie psichiche
nell’infanzia e nell’adolescenza, sia ai sistemi interpretativi psicologici di
orientamento psicoanalitico e sistemico-famigliare

Inoltre, verranno proposte esercitazioni e riflessioni con l’intento di promuovere una riflessione sul legame
tra teorie psicologiche, metodi e tecniche di intervento
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 1/S1
Titolo: INTRODUZIONE al CORSO
Attività n°: 1

Il programma: sviluppo tipico


La prima macro-area inerente lo sviluppo tipico si propone di
approfondire le tematiche qui di seguito elencate:

Contenuti: sviluppo tipico

- Alcuni modelli teorici interpretativi: comportamentismo, teorie sistemiche, la teoria


dell’attaccamento, psicoanalisi freudiana, l’infant research
- Descrizione di alcuni paradigmi sperimentali: strange, situation, still face, compiti di falsa
credenza, il gioco triadico di Losanna
- Genitorialità tra rischio e protezione
- Emozioni e regolazione emotiva: con un approfondimento del contributo di Tronick
- Lo sviluppo della comprensione del sé e lo sviluppo atipico della mentalizzazione (Fonagy)
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Lezione n°: 1/S1
Titolo: INTRODUZIONE al CORSO
Attività n°: 1

Il programma: sviluppo atipico


La seconda macro-area inerente lo sviluppo atipico si propone
di approfondire le tematiche qui di seguito elencate:

Contenuti: sviluppo atipico


- Sistemi diagnostici internazionali
- Disturbi d’ansia e fobie, disturbi dell’umore, disturbi connessi a stress e trauma, disturbo
oppositivo provocatorio, disturbo della condotta, bullismo, il disturbo da deficit di attenzione
e iperattività, i disturbi dell’apprendimento, il ritardo mentale, disturbi pervasivi dello
sviluppo, gli interventi terapeutici
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 1/S1
Titolo: INTRODUZIONE al CORSO
Attività n°: 1

I nuclei tematici del programma

1) Introduzione: Normalità e Patologia nella psicologia dello sviluppo


2) Genitorialità tra rischio e protezione
3) Emozioni e sviluppo della Regolazione Emotiva
4) La regolazione emotiva nei sistemi diadici e triadici
5) La comprensione del sé e degli altri
6) Le condotte sintomatiche: le classificazioni diagnostiche
7) I disturbi d’ansia e il disturbo ossessivo compulsivo
8) I disturbi dell’umore ed i disturbi connessi a stress e trauma
9) I disturbi dirompenti del controllo degli impulsi e il disturbo da deficit di
attenzione e iperattività
10) I disturbi dello spettro autistico
11) I disturbi specifici dell’apprendimento, la disabilità intellettiva e la plus
dotazione
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Lezione n°: 1/S1
Titolo: INTRODUZIONE al CORSO
Attività n°: 1

Affronterò gli argomenti del programma anche nelle aule virtuali e sarò a
disposizione per le vostre domande e richieste di chiarimenti in quelle occasioni,
ma anche attraverso il sistema di messaggistica della piattaforma
dell’Università e durante le ore di ricevimento studenti nell’ufficio virtuale il
giovedì pomeriggio dalle 16 alle 17. Sono comunque disponibile anche in altri
orari su appuntamento.
Inoltre, nell’aula virtuale terrò anche dei seminari interattivi che potrete seguire
collegandovi dal vostro PC, chiedete ai vostri tutor il calendario con le date e gli
argomenti che verranno trattati.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 1/S2
Titolo: Bibliografia
Attività n°: 1

Modalità di esame

• L’esame si svolgerà in modo conforme alle disposizioni di Ateneo.


• Saranno oggetto di valutazione sia le conoscenze acquisite attraverso lo
studio delle slide e dei testi, sia la capacità di riflettere in maniera
autonoma e critica sui contenuti del corso
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 1/S2
Titolo: Bibliografia
Attività n°: 1

Bibliografia
Costituiranno materiale obbligatorio di studio:

• Slide delle lezioni


• • “ 3 articoli pubblicati sulla Rivista Maltrattamento & Abuso all’infanzia (scaricabili on line al
costo complessivo di 15 euro) https://www.francoangeli.it/riviste/sommario.asp?IDRivista=76
e precisamente:
• Dimitri, S., Pedroni, S., & Donghi, E. (2018). Attraverso le sofferenze della vittima: tra bullismo,
cyberbullismo e proposte di intervento. Maltrattamento e abuso all’infanzia.
• Pedrini, L., & Ghilardi, A. (2016). Salute mentale materna e attaccamento madre-bambino nella gravidanza
a rischio: una revisione sistematica. Maltrattamento e abuso all’infanzia.
• Camisasca, E., Miragoli, S., & Di Blasio, P. (2014). La disorganizzazione dell’attaccamento spiega i sintomi
post-traumatici nei bambini vittime di violenza intrafamiliare?. Maltrattamento e abuso all’infanzia.
• • il volume “Percorsi di sviluppo normale e patologico in età evolutiva ” , Lorenza Di Pentima,
Edizioni Unicopli, 2016
• • il volume “Diagnosi dei disturbi evolutivi: modelli, criteri diagnostici e casi clinici”, di Claudio
Vio e Gianluca Lo Presti. Erikson, 2014 (da studiare i capitoli: 1, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 10
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 1/S2
Titolo: Bibliografia
Attività n°: 1

Le slide
Le slide delle lezioni svolgono differenti funzioni:
• sottolineano i concetti-chiave di ciascun argomento, indispensabili da conoscere
• creano legami concettuali tra argomenti trattati da differenti punti di vista, per
stimolare il pensiero critico e una visione ampia dell’essere umano
• propongono tematiche che spiegano e integrano quanto è affrontato nei libri da
studiare
• si focalizzano su alcuni aspetti dello sviluppo tipico e atipico di recente interesse
scientifico, non trattati nei volumi ma solamente nelle slide
• presentano esemplificazioni ed esercitazioni per facilitare l’apprendimento.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 1/S2
Titolo: Bibliografia
Attività n°: 1

Attenzione:
Le slide non sostituiscono i libri da studiare e, viceversa, i libri da studiare non
sostituiscono le slide
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 1/S3
Titolo: Consigli per lo studio
Attività n°: 1

Suggerimenti per lo studio


Per affrontare il corso è necessario possedere alcune conoscenze base relative alla
psicologia dello sviluppo (che dovreste aver acquisito in un precedente esame di psicologia
dello sviluppo e dell’educazione)

Si consiglia di studiare le slide parallelamente ai testi (in ogni lezione verranno specificate
le pagine del testo a cui riferirsi).
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 1/S3
Titolo: Consigli per lo studio
Attività n°: 1

Precisazione: alcuni testi citati nelle slide (non compresi nella bibliografia) non sono
da studiare per l’esame, ma costituiscono utili riferimenti bibliografici per chi fosse
interessato, per motivi personali e professionali, all’approfondimento di specifici temi.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 2
Titolo: Lo Sviluppo Tipico E Atipico
Attività N°: 2

LO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO

Il percorso di crescita di ogni essere umano è delineato dall’intreccio di fattori molteplici. Se


ripensiamo alla nostra storia, alle persone significative con le quali siamo cresciuti, agli eventi che
abbiamo vissuto, alle scelte che abbiamo operato, possiamo ritrovare un senso e un significato
sottostante il succedersi degli accadimenti della nostra esistenza.
Le lezioni del corso si prefiggono l’obiettivo di descrivere l’intreccio complesso dei fattori che
concorrono a delineare un percorso di sviluppo sano o, all’opposto, atipico,
contraddistinto da forme di disagio che possono insorgere dalla nascita fino alla adolescenza.
Verranno affrontate alcune tipologie di disagio al fine di mettere in luce come fattori di ordine
diverso (alcuni su base innata), altri da ricondursi al contesto socio-relazionale (i rapporti con le
figure genitoriali, con i pari, con la scuola) possano concorre a determinare l’esordio di difficoltà
che trovano la loro espressione sul piano emotivo, comportamentale e cognitivo.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 2
Titolo: Lo Sviluppo Tipico E Atipico
Attività N°: 2

PSICOPAOLOGIA DELLO SVILUPPO

A partire dagli anni ’90 si è assistito ad una progressiva affermazione di una nuova disciplina, la
psicopatologia dello sviluppo (Cicchetti, 1990, Stroufe, 1990). Essa sottolinea l’importanza della
stretta interdipendenza tra comportamento normale e forme di disagio psicologico, tanto che la
comprensione dell’uno non può prescindere dallo studio dell’altro nel medesimo contesto.
Le domande fondamentali che la psicopatologia dello sviluppo si pone sono le seguenti:
- E’ possibile individuare una matrice comune tra lo sviluppo normale e patologico?
- E’ possibile che emergano esiti disadattivi all’interno di un percorso di sviluppo normale e,
in caso affermativo, quali caratteristiche patologiche assumono?
- Può verificarsi anche un processo inverso, ovvero l’emergere di esiti adattivi anche se si è
stati esposti a fattori di rischio grave per lo sviluppo?
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 2
Titolo: Lo Sviluppo Tipico E Atipico
Attività N°: 2

Il tentativo di fornire una risposta a questi interrogativi ha indotto ad analizzare quei


fattori, sia individuali sia ambientali, che possono favorire o al contrario pregiudicare uno
sviluppo sano.

I fattori individuali includono quelli genetici, temperamentali, prenatali e perinatali, la


struttura di personalità.
I fattori ambientali includono la famiglia, la scuola, i rapporti amicali, il contesto sociale
e culturale più ampio.

L’emergere di un disagio viene ricondotto all’interazione tra fattori individuali e


ambientali. Il loro intreccio influenza le capacità dell’individuo di far fronte ad eventuali
difficoltà, le quali hanno un impatto diverso a seconda della fase specifica del ciclo
vitale, ovvero in funzione dei livelli di maturazione oppure della qualità delle esperienze.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 2/S1
Titolo: Normalita' E Patologia
Attività N°: 2

Normalità e patologia / 1

De Ajuraguerra e Marcelli (1982) sottolineano come non sia possibile tracciare una linea netta di demarcazione tra
normalità e patologia in età infantile, quale conseguenza della notevole dinamicità che caratterizza la struttura
psichica degli individui nel corso dei primi anni di vita. Il processo maturativo infatti si connota per la presentazione
simultanea di movimenti progressivi e regressivi, momenti critici che permettono di accedere ad una nuova
struttura di funzionamento psichico e per una notevole sensibilità alle influenze dell’ambiente esterno.
Un comportamento manifesto sia esso mentale (fobie, pensieri ossessivi) o agito (condotte aggressive), può
rappresentare un potenziale patogeno o un sintomo transitorio che accompagna una fase della crescita. Ad
esempio, nella prima e seconda infanzia è frequente l’insorgenza di alcune paure, quali quella del buio, degli
estranei, per alcuni animali che sono momentanee e tendono a risolversi in modo spontaneo.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 2/S1
Titolo: Normalita' E Patologia
Attività N°: 2

Vi sono inoltre bambini che crescono senza aver mai presentato sintomi, almeno in apparenza, e altri ancora
per i quali la mancanza di qualunque forma di disagio, propria dell’infanzia, rappresenta una sorta di
conformismo eccessivo, una sottomissione alle pressioni e alle esigenze dell’ambiente. Questi bambini
vengono descritti come gentili, saggi, docili e privi di difficoltà. In realtà, all’adattamento apparente si
associa una incapacità a costruire una organizzazione psichica interna coerente ed elaborare gli inevitabili
conflitti di sviluppo. E’ al momento dell’adolescenza che le difficoltà si palesano attraverso forme
sintomatiche importanti, come ad esempio gravi forme depressive o disturbi del comportamento
alimentare.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 2/S1
Titolo: Normalita' E Patologia
Attività N°: 2

Come è possibile, allora, definire il concetto di normalità e inevitabilmente anche il suo opposto, la
patologia?

Possiamo individuare 4 punti di vista sulla normalità (D. Marcelli, 2009, “Psicopatologia del bambino”, ed. Masson,
Milano, sesta edizione):

1)Normalità in quanto salute (assenza di sintomi), opposta a malattia


2)Normalità in quanto media statistica
3)Normalità in quanto ideale da realizzare o a cui avvicinarsi
4)Normalità in quanto processo dinamico, capacità di tornare a un certo equilibrio.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 2/S1
Titolo: Normalita' E Patologia
Attività N°: 2

Vediamo i limiti di ciascuna definizione.

1) La prima definizione (salute vs malattia) è molto statica e tende a ridurre la salute (normalità) a assenza di
sintomi e la malattia ai suoi sintomi. In realtà, abbiamo visto come vi possano essere nel corso dell’infanzia
crisi e difficoltà che segnano il passaggio ad una nuova fase della crescita, così come all’opposto l’assenza di
sintomi può rappresentare solo un apparente stato di normalità e salute. Dobbiamo inoltre considerare la
potenzialità di recuperare la salute e, quindi, la normalità come un processo.
2) La seconda definizione (normalità = media) fa riferimento alla curva gaussiana (che ha studiato in statistica, si
tratta della curva a forma di “campana”, dove la media è rappresentata dalla parte più ampia al centro), ma in
questo caso si dovrebbero considerare patologici gli individui molto alti o molto bassi (che stanno agli estremi
della curva) o chi appartiene a partiti politici a cui poche persone aderiscono e così via…
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 2/S1
Titolo: Normalita' E Patologia
Attività N°: 2

Inoltre la normalità intesa come “la maggioranza delle persone fa così” è influenzata ampiamente dalla cultura. La
psicologia dello sviluppo, come disciplina, fa spesso riferimento a questa definizione (non a caso si parla di “tipico” e
“atipico”).
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 2/S2
Titolo: Normalita' E Patologia
Attività N°: 2

Normalità e patologia / 2

3) La terza definizione (normalità = modello ideale da raggiungere) è sottilmente diffusa nella nostra cultura,
specie in quella psicologica (dove spesso agiamo perché pensiamo che le cose “debbano andare così”,
facendo riferimento a un ideale di sviluppo, piuttosto che sulla base della persona che abbiamo di fronte).
Ad esempio, è un modello ideale quello di pensare che la mamma debba salutare il bambino
gioiosamente, altrimenti viene etichettata come una mamma “non sufficientemente buona” o “depressa”.
Chi lo dice che una mamma deve comportarsi così? Certamente le ricerche ci dicono quali sono gli
ambienti più favorevoli per la crescita dei bambini, ma si tratta sempre di medie (e qui torna la definizione
precedente di normalità).
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Lezione N°: 2/S2
Titolo: Normalita' E Patologia
Attività N°: 2

4) L’ultima definizione (normalità come processo adattivo, finalizzato a ritrovare un equilibrio


precedentemente perso) è meno statica delle precedenti definizioni, ma si tratta di sottolineare
l’aspetto adattivo, quasi passivo, dell’essere umano. Spesso i pazienti (piccoli e grandi) mi chiedono:
“mi faccia tornare come ero prima”. Non si tratta però di farli tornare al punto precedente, la vita è un
continuo processo, in ogni momento che passa noi siamo diversi dal momento precedente: è
impossibile tornare al prima. Inoltre, perché il prima era migliore? Se poi si sono sviluppate delle
difficoltà, forse non lo era più il modo migliore di stare al mondo per quella persona. E, ancora, non
c’è un punto “vero” di normalità ed equilibrio a cui dobbiamo riferirci, per cui non ci sono scollamenti
o avvicinamenti a questo punto (si veda anche la critica alla definizione n. 3). Inoltre, cosa significa
adattamento? E’ davvero tornare a un equilibrio perso?
La definizione migliore intende la normalità come una sorta di plasticità nei termini di possibilità di
adattarsi agli eventi e ai cambiamenti dell’ambiente e propri della crescita..
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Lezione N°: 2/S2
Titolo: Normalita' E Patologia
Attività N°: 2

Un altro termine che puoi sentire nell’ambito dello sviluppo psicologico è “immaturità”, che si
riferisce a comportamenti che si situano tra la normalità e la patologia (dove la normalità è
intesa in senso statistico o ideale). Ad esempio, bambini con impaccio motorio vengono definiti
con un’immaturità psicomotoria, oppure bambini che hanno difficoltà a tollerare le frustrazioni
possono essere etichettati con il termine “immaturità affettiva”. Ma, se ci pensiamo bene, cosa
significa che un bambino è immaturo affettivamente? C’è forse una maturità affettiva? E chi
stabilisce cosa sia maturità affettiva?

Le domande che pone il termine “normalità” sono molte e ti sarà apparso chiaro come non esiste
una definizione soddisfacente di normalità.
Normalità e patologia sono due concetti interdipendenti, se non ci fosse uno non ci sarebbe
l’altro. Si tratta di convenzioni, che sottendono una certa idea di uomo.
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Lezione n°: 2/S3
Titolo: Esercitazione
Attività n°: 1

Esercitazione sul forum

Discuta sul forum il suo punto di vista rispetto alle diverse concezioni di
normalità
Discuta perché a sua parere i concetti di normalità e patologia sono
interdipendenti
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Lezione n°: 3
Titolo: I FATTORI DELLO SVILUPPO
Attività n°: 1

I Fattori che influenzano lo sviluppo


normale e patologico

In questa lezione affronteremo brevemente i principali fattori che influenzano lo


sviluppo.
In questa Lezione riprenderemo i principali fattori biologici, ambientali e parleremo
della importante dialettica natura-cultura nei percorsi di sviluppo.
Il contenuto della lezione è tratto e va integrati con i contenuti del volume di:
Di Pentima (2016) Percorsi di sviluppo normale e patologico in età
evolutiva. Unicopli, Milano
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Lezione n°: 3
Titolo: I FATTORI DELLO SVILUPPO
Attività n°: 1

I fattori biologici nello sviluppo patologico


Quando parliamo del delinearsi di un percorso di sviluppo patologico, i fattori biologici
esercitano una influenza molto importante. I fattori biologici che possono concorrere alla
strutturazione di un processo morboso rientrano in due ampie categorie eziologiche:

• quella progenetica, che include i fattori intervenienti prima della fecondazione,


• e quella metagenetica che concerne i fattori che si verificano dopo la fecondazione.

Nel gruppo delle cause progenetiche rientrano:


le alterazioni del patrimonio ereditario, rappresentato da geni e cromosomi; rientrano
anche le aberrazioni cromosomiche, che possono essere di tipo strutturale oppure
numerico. Le prime riguardano alterazioni, ovvero rotture nella struttura dei cromosomi;
le seconde consistono nella presenza di un abnorme numero di cromosomi. Tali
aberrazioni cromosomiche possono causare patologie quali, ad esempio, la sindrome di
Down o trisomia 21, la sindrome di Edwards o trisomia 18
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Lezione n°: 3
Titolo: I FATTORI DELLO SVILUPPO
Attività n°: 1

L'eziologia metagenetica include quei fattori che intervengono durante la gestazione, al momento del
parto oppure nei primi anni di vita.
In funzione del periodo in cui essi agiscono, infatti, si suddividono in:
fattori prenatali - possono intervenire nella fase embrionale (dal concepimento fino all'ottava
settimana di gestazione) oppure durante la fase fetale (dal terzo mese fino alla nascita). In fase
embrionale gli agenti patogeni colpiscono principalmente i tessuti e gli organi, intervendondo nel
momento di massimo accrescimento e differenziazione. Durante la fase fetale gli agenti patogeni
possono rallentare l'accrescimento del feto in generale e colpire selettivamente il cervello.
Gli agenti patogeni che possono intervenire in gravidanza sono:
malattie materne infettive (ad esempio rosolia, influenza, morbillo, epatite) e non infettive (patologie
endocrino-metaboliche come il diabete);
malattie nutrizionali (carenze alimentari e vitaminiche), intossicazioni da agenti chimici (assunzione
di farmaci, alcol, nicotina, droghe), lesioni da agenti fisici (esposizione a raggi X, traumi).
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Lezione n°: 3
Titolo: I FATTORI DELLO SVILUPPO
Attività n°: 1

I fattori perinatali (tra la 27esima settimana di gestazione fino alla prima settimana di
vita extrauterina) costituiscono le cause più frequenti di lesioni a carico del sistema
nervoso centrale. Tra i fattori perinatali vi sono:
• prematurità (nascita prima della 38A settimana),
• basso peso alla nascita,
• post-maturità (nascita dopo la 42 A settimana),
• ittero (incompatibilità materno-fetale legata al fattore RH e più raramente a quello
A.BO),
• ipossia o anossia cerebrali (da ricondursi ad alterazioni placentari, attorcigliamenti del
cordone ombelicale, mancata espansione polmonare),
• traumi cranio-vertebrali verificatesi durante il parto
turbe metaboliche.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 3
Titolo: I FATTORI DELLO SVILUPPO
Attività n°: 1

. I fattori post-natali, infine, che possono causare lesioni a carico del sistema
nervoso rientrano nelle seguenti tipologie: encefaliti, meningite (di natura virale o
batterica), traumi cranici, vasculopatie cerebrali, intossicazioni, ipoalimentazione.

Le cause patogenetiche, appena elencate, tuttavia, non danno conto della complessità
degli elementi che sono alla base di un percorso di sviluppo normale oppure
patologico, alla cui origine si riconosce, invece, un intreccio inscindibile di fattori di
ordine biologico e di ordine relazionale
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 3/S1
Titolo: Il temperamento
Attività n°: 2

Il temperamento
Allport (1937) definisce il temperamento come “ natura emotiva dell’individuo e include
la sua suscettibilità alle stimolazioni emotive, alla sua abituale resistenza e velocità di
risposta, alla qualità del suo umore prevalente, nonché alle peculiarità alle fluttuazioni e
all’intensità dell’umore; questo fenomeno è costituzionale e pertanto ampiamente
ereditato”.
Thomas e Chess, nel delineare le differenze temperamentali pongono l'enfasi
soprattutto su "come" il comportamento viene espresso, piuttosto che sul "cosa", ovvero
sul tipo di azione. Gli autori, peraltro, individuano tre costellazioni di temperamento che
permettono di classificare i bambini come facili, difficili o lenti.
I bambini facili presentano ritmi regolari per ciò che concerne le funzioni biologiche,
mostrano reazioni positive nei confronti di stimoli nuovi, per lo più si adattano ai
cambiamenti e per la maggior parte del tempo sono di umore positivo moderatamente
intenso.
I bambini lenti, invece, hanno una certa irregolarità nelle funzioni biologiche, si
adattano meno rapidamente ai cambiamenti, mostrano una combinazione di reazioni
positive e negative
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Lezione n°: 3/S1
Titolo: Il temperamento
Attività n°: 2

I bambini difficili, infine, hanno ritmi biologici irregolari, per lo più non si adattano ai
cambiamenti, hanno reazioni negative e/o , verso le situazioni nuove e la loro espressione
emotiva nella maggior parte dei casi è intensa e negativa (Attili, 1993).

Un ruolo fondamentale è, tuttavia, svolto dall'ambiente sociale, con particolare riferimento


alle figure genitoriali, le quali rispondono ai piccoli in modo differenziato in funzione del
loro temperamento. Da questo punto di vista è importante la compatibilità nelle
caratteristiche temperamentali tra bambino e genitori, e/o la capacità della madre e del
padre di rispondere in maniera contingente ai comportamenti che esprimono il
temperamento del piccolo in modo da assecondarne le caratteristiche di base. La
relazione caregiver - figlio sembra migliore questi casi, così da consentire uno sviluppo più
adeguato nei piccoli ( Attili &Vermigli, 2002).
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Lezione n°: 3/S1
Titolo: Il temperamento
Attività n°: 2

Le dimensioni temperamentali
Il temperamento secondo Thomas e Chess
Secondo il modello interpretativo proposto da Thomas e Chess (1977) il temperamento dà
conto dello stile comportamentale specifico con cui l'individuo risponde alle sollecitazioni
provenienti dal mondo esterno. Esiste un interscambio reciproco tra temperamento e
ambiente: da un lato l'ambiente esercita un'influenza sul temperamento del bambino,
dall'altro, il temperamento del bambino influenza le valutazioni, gli atteggiamenti e il
comportamento di coloro che interagiscono con il piccolo.
Gli autori hanno individuato nove dimensioni per descrivere le caratteristiche
temperamentali, ciascuna associata ad una valutazione alta o bassa. Descriveremo di
seguito tali dimensioni con alcuni esempi tipici di comportamento che possono essere
osservati nella prima infanzia, in età prescolare o in età scolare (Chess & Thomas, 1987).
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Lezione n°: 3/S1
Titolo: Il temperamento
Attività n°: 2

• Livello di attività: si riferisce all'attività motoria valutata secondo il rapporto tra


periodi attivi e inattivi. Ad esempio nella prima infanzia bambini, valutati con attività
alta, quando fanno il bagnetto scalciano e schizzano, mentre bambini con attività
bassa quando dormono si rigirano non di frequente nel lettino. In età scolare bambini
con attività alta quando tornano da scuola vanno subito a giocare a pallone, mentre
quelli con attività bassa si mettono tranquillamente a fare un puzzle.

• Ritmicità (regolarità): riguarda la prevedibilità o imprevedibilità degli orari delle


funzioni biologiche, come fame, sonno, defecazione. Ad esempio nella prima infanzia
è indicativo di regolarità il fatto che i movimenti intestinali arrivano sempre dopo la
prima colazione, mentre è indicativo di irregolarità il fatto che è difficile abituarlo al
vasino poiché fa i bisogni a qualunque ora. In età scolare è indicativo di regolarità il
fatto che il bambino si sveglia sempre alla stessa ora per andare a scuola. È
indicativo di irregolarità il fatto che i pasti principali o l'andare a letto non avvengono
mai alla stessa ora.
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Lezione n°: 3/S1
Titolo: Il temperamento
Attività n°: 2

• Approccio o evitamento: riguarda la risposta iniziale ad una nuova situazione o


stimolo, come un nuovo gioco, cibo, persona, luogo. Le risposte di approccio sono
positive e si manifestano con l'espressione di stati d'animo segnalati con sorriso,
linguaggio, mimica, oppure con l'attività motoria come inghiottire il cibo nuovo,
allungare la mani verso il giocattolo. Le reazioni di evitamento, al contrario, sono
negative e si manifestano attraverso l'espressione di stati d'animo caratterizzati per lo
più da pianto, oppure da attività motorie come allontanarsi, sputare il cibo, spingere
via il giocattolo nuovo. Comportamenti di approccio si osservano quando durante il
primo giorno di asilo il bambino si mette subito a giocare con i coetanei, mentre è
indicativo di ritiro il mettersi in disparte e attendere alcuni giorni prima di iniziare a
partecipare alle attività di gruppo.

• Adattabilità: questa caratteristica non si riferisce alla risposta iniziale, ma alla facilità
o difficoltà nel modificare la risposta nel tempo. Un esempio di adattabilità alta si
osserva quando viene dato un cibo nuovo: il bambino all'inizio può sputarlo, ma poi lo
mangia. Al contrario, un esempio di adattabilità bassa si riscontra quando il bambino,
ogni volta che indossa la tutina nuova si divincola finché non si esce da casa.
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Lezione n°: 3/S1
Titolo: Il temperamento
Attività n°: 2

• Soglia sensoriale: concerne la stimolazione necessaria per evocare una


risposta riconoscibile, indipendentemente dal tipo di risposta. Ad esempio nella
prima infanzia si rileva una soglia bassa se ogni volta che si chiude la porta,
anche piano, il bambino sobbalza. Si rileva una soglia alta se il bambino non
prova dolore e non lo esprime anche quando si dovrebbe far male.
• Qualità dell'umore: concerne la proporzione tra comportamenti ed espressioni
di stati d'animo piacevoli, allegri e/o amichevoli, rispetto a quelli spiacevoli di
pianto e ostilità. Ad esempio nella prima infanzia sono indicativi di umore positivo
le risposte di sorriso e i vocalizzi quando al bambino vengono presentati un cibo
o un gioco. È indicativo di prevalenza di umore negativo se il bambino piange la
maggior parte delle volte che la sera viene messo a letto.
• Intensità delle reazioni: riguarda il livello di energia delle risposte positive o
negative. Ad esempio nella prima infanzia l'intensità è bassa quando a fronte di
uno stimolo che dà noia il bambino piagnucola, ma non strilla mai, mentre
l'intensità è alta quando, di fronte ad uno stimolo che piace, il bambino fa
vocalizzi e scoppia a ridere forte. In età prescolare l'intensità è bassa quando,
pur avendo ricevuto un giocattolo nuovo che piace il bambino sorride appena,
mentre è alta se, ad esempio, non riuscendo a fare un puzzle il bambino strilla e
fa volare i pezzi
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Lezione n°: 3/S1
Titolo: Il temperamento
Attività n°: 2

• Distraibilità: questa dimensione si riferisce all'efficacia di uno stimolo esterno


nell'ostacolare o deviare un comportamento in corso. Nella prima infanzia si può
rilevare una distraibilità bassa quando il bambino, nel momento in cui ha fame e
deve attendere, non si riesce ad interessarlo ad un gioco e continua a piangere
finché non riceve il cibo. La distraibilità alta si osserva nei bambini, i quali mentre
prendono il latte, mettono di succhiare se si avvicina una persona nuova.
• Perseveranza e durata dell'attenzione: la perseveranza concerne la capacità di
continuare un'attività nonostante ostacoli e problemi, mentre la durata
dell'attenzione si riferisce al periodo di tempo consecutivo dedicato ad una
particolare attività senza interruzioni. Queste due dimensioni per lo più sono
correlate. In età prescolare si ha una perseveranza bassa se, ad esempio,
quando viene richiesto di fare un disegno, dopo il primo tentativo il bambino
perde interesse e smette. La durata dell'attenzione è bassa se dopo aver ricevuto
un gioco nuovo il bambino lo utilizza solo un po', concentrandosi per pochi minuti.
La perseveranza è alta, invece, se, ad esempio, un bambino si sforza pur di
riuscire quando svolge un esercizio in cui trova difficoltà. La durata dell'attenzione
è alta quando un bambino può continuare a svolgere uno stesso compito per un
tempo lungo come un'ora.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 3/S2
Titolo: I fattori ambientali
Attività n°: 2

I fattori ambientali alla base dei


percorsi di sviluppo
Quando si prendono in considerazione i fattori ambientali si fa riferimento per lo più
al tipo di relazione che si è instaurata con i genitori, i membri della famiglia
allargata, il contesto scolastico. È oramai indubbio che la qualità delle cure che si
ricevono fin dalla nascita dalle figure genitoriali siano alla base dello sviluppo
complessivo della personalità dell'individuo; a tal proposito è possibile fare un
riferimento diretto a quanto sostenuto dalla teoria dell'attaccamento.
A modellare il percorso di sviluppo, comunque ,contribuiscono anche altre figure
importanti,sia membri della famiglia, sia appartenenti all'ambiente esterno.
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Lezione n°: 3/S2
Titolo: I fattori ambientali
Attività n°: 2

Le esperienze condivise e non condivise

Per comprendere il ruolo giocato dal complesso intreccio di tutte queste relazioni è utile
distinguere le esperienze condivise da quelle non condivise tra i figli di una medesima
famiglia (Dunn & Kendrick,1998).

Le esperienze condivise sono quelle vissute da tutti i figli, ad esempio condizioni di


povertà, sovraffollamento, separazione e/o divorzio dei genitori, lutti, patologie croniche o
disabilità di un componente della famiglia.
Le esperienze non condivise sono quelle che riguardano singolarmente ciascun
figlio; queste ultime sembrano svolgere un ruolo più rilevante nel dar conto del perché
alcuni figli sviluppano un disagio in un certo momento della crescita (Dunn & Plomin,
1990). Tra le esperienze non condivisevi sono i trattamenti differenti dei genitori nei
confronti dei figli ;questi possono essere percepiti come forme di discriminazione tanto da
far scattare confronti e rivalità tra fratelli e/o sorelle.
Rientrano nelle esperienze non condivise il rapporto con gli insegnanti, che tanta parte
svolgono nella riuscita scolastica, oppure con i pari, i quali influenzano l'emergere delle
competenze relazionali e il successo nell'inserimento sociale.
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Lezione n°: 3/S2
Titolo: I fattori ambientali
Attività n°: 2

L’ approccio ecologico allo sviluppo: Urie Bronfenbrenner (1979)


L’autore pone in primo piano l'importanza del contesto inteso come
insieme ordinato di più strutture, l'una inclusa nell'altra.
Il contesto è strutturato secondo livelli concentrici: il microsistema, il
mesosistema, l'esosistemae il macrosistema.

micro
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Lezione n°: 3/S2
Titolo: I fattori ambientali
Attività n°: 2

. Il microsistema comprende le relazioni tra l'individuo e i membri della famiglia, oppure


con l'insegnante e i coetanei, siano essi compagni di scuola o vicini di casa.
Le interconnessioni tra tali livelli riguardano il mesosistema, il quale ha effetti diretti
sullo sviluppo del bambino. Ad esempio l'esito dell'apprendimento di competenze, quali la
scrittura e la lettura, può dipendere non solo dalle capacità di base, dal sostegno e dalla
fiducia dei genitori e da come viene impartito l'insegnamento, ma anche dalla qualità dei
legami tra scuola e famiglia.
Il terzo livello è l'esosistema, che comprende le condizioni di vita e di lavoro della
famiglia, della scuola e del gruppo dei coetanei. Si tratta di situazioni ambientali che
influenzano lo sviluppo del bambino, ma nelle quali egli non è presente (ad esempio il tipo
di attività lavorativa dei geni tori).
Ad un livello ancora più ampio, infine, vi è il macrosistema, che comprende le politiche
sociali e dei servizi, nonché le caratteristiche socioculturali del contesto di appartenenza.
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Lezione n°: 3/S2
Titolo: I fattori ambientali
Attività n°: 2

L'interconnessione tra i diversi sistemi ha un peso importante sulla possibilità


dei genitori di fornire cure adeguate ai propri figli.
ESEMPLIFICAZIONE:
Pensiamo, ad esempio, alle donne immigrate che vivono la gravidanza e il puerperio
in un paese assai lontano dal proprio non solo da un punto di vista geografico, ma
soprattutto da un punto di vista linguistico, culturale e degli affetti familiari e di come le
difficoltà, a cui devono far fronte abbiano effetti sullo sviluppo e sul benessere
complessivo del nascituro.
A livello di microsistema le donne immigrate vivono spesso la gravidanza con profondi
sentimenti di solitudine ed emarginazione sociale per la mancanza del supporto della
famiglia d'origine. Un ruolo importante è svolto anche dal rapporto con i servizi
sociosanitari del territorio; spesso barriere linguistiche e/o culturali rendono difficoltosa
l'assistenza sanitaria per le gestanti immigrate.
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Lezione n°: 3/S2
Titolo: I fattori ambientali
Attività n°: 2

A livello di mesosistema sono fondamentali i rapporti che si instaurano tra la


famiglia immigrata e i servizi: la possibilità di un accompagnamento idoneo da
parte dei servizi sanitari, ad esempio, consente di prevenire il rischio di
depressione post partum così da evitare che siano compromesse le capacità di
cura nei confronti del figlio.
A livello di esosistema è necessario prendere in considerazione le condizioni di vita
e di lavoro della famiglia, ma anche le condizioni in cui operano i servizi. Le
famiglie immigrate, infatti, spesso vivono in abitazioni fatiscenti, in periferie
degradate; il livello economico, nella maggior parte dei casi, è al limite della
sussistenza non potendo fare affidamento su un lavoro stabile e ben retribuito. La
precaria situazione economica spesso può compromettere la possibilità per la
gestante di ricevere l'assistenza sanitaria necessaria, così come anche la
possibilità successiva di garantire al bambino le cure opportune per la sua crescita.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 3/S2
Titolo: I fattori ambientali
Attività n°: 2

Allo stesso modo anche le condizioni in cui operano i servizi sanitari sono altrettanto
importanti; Gozzoli e Regalia (2005) mettono in evidenza che gran parte delle
barriere culturali, linguistiche e relazionali potrebbero essere superate se i servizi
potessero disporre di figure professionali preparate all'incontro con le famiglie
immigrate, dotandosi di una èquipe transculturale che possa svolgere funzioni di
mediazione linguistica e culturale.

Infine a livello di macrosistema è necessario prendere in considerazione non solo le


politiche sociali inerenti la realizzazione di servizi specifici per la popolazione
immigrata, ma soprattutto le differenze culturali per riò che concerne i vissuti ei
significati legati alla gravidanza e al parto nonché alla pratiche educative. Non è
infrequente che le donne immigrate mantengano idee precise su come desiderano
far crescere i figli 1vogliano riproporre lo stile educativo che caratterizzala propria
cultura (Ciulla, Garro, & Vinciguerra, 2010), sebbene riescano poi a realizzare un
equilibrio tra le tradizioni della famiglia d'origine e la nuova realtà culturale del paese
d'accoglienza.
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Lezione n°: 3/S3
Titolo: La dialettica natura - cultura nei percorsi di sviluppo
Attività n°: 2

La dialettica natura - cultura nei


percorsi di sviluppo
Sulla base di quanto illustrato finora appare evidente che il processo di sviluppo
dell'individuo, sia esso normale o patologico, sia fortemente influenzato dal tipo di
esperienze che sono fornite dall'ambiente. Comunque la dicotomia natura-cultura,
che ha visto contrapporre schiere di psicologi nel tentativo di ricondurre lo sviluppo
sano o l'emergere di una qualche forma di disagio ad una delle due polarità è stata
superata dal riconoscimento della stretta interdipendenza tra i due ordini di fattori.
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Lezione n°: 3/S3
Titolo: La dialettica natura - cultura nei percorsi di sviluppo
Attività n°: 2

Se inizialmente la questione è stata posta nel tentativo di individuare l'una o l'altra


polarità come causa sottostante i processi di sviluppo, più recentemente il focus si è
spostato nella direzione di capire come i fattori interagiscono nel contribuire a
determinare i cambiamenti nel ciclo di vita.
Si cerca di comprendere, ad esempio, fino a che punto la variabilità comportamentale
sia da ricondursi alle differenze ereditarie o all'esposizione alle molteplici esperienze
ambientali (Miller, 2011). Alcuni studi hanno indagato non solo come una certa
predisposizione genetica dia luogo a specifiche risposte alle sollecitazioni ambientali,
ma anche come essa contribuisca alla scelta di un determinato contesto relazionale.
Ciò è evidente se poniamo a confronto bambini dal temperamento esuberante con
coetanei dal temperamento più tranquillo e riflessivo: i primi tenderanno a ricercare
compagni di gioco altrettanto vivaci e si impegneranno in attività di movimento e azione,
lì dove i secondi preferiranno un ambiente meno stimolante con giochi più lenti.
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Lezione n°: 3/S3
Titolo: La dialettica natura - cultura nei percorsi di sviluppo
Attività n°: 2

Le due tipologie di bambini, pertanto, sceglieranno contesti diversi che li esporranno ad


esperienze differenti (Pennington et al., 2009). Altre ricerche si sono occupate di individuare
quali caratteristiche dell'ambiente influenzano l'espressione di geni specifici e soprattutto
con quali modalità esse agiscano.
In questo ambito Brody, Beach, Philibert, Chen e Murry (2009) hanno svolto una indagine
riguardo il rischio genetico inerente la manifestazione di alcuni problemi comportamentali.
La ricerca ha coinvolto un campione di bambini afro-americani di 11 anni, i quali
presentavano una variazione su un gene specifico che determinava una produzione ridotta
del neurotrasmettitore cerebrale serotonina con una conseguente maggiore tendenza a
mettere in atto comportamenti a rischio, quali uso di droghe, assunzione di alcol,
atteggiamenti sessualizzati, atti ad aumentare il rilascio di questo ormone e/o a stimolare
l'attività dei suoi recettori. L'emergere di tali comportamenti devianti poteva essere
contrastato attraverso un intervento sui genitori, i quali sono stati coinvolti in un programma
mirato a migliorare la comunicazione con i figli, la capacità di gestire la relazione con loro,
nonché le abilità nel fornire un adeguato sostegno emotivo.
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Lezione n°: 3/S3
Titolo: La dialettica natura - cultura nei percorsi di sviluppo
Attività n°: 2

I ricercatori hanno riscontrato che nel corso dei successivi due anni i bambini a rischio
avevano ridotto i comportamenti devianti fino alla loro scomparsa, tanto che non vi erano
differenze rispetto ai coetanei che non avevano il medesimo patrimonio genetico.
L'intervento sul contesto familiare, pertanto, aveva avuto il proprio effetto
sull'espressione genetica. In accordo con gli studi più recenti di epigenetica i fattori
ambientali possono inibire oppure favorire l'espressione di geni specifici.
Oggi è ormai accreditata la tesi per cui lo sviluppo cerebrale scaturisce da una
intcrazione complessa tra fattori innati e ambientali. La struttura cerebrale influenza il
comportamento, ma quest'ultimo, a propria volta, dà conto dello strutturarsi delle vie
neurali. Ad esempio il piccolo ricercando determinati stimoli rinforza alcuni circuiti neurali
piuttosto che altri, l'esperienza contribuisce a modellare il processo di sviluppo celebrale
(Johnson, 2000).
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Lezione n°: 04
Titolo: GENITORALITÀ TRA FATTORI DI RISCHIO E DI PROTEZIONE
Attività n°: 01

Fattori di rischio e di protezione e competenze


genitoriali

Il contenuto della lezione è tratto da Di Blasio, 2005 Tra rischio e


protezione. Unicopli Milano.
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Lezione n°: 04
Titolo: GENITORALITÀ TRA FATTORI DI RISCHIO E DI PROTEZIONE
Attività n°: 01

RISCHIO & PROTEZIONE

La concezione basata sui fattori di rischio e di protezione si propone di far emergere non
solo le caratteristiche e le peculiarità familiari che mettono a rischio il bambino ma anche
le potenzialità e le risorse residue che potrebbero contrastare e ridurre l’impatto dei
fattori negativi.
Si basa sull’idea che negli individui e nelle famiglie esistano una dinamicità e una stretta
interrelazione tra eventi positivi e negativi, non riconducibili alla semplice individuazione
descrittiva degli uni e degli altri.

L’evidenza che la semplice enumerazione dei fattori negativi non sia sufficiente a spiegare
il maladattamento è dimostrata dal fallimento delle concezioni classiche del
rischio, sia quella fondata sulla prospettiva della causalità diretta (vi è una causa certa e
prevedibile a cui segue un dato effetto) sia quelle basate sulle causalità multifattoriale
che pure prevedono la convergenza di diversi elementi eziologici
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Lezione n°: 04
Titolo: GENITORALITÀ TRA FATTORI DI RISCHIO E DI PROTEZIONE
Attività n°: 01

LE CONCEZIONI SUL RISCHIO

Gli studiosi hanno da tempo abbandonato la tesi UNIDIREZIONALE e SEMPLIFICATA


«causalità diretta» che individuava in un fattore prevalente (es. malattia mentale del
genitore) la sola causa del fallimento nel prestare le cure ai figli o della presenza di disturbi
psicologici nel bambino

E’ pertanto stata proposta una concezione più complessa e articolata basata sul concetto di
«causalità multifattoriale» che ha portato i ricercatori a individuare un profilo di
rischio, desumibile dalla presenza di indicatori cumulativi derivanti da diversi domini di tipo
biologico e psicosociale. Ad esempio, la psicopatologia del genitore viene studiata in
connessione a fattori biologici, ambiente sociale, relazioni affettive primarie, rapporto con il
coniuge ….

Perché anche questa concezione appare agli studiosi insoddisfacente?

Per il fatto che non è riuscita a spiegare le ragioni per cui molte persone che sperimentano
o hanno sperimentato svariati eventi negativi e il cui profilo di rischio è alto presentino la
capacità di mantenere un discreto adattamento, di adottare strategie di coping efficaci e
conservino aree di competenza (resilienti).
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Lezione n°: 04
Titolo: GENITORALITÀ TRA FATTORI DI RISCHIO E DI PROTEZIONE
Attività n°: 01
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Titolo: GENITORALITÀ TRA FATTORI DI RISCHIO E DI PROTEZIONE
Attività n°: 01

Trovarsi in Situazioni Rischiose


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Lezione n°: 04
Titolo: GENITORALITÀ TRA FATTORI DI RISCHIO E DI PROTEZIONE
Attività n°: 01

L’introduzione del concetto di resilienza modifica radicalmente le classiche concezioni sul


rischio (diretta e multifattoriale) e porta a concludere che qualsiasi agente causale preso
singolarmente o in associazione con altri NON produce spiegazioni soddisfacenti
sulla dinamica che si innesca tra eventi critici e reazioni degli individui.

In altri termini, una analisi basata sui soli fattori di rischio non consentirebbe di accorgersi e di
osservare o comprendere la natura della resilienza e indurrebbe una sottostima delle abilità e
potenzialità degli individui.
Si parla di resilienza come processo per sottolineare la dimensione dinamica della
resilienza che è il risultato del modo in cui i fattori protettivi si amalgamano e assumono
forme dotate di significato, diventando parte di un processo compensatorio che serve a
promuovere l’adattamento.

La recente concezione del rischio chiamata per meccanismi e processi ha pertanto


introdotto dei termini nuovi: risorsa, fattori protettivi e processi protettivi.
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Lezione n°: 04
Titolo: GENITORALITÀ TRA FATTORI DI RISCHIO E DI PROTEZIONE
Attività n°: 01
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Lezione n°: 04/S1
Titolo: GENITORALITÀ TRA FATTORI DI RISCHIO E DI PROTEZIONE
Attività n°: 01

Approccio Process – Oriented

Approccio al rischio che considera una complessa


articolazione di elementi che entrano in gioco nei percorsi
evolutivi e nei processi sottesi alle dinamiche
dell’adattamento e del maladattamento

(Cummings, Davies e Campbell, 2000; Di Blasio, 2005)


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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 04/S1
Titolo: GENITORALITÀ TRA FATTORI DI RISCHIO E DI PROTEZIONE
Attività n°: 01
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 04/S1
Titolo: GENITORALITÀ TRA FATTORI DI RISCHIO E DI PROTEZIONE
Attività n°: 01
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 04/S1
Titolo: GENITORALITÀ TRA FATTORI DI RISCHIO E DI PROTEZIONE
Attività n°: 01
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 04/S1
Titolo: GENITORALITÀ TRA FATTORI DI RISCHIO E DI PROTEZIONE
Attività n°: 01
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 04/S1
Titolo: GENITORALITÀ TRA FATTORI DI RISCHIO E DI PROTEZIONE
Attività n°: 01

Le reazioni genitoriali disfunzionali possono essere reazioni occasionali


che non si ripeteranno in altre circostanze o contesti, oppure risposte
organizzate in pattern che si ripetono e che riflettono gli specifici
elementi del funzionamento della persona
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 04/S1
Titolo: GENITORALITÀ TRA FATTORI DI RISCHIO E DI PROTEZIONE
Attività n°: 01
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 4/S2
Titolo: I Modelli Mentali Dell’attaccamento
Attività N°: 2

I modelli mentali dell’attaccamento

Bowlby (1975) ipotizza che, attraverso i primi scambi con le figure di attaccamento
significative, l'individuo costruisca dei modelli operativi interni sempre più complessi
sia delle figure affettive sia di se stesso.
Secondo B. un modello operativo interno é una struttura mentale che consiste nella
rappresentazione dell’individuo ..:

1) di se stesso (nel contesto di una specifica relazione di attaccamento);


2) della figura di attaccamento
3) dello stato affettivo associato alla relazione.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 4/S2
Titolo: I Modelli Mentali Dell’attaccamento
Attività N°: 2

Saranno questi modelli interni che gli faranno interpretare il mondo e che guideranno
il suo comportamento in situazioni nuove.
• Certo le immagini, i modelli di se stesso e della figura di attaccamento principale
non sono fissi; anzi sono dinamici e suscettibili di cambiamento a seguito delle
continue e nuove esperienze che il bambino fa del mondo esterno. Purtroppo
però finiscono col diventare e mantenersi stabili.
• Essi infatti influenzano la costruzione delle nuove esperienze ovvero fanno sì che
un individuo cerchi attivamente, sia pure a livello inconsapevole, persone,
situazioni e relazioni che corrispondono alle sue aspettative affettive. Le nuove
esperienze finiranno quindi, molto probabilmente, per confermare quegli stessi
modelli iniziali.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 4/S2
Titolo: I Modelli Mentali Dell’attaccamento
Attività N°: 2

Allora, se il bambino ha avuto delle esperienze precoci che lo hanno portato a costruirsi
un modello mentale della figura di attaccamento come di una persona che in caso di
necessità é pronta ad offrire aiuto e conforto, e di conseguenza é riuscito a
rappresentare se stesso come persona degna di essere confortata ed amata, avrà meno
bisogno di controllare continuamente la disponibilità della sua figura di attaccamento.
Sarà così più libero ed autonomo nell'esplorazione del mondo circostante e si
aspetterà fiduciosamente di essere accettato, amato e confortato dagli altri, adulti
o coetanei con cui sceglierà di interagire.
Questa maggiore fiducia in se stesso lo porterà da un lato ad essere parte attiva
nell'andamento delle interazioni di cui é partecipe e dall'altra ad evitare situazioni e
persone che possano farlo sentire frustrato nel suo bisogno e nella sua sicurezza di
essere accettato e amato.

Ma cosa accade quando il bambino ha sperimentato precocemente risposte


intermittenti e imprevedibili alle sue richieste di affetto, oppure ha avuto una figura
di attaccamento pronta a ridicolizzare o rifiutare il suo bisogno di conforto?
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 4/S2
Titolo: I Modelli Mentali Dell’attaccamento
Attività N°: 2

In questo caso egli formerà un modello mentale di se stesso come di persona a


cui non si deve conforto, in quanto non degno di essere amato, e una
immagine della figura di attaccamento come di persona inaffidabile o da cui
non aspettarsi niente o tale da dare risposte inaffidabili.

Queste aspettative verranno estese a tutte le figure affettive che si incontreranno nel
corso della vita e determineranno i comportamenti indirizzati ad esse. In altri termini,
tutte le informazioni relative alle nuove relazioni vengono assimilate ai modelli
mentali già esistenti.

Nella sessione successiva vedremo i diversi modelli operativi dei bambini evitanti (A)
sicuri (B) e ansioso ambivalenti (C).
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 4/S3
Titolo: Bambini evitanti sicuri e ambivalenti
Attività n°: 2

I modelli operativi

bambini evitanti sicuri e


ambivalenti
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 4/S3
Titolo: Bambini evitanti sicuri e ambivalenti
Attività n°: 2

I bambini Evitanti (A) si penseranno come soggetti non degni di ricevere cure e amore,
di essere cattivi e della Figura di attaccamento (fda) come di persona ostile e non pronta a
dare aiuto.

I modelli operativi convogliano una rappresentazione della fda come non disponibile alle
proprie richieste di aiuto e conforto, rifiutante, distante ostile. («Se piango e cerco di
essere consolato, non mi vuole, mi respinge, si arrabbia»). In corrispondenza a questa
rappresentazione della fda, la rappresentazione del sé é improntata dall'idea di possedere
scarse capacità di suscitare nell'altro risposte positive e affettuose; l'immagine che si ha di
sé é quella di un essere poco amabile e che comunque deve tenersi a distanza dall'altro
anche se avrebbe il desiderio di avvicinarlo.

Si noti che il modello operativo riflette le concrete esperienze che il bambino ha avuto
con la fda.

Inoltre, nell'attaccamento evitante si trovano prove indirette che le ordinarie


regole del sistema di attaccamento sono ancora attive mentre il comportamento
esplicito è guidato in altra direzione (quella appunto dell'evitamento).
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 4/S3
Titolo: Bambini evitanti sicuri e ambivalenti
Attività n°: 2

Infatti, il bambino evitante è impegnato in uno sforzo attivo per distogliere la


propria attenzione dalla fda, come se dovesse opporsi attivamente alla innata
tendenza a rivolgersi a lei; ad es. alcuni bambini rivolgono l'attenzione in maniera
rigida, coartata, verso un giocattolo come se usassero il giocattolo quale strumento a cui
ancorare un interesse che altrimenti si rivolgerebbe spontaneamente verso la fda.

Questi segni comportamentali sono confermati da analisi fisiologiche (frequenza cardiaca,


resistenza cutanea, livello ematico di cortisolo) che indicano un livello di stress
notevolmente superiore in questi bambini rispetto ai bambini sicuri.

Sembra quindi che il bambino evitante non abbia inibito il proprio sistema
motivazionale di attaccamento, ma stia usando il proprio modello operativo
interno in modo tale da garantirsi, visto la rappresentazione che ha di sé e della
propria fda, il massimo grado di vicinanza alla fda che quest'ultima permette.

E' come se nella mente del bambino evitante si svolgesse questo ragionamento: "se
protesto per la separazione, o mi avvicino al momento della riunione, é probabile che sarò
allontanato ancora di più, o rifiutato più dolorosamente; se con uno sforzo riesco invece a
tenermi a distanza, otterrò il massimo dell'attenzione che mia madre é disposta a darmi.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 4/S3
Titolo: Bambini evitanti sicuri e ambivalenti
Attività n°: 2

Nei bambini sicuri (B) i modelli operativi sembrano funzionare in perfetto accordo con le regole
originarie e innate del sistema di attaccamento.
Essi infatti convogliano una rappresentazione della fda disponibile a rispondere positivamente e
coerentemente alle proprie richieste di aiuto e conforto.
La rappresentazione del sé, di conseguenza, é impregnata dal senso di essere fondamentalmente degno
di amore, e che le proprie esigenze di conforto hanno valore e significato.
Nulla quindi nel modello operativo si frappone alla ricerca della vicinanza protettiva guidata
dalle regole del sistema di attaccamento.

Come nel caso dell'attaccamento evitante, anche nell'attaccamento sicuro la rappresentazione di


sé si costituisce come immagine speculare dell'atteggiamento che la fda ha verso il bambino: il sé e
l'altro condividono la visone fondamentale della propria identità e del proprio reciproco
rapporto. Da un lato, atteggiamento di disponibilità della fda che si riflette nella rappresentazione
condivisa di un sé amabile, e di un altro degno di fiducia e di una relazione piena di significato e valore;
dall'altro atteggiamento di indisponibilità della fda e comportamento evitante del bambino che si
riflettono nella rappresentazione (condivisa) di un sé non amabile, di un altro "lontano" e di una
relazione faticosa, opprimente o negativa.

La maggiore fiducia in se stesso del B lo porterà da un lato ad essere parte attiva nell'andamento delle
interazioni di cui é partecipe e dall'altra ad evitare situazioni e persone che possano farlo sentire
frustrato nel suo bisogno e nella sua sicurezza di essere accettato e amato.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 4/S3
Titolo: Bambini evitanti sicuri e ambivalenti
Attività n°: 2

Nel caso dell'attaccamento ansioso ambivalente (C), i modelli operativi


appaiono più complessi e meno facile é identificare la condivisione dei contenuti di
coscienza tra bambino e fda durante le interazioni di attaccamento.
Nell'esperienza memorizzata del bambino esistono episodi in cui la fda risponde
positivamente alla propria ricerca di vicinanza, ed episodi in cui invece tale
risposta é negativa, senza alcuna regola evidente che giustifichi il passaggio
della fda dall'uno all'altro atteggiamento.

E' stato ipotizzato da Attili (1989) che, dati i limiti delle capacità cognitive dei
bambini di un anno circa, in tali condizioni si formino due modelli operativi
distinti di sé e della fda. Dall'alternarsi e sovrapporsi dei due modelli operativi (che
le capacità cognitive non permetterebbero di sintetizzare) deriverebbe lo stile di
attaccamento ambivalente nella S.S.
Liotti (1994) ipotizza nello sviluppo successivo di un bambino la formazione di una
una struttura cognitiva sovraordinata che appare come una rappresentazione di sé
e dell'altro e della relazione
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 4/S3
Titolo: Bambini evitanti sicuri e ambivalenti
Attività n°: 2

E' infatti plausibile inferire - visto il comportamento di accudimento imprevedibile


e intrusivo della fda e il suo essere invischiata ancora nell'elaborazione di
problematiche irrisolte di comunicazione coi propri genitori - che il bambino non
sia visto come un centro autonomo di iniziative dotate di significato e valore
(valore vissuto come positivo in B e negativo in A) ma come un oggetto passivo
da controllare (per evitare che procuri al genitore emozioni sgradevoli) un
"oggetto" che si può trascurare quando non si ha il desiderio di stargli vicino.
Il bambino può arrivare a cogliere questa visione di sé e dell'altro come "oggetti"
da controllare, piuttosto che come centri autonomi di iniziativa e a condividerla.

In particolare, penserà che il mantenimento della relazione é tutto a carico suo, e


che deve fare delle cose per ottenere la vicinanza della madre. Penserà che gli
esseri umani sono oggetti che si manipolano, che si controllano, che non sono
dotati di centri autonomi di iniziativa, esseri che quindi vanno controllati e
manipolati.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 4/S3
Titolo: Bambini evitanti sicuri e ambivalenti
Attività n°: 2

Le prime rappresentazioni cognitive di sé, nei tre pattern di attaccamento che abbiamo fin
qui considerato, riflettono dunque come in un metaforico specchio interpersonale,
l'atteggiamento che verso il bambino hanno avuto le fda.

Nel caso dell'attaccamento Disorganizzato (D). l'effetto specchio nella costruzione dei
modelli operativi appare più complesso che negli altri pattern di attaccamento e conduce
alla costruzione di immagini frammentarie e multiple di sé e della fda come se ci si
trovasse di fronte a uno specchio infranto.

Parleremo ancora di attaccamento disorganizzato e vi ricordo che il vostro programma


prevede lo studio dell’articolo:

Camisasca, E., Miragoli, S., & Di Blasio, P. (2014). La disorganizzazione dell’attaccamento


spiega i sintomi post-traumatici nei bambini vittime di violenza
intrafamiliare?. Maltrattamento e abuso all’infanzia.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 5
Titolo: L’attaccamento disorganizzato
Attività n°: 1

L’attaccamento disorganizzato
Di Pentima (2016), nel volume oggetto del vostro studio, sottolinea che gli studi
della Ainsworth e dei suoi colleghi (1978), attraverso l'impiego Strange Situation, avevano
consentito di individuare anche una serie di comportamenti che non era possibile includere
nei gruppi attaccamento sicuro, ambivalente ed evitante.
Si trattava di comportamenti all'apparenza privi di una evidente strategia
finalizzata al mantenimento del contatto con la figura di riferimento. Mancavano,
ad esempio, i comportamenti di esplorazione e quelli di attaccamento verso la madre,
mentre in alcuni casi questi ultimi potevano essere diretti verso l'estraneo. Erano
prevalenti manifestazioni di cautela e paura, segni evidenti di stress e mancava quasi del
tutto l'espressione di emozioni positive (quali sorrisi, vocalizzi) nei confronti della madre.
Per un approfondimento su attaccamento disorganizzato si ricorda lo studio di
Camisasca, E., Miragoli, S., & Di Blasio, P. (2014). La disorganizzazione dell’attaccamento spiega i sintomi post-traumatici
nei bambini vittime di violenza intrafamiliare?. Maltrattamento e abuso all’infanzia.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 5
Titolo: L’attaccamento disorganizzato
Attività n°: 1

Si palesavano, inoltre, comportamenti apparentemente "bizzarri" quali ad esempio


rimanere immobili, raggomitolarsi a terra, azioni ripetitive, tentativi di rassicurazione
coprendosi gli occhi o le orecchie.

Erano presenti, infine, strategie molteplici, ovvero un'alternanza di richiesta di


contatto e di rifiuto, comportamenti provocatori, ricerca di conforto all'interno di relazioni
con altri adulti.

Dobbiamo a studi successivi l'aver ricondotto queste modalità


comportamentali ad una ben specifica tipologia di attaccamento, che Main e
Solomon (1986) hanno definito "disorganizzata-disorientata" (attaccamento
D) e Crittenden (1985) "ambivalente - evitante" (attaccamento A/C).

Da queste ricerche emerge che i bambini, raggruppati in questa tipologia di


attaccamento, hanno avuto un caregiver profondamente coinvolto in gravi difficoltà per-
sonali, quali depressione, lutti non risolti, dipendenza da alcol o sostanze stupefacenti,
patologie psichiatriche, difficoltà nel tollerare le frustrazioni e nel gestire i propri impulsi
tanto da mettere in atto comportamenti violenti e/o abusanti o di estremo ritiro nei
confronti dei figli.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 5
Titolo: L’attaccamento disorganizzato
Attività n°: 1

In altri termini questi bambini speri mentano una figura allevante


spaventata/spaventante, incapace di fornire cure e rassicurazione.
Ciò produce una situazione paradossale: quando un bambino percepisce una minaccia
nell'ambiente ricerca protezione dalla figura di attaccamento, ma avvicinarsi potrebbe
rivelarsi dannoso poiché è il caregiver stesso a rappresentare un pericolo per il
piccolo.

Infatti l’emozione che il bambino esperisce nella relazione col genitore è la paura.

Secondo Main e Solomon (1986) la duplice tendenza ad avvicinarsi e ad allontanarsi, che


il piccolo non riesce a risolvere, determina il crollo delle strategie di attaccamento così
da indurre la comparsa di comportamenti incoerenti, per l'appunto disorganizzati.
Secondo la Crittenden (1985), al contrario, è possibile rintracciare una strategia
organizzata all'interno delle azioni bizzarre di questi bambini poiché il rimanere immobile
oppure coprirsi gli occhi, l'evitamento e la resistenza al contatto hanno la funzione di
prendere tempo per decodificare lo stato emotivo della madre e valutare la possibilità di
avvicinarsi o meno.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 5
Titolo: L’attaccamento disorganizzato
Attività n°: 1

I modelli operativi interni dei bambini disorganizzati

Nell'attaccamento D. si ha ragione di ipotizzare lo sviluppo di modelli operativi


molteplici e incoerenti, in singolare contrasto col modello unitario e coerente che
caratterizza il pattern sicuro.
Consideriamo infatti come il bambino possa costruire le rappresentazioni di sé durante
l'interazione con una fda "paurosa".
1. Anzitutto, é plausibile che il bambino D, non ricevendo dalla fda segnali di evidente
indisponibilità e di esplicito rifiuto, possa tendere a una rappresentazione di sé come
accettabile e dell'altro come potenzialmente disponibile.
2. Simultaneamente però il bambino percepisce la fda come fonte di paura: potrà quindi
cominciare a costruire una rappresentazione di sé come vittima impotente di un altro
misteriosamente minaccioso.
3. Dato però che il bambino nota espressioni di paura nel comportamento della fda
quando lui le si avvicina, é anche possibile che nella sua memoria episodica si gettino le
basi per una rappresentazione di sé come pericoloso per le persone amate (o in casi
estremi "mostruoso", portatore di caratteristiche malvagie tali da spaventare gli altri
deboli e impotenti).
4. E' anche possibile non appena le capacità del bambino consentano questa
interpretazione che egli rappresenti tanto sé quanto la fda come deboli e indifesi di
fronte a una fonte esterna di misterioso pericolo.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 5
Titolo: L’attaccamento disorganizzato
Attività n°: 1

5. Se poi accade che la fda tragga conforto dalla vicinanza col bambino e quindi muti il
proprio atteggiamento pauroso, nel corso della ricerca di vicinanza operata dal figlio, il
bambino può percepirsi come salvatore onnipotente di una fda vista come debole
e indifesa.
6. E' infine possibile che il genitore dolente e "pauroso" forzi il figlio con esplicite
richieste pressanti o anche con la violenza a invertire il ruolo di attaccamento in un
ruolo di accudimento. In questi casi il bambino sentendosi inadeguato a soddisfare le
richieste di conforto avanzate dal genitore sofferente, potrà costruire una immagine di
sé carica di sentimenti di incapacità, inefficienza e colpa e una rappresentazione
del genitore che oscilla tra le attribuzioni di debolezza /infelicità e quelle di
malvagità/oppressione.

Tale relazione quindi porta alla costruzione simultanea di abbozzi multipli,


reciprocamente incompatibili e incoerenti di rappresentazioni del sé e
dell'altro.
Ciò comporta influenze talmente complesse e contradditorie sulla azione esplicita dei
bambini da rendere inevitabile la comparsa di comportamenti dissociati nella Strange
Situation.
La funzione integratrice della coscienza appare dunque turbata in funzione
della molteplicità dei modelli operativi
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 5/S1
Titolo: La mentalizzazione
Attività n°: 1

La mentalizzazione
Un attaccamento insicuro è legato allo sviluppo di disturbi psichici. Bowlby individua
alcuni eventi della vita cruciali nello sviluppo della psicopatologia (ansia, depressione,
psicosi…), ad esempio: la perdita dei genitori, la separazione prolungata, la
mancanza di cure.
I suoi collaboratori/successori hanno rivolto la loro attenzione ad aspetti più sottili
dell’interazione genitore-bambino, in particolare ci si è concentrati sul costrutto della
“sensibilità materna”.
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Lezione n°: 5/S1
Titolo: La mentalizzazione
Attività n°: 1

Cosa influenza lo sviluppo di un attaccamento sicuro o insicuro?


Si deve a Mary Ainsworth la risposta a tale domanda. Secondo l’autrice, “L’accudimento
materno dà un chiaro contributo alla sicurezza dell’attaccamento. In particolare la sensibilità
materna, la capacità della madre di cogliere, interpretare in modo adeguato e rispondere
appropriatamente e prontamente alle manifestazioni di disagio del bambino».
L’attaccamento evitante è generalmente predetto da uno stile interazionale con il bambino
rifiutante, distante, intrusivo, eccessivamente stimolante e controllante o rifiutante.
L’attaccamento del bambino ambivalente sembra in relazione con una generale responsività
intermittente, incostante e imprevedibile
L’attaccamento del bambino disorganizzato sembra in relazione a una condotta del
caregiver spaventante/spaventata/dissociata che induce paura nel bambino (Main & Hesse,
2008) o anche ad una condotta di estremo ritiro da parte del caregiver (Lyons-Ruth, 2006)
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Lezione n°: 5/S1
Titolo: La mentalizzazione
Attività n°: 1

Peter Fonagy (Fonagy, Target, 1997) ha integrato la prospettiva psicoanalitica a


quella della teoria dell’attaccamento, proponendo come concetto fondamentale della
sua proposta teorica quello di “mentalizzazione”.
La mentalizzazione (detta anche funzione riflessiva o Teoria della Mente) è la capacità
di rappresentarsi e comprendere gli stati mentali propri e altrui e sulla base di questi
prevedere i comportamenti. Per stati mentali si intendono: emozioni, desideri,
pensieri, fantasie, credenze….
In sintesi, egli afferma che la funzione riflessiva materna (che si evidenzia, ad
esempio, nell’uso di termini riferiti a stati mentali quando la mamma parla della
propria storia di vita) e la capacità della madre di rispecchiare le emozioni del
bambino, predicono un attaccamento sicuro nel bambino.
Non solo: l’attaccamento sicuro a sua volta influenza lo sviluppo della
mentalizzazione (cioè la comprensione della mente propria e altrui) nel bambino.
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Lezione n°: 5/S1
Titolo: La mentalizzazione
Attività n°: 1

“La frequenza con cui le madri e i padri fanno riferimento ai propri stati mentali, nei
racconti della propria esperienza infantile di attaccamento, è un ottimo predittore della
probabilità con cui i figli svilupperanno un attaccamento sicuro nei loro confronti.
…La comprensione che il caregiver ha della mente del bambino incoraggia
l’attaccamento sicuro; l’accurata lettura che il caregiver fa dello stato mentale del
piccolo...favorisce a quest’ultimo la simbolizzazione del proprio stato interiore,
determinando così una migliore regolazione affettiva. L’attaccamento sicuro fornisce
una base relativamente solida per l’acquisizione di una piena comprensione della mente
altrui. Di contro, il bambino evitante sfugge lo stato mentale altrui, mentre quello
resistente si focalizza sul proprio stato di angoscia escludendo scambi intersoggettiviti.
I bambini disorganizzati potrebbero rappresentare una categoria separata; ipervigili
verso il comportamento del caregiver, possono sembrare acutamente sensibili al suo
stato mentale, ma non sono capaci di generalizzarlo al proprio stato mentale, che resta
così disregolato e incoerente”. (Fonagy, 2001, “Attaccamento e funzione riflessiva”, ed.
Raffaello Cortina, Milano, pp. 16-17)
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Lezione n°: 5/S1
Titolo: La mentalizzazione
Attività n°: 1

In sintesi, l’accento anche in questo caso è posto sull’ambiente:


• la madre del bambino sicuro è in grado di accettare e restituirgli adeguatamente i
suoi stati affettivi, sostenendolo nello sviluppo di quella che Fonagy chiama “buona
capacità riflessiva”, definita come l’abilità di comprendere la realtà sulla base degli
stati mentali propri e altrui
• la madre del bambino insicuro non è in grado di elaborare e restituire al bambino le
sue emozioni, di conseguenza il piccolo non raggiunge con lei la giusta intimità e non
è spronato verso un’autonoma interpretazione della realtà su base mentalistica. Per
questo, egli tende a soffermarsi maggiormente sugli aspetti fisici della relazione e lo
sviluppo della mentalizzazione ne risulta compromesso.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 5/S1
Titolo: La mentalizzazione
Attività n°: 1

Fonagy ritiene che il legame di attaccamento sia come un luogo che dà la possibilità
al bambino di organizzare le sue esperienze emotive, inizialmente disconnesse e
non gestibili.
• In caso di attaccamento sicuro, il bambino impara presto a riconoscere le emozioni,
anche quelle negative, e a gestirle in modo appropriato
• I bambini insicuri ambivalenti, invece, manifestano la tendenza a esagerare le loro
espressioni emotive e non raggiungono una corretta regolazione
• I bambini insicuri evitanti tendono a regolare eccessivamente la manifestazione
delle emozioni fino a reprimerle, nella paura di non saperle controllare e mettersi in
situazioni pericolose
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 5/S2
Titolo: Prova di apprendimento:
Attività n°: 1

Prova di apprendimento:
attaccamento
forum
Le chiedo di riflettere ora su quanto letto e ascoltato in merito alla teoria
dell’attaccamento e di provare a rispondere sul forum ai seguenti quesiti:

- Cosa si intende per attaccamento?


- Quali sono le influenze dell’etologia sulla teoria dell’attaccamento?
- Cosa si intende per modello operativo interno?
- Perché i modelli operativi interni sono importanti?
- Come si creano i modelli operativi interni?
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Lezione n°: 5/S3
Titolo: Prova di apprendimento:
Attività n°: 1

Prova di apprendimento:
attaccamento
forum
Le chiedo di riflettere ora su quanto letto e ascoltato in merito alla teoria
dell’attaccamento e di provare a rispondere sul forum ai seguenti quesiti:

- Quali sono le caratteristiche del MOI di tipo sicuro?


- Quali sono le somiglianze del MOI di tipo sicuro con il MOI di tipo evitante?
- Quali sono le caratteristiche del MOI di tipo ansioso-ambivalente?
- Perché il bambino disorganizzato sviluppo modelli operativi interni multipli e
tra di loro incoerenti?
- Quali sono le esperienze di accudimento che determinano l’insorgenza
dell’attaccamento sicuro o evitante?
- Quali connessioni vi sono tra MOI attaccamento e mentalizzazione?
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 6
Titolo: LE TEORIE PSICOANALITICHE
Attività n°: 1

LE TEORIE PSICOANALITICHE

Fino ad ora abbiamo studiato come Bowlby abbia introdotto il concetto di “modelli
operativi interni”, con riferimento quindi a rappresentazioni interne all’individuo, tuttavia
l’accento maggiore, anche nella teoria dell’attaccamento, è rivolta ai comportamenti.
Le teorie psicoanalitiche, di cui ora vedremo brevemente i principali modelli, hanno
evidenziato soprattutto le dinamiche interne all’individuo, non solo e non tanto (almeno
inizialmente) sulle rappresentazioni così come erano intese da Bowlby, ma su fantasie e
pulsioni, riferendosi, quindi, a ciò che non può essere visto dall’esterno (e talvolta, come
accade per i contenuti inconsci, non può essere colto nemmeno dall’individuo stesso).
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Lezione n°: 6
Titolo: LE TEORIE PSICOANALITICHE
Attività n°: 1

Fondatore della psicoanalisi fu Sigmund Freud (ricordo che “eu” in tedesco si legge
“oi”), che visse in un periodo storico caratterizzato dall’epistemologia positivista, a cui
egli cercò sempre di aderire (scontrandosi con numerose difficoltà, dal momento che
non era possibile assimilare lo studio della mente – o, come la chiamava lui,
dell’apparato psichico – allo studio della fisica e della biologia, che seguivano
procedure rigorose e “oggettive”; si veda Lezione 3).

Non a caso, la teoria freudiana si fondava sul determinismo psichico. Puoi facilmente
ritrovare nelle affermazioni seguenti, riferite ai concetti base dell’impostazione di
Freud, le caratteristiche del positivismo.
• I fenomeni psichici (consci e inconsci) hanno delle cause che possono essere
ricostruite tramite il metodo psicoanalitico, che si pone come un metodo oggettivo
di conoscenza della psiche.
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Lezione n°: 6
Titolo: LE TEORIE PSICOANALITICHE
Attività n°: 1

• L’“apparato psichico” funziona seguendo un modello meccanico idraulico di


scarica degli stimoli (tali stimoli sono costituiti dalle pulsioni, cioè la libido. La
libido è l’energia attraverso cui si manifesta la pulsione sessuale, essa ha una
meta che normalmente è costituita da persone dell’altro sesso; ha un’origine
innata)
• Basandosi sulle leggi termodinamiche di conservazione dell’energia, l’apparato
psichico funziona secondo il principio omeostatico: quando esso riceve delle
stimolazioni, l’energia all’interno dell’apparato aumenta e richiede di essere
scaricata.

Non ci addentriamo ora nella complessa teoria di Freud (che studierai nel corso di
Psicologia dinamica), ma farò solamente un breve accenno alla sua teoria dello
sviluppo e alla sua idea di psicopatologia.
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Lezione n°: 6
Titolo: LE TEORIE PSICOANALITICHE
Attività n°: 1

Il bambino (e la sua sessualità) si sviluppano passando i seguenti stadi:

1) Fase auto-erotica, che ha come oggetto una zona erogena del corpo: la bocca
(fase orale, in cui il soddisfacimento sta nella suzione), l’ano (fase anale, in cui
la ritenzione di feci produce piacere), i genitali (fase fallica, in cui si manifesta
la masturbazione infantile). In questa fase il bambino viene definito “perverso
polimorfo”, cioè in lui sono presenti potenzialmente tutte le perversioni. In questa
fase (2-5 anni) l’obiettivo è il soddisfacimento.
2) Periodo di latenza: condizioni organiche e culturali portano al bloccarsi delle
spinte sessuali infantili (età scolare), che permette lo sviluppo della società
3) Fase genitale: quella dell’adulto, finalizzata al congiungimento sessuale
(riproduzione)
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Lezione n°: 6
Titolo: LE TEORIE PSICOANALITICHE
Attività n°: 1

I fattori che possono interferire con lo sviluppo normale della libido sono sia di tipo
costituzionale ed ereditario (una disposizione originaria) sia psichico (attraverso un
meccanismo di difesa definito “rimozione”, caratterizzato dal rimuovere dalla
coscienza un contenuto avvertito come pericoloso, riponendolo nell’inconscio; ad es. un
contenuto incestuoso della figlia verso il padre può essere rimosso e produrre la
sintomatologia isterica).

Lo sviluppo normale della libido, se trova impedimenti (ad es. causati dalla rimozione),
può arrestarsi (FISSAZIONE) o “tornare indietro” in fasi precedenti (REGRESSIONE).
• Se si produce una regressione senza rimozione, si ha una perversione (le perversioni
altro non sono che manifestazioni stabili di ciò che si è vissuto nell’infanzia).
• La nevrosi si ha quando interviene la rimozione, che impedisce alla libido di
manifestarsi liberamente (anche se interviene la rimozione, la pulsione – che è energia
– permane, ma deve trovare altri modi per essere scaricata e lo fa in forma mascherata
attraverso i sintomi nevrotici). Ciò può portare a fissazioni e regressioni.
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Lezione n°: 6/S1
Titolo: LA PSICOANALISI FREUDIANA
Attività n°: 1

LA PSICOANALISI FREUDIANA

Una delle principali questioni nell’ambito della psicopatologia è quella relativa al “cosa
determina il disagio psicologico? E cosa ostacola la guarigione?”.
Verranno presentate due posizioni classiche della psicoanalisi, quella del conflitto
inconscio e quella dell’arresto dello sviluppo, quest’ultima oggi culturalmente molto
diffusa anche tra le persone che non si occupano di psicologia (ma vedremo anche
come si stia tentando di andare al di là di questa dicotomia (conflitto o arresto), per
abbracciare una visione sempre più ampia e complessa dell’essere umano).
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Lezione n°: 6/S1
Titolo: LA PSICOANALISI FREUDIANA
Attività n°: 1

Prima di procedere nell’analisi di queste due posizioni, merita un accenno anche


un’altra controversia – forse la prima storicamente comparsa in psicoanalisi –
sempre relativa al “qual è la causa della psicopatologia?”.
La psicopatologia è risultato di un trauma, di un evento vissuto realmente?
Oppure è dovuta alle fantasie infantili che deformano le prime esperienze?

Nei primi anni di sviluppo della teoria psicoanalitica, Freud riteneva che
un’esperienza di seduzione subita (quindi realmente vissuta) durante l’infanzia fosse
la causa della patologia, infatti pensieri ed emozioni generati da questa situazione
rimanevano scissi, non erano integrabili nella normale attività psichica.
Si noti come la causa sia ravvisabile in un qualcosa di esterno, di sociale (l’adulto
che seduce)
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Lezione n°: 6/S1
Titolo: LA PSICOANALISI FREUDIANA
Attività n°: 1

Dal 1987 Freud abbandonò questa ipotesi della seduzione infantile come causa della
nevrosi, spostando l’accento sulla sessualità e, quindi, sugli aspetti interni.
Come analizzano Mitchell e Black (“L’esperienza della psicoanalisi”, Bollati
Boringhieri, 1995, p. 236):
“Freud teorizzò che tutti gli adulti soffrono di impulsi sessuali conflittuali, non soltanto
coloro che da bambini sono stati molestati. La sessualità non diventa problematica
soltanto quando viene introdotta precocemente; c’è qualcosa di problematico nella
natura stessa della sessualità umana, qualcosa che genera conflitti inevitabili e
universali. Le esperienze reali non sono mai diventate prive di importanza nella
psicopatologia, ma per Freud il loro ruolo passò dall’essere l’agente causale in se
stesso all’essere un fattore che o aggrava o migliora un problema che disturba tutta
l’esperienza reale: la natura conflittuale delle pulsioni stesse.”
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Lezione n°: 6/S1
Titolo: LA PSICOANALISI FREUDIANA
Attività n°: 1

Continuano Mitchell e Black: “Da questo punto di vita, la psicopatologia non è


un’intrusione dall’esterno, ma la distorsione di ciò che è interno.”
Questo accento sugli aspetti pulsionali interni operata da Freud e dai suoi seguaci ha
portato a una forte reazione da parte di alcuni psicoanalisti nella metà del Novecento
(specialmente in Inghilterra, con la scuola di pensiero denominata “teorie delle relazioni
oggettuali”, di cui il rappresentante più famoso è Winnicott), che hanno enfatizzato non
più gli aspetti interni, ma – ponendosi all’estremo opposto – gli aspetti ambienti e
l’esperienza.
Con questo passaggio è cambiato il modo di intendere il trauma: da un singolo evento
catastrofico (come una molestia sessuale) all’incapacità cronica dei genitori di appagare i
bisogni psicologici del bambino in crescita. “Il bambino non viene traumatizzato da un
evento sessuale, ma dalla patologia caratteriale dei genitori. Per l’incapacità dei genitori di
fornire ciò che è necessario, per l’influenza intrusiva delle difficoltà e delle ansie dei
genitori, il bambino viene distratto dal delicato progetto di diventare una persona” (Mitchell
e Black, 1995, p. 237).
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Lezione n°: 6/S1
Titolo: LA PSICOANALISI FREUDIANA
Attività n°: 1

• Il modello di psicopatologia centrato sul conflitto è quello proposto da Freud: le


istanze interne alla psiche (Io, Es, Super-io) entrano in conflitto tra loro. Si tratta di un
conflitto inconscio, che ha origine da contenuti rimossi relativi all’esperienza infantile.
Questo modello spiega la patologia, sia infantile che adulta, facendo riferimento all’idea
di fissazione o regressione (in seguito a rimozione) ad uno stadio di sviluppo sessuale.
La cura consiste nell’interpretare ciò che dice e fa il paziente, cioè nel rendere conscio
ciò che è inconscio.

• Il modello relativo all’arresto dello sviluppo (o blocco evolutivo) è quello proposto


dalle teorie delle relazioni oggettuali. Ciò significa che inadeguate cure genitoriali (ad
esempio, il fatto di non essere apprezzati dai genitori o sostenuti in maniera
“sufficientemente buona” nel proprio percorso di crescita). Quindi, ciò che è mancato nel
passato, continuerà a mancare anche da adulti e la psicoanalisi può fornire esperienze
simili a quelle genitoriali per riprendere il cammino evolutivo
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Lezione n°: 6/S2
Titolo: Il modello strutturale e delle relazioni oggettuali
Attività n°: 1

Il modello strutturale e delle


relazioni oggettuali

Come abbiamo appena visto, il modello di Freud, definito “modello strutturale”, si


basa sul conflitto: l’apparato psichico non riesce a maneggiare le pulsioni (a scaricarle
adeguatamente) e questo genera un conflitto, che causa la rimozione.
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Lezione n°: 6/S2
Titolo: Il modello strutturale e delle relazioni oggettuali
Attività n°: 1

Per Freud lo sviluppo procede per stadi, che riguardano lo sviluppo della libido (e della
meta sui cui essa si scarica, andando così dall’oralità alla genitalità) e che la
psicopatologia ha origine dal conflitto tra le “parti” (Io, Es e Super-Io) , che genera a
sua volta la rimozione, ovvero dall’esclusione dalla consapevolezza di pulsioni, ricordi,
pensieri e sentimenti disturbanti.
In sede d’esame dovrà riferire come nella storia della psicoanalisi si siano sviluppati
differenti modelli dello sviluppo e della patologia:
• inizialmente l’accento è sul conflitto interno (e, prima ancora, sul trauma reale), che
provoca rimozione (e regressione/fissazione a stadi di sviluppo infantili)
• con i teorici delle relazioni oggettuali l’accento è sulle carenze genitoriali (che
provocano un blocco evolutivo)
• gli psicoanalisti relazionali attuali fanno riferimento sia gli aspetti interni che ambientali
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Lezione n°: 6/S2
Titolo: Il modello strutturale e delle relazioni oggettuali
Attività n°: 1

Una psicoanalista che, pur rimanendo nel solco tracciato da Freud, in parte se ne distanzia
(dando poi spunto al formarsi delle teorie delle relazioni oggettuali) è Melanie Klein.

Nel suo modello il conflitto è inteso sempre come conflitto interno, in questo caso tra
amore (verso oggetti sentiti come buoni, ad esempio il seno della mamma che nutre)
e odio (verso oggetto cattivi, come il seno della mamma quando non è disponibile
alla nutrizione). In particolare, la patologia psichica ha origine dalle precoci fantasie
sadiche e può generarsi seguendo due vie: le fantasie provocano direttamente la
patologia (psicosi infantile) oppure il soggetto mette in atto delle difese contro tali
fantasie, si tratta di difese sintomatiche (ad es. la nevrosi ossessiva come difesa
dall’ansia psicotica).
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Lezione n°: 6/S2
Titolo: Il modello strutturale e delle relazioni oggettuali
Attività n°: 1

I teorici delle relazioni oggettuali, invece, pongono l’accento sulla relazione, che
viene interiorizzata (diventa, quindi, una rappresentazione).

Considerando il ruolo fondamentale della madre e della sua capacità di rispondere ai


bisogni del figlio, si ritiene che la psicopatologia si sviluppi quando è presente un deficit
ambientale (ovvero la madre non è in grado di fornire al bambino un supporto valido).

E’ qui presente l’idea del deficit ambientale, che provoca l’arresto evolutivo; i fattori innati
(ad esempio, il temperamento) così come l’influenza del bambino sulla mamma (e non
solo della mamma sul bambino) all’interno di questo modello rimangono in ombra.
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Lezione n°: 6/S3
Titolo: La prospettiva relazionale
Attività n°: 1

La prospettiva relazionale

Abbiamo visto come, all’interno della storia della psicoanalisi, si siano scontrate due
visioni di pensiero che, fino a non molto tempo fa, hanno continuano a esistere in
maniera separata: una centrata sull’intrapsichico (la teoria strutturale-pulsionale) e
una centrata sulle relazioni (le teorie delle relazioni oggettuali). Oggi stiamo
assistendo a un congiungersi di queste due posizioni.
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Lezione n°: 6/S3
Titolo: La prospettiva relazionale
Attività n°: 1

Stephen Mitchell, grande teorico della psicoanalisi relazionale, introduce il termine


matrice relazionale “nel tentativo di superare la deprecabile tendenza a mettere in
contrapposizione concetti come relazioni intrapersonali e relazioni oggettuali, o
l’interpersonale e l’intrapsichico, come se puntare l’attenzione su uno dei due aspetti
implicasse necessariamente una negazione o una sottovalutazione dell’altro…
Il modo più utile per guardare alla realtà psicologica è operare all’interno di una
matrice relazionale che comprenda sia l’ambito intrapsichico che quello
interpersonale. La mente opera con motivazioni che riguardano sia l’autoregolazione
si ala regolazione del campo relazionale…l’ambito interpersonale e quello
intrapsichico si creano, si compenetrano e si trasformano a vicenda in modo
complesso e sottile.” (Mitchell, 1988, “Gli orientamenti relazionali in psicoanalisi. Per
un modello integrato”, Bollati Boringhieri, Torino, 2000, p. 10).
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Lezione n°: 6/S3
Titolo: La prospettiva relazionale
Attività n°: 1

In quest’ottica, lo sviluppo del bambino è esito non solo di aspetti interni (le pulsioni)
e non solo di aspetti esterni, contestuali (i genitori), ma il suo sviluppo è l’esito
dell’interazione tra fattori interni ed esterni.
L’attenzione è quindi su entrambi i poli della relazione: il bambino e l’ambiente. La
psicoanalisi relazionale, in particolare, si focalizza su ciò che intercorre tra questi due
poli, cioè sulla relazione, considerando sia il contributo che la persona dà al contesto
in cui vive (ad es. un neonato calmo influenza il comportamento della mamma e la
relazione con essa) sia, viceversa, l’influenza che l’ambiente ha sull’individuo (come
sottolineato dalle teorie delle relazioni oggettuali).
Lo sviluppo individuale avviene sempre all’interno della matrice relazionale ed è al
suo interno (e grazie alle relazioni con l’altro) che diventa possibile il cambiamento.
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Lezione n°: 07
Titolo: MOIDISORGANIZZATI IN ETÀ INFANTILE E PRESCOLARE
Attività n°: 01

I Modelli operativi interni di tipo


disorganizzato

Il contenuto della lezione è tratto dal volume di Di Pentima e dall’articolo:

Elena Camisasca (2008) Traumi irrisolti, comportamento genitoriale atipico e


attaccamento disorganizzato: una rassegna della
Letteratura.

Pubblicato sulla rivista Maltrattamento e Abuso all’Infanzia, edita da


FrancoAngeli
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 07
Titolo: MOIDISORGANIZZATI IN ETÀ INFANTILE E PRESCOLARE
Attività n°: 01

Di Pentima (2016), nel volume oggetto del vostro studio, sottolinea che gli studi
della Ainsworth e dei suoi colleghi (1978), attraverso l'impiego Strange Situation, avevano
consentito di individuare anche una serie di comportamenti che non era possibile
includere nei gruppi attaccamento sicuro, ambivalente ed evitante.
Si trattava di comportamenti all'apparenza privi di una evidente strategia
finalizzata al mantenimento del contatto con la figura di riferimento.
Mancavano, ad esempio, i comportamenti di esplorazione e quelli di attaccamento verso
la madre, mentre in alcuni casi questi ultimi potevano essere diretti verso l'estraneo.
Erano prevalenti manifestazioni di cautela e paura, segni evidenti di stress e mancava
quasi del tutto l'espressione di emozioni positive (quali sorrisi, vocalizzi) nei confronti della
madre.

Per un approfondimento su attaccamento disorganizzato si ricorda che avete in programma lo studio di


Camisasca, E., Miragoli, S., & Di Blasio, P. (2014). La disorganizzazione dell’attaccamento spiega i sintomi post-
traumatici nei bambini vittime di violenza intrafamiliare?. Maltrattamento e abuso all’infanzia.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 07
Titolo: MOIDISORGANIZZATI IN ETÀ INFANTILE E PRESCOLARE
Attività n°: 01

Si palesavano, inoltre, comportamenti apparentemente "bizzarri" quali ad esempio


rimanere immobili, raggomitolarsi a terra, azioni ripetitive, tentativi di rassicurazione
coprendosi gli occhi o le orecchie.

Erano presenti, infine, strategie molteplici, ovvero un'alternanza di richiesta di contatto


e di rifiuto, comportamenti provocatori, ricerca di conforto all'interno di relazioni con altri
adulti.

Dobbiamo a studi successivi l'aver ricondotto queste modalità comportamentali


ad una ben specifica tipologia di attaccamento, che Main e Solomon (1986)
hanno definito "disorganizzata-disorientata" (attaccamento D) e Crittenden
(1985) "ambivalente - evitante" (attaccamento A/C).

Da queste ricerche emerge che i bambini, raggruppati in questa tipologia di attaccamento,


hanno avuto un caregiver profondamente coinvolto in gravi difficoltà personali, quali
depressione, lutti non risolti, dipendenza da alcol o sostanze stupefacenti, patologie
psichiatriche, difficoltà nel tollerare le frustrazioni e nel gestire i propri impulsi tanto da
mettere in atto comportamenti violenti e/o abusanti o di estremo ritiro nei confronti dei
figli.
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Lezione n°: 07
Titolo: MOIDISORGANIZZATI IN ETÀ INFANTILE E PRESCOLARE
Attività n°: 01

In altri termini questi bambini speri mentano una figura allevante


spaventata/spaventante, incapace di fornire cure e rassicurazione.
Ciò produce una situazione paradossale: quando un bambino percepisce una minaccia
nell'ambiente ricerca protezione dalla figura di attaccamento, ma avvicinarsi potrebbe
rivelarsi dannoso poiché è il caregiver stesso a rappresentare un pericolo per il
piccolo.

Infatti l’emozione che il bambino esperisce nella relazione col genitore è la paura.

Secondo Main e Solomon (1986) la duplice tendenza ad avvicinarsi e ad allontanarsi, che il


piccolo non riesce a risolvere, determina il crollo delle strategie di attaccamento così da
indurre la comparsa di comportamenti incoerenti, per l'appunto disorganizzati. Secondo la
Crittenden (1985), al contrario, è possibile rintracciare una strategia organizzata all'interno
delle azioni bizzarre di questi bambini poiché il rimanere immobile oppure coprirsi gli
occhi, l'evitamento e la resistenza al contatto hanno la funzione di prendere tempo per
decodificare lo stato emotivo della madre e valutare la possibilità di avvicinarsi o meno.
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Lezione n°: 07
Titolo: MOIDISORGANIZZATI IN ETÀ INFANTILE E PRESCOLARE
Attività n°: 01

I modelli operativi interni dei bambini disorganizzati


Nell'attaccamento D. si ha ragione di ipotizzare lo sviluppo di modelli operativi
molteplici e incoerenti, in singolare contrasto col modello unitario e coerente che
caratterizza il pattern sicuro.
Consideriamo infatti come il bambino possa costruire le rappresentazioni di sé durante
l'interazione con una fda "paurosa".
1. Anzitutto, é plausibile che il bambino D, non ricevendo dalla fda segnali di evidente
indisponibilità e di esplicito rifiuto, possa tendere a una rappresentazione di sé come
accettabile e dell'altro come potenzialmente disponibile.
2. Simultaneamente però il bambino percepisce la fda come fonte di paura: potrà quindi
cominciare a costruire una rappresentazione di sé come vittima impotente di un altro
misteriosamente minaccioso.
3. Dato però che il bambino nota espressioni di paura nel comportamento della fda
quando lui le si avvicina, é anche possibile che nella sua memoria episodica si gettino le
basi per una rappresentazione di sé come pericoloso per le persone amate (o in casi
estremi "mostruoso", portatore di caratteristiche malvagie tali da spaventare gli altri
deboli e impotenti).
4. E' anche possibile non appena le capacità del bambino consentano questa
interpretazione che egli rappresenti tanto sé quanto la fda come deboli e indifesi di
fronte a una fonte esterna di misterioso pericolo.
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Lezione n°: 07
Titolo: MOIDISORGANIZZATI IN ETÀ INFANTILE E PRESCOLARE
Attività n°: 01

5. Se poi accade che la fda tragga conforto dalla vicinanza col bambino e quindi muti il
proprio atteggiamento pauroso, nel corso della ricerca di vicinanza operata dal figlio, il
bambino può percepirsi come salvatore onnipotente di una fda vista come
debole e indifesa.
6. E' infine possibile che il genitore dolente e "pauroso" forzi il figlio con esplicite
richieste pressanti o anche con la violenza a invertire il ruolo di attaccamento in un
ruolo di accudimento. In questi casi il bambino sentendosi inadeguato a soddisfare le
richieste di conforto avanzate dal genitore sofferente, potrà costruire una immagine di
sé carica di sentimenti di incapacità, inefficienza e colpa e una rappresentazione
del genitore che oscilla tra le attribuzioni di debolezza /infelicità e quelle di
malvagità/oppressione.

Tale relazione quindi porta alla costruzione simultanea di abbozzi multipli,


reciprocamente incompatibili e incoerenti di rappresentazioni del sé e
dell'altro.
Ciò comporta influenze talmente complesse e contradditorie sulla azione esplicita dei
bambini da rendere inevitabile la comparsa di comportamenti dissociati nella Strange
Situation.
La funzione integratrice della coscienza appare dunque turbata in funzione
della molteplicità dei modelli operativi
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Lezione n°: 07/S1
Titolo: MOIDISORGANIZZATI IN ETÀ INFANTILE E PRESCOLARE
Attività n°: 01

L’attaccamento disorganizzato in età


prescolare
Benché, come abbiamo visto, i bambini disorganizzati dimostrino di non disporre, durante
l’infanzia, di strategie organizzate per soddisfare i propri bisogni di attaccamento,
sappiamo dalla letteratura come essi sviluppino in età prescolare strategie coerenti di
interazione con i caregiver (Jacobivz & Hazen, 2007).

Più precisamente, questi bambini agiscono in modo controllato nei confronti della figura di
accudimento utilizzando strategie punitive o premurose. Il bambino che adotta
una strategia di controllo di tipo punitivo si comporta in modo prepotente nei
confronti del caregiver, perlopiù rifiutandolo o umiliandolo. Viceversa, i
bambini che adottano una strategia di controllo di tipo premuroso si comportano
in modo estremamente intelligente, vivace e sollecito nel tentativo di rispondere
ai bisogni del genitore con la premurosità e il sorriso (Main & Cassidy,
1988; Wartner, Grossman, Fremmer-Bombik, & Suess, 1994). Vediamo nelle slide
successive, le possibili evoluzioni delle disorganizzazione dell’attaccamento.
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Lezione n°: 07/S1
Titolo: MOIDISORGANIZZATI IN ETÀ INFANTILE E PRESCOLARE
Attività n°: 01

Traiettorie evolutive della disorganizzazione dell’attaccamento


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Titolo: MOIDISORGANIZZATI IN ETÀ INFANTILE E PRESCOLARE
Attività n°: 01
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Attività n°: 01
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 07/S1
Titolo: MOIDISORGANIZZATI IN ETÀ INFANTILE E PRESCOLARE
Attività n°: 01
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 07/S
Titolo: MOIDISORGANIZZATI IN ETÀ INFANTILE E PRESCOLARE
Attività n°: 01

Prova di apprendimento:
E-PORTFOLIO

Le chiedo di riflettere ora su quanto letto e ascoltato in merito alla teoria


dell’attaccamento e di provare a rispondere su e-portfolio ai seguenti quesiti:

- Quali sono le influenze dell’etologia sulla teoria dell’attaccamento?


- Cosa si intende per modello operativo interno?
- Perché i modelli operativi interni sono importanti?
- Come si creano i modelli operativi interni?
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 07/S3
Titolo: MOIDISORGANIZZATI IN ETÀ INFANTILE E PRESCOLARE
Attività n°: 01

Prova di apprendimento:
attaccamento
E-portfolio
Le chiedo di riflettere ora su quanto letto e ascoltato in merito alla teoria
dell’attaccamento e di provare a rispondere, inviando le risposte su e-portfolio
ai seguenti quesiti:

- Quali sono le caratteristiche del MOI di tipo sicuro?


- Quali sono le somiglianze del MOI di tipo sicuro con il MOI di tipo evitante?
- Quali sono le caratteristiche del MOI di tipo ansioso-ambivalente?
- Perché il bambino disorganizzato sviluppa modelli operativi interni multipli e
tra di loro incoerenti?
- Quali sono le possibili traiettorie di sviluppo dei MOI disorganizzati?
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Lezione n°: 08
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

La valutazione dei modelli operativi interni


dell’attaccamento

Premessa: in questa lezione vi presenterò uno strumento semi-proiettivo: Il SAT che


permette la valutazione dei MOI in bambini (dai 4 anni) e adolescenti e la nota Adult
Attachment Interview che permette la valutazione dei MOI in soggetti adulti.

Il contenuto della lezione è tratto dal volume di Attili (2007) Attaccamento e


costruzione evoluzionistica della mente. Raffaello Cortina

e dal Manuale di Grazia Attili (2001) Ansia da separazione e misura dell’attaccamento


normale e patologico. Unicopli Milano

CAMISASCA
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 08
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

Ansia da separazione e misura dell’attaccamento normale e patologico


Versione modificata e adattamento italiano del
SEPARATION ANXIETY TEST
di Klagsbrun e Bowlby
Grazia Attili 2001
Unicopli, Milano

Iniziamo con la presentazione del SAT che come vi dicevo costituisce uno strumento
semi-proiettivo che permette la valutazione dei MOI in bambini e adolescenti.
Di seguito, troverete alcune importanti istruzioni di somministrazione e codifica, con
l’indicazione delle categorie di risposte «tipiche» dei bambini sicuri, insicuri e
disorganizzati

ATTENZIONE! LO STUDIO DELLE SLIDE non può assicurare la corretta


comprensione e codifica delle risposte allo strumento. E’ necessario studiare
con attenzione il manuale UNICOPLI

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Lezione n°: 08
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

SAT: descrizione & somministrazione

Lo strumento prevede che il bambino osservi 2 set (una per maschi e una per femmine)
di 6 vignette che descrivono 3 situazioni di separazione definite moderate-
tranquille (M) e 3 situazioni di separazione definite severe (S).

Prima di presentare al bambino le vignette (una alla volta con relative domande),
al bambino si spiega quanto segue:

Consegna:
“Vorrei che tu mi aiutassi a capire cosa provano i bambini quando qualche volta i genitori
devono andare via e devono lasciarli per un po’ di tempo. In genere alcuni bambini si
sentono soli, altri sono comunque contenti, altri si arrabbiano, altri hanno paura. Ho qui
dei disegni in cui c’è un bambino della tua età e ora ti farò delle domande…”.

CAMISASCA
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Lezione n°: 08
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

Situazioni di separazione raffigurate nelle vignette e presentazione delle


stesse

1) Il papà e la mamma vanno fuori per la serata e lasciano il bambino/a a casa. Qui
stanno uscendo e lo stanno salutando (S);
2) Questo è il primo giorno di scuola. Qui ci sono la maestra e i compagni. La
mamma ha appena lasciato il bambino (M);
3) Il papà e la mamma vanno via per il week-end, per due giorni, e la mamma ha
portato il bambino/a a stare dalla zia. Qui lo sta salutando (S);
4) Il bambino è andato al parco con il papà e la mamma. Qui i genitori stanno
dicendo di allontanarsi e di giocare un po’ da solo perché vogliono starsene per
conto loro a parlare (M);
5) I genitori stanno per andare via per due settimane e lasciano un bel regalo. Qui si
stanno salutando (S);
6) La mamma porta il bambino a letto, lo saluta e poi lascia la stanza (M).

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Lezione n°: 08
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

DOMANDE: Per ciascuna vignetta, dopo che è stata presentata al bambino, si devono
proporre le seguenti 4 domande

1. Cosa prova questo bambino?

2. Perché pensi che provi questo?

3. Cosa fa ora questo bambino?

4. Cosa farà quando rivedrà la madre/raggiungerà i genitori/se la madre resta


nella stanza?

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Lezione n°: 08
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

CODIFICA: PRIMO STEP

Considerando le risposte alle prime 3 domande, si codificano le risposte emotive in 17


categorie di reazioni emotive poi riportate a 8 classi:

I. Attaccamento (Solitudine e Tristezza).


«Si sente solo, si sente triste, non è contento». Si tratta di emozioni elicitate
dall’attivazione del sistema di attaccamento e giudicate appropriate in situazioni severe
ma esagerate in situazioni M. Punteggi: S: +2; M: +1

II. Mancanza di autostima (rimprovero vs se stesso, rifiuto).


«E’ triste perché pensa che i genitori non lo amino più, pensa che se fosse stato bravo i
genitori non lo avrebbero lasciato solo». Emozioni che indicano la sensazione di non
essere amato o indicative di una colpa del bambino stesso. Punteggio: -2

III. Ostilità (Rabbia, incolpa altri).


«è arrabbiato e scappa via; Non è contento perché i genitori lo lasciano sempre per
andare a divertirsi» Emozioni di rabbia che implicano una ritorsione o una punizione da
infliggere per essere stato lasciato solo. Punteggio: -1
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Lezione n°: 08
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

CODIFICA: PRIMO STEP

IV. Fiducia in se stesso (Benessere). «Se la passa bene perché gli piace stare a
scuola, è contento, gli piace il regalo; sta bene». Si tratta di risposte che
enfatizzano il piacere di stare da solo e la possibilità di mettere in atto azioni
appropriate con la situazione.
Adeguate in situazioni M, meno in situazioni S, ove si ravvisa enfasi sul voler
contare solo su se stesso. S:-2; M: +2; NB: se emozione positiva grazie alla
presenza di qc altro, allora S1: -1 « sta bene perché c’è la zia, sta bene perché
c’è babysistter»

V Evitamento (incredulità, evitamento, evasione).


«pensa che non è vero che i genitori partano, cerca di non mostrare quello che
prova, sta bene perché non se ne preoccupa, non gliene importa niente, non
prova nulla, è normale; silenzi e non risposte» Risposte indicative di una
soppressione delle emozioni collegate alla separazione o normalizzazione
dell’emozione provata. Punteggio: -2
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Lezione n°: 08
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

VI Ansia (paura, ansia, reazione somatica, fame)


«Ha paura della solitudine, si sente solo e si mette a mangiare, è emozionato,
sta male e piange, è curioso, ha paura del buio» . Risposte che esprimono
ansia, paura, paure irrazionali comuni ai bambini. Punteggio: +1 ( Se + GIA’ 2
RISPOSTE DI ANSIA LA TERZA= -1; alla V e VI risposta = -2)

VII Ansia incontrollabile/angoscia (paura di catastrofi, paura irrazionale,


preoccupazione inversa, risposte bizzarre). «Pensa che la mamma ha paura,
paura di venire rapito, ucciso, dei ladri, che qualcosa di brutto accada ai
genitori»: Punteggio: -2

VIII Confusione. «se è così, se è colà..» «Si sente sola e non prova niente;
sta bene ed è arrabbiata» Risposte che considerano tutte le emozioni
alternative, esprimono una incapacità di anticipare una reazione chiara
alla separazione: Punteggio: -2

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Lezione n°: 08
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

SECONDO STEP: Si considera ancora la risposta alla terza domanda COSA FA?
codificata anche a parte con riferimento alle modalità di coping alla separazione del
bambino.

Diverse categorie:
1. attività appropriate (B): capacità di padroneggiare la situazione (guarda tv, cerca amici, si
mette a giocare, piange ma non come abbandono alla disperazione, chiama la mamma se
in S)
2. attività di controllo (B e C), finalizzate a mantenere il contatto coi genitori, appropriate in
S, non molto appropriate in M. (chiede ai genitori di rimanere, va a cercare i genitori,
segue i genitori)
3. attività inappropriate distinte in:
3 pessimismo irrealistico: (C) (pensa che i genitori non torneranno più e azioni che implicano
una ritorsione; scappa da cosa così loro si preoccupano)
3 ottimismo irrealistico (A), Il bambino prende la macchina e va dai genitori; i genitori non se
ne vanno davvero;
3 evitamento e mancanza di azione (A) ( si mette a piangere e piangere, scappa, non fa
niente, non so; si mette a mangiare)
3 pessimismo catastrofico (D) (arriva un ladro e lo uccide, spacca tutto, si vendica e uccide i
genitori)
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Lezione n°: 08
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

attaccamento disorganizzato caratterizzato dall’ansia incontrollabile/angoscia. Quindi se ci sono


almeno due risposte di questa categoria possiamo riportare questo attaccamento a un attaccamento
disorganizzato. Anche una sola risposta di classe ansia incontrollabile è indicatore di
disorganizzazione, quindi la presenza di 1 sola risposta ci dice che siamo di fronte a un attac. sicuro
disorganizzato, ansioso-ambivalente disorganizzato, ansioso-evitante disorganizzato.
attac. Confuso (categoria da verificare rinvenuta nello studio su pazienti con disturbi alimentari)
caratterizzato dalla presenza di almeno due risposte della classe confusione in assenza/presenza di
ansia incontrollabile/angoscia.
hp di partenza dello strumento:
IWM determinano regolarità nelle reazioni emotive alle separazioni e nelle modalità di gestione dello
stress connesso alla separazione. Att. B determina risposte di fidarsi in se stesso nelle situazioni di
sep.moderata e di attaccamento o ansia (riportata a un razionale) nelle situazioni di separazione
severa, nonché capacità di attivare le risposte comportamentali appropriate per ridurre lo stress.
Att. C determina risposte emotive di ostilità, ansia, preoccupazione con modalità di coping di attività
di controllo dei genitori, mancanza di azione, pessimismo irrealistico.
Att. A: fidare in se stesso nelle separazioni severe, evitamento, risposte di ottimismo irrealistico,
mancanza di azione, evitamento della realtà.
Att. D: ansia incontrollabile/angoscia e risposte di pessimismo catastrofico
Att. Co (confuso): risposte di confusione con o senza ansia incontrollabile, mancanza di azione,
evitamento della realtà

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Lezione n°: 08
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

ASSEGNAZIONE PUNTEGGIO RISPOSTE ALLA DOMANDA 3:


COPING

se 3 o più risposte inappropriate: Punteggio: Punteggio -1 . Altrimenti


0

La codifica delle risposte alla riunione con i genitori ha un valore clinico


e descrittivo, serve solo per facilitare l’assegnazione alle categorie di
attaccamento A B C

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Lezione n°: 08
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

Individuazione stile di attaccamento


Attaccamento sicuro = Punteggio da 4 in su
Attaccamento ansioso-ambivalente = 1-3
Attaccamento evitante=Punteggio: da -2 a 0
Attaccamento disorganizzato: -3 e oltre

Att. B fiducia in se stesso in situazioni M; attaccamento o ansia in S; risposte appropriate

Att. C: risposte emotive di ostilità, ansia, preoccupazione con modalità di coping di attività di
controllo dei genitori, mancanza di azione, pessimismo irrealistico.

Att. A: fiducia in se stesso nelle separazioni severe, evitamento; risposte di ottimismo


irrealistico, mancanza di azione, evitamento della realtà.

Att. D: ansia incontrollabile/angoscia e risposte di pessimismo catastrofico

Att. Co (confuso): risposte di confusione con o senza ansia incontrollabile, mancanza di azione,
evitamento della realtà

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Lezione n°: 08/S1
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

Ansia da separazione e misura dell’attaccamento normale e patologico


Versione modificata e adattamento italiano del
SEPARATION ANXIETY TEST
di Klagsbrun e Bowlby
Grazia Attili 2001
Unicopli, Milano

ISTRUZIONI DI CODIFICA

In prima battuta, attraverso la lettura attenta delle risposte alle prime 3 domande (cosa
prova? E perché pensi che provi questo? E considerando anche la risposta cosa farà per
meglio comprendere le sfacettature delle risposte emotive)
Occorre categorizzare le risposte di tipo emotivo fornite, attribuendole ad una delle
seguenti 8 classi (a loro volta comprensive di categorie emotive)

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Lezione n°: 08/S1
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

CODIFICA: PRIMO STEP

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Lezione n°: 08/S1
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

CODIFICA: PRIMO STEP

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Lezione n°: 08/S1
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

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Lezione n°: 08/S1
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

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Lezione n°: 08/S1
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

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Lezione n°: 08/S1
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

ASSEGNAZIONE PUNTEGGIO RISPOSTE ALLA DOMANDA 3:


COPING

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Lezione n°: 08/S1
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

Le risposte «tipiche» dei bambini con diversi MOI dell’attaccamento

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Lezione n°: 08/S2
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

La valutazione dei modelli operativi


interni dell’attaccamento
in età adulta
La Adult Attachment Interview

di Mary Main
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 08/S2
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

Premessa

Nell’ambito della teoria dell’attaccamento è possibile individuare un momento di


profonda innovazione quando a partire dagli anni ‘80 si è cominciato a indagare i
modelli operativi interni dell’attaccamento, individuati da Bowlby (1969),prendendo
in considerazione soggetti adulti.
In quegli anni, il focus della ricerca si è spostato dallo studio dei comportamenti di
attaccamento dei bambini, all’analisi delle rappresentazioni relative alle prime
esperienze infantili di attaccamento da parte dell’adulto.

Per valutare i modelli operativi interni di attaccamento dei genitori, Mary Main ha
messo a punto negli anni ’80 la Adult Attachment Interview (George, Kaplan e
Main, 1984-1996) un’intervista che permette di indagare in soggetti adulti «gli stati
della mente circa l’attaccamento».
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 08/S2
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

Premessa

In particolare, attraverso la AAI è diventato possibile studiare la relazione tra


modelli operativi interni dei genitori (MOI) – valutati durante la gravidanza e
subito dopo la nascita del figlio - e il tipo di attaccamento di quest’ultimo
misurato tra i 12 e i 18 mesi grazie alla Strange Situation (Ainsworth et al.,
1978).

Varie ricerche hanno infatti così potuto dimostrare l’esistenza di una


relazione significativa tra i Moi dei genitori e dei figli, formulando l’ipotesi
della trasmissione intergenerazionale dell’attaccamento.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 08/S2
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

Presentazione dell’intervista

Le farò alcune domande sulla sua storia, in particolare sulla sua infanzia nel tentativo di
comprendere e aiutarla a comprendere in che modo le cose accadute durante la sua infanzia
possono aver influenzato le sue relazioni successive e, in particolare, la relazione con suo
figlio. Le chiederò principalmente di raccontarmi della sua infanzia anche se alcune
domande si riferiranno anche agli anni successivi
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 08/S2
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

Aree Indagate nella AAI


Domande relative alle concrete esperienze vissute dal soggetto nell’infanzia rispetto alle
principali figure di attaccamento
Domande relative alle proprie esperienze infantili di disagio e la modalità con cui i propri
genitori gestivano la situazione
Domande relative alle prime separazioni
Domanda relativa a un sentirsi rifiutato.
Domanda per eventuali ricordi di maltrattamento.
Domande relative all’importanza delle esperienze infantili sullo sviluppo della propria
personalità adulta
Presenza di altre persone significative
Domande relativi a eventuali episodi di lutti in famiglia
Domande relative all’evoluzione del rapporto con i genitori
Domande relative alla relazione col figlio reale o immaginato
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 08/S3
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

La valutazione dei modelli operativi


interni dell’attaccamento
in età adulta
La Adult Attachment Interview

di Mary Main
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 08/S3
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

La classificazione dei Modelli Operativi Interni alla AAI

Sulla base dell’analisi delle diverse scale, il sistema di codifica prevede che ogni
soggetto intervistato venga assegnato a una delle 5 categorie previste:

Sicuro – autonomo (F);


Distanziante (DS)
Preoccupato (E)
Irrisolto rispetto ad un trauma/disorganizzato/disorientato (U/D)
Non classificabile (CC).

Nel caso di assegnazione di un soggetto alla categoria U, lo si attribuisce anche a


una seconda categoria tra le rimanenti (F, DS, E)
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 08/S3
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

I soggetti Sicuri-Autonomi

Il discorso é caratterizzato da un notevole grado di fluidità e coerenza interna


del discorso e da una attenta consapevolezza delle transizioni in corso con
l'intervistatore: il discorso é fresco, mai stereotipato o colmo di frasi fatte, né
breve né lungo, pronto a tenere conto di eventuali complessità delle notizie
fornite all'intervistatore per commentarle, correggerle, essere certi di aver
davvero condiviso con l'altro quello che si voleva dire.
Inoltre, sono assenti idealizzazioni, vi é una facilità nel parlare delle
imperfezioni proprie e dei genitori, e una accettazione della necessità di
dipendere dagli altri.
E’ prevista una articolazione di questa categoria in cinque sotto pattern che si
dispongono lungo un continuum che muove dai soggetti classificati F1 e F2
(che presentano alcune caratteristiche in comune con i soggetti Distanzianti), ai
soggetti classificati F3 (che sono considerati il prototipo degli individui sicuri),
fino a giungere ai soggetti classificati F4 e F5 (che si spostano verso le
modalità di organizzazione dei soggetti coinvolti) (Calvo & Fava Vizziello, 1997;
Simonelli & Calvo, 2002).
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Lezione n°: 08/S3
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

I soggetti Distanzianti

I soggetti Distanzianti presentano una particolare organizzazione di pensiero che permette


loro di tenere l’attaccamento relativamente disattivato e scollegato dall’esperienza di vita
attuale. Questa caratteristica si esprime, nel corso dell’intervista, attraverso il tentativo
attivo di allontanare o sminuire il versante emotivo ed affettivo delle proprie esperienze di
attaccamento.
Vengono classificati in questa categoria: i soggetti le cui descrizioni dei genitori appaiono
altamente positive (idealizzazione delle figure genitoriali), senza tuttavia che tali descrizioni
risultino supportate da specifici episodi della loro infanzia; i soggetti che esprimono una
forte svalutazione relativamente all’importanza delle relazioni di attaccamento,
minimizzando in particolare l’influenza delle esperienze negative nel proprio sviluppo, coloro
che omettono di ricordare specifici episodi (specialmente quelli negativi) del loro passato.
I distanzianti manifestano notevoli lacune di memoria e una dissociazione
tra memoria episodica (ad es. negli episodi riguardanti i compleanni della propria infanzia il
genitore era sempre assente, non gli ha mai fatto un regalo, non é possibile rievocare un
solo episodio in cui gli abbia prestato attenzione) e memoria semantica ("é sempre stato
generoso e attento verso di me").
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Lezione n°: 08/S3
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

I soggetti Distanzianti

Questi disturbi della continuità e della coerenza della memoria vista la relazione stretta tra
memoria e coscienza, indicano dunque che le capacità integratrici della coscienza non operano
nei distanzianti ai livelli ottimali dei F.
Anche nella relazione con l'intervistatore la freschezza del discorso é minore (possono apparire
frasi stereotipate, c'é meno attenzione ad accertarsi che i significati della narrazione siano
comprensibili e condivisi, c'é meno tendenza a commentare il proprio discorso); l'impressione
é di una minore "presa" della coscienza sugli eventi interni e relazionali in corso durante
l'intervista.
E' stato anche rilevato che durante l'AAI dei soggetti distanzianti nell'intervistato compaiono
segni fisiologici di tensione emotiva (accelerazione del battito cardiaco).simili a quelli
riscontrati dai bambini evitanti alla Strange Situation.
E' verosimile, dunque che, come i bambini evitanti, anche gli adulti Dism operino una sforzo
mentale per escludere dalla coscienza emozioni e desideri connessi all'attività innata del
sistema motivazionale di attaccamento.

Questa categoria si articola nei quattro seguenti sottopattern: Ds1 (Distanzianti


l’attaccamento), Ds2 (Svalutanti l’attaccamento), Ds3 (Limitati nel sentimento) e Ds4 (al quale
vengono assegnati gli individui che esprimono una paura immotivata per la morte del loro
figlio) (Calvo & Fava Vizziello, 1997; Simonelli & Calvo, 2002).
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 08/S3
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

Preoccupati
I soggetti preoccupati esprimono un coinvolgimento confuso, passivo o arrabbiato rispetto
alle figure di attaccamento, dal quale è possibile evincere la presenza di un invischiamento
nell’ambito delle relazioni familiari che continua ad agire sul loro attuale stato mentale.
Le loro interviste si caratterizzano per una continua intrusione del passato nei loro processi
mentali, all’interno di un discorso fortemente intriso di elementi affettivi, di sensazioni e di
emozioni che il soggetto sembra non riuscire ad articolare in un quadro di pensiero logico e
coerente. Nel corso dell’intervista, questi soggetti sembrano prestare un’attenzione eccessiva
verso i ricordi collegati con l’attaccamento, con una conseguente tendenza a perdere il punto
centrale della domanda o il contesto del discorso e a produrre dettagli irrilevanti. La forma
del discorso, che appare difficile da seguire, contiene numerose violazioni delle Massime di
Grice, per quanto riguarda la lunghezza delle risposte (Massima della quantità), la loro
rilevanza (Massima della relazione) e la loro chiarezza (Massima del modo/maniera.
La categoria E si articola nei tre seguenti sottopatten: E1 (“Passivi”, che presentano
un’elevata passività del discorso che rende particolarmente confusa la narrazione delle
esperienze infantili), E2 (“Arrabbiati” o “in conflitto”, che esprimono rabbia e coinvolgimento
relativamente a uno o a entrambi i genitori) ed E3 (“Coinvolti e spaventati da eventi
traumatici”, che riferiscono esperienze traumatiche e di paura collegate all’attaccamento, che
continuano a sopraffare i loro processi mentali) (Calvo & Fava Vizziello, 1997; Simonelli &
Calvo, 2002).
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 08/S3
Titolo: VALUTAZIONE MODELLI OPERATIVI INTERNI
Attività n°: 01

Irrisolti rispetto ad un trauma

Rientrano in questa categoria, gli individui che hanno fatto esperienza di traumi collegati alle
figure di attaccamento e che non li hanno ancora superati. Emergono durante il discorso indici
di disorganizzazione del pensiero cosciente e una assenza di meta-cognizione. Ad esempio,
parlano in modo insolitamente e improvvisamente elogiativo di una persona deceduta;
parlano di una persona perduta al presente; pongono una attenzione estrema ai dettagli un
decesso; confondono tempo e spazio; usano frasi strane (possono dire che il genitore li
possiede e li può indurre a fare cose malvagie al figlio), narrazioni di abusi sessuali o fisici con
vissuti di autocolpevolezza
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 09/S2
Titolo: VERIFICA DEI CONTENUTI APPRESI
Attività n°: 01

Esercitazione su e-portfolio:
SAT
In questa e nella prossima sessione troverà le risposte di un bambino al SAT.
Vi chiedo di leggerle con attenzione e di codificarle in modo tale da arrivare a
definire il suo modello operativo interno.
Vi chiedo, inoltre, di spiegare le ragioni della vostra valutazione alla luce delle
risposte fornite in termini di classi di emozioni e reazioni comportamentali alla
separazione. Inoltrate le vostre risposte su e-portfolio
Scheda di risposta N= 2
Set Domande Bambino Ipotetico
Separation Anxiety Test di Klagsbrun e Bowlby (1976)
Versione modificata da Attili (2001)

Soggetto numero:
Cognome e 2 Età: 6 nni Data:
nome:

I Domanda:
“Secondo te, cosa prova questo /a bambino/a?”

CATEGORIA
B1/G1 Non è contenta
B2/G2 E’ felice
B3/G3 E’ felice
B4/G4 Sta bene
B5/G5 E’ felice
B6/G6 Sta bene

II Domanda:
“Perché pensi che provi questo?”

B1/G1 Perché non le piace la babysitter


B2/G2 Perché sta con tanti compagni
B3/G3 Perché fa quello che vuole
B4/G4 Perché può giocare
B5/G5 Perché le hanno fatto un bel regalo
B6/G6 Perché è al caldo

III Domanda:
“Che cosa pensi che faccia ora, questo/a bambino/a?”

TIPO DI ATTIVITA’
B1/G1 Andrà in camera a giocare
B2/G2 Scriverà alla lavagna
B3/G3 Aiuterà la zia
B4/G4 Giocherà sull’erba
B5/G5 giocherà
B6/G6 dorme

IV Domanda:
“Secondo te, cosa farà questo bambino questo rivedrà i genitori?”

B1/G1 Dice ben tornati


B2/G2 Li saluta
B3/G3 Li guarda e continua a fare quello che stava facendo
B5/G5 Li saluta

“Secondo te, cosa farà questo bambino quando si avvicina ai genitori?”


B4/G4 Fa finta di niente

“Secondo te, cosa farà questo bambino se la madre decidesse di rimanere nella stanza?”
B6/G6 Si addormenta lo stesso
Tabella di correzione [bambino ipotetico]
Separation Anxiety Test di Klagsbrun e Bowlby (1976)
Versione modificata da Attili (2001)

N° soggetto: Età (in anni): 6 Sesso: F


PERDITA AUTOSTIMA

ITEM
ATTACCAMENTO

CONFUSIONE
EVITAMENTO

ANGOSCIA
OSTILITA’

FIDUCIA

ANSIA

B1/G1 S

B2/G2 M

B3/G3 S

B4/G4 M

B5/G5 S

B6/G6 M Risposte Totale


attività punteggio
Punteggio

Classificazione Range punteggio


Attaccamento Insicuro Evitante
Attaccamento Sicuro
Attaccamento Insicuro Ambivalente
Attaccamento disorganizzato / confuso
Scheda di risposta N= 2
Set Domande Bambino Ipotetico
Separation Anxiety Test di Klagsbrun e Bowlby (1976)
Versione modificata da Attili (2001)

Soggetto numero:
Cognome e 2 Età: 6 nni Data:
nome:

I Domanda:
“Secondo te, cosa prova questo /a bambino/a?”

CATEGORIA
B1/G1 Non è contenta
B2/G2 E’ felice
B3/G3 E’ felice
B4/G4 Sta bene
B5/G5 E’ felice
B6/G6 Sta bene

II Domanda:
“Perché pensi che provi questo?”

B1/G1 Perché non le piace la babysitter


B2/G2 Perché sta con tanti compagni
B3/G3 Perché fa quello che vuole
B4/G4 Perché può giocare
B5/G5 Perché le hanno fatto un bel regalo
B6/G6 Perché è al caldo

III Domanda:
“Che cosa pensi che faccia ora, questo/a bambino/a?”

TIPO DI ATTIVITA’
B1/G1 Andrà in camera a giocare
B2/G2 Scriverà alla lavagna
B3/G3 Aiuterà la zia
B4/G4 Giocherà sull’erba
B5/G5 giocherà
B6/G6 dorme

IV Domanda:
“Secondo te, cosa farà questo bambino questo rivedrà i genitori?”

B1/G1 Dice ben tornati


B2/G2 Li saluta
B3/G3 Li guarda e continua a fare quello che stava facendo
B5/G5 Li saluta

“Secondo te, cosa farà questo bambino quando si avvicina ai genitori?”


B4/G4 Fa finta di niente

“Secondo te, cosa farà questo bambino se la madre decidesse di rimanere nella stanza?”
B6/G6 Si addormenta lo stesso
Tabella di correzione [bambino ipotetico]
Separation Anxiety Test di Klagsbrun e Bowlby (1976)
Versione modificata da Attili (2001)

N° soggetto: Età (in anni): 6 Sesso: F


PERDITA AUTOSTIMA

ITEM
ATTACCAMENTO

CONFUSIONE
EVITAMENTO

ANGOSCIA
OSTILITA’

FIDUCIA

ANSIA

B1/G1 S

B2/G2 M

B3/G3 S

B4/G4 M

B5/G5 S

B6/G6 M Risposte Totale


attività punteggio
Punteggio

Classificazione Range punteggio


Attaccamento Insicuro Evitante
Attaccamento Sicuro
Attaccamento Insicuro Ambivalente
Attaccamento disorganizzato / confuso
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 10
Titolo: DEPRESSIONE POST- PARTUM
Attività n°: 1

DEPRESSIONE POST-PARTUM
E ESITI SUL BAMBINO

LA LEZIONE VA STUDIATA SULLE SLIDE E SULL’ARTICOLO DI


Pedrini, L., & Ghilardi, A. (2016). Salute mentale materna e attaccamento
madre-bambino nella gravidanza a rischio: una revisione sistematica.
Maltrattamento e abuso all’infanzia
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 10
Titolo: DEPRESSIONE POST- PARTUM
Attività n°: 1

Maternity/baby blues
Piccole alterazioni dell’umore che seguono il lieto
evento. Riguarda il 30-85% delle donne. Massima
intensità nel IV o V giorno dopo il parto, si risolve
BABY BLUES intorno alla X giornata (al massimo due settimane dopo il parto).

Esordisce 2 o 3 giorni dopo il parto e la neomamma


comincia a sentire ansia, umore triste e sensazione di
instabilità. Irritazione immotivata nei confronti del
neonato, coniuge, altri figli. Piange senza motivo,
fatica a prendere sonno, poco appetito, vive sentimenti di
inadeguatezza.

CAUSE: fluttuazioni ormonali, stress e stanchezza che derivano dalla nuova condizione

Non è previsto alcun trattamento specifico al fuori di sostegno, comprensione, empatia. In rari casi,
il maternity blues può peggiorare e favorire il passaggio a un vero e proprio disturbo depressivo.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 10
Titolo: DEPRESSIONE POST- PARTUM
Attività n°: 1

LA DEPRESSIONE POST-PARTUM:

•coinvolge circa il 10-18% delle donne

•Compare entro 6 mesi successivi al parto, anche se l’insorgenza è datata,


più frequentemente, tra quattro e sei settimane. Tende a svilupparsi
gradualmente, può persistere per diversi mesi.

• Può verificarsi indipendentemente dall’ordine di nascita del bambino, può


colpire a tutte le età e indipendentemente dal numero di figli

• I sintomi sono gli stessi del BABY BLUES ma cambia l’intensità

•Interferenza più o meno marcata con le proprie attività


Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 10
Titolo: DEPRESSIONE POST- PARTUM
Attività n°: 1

L’ESORDIO: I PRIMI SEGNALI

Segni precoci della DEPRESSIONE


stanchezza e fatica, mancanza di energie che possono essere imputati
al normale aggiustamento del post-partum e non essere quindi percepiti
come segnali di allarme.

La madre depressa tende a vivere in modo ritirato col proprio


bambino e fatica a riconoscere il proprio stato di sofferenza.

La donna ritiene di non avere diritto di sentirsi triste, depressa in un


momento che dovrebbe essere caratterizzato da grande felicità e senso
di realizzazione. Spesso la negazione dei vissuti depressivi è
accompagnata da quella della famiglia
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 10
Titolo: DEPRESSIONE POST- PARTUM
Attività n°: 1

DEPRESSIONE POST-PARTUM: DIAGNOSI


4 dei seguenti sintomi per oltre due settimane
•Profondo stato di tristezza e di angoscia (umore disforico)

•Difficoltà di concentrazione o nel prendere decisioni

•Astenia (stanchezza cronica)

•Modificazioni dell’appetito o del sonno

•Ricorrenti pensieri di morte e/o suicidio

•Sentimenti di inadeguatezza, specie come madre nei confronti del figlio,


sensi di colpa

•Ansia eccessiva nei confronti del bambino (salute)


Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 10/S1
Titolo: DEPRESSIONE POST- PARTUM E FATTORI EZIOLOGICI
Attività n°: 1

Depressione post-partum: le possibili cause…..

Cambiamenti a livello fisico:


-Il livello di Ormoni quali l’estrogeno e il progesterone cade drammaticamente nelle
ore successive al parto. Cadono ormoni della tiroide…
- Spossatezza dovuta al travaglio e al parto o alla necessità di riprendersi da un
intervento chirurgico in caso di parto cesareo, stanchezza

Aspetti emotivi che possono influire sull’autostima della donna e sulla sua capacità
di affrontare lo stress del puerperio.
Aspetti legati all’idea che la donna ha di sé. Trasformazione fisica, sensazione di non
essere una persona libera; nuova identità di madre, vissute con insicurezza…
Percezione di scarso sostegno del partner. Aver recentemente vissuto eventi
dolorosi
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 10/S1
Titolo: DEPRESSIONE POST- PARTUM E FATTORI EZIOLOGICI
Attività n°: 1

Le possibili cause…..

Credenze erronee rispetto all’essere madre: 3 miti da sfatare!


1. Fare la mamma è istintivo. Niente di più falso. E’ una attività complessa che richiede
apprendimento di molte tecniche. Non deve essere un dramma se si incontra qualche insuccesso
2. Il bambino perfetto. Frustrazione magari aggravata al confronti coi figli di altri
3. Mamma è perfezione. Nessuno è perfetto e anche non provare un iniziale trasporto per il
neonato è normale. L’affetto cresce con la confidenza.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 10/S1
Titolo: DEPRESSIONE POST- PARTUM E FATTORI EZIOLOGICI
Attività n°: 1

QUALI SONO I FATTORI DI RISCHIO?

I fattori di rischio aumentano la probabilità che la donna sviluppi una depressione post-natale,
ma non sono necessariamente fattori causali. Una revisione sistematica degli studi distingue
i fattori di rischio in certi e probabili.

Storia personale di depressione


Depressione durante la gravidanza
Fattori di rischio
certi Difficoltà di rapporto col partner
Mancanza di sostegno pratico e emotivo
Accumulo di eventi stressanti: perdite, malattie,
handicap, trasferimenti
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 10/S1
Titolo: DEPRESSIONE POST- PARTUM E FATTORI EZIOLOGICI
Attività n°: 1

QUALI SONO I FATTORI DI RISCHIO?

Fattori di rischio Psicopatologia nella storia familiare


probabili Essere ragazze madri
Esperienza della nascita e mancanza di sostegno medico

Livello di depressione nel partner

Malattia/disabilità del bambino


/temperamento difficile
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 10/S1
Titolo: DEPRESSIONE POST- PARTUM E FATTORI EZIOLOGICI
Attività n°: 1

La presa in carico della Depressione Postnatale dovrebbe comportare:

1. Identificazione prenatale delle donne a rischio


2. Identificazione postnatale delle donne a rischio e valutazione diagnostica delle
situazioni sintomatiche
3. Trattamento delle situazioni attraverso:

Trattamento farmacologico con ansiolitici e antidepressivi (sempre sotto controllo


medico e sospendendo con l’allattamento) e/o psicoterapico. La consulenza
psicologica può essere sia individuale, per ricevere sostegno e prendere
consapevolezza del nuovo ruolo a cui si va incontro, sia di coppia, per affrontare
insieme i cambiamenti che la nascita di un figlio comporta nella propria vita
personale e familiare. Anche delle sedute di gruppo possono essere utili per far
sentire la neomamma meno sola, facendo l’esperienza che ci sono altre persone
che condividono con lei incertezze e difficoltà.
Se tale problematica evolve in una vera e propria psicosi post-partum si rendono
necessarie misure tempestive, come il ricovero e la terapia tipica di una psicosi.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 10/S2
Titolo: DEPRESSIONE E INTERAZIONE CAREGIVER-BAMBINO
Attività n°: 1

I sintomi
Si osserva una discreta variabilità nella presentazione della sintomatologia. In
ogni madre si può manifestare una diversa costellazione di sintomi. Alcune
depressioni connotate da: ansia, senso di colpa, pensieri autolesionistici; pensieri
ossessivi, rabbia, solitudine.
Pianto immotivato
Irritabilità, rabbia Scarsa energia Disturbi del Pensieri suicidari
autosvalutazione sonno Ruminazione
Ansia, scarsa
Umore depresso appetito Ossessiva Solitudine
concentrazione
Pessimismo Sfera sessuale Difficoltà a prendere decisioni

Influenzano

Relazioni Conflittualità Relazione col


interpersonali coniugale bambino

Ambiente di accudimento incerto e pericoloso per i figli


Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 10/S2
Titolo: DEPRESSIONE E INTERAZIONE CAREGIVER-BAMBINO
Attività n°: 1

Gli effetti della depressione post-partum sul bambino


Non è ancora ben chiara la natura precisa dei legami esistenti tra
disturbo depressivo e sviluppo del bambino. Infatti non tutti i bambini
sviluppano dei problemi e i problemi non sono dello stesso tipo.
Il comportamento del bambino e del genitore è intrecciato in una storia di relazioni e in
diversi contesti che non possono essere ignorati se vogliamo comprendere la reale natura dei
Legami tra depressione materna e sintomatologia del figlio

Gravità e cronicità dei


Sintomi depressivi
Spiegano le differenze di
adattamento nei figli di genitori
La natura dei legami di attaccamento
depressi
Può costituire un fattore importante

L’associazione tra depressione e adattamento può non essere unidirezionale. I problemi


comportamentali del bambino potrebbero contribuire allo sviluppo della depressione materna
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 10/S2
Titolo: DEPRESSIONE E INTERAZIONE CAREGIVER-BAMBINO
Attività n°: 1

Gli effetti della depressione post-partum sul bambino


Una serie di studi osservazionali hanno documentato numerose difficoltà di parenting ad esempio:
Aumentata ostilità, numerose interazioni negative, uso impaziente di direttive, scarsa sincronia

Pensiamo ai sintomi depressivi…. Molte caratteristiche associate alla depressione come l’ansia,
la ruminazione, e in particolare l’irritabilità sono aspetti importanti nella comprensione delle
difficoltà genitoriali delle madri depresse.

Le madri che rimuginano Sono meno responsive e


Con decisa astenia Attente ai bisogni dei figli

Possono esprimere una affettività


Le madri irritabili negativa e sono meno tolleranti nei
confronti del comportamento dei figli

Madri distaccate Madri coercitive


Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 10/S2
Titolo: DEPRESSIONE E INTERAZIONE CAREGIVER-BAMBINO
Attività n°: 1

Gli effetti sulle interazioni precoci mamma-bambino

Espressioni di rabbia,
Mancanza di interesse, entusiasmo,
stress, irritabilità che energia esitano in un minor
esitano in interazioni coinvolgimento col bambino
ostili e negative

I BAMBINI: Evitano di guardare I BAMBINI piangono spesso,


e interagire con la madre. sono nervosi e inquieti
Rabbia e Attenzione agli oggetti
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 10/S3
Titolo: DEPRESSIONE E SVILUPPO DEL BAMBINO
Attività n°: 1

EFFETTI DELLA DEPRESSIONE


POST-PARTUM SUI FIGLI
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 10/S3
Titolo: DEPRESSIONE E SVILUPPO DEL BAMBINO
Attività n°: 1

LO SVILUPPO DEI LEGAMI DI ATTACCAMENTO INSICURI:


In uno studio di Teti et al.(1995) è stato analizzato il legame di attaccamento
in un gruppo di bambini figli di madri depresse e di madri non depresse. Studi
più recenti confermano il dato che la depressione materna può favorire
l’insorgenza dell’attaccamento disorganizzato.

ATTACCAMENTO MADRI MADRI


DEPRESSE NON DEPRESSE
EVITANTE 5 (16.7%) 2 (10%)
SICURO 6 (20%) 14 (70%)
ANSIOSO 7 (23%) 2 (10%)
AMBIVALENTE
DISORGANIZZATO 12 (40%) 2 (10%)
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 10/S3
Titolo: DEPRESSIONE E SVILUPPO DEL BAMBINO
Attività n°: 1

ALTRI ESITI IN ETA’ INFANTILE

I bambini figli di madri depresse rispetto ai pari:

Hanno difficoltà a mostrare interesse verso gli oggetti


Guardano la madre più raramente
Hanno livelli di attività più bassi
Maggiore reattività fisiologica: battiti cardiaci più alti e livelli di cortisolo più
alti. Scarse performance sulle Bayles Scales of Infant development
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 10/S3
Titolo: DEPRESSIONE E SVILUPPO DEL BAMBINO
Attività n°: 1

GLI ESITI IN ETA’ PRESCOLARE

I bambini delle madri depresse appaiono più passivi, passivamente


disubbidienti, con una minore capacità di autonomia rispetto agli altri
bambini.
Tendono a presentare maggiori problematiche di internalizzazione (ansia e
depressione) o esternalizzazione (rabbia o distruttività).
Rispondono negativamente ai tentativi di interazione amichevoli da parte dei
pari. Presentano un gioco meno creativo e ritardi nello sviluppo cognitivo e
linguistico.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 10/S3
Titolo: DEPRESSIONE E SVILUPPO DEL BAMBINO
Attività n°: 1

GLI ESITI IN ETA’ SCOLARE e ADOLESCENZIALE

ETA’ SCOLARE
Permangono i problemi di ansia, depressione aggressività e ostilità
E’ stata inoltre trovata una associazione tra depressione materna e
disturbo dell’attenzione e della iperattività
Problematiche di apprendimento scolastico

ETA’ ADOLESCENZIALE
I figli di madri depresse sono a rischio di disturbi depressivi, abuso
di sostanze, disturbo della condotta, fobie, attacchi di panico.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 11
Titolo: GRAVIDANZA E MATERNITA' IN ADOLESCENZA
Attività n°: 1

La maternità in età
adolescenziale
Il contenuto della lezione va studiato sulle slide
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 11
Titolo: GRAVIDANZA E MATERNITA' IN ADOLESCENZA
Attività n°: 1

Maternità in età adolescenziale


Fenomeno che ha stimolato numerosi studi e ricerche
con risultati eterogenei

Fenomeno sociale rilevante in USA Fenomeno più limitato in Italia


Ogni anno 500.000 bambini di madri <20 Ragazze di classe sociale media
Classe economica bassa, non sposate Sposano i partner
Famiglie multiproblematiche o monopar. Accolte dalla famiglia d’origine

Situazioni critiche
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 11
Titolo: GRAVIDANZA E MATERNITA' IN ADOLESCENZA
Attività n°: 1

Maternità in età adolescenziale come condizione di rischio

Gli studi della letteratura concordano nel considerare la maternità nel periodo
adolescenziale come un fattore di rischio per lo stabilirsi di una relazione
adeguata tra madre e bambino.
Le madri adolescenti appaiono infatti ostacolate nella gestione del ruolo
genitoriale da problematiche relative al processo di costruzione della
propria identità adulta e di individuazione dalle figure genitoriali, in
particolare quella materna (Aiello e Lancaster, 2008).
L’assolvimento di tale compito evolutivo può entrare in conflitto con l’assunzione
del ruolo genitoriale e il conseguente accudimento del figlio.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 11
Titolo: GRAVIDANZA E MATERNITA' IN ADOLESCENZA
Attività n°: 1

Maternità in età adolescenziale come condizione di rischio

Gli intensi bisogni di cura a livello emotivo e fisico di un bambino appena nato
possono essere vissuti dalle madri adolescenti come in conflitto coi propri ,
causando già nel corso della gravidanza e nel post-partum, sentimenti di
vulnerabilità, scarsa autostima e stati di tipo depressivo.
L’assorbimento nel processo di crescita tipico dell’adolescente fa sì che le
mamme adolescenti nel corso della gravidanza abbiano poche fantasie
riguardanti il futuro bambino, rappresetandoselo in modo meno differenziato e
ricco rispetto alle madri adulte (Ammaniti et al. 2002).
E’ importante sottolineare inoltre come nel post-parto la mamma adolescente
tenda a rivolgersi alla propria madre per ottenere sostegno nell’allevamento del
bambino, trovandosi a rinsaldare di fatto quegli aspetti di dipendenza che
vorrebbe risolvere.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 11
Titolo: GRAVIDANZA E MATERNITA' IN ADOLESCENZA
Attività n°: 1

Il punto di vista psicodinamico

La gravidanza in età adolescenziale può essere considerata in alcuni casi un


tentativo di conquista dell’autonomia che appare difficile da raggiungere
attraverso vie più fisiologiche (studio, lavoro ecc.). Spesso questo accade quando
l’adolescente si confronta con una madre che a sua volta ha partorito in giovane
età o con difficoltà e fallimenti nel proprio processo di crescita (interruzione degli
studi, assenza di sbocchi lavorativi). In altri casi, la gravidanza può essere vissuta
come un tentativo di ricreare o creare ex novo l’attenzione e le cure materne
perdute o mai vissute o, ancora, di ottenere dal bambino quel riconoscimento e
amore non sperimentato dai propri genitori (Waddel, 2009).
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 11
Titolo: GRAVIDANZA E MATERNITA' IN ADOLESCENZA
Attività n°: 1

E’ più difficile affrontare i compiti della maternità


congiuntamente alla elaborazione delle problematiche adolescenziali

Interferisce col processo di costruzione della identità femminile:


La ragazza si sente confusa perché ancora coinvolta nei conflitti
di figlia e costretta ad assumere compiti genitoriali

Sintesi
Un compito impegnativo è quello di integrare nell’immagine di
Sé le trasformazioni somatiche e sessuale determinate dalla pubertà
Queste trasformazioni sono fonti di ansia

La gravidanza può rispondere


al desiderio adolescenziale
di dimostrare che il proprio La gravidanza comporta in
corpo funziona come quello realtà un riavvicinamento
adulto: desiderio di gravidanza A questa che tornerà a svolgere
E di liberarsi dalla dipendenza Un ruolo rilevante
Dalla propria madre
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 11/S1
Titolo: Profili psicologici delle madri adolescenti
Attività n°: 1

La maternità in età
adolescenziale: profili
psicologici
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 11/S1
Titolo: Profili psicologici delle madri adolescenti
Attività n°: 1

Il profilo psicologico della adolescente:


indicazioni della letteratura Usa e Canadese
La ricerca individua un profilo psicologico differente a seconda della scelta intrapresa dalla
giovane:

Adolescenti che decidono di interrompere la gravidanza:


Generalmente provengono da famiglie di classe sociale medio-alta, presentano un minor
numero di problematiche familiari, sono più autonome, hanno obiettivi accademici e
professionali, mostrano una capacità di pensare al futuro, percepiscono l’impatto che la
gravidanza potrebbe avere sulla loro vita, hanno principi religiosi più “liberi”, conoscono
qualcuno che ha già sperimentato l’aborto, vedono l’arrivo del bambino come un ostacolo ai
loro progetti, si sentono troppo giovani e impreparate, considerano la responsabilità della
maternità come troppo importante

Adolescenti che decidono di portare a termine la gravidanza:


In genere appartengono ad un livello socio-economico più basso, vivono in famiglie
numerose, o in famiglie con genitore unico, hanno livelli di istruzione inferiori. Spesso sono
figlie di madri adolescenti. Contrariamente alle altre, non considerano la nascita del
bambino come un evento compromettente il loro futuro.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 11/S1
Titolo: Profili psicologici delle madri adolescenti
Attività n°: 1

Il profilo psicologico della adolescente:


indicazioni della letteratura Usa e Canadese
Rispetto a questo secondo gruppo di ragazze…….

Appartiene ad un ambiente “a rischio” ..….

… presentano una scarsa autostima, investono poco sulla loro vita sociale,
accademica e professionale… Spesso rimangono incinte perché perseguono la
convinzione che il bambino renderà più stabile la relazione col ragazzo, oppure
per sfuggire da un ambiente difficile e violento.
Considerano il bambino come un modo per ottenere l’autonomia, un modo per
dare significato alla loro vita, un modo per conquistare un riconoscimento
sociale…. Un desiderio di riparare agli errori dei genitori…
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 11/S1
Titolo: Profili psicologici delle madri adolescenti
Attività n°: 1

Variabili psicologiche sottese alla gravidanza, Le Van, 1998


1. Adolescente che è alla ricerca di conferme della propria identità. Gravidanza
come prova della nuova condizione adulta più che un reale desiderio
genitoriale.
Si vuole dimostrare narcisisticamente che il proprio corpo funziona come quello di
una donna, in particolare come quello della madre, si è felici di non essere sterili ma
non si è in grado di comprendere le implicazioni che comporta avere un bambino. Il
desiderio di gravidanza prevale su quello di maternità. La gravidanza come
verifica del rapporto col partner. Progetti sul proprio futuro. Interruzione.
2. Ragazze con storie di deprivazione e maltrattamento .. La gravidanza è un
modo per sollecitare l’attenzione del loro ambiente familiare o di chiedere
aiuto al contesto sociale. Spesso l’interruzione vissuta in modo conflittuale ma è
preferita alla maternità
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 11/S1
Titolo: Profili psicologici delle madri adolescenti
Attività n°: 1

Variabili psicologiche sottese alla gravidanza, Le Van, 1998

3. La gravidanza assume la funzione di assicurare uno status. La


maternità è vista come un modo per acquisire uno status socialmente
riconosciuto e approvato dal gruppo socio-culturale di appartenenza.
Solitamente la gravidanza è programmata. L’interruzione è rifiutata
categoricamente.
4. Gravidanza accidentale. Il rifiuto della gravidanza è netto e la scelta di
tenere o meno il bambino dipende dalla progettualità o dall’isolamento
emotivo e sociale.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 11/S1
Titolo: Profili psicologici delle madri adolescenti
Attività n°: 1

I fattori in gioco e la relazione madre-bambino

ETA’ Risultati discordanti

Espone la giovane a difficoltà


Povertà ambientali come il vivere in aree ad alto tasso di crimine

Spesso non è in grado di offrire aiuto


pratico e affettivo
Famiglia
D’origine
Se il sostegno in situazioni di convivenza:
Clima di tensione e conflitto che non aiuta lo
Sviluppo della competenza genitoriale

Se il sostegno in contesti abitativi differenti:


Favorisce una genitorialità più adeguata
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 11/S1
Titolo: Profili psicologici delle madri adolescenti
Attività n°: 1

Le risorse o le difficoltà personali


L’assenza di tale capacità determina utilizzo di
SELF individuation modalità adesive e confusive nella relazione con
la madre.

Capacità intellettive Mancanza di conoscenze, bassi livelli di


Autostima, scarso orientamento verso la maternità

Salute mentale Depressione, abuso di sostanze

Questi fattori esercitano una influenza negativa sulla qualità


della relazione madre-bambino.

Tendenze punitive, svalutanti, limitazioni delle comunicazioni verbali,


svalutazione del temperamento. Relazioni evitanti e disorganizzate,
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 11/S1
Titolo: Profili psicologici delle madri adolescenti
Attività n°: 1

I BAMBINI DELLE MADRI ADOLESCENTI:


- mortalità infantile
- scarso peso alla nascita,
- nascita prematura,
-scarso sviluppo intellettivo dovuto al fatto che le madri interagiscono poco coi
loro bambini… hanno scarse conoscenze dello sviluppo e sono meno sensibili
-tassi più alti di maltrattamenti fisici
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 11/S2
Titolo: MATERNITA' IN ADOLESCENZA
Attività n°: 1

I fattori in gioco e la relazione madre-bambino

ETA’ Risultati discordanti

Espone la giovane a difficoltà


Povertà ambientali come il vivere in aree ad alto tasso di crimine

Spesso non è in grado di offrire aiuto


pratico e affettivo
Famiglia
D’origine
Se il sostegno in situazioni di convivenza:
Clima di tensione e conflitto che non aiuta lo
Sviluppo della competenza genitoriale

Se il sostegno in contesti abitativi differenti:


Favorisce una genitorialità più adeguata
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 11/S2
Titolo: MATERNITA' IN ADOLESCENZA
Attività n°: 1

Le risorse o le difficoltà personali


L’assenza di tale capacità determina utilizzo di
SELF individuation modalità adesive e confusive nella relazione con
la madre.

Capacità intellettive Mancanza di conoscenze, bassi livelli di


Autostima, scarso orientamento verso la maternità

Salute mentale Depressione, abuso di sostanze

Questi fattori esercitano una influenza negativa sulla qualità


della relazione madre-bambino.

Tendenze punitive, svalutanti, limitazioni delle comunicazioni verbali,


svalutazione del temperamento. Relazioni evitanti e disorganizzate,
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 11/S2
Titolo: MATERNITA' IN ADOLESCENZA
Attività n°: 1

I BAMBINI DELLE MADRI ADOLESCENTI:


- mortalità infantile
- scarso peso alla nascita,
- nascita prematura,
-scarso sviluppo intellettivo dovuto al fatto che le madri interagiscono poco coi
loro bambini… hanno scarse conoscenze dello sviluppo e sono meno sensibili
-tassi più alti di maltrattamenti fisici
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 11/S3
Titolo: Maternita' In Adolescenza
Attività N°: 1

Prova di apprendimento
e-portfolio
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 11/S3
Titolo: Maternita' In Adolescenza
Attività N°: 1

Provi a delineare le ragioni che portano gli studiosi a definire la gravidanza in


adolescenza una condizione di rischio

Quali sono i fattori connessi con la qualità della responsività nelle madri
adolescenti?

Quali sono i principali esiti nello sviluppo dei bambini delle madri adolescenti
(qualora sia presente una prevalenza di fattori di amplificazione del rischio?)

Risponda inviando le sue risposte su e-portfolio


Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 12
Titolo: LA VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 1
Attività n°: 2

VALUTARE LA SENSIBILITA’ MATERNA

Il contributo di
Mary Ainsworth

La Ainsworth – con la finalità di valutare gli antecedenti e lo sviluppo dell’attaccamento – ha


messo a punto il primo sistema di valutazione della sensibilità materna. Tale sistema
costituisce il punto di riferimento degli strumenti costruiti successivamente e comprende 4 scale
unidimensionali a cui è possibile attribuire un punteggio da 0 (massima inadeguatezza) a 9
(massima adeguatezza) su una scala a 5 punti (valori di 9, 7,5, 3, 1). Nella lezione prenderemo
in considerazione le 4 scale con una maggiore focalizzazione sulla scala sensitivity vs
insensitivity ( sensibilità vs insensibilità).
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 12
Titolo: LA VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 1
Attività n°: 2

Nello studio di Baltimora, attraverso l’osservazione a domicilio delle


interazioni caregiver-bambino per un monte ore di 72 ore a famiglia,
Ainsworth evidenzia l’importanza quattro dimensioni/scale indicative del
comportamento materno:

Accettazione-Rifiuto: riguarda l’equilibrio tra i sentimenti positivi e negativi


che la madre nutre verso il figlio e la sua capacità di integrare tali sentimenti
Cooperazione-Interferenza: riguarda la sua capacità di collaborare o di
interferire con le attività del figlio.
Disponibilità fisica e psicologica-indifferenza: si riferisce all’atteggiamento
verso il piccolo.
Sensibilità-Insensibilità: misura la risposta della madre ai segnali e alle
comunicazioni del figlio.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 12
Titolo: LA VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 1
Attività n°: 2

DI M EN SI ONE accettazione-rifiuto :
Riguarda la capacità della m adre di integrare i sentim enti positivi
e negativi vs il figlio .

Si presume che al polo positivo del continuum le componenti negative non


siano del tutto assenti ma inserite nel contesto di una relazione positiva e
che al polo negativo le componenti positive, pur presenti, non siano
integrate con quelle negative.
Vi sarebbe pertanto una alternanza di sentimenti positivi (tenerezza, cura,
piacevolezza) e negativi (risentimento, irritazione e rifiuto), senza la
possibilità di una loro compresenza.
“C’è un bambino buono e amabile da una parte e uno cattivo e irritante
dall’altra, senza rendersi conto che il bambino reale è qualcuno perso tra i
due”.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 12
Titolo: LA VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 1
Attività n°: 2

DI M EN SI ONE accettazione-rifiuto :

Il polo positivo implica una preponderanza di amore e accettazione che


superano o mitigano le frustrazioni, irritazioni e le limitazioni imposte dal
figlio. Una madre accettante tollera i comportamenti che altre troverebbero
irritanti e, anche se può sentirsi irritata verso il figlio, si prende sempre la
responsabilità di accudirlo

Il polo negativo implica una preponderanza di sentimenti di rabbia,


risentimento, irritazione vs il bambino; sentimenti non controbilanciati da
affettività positiva e che producono in un rifiuto più o meno coperto del
bambino. Diverse possono essere le forme di rifiuto: ad es. allontanare da
sé il bambino quando non fa quanto desiderato; ignorarlo come ritorsione;
discutere solo gli aspetti negativi del B., criticare, ridicolizzare il bambino;
una marcata impazienza.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 12
Titolo: LA VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 1
Attività n°: 2

DIMENSIONE cooperazione-interferenza:

Misura l’estensione secondo la quale gli interventi della madre interferiscono,


interrompono e riducono il comportamento del bambino.
Il livello di interferenza può venire valutato considerando: a) il grado di
interferenza fisica nei confronti dell’attività del bambino; b) la mera
frequenza delle interruzioni.
Alcune madri sono altamente interferenti in senso propriamente fisico. Queste madri
afferrano i bambini; li allontanano, li confinano o liberano con un assoluto
disinteresse per la sua attività in progress. La limitazione delle attività del bambino
avviene con la forza o un intervento fisico. Può usare la forza nei casi in cui viene
richiesta la collaborazione del bambino (alimentazione, gioco, toilet training). Altre
madri invece interferiscono senza utilizzare la forza ma stando continuamente
“addosso” al bambino istruendolo, dirigendolo, controllandolo (attraverso istruzioni e
comandi).
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 12
Titolo: LA VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 1
Attività n°: 2

DIMENSIONE cooperazione-interferenza:

In sintesi, la madre interferente non considera il bambino come una


persona separata e quindi tende ad imporre i i suoi ritmi, senza tenere
conto delle esigenze del figlio.

La madre cooperativa, al polo opposto, decide insieme al piccolo, rispetta


la sua autonomia, i suoi desideri e le sue intenzioni, propone un gioco
ma se questo non interessa cambia attività e cerca di evitare che attività
piacevoli per il bambino si interrompano.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 12
Titolo: LA VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 1
Attività n°: 2

DI M EN SI ONE: Disponibilità-negligenza / ritiro :


L’aspetto centrale di questa dimensione è l’accessibilità della madre per il bambino con
una particolare attenzione alla sua responsività.
Una madre altamente accessibile mantiene sempre il bambino in un terreno di
consapevolezza percettiva, in modo tale che questi possa venire raggiunto anche solo
attraverso una comunicazione a distanza. Questa madre può dividere la sua
attenzione tra il bambino, le altre persone, attività, senza tuttavia “perdere di vista” il
bambino. Non è mai quindi troppo assorbita dai pensieri, preoccupazioni, sentimenti o
attività che potrebbero farle dimenticare il bambino ma anzi sa sempre dove si trova e
cosa sta facendo. Quando è in un’altra stanza è facilmente in grado di percepire i
rumori emersi dal bambino e prende delle precauzioni affinchè il bambino non sia mai
troppo lontano o isolato al punto da non sentirlo.
E’ quindi consapevole delle sue attività e segnali e vi risponde prontamente. Per essere
accessibile la madre non necessariamente comprende e interpreta correttamente il
comportamento del bambino ma è sempre in allerta e vi risponde.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 12
Titolo: LA VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 1
Attività n°: 2

DI M EN SI ONE: Disponibilità-negligenza / ritiro :

Una madre inaccessibile ignora il bambino e, in questo senso, lo trascura


psicologicamente anche se, a volte, può fallire nel proteggerlo dai pericoli.
Vi sono due tipologie di madri: le prime sono inconsapevoli di gran parte
delle attività del bambino, non percepiscono i loro segnali, e comunicazioni
e quindi non sono in grado di rispondere. Le seconde percepiscono i
segnali in modo corretto ma non li accettano e non vi rispondono e quindi
risultano inaccessibili come le prime.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 12
Titolo: LA VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 1
Attività n°: 2

IL COSTRUTTO DI SENSIBILITA’ MATERNA

La capacità di percepire e interpretare accuratamente i segnali e le


comunicazioni implicite contenute nel comportamento del bambino e, grazie a
tale comprensione, di rispondere in modo appropriato e tempestivo.

(Ainsworth, Bell & Stayton, 1971; 1974)


Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 12/S1
Titolo: LA VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 1
Attività n°: 2

La sensitivy vs insensitivy
Scale
(Ainsworth et al. 1971)

Vedremo qui di seguito le indicazioni di Mary Ainsoworth relative ai punteggi da


assegnare alle madri per la dimensione sensibilità vs insensibilità
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 12/S1
Titolo: LA VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 1
Attività n°: 2

SENSITIVITY VS INSENSITIVITY SCALE (Ainsworth et al. 1971)

9. ALTAMENTE SENSIBILE
Questa mamma è totalmente in linea coi segnali del bambino e vi risponde
appropriatamente e prontamente.

Sa “leggere” i segnali e le comunicazioni del bambino in modo competente e


comprende il significato degli stimoli anche più sottili, minimali e
difficili. Quasi sempre è in grado di offrire al bambino quello che vuole
sebbene non invariabilmente. Quando infatti pensa che non sia utile
compiacere alle sue richieste, per esempio, quando è troppo eccitato,
esigente, o desidera qualche cosa che non dovrebbe avere, ella riesce a
riconoscere la sua comunicazione e ad offrirgli una valida alternativa. Durante
le interazioni col bambino entrambi sono soddisfatti. Infine le sue risposte
sono contingenti ai segnali e alle comunicazioni del bambino.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 12/S1
Titolo: LA VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 1
Attività n°: 2

7. SENSIBILE
E’ in grado di interpretare accuratamente le comunicazioni del bambino e di
rispondervi prontamente

Con minor sensibilità rispetto alle madri che ottengono i punteggi più alti. Può
essere infatti meno sintonizzata con le comunicazioni più sottili del bambino,
rispetto alle madri altamente sensibili. Può anche essere meno capace di
suddividere la propria attenzione tra il bambino e le altre necessità e, di
conseguenza, può non cogliere tutti i segnali del bambino. I segnali più chiari e
definiti del bambino, invece, non vengono mai persi o mal interpretati. E’ una
mamma che empatizza col bambino e riesce a vedere le cose dal suo punto di vista
ma proprio perché la sua percezione è meno sensibile rispetto alle madri 9, le sue
risposte non sono sempre ben appropriate e pronte. Le interazioni con il
bambino sono adeguate.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 12/S1
Titolo: LA VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 1
Attività n°: 2

5. SENSIBILE IN MODO INCOSTANTE


Questa mamma risulta sensibile in alcune occasioni mentre in altri momenti
risulta insensibile.

Questa incostanza può dipendere da diverse ragioni ma il risultato è che queste


madri sembrano avere delle difficoltà nell’esprimere un accudimento sensibile.
Possono essere sensibili rispetto ad alcuni aspetti della esperienza del
bambino e in alcuni momenti ma non in altri. In generale, comunque, queste
madri sono più spesso sensibili che insensibili.
Quello che è importante sottolineare è che la stessa madre può essere
sensibile in alcune occasioni ma insensibile in altre.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 12/S1
Titolo: LA VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 1
Attività n°: 2

3. INSENSIBILE
Questa mamma non è in grado di rispondere alle comunicazioni del bambino in
modo appropriato e tempestivo anche se in alcune occasioni mostra una certa
sensibilità nelle sue risposte e interazioni col bambino. Questa insensibilità sembra
connessa ad una incapacità di vedere le cose dal punto di vista del bambino.

E’ una mamma che spesso ha in mente ad altre cose e quindi può risultare inaccessibile ai
segnali e alle comunicazioni del bambino, oppure, può mal percepire i segnali o
interpretarli non accuratamente a causa dei suoi desideri o difese.
Ancora, può essere perfettamente consapevole di ciò che il bambino sta comunicando ma
non avere alcuna intenzione di rispondervi perché non ne ha voglia, perché ciò è
fastidioso, o perché non vuole viziare. Può ritardare nel fornire la risposta appropriata
fino al punto che questa non risulta più contingente ai segnali del bambino e quindi non
risulta più appropriata né per lo stato che per l’umore del bambino. Oppure ancora può
rispondere in modo abbastanza appropriato alle comunicazioni del bambino ma
interrompe le transizioni prima ancora che il bambino sia soddisfatto, così che le
loro interazioni risultano frammentate e incomplete o le loro risposte impazienti, frettolose.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 12/S1
Titolo: LA VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 1
Attività n°: 2

1. ALTAMENTE INSENSIBILE
Queste madri sembrano concentrate quasi esclusivamente sui propri bisogni,
desideri, stati d’animo e attività.

Gli interventi e le iniziative materne sono vincolati o caratterizzati quasi


esclusivamente dai segnali provenienti da se stessa. Se questi incontrano quelli del
bambino questa risulta essere una mera coincidenza. Questo non significa che la
madre non risponde mai ai segnali del bambino, lo fa se i segnali sono
sufficientemente intensi, prolungati, o sufficientemente ripetuti. Il ritardo nella
risposta è in se stesso insensibile. Inoltre dal momento che vi è una disparità tra i
propri desideri ed attività e i segnali del bambino, la madre che è concentrata sui
propri ignora o distorce i segnali del bambino. Quando la madre risponde ai
segnali del bambino la sua risposta è spesso inappropriata, frammentata e
incompleta.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 12/S1
Titolo: LA VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 1
Attività n°: 2

Quale dimensione del comportamento materno giustifica maggiormente le


differenze comportamentali dei bambini alla S.S?

Analizzando diversi aspetti del materiale relativo alle visite a casa, come i
momenti di alimentazione, le interazioni faccia a faccia madre-bambino, il
pianto, il seguire la madre da parte del piccolo, l’obbedienza e il contatto
fisico, Ainsworth rileva che ciò che distingue i bambini sicuri e insicuri alla
Strange Situation (che vederemo nella prossima sessione) è la capacità
delle madri di cogliere i segnali dei figli, di interpretarli correttamente e di
rispondere in modo tempestivo (sensiitivity).
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 12/S2
Titolo: VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 1
Attività N°: 02

La Strange Situation

E’ Uno dei modelli o paradigmi sperimentali maggiormente conosciuti ed è sorto


nell’ambito della teoria dell’attaccamento, per valutare l’attaccamento mamma-
bambino a 1 anno di vita: la Strange Situation .
E’ stata messa a punto, a partire dai lavori di Bowlby, da Mary Ainsworth e colleghi
(1978). Consiste nel creare una situazione avvertita come “stressante” dal piccolo,
dal momento che si ritiene che siano queste situazioni ad attivare il sistema di
attaccamento.
Vi suggerisco di visionare il video al seguente link:
https://www.youtube.com/watch?v=x2usVu8O2YY
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 12/S2
Titolo: VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 1
Attività N°: 02

I protagonisti di questa procedura, che avviene in un laboratorio (predisposto in maniera


piacevole dal ricercatore, con giochi sparsi per il piccolo e 2 sedie per gli adulti), sono:
il bambino, la mamma (o il suo caregiver di riferimento), una donna estranea, che il
bambino non conosce. Il ricercatore, oltre a filmare ciò che accade, solitamente
osserva i comportamenti dietro uno specchio unidirezionale posto su una delle pareti
(si tratta di uno specchio che permette di vedere, senza essere visti).

La procedura sperimentale prevede otto fasi, ciascuna della durata di circa 3 minuti:
1) Familiarizzazione con l’ambiente
2) Mamma e bambino giocano insieme nella stanza
3) Entra l’estranea e si siede
4) La mamma esce (prima separazione) e il bambino rimane con l’estranea
5) La mamma rientra (prima riunione con il bambino) e la donna estranea esce
6) La mamma esce (seconda separazione) e il bambino rimane solo nella stanza
7) Rientra la donna estranea, che sta nella stanza insieme al bambino
8) La mamma rientra (seconda riunione) e l’estranea esce
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 12/S2
Titolo: VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 1
Attività N°: 02

Cosa viene osservato?


Si osserva l’attaccamento (Bowlby, 1969, 1973, 1980), operazionalizzato nei seguenti
comportamenti:
ricerca della vicinanza al caregiver
effetto “base sicura” (comportamento esplorativo, anche in assenza della mamma)
protesta alla separazione dal caregiver

Quando i comportamenti vengono osservati?


Si osserva il bambino nei seguenti momenti:
alla separazione
al ricongiungimento
quando è da solo con l’estranea

Sulla base di tali comportamenti, si individuano i diversi stili di attaccamento.


Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 12/S2
Titolo: VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 1
Attività N°: 02

Stile B: Attaccamento sicuro


• Il bambino con la mamma: esplora la stanza, gioca, si interessa all’ambiente
• Il bambino senza la mamma: piange e si lamenta, ma si lascia consolare dall’estranea
e riprende a giocare
• Il bambino al ricongiungimento: accoglie la madre, le va incontro, si lascia consolare
• Comportamento della madre: generalmente sensibile alle richieste del bambino e
supportiva nei momenti di stress

Stile A: Attaccamento insicuro-evitante


• Il bambino con la mamma: è indifferente alla madre, si interessa all’ambiente ma non
coinvolge la mamma, non la cerca con lo sguardo
• Il bambino senza la mamma: non piange né si lamenta, continua nelle sue attività. È
indifferente anche all’ingresso di un altro adulto
• Il bambino al ricongiungimento: non si avvicina alla madre, la ignora, continua a giocare
• Comportamento della madre: in genere non cerca il contatto fisico con il bambino, ne è
infastidita e tende ad allontanarsi se il bambino la cerca attivamente
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 12/S2
Titolo: VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 1
Attività N°: 02

Stile C: Attaccamento insicuro-ambivalente


• Il bambino con la mamma: non esplora, ricerca costantemente il contatto con la mamma
• Il bambino senza la mamma: è disperato, piange molto ed è inconsolabile
• Il bambino al ricongiungimento: sembra arrabbiato con la madre, le si avvicina e
contemporaneamente la picchia, corre avanti e indietro tra lei e i giochi
• Comportamento della madre: la madre generalmente non “si sintonizza” con il bambino,
non riesce a rispondere alle sue esigenze ma gli si avvicina o gli si allontana sulla base
dei propri bisogni

Stile D: Attaccamento disorganizzato


• Il bambino non sa cosa fare, appare confuso, non ha un vero e proprio schema
preordinato di comportamenti ma li alterna rapidamente
• La figura di attaccamento che dovrebbe fornire protezione è la stessa che infonde
paura e che rappresenta il pericolo (tipico dei bambini che subiscono maltrattamenti o
abusi da parte del genitore): il bambino non sa come reagire né come chiedere aiuto
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 12/S3
Titolo: LA VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 1
Attività n°: 1

PROVA DI APPRENDIMENTO
FORUM
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 12/S3
Titolo: LA VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 1
Attività n°: 1

Ripensando al contributo di Ainsowrth in merito alla


valutazione delle interazioni caregiver- bambino segnali sul
forum:
1. Quale è la dimensione che ha suscitato maggiormente il
suo interesse e perché
2. Quali sono le caratteristiche salienti della sensibilità
materna
3. Cosa significa interferenza verso l’attività del bambino
4. Quali sono le caratteristiche distintive dei bambini sicuri e
evitanti alla Strange Situation
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 13
Titolo: VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 2
Attività n°: 1

LA VALUTAZIONE DELLA
DISPONIBILITA’ EMOTIVA
Il contributo di Zeynep Biringen
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 13
Titolo: VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 2
Attività n°: 1

IL COSTRUTTO DI DISPONIBILITA’ EMOTIVA: caratteristiche chiave

La Ainsworth e coll. nella definizione della sensibilità materna hanno


focalizzato sostanzialmente l’attenzione sulla capacità individuale
dell’adulto di rispondere in maniera appropriata ai bisogni del
bambino. La Biringen nel sviluppare il concetto di disponibilitàà
emotiva attribuisce particolare rilevanza sia al contributo della
madre sia a quello del bambino. La natura diadica del concetto
rispecchia chiaramente la natura bidirezionale della relazione
madre-bambino ed il ruolo attivo del bambino nella sua regolazione.
Infatti, non è solo la madre a poter essere più o meno
emotivamente disponibile nei confronti del bambino ma anche il
bambino a mostrare, una personale tendenza ad essere più o meno
emotivamente responsivo e coinvolgente nei confronti della madre.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 13
Titolo: VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 2
Attività n°: 1

La natura diadica del concetto implica anche che per comprendere il


grado di disponibilità emotiva della madre sia indispensabile mettere
in relazione il suo comportamento con quello antecedente o
conseguente del bambino. Pertanto la sensibilità della madre è veramente
tale solo in rapporto all’effettivo stato del bambino.
Un ulteriore elemento centrale del concetto di disponibilità emotiva è la
considerazione delle emozioni come “barometri” della qualità della
relazione.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 13/S1
Titolo: VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 2
Attività n°: 1

Il costrutto di disponibilità emotiva si colloca in una posizione


vicina e per certi versi sovrapposta alla concettualizzazione di
sensibilità materna della Ainsworth, presentando tuttavia importanti
elementi di differenziazione:

Considerazione dei contesti naturali in cui la


sollecitazione dello stress non risulta
centrale per valutare il costrutto

Piena valorizzazione del ruolo attivo del


bambino nella definizione del costrutto

Considerazione di fattori non contemplati


nel costrutto della sensibilità, come ad
esempio la strutturazione e la non–ostilità.

Biringen, 2000
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 13/S1
Titolo: VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 2
Attività n°: 1

DIMENSIONI DEL COSTRUTTO DI DISPONIBILITA’ EMOTIVA

I principali elementi che costituiscono la disponibilità emotiva


materna sono: la sensibilità con cui coglie e risponde ai
segnali del bambino, la capacità di strutturare l’ambiente
in modo da renderlo fruibile al bambino, l’assenza di
intrusività ed ostilità, e il contributo del bambino, ossia
la sua capacità di rispondere con un affetto adeguato alle
proposte della madre e di coinvolgerla nelle proprie attività.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 13/S1
Titolo: VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 2
Attività n°: 1

Scale della disponibilità emotiva

Scale osservative che misurano la qualità degli scambi emozionali genitore-figlio

Utilizzabili con bambini di età compresa tra i 4 mesi e 8 anni


Importanza della “qualità dello scambio emotivo”
Misurano aspetti della relazione e non tratti di personalità
Diversi contesti osservativi: casa, laboratorio, gioco non strutturato;
gioco strutturato, separazione, ricongiungimento, ecc.
Diversa durata: 5-10 minuti (situazione strutturata); 120 minuti
(situazione non strutturata)

6 DIMENSIONI
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 13/S1
Titolo: VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 2
Attività n°: 1

Emotional Availibilty Scales (Biringen et al.,2000)


Le dimensioni investigate

GENITORE

Non
SENSIBILITA’ STRUTTURAZIONE Non OSTILITA’
INTRUSIVITA’
1-9 1-5 1-5
1-5

BAMBINO

RESPONSIVITA’ COINVOLGIMENTO
1-7 1-7
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 13/S2
Titolo: VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 2
Attività n°: 1

Adulto: SENSIBILITA’ (1-9)

Si riferisce alla capacità dell’adulto di essere emotivamente


“connesso”, in sintonia con il bambino.
Possibili segnali sono:

- appropriatezza e spontaneità, naturalezza dell’affetto (espressione del volto,


tonalità della voce, gesti…);

- capacità di comprendere e di rispondere ai bisogni e comunicazioni del bambino

- capacità di risolvere i conflitti (attraverso la negoziazione, senza sentimenti di


frustrazione o ostilità);

- flessibilità; creatività;

- accettazione del bambino in quanto soggetto con particolari bisogni e necessità


Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 13/S2
Titolo: VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 2
Attività n°: 1

ADULTO: STRUTTURAZIONE (1-5)

Si riferisce alla capacità dell’adulto di guidare il gioco del bambino e di


organizzare in maniera adeguata l’ambiente in cui si svolge
l’interazione, definendo contesto, regole e limiti della comunicazione
emotiva e facendoli rispettare.

Possibili segnali di scaffolding:

• offrire suggerimenti (verbali e non verbali) in quantità opportuna


• evitare iper-stimolazione
• mantenimento della differenza di ruolo
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 13/S2
Titolo: VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 2
Attività n°: 1

ADULTO: Non INTRUSIVITA’ (1-5)

Si riferisce alla capacità dell’adulto di non interferire con l’attività che il


bambino sta svolgendo. Un’ interazione intrusiva si configura come
eccessivamente direttiva, sovrastimolante, interferente o iperprotettiva, con
una conseguente compromissione dell’autonomia personale del bambino.

Possibili segnali di non intrusività:

• evitare interruzioni brusche (verbali e fisiche) nelle attività del bambino

• evitare iper-controllo
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 13/S2
Titolo: VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 2
Attività n°: 1

ADULTO: Non OSTILITA’ (1-5)

Assenza di atteggiamento svalutanti ed emotivamente negativi


(impazienza, noia, indifferenza, minacce di separazione…) verso il bambino.
Valuta il livello di atteggiamenti ostili manifestati verso il figlio, espressi in
forma palese dell’intimidazione e della minaccia oppure in forme più velate.

Possibili segnali di non ostilità:


Assenza di espressioni facciali e comunicazioni tese a ridicolizzare, prendere
in giro, criticare, minacciare il bambino.
Assenza di manifestazioni più sottili di negatività (impazienza, noia …)
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 13/S2
Titolo: VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 2
Attività n°: 1

BAMBINO: RESPONSIVITA’ (1-7)


Si riferisce alla capacità del bambino di provare piacere e coinvolgimento nella
relazione con l’adulto.

Possibili segnali di responsività:


-manifestazioni di piacere (aspetto affettivo) nell’interazione con l’adulto
-volontà e tentativi di coinvolgere l’adulto (attraverso segnali verbali e non verbali)
nella propria attività o di seguire i suoi suggerimenti
- focalizzazione dell’attenzione non solo sui materiali di gioco ma anche verso l’adulto
- ricerca della propria autonomia
- Mancanza di evitamento
BAMBINO: COINVOLGIMENTO (1-7)
Si riferisce ai tentativi del bambino di coinvolgere e attrarre il genitore nelle sue
iniziative di tipo ludico.
Iniziativa del bambino (attraverso contatto visivo, fisico, vocale, ad es. porre
domande all’adulto, mostrargli i giochi, raccontargli una storia, vocalizzare) di
coinvolgere l’adulto
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 13/S3
Titolo: VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 2
Attività n°: 1

PROVA DI APPRENDIMENTO
FORUM
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 13/S3
Titolo: VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI CAREGIVER-BAMBINO 2
Attività n°: 1

Ripensando al contributo di Biringen in merito alla


valutazione delle interazioni caregiver- bambino segnali sul
forum:
1. Quale è la dimensione relativa alla madre che ha
suscitato maggiormente il suo interesse e perché
2. Quali sono differenze salienti di tale costrutto rispetto a
quello di sensibilità materna
3. Cosa si intende per responsività del bambino?
4. Cosa si intende per coinvolgimento del bambino?
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 14
Titolo: GLI STILI EDUCATIVI
Attività n°: 1

GLI STILI EDUCATIVI


Il contenuto della lezione va studiato interamente sulle slide. Chi fosse
interessato ad approfondire l’argomento legga il capitolo di: Chiara Ionio

Ionio, C. (2005): PARENTING: DEFINIZIONE, MODELLI E


CARATTERISTICHE CULTURALI. In Paola Di Blasio (a cura di) Tra rischio
e protezione. Edizione Unicopli
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 14
Titolo: GLI STILI EDUCATIVI
Attività n°: 1

GLI STILI GENITORIALI

Numerosi autori (Baumrind, 1971; Maccoby, Martin, 1983; Hoffman, 1988) si


sono interessati alla descrizione e alla definizione dei diversi stili educativi
genitoriali.
In particolare l’attenzione dei primi studi era diretta ad individuare una sorte di
stile ideale, la tipologia del “buon genitore”, in grado di favorire uno sviluppo
sano ed adeguato delle competenze infantili.
Essenzialmente tale posizione riteneva possibile individuare nei genitori alcuni
comportamenti stabili nelle diverse circostanze e in grado di caratterizzare
specifici stili educativi. Veniva inoltre messa in evidenza l’importanza
dell’interconnessione tra comportamento genitoriale e specifiche caratteristiche
del bambino per consentire l’instaurarsi di relazioni caratterizzate da scambi e
da reciproche influenze, in una circolarità causa-effetto.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 14
Titolo: GLI STILI EDUCATIVI
Attività n°: 1

GLI STILI GENITORIALI: il contributo di Diana Baumrind

La classificazione degli stili educativi più conosciuta ed utilizzata è quella


proposta da Diana Baumrind (1971) la quale, attraverso interviste ed
osservazioni su centinaia di soggetti, ha individuato quattro dimensioni del
comportamento genitoriale:

il controllo sull’attività dei figli,


la sollecitudine nei loro confronti,
la chiarezza comunicativa
la richiesta di comportamenti adulti.

La descrizione di tali pattern comportamentali è ormai consolidata e nota dal


momento che l’Autrice ha saputo individuare in maniera precisa una relazione tra
atteggiamenti genitoriali e comportamento dei bambini, indicando tre stili
genitoriali: autoritario, permissivo e autorevole.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 14
Titolo: GLI STILI EDUCATIVI
Attività n°: 1

il contributo di Diana Baumrind: STILE AUTORITARIO

I genitori che adottano uno stile autoritario sono caratterizzati da una continua
ricerca di affermazione del proprio potere e da atteggiamenti distaccati
nei confronti dei figli, sollecitano raramente l’opinione del bambino,
mostrando di rado piacere e sincero interesse per i risultati da lui
ottenuti. Tendono ad essere direttivi ed esigenti, a plasmare il
comportamento del figlio, controllandolo e gestendo le sue scelte attraverso
il frequente ricorso a restrizioni e punizioni e pretendendo un’obbedienza
incondizionata. Per questi genitori assume una grande importanza il rispetto
per l’autorità, l’esercizio del potere e una rigida disciplina: credono fortemente
nella gerarchia familiare, non stimolano la discussione e pretendono che il figlio
si conformi alle loro idee e alle loro credenze, ponendo confini severi per
limitarne l’autonomia.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 14
Titolo: GLI STILI EDUCATIVI
Attività n°: 1

STILE AUTORITARIO: EFFETTI SUI FIGLI

Solitamente i bambini di genitori autoritari tendono ad essere sgarbati, insolenti,


dipendenti e socialmente incompetenti, in modo particolare nei confronti dei
coetanei. Difficilmente riescono ad intrattenere relazioni stabili ed affettuose e, a
causa dei loro comportamenti antisociali ed aggressivi, vengono spesso isolati
dai compagni. Raramente prendono iniziative, mancano di curiosità e
spontaneità, mostrando inoltre bassi livelli di autostima che deriva dalla
sofferenza per la freddezza e il poco affetto dei genitori nei loro confronti.
Solitamente sono obbedienti e rispettano l’adulto per paura delle punizioni, ma in
assenza dei genitori tendono a oltrepassare ogni limite a causa della mancata
interiorizzazione delle regole e delle norme di condotta che i genitori hanno
cercato di inculcare con la sola forza.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 14/S1
Titolo: GLI STILI EDUCATIVI
Attività n°: 1

il contributo di Diana Baumrind: STILE PERMISSIVO

I genitori caratterizzati da uno stile permissivo hanno invece la tendenza ad essere


eccessivamente accettanti e non punitivi verso i propri figli, li consultano ogni qual
volta devono prendere una decisione, non pongono alcuna richiesta, né limiti o controllo, ma li
lasciano soli nel regolare e a stabilire le norme di comportamento. A questi bassi livelli di
controllo, sono, però, associati alti livelli di calore affettivo e vicinanza emotiva.
Questi genitori richiedono meno risultati ai loro figli, sono meno severi, tendono ad essere poco
coerenti in merito alla disciplina, generalmente consultano il bambino sulle decisioni pratiche e
spiegano loro le ragioni delle regole e dei ruoli familiari. Nell’insieme si considerano come una
risorsa che il bambino può utilizzare e non come agenti attivi responsabili della correzione del
suo comportamento. Si comportano in modo accettante ed affermativo verso gli impulsi, i
desideri e le azioni dei loro figli, concedendo loro tutto ciò che desiderano, dando molta libertà
d’azione e non incoraggiando l’obbedienza o l’impegno per raggiungere traguardi più elevati.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 14/S1
Titolo: GLI STILI EDUCATIVI
Attività n°: 1

il contributo di Diana Baumrind: STILE PERMISSIVO

Il basso grado di controllo può assumere diversi significati a seconda che derivi
da atteggiamenti responsivi o, al contrario, da rifiuto ed ostilità. Nel primo caso,
l’eccessiva indulgenza da parte degli adulti può derivare da una scelta
ideologica dei genitori, i quali ritengono che il figlio debba fare le proprie
esperienze senza un attivo sostegno da parte dell’adulto, o dalla loro incapacità
di esercitare un adeguato controllo su bambini particolarmente difficili. Quando
invece i genitori permissivi sono freddi, distaccati, poco empatici ed ostili, il
quadro diviene ancora più negativo. La permissività qui nasce quasi sempre dal
desiderio degli adulti di evitare problemi e di tenere a distanza il bambino, di cui
vengono accontentate tutte le richieste al solo scopo di tacitarle, evitando così
inutili seccature.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 14/S1
Titolo: GLI STILI EDUCATIVI
Attività n°: 1

STILE PERMISSIVO: EFFETTI SUI FIGLI

I bambini di genitori permissivi sono spesso privi di obiettivi, poco assertivi,


aggressivi, impulsivi ed irresponsabili. Non sono interessati ai risultati e riflettono
poco sulle scelte e sulle conseguenze dei loro comportamenti, sapendo che
difficilmente saranno rimproverati. Mostrano una certa immaturità, difficoltà a
controllare gli impulsi, ad accettare le responsabilità delle loro azioni, hanno scarsa
autostima e fiducia in se stessi e nelle proprie capacità, sono poco motivati e
raramente lottano per raggiungere i propri obiettivi. Imparano a manipolare i
genitori comportandosi egoisticamente ed obbediscono solo per ottenere
ricompense e non per rispetto verso gli adulti.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 14/S1
Titolo: GLI STILI EDUCATIVI
Attività n°: 1

il contributo di Diana Baumrind: STILE AUTOREVOLE

Infine i genitori che adottano uno stile autorevole cercano di guidare le attività e i
comportamenti del figlio, incoraggiando la comunicazione e il dialogo e
considerando fondamentali l’espressione di maturità e di indipendenza. Le richieste
che questo tipo di genitore pone sono adeguate, sempre motivate e spiegate al figlio; egli
evita, inoltre, di utilizzare punizioni e minacce, impiegando il ragionamento come strumento
per far migliorare il proprio bambino. È, quindi, un genitore che esercita la propria
autorità sul figlio, senza prevaricarne i diritti e allo stesso tempo mostrando un
adeguato calore affettivo. Questo stile combina livelli relativamente elevati sia di
sollecitudine sia di richieste di risultati. Questi genitori sostengono i loro bambini e riconoscono
le loro qualità, incoraggiandone le scelte, pur fissando dei limiti e degli standard
comportamentali. Avanzano quindi le loro richieste senza eccessiva durezza e severità; non si
considerano infallibili e, fornendo modelli adeguati d’identificazione, favoriscono la confidenza,
l’autocontrollo, l’autostima. Sostengono comportamenti socialmente competenti ed
incoraggiano i loro figli verso nuovi obiettivi, aiutandoli correttamente nel loro cammino. Essi
non ricercano la perfezione nei figli, ma li accettano e li accolgono con i loro limiti, le loro
difficoltà e le loro paure, offrendo un adeguato supporto alla loro crescita.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 14/S1
Titolo: GLI STILI EDUCATIVI
Attività n°: 1

STILE AUTOREVOLE: EFFETTI SUI FIGLI

I bambini di genitori autorevoli risultano più competenti, rispetto a quelli delle altre categorie;
tendono ad essere più fiduciosi nelle proprie possibilità, interessati ai risultati, socialmente
responsabili e competenti, dotati di auto controllo, cooperativi nei confronti degli adulti e dei
compagni. I genitori chiedono loro di impegnarsi su mete elevate, ma al tempo stesso
spiegano le ragioni del loro comportamento, favorendo la comprensione delle regole della
realtà sociale. Questi bambini sperimentano elevati livelli d’autostima, non si arrendono
facilmente di fronte alle difficoltà, ma si impegnano profondamente per raggiungere gli
obiettivi che si sono prefissati e nei quali credono. Riflettono sulle proprie azioni, sulle
conseguenze che il loro comportamento può determinare e si sentono liberi di esprimere
pensieri ed opinioni. Il successo di tale stile sta nel fatto che implica scelte flessibili a livello
del comportamento: la sua coerenza, infatti, non risiede in comportamenti che esasperano
con sistematica rigidità le reciproche posizioni di potere nella relazione, ma nella ricerca
convinta di una comunicazione che renda chiari ai figli le proprie ragioni e i propri punti di
vista nel rispetto di quelli dell’altro.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 14/S2
Titolo: GLI STILI EDUCATIVI
Attività n°: 1

STILI EDUCATIVI: il contributo di Maccoby e Martin (1983)

Il lavoro di Maccoby e Martin (1983) è stato finalizzato all’individuazione e alla


descrizione di quattro stili educativi, a partire dalla combinazione di due
dimensioni fondamentali: l’accettazione/ostilità e la
permissività/severità.

La prima dimensione si sviluppa lungo un continuum all’interno del quale i


genitori si differenziano in base al calore affettivo che mostrano nei
confronti del figlio: avremo quindi genitori accettanti, solleciti e orientati
verso il figlio e all’estremo opposto genitori ostili, rifiutanti, non responsivi e
centrati su se stessi.
La seconda dimensione descrive il comportamento educativo sul continuum
permissività/severità e differenzia tra genitori esigenti, direttivi e controllanti
e genitori permissivi, non esigenti e scarsamente controllanti nei confronti del
figlio.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 14/S2
Titolo: GLI STILI EDUCATIVI
Attività n°: 1

STILI EDUCATIVI: il contributo di Maccoby e Martin (1983)

Dall’incrocio tra le diverse polarità di tali dimensioni Maccoby


e Martin (1983) individuano quattro stili educativi tre dei
quali coincidono con la classificazione della Baumrid sopra
descritta e che non ripetiamo, mentre la quarta introduce
una modalità nuova, definita: “stile trascurante e di
rifiuto”, che si contraddistingue per una condotta
disimpegnata del genitore, sia dal punto di vista del
controllo sia affettivo.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 14/S2
Titolo: GLI STILI EDUCATIVI
Attività n°: 1

il contributo di Maccoby e Martin (1983): lo “stile trascurante e di rifiuto”,

I genitori trascuranti, che possono sia rigettare sia rifiutare le


responsabilità educative insite nel ruolo parentale, non sono né
ricettivi, né esigenti: non controllano le attività del bambino, non
sono di sostegno e tendono a fornire pochi strumenti di
comprensione del mondo e delle regole sociali fondamentali per
viverci.
Inoltre non promuovono lo sviluppo dei propri figli dal momento
che non sono in grado di fornire regole sensate e criteri realistici
d’interazione con gli altri, portandoli a manifestare una notevole
immaturità sia nella sfera cognitiva sia in quella sociale
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 14/S2
Titolo: GLI STILI EDUCATIVI
Attività n°: 1

STILI EDUCATIVI: il contributo di Hoffman (1988)

In una prospettiva parzialmente diversa, centrata sulla dimensione


emotiva, si muove Hoffman (1988) allorché descrive le diverse modalità
di costrizione (fisica o psicologica) e di persuasione (razionale o emotiva)
che i genitori utilizzano nell’interazione con i figli.

Hoffman individua quattro stili educativi. I primi due sono basati sulla costrizione
mentre gli altri due sono basati sulla persuasione

1)COSTRITTIVO basato sul POTERE FISICO


2)COSTRITTIVO per SOTTRAZIONE DELL’AFFETTO
3)PERSUASIVO (induttivo) basato sul RAGIONAMENTO
4)PERSUASIVO (induttivo) basato sull’EMPATIA
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 14/S3
Titolo: GLI STILI EDUCATIVI
Attività N°: 01

STILI EDUCATIVI: il contributo di Hoffman (1988)

Riprendiamo gli stili educativi di Hoffman.

Hoffman individua quattro stili educativi. I primi due sono basati sulla costrizione
mentre gli altri due sono basati sulla persuasione

1)COSTRITTIVO basato sul POTERE FISICO


2)COSTRITTIVO per SOTTRAZIONE DELL’AFFETTO
3)PERSUASIVO (induttivo) basato sul RAGIONAMENTO
4)PERSUASIVO (induttivo) basato sull’EMPATIA
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 14/S3
Titolo: GLI STILI EDUCATIVI
Attività N°: 01

1) COSTRITTIVO basato sul POTERE FISICO

Tale stile educativo costrittivo si basa sul potere fisico, sulle punizioni, sulle
privazione d’oggetti materiali cari al bambino come i giocattoli, e sulle
proibizioni di svolgere attività piacevoli come uscire a giocare o incontrare i
compagni. Tali punizioni potrebbero essere definite di tipo espiatorio: i genitori
controllano il bambino attraverso la propria autorità, il potere, la forza e la superiorità
fisica. Questo stile, dei quattro descritti da Hoffman, è sicuramente quello che arreca al
bambino i maggiori svantaggi: il dialogo è completamente ignorato, i genitori non
forniscono spiegazioni e spunti di riflessione, impedendo così al bambino di
attuare strategie comportamentali alternative e ostacolando il passaggio
dall’eteronomia alla autonomia morale, condizione quest’ultima in cui
l’obbedienza ai principi non deriva più dal rispetto dell’autorità, ma dalle
aspettative e dal benessere degli altri. Il bambino educato in modo costrittivo finisce
per fondare il proprio comportamento non in conformità a regole che vive come giuste,
provenienti dal suo interno, logicamente valide, ma sulla base delle possibili punizioni che
potranno essergli inflitte. Si corre così il rischio che, in futuro, il bambino finisca per
desiderare proprio gli oggetti o a compiere le azioni proibite dall’autorità e
conseguentemente impiegare maggiore energia per resistere alle tentazioni.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 14/S3
Titolo: GLI STILI EDUCATIVI
Attività N°: 01

2) COSTRITTIVO per SOTTRAZIONE DELL’AFFETTO

Tale modalità si esprime nella privazione della stima, dell’attenzione, e sulla


propensione ad ignorare i tentativi del bambino, espliciti o solo abbozzati,
di riconciliazione, sul distanziamento affettivo quando il bambino è ansioso
e cerca sostegno, sull’uso di espressioni che segnalano sentimenti di
rifiuto o d’abbandono (“se fai così non ti voglio più bene”, “adesso ti arrangi”,
“vai via, non ti voglio più vedere”).
Anche questo stile, come il precedente, ha un impatto negativo: può agire in
profondità scatenando paure d’abbandono e di separazione, soprattutto se il
bambino è piccolo e quindi meno capace di comprendere che la punizione
ha una durata limitata nel tempo. Rispetto allo stile precedente di fronte a
queste modalità educative, il bambino tenderà a reprimere i sentimenti di ostilità
verso gli adulti, a confessare le proprie colpe, a cercare l’approvazione del
genitore e a resistere alla tentazione di compiere azioni inappropriate.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 14/S3
Titolo: GLI STILI EDUCATIVI
Attività N°: 01

3) PERSUASIVO (induttivo) basato sul RAGIONAMENTO

Tale stile educativo, certamente più positivo e vantaggioso dei


precedenti in termini di conseguenze sullo sviluppo, viene definito
induttivo poiché basato sul ragionamento e sul dialogo persuasivo di
tipo razionale. L’adulto si rivolge alla razionalità del bambino, lo
stimola a riflettere, lo spinge a comprendere le motivazioni che lo
hanno portato a mettere in atto un certo tipo di comportamento e
ad assumersene progressivamente le responsabilità. Anche le
punizioni vengono spiegate e motivate.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 14/S3
Titolo: GLI STILI EDUCATIVI
Attività N°: 01

4)PERSUASIVO (induttivo) basato sull’EMPATIA

Tale stile si fonda sul dialogo persuasivo di tipo empatico-emotivo e sulla


trasmissione di informazioni che consentono di capire i sentimenti degli altri e
che aiutano a riflettere sulle conseguenze del comportamento. Hoffman (1988)
sottolinea sia la complementarietà di questi due ultimi stili educativi in quanto
l’aspetto cognitivo e quello emozionale si richiamano a vicenda sia la superiorità
di questi stili rispetto a quelli costrittivi, soprattutto se vengono adottati negli anni
di transizione alla morale autonoma, che corrispondono a quelli della scuola
elementare, e se vengono adottati nella relazione tra madre e bambino.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 15
Titolo: IL PARENTAL MONITORING E LA VALUTAZIONE DEGLI STILI EDUCATIVI
Attività n°: 1

L’importanza del parental monitoring nella cura dei figli


adolescenti

Il contenuto della presente lezione è stato tratto dalla revisione della letteratura di
Trincas et al. (2008) Parental monitoring e comportamenti a rischio in adolescenza:
una revisione critica della letteratura, Psicologia Clinica dello Sviluppo.

La maggior parte degli studi sull’adolescenza concorda nel rilevare le difficoltà che i
genitori incontrano nel mantenere il controllo sul comportamento dell’adolescente e
nel concedergli gradualmente più libertà d’azione. Su questa base numerosi autori
hanno messo in evidenza le varie strategie educative adottate dai genitori nel far
fronte a tali difficoltà
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 15
Titolo: IL PARENTAL MONITORING E LA VALUTAZIONE DEGLI STILI EDUCATIVI
Attività n°: 1

Le due principali strategie educative considerate in letteratura sono il sostegno e il controllo. Il sostegno si
riferisce alla sensibilità e all’adattamento genitoriale nei confronti di segnali, stati e bisogni del ragazzo,
nonché alla capacità di ascolto, di responsività emotiva e di dialogo; il controllo, invece, riguarda l’insieme
di comportamenti e strategie (regole, compiti) attraverso cui il genitore supervisiona il comportamento dei
figli. In particolare, in letteratura viene utilizzato il termine parental monitoring (monitoraggio genitoriale)
per identificare le variabili che rientrano nel concetto più generico di controllo genitoriale.
Il parental monitoring comprende 3 dimensioni:
– le attività di controllo diretto, che riguardano tutti quei comportamenti rivolti direttamente ai figli come
suggerimenti, istruzioni, regole, disciplina e punizioni;
– le modalità di conoscenza indiretta, che riguardano la ricerca di informazioni sulle attività dei figli
attraverso la semplice osservazione del comportamento dei figli, o domande rivolte ad amici o altri parenti
informati sulle attività dei figli;
– il grado di conoscenza dei genitori, che indica se i genitori hanno consapevolezza o meno rispetto alle
attività dei figli e che può essere considerato una conseguenza delle attività (dirette e indirette) di monitoring
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 15
Titolo: IL PARENTAL MONITORING E LA VALUTAZIONE DEGLI STILI EDUCATIVI
Attività n°: 1

Un questionario che fornisce una misura completa e ben differenziata dei diversi aspetti legati al
parental monitoring è quello di Kerr e Stattin (2000) i quali hanno sviluppato un questionario
composto da quattro scale Likert a 5 punti che misurano quattro dimensioni diverse. Questi autori
fanno una precisa distinzione tra la consapevolezza genitoriale e le modalità attraverso cui i genitori
ottengono tale consapevolezza, quali la comunicazione spontanea dei figli (child disclosure), la
sollecitazione genitoriale (parental solicitation) e il controllo genitoriale (parental control). Le scale
prevedono le stesse domande sia per i ragazzi che per i genitori. Qui di seguito elenco le scale con gli
item che le compongono:

1. Consapevolezza genitoriale, 9 item: «I tuoi genitori sanno: cosa fai nel tempo libero? Sanno quali
amici frequenti? Sanno che tipo di compiti per casa devi fare? Sanno come spendi i tuoi soldi? Sanno
quando hai un compito in classe? Sanno come vai nelle diverse materie scolastiche? Sanno dove vai
quando esci con gli amici la notte? Sanno dove vai e cosa fai dopo la scuola? Nell’ultimo mese, i tuoi
genitori hanno idea di dove vai la notte?».
2. Comunicazione spontanea dei figli, 5 item: «A casa parli di come vai nelle diverse materie a
scuola? Generalmente quando torni a casa racconti com’è andata a scuola (le tue relazioni con gli
insegnanti, cosa pensi dei vari esami, ecc.)? Tieni nascosto ai tuoi genitori cosa fai durante il tempo
libero? Tieni nascosto ai tuoi genitori cosa fai durante le notti e i fine settimana? Se esci la notte,
quando torni a casa racconti ai tuoi genitori cosa hai fatto quella sera?».
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 15
Titolo: IL PARENTAL MONITORING E LA VALUTAZIONE DEGLI STILI EDUCATIVI
Attività n°: 1

3. Sollecitazione genitoriale, 5 item: «Nell’ultimo mese, i tuoi genitori hanno parlato


con i genitori dei tuoi amici? Quanto spesso i tuoi genitori parlano con i tuoi amici
quando vengono a casa tua (chiedono cosa fanno o cosa pensano e sentono
rispetto a differenti questioni)? Durante l’ultimo mese, quanto spesso i tuoi genitori
hanno iniziato una conversazione con te rispetto al tuo tempo libero? Quanto spesso
i tuoi genitori iniziano una conversazione sulle cose successe durante una normale
giornata a scuola? I tuoi genitori generalmente ti chiedono di parlare di ciò che
succede durante il tuo tempo libero (chi incontri quando sei fuori, le attività che
svolgi, ecc.)?».

4. Controllo genitoriale, 5 item: «Devi chiedere il permesso dei tuoi genitori per
tornare tardi le sere del fine settimana? Devi chiedere ai tuoi genitori prima di poter
decidere cosa fare con i tuoi amici il Sabato sera? Se una notte ti capita di tornare
molto tardi, i tuoi genitori ti chiedono spiegazioni su dove eri e con chi eri? I tuoi
genitori ti chiedono sempre di raccontare loro dove vai la notte, con chi sei e cosa
fai? Prima di uscire il Sabato notte, i tuoi genitori ti chiedono di dire dove stai
andando e con chi?»
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 15
Titolo: IL PARENTAL MONITORING E LA VALUTAZIONE DEGLI STILI EDUCATIVI
Attività n°: 1

PARENTAL MONITORING E COMPORTAMENTI A RISCHIO


Negli ultimi 20 anni il costrutto del parental monitoring ha acquisito sempre più importanza
all’interno di studi sui problemi comportamentali di bambini e adolescenti ed è stato
considerato un possibile fattore sia protettivo che limitante verso essi.
In particolare, Patterson e Stouthamer-Loeber (1984) e Stattin e Kerr (2000) con i loro studi
hanno dimostrano che uno scarso monitoraggio genitoriale è legato a un maggiore
comportamento di trasgressione delle norme.

Stattin e Kerr (2000) hanno invece ipotizzato che, indipendentemente dalla sollecitazione e
dal controllo genitoriale, l’apertura al dialogo dei figli (adolescent self-disclosure) può
essere considerata come il predittore più forte del comportamento antisociale visto che i
ragazzi che tendono a parlare spontaneamente con i loro genitori sono quelli che
presentano un minore coinvolgimento in atti antisociali rispetto ai ragazzi che comunicano
meno con i genitori.
I risultati della ricerca di Hayes et al. (2004) evidenziano che gli adolescenti appartenenti a
famiglie in cui i genitori pongono regole chiare e chiedono informazioni sulle loro attività
(alto livello di monitoraggio), mostrano meno comportamenti di ribellione, una minore
ricerca di sensazioni e un minor uso di sostanze stupefacenti e di alcol.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 15
Titolo: IL PARENTAL MONITORING E LA VALUTAZIONE DEGLI STILI EDUCATIVI
Attività n°: 1

Alcuni studi mettono in evidenza che il monitoraggio può assumere una funzione diversa
rispetto ai comportamenti a rischio a seconda della fascia d’età degli adolescenti. Tale
evidenza è stata ritrovata in uno studio di Cattelino, Calandri e Bonino (2001) in cui
vengono considerati diversi fattori, protettivi e a rischio, rispetto al coinvolgimento in
comportamenti problematici (abuso di alcol, fumo di tabacco, e uso di sostanze).
Cattelino et al. (2001) hanno rilevato che elevati livelli di controllo risultano correlati a un
basso coinvolgimento in comportamenti a rischio specialmente nella fascia d’età dei 14-
15 anni, mentre con il crescere dell’età dei giovani (18-19 anni) un alto controllo correla
con un alto livello di coinvolgimento in comportamenti problematici. Gli autori spiegano
tale risultato con l’idea che nella fascia d’età dei 18-19 anni i figli probabilmente hanno
già interiorizzato le norme genitoriali e hanno sviluppato capacità di autoregolazione del
loro comportamento, in questo caso un controllo eccessivo ostacolerebbe l’autonomia
dei figli. Quindi secondo questi autori il monitoraggio ha una funzione rilevante che varia
a seconda della fascia d’età considerata.
In generale, dai diversi studi sull’argomento, si riscontra che un elevato grado di
monitoraggio genitoriale si accompagna a un minor uso di sostanze illegali e di tabacco,
un inferiore ricorso ad attività sessuali a rischio a migliori prestazioni scolastiche e minor
numero di amici devianti.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 15/S1
Titolo: IL PARENTAL MONITORING E LA VALUTAZIONE DEGLI STILI EDUCATIVI
Attività n°: 1

La valutazione delle pratiche


educative
In questa sessione vi presento lo strumento PARENTING PRACTICES QUESTIONNAIRE (PPQ,
Robinson, Mandleco, Frost Olsen e Hart, 1995) che è statotradotto e validato in Italia da
Confalonieri e Giuliani, 2005).

Tale strumento ci permette di valutare gli stili educativi genitoriali, nei termini di stile educativo
democratico/autorevole, autoritario e permIssivo.

I genitori devono leggere gli item indicati, rispondendo su una scala a 5 punti ( da mai a sempre;
dove mai corrisponde al punteggio 1 e sempre al punteggio 5)

MAI RARAMENTE A VOLTE SPESSO SEMPRE

1 2 3 4 5
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 15/S1
Titolo: IL PARENTAL MONITORING E LA VALUTAZIONE DEGLI STILI EDUCATIVI
Attività n°: 1

LO STILE DEMOCRATICO PREVEDE LA SOMMA DEGLI ITEM:

1.Incoraggio mio/a figlio/a a parlare delle sue difficoltà


3.Conosco i nomi degli amici di mio/a figlio/a
4.Quando mio/a figlio/a si comporta bene, lo/a lodo
7.Quando mio/a figlio/a è triste e ferito/a, sono comprensivo/a con lui/lei
14.Sono sensibile ai sentimenti e ai bisogni di mio/a figlio/a
18.Dico a mio/a figlio/a che apprezzo ciò che egli cerca o si sforza di fare
23.Esprimo affetto abbracciando, baciando e tenendo in braccio mio/a figlio/a

17.Spiego a mio/a figlio/a i motivi per cui le regole devono essere rispettate
20.Incoraggio mio/a figlio/a a parlare delle conseguenze delle sue azioni
27.Quando mio/a figlio/a fa qualcosa di sbagliato, parlo e ragiono con lui/lei
34.Spiego a mio/a figlio/a cosa provo sia quando si comporta bene sia quando si comporta male
38.Spiego a mio/a figlio/a le conseguenze del suo comportamento
40. Do importanza alle regole.

15.Permetto a mio/a figlio/a di dire la sua sulle regole familiari


21.Tengo in considerazione i desideri di mio/a figlio/a prima di proporgli/le di fare qualcosa.
36.Tengo in considerazione le preferenze di mio/a figlio/a quando c’è da prendere una decisione in famiglia
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 15/S1
Titolo: IL PARENTAL MONITORING E LA VALUTAZIONE DEGLI STILI EDUCATIVI
Attività n°: 1

LO STILE AUTORITARIO PREVEDE LA SOMMA DEGLI ITEM:

10.Quando mio/a figlio/a si comporta male, urlo o alzo la voce.


16.Litigo con mio/a figlio/a.
22.Ho scoppi di rabbia di fronte a mio/a figlio/a.
2.Educo mio/a figlio/a più punendolo/a che ragionandoci insieme
5.Quando mio/a figlio/a disobbedisce, lo/a sculaccio
12.Quando mio/a figlio/a disobbedisce, lo afferro
25. Uso anche le mani per educare mio/a figlio/a.
28.Do uno schiaffo a mio/a figlio/a quando si comporta male.
8.Punisco mio/a figlio/a con poca o nessuna spiegazione privandolo/a dei suoi privilegi
19.Punisco mio/a figlio/a con poca o nessuna spiegazione mettendolo/a in castigo da solo/a
30.Se due bambini litigano, per prima cosa prima li punisco e poi chiedo loro spiegazioni
35.Come punizione uso le minacce dando poche spiegazioni
37.Se mio/a figlio/a mi domanda il perché di una regola, gliela giustifico dicendo: “perché ho detto così:
11.Rimprovero e critico mio/a figlio/a in modo che migliori
26.Dico a mio/a figlio/a che cosa fare
32.Rimprovero e critico mio/a figlio/a quando il suo comportamento non è in linea con le mie aspettative
39.Esigo alcune cose da mio figlio
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 15/S1
Titolo: IL PARENTAL MONITORING E LA VALUTAZIONE DEGLI STILI EDUCATIVI
Attività n°: 1

LO STILE PERMISSIVO PREVEDE LA SOMMA DEGLI ITEM:

9.Vizio mio/a figlio/a


13.Minaccio di punire mio/a figlio/a più a parole che nei fatti
31.Perché mio/a figlio/a mi ascolti, gli/le prometto una ricompensa
6.Quando mio figlio/a si comporta diversamente da come vorrei, cerco di non rimproverarlo/a e/o di
non criticarlo/a
24.Faccio finta di non vedere quando mio/a figlio/a si comporta male
29.Lascio che mio/a figlio/a interrompa gli altri mentre parlano
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 15/S2
Titolo: IL PARENTAL MONITORING E LA VALUTAZIONE DEGLI STILI EDUCATIVI
Attività n°: 1

Prova di apprendimento Forum

Descriva e commenti sul forum le caratteristiche distintive dello stile educativo autorevole
e spieghi i suoi effetti sullo sviluppo dei bambini.

Descriva e commenti sul forum le caratteristiche distintive dello stile educativo autoritario
e spieghi i suoi effetti sullo sviluppo dei bambini.

Descriva e commenti sul forum le caratteristiche distintive dello stile educativo permissivo
e spieghi i suoi effetti sullo sviluppo dei bambini.

Descriva e commenti sul forum le caratteristiche distintive dello stile educativo trascurante
e spieghi i suoi effetti sullo sviluppo dei bambini.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 15/S3
Titolo: IL PARENTAL MONITORING E LA VALUTAZIONE DEGLI STILI EDUCATIVI
Attività n°: 1

Prova di apprendimento
forum

Descriva sul forum le caratteristiche distintive del parental monitoring

Spieghi quali sono a suo avviso le somiglianze e differenza tra il parental monitoring
e gli altri stili educativi

Perché il parental monitoring è importante con i figli adolescenti?


Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 16
Titolo: Ripasso Ed Autoverifica
Attività N°: 1

ESERCITAZIONE
Su e-portfolio
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 16
Titolo: Ripasso Ed Autoverifica
Attività N°: 1

Al fine di ripassare e focalizzare al meglio i contenuti appresi


provate a rispondere alle seguenti domande ed inviate le vostre risposte su e-
portfolio:

Cosa si intende per resilienza?


Cosa si intende per fattore di rischio distale?
Cosa si intende per fattore prossimale?
Quali sono i principali fattori prossimali di amplificazione o riduzione del rischio
nella genitorialità?
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 16/S2
Titolo: Ripasso Ed Autoverifica
Attività N°: 1

ESERCITAZIONE su e-portfolio
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 16/S2
Titolo: Ripasso Ed Autoverifica
Attività N°: 1

Al fine di ripassare e focalizzare al meglio i contenuti appresi


provate a rispondere alle seguenti domande e inviate le vostre risposte
su e-portfolio:

•Ripensando alla depressione post-partum, discutete quali sono a vostro


avviso i fattori di rischio di insorgenza della depressione
•Specificate inoltre i principali sintomi della depressione e le loro
associazioni con le modalità di interazione caregiver-bambino
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 17
Titolo: La Regolazione Emotiva
Attività N°: 1

La regolazione emotiva
Il contenuto di questa lezione è stato tratto

dal libro di Di Pentima (2016) capitoli 4 e 5

E dall’articolo di Renzetti & Glenda Tripicchio (2010): Emozioni in Gioco: regolazione


emotiva e tecniche di intervento nell’infanzia. Psicoterapeuti in formazione, n.5
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 17
Titolo: La Regolazione Emotiva
Attività N°: 1

DEFINIZIONE DI REGOLAZIONE EMOTIVA

Da tempo ormai la letteratura psicologica ha evidenziato come le emozioni, se adeguatamente


regolate e modulate, possono favorire i processi decisionali, migliorare l’interazione sociale ed il
benessere individuale.

La regolazione emotiva concerne la capacità di controllare il tipo di risposta emotiva esibita in


relazione al contesto e alle aspettative sociali (Gross, 2002).

Regolare le emozioni, pertanto, significa modularne la forma o mitigarne l’urgenza al fine di


renderle funzionali al raggiungimento dei propri obiettivi e di rispondere alle richieste
dell’ambiente sociale in maniera flessibile ed adattiva.

Da quanto appena descritto, risulta pertanto chiaro come la regolazione emotiva costituisca
l’insieme dei processi attraverso i quali l’individuo influenza le emozioni che prova, quando le
prova, in che modo le prova e come le esprime.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 17
Titolo: La Regolazione Emotiva
Attività N°: 1

Il percorso di sviluppo: l’ontogenesi della regolazione emotiva

La capacità di modulare e modificare l’andamento dell’esperienza emotiva è il


risultato di un processo multi-componenziale che si articola a diversi livelli e che
coinvolge i fattori temperamentali e relazionali, le capacità cognitive di base
(implicate nel riconoscimento e nell’etichettamento) fino ad arrivare alla meta
cognizione, che implica la consapevolezza esplicita di vere e proprie “strategie” di
regolazione.

La capacità di regolazione delle emozioni presenta una evoluzione importante lungo


l’intero ciclo di vita.

Vediamo qui di seguito alcune tappe dello sviluppo infantile.


Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 17
Titolo: La Regolazione Emotiva
Attività N°: 1

La regolazione emotiva nella prima infanzia

Diversi autori, seppur con approcci differenti, hanno evidenziato come la relazione madre-
bambino costituisca il luogo elettivo di apprendimento dei pattern regolatori (Calkins 1994;
Fogel 1993; Sroufe 1995; Tronik
1998).
Beebe e Lachmann (2002) hanno evidenziato come il sistema diadico madre-bambino
risulti caratterizzato da due differenti processi di regolazione che si influenzano
reciprocamente: la regolazione interattiva e
l’autoregolazione.
La regolazione interattiva costituisce un processo bidirezionale nel quale i comportamenti
di un partner sono contingenti o influenzati da quelli
dell’altro.
Il processo di autoregolazione, invece, si riferisce alla capacità propria di ogni sistema
vivente di auto-organizzarsi controllando il livello di attivazione e l’espressività emozionale.
Le recenti scoperte in ambito neurobiologico supportano tali posizioni mettendo in luce
come la coregolazione, l’intersoggettività e la memoria, implicate in queste prime forme di
regolazione, traggano fondamento da un substrato organico rappresentato da un
particolare tipo di neuroni, “i neuroni specchio”.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 17
Titolo: La Regolazione Emotiva
Attività N°: 1

-I neuroni a specchio si attivano non solo in corrispondenza dell’esecuzione di un’azione ma


anche dell’osservazione della stessa azione compiuta da altri (Rizzolati e Sinigaglia 2006). In
questo modo il bambino sembrerebbe poter usufruire di un meccanismo di connessione
automatica con l’altro che gli consente di regolare l’emotività individuale attraverso la percezione
dell’altro.

Un autore importante, Sroufe (1995), sottolinea come, nei primi mesi di vita, a partire da una
co-regolazione delle espressioni emotive e delle sequenze di azioni, guidata prevalentemente dal
caregiver, si arrivi a forme di regolazione autonoma più mature ma in ogni caso associate alla
qualità della disponibilità emotiva del caregiver. Questo processo si articola secondo Sroufe
(1995) attraverso diverse tappe evolutive.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 17
Titolo: La Regolazione Emotiva
Attività N°: 1

Le tappe della regolazione emotiva

Da 0-6 mesi la regolazione è guidata completamente dal caregiver;


tra i 6 e i 12 mesi si può riscontrare una vera intenzionalità comunicativa del bambino che esprime
segnali e compie azioni dirette ad uno scopo, partecipando così attivamente alla regolazione diadica delle
emozioni. Questo è il periodo nel quale si sviluppa il legame di attaccamento che, secondo Sroufe,
rappresenta l’apice della regolazione emozionale diadica. Dai 12 ai 18 mesi la regolazione è
ancora in gran parte eterodiretta, ossia regolata dall’intervento del caregiver, ma il bambino inizia a
sviluppare la capacità di autoregolare le emozioni in modo differenziato a seconda dei diversi
contesti.
L’ultima fase di sviluppo, tra i 18 e i 30 mesi, è caratterizzata dall’inizio della regolazione
autonoma: il bambino è in grado di esprimere o modulare le proprie emozioni in modo autonomo anche
lontano dallo sguardo dell’adulto. In questo periodo il bambino è in grado di riferirsi a percezioni, desideri
e emozioni proprie ed altrui (rabbia, tristezza disgusto, sorpresa, felicità), è in grado di inibire alcuni
comportamenti e sviluppa la capacità di regolarne altri di natura non complessa, anche in assenza del
genitore (inizio della autoregolazione autonoma).
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 17/S1
Titolo: La Regolazione Emotiva
Attività N°: 1

LE STRATEGIE DI REGOLAZIONE EMOTIVA

Le differenze individuali nelle abilità regolatorie sono il prodotto dell’effetto


combinato, nei primi tre anni di vita, delle strategie di accudimento del genitore e dei
fattori intrinseci del bambino deputati all’autoregolazione (componente biologica e
temperamentale).

Sono state individuare due tipologie di strategie regolatore.

L’uso di strategie regolatorie orientate al genitore (eteroregolatorie) oppure


orientate al sé (autoregolatorie).
Le strategie eteroregolatorie comprendono il coinvolgimento sociale positivo
(comportamenti comunicativi distali rivolti all’adulto quali il riferimento sociale, i gesti
referenziali come l’indicare, la condivisione dell’interesse per un oggetto, il segnalare
la ricerca di un contatto fisico) e il coinvolgimento sociale negativo (comportamenti
comunicativi distali come la protesta o il ritiro).
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 17/S1
Titolo: La Regolazione Emotiva
Attività N°: 1

Le strategie regolatorie orientate al sé (autoregolatorie) comprendono, invece, i


gesti di auto-conforto come la ricerca di contatto orale con parti del proprio corpo o
con un oggetto (succhiarsi il pollice, toccarsi).

La letteratura la empirica attuale, nell’evidenziare il ruolo delle modalità di


accudimento del genitore sulle strategie di regolazione delle emozioni dei
bambini, evidenzia come questi utilizzino strategie regolatorie diverse, a seconda
del pattern di attaccamento alla madre.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 17/S1
Titolo: La Regolazione Emotiva
Attività N°: 1

Stile di attaccamento e strategie di regolazione emotiva ad un anno di età . Tabella di


Renzetti e Tripicchio (2010) Adattata da Riva Crugnola et al, (2007)

Stile di attaccamento S. di autoregolazione S. di eteroregolazione


Più ricorrenti rispetto ai
Più ricorrenti rispetto ai
bambini insicuri evitanti
bambini insicuri ambivalenti e
(gesti di autoconforto
insicuri evitanti, nella forma del
come ad es. succhiare il
coinvolgimento sociale positivo
sicuro pollice)
Più ricorrenti rispetto ai
bambini sicuri e insicuri Più ricorrenti rispetto ai
evitanti. Minor ricorso
bambini sicuri e insicuri
all’esplorazione
dell’ambiente
evitanti nella forma del
(manipolazione di coinvolgimento sociale
ambivalente oggetti negativo
Più ricorrenti rispetto ai
Meno ricorrenti rispetto ai
bambini sicuri e insicuri
bambini sicuri nella forma del
evitanti Minor ricorso
coinvolgimento sociale positivo
evitante all’esplorazione
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 17/S1
Titolo: La Regolazione Emotiva
Attività N°: 1
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 17/S1
Titolo: La Regolazione Emotiva
Attività N°: 1

LA REGOLAZIONE DELL’ESPRESSIONE EMOTIVA

A partire dai 3-4 anni, i bambini sono capaci di regolare le espressioni emotive (in particolare
tristezza e rabbia) seguendo le regole di esibizione ma senza esserne consapevoli; non sembrano
comprendere la sostanziale discrepanza tra emozioni esperite ed emozioni esibite.

Questa consapevolezza compare solo a partire dai 4-5 anni e rappresenta per Saarni
(1999) una delle componenti fondamentali della competenza emotiva. Tali conquiste segnano
anche un importante traguardo meta cognitivo: portano alla consapevolezza dell’esistenza di un
mondo emotivo privato che non è visibile agli altri e quindi alla scoperta della possibilità di
dissimulare il proprio stato interiore. Queste scoperte, che sono contemporaneamente di tipo
cognitivo ed emotivo, consentono al bambino di percepirsi separato emotivamente dagli altri e
capace di decidere se condividere o meno le proprie emozioni ed eventualmente in quale
momento farlo.

Intorno ai 6-11 anni i bambini sono in grado di adottare le regole di esibizione in modo più
sofisticato ed intenzionale: ad esempio, sanno che le regole di esibizione hanno la funzione di
proteggere se stessi dalla rabbia o dalla derisione degli altri oltre che di proteggere gli altri da
emozioni spiacevoli.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 17/S2
Titolo: La Regolazione Emotiva
Attività N°: 2

PROCESSI DI SOCIALIZZAZIONE & REGOLAZIONE EMOTIVA

Abbiamo già parlato dell’importanza della qualità della relazione caregiver bambino in merito
all’insorgenza delle competenze di regolazione emotiva. In questa sessione ampliamo
ulteriormente lo «sguardo» e parliamo dei processi di socializzazione delle emozioni e della
regolazione emotiva.

A tale riguardo, Lewis e Michalson (1983) evidenziano come i bambini, attraverso i processi di
socializzazione emotiva, imparino come esprimere le proprie emozioni, quando esprimerle, come
definirle in base ad un lessico emotivo
appropriato, come classificare le emozioni degli altri, come interpretare le condotte emozionali.

E ancora, Morris e colleghi (2007) sottolineano come il contesto familiare influenzi la capacità di
regolazione emotiva del bambino attraverso tre differenti processi: A) l’osservazione del
comportamento degli altri membri della famiglia; B) le pratiche ed i comportamenti che i membri
della famiglia mettono in atto nei confronti delle emozioni; C) il clima familiare.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 17/S2
Titolo: La Regolazione Emotiva
Attività N°: 2

A) l’osservazione del comportamento degli altri membri della famiglia

Tenete presente che i differenti processi di socializzazione considerati nel modello di questi
autori focalizzano l’attenzione su alcuni meccanismi, quali il modeling, il riferimento sociale ed il
contagio emotivo, ovvero le situazioni durante le quali il bambino, osservando il comportamento
emotivo dei membri della famiglia, comprende quali emozioni sono accettate ed attese nel
proprio contesto familiare ed impara a gestirle.

B) le pratiche ed i comportamenti che i membri della famiglia mettono in atto nei


confronti delle emozioni

Le pratiche educative ed i comportamenti dei genitori (che abbiamo già approfondito), invece,
comprendono specifici meccanismi di apprendimento quali il coaching, il controllo esercitato dai
genitori rispetto all’espressione delle emozioni negative, le reazioni alle emozioni degli altri,
l’insegnamento esplicito di strategie di regolazione emotiva e la tendenza a scegliere\evitare
particolari opportunità per fare\non fare sperimentare al bambino determinate emozioni.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 17/S2
Titolo: La Regolazione Emotiva
Attività N°: 2

Rispetto alle reazioni dei genitori di fronte alle emozioni, è stato dimostrato che, in generale, le reazioni
parentali negative di fronte alle emozioni dei bambini (allontanarsi,
minimizzare, punire, ecc) sono associate ad uno scarso adattamento sociale dei bambini e a strategie di
regolazione emotiva poco adeguate (evitamento, espressione eccessiva di rabbia), mentre le reazioni
materne focalizzate sul problema sembrano essere in
relazione alla capacità di coping attivo da parte dei bambini.

C) il clima familiare
Il clima emotivo familiare rappresenta la qualità delle relazioni familiari e la quantità di emozioni
positive e negative espresse da ciascun membro verso gli altri. (nel corso delle lezioni torneremo a
parlare di clima emotivo familiare e vi presenterò una strumento self-report di valutazione). Gli studi,
che da tempo hanno posto l’attenzione sulla competenze di sensibilità/responsività materna ai segnali
emotivi del bambino (accettazione, supporto e attenzione), hanno evidenziando come questa risulti
correlata all’adozione di strategie di autoregolazione in bambini di 2 anni e di strategie di regolazione
attive e di ricerca di supporto in bambini di 4 e 5 anni. All’opposto, altri studi evidenziano che l’ostilità
materna sembra favorire una povertà di strategie di regolazione da parte dei bambini e a disregolazione
emotiva
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 17/S3
Titolo: La Regolazione Emotiva
Attività N°: 1

Prova di apprendimento
e.portfolio
Provi a rispondere alle seguenti domande e risponda inviando poi le sue note
su e-portfolio.

Cosa significa regolazione delle emozioni?


Perché la regolazione delle emozioni è importante?
Quali sono le esperienze di vita che incidono sullo sviluppo delle capacità
regolatorie?
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 18
Titolo: Il Contributo Di Tronick
Attività N°: 1

LA PROSPETTIVA DI TRONICK:
Il modello della regolazione reciproca

In questa lezione trattiamo in modo sintetico la prospettiva teorica di Tronick.


Il contenuto della lezione è stato tratto da: “Regolazione emotiva nello sviluppo e nel
processo terapeutico”. Raffaello Cortina.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 18
Titolo: Il Contributo Di Tronick
Attività N°: 1

Il modello della regolazione reciproca

Parlando di regolazione delle emozioni nella diade caregiver bambino, Tronick utilizza il concetto di
“mutua regolazione”. Con tale termine, l’autore sottolinea l’influenza reciproca della
comunicazione affettiva tra caregiver e bambino.
Tronick intende sottolineare come mamma e bambino costituiscano parte di un sistema di
comunicazione affettiva, dove le reazioni e l’esperienza affettiva di un partner sono determinate
dall’espressione affettiva dell’altro e viceversa. Il modello di

Tronick sottolinea come, durante la loro interazione, mamma e bambino abbiano l’obiettivo di
instaurare uno stato di regolazione reciproca (stato di reciprocità), attraverso la regolazione
congiunta dell’interazione. I comportamenti interattivi che i due protagonisti mettono in atto sono
innanzitutto manifestazioni affettive;
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 18
Titolo: Il Contributo Di Tronick
Attività N°: 1

Tenete presente che negli scambi interattivi della diade caregiver-bambino, lo stato di
reciprocità, non sempre viene raggiunto. E questo può avvenire per vari motivi, ad esempio:
errata interpretazione dei segnali del partner, comportamento non corrispondente alle aspettative,
comportamento non tempestivo…
Tali stati di non corrispondenza costituiscono il 70% del tempo dell’interazione e Tronick li
considera “normali perturbazioni”, mancate corrispondenze o mismatch. Questi episodi attivano
nel bambino l’utilizzo delle proprie capacità interattive per modificare la situazione e ripristinare la
corrispondenza (ovvero per mettere in atto una “riparazione”). Durante gli stati di mancata
corrispondenza il bambino vive emozioni negative e manifesta disagio, rabbia, tristezza,
segnalando così al partner di modificare il comportamento. Nel caso di riparazione interattiva
(realizzata grazie alle manifestazioni affettive del bambino e alla collaborazione del partner) gli
affetti negativi si riducono e possono diventare positivi. In tal modo, gli stati emotivi vengono così
autoregolati attraverso l’interazione;
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 18
Titolo: Il Contributo Di Tronick
Attività N°: 1

Tenete presente che per Tronick, ciò che è determinante per lo sviluppo del bambino non è tanto
la presenza di reciprocità, quanto la presenza della risoluzione positiva delle mancate
corrispondenze. Infatti, le mancate corrispondenze che vengono riparate assumono una
valenza positiva, perché permettono al bambino la possibilità di sviluppare ulteriormente le
proprie capacità interattive e autoregolatorie, facendolo sentire competente nelle interazioni.

Nello schema di seguito indicato, vedremo la descrizione di Tronick relativa all’alternarsi degli
stati di reciprocità e mancate corrispondenze.

Da quanto affermato fino a qui, le apparirà chiaro come quando il bambino vive una distorsione
prolungata e significativa della reciprocità (come nel caso della depressione materna), che non
riesce a riparare, aumentano lo stress e gli affetti negativi.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 18
Titolo: Il Contributo Di Tronick
Attività N°: 1

In sintesi, per Tronick l’interazione madre-bambino è caratterizzata dall’alternarsi degli stati di


sincronia/coordinazione e asincronia/non coordinazione dati dal verificarsi di normali errori
interattivi. La riparazione, messa in atto sia dalla madre sia dal bambino consente di “aggiustare l’errore”
e recuperare lo stato di sincronia.
Tronick (2005) “l’interazione è un processo che scorre e nelle interazioni che hanno successo, la mancanza di
sintonia, di comunicazione viene rapidamente aggiustata. Nel tempo sicuramente l’armonia diviene di nuovo
scoordinata e di nuovo riparata e così via. Quindi l’interazione tipica madre-neonato si muove dalla coordinazione-
assenza di coordinazione attraverso un’ampia gamma affettiva. Le riparazioni che hanno successo e gli stati
coordinati producono stati affettivi positivi mentre gli errori interattivi stati affettivi negativi.”
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 18/S1
Titolo: Il Contributo Di Tronick
Attività N°: 1

Esperienze interattive
atipiche: la depressione materna simulata

Abbiamo visto nella sessione precedente che durante le esperienze interattive il bambino
collabora con l’adulto nel perseguire la reciprocità. E’ stato anche evidenziato come, di
frequente, nelle sequenze interattive possano avvenire degli errori interattivi che
vengono poi riparati.

Ma cosa accade quando il bambino vive una distorsione prolungata e significativa della
reciprocità (come nel caso della depressione materna), che non riesce a riparare gli
errori interattivi?
Per rispondere a tale domanda, Tronick ha realizzato la nota procedura dello Still Face
Paradigm, o paradigma del volto immobile. In questa procedura, alla madre viene
richiesto di assumere per alcuni minuti una postura atipica di volto immobile
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 18/S1
Titolo: Il Contributo Di Tronick
Attività N°: 1

Lo Still Face Paradigm


ideata da Tronick e colleghi nel 1978

Questa procedura viene utilizzata con neonati di 1-4 mesi, posti di fronte alla mamma.
La procedura d’osservazione prevede tre fasi di due minuti ciascuna nel corso delle quali alla
madre viene chiesto di:
1. Di interagire con il figlio come farebbe abitualmente
2. Di mantenere un’espressione immobile (still-face)
3. Di riprendere a interagire con il figlio

Uno degli scopi principali di questa procedura è produrre una condizione controllata di stress
relazionale che permetta di verificare la capacità del bambino di adattarsi alla mancata
comunicazione materna.

si suggerisce di visionare il video al seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=apzXGEbZht0


Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 18/S1
Titolo: Il Contributo Di Tronick
Attività N°: 1

Le reazioni del bambino alla fase Still

Abbiamo già visto che il volto immobile nello still face paradigm riproduce, per pochi minuti, un
affetto depresso. Tronick intendeva considerarlo come una simulazione della depressione
materna, permettendo quindi di far luce su alcuni meccanismi che regolano l’interazione tra il
bambino e la mamma depressa.
Cosa accade nel bambino che osserva il volto immobile?
Si è osservato e lo potrete appura direttamente anche voi guardando il video indicato, che Il
bambino è in grado di rilevare la qualità affettiva dimostrata dalla madre e di modificare di
conseguenza e in maniera opportuna le proprie manifestazioni affettive. Quando la madre smette
di interagire con lui (volto immobile), il bambino aumenta i propri livelli di arousal e di stress e
mette inizialmente in atto delle strategie tese a recuperare il rapporto con la madre. Quando, col
passare dei minuti, si rende conto che i suoi tentativi vanno a vuoto, va in uno stato di estrema
frustrazione e disagio. Il bambino spesso mette in atto dei meccanismi per evitare lo stato di
frustrazione e dolore.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 18/S1
Titolo: Il Contributo Di Tronick
Attività N°: 1

Le strategie di coping allo Still Face

Vediamo nel dettaglio le sei strategie di coping del bambino, individuate da Gianino (1982):
segnalazione (che può essere attuata con un tono affettivo positivo, neutro o negativo) aventi l’obiettivo di
restare coinvolto socialmente;
•attenzione rivolta altrove (concentra l’attenzione su un oggetto oppure su una parte del proprio corpo),
•autoconsolazione (orale, intreccia le dita, dondolamento),
•ritiro (motorio o percettivo),
•fuga (si inarca all’indietro, si allontana),
•allontanamento dello sguardo (non mantiene l’attenzione sull’altro).

Come è facile intuire, ad eccezione della segnalazione, le altre strategie non mantengono più l’obiettivo di
essere coinvolti socialmente; in particolare, le ultime quattro segnalano una rinuncia ad essere coinvolti per
mantenere una regolazione emotiva interna. Pertanto, so può notare come l’autoregolazione e la
regolazione interattiva siano due aspetti di un unico processo di regolazione.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 18/S1
Titolo: Il Contributo Di Tronick
Attività N°: 1

Riassumendo:

allo Still face PARADIGM, i bambini, inizialmente intensificano l’attività comunicativa, accentuando
vocalizzazioni, sguardi, movimenti delle braccia. Poi se il viso continua a rimanere immobile, essi
disturbati e infastiditi protestano, distolgono lo sguardo dalla madre per periodi sempre più lunghi
fino ad allontanarsi completamente, orientando volto e corpo di lato, voltando le spalle alla madre
ed alcuni bambini diventano soggetti ad intensa angoscia.
Compaiono forme di autoregolazione volte a ottenere autoconforto, autoconsolazione (mani in
bocca, dondolio..) che, se utilizzate in modo persistente, possono intaccare la sua capacità di
regolazione emotiva, trasformandosi in vere e proprie condotte difensive.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 18/S2
Titolo: Il Contributo Di Tronick
Attività N°: 1

ESERCITAZIONE forum
Vi chiedo di visionare attentamente il video al link di seguito indicato, focalizzando
l’attenzione sulla prima fase dello still face, prima del volto immobile.
Rispondete sul forum alle seguenti domande:
Avete notato degli stati di sincronia interattiva? Quando?
Avete notato qualche errore interattivo? Quando?
Avete notato delle riparazioni? Quando?

https://www.youtube.com/watch?v=apzXGEbZht0
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 18/S3
Titolo: Il Contributo Di Tronick
Attività N°: 1

Prova di apprendimento
forum
Sulla base di quanto studiato provi a visionare i video ai seguente link e discuta sul
forum le distinte strategie di coping messe in atto dai bambini durante la fase di still.
https://www.youtube.com/watch?v=6czxW4R9w2g
https://www.youtube.com/watch?v=apzXGEbZht0
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 19
Titolo: STILL FACE E IMPLICAZIONI CLINICHE
Attività N°: 01

La terza fase dello Still fase: la ripresa


dell’interazione o ricongiungimento
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 19
Titolo: STILL FACE E IMPLICAZIONI CLINICHE
Attività N°: 01

Cosa succede quando la madre torna a relazionarsi col bambino, dopo il volto
immobile?

Tronick & collaboratori mostrano le analisi effettuate sul comportamento dei bambini non
solo quando il volto della madre si immobilizza, ma anche quando la madre riprende
normalmente l’interazione al termine dell’esperimento.
Secondo gli autori, in questo momento, definito di ricongiungimento, il bambino si
trova ad affrontare un compito affettivamente complesso, perché da un lato deve
affrontare la ripresa del comportamento materno (evento positivo), dall’altro lato deve far
fronte agli strascichi delle emozioni negative sorte durante il volto immobile.
Per tale ragione, gli autori evidenziano come il bambino manifesti una reazione affettiva
mista (rabbia, tristezza e gioia insieme). E’ proprio durante questa fase di
ricongiungimento che si può osservare, secondo Tronick, il processo diadico di
regolazione (ovvero la riparazione interattiva).
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 19
Titolo: STILL FACE E IMPLICAZIONI CLINICHE
Attività N°: 01

Ecco qui di seguito indicati i comportamenti e gli indicatori fisiologici «tipici» messi
comunemente in atto dai bambini durante la terza fase dello Still Face

Durante il ricongiungimento, gli indicatori di stress (come frequenza cardiaca e tono


vagale, gestiti dal sistema nervoso) riscontrati nei bambini hanno un livello simile a quello
del volto immobile, ma in poco tempo tornano a livelli molto bassi (al pari di quelli che il
bambino manifestava prima dell’episodio del volto immobile).
In questa fase, inoltre, si agitano di più e piangono di più del volto immobile (forse si
tratta di una comunicazione alla madre, perché intervenga nell’aiutarli a regolare gli stati
affettivi negativi). Parallelamente si notano affetti positivi: espressioni di gioia, sguardo
alla madre, vocalizzazioni, in maniera maggiore rispetto all’interazione iniziale (prima del
volto immobile) e guardano meno gli oggetti. Viene pertanto riscontrata
un’ambivalenza emotiva: il bambino vuole riprendere l’interazione e, nello stesso
tempo, si vuole ritirare da essa.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 19/S1
Titolo: STILL FACE E IMPLICAZIONI CLINICHE
Attività N°: 01

Coping, resilienza e psicopatologia

Tenete presente che le esperienze di coping sono inizialmente vincolate dalle


caratteristiche temperamentali dei bambini (vi segnalo, a tal fine, di riprendere la
lezione sul temperamento: ad es. ci sono bambini che tendono a coinvolgersi
maggiormente con gli oggetti o con le persone o sono più o meno reattivi agli stimoli).
Tuttavia, le successive esperienze interattive esercitano un impatto significativo
nell’influenzare le modalità per far fronte agli stress relazionali. Ed è per questo motivo
che è possibile cogliere nei bambini già così piccoli quale esperienza hanno avuto
durante le interazioni pregresse.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 19/S1
Titolo: STILL FACE E IMPLICAZIONI CLINICHE
Attività N°: 01

Nelle interazioni caratterizzate da un normale andamento delle esperienze di


riparazione, il bambino impara quali strategie comunicative siano più efficaci
nel promuovere la riparazione e, quindi, nel ridurre la tensione. Il bambino
impara anche nuove modalità auto-organizzate di coping utili ad abbassare i livelli di
tensione, per esempio evita di guardare uno stimolo stressante o attiva delle condotte
auto-consolatorie. Accumulando esperienze di riparazioni efficaci e, quindi, di
trasformazione dell’affetto negativo e dello stress in affetto positivo, il bambino inizia a
consolidare un nucleo affettivo positivo (Emde, Kligman, Reich, Wade, 1978; Gianino,
Tronick, 1988) che aumenta la probabilità che un evento venga sperimentato come
positivo anziché come negativo e ansiogeno. Soprattutto, il bambino impara che può
avere un controllo sulle interazioni sociali. In particolare, egli sviluppa una
rappresentazione di sé come agente efficace e delle sue interazioni come positive e
riparabili. Impara pure che il caregiver è un partner valido e affidabile nei processi
regolatori. Queste rappresentazioni hanno un valore cruciale per lo sviluppo di un senso
di sé dotato di coerenza, continuità e agency e per la costruzione di relazioni stabili e
sicure, e tutto questo dà un contributo fondamentale alla costruzione della resilience
(Tronick, 1980; Tronick, Cohn, Shea, 1986).
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 19/S1
Titolo: STILL FACE E IMPLICAZIONI CLINICHE
Attività N°: 01

Cosa accade invece a quei bambini che sperimentano costantemente mancate


riparazioni?

Secondo Tronick, figli di madri depresse fanno meno esperienze di riparazione interattiva e
possono pertanto trovarsi esposti a una situazione di stress cronico. Questi bambini
sviluppano dei pattern di coping di tipo auto-regolatorio che, come abbiamo visto,
comprende il distogliere lo sguardo durante le interazioni e un più frequente ricorso a
comportamenti auto-consolatori per ridurre lo stress. Il costo di queste strategie è evidente
per la maggiore incidenza di sentimenti negativi e per il minor coinvolgimento con
l’ambiente inanimato. L’umore negativo e il disinteresse manifestato da questi bambini
compromettono le interazioni con gli altri e il loro sviluppo cognitivo, con la conseguenza di
una compromissione dello sviluppo e della loro possibilità di resilienza. La capacità di coping
dei bambini è, dunque, influenzata da situazioni di stress costante o temporaneo nelle
interazioni con le madri depresse e dalla mancata possibilità di riparazione. Questa
incapacità di autoregolarsi continua nel tempo e compromette l’esperienza della riparazione
con l’effetto di comportamenti e di attività di coping sempre più inefficaci e disorganizzati
nel corso dello sviluppo.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 19/S1
Titolo: STILL FACE E IMPLICAZIONI CLINICHE
Attività N°: 01

I bambini di madri depresse allo still face:

Durante lo Still Face, nella prima fase (interazione faccia a faccia) c’è una minore
condivisione di stati emotivi positivi e vengono espressi più sentimenti neutri e
comportamenti di ritiro sociale.
Nella seconda fase i figli delle madre depresse mettono in atto un numero minore di
tentativi di recuperare l’interazione con il proprio genitore; rispetto ai figli delle madre non
depresse, tendono ad isolarsi, impegnandosi maggiormente nell’autoconsolazione.

In sintesi, le dinamiche interattive delle diadi madre depressa bambino, sono spesso
caratterizzate da:
fallimenti nel processo di mutua regolazione
- Frequente sperimentazione per il bambino sperimenta di emozioni negative
- Accentuazione patologica dei comportamenti di autoregolazione

il mondo rappresentazionale del bambino è costituito da esperienze soggettive di


microdepressione
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 19/S2
Titolo: STILL FACE E IMPLICAZIONI CLINICHE
Attività N°: 01

Dinamiche interattive face to face e attaccamento: le


evidenze epiriche

In questa sessione di studio approfondiremo i risultati degli studi che hanno cercato di
rilevare, attraverso un’analisi di tipo micro-analitico, la presenza di correlazioni tra indici
comportamentali (ad es. sguardo, espressione del volto, orientamento e comportamenti
consolatori auto o etero diretti) osservati nell’interazione face-to-face a quattro mesi e il
pattern di attaccamento nella Strange Situation (Ainsworth et al., 1978) a dodici mesi.

I contenuti di seguito indicati sono stati tratti dall’articolo di:


Laura Sudati, Erika Petech, Alessandra Simonelli Precursori e correlati dell’attaccamento
madre bambino nel primo anno: comportamenti, indicatori psicofisiologici, funzionamento
cerebrale (doi: 10.1449/79738) Psicologia clinica dello sviluppo Fascicolo 1, aprile 2015
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 19/S2
Titolo: STILL FACE E IMPLICAZIONI CLINICHE
Attività N°: 01

Koulomzin, Beebe, Anderson, Jaffe, Feldstein e Crown (2002) hanno rilevato che i
bambini con attaccamento sicuro a dodici mesi nella SSP, osservati nell’interazione
face-to-face con la madre a quattro mesi, presentano i seguenti comportamenti:
la guardano di più, possiedono diverse modalità di segnalare il proprio stato, esprimono
per meno tempo affettività neutra, riescono a sostenere lo sguardo della madre con
espressione neutra per un tempo abbastanza prolungato, riescono a restare in interazione
e a mantenere un contatto oculare sia ricorrendo a comportamenti stabili autoregolatori
etero-diretti sia in assenza di strategie di autoregolazione.

Contrariamente, i bambini con attaccamento insicuro-evitante ad un anno,


nell’interazione face-to-face a quattro mesi rivolgono meno sguardi verso la madre,
ricorrono ad un repertorio stabile di espressioni facciali per segnalare il proprio stato
interno, interrompono più frequentemente il contatto oculare, utilizzano un repertorio
variegato di comportamenti auto consolatori.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 19/S2
Titolo: STILL FACE E IMPLICAZIONI CLINICHE
Attività N°: 01

Similmente, Beebe et al. (2010) hanno riscontrato che bambini con attaccamento sicuro
rilevato ad un anno, nell’interazione face-to-face a quattro mesi con la madre presentano
un livello intermedio di contingenza nello scambio interattivo caratterizzato da
alcuni comportamenti tra cui: mantenimento dell’attenzione e del contatto, vocalizzi e
ricerca del coinvolgimento e dell’attenzione del caregiver. Contrariamente, l’interazione tra
la madre e il bambino con attaccamento insicuro-evitante o insicuro ambivalente, a quattro
mesi, è risultata caratterizzata rispettivamente da elevati o bassi livelli di contingenza,
difficoltà nel mantenimento del contatto oculare, strategie di coping di approccio-ritiro e
assenza di comportamenti di ricerca dell’attenzione del caregiver.

Questi dati permettono di evidenziare come il livello di coordinazione ottimale


madre-bambino nei primi mesi di vita sembrerebbe quello fondato su scambi
sintonizzati che contengono errori riparabili da parte del caregiver e sostenibili
da parte del bambino. Elevati gradi di contingenza sarebbero invece indice di
un’eccessiva vigilanza e intrusività da parte della madre che impedirebbe al bambino di
costruire forme autonome di regolazione delle emozioni e organizzazione delle proprie
attività.
Infine, bassi livelli di contingenza determinerebbero nel bambino il ricorso a forme di
autoregolazione in modalità eccessive danneggiando la sua capacità di regolazione diadica
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 19/S2
Titolo: STILL FACE E IMPLICAZIONI CLINICHE
Attività N°: 01

Gli studi longitudidinali con l paradigma dello Still Face.


Una rassegna di Mesman, van Ijzendoorn e Bakermans-Kranenburg (2009) ha prodotto
un’interessante sintesi dei principali risultati ottenuti sul valore predittivo dei comportamenti
dei bambini durante lo SF (Tronick et al., 1978) e la qualità del legame di attaccamento a
dodici mesi, evidenziando come già a partire dai tre-quattro mesi siano rilevabili differenze
significative nei comportamenti dei bambini che si rifletteranno successivamente in specifici
pattern di attaccamento.
Nello studio ormai classico di Tronick (1982) era emerso come a sei mesi (ma non a tre e
nove mesi) i comportamenti di ricerca e attivazione dell’attenzione del genitore fossero
associati alla sicurezza dell’attaccamento: in altre parole, i bambini che a sei mesi cercavano
di suscitare una qualche risposta nella madre durante l’episodio di Still Face avrebbero
manifestato un attaccamento sicuro a dodici mesi.
Considerando le differenze tra i diversi pattern di attaccamento è emerso inoltre che nel
corso dello SF (Tronick et al., 1978) a sei mesi: i bambini con attaccamento sicuro rispetto ai
bambini con attaccamento ambivalente, manifestano minor disagio durante l’episodio di Still
Face e, viceversa maggiore agitazione durante l’episodio di riunione; i bambini con
attaccamento evitante si differenzierebbero da questi ultimi per un minor grado di
reciprocità positiva nel corso dell’episodio di interazione baseline e un maggior numero di
affetti positivi nell’episodio di riunione.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 19/S2
Titolo: STILL FACE E IMPLICAZIONI CLINICHE
Attività N°: 01

Emergono precoci differenze anche per quanto riguarda le strategie di regolazione


utilizzate nello SF (Tronick et al., 1978) in relazione al pattern di attaccamento: i bambini
con attaccamento sicuro e insicuro-ambivalente già a tre-quattro mesi
mostrerebbero più comportamenti di regolazione etero diretta (per es. sguardo e
vocalizzi) rispetto ai bambini con attaccamento insicuro-evitante che
ricorrerebbero in modo preferenziale a strategie auto consolatorie.

In sintesi possiamo quindi affermare che alcune delle caratteristiche dell’interazione


caregiver-bambino, in particolare l’espressione delle emozioni, la contingenza e la
regolazione, a tre-quattro mesi del piccolo, appaiono precursori del pattern di
attaccamento che questi costruirà successivamente; sembrano cioè elementi costitutivi
della strutturazione del legame di attaccamento.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 19/S3
Titolo: STILL FACE E IMPLICAZIONI CLINICHE
Attività N°: 01

Prova di apprendimento
forum

Provi a discutere sul forum gli aspetti di queste ultime lezioni che le sono risultati più utili
e chiari per comprendere gli effetti della depressione materna sulla qualità delle relazioni
di cura e sullo psicologico dei figli.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 20
Titolo: REGOLAZIONE EMOTIVA, STRATEGIE DI COPING E ATTACCAMENTO
Attività N°: 01

Regolazione emotiva, strategie di coping e attaccamento: la


ricerca empirica con bambini di età scolare
In questa lezione vi presenterò due ricerche empiriche da me direttamente svolte che hanno
come focus il tema della regolazione delle emozioni e delle strategie di coping nei bambini
sicuri e insicuri esposti a situazioni di conflitto.

La lettura e lo studio dei 2 articoli vi permetterà di cogliere il ruolo che le strategie di


regolazione delle emozioni e di coping (strettamente connesse agli stili di attaccamento)
esercitano sul benessere psicologico dei bambini esposti a conflitto genitoriale. Di seguito i
titoli dei 2 lavori che, a livello concettuale, costituiscono uno la prosecuzione dell’altro

L’attaccamento modera le reazioni dei bambini esposti al conflitto genitoriale?


Verifica di un modello integrato?
Elena Camisasca, Sarah Miragoli, Paola Di Blasio

Strategie di coping e coping efficacy nei bambini esposti al conflitto genitoriale:


il ruolo dell’attaccamento
Elena Camisasca, Sarah Miragoli, Paola Di Blasio
Il Mulino - Rivisteweb

Elena Camisasca, Sara Miragoli, Paola Di Blasio


L’attaccamento modera le reazioni dei bambini
esposti al conflitto genitoriale? Verifica di un
modello integrato
(doi: 10.1449/76229)

Psicologia clinica dello sviluppo (ISSN 1824-078X)


Fascicolo 3, dicembre 2013

Ente di afferenza:
Università degli studi di Trento (unitn)

Copyright c by Società editrice il Mulino, Bologna. Tutti i diritti sono riservati.


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R I C E R C H E

L’attaccamento modera
le reazioni dei bambini
esposti al conflitto
genitoriale? Verifica
di un modello integrato
Elena Camisaca  (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano)
Sarah Miragoli  (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano)
Paola Di Blasio  (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano)

La letteratura ha evidenziato come il conflitto genitoriale incida negativamente sul benessere


psicologico dei figli (in termini di internalizzazione ed esternalizzazione) attraverso la mediazione
delle loro percezioni soggettive di minaccia e autobiasimo (modello Cognitivo-Contestuale) e della
reattività emotiva (modello della Sicurezza Emotiva). Il presente studio esplora se e come i diversi
Modelli Operativi Interni (MOI) dell’attaccamento dei bambini modulino la natura di tali associazioni.
I partecipanti sono 169 bambini (87 sicuri, 48 ansioso-ambivalenti e 34 evitanti) di età scolare
ed i loro genitori, a cui sono stati somministrati una serie di strumenti (RCTS, CPIC, SIS, CBCL e
SAT). I risultati evidenziano il diverso effetto svolto dal conflitto genitoriale su percezioni, reazioni
emotive e comportamenti di internalizzazione e di esternalizzazione in funzione dei MOI di tipo
sicuro, ansioso-ambivalente ed evitante. Vengono discusse le implicazioni cliniche di tali risultati.

1. Introduzione

Il presente lavoro si inserisce nell’ambito degli studi sul conflitto


genitoriale e si propone di esplorare il ruolo di moderazione dei modelli
operativi interni (MOI) dell’attaccamento nell’associazione tra conflitto e
adattamento dei figli. Da tempo in letteratura è stata evidenziata la con-
nessione tra conflitto genitoriale e adattamento dei figli e, tra i diversi
i modelli teorici che hanno descritto le condizioni a causa delle quali il
conflitto diviene dannoso per i figli (si vedano le rassegne di Malagoli To-
gliatti e Lubrano Lavadera, 2009; Zaccagnini e Zavattini, 2005; Zimet e
Jacob, 2001), il modello Cognitivo-Contestuale (Grych e Fincham, 1990)
e quello della Sicurezza Emotiva (Davies e Cummings, 1994) sono sicura-
mente tra i più rilevanti. I modelli Cognitivo-Contestuale e della Sicurezza
Emotiva sono complementari e sottolineano, in particolare, come le inter-
pretazioni e le reazioni dei bambini, in situazioni di conflitto genitoriale,

Psicologia clinica dello sviluppo / a. XVII, n. 3, dicembre 2013 479


E. Camisaca, S. Miragoli, P. Di Blasio

abbiano un’influenza determinante sul loro benessere psicologico, addirit-


tura superiore a quella esercitata dal confitto in quanto tale.
Nel modello Cognitivo-Contestuale, Grych e Fincham (1990) spiegano
come i bambini, esposti a situazioni di conflitto, non possano fare altro
che tentare di comprendere quanto stia avvenendo attraverso la messa in
atto di due processi: l’elaborazione primaria e l’elaborazione secondaria.
Con il processo di elaborazione primaria, il bambino valuta la situazione
conflittuale in termini di negatività, minaccia e rilevanza per il proprio be-
nessere e per quello della famiglia; con il processo di elaborazione se-
condaria, egli cerca di comprendere le ragioni che stanno alla base del
conflitto, chi ne è il principale responsabile e le proprie possibilità di af-
frontalo con successo. I bambini che valutano il conflitto come pericoloso
per il proprio benessere e per il funzionamento della famiglia (minaccia
percepita) e che nutrono la convinzione di essere la causa del conflitto
e/o di essere responsabili della sua risoluzione (autobiasimo) sono mag-
giormente a rischio di esiti disadattavi. Le numerose ricerche trasversali
e longitudinali (Atkinson, Dadds, Chipuer e Dawe 2009; Buehler, Lange e
Franck, 2007; Dadds, Atkinson, Turner, Blums e Lendich, 1999; Fosco e
Grych, 2008; Grych, Fincham, Jouriles e McDonald, 2000; Grych, Harold
e Miles, 2003; Kim, Jackson, Conrad e Hunter, 2008; Rhoades, 2008;
Siffert, Swartz e Stutz, 2012) hanno, infatti, ampiamente sottolineato il
ruolo delle valutazioni soggettive di minaccia percepita e autobiasimo, di-
mostrando che nei bambini di età scolare e adolescenziale la minaccia
percepita media la relazione tra conflitto e comportamenti di internalizza-
zione, mentre l’autobiasimo media l’associazione tra conflitto e compor-
tamenti di internalizzazione ed esternalizzazione, ad eccezione che nel
lavoro di Siffert e colleghi (2012). Grych e Fincham (1990) evidenziano,
inoltre, che una buona relazione di attaccamento con il caregiver possa
costituire un importante fattore protettivo, in grado di ridurre la portata
stressogena del conflitto, attraverso la modulazione delle percezioni e
delle reazioni emotivo-comportamentali ai dissidi dei genitori. A livello em-
pirico, tale ipotesi è stata esplorata in due lavori (De Board-Lucas, Fo-
sco, Raynor e Grych, 2010; Grych, Raynor e Fosco, 2004) in cui emerge
come in situazioni di conflittualità genitoriale la sicurezza nell’attacca-
mento predica livelli inferiori di minaccia percepita e autobiasimo.
A differenza del modello Cognitivo-Contestuale, l’ipotesi della Sicu-
rezza Emotiva enfatizza il ruolo delle reazioni emotive al conflitto, evi-
denziando come i disaccordi genitoriali cronici e distruttivi rendano i figli
emotivamente insicuri e, per tale ragione, vulnerabili all’insorgenza di pro-
blemi psicologici. In questo modello, la sicurezza e l’insicurezza emotiva
non hanno lo stesso significato degli analoghi concetti elaborati dalla teo­
ria dell’attaccamento, poiché hanno origine dalle percezioni e dalla rap-

480
L’attaccamento modera le reazioni dei bambini esposti al conflitto genitoriale?

presentazione della relazione di coppia, che il bambino progressivamente


si costruisce. Secondo gli Autori, un bambino può «sentirsi emotivamente
incerto e insicuro rispetto alla qualità della relazione affettiva tra i suoi
genitori, ma emotivamente sicuro in termini di attaccamento o viceversa»
(Davies, Harold, Goeke-Morey e Cummings, 2002, p. 6). Un legame di
attaccamento sicuro con il caregiver può, dunque, coesistere con un’in-
sicurezza emotiva, legata ad esempio alla percezione che la natura della
relazione di coppia sia instabile, precaria e problematica. Quando il bam-
bino percepisce la precarietà del legame tra i suoi genitori: a) sperimenta
un’elevata reattività e disregolazione delle emozioni, b) si costruisce
delle rappresentazioni interne della famiglia particolarmente negative e
distruttive, c) mette in atto tentativi cronici di ipercoinvolgimento o evi-
tamento del conflitto. Dall’intergioco di queste tre componenti scaturisce
quell’insieme di risposte, pensieri ed azioni connotabili come «insicurezza
emotiva», giudicato il fattore cardine in grado di spiegare l’impatto che
il conflitto particolarmente intenso e irrisolto esercita sul benessere psi-
cologico dei bambini (Davies e Cummings, 1994; Davies, Martin e Cic-
chetti, 2012; Davies, Harold et al., 2002). In questa prospettiva, dunque,
il valore del legame di attaccamento con il caregiver non viene messo
in discussione né sottovalutato; tuttavia, a livello empirico, l’attenzione al
costrutto di sicurezza emotiva ha «oscurato» quello di attaccamento, che
non è stato specificatamente approfondito nel ruolo di possibile mode-
ratore tra le componenti della sicurezza emotiva e l’adattamento psico-
logico. Nel spiegare l’impatto del conflitto sul benessere psicologico dei
figli e sul loro comportamento sociale gli studi trasversali e longitudinali
(Cummings, Schermerhorn, Davies, Goeke-Morey e Cummings, 2006;
Davies e Cummings, 1998; Davies, Forman, Rasi e Stevens, 2002; Da-
vies, Harold et al., 2002; McCoy, Cummings e Davies, 2009) hanno, in-
fatti, sostanzialmente esplorato il ruolo di mediazione del solo costrutto
di sicurezza emotiva o l’effetto distinto (Buehler et al., 2007, Davies e
Cummings, 1998) delle sue tre componenti (reattività emotiva, rappre-
sentazioni interne della famiglia e risposte comportamentali). I risultati
hanno confermato il ruolo di mediazione dell’insicurezza emotiva (Davies
e Cummings, 1998; Davies, Forman et al., 2002; Davies, Harold et al.,
2002; Cummings et al., 2006) e hanno individuato nella reattività emotiva
la componente centrale del costrutto, in grado di mediare, da sola, la
relazione tra conflitto e comportamenti di internalizzazione ed esternaliz-
zazione (Buehler et al., 2007, Davies, Cicchetti e Martin, 2012; Davies e
Cummings, 1998).
La scarsa attenzione rivolta all’attaccamento, quale fattore in grado
di modulare la relazione tra conflitto genitoriale e adattamento dei figli
non è a nostro avviso del tutto giustificata, soprattutto se si considera

481
E. Camisaca, S. Miragoli, P. Di Blasio

che il sistema di attaccamento si attiva anche in quelle condizioni di


minaccia psicologica (Bowlby, 1969/1982), che tipicamente possono
caratterizzare la conflittualità genitoriale. Con riferimento alla natura mi-
nacciosa del conflitto, alcuni lavori hanno, infatti, chiarito come l’attac-
camento sicuro in bambini di età prescolare moderi l’associazione tra
conflitto e qualità delle interazioni con i pari (Lindsey, Yvonne e Tanker-
sley, 2009) e, in bambini di età scolare, tra conflitto e comportamenti
di internalizzazione ed esternalizzazione (El-Sheik e Elmore-Staton, 2004),
garantendo un migliore adattamento psicosociale. Questi studi, tuttavia,
da un lato, non hanno integrato nelle loro analisi il ruolo delle cognizioni
(modello Cognitivo-Contestuale) e delle reazioni emotive (ipotesi della Si-
curezza Emotiva) dei bambini esposti a conflitti e, dall’altro, hanno consi-
derato solo le due categorie di attaccamento (sicuro vs insicuro).
In sintesi, stimolati sia dai dati sull’importanza dell’attaccamento rile-
vata negli studi succitati (De Board-Lucas et al., 2010; El-Sheik e Elmore-
Staton, 2004; Grych et al., 2004; Lindsey et al., 2009) sia dai risultati
emersi nell’ambito del modello Cognitivo-Contestuale e in quello della
Sicurezza Emotiva, riteniamo che l’integrazione in un unico modello dei
diversi aspetti connessi al conflitto, finora considerati, possa rappresen-
tare un’interessante prospettiva da sottoporre a verifica. L’obiettivo ge-
nerale di questo studio è, dunque, quello di analizzare il ruolo dei diversi
MOI dell’attaccamento quali elementi esplicativi delle percezioni e reazioni
emotive al conflitto tra genitori.

1.1. Obiettivi e ipotesi

Il nostro studio si propone, pertanto, di esplorare se i diversi MOI


di tipo sicuro, evitante e ansioso-ambivalente siano in grado di moderare
la natura delle connessioni tra: conflitto tra i genitori (predittore), minac-
cia percepita, autobiasimo (mediatori del modello Cognitivo-Contestuale),
reat­tività emotiva (mediatore del modello della Sicurezza Emotiva) e i
comportamenti di internalizzazione/esternalizzazione nei figli (outcome).
In linea con le indicazioni della letteratura (De Board-Lucas et al.,
2010; El-Sheik e Elmore-Staton, 2004; Grych et al., 2004; Lindsey et
al., 2009), ipotizziamo che l’attaccamento sicuro costituisca un fattore
protettivo, capace di prevenire la comparsa di sintomi di internalizzazione
ed esternalizzazione, anche in presenza di livelli accentuati di conflitto,
minaccia percepita, autobiasimo e reattività emotiva. Diversamente, ci
aspettiamo che nei bambini insicuri, elevati livelli di conflitto favoriscano
l’insorgenza di esiti negativi, differenziati e specifici a seconda dei MOI di
tipo ansioso-ambivalente ed evitante. Poiché non ci risulta che esistano

482
L’attaccamento modera le reazioni dei bambini esposti al conflitto genitoriale?

studi che abbiano finora analizzato il ruolo dei diversi MOI di tipo insicuro
nella relazione tra conflitto e adattamento, possono essere interessanti
alcuni spunti della letteratura (Cassidy e Kobak, 1988; Cassidy, 1994)
per ipotizzare che, nel caso dei bambini ansioso-ambivalenti, il conflitto
incida negativamente attraverso l’esasperazione della reattività emotiva e
delle percezioni di minaccia e autobiasimo, mentre, nel caso dei bambini
evitanti, orienti verso l’utilizzo di modalità difensive e anestetizzanti, che
impediscono di attivare e di elaborare le percezioni e le reazioni emotive
connesse al conflitto.

2. Metodologia

2.1. Partecipanti

A partire da un gruppo iniziale composto da 197 bambini (54%


femmine), con età compresa tra 7 e 11 anni (M = 9.0, DS = 1.1), e dai
loro genitori, sono stati selezionati 169 bambini e genitori suddivisi in
due gruppi pareggiati per età e non differenti significativamente rispetto
al genere (chi2(1) = 1.8, p = .17). Un gruppo (n = 87) di bambini con at-
taccamento sicuro (45% maschi, età: M = 9.1, DS = 1.0) e i loro geni-
tori (età md: M = 40.9, DS = 4.3; età pd: M = 43.1, DS = 4.4) e un
gruppo (n = 82) di bambini con attaccamento insicuro (52% maschi, età:
M = 8.8, DS = 1.2) e i loro genitori (età md: M = 40.8, DS = 4.1; età pd:
M = 42.5, DS = 4.6), di cui 48 bambini con attaccamento ansioso-ambi-
valente e 34 bambini con attaccamento evitante
I bambini appartengono a famiglie normocostituite, con una durata
media del matrimonio pari a 13.7 anni (DS = 4.4). Lo status socio-cul-
turale familiare, rilevato attraverso la professione e il titolo di studio dei
due genitori, indica che il 56% delle famiglie ha uno status socio-culturale
medio, il 14% alto e il 30% basso.

2.2. Procedura

I partecipanti alla ricerca sono stati reclutati presso tre scuole ele-
mentari pubbliche di Milano e provincia (Parabiago). Le scuole sono state
reperite attraverso una procedura standard, che comprendeva un incon-
tro introduttivo esplicativo del progetto di ricerca con i dirigenti scola-
stici e le insegnanti delle classi elementari e una descrizione scritta de-
gli obiettivi e della procedura dello studio rivolta ai genitori delle classi
coinvolte. Tutti i genitori, che hanno aderito alla ricerca, hanno firmato i

483
E. Camisaca, S. Miragoli, P. Di Blasio

moduli di consenso, che descrivevano il progetto di ricerca, il carattere


volontario della partecipazione e la riservatezza dei dati raccolti.
Gli strumenti per i genitori sono stati consegnati in una busta chiusa
e anonima, con la richiesta che venissero compilati presso il proprio do-
micilio. La somministrazione degli strumenti ai bambini è invece avvenuta
a scuola, in un luogo che potesse garantire tranquillità e riservatezza.

2.3. Strumenti

Conflitto genitoriale

Il conflitto genitoriale è stato valutato attraverso l’utilizzo di strumenti


self-report somministrati ai bambini e a entrambi i genitori. I bambini
hanno compilato il Children’s Perception of Interparental Conflict Scale
(CPIC; Grych, Seid e Fincham, 1992), che valuta la frequenza, l’intensità e
la risoluzione dei conflitti genitoriali. I bambini hanno riposto a 19 item (su
scala a tre livelli: 0 = falso, 1 = in parte vero, 2 = vero) del fattore Pro-
prietà del conflitto (a = .79), comprensivo delle tre sottoscale Frequenza,
Intensità e Risoluzione. Esempi di item: «Vedo o sento i miei genitori di-
scutere spesso» (frequenza); «Quando i miei genitori hanno una discus-
sione, si dicono delle cose cattive l’uno nei confronti dell’altro» (intensità);
«Quando i miei genitori hanno una discussione, generalmente riescono a
risolverla» (risoluzione).
I genitori hanno compilato la Revised Conflict Tactic Scale (RCTS;
Straus, Hamby, Boney-McCoy e Sugarman, 1996), un questionario self-
report che valuta il livello di conflitto tra due partner e le strategie di ne-
goziazione messe in atto per risolverlo. I genitori hanno risposto a 16
item (su scala a 8 punti: da 0 = mai lo scorso anno a 7 = più di 20 volte
lo scorso anno) della scala Aggressione psicologica (md: a = .73 ; pd:
a = .72) e a 12 item della scala Negoziazione (md: a = .74; pd: a = .75).
Esempi di item della scala Aggressione psicologica: «Ho distrutto cose
appartenenti al mio partner»; «Ho minacciato di pestare il mio partner».
Esempi di item della scala Negoziazione: «Ho suggerito un compromesso
in una situazione di litigio»; «Ho spiegato il mio punto di vista riguardo ad
un conflitto».
Al fine di ottenere un punteggio unico, riassuntivo delle prospettive
dei tre membri della famiglia (genitori e bambino) in merito al conflitto,
seguendo le indicazioni di Fosco e Grych (2008), è stato costruito un in-
dice riassuntivo di Conflitto genitoriale. Tale variabile è stata costruita cal-
colando la media dei punteggi standardizzati delle variabili ottenute, attra-
verso la somministrazione ai bambini del CPIC e dei genitori della RTCS.

484
L’attaccamento modera le reazioni dei bambini esposti al conflitto genitoriale?

Minaccia percepita e autobiasimo

Le valutazioni soggettive di minaccia e autobiasimo sono state valu-


tate attraverso la somministrazione ai bambini del Children’s Perception
of Interparental Conflict scale (CPIC; Grych et al., 1992). Nello specifico,
la scala Minaccia percepita (a = .71), composta da 12 item (su scala a
3 livelli: 0 = falso, 1 = in parte vero, 2 = vero), misura il livello secondo
il quale i bambini percepiscono il conflitto come pericoloso per il proprio
benessere e per la famiglia. Esempi di item: «Quando i miei genitori li-
tigano, io mi preoccupo per cosa potrebbe capitarmi»; «Quando i miei
genitori litigano mi preoccupa che accada qualcosa di brutto». La scala
Autobiasimo (a = .72), composta da 9 item (sempre su scala a 3 livelli),
misura la convinzione dei bambini di essere la causa del conflitto. Esempi
di item: «È colpa mia se i miei genitori discutono»; «I litigi dei miei geni-
tori spesso mi riguardano».

Reattività emotiva

Questa variabile è stata valutata attraverso la somministrazione ai


bambini del Security in the Interparental Subsystem scale (SIS; Davies,
Forman, et al., 2002). I bambini hanno compilato 12 item (su scala a
4 livelli: da 1 = per nulla vero a 4 = molto vero) della scala Reattività
emotiva (a = .77), che misura le reazioni emotive e le difficoltà di rego-
lazione emotivo-comportamentale dei bambini esposti al conflitto. Esempi
di item: «Quando i miei genitori litigano: mi sento triste, in pericolo, ar-
rabbiato, l’intera giornata rimane rovinata, non riesco a calmarmi, urlo,
ecc.».

Modelli operativi interni dell’attaccamento

I MOI sono stati misurati attraverso la somministrazione ai bambini


della versione modificata e adattamento italiano del Separation Anxiety
Test (SAT) di Klasbrun e Bowlby (Attili, 2001). Il test comprende due serie
di sei vignette, una per i maschi e una per le femmine, raffiguranti si-
tuazioni di separazione brevi e lunghe. La somministrazione prevede che,
individualmente, a ciascun partecipante allo studio venga detto: «Vorrei
che tu mi aiutassi a capire cosa provano i bambini quando qualche volta
i genitori devono andare via e devono lasciarli per un po’ di tempo. Ho
qui dei disegni in cui c’è un bambino/a della tua età e ora ti farò alcune
domande». In seguito alla presentazione e descrizione di ogni tavola,

485
E. Camisaca, S. Miragoli, P. Di Blasio

sono state rivolte quattro domande, relative ad un bambino ipotetico:


«Cosa prova secondo te il/la bambino/a nel disegno?»; «Perché pensi
che questo/a bambino/ a provi questo?»; «Cosa pensi che faccia, ora,
questo/a bambino/a?»; «Cosa farà questo/a bambino/a quando rivedrà
la madre (o i genitori)?». La codifica delle risposte, realizzata seguendo le
indicazioni del manuale di Attili (2001), ha permesso di individuare i bam-
bini con MOI di tipo sicuro, ansioso-ambivalente ed evitante.

Comportamenti di internalizzazione ed esternalizzazione

Le problematiche di internalizzazione/esternalizzazione sono state


misurate attraverso la somministrazione congiunta ai genitori della Child
Behavior Checklist (CBCL/4-18, Achenbach, 1991; edizione italiana, Fri-
gerio, 2001) composta da 113 item (su scala a tre livelli: 0 = non vero,
1 = in parte vero, 2 = vero). La scala Internalizzazione (comprensiva
delle tre sottoscale: Ritiro, Lamentele somatiche, Ansia/depressione)
valuta pattern comportamentali caratterizzati da timidezza, ansia e de-
pressione. La scala Esternalizzazione (comprensiva delle due sottoscale:
Comportamento delinquenziale e Comportamento aggressivo) include la
descrizione di comportamenti aggressivi e delinquenziali. I punteggi di in-
ternalizzazione ed esternalizzazione sono stati calcolati seguendo le indi-
cazioni del manuale di scoring.

2.4. Strategia di analisi

In primo luogo, sono state condotte una serie di analisi descrittive


e una ANOVA per esaminare la presenza nei bambini con diversi MOI (si-
curo, ansioso-ambivalente ed evitante) di eventuali differenze significative
nelle medie dei punteggi alle variabili investigate.
In secondo luogo, al fine di verificare se l’attaccamento moderi la rela-
zione tra: conflitto genitoriale (predittore), minaccia percepita, autobiasimo
e reattività emotiva (mediatori) e comportamenti di internalizzazione ed
esternalizzazione dei figli (outcome) sono stati considerati separatamente
i tre sottogruppi di bambini sicuri, ansioso-ambivalenti ed evitanti. Nello
specifico, in ciascun gruppo, sono state condotte delle correlazioni sia per
esplorare le associazioni tra le variabili sia per valutare l’esistenza delle pre-
condizioni (vale a dire correlazioni significative tra predittore, mediatori e
outcome), necessarie per l’applicazione del modello di mediazione.
Il modello di mediazione si ritiene validato se vengono soddisfatte 4
condizioni (Baron e Kenny, 1986, pp. 1174-1178). Le prime due riguar-

486
L’attaccamento modera le reazioni dei bambini esposti al conflitto genitoriale?

dano (1) l’influenza del predittore (conflitto genitoriale) sulle variabili di


outcome (internalizzazione ed esternalizzazione) e (2) sulle variabili di me-
diazione (minaccia percepita, autobiasimo e reattività emotiva). La terza
(3) richiede che vi sia una relazione tra le variabili di outcome e le variabili
di mediazione, dopo aver controllato lo specifico effetto del predittore.
Quando questi requisiti sono soddisfatti, viene effettuato un confronto tra
la prima e la terza regressione (4) per determinare l’effetto del predittore
sulla variabile di outcome. Il modello di mediazione è validato se il predit-
tore è meno fortemente associato alla variabile di outcome nella terza
equazione di quanto accada nella prima.

3. Risultati

3.1. Dati descrittivi

La tabella 1 riporta i dati descrittivi ed i risultati dell’ANOVA nei sot-


togruppi di bambini sicuri, ansioso-ambivalenti ed evitanti. Come è stato
precedentemente indicato, sebbene la variabile «conflitto genitoriale» –
oggetto delle analisi successive – sia stata costruita calcolando la media
dei punti z alle scale che misurano il conflitto genitoriale compilate da
madri, padri e bambini, la tabella 1 riporta sia i punteggi medi ottenuti da
tutti e tre i rispondenti per ciascuna scala presa in esame sia i punteggi
relativi a tale indice composito.
In linea con la letteratura (Fosco e Grych, 2008, Buehler et al.,
2007; Davies, Harold et al., 2002), dal momento che i soggetti della ri-
cerca non appartengono ad un campione clinico, i punteggi rilevati sono,
in media, da moderati a bassi. Le percezioni dei bambini e di entrambi
i genitori, relativamente al conflitto, risultano, inoltre, significativamente
associate (aggressività verbale materna vs. aggressività verbale paterna:
r = .56, p < .01; conflitto percepito dai bambini vs. aggressività verbale
materna: r = .26, p < .01; conflitto percepito dai bambini v.s aggressività
verbale paterna: r = .20, p < .05).
Le ANOVA condotte sui sottogruppi di bambini con diversi MOI non
segnalano differenze significative nelle variabili oggetto di studio.

3.2. Analisi correlazionali e verifica del modello di mediazione

Preliminarmente alla verifica del modello di mediazione, presentiamo


le analisi correlazionali nei tre sottogruppi distinti di bambini sicuri, an-
sioso-ambivalenti ed evitanti.

487
E. Camisaca, S. Miragoli, P. Di Blasio

Tab. 1.  Dati descrittivi e differenze rispetto allo stile di attaccamento


M DS F p
Negoziazione materna (RCTS) Sicuri 31.2 31.0 .38 .69
Evitanti 42.6 33.9
Ambivalenti 36.7 35.8
Totale 38.1 32.9
Negoziazione paterna (RCTS) Sicuri 59.0 40.0 1.18 .31
Evitanti 55.3 49.4
Ambivalenti 47.2 33.5
Totale 54.9 40.5
Aggressività psicologica materna (RCTS) Sicuri 7.3 11.8 .96 .39
Evitanti 10.4 20.1
Ambivalenti 6.4 8.2
Totale 7.7 13.1
Aggressività psicologica paterna Sicuri 9.4 12.0 .67 .51
(RCTS) Evitanti 7.9 11.5
Ambivalenti 6.8 13.0
Totale 8.4 12.1
Conflitto genitoriale percepito dai figli Sicuri 10.8 7.3 .88 .41
(CPIC) Evitanti 10.7 6.5
Ambivalenti 12.3 6.2
Totale 11.2 6.8
Conflitto genitoriale (Indice composito) Sicuri –40 2.4 .49 .61
Evitanti –18 2.7
Ambivalenti .01 2.0
Totale –24 2.3
Minaccia percepita (CPIC) Sicuri 5.2 3.1 2.00 .14
Evitanti 4.8 3.4
Ambivalenti 6.1 3.0
Totale 5.4 3.2
Autobiasimo (CPIC) Sicuri 2.0 1.7 2.11 .12
Evitanti 2.2 1.9
Ambivalenti 2.6 1.7
Totale 2.2 1.7
Reattività emotiva (SIS) Sicuri 21.4 5.7 .25 .78
Evitanti 20.8 6.2
Ambivalenti 21.7 5.6
Totale 21.4 5.7
Internalizzazione (CBCL) Sicuri 6.3 5.0 2.79 .06
Evitanti 4.3 3.1
Ambivalenti 6.0 4.0
Totale 5.8 4.4
Esternalizzazione (CBCL) Sicuri 6.5 4.3 1.07 .35
Evitanti 6.3 4.1
Ambivalenti 7.5 4.7
Totale 6.7 4.4

488
L’attaccamento modera le reazioni dei bambini esposti al conflitto genitoriale?

Tab. 2.  Analisi correlazionali per bambini con stile di attaccamento sicuro (n = 87)
1 2 3 4 5 6
1. Conflitto –
2.  Minaccia percepita .46** –
3. Autobiasimo .32** .38** –
4. Reattività .34** .74** .30** –
5. Internalizzazione –.05 .01 .10 –.01 –
6. Esternalizzazione .12 .08 .02 .10 .58** –
* p < .01; ** p < .05.

Attaccamento sicuro

Nel gruppo di bambini sicuri (tab. 2), il predittore (conflitto genito-


riale) correla positivamente con i mediatori minaccia percepita (r = .46),
autobiasimo (r = .32) e reattività emotiva (r = .34), ma non risulta signi-
ficativamente associato all’outcome, ovvero ai comportamenti di inter-
nalizzazione ed esternalizzazione. Analogamente, la minaccia percepita,
l’autobiasimo e la reattività emotiva (mediatori) non correlano con i com-
portamenti di internalizzazione ed esternalizzazione.
In altre parole, i dati segnalano che, per i bambini sicuri, sebbene
livelli più accentuati di conflitto tra i genitori si associno a reazioni più ele-
vate di minaccia, autobiasimo e reattività emotiva, tali fattori non eviden-
ziano alcuna associazione significativa con i comportamenti di internaliz-
zazione ed esternalizzazione. Non si ravvisano pertanto le condizioni per
la verifica degli effetti di mediazione di minaccia, autobiasimo e reattività
emotiva nell’associazione tra conflitto genitoriale e adattamento dei figli.

Attaccamento evitante

Per i bambini evitanti (tab. 3) non si rileva alcuna associazione signifi-


cativa sia tra predittore (conflitto genitoriale) e mediatori (minaccia, auto-
biasimo, reattività emotiva) sia tra predittore e outcome (internalizzazione
ed esternalizzazione) sia tra mediatori e variabili di outcome.
In altre parole, per i bambini evitanti anche in occasione di livelli più
accentuati di conflitto non si rileva un incremento delle percezioni e delle
reazioni emotive negative ad essi congruenti. Inoltre, come per i sicuri,
all’aumentare del conflitto non consegue un analogo incremento dei com-
portamenti di internalizzazione ed esternalizzazione. Anche nel caso dei
bambini evitanti, non vi sono pertanto le condizioni per la verifica degli
effetti di mediazione.

489
E. Camisaca, S. Miragoli, P. Di Blasio

Tab. 3.  Analisi correlazionali per bambini con stile di attaccamento evitante (n = 34)
1 2 3 4 5 6
1. Conflitto –
2.  Minaccia percepita .16 –
3. Autobiasimo .30 .59** –
4. Reattività .24 .55** .61** –
5. Internalizzazione .33 .24 .10 .06 –
6. Esternalizzazione .13 –.01 .17 .10 .50** –
* p < .01; ** p < .05.

Tab. 4.  Analisi correlazionali per i bambini con stile di attaccamento ansioso-ambivalente (n = 48)
1 2 3 4 5 6
1. Conflitto –
2.  Minaccia percepita .29* –
3. Autobiasimo .36* .12 –
4. Reattività .37* .66** .26 –
5. Internalizzazione .29* .36* .05 .19 –
6. Esternalizzazione .29* .26 .13 .40** .54** –
* p < .01; ** p < .05.

Attaccamento ansioso-ambivalente

Per i bambini ansioso-ambivalenti (tab. 4) le correlazioni indicano


associazioni significative tra conflitto genitoriale e i mediatori minaccia
percepita (r = .29), autobiasimo (r = .36) e reattività emotiva (r = .37);
tra conflitto genitoriale e comportamenti di internalizzazione (r = .29) ed
esternalizzazione (r = .29); e tra il mediatore minaccia percepita e com-
portamenti di internalizzazione (r = .36) e tra il mediatore reattività emo-
tiva e comportamenti di esternalizzazione (r = .40).
Pertanto, all’aumentare del conflitto tra i genitori si ravvisa sia un in-
cremento dei comportamenti di internalizzazione ed esternalizzazione, sia
un aumento delle percezioni e reazioni emotive ad esso conseguenti, che
risultano, a loro volta, associate ad esiti di internalizzazione ed esternaliz-
zazione. Sussistono quindi le condizioni per verificare se la minaccia per-
cepita e la reattività emotiva mediano la relazione tra conflitto genitoriale
e comportamenti di internalizzazione ed esternalizzazione.
A questo proposito, l’effetto del predittore (conflitto genitoriale) su
ciascuno dei mediatori (minaccia percepita, autobiasimo e reattività emo-
tiva) è stato testato attraverso regressioni lineari volte a verificare la con-
dizione 2 del modello di mediazione. Successivamente, su ciascuna va-
riabile di outcome (internalizzazione e esternalizzazione) è stata condotta

490
L’attaccamento modera le reazioni dei bambini esposti al conflitto genitoriale?

Tab. 5.  Regressioni lineari: effetto del predittore sui mediatori


Predittore R2 F ß Mediatori
Conflitto genitoriale .09 4.35* .29* Minaccia percepita
Conflitto genitoriale .13 6.76* .36* Autobiasimo
Conflitto genitoriale .14 7.21* .37* Reattività emotiva
* p < .05; ** p < .01.

Tab. 6.  Regressioni gerarchiche sui comportamenti di internalizzazione


R2 F ∆R2 ∆F ß
Step 1 .08 4.12*
  Conflitto genitoriale .29*
Step 2 .17 4.54* .09 .42*
  Conflitto genitoriale .20
  Minaccia percepita .31*
 Autobiasimo –.06
  Reattività emotiva –.02
* p < .05; ** p < .01.

Tab. 7.  Regressioni gerarchiche sui comportamenti di esternalizzazione


R2 F ∆R2 ∆F ß
Step 1 .08 4.25*
  Conflitto genitoriale .29*
Step 2 .18 4.96* .10 .71*
  Conflitto genitoriale .17
  Minaccia percepita –.01
 Autobiasimo .11
  Reattività emotiva .33*
* p < .05; ** p < .01.

una regressione gerarchica, in cui il predittore è stato introdotto allo Step


1, per verificare la condizione 1 del modello; e i mediatori sono stati in-
trodotti allo Step 2, per verificare le condizioni 3 e 4.
Le regressioni lineari (tab. 5) mostrano che il conflitto genitoriale
predice i mediatori: minaccia percepita (ß = .29), autobiasimo (ß = .36)
e reattività emotiva (ß = .37). I dati delle regressioni gerarchiche (tabb. 6
e 7) condotte su ciascuna delle due variabili di outcome indicano che la
minaccia percepita (ß = .31) media l’associazione tra conflitto e compor-
tamenti di internalizzazione, mentre la reattività emotiva (ß = .33) media
la relazione tra conflitto e comportamenti di esternalizzazione.

491
E. Camisaca, S. Miragoli, P. Di Blasio

= .29* Minaccia percepita


= .31*
= .36* Autobiasimo

= .37* Reattività emotiva = .33*


Internalizzazione
Conflitto = .29* vs n.s.
genitoriale
= .29* vs n.s. Esternalizzazione

Fig. 1.  Modello di mediazione.

In altri termini, i risultati indicano che, nel caso dei bambini ansioso-
ambivalenti (fig. 1), il conflitto genitoriale incide sul loro adattamento psi-
cologico, attraverso l’effetto di mediazione della percezione di minaccia
e della reattività emotiva. In particolare, la percezione che il conflitto sia
minaccioso per il proprio benessere e per quello della famiglia determina
l’insorgenza di comportamenti ansioso/depressivi, mentre l’elevata reat-
tività emotiva, conseguente al conflitto, rende questi bambini maggior-
mente vulnerabili all’insorgenza di comportamenti aggressivi.

4. Discussione

Come abbiamo illustrato nell’introduzione, l’interesse di questo stu-


dio nasce dall’assenza di lavori che esplorino il ruolo dei tre distinti MOI
dell’attaccamento (sicuro, ansioso-ambivalente ed evitante) nel modulare
l’effetto delle percezioni (minaccia e autobiasimo) e della reattività emo-
tiva nell’associazione tra conflitto e adattamento psicologico dei figli.
I risultati, sebbene preliminari, per l’esiguo numero di soggetti an-
sioso-ambivalenti ed evitanti, evidenziano che il conflitto tra i genitori in-
cide sul benessere psicologico dei figli, in modo differenziato a seconda
del MOI dell’attaccamento con il caregiver. Più precisamente, è emerso
che, nei bambini sicuri, gli elevati livelli di conflitto coniugale attivano per-
cezioni ed emozioni negative (minaccia, autobiasimo ed accentuata reat­
tività emotiva), congrue con l’evento stressogeno che stanno vivendo.
Tali reazioni, tuttavia, non incidono sul loro adattamento psicologico, in
termini di internalizzazione ed esternalizzazione. Sembra, pertanto, che
la sicurezza nel legame con il caregiver li preservi da eventuali esiti di-
sadattivi, come peraltro indicato in letteratura (De Board-Lucas et al.,
2010; El-Sheik e Elmore-Staton, 2004; Grych et al., 2004; Lindsey et al.,
2009). Si possono spiegare questi risultati ritenendo che i MOI dei bam-

492
L’attaccamento modera le reazioni dei bambini esposti al conflitto genitoriale?

bini sicuri, esito di interazioni sensibili e responsive con i propri caregiver,


possano aver favorito l’utilizzo di strategie efficaci di tipo auto ed etero-
regolatorio, caratterizzate da riconoscimento e capacità di esprimere il
proprio distress, ricerca del supporto e messa in atto di modalità ade-
guate di problem solving (Mikulincer, Shaver e Pereg, 2003). I caregiver
con attaccamento di tipo sicuro sembrano inoltre maggiormente propensi
a utilizzare strategie di tipo cooperativo in situazioni di conflitto, come
evidenzia un recente studio su adulti nella transizione alla genitorialità
(Castellano, Velotti, Crowell e Zavattini, 2013).
Nei bambini evitanti, l’aumentare del conflitto tra i genitori non com-
porta un incremento di condotte di internalizzazione ed esternalizzazione.
Questi bambini non mostrano neanche segni di attivazione cognitiva o ri-
sposte emotive negative congrue al livello di gravità del conflitto, di cui
non sembrano accorgersi. Tali risultati possono venire interpretati consi-
derando che i soggetti evitanti, a causa dei loro MOI, esito di relazioni
con caregiver non disponibili, se non addirittura rifiutanti in condizione di
stress, mettano in atto una serie di strategie chiamate di «disattivazione»
(Cassidy e Kobak, 1988), che hanno l’obiettivo di evitare la frustrazione e
il disagio determinato dall’indisponibilità della figura di attaccamento. Que-
sta presa di distanza può comportare sia una disattenzione attiva nei con-
fronti di eventi minacciosi e vulnerabilità personali sia l’inibizione e la sop-
pressione di pensieri, emozioni o ricordi, che evochino malessere e vissuti
di fragilità (Mikulincer et al., 2003; Shaver e Mikulincer, 2002). In partico-
lare, mentre le strategie di disattenzione non consentono all’angoscia e
alle percezioni di vulnerabilità di giungere alla consapevolezza, quelle di
inibizione e repressione hanno lo scopo di ridurre al minino le cognizioni e
i vissuti di fragilità, che pure sono stati percepiti e codificati (Mikulincer et
al., 2003). I nostri dati sembrano indicare che i bambini evitanti utilizzino
strategie di minimizzazione e inibizione, che permettono loro di non per-
cepire il conflitto come evento particolarmente minaccioso e di non espri-
mere il loro distress, e, infatti, a livelli più accentuati di conflitto non si as-
socia un aumento delle percezioni e delle emozioni negative, né problema-
tiche di adattamento. Shaver e Mikulincer (2002) offrono un’interessante
spiegazione, applicabile anche ai nostri dati, laddove sottolineano come a
breve termine le strategie di disattivazione possano essere efficacemente
adattive, poiché disinnescano i meccanismi di ruminazione mentale delle
percezioni ed emozioni negative connesse all’evento stressogeno (Shaver
e Mikulincer, 2002; Mikulincer, Shaver e Horesh, 2006), mentre, a lungo
termine, impedendo un’effettiva elaborazione del disagio, rivelano il loro
carattere disadattivo. Possiamo pertanto ipotizzare, per quanto la natura
trasversale dei nostri dati non permetta di affermarlo con sicurezza, che
i bambini evitanti da noi esaminati si trovino in quella prima fase del dina-

493
E. Camisaca, S. Miragoli, P. Di Blasio

mismo di minimizzazione e di distanziamento dei vissuti e delle percezioni


negative connesse all’evento stressogeno.
Se consideriamo ora i bambini ansioso-ambivalenti notiamo reazioni
diverse da quelle dei bambini evitanti e sicuri, che si esprimono in un
incremento sia della sensazione di minaccia percepita sia della reattività
emotiva, che, a loro volta, favoriscono l’insorgenza di sintomi di interna-
lizzazione ed esternalizzazione. Per questi bambini, il conflitto ha riper-
cussioni negative sull’adattamento psicologico, attraverso la mediazione
della minaccia percepita e della reattività emotiva. Più precisamente, in
linea con le indicazioni della letteratura (Fosco e Grych, 2008), la mi-
naccia percepita predice i comportamenti di internalizzazione, mentre la
reattività emotiva risulta strettamente connessa a quelli di esternalizza-
zione. Possiamo ipotizzare che i MOI ansioso-ambivalenti, esito di rela-
zioni con caregiver imprevedibili ed incoerenti nelle loro risposte, predi-
spongano i bambini ad attivare strategie di regolazione delle emozioni
chiamate di «iperattivazione» (Cassidy e Kobak, 1988), che esacerbano
anziché diminuire il loro disagio. Tali strategie, infatti, oltre ad essere
caratterizzate da un’attenzione ansiosa e ipervigilante verso i possibili
segni di disapprovazione, mancato interesse o trascuratezza da parte
delle figure di attaccamento, risultano anche connotate da una propen-
sione esasperata sia a notare i segnali di minaccia nel mondo fisico e
sociale sia ad esagerare le potenziali conseguenze negative di tali se-
gnali. L’incremento di risposte emozionali negative e della ruminazione
mentale, in relazione a tali segnali codificati come minacciosi, produ-
cono un’amplificazione del distress e dei vissuti di impotenza e vulne-
rabilità (Mikulincer e Shaver, 2003). In particolare, Mikulincer e colleghi
(2006) sottolineano come negli individui ansioso-ambivalenti il ricorso
cronico all’iperattivazione comprometta la regolazione delle emozioni, fa-
vorendo pensieri e vissuti negativi prolungati e incontrollabili, che li pre-
dispongono all’insorgenza sia di sintomi ansioso-depressivi sia di scoppi
di aggressività.
In conclusione, possiamo dire che i nostri risultati, oltre ad eviden-
ziare la specificità dei MOI dell’attaccamento nell’articolata dinamica tra
conflitto genitoriale, reazioni cognitive ed emotive, ed adattamento psi-
cologico dei figli, pone alcuni interrogativi per ulteriori approfondimenti.
In particolare, potrebbe essere interessante, attraverso studi longitudinali,
esplorare come le strategie di auto ed etero-regolazione delle emozioni e
quelle di problem solving, messe in atto dai bambini con diversi stili di at-
taccamento, agiscano e si modifichino nel tempo. Questo permetterebbe
anche di verificare se modalità funzionali a breve termine (quali quelle
di disattivazione tipiche dei bambini evitanti) si mantengano tali anche a
lungo termine e se le risposte disfunzionali a breve termine (di iperattiva-

494
L’attaccamento modera le reazioni dei bambini esposti al conflitto genitoriale?

zione dei bambini ansioso-ambivalenti) si organizzino invece in modalità


più o meno adattive.

5. Limiti
Alcuni limiti della ricerca vanno sottolineati sia per permettere una mi-
gliore interpretazione dei risultati sia ai fini di un eventuale prosieguo futuro.
Un limite già evidenziato riguarda la scarsa numerosità di bambini con at-
taccamento ansioso-ambivalente ed evitante che impedisce una reale ge-
neralizzazione dei risultati. Più specificatamente, appare opportuno consi-
derare con cautela i risultati relativi ai bambini evitanti, poiché si discostano
da quelli della letteratura (Shaver e Hazan, 1993; Mikulincer e Shaver,
2003) per l’assenza di problemi di adattamento, sebbene in un quadro ca-
ratterizzato da inibizioni e strategie di minimizzazione del conflitto.
Un ulteriore limite risiede nella natura trasversale della ricerca, che non
consente l’analisi dell’associazione temporale tra le variabili considerate,
per individuarne le eventuali relazioni causali ed influenze bidirezionali.
Inoltre, in linea con la maggior parte degli studi condotti sui media-
tori cognitivi ed emotivi della relazione tra conflitto genitoriale e adatta-
mento dei figli, il nostro lavoro si è avvalso di un campione normativo,
che presenta livelli bassi versus moderati di conflittualità. Prendendo a
riferimento le indicazioni di Fosco e Grych (2008), possiamo sostenere
che, sebbene esistano evidenze empiriche che segnalano come i pro-
cessi di elaborazione cognitiva ed emotiva della situazione conflittuale
funzionino in modo sostanzialmente simile anche in soggetti esposti ad
alti livelli di conflitto o addirittura di violenza domestica, è plausibile ipo-
tizzare che la forza delle associazioni tra le variabili possa differire in
gruppi clinici caratterizzati da gravi livelli di conflittualità. Ad esempio, è
possibile ipotizzare che, in famiglie violente, il livello di pericolo per la
propria incolumità e quella dei familiari sia decisamente più elevato e, di
conseguenza, che i bambini esposti a tali situazioni percepiscano livelli
decisamente più elevati di minaccia. Sarebbe pertanto rilevante affiancare
al gruppo normativo un gruppo di confronto, caratterizzato da gravi situa-
zioni di conflitto per poter meglio comprendere se in diversi contesti di
sviluppo si ravvisino gli stessi effetti diretti o indiretti del conflitto sull’a-
dattamento dei figli.
Inoltre, lo studio non considera il ruolo esercitato dal genere dei
bambini nelle associazioni investigate. In letteratura è stato evidenziato
che gli studi che hanno esplorato il ruolo di tale variabile sono giunti a
risultati complessi e incoerenti (Baviskar, 2010; Davies e Lindsay, 2001,
2004). Infatti, alcuni mettono in evidenza un’assenza di differenze di ge-

495
E. Camisaca, S. Miragoli, P. Di Blasio

nere (Buehler, Anthony, Krishnakumar e Stone, 1997; Jouriles, Bourg e


Farris, 1991); altri una maggior vulnerabilità al conflitto nei maschi ri-
spetto alle femmine (Laumakis, Margolin e John, 1998; Kerig, 1996,
1999) e viceversa (Baviskar, 2010; Cummings e Davies, 1994; Unger,
Brown, Tressel e McLeod, 2000); e, altri ancora, un’analoga vulnerabilità
di genere, che si traduce tuttavia in reazioni differenti, portando i maschi
a esprimere maggiormente condotte di esternalizzazione e le femmine di
internalizzazione (Davies e Lindsay, 2001, Zahn-Waxler, 1993). Davies e
Lindsey (2004) hanno inoltre già da tempo posto in evidenza come tale
incoerenza nei risultati derivi sostanzialmente dal fatto che, in gran parte
degli studi, l’effetto di moderazione del genere non è stato esaminato
confrontando bambini di diverse fasce di età. Infatti, i maschi risultereb-
bero maggiormente vulnerabili al conflitto in età prescolare e scolare,
mentre le femmine in età adolescenziale. Alla luce di tali indicazioni, sa-
rebbe auspicabile che in ricerche future venga meglio chiarito l’effetto del
genere, avvalendosi di campioni sia di tipo clinico sia di tipo normativo
composti da un numero rappresentativo di bambini di diverse fasce di
età.
Infine, la somministrazione ai soli genitori della CBCL, che non pre-
vede al suo interno un controllo del fenomeno della desiderabilità sociale,
potrebbe aver ostacolato la rilevazione di particolari difficoltà comporta-
mentali nei figli. Sarebbe, pertanto, auspicale che la ricerca futura si av-
valesse anche di altre fonti (ad esempio, insegnanti o i bambini stessi), al
fine di meglio individuare eventuali difficoltà emotivo-comportamentali dei
bambini esaminati.

6. Implicazioni cliniche

Diverse sono, a nostro avviso, le implicazioni cliniche dei risultati


del nostro studio. In accordo con la letteratura, possiamo innanzitutto
sostenere che i bambini, che vivono in famiglie caratterizzate da con-
flitti cronici e distruttivi, possano essere «a rischio» di esiti disadattivi.
Da qui l’importanza di intervenire precocemente non solo con l’obiettivo
di aiutare e sostenere i genitori, in quanto adulti in difficoltà, ma anche
nella prospettiva di renderli consapevoli dei processi cognitivi ed emo-
tivi di elaborazione degli figli: infatti, i bambini non solo si spaventano,
ma si sentono spesso in colpa e responsabili della risoluzione stessa
del conflitto, con evidenti conseguenze negative in termini di benessere
psicologico.
Nel lavoro clinico con i bambini, oltre a deresponsabilizzarli ri-
spetto all’eventuale causa del conflitto, diviene centrale focalizzare l’at-

496
L’attaccamento modera le reazioni dei bambini esposti al conflitto genitoriale?

tenzione sulle modalità con cui essi cercano di far fronte alla situazione
stressogena, tenendo in considerazione l’effetto che i diversi MOI eser-
citano sulla scelta delle strategie di auto e etero-regolazione. In base ai
nostri dati, individuare ed intervenire precocemente sulle strategie di-
sadattive (di iperattivazione e disattivazione) sembra costituire una via
da privilegiarsi. A questo proposito, potrebbe essere rilevante agire sia
sul rimuginio delle cognizioni e sugli elevati livelli di attivazione e disre-
golazione emotiva (tipiche degli ansioso-ambivalenti) sia sull’inibizione
e sulla repressione delle percezioni e delle emozioni negative (tipiche
degli evitanti), che, sebbene possano risultare efficaci nell’aiutare nel
breve periodo, sembrano disfunzionali e fallimentari a lungo termine.
In conclusione, a nostro avviso, l’intervento clinico in situazioni di
conflitto familiare, oltre a focalizzarsi sugli adulti e sulle loro proble-
matiche di coppia, dovrebbe sempre orientarsi alla comprensione delle
dinamiche psicologiche del bambino, prendendo in considerazione le
cognizioni e le emozioni inestricabilmente connesse e dinamicamente at-
tive nell’elaborazione dell’informazione.

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[Ricevuto il 27 marzo 2013]


[Accettato l’8 luglio 2013]

Does attachment moderate the reactions of children exposed to marital conflict? Evi-
dence for an integrated model

Summary. The literature has shown that the marital conflict has a negative impact on child
adjustment (internalizing and externalizing behaviors). It was also well established that the chil-
dren’s appraisal of threat and self blame (Cognitive-Contextual Framework) and their emotional re-
activity (Emotional Security Hypothesis) mediate the relationship between marital conflict and child
adjustment. The present study aims to explore whether and how the different children’s Internal
Working Models (IWM) of attachment moderate these associations. 169 schoolaged children (87
secure, 48 anxious-ambivalent and 34 avoidant) and their parents participated to the study. A set
of measures (RCTS, CPIC, SIS, CBCL, SAT) were administered to children and their parents. The
results show the different effect played by marital conflict on perceptions, emotional reactions and
internalizing and externalizing behaviors by considering the IWM secure, anxious-ambivalent and
avoidant. Clinical implications and interventions are discussed.

Keywords: marital conflict, child adjustment, attachment, emotional reactivity, subjective


appraisals.

Per corrispondenza: Elena Camisaca, Dipartimento di Psicologia, Università Catto-


lica del Sacro Cuore, Largo Gemelli, 1, 20123 Milano. E-mail: elena.camisasca@
unicatt.it

500
Strategie di coping e coping efficacy nei bambini esposti al conflitto

Strategie di coping e coping efficacy nei bambini esposti al conflitto


genitoriale: il ruolo dell’attaccamento
Elena Camisasca*, Sarah Miragoli*, Paola Di Blasio*1

Nell’ambito degli studi sul conflitto genitoriale l’attenzione al rapporto tra rappresentazioni mentali
dell’attaccamento, strategie di coping e coping efficacy costituisce un tema poco indagato in letteratura. Il presente
studio esplora se e come i diversi Modelli Operativi Interni (MOI) dell’attaccamento dei bambini modulino la
relazione tra distress percepito in occasione del conflitto genitoriale, strategie di coping e coping efficacy. I
partecipanti sono 182 bambini (87 sicuri, 46 ansioso-ambivalenti e 49 evitanti) di età scolare ed i loro genitori, a cui
sono stati somministrati una serie di strumenti (RCTS, CPIC, SIS, CCSC-R1 e SAT). I risultati mostrano l’influenza
dei MOI sull’utilizzo delle diverse strategie di coping e sul loro impatto sulla coping efficacy.
Parole chiave: conflitto genitoriale, strategie di coping, attaccamento, coping efficacy, bambini

Coping strategies and coping efficacy in children exposed to marital conflict: the role of attachment

In the literature on marital conflict little attention has been paid regarding the relationship among children’s
attachment, coping strategies, and coping efficacy. The present study aims to explore whether and how the different
children’s Internal Working Models (IWM) of attachment moderate the associations among children’s perceived
distress during the conflict, coping strategies, and coping efficacy. 182 schoolaged children (87 secure, 46 anxious-
ambivalent and 49 avoidant) and their parents participated to the study. A set of measures (RCTS, CPIC, SIS,
CCSC-R1, SAT) were administered to children and their parents. The results show the influence of MOI on the use
of different coping strategies and on their effects on coping efficacy.
Keywords: marital conflict, coping strategies, attachment, coping efficacy, children

1. Introduzione

Il presente lavoro si inserisce nell’ambito degli studi sul conflitto genitoriale e focalizza
l’attenzione sul rapporto tra le rappresentazioni mentali dell’attaccamento, le strategie di coping
messe in atto dai bambini al fine di affrontare lo stress derivante dal conflitto e l’impatto che tali
strategie esercitano sulla percezione soggettiva di coping efficacy. Più specificatamente intende
verificare se la sicurezza dell’attaccamento sia in grado di influenzare sia le strategie di coping
sia il loro effetto sulla coping efficacy.

1 * C.R.I.d.e.e., Dipartimento di Psicologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano


Indirizzare le richieste a: Elena Camisasca, Dipartimento di Psicologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, L.go
Gemelli, 1, 20123, Milano, Italy, elena.camisasca@unicatt.it

1
Attaccamento e Sistemi Complessi (Attachment and Complex Systems), Vol. 1, n.1, gennaio 2014, pp. xxxxx
ISSN xxxxxxxx
© 2014 Scione Editore
Camisasca, Miragoli e Di Blasio

L’interesse per questo tema nasce dalle evidenze della ricerca psicologica che, sebbene
abbia chiarito il ruolo distinto delle strategie di coping, della coping efficacy e dell’attaccamento
nel rendere il conflitto tra i genitori un evento potenzialmente dannoso per l’adattamento dei
figli, non ha, tuttavia, esplorato quali connessioni esistano tra tali dimensioni né a quali
condizioni esse possano svolgere una funzione protettiva. Sappiamo come la capacità di coping
nell’affrontare difficoltà e situazioni stressanti costituisca, nel corso dello sviluppo,
un’importante acquisizione che ha ripercussioni sull’adattamento psicologico (Clarke, 2006;
Compas, Connor-Smith, Saltzman, Thomsen, & Wadsworth, 2001; Jaser, Champion, Reeslund,
Keller, Merchant, Benson, & Compas, 2007; Skinner, Edge, Altman, & Sherwood, 2003). Le
modalità di reazione allo stress implicano la messa in atto di processi psicologici complessi che
permettono ai bambini di regolare le proprie emozioni, elaborare pensieri costruttivi, controllare
l’arousal, direzionare il proprio comportamento e agire direttamente sull’ambiente, alterando o
riducendo le fonti originarie di stress (Compas et al., 2001). Accanto al coping anche il costrutto
di coping efficacy, definito nei termini di valutazione soggettiva circa la possibilità di affrontare
con successo le richieste e l’attivazione emotiva conseguenti ad una situazione stressogena
(Sandler, Tein, Mehta, Wolchik, & Ayers, 2000), è stato da tempo individuato come fattore
protettivo cruciale nell’adattamento piscologico. La coping efficacy, infatti, produce una
significativa diminuzione nelle risposte negative di tipo fisiologico, emotivo e comportamentale
allo stress (Bandura, 1997; Heppener & Lee, 2002; Maddux, 1995; Thompson, 1981),
garantendo sia un rassicurante senso di prevedibilità circa la possibilità di poter risolvere o
modificare i problemi sia di potersi adattare alla situazione stressogena (Bandura, 1997;
Thompson, 1981; Heckhausen & Schulz, 1995; Skinner, 1995).
Nell’ambito degli studi sul conflitto genitoriale, le strategie di coping e la coping efficacy
sono componenti significative dei due principali modelli teorici, quello della Sicurezza Emotiva
e quello Cognitivo Contestuale, che hanno descritto le condizioni a causa delle quali il conflitto
diviene dannoso per i figli (si vedano le rassegne di Malagoli Togliatti & Lubrano Lavadera,
2009; Zaccagnini & Zavattini, 2005; Zimet & Jacob, 2001). Questi modelli sottolineano come,
in caso di conflitto genitoriale, le interpretazioni e le reazioni dei bambini influenzino il loro
benessere psicologico, in modo addirittura più rilevante rispetto al confitto stesso. Più in
particolare, il modello della Sicurezza Emotiva (Davies & Cummings, 1994, 1998) afferma
come il bambino, quando percepisce l’incertezza del legame tra i suoi genitori: a) sperimenta un
elevato distress, b) si costruisce rappresentazioni interne della famiglia particolarmente negative
e distruttive, c) mette in atto tentativi cronici disfunzionali di ipercoinvolgimento o evitamento
del conflitto, che lo rendono emotivamente insicuro e, quindi, vulnerabile all’insorgenza di
problemi psicologici. In questo modello, l’insicurezza emotiva non corrisponde all’analogo
costrutto della teoria dell’attaccamento, perché deriva direttamente dalle percezioni e dalla
rappresentazione della relazione di coppia, che il bambino si costruisce nel tempo. I risultati
empirici delle ricerche basate su tale modello teorico hanno evidenziato come la presenza di
problemi psicologici di tipo ansioso e depressivo possa dipendere sia dal coinvolgimento
cronico nel conflitto genitoriale (Davies & Cummings, 1998; Harold, Shelton, Goeke-Morey &
Cummings, 2004; Jenkins, Smith & Graham, 1989; O’Brien, Margolin, John, & Krueger, 1991)
sia dall’adozione di strategie di evitamento (Davies, Forman, Rasi & Stevens, 2002; Nicoletti,
El-Sheikh & Whitson, 2003; O’Brien et al., 1991; Wadsworth, Raviv, Compas & Connor-
Smith, 2005). Al contrario, strategie di coping attivo o di distrazione (Sandler, Tein, & West,
1994; Nicoletti et al., 2003; De Carlo Santiago & Wadsworth, 2009) e di ricerca di supporto
(Nicoletti et al., 2003; Wadsworth & Compas, 2002) sembrano svolgere un ruolo protettivo.

2
Attaccamento e Sistemi Complessi (Attachment and Complex Systems), Vol. 1, n.1, gennaio 2014, pp. xxxxx
Strategie di coping e coping efficacy nei bambini esposti al conflitto

L’importanza della coping efficacy è stata invece introdotta nel modello Cognitivo
Contestuale (Grych & Fincham 1990), che evidenzia l’importanza dei tentativi messi in atto dai
bambini per comprendere la situazione conflittuale e per affrontarla con successo. Gli Autori
sostengono che i bambini esposti al conflitto cerchino di comprendere cosa stia accadendo
attraverso due processi sequenziali di elaborazione primaria e secondaria. Con il primo processo
il bambino valuta la situazione conflittuale in termini di negatività, pericolo e rilevanza per il
proprio benessere e per quello della famiglia; con il secondo processo egli cerca di comprendere
i motivi che stanno alla base del conflitto, chi ne è il principale responsabile e le proprie
possibilità di affrontarlo con successo. I bambini che valutano il conflitto come pericoloso per il
proprio benessere e per il funzionamento della famiglia (minaccia percepita), che nutrono la
convinzione di essere la causa del conflitto (autobiasimo) e che ritengono di non essere in grado
di rispondervi in modo efficace (scarsa coping efficacy) sono maggiormente a rischio di esiti
disadattavi. I diversi studi, che negli anni hanno empiricamente testato le implicazioni del
modello Cognitivo Contestuale, hanno concentrato l’attenzione sui fattori di disadattamento
evolutivo, quali la minaccia percepita insita nel conflitto e l’autobiasimo (Atkinson, Dadds,
Chipuer, & Dawe, 2009; Buehler, Lange, & Franck, 2007; Dadds, Atkinson, Turner, Blums, &
Lendich, 1999; Fosco, & Grych, 2008; Grych, Fincham, Jouriles, & McDonald, 2000; Grych,
Harold, & Miles, 2003; Kim, Jackson, Conrad, & Hunter, 2008; Rhoades, 2008; Siffert,
Schwarz, & Stutz, 2012), sottovalutando il ruolo della coping efficacy e del suo potenziale
protettivo. Eppure, alcuni primi studi sulla coping efficacy (Covell & Miles, 1992; Cumming,
Davies, & Simpson, 1994; Grych & Fincham 1993; Sandler et al., 2000) ne avevano dimostrato
la rilevanza nel favorire l’adattamento positivo in situazioni conflittuali. In particolare, Sandler e
colleghi (2000), in una articolata ricerca volta a verificare se tra le strategie di coping e la
coping efficacy esista una relazione bidirezionale esplicativa dell’adattamento dei bambini,
hanno concluso che le strategie di coping predicono la coping efficacy, che, a sua volta, media
l’adattamento psicologico dei figli. Nello specifico, hanno dimostrato come il coping attivo
favorisca una maggior coping efficacy, che a sua volta contrasta l’insorgenza di problematiche
di internalizzazione; mentre il coping di evitamento riduce la coping efficacy, che risulta così
connessa a problematiche sia di internalizzazione sia di esternalizzazione. Lo studio di Sandler e
colleghi (2000), sottovalutato dalla letteratura sul conflitto, ci sembra particolarmente
importante per diverse ragioni: in primo luogo, esso assegna alla coping efficacy il ruolo di
mediatore nel contrastare esiti disadattivi, coerentemente con gli orientamenti attuali della
letteratura che mirano a valorizzare il peso dei fattori protettivi nello sviluppo; inoltre, il
costrutto di coping efficacy, inteso come percezione soggettiva di efficacia nel far fronte allo
stress, implica il riferimento ad una dimensione interna di sicurezza personale, che potrebbe
essere connessa alla qualità del legame affettivo di attaccamento dei bambini.
A questo proposito, la relazione tra attaccamento e percezione del conflitto, già chiarita in
alcuni studi (Camisasca, Miragoli, & Di Blasio, 2013; El-Sheikh & Elmore-Staton, 2004;
Lindsey, Yvonne, & Tankersley, 2009), individua nell’attaccamento sicuro un fattore protettivo
in grado di garantire un migliore adattamento psicosociale nei bambini esposti al conflitto.
Alcuni studi empirici hanno dimostrato che i soggetti sicuri, non solo attuano strategie di coping
efficaci, tra cui particolarmente rilevante la ricerca del supporto interpersonale (Armsden &
Greenberg, 1987; Baker, 2006; Howard & Medway, 2004; Seiffge-Krenke, 2006; Shulman,
1993; Simpson, Rholes, & Nelligan, 1992; Steward, Jo, Murray, Fitzgerald, Neil, Fear, et al.,
1998), ma soprattutto nutrono una più consistente percezione di coping efficacy (Wei, Heppner,
& Mallinckrodt, 2003).

3
Attaccamento e Sistemi Complessi (Attachment and Complex Systems), Vol. 1, n.1, gennaio 2014, pp. xxxxx
Camisasca, Miragoli e Di Blasio

In sintesi, stimolati sia dai dati sull’importanza dell’attaccamento (Baker, 2006; Howard &
Medway, 2004; Simpson et al., 1992; Simpson & Rholes, 1994; Torquati & Vazsonyi, 1999;
Vetere & Myers, 2002) sia dai risultati sull’associazione tra strategie di coping e coping efficacy
(Sandler et al., 2000), ci siamo domandate quale relazione esista tra tali dimensioni in situazioni
di conflitto e, in particolare, se l’attaccamento possa essere un fattore cruciale nel modulare
l’utilizzo delle diverse strategie di coping e il loro impatto sulla coping efficacy. L’obiettivo
generale di questo studio è, dunque, quello di analizzare il ruolo dei diversi Modelli Operativi
Interni (MOI) dell’attaccamento (sicuro, ansioso-ambivalente ed evitante) quali elementi
esplicativi sia dell’utilizzo delle strategie di coping, conseguenti al distress percepito da bambini
in occasione del conflitto tra i genitori, sia del loro effetto sulla coping efficacy.

2. Metodo

2.1 Obiettivi e ipotesi

Più specificatamente questo studio si propone di esplorare se i diversi MOI di tipo sicuro,
evitante e ansioso-ambivalente siano in grado di moderare la natura delle connessioni tra
distress percepito dai bambini a causa del conflitto tra i genitori (predittore), strategie di coping
(coping attivo, coping distrazione, coping di evitamento e coping di ricerca del supporto;
mediatori) e coping efficacy (outcome). In linea con le indicazioni della letteratura sopracitata,
ipotizziamo che i bambini sicuri utilizzino prevalentemente strategie di ricerca del supporto e
che tale utilizzo possa garantire loro una maggior sensazione di coping efficacy. Diversamente,
ci aspettiamo che i bambini insicuri, sia ansioso-ambivalenti sia evitanti, utilizzino
prevalentemente strategie di distrazione e di evitamento, e che gli ansioso-ambivalenti, a
differenza degli evitanti, possano mettere in atto strategie di ricerca di supporto, senza tuttavia
trarne un senso di efficacia.

2.2 Partecipanti

A partire da un gruppo iniziale composto da 200 bambini (53% femmine), con età
compresa tra 8 e 11 anni (M = 9.0, DS = 1.1), e dai loro genitori, sono stati selezionati 182
bambini e genitori suddivisi in due gruppi pareggiati per età e non differenti significativamente
rispetto al genere (2(1) = .95, p = .37). Un gruppo di bambini (n = 87) con attaccamento sicuro
(45% maschi, età: M = 9.1, DS = 1.0) e i loro genitori (età md: M = 40.9, DS = 4.3; età pd: M =
43.1, DS = 4.4) e un gruppo (n = 95) con attaccamento insicuro (50,5% maschi, età: M = 9,1, DS
= 1.2) e i loro genitori (età md: M = 40.8, DS = 4.1; età pd: M = 42.5, DS = 4.6), di cui 46
bambini con attaccamento ansioso-ambivalente e 49 con attaccamento evitante. Tutti i bambini
appartengono a famiglie normocostituite, con una durata media del matrimonio pari a 14 anni
(DS = 4.2). Lo status socio-culturale familiare, rilevato attraverso la professione e il titolo di
studio dei due genitori, indica che il 55% delle famiglie ha uno status socio-culturale medio, il
16% alto e il 29% basso.

4
Attaccamento e Sistemi Complessi (Attachment and Complex Systems), Vol. 1, n.1, gennaio 2014, pp. xxxxx
Strategie di coping e coping efficacy nei bambini esposti al conflitto

2.3 Procedura

I partecipanti alla ricerca sono stati reclutati presso tre scuole elementari pubbliche di
Milano e provincia (Parabiago e Lissone). In un incontro introduttivo esplicativo il progetto di
ricerca è stato presentato ai rispettivi dirigenti e al corpo insegnante, fornendo una descrizione
scritta degli obiettivi e della procedura dello studio rivolta ai genitori delle classi elementari
coinvolte. Tutti i genitori, che hanno aderito alla ricerca, hanno firmato i moduli di consenso,
che descrivevano il progetto di ricerca, il carattere volontario della partecipazione e la
riservatezza dei dati raccolti.
Gli strumenti per i genitori sono stati consegnati in una busta chiusa ed anonima, con la
richiesta che venissero compilati presso il proprio domicilio. La somministrazione degli
strumenti ai bambini è invece avvenuta a scuola, in un luogo che potesse garantire tranquillità e
riservatezza.

2.4 Strumenti

Conflitto genitoriale

Il conflitto genitoriale è stato valutato attraverso l’utilizzo di strumenti self-report


somministrati ai bambini ed a entrambi i genitori. I bambini hanno compilato il Children’s
Perception of Interparental Conflict Scale (CPIC; Grych, Seid, & Fincham, 1992), che valuta la
frequenza, l’intensità e la risoluzione dei conflitti genitoriali. I bambini hanno risposto a 19 item
(su scala a tre livelli: 0 = falso, 1 = in parte vero, 2 = vero) del fattore Proprietà del conflitto (
= .77), comprensivo delle tre sottoscale: Frequenza, Intensità e Risoluzione. Esempi di item:
“Vedo o sento i miei genitori discutere spesso” (frequenza); “Quando i miei genitori hanno una
discussione, si dicono delle cose cattive l’uno nei confronti dell'altro” (intensità); “Quando i
miei genitori hanno una discussione, generalmente riescono a risolverla” (risoluzione).
I genitori hanno compilato la Revised Conflict Tactic Scale (RCTS; Straus, Hamby,
Boney-McCoy, & Sugarman, 1996), un questionario self-report che valuta il livello di conflitto
tra i due partner e le strategie di negoziazione messe in atto per risolverlo. I genitori hanno
risposto a 16 item (su scala a 8 punti: da 0 = mai lo scorso anno a 7 = più di 20 volte lo scorso
anno) della scala Aggressione psicologica (md:  = .70 ; pd:  = .71) e a 12 item della scala
Negoziazione (md:  = .75; pd:  = .75). Esempi di item della scala Aggressione psicologica:
“Ho distrutto cose appartenenti al mio partner”; “Ho minacciato di pestare il mio partner”.
Esempi di item della scala Negoziazione: “Ho suggerito un compromesso in una situazione di
litigio”; “Ho spiegato il mio punto di vista riguardo ad un conflitto”.
Al fine di ottenere un punteggio unico, riassuntivo delle prospettive dei tre membri della
famiglia (genitori e bambino) in merito al conflitto, seguendo le indicazioni di Fosco e Grych
(2008), è stato costruito un indice riassuntivo di Conflitto genitoriale. Tale variabile è stata
costruita calcolando la media dei punteggi standardizzati delle variabili ottenute, attraverso la
somministrazione ai bambini del CPIC e dei genitori della RTCS.

Distress

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Attaccamento e Sistemi Complessi (Attachment and Complex Systems), Vol. 1, n.1, gennaio 2014, pp. xxxxx
Camisasca, Miragoli e Di Blasio

Questa variabile è stata valutata attraverso la somministrazione ai bambini del Security in


the Interparental Subsystem scale (SIS; Davies, Forman, Rasi, & Stevens, 2002). I bambini
hanno risposto a 12 item (su scala a 4 livelli: da 1 = per nulla vero a 4 = molto vero) della scala
Distress ( = .76), che misura le reazioni emotive e le difficoltà di regolazione emotivo-
comportamentale dei bambini esposti al conflitto. Esempi di item: “Quando i miei genitori
litigano: mi sento triste, in pericolo, arrabbiato, l’intera giornata rimane rovinata, urlo, ecc.”.

Strategie di coping

Le strategie di coping sono state misurate attraverso il Children’s Coping Strategies


Checklist-Revision 1 (CCSC-R1; Ayers & Sandler, 1999; validazione italiana: Camisasca,
Caravita, Milani, & Di Blasio, 2012) per bambini da 7 a 14 anni. Si tratta di un questionario
self-report composto da 54 item le cui risposte sono valutate su una scala a 4 livelli (1 = mai; 2
=a volte; 3 = spesso; 4 = la maggior parte). Gli item corrispondono a 9 sottoscale che
confluiscono in 5 fattori e precisamente: 1. Coping focalizzato sui problemi [ = .71],
(comprensivo delle sottoscale: Presa di decisione cognitiva, Risoluzione diretta dei problemi e
Ricerca di comprensione) che fa riferimento a pensieri, progetti e tentativi tesi a modificare la
situazione problematica. Esempi di item: “Hai fatto qualcosa per risolvere i problemi, hai
pensato a quali cose sarebbe meglio fare per affrontare il problema”; 2. Ristrutturazione
cognitiva positiva [ = .70], (comprensiva delle sottoscale: Positività, Controllo e Ottimismo)
che fa riferimento a pensieri positivi, situazioni positive accadute in passato e al pensare alle
situazioni future in modo ottimistico. Esempi di item: “Hai cercato di prestare attenzione solo
alle cose belle della tua vita”, “Hai detto a te stesso che le cose sarebbero andate meglio”; 3.
Coping di distrazione [ = .72], (comprensivo delle sottoscale: Azioni distraenti e Sfogo fisico
di emozioni) che fa riferimento ai tentativi volti ad evitare di pensare al problema attraverso il
coinvolgimento in attività distraenti e in esercizi fisici o attività di tipo ludico. Esempi di item:
“Sei andato in bicicletta”, “Hai letto un libro o una rivista”; 4. Coping di evitamento [ = .70],
(comprensivo delle sottoscale: Azioni evitanti; Repressione e Pensiero velleitario) che fa
riferimento a tentativi cognitivi e comportamentali, volti ad evitare la situazione stressogena, a
reprimere il pensiero negativo relativo a situazioni difficili e ad utilizzare pensieri di speranza.
Esempi di item: “Hai cercato di stare alla larga dal problema”, “Hai cercato di togliere il
problema dalla mente”, “Hai fantasticato che tutto fosse ok”; 5 Coping di ricerca di supporto [
= .75], (comprensivo delle sottoscale: Supporto per le azioni e Supporto per i sentimenti) che fa
riferimento al ricorso alle altre persone come possibili risorse nella soluzione dei problemi o al
fine di sentirsi meglio. Esempi di item: “Hai parlato con qualcuno che poteva aiutarti per capire
cosa fare”, “Hai raccontato agli altri come ti sentivi rispetto al problema”. Seguendo le
indicazioni del manuale di scoring, il punteggio a ciascun fattore è costituito dalla media dei
punteggi degli item considerati.

Coping efficacy

Le percezioni soggettive di coping efficacy sono state valutate attraverso la


somministrazione ai bambini del Children’s Perception of Interparental Conflict scale (CPIC;

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Attaccamento e Sistemi Complessi (Attachment and Complex Systems), Vol. 1, n.1, gennaio 2014, pp. xxxxx
Strategie di coping e coping efficacy nei bambini esposti al conflitto

Grych et al., 1992). Nello specifico, la scala Coping efficacy ( = .69), composta da 6 item (su
scala a 3 livelli: 0 = falso, 1 = in parte vero, 2 = vero), misura il livello secondo il quale i
bambini ritengono di essere in grado di affrontare con successo le richieste e l’attivazione
emotiva conseguenti al conflitto tra i genitori. Esempi di item: “Quando i miei genitori litigano,
io riesco a fare qualcosa che mi fa sentire meglio”, “Io so cosa fare quando i miei genitori hanno
delle discussioni”.

Modelli Operativi Interni dell’attaccamento

I MOI sono stati misurati attraverso la somministrazione ai bambini della versione


modificata e adattamento italiano del Separation Anxiety Test (SAT) di Klasbrun e Bowlby
(Attili, 2001). Il test comprende due serie di sei vignette, una per i maschi e una per le femmine,
raffiguranti situazioni di separazione brevi e lunghe. La somministrazione prevede che,
individualmente, a ciascun partecipante allo studio venga detto: “Vorrei che tu mi aiutassi a
capire cosa provano i bambini quando qualche volta i genitori devono andare via e devono
lasciarli per un po’ di tempo. Ho qui dei disegni in cui c’è un bambino/a della tua età e ora ti
farò alcune domande”. In seguito alla presentazione e descrizione di ogni tavola, sono state
rivolte quattro domande, relative ad un bambino ipotetico: “Cosa prova secondo te il/la
bambino/a nel disegno?”; “Perché pensi che questo/a bambino/ a provi questo?”; “Cosa pensi
che faccia, ora, questo/a bambino/a?”; “Cosa farà questo/a bambino/a quando rivedrà la madre
(o i genitori)?”. La codifica delle risposte, realizzata seguendo le indicazioni del manuale di
Attili (2001), ha permesso di individuare i bambini con MOI di tipo sicuro, ansioso-ambivalente
ed evitante.

2.5 Strategia di analisi

In primo luogo, è stata condotta un’analisi della varianza (ANOVA) per esaminare la
presenza nei bambini con diversi MOI (sicuro, ansioso-ambivalente ed evitante) di eventuali
differenze significative nelle medie dei punteggi alle variabili indagate.
In secondo luogo, al fine di verificare se l’attaccamento moderi la relazione tra distress
(predittore), strategie di coping (mediatori) e coping efficacy (outcome), sono stati considerati
separatamente i tre sottogruppi di bambini sicuri, ansioso-ambivalenti ed evitanti. Nello
specifico, in ciascun gruppo, sono state condotte delle correlazioni sia per esplorare le
associazioni tra le variabili sia per valutare l’esistenza delle precondizioni necessarie per
l’applicazione del modello di mediazione (vale a dire correlazioni significative tra predittore,
mediatori e outcome). Il modello di mediazione si ritiene validato se sono soddisfatte 4
condizioni (Baron & Kenny, 1986; pp. 1174-1178). Le prime due riguardano (1) l’influenza del
predittore (distress) sulla variabile di outcome (coping efficacy) e (2) sulle variabili di
mediazione (strategie focalizzate sul problema, ristrutturazione cognitiva positiva, coping di
distrazione, coping di evitamento e coping di ricerca del supporto). La terza (3) richiede che vi
sia una relazione tra la variabile di outcome e le variabili di mediazione, dopo aver controllato lo
specifico effetto del predittore. Quando questi requisiti sono soddisfatti, viene effettuato un
confronto tra la prima e la terza regressione (4) per determinare l’effetto del predittore sulla

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Attaccamento e Sistemi Complessi (Attachment and Complex Systems), Vol. 1, n.1, gennaio 2014, pp. xxxxx
Camisasca, Miragoli e Di Blasio

variabile di outcome. Il modello di mediazione è validato se il predittore è meno fortemente


associato alla variabile di outcome nella terza equazione di quanto accada nella prima.

3. Risultati

3.1 Dati descrittivi

La tabella 1 riporta i dati descrittivi ed i risultati dell’ANOVA nei sottogruppi di bambini


sicuri, ansioso-ambivalenti ed evitanti. Come è stato precedentemente indicato, sebbene la
variabile Conflitto genitoriale – oggetto delle analisi successive – sia stata costruita calcolando
la media dei punti z alle scale che misurano il conflitto genitoriale compilate da madri, padri e
bambini, la tabella riporta sia i punteggi medi ottenuti da tutti e tre i rispondenti per ciascuna
scala presa in esame sia i punteggi relativi a tale indice composito.

[Inserire tabella 1]

I punteggi rilevati relativi al conflitto sono, in media, da moderati a bassi: questo appare in
linea con la letteratura (Fosco & Grych, 2008, Buehler et al., 2007; Davies et al., 2002), poiché i
partecipanti alla nostra ricerca non appartenevano ad un campione clinico. Le percezioni dei
bambini e di entrambi i genitori risultano, inoltre, significativamente associate tra di loro
(aggressività verbale materna vs aggressività verbale paterna: r = .56, p < .01; conflitto percepito
dai bambini vs aggressività verbale materna: r = .27, p < .01; conflitto percepito dai bambini vs
aggressività verbale paterna: r = .20, p < .05).
Le ANOVA condotte sui sottogruppi di bambini con diversi MOI non segnalano differenze
significative nelle variabili investigate, ad eccezione dell’utilizzo della strategie di coping di
distrazione: i nostri dati, infatti, segnalano che i bambini evitanti, a differenza dei sicuri e degli
ansioso-ambivalenti, fanno significativamente più ricorso a tale tipo di strategia.

3.2 Analisi correlazionali e verifica del modello di mediazione

Presentiamo i dati suddivisi nei tre sottogruppi distinti di bambini sicuri, ansioso-
ambivalenti ed evitanti.

Attaccamento sicuro

Nel gruppo di bambini sicuri (tabella 2), i dati correlazionali segnalano innanzitutto che
all’aumentare del conflitto genitoriale aumenta anche il vissuto di distress dei figli (r = .47).
Relativamente alle associazioni tra distress percepito, strategie di coping e coping efficacy, i
risultati segnalano che il predittore (distress) correla positivamente con tutti i mediatori: coping
focalizzato sul problema (r = .51), ristrutturazione cognitiva positiva (r = .30), coping di

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Attaccamento e Sistemi Complessi (Attachment and Complex Systems), Vol. 1, n.1, gennaio 2014, pp. xxxxx
Strategie di coping e coping efficacy nei bambini esposti al conflitto

distrazione (r = .21), coping di evitamento (r =.50) e di ricerca del supporto (r = .26); mentre
risulta negativamente associato all’outcome, ovvero ai vissuti di efficacia nel far fronte alla
situazione conflittuale (r = -.37). Tra i mediatori, il coping di evitamento risulta negativamente
correlato ai vissuti di coping efficacy (r = -.30), mentre il coping di ricerca del supporto
positivamente correlato (r =.21); non si ravvisano invece associazioni significative con la coping
efficacy per le altre strategie di coping considerate.

[Inserire tabella 2]

I dati, pertanto, segnalano che per i bambini sicuri livelli più accentuati di distress si
associano all’utilizzo di un’ampia gamma di strategie di coping, e che, tra queste, solo il coping
di evitamento e di ricerca del supporto risultano significativamente correlate alla coping
efficacy, sebbene con effetti diversi. Si ravvisano, quindi, le condizioni per la verifica degli
effetti di mediazione nell’associazione tra distress genitoriale e coping efficacy. A questo
proposito, l’effetto del predittore (distress) su ciascuno dei mediatori (coping focalizzato sul
problema, ristrutturazione cognitiva positiva, coping di distrazione, coping di evitamento e di
ricerca del supporto) è stato testato attraverso regressioni lineari volte a verificare la condizione
2 del modello di mediazione. Successivamente, sulla variabile di outcome (coping efficacy) è
stata condotta una regressione gerarchica, in cui il predittore è stato introdotto allo Step 1, per
verificare la condizione 1 del modello; e i mediatori sono stati introdotti allo Step 2, per
verificare le condizioni 3 e 4.

[Inserire tabella 3 e 4]

Le regressioni lineari (tabella 3 e 4) mostrano che il distress predice i mediatori: strategie


focalizzate sul problema (β = .51), ristrutturazione cognitiva positiva (β = .30), coping di
distrazione (β = .21), coping di evitamento (β = .50) e coping di ricerca del supporto (β = .26). I
dati delle regressioni gerarchiche condotte sulla variabile di outcome (coping efficacy) indicano
che il coping di ricerca del supporto (β = .33) media, seppure parzialmente, l’associazione tra
distress e percezione di efficacia nel far fronte alla situazione conflittuale.

Attaccamento evitante

Per i bambini evitanti (tabella 5) i dati correlazionali segnalano, come per i sicuri, che
all’aumentare del conflitto genitoriale aumenta anche il vissuto di distress dei figli (r = .29).
Relativamente alle associazioni tra distress percepito, strategie di coping e coping efficacy, i
risultati segnalano che il predittore (distress) correla positivamente con i soli mediatori coping
di distrazione (r = .29) e coping di evitamento (r =.31), e risulta negativamente associato alla
coping efficacy (r = -.32). Tra i mediatori solo il coping di distrazione risulta positivamente
correlato ai vissuti di coping efficacy (r = .30).

[Inserire tabella 5]

In altre parole, i dati segnalano che, per i bambini evitanti, livelli più accentuati di distress
si associano all’utilizzo delle sole strategie di coping di evitamento e di distrazione, e che, tra

9
Attaccamento e Sistemi Complessi (Attachment and Complex Systems), Vol. 1, n.1, gennaio 2014, pp. xxxxx
Camisasca, Miragoli e Di Blasio

queste, solo il coping di distrazione risulta positivamente correlato alla coping efficacy. Si
ravvisano pertanto le condizioni per la verifica degli effetti di mediazione.

[Inserire tabella 6 e 7]

Le regressioni lineari (tabella 6 e 7) mostrano che il distress predice solo i mediatori


coping di distrazione (β = .29) e coping di evitamento (β = .30). I dati delle regressioni
gerarchiche condotte sulla variabile di outcome (coping efficacy) indicano che il coping di
distrazione (β = .42) media, seppure parzialmente, l’associazione tra distress e percezione di
efficacia nel far fronte alla situazione conflittuale.

Attaccamento ansioso-ambivalente

Per i bambini ansioso-ambivalenti (tabella 8) i dati correlazionali segnalano, come per gli
altri, che all’aumentare del conflitto genitoriale aumenta anche il vissuto di distress dei figli (r =
.35). Relativamente alle associazioni tra distress percepito, strategie di coping e coping efficacy,
i risultati segnalano che il predittore (distress) correla positivamente con tutti i mediatori, ad
eccezione del coping di distrazione, e precisamente con: coping focalizzato sul problema (r =
.53), ristrutturazione cognitiva positiva (r = .40), coping di evitamento (r =.55) e di ricerca del
supporto (r = .29). Il distress percepito risulta, inoltre, negativamente associato all’outcome,
ovvero ai vissuti di efficacia nel far fronte alla situazione conflittuale (r = -.31). I dati segnalano,
inoltre, che nessuna delle strategie utilizzate dai bambini ansioso-ambivalenti correla con la
coping efficacy.

[Inserire tabella 8]

In altre parole, i risultati segnalano che, sebbene i bambini ansioso-ambivalenti attivino in


condizioni di distress un’ampia serie di strategie di coping, nessuna di queste risulta
significativamente associata alla coping efficacy. Non si ravvisano, pertanto, le condizioni per la
verifica degli effetti di mediazione delle strategie del coping nell’associazione tra distress
genitoriale e coping efficacy.

4. Discussione

Come abbiamo illustrato nell’introduzione, questo studio si focalizza sul ruolo dei tre
distinti MOI dell’attaccamento (sicuro, ansioso-ambivalente ed evitante) nel modulare l’effetto
delle strategie di coping nell’associazione tra distress percepito dai bambini in situazioni di
conflitto e coping efficacy.
I risultati, sebbene preliminari per l’esiguo numero di soggetti ansioso-ambivalenti ed
evitanti, evidenziano che le strategie di coping utilizzate dai bambini in condizione di distress,
esercitano un ruolo distinto sulla loro percezione di coping efficacy, in modo differenziato a
seconda dei MOI dell’attaccamento con il caregiver. Più precisamente, è emerso che, i bambini
sicuri, in condizioni di distress, attivano tutte le strategie di coping (coping focalizzato sul
problema, ristrutturazione cognitiva positiva, coping di distrazione, evitamento e ricerca del

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Attaccamento e Sistemi Complessi (Attachment and Complex Systems), Vol. 1, n.1, gennaio 2014, pp. xxxxx
Strategie di coping e coping efficacy nei bambini esposti al conflitto

supporto) e che, tra le diverse strategie utilizzate, solo la ricerca del supporto risulta in grado di
favorire una maggiore percezione di coping efficacy. Tali dati sono in linea con la letteratura,
che evidenzia come i MOI dei bambini sicuri, esito di interazioni sensibili e responsive con i
propri caregiver (Attili, 2007; Attili, Di Pentima, & Toni, 2013) garantiscano una maggior
flessibilità nell’utilizzo delle strategie di coping e soprattutto permettano l’attivazione della
ricerca del supporto interpersonale (Baker, 2006; Buelow, Lyddon, & Johnson, 2002;
Mikulincer & Shaver, 2007). Il dato che in situazioni di conflitto genitoriale la ricerca del
supporto costituisca l’unica strategia di coping in grado di favorire i vissuti di coping efficacy
dei bambini sicuri, ci appare, inoltre, del tutto coerente sia con le rappresentazioni interne
dell’attaccamento di questi bambini sia con i dati della letteratura sul conflitto. Infatti, la
possibilità per i bambini sicuri di esprimere il proprio distress e di cercare aiuto negli altri,
risulta efficace in quanto solidamente ancorata alla convinzione che gli adulti significativi siano
effettivamente disponibili ad ascoltarli e a proteggerli. Possiamo anche presumere che gli stessi
genitori, resi consapevoli dai loro bambini del disagio che essi stanno provando, siano più
propensi non solo a rassicurarli, ma anche ad attuare nel rapporto con il partner strategie di
negoziazione del conflitto (Castellano, Velotti, Crowell, & Zavattini, 2013). La scelta di
ricercare il supporto degli altri risulta, a nostro parere, la strategia più funzionale ed idonea sia a
preservare i bambini dal coinvolgimento cronico nel conflitto (ad esempio, nel ruolo di
mediatore, risolutore o alleato di un genitore contro l’altro) sia a proteggerli dalla messa in atto
di strategie di evitamento e congelamento delle emozioni, a loro volta associate ad esiti
disadattivi (Davies et al., 2002; Harold et al., 2004; Nicoletti et al., 2003; O’Brien et al., 1991;
Wadsworth et al., 2005).
Nei bambini evitanti, l’aumentato distress, determinato dalla situazione conflittuale,
comporta un incremento solo delle strategie di coping di distrazione e di evitamento. Anche
questo dato è in linea con la letteratura (Baker, 2006; Howard & Medway, 2004; Simpson et al.,
1992; Simpson & Rholes, 1994; Torquati & Vazsonyi, 1999; Vetere & Myers, 2002) e del tutto
coerente con le rappresentazioni interne del sé e degli altri degli individui evitanti, che, come
evidenziato da diversi studi, mettono in atto strategie di “disattivazione” (Cassidy & Kobak,
1988; Mikulincer & Shaver, 2003; Shaver & Mikulincer, 2002). Tali strategie, connotate da una
sorta di “presa di distanza”, possono assumere le due forme distinte di disattenzione attiva e di
inibizione/soppressione. La disattenzione attiva garantisce ai soggetti che la percezione degli
eventi minacciosi e dei vissuti di angoscia e impotenza, ad essi associati, non giunga alla
consapevolezza; mentre l’inibizione e la soppressione permettono di ridurre al minino le
cognizioni e i vissuti di fragilità percepiti e codificati in connessione all’evento stressante
(Mikulincer et al., 2003; Shaver & Mikulincer, 2002). I nostri dati sembrano indicare che i
bambini evitanti utilizzino sostanzialmente strategie di inibizione, che permettono loro di
allontanare dalla mente, attraverso azioni distraenti e sforzi cognitivi di evitamento, il distress
comunque percepito a causa del conflitto genitoriale. Questi risultati suggeriscono, inoltre,
l’effetto protettivo della sola strategia di distrazione nel favorire la coping efficacy dei bambini
evitanti, in linea con alcune evidenze empiriche (DeCarlo Santiago & Wadsworth, 2009;
Wadsworth & Compas 2002) secondo cui la regolazione delle emozioni attraverso l’utilizzo di
azioni distraenti avrebbe un effetto positivo sull’adattamento psicosociale. È comunque utile
ricordare che, sebbene a breve termine tali strategie di disattivazione possano essere
adattive, poiché frenano i processi ripetitivi e intrusivi delle emozioni negative connesse
all’evento stressogeno (Shaver e Mikulincer, 2002; Mikulincer, Shaver e Horesh, 2006), a
lungo termine potrebbero risultare disadattive poichè ostacolano l’elaborazione dei
contenuti connessi al disagio. I vissuti di efficacia riscontrati nei nostri bambini evitanti,

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Camisasca, Miragoli e Di Blasio

esito dell’utilizzo delle strategie di distrazione, ci fanno pertanto ipotizzare, sebbene la


natura trasversale di questi dati non permetta di affermarlo con sicurezza, che questi
bambini si stiano giovando degli effetti protettivi a breve termine delle strategie di
minimizzazione e di inibizione dei vissuti di distress.
I bambini ansioso-ambivalenti presentano un quadro decisamente diverso rispetto a quanto
riscontrato per le altre tipologie di attaccamento, dal momento che in condizioni di distress essi
attivano tutte le strategie di coping, ad eccezione di quella di distrazione; anche se poi nessuna
delle strategie attivate esercita un effetto significativo sulla loro coping efficacy. Tale percezione
di inefficacia personale risulta sostanzialmente in linea con alcuni spunti della letteratura che
evidenziano come i soggetti ansioso-ambivalenti, a causa di persistenti rappresentazioni
negative di se stessi e degli altri (Collins & Read, 1990; Wei et al., 2003), sviluppino percezioni
deteriorate di autoefficacia personale. La spiegazione di tale meccanismo potrebbe risiedere nel
fatto che questi bambini, seppur richiedenti il supporto, non ne traggono giovamento in termini
di self efficacy poiché ne rimangano comunque insoddisfatti (Baker, 2006). Spiegazione
coerente con la funzione dei MOI di questi bambini, che, diffidenti ed incerti circa la possibilità
di essere oggetto di attenzione e conforto, diventano attenti e ipersensibili verso tutti i segnali
degli altri, che interpretano in termini di mancato interesse, non coinvolgimento o trascuratezza
(Cassidy & Kobak, 1988; Mikulincer & Shaver, 2003). L’esasperata propensione a privilegiare i
segnali negativi, unita ad una minore propensione degli stessi caregiver a cogliere e a
rispondere in modo coerente ai segnali di disagio, potrebbe dunque spiegare i nostri dati
sull’inefficacia della strategia di ricerca del supporto, comunque attivata da questi bambini.
In conclusione, possiamo dire che i nostri risultati, seppure esplorativi, forniscono
interessanti spunti di riflessione circa il ruolo giocato dai MOI dell’attaccamento nelle situazioni
di conflittualità genitoriale. In particolare, ci forniscono spunti di riflessione rispetto sia al
diverso modo di affrontare tale situazione stressogena da parte dei bambini sia sulla percezione
di efficacia personale che, come è noto, risulta strettamente connessa al benessere psicologico
degli individui.

5. Limiti e prospettive future di ricerca

I risultati di questa ricerca debbono essere considerati alla luce di alcuni limiti, che vanno
riconosciuti sia per permettere una loro migliore interpretazione sia per un eventuale prosieguo
dello studio. Un primo limite, già evidenziato, riguarda la scarsa numerosità dei bambini con
attaccamento ansioso-ambivalente ed evitante, che impedisce una reale generalizzazione dei
risultati.
Inoltre, la natura cross-sectional dello studio, impedisce un’adeguata comprensione
dell’associazione temporale tra le variabili, in particolare, rispetto alle relazioni causali e
bidirezionali tra strategie di coping e coping efficacy. Sarebbe pertanto opportuno realizzare
studi longitudinali in grado di chiarire meglio questa associazione.
Un ulteriore limite concerne la mancata considerazione degli effetti del genere e dell’età
nella messa in atto delle strategie di coping e nell’analisi del loro effetto sulla coping efficacy.
La letteratura di riferimento, a questo riguardo, ha fornito risultati non del tutto coerenti. In
particolare, alcuni studi non hanno rilevato nei bambini di età scolare differenze di genere
nell’utilizzo degli stili coping (Altshuler & Ruble, 1989; Curry & Russ, 1985; Spirito, Stark,
Grace, & Stamoulis, 1991); mentre altri hanno dimostrato che le femmine, rispetto ai maschi,
utilizzano in modo più accentuato strategie di ricerca del supporto e di problem solving (Causey

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Strategie di coping e coping efficacy nei bambini esposti al conflitto

& Dubow, 1992; Eschenbeck, Kohlmann, & Lohaus, 2007; Spirito et al., 1991). Anche
relativamente all’influenza dell’età sono stati ottenuti risultati non del tutto omogenei.
Alcuni lavori evidenziano, infatti, un’associazione positiva tra aumento dell’età e strategie di
problem solving (Ebata & Moos, 1991; Eschenbeck et al. 2007; Fields & Prinz, 1997; Griffith,
Dubow, & Ippolito, 2000); altri studi rilevano, invece, una certa stabilità nel tempo per quanto
concerne l’utilizzo delle strategie di coping attivo e di ricerca del supporto (Causey & Dubow,
1992; Compas, Malcarne, & Fondacaro, 1988; Donaldson, Prinstein, Danovsky, & Spirito,
2000; Seiffge-Krenke, 1993; Wertlieb, Weigel, & Feldstein, 1987); e altri ancora riferiscono un
decremento dell’utilizzo delle strategie di distrazione dall’infanzia all’adolescenza (Donaldson
et al., 2000; Eschenbeck et al., 2007; Hampel & Petermann, 2005; Spirito et al., 1991). In studi
successivi potrebbe essere, quindi, essere utile chiarire l’effetto del genere e dell’età
nell’associazione tra strategie di coping e coping efficacy, per meglio comprendere, in
sottogruppi di bambini distinti per genere, l’evoluzione del senso di efficacia personale in
relazione alla percezione del conflitto genitoriale.

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Pervenuto luglio 2013


Versione finale pervenuta ……

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Strategie di coping e coping efficacy nei bambini esposti al conflitto

Strategie di coping e coping efficacy nei bambini esposti al conflitto


genitoriale: il ruolo dell’attaccamento
Elena Camisasca*, Sarah Miragoli*, Paola Di Blasio*1

Nell’ambito degli studi sul conflitto genitoriale l’attenzione al rapporto tra rappresentazioni mentali
dell’attaccamento, strategie di coping e coping efficacy costituisce un tema poco indagato in letteratura. Il presente
studio esplora se e come i diversi Modelli Operativi Interni (MOI) dell’attaccamento dei bambini modulino la
relazione tra distress percepito in occasione del conflitto genitoriale, strategie di coping e coping efficacy. I
partecipanti sono 182 bambini (87 sicuri, 46 ansioso-ambivalenti e 49 evitanti) di età scolare ed i loro genitori, a cui
sono stati somministrati una serie di strumenti (RCTS, CPIC, SIS, CCSC-R1 e SAT). I risultati mostrano l’influenza
dei MOI sull’utilizzo delle diverse strategie di coping e sul loro impatto sulla coping efficacy.
Parole chiave: conflitto genitoriale, strategie di coping, attaccamento, coping efficacy, bambini

Coping strategies and coping efficacy in children exposed to marital conflict: the role of attachment

In the literature on marital conflict little attention has been paid regarding the relationship among children’s
attachment, coping strategies, and coping efficacy. The present study aims to explore whether and how the different
children’s Internal Working Models (IWM) of attachment moderate the associations among children’s perceived
distress during the conflict, coping strategies, and coping efficacy. 182 schoolaged children (87 secure, 46 anxious-
ambivalent and 49 avoidant) and their parents participated to the study. A set of measures (RCTS, CPIC, SIS,
CCSC-R1, SAT) were administered to children and their parents. The results show the influence of MOI on the use
of different coping strategies and on their effects on coping efficacy.
Keywords: marital conflict, coping strategies, attachment, coping efficacy, children

1. Introduzione

Il presente lavoro si inserisce nell’ambito degli studi sul conflitto genitoriale e focalizza
l’attenzione sul rapporto tra le rappresentazioni mentali dell’attaccamento, le strategie di coping
messe in atto dai bambini al fine di affrontare lo stress derivante dal conflitto e l’impatto che tali
strategie esercitano sulla percezione soggettiva di coping efficacy. Più specificatamente intende
verificare se la sicurezza dell’attaccamento sia in grado di influenzare sia le strategie di coping
sia il loro effetto sulla coping efficacy.

1 * C.R.I.d.e.e., Dipartimento di Psicologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano


Indirizzare le richieste a: Elena Camisasca, Dipartimento di Psicologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, L.go
Gemelli, 1, 20123, Milano, Italy, elena.camisasca@unicatt.it

1
Attaccamento e Sistemi Complessi (Attachment and Complex Systems), Vol. 1, n.1, gennaio 2014, pp. xxxxx
ISSN xxxxxxxx
© 2014 Scione Editore
Camisasca, Miragoli e Di Blasio

L’interesse per questo tema nasce dalle evidenze della ricerca psicologica che, sebbene
abbia chiarito il ruolo distinto delle strategie di coping, della coping efficacy e dell’attaccamento
nel rendere il conflitto tra i genitori un evento potenzialmente dannoso per l’adattamento dei
figli, non ha, tuttavia, esplorato quali connessioni esistano tra tali dimensioni né a quali
condizioni esse possano svolgere una funzione protettiva. Sappiamo come la capacità di coping
nell’affrontare difficoltà e situazioni stressanti costituisca, nel corso dello sviluppo,
un’importante acquisizione che ha ripercussioni sull’adattamento psicologico (Clarke, 2006;
Compas, Connor-Smith, Saltzman, Thomsen, & Wadsworth, 2001; Jaser, Champion, Reeslund,
Keller, Merchant, Benson, & Compas, 2007; Skinner, Edge, Altman, & Sherwood, 2003). Le
modalità di reazione allo stress implicano la messa in atto di processi psicologici complessi che
permettono ai bambini di regolare le proprie emozioni, elaborare pensieri costruttivi, controllare
l’arousal, direzionare il proprio comportamento e agire direttamente sull’ambiente, alterando o
riducendo le fonti originarie di stress (Compas et al., 2001). Accanto al coping anche il costrutto
di coping efficacy, definito nei termini di valutazione soggettiva circa la possibilità di affrontare
con successo le richieste e l’attivazione emotiva conseguenti ad una situazione stressogena
(Sandler, Tein, Mehta, Wolchik, & Ayers, 2000), è stato da tempo individuato come fattore
protettivo cruciale nell’adattamento piscologico. La coping efficacy, infatti, produce una
significativa diminuzione nelle risposte negative di tipo fisiologico, emotivo e comportamentale
allo stress (Bandura, 1997; Heppener & Lee, 2002; Maddux, 1995; Thompson, 1981),
garantendo sia un rassicurante senso di prevedibilità circa la possibilità di poter risolvere o
modificare i problemi sia di potersi adattare alla situazione stressogena (Bandura, 1997;
Thompson, 1981; Heckhausen & Schulz, 1995; Skinner, 1995).
Nell’ambito degli studi sul conflitto genitoriale, le strategie di coping e la coping efficacy
sono componenti significative dei due principali modelli teorici, quello della Sicurezza Emotiva
e quello Cognitivo Contestuale, che hanno descritto le condizioni a causa delle quali il conflitto
diviene dannoso per i figli (si vedano le rassegne di Malagoli Togliatti & Lubrano Lavadera,
2009; Zaccagnini & Zavattini, 2005; Zimet & Jacob, 2001). Questi modelli sottolineano come,
in caso di conflitto genitoriale, le interpretazioni e le reazioni dei bambini influenzino il loro
benessere psicologico, in modo addirittura più rilevante rispetto al confitto stesso. Più in
particolare, il modello della Sicurezza Emotiva (Davies & Cummings, 1994, 1998) afferma
come il bambino, quando percepisce l’incertezza del legame tra i suoi genitori: a) sperimenta un
elevato distress, b) si costruisce rappresentazioni interne della famiglia particolarmente negative
e distruttive, c) mette in atto tentativi cronici disfunzionali di ipercoinvolgimento o evitamento
del conflitto, che lo rendono emotivamente insicuro e, quindi, vulnerabile all’insorgenza di
problemi psicologici. In questo modello, l’insicurezza emotiva non corrisponde all’analogo
costrutto della teoria dell’attaccamento, perché deriva direttamente dalle percezioni e dalla
rappresentazione della relazione di coppia, che il bambino si costruisce nel tempo. I risultati
empirici delle ricerche basate su tale modello teorico hanno evidenziato come la presenza di
problemi psicologici di tipo ansioso e depressivo possa dipendere sia dal coinvolgimento
cronico nel conflitto genitoriale (Davies & Cummings, 1998; Harold, Shelton, Goeke-Morey &
Cummings, 2004; Jenkins, Smith & Graham, 1989; O’Brien, Margolin, John, & Krueger, 1991)
sia dall’adozione di strategie di evitamento (Davies, Forman, Rasi & Stevens, 2002; Nicoletti,
El-Sheikh & Whitson, 2003; O’Brien et al., 1991; Wadsworth, Raviv, Compas & Connor-
Smith, 2005). Al contrario, strategie di coping attivo o di distrazione (Sandler, Tein, & West,
1994; Nicoletti et al., 2003; De Carlo Santiago & Wadsworth, 2009) e di ricerca di supporto
(Nicoletti et al., 2003; Wadsworth & Compas, 2002) sembrano svolgere un ruolo protettivo.

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Attaccamento e Sistemi Complessi (Attachment and Complex Systems), Vol. 1, n.1, gennaio 2014, pp. xxxxx
Strategie di coping e coping efficacy nei bambini esposti al conflitto

L’importanza della coping efficacy è stata invece introdotta nel modello Cognitivo
Contestuale (Grych & Fincham 1990), che evidenzia l’importanza dei tentativi messi in atto dai
bambini per comprendere la situazione conflittuale e per affrontarla con successo. Gli Autori
sostengono che i bambini esposti al conflitto cerchino di comprendere cosa stia accadendo
attraverso due processi sequenziali di elaborazione primaria e secondaria. Con il primo processo
il bambino valuta la situazione conflittuale in termini di negatività, pericolo e rilevanza per il
proprio benessere e per quello della famiglia; con il secondo processo egli cerca di comprendere
i motivi che stanno alla base del conflitto, chi ne è il principale responsabile e le proprie
possibilità di affrontarlo con successo. I bambini che valutano il conflitto come pericoloso per il
proprio benessere e per il funzionamento della famiglia (minaccia percepita), che nutrono la
convinzione di essere la causa del conflitto (autobiasimo) e che ritengono di non essere in grado
di rispondervi in modo efficace (scarsa coping efficacy) sono maggiormente a rischio di esiti
disadattavi. I diversi studi, che negli anni hanno empiricamente testato le implicazioni del
modello Cognitivo Contestuale, hanno concentrato l’attenzione sui fattori di disadattamento
evolutivo, quali la minaccia percepita insita nel conflitto e l’autobiasimo (Atkinson, Dadds,
Chipuer, & Dawe, 2009; Buehler, Lange, & Franck, 2007; Dadds, Atkinson, Turner, Blums, &
Lendich, 1999; Fosco, & Grych, 2008; Grych, Fincham, Jouriles, & McDonald, 2000; Grych,
Harold, & Miles, 2003; Kim, Jackson, Conrad, & Hunter, 2008; Rhoades, 2008; Siffert,
Schwarz, & Stutz, 2012), sottovalutando il ruolo della coping efficacy e del suo potenziale
protettivo. Eppure, alcuni primi studi sulla coping efficacy (Covell & Miles, 1992; Cumming,
Davies, & Simpson, 1994; Grych & Fincham 1993; Sandler et al., 2000) ne avevano dimostrato
la rilevanza nel favorire l’adattamento positivo in situazioni conflittuali. In particolare, Sandler e
colleghi (2000), in una articolata ricerca volta a verificare se tra le strategie di coping e la
coping efficacy esista una relazione bidirezionale esplicativa dell’adattamento dei bambini,
hanno concluso che le strategie di coping predicono la coping efficacy, che, a sua volta, media
l’adattamento psicologico dei figli. Nello specifico, hanno dimostrato come il coping attivo
favorisca una maggior coping efficacy, che a sua volta contrasta l’insorgenza di problematiche
di internalizzazione; mentre il coping di evitamento riduce la coping efficacy, che risulta così
connessa a problematiche sia di internalizzazione sia di esternalizzazione. Lo studio di Sandler e
colleghi (2000), sottovalutato dalla letteratura sul conflitto, ci sembra particolarmente
importante per diverse ragioni: in primo luogo, esso assegna alla coping efficacy il ruolo di
mediatore nel contrastare esiti disadattivi, coerentemente con gli orientamenti attuali della
letteratura che mirano a valorizzare il peso dei fattori protettivi nello sviluppo; inoltre, il
costrutto di coping efficacy, inteso come percezione soggettiva di efficacia nel far fronte allo
stress, implica il riferimento ad una dimensione interna di sicurezza personale, che potrebbe
essere connessa alla qualità del legame affettivo di attaccamento dei bambini.
A questo proposito, la relazione tra attaccamento e percezione del conflitto, già chiarita in
alcuni studi (Camisasca, Miragoli, & Di Blasio, 2013; El-Sheikh & Elmore-Staton, 2004;
Lindsey, Yvonne, & Tankersley, 2009), individua nell’attaccamento sicuro un fattore protettivo
in grado di garantire un migliore adattamento psicosociale nei bambini esposti al conflitto.
Alcuni studi empirici hanno dimostrato che i soggetti sicuri, non solo attuano strategie di coping
efficaci, tra cui particolarmente rilevante la ricerca del supporto interpersonale (Armsden &
Greenberg, 1987; Baker, 2006; Howard & Medway, 2004; Seiffge-Krenke, 2006; Shulman,
1993; Simpson, Rholes, & Nelligan, 1992; Steward, Jo, Murray, Fitzgerald, Neil, Fear, et al.,
1998), ma soprattutto nutrono una più consistente percezione di coping efficacy (Wei, Heppner,
& Mallinckrodt, 2003).

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Attaccamento e Sistemi Complessi (Attachment and Complex Systems), Vol. 1, n.1, gennaio 2014, pp. xxxxx
Camisasca, Miragoli e Di Blasio

In sintesi, stimolati sia dai dati sull’importanza dell’attaccamento (Baker, 2006; Howard &
Medway, 2004; Simpson et al., 1992; Simpson & Rholes, 1994; Torquati & Vazsonyi, 1999;
Vetere & Myers, 2002) sia dai risultati sull’associazione tra strategie di coping e coping efficacy
(Sandler et al., 2000), ci siamo domandate quale relazione esista tra tali dimensioni in situazioni
di conflitto e, in particolare, se l’attaccamento possa essere un fattore cruciale nel modulare
l’utilizzo delle diverse strategie di coping e il loro impatto sulla coping efficacy. L’obiettivo
generale di questo studio è, dunque, quello di analizzare il ruolo dei diversi Modelli Operativi
Interni (MOI) dell’attaccamento (sicuro, ansioso-ambivalente ed evitante) quali elementi
esplicativi sia dell’utilizzo delle strategie di coping, conseguenti al distress percepito da bambini
in occasione del conflitto tra i genitori, sia del loro effetto sulla coping efficacy.

2. Metodo

2.1 Obiettivi e ipotesi

Più specificatamente questo studio si propone di esplorare se i diversi MOI di tipo sicuro,
evitante e ansioso-ambivalente siano in grado di moderare la natura delle connessioni tra
distress percepito dai bambini a causa del conflitto tra i genitori (predittore), strategie di coping
(coping attivo, coping distrazione, coping di evitamento e coping di ricerca del supporto;
mediatori) e coping efficacy (outcome). In linea con le indicazioni della letteratura sopracitata,
ipotizziamo che i bambini sicuri utilizzino prevalentemente strategie di ricerca del supporto e
che tale utilizzo possa garantire loro una maggior sensazione di coping efficacy. Diversamente,
ci aspettiamo che i bambini insicuri, sia ansioso-ambivalenti sia evitanti, utilizzino
prevalentemente strategie di distrazione e di evitamento, e che gli ansioso-ambivalenti, a
differenza degli evitanti, possano mettere in atto strategie di ricerca di supporto, senza tuttavia
trarne un senso di efficacia.

2.2 Partecipanti

A partire da un gruppo iniziale composto da 200 bambini (53% femmine), con età
compresa tra 8 e 11 anni (M = 9.0, DS = 1.1), e dai loro genitori, sono stati selezionati 182
bambini e genitori suddivisi in due gruppi pareggiati per età e non differenti significativamente
rispetto al genere (2(1) = .95, p = .37). Un gruppo di bambini (n = 87) con attaccamento sicuro
(45% maschi, età: M = 9.1, DS = 1.0) e i loro genitori (età md: M = 40.9, DS = 4.3; età pd: M =
43.1, DS = 4.4) e un gruppo (n = 95) con attaccamento insicuro (50,5% maschi, età: M = 9,1, DS
= 1.2) e i loro genitori (età md: M = 40.8, DS = 4.1; età pd: M = 42.5, DS = 4.6), di cui 46
bambini con attaccamento ansioso-ambivalente e 49 con attaccamento evitante. Tutti i bambini
appartengono a famiglie normocostituite, con una durata media del matrimonio pari a 14 anni
(DS = 4.2). Lo status socio-culturale familiare, rilevato attraverso la professione e il titolo di
studio dei due genitori, indica che il 55% delle famiglie ha uno status socio-culturale medio, il
16% alto e il 29% basso.

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Attaccamento e Sistemi Complessi (Attachment and Complex Systems), Vol. 1, n.1, gennaio 2014, pp. xxxxx
Strategie di coping e coping efficacy nei bambini esposti al conflitto

2.3 Procedura

I partecipanti alla ricerca sono stati reclutati presso tre scuole elementari pubbliche di
Milano e provincia (Parabiago e Lissone). In un incontro introduttivo esplicativo il progetto di
ricerca è stato presentato ai rispettivi dirigenti e al corpo insegnante, fornendo una descrizione
scritta degli obiettivi e della procedura dello studio rivolta ai genitori delle classi elementari
coinvolte. Tutti i genitori, che hanno aderito alla ricerca, hanno firmato i moduli di consenso,
che descrivevano il progetto di ricerca, il carattere volontario della partecipazione e la
riservatezza dei dati raccolti.
Gli strumenti per i genitori sono stati consegnati in una busta chiusa ed anonima, con la
richiesta che venissero compilati presso il proprio domicilio. La somministrazione degli
strumenti ai bambini è invece avvenuta a scuola, in un luogo che potesse garantire tranquillità e
riservatezza.

2.4 Strumenti

Conflitto genitoriale

Il conflitto genitoriale è stato valutato attraverso l’utilizzo di strumenti self-report


somministrati ai bambini ed a entrambi i genitori. I bambini hanno compilato il Children’s
Perception of Interparental Conflict Scale (CPIC; Grych, Seid, & Fincham, 1992), che valuta la
frequenza, l’intensità e la risoluzione dei conflitti genitoriali. I bambini hanno risposto a 19 item
(su scala a tre livelli: 0 = falso, 1 = in parte vero, 2 = vero) del fattore Proprietà del conflitto (
= .77), comprensivo delle tre sottoscale: Frequenza, Intensità e Risoluzione. Esempi di item:
“Vedo o sento i miei genitori discutere spesso” (frequenza); “Quando i miei genitori hanno una
discussione, si dicono delle cose cattive l’uno nei confronti dell'altro” (intensità); “Quando i
miei genitori hanno una discussione, generalmente riescono a risolverla” (risoluzione).
I genitori hanno compilato la Revised Conflict Tactic Scale (RCTS; Straus, Hamby,
Boney-McCoy, & Sugarman, 1996), un questionario self-report che valuta il livello di conflitto
tra i due partner e le strategie di negoziazione messe in atto per risolverlo. I genitori hanno
risposto a 16 item (su scala a 8 punti: da 0 = mai lo scorso anno a 7 = più di 20 volte lo scorso
anno) della scala Aggressione psicologica (md:  = .70 ; pd:  = .71) e a 12 item della scala
Negoziazione (md:  = .75; pd:  = .75). Esempi di item della scala Aggressione psicologica:
“Ho distrutto cose appartenenti al mio partner”; “Ho minacciato di pestare il mio partner”.
Esempi di item della scala Negoziazione: “Ho suggerito un compromesso in una situazione di
litigio”; “Ho spiegato il mio punto di vista riguardo ad un conflitto”.
Al fine di ottenere un punteggio unico, riassuntivo delle prospettive dei tre membri della
famiglia (genitori e bambino) in merito al conflitto, seguendo le indicazioni di Fosco e Grych
(2008), è stato costruito un indice riassuntivo di Conflitto genitoriale. Tale variabile è stata
costruita calcolando la media dei punteggi standardizzati delle variabili ottenute, attraverso la
somministrazione ai bambini del CPIC e dei genitori della RTCS.

Distress

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Attaccamento e Sistemi Complessi (Attachment and Complex Systems), Vol. 1, n.1, gennaio 2014, pp. xxxxx
Camisasca, Miragoli e Di Blasio

Questa variabile è stata valutata attraverso la somministrazione ai bambini del Security in


the Interparental Subsystem scale (SIS; Davies, Forman, Rasi, & Stevens, 2002). I bambini
hanno risposto a 12 item (su scala a 4 livelli: da 1 = per nulla vero a 4 = molto vero) della scala
Distress ( = .76), che misura le reazioni emotive e le difficoltà di regolazione emotivo-
comportamentale dei bambini esposti al conflitto. Esempi di item: “Quando i miei genitori
litigano: mi sento triste, in pericolo, arrabbiato, l’intera giornata rimane rovinata, urlo, ecc.”.

Strategie di coping

Le strategie di coping sono state misurate attraverso il Children’s Coping Strategies


Checklist-Revision 1 (CCSC-R1; Ayers & Sandler, 1999; validazione italiana: Camisasca,
Caravita, Milani, & Di Blasio, 2012) per bambini da 7 a 14 anni. Si tratta di un questionario
self-report composto da 54 item le cui risposte sono valutate su una scala a 4 livelli (1 = mai; 2
=a volte; 3 = spesso; 4 = la maggior parte). Gli item corrispondono a 9 sottoscale che
confluiscono in 5 fattori e precisamente: 1. Coping focalizzato sui problemi [ = .71],
(comprensivo delle sottoscale: Presa di decisione cognitiva, Risoluzione diretta dei problemi e
Ricerca di comprensione) che fa riferimento a pensieri, progetti e tentativi tesi a modificare la
situazione problematica. Esempi di item: “Hai fatto qualcosa per risolvere i problemi, hai
pensato a quali cose sarebbe meglio fare per affrontare il problema”; 2. Ristrutturazione
cognitiva positiva [ = .70], (comprensiva delle sottoscale: Positività, Controllo e Ottimismo)
che fa riferimento a pensieri positivi, situazioni positive accadute in passato e al pensare alle
situazioni future in modo ottimistico. Esempi di item: “Hai cercato di prestare attenzione solo
alle cose belle della tua vita”, “Hai detto a te stesso che le cose sarebbero andate meglio”; 3.
Coping di distrazione [ = .72], (comprensivo delle sottoscale: Azioni distraenti e Sfogo fisico
di emozioni) che fa riferimento ai tentativi volti ad evitare di pensare al problema attraverso il
coinvolgimento in attività distraenti e in esercizi fisici o attività di tipo ludico. Esempi di item:
“Sei andato in bicicletta”, “Hai letto un libro o una rivista”; 4. Coping di evitamento [ = .70],
(comprensivo delle sottoscale: Azioni evitanti; Repressione e Pensiero velleitario) che fa
riferimento a tentativi cognitivi e comportamentali, volti ad evitare la situazione stressogena, a
reprimere il pensiero negativo relativo a situazioni difficili e ad utilizzare pensieri di speranza.
Esempi di item: “Hai cercato di stare alla larga dal problema”, “Hai cercato di togliere il
problema dalla mente”, “Hai fantasticato che tutto fosse ok”; 5 Coping di ricerca di supporto [
= .75], (comprensivo delle sottoscale: Supporto per le azioni e Supporto per i sentimenti) che fa
riferimento al ricorso alle altre persone come possibili risorse nella soluzione dei problemi o al
fine di sentirsi meglio. Esempi di item: “Hai parlato con qualcuno che poteva aiutarti per capire
cosa fare”, “Hai raccontato agli altri come ti sentivi rispetto al problema”. Seguendo le
indicazioni del manuale di scoring, il punteggio a ciascun fattore è costituito dalla media dei
punteggi degli item considerati.

Coping efficacy

Le percezioni soggettive di coping efficacy sono state valutate attraverso la


somministrazione ai bambini del Children’s Perception of Interparental Conflict scale (CPIC;

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Attaccamento e Sistemi Complessi (Attachment and Complex Systems), Vol. 1, n.1, gennaio 2014, pp. xxxxx
Strategie di coping e coping efficacy nei bambini esposti al conflitto

Grych et al., 1992). Nello specifico, la scala Coping efficacy ( = .69), composta da 6 item (su
scala a 3 livelli: 0 = falso, 1 = in parte vero, 2 = vero), misura il livello secondo il quale i
bambini ritengono di essere in grado di affrontare con successo le richieste e l’attivazione
emotiva conseguenti al conflitto tra i genitori. Esempi di item: “Quando i miei genitori litigano,
io riesco a fare qualcosa che mi fa sentire meglio”, “Io so cosa fare quando i miei genitori hanno
delle discussioni”.

Modelli Operativi Interni dell’attaccamento

I MOI sono stati misurati attraverso la somministrazione ai bambini della versione


modificata e adattamento italiano del Separation Anxiety Test (SAT) di Klasbrun e Bowlby
(Attili, 2001). Il test comprende due serie di sei vignette, una per i maschi e una per le femmine,
raffiguranti situazioni di separazione brevi e lunghe. La somministrazione prevede che,
individualmente, a ciascun partecipante allo studio venga detto: “Vorrei che tu mi aiutassi a
capire cosa provano i bambini quando qualche volta i genitori devono andare via e devono
lasciarli per un po’ di tempo. Ho qui dei disegni in cui c’è un bambino/a della tua età e ora ti
farò alcune domande”. In seguito alla presentazione e descrizione di ogni tavola, sono state
rivolte quattro domande, relative ad un bambino ipotetico: “Cosa prova secondo te il/la
bambino/a nel disegno?”; “Perché pensi che questo/a bambino/ a provi questo?”; “Cosa pensi
che faccia, ora, questo/a bambino/a?”; “Cosa farà questo/a bambino/a quando rivedrà la madre
(o i genitori)?”. La codifica delle risposte, realizzata seguendo le indicazioni del manuale di
Attili (2001), ha permesso di individuare i bambini con MOI di tipo sicuro, ansioso-ambivalente
ed evitante.

2.5 Strategia di analisi

In primo luogo, è stata condotta un’analisi della varianza (ANOVA) per esaminare la
presenza nei bambini con diversi MOI (sicuro, ansioso-ambivalente ed evitante) di eventuali
differenze significative nelle medie dei punteggi alle variabili indagate.
In secondo luogo, al fine di verificare se l’attaccamento moderi la relazione tra distress
(predittore), strategie di coping (mediatori) e coping efficacy (outcome), sono stati considerati
separatamente i tre sottogruppi di bambini sicuri, ansioso-ambivalenti ed evitanti. Nello
specifico, in ciascun gruppo, sono state condotte delle correlazioni sia per esplorare le
associazioni tra le variabili sia per valutare l’esistenza delle precondizioni necessarie per
l’applicazione del modello di mediazione (vale a dire correlazioni significative tra predittore,
mediatori e outcome). Il modello di mediazione si ritiene validato se sono soddisfatte 4
condizioni (Baron & Kenny, 1986; pp. 1174-1178). Le prime due riguardano (1) l’influenza del
predittore (distress) sulla variabile di outcome (coping efficacy) e (2) sulle variabili di
mediazione (strategie focalizzate sul problema, ristrutturazione cognitiva positiva, coping di
distrazione, coping di evitamento e coping di ricerca del supporto). La terza (3) richiede che vi
sia una relazione tra la variabile di outcome e le variabili di mediazione, dopo aver controllato lo
specifico effetto del predittore. Quando questi requisiti sono soddisfatti, viene effettuato un
confronto tra la prima e la terza regressione (4) per determinare l’effetto del predittore sulla

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Attaccamento e Sistemi Complessi (Attachment and Complex Systems), Vol. 1, n.1, gennaio 2014, pp. xxxxx
Camisasca, Miragoli e Di Blasio

variabile di outcome. Il modello di mediazione è validato se il predittore è meno fortemente


associato alla variabile di outcome nella terza equazione di quanto accada nella prima.

3. Risultati

3.1 Dati descrittivi

La tabella 1 riporta i dati descrittivi ed i risultati dell’ANOVA nei sottogruppi di bambini


sicuri, ansioso-ambivalenti ed evitanti. Come è stato precedentemente indicato, sebbene la
variabile Conflitto genitoriale – oggetto delle analisi successive – sia stata costruita calcolando
la media dei punti z alle scale che misurano il conflitto genitoriale compilate da madri, padri e
bambini, la tabella riporta sia i punteggi medi ottenuti da tutti e tre i rispondenti per ciascuna
scala presa in esame sia i punteggi relativi a tale indice composito.

[Inserire tabella 1]

I punteggi rilevati relativi al conflitto sono, in media, da moderati a bassi: questo appare in
linea con la letteratura (Fosco & Grych, 2008, Buehler et al., 2007; Davies et al., 2002), poiché i
partecipanti alla nostra ricerca non appartenevano ad un campione clinico. Le percezioni dei
bambini e di entrambi i genitori risultano, inoltre, significativamente associate tra di loro
(aggressività verbale materna vs aggressività verbale paterna: r = .56, p < .01; conflitto percepito
dai bambini vs aggressività verbale materna: r = .27, p < .01; conflitto percepito dai bambini vs
aggressività verbale paterna: r = .20, p < .05).
Le ANOVA condotte sui sottogruppi di bambini con diversi MOI non segnalano differenze
significative nelle variabili investigate, ad eccezione dell’utilizzo della strategie di coping di
distrazione: i nostri dati, infatti, segnalano che i bambini evitanti, a differenza dei sicuri e degli
ansioso-ambivalenti, fanno significativamente più ricorso a tale tipo di strategia.

3.2 Analisi correlazionali e verifica del modello di mediazione

Presentiamo i dati suddivisi nei tre sottogruppi distinti di bambini sicuri, ansioso-
ambivalenti ed evitanti.

Attaccamento sicuro

Nel gruppo di bambini sicuri (tabella 2), i dati correlazionali segnalano innanzitutto che
all’aumentare del conflitto genitoriale aumenta anche il vissuto di distress dei figli (r = .47).
Relativamente alle associazioni tra distress percepito, strategie di coping e coping efficacy, i
risultati segnalano che il predittore (distress) correla positivamente con tutti i mediatori: coping
focalizzato sul problema (r = .51), ristrutturazione cognitiva positiva (r = .30), coping di

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Attaccamento e Sistemi Complessi (Attachment and Complex Systems), Vol. 1, n.1, gennaio 2014, pp. xxxxx
Strategie di coping e coping efficacy nei bambini esposti al conflitto

distrazione (r = .21), coping di evitamento (r =.50) e di ricerca del supporto (r = .26); mentre
risulta negativamente associato all’outcome, ovvero ai vissuti di efficacia nel far fronte alla
situazione conflittuale (r = -.37). Tra i mediatori, il coping di evitamento risulta negativamente
correlato ai vissuti di coping efficacy (r = -.30), mentre il coping di ricerca del supporto
positivamente correlato (r =.21); non si ravvisano invece associazioni significative con la coping
efficacy per le altre strategie di coping considerate.

[Inserire tabella 2]

I dati, pertanto, segnalano che per i bambini sicuri livelli più accentuati di distress si
associano all’utilizzo di un’ampia gamma di strategie di coping, e che, tra queste, solo il coping
di evitamento e di ricerca del supporto risultano significativamente correlate alla coping
efficacy, sebbene con effetti diversi. Si ravvisano, quindi, le condizioni per la verifica degli
effetti di mediazione nell’associazione tra distress genitoriale e coping efficacy. A questo
proposito, l’effetto del predittore (distress) su ciascuno dei mediatori (coping focalizzato sul
problema, ristrutturazione cognitiva positiva, coping di distrazione, coping di evitamento e di
ricerca del supporto) è stato testato attraverso regressioni lineari volte a verificare la condizione
2 del modello di mediazione. Successivamente, sulla variabile di outcome (coping efficacy) è
stata condotta una regressione gerarchica, in cui il predittore è stato introdotto allo Step 1, per
verificare la condizione 1 del modello; e i mediatori sono stati introdotti allo Step 2, per
verificare le condizioni 3 e 4.

[Inserire tabella 3 e 4]

Le regressioni lineari (tabella 3 e 4) mostrano che il distress predice i mediatori: strategie


focalizzate sul problema (β = .51), ristrutturazione cognitiva positiva (β = .30), coping di
distrazione (β = .21), coping di evitamento (β = .50) e coping di ricerca del supporto (β = .26). I
dati delle regressioni gerarchiche condotte sulla variabile di outcome (coping efficacy) indicano
che il coping di ricerca del supporto (β = .33) media, seppure parzialmente, l’associazione tra
distress e percezione di efficacia nel far fronte alla situazione conflittuale.

Attaccamento evitante

Per i bambini evitanti (tabella 5) i dati correlazionali segnalano, come per i sicuri, che
all’aumentare del conflitto genitoriale aumenta anche il vissuto di distress dei figli (r = .29).
Relativamente alle associazioni tra distress percepito, strategie di coping e coping efficacy, i
risultati segnalano che il predittore (distress) correla positivamente con i soli mediatori coping
di distrazione (r = .29) e coping di evitamento (r =.31), e risulta negativamente associato alla
coping efficacy (r = -.32). Tra i mediatori solo il coping di distrazione risulta positivamente
correlato ai vissuti di coping efficacy (r = .30).

[Inserire tabella 5]

In altre parole, i dati segnalano che, per i bambini evitanti, livelli più accentuati di distress
si associano all’utilizzo delle sole strategie di coping di evitamento e di distrazione, e che, tra

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Attaccamento e Sistemi Complessi (Attachment and Complex Systems), Vol. 1, n.1, gennaio 2014, pp. xxxxx
Camisasca, Miragoli e Di Blasio

queste, solo il coping di distrazione risulta positivamente correlato alla coping efficacy. Si
ravvisano pertanto le condizioni per la verifica degli effetti di mediazione.

[Inserire tabella 6 e 7]

Le regressioni lineari (tabella 6 e 7) mostrano che il distress predice solo i mediatori


coping di distrazione (β = .29) e coping di evitamento (β = .30). I dati delle regressioni
gerarchiche condotte sulla variabile di outcome (coping efficacy) indicano che il coping di
distrazione (β = .42) media, seppure parzialmente, l’associazione tra distress e percezione di
efficacia nel far fronte alla situazione conflittuale.

Attaccamento ansioso-ambivalente

Per i bambini ansioso-ambivalenti (tabella 8) i dati correlazionali segnalano, come per gli
altri, che all’aumentare del conflitto genitoriale aumenta anche il vissuto di distress dei figli (r =
.35). Relativamente alle associazioni tra distress percepito, strategie di coping e coping efficacy,
i risultati segnalano che il predittore (distress) correla positivamente con tutti i mediatori, ad
eccezione del coping di distrazione, e precisamente con: coping focalizzato sul problema (r =
.53), ristrutturazione cognitiva positiva (r = .40), coping di evitamento (r =.55) e di ricerca del
supporto (r = .29). Il distress percepito risulta, inoltre, negativamente associato all’outcome,
ovvero ai vissuti di efficacia nel far fronte alla situazione conflittuale (r = -.31). I dati segnalano,
inoltre, che nessuna delle strategie utilizzate dai bambini ansioso-ambivalenti correla con la
coping efficacy.

[Inserire tabella 8]

In altre parole, i risultati segnalano che, sebbene i bambini ansioso-ambivalenti attivino in


condizioni di distress un’ampia serie di strategie di coping, nessuna di queste risulta
significativamente associata alla coping efficacy. Non si ravvisano, pertanto, le condizioni per la
verifica degli effetti di mediazione delle strategie del coping nell’associazione tra distress
genitoriale e coping efficacy.

4. Discussione

Come abbiamo illustrato nell’introduzione, questo studio si focalizza sul ruolo dei tre
distinti MOI dell’attaccamento (sicuro, ansioso-ambivalente ed evitante) nel modulare l’effetto
delle strategie di coping nell’associazione tra distress percepito dai bambini in situazioni di
conflitto e coping efficacy.
I risultati, sebbene preliminari per l’esiguo numero di soggetti ansioso-ambivalenti ed
evitanti, evidenziano che le strategie di coping utilizzate dai bambini in condizione di distress,
esercitano un ruolo distinto sulla loro percezione di coping efficacy, in modo differenziato a
seconda dei MOI dell’attaccamento con il caregiver. Più precisamente, è emerso che, i bambini
sicuri, in condizioni di distress, attivano tutte le strategie di coping (coping focalizzato sul
problema, ristrutturazione cognitiva positiva, coping di distrazione, evitamento e ricerca del

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Attaccamento e Sistemi Complessi (Attachment and Complex Systems), Vol. 1, n.1, gennaio 2014, pp. xxxxx
Strategie di coping e coping efficacy nei bambini esposti al conflitto

supporto) e che, tra le diverse strategie utilizzate, solo la ricerca del supporto risulta in grado di
favorire una maggiore percezione di coping efficacy. Tali dati sono in linea con la letteratura,
che evidenzia come i MOI dei bambini sicuri, esito di interazioni sensibili e responsive con i
propri caregiver (Attili, 2007; Attili, Di Pentima, & Toni, 2013) garantiscano una maggior
flessibilità nell’utilizzo delle strategie di coping e soprattutto permettano l’attivazione della
ricerca del supporto interpersonale (Baker, 2006; Buelow, Lyddon, & Johnson, 2002;
Mikulincer & Shaver, 2007). Il dato che in situazioni di conflitto genitoriale la ricerca del
supporto costituisca l’unica strategia di coping in grado di favorire i vissuti di coping efficacy
dei bambini sicuri, ci appare, inoltre, del tutto coerente sia con le rappresentazioni interne
dell’attaccamento di questi bambini sia con i dati della letteratura sul conflitto. Infatti, la
possibilità per i bambini sicuri di esprimere il proprio distress e di cercare aiuto negli altri,
risulta efficace in quanto solidamente ancorata alla convinzione che gli adulti significativi siano
effettivamente disponibili ad ascoltarli e a proteggerli. Possiamo anche presumere che gli stessi
genitori, resi consapevoli dai loro bambini del disagio che essi stanno provando, siano più
propensi non solo a rassicurarli, ma anche ad attuare nel rapporto con il partner strategie di
negoziazione del conflitto (Castellano, Velotti, Crowell, & Zavattini, 2013). La scelta di
ricercare il supporto degli altri risulta, a nostro parere, la strategia più funzionale ed idonea sia a
preservare i bambini dal coinvolgimento cronico nel conflitto (ad esempio, nel ruolo di
mediatore, risolutore o alleato di un genitore contro l’altro) sia a proteggerli dalla messa in atto
di strategie di evitamento e congelamento delle emozioni, a loro volta associate ad esiti
disadattivi (Davies et al., 2002; Harold et al., 2004; Nicoletti et al., 2003; O’Brien et al., 1991;
Wadsworth et al., 2005).
Nei bambini evitanti, l’aumentato distress, determinato dalla situazione conflittuale,
comporta un incremento solo delle strategie di coping di distrazione e di evitamento. Anche
questo dato è in linea con la letteratura (Baker, 2006; Howard & Medway, 2004; Simpson et al.,
1992; Simpson & Rholes, 1994; Torquati & Vazsonyi, 1999; Vetere & Myers, 2002) e del tutto
coerente con le rappresentazioni interne del sé e degli altri degli individui evitanti, che, come
evidenziato da diversi studi, mettono in atto strategie di “disattivazione” (Cassidy & Kobak,
1988; Mikulincer & Shaver, 2003; Shaver & Mikulincer, 2002). Tali strategie, connotate da una
sorta di “presa di distanza”, possono assumere le due forme distinte di disattenzione attiva e di
inibizione/soppressione. La disattenzione attiva garantisce ai soggetti che la percezione degli
eventi minacciosi e dei vissuti di angoscia e impotenza, ad essi associati, non giunga alla
consapevolezza; mentre l’inibizione e la soppressione permettono di ridurre al minino le
cognizioni e i vissuti di fragilità percepiti e codificati in connessione all’evento stressante
(Mikulincer et al., 2003; Shaver & Mikulincer, 2002). I nostri dati sembrano indicare che i
bambini evitanti utilizzino sostanzialmente strategie di inibizione, che permettono loro di
allontanare dalla mente, attraverso azioni distraenti e sforzi cognitivi di evitamento, il distress
comunque percepito a causa del conflitto genitoriale. Questi risultati suggeriscono, inoltre,
l’effetto protettivo della sola strategia di distrazione nel favorire la coping efficacy dei bambini
evitanti, in linea con alcune evidenze empiriche (DeCarlo Santiago & Wadsworth, 2009;
Wadsworth & Compas 2002) secondo cui la regolazione delle emozioni attraverso l’utilizzo di
azioni distraenti avrebbe un effetto positivo sull’adattamento psicosociale. È comunque utile
ricordare che, sebbene a breve termine tali strategie di disattivazione possano essere
adattive, poiché frenano i processi ripetitivi e intrusivi delle emozioni negative connesse
all’evento stressogeno (Shaver e Mikulincer, 2002; Mikulincer, Shaver e Horesh, 2006), a
lungo termine potrebbero risultare disadattive poichè ostacolano l’elaborazione dei
contenuti connessi al disagio. I vissuti di efficacia riscontrati nei nostri bambini evitanti,

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Camisasca, Miragoli e Di Blasio

esito dell’utilizzo delle strategie di distrazione, ci fanno pertanto ipotizzare, sebbene la


natura trasversale di questi dati non permetta di affermarlo con sicurezza, che questi
bambini si stiano giovando degli effetti protettivi a breve termine delle strategie di
minimizzazione e di inibizione dei vissuti di distress.
I bambini ansioso-ambivalenti presentano un quadro decisamente diverso rispetto a quanto
riscontrato per le altre tipologie di attaccamento, dal momento che in condizioni di distress essi
attivano tutte le strategie di coping, ad eccezione di quella di distrazione; anche se poi nessuna
delle strategie attivate esercita un effetto significativo sulla loro coping efficacy. Tale percezione
di inefficacia personale risulta sostanzialmente in linea con alcuni spunti della letteratura che
evidenziano come i soggetti ansioso-ambivalenti, a causa di persistenti rappresentazioni
negative di se stessi e degli altri (Collins & Read, 1990; Wei et al., 2003), sviluppino percezioni
deteriorate di autoefficacia personale. La spiegazione di tale meccanismo potrebbe risiedere nel
fatto che questi bambini, seppur richiedenti il supporto, non ne traggono giovamento in termini
di self efficacy poiché ne rimangano comunque insoddisfatti (Baker, 2006). Spiegazione
coerente con la funzione dei MOI di questi bambini, che, diffidenti ed incerti circa la possibilità
di essere oggetto di attenzione e conforto, diventano attenti e ipersensibili verso tutti i segnali
degli altri, che interpretano in termini di mancato interesse, non coinvolgimento o trascuratezza
(Cassidy & Kobak, 1988; Mikulincer & Shaver, 2003). L’esasperata propensione a privilegiare i
segnali negativi, unita ad una minore propensione degli stessi caregiver a cogliere e a
rispondere in modo coerente ai segnali di disagio, potrebbe dunque spiegare i nostri dati
sull’inefficacia della strategia di ricerca del supporto, comunque attivata da questi bambini.
In conclusione, possiamo dire che i nostri risultati, seppure esplorativi, forniscono
interessanti spunti di riflessione circa il ruolo giocato dai MOI dell’attaccamento nelle situazioni
di conflittualità genitoriale. In particolare, ci forniscono spunti di riflessione rispetto sia al
diverso modo di affrontare tale situazione stressogena da parte dei bambini sia sulla percezione
di efficacia personale che, come è noto, risulta strettamente connessa al benessere psicologico
degli individui.

5. Limiti e prospettive future di ricerca

I risultati di questa ricerca debbono essere considerati alla luce di alcuni limiti, che vanno
riconosciuti sia per permettere una loro migliore interpretazione sia per un eventuale prosieguo
dello studio. Un primo limite, già evidenziato, riguarda la scarsa numerosità dei bambini con
attaccamento ansioso-ambivalente ed evitante, che impedisce una reale generalizzazione dei
risultati.
Inoltre, la natura cross-sectional dello studio, impedisce un’adeguata comprensione
dell’associazione temporale tra le variabili, in particolare, rispetto alle relazioni causali e
bidirezionali tra strategie di coping e coping efficacy. Sarebbe pertanto opportuno realizzare
studi longitudinali in grado di chiarire meglio questa associazione.
Un ulteriore limite concerne la mancata considerazione degli effetti del genere e dell’età
nella messa in atto delle strategie di coping e nell’analisi del loro effetto sulla coping efficacy.
La letteratura di riferimento, a questo riguardo, ha fornito risultati non del tutto coerenti. In
particolare, alcuni studi non hanno rilevato nei bambini di età scolare differenze di genere
nell’utilizzo degli stili coping (Altshuler & Ruble, 1989; Curry & Russ, 1985; Spirito, Stark,
Grace, & Stamoulis, 1991); mentre altri hanno dimostrato che le femmine, rispetto ai maschi,
utilizzano in modo più accentuato strategie di ricerca del supporto e di problem solving (Causey

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Strategie di coping e coping efficacy nei bambini esposti al conflitto

& Dubow, 1992; Eschenbeck, Kohlmann, & Lohaus, 2007; Spirito et al., 1991). Anche
relativamente all’influenza dell’età sono stati ottenuti risultati non del tutto omogenei.
Alcuni lavori evidenziano, infatti, un’associazione positiva tra aumento dell’età e strategie di
problem solving (Ebata & Moos, 1991; Eschenbeck et al. 2007; Fields & Prinz, 1997; Griffith,
Dubow, & Ippolito, 2000); altri studi rilevano, invece, una certa stabilità nel tempo per quanto
concerne l’utilizzo delle strategie di coping attivo e di ricerca del supporto (Causey & Dubow,
1992; Compas, Malcarne, & Fondacaro, 1988; Donaldson, Prinstein, Danovsky, & Spirito,
2000; Seiffge-Krenke, 1993; Wertlieb, Weigel, & Feldstein, 1987); e altri ancora riferiscono un
decremento dell’utilizzo delle strategie di distrazione dall’infanzia all’adolescenza (Donaldson
et al., 2000; Eschenbeck et al., 2007; Hampel & Petermann, 2005; Spirito et al., 1991). In studi
successivi potrebbe essere, quindi, essere utile chiarire l’effetto del genere e dell’età
nell’associazione tra strategie di coping e coping efficacy, per meglio comprendere, in
sottogruppi di bambini distinti per genere, l’evoluzione del senso di efficacia personale in
relazione alla percezione del conflitto genitoriale.

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attachment and psychological distress: A structural equation modeling approach. Journal
of Counseling Psychology, 50, 4, 438-447.
Wertlieb, D.,Weigel, C., & Feldstein, M. (1987). Measuring children’s coping. American.
Journal of Orthopsychiatry, 57, 548-560. doi:10.1111/j.1939-0025.1987.tb03570.x
Vetere, A., & Myers, L. B. (2002). Repressive Coping Style and Adult Romantic Attachment
Style: Is there a relationship? Personality and Individual Differences, 32, 799-807.
Zaccagnini, C, & Zavattini, G. C. (2005). Transizione alla genitorialità, conflitto coniugale e
adattamento del bambino: le relazioni, i processi, le conseguenze. Psicologia Clinica dello
Sviluppo, 1, 29-68.
Zimet, D. M., & Jacob, T. (2001). Influences of marital conflict on child adjustment: Review of
theory and research. Clinical Child and Family Psychology Review, 4, 319-335.

Pervenuto luglio 2013


Versione finale pervenuta ……

17
Attaccamento e Sistemi Complessi (Attachment and Complex Systems), Vol. 1, n.1, gennaio 2014, pp. xxxxx
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 21
Titolo: TEORIA DELLA MENTE E COMPETENZA EMOTIVA
Attività N°: 01

L’importanza della regolazione emotiva

Sighinolfi, C., Norcini Pala, A., Rocco Chiri, L., Marchetti, I., & Sica, C. (2010). Traduzione e
adattamento italiano del Difficulties in Emotion Regulation Strategies (DERS): una ricerca
preliminare. Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale, 16(2), 141-170.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 21
Titolo: TEORIA DELLA MENTE E COMPETENZA EMOTIVA
Attività N°: 01

REGOLAZIONE EMOTIVA ADATTIVA


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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 21
Titolo: TEORIA DELLA MENTE E COMPETENZA EMOTIVA
Attività N°: 01

In letteratura vengono sottolineati sistematicamente gli effetti negativi degli sforzi di


controllo dell’esperienza e dell’espressione emozionale basati sull’evitamento. Per
esempio, Hayes et al. (1996) hanno suggerito che i tentativi di evitare le esperienze
interne, come i pensieri o le emozioni non desiderati, possano essere la causa di diversi
disturbi psicologici. La vasta letteratura sul coping ha da tempo sottolineato il ruolo
deleterio dell’evitamento (si veda per es., Sica et al., 2008). Di conseguenza, ai fini del
benessere psicologico, assumono un ruolo centrale le concettualizzazioni della
regolazione emotiva che enfatizzano l’importanza dell’accettazione e della
valorizzazione delle risposte emotive (Linehan, 1993; Cole, et al., 1994).
Più specificatamente, gli individui con disturbi d’ansia e/o depressivi, evidenziano una
serie di difficoltà nel fronteggiamento dei vissuti emotivi: scarsa conoscenza delle
emozioni e delle relative componenti, elevata tendenza a reagire negativamente alle
esperienze emozionali e difficoltà nel recupero dalle emozioni negative (Mennin,
Heimberg, Turk e Fresco, 2005) e uso massiccio di rimuginio e worry.
Un crescente corpo di ricerche suggerisce l’esistenza di una correlazione tra l’uso di alcool
e la presenza di difficoltà nella regolazione emotiva. Alcune teorie sostengono che il
consumo di questa sostanza rappresenti una strategia di regolazione emotiva in grado di
facilitare il raggiungimento di uno stato emotivo desiderato. Altre posizioni, sottolineano
l’esistenza di un circolo vizioso in cui il pesante consumo di alcool ha effetti cronici sugli
affetti e sulle cognizioni che, a loro volta, potrebbero creare una maggiore disregolazione.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 21
Titolo: TEORIA DELLA MENTE E COMPETENZA EMOTIVA
Attività N°: 01
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 21/S1
Titolo: TEORIA DELLA MENTE E COMPETENZA EMOTIVA
Attività N°: 01

LA VALUTAZIONE DELLA REGOLAZIONE EMOTIVA NEI BAMBINI:


IL QUESTIONARIO HOW I FEEL
Uno strumento interessante per valutare la regolazione delle emozioni nei bambini è l’How I
Feel (HIF) di Walden, Harris, Catron (2003), un questionario self-report multifattoriale che
misura l’attivazione ed il controllo emotivo e include dimensioni di intensità e
frequenza, per emozioni sia positive che negative. Il questionario è stato tradotto e validato
in italiano da Antoniotti, Grazzani, Ciucci (2008).
E’ pensato per bambini di età compresa fra gli 8 e i 12 anni e focalizza l’attenzione sulle
esperienze emotive che sono state vissute negli ultimi tre mesi.
E’ composto da 30 items, per ciascun item i bambini valutano quanto sia vera per loro
l’affermazione contenuta, su una scala Likert che prevede 5 posizioni, da 1 “non è per
niente vero per me” a 5 “è molto vero per me». I 30 item sono articolati secondo i 3
fattori: emozioni positive, emozioni negative e controllo delle emozioni, e
all’interno di ciascun fattore sono previste dimensioni di intensità e frequenza.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 21/S1
Titolo: TEORIA DELLA MENTE E COMPETENZA EMOTIVA
Attività N°: 01

Di seguito troverete gli item relativi alla regolazione emotiva del questionario

How I Feel – Come mi sento SOMMINISTRAZIONE


Per favore, valuta quanto è vera per te ciascuna delle seguenti frasi, pensando agli ultimi
tre mesi.

Metti un segno X sul numero corrispondente all’affermazione che ritieni sia la più vicina
a quella che senti tu, su una scala da 1 a 5:
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Lezione N°: 21/S1
Titolo: TEORIA DELLA MENTE E COMPETENZA EMOTIVA
Attività N°: 01

Negli ultimi 3 mesi….


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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 21/S1
Titolo: TEORIA DELLA MENTE E COMPETENZA EMOTIVA
Attività N°: 01

LA VALUTAZIONE DELLA REGOLAZIONE EMOTIVA NEI GIOVANI


ADULTI: Emotion Regulation Questionnaire
(ERQ: Gross & John, 2003)

The Emotion Regulation Questionnaire (ERQ: Gross & John, 2003) è un questionario
compost da 10-item self report compost da 2 scale/fattori corrispondenti a due diverse
stretegie di regulazione emotive cognitive reappraisal (ristrutturazione cognitiva (6 items)
and soppressione espressiva(4 items). Il somministratore chiede al soggetto “alcune
domande sulla sua vita emotiva, in particolare, come controlla (cioè regola e gestisce)” le
sue emozioni. I 10 items sono valutati su una scala Likert a 7 punti, da fortemente in
disaccordo a fortemente in accord. La traduzione e validazione italiana dello strumento è
stata realzzata da: Balzarotti et al. (2010).
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 21/S1
Titolo: TEORIA DELLA MENTE E COMPETENZA EMOTIVA
Attività N°: 01

Di seguito troverete i 10 item del questionario SUDDISIVI per i 2 FATTORI


Ristrutturazione cognitiva
1. Per sentirmi meglio (ad esempio, felice/contento/sollevato/di buon umore), cerco di
guardare le cose da una prospettiva diversa.
3. Per non starci male (ad esempio, essere triste/in collera/di cattivo umore), cerco di
guardare le cose da una prospettiva diversa.
5. Quando devo affrontare una situazione difficile, cerco di considerarla da una
prospettiva che mi aiuti a stare calmo/a.
7. Cambiare il modo di pensare ad una situazione, mi aiuta a sentirmi meglio.
8. Cerco di controllare i miei sentimenti provando a cambiare il modo di considerare la
situazione in cui mi trovo.
10. Cambiare il modo di pensare ad una situazione, mi aiuta a non starci male.
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Lezione N°: 21/S1
Titolo: TEORIA DELLA MENTE E COMPETENZA EMOTIVA
Attività N°: 01

Soppressione della espressione emotiva

2. Tengo i miei sentimenti per me.


4. Quando sono contento/felice, cerco di non farlo notare.
6. Controllo le mie emozioni non esprimendole.
9. Se provo sentimenti negativi, faccio attenzione a non esprimerli.

Nello studio di validazione, Balzarotti et al (2010), i risultati delle analisi condotte


sottolinenano che i soggetti che utilizzano la strategia Reappraisal/ristrutturazione sono
propensi ad affrontare le situazioni stressanti con una attitudine positive e una re-
inerpretazione positiva degli eventi stressanti. Questi individui tendono ad esprimere
maggiormente le emozioni positive al posto di quelle negative. Diversamente dai dati
amerciani, gli individui che utilizzano la soppressione non sembrano esperire livelli più
elevati di emozioni negative.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 21/S2
Titolo: TEORIA DELLA MENTE E COMPETENZA EMOTIVA
Attività N°: 01

LA VALUTAZIONE DELLA REGOLAZIONE EMOTIVA negli ADULTI:


Difficulties in Emotion Regulation Strategies (DERS, Gratz e Roemer, 2004)

ll Difficulties in Emotion Regulation Strategies (DERS, Gratz e Roemer, 2004) è un


questionario self-report che misura le difficoltà di rilevanza clinica nella regolazione delle
emozioni di natura negativa. A differenza di altre misure, il DERS è stato sviluppato sulla
base di un modello teorico della regolazione emotiva integrato ed esaustivo. Infatti,
questo strumento permette di ottenere delle misurazioni riguardo la presenza di potenziali
difficoltà nelle seguenti dimensioni: (a) la consapevolezza e la comprensione delle
emozioni, (b) l’accettazione delle emozioni, (c) l’abilità di controllare le condotte impulsive
e di comportarsi in accordo con i propri obiettivi e (d) la capacità di utilizzare strategie
flessibili di regolazione emotiva appropriate al contesto ed alle richieste situazionali.

Sighinolfi, C., Norcini Pala, A., Rocco Chiri, L., Marchetti, I., & Sica, C. (2010). Traduzione e adattamento italiano del
Difficulties in Emotion Regulation Strategies (DERS): una ricerca preliminare. Psicoterapia Cognitiva e
Comportamentale, 16(2), 141-170.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 21/S2
Titolo: TEORIA DELLA MENTE E COMPETENZA EMOTIVA
Attività N°: 01

Il DERS è un questionario composto da 36 item a risposta multipla che misurano


caratteristici pattern individuali di regolazione delle emozioni.
Gli item vengono valutati su una scala likert a 5 punti con la seguente consegna:

Utilizzando la seguente scala di valori, le chiediamo di segnare quanto spesso le


seguenti affermazioni possono essere applicate alla sua esperienza, cerchiando il
numero appropriato a fianco di ogni item.
1-------------------------------2-------------------------------3----------------------------------4-------------------------------------5
Quasi mai a volte circa la metà delle volte molte volte quasi sempre
(0-10%) (11-35%) (36-65%) (66-90%) (91-100%)

La validazione italiana del questionario DERS è stata realizzata da Sighinolfi et al (2010) e


comprende i seguenti fattori:
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Lezione N°: 21/S2
Titolo: TEORIA DELLA MENTE E COMPETENZA EMOTIVA
Attività N°: 01

Tabella 3. Composizione dei fattori della versione finale del DERS

FATTORI ITEM

1. MANCANZA DI 29. Quando sono turbato, mi irrito con me stesso perché mi sento in quel modo

ACCETTAZIONE 11. Quando sono turbato, mi arrabbio con me stesso perché mi sento in quel modo

12. Quando sono turbato, mi imbarazza sentirmi in quel modo

21. Quando sono turbato, mi vergogno con me stesso perché mi sento in quel

modo

25. Quando sono turbato, mi sento in colpa perché mi sento in quel modo

30. Quando sono turbato, inizio a sentirmi molto male con me stesso

2. DIFFICOLTÀ NELLA 26. Quando sono turbato, ho delle difficoltà a concentrarmi

DISTRAZIONE 18. Quando sono turbato, faccio fatica a focalizzarmi su altre cose

13. Quando sono turbato, ho delle difficoltà a completare il mio lavoro

23. Quando sono turbato, mi sento debole

33. Quando sono turbato, faccio fatica a pensare a qualcosa di diverso


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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 21/S2
Titolo: TEORIA DELLA MENTE E COMPETENZA EMOTIVA
Attività N°: 01

3. MANCANZA DI 22. Quando sono turbato, so che alla fine posso trovare un modo per sentirmi

FIDUCIA meglio (r)

28. Quando sono turbato, credo che non ci sia niente che io possa fare per sentirmi

meglio

15. Quando sono turbato, credo che rimarrò in quello stato per molto tempo

31. Quando sono turbato credo che crogiolarmi in questa emozione sia l’unica

cosa che io possa fare

1. Sono sereno riguardo a ciò che provo (r)

16. Quando sono turbato, credo che finirò per sentirmi depresso

24. Quando sono turbato, sento di potere avere ancora il controllo dei miei

comportamenti (r)

20. Quando sono turbato, posso comunque finire le cose che devo fare (r)

Sighinolfi, C., Norcini Pala, A., Rocco Chiri, L., Marchetti, I., & Sica, C. (2010). Traduzione e adattamento italiano del
Difficulties in Emotion Regulation Strategies (DERS): una ricerca preliminare. Psicoterapia Cognitiva e
Comportamentale, 16(2), 141-170.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 21/S2
Titolo: TEORIA DELLA MENTE E COMPETENZA EMOTIVA
Attività N°: 01

4. MANCANZA DI 3. Vivo le mie emozioni come travolgenti e fuori dal controllo

CONTROLLO 14. Quando sono turbato, perdo il controllo

32. Quando sono turbato, perdo il controllo sui miei comportamenti


27. Quando sono turbato, ho delle difficoltà nel controllare i miei comportamenti
19. Quando sono turbato, mi sento senza controllo
36. Quando sono turbato, le mie emozioni sono travolgenti

5. DIFFICOLTÀ NEL 4. Non ho idea di come mi sento

RICONOSCIMENTO 5. Ho difficoltà a dare un senso a ciò che provo

10. Quando sono turbato, riconosco le mie emozioni (r)

9. Sono confuso riguardo a ciò che provo

7. So esattamente come mi sento (r)

6. RIDOTTA 2. Presto attenzione a come mi sento (r)

AUTOCONSAPEVOLEZ
6. Presto attenzione alle mie emozioni (r)
ZA
8. Mi interessa come mi sento (r)

Nota: la (r) indica gli item che hanno punteggio invertito


Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 21/S3
Titolo: TEORIA DELLA MENTE E COMPETENZA EMOTIVA
Attività N°: 01

AULA VIRTUALE

La docente terrà un’aula virtuale su Still Face, Regolazione delle Emozioni e valutazione
della Regolazione emotiva.

Controllate il calendario degli incontri


Corso di Laurea: Scienze e tecniche psicologiche (d.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia dello sviluppo tipico e atipico
Lezione n°: 22
Titolo: Le strategie di coping
Attività n°: 1

LE STRATEGIE DI COPING
Il contenuto della lezione è tratto dal capitolo «Le strategie di coping in bambini ed adolescenti: il
Children’s Coping Strategies Checklist R-1» di Camisasca Elena e Caravita Simona, in Caravita,
S., Colombo, B. (ed.), Misurazione e potenziamento delle competenze socio-cognitive, UNICOPLI,
Milano 2013:

La capacità di affrontare difficoltà e situazioni stressanti si caratterizza per l’utilizzo di


processi psicologici complessi che permettono alle persone di regolare le proprie
emozioni, elaborare pensieri costruttivi, controllare l’arousal, direzionare il proprio
comportamento e agire direttamente sull’ambiente, alterando o riducendo le fonti
originarie dello stress. Si tratta di processi considerati e inclusi nel costrutto di coping
(Compas e coll., 2001).
Corso di Laurea: Scienze e tecniche psicologiche (d.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia dello sviluppo tipico e atipico
Lezione n°: 22
Titolo: Le strategie di coping
Attività n°: 1

Le concettualizzazioni del coping

Una tra le definizioni maggiormente utilizzate è quella di Lazarus e Folkman (1984) che
concettualizzano il coping “come un insieme dinamico e in continua evoluzione di sforzi cognitivi e
comportamentali tesi a controllare specifiche richieste interne e/o esterne che vengono valutate
come eccedenti le risorse della persona” (pag. 141). All’interno di questa definizione, il coping viene
considerato essere un processo dinamico - in grado di evolvere e mutare quando le condizioni
stressogene si modificano - caratterizzato da risposte intenzionali tese a modificare la condizione
stressante (problem focused coping) o a mitigare le emozioni negative da essa derivate (emotion-
focused coping).

Eisenberg e coll. (Eisenberg, Fabes, & Guthrie, 1997) considerano, invece, il coping come un
aspetto della più ampia “self-regulation” (autoregolazione), dal momento che essi lo considerano una
forma specifica di autoregolazione che avviene in condizioni di stress (Eisenberg, Fabes, Guthrie e
coll., 1996). Anche questi autori, sostengono che le reazioni di coping non siano sempre consapevoli
e intenzionali e distinguono tre diverse forme di autoregolazione: una centrata sulle emozioni:
"tentativi di regolazione diretta delle emozioni; una centrata sul problema: “tentativi per regolare la
situazione; e una centrata sul comportamento: “tentativi per regolare il comportamento a sua volta
guidato dalle emozioni
Corso di Laurea: Scienze e tecniche psicologiche (d.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia dello sviluppo tipico e atipico
Lezione n°: 22
Titolo: Le strategie di coping
Attività n°: 1

Compas e coll. (Compas, 1998; Compas e coll., 1997; 1999), a loro volta, definiscono
il coping come una serie di sforzi e/o tentativi intenzionali volti a regolare le emozioni, i
pensieri, il comportamento, le reazioni fisiologiche e le condizioni ambientali, in risposta
a eventi o circostanze stressanti.

Le teorie si differenziano anche in base alla considerazione del coping come tendenza
stabile a utilizzare le stesse strategie di risposta allo stress in situazioni diverse o a
variare nei diversi contesti. Nelle concettualizzazioni del coping, infatti, alcuni autori,
evidenziando la possibilità che le diverse strategie possano variare a seconda delle
fasi temporali a o caratteristiche della situazione stressante (Folkman & Lazarus,
1985), e parlano di coping di tipo situazionale. Altri, invece, sottolineando come i
fattori di personalità favoriscano lo sviluppo di modalità stabili e abituali di coping del
tutto indipendenti dalla situazione stressogena (Carver & Scheier, 1994), parlano di
coping disposizionale.
Corso di Laurea: Scienze e tecniche psicologiche (d.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia dello sviluppo tipico e atipico
Lezione n°: 22
Titolo: Le strategie di coping
Attività n°: 1

Dimensioni e tipologie di coping

Così come sono diverse le teorizzazioni del coping proposte in letteratura, in modo analogo non esiste
un chiaro accordo rispetto a quali dimensioni o categorie siano in grado di meglio discriminare le reazioni
di coping.
La 1. dimensione “coping centrato sul problema vs coping centrato sulle emozioni” (Lazarus e
Folkman, 1984) evidenzia come le strategie di coping possano essere, da un lato, direttamente orientate
verso la risoluzione o la modifica della fonte di stress e, dall’altro, tese a mitigare le emozioni negative
conseguenti ad esso. Il coping centrato sul problema comprende infatti attività che comprendono
l’ideazione di possibili soluzioni del problema, la ricerca di informazioni e azioni volte a modificare le
condizioni che creano stress. Il coping centrato sulle emozioni, invece, include l’espressione delle proprie
emozioni, la ricerca negli altri di conforto e supporto e una serie di tentativi tesi a evitare la fonte di
stress.
Sebbene frequentemente utilizzata in letteratura, tale dimensione è stata criticata in quanto ritenuta
troppo ampia e composta attività di coping eterogenee (Compas et al., 2001). Il coping centrato sulle
emozioni, ad esempio, include strategie quali il rilassarsi, di richiedere un supporto emozionale agli altri,
la scrittura delle proprie emozioni il desiderare che il problema si risolva, la soppressione emotiva e
l’autocriticismo
Corso di Laurea: Scienze e tecniche psicologiche (d.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia dello sviluppo tipico e atipico
Lezione n°: 22
Titolo: Le strategie di coping
Attività n°: 1

Una seconda 2. dimensione del coping che ha riscontrato una notevole attenzione negli
studi condotti su bambini e adolescenti, è quella approccio/impegno vs
evitamento/disimpegno (Ebata & Moos, 1991; Tobin, Holroyd, Reynolds, & Wigal,
1989), ossia la tendenza ad affrontare gli stimoli stressanti (stressors) e le emozioni ad
essi conseguenti o, viceversa, ad evitarli.
La sottodimensione approccio/impegno comprende i tentativi di risolvere i problemi o la
ricerca di supporto negli altri mentre la sottodimensione evitamento/disimpegno fa
riferimento alle risposte orientate ad allontanarsi dagli stressors e dai propri pensieri ed
emozioni, attraverso il ritiro o la negazione dell’evento.
Parlare di “disimpegno” anziché di semplice “evitamento” permette di cogliere una più
ampia serie di modalità attraverso le quali l’individuo può allontanarsi dallo stress. Infatti,
risposte di distrazione cognitiva consistono in forme di disimpegno di natura non
strettamente evitante in quanto comprendono una ri-direzione della attenzione verso
target alternativi e riflettono la presenza di una consapevolezza e di un riconoscimento
dei fattori stressanti (Ayers, Sandier, & Twohey, 1998).
Corso di Laurea: Scienze e tecniche psicologiche (d.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia dello sviluppo tipico e atipico
Lezione n°: 22
Titolo: Le strategie di coping
Attività n°: 1

La 3. dimensione del coping “controllo primario vs secondario” proposta da Weisz e coll.


(Rudolph et al., 1995; Weisz et al., 1994), invece, si riferisce sia al controllo dell’ambiente e
delle proprie reazioni (controllo primario) sia al mero adattarsi alle circostanze (controllo
secondario). Il controllo primario implica tentativi di risoluzione del problema e di regolazione
delle proprie emozioni mentre quello secondario implica tentativi di adattamento all’ambiente
e può includere la ristrutturazione cognitiva, ovvero la tendenza a modificare la proprie
concezioni circa una condizione stressante, al fine di interpretarle in una luce più positiva.
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Insegnamento: Psicologia dello sviluppo tipico e atipico
Lezione n°: 22/s1
Titolo: Le strategie di coping
Attività n°: 1

Strategie di coping e adattamento psicologico in


bambini e adolescenti: i risultati delle ricerche

Il modo con cui i bambini e adolescenti si differenziano nelle loro risposte allo stress
esercita un impatto sul loro adattamento psicologico. Gli studi ci spiegano, infatti,
come l’utilizzo di specifiche strategie di coping di tipo disfunzionale possano
amplificare il rischio che condizioni di stress psicosociale producano esiti disadattavi
e come, invece, l’impiego di strategie di tipo funzionale svolga un significativo ruolo di
protezione.
Corso di Laurea: Scienze e tecniche psicologiche (d.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia dello sviluppo tipico e atipico
Lezione n°: 22/s1
Titolo: Le strategie di coping
Attività n°: 1

Compas e coll., (2001) nel revisionare una serie di studi condotti sulla relazione tra coping e
esiti psicologici in bambini e adolescenti, concludono sostenendo come le strategie di
problem solving e orientate all’approccio risultino frequentemente associate a buon
adattamento, mentre le strategie di coping focalizzate sull’emozione o tese al disimpegno
risultino favorire i problemi di internalizzazione, esternalizzazione e una scarsa competenza
sociale e scolastica.
Folkman e Moskowitz (2004) che sottolineano invece come, per una migliore comprensione
della relazione tra coping e adattamento, sia necessario considerare sia le
caratteristiche specifiche del contesto stressogeno in cui le strategie di coping
vengono messe in atto sia lo specifico periodo temporale all’interno del quale viene
attuato il coping.
Riferendosi al concetto di coping di tipo situazionale, gli autori infatti rilevano come alcune
strategie di coping che risultano efficaci in situazioni di stress controllabile diventino
inefficaci quando gli stressor sono particolarmente gravi e cronici. E’ stato, infatti,
riscontrato (Radovanovic, 1993) che il problem solving diretto costituisce una strategia
efficace nell’affrontare problemi ritenuti superabili (ad es. difficoltà coi pari) mentre il pensare
in modo ottimistico risulta efficace nell’affrontare i problemi meno controllabili (ad es., i
conflitti tra i genitori).
Corso di Laurea: Scienze e tecniche psicologiche (d.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia dello sviluppo tipico e atipico
Lezione n°: 22/s1
Titolo: Le strategie di coping
Attività n°: 1

E ancora Jaser e coll., (2007) in uno studio condotto su adolescenti, sebbene non rilevino un
utilizzo di strategie di coping differenti a seconda delle situazioni stressogene esaminate (in
famiglia o coi pari), evidenziano come gli adolescenti utilizzino principalmente strategie di
coping di controllo secondario (accettazione e distrazione) anziché di controllo primario
(problem solving, espressione emotiva) o di rinuncia del controllo.

È inoltre emerso che i ragazzi che manifestano un minore sintomatologia ansiosa, depressiva
o aggressiva utilizzano coping di controllo secondario in condizioni di stress familiare
(depressione genitoriale) e coping di controllo primario in caso di stress coi coetanei (conflitti
coi pari). Gli autori commentano tali risultati evidenziando come, in condizione di stress
incontrollabile, quale può essere la vita con un genitore depresso, la frustrazione derivante
dalla constatazione che i tentativi di modifica dell’evento non sortiscono alcun effetto può
esitare in sintomi d’ansia o depressione, mentre i tentativi di adattamento all’ambiente
favoriscono un maggior benessere psicologico.
Corso di Laurea: Scienze e tecniche psicologiche (d.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia dello sviluppo tipico e atipico
Lezione n°: 22/s1
Titolo: Le strategie di coping
Attività n°: 1

Folkman e Moskowitz (2004) rilevano inoltre come una stessa strategia possa risultare
efficace nel periodo di insorgenza di una condizione stressogena e divenire
inefficace in tempi successivi. Infatti, nella preparazione di un esame può essere utile
utilizzare una strategia di problem solving attivo, mentre strategie di distrazioni risultano
funzionali quando occorre aspettare l’esito dei risultati.
E ancora, le strategie di coping di evitamento possano risultare efficaci a breve termine
nel ridurre l’arousal negativo; tuttavia, poiché non favoriscono un reale cambiamento della
situazione stressante o una sua diversa percezione, a lungo termine, perdono totalmente
la propria efficacia (Sandler et al., 2001). Studi condotti sui bambini vittime di abuso
sessuale e maltrattamento (Chaffin et al. 1997; Steel et al., 2004) confermano infatti il
valore protettivo dell’utilizzo di strategie di evitamento se utilizzate per periodi limitati di
tempo. A breve termine, infatti, queste strategie, proteggendo le persone dal senso di
sopraffazione e di impotenza, riescono a ridurre e minimizzare l’impatto emotivo della
violenza, incrementando il senso di auto-controllo correlato al benessere psicologico.
Corso di Laurea: Scienze e tecniche psicologiche (d.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia dello sviluppo tipico e atipico
Lezione n°: 22/s1
Titolo: Le strategie di coping
Attività n°: 1

Coping e autoefficacia percepita

Nell’analisi della relazione tra coping e adattamento, è stato infine sottolineato che le
strategie di coping che sortiscono gli effetti desiderati favoriscono l’autoefficacia
percepita che, a sua volta, risulta strettamente connessa a migliori esiti adattivi
(Sandler, Tein, Mehta,Wolchik, & Ayers, 2000). Gli autori, attraverso l’utilizzo del
Children’s Coping Strategies Checklist, riscontrano che le strategie di coping attivo che
implicano il coinvolgimento diretto nelle situazioni problematiche attraverso tentativi di
modificazione (azioni di problem solving) e attraverso ideazioni e pensieri di tipo
ottimistico frequentemente associate a esiti positivi in diverse condizioni - favoriscono lo
sviluppo nei bambini di un senso di autoefficacia percepita che, a sua volta, li protegge
dall’insorgenza di sintomi di internalizzazione. Diversamente, è emerso che l’utilizzo di
strategie di evitamento determina livelli inferiori di autoefficacia percepita che, a sua
volta, predice un maggior numero di sintomi di internalizzazione ed esternalizzazione.
Corso di Laurea: Scienze e tecniche psicologiche (d.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia dello sviluppo tipico e atipico
Lezione n°: 22/s2
Titolo: Le strategie di coping
Attività n°: 1

IL CHILDREN’S COPING STRATEGIES CHECKLIST-


REVISION 1 (CCSC-R1) Età-7-14 anni
Il questionario CCSC_R1 (che troverete allegato, in PDF a questa sessione) contiene 54
item che iniziano con l’affermazione “Quando hai un problema” seguita ad esempio da
una frase del tipo: “hai cercato di capire meglio la situazione…”

Ogni item viene valutato su una scala di risposta a 4 punti (1= mai; 2= a volte; 3= spesso
e 4 = sempre).
I 54 item dello strumento confluiscono in 14 Sottoscale, descritte più nel dettaglio in
Tabella 1..

Camisasca, E., Caravita, S., Milani, L., & Di Blasio, P. (2012). THE CHILDREN'S COPING STRATEGIES CHECKLIST-
REVISION1: A VALIDATION STUDY IN THE ITALIAN POPULATION. TPM: Testing, Psychometrics, Methodology in Applied
Psychology, 19(3).
Corso di Laurea: Scienze e tecniche psicologiche (d.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia dello sviluppo tipico e atipico
Lezione n°: 22/s2
Titolo: Le strategie di coping
Attività n°: 1

Le 14 sottoscale, a loro volta, rientrano in 5 Fattori principali:

COPING FOCALIZZATO SUL PROBLEMA


RISTRUTTUTAZIONE COGNITIVA POSITIVA coping attivo
DISTRAZIONE
EVITAMENTO
RICERCA DEL SUPPORTO.

Una descrizione delle sottoscale con l’indicazione degli item di riferimento è contenuta in
tabella 1 allegata in PDF.
La traduzione validazione italiana del questionario (allegato 2) nel contesto italiano, è stata
realizzata da Elena Camisasca e collaboratori.

Camisasca, E., Caravita, S., Milani, L., & Di Blasio, P. (2012). THE CHILDREN'S COPING STRATEGIES CHECKLIST-
REVISION1: A VALIDATION STUDY IN THE ITALIAN POPULATION. TPM: Testing, Psychometrics, Methodology in
Applied Psychology, 19(3).
CCSC – QUESTIONARIO SUL MODO DI AFFRONTARE I PROBLEMI
(Ayers & Sandler, 1999, validazione italiana a cura di Camisasca et al., 2012)
A volte capita che i ragazzi abbiano dei problemi, si sentano male o siano sconvolti per qualche cosa…Quando questo succede, essi
possono fare diverse cose per risolvere il problema o per sentirsi meglio. Leggi ogni frase che segue e scegli la risposta che
MEGLIO descrive quante volte, di solito, nell'ultimo mese ti sei comportato nel modo che viene descritto per risolvere i problemi o
per sentirti meglio. Non ci sono risposte giuste o sbagliate, indica solamente quanto abitualmente hai fatto ciascuna delle cose qui
sotto descritte per risolvere i problemi o per sentirti meglio.

1 mai
2 a volte
3 spesso
4 la maggior parte delle volte

Negli ultimi tempi (ad es. nell’ultimo mese) quando hai avuto dei problemi…

1 2 3 4
1. Hai pensato a cosa avresti potuto fare prima di fare qualcosa
2. Hai cercato di accorgerti o di pensare solo alle cose belle della tua vita
3. Hai cercato di ignorare il problema
4. Hai raccontato agli altri come ti sentivi rispetto al problema
5. Hai cercato di stare alla larga dal problema
6. Hai fatto qualcosa per rendere le cose migliori
7. Hai parlato con qualcuno che poteva aiutarti a capire cosa fare
8. Hai detto a te stesso che le cose sarebbero andate meglio
9. Hai ascoltato della musica
10. Hai ricordato a te stesso che stavi meglio di molti altri ragazzi
11. Hai fantasticato che tutto fosse ok
12. Sei andato in bicicletta
13. Hai parlato dei tuoi sentimenti a qualcuno capace di capirti veramente
14. Hai detto agli altri cosa volevi che facessero
15. Hai cercato di togliere il problema dalla mente
16. Hai pensato a cosa sarebbe potuto succedere prima di decidere cosa fare
17. Hai detto a te stesso che il problema si sarebbe risolto
18. Hai raccontato agli altri che cosa ti aveva fatto sentire nel modo in cui ti sentivi
19. Ti sei detto che avresti potuto affrontare il problema
20. Sei uscito a fare una passeggiata
21. Hai cercato di stare alla larga dalle cose che ti facevano star male
22. Hai detto agli altri in che modo ti sarebbe piaciuto risolvere il problema
23. Hai cercato di migliorare le cose cambiando ciò che facevi
24. Ti sei detto che avevi già affrontato cose come queste nel passato
25. Hai fatto dello sport
26. Hai pensato a motivi per cui questo era capitato
27. Non ci hai pensato
28. Hai fatto sapere agli altri come ti sentivi
29. Ti sei detto che avresti potuto affrontare qualunque cosa sarebbe successa
30. Hai raccontato agli altri cosa ti sarebbe piaciuto succedesse
31. Ti sei detto che, alla lunga, le cose sarebbero andate per il meglio
32. Hai letto un libro o una rivista
33. Ti sei immaginato le cose come avresti voluto che fossero
34. Hai ricordato a te stesso che sapevi cosa fare
35. Hai pensato a quali cose sarebbe stato meglio fare per affrontare il problema
36. Hai proprio dimenticato questa cosa
37. Ti sei detto che il problema si sarebbe risolto da solo
38. Hai parlato con qualcuno che poteva aiutarti a risolvere il problema
39. Sei andato sullo skateboard o sui pattini a rotelle
40. Hai evitato le persone che ti facevano stare male
41. Hai ricordato a te stesso che, nel complesso, le cose ti vanno abbastanza bene
42. Hai fatto qualcosa come giocare ai videogames o qualche hobby
43. Hai fatto qualcosa per risolvere il problema
44. Hai cercato di capire meglio la situazione, pensandoci sopra di più
45. Hai ricordato a te stesso tutte le cose positive della tua vita
46. Ti sei augurato che le cose brutte non accadessero
47. Hai riflettuto su cosa era necessario che tu sapessi per risolvere il problema
1
48. Hai evitato il problema andando in camera tua
49. Hai fatto qualcosa per ottenere il meglio che potevi dalla situazione
50. Hai pensato a cosa avresti potuto imparare dal problema
51. Ti sei augurato che le cose andassero meglio
52. Hai guardato la tv
53. Hai fatto un po’ di movimento
54. Hai cercato di capire perché accadono cose come questa

2
Scale e sottoscale del CCSC-R1
COPING ATTIVO

Coping focalizzato sul problema


Item
Fa riferimento a pensieri o progetti volti a risolvere il problema. Comprende il pensare alle possibili alternative, alle
possibili conseguenze del problema e a modi diversi per risolverlo. Non implica tuttavia il semplice pensare al
Presa di decisione congitiva (Cognitive problema bensì il riflettere su come risolverlo. Comprende la pianificazione ma non l'esecuzione di azioni volte alla
Decision Making CDM) risoluzione del problema. 1, 16, 35, 47.

Problem solving diretto (Direct Problem Fa riferimento a tentativi e sforzi tesi a modificare la situazione problematica attraverso una modifica dell'ambiente e
Solving DPS) del sè. Comprende cosa una persona fa e non cosa pensa. 6, 23, 43, 49

Comprende i tentativi e gli sforzi cognitivi messi in atto in una situazione stressante per trovare un significato e una
sua spiegazione. Implica i tentativi per comprendere meglio la situazione ma non la ricerca di una interpretazione
Tentativi di comprensione (Seeking positiva della situazione.
Understanding SU) 26, 44, 50, 54

Ristrutturazione cognitiva positiva

Positività (Positivity POS) Fa riferimento ai pensieri positivi e alle situazioni positive accadute in passato. 2, 10, 41, 45,

Controllo (Controllo CON) Fa riferimento al pensare di poter affrontare e gestire qualsiasi cosa accada. 19, 24, 29, 34

Ottimismo (Optimism OPT) Fa riferimento al pensare alle situazione future in modo ottimistico 8, 17, 31, 37

COPING DI DISTRAZIONE

Fa riferimento ai tentativi e agli sforzi volti a evitare di pensare al problema attraverso l'utilizzo di stimoli distraenti e
Azioni distraenti (Distracting Actions DA) attraverso il coinvolgimento in attività distraenti. 9, 20, 32, 42, 52

Sfogo fisico di emozioni (Physical Fa riferimento ai tentativi e agli sforzi volti a sfogare in modo fisico le proprie emozioni. Implica il coinvolgimento in
Release of Emotions PRE) esercizi fisici, attività ludiche e la ricerca di forme di relax di tipo fisico. 12, 25, 39, 53

COPING DI EVITAMENTO

Azioni di evitamento (Avoidant Actions Fa riferimento ai tentativi e sforzi comportamentali volti a evitare la situazione stressogena stando alla larga dal
AVA) problema o allontanandosi da esso. 5, 21, 40, 48,

Repressione (Repression REP) Fa riferimento ai tentativi, sforzi messi in atto per repirmere il pensiero relativo a situazioni difficili o problematiche. 3, 15, 27, 36,

Pensieri di speranza (Wishful Thinking


WISH) Implica l'utilizzo di pensieri di speranza o l'immaginare che il problema sia migliore. 11, 33, 46, 51

RICERCA DI SUPPORTO

Supporto per le azioni (Support for Implica il far riferimento alle altre persone come possibili risorse o aiuti nella soluzione delle situazioni
Actions SUPA) problematiche. Comprende il richiedere consigli, informazioni o aiuti diretti per affrontare il compito. 7, 14, 22, 30, 38

Implica il coinvolgimento di altre persone affinchè queste possano ascoltare e comprendere i sentimenti provati in
Supporto per i sentimenti (Support for una data situazione e affinchè possano aiutare la persona a sentirsi meglio.
Feeling SUPF) 4, 13, 18, 28
Corso di Laurea: Scienze e tecniche psicologiche (d.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia dello sviluppo tipico e atipico
Lezione n°: 22/s3
Titolo: Le strategie di coping
Attività n°: 1

PROVA DI APPRENDIMENTO
forum
Ripensando alla lezione sulle strategie di coping, provi a rispondere sul forum alle
seguenti domande.

Descriva le 3 principali dimensioni del coping secondo i diversi autori e spieghi quella che
a sua avviso risulta più interessante e perchè?

Quali sono a suo avviso i principali risultati relativi alla associazione tra coping e
adattamento psicologico e perché?

Quale fattore del Coping strategies Revision checklist le sembra più interessante e
perché?
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 23/S1
Titolo: VERIFICA E DISCUSSIONE DEI CONTENUTI APPRESI
Attività N°: 01

Regolazione emotiva, strategie di coping e attaccamento:


DISCUTIAMO SUL FORUM

Dopo aver letto con attenzione le due ricerche empiriche, aventi come focus il tema della
regolazione delle emozioni e delle strategie di coping, vi chiedo di discutere sul forum:

1. Quale tra i 2 articoli vi è sembrato maggiormente interessante e perché…?


2. In merito alle strategie di regolazione emotiva dei bambini sicuri e insicuri, quali
connessioni trovate tra le strategie indicate negli articoli letti e quelle descritte durante
la Strange Situation ?
3. Perché ho ritenuto che il secondo articolo costituisse una prosecuzione del primo?
4. Perché la strategia del supporto sociale viene utilizzata e risulta adattiva solo per i
bambini sicuri?
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 23/S2
Titolo: VERIFICA E DISCUSSIONE DEI CONTENUTI APPRESI
Attività N°: 01

Regolazione emotiva, strategie di coping e attaccamento:


DISCUTIAMO SUL FORUM

Dopo aver letto con attenzione le due ricerche empiriche, aventi come focus il tema della
regolazione delle emozioni e delle strategie di coping, vi chiedo di discutere sul forum:

1. Quale tra i 2 articoli vi è sembrato maggiormente interessante e perché…?


2. In merito alle strategie di regolazione emotiva dei bambini sicuri e insicuri, quali
connessioni trovate tra le strategie indicate negli articoli letti e quelle descritte durante la
Strange Situation ?
3. Perché ho ritenuto che il secondo articolo costituisse una prosecuzione del primo?
4. Perché la strategia del supporto sociale viene utilizzata e risulta adattiva solo per i
bambini sicuri?
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 23/S3
Titolo: VERIFICA E DISCUSSIONE DEI CONTENUTI APPRESI
Attività N°: 01

Regolazione emotiva, strategie di coping e attaccamento:


DISCUTIAMO SUL FORUM

Dopo aver letto con attenzione le due ricerche empiriche, aventi come focus il tema della
regolazione delle emozioni e delle strategie di coping, vi chiedo di discutere sul forum:

1. Quale tra i 2 articoli vi è sembrato maggiormente interessante e perché…?


2. In merito alle strategie di regolazione emotiva dei bambini sicuri e insicuri, quali
connessioni trovate tra le strategie indicate negli articoli letti e quelle descritte durante
la Strange Situation ?
3. Perché ho ritenuto che il secondo articolo costituisse una prosecuzione del primo?
4. Perché la strategia del supporto sociale viene utilizzata e risulta adattiva solo per i
bambini sicuri?
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 24
Titolo: TEORIA DELLA MENTE: INTRODUZIONE E PROSPETTIVE TEORICHE
Attività N°: 01

La teoria della mente: introduzione e


prospettive teoriche

Il contenuto di questa lezione è stato tratto dal manuale di Sempio, Marchetti,


Castelli, Lecciso e Pezzotta (2012): Mentalizzazione e competenza sociale e
dal capitolo di Flavia Lecciso e Alessandro Antonietti “CRESCERE CON”:
L’INFANZIA COME PROCESSO RELAZIONALE E MENTALISTICO in R. C. Romano
(Ed.), Ciclo vitale e dinamiche educative nella società postmoderna. Milano:
Franco Angeli Editore.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 24
Titolo: TEORIA DELLA MENTE: INTRODUZIONE E PROSPETTIVE TEORICHE
Attività N°: 01

La teoria della mente


Introduzione

In questa lezione prenderemo in considerazione un tema molto noto nell’ambito della


psicologia dello sviluppo, ovvero, LA TEORIA DELLA MENTE. Pertanto, riprenderemo
in considerazione solo alcuni aspetti salienti che ci toneranno utili nell’affrontare alcuni
aspetti e difficoltà che incontreremo nella parte del corso relativa allo sviluppo atipico.

Vi ricordo che possedere una teoria della mente o abilità di mentalizzazione


prevede almeno 2 elementi: 1. la capacità di attribuire stati mentali (emozioni,
credenze, desideri, intenzioni, pensieri) a sé e agli altri; 2. comprendere che il
comportamento proprio e altrui deriva da questi stati mentali.
In altri termini, significa comprendere che le azioni proprie e altrui sono
indissolubilmente legate ai nostri pensieri e contenuti mentali
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 24
Titolo: TEORIA DELLA MENTE: INTRODUZIONE E PROSPETTIVE TEORICHE
Attività N°: 01

Le funzioni della teoria della mente

R icordiam o inoltre che le funzioni della Teoria della M ente sono m olteplici:
• Sociale
• Adattiva
• Di consapevolezza e riflessione su di sé
• Di organizzazione del Sé
• Protettiva
…. regolatoria

Le vedremo sinteticamente qui si seguito


Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 24
Titolo: TEORIA DELLA MENTE: INTRODUZIONE E PROSPETTIVE TEORICHE
Attività N°: 01
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 24
Titolo: TEORIA DELLA MENTE: INTRODUZIONE E PROSPETTIVE TEORICHE
Attività N°: 01

Funzione di organizzazione del Sé


La ToM permette di riflettere su se stessi non solo nel presente (qui e ora) ma anche
rispetto al passato e al futuro, costituendo la base per lo sviluppo del senso di identità, e
contribuendo così al vissuto di padronanza e di responsabilità rispetto ai propri
comportamenti
Funzione di riflessione su di sé
L’abilità mentalistica permette di riflettere sui propri processi mentali, di comprendere
l’origine e il motore del proprio comportamento, il fatto che le nostre credenze possono
essere erronee, di comprendere le proprie emozioni e la loro origine.

Recentemente, è stata avanzata anche l’ipotesi di una funzione regolatoria della Teoria
della Mente. E’ stato infatti ipotizzato che riconoscere gli stati mentali, in particolare quelli
emotivi, alla base dei comportamenti, consente una gestione flessibile delle proprie
esperienze emotive, che ha ricadute sia sul benessere psicologico personale sia sulle
relazioni sociali.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 24/S1
Titolo: TEORIA DELLA MENTE: INTRODUZIONE E PROSPETTIVE TEORICHE
Attività N°: 01

Le prospettive teoriche

Il contenuto di questa sessione di studio è stato tratto dal capitolo di Flavia Lecciso e
Alessandro Antonietti “CRESCERE CON”: L’INFANZIA COME PROCESSO RELAZIONALE
E MENTALISTICO in R. C. Romano (Ed.), Ciclo vitale e dinamiche educative nella
società postmoderna. Milano: Franco Angeli Editore.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 24/S1
Titolo: TEORIA DELLA MENTE: INTRODUZIONE E PROSPETTIVE TEORICHE
Attività N°: 01

Sebbene il campo di studi sulla teoria della mente sia abbastanza recente, sia
possibile rintracciare due grandi orientamenti teorici (Liverta Sempio,
Marchetti, 1995): un orientamento di matrice piagetiana (Piaget, 1975) sostiene
la scarsa o nulla influenza del sociale sullo sviluppo dell’abilità mentalistica, quindi
ascrive lo specifico iter evolutivo attraversato dal bambino nello sviluppo della teoria
della mente esclusivamente a specifiche differenze individuali (per esempio la presenza
di deficit o patologie specifiche); l’altro orientamento, di matrice vygotskijana
(Vygotskij, 1978), al contrario, enfatizza il ruolo dei fattori sociali per lo sviluppo della
teoria della mente e quindi, oltre a considerare le differenze individuali, pone
attenzione ai correlati socio-emotivi della comprensione mentalistica.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 24/S1
Titolo: TEORIA DELLA MENTE: INTRODUZIONE E PROSPETTIVE TEORICHE
Attività N°: 01
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 24/S1
Titolo: TEORIA DELLA MENTE: INTRODUZIONE E PROSPETTIVE TEORICHE
Attività N°: 01
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 24/S1
Titolo: TEORIA DELLA MENTE: INTRODUZIONE E PROSPETTIVE TEORICHE
Attività N°: 01
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 24/S2
Titolo: TEORIA DELLA MENTE: INTRODUZIONE E PROSPETTIVE TEORICHE
Attività N°: 01

QUALITA’ DELLA RELAZIONE CAREGIVER BAMBINO


E TEORIA DELLA MENTE
Elisabeth Meins e Peter Fonagy

Lecciso, F., & Antonietti, A. (2008). Crescere con”: l’infanzia come processo relazionale e
mentalistico. ROMANO RG (2004)(a cura di), Ciclo di vita e dinamiche educative nella società
postmoderna, Franco Angeli, Milano, 3, 70-92.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 24/S2
Titolo: TEORIA DELLA MENTE: INTRODUZIONE E PROSPETTIVE TEORICHE
Attività N°: 01

Il costrutto di mind-mindedness, diversamente dal costrutto proposto dalla Ainsworth e


coll. (1971), non enfatizza solo la capacità della madre di rispondere in modo appropriato
alle richieste di aiuto e conforto del bambino, bensì presuppone anche l’abilità di
coinvolgersi a livello mentale con il bambino, sostenendo gli stati mentali. sottostanti
all’attività “in progress” di quest’ultimo.
Gli studi della Meins dimostrano che la mind-mindedness del caregiver
esercita un ruolo fondamentale sia nella formazione dei legami di attaccamento sicuri che
nello sviluppo delle competenze mentalistiche (Meins, 1997; Meins, Fernyhough e Russel,
1998; Meins e Fernyhough, 1999; Meins, Fernyhough, Wainwright, Gupta, Fradley e
Tuckey, 2002

E’ stato pertanto dimostrato come la Mind-mindedness materna promuova nel bambino


non solo un maggior senso di auto-efficacia, ma anche una maggiore propensione a
comprendere se stesso e gli altri come agenti mentali.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 24/S2
Titolo: TEORIA DELLA MENTE: INTRODUZIONE E PROSPETTIVE TEORICHE
Attività N°: 01
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Lezione N°: 24/S2
Titolo: TEORIA DELLA MENTE: INTRODUZIONE E PROSPETTIVE TEORICHE
Attività N°: 01

L’aspetto chiave che caratterizza la prospettiva della Meins è il forte intreccio con il
pensiero di Vygotskij, che conduce la studiosa a evidenziare l’importanza delle interazioni
precoci con il caregiver nell’ambito della Zona di Sviluppo Prossimale14. All’interno di
interazioni di tipo triadico (madre-bambino-oggetto), il caregiver, sostenendo il figlio in
maniera sensibile e competente, rende possibile l’interiorizzazione dei processi mentali.
Tutto ciò avviene però esclusivamente nell’ambito di una relazione di attaccamento di tipo
sicuro: secondo Meins, infatti, la madre sensibile, capace di agire all’interno della Zona di
Sviluppo Prossimale del proprio figlio, è quella che instaura un legame di attaccamento di
tipo sicuro con il bambino. A sua volta, tale sicurezza della relazione esercita un effetto a
livello mentalistico, attraverso la mediazione di specifici processi sociali, quali per esempio il
gioco, il linguaggio, l’interazione tra pari. Emerge in maniera chiara il ruolo assegnato alla
figura affettivamente significativa per lo sviluppo del bambino. In particolare la Meins
propone il concetto di mind-mindedness materna, ossia la propensione a trattare il figlio
come soggetto dotato di una mente e ad adoperare, conseguentemente, un linguaggio con
riferimenti a stati mentali.
Meins e coll. (2001) sottolineano che il costrutto di mind-mindedness rappresenta una
specifica forma di sensibilità che fa riferimento alla propensione della madre a considerare il
figlio un agente mentale piuttosto che semplicemente una creatura le cui esigenze devono
essere soddisfatte.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 24/S2
Titolo: TEORIA DELLA MENTE: INTRODUZIONE E PROSPETTIVE TEORICHE
Attività N°: 01
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 24/S3
Titolo: TEORIA DELLA MENTE: INTRODUZIONE E PROSPETTIVE TEORICHE
Attività N°: 01

La teoria della mente: introduzione e


prospettive teoriche
FORUM

In questa lezione avete potuto ripassare il concetto di TOM e cogliere i diversi


approcci teorici nello studio della teoria della mente.

Vi chiedo di discutere sul forum quale approccio teorico vi sembra più


interessante motivando la vostra scelta
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 25
Titolo: SVILUPPO TEORIA DELLA MENTE
Attività n°: 01

TOM:
LE TAPPE DI SVILUPPO

Il contenuto di questa lezione è tratto da: Caravita, Milani, Traficante


(2018) Manuale di psicologia dello sviluppo
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 25
Titolo: SVILUPPO TEORIA DELLA MENTE
Attività n°: 01

Premessa
Un primo elemento di indagine su cui gli studiosi, negli anni Ottanta e Novanta, hanno
posto l’attenzione è stato quello di stabilire a quale età i bambini raggiungessero la
capacità di ragionare sul comportamento in termini metarappresentazionali. Il compito di
falsa credenza (che vedremo tra poco) è diventato la cartina-al-tornasole per la verifica
del possesso della ToM.
Le credenze, insieme con i desideri, sono infatti stati mentali fondamentali per le nostre
azioni nella vita quotidiana, perché il modo in cui noi ci rappresentiamo la realtà guida le
nostre scelte e il nostro comportamento. Come ho già evidenziato, tre sono le ragioni che
spiegano la centralità della comprensione delle credenze per la nostra vita sociale: la
predicibilità del comportamento, che diviene non solo comprensibile, ma anche
prevedibile se sappiamo ciò che l’altro crede; la spiegazione del comportamento, anche
(e soprattutto) per quei comportamenti che, a prima vista strani o poco comprensibili,
divengono più chiari grazie al nostro sforzo di inferire cosa passi per la testa dell’altro; la
manipolazione del comportamento, in quanto conoscere le credenze dell’altro ci consente
di intervenire su di esse. Da questo focus sullo stato mentale della credenza emerge dalla
letteratura un consenso ormai unanime circa la centralità della tappa evolutiva dei
quattro anni, età in cui la maggior parte dei bambini in condizioni di sviluppo tipico
supera il compito di falsa credenza.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 25
Titolo: SVILUPPO TEORIA DELLA MENTE
Attività n°: 01

L’importanza dei 4 anni di età

L’età dei quattro anni è quindi ritenuta una sorta di spartiacque tra una fase evolutiva in
cui il bambino non è ancora in grado di ragionare a livello metarappresentazionale sulla
credenza – tanto da commettere quello che nei compiti di falsa credenza è definito
«errore realistico» (cioè estendere la propria conoscenza della realtà all’altro) – e una fase
successiva in cui raggiunge tale abilità che gli consentirà, negli anni seguenti, di articolare
livelli di ricorsività del pensiero sempre più complessi (pensiero ricorsivo di secondo e di
terzo ordine). Questa centralità della comprensione della credenza comportò una visione
del tipo «tutto-o-nulla» circa lo sviluppo della ToM, dal momento che il superamento della
prova di falsa credenza veniva considerato una sorta di «diploma finale» Tuttavia, come
sottolinearono criticamente Bruner e Feldman: «Identificare il possesso di una ToM con la
capacità di cogliere la distinzione epistemologica tra vera e falsa credenza mette in ombra
il contributo che alla sua elaborazione hanno portato i tre o quattro anni di sviluppo
precedenti a quel passaggio finale» . Da qui l’interesse dei ricercatori verso il percorso
evolutivo che fin dai primi mesi di vita prepara l’acquisizione della teoria della mente.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 25
Titolo: SVILUPPO TEORIA DELLA MENTE
Attività n°: 01

I precursori della TOM: I GESTI DEITTICI

Già nei primi due anni di vita i bambini mostrano di possedere strutture e schemi cognitivi
che preparano la comparsa della ToM, veri e propri precursori quali: il riferimento sociale
(social referencing), l’attenzione condivisa (joint attention), il gesto di indicare con
funzione dichiarativa (declarative pointing), la comprensione dell’agency, la comprensione
della percezione visiva, il gioco di finzione. L’attenzione condivisa e i gesti deittici
costituiscono tappe fondamentali dello sviluppo comunicativo e linguistico, «mattoni»
costitutivi della comunicazione referenziale e della possibilità di condividere il mondo
esterno con l’altro. Negli scambi comunicativi bambino-caregiver, costituiti da sequenze
diadiche che a partire dai 6 mesi lasciano spazio a sequenze triadiche (bambino-caregiver-
oggetto), i gesti deittici svolgono inizialmente una funzione imperativa o richiestiva. Per
esempio, il bambino indica un oggetto lontano (pointing) o alterna lo sguardo tra esso e
l’adulto (joint attention) affinché l’adulto a sua volta lo guardi, lo prenda e glielo porga: si
tratta del performativo richiestivo. Tra gli 11 e i 14 mesi si assiste a un sostanziale
cambiamento: il bambino usa sempre il gesto di indicare, ma lo fa anche per attirare
l’attenzione dell’adulto su qualcosa che è per lui interessante, dunque per il piacere di
condividere con un partner l’interesse verso un elemento della realtà (performativo
dichiarativo). Quella che muta, quindi, è la finalità del gesto deittico, che non viene più
usato esclusivamente per agire meccanicamente sull’altro, bensì per influenzarne lo stato
mentale.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 25
Titolo: SVILUPPO TEORIA DELLA MENTE
Attività n°: 01

I precursori della TOM: l’AGENCY


Con agency si intende la comprensione che gli esseri animati agiscono autonomamente,
causando a propria volta degli effetti su altri oggetti/agenti. Tale concezione, in una
forma di rappresentazione molto precoce e non riflessiva entro il primo anno di vita
[Gergely et al. 1995], costituisce la base per l’elaborazione di nozioni quali la distinzione
tra essere animato e inanimato, l’intenzione, la volontà, da cui scaturirà la concezione
dell’altro come essere autonomo, il cui comportamento – espressione delle intenzioni – è
motivato dagli stati mentali.
I precursori della TOM: IL GIOCO DI FINZIONE
Infine, per quanto concerne il gioco di finzione, i diversi elementi in esso presenti
(sostituzione di oggetti, attribuzione all’oggetto di proprietà immaginarie, invenzione di
oggetti inesistenti) ne consentono la forte valenza simulativa, che apre alla possibilità di
agire «come se», dunque alla possibilità di concepire e manipolare un mondo possibile
accanto al mondo reale. Per esempio, quando il bambino gioca a «far finta di» telefonare
usando una banana come cellulare, il bambino attribuisce all’oggetto una proprietà
simulata e immagina un altro oggetto non presente, dunque compie un’operazione di
disconnessione (decoupling) tra una rappresentazione e il suo referente reale. Il gioco di
finzione è stato annoverato tra le abilità psicologiche maggiormente implicate nello
sviluppo della capacità di comprensione della mente fin dai primi contributi sistematici
sulla ToM [Astington et al. 1988].
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 25
Titolo: SVILUPPO TEORIA DELLA MENTE
Attività n°: 01

La PSICOLOGIA DEL DESIDERIO & DELLA CREDENZA

Attraverso l’analisi del linguaggio spontaneo di bambini tra i due e i quattro anni
osservati in situazioni di vita quotidiana, Wellman e Bartsch [1994] rilevarono come già
a due anni i bambini spieghino i comportamenti delle persone ricorrendo allo stato
mentale del desiderio, mentre i riferimenti esplicativi a pensieri e credenze
compaiono più tardi, verso i tre-quattro anni. Queste evidenze portarono gli
autori a formulare la spiegazione del mutamento concettuale nella comprensione
mentalistica in età prescolare, individuando una sequenza evolutiva in cui il bambino
passerebbe da un precoce mentalismo (due anni), in cui lo stato mentale del desiderio
è la chiave di lettura del comportamento proprio e altrui (psicologia del desiderio), a
una fase successiva (tre anni) in cui la credenza (vera) funge da ulteriore lente con cui
leggere il mondo (psicologia della credenza desiderio), per approdare infine alla
comprensione della falsa credenza (quattro anni circa) come successivo strumento
esplicativo dei comportamenti.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 25/S1
Titolo: SVILUPPO DELLA TEORIA DELLA MENTE
Attività N°: 01

I compiti di Falsa Credenza

I compiti sperimentali della Falsa Credenza sono stati elaborati all’interno degli studi sulla
Teoria della Mente, che, come abbiamo ripetuto, è la capacità di attribuire stati mentali a
se stesso e agli altri. Come avete potuto appurare anche nella ricerca empirica presentata
nella lezione precedente, Il superamento del compito di falsa credenza di primo ordine
avviene in genere verso i 4 anni e indica che il bambino ha acquisito la capacità di
effettuare un ragionamento ricorsivo di primo ordine, che si può sintetizzare come: Io
penso che tu pensi X (Battistelli, 1992).
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 25/S1
Titolo: SVILUPPO DELLA TEORIA DELLA MENTE
Attività N°: 01

LE PROVE CLASSICHE DI FALSA CREDENZA

Le differenti prove classiche per valutare la comprensione della falsa credenza di


primo ordine, sono quelle che avete potuto leggere nell’articolo da me scritto e
presentato nella lezione precedente.
Ovvero, il compito dello spostamento inatteso (Wimmer, Perner, 1983) e quello
della scatola ingannevole.

Nel com pito dello spostam ento inatteso (Wimmer e Perner, 1983; Baron-
Cohen, Leslie e Frith, 1985)
in genere si utilizza un racconto e una tavola illustrata che il bambino può guardare
mentre l’adulto racconta la vicenda. Oppure, invece di leggere la narrazione, si
utilizzano alcuni pupazzi che lo sperimentatore muove riproducendo la vicenda.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 25/S1
Titolo: SVILUPPO DELLA TEORIA DELLA MENTE
Attività N°: 01

Un primo esempio di storia:


“Questa storia parla di un bambino, Maxi, e della sua mamma. La mamma compra a Maxi una
tavoletta di cioccolato. Appena tornati a casa, la mamma e Maxi ripongono il cioccolato
nell’armadietto della cucina: poi Maxi esce dalla stanza. Nel frattempo la mamma prende la
tavoletta di cioccolato per fare una torta, ne usa una parte e ripone l’altra nel cassetto della cucina.
Dopo un po’ Maxi torna e vuole mangiare un pezzo di cioccolato”
Al termine di questa storia si pongono delle domande al bambino:
1. La mamma e Maxi dove ripongono il cioccolato all’inizio della storia?
2. Alla fine della storia, dove si torva il cioccolato?
3. Maxi ha visto la mamma che spostava il cioccolato?
Quindi viene posta la domanda-test, cioè quella sulla falsa credenza: secondo te, quando Maxi
torna in cucina, qual è il primo posto dove cercherà il cioccolato? Perché?

Il bambino che risponde correttamente (ovvero “Maxi cercherà il cioccolato nell’armadietto”) ha


capito che Maxi ha una credenza falsa rispetto alla realtà (e diversa dalla sua) e che agirà di
conseguenza. Chi non ha ancora raggiunto la comprensione della falsa credenza attribuirà a Maxi
le sue stesse conoscenze sulla realtà (“Maxi cercherà il cioccolato nel cassetto, perché la mamma
lo ha spostato lì”).
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 25/S1
Titolo: SVILUPPO DELLA TEORIA DELLA MENTE
Attività N°: 01

Un secondo esempio di storia:

Il compito può prevedere uno scenario con due bambole, Sally e Anna, che insieme
nascondono una biglia in un cestino. In seguito, all’insaputa di Sally, Anna sposta l’oggetto
in una scatola. Sally ritorna sulla scena e al bambino che partecipa allo studio si chiede di
indicare in quale luogo Sally cercherà la biglia.

Il bambino che è in grado di comprendere la falsa credenza di Sally indicherà il cestino e


non il luogo in cui la biglia si trova realmente.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 25/S1
Titolo: SVILUPPO DELLA TEORIA DELLA MENTE
Attività N°: 01

Il compito della scatola ingannevole (Perner, Leekam e Wimmer, 1987)

• Il bambino, insieme ad un amico, viene condotto in una stanza con la promessa che il
ricercatore mostrerà loro il contenuto di una scatola
• All’amico, però, viene anche detto di aspettare il suo turno fuori dalla porta
• All’interno della stanza viene mostrata al bambino una scatola di Smarties
• Si chiede al bambino che cosa pensa che ci sia nella scatola
• Il bambino risponde Smarties
• A questo punto gli si mostra che in realtà si sbaglia e che la scatola contiene una
matita
• Entra il suo amico a cui verrà mostrata la scatola: il bambino deve dire cosa si aspetta
che l’amico pensi ci sia nella scatola:
“Secondo te cosa penserà (nome dell’amico) che ci sia qui dentro?”

Se è interessato/a a conoscere «dal vivo» questo compito, vada al seguente link:


https://www.youtube.com/watch?v=vNqr2iJ1vRQ&feature=endscreen&NR=1
Corso di Laurea: Scienze e tecniche psicologiche (d.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia dello sviluppo tipico e atipico
Lezione n°: 25/s2
Titolo:
Attività n°:
La regolazione nei processi diadici: la prospettiva di tronick
1

Esperienze interattive
atipiche: la depressione materna
simulata

Nelle esperienze interattive il bambino collabora con l’adulto nel perseguire la


reciprocità.
Ma cosa accade quando la madre immobilizza il volto (simulando per pochi minuti
un’interazione atipica, piuttosto usuale quando la madre soffre di depressione)?
Vedremo la risposta di Tronick, attraverso la descrizione dello Still Face Paradigm, o
paradigma del volto immobile
Corso di Laurea: Scienze e tecniche psicologiche (d.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia dello sviluppo tipico e atipico
Lezione n°: 25/s2
Titolo:
Attività n°:
La regolazione nei processi diadici: la prospettiva di tronick
1

Lo Still Face Paradigm

Questa procedura sperimentale, tradotta in italiano come “Paradigma del volto


immobile”, è stata ideata nel 1978 da Ed Tronick e colleghi.
La procedura è utilizzata con neonati di 1-4 mesi, posti di fronte alla mamma.
Inizialmente i due interagiscono normalmente, poi alla mamma è richiesto di tenere il
volto immobile, impassibile, con espressione emotiva neutra, e di non rispondere alle
sollecitazioni di interazione del bambino. Infine, alla madre è richiesto di tornare a
interagire con il figlio.
Corso di Laurea: Scienze e tecniche psicologiche (d.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia dello sviluppo tipico e atipico
Lezione n°: 25/s2
Titolo:
Attività n°:
La regolazione nei processi diadici: la prospettiva di tronick
1

Lo Still Face Paradigm

La procedura d’osservazione prevede tre fasi di due minuti ciascuna nel corso delle
quali alla madre viene chiesto di:
1. Di interagire con il figlio come farebbe abitualmente
2. Di mantenere un’espressione immobile (still-face)
3. Di riprendere a interagire con il figlio
Uno degli scopi principali di questa procedura è produrre una condizione controllata di
stress relazionale che permetta di verificare la capacità del bambino di adattarsi alla
mancata comunicazione materna.

si suggerisce di visionare il video al seguente link:


https://www.youtube.com/watch?v=apzXGEbZht0
Corso di Laurea: Scienze e tecniche psicologiche (d.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia dello sviluppo tipico e atipico
Lezione n°: 25/s2
Titolo:
Attività n°:
La regolazione nei processi diadici: la prospettiva di tronick
1

Paradigma dell’interazione live-replay

Un’altra procedura utilizzata per studiare la relazione è quella dell’interazione differita.


Si basa sul paradigma di ricerca della comunicazione faccia-a-faccia: mamma e bambino si
siedono l’uno di fronte all’altro, facendo in modo che gli occhi della mamma siano allo
stesso livello di quelli del figlio e ad una distanza contenuta (circa 30 cm). I volti vengono
videoregistrati e osservati su uno schermo che presenta contemporaneamente le immagini
dei due volti (schermo diviso) e i comportamento vengono osservati in centesimi di secondo
(si può osservare così la sincronia dei movimenti).
Le osservazioni vengono effettuate quando il piccolo è in uno stato di veglia tranquilla e di
umore positivo. Alla mamma è richiesto di comportarsi normalmente.

L’interazione differita (detta anche paradigma dell’interazione live-replay; Murray, 1980)


permette di studiare, similmente allo Still Face, la sensibilità del lattante alla violazione della
contingenza nel corso dell’interazione faccia-a-faccia.
Corso di Laurea: Scienze e tecniche psicologiche (d.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia dello sviluppo tipico e atipico
Lezione n°: 25/s2
Titolo:
Attività n°:
La regolazione nei processi diadici: la prospettiva di tronick
1

Mamma e bambino sono posti in due stanze adiacenti, ciascuno dei due può osservare
l’altro su uno schermo.
- Già a 2 mesi il piccolo è capace di interagire positivamente con l’immagine della madre
sullo schermo e di comunicare con lei in tempo reale tramite lo schermo. Questa fase è
detta “live”.
- Successivamente viene fatto rivedere al bambino il filmato della comunicazione
immediatamente precedente della madre (si interrompe, quindi, la comunicazione in tempo
reale). Questa fase è quella di “replay”.
Cosa succede? I comportamenti della mamma che il bambino vede sono positivi, ma –
essendo “sfasati” rispetto alla comunicazione reale – non sono contingenti con quanto il
bambino sta facendo.
- A questa fase segue poi la fase “live 2” di ripresa dell’interazione.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 25/S3
Titolo: SVILUPPO DELLA TEORIA DELLA MENTE
Attività N°: 01

PROVA DI APPRENDIMENTO:
somministri il compito di falsa credenza

Ora le chiedo di provare ad esercitarsi dal vivo nella comprensione della tematica della
teoria della mente e di compiti di falsa credenza.
Le suggerisco pertanto di prepararsi (rileggendo con attenzione le slide e procurandosi il
materiale suggerito) alla somministrazione del compito dello spostamento inatteso o della
scatola ingannevole. Cerchi un bambino di 4 anni e provi a somministrarli la prova.

Il bambino/a ha superato il test? Perché?


Risponda inviando le sue note su e-portfolio
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 26
Titolo: QUALITÀ RELAZIONI CURA E TDM: UNA RICERCA EMPIRICA
Attività N°: 01

Riflessività e mind-mindedness materne nello sviluppo della


sicurezza nell’attaccamento e della teoria della mente

In questa lezione vi presenterò una mia ricerca che ha avuto avvio durante la mia tesi di
dottorato. In quel periodo, avevo deciso di approfondire proprio il tema della teoria della
mente, nel tentativo di comprendere come il suo sviluppo potesse dipendere dalla qualità
della relazione caregiver bambino.
Nell’ambito di tale interesse mi sono avvicinata al pensiero di Fonagy e Meins (spiegati
nella lezione precedente) ed ho voluto verificare il diverso effetto della riflessività emotiva
materna e della sua mind-mindedness sia sulla formazione del legane di attaccamento sia
sullo sviluppo della TOM.

L’articolo che leggerete è stato pubblicato nel 2007 sulla rivista italiana di
settore Età Evolutiva.

Leggete con attenzione l’articolo che poi potremo discutere insieme sul forum!
ISSN: 0392-0658 Febbraio 2007 n. 86

Età evolutiva
Rivista d i sc ie nze d e llo sviluppo
Psicologia - Psicopatologia - Psicopedagogia - Psicoanalisi - Etologia - Sociologia

A. Smorti 3 Editoriale

E. Camisasca 5 Riflessività e mind-mindedness materne nello sviluppo della sicurezza


nell’attaccamento e della teoria della mente

A. Nocentini, E. Menesini 16 L’esperienza sociale in un contesto scolastico multietnico. Un’indagine


su bambini italiani e cinesi

L. Di Pentima 27 Attribuzioni di prosocialità e aggressività in classi multietniche. La re-


lazione tra attaccamento e familiarità nell’integrazione tra gruppi

E. De Plano, A. Smorti 40 Differenze cognitive, emotive e sociali tra bambini figli unici e con fra-
telli

LE RELAZIONI DI COPPIA NELLA VITA ADULTA


a cura di
F. Tani 52 Presentazione

A. Bertoni, D. Barni, 58 Comunicazione dello stress, coping diadico e benessere della coppia.
G. Bodenmann, L. Charvoz, Uno studio cross-sectional e cross-nazionale
S. Gagliardi, R. Iafrate, R. Rosnati
F. Tani, P. Steca 67 Soddisfazione di coppia e benessere della persona: determinanti per-
sonali e relazionali
A. Santona, G.C. Zavattini 77 Stili di attaccamento romantico e adattamento di coppia
L. Carli, 85 L’attaccamento al partner come snodo evolutivo tra legame alla fa-
N. Santilli Marcheggiani, miglia di origine e pare ntal inve stm e nt
D. Traficante
A. Simonelli, G. Fava Vizziello, 92 La transizione alla triade fra assunzione della genitorialità e riorga-
M. Bighin, F. De Palo, E. Petech nizzazione della coppia

RASSEGNA
T. Pozzoli, G. Gini 102 Le competenze sociali in bambini con Disturbo da Deficit di Attenzione
e Iperattività

BIBLIOGRAFIA RAGIONATA
P.F. Spadaro 117 Itinerari dell’intersoggettività verso l’educazione

Età evolutiva Età evolutiva - Rivista quadrimestrale © 1978, 2007 GIUNTI EDITORE S.P.A.,
Firenze-Milano, tel. 055.50621/400717, fax 055.5062298. Registrazione del
Direzione, Redazione, Tribunale di Firenze n. 2641 del 28/2/1978. Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in
Amministrazione: A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, c. 1, DCB-C1- FI. IVA
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Tel. (055) 5062.1 orario continuato 9.00-18.00); fax 055.5062397; e-mail: periodici@giunti.it;
www.giunti.it/abbonamenti; c.c.p. 26093500 intestato a Età evolutiva, Firenze.
Servizio vendita diretta libri: tel. 199 195 525 (lun.-ven. orario continuato 9.00-
Massimo Casini, direttore responsabile 18.00); fax 055.5062543; e-mail: info@giunti.it; acquisti on-line: www.giuntistore.it.
Redazione: Glauco Renda,
Maria Chiara Sarti. Stampata presso: Giunti Industrie Grafiche S.p.a., Prato - febbraio 2007.
5 - ETÀ EVOLUTIVA

Elena Camisasca Riflessività e


mind-mindedness
materne nello sviluppo
della sicurezza
nell’attaccamento e
della teoria della mente

Maternal reflectiveness and mind-mindedness in the devel- to assess their Reflective Function; mothers and children
opment of security of attachment and theory of mind. Aim of were also engaged in a Tutorial Task (Meins, 1997) to
this study is to investigate the relationship between ma- assess mothers’ mind-mindedness/sensitivity.
ternal reflective function (Fonagy,Target, 2001) and ma- Results showed a strong correlation between maternal
ternal mind-mindedness (Meins, 1997) and to analyse reflective function and mind-mindedness. It also emerged,
the specific role which these variables play in the de- however, that reflective capacity seems to form a neces-
velopment of attachment security and theory of mind. sary but not always sufficient condition for maternal sen-
Participants were 40 children of 4 years and their mothers. sitivity/mind-mindedness to express itself. Not all re-
Procedure: in a first phase, two different False Belief flective mothers are, at the same time, sensitive. A log-
Tasks and the modified version (Attili, 2001) of the Sep- linear analysis also showed that more than mind-mind-
aration Anxiety Test (Klagsbrun, Bowlby, 1979) were edness, the maternal reflective function was linked to chil-
administered to the children to evaluate their theory of dren’s theory of mind and attachment security, on the
mind and attachment internal working models. In a other hand, was linked to maternal sensitivity/mind-
second phase, mothers were administered an Interview mindedness.

Introduzione∗ possa venire influenzata dalla qualità della rela-


zione adulto-bambino. All’interno di tale pro-
Il presente studio affronta i temi della sicurezza spettiva, la funzione riflessiva (Fonagy, Steele, Steele,
nell’attaccamento e della teoria della mente at- Higgit e Target, 1994; Fonagy e Target, 2001) e
traverso la considerazione della funzione rifles- la mind-mindedness (Meins, 1997; Meins,
siva e della mind-mindedness materne nello svi- Fernyhough, Fradley e Tuckey, 2001) sono con-
luppo di tali competenze. siderate due costrutti cardine al fine di com-
Più precisamente, questo lavoro si inserisce prendere lo sviluppo della sicurezza nell’attacca-
nella prospettiva di studio che, prendendo come mento e della teoria della mente.
quadro teorico di riferimento la teoria dell’at- Fonagy e Target (1997) sottolineano come la
taccamento, spiega come lo sviluppo della capa- funzione riflessiva costituisca un’importante ac-
cità di riflettere sui propri e altrui stati mentali quisizione evolutiva che permette ai bambini di
cogliere i desideri, i sentimenti, le speranze, le in-

tenzioni e le finzioni sottostanti ai comportamenti
Il presente contributo rispetta le norme previste dal co-
dice etico della ricerca e dell’insegnamento dell’Associa- propri e altrui. In altre parole, la funzione rifles-
zione Italiana di Psicologia, sia nei principi generali sia nelle siva permette al bambino di “leggere la mente”
norme specifiche. e, attraverso questa operazione, di spiegare e pre-
ETÀ EVOLUTIVA - 6 Elena Camisasca

vedere il comportamento proprio e altrui. Il vero di catturare gli aspetti dell’attività del bam-
punto di vista di questi autori si basa sull’assunto bino e di aggiungervi una istanza intenzionale
che l’acquisizione della funzione riflessiva avvenga (intentional stance).
attraverso un processo intersoggettivo tra il bam- Tale capacità costituisce inoltre, secondo gli
bino e il caregiver e che i processi sociali che pro- autori, la base di quell’atteggiamento sensibile di
muovono la qualità della mentalizzazione siano cura che i teorici dell’attaccamento considerano
esattamente gli stessi che favoriscono la sicu- la pietra angolare dell’attaccamento sicuro. At-
rezza dell’attaccamento. taccamento sicuro che, a sua volta, fornisce le basi
La posizione teorica di Fonagy che enfatizza psicosociali per l’acquisizione della teoria della
il ruolo dell’adulto nello sviluppo della teoria della mente, attraverso l’esplorazione del mondo men-
mente non è pienamente condivisa né dagli au- tale del genitore (Fonagy, Steele, Steele, Leigh,
tori che sottolineano l’esistenza di un sistema co- Kennedy e Target, 1995; Fonagy, Redfern e
gnitivo innato (ToMM), avente una specifica col- Charman, 1997).
locazione cerebrale e specializzato nella costru- L’attenzione alla qualità della relazione adulto-
zione di metarappresentazioni (Leslie, 1987; bambino nello sviluppo della sicurezza nell’at-
Baron-Cohen, 1988; Fodor, 1992; 1994), né da taccamento e della teoria della mente è ravvisa-
coloro che sottolineano come il bambino sviluppi, bile anche negli studi di Meins (1997; Meins et
sulla base dell’esperienza, una sorta di teoria al., 2001) che, attraverso una interessante revisione
scientifica di proposizioni interdipendenti rela- del costrutto di sensibilità materna, introducono
tive alla mente (Gopnik e Meltzoff, 1997), né, il concetto di mind-mindedness (concetto non
infine, dagli autori che considerano la teoria della traducibile letteralmente in italiano ma che as-
mente il risultato di una routine di simulazione sume il significato di “predisposizione a consi-
per mezzo della quale possiamo fingere di met- derare la mente”).
terci nei panni mentali degli altri e utilizzare la La revisione del costrutto di sensibilità è stata,
nostra mente come modello per comprendere la in qualche modo, sollecitata dalla pubblicazione
mente altrui (Gordon, 1986; Harris, 1991; 1992). di due importanti studi di meta-analisi (Goldsmith
Ciononostante, il merito di Fonagy e Target e Alansky, 1987; de Wolff e van IJzendoorn, 1997)
(1997; 2001), anche per coloro che non condi- che hanno posto in discussione l’assunto centrale
vidono teoricamente la loro impostazione, è della teoria dell’attaccamento, ovvero il ruolo
quello di aver analizzato in modo puntuale il ruolo della sensibilità materna nello sviluppo della si-
della relazione emotiva tra bambino e caregiver curezza nell’attaccamento (Ainsworth, Blehar,
nel promuovere la comprensione mentalistica. Re- Waters e Wall, 1978; Isabella e Belsky, 1991; Isa-
lazione affettiva che, sebbene non possa venire bella, 1993). Tali meta-analisi, infatti, eviden-
considerata il solo fattore interveniente, sembra ziando l’importanza di alcuni comportamenti
comunque esercitare un ruolo nello sviluppo genitoriali quali la mutualità, la sincronia, la sti-
della teoria della mente. molazione e il supporto emozionale, sostengono
Fonagy e Target (1997; 2001) ritengono, in- che la sensibilità non possa più venire conside-
fatti, che il caregiver sensibile faciliti la crea- rata il fattore determinante nella costruzione di
zione di modelli mentalistici attraverso com- legami di attaccamento sicuri.
plessi processi comunicativo-linguistici che mo- Tale drastica conclusione è stata tuttavia posta
strano al bambino come il suo comportamento in discussione sia da Fonagy e collaboratori che
possa venire meglio compreso se fatto risalire a da Meins e collaboratori. I primi (Fonagy e coll.,
idee e sentimenti. Nella formazione del “sé ri- 1994; Fonagy e Target, 1997) sostengono che gli
flessivo”, secondo Fonagy e coll. (1994), assume studi presenti nella rassegna di Goldsmith e
un’importanza decisiva la capacità del caregiver Alansky (1987) sembrano aver confuso due di-
di porsi come specchio sociale (social mirror) ov- stinti processi psichici entrambi necessari per l’e-
Riflessività e mind-mindedness materne 7 - ETÀ EVOLUTIVA

spressione di un comportamento sensibile. Il sottostanti all’attività “in progress” di quest’ultimo.


primo riguarda la capacità della madre di espri- Secondo Meins, la mind-mindedness del caregiver
mere sentimenti positivi, dolcezza, calore, inco- esercita un ruolo fondamentale sia nella forma-
raggiamento e accessibilità; l’altro concerne la zione dei legami di attaccamento sicuri che nello
capacità della madre di considerare il bambino una sviluppo delle competenze mentalistiche (Meins,
entità mentale, un essere umano con intenzioni, 1997; Meins, Fernyhough e Russel, 1998; Meins
sentimenti e desideri. I secondi (Meins e coll., e Fernyhough, 1999; Meins, Fernyhough,Wain-
2001) sottolineano come la maggior parte degli wright, Gupta, Fradley e Tuckey, 2002).
studi esaminati nella meta-analisi di de Wolff e A mio parere, è possibile sottolineare come i
van IJzendoorn (1997), non facendo riferimento lavori di Fonagy e Target (1997; 2001) abbiano
al concetto di sensibilità, come è stato concet- evidenziato il ruolo della sensibilità materna
tualizzato da Ainsworth, Bell e Stayton (1971)1, nello sviluppo della sicurezza dell’attaccamento
non hanno ben differenziato le due distinte com- e della teoria della mente solo da un punto di vista
petenze che caratterizzano tale costrutto: la re- teorico mentre, a livello empirico, essi hanno inve-
sponsività ai segnali del bambino e l’appropria- stigato solo la funzione riflessiva dei genitori
tezza della risposta. Proprio in questo interessante nella formazione dei legami di attaccamento di
lavoro di revisione del costrutto di sensibilità ma- tipo sicuro nei bambini (Fonagy e coll., 1991;
terna, Meins e coll. (2001) sottolineano che il co- 1995); attaccamento che, a sua volta, è risultato
strutto di mind-mindedness rappresenta una spe- connesso con lo sviluppo della teoria della mente
cifica forma di sensibilità che fa riferimento alla (Fonagy, Redfern e Charman, 1997).
propensione della madre a considerare il figlio un Diversamente, i lavori di Meins (Meins, 1997;
agente mentale piuttosto che semplicemente una Meins e coll., 2002) hanno analizzato empirica-
creatura le cui esigenze devono essere soddi- mente il ruolo della sensibilità/mind-mindedness
sfatte. Il costrutto di mind-mindedness, diversa- nello sviluppo della sicurezza dell’attaccamento
mente dal costrutto proposto dalla Ainsworth e e della teoria della mente nei bambini ma non
coll. (1971), non enfatizza solo la capacità della hanno esplorato il ruolo della funzione riflessiva
madre di rispondere in modo appropriato alle ri- né le possibili interconnessioni esistenti fra questo
chieste di aiuto e conforto del bambino, bensì pre- costrutto e la mind-mindedness.
suppone anche l’abilità di coinvolgersi a livello men- Lo studio delle possibili interconnessioni tra ri-
tale con il bambino, sostenendo gli stati mentali flessività e mind-mindedness e l’analisi delle spe-
cifiche associazioni di queste due variabili con
1
la sicurezza nell’attaccamento e la teoria della
Ainsworth e coll. (1971) definiscono la sensibilità come mente sembrano dunque costituire un’area di in-
la capacità e la volontà del caregiver di percepire le co-
municazioni dei bambini riflesse nei loro comportamenti, dagine ancora “poco esplorata”.
nell’espressione emotiva e nelle vocalizzazioni; di vederle Proprio nel tentativo di contribuire ad un ini-
e interpretarle dal punto di vista dei bambini e di rispon- ziale ampliamento delle conoscenze su questa spe-
dervi in modo adeguato e tempestivo secondo i loro bi- cifica area, il presente studio si propone un du-
sogni evolutivi ed emotivi. Nella scala a 9 punti costruita plice obiettivo: da un lato approfondire la rela-
dagli autori “The Sensitivity vs. Insensitivity Scale” (dove il
punteggio 9 corrisponde a una madre altamente sensibile; zione tra funzione riflessiva e mind-mindedness
il punteggio 7 a una madre sensibile; il punteggio 5 a una materne, dall’altro esplorare in che modo le com-
madre sensibile in modo incostante; il punteggio 3 a una petenze cognitive ed emotive materne, riflesse
madre insensibile e il punteggio 1 a una madre altamente nella capacità riflessiva e nella mind-minded-
insensibile), viene ben specificato come il costrutto di sen- ness, risultino connesse alla teoria della mente e
sibilità presupponga 4 essenziali componenti: 1) la consa-
pevolezza dei segnali del bambino; 2) la loro interpretazione ac- alla sicurezza nell’attaccamento dei bambini.
curata; 3) la risposta appropriata a tali segnali; 4) la risposta sol- Relativamente al primo obiettivo di ricerca, l’i-
lecita. potesi del presente studio è che i due costrutti
ETÀ EVOLUTIVA - 8 Elena Camisasca

(riflessività e mind-mindedness) siano tra loro (Baron-Cohen, Leslie e Frith, 1985; Perner,
connessi in quanto caratterizzati da aspetti in Leekam e Wimmer, 1987) per valutare la pre-
parte sovrapponibili. Infatti il concetto di mind- senza della teoria della mente e il Separation
mindedness di Meins (1997) risulta, a mio avviso, Anxiety Test di Klagsbrun e Bowlby (1976),
composto da due aspetti centrali: da una parte la nella versione modificata da Attili (2001), per mi-
capacità riflessiva e dall’altra la capacità e la vo- surare la rappresentazione mentale dell’attacca-
lontà di rispondere in modo appropriato allo mento. In una seconda fase, a domicilio, alle
stato mentale del figlio. Relativamente al se- madri sono stati proposti un’intervista metacognitiva
condo obiettivo, l’ipotesi è che le specifiche di- per valutare la loro capacità riflessiva e un Com-
mensioni cognitive ed emotive riflesse nella ca- pito Tutoriale – da realizzare col proprio figlio
pacità riflessiva e nella mind-mindedness siano (Meins, 1997) – per valutare la loro mind-
correlate alla teoria della mente e alla sicurezza mindedness.
nell’attaccamento.
In sintesi, il presente lavoro, condotto con un Strumenti
campione composto da due sottogruppi di bam-
bini di 4 anni, sulla base della diversa performance I Compiti di Falsa Credenza. Sono state utiliz-
in due compiti di Falsa Credenza, si propone di zate due diverse versioni del Paradigma di Falsa
verificare le relazioni tra capacità riflessiva e Credenza, introdotto da Wimmer e Perner (1983),
mind-mindedness materne e di investigare even- per valutare la presenza di una teoria della mente
tuali connessioni di queste due competenze con nei bambini: il compito dello spostamento inatteso
la teoria della mente e la sicurezza nell’attacca- (Wimmer e Perner, 1983; Baron-Cohen, Leslie
mento. e Frith, 1985) e il compito della scatola ingannevole
(Perner, Leekam e Wimmer, 1987). Il primo
compito prevede uno scenario con due bambole,
Metodologia Sally e Anna, che insieme nascondono una bi-
glia in un cestino. In seguito, all’insaputa di Sally,
Campione Anna sposta l’oggetto in una scatola. Sally ritorna
sulla scena e al bambino che partecipa allo studio
Il campione della ricerca, suddiviso in due sot- si chiede di indicare in quale luogo Sally cercherà
togruppi, è composto da 40 bambini (21 maschi la biglia.
e 19 femmine) di 4 anni (età media = 48.95 mesi; Il bambino che è in grado di comprendere la
DS = 3.64 mesi) e dalle loro madri. Il primo sot- falsa credenza di Sally indicherà il cestino e non
togruppo è composto da 21 bambini che hanno il luogo in cui la biglia si trova realmente. Il se-
superato entrambi i Compiti di Falsa Credenza, condo compito proposto prevede uno scenario
il secondo da 19 bambini che hanno risposto in analogo all’esperimento classico della “Scatola
modo errato in entrambe le prove. È stata veri- degli Smarties”, dove al posto della scatola degli
ficata, attraverso informazioni ottenute dalle in- Smarties, ormai non più così familiare ai bam-
segnanti di scuola materna e dalle madri, l’assenza, bini, è stata utilizzata una custodia di una vi-
nei bambini, di deficit intellettivi, problematiche deocassetta contenente un peluche al posto della
comportamentali e handicap fisici. videocassetta. Ad ogni partecipante allo studio è
stata mostrata la custodia della videocassetta e gli
Procedura è stato chiesto di indicare che cosa contenesse.
Una volta ottenuta la risposta del bambino, è stato
In una prima fase, presso la scuola materna, mostrato il reale contenuto della custodia, ovvero
sono stati somministrati ai bambini due diversi il peluche. Dopo aver riposizionato il peluche nella
Compiti di Falsa Credenza (False Belief Task) custodia della videocassetta, al bambino sono
Riflessività e mind-mindedness materne 9 - ETÀ EVOLUTIVA

state rivolte due domande: «Cosa hai pensato che le ha suscitato riflessioni e/o emozioni e/o
che ci fosse dentro la scatola prima di aprirla?» e aspettative». Gli episodi piacevoli che sono stati
«Immaginiamo che il tuo migliore amico veda maggiormente raccontati descrivono interazioni
la scatola chiusa: che cosa penserà che ci sia madre-figlio connotate da affettuosità e mo-
dentro?». La risposta corretta ad entrambe queste menti di gioco, svago e vacanza. Gli episodi spia-
domande ha permesso di individuare la presenza cevoli descrivono situazioni caratterizzate da ma-
di una teoria della mente nel bambino. lattie, piccoli incidenti, capricci e disobbedienze
del figlio. In seguito al racconto spontaneo, sono
Separation Anxiety Test. È stata utilizzata la ver- state rivolte alcune specifiche domande di ap-
sione modificata da Attili (2001) del Separation profondimento che, secondo le indicazioni di Fo-
Anxiety Test di Klagsbrun e Bowlby (1976) per nagy, Steele, Steele e Target (1997), permettono ed
misurare la rappresentazione mentale dell’attac- esigono di dimostrare la capacità di riflettere sui
camento. Il test comprende due serie di sei vi- propri e gli altrui stati mentali. Qui di seguito ven-
gnette, una per i maschi e una per le femmine, gono riportate tali domande di approfondimento:
raffiguranti situazioni di separazione brevi e lunghe. in corsivo, vengono indicate le domande che
La somministrazione prevede che, individual- permettono di esprimere una competenza rifles-
mente, a ciascun partecipante allo studio venga siva, mentre le domande che esigono di dimostrare
detto: «Vorrei che tu mi aiutassi a capire cosa pro- tale competenza sono sottolineate.
vano i bambini quando qualche volta i genitori
devono andare via e devono lasciarli per un po’ Durante l’episodio narrato, lei come si è sentita? Suo
di tempo. In genere alcuni bambini si sentono figlio/a come si è sentito/a?
soli, altri sono comunque contenti, altri si ar- Lei come si è comportata? Suo figlio/a cosa ha fatto?
rabbiano, altri hanno paura. Ho qui dei disegni Perché pensa di essersi comportata nel modo che mi
in cui c’è un bambino/a della tua età e ora ti farò ha descritto?
alcune domande». In seguito alla presentazione Perché pensa che suo/a figlio/a si sia comportato/a
e descrizione di ogni tavola, sono state rivolte nel modo che mi ha descritto?
quattro domande, relative ad un bambino ipo- A suo parere, il suo comportamento rispecchiava le
tetico: «Cosa prova secondo te il/la bambino/a aspettative e/o i desideri di suo/a figlio/a?
nel disegno?»; «Perché pensi che questo/a bam- Si aspettava che suo/a figlio/a si comportasse così?
bino/a provi questo?»; «Cosa pensi che faccia, ora,
questo/a bambino/a?»; «Cosa farà questo/a bam- Codifica
bino/a quando rivedrà la madre (o i genitori)?». Relativamente al processo di codifica si è fatto
La codifica delle risposte è stata realizzata se- esclusivo riferimento alle indicazioni contenute
guendo le indicazioni di Attili (2001). nel Manuale della Funzione Riflessiva di Fo-
nagy, Steele, Steele e Target (1997), a cui si ri-
L’intervista metacognitiva. Si tratta di un’intervista manda per maggiori dettagli, e che prevede l’as-
semistrutturata, appositamente costruita da chi segnazione, ai contenuti dell’intervista, di diversi
scrive, al fine di valutare la capacità riflessiva ma- punteggi della funzione riflessiva (RF) su una scala
terna. Alle madri è stato chiesto di raccontare tre da –1 a 9 punti: –1 = FR Negativa e Ostile: l’in-
diversi episodi (uno piacevole, uno spiacevole, e tervistato oppone una resistenza sistematica ad as-
uno qualsiasi scelto a caso tra piacevole e spia- sumere una posizione riflessiva nel corso di tutto
cevole) che le ha viste protagoniste insieme ai loro il colloquio. 1 = FR Carente: l’intervistato, in al-
bambini. In particolare, alle madri è stata rivolta cuni momenti, parla di stati mentali propri o al-
la seguente consegna: «Pensando al rapporto con trui senza tuttavia evidenziare un quadro coerente
suo figlio, mi racconti un episodio o una situa- delle convinzioni e dei sentimenti che stanno alla
zione (piacevole, spiacevole...) che l’ha colpita e base dei diversi comportamenti. 3 = FR Dubbia
ETÀ EVOLUTIVA - 10 Elena Camisasca

o Scarsa: l’intervistato dimostra una compren- Tale punteggio è stato poi trasformato in una
sione degli stati mentali ma tale consapevolezza variabile categoriale a due livelli: Alta capacità di
risulta banale e unidimensionale, nel senso che mind-mindedness e Scarsa capacità di mind-
non riflette mai emozioni miste o conflitto, ed mindedness.
è spesso accompagnata da un utilizzo eccessivo
di stereotipi. 5 = FR Comune: i racconti dell’in-
tervistato sono caratterizzati da aspetti che ren- Risultati
dono esplicita la funzione riflessiva, anche se il
conflitto e l’ambivalenza che connotano gli stati Capacità riflessiva e mind-mindedness materne: quale
mentali ed emotivi non risultano sempre ben relazione?
compresi. 7 = FR Notevole: il racconto dell’in-
tervistato presenta numerose affermazioni indi- Al fine di valutare la possibile relazione tra la
cative di funzione riflessiva e vengono forniti molti variabile capacità riflessiva (considerata nelle due
particolari sui pensieri e sui sentimenti anche am- categorie: Comune/Alta: n = 16; Assente/Scarsa:
bivalenti di tutti i protagonisti. 9 = FR Eccezio- n = 24) e la variabile mind-mindedness materna
nale: il racconto dell’intervistato rivela un grado (considerata nelle due categorie: Alta: n= 13 e
di sofisticazione eccezionale, gli stati mentali Scarsa: n = 27) è stato realizzato il test c2.
considerati, complessi o elaborati, dimostrano un I risultati ottenuti hanno convalidato l’ipotesi
modo di ragionare in termini di causa ed effetto. che si tratti di due costrutti fortemente connessi
L’analisi delle interviste è avvenuta attraverso [c2 (1, N = 40) = 15.973, p <.001].
un confronto inter-giudice che, nei casi dubbi Le madri che presentano un’alta capacità ri-
(15%), si è risolto con l’intervento di un terzo flessiva sono infatti, nella maggioranza dei casi
giudice esperto.All’intervista, considerata nel suo (n = 11; 84.6%), anche dotate di mind-minded-
insieme, è stato dunque attribuito un punteggio ness (fig. 1). In altre parole, si potrebbe dire che
relativo alla funzione riflessiva. è necessario che una madre sappia cogliere cor-
rettamente lo stato mentale del figlio per potervi
Il Compito Tutoriale. Si tratta di un compito di rispondere in modo appropriato. È tuttavia
costruzione con pezzetti di legno, simile al com- emerso che la capacità riflessiva sembra costituire
pito di costruzione di una scatola ideato da Meins una condizione necessaria ma non per questo
(1997), che valuta la mind-mindedness materna. sempre sufficiente affinché possa esprimersi la
Il bambino viene invitato a costruire una figura sensibilità/mind-mindedness materna. Non tutte
con l’aiuto della madre, a partire da una figura le madri riflessive (n = 5; 31.3%) sono, al tempo
modello. stesso, sensibili, ovvero in grado di considerare
il bambino come dotato di una sua mente e di
Codifica rispondere in modo appropriato. Possiamo in-
Per quanto riguarda la procedura di codifica si fatti immaginare che esistano madri in grado di
è fatto esclusivo riferimento alle indicazioni pre- cogliere lo stato mentale, le richieste e le esigenze
sentate in letteratura da Meins (1997), a cui si ri- del bambino ma che, al tempo stesso, non siano
manda per maggiori dettagli. desiderose o intenzionate a rispondervi, oppure,
La sensibilità/mind-mindedness materna è stata possiamo ipotizzare che tali madri siano ostacolate
definita come la capacità di modificare il livello di da circostanze esterne nel rispondere in modo
specificità dei propri interventi in funzione della pre- appropriato al figlio.
stazione del figlio; il punteggio di sensibilità è stato
attribuito sulla base della proporzione di cambiamenti
adeguati in relazione al totale degli interventi nel com-
pito.
Riflessività e mind-mindedness materne 11 - ETÀ EVOLUTIVA

Fig. 1 - Capacità riflessiva e mind-mindedness materne.

25
22
20

15
11
10
5
5
2
0
Scarsa capacità riflessiva Alta capacità riflessiva
Alta mind-mindedness Scarsa mind-mindedness

Capacità riflessiva e mind-mindedness materne, sicu- menti in termini di stati mentali favoriscano nei
rezza nell’attaccamento e teoria della mente nei bam- figli lo sviluppo della teoria della mente. Non è
bini: quale relazione? tuttavia da escludere che proprio questi bambini,
dotati di teoria della mente e quindi desiderosi
Al fine di analizzare la relazione di riflessività di cogliere lo stato mentale sottostante ai com-
e mind-mindedness materne con la sicurezza portamenti, sollecitino in modo più articolato e
nell’attaccamento e la teoria della mente è stata frequente le madri ad esprimere la propria com-
condotta un’analisi di tipo log-lineare. Le 4 va- petenza riflessiva attraverso interazioni verbali
riabili nominali inserite nell’analisi sono: Capa- caratterizzate dal continuo riferimento a inten-
cità Riflessiva (Comune/Alta: n = 16; Assente/Scarsa: zioni, volizioni, credenze e desideri.
n = 24); Mind-mindedness materna (Alta: n = 13; Possiamo quindi concludere che, se da un lato
Scarsa: n = 27); Attaccamento (Sicuro: n = 15; In- la capacità riflessiva della madre può favorire lo
sicuro: n = 25); Performance ai Compiti di Falsa Cre- sviluppo di un’analoga competenza nel figlio, al
denza (Superato: n = 21; Non Superato: n = 19). tempo stesso non è possibile escludere che pro-
I risultati (fig. 2) indicano la presenza di una prio i bambini dotati di teoria della mente solle-
relazione significativa a livello della duplice in- citino le proprie madri a utilizzare forme più ar-
terazione e precisamente: ticolate e complesse di competenza mentalistica;
– tra riflessività e mind-mindedness [c2 (2, N = – tra mind-mindedness e sicurezza nell’attacca-
40) = 9.910, p < .001], in accordo con i risultati mento [c2 (2, N = 40) = 6.112, p < .01], nel senso
precedentemente presentati; che i bambini con attaccamento sicuro hanno
– tra capacità riflessiva della madre e teoria della mente madri che presentano un’alta capacità di mind-
nei bambini [c2 (2, N = 40) = 13.985, p < .001], mindedness.
nel senso che i bambini che presentano una Questo dato è in linea con gli studi che sot-
teoria della mente hanno madri con alta capa- tolineano l’importanza specifica della sensibi-
cità riflessiva. È quindi probabile, come sottoli- lità/mind-mindedness nella formazione dell’at-
neano Fonagy e coll. (1991; 1995), che le madri taccamento sicuro (Ainsworth e coll., 1978;
propense a discutere gli eventi ed i comporta- Meins, 1997; Meins e coll., 2002).
ETÀ EVOLUTIVA - 12 Elena Camisasca

Fig. 2 - I risultati dell’analisi log-lineare.

Capacità riflessiva p < .001 Mind-mindedness


materna materna

p < .001 p < .01

Teoria della p < .05 Attaccamento dei


mente bambini

I dati evidenziano infatti che i figli di madri esecutivo ascrivibili ai bambini stessi. In parti-
capaci non solo di cogliere lo stato mentale del colare, in linea con quanto sottolineato da La-
bambino ma anche di rispondervi in modo ap- bruyère (2003) e Zalla (2003), si potrebbe spie-
propriato e contingente presentano legami di gare il superamento o il fallimento nei Com-
attaccamento sicuro; piti di Falsa Credenza attraverso la considera-
– tra sicurezza nell’attaccamento e teoria della zione delle differenti abilità di tipo esecutivo che
mente [c2 (2, N = 40) = 4.568, p < .05], nel senso implicano meccanismi cognitivi di pianifica-
che i bambini che hanno legami di attaccamento zione delle sequenze di azione, memoria ope-
sicuri presentano una teoria della mente. rativa, inibizione di risposte predominanti o di
Le ipotesi esplicative di questo dato desunte dalla routine, flessibilità e capacità attentivo-selettiva
posizione teorica di Fonagy (Fonagy, Redfern e al contesto.
Charman, 1997) e Meins (1997; Meins e coll., I dati di questo studio non sono in grado di
2002) vedono nella sicurezza nell’attaccamento fornire una risposta chiara rispetto a quale possa
la base psicologica per l’acquisizione della teoria essere lo specifico contributo svolto dalla sicu-
della mente. Sebbene non sia del tutto evidente rezza affettiva e dalle capacità di tipo cognitivo,
in che modo la sicurezza nell’attaccamento possa dal momento che in questo lavoro non sono
sviluppare la teoria della mente, Fonagy e Target stati analizzati né i meccanismi cognitivi relativi
(2001) suggeriscono che i bambini sicuri, più tran- alle funzioni esecutive né il quoziente intellet-
quilli rispetto agli insicuri nell’esplorare lo stato tivo dei bambini.
mentale del caregiver, trovano nella mente di
chi presta loro le cure una immagine di se stessi
motivata da credenze, sentimenti e intenzioni. In Discussione e conclusioni
altre parole, una immagine di sé come individui
capaci di mentalizzare. È già stato sottolineato che la presente ricerca,
È anche vero, tuttavia, che le differenti pre- prendendo spunto dai lavori di Fonagy e Target
stazioni dei bambini nei compiti di falsa credenza (2001) e Meins (1997), affronta i temi della si-
potrebbero venire spiegate considerando anche curezza nell’attaccamento e della teoria della
il ruolo di altri fattori, come ad esempio il quo- mente attraverso la considerazione della fun-
ziente intellettivo o le diverse abilità di tipo zione riflessiva e della mind-mindedness materne,
Riflessività e mind-mindedness materne 13 - ETÀ EVOLUTIVA

proponendosi in particolare un duplice obiet- Relativamente alla possibile relazione tra le


tivo. In primo luogo, di verificare empirica- specifiche competenze materne e la teoria della
mente l’ipotesi che riflessività e mind-minded- mente e la sicurezza nell’attaccamento nei figli,
ness siano due costrutti in parte sovrapponibili, i dati a disposizione indicano che la capacità ri-
al punto da ritenere che la mind-mindedness sia flessiva materna risulta più fortemente connessa
caratterizzata da una componente “di tipo ri- alla teoria della mente nei bambini, rispetto alla
flessivo” – che si esprime nella capacità di co- mind-mindedness materna.
gliere e interpretare correttamente gli stati men- Riprendendo in esame i concetti di capacità ri-
tali del bambini – e da una componente di “tipo flessiva e mind-mindedness alla luce di tali risul-
emotivo/comportamentale” – caratterizzata dalla tati, è interessante sottolineare il maggior peso
propensione e capacità di rispondere in modo svolto dalla capacità riflessiva sulla teoria della
appropriato allo stato mentale del figlio. Il se- mente.Tale connessione è spiegabile, come è stato
condo obiettivo dello studio, subordinato al sottolineato in precedenza, pensando a un in-
primo, si propone di esplorare le possibili rela- contro, su un terreno propriamente cognitivo,
zioni tra le competenze cognitive ed emo- tra madre e figlio che fa recedere sullo sfondo la
tivo/comportamentali delle madri, riflesse nella dimensione emotivo/comportamentale riscon-
capacità riflessiva e nella mind-mindedness, e la trabile nella propensione a fornire risposte ap-
sicurezza affettiva e la teoria della mente dei propriate, tipica della sensibilità/mind-minded-
figli. ness.
Alla luce di tali premesse, possiamo iniziare Viceversa, la maggiore relazione riscontrata fra
col dire che i risultati hanno confermato l’esi- sicurezza nell’attaccamento e sensibilità/mind-
stenza di una stretta connessione tra riflessività e mindedness avvalora il ruolo della dimensione
mind-mindedness materne. Più precisamente, è emotivo/comportamentale nella formazione dei
emerso che la capacità riflessiva costituisce una modelli operativi interni di tipo sicuro. In linea
condizione necessaria ma non per questo suffi- con la letteratura, sembrerebbe quindi che nella
ciente affinché possa esprimersi la sensibi- costruzione che il bambino realizza dell’imma-
lità/mind-mindedness materna. Le madri rifles- gine di sé come individuo degno di amore e
sive del campione, infatti, interagiscono coi figli degli altri come soggetti affidabili risulti partico-
in modo sensibile nella maggioranza dei casi, larmente importante il desiderio/volontà e pro-
mentre le madri con bassa capacità riflessiva in- pensione della madre di rispondere in modo ap-
teragiscono, nella quasi totalità dei casi, in modo propriato e contingente allo stato mentale del fi-
insensibile. Non tutte le madri riflessive, tuttavia, glio (Ainsworth e coll., 1978; Meins, 1997; Meins
sono al tempo stesso sensibili. Esiste infatti un e coll., 2001).
gruppo di madri riflessive (31%) che non si di- In conclusione, il presente studio, se da un lato
mostra sensibile/mind-minded nella interazione ha permesso un parziale ampliamento delle co-
col figlio. noscenze circa la relazione tra i costrutti di ca-
Questi risultati sembrano dunque avvalorare pacità riflessiva e mind-mindedness e l’esplora-
l’idea originaria di Ainsworth e coll. (1971), poi zione delle loro relazioni con la sicurezza del-
ripresa da Meins e coll. (2001), che vede la sen- l’attaccamento e la teoria della mente, dall’altro
sibilità materna come una competenza com- proprio perché si focalizza esclusivamente su tali
plessa contraddistinta da componenti cognitive, costrutti presenta alcuni limiti che non hanno per-
che permettono di cogliere e interpretare cor- messo, ad esempio, una migliore interpretazione
rettamente le comunicazioni del bambino, e da dei risultati relativi alla teoria della mente dei bam-
componenti emotivo/comportamentali, che im- bini. In questo lavoro è infatti mancato un ap-
plicano la propensione a fornire risposte appro- profondimento delle competenze cognitive dei
priate e contingenti. bambini e, in particolare, delle loro abilità di tipo
ETÀ EVOLUTIVA - 14 Elena Camisasca

esecutivo, che avrebbe potuto contribuire a me- bini potrebbe dunque costituire un utile svi-
glio spiegare i risultati ottenuti nei compiti di falsa luppo per un approfondimento delle conoscenze
credenza. sul tema.
Pensando ad un eventuale prosieguo dello
studio, l’analisi delle possibili interazioni tra com- C.R.T.I. – Dipartimento di Psicologia
petenze esecutive e teoria della mente nei bam- Università Cattolica del Sacro Cuore – Milano

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ISSN: 0392-0658 Febbraio 2007 n. 86

Età evolutiva
Rivista d i sc ie nze d e llo sviluppo
Psicologia - Psicopatologia - Psicopedagogia - Psicoanalisi - Etologia - Sociologia

A. Smorti 3 Editoriale

E. Camisasca 5 Riflessività e mind-mindedness materne nello sviluppo della sicurezza


nell’attaccamento e della teoria della mente

A. Nocentini, E. Menesini 16 L’esperienza sociale in un contesto scolastico multietnico. Un’indagine


su bambini italiani e cinesi

L. Di Pentima 27 Attribuzioni di prosocialità e aggressività in classi multietniche. La re-


lazione tra attaccamento e familiarità nell’integrazione tra gruppi

E. De Plano, A. Smorti 40 Differenze cognitive, emotive e sociali tra bambini figli unici e con fra-
telli

LE RELAZIONI DI COPPIA NELLA VITA ADULTA


a cura di
F. Tani 52 Presentazione

A. Bertoni, D. Barni, 58 Comunicazione dello stress, coping diadico e benessere della coppia.
G. Bodenmann, L. Charvoz, Uno studio cross-sectional e cross-nazionale
S. Gagliardi, R. Iafrate, R. Rosnati
F. Tani, P. Steca 67 Soddisfazione di coppia e benessere della persona: determinanti per-
sonali e relazionali
A. Santona, G.C. Zavattini 77 Stili di attaccamento romantico e adattamento di coppia
L. Carli, 85 L’attaccamento al partner come snodo evolutivo tra legame alla fa-
N. Santilli Marcheggiani, miglia di origine e pare ntal inve stm e nt
D. Traficante
A. Simonelli, G. Fava Vizziello, 92 La transizione alla triade fra assunzione della genitorialità e riorga-
M. Bighin, F. De Palo, E. Petech nizzazione della coppia

RASSEGNA
T. Pozzoli, G. Gini 102 Le competenze sociali in bambini con Disturbo da Deficit di Attenzione
e Iperattività

BIBLIOGRAFIA RAGIONATA
P.F. Spadaro 117 Itinerari dell’intersoggettività verso l’educazione

Età evolutiva Età evolutiva - Rivista quadrimestrale © 1978, 2007 GIUNTI EDITORE S.P.A.,
Firenze-Milano, tel. 055.50621/400717, fax 055.5062298. Registrazione del
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Massimo Casini, direttore responsabile 18.00); fax 055.5062543; e-mail: info@giunti.it; acquisti on-line: www.giuntistore.it.
Redazione: Glauco Renda,
Maria Chiara Sarti. Stampata presso: Giunti Industrie Grafiche S.p.a., Prato - febbraio 2007.
5 - ETÀ EVOLUTIVA

Elena Camisasca Riflessività e


mind-mindedness
materne nello sviluppo
della sicurezza
nell’attaccamento e
della teoria della mente

Maternal reflectiveness and mind-mindedness in the devel- to assess their Reflective Function; mothers and children
opment of security of attachment and theory of mind. Aim of were also engaged in a Tutorial Task (Meins, 1997) to
this study is to investigate the relationship between ma- assess mothers’ mind-mindedness/sensitivity.
ternal reflective function (Fonagy,Target, 2001) and ma- Results showed a strong correlation between maternal
ternal mind-mindedness (Meins, 1997) and to analyse reflective function and mind-mindedness. It also emerged,
the specific role which these variables play in the de- however, that reflective capacity seems to form a neces-
velopment of attachment security and theory of mind. sary but not always sufficient condition for maternal sen-
Participants were 40 children of 4 years and their mothers. sitivity/mind-mindedness to express itself. Not all re-
Procedure: in a first phase, two different False Belief flective mothers are, at the same time, sensitive. A log-
Tasks and the modified version (Attili, 2001) of the Sep- linear analysis also showed that more than mind-mind-
aration Anxiety Test (Klagsbrun, Bowlby, 1979) were edness, the maternal reflective function was linked to chil-
administered to the children to evaluate their theory of dren’s theory of mind and attachment security, on the
mind and attachment internal working models. In a other hand, was linked to maternal sensitivity/mind-
second phase, mothers were administered an Interview mindedness.

Introduzione∗ possa venire influenzata dalla qualità della rela-


zione adulto-bambino. All’interno di tale pro-
Il presente studio affronta i temi della sicurezza spettiva, la funzione riflessiva (Fonagy, Steele, Steele,
nell’attaccamento e della teoria della mente at- Higgit e Target, 1994; Fonagy e Target, 2001) e
traverso la considerazione della funzione rifles- la mind-mindedness (Meins, 1997; Meins,
siva e della mind-mindedness materne nello svi- Fernyhough, Fradley e Tuckey, 2001) sono con-
luppo di tali competenze. siderate due costrutti cardine al fine di com-
Più precisamente, questo lavoro si inserisce prendere lo sviluppo della sicurezza nell’attacca-
nella prospettiva di studio che, prendendo come mento e della teoria della mente.
quadro teorico di riferimento la teoria dell’at- Fonagy e Target (1997) sottolineano come la
taccamento, spiega come lo sviluppo della capa- funzione riflessiva costituisca un’importante ac-
cità di riflettere sui propri e altrui stati mentali quisizione evolutiva che permette ai bambini di
cogliere i desideri, i sentimenti, le speranze, le in-

tenzioni e le finzioni sottostanti ai comportamenti
Il presente contributo rispetta le norme previste dal co-
dice etico della ricerca e dell’insegnamento dell’Associa- propri e altrui. In altre parole, la funzione rifles-
zione Italiana di Psicologia, sia nei principi generali sia nelle siva permette al bambino di “leggere la mente”
norme specifiche. e, attraverso questa operazione, di spiegare e pre-
ETÀ EVOLUTIVA - 6 Elena Camisasca

vedere il comportamento proprio e altrui. Il vero di catturare gli aspetti dell’attività del bam-
punto di vista di questi autori si basa sull’assunto bino e di aggiungervi una istanza intenzionale
che l’acquisizione della funzione riflessiva avvenga (intentional stance).
attraverso un processo intersoggettivo tra il bam- Tale capacità costituisce inoltre, secondo gli
bino e il caregiver e che i processi sociali che pro- autori, la base di quell’atteggiamento sensibile di
muovono la qualità della mentalizzazione siano cura che i teorici dell’attaccamento considerano
esattamente gli stessi che favoriscono la sicu- la pietra angolare dell’attaccamento sicuro. At-
rezza dell’attaccamento. taccamento sicuro che, a sua volta, fornisce le basi
La posizione teorica di Fonagy che enfatizza psicosociali per l’acquisizione della teoria della
il ruolo dell’adulto nello sviluppo della teoria della mente, attraverso l’esplorazione del mondo men-
mente non è pienamente condivisa né dagli au- tale del genitore (Fonagy, Steele, Steele, Leigh,
tori che sottolineano l’esistenza di un sistema co- Kennedy e Target, 1995; Fonagy, Redfern e
gnitivo innato (ToMM), avente una specifica col- Charman, 1997).
locazione cerebrale e specializzato nella costru- L’attenzione alla qualità della relazione adulto-
zione di metarappresentazioni (Leslie, 1987; bambino nello sviluppo della sicurezza nell’at-
Baron-Cohen, 1988; Fodor, 1992; 1994), né da taccamento e della teoria della mente è ravvisa-
coloro che sottolineano come il bambino sviluppi, bile anche negli studi di Meins (1997; Meins et
sulla base dell’esperienza, una sorta di teoria al., 2001) che, attraverso una interessante revisione
scientifica di proposizioni interdipendenti rela- del costrutto di sensibilità materna, introducono
tive alla mente (Gopnik e Meltzoff, 1997), né, il concetto di mind-mindedness (concetto non
infine, dagli autori che considerano la teoria della traducibile letteralmente in italiano ma che as-
mente il risultato di una routine di simulazione sume il significato di “predisposizione a consi-
per mezzo della quale possiamo fingere di met- derare la mente”).
terci nei panni mentali degli altri e utilizzare la La revisione del costrutto di sensibilità è stata,
nostra mente come modello per comprendere la in qualche modo, sollecitata dalla pubblicazione
mente altrui (Gordon, 1986; Harris, 1991; 1992). di due importanti studi di meta-analisi (Goldsmith
Ciononostante, il merito di Fonagy e Target e Alansky, 1987; de Wolff e van IJzendoorn, 1997)
(1997; 2001), anche per coloro che non condi- che hanno posto in discussione l’assunto centrale
vidono teoricamente la loro impostazione, è della teoria dell’attaccamento, ovvero il ruolo
quello di aver analizzato in modo puntuale il ruolo della sensibilità materna nello sviluppo della si-
della relazione emotiva tra bambino e caregiver curezza nell’attaccamento (Ainsworth, Blehar,
nel promuovere la comprensione mentalistica. Re- Waters e Wall, 1978; Isabella e Belsky, 1991; Isa-
lazione affettiva che, sebbene non possa venire bella, 1993). Tali meta-analisi, infatti, eviden-
considerata il solo fattore interveniente, sembra ziando l’importanza di alcuni comportamenti
comunque esercitare un ruolo nello sviluppo genitoriali quali la mutualità, la sincronia, la sti-
della teoria della mente. molazione e il supporto emozionale, sostengono
Fonagy e Target (1997; 2001) ritengono, in- che la sensibilità non possa più venire conside-
fatti, che il caregiver sensibile faciliti la crea- rata il fattore determinante nella costruzione di
zione di modelli mentalistici attraverso com- legami di attaccamento sicuri.
plessi processi comunicativo-linguistici che mo- Tale drastica conclusione è stata tuttavia posta
strano al bambino come il suo comportamento in discussione sia da Fonagy e collaboratori che
possa venire meglio compreso se fatto risalire a da Meins e collaboratori. I primi (Fonagy e coll.,
idee e sentimenti. Nella formazione del “sé ri- 1994; Fonagy e Target, 1997) sostengono che gli
flessivo”, secondo Fonagy e coll. (1994), assume studi presenti nella rassegna di Goldsmith e
un’importanza decisiva la capacità del caregiver Alansky (1987) sembrano aver confuso due di-
di porsi come specchio sociale (social mirror) ov- stinti processi psichici entrambi necessari per l’e-
Riflessività e mind-mindedness materne 7 - ETÀ EVOLUTIVA

spressione di un comportamento sensibile. Il sottostanti all’attività “in progress” di quest’ultimo.


primo riguarda la capacità della madre di espri- Secondo Meins, la mind-mindedness del caregiver
mere sentimenti positivi, dolcezza, calore, inco- esercita un ruolo fondamentale sia nella forma-
raggiamento e accessibilità; l’altro concerne la zione dei legami di attaccamento sicuri che nello
capacità della madre di considerare il bambino una sviluppo delle competenze mentalistiche (Meins,
entità mentale, un essere umano con intenzioni, 1997; Meins, Fernyhough e Russel, 1998; Meins
sentimenti e desideri. I secondi (Meins e coll., e Fernyhough, 1999; Meins, Fernyhough,Wain-
2001) sottolineano come la maggior parte degli wright, Gupta, Fradley e Tuckey, 2002).
studi esaminati nella meta-analisi di de Wolff e A mio parere, è possibile sottolineare come i
van IJzendoorn (1997), non facendo riferimento lavori di Fonagy e Target (1997; 2001) abbiano
al concetto di sensibilità, come è stato concet- evidenziato il ruolo della sensibilità materna
tualizzato da Ainsworth, Bell e Stayton (1971)1, nello sviluppo della sicurezza dell’attaccamento
non hanno ben differenziato le due distinte com- e della teoria della mente solo da un punto di vista
petenze che caratterizzano tale costrutto: la re- teorico mentre, a livello empirico, essi hanno inve-
sponsività ai segnali del bambino e l’appropria- stigato solo la funzione riflessiva dei genitori
tezza della risposta. Proprio in questo interessante nella formazione dei legami di attaccamento di
lavoro di revisione del costrutto di sensibilità ma- tipo sicuro nei bambini (Fonagy e coll., 1991;
terna, Meins e coll. (2001) sottolineano che il co- 1995); attaccamento che, a sua volta, è risultato
strutto di mind-mindedness rappresenta una spe- connesso con lo sviluppo della teoria della mente
cifica forma di sensibilità che fa riferimento alla (Fonagy, Redfern e Charman, 1997).
propensione della madre a considerare il figlio un Diversamente, i lavori di Meins (Meins, 1997;
agente mentale piuttosto che semplicemente una Meins e coll., 2002) hanno analizzato empirica-
creatura le cui esigenze devono essere soddi- mente il ruolo della sensibilità/mind-mindedness
sfatte. Il costrutto di mind-mindedness, diversa- nello sviluppo della sicurezza dell’attaccamento
mente dal costrutto proposto dalla Ainsworth e e della teoria della mente nei bambini ma non
coll. (1971), non enfatizza solo la capacità della hanno esplorato il ruolo della funzione riflessiva
madre di rispondere in modo appropriato alle ri- né le possibili interconnessioni esistenti fra questo
chieste di aiuto e conforto del bambino, bensì pre- costrutto e la mind-mindedness.
suppone anche l’abilità di coinvolgersi a livello men- Lo studio delle possibili interconnessioni tra ri-
tale con il bambino, sostenendo gli stati mentali flessività e mind-mindedness e l’analisi delle spe-
cifiche associazioni di queste due variabili con
1
la sicurezza nell’attaccamento e la teoria della
Ainsworth e coll. (1971) definiscono la sensibilità come mente sembrano dunque costituire un’area di in-
la capacità e la volontà del caregiver di percepire le co-
municazioni dei bambini riflesse nei loro comportamenti, dagine ancora “poco esplorata”.
nell’espressione emotiva e nelle vocalizzazioni; di vederle Proprio nel tentativo di contribuire ad un ini-
e interpretarle dal punto di vista dei bambini e di rispon- ziale ampliamento delle conoscenze su questa spe-
dervi in modo adeguato e tempestivo secondo i loro bi- cifica area, il presente studio si propone un du-
sogni evolutivi ed emotivi. Nella scala a 9 punti costruita plice obiettivo: da un lato approfondire la rela-
dagli autori “The Sensitivity vs. Insensitivity Scale” (dove il
punteggio 9 corrisponde a una madre altamente sensibile; zione tra funzione riflessiva e mind-mindedness
il punteggio 7 a una madre sensibile; il punteggio 5 a una materne, dall’altro esplorare in che modo le com-
madre sensibile in modo incostante; il punteggio 3 a una petenze cognitive ed emotive materne, riflesse
madre insensibile e il punteggio 1 a una madre altamente nella capacità riflessiva e nella mind-minded-
insensibile), viene ben specificato come il costrutto di sen- ness, risultino connesse alla teoria della mente e
sibilità presupponga 4 essenziali componenti: 1) la consa-
pevolezza dei segnali del bambino; 2) la loro interpretazione ac- alla sicurezza nell’attaccamento dei bambini.
curata; 3) la risposta appropriata a tali segnali; 4) la risposta sol- Relativamente al primo obiettivo di ricerca, l’i-
lecita. potesi del presente studio è che i due costrutti
ETÀ EVOLUTIVA - 8 Elena Camisasca

(riflessività e mind-mindedness) siano tra loro (Baron-Cohen, Leslie e Frith, 1985; Perner,
connessi in quanto caratterizzati da aspetti in Leekam e Wimmer, 1987) per valutare la pre-
parte sovrapponibili. Infatti il concetto di mind- senza della teoria della mente e il Separation
mindedness di Meins (1997) risulta, a mio avviso, Anxiety Test di Klagsbrun e Bowlby (1976),
composto da due aspetti centrali: da una parte la nella versione modificata da Attili (2001), per mi-
capacità riflessiva e dall’altra la capacità e la vo- surare la rappresentazione mentale dell’attacca-
lontà di rispondere in modo appropriato allo mento. In una seconda fase, a domicilio, alle
stato mentale del figlio. Relativamente al se- madri sono stati proposti un’intervista metacognitiva
condo obiettivo, l’ipotesi è che le specifiche di- per valutare la loro capacità riflessiva e un Com-
mensioni cognitive ed emotive riflesse nella ca- pito Tutoriale – da realizzare col proprio figlio
pacità riflessiva e nella mind-mindedness siano (Meins, 1997) – per valutare la loro mind-
correlate alla teoria della mente e alla sicurezza mindedness.
nell’attaccamento.
In sintesi, il presente lavoro, condotto con un Strumenti
campione composto da due sottogruppi di bam-
bini di 4 anni, sulla base della diversa performance I Compiti di Falsa Credenza. Sono state utiliz-
in due compiti di Falsa Credenza, si propone di zate due diverse versioni del Paradigma di Falsa
verificare le relazioni tra capacità riflessiva e Credenza, introdotto da Wimmer e Perner (1983),
mind-mindedness materne e di investigare even- per valutare la presenza di una teoria della mente
tuali connessioni di queste due competenze con nei bambini: il compito dello spostamento inatteso
la teoria della mente e la sicurezza nell’attacca- (Wimmer e Perner, 1983; Baron-Cohen, Leslie
mento. e Frith, 1985) e il compito della scatola ingannevole
(Perner, Leekam e Wimmer, 1987). Il primo
compito prevede uno scenario con due bambole,
Metodologia Sally e Anna, che insieme nascondono una bi-
glia in un cestino. In seguito, all’insaputa di Sally,
Campione Anna sposta l’oggetto in una scatola. Sally ritorna
sulla scena e al bambino che partecipa allo studio
Il campione della ricerca, suddiviso in due sot- si chiede di indicare in quale luogo Sally cercherà
togruppi, è composto da 40 bambini (21 maschi la biglia.
e 19 femmine) di 4 anni (età media = 48.95 mesi; Il bambino che è in grado di comprendere la
DS = 3.64 mesi) e dalle loro madri. Il primo sot- falsa credenza di Sally indicherà il cestino e non
togruppo è composto da 21 bambini che hanno il luogo in cui la biglia si trova realmente. Il se-
superato entrambi i Compiti di Falsa Credenza, condo compito proposto prevede uno scenario
il secondo da 19 bambini che hanno risposto in analogo all’esperimento classico della “Scatola
modo errato in entrambe le prove. È stata veri- degli Smarties”, dove al posto della scatola degli
ficata, attraverso informazioni ottenute dalle in- Smarties, ormai non più così familiare ai bam-
segnanti di scuola materna e dalle madri, l’assenza, bini, è stata utilizzata una custodia di una vi-
nei bambini, di deficit intellettivi, problematiche deocassetta contenente un peluche al posto della
comportamentali e handicap fisici. videocassetta. Ad ogni partecipante allo studio è
stata mostrata la custodia della videocassetta e gli
Procedura è stato chiesto di indicare che cosa contenesse.
Una volta ottenuta la risposta del bambino, è stato
In una prima fase, presso la scuola materna, mostrato il reale contenuto della custodia, ovvero
sono stati somministrati ai bambini due diversi il peluche. Dopo aver riposizionato il peluche nella
Compiti di Falsa Credenza (False Belief Task) custodia della videocassetta, al bambino sono
Riflessività e mind-mindedness materne 9 - ETÀ EVOLUTIVA

state rivolte due domande: «Cosa hai pensato che le ha suscitato riflessioni e/o emozioni e/o
che ci fosse dentro la scatola prima di aprirla?» e aspettative». Gli episodi piacevoli che sono stati
«Immaginiamo che il tuo migliore amico veda maggiormente raccontati descrivono interazioni
la scatola chiusa: che cosa penserà che ci sia madre-figlio connotate da affettuosità e mo-
dentro?». La risposta corretta ad entrambe queste menti di gioco, svago e vacanza. Gli episodi spia-
domande ha permesso di individuare la presenza cevoli descrivono situazioni caratterizzate da ma-
di una teoria della mente nel bambino. lattie, piccoli incidenti, capricci e disobbedienze
del figlio. In seguito al racconto spontaneo, sono
Separation Anxiety Test. È stata utilizzata la ver- state rivolte alcune specifiche domande di ap-
sione modificata da Attili (2001) del Separation profondimento che, secondo le indicazioni di Fo-
Anxiety Test di Klagsbrun e Bowlby (1976) per nagy, Steele, Steele e Target (1997), permettono ed
misurare la rappresentazione mentale dell’attac- esigono di dimostrare la capacità di riflettere sui
camento. Il test comprende due serie di sei vi- propri e gli altrui stati mentali. Qui di seguito ven-
gnette, una per i maschi e una per le femmine, gono riportate tali domande di approfondimento:
raffiguranti situazioni di separazione brevi e lunghe. in corsivo, vengono indicate le domande che
La somministrazione prevede che, individual- permettono di esprimere una competenza rifles-
mente, a ciascun partecipante allo studio venga siva, mentre le domande che esigono di dimostrare
detto: «Vorrei che tu mi aiutassi a capire cosa pro- tale competenza sono sottolineate.
vano i bambini quando qualche volta i genitori
devono andare via e devono lasciarli per un po’ Durante l’episodio narrato, lei come si è sentita? Suo
di tempo. In genere alcuni bambini si sentono figlio/a come si è sentito/a?
soli, altri sono comunque contenti, altri si ar- Lei come si è comportata? Suo figlio/a cosa ha fatto?
rabbiano, altri hanno paura. Ho qui dei disegni Perché pensa di essersi comportata nel modo che mi
in cui c’è un bambino/a della tua età e ora ti farò ha descritto?
alcune domande». In seguito alla presentazione Perché pensa che suo/a figlio/a si sia comportato/a
e descrizione di ogni tavola, sono state rivolte nel modo che mi ha descritto?
quattro domande, relative ad un bambino ipo- A suo parere, il suo comportamento rispecchiava le
tetico: «Cosa prova secondo te il/la bambino/a aspettative e/o i desideri di suo/a figlio/a?
nel disegno?»; «Perché pensi che questo/a bam- Si aspettava che suo/a figlio/a si comportasse così?
bino/a provi questo?»; «Cosa pensi che faccia, ora,
questo/a bambino/a?»; «Cosa farà questo/a bam- Codifica
bino/a quando rivedrà la madre (o i genitori)?». Relativamente al processo di codifica si è fatto
La codifica delle risposte è stata realizzata se- esclusivo riferimento alle indicazioni contenute
guendo le indicazioni di Attili (2001). nel Manuale della Funzione Riflessiva di Fo-
nagy, Steele, Steele e Target (1997), a cui si ri-
L’intervista metacognitiva. Si tratta di un’intervista manda per maggiori dettagli, e che prevede l’as-
semistrutturata, appositamente costruita da chi segnazione, ai contenuti dell’intervista, di diversi
scrive, al fine di valutare la capacità riflessiva ma- punteggi della funzione riflessiva (RF) su una scala
terna. Alle madri è stato chiesto di raccontare tre da –1 a 9 punti: –1 = FR Negativa e Ostile: l’in-
diversi episodi (uno piacevole, uno spiacevole, e tervistato oppone una resistenza sistematica ad as-
uno qualsiasi scelto a caso tra piacevole e spia- sumere una posizione riflessiva nel corso di tutto
cevole) che le ha viste protagoniste insieme ai loro il colloquio. 1 = FR Carente: l’intervistato, in al-
bambini. In particolare, alle madri è stata rivolta cuni momenti, parla di stati mentali propri o al-
la seguente consegna: «Pensando al rapporto con trui senza tuttavia evidenziare un quadro coerente
suo figlio, mi racconti un episodio o una situa- delle convinzioni e dei sentimenti che stanno alla
zione (piacevole, spiacevole...) che l’ha colpita e base dei diversi comportamenti. 3 = FR Dubbia
ETÀ EVOLUTIVA - 10 Elena Camisasca

o Scarsa: l’intervistato dimostra una compren- Tale punteggio è stato poi trasformato in una
sione degli stati mentali ma tale consapevolezza variabile categoriale a due livelli: Alta capacità di
risulta banale e unidimensionale, nel senso che mind-mindedness e Scarsa capacità di mind-
non riflette mai emozioni miste o conflitto, ed mindedness.
è spesso accompagnata da un utilizzo eccessivo
di stereotipi. 5 = FR Comune: i racconti dell’in-
tervistato sono caratterizzati da aspetti che ren- Risultati
dono esplicita la funzione riflessiva, anche se il
conflitto e l’ambivalenza che connotano gli stati Capacità riflessiva e mind-mindedness materne: quale
mentali ed emotivi non risultano sempre ben relazione?
compresi. 7 = FR Notevole: il racconto dell’in-
tervistato presenta numerose affermazioni indi- Al fine di valutare la possibile relazione tra la
cative di funzione riflessiva e vengono forniti molti variabile capacità riflessiva (considerata nelle due
particolari sui pensieri e sui sentimenti anche am- categorie: Comune/Alta: n = 16; Assente/Scarsa:
bivalenti di tutti i protagonisti. 9 = FR Eccezio- n = 24) e la variabile mind-mindedness materna
nale: il racconto dell’intervistato rivela un grado (considerata nelle due categorie: Alta: n= 13 e
di sofisticazione eccezionale, gli stati mentali Scarsa: n = 27) è stato realizzato il test c2.
considerati, complessi o elaborati, dimostrano un I risultati ottenuti hanno convalidato l’ipotesi
modo di ragionare in termini di causa ed effetto. che si tratti di due costrutti fortemente connessi
L’analisi delle interviste è avvenuta attraverso [c2 (1, N = 40) = 15.973, p <.001].
un confronto inter-giudice che, nei casi dubbi Le madri che presentano un’alta capacità ri-
(15%), si è risolto con l’intervento di un terzo flessiva sono infatti, nella maggioranza dei casi
giudice esperto.All’intervista, considerata nel suo (n = 11; 84.6%), anche dotate di mind-minded-
insieme, è stato dunque attribuito un punteggio ness (fig. 1). In altre parole, si potrebbe dire che
relativo alla funzione riflessiva. è necessario che una madre sappia cogliere cor-
rettamente lo stato mentale del figlio per potervi
Il Compito Tutoriale. Si tratta di un compito di rispondere in modo appropriato. È tuttavia
costruzione con pezzetti di legno, simile al com- emerso che la capacità riflessiva sembra costituire
pito di costruzione di una scatola ideato da Meins una condizione necessaria ma non per questo
(1997), che valuta la mind-mindedness materna. sempre sufficiente affinché possa esprimersi la
Il bambino viene invitato a costruire una figura sensibilità/mind-mindedness materna. Non tutte
con l’aiuto della madre, a partire da una figura le madri riflessive (n = 5; 31.3%) sono, al tempo
modello. stesso, sensibili, ovvero in grado di considerare
il bambino come dotato di una sua mente e di
Codifica rispondere in modo appropriato. Possiamo in-
Per quanto riguarda la procedura di codifica si fatti immaginare che esistano madri in grado di
è fatto esclusivo riferimento alle indicazioni pre- cogliere lo stato mentale, le richieste e le esigenze
sentate in letteratura da Meins (1997), a cui si ri- del bambino ma che, al tempo stesso, non siano
manda per maggiori dettagli. desiderose o intenzionate a rispondervi, oppure,
La sensibilità/mind-mindedness materna è stata possiamo ipotizzare che tali madri siano ostacolate
definita come la capacità di modificare il livello di da circostanze esterne nel rispondere in modo
specificità dei propri interventi in funzione della pre- appropriato al figlio.
stazione del figlio; il punteggio di sensibilità è stato
attribuito sulla base della proporzione di cambiamenti
adeguati in relazione al totale degli interventi nel com-
pito.
Riflessività e mind-mindedness materne 11 - ETÀ EVOLUTIVA

Fig. 1 - Capacità riflessiva e mind-mindedness materne.

25
22
20

15
11
10
5
5
2
0
Scarsa capacità riflessiva Alta capacità riflessiva
Alta mind-mindedness Scarsa mind-mindedness

Capacità riflessiva e mind-mindedness materne, sicu- menti in termini di stati mentali favoriscano nei
rezza nell’attaccamento e teoria della mente nei bam- figli lo sviluppo della teoria della mente. Non è
bini: quale relazione? tuttavia da escludere che proprio questi bambini,
dotati di teoria della mente e quindi desiderosi
Al fine di analizzare la relazione di riflessività di cogliere lo stato mentale sottostante ai com-
e mind-mindedness materne con la sicurezza portamenti, sollecitino in modo più articolato e
nell’attaccamento e la teoria della mente è stata frequente le madri ad esprimere la propria com-
condotta un’analisi di tipo log-lineare. Le 4 va- petenza riflessiva attraverso interazioni verbali
riabili nominali inserite nell’analisi sono: Capa- caratterizzate dal continuo riferimento a inten-
cità Riflessiva (Comune/Alta: n = 16; Assente/Scarsa: zioni, volizioni, credenze e desideri.
n = 24); Mind-mindedness materna (Alta: n = 13; Possiamo quindi concludere che, se da un lato
Scarsa: n = 27); Attaccamento (Sicuro: n = 15; In- la capacità riflessiva della madre può favorire lo
sicuro: n = 25); Performance ai Compiti di Falsa Cre- sviluppo di un’analoga competenza nel figlio, al
denza (Superato: n = 21; Non Superato: n = 19). tempo stesso non è possibile escludere che pro-
I risultati (fig. 2) indicano la presenza di una prio i bambini dotati di teoria della mente solle-
relazione significativa a livello della duplice in- citino le proprie madri a utilizzare forme più ar-
terazione e precisamente: ticolate e complesse di competenza mentalistica;
– tra riflessività e mind-mindedness [c2 (2, N = – tra mind-mindedness e sicurezza nell’attacca-
40) = 9.910, p < .001], in accordo con i risultati mento [c2 (2, N = 40) = 6.112, p < .01], nel senso
precedentemente presentati; che i bambini con attaccamento sicuro hanno
– tra capacità riflessiva della madre e teoria della mente madri che presentano un’alta capacità di mind-
nei bambini [c2 (2, N = 40) = 13.985, p < .001], mindedness.
nel senso che i bambini che presentano una Questo dato è in linea con gli studi che sot-
teoria della mente hanno madri con alta capa- tolineano l’importanza specifica della sensibi-
cità riflessiva. È quindi probabile, come sottoli- lità/mind-mindedness nella formazione dell’at-
neano Fonagy e coll. (1991; 1995), che le madri taccamento sicuro (Ainsworth e coll., 1978;
propense a discutere gli eventi ed i comporta- Meins, 1997; Meins e coll., 2002).
ETÀ EVOLUTIVA - 12 Elena Camisasca

Fig. 2 - I risultati dell’analisi log-lineare.

Capacità riflessiva p < .001 Mind-mindedness


materna materna

p < .001 p < .01

Teoria della p < .05 Attaccamento dei


mente bambini

I dati evidenziano infatti che i figli di madri esecutivo ascrivibili ai bambini stessi. In parti-
capaci non solo di cogliere lo stato mentale del colare, in linea con quanto sottolineato da La-
bambino ma anche di rispondervi in modo ap- bruyère (2003) e Zalla (2003), si potrebbe spie-
propriato e contingente presentano legami di gare il superamento o il fallimento nei Com-
attaccamento sicuro; piti di Falsa Credenza attraverso la considera-
– tra sicurezza nell’attaccamento e teoria della zione delle differenti abilità di tipo esecutivo che
mente [c2 (2, N = 40) = 4.568, p < .05], nel senso implicano meccanismi cognitivi di pianifica-
che i bambini che hanno legami di attaccamento zione delle sequenze di azione, memoria ope-
sicuri presentano una teoria della mente. rativa, inibizione di risposte predominanti o di
Le ipotesi esplicative di questo dato desunte dalla routine, flessibilità e capacità attentivo-selettiva
posizione teorica di Fonagy (Fonagy, Redfern e al contesto.
Charman, 1997) e Meins (1997; Meins e coll., I dati di questo studio non sono in grado di
2002) vedono nella sicurezza nell’attaccamento fornire una risposta chiara rispetto a quale possa
la base psicologica per l’acquisizione della teoria essere lo specifico contributo svolto dalla sicu-
della mente. Sebbene non sia del tutto evidente rezza affettiva e dalle capacità di tipo cognitivo,
in che modo la sicurezza nell’attaccamento possa dal momento che in questo lavoro non sono
sviluppare la teoria della mente, Fonagy e Target stati analizzati né i meccanismi cognitivi relativi
(2001) suggeriscono che i bambini sicuri, più tran- alle funzioni esecutive né il quoziente intellet-
quilli rispetto agli insicuri nell’esplorare lo stato tivo dei bambini.
mentale del caregiver, trovano nella mente di
chi presta loro le cure una immagine di se stessi
motivata da credenze, sentimenti e intenzioni. In Discussione e conclusioni
altre parole, una immagine di sé come individui
capaci di mentalizzare. È già stato sottolineato che la presente ricerca,
È anche vero, tuttavia, che le differenti pre- prendendo spunto dai lavori di Fonagy e Target
stazioni dei bambini nei compiti di falsa credenza (2001) e Meins (1997), affronta i temi della si-
potrebbero venire spiegate considerando anche curezza nell’attaccamento e della teoria della
il ruolo di altri fattori, come ad esempio il quo- mente attraverso la considerazione della fun-
ziente intellettivo o le diverse abilità di tipo zione riflessiva e della mind-mindedness materne,
Riflessività e mind-mindedness materne 13 - ETÀ EVOLUTIVA

proponendosi in particolare un duplice obiet- Relativamente alla possibile relazione tra le


tivo. In primo luogo, di verificare empirica- specifiche competenze materne e la teoria della
mente l’ipotesi che riflessività e mind-minded- mente e la sicurezza nell’attaccamento nei figli,
ness siano due costrutti in parte sovrapponibili, i dati a disposizione indicano che la capacità ri-
al punto da ritenere che la mind-mindedness sia flessiva materna risulta più fortemente connessa
caratterizzata da una componente “di tipo ri- alla teoria della mente nei bambini, rispetto alla
flessivo” – che si esprime nella capacità di co- mind-mindedness materna.
gliere e interpretare correttamente gli stati men- Riprendendo in esame i concetti di capacità ri-
tali del bambini – e da una componente di “tipo flessiva e mind-mindedness alla luce di tali risul-
emotivo/comportamentale” – caratterizzata dalla tati, è interessante sottolineare il maggior peso
propensione e capacità di rispondere in modo svolto dalla capacità riflessiva sulla teoria della
appropriato allo stato mentale del figlio. Il se- mente.Tale connessione è spiegabile, come è stato
condo obiettivo dello studio, subordinato al sottolineato in precedenza, pensando a un in-
primo, si propone di esplorare le possibili rela- contro, su un terreno propriamente cognitivo,
zioni tra le competenze cognitive ed emo- tra madre e figlio che fa recedere sullo sfondo la
tivo/comportamentali delle madri, riflesse nella dimensione emotivo/comportamentale riscon-
capacità riflessiva e nella mind-mindedness, e la trabile nella propensione a fornire risposte ap-
sicurezza affettiva e la teoria della mente dei propriate, tipica della sensibilità/mind-minded-
figli. ness.
Alla luce di tali premesse, possiamo iniziare Viceversa, la maggiore relazione riscontrata fra
col dire che i risultati hanno confermato l’esi- sicurezza nell’attaccamento e sensibilità/mind-
stenza di una stretta connessione tra riflessività e mindedness avvalora il ruolo della dimensione
mind-mindedness materne. Più precisamente, è emotivo/comportamentale nella formazione dei
emerso che la capacità riflessiva costituisce una modelli operativi interni di tipo sicuro. In linea
condizione necessaria ma non per questo suffi- con la letteratura, sembrerebbe quindi che nella
ciente affinché possa esprimersi la sensibi- costruzione che il bambino realizza dell’imma-
lità/mind-mindedness materna. Le madri rifles- gine di sé come individuo degno di amore e
sive del campione, infatti, interagiscono coi figli degli altri come soggetti affidabili risulti partico-
in modo sensibile nella maggioranza dei casi, larmente importante il desiderio/volontà e pro-
mentre le madri con bassa capacità riflessiva in- pensione della madre di rispondere in modo ap-
teragiscono, nella quasi totalità dei casi, in modo propriato e contingente allo stato mentale del fi-
insensibile. Non tutte le madri riflessive, tuttavia, glio (Ainsworth e coll., 1978; Meins, 1997; Meins
sono al tempo stesso sensibili. Esiste infatti un e coll., 2001).
gruppo di madri riflessive (31%) che non si di- In conclusione, il presente studio, se da un lato
mostra sensibile/mind-minded nella interazione ha permesso un parziale ampliamento delle co-
col figlio. noscenze circa la relazione tra i costrutti di ca-
Questi risultati sembrano dunque avvalorare pacità riflessiva e mind-mindedness e l’esplora-
l’idea originaria di Ainsworth e coll. (1971), poi zione delle loro relazioni con la sicurezza del-
ripresa da Meins e coll. (2001), che vede la sen- l’attaccamento e la teoria della mente, dall’altro
sibilità materna come una competenza com- proprio perché si focalizza esclusivamente su tali
plessa contraddistinta da componenti cognitive, costrutti presenta alcuni limiti che non hanno per-
che permettono di cogliere e interpretare cor- messo, ad esempio, una migliore interpretazione
rettamente le comunicazioni del bambino, e da dei risultati relativi alla teoria della mente dei bam-
componenti emotivo/comportamentali, che im- bini. In questo lavoro è infatti mancato un ap-
plicano la propensione a fornire risposte appro- profondimento delle competenze cognitive dei
priate e contingenti. bambini e, in particolare, delle loro abilità di tipo
ETÀ EVOLUTIVA - 14 Elena Camisasca

esecutivo, che avrebbe potuto contribuire a me- bini potrebbe dunque costituire un utile svi-
glio spiegare i risultati ottenuti nei compiti di falsa luppo per un approfondimento delle conoscenze
credenza. sul tema.
Pensando ad un eventuale prosieguo dello
studio, l’analisi delle possibili interazioni tra com- C.R.T.I. – Dipartimento di Psicologia
petenze esecutive e teoria della mente nei bam- Università Cattolica del Sacro Cuore – Milano

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637-648. Roma.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 26/S2
Titolo: QUALITÀ RELAZIONI CURA E TOM: UNA RICERCA EMPIRICA
Attività N°: 01

FORUM

Ora che avete letto con attenzione l’articolo dal titolo: Riflessività e mind-mindedness
materne nello sviluppo della sicurezza nell’attaccamento e della teoria della mente,

vi chiedo di discutere con me alcuni suoi aspetti sul FORUM

• Quale posizione teorica preferite, quella di Fonagy o di Meins?


• Cosa pensate del compito utilizzato da Meins per valutare la mind-mindedness?
• Quali somiglianze e differenze trovate nei costrutti di sensibilità materna e MM?
• Vi è piaciuta o meno l’intervista metacognitiva di Fonagy applicata alla AAI, perché?
• Vi aspettavate i risultati ottenuti?
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 26/S3
Titolo: QUALITÀ RELAZIONI CURA E TOM: UNA RICERCA EMPIRICA
Attività N°: 01

FORUM

Ora che avete letto con attenzione l’articolo dal titolo: Riflessività e mind-mindedness
materne nello sviluppo della sicurezza nell’attaccamento e della teoria della mente,

vi chiedo di discutere con me alcuni suoi aspetti sul FORUM

• Quale posizione teorica preferite, quella di Fonagy o di Meins?


• Cosa pensate del compito utilizzato da Meins per valutare la mind-mindedness?
• Quali somiglianze e differenze trovate nei costrutti di sensibilità materna e MM?
• Vi è piaciuta o meno l’intervista metacognitiva di Fonagy applicata alla AAI, perché?
• Vi aspettavate i risultati ottenuti?
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 27
Titolo: L’EMPATIA
Attività N°: 01

L’EMPATIA
Con questa lezione sintetizzo i concetti più salienti relativi al costrutto di empatia e alla
sua misurazione.
Il contenuto di questa lezione è stato tratto da:
Albiero et al. (2006) «Contributo all’adattamento italiano dell’Interpersonal Reactivity
Index». Testing-Psicometria-Metodologia, 13(2).
Simone, F. (2014). L'empatia nei disturbi da comportamento dirompente. Tesi di
specializzazione.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 27
Titolo: L’EMPATIA
Attività N°: 01

Lo studio dell’empatia ha, fin da principio e con fortune alterne, interessato numerosi
ambiti della psicologia. Alla base di tale interesse vi è la convinzione, suffragata da una
consistente mole di dati empirici, che essa rivesta un ruolo cruciale nella regolazione dei
rapporti interpersonali e delle condotte sociali, promuovendo un buon adattamento
psicosociale per tutto l’arco di vita (Albiero e Matricardi, 2006; Bonino et al., 1998).

Negli anni '50 si cominciò a considerare l'empatia con un' accezione cognitiva, come
capacità di capire un'altra persona, il suo punto di vista sulla sua situazione, e quindi
come sinonimo dei concetti di role-taking e perspective-taking che riguardano la capacità
di mettersi nei panni dell'altro. Più specificatamente, da una prospettiva cognitiva,
empatizzare con qualcuno vuol dire dapprima comprendere i suoi pensieri, le sue
intenzioni, riconoscere le sue emozioni in modo accurato, riuscire a vedere la situazione
che sta vivendo dalla sua prospettiva e quindi condividerne il vissuto emotivo
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 27
Titolo: L’EMPATIA
Attività N°: 01

A partire dagli anni ’60 -’70 si avvia invece lo studio dei processi che favoriscono l’adesione
empatica e vengono elaborati una serie di strumenti di misura, con un focus specifico sugli
aspetti cognitivi dell’empatia).
Negli anni ’80, l’empatia è stata considerata un’esperienza primariamente affettiva, in cui,
tuttavia, i processi cognitivi giocano un ruolo altrettanto importante.

La definizione forse più comune dell'empatia è quella di Hoffmann (1987) che la identifica
con “una risposta affettiva più appropriata alla situazione di un altra persona piuttosto che
alla propria”; l'empatia è una reazione emotiva nell'osservatore in risposta allo stato
affettivo di un altro individuo. Nella sua teoria per poter parlare di empatia non è
indispensabile riuscire a mettersi nei panni dell’altro, dal momento che una
partecipazione/condivisione può avvenire attraverso diversi processi, il cui fondamento è lo
sviluppo progressivo della capacità di differenziare il sé dall’altro, così da comprendere
sempre più chiaramente che la causa del proprio vissuto consiste nell’emozione dell’altro.
Nel modello di Hoffman, si può essere empatici fin dalle primissime fasi della nostra vita.

.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 27
Titolo: L’EMPATIA
Attività N°: 01

Gli Autori che si richiamano ad un approccio di tipo cognitivo definiscono pertanto


l'empatia come l'abilità di riconoscere e comprendere i pensieri, le intenzioni e i
sentimenti di un'altra persona (Borke, 1971; Hogan, 1969). Nella prospettiva affettiva,
l'empatia denota, invece, l'esperienza di condivisione affettiva dello stato d'animo altrui
(Bryant, 1982; Mehrabian & Ep stein, 1972; Zhan-Waxler, Radke-Yarrow, & King, 1979).

Il primo modello multicomponenziale di empatia è stato invece proposto da Feshbach. Il


modello di Feshbach (1987) è caratterizzato da 3 componenti; l’assunzione della
prospettiva e del ruolo dell’altra persona (la capacità di comprendere che le altre
persone possono vedere e interpretare le situazioni in modo differente); la capacità di
rispondere emozionalmente, cioè di condividere lo stato d'animo di un'altra persona.
Implicita in questo modello è la capacità di differenziare il sé dall'altro.
Le prime due componenti del processo empatico fanno dunque riferimento ad abilità
cognitive, mentre la 3° ha un carattere prettamente affettivo/emozionale
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Lezione N°: 27
Titolo: L’EMPATIA
Attività N°: 01

Per introdurre i punti chiave del suo approccio integrato, Davis (1980, 1983a, 1994) parte
dalla definizione dell'episodio prototipico empatico, composto da tre vertici: il
soggetto che osserva; il soggetto osservato mentre sperimenta una situazione
emotiva; la risposta dell'osservatore.
Secondo l'Autore, "l'episodio prototipico" è specificato da quattro costrutti, identificati da
una lunga tradizione di ricerca come costitutivi dell'empatia: le caratteristiche dell'osser-
vatore, dell'osservato e della situazione; i processi cognitivi dell'osservatore che
permettono la conoscenza dello stato d'animo dell'osservato; la risposta che ha luogo
nell'osservatore di fronte la situazione emotiva dell'osservato e che può essere affettiva
(la partecipazione vicaria) oppure cognitiva (l'accuratezza nell'etichettare i pensieri e i
sentimenti altrui); i comportamenti interpersonali che derivano dall'esposizione agli stati
d'animo dell'osservato. La novità dell'approccio proposto da Davis consiste nel
sottolineare fortemente come gli elementi cognitivi e quelli affettivi presenti nell' episodio
prototipico empatico, lungi dall'essere aspetti separati, concorrano congiuntamente a
definire la natura multidimensionale dell'atto empatico.
L'approccio contemporaneo all’empatia è un approccio integrato e sintetico che include sia
aspetti affettivi che cognitivi, ma la rilevanza che viene data all'uno o all'altro varia in
modo significativo all'interno della letteratura (Giusti, Locatelli, 2007).
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Lezione N°: 27/S1
Titolo: L’EMPATIA
Attività N°: 01

Lo sviluppo dell’empatia
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 27/S1
Titolo: L’EMPATIA
Attività N°: 01

Esistono per Hoffman diversi stadi di sofferenza empatica che evolvono nel tempo:

- Distress empatico globale (0-1 anno): pianto reattivo del neonato, con-fusione con
l’altro, il neonato percepisce la sofferenza dell'altro, ne fa propria l’emozione, vivendola
come se quello stato emotivo avesse una causa interna. Reazione affettiva, automatica e
involontaria (contagio emotivo)
- Distress empatico egocentrico (da un anno): i bambini mimano le emozioni provate
dall’altro, si comportano come se volessero aiutare l'altro ma sono comportamenti di
auto conforto.
- Distress empatico quasi-egocentrico (dai due anni): acquisizione di uno schema di se' e
di riconoscimento/differenziazione dall'altro; i comportamenti sono tesi a confortare
l'altro, ma l'egocentrismo permane nella scelta di utilizzare oggetti che sono significativi
per se stessi.
- Empatia veridica (dai tre anni): il bambino, acquisita la capacita discriminativa, riesce
ora ad empatizzare con i sentimenti e i desideri dell'altro in modo più profondo e il suo
aiuto risulterà più efficace.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 27/S1
Titolo: L’EMPATIA
Attività N°: 01

Dall’età di 4 anni in poi, ma non prima, la comprensione dell’altro diventa sempre più
complessa. I bambini capiscono che lo stesso mondo può essere esperito in modo diverso
da persone diverse e che quindi le singole persone possono avere una credenza
differenziata rispetto alla realtà.

Come proposto da Hoffman (2000), e come confermato da numerosi studi, nell'età


prescolare la messa in atto di comportamenti empatici e prosociali a 2, 4 e 5 anni sembra
essere associata positivamente a indici di sviluppo cognitivo che attengono alla capacita di
differenziare se' dall'altro e di assumerne la prospettiva cercando di etichettare e
comprendere le cause del suo malessere.

Il medesimo progresso nella differenziazione sé-altro che fa muovere il bambino


dall'empatia egocentrica» a quella «quasi-egocentrica» provoca una trasformazione
qualitativa della sofferenza empatica in simpatetica. Da questo momento, la sofferenza
empatica del bambino (e poi dell'adulto) includerà una componente simpatetica e il
bambino vorrà portare aiuto alla vittima perché è dispiaciuto per lei, e non solo per ridurre
la propria sofferenza empatica. L'elemento di sofferenza simpatetica della sofferenza
empatica è perciò la prima motivazione genuinamente prosociale del bambino.”
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Lezione N°: 27/S1
Titolo: L’EMPATIA
Attività N°: 01

Differenza tra empatia, simpatia e personal distress

Secondo Eisenberg (Eisenberg & Miller, 2000) l'empatia pura non è orientata verso gli
altri. Partendo dal presupposto che un individuo abbia la capacità di distinguere tra gli
stati interni propri e quelli di un altra persona, la risposta empatica spesso diventa o
simpatia o personal distress, o la combinazione dei due.
La simpatia è una risposta emozionale che ha origine nell'apprensione e comprensione
per lo stato o condizione di un altro individuo, che non è la stessa cosa del sentire i
sentimenti dell'altro, ma consiste nel sentirsi dispiaciuti per l'altro (Eisenberg &
Miller, 1990) ed è vista come un'emozione morale orientata all'altro alla base
dell'altruismo.
Secondo Eisenberg la differenza tra empatia e simpatia è data dal fatto che provare
empatia implica provare i sentimenti esperiti da un'altra persona osservata, mentre la
simpatia implica non il sentire i medesimi sentimenti provati dall'altro, ma il provare
sentimenti per l'altro.
Questa distinzione è sostenuta anche da Hoffman secondo il quale la simpatia
nascerebbe dall'empatia.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 27/S1
Titolo: L’EMPATIA
Attività N°: 01

Il personal distress è invece una reazione affettiva di tipo avversivo, orientata al se', che
riguarda l'apprensione che suscita l'emozione di un altro. Si ipotizza che il personal distress
conduca al comportamento prosociale solo quando è visto come la via più semplice per
ridurre il proprio stato emozionale avversivo (cioè quando non si può evitare di avere a che
fare con la persona che ci causa sofferenza).
È il disagio che si sente quando si prova ansia per qualcuno che è triste (Eisenberg, 2000).

Negli anni '80 ci fu un considerevole interesse nell'indagare le cause del comportamento


prosociale e l'esistenza di un vero altruismo e molti studi dimostrarono, sia negli adulti che
nei bambini, una correlazione positiva tra simpatia e comportamento prosociale e una
correlazione negativa tra sofferenza empatica e comportamento prosociale (Batson 1998;
Eisenberg & Fabes 1991, 1998 in Eisenberg 2000).
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Lezione N°: 27/S2
Titolo: L’EMPATIA
Attività N°: 01

Empatia e adattamento psicosociale


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Lezione N°: 27/S2
Titolo: L’EMPATIA
Attività N°: 01

Numerosi studi hanno da tempo evidenziato il ruolo importante che l’empatia riveste nello
sviluppo del pensiero morale e delle competenze sociali, dalla prima infanzia fino alla
tarda adolescenza (Albiero, Matricardi, Speltri e Toso, 2009; Eisenberg et al., 2006;
Hoffman, 2000).
È proprio durante l’adolescenza che avvengono dei cambiamenti radicali nell’identità, nel
sistema di valori, nel modo di costruire rapporti interpersonali e reti sociali, che hanno
rilevanti ripercussioni sugli stili di vita, sui comportamenti a rischio e sul benessere psico-
fisico dell’adolescente (Albiero e Matricardi, 2006).
Tra i correlati psicologici che gli psicologi hanno individuato come fattori di protezione
cruciali per l’adattamento psicosociale, l’empatia riveste un ruolo di primo piano
(Eisenberg et al., 2006).
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Lezione N°: 27/S2
Titolo: L’EMPATIA
Attività N°: 01

Empatia e comportamento prosociale

La componente cognitiva di perspective taking rende l'individuo capace di mettersi nei


panni di un altro e di comprenderne le sensazioni, di capire quello che prova.
La componente affettiva dell'empatia permette, a chi la sperimenta, di sentire e
condividere le emozioni dell'altro.
Questa capacità quindi di sentire con l'altro diventa fondamentale in momenti particolari
ad esempio di stress, di disagio, dal momento in cui lo spettatore può decidere
eticamente di mettere in atto un comportamento che può essere di aiuto alla persona che
sta soffrendo, e quindi agire in modo prosociale.
Ma l'esperienza della sofferenza empatica da sola non è sufficiente per attivare sentimenti
e comportamenti prosociali. Per attivare comportamenti di tipo morale e prosociale è
necessario il passaggio dalla sofferenza empatica a quella simpatetica (che Eisenberg
definisce semplicemente simpatia); è necessario quindi che la dimensione affettiva e
quella cognitiva si incontrino e condividano obiettivi e significati. Inoltre, l’empatia aiuta
gli adolescenti a creare e mantenere rapporti di amicizia coi pari, a migliorare le relazioni
intime e i rapporti con i familiari. Essa, infatti, è positivamente associata ai processi di
comunicazione tra genitori e figli e al supporto parentale.
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Lezione N°: 27/S2
Titolo: L’EMPATIA
Attività N°: 01

Empatia, comportamento antisociale e difficoltà di adattamento psicologico

Particolare interesse è stato rivolto allo studio dell’empatia nell’ambito delle condotte
antisociali nell’adolescenza.
Infatti ,vedere il dolore nell'altro dovrebbe elicitare un disagio empatico ed inibire un
ulteriore comportamento aggressivo
Negli adolescenti la mancanza di empatia è associata a una predisposizione a provare
pregiudizio e a commettere atti di bullismo. Se associata a intelligenza e status
socioeconomico bassi, la mancanza di empatia aumenta la probabilità che un adolescente
commetta comportamenti criminali (Jolliffe e Farrington, 2004).
Anche negli adolescenti responsabili di reati di natura sessuale è stata riscontrata una
mancanza di empatia verso la vittima (Kristensen Whittaker, Brown, Beckett e Gerhold,
2006).
La difficoltà a provare empatia è anche una caratteristica comune a molte condizioni
psichiatriche, come la schizofrenia e la depressione (Farrow e Woo-druff, 2007). Gli
adolescenti con difficoltà a provare empatia mostrano alti livelli di alessitimia, che
costituiscono un fattore di rischio per l’assunzione di droghe e per la comparsa di disturbi
dell’alimentazione. Bassi livelli di empatia caratterizzano anche gli adolescenti con disturbi
del comportamento e diagnosticati come piromani (Walsh, Lambie e Ste-wart, 2004).
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Lezione N°: 27/S3
Titolo: L’EMPATIA
Attività N°: 01

Misuriamo l’empatia: Interpersonal Reactivity Index


(IRI; Davis, 1980)

Proprio in virtù di questo ruolo cruciale che l’empatia riveste nel mediare le relazioni
interpersonali, le condotte sociali e antisociali, e il benessere psicofisico, è essenziale che
psicologi ed educatori possano usufruire di strumenti validi e attendibili per misurare la
responsività empatica.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 27/S3
Titolo: L’EMPATIA
Attività N°: 01

Basandosi sull'approccio precedentemente descritto, Davis (1980) mette a punto


uno strumento - l'Interpersonal Reactivity Index (IRI) che rileva la responsività
empatica attraverso la misura integrata di componenti affettive e cognitive. Due di tali
componenti, infatti, si riferiscono alla reazione emotiva del soggetto, che può essere
orientata verso la condivisione dell'esperienza altrui (considerazione empatica) oppure
diretta verso la comprensione dei propri stati di ansia e di preoccupazione in situazioni
relazionali (disagio personale). Altri due concernono, rispettiva mente, l'abilità ad
adottare il punto di vista di un'altra persona (perspective taking) e la tendenza ad
immaginarsi in situazioni fittizie (fantasia). In Italia, lo strumento è stato validato da
Albiero et al. (2006) «Contributo all’adattamento italiano dell’Interpersonal Reactivity
Index». Testing-Psicometria-Metodologia, 13(2).
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 27/S3
Titolo: L’EMPATIA
Attività N°: 01

L'Interpersonal Reactivity Index si compone di 28 item, articolati in quattro


sottoscale: (a) Fantasia, indaga la propensione ad identificarsi con personaggi fittizi del
la letteratura, del cinema o del teatro (esempio di item, "Resto veramente coinvolto dagli
stati d'animo dei protagonisti di un racconto"); (b) Perspective Taking, sonda la capacità
di adottare il punto di vista altrui (esempio di item, "Quando sono in contrasto con
qualcuno, di solito cerco di mettermi nei suoi panni per un attimo"); (c) Considerazione
Empatica, valuta la tendenza dei soggetti a provare compassione, preoccupazione e
calore nei confronti di altre persone che vivono esperienze spiacevoli (esempio di item,
"Quando vedo qualcuno che viene sfruttato, provo sentimenti di protezione nei suoi
confronti"); (d) Disagio Personale, fa riferimento ai casi in cui l'essere spettatori di
esperienze spiacevoli che accadono ad altri provoca un senso di sconforto e di ansietà
nei soggetti stessi (esempio di item, "Tendo a perdere il controllo in casi di emergenza").
Gli item sono presentati sotto forma di affermazioni rispetto alle quali il soggetto
deve dichiarare il proprio grado di accordo su una scala Likert a 5 punti (da 1 "mai vero"
a 5 "sempre vero"). Alcuni item sono espressi in forma negativa rispetto al senso
generale della sottoscala
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 27/S3
Titolo: L’EMPATIA
Attività N°: 01

I. Sogno ad occhi aperti e fantastico, con una certa regolarità, sulle cose che potrebbero accadermi .32
5. Resto veramente coinvolto dagli stati d'animo dei protagonisti di un racconto .46
16. Dopo aver visto una rappresentazione teatrale o un film, mi sono sentito come se io stesso fossi
.60
F uno dei protagon isti
23. Quando guardo un buon film, riesco molto facilmente a mettermi nei panni di un personaggio .63
principale
26. Quando leggo una storia o un racconto interessa nte, immagino come mi sentirei se gli avvenimenti .52
della storia stessero accadendo a me

2. Provo spesso sentim enti di tenerezza e di preoccupazione per le persone meno fortunate di me .39
4. A volte non mi sento molto dispiaciuto per le altre persone che hanno problemi (r) .39
9. Quando vedo qualcuno che viene sfruttato, provo sentimenti di protezione nei suoi confronti .40
CE 14. Le sventure delle altre persone a volte non mi turbano molto (r) .32

18. Quando vedo qualcuno che viene trattato ingiustamente, talvolta mi capita di non provare molta
pietà per lui (r) .32
22. Potrei descrivermi come una persona dal cuore piutto sto tenero .35

3. A volte trovo difficile vedere le cose dal punto di vista di un ' altra persona (r) .24
8. In ca50 di disaccordo, cerco di tener conto del punto di vista di ognuno prima di prendere una deci­
sio ne .39
11. A volte cerco di comprendere meglio i miei amici immaginando come le cose appaio no dalla loro
prospettiva .35
PT
15. Se sono sicuro di aver ragione riguardo a qua lcosa, non spreco molto tempo ad ascoltare le argo­
.29
mentazioni degli altri (r)
21. Credo che esistano due opposti aspetti in ogni vicenda e cerco di prenderli in considerazione en­

trambi .35
25. Quando sono in contrasto con qualcuno, di solito cerco di " mettermi nei suoi panni" per un attimo .48
28. Prima di criticare qualcuno, cerco di immaginare cosa proverei se fossi al suo posto .36

6. In situazioni di emergenz a, mi sento apprensivo e a disagio .36


10. A volte mi se nto indifeso quando mi trovo in situ azioni emot ivament e molto coinvolgenti .36
13 . Quando vedo qualcuno farsi male, tendo a restare calmo (r) .26
DP 17. Trovarmi in situazio ni che provocano ten sione emotiva mi spaventa .42
19. Sono di solito piuttosto efficiente nel far fronte alle situ azioni di emergenza (r) .29
24. Tendo a perdere il controllo in casi di emergenza .4 I
27. Quando vedo qualcuno che ha urgente bisogno di aiuto in una situazione di emergenza, crollo .38

No ta : F = Fantasia; CE= Considerazione Empatica; PT= Perspec tive Takin g; DP = Disagio Personale.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 28
Titolo: PROVA DI APPRENDIMENTO E AUTOVERIFICA
Attività N°: 01

RIPASSIAMO
e-portfolio

Ripensando ai costrutti di teoria della mente e di empatia, rifletta su quali sono gli
aspetti distintivi dei 2 costrutti e le loro possibili connessioni.
Inoltri le sue risposte su e-portfolio
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 29
Titolo: Natura E Funzioni Delle Relazioni Familiari
Attività N°: 1

- La natura e le funzioni delle relazioni familiari


Coloro che sono interessati alla tematica possono leggere il volume di:
Fruggeri (2009) Osservare le famiglie, Carocci editore.
Il contenuto della lezione è stato tratto dal testo di Fruggeri
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 29
Titolo: Natura E Funzioni Delle Relazioni Familiari
Attività N°: 1

Premessa storica

L'indicazione di considerare la famiglia come unità di analisi risale al 1926, quando


Burgess, per primo, propose di studiare le famiglie attraverso l'osservazione della
comunicazione e delle interazioni tra membri, e di categorizzarle in base alla qualità delle
loro relazioni.
Tuttavia, l’analisi sistematica delle relazioni familiari ha inizio negli anni ‘50-’60
a opera di alcuni pionieri, che sottopongono a verifica l'ipotesi di un'interdipendenza fra lo
sviluppo individuale e le dinamiche di relazione interpersonale che prendono corpo
nell'ambito della famiglia (Ackermann, I968; Lidz, I972; Bowen, I959; ]ackson, I978, I980;
Wynne et al., 1980).

(Fruggeri, 2009)
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 29
Titolo: Natura E Funzioni Delle Relazioni Familiari
Attività N°: 1

Nei decenni successivi, gli studi psicologici sulla famiglia come oggetto unitario di analisi
escono dall'ambito minoritario e trovano la loro massima espansione e diffusione, contribuendo
così alla conoscenza dei meccanismi e dei processi interattivi-relazionali connessi con la
crescita e lo sviluppo individuale, ovvero del rapporto tra la qualità delle relazioni familiari e gli
esiti dello sviluppo dei singoli componenti (Gurman, Kniskern, I995; Bertrando, Toffanetti,
2000).
La ricerca sulle relazioni familiari fondata su una concezione di "famiglia" come un'unità di
persone in interazione è proceduta di pari passo con lo sviluppo di un approccio teorico capace
di declinare tale costrutto in forme di relazione e processi, e con la messa a punto di
metodologie di analisi idonee a cogliere gli aspetti di complessità insiti in tale definizione (Kerig,
Lindahl, 2006).

(Fruggeri, 2009)
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 29
Titolo: Natura E Funzioni Delle Relazioni Familiari
Attività N°: 1

Famiglia come sistema di relazioni e di processi tra loro interdipendenti

Studiare la famiglia assumendola come unità di analisi non significa fare riferimento a un
singolo soggetto collettivo, bensì a un sistema di relazioni e di processi tra loro
interdipendenti.
Il concetto di "interdipendenza" è stato diversamente definito nella psicologia delle relazioni
interpersonali. In generale esso fa riferimento alla dinamica tipica di un gruppo in base alla
quale «un cambiamento di stato in una sua parte interessa lo stato di tutte le altre» (Lewin,
1972, p. 125).
In altri termini, l'interdipendenza caratterizza quelle situazioni di rapporto
interpersonale in cui ogni comportamento individuale influenza e resta
influenzato dal comportamento degli altri e qualunque cambiamento di uno dei
membri del gruppo innesca un cambiamento in tutti gli altri e nelle modalità di
funzionamen to dell'intero sistema (Jackson, 1978; Selvini Palazzoli et al., 1975)·

(Fruggeri, 2009)
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 29
Titolo: Natura E Funzioni Delle Relazioni Familiari
Attività N°: 1

Famiglia come sistema di relazioni e di processi tra loro interdipendenti

• Oggi l'interdipendenza viene infatti identificata con il processo attraverso il quale le persone
impegnate in situazioni interattive influenzano reciprocamente i rispettivi comportamenti
e gli esiti stessi dell'interazione in cui sono coinvolte, ma anche le rispettive motivazioni,
valutazioni e preferenze. In questo senso, lo studio dell'interdipendenza consiste nell' analisi di
come dimensioni comportamentali (le azioni messe in atto dai partecipanti all'interazione) e dimensioni
simboliche (le loro preferenze e motivazioni) si compongono nella determinazione congiunta degli esiti
dell’interazione stessa.

• L'effetto dell'interazione, inoltre, non si limita alla modificazione di valutazioni,


motivazioni, comportamenti, ma si ripercuote anche sulla definizione dell'identità degli
interlocutori coinvolti e della relazione che intercorre tra loro. In altri termini, il
coinvolgimento in un processo interattivo comporta una negoziazione che può sfociare in una conferma
oppure in una trasformazione anche della definizione dell'identità dei soggetti interagenti e della natura
del loro rapporto. Tali definizioni diventano i nuovi punti di partenza per il coinvolgimento in ulteriori
processi interattivi e comunicativi.

(Fruggeri, 2009)
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 29/S1
Titolo: Natura E Funzioni Delle Relazioni Familiari
Attività N°: 1

La triade come unità minima per l'analisi


delle relazioni familiari:
le configurazioni triangolari

Fruggeri (2009)
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 29/S1
Titolo: Natura E Funzioni Delle Relazioni Familiari
Attività N°: 1

La triade come unità minima per l'analisi delle relazioni familiari

Considerando le relazioni familiari l'unità minima dell'interdipendenza non è la diade, bensì


la triade. La forma triangolare è una forma che si colloca a un livello diverso da quello della
forma diadica. La triade non è costituita da una diade più uno; essa comporta relazioni complesse:
relazioni di relazioni.

Come sottolineano diversi autori, le dinamiche interpersonali tipiche delle relazioni diadiche si
modificano quando si introduce un terzo. La coordinazione triangolare fa infatti riferimento a
una forma interattiva secondo la quale un componente della famiglia si coordina con il
comportamento di un altro componente, che a sua volta interagisce con un terzo
(Westerman, Massoff, 2001).
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 29/S1
Titolo: Natura E Funzioni Delle Relazioni Familiari
Attività N°: 1

Le configurazioni triangolari

La maggior complessità delle interazioni triadiche deriva innanzitutto dal fatto che esse possono
assumere diverse configurazioni (questo tema verrà ulteriormente approfondito nelle slide sul Gioco
Triadico di Losanna): la situazione "tre insieme", in cui tre persone interagiscono; la situazione in cui
una persona è direttamente impegnata a interagire con un' altra mentre una terza è in posizione di
osservatore.

Nelle situazioni triangolari, le persone si trovano, di volta in volta:


nella posizione di chi è direttamente coinvolto con un altro mentre il terzo osserva;
nella posizione di chi osserva gli altri due impegnati in uno scambio reciproco, e dunque
periferica rispetto a tale scambio;
nella posizione di chi interagisce contemporaneamente con tutti gli altri.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 29/S1
Titolo: Natura E Funzioni Delle Relazioni Familiari
Attività N°: 1

Le configurazioni triangolari: il terzo che osserva

E’ bene sottolineare che la posizione periferica di chi osserva le interazioni tra altri non
corrisponde a una posizione di estraniazione. Chi, al momento, non è direttamente
coinvolto nello scambio comunicativo rimane connesso agli altri attraverso so una
partecipazione emotiva. Analogamente, i due che sono direttamente coinvolti
nell'interazione non sono isolati dal terzo, con il qua le, appunto, benché in posizione
marginale, mantengono un contatto attraverso diversi canali comunicativi (visivi, uditivi,
verbali e non).
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 29/S1
Titolo: Natura E Funzioni Delle Relazioni Familiari
Attività N°: 1

La complessità delle configurazioni triangolari

Le situazioni triangolari sono complesse anche perché implicano un coordinamento


a tre che rimanda a importanti abilità psicologiche quali:
la capacità di stare nel rapporto con un altro,
la capacità di starne fuori
la capacità di interagire con due partner contemporaneamente senza sottrarsi, né escludere
nessuno (Fruggeri, 2002).

Tali capacità emergono come interconnesse nella dinamica triangolare e possono


essere rilevate come esito di una coordinazione tra tutti i componenti della triade.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 29/S1
Titolo: Natura E Funzioni Delle Relazioni Familiari
Attività N°: 1

La complessità delle configurazioni triangolari: le abilità psicologiche

Infatti, da una parte la capacità di stare nel rapporto è una capacità individuale che si configura
come prestare attenzione, rispondere ai bisogni dell'interlocutore, provare risonanza emotiva con
l'altro, lasciando il terzo in posizione periferica, evitando cioè di sollecitarlo a partecipare allo
scambio diadico di cui si è protagonisti; dall’ altra parte la capacità di stare in un rapporto può
essere favorita od ostacolata dalla posizione assunta dal terzo periferico, che, specularmente, può
tollerare di rimanere ai margini o, invece, non resistere dal l'intervenire o, perfino, dall'assentarsi
autoescludendosi. Ma la posizione marginale di uno degli interlocutori sarà tanto più facilmente
mantenuta quanto più l'interazione degli altri sarà percepita come armonica. Inoltre, la capacità di
interagire con più di un interlocutore implica che ciascuno eviti di catturare uno degli interlocutori
all'interno di uno scambio diadico, escludendo così il terzo; ma ciò è, a sua volta, facilitato dalla
condizione che nessuno, sottraendosi all'interazione, finisca con l'autorizzare gli altri a intrattenere
uno scambio diadico.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 29/S2
Titolo: Natura E Funzioni Delle Relazioni Familiari
Attività N°: 1

LE FUNZIONI FAMILIARI
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 29/S2
Titolo: Natura E Funzioni Delle Relazioni Familiari
Attività N°: 1

Premessa

La rete delle relazioni familiari costituisce un contesto di appartenenza molto importante


per lo sviluppo degli individui. La famiglia di appartenenza coincide infatti con la rete primaria
all'interno della quale il singolo trova la soddisfazione dei propri bisogni, stringe legami,
sperimenta dinamiche relazionali, costruisce identità, acquisisce competenze, sviluppa abilità
sociali, si proietta verso l’esplorazione di mondi diversi e di nuovi legami, trova risorse per
perseguire l’indipendenza.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 29/S2
Titolo: Natura E Funzioni Delle Relazioni Familiari
Attività N°: 1

Promozione dell’autonomia e della coesione: due importanti funzioni familiari

La promozione dell'autonomia dei componenti è un compito importante che le


famiglie assolvono. In esse, i singoli individui crescono, sviluppano un'identità e acquisiscono
gli strumenti e le risorse per interagire con e nell' ambiente.
La famiglia, tuttavia, si configura come un contesto che permette anche
l'esperienza del legame, della connessione, dell' appartenenza e reciprocità,
favorendo così il bisogno dei singoli di essere in contatto emotivo con gli altri.

Individualità e gruppalità sono due aspetti interconnessi nelle famiglie: la promozione


dell'autonomia individuale non può infatti essere perseguita a scapito della connessione tra tutti i
componenti e, d'altra parte, la cura delle relazioni reciproche e dell' appartenenza al gruppo non
può ostacolare il raggiungimento dell'indipendenza dei singoli membri. Le modalità con cui le
famiglie coniugano queste due importanti funzioni sono molteplici e riflettono le diversità che
caratterizzano le famiglie stesse nella forma, nell' organizzazione e nella cultura. Alcune
famiglie, infatti, per credenza, per struttura o per necessità enfatizzano di più l'autonomia dei
singoli, mentre altre valorizzano soprattutto l'appartenenza, ovvero le relazioni familiari.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 29/S2
Titolo: Natura E Funzioni Delle Relazioni Familiari
Attività N°: 1

Promozione dell’autonomia e della coesione: due importanti funzioni familiari

Questa diversità può essere rappresentata attraverso un continuum i cui poli opposti sono
un'esasperata ricerca delle autonomie individuali, da un lato, e una
rigida pratica della coesione e dell'unità del gruppo, dall'altro.
Ambedue i poli estremi del continuum sono considerati disfunzionali:
«un'autonomia che non possa contare sull' appartenenza si trasforma in una
mancanza di legami, e una coesione che non lasci spazio alle individualità e alle
diversità diventa una trappola da cui nessuno riesce a uscire» (Minuchin, 1976).

Nelle famiglie dove emergono forme di disfunzionalità o psicopatologia si osserva


contemporaneamente sia una difficoltà a favorire la differenziazione degli individui (Bowen
1979) che si sentono coinvolti in dinamiche relazionali vincolanti, sia una difficoltà a definire
quell’intimità del gruppo che sostanzia la soddisfazione della motivazione alla affiliazione.

Al contrario le fam iglie funzionali m ostrano la capacità di coniugare coesione e


adattabilità al cam biam ento (Olson, 1995) equilibrando le tendenze di affiliazione e
individuazione.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 29/S2
Titolo: Natura E Funzioni Delle Relazioni Familiari
Attività N°: 1

Lo sviluppo dell’intersoggettività

La famiglia costituisce anche il contesto per lo sviluppo dell'intersoggettività (Fivaz-Depeursinge, Corboz-


Warnery, 2000). All'interno del triangolo familiare primario, i bambini imparano a stare in relazione
con più di una persona alla volta; essi acquisiscono cioè quella importante abilità sociale che permette
agli individui di allacciare nuove relazioni significative senza sentire di dover abbandonare quelle già
strutturate. La capacità di stare in uno scambio emotivo con più di una persona costituisce la
base per poter moltiplicare le relazioni senza percepirle in competizione o in alternativa tra
loro. Ma, anche in questo caso, le famiglie possono essere caratterizzate da forme di relazione (alleanze)
che favoriscono queste capacità e da forme che invece risultano disfunzionali (questo tema verrà
approfondito nella lezione sulle alleanze familiari)
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 29/S2
Titolo: Natura E Funzioni Delle Relazioni Familiari
Attività N°: 1

Promozione della sicurezza affettiva

La famiglia fornisce ai suoi componenti una base di sicurezza Affettiva da cui sia possibile partire
verso altre mete; fornisce cioè una rete abbastanza affidabile di relazioni di attaccamento da
consentire a tutti i membri, a qualsiasi età, di sentirsi abbastanza sicuri da spingersi a esplorare le
relazioni che vi sono tra di loro e quelle che essi intrattengono all'esterno della famiglia (Byng-Hall,
1998).

Definizione di limiti e regole

La protezione e la cura di cui le persone hanno bisogno per crescere implicano sia l'attenzione, la
disponibilità, la comprensione e il sostegno, sia il controllo, l'esercizio dell' autorità e del potere. Così, a
fianco della cura, le famiglie assolvono l'importante compito di "insegnare il limite". La responsabilità che
i genitori hanno di aiutare i propri figli nel processo di individuazione comporta infatti l'introduzione di
vincoli, confini e regole.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 29/S2
Titolo: Natura E Funzioni Delle Relazioni Familiari
Attività N°: 1

Lo sviluppo della negoziazione dei conflitti

• Il contesto familiare si configura inoltre come il "luogo" in cui è possibile apprendere


modalità negoziali e cooperative di gestione del conflitto (Grych, 1998). La famiglia
come rete di rapporti affettivi fornisce un contesto entro cui diventa possibile
sperimentare quanto l'espressione e il confronto delle differenze non implichino
negatività e distruzione, e quanto invece esse costituiscano le condizioni irriducibili
delle dinamiche interpersonali e sociali in cui si attivano i processi di cambiamento.
• Alcune famiglie, tuttavia, negano l'espressione delle differenze o costruiscono il
conflitto come qualcosa di distruttivo e dunque da evitare a tutti i costi e in altre è del
tutto carente la capacità di risoluzione dei conflitti.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 29/S3
Titolo: Natura E Funzioni Delle Relazioni Familiari
Attività N°: 1

La natura processuale delle


relazioni familiari
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 29/S3
Titolo: Natura E Funzioni Delle Relazioni Familiari
Attività N°: 1

All'interdipendenza re1azionale e alla complessità delle dinamiche familiari (viste precedentemente)


occorre tuttavia aggiungere un altro elemento imprescindibile nello studio delle famiglie: la
processualità che caratterizza 1'assolvimento delle loro funzioni.
Le famiglie, oltre che "unità di persone in interazione", vengono pertanto
definite anche "unità dinamiche", poiché allo scopo di assolvere
alle loro funzioni mettono in atto processi adattivi sollecitati da mutamenti che intervengono al loro
interno e nell' ambiente circostante.

Nel corso della loro storia, infatti, le famiglie riorganizzano ripetutamente i loro rapporti in termini di
vicinanza/distanza, potere, gerarchie, ruoli, regole, confini. Si tratta di cambiamenti che vengono
modulati da altri mutamenti intervenienti a vari livelli: individuale, interpersonale, gruppale,
sociale (Fruggeri, 1999).
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 29/S3
Titolo: Natura E Funzioni Delle Relazioni Familiari
Attività N°: 1

livelli: individuale, interpersonale, gruppale, sociale

- Individuale: ogni gruppo familiare è sollecitato a cambiare dalle trasformazioni connesse con lo
sviluppo emotivo, cognitivo e fisico dei singoli componenti.
- Interpersonale: non sono soltanto gli individui a seguire, nelle famiglie, percorsi di sviluppo, anche le
relazioni fra i membri si costituiscono, si trasformano, si affievoliscono, si arricchiscono, si sciolgono. Si
pensi alla separazione della coppia coniugale e di quanto questa implichi una riorganizzazione di tutta la
famiglia.
- Gruppale: la riorganizzazione delle relazioni e delle pratiche familiari è inoltre sollecitata dai mutamenti
che avvengono nella composizione del gruppo. Una famiglia si forma, si estende, si riduce e, a volte, si
ricompone.
- Sociale: una famiglia, infine, non vive avulsa dal più ampio contesto sociale. In questo senso, si trova
a dover fare i conti con gli innumerevoli mutamenti che intervengono nell'ambiente con cui è in relazione
e di cui fa parte.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 29/S3
Titolo: Natura E Funzioni Delle Relazioni Familiari
Attività N°: 1

Le famiglie, stimolate da questi cambiamenti, attraversano periodi


diversi durante i quali la forma dei loro rapporti assume diverse connotazioni: una famiglia con
bambini piccoli è caratterizzata da rapporti, routine, regole e ruoli diversi da quelli riscontrabili in
una famiglia con figli adolescenti, che è a sua volta diversa, per quanto
guarda ruoli, rapporti, regole e pratiche, rispetto a una famiglia con figli giovani adulti.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 29/S3
Titolo: Natura E Funzioni Delle Relazioni Familiari
Attività N°: 1

Le transizioni

Una ulteriore importante acquisizione teorica che ha permesso di cogliere i processi delle famiglie
consiste nella focalizzazione non tanto sulle forme familiari in diversi momenti o fasi della loro storia,
quanto sul- le transizioni che esse attraversano passando da una fase all' altra. Le transizioni sono quei
periodi nelle storie delle famiglie caratterizzati da incertezza poiché le usuali modalità di funzionamento
non appaiono più adeguate di fronte alle mutate condizioni interne o esterne e tuttavia nuove
modalità adatte alle nuove esigenze non sono ancora emerse o individuate.
Le transizioni sono periodi di passaggio che, in quanto tali, si configurano come dei veri e propri
processi di negoziazione, di coordinazione, di oscillazione, di accomodamento reciproco, di
destrutturazione e ristrutturazione di modalità interattive e di routine quotidiane.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 29/S3
Titolo: Natura E Funzioni Delle Relazioni Familiari
Attività N°: 1

Per comprendere il carattere trasformativo e continuativo dei processi implicati nello sviluppo familiare
risultano utili i concetti di "morfostasi" e "morfogenesi" formulati e definiti da Maruyama (1968) e ripresi da
Speer (I970).
Una famiglia, infatti, in ogni momento della sua storia può essere considerata l'esito di due processi
intrecciati; quello morfostatico, che ne garantisce la continuità e la stabilità nei confronti delle continue
variazioni dell'ambiente circostante o interno, e quello morfogenetico che ne regola le trasformazioni.
L'idea di "morfogenesi" fa riferimento alle riorganizzazioni di ruoli e modalità di rapporto che gli individui e le
famiglie affrontano durante i passaggi che segnano i cambiamenti evolutivi nel corso della loro storia.
L'idea di "morfostasi" fa invece riferimento ai processi di ricostruzione della propria identità che ogni famiglia
opera, attraverso le interazioni e le pratiche messe
in atto giorno per giorno.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 29/S3
Titolo: Natura E Funzioni Delle Relazioni Familiari
Attività N°: 1

Morfostasi e morfogenesi sono processi interconnessi,


dal momento che la possibilità per una famiglia di rimanere sé stessa è legata alle sue
capacità di mutare in relazione ai cambiamenti dei suoi componenti e a quelli che
intervengono nell'ambiente in cui è inserita e con cui intrattiene rapporti; ma anche
viceversa, la possibilità di seguire il proprio cammino evolutivo si fonda sul mantenimento
di un solido equilibrio che ne garantisca la continuità.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 30
ALLEANZE FAMILIARI: LTP
Titolo: 2
Attività n°:

Le alleanze familiari: Il Lausanne Trilogue Play (LTP)

Il contenuto della lezione va studiato sulle slide.

Chi fosse interessato ad approfondire l’argomento


può leggere il volume di Fivaz & Corboz –Warney
(1999) Il triangolo primario. Edito da Raffaello
Cortina.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 30
ALLEANZE FAMILIARI: LTP
Titolo: 2
Attività n°:

LTP: PREMESSA
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 30
ALLEANZE FAMILIARI: LTP
Titolo: 2
Attività n°:

Lausanne Triadic Play

Le autrici, muovendosi dall’idea che non sia sufficiente ricostruire la


famiglia a partire dalle sue sole componenti diadiche, si sono proposte di
osservare la famiglia come “insieme” come “unità”.

Scopo del gioco è di riuscire a divertirsi insieme in quanto entità a tre


Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 30
ALLEANZE FAMILIARI: LTP
Titolo: 2
Attività n°:

IL GIOCO TRIADICO

In un contesto semi-strutturato in cui i


partecipanti madre, padre e figlio occupano
idealmente i vertici di un triangolo
equilatero (il bambino è posto in un seggiolino
su un tavolino al centro della stanza) in modo da
facilitare la relazione triangolare, la famiglia è
inviata a giocare insieme come una squadra
alternando quattro fasi di gioco.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 30
ALLEANZE FAMILIARI: LTP
Titolo: 2
Attività n°:

Fivaz-Depeursinge e Corboz-Warnery ( 1999: pg. 44).


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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 30
ALLEANZE FAMILIARI: LTP
Titolo: 2
Attività n°:

Setting ed equipaggiamento tecnico


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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 30/S1
Titolo: ALLEANZE FAMILIARI: LTP
Attività n°: 2

Le 4 fasi del gioco:


prime indicazioni di osservazione
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 30/S1
Titolo: ALLEANZE FAMILIARI: LTP
Attività n°: 2
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 30/S1
Titolo: ALLEANZE FAMILIARI: LTP
Attività n°: 2
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 30/S1
Titolo: ALLEANZE FAMILIARI: LTP
Attività n°: 2
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 30/S1
Titolo: ALLEANZE FAMILIARI: LTP
Attività n°: 2
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 30/S3
Titolo: ALLEANZE FAMILIARI: LTP
Attività n°: 1

PROVA DI
APPRENDIMENTO

Risponda alle domande seguenti anche sul forum


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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 30/S3
Titolo: ALLEANZE FAMILIARI: LTP
Attività n°: 1

• IL GIOCO TRIADICO DI LOSANNA DA QUANTE FASI


E’ COMPOSTO?
• DESCRIVA LA FASE 3
• L’INTERAZIONE DI GIOCO VIDEOREGISTRATA VIENE
ANALIZZATA IN BASE A QUATTRO LETTURE: QUALI?
• QUALI SONO I LIVELLI FUNZIONALI DELLA LETTURA
STRUTTURALE?
• DEFINISCA LA FUNZIONE DELLA PARTECIPAZIONE
E DEL CONTATTO AFFETTIVO.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 31
Titolo: ANALISI DELLE ALLEANZE FAMILIARI: LTP
Attività n°: 2

LEZIONE 33
L’analisi delle alleanze familiari
Il contenuto della lezione va studiato sulle slide.
Chi fosse interessato ad approfondire l’argomento, può leggere il volume
di Fivaz & Corboz –Warney (1999) Il triangolo primario. Edito da
Raffaello Cortina.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 31
Titolo: ANALISI DELLE ALLEANZE FAMILIARI: LTP
Attività n°: 2

Attraverso le informazioni provenienti da queste 4 letture il clinico è


in grado di leggere le relazioni tra i membri della famiglia in termini
di alleanze, ovvero in termini di grado di coordinazione che i
membri della famiglia raggiungono lavorando tutti insieme per
raggiungere un obiettivo. Il grado secondo cui i partner coordinano
le loro azioni e i loro segnali e in parallelo allineano le loro
esperienze intersoggettive nel raggiungere l’obiettivo definisce il
tipo di alleanza da più coordinata a meno coordinata. Le alleanze
familiari vanno da un continuum di maggiore e minore funzionalità;
Fivaz- Depeursinge e Corboz-Warnery (1999) hanno distinto 4
diverse tipologie di alleanza:
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 31
Titolo: ANALISI DELLE ALLEANZE FAMILIARI: LTP
Attività n°: 2

L’alleanza cooperativa (A) è tipica di quelle famiglie che si


coordinano adeguatamente per dare sostegno al bambino e
riescono a raggiungere l’obiettivo della condivisione affettiva
senza particolare difficoltà. Le configurazioni si succedono in
modo naturale e fluido, senza scatti e interruzioni, in un clima
di coinvolgimento e divertimento condiviso ed il figlio
beneficia di una triangolazione differenziata; sono garantite le
funzioni della partecipazione, organizzazione, attenzione
focale e contatto affettivo.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 31
Titolo: ANALISI DELLE ALLEANZE FAMILIARI: LTP
Attività n°: 2

L’alleanza in tensione (B) si registra in famiglie che


riescono comunque a raggiungere l’obiettivo, ma
commettono degli errori interattivi che sono poi riparati,
ripristinando un clima di collaborazione. Il clima affettivo è
comunque sereno. Anche in questo caso il figlio beneficia
di una triangolazione differenziata; sono garantite le
funzioni della partecipazione e organizzazione, mentre
risultano problematiche l’attenzione focale e il contatto
affettivo
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 31
Titolo: ANALISI DELLE ALLEANZE FAMILIARI: LTP
Attività n°: 2
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 31/S1
Titolo: ANALISI DELLE ALLEANZE FAMILIARI: LTP
Attività n°: 1

ALLEANZE COOPERATIVE: “Lavorare insieme e aiutarsi reciprocamente”


Esempi tratti dalle osservazioni

-la famiglia collabora in modo evidente con un atteggiamento di risonanza che ben si
accorda alla loro vicinanza fisica.
- il coinvolgimento emotivo appare ottimale
- la madre in diade entra in contatto diretto con il bambino
- il padre appare in continua risonanza con l’interazione, mantenendo un atteggiamento
positivo di specchio senza interferire
- la madre nel ruolo di terzo rimane in contatto con la diade e mantiene un atteggiamento
ricettivo. Non si sente sminuita in rapporto alla capacità del marito
- insieme, i genitori si muovono in modo sincrono e sintonizzato.
-Le configurazioni si succedono in modo naturale e fluido, senza scatti o interruzioni, in un
clima disteso e di divertimento condiviso
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 31/S1
Titolo: ANALISI DELLE ALLEANZE FAMILIARI: LTP
Attività n°: 1

ALLEANZA IN TENSIONE: Esempi tratti dalle osservazioni


Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 31/S1
Titolo: ANALISI DELLE ALLEANZE FAMILIARI: LTP
Attività n°: 1

L’alleanza collusiva (C) è tipica di famiglie altamente conflittuali che non


riescono a coordinarsi per raggiungere l’obiettivo ed il figlio è coinvolto in
una triangolazione disfunzionale come mediatore del conflitto. Soltanto la
funzione della partecipazione possiede un livello di funzionamento
adeguato. L’interazione è caratterizzata dalla competizione tra i genitori ed
è osservata solitamente tra le famiglie in cui esiste un conflitto non
negoziabile tra i genitori che deviano le loro tensioni coniugali sui figli.
Queste famiglie non riescono a raggiungere l’obiettivo di gioco e di
divertimento condiviso e c’è una forte difficoltà da parte della componente
genitoriale nel fornire aiuto e guida al bambino. La successione delle parti
è brusca e segnata da molte interruzioni, la trama narrativa è mancante e
sconnessa. Il clima affettivo non è rilassato e percorso da una tensione che
non viene riparata.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 31/S1
Titolo: ANALISI DELLE ALLEANZE FAMILIARI: LTP
Attività n°: 1
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Lezione n°: 31/S1
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Attività n°: 1
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Titolo: ANALISI DELLE ALLEANZE FAMILIARI: LTP
Attività n°: 1
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Lezione n°: 31/S2
Titolo: ANALISI DELLE ALLEANZE FAMILIARI: LTP
Attività n°: 1
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Lezione n°: 31/S2
Titolo: ANALISI DELLE ALLEANZE FAMILIARI: LTP
Attività n°: 1
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Lezione n°: 31/S2
Titolo: ANALISI DELLE ALLEANZE FAMILIARI: LTP
Attività n°: 1

In sintesi, attraverso la lettura macroanalitica di tipo


funzionale clinico, attraverso l’analisi delle 4 funzioni
nella lettura strutturale, e attraverso le analisi di
processo ed evolutiva, diviene possibile cogliere la
qualità dell’alleanza familiare.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 31/S2
Titolo: ANALISI DELLE ALLEANZE FAMILIARI: LTP
Attività n°: 1

Contatto
Attenzione affettivo
Partecipazione Organizzazione Focale Sono tutti in contatto?
Si
Prestano tutti
Si Attenzione al gioco?

Sono tutti nel proprio No


Si ruolo?
No No Si
Sono tutti
Inclusi?
No

Alleanze Alleanze Alleanze


Alleanze
disturbate in tensione cooperative
collusive
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 31/S2
Titolo: ANALISI DELLE ALLEANZE FAMILIARI: LTP
Attività n°: 1

In conclusione, attraverso l’LTP diventa possibile delineare gli schemi familiari


tipici di ogni triangolo primario (madre, padre, bambino) che regolano i rapporti
tra le due subunità di cui è composto: quella strutturante - formata da madre e
padre -, che assolve a compiti coparentali di guida e facilitazione dello sviluppo,
e quella evolutiva - formata dai figli, che vengono guidati nel raggiungimento
dei loro obiettivi.
Le due subunità sono interconnesse, e per assolvere pienamente alle loro
funzioni è necessaria una cooperazione. Pertanto, osservando come si
incastrano le due componenti in configurazioni e schemi familiari tipici, è
possibile valutare il grado di coordinazione dell'unità familiare e stabilire qual è
l'alleanza familiare nel triangolo primario esaminato.
Corso di Laurea: Scienze e tecniche psicologiche (d.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia dello sviluppo tipico e atipico
Lezione n°: 31/s3
Titolo: Analisi delle alleanze familiari: ltp
Attività n°: 1

Prova di apprendimento

PROVI A RISPONDERE ALLE DOMANDE SUCCESSIVE


ANCHE SUL FORUM
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Insegnamento: Psicologia dello sviluppo tipico e atipico
Lezione n°: 31/s3
Titolo: Analisi delle alleanze familiari: ltp
Attività n°: 1

• Provi a definire gli aspetti caratteristici


della alleanza collusiva.
• Quale importante funzione viene a cadere
nell’alleanza collusiva?
• Quali sono le somiglianze e differenze
dell’alleanza collusiva e disturbata?
• Quali sono le somiglianze e differenze
dell’alleanza cooperativa e in tensione?
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 32
Titolo: ANALISI DELLE ALLEANZE: ESERCITAZIONE
Attività n°: 1

LEZIONE 34
Lausanne Trilogue Play
Esercitazione di approfondimento tratta da Fivaz & Corboz (1999) Il
triangolo primario. Raffaello Cortina Milano

Legga i due resoconti narrativi descritti in questa lezione e provi a


definire il tipo di alleanza nelle famiglie di Mike e Frankie.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 32
Titolo: ANALISI DELLE ALLEANZE: ESERCITAZIONE
Attività n°: 1

La famiglia di Mike
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 32
Titolo: ANALISI DELLE ALLEANZE: ESERCITAZIONE
Attività n°: 1
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 32
Titolo: ANALISI DELLE ALLEANZE: ESERCITAZIONE
Attività n°: 1
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 32
Titolo: ANALISI DELLE ALLEANZE: ESERCITAZIONE
Attività n°: 1
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 32
Titolo: ANALISI DELLE ALLEANZE: ESERCITAZIONE
Attività n°: 1
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 32/S1
Titolo: ANALISI DELLE ALLEANZE: ESERCITAZIONE
Attività n°: 1

Prova di apprendimento

Provi a commentare la famiglia di


Mike sul forum
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 32/S2
Titolo: ANALISI DELLE ALLEANZE: ESERCITAZIONE
Attività N°: 01

La famiglia di FRANKIE
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 32/S2
Titolo: ANALISI DELLE ALLEANZE: ESERCITAZIONE
Attività N°: 01
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 32/S2
Titolo: ANALISI DELLE ALLEANZE: ESERCITAZIONE
Attività N°: 01
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 32/S2
Titolo: ANALISI DELLE ALLEANZE: ESERCITAZIONE
Attività N°: 01
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 32/S3
Titolo: ANALISI DELLE ALLEANZE: ESERCITAZIONE
Attività n°: 1

Prova di apprendimento

Provi a commentare la famiglia di


Frankie sul forum
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 33
Titolo: Il Dsm5 E Il Disagio Espresso Attraverso Il Corpo
Attività N°: 1

Patologie della sfera digestiva

In questa e nelle prossime lezioni affronteremo le patologie della sfera digestiva.

Il contenuto delle slide va integrato sul testo obbligatorio di Di Pentima: Percorsi di


sviluppo normale e patologico in età evolutiva.
Il contenuto delle lezioni è tratto dal volume di Di Penitma.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 33
Titolo: Il Dsm5 E Il Disagio Espresso Attraverso Il Corpo
Attività N°: 1

Le patologie della sfera digestiva, così come quelle della sfera respiratoria e quelle
cutanee, fanno parte dei disagi che i bambini esprimono attraverso il corpo.
Sono quindi, molto spesso, delle patologie fisiche connesse a disturbi psicologici profondi,
che usano il corpo come strumento cui manifestarsi.

Nel DSM-5 è presente la categoria “Disturbi da sintomi somatici” che include per quello
che riguarda l’età adulta quadri psicopatologici le cui cause non sono riconducibili a una
condizione medica, né possono essere individuate negli effetti di una sostanza o di
un’altra patologia mentale, ma devono essere ricondotti all’ambito dei fattori stressogeni.
I sintomi, inoltre, devono essere un impedimento serio allo svolgimento delle attività
quotidiane e devono essere fonte di preoccupazioni eccessive e strategie
comportamentali per gestirli.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 33
Titolo: Il Dsm5 E Il Disagio Espresso Attraverso Il Corpo
Attività N°: 1

Per quanto riguarda l’infanzia vengono presentate informazioni generiche, ovvero viene
riportato che i sintomi più comuni nei bambini sono:
•Dolore addominale
•Mal di testa
•Senso di affaticamento
•Nausea

Si evidenzia che nei bambini emergono un sintomo o due e che a differenza degli adulti,
loro non mostrano preoccupazioni per i disturbi somatici (iniziano a farlo in adolescenza).
Si evidenziano, infine, le modalità attraverso cui i genitori rispondono ai sintomi dei propri
figli, le quali sono fondamentali nel determinare il livello di stress associato a queste
patologie.

Si mostra che i quadri psicosomatici sono interconnessi con le varie fasi di sviluppo del
soggetto, ma sembra che sia la qualità della relazione tra il piccolo e l’adulto significativo
che ne determina la comparsa.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 33
Titolo: Il Dsm5 E Il Disagio Espresso Attraverso Il Corpo
Attività N°: 1

È necessario che la relazione adulto-bambino sia connotata da ricchezza affettiva, un


certo grado di flessibilità negli adattamenti reciproci e soprattutto da una condizione di
stabilità, affinché sia garantita una crescita sana da punto di vista fisico e psichico. Deve
quindi crearsi una sintonia tra il caregiver e il bambino, in quanto le interazioni
inadeguate rappresentano per il bambino una condizione di stress cronico che induce
un’attivazione fisiologica prolungata e frequente, la quale può determinare la comparsa di
una patologia psico-somatica.
Inoltre, l’emergere di una patologia nel bambino potrebbe modificare le cure del
caregiver improntate all’aggressività, inducendo nella figura di attaccamento
atteggiamenti di cura prima inesistenti. Quindi i sintomi potrebbero rappresentare, in
questo caso, una forma di comunicazione finalizzata a sollecitare le cure e le attenzioni
del caregiver che prima rimanevano insoddisfatte.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 33
Titolo: Il Dsm5 E Il Disagio Espresso Attraverso Il Corpo
Attività N°: 1

Cure adeguate e costanti consentono al bambino di apprendere che la presenza della


figura allevante permette di ripristinare uno stato di equilibrio interno che viene a
mancare quando emergono i bisogni di base.
Si sottolinea anche che, dove il caregiver è assente oppure fornisce cure distorte o
carenti, si determina una condizione di disorganizzazione dell’omeostasi fisiologica. I
problemi più evidenti possono essere determinati da un eccesso di stimolazione, come
nel caso di un caregiver invadente, aggressivo o dominante, oppure riguardano un difetto
nella stimolazione, che si verifica quando un caregiver è depresso, rifiutante o assente.
Infine, può riguardare una stimolazione incongruente e/o paradossale, che si può avere
con un caregiver ambivalente, disturbato o incoerente.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 33/S1
Titolo: Il Dsm5 E Il Disagio Espresso Attraverso Il Corpo
Attività N°: 1

Patologie della sfera digestiva

• Le coliche idiopatiche dei primi tre mesi


La prima patologia della sfera digestiva che affrontiamo sono le coliche idiopatiche. Si
manifestano durante i primi tre mesi di vita del bambino, di solito 10-20 giorni dopo
la nascita. Il bambino resta tranquillo per la maggior parte della giornata, poi nel
tardo pomeriggio o nel corso della sera dopo il pasto, con lo svolgersi della
digestione, iniziano le coliche.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 33/S1
Titolo: Il Dsm5 E Il Disagio Espresso Attraverso Il Corpo
Attività N°: 1

In quel momento si presenta la crisi che è caratterizzata da sofferenza digestiva, fame imperiosa,
manifestate con agitazione e pianto che possono perdurare anche per alcune ore. Il bambino si calma
solo se viene allattato, cullato. Appena si smette il bambino, solitamente, torna a piangere,
svegliandosi e urlando.
Le crisi si presentano con una frequenza quotidiana e possono protrarsi per settimane, poi
scompaiono improvvisamente e spontaneamente dopo due o tre mesi.

La dimensione psicosomatica del disturbo è dimostrata dall’efficacia calmante del succhiotto e del
dondolamento confermata dal fatto che dall’esame medico non emerge nulla di patologico.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 33/S1
Titolo: Il Dsm5 E Il Disagio Espresso Attraverso Il Corpo
Attività N°: 1

Le cause a cui potrebbe essere ricondotto questo disturbo implicano un intreccio tra caratteristiche a
base innata del piccolo e modalità di interazione.
Si osserva che questi bambini fin dalla nascita si distinguono per una notevole prontezza e sensibilità
nel rispondere alle sollecitazioni esterne. I caregiver appaiono eccessivamente ansiosi, alternando
gesti bruschi e scoppi d’ira a comportamenti iperprotettivi: controllano ogni gesto del neonato, ogni
vagito, persino durante il corso della notte.
Il caregiver sembra così fallire il suo compito di regolatore esterno degli stati somatici del piccolo, non
riuscendo a comprendere e quindi a rispondere adeguatamente ai suoi bisogni a causa delle proprie
ansie.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 33/S1
Titolo: Il Dsm5 E Il Disagio Espresso Attraverso Il Corpo
Attività N°: 1

Queste coliche, che avvengono appunto durante i primi tre mesi di vita del bambino, sembrano
scaturire da un disturbo precoce della relazione tra il caregiver e ilo neonato a seguito di due eventi:

•Lo sviluppo del bambino che consente l’emergere di competenze nella regolazione delle proprie
tensioni attraverso la gestualità intenzionale o il succhiamento del pollice.
•Il progressivo adattamento del caregiver al neonato, che permette di comprenderne in modo più
adeguato i bisogni e i segnali
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Lezione N°: 33/S2
Titolo: Il Dsm5 E Il Disagio Espresso Attraverso Il Corpo
Attività N°: 1

Patologie della sfera digestiva

• Vomito
Nella fase neonatale l’immaturità fisiologica del cardias, ovvero della giunzione esofago-stomaco,
rende frequenti i rigurgiti di cibo e talvolta veri e propri vomiti. Questi ultimi riguardano alimenti,
più che altro latte, che in parte hanno già subito il processo della digestione.
A parte episodi patologici dovuti a infezioni, anomalie di natura fisiologica, come ad esempio delle
malformazioni digestive o difficoltà di assorbimento e/o intolleranze alimentari, il vomito è
considerato come un disturbo psicosomatico della prima infanzia.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 33/S2
Titolo: Il Dsm5 E Il Disagio Espresso Attraverso Il Corpo
Attività N°: 1

Si presenta con eccessiva facilità e frequenza. Spesso il bambino mostra un buono stato trofico e
tende a rigurgitare cibo quando deve fronteggiare delle situazioni che prevedono un’elevata
attivazione emotiva.
Assume connotazioni più severe e di gravità maggiore quando porta ad una fase di anoressia. In
questo caso vi è un esplicito rifiuto del cibo e gli episodi di vomito tendono a manifestarsi più volte
durante la giornata.
Alcune volte, sembra che il vomito si palesi senza alcuno sforzo, spontaneamente, mentre altre volte
può essere conseguenza delle contrazioni dei muscoli addominali. Rare sono invece le condotte con le
quali il bambino si induce il vomito, introducendosi le dita nella bocca per causare il riflesso della
nausea.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 33/S2
Titolo: Il Dsm5 E Il Disagio Espresso Attraverso Il Corpo
Attività N°: 1

Nel corso del secondo anno di vita, si osserva nella maggior parte dei bambini la scomparsa di questo
disturbo grazie al cambiamento dell’alimentazione e all’acquisizione di una maggiore autonomia
alimentare.
Tuttavia, si è osservato che se nella relazione tra bambino e caregiver c’è conflittualità, il vomito tende
a ripresentarsi negli anni successivi nelle particolari situazioni di costrizione o contrarietà, oppure in
seguito all’emergere di sentimenti di ansia e/o angoscia.
Ad esempio, ci sono bambini che presentano episodi di vomito al mattino prima di andare a scuola; si
rileva, infatti, che i bambini che hanno sofferto di vomito precoce, sviluppano successivamente una
fobia scolare. Negli episodi ancora più severi è necessario ricorrere al ricovero ospedaliero a causa di
una grave perdita di peso o della disidratazione.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 33/S2
Titolo: Il Dsm5 E Il Disagio Espresso Attraverso Il Corpo
Attività N°: 1

• Mericismo
Il mericismo, o ruminazione, compare nel secondo trimestre di vita e sembra riguardare
maggiormente i bambini di sesso maschile.
Il neonato che presenta questo disturbo rigurgita senza apparente sforzo e con una notevole facilità
quantità variabili di cibo provenienti dallo stomaco e, quindi, in parte già digerite. Il cibo viene
richiamato nella cavità orale, dove viene masticato per poi essere di nuovo inghiottito e in parte
vomitato. Nei casi in cui il cibo vomitato sia eccessivo, possono esserci degli effetti collaterali
come denutrizione e/o disidratazione, ma non sono molto frequenti.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 33/S2
Titolo: Il Dsm5 E Il Disagio Espresso Attraverso Il Corpo
Attività N°: 1

L’esordio del mericismo è spesso progressivo e può essere preceduto da episodi di vomito o rigurgito
e spesso non viene individuato precocemente poiché questi bambini mostrano un appetito normale.
Quindi compare solo quando il bambino è solo o si ritiene tale e smette immediatamente se si
avvicina un adulto.
Nel corso dell’episodio di ruminazione, il bambino è totalmente assorbito dall’attività: lo sguardo è
vuoto, estraneo al mondo, il corpo è immobile e atono.
Talvolta ci sono altre manifestazioni che si alternano al mericismo, come:
Dondolamento della testa
Suzione del pollice
Manipolazione di capelli, orecchie e organi genitali
Infatti, questo disturbo è ricondotto a una condizione di deprivazione affettiva, dove i caregivers sono
più freddi, distanti e mettono in atto cure ritualizzate e ossessiove.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 33/S2
Titolo: Il Dsm5 E Il Disagio Espresso Attraverso Il Corpo
Attività N°: 1

La ruminazione, pertanto, potrebbe essere interpretata come un tentativo di ottenere una sorta di
conforto e gratificazione, che non sono garantiti dall’adulto accudente.
Il sintomo mericista tende a scomparire quando si instaura tra caregiver e bambino un rapporto più
affettuoso e rassicurante. Quindi, l’evoluzione del disturbo è legata alle conseguenze sul piano fisico,
qualora vi sia una minaccia di cachessia (ovvero uno stato morboso caratterizzato da estrema
magrezza, riduzione delle masse muscolari e assottigliamento della cute) o di disidratazione che
richiedono un ricovero ospedaliero.
La risoluzione è benevola nella maggioranza dei casi, raramente si verificano esiti mortali.
Inoltre, si è notato che l’allontanamento del caregiver dal bambino durante l’ospedalizzazione
determina la scomparsa dei sintomi.
Infatti, è stato osservato che i bambini che soffrono di mericismo sono stati allevati in una condizione
di deprivazione affettiva in cui il caregiver lascia solo il bambino per la maggior parte del tempo
intervenendo solo per la gestione dei bisogni, senza mai mettere in campo un reale coinvolgimento
affettivo.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 33/S3
Titolo: Il Dsm5 E Il Disagio Espresso Attraverso Il Corpo
Attività N°: 1

Patologie della sfera digestiva

• Rettocolite ulcero-emorragica
Questa patologia psicosomatica, differentemente dai disturbi fino ad ora descritti (coliche,
vomito, mericismo), compare più tardi, in età scolare verso i 7-8 anni, oppure
all’inizio della pubertà tra gli 11 e i 13 anni.
Il disturbo può essere preceduto da sintomi anoressici, o verificarsi in concomitanza con
manifestazioni di ansia, come fobie e comportamenti ossessivi compulsivi.

Si caratterizza per episodi di diarrea sanguinanti, spesso in concomitanza con una


separazione reale o immaginaria dal caregiver.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 33/S3
Titolo: Il Dsm5 E Il Disagio Espresso Attraverso Il Corpo
Attività N°: 1

Il caregiver viene descritto con un profilo psicopatologico dove i tratti depressivi si associano a
caratteristiche di autoritarismo, aggressività, dominanza e iperprotezione.
Al contrario, i figli si rivelano spesso timidi, sottomessi ed eccessivamente obbedienti.
La relazione caregiver-bambino si connota per modalità di interazione improntata all’aggressività e al
rifiuto da parte del caregiver nei momenti in cui il bambino non presenta alcun disturbo, mentre
emergono cure invadenti e manipolatorie associate alla comparsa del disturbo.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 33/S3
Titolo: Il Dsm5 E Il Disagio Espresso Attraverso Il Corpo
Attività N°: 1

Il ruolo delle interazioni precoci sembra essere fondamentale nel favorire o meno dell’emergere delle
competenze emotive e cognitive necessarie per far fronte a successivi eventi avversi.
Nello specifico, per quanto riguarda la rettocolite ulcero-emorragica, come per altre patologie di
origine psicosomatica, la sua insorgenza si associa ad esperienze avverse in età infantile.

Uno studio condotto su gioveni adulti, nei quali è stata riscontrata la rettocolite ulcero-emorragica, ha
indagato la presenza o meno di esperienze traumatiche nell’età infantile. Dai dati è possibile dividere
le epserienze traumatiche in due categorie: intrafamiglaire ed extrafamigliare.
Gli eventi intrafamigliari sono:
•Abuso psicologico, fisico o sessuale
•Dipendenza da sostanze o patologia psichiatrica di un membro della famiglia
•Separazione o divorzio dei genitori
•Carcere di un membro della famiglia
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 33/S3
Titolo: Il Dsm5 E Il Disagio Espresso Attraverso Il Corpo
Attività N°: 1

A questi eventi stressanti si possono aggiungere l’inadeguato funzionamento famigliare, paura nei
confronti dei genitori, trascuratezza, decesso di un genitore, sensazione di non essere stata amato dal
caregiver.

I fattori extrafamigliari includono:


•Essere vittima di bullismo a scuola
•Violenza fisica da parte dell’insegnante
•Atteggiamenti o valutazioni negative di un docente
•Abuso sessuale da persona esterna alla famiglia

Inoltre sono stati riscontrati bassi livelli di autostima, sentimenti di incapacità e inutilità, sfiducia verso
gli altri e quindi difficoltà nei rapporti interpersonali.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 33/S3
Titolo: Il Dsm5 E Il Disagio Espresso Attraverso Il Corpo
Attività N°: 1

Questo si riscontra in particolare in coloro che si sono sentiti trascurati dei genitori o che hanno subito
una vera e propria violenza psicologica. Di fatto, i genitori sono il supporto socio affettivo più
importante nell’infanzia e il sentirsi amati e curati nei momenti del bisogno ha effetti fondamentali
sulla salute fisica e psicologica. Non ricevere cure adeguate significa non avere un
equipaggiamento emotivo sufficiente per far fronte alle difficoltà successive, esponendo se stessi
al rischio di insorgenza di sintomi psicosomatici.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 34/S
Titolo: DISAGIO ESPRESSO ATTRAVERSO IL CORPO 1
Attività n°: 01

Patologie della sfera respiratoria

In questa e nelle prossime lezioni affronteremo le patologie della sfera respiratoria

Il contenuto delle slide va integrato sul testo obbligatorio di Di Pentima: Percorsi di


sviluppo normale e patologico in età evolutiva.
Il contenuto delle lezioni è tratto dal volume di Di Pentima.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 34/S
Titolo: DISAGIO ESPRESSO ATTRAVERSO IL CORPO 1
Attività n°: 01

Le patologie della sfera respiratoria, così come quelle della sfera digestiva e quelle
cutanee, fanno parte dei disagi che i bambini esprimono attraverso il corpo.
Sono quindi, molto spesso, delle patologie fisiche connesse a disturbi psicologici profondi,
che usano il corpo come strumento cui manifestarsi.

Nel DSM-5 è presente la categoria “Disturbi da sintomi somatici” che include per quello
che riguarda l’età adulta quadri psicopatologici le cui cause non sono riconducibili a una
condizione medica, né possono essere individuate negli effetti di una sostanza o di
un’altra patologia mentale, ma devono essere ricondotti all’ambito dei fattori stressogeni.
I sintomi, inoltre, devono essere un impedimento serio allo svolgimento delle attività
quotidiane e devono essere fonte di preoccupazioni eccessive e strategie
comportamentali per gestirli.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 34/S
Titolo: DISAGIO ESPRESSO ATTRAVERSO IL CORPO 1
Attività n°: 01

All’interno di una prospettiva evoluzionista, si è affermato che il contatto e le cure


continuative del caregiver non solo costituiscono un regolatore per lo sviluppo psichico ed
emotivo per il piccolo, ma hanno anche un impatto fondamentale sul suo funzionamento
fisiologico.
Ad esempio, il ritmo respiratorio del neonato viene scandito attraverso gli stimoli tattili,
termici e chimici che sono forniti dalla mamma.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 34/S
Titolo: DISAGIO ESPRESSO ATTRAVERSO IL CORPO 1
Attività n°: 01

Fino ad ora sono state descritte e analizzate le patologie afferenti alla sfera digestiva,
ovvero:
• Coliche idiopatiche
• Vomito
• Mericismo
• Rettocolite ulcero-emorragica

In queste slide affronteremo le patologie afferenti alla sfera respiratoria:


• Asma
• Laringospasmo
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 34/S1
Titolo: DISAGIO ESPRESSO ATTRAVERSO IL CORPO 1
Attività n°: 01

Patologie della sfera respiratoria

• Asma
La patologia asmatica si caratterizza per il verificarsi di contrazioni della muscolatura
bronchiolare che provocano delle crisi respiratorie.
È ormai accreditato che le cause di tale disturbo possono essere individuate in un
intreccio di molteplici fattori, come:
• Componenti ereditarie
• Componenti infettive
• Componenti allergiche
• Componenti psicogene
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Lezione n°: 34/S1
Titolo: DISAGIO ESPRESSO ATTRAVERSO IL CORPO 1
Attività n°: 01

Infatti, si è osservato che in uno stesso soggetto le crisi respiratorie possono essere
ricondotte a un contatto con l’allergene, mentre in altre circostanze avvengono solo come
conseguenza di fattori emotivi, come stati di ansia o di forte paura.

Nella patologia asmatica, come negli altri disturbi psicosomatici, sembra impossibile
operare una distinzione netta tra elementi organici, emotivi e ambientali.

Tuttavia, sembra che l’ambiente famigliare svolga un ruolo molto importante nel dare
l’avvio alle crisi asmatiche della durata di 8-9 giorni.
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Lezione n°: 34/S1
Titolo: DISAGIO ESPRESSO ATTRAVERSO IL CORPO 1
Attività n°: 01

Le forme del disturbo asmatico più precoci fanno la loro comparsa nel secondo trimestre
di vita. Nella maggior parte dei casi si tratta di bronchiti asmatiche della durata di 8-10
giorni, che si ripetono con una notevole frequenza.

Le forme acute si caratterizzano per una grave affezione respiratoria, febbre, cianosi e
tosse incessante.
Le crisi di dispnea , comunque, non sembrano procurare angoscia al piccolo, il quale
rimane attivo, giocoso, talvolta allegro, tanto che riesce ad assumere i pasti con calma
per poi riaddormentarsi subito dopo.

Le crisi acute di solito si risolvono in pochi giorni, ma talvolta possono richiedere una
terapia farmacologica o un ricovero ospedaliero.
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Lezione n°: 34/S1
Titolo: DISAGIO ESPRESSO ATTRAVERSO IL CORPO 1
Attività n°: 01

L’asma nel neonato può manifestarsi insieme ad altri disturbi allergici, come l’eczema
(patologia cutanea). Questa associazione sembra aggravare la prognosi della patologia
asmatica.
Per quanto riguarda la sua prognosi, si riscontra una risoluzione definitiva intorno ai 2-3
anni; solo in pochi casi si è osservato che il disturbo può perdurare ed evolvere in forme
gravi dell’infanzia e dell’adolescenza.

Sul piano psicologico il bambino asmatico appare dipendente e sottomesso all’ambiente


relazione e molto ansioso. Raramente si mostra aggressivo, esigente o provocatore.
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Lezione n°: 34/S1
Titolo: DISAGIO ESPRESSO ATTRAVERSO IL CORPO 1
Attività n°: 01

Un ambito della sua vita che viene particolarmente colpito è la scolarità; infatti, la
patologia asmatica può comportare molte assenze che potrebbero ostacolare il successo
nell’apprendimento ottimale.

Si denotano, caratteristiche specifiche nella costellazione famigliare, in particolare per


quanto riguarda il rapporto con la figura del caregiver. Questa figura sembra essere
connotata dall’ambivalenza: da un lato si mostra fredda, conformista, dall’altro mette in
campo comportamenti iperprotettivi e invadenti, che nascono da emozioni di angoscia
suscitate dalla gestione delle crisi asmatiche.

Il ripetersi della crisi finisce per incidere non solo sullo strutturarsi del carattere del
bambino, ma anche sul comportamento dei genitori e degli altri membri della famiglia.
In altre parole, è possibile affermare che l’asma deve il suo esordio precoce a
predisposizioni allergiche, ma poi il suo decorso viene dettato dalle precoci esperienze
relazionali.
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Lezione n°: 34/S1
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Attività n°: 01

La patologia asmatica ha un impatto sul funzionamento del sistema famigliare che si


organizza intorno alla gestione dei sintomi, non sempre con strategie relazionali
adeguate. Talvolta, infatti, il sistema famigliare limita e/o blocca le esperienze di crescita
del bambino asmatico, che a lungo termine non sviluppa competenze cognitive ed
emotive necessarie per gestire le limitazioni impostegli dalla propria patologia che non gli
garantiscono una buona qualità della vita.
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Lezione n°: 34/S2
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Attività n°: 01

Patologie della sfera respiratoria

• Laringospasmo
L’ultima patologia psicosomatica afferente alla sfera respiratoria che sarà descritta in
queste slide è il laringospasmo.
Il laringospasmo, chiamato anche spasmo affettivo, si caratterizza per una breve perdita
di coscienza a causa di una anossia cerebrale.
Il periodo di insorgenza si colloca generalmente tra i 6 e i 18 mesi, più raramente tra i 2 e
i 4 anni.
Si manifesta in bambini che presentano una crescita generale nella norma e uno sviluppo
intellettivo eccellente; la distribuzione per genere non manifesta particolari differenze
tra maschi e femmine.
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Attività n°: 01

Di questa patologia si distinguono due forme cliniche: quella cianotica e quella sincopale.

La prima, quella cianotica è detta anche blu. È maggiormente frequente e si verifica a


seguito di un rimprovero, una frustrazione o un’emozione di collera: il bambino inizia a
piangere, il respiro accelera, la respirazione diventa sempre più difficoltosa fino a
subentrare un blocco in apnea, che porta a una cianosi. Il bambino, a questo punto,
perde coscienza e cade a terra; possono raramente verificarsi episodi convulsivi con o
senza perdita di urina.
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Lezione n°: 34/S2
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Attività n°: 01

La seconda forma, quella sincopale, è anche chiamata pallida. È scatenata da un evento


traumatico che procura al bambino un dolore improvviso oppure una paura intensa.
Il bambino lancia un grido breve, impallidisce e cade a terra. Sono frequenti in questa
forma le manifestazioni convulsive con movimenti clonici degli arti e revulsione dei bulbi
oculari.

In entrambe le forme la crisi è breve: i bambino riprende, infatti, coscienza dopo qualche
secondo, al massimo dopo un minuto.
Il bambino, però, ne esce affaticato e, infatti, talvolta si addormenta. Al momento della
ripresa delle attività è come se si fosse dimenticato le cause che hanno scatenato la crisi.
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Attività n°: 01

Nella maggior parte dei casi, il bambino presenta lo stesso tipo di crisi; sono infatti rare le
forme miste con un’alternanza delle tipologie di spasmo.
L’evoluzione di questo disturbo è, di solito, benigna, in quanto tende a scomparire intorno
ai 3 anni. Solo in casi rari tende a permanere negli anni successivi e solo
eccezionalmente, dopo un intervallo nel corso dell’infanzia, si ripresenta nell’età adulta
associato ad una struttura di personalità disturbata.

Nelle prossime slide saranno descritte le restanti caratteristiche del laringospasmo e


perché viene considerata una patologia psicosomatica.
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Lezione n°: 34/S3
Titolo: DISAGIO ESPRESSO ATTRAVERSO IL CORPO 1
Attività n°: 01

Patologie cutanee

In questa e nelle prossime lezioni affronteremo le patologie cutanee.

Il contenuto delle slide va integrato sul testo obbligatorio di Di Pentima: Percorsi di


sviluppo normale e patologico in età evolutiva.
Il contenuto delle lezioni è tratto dal volume di Di Penitma.

Le patologie cutanee, così come quelle della sfera respiratoria e digestiva, fanno parte dei
disagi che i bambini esprimono attraverso il corpo.
Sono quindi, molto spesso, delle patologie fisiche connesse a disturbi psicologici profondi,
che usano il corpo come strumento cui manifestarsi.
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Lezione n°: 34/S3
Titolo: DISAGIO ESPRESSO ATTRAVERSO IL CORPO 1
Attività n°: 01

Le patologie cutanee, così come quelle della sfera respiratoria e digestiva, fanno parte dei
disagi che i bambini esprimono attraverso il corpo.
Sono quindi, molto spesso, delle patologie fisiche connesse a disturbi psicologici profondi,
che usano il corpo come strumento cui manifestarsi.

Le patologie psicosomatiche cutanee che hanno il loro esordio durante l’età evolutiva
sono due:
•L’eczema
•L’alopecia

In queste e nelle prossime slide saranno descritte la loro sintomatologia, le loro cause e
quindi il perché sono considerate patologie psicosomatiche.
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Lezione n°: 34/S3
Titolo: DISAGIO ESPRESSO ATTRAVERSO IL CORPO 1
Attività n°: 01

• L’eczema
L’eczema conosciuto anche come dermatite topica è un disturbo caratterizzato da
arrossamenti, vescicole con secrezione sierosa e formazione di croste nella forma
acuta o da squame e ispessimento della cute in quella cronica.
È accompagnato da un intenso prurito e questo induce il bambino a grattarsi in modo
insistente, fino a causare un eritema che può diventare più acuto ed esteso.

Solitamente compare sulle guance e sul collo per poi estendersi al resto del corpo. Il suo
esordio si presenta nel secondo trimestre di vita del bambino e la sua risoluzione per
lo più avviene intorno al secondo anno di vita.
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Lezione n°: 34/S3
Titolo: DISAGIO ESPRESSO ATTRAVERSO IL CORPO 1
Attività n°: 01

In casi rari in cui tale patologia persiste, può proseguire fino agli anni successivi.
La guarigione nel corso del secondo anno potrebbe essere ricondotta, come anche per
altre patologie psicosomatiche , ai nuovi investimenti, conseguiti grazie allo sviluppo,
come ad esempio l’acquisizione della deambulazione, che permette al piccolo di essere
meno dipendente dal contatto materno.

Il contatto materno sembra, infatti, essere un elemento chiave nella comparsa


dell’eczema.

Nelle prossime slide sarà descritta l’ipotesi secondo cui il contatto con la mamma
potrebbe essere una causa della comparsa dell’eczema.
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Lezione n°: 35
Titolo: PATOLOGIE SFERA CUTANEA E RIPASSO
Attività n°: 01

Patologie cutanee

L’ipotesi interpretativa, pur riconoscendo la stretta associazione tra fattori biologici e


psicologici, mette in primo piano il ruolo svolto dalle interazioni precoci tra bambino e
caregiver, la cui inadeguatezza troverebbe espressione proprio a livello cutaneo.

Già Spitz aveva descritto come le madri dei bambino con eczema mostravano
nell’interazione con i figli una latente ostilità. Infatti, evitavano di toccarli, privando i
piccoli dell’esperienza del contatto cutaneo.
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Lezione n°: 35
Titolo: PATOLOGIE SFERA CUTANEA E RIPASSO
Attività n°: 01

Inoltre, Spitz ha riscontrato in questi bambini l’assenza dell’angoscia dell’estraneo, ovvero


quella paura che solitamente compare intorno all’ottavo mese di vita, momento in cui
grazie allo sviluppo delle capacità cognitive, il bambino inizia a riconoscere le figure
famigliari che si prendono cura di lui, da coloro che individua come estranei. Le persone
sconosciute inducono nel piccolo reazioni di paura, che sono funzionali a ricercare o a
richiedere il contatto con gli individui famigliari al fine di ottenere la protezione.
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Lezione n°: 35
Titolo: PATOLOGIE SFERA CUTANEA E RIPASSO
Attività n°: 01

La mancanza della paura dell’estraneo costituisce, quindi, un indicatore del fatto che non
si è riscontrato in questi bambini un legame privilegiato ed esclusivo con la figura di
attaccamento precedentemente e quindi i piccoli non andranno a ricercare la protezione o
il contatto con il caregiver.

Nei bambini più grandi è stata riscontrata una personalità sottomessa, sensibile e
ansiosa. La relazione con la madre oscilla tra il rifiuto e l’iperprotezione che si manifesta
per lo più attraverso la cura del sintomo somatico.
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Lezione n°: 35
Titolo: PATOLOGIE SFERA CUTANEA E RIPASSO
Attività n°: 01

In conclusione è interessante osservare che i bambini con eczema, così come quelli affetti
da una patologia asmatica, rivelano:
• Deficit sul piano delle competenze emotive
• Notevole intolleranza alle situazioni conflittuali
• Profondi bisogni affettivi

Questa ultima caratteristica, il bisogno affettivo profondo, induce questi bambini a


ricercare costante vicinanza con gli altri adulti significativi.

Nelle slide che seguono, sarà descritta l’altra patologia cutanea, l’alopecia
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Lezione n°: 35/S1
Titolo: PATOLOGIE SFERA CUTANEA E RIPASSO
Attività n°: 01

Patologie cutanee

• Alopecia
Questo disturbo si connota per una perdita totale o parziale di peli, che può avvenire in
qualsiasi parte del corpo, sebbene solitamente riguardi il cuoio capelluto.
Si distinguono due forme: totale e areata.

L’alopecia totale investe sia i capelli che tutti i peli del corpo (ciglia, soppraciglia, peli
ascellari, ecc…).
L’alopecia areata prevede la presenza di aree prive di capelli, in assenza di infiammazione
o squame.
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Lezione n°: 35/S1
Titolo: PATOLOGIE SFERA CUTANEA E RIPASSO
Attività n°: 01

Nei bambini molto piccoli questo disturbo è infrequente e quando si manifesta lo fa in


forma areata, per poi assumere un andamento estensivo e progressivo.
Le sue cause sono principalmente fattori di natura psicologica e ambientale come gravi
carenze di affetto o la perdita di figure significative di attaccamento. Spesso sono stati
riscontrati all’origine dell’alopecia eventi stressanti, come ad esempio:
• lo svezzamento traumatico
• l’ansia in seguito ad un abbandono
• la nascita di fratelli o sorelle
• shock emozionali.

Il bambino non è ancora in grado di gestire da solo questi eventi a causa dell’immaturità
del sistema neurofisiologico.
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Lezione n°: 35/S1
Titolo: PATOLOGIE SFERA CUTANEA E RIPASSO
Attività n°: 01

Secondo l’approccio psicosomatico, infatti, emozioni ed affetti non adeguatamente


elaborati ed espressi sono all’origine di un disfunzionamento degli organi.
Inoltre, sono stati riscontrati nel periodo antecedente l’insorgenza del disturbo altri
eventi, come:
• La malattia di un genitore
• La disgregazione del nucleo famigliare

Questi eventi per il bambino hanno significato una perdita o una minaccia di perdita di
figure significative.
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Lezione n°: 35/S1
Titolo: PATOLOGIE SFERA CUTANEA E RIPASSO
Attività n°: 01

Il sintomo, allora, è sembrato assumere il significato di mezzo per richiamare l’attenzione


di adulti significativi, scongiurando in tal modo la possibilità di un abbandono.
L’affezione cutanea, quindi, consente al piccolo di otttenere cure e protezione affettiva di
cui necessita da parte della figura allevante.
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Lezione n°: 35/S2
Titolo: PATOLOGIE SFERA CUTANEA E RIPASSO
Attività n°: 01

FORUM

VI CHIEDO DI LEGGERE CON ATTENZIONE IL CASO DI CARLO DESCRITTO


A PAGINA 69 NEL VOLUME DI DI PENTIMA.

Alla luce di quanto appreso sulle patologie della sfera respiratoria, discutete
quali sono a vostro avviso le caratteristiche relazionali più rilevanti che possono
essere associate alla sintomatologia descritta
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 35/S3
Titolo: PATOLOGIE SFERA CUTANEA E RIPASSO
Attività n°: 01

FORUM

VI CHIEDO DI LEGGERE CON ATTENZIONE IL CASO DI DANIELE


DESCRITTO A PAGINA 78 NEL VOLUME DI DI PENTIMA.

Alla luce di quanto appreso sulle patologie della sfera cutanea, discutete quali
sono a vostro avviso le caratteristiche relazionali più rilevanti che possono
essere associate alla sintomatologia descritta
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 36
Titolo: DISTURBI D’ANSIA
Attività n°: 01

DISTURBI D’ANSIA

Il contenuto della lezione deve essere integrato con i contenuti del volume di Di
Pentima: Percorsi di sviluppo normale e patologico.

Coloro che sono interessati ad approfondire il tema degli strumenti self-report più
utilizzati nella nella clinica per la valutazione dei disturbi d’ansia, si suggerisce di
consultare il volume di A. Lis et al. (2013) La valutazione dell’adattamento
psicologico del bambino: Raffaello Cortina Milano
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Lezione n°: 36
Titolo: DISTURBI D’ANSIA
Attività n°: 01

PREMESSA
La preoccupazione è una risposta a una minaccia esterna. L’ansia, un frequente stato
emotivo dell’uomo, è un condizionamento, un atteggiamento interiore focalizzato
essenzialmente sul presagio di un pericolo.
È simile alla preoccupazione ma si manifesta in assenza di una minaccia esterna
identificabile o compare in risposta a uno stimolo minaccioso interiore. L’ansia
disabilitante, o che determina un’estrema condizione di disagio, è “normale” se si verifica
in corrispondenza di uno stress intenso ed è limitata nel tempo. In questi casi può essere
appropriata la diagnosi di un disturbo dell’adattamento (con ansia). Quando l’ansia si
verifica in assenza di uno stress evidente o quando non cessa in seguito
all’allontanamento della causa dello stress, è verosimile un disturbo d’ansia. I disturbi
d’ansia sono di frequente riscontro nella normale pratica clinica. Nella maggior parte degli
studi condotti in ambito ambulatoriale di base (per es., Löwe et al. 2008), i disturbi d’ansia
(10-15% dei pazienti) sono più frequenti dei disturbi depressivi (7-10% dei pazienti). In un
ambulatorio psichiatrico generale, i disturbi d’ansia possono interessare fino al 40% dei
nuovi casi afferenti.
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Lezione n°: 36
Titolo: DISTURBI D’ANSIA
Attività n°: 01

I disturbi d’ansia classificati nel DSM-V sono:


• Disturbo d’ansia da separazione (che approfondiremo sulle slide)
• Mutismo selettivo (che approfondiriemo sulle slide)
• Fobia Specifica
• Disturbo d’ansia sociale
• Disturbo di panico
• Agorafobia
• Disturbo d’ansia generalizzato
• Disturbo d’ansia da condizione medica
• Altro Disturbo d’ansia specifico
• Disturbo d’ansia non altrimenti specificato

Il Disturbo ossessivo-compulsivo e i disturbi stress correlati (disturbo post-traumatico da


stress e disturbo da stress acuto), che nel DSM-IV-TR rientravano nel gruppo dei Disturbi
d’ansia, in questa nuova versione del DSM sono classificati all’interno di altre sezioni. Ciò
riflette la necessità di porre particolare accento sulle somiglianze ma soprattutto sugli
aspetti che distinguono questi disturbi da quelli d’ansia e di rendere più simile la
classificazione americana a quella dell’ICD (Classificazione Internazionale delle malattie e
dei problemi correlati, proposta dall’OMS).
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Lezione n°: 36
Titolo: DISTURBI D’ANSIA
Attività n°: 01

Disturbi d’ansia e comorbilità

I disturbi d’ansia presentano un’elevata comorbilità con altri disturbi mentali, disturbi della
personalità e malattie organiche. La comorbilità dei disturbi d’ansia con altre patologie
determina sovente esiti più sfavorevoli e condiziona il trattamento. Più frequentemente la
comorbilità è rappresentata dalla coesistenza di un altro disturbo d’ansia. Disturbi
dell’umore e uso di sostanze (tra cui nicotina e alcol) si associano anch’essi
frequentemente ai disturbi d’ansia. Siccome i disturbi d’ansia frequentemente
precedono i disturbi dell’umore e l’uso di sostanze, interventi tempestivi volti a curare i
disturbi d’ansia possono prevenire le suddette evenienze. I disturbi d’ansia si associano
frequentemente anche a disturbi della personalità, come disturbi di personalità
borderline, antisociale ed evitante (El-Gabalawy et al. 2013).
Anche le malattie organiche sono molto frequenti nei pazienti affetti da disturbi d’ansia
(Sareen et al. 2006). Tra le malattie organiche co-esistenti, quelle a maggior prevalenza
sono malattie cardiovascolari, respiratorie (per es., asma), artriti ed emicranie.
L’insorgenza di una malattia organica grave può indurre la comparsa di un disturbo d’ansia
o, al contrario, l’ansia e l’evitamento possono determinare problemi di salute di tipo
organico.
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Lezione n°: 36
Titolo: DISTURBI D’ANSIA
Attività n°: 01

Disturbi d’ansia: fattori di rischio

Vari studi hanno dimostrato che vi è un gran numero di fattori di rischio che, perlopiù, sono
comuni a tutti i disturbi d’ansia (Kessler et al. 2010). Genere femminile, età più giovane,
stato di single o di divorziato, modeste condizioni socioeconomiche, scarsi supporti
sociali e basso livello di istruzione si associano con maggiore frequenza ai disturbi
d’ansia. I bianchi hanno maggiori probabilità di soffrire di disturbi d’ansia rispetto alle
minoranze etniche. Eventi stressogeni nel corso della vita e maltrattamenti subiti durante
l’infanzia rappresentano, a loro volta, importanti fattori di rischio per i disturbi d’ansia. Tra i
fattori genetici e familiari, vi sono sempre maggiori evidenze di familiarità per i disturbi
d’ansia attraverso la trasmissione e il condizionamento genetici.
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Lezione n°: 36/S1
Titolo: DISTURBI D’ANSIA
Attività n°: 01

Ansia da separazione
PREMESSA
A partire dal DSM-III (American Psychiatric Association 1980), il disturbo d’ansia di
separazione è stato incluso tra le diagnosi della sezione “Disturbi solitamente
diagnosticati per la prima volta nell’infanzia, nella fanciullezza o
nell’adolescenza”.
Nel DSM-5 (American Psychiatric Association 2013) è stato deciso di spostare alcuni
disturbi con esordio tipicamente in età pediatrica nelle rispettive sezioni dedicate agli
adulti, e quindi di spostare questo disturbo nella sezione “Disturbi d’ansia”
È interessante notare che era possibile porre la diagnosi di Ansia da Separazione in età
adulta anche prima del DSM-5 (non vi era alcun criterio che lo impedisse), ma il suo
collocamento nei “Disturbi solitamente diagnosticati per la prima volta nell’infanzia,
nella fanciullezza o nell’adolescenza” può avere dato l’impressione che esso fosse un
disturbo “esclusivamente dell’infanzia”. Da alcuni autori è stato ipotizzato che lo
spostamento del disturbo nella sezione relativa ai “Disturbi d’ansia” del DSM-5
comporterà un maggior numero di diagnosi in età adulta.
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Lezione n°: 36/S1
Titolo: DISTURBI D’ANSIA
Attività n°: 01

Ansia da separazione: caratteristiche

Il disturbo potrebbe essere diagnosticato quando vi è evidenza dell’insorgere di ansia


inappropriata ed eccessiva in seguito a una separazione (o solo in vista di essa) da
figure importanti dal punto di vista affettivo. Nei bambini ciò è meglio evidenziato da
pianto eccessivo, capricci, sintomi fisici e altre manifestazioni di apprensione ed
evitamento della separazione.
I bambini più piccoli possono avere difficoltà a esprimere la ragione del loro
sconforto, mentre quelli più grandi possono in genere spiegare i loro timori che
qualcosa di male possa accadere a determinate persone, di solito i genitori, in seguito al
distacco.
Negli adulti i timori legati alla separazione da persone importanti dal punto di vista
affettivo e la preoccupazione che esse possano essere esposte a qualche pericolo sono
generalmente riportate in modo molto più palese.
L’esordio in età adulta è una forma di dipendenza estrema, e infatti si può porre
correttamente una diagnosi di disturbo di personalità dipendente; in questi casi si
possono formulare entrambe le diagnosi. Ricordate che Il disturbo è la diagnosi
appropriata in molti casi di “fobia della scuola”.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 36/S1
Titolo: DISTURBI D’ANSIA
Attività n°: 01
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 36/S1
Titolo: DISTURBI D’ANSIA
Attività n°: 01

Ansia da separazione: criteri diagnostici del DSM5-5

A.Paura o ansia eccessiva e inappropriata rispetto allo stadio di sviluppo che


riguarda la separazione da coloro a cui l’individuo è attaccato, come evidenziato
da tre (o più) dei seguenti criteri:
1. Ricorrente ed eccessivo disagio quando si prevede o si sperimenta la separazione da casa o dalle
principali figure di attaccamento.
2. Persistente ed eccessiva preoccupazione riguardo alla perdita delle figure di attaccamento, o alla
possibilità che accada loro qualcosa di dannoso, come malattie, ferite, catastrofi o morte.
3. Persistente ed eccessiva preoccupazione riguardo al fatto che un evento imprevisto comporti
separazione dalla principale figura di attaccamento (per es., perdersi, essere rapito/a, avere un
incidente, ammalarsi).
4. Persistente riluttanza o rifiuto di uscire di casa per andare a scuola, al lavoro o altrove per paura della
separazione.
5. Persistente ed eccessiva paura di, o riluttanza a, stare da soli o senza le principali figure di
attaccamento a casa o in altri ambienti.
6. Persistente riluttanza o rifiuto di dormire fuori casa o di andare a dormire senza avere vicino una delle
principali figure di attaccamento.
7. Ripetuti incubi che implicano il tema della separazione.
8. Ripetute lamentele di sintomi fisici (per es., mal di testa, dolori di stomaco, nausea, vomito) quando si
verifica o si prevede la separazione dalle principali figure di attaccamento.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
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Lezione n°: 36/S1
Titolo: DISTURBI D’ANSIA
Attività n°: 01

Ansia da separazione: criteri diagnostici del DSM5-5

B. La paura, l’ansia o I’evitamento sono persistenti, con una durata di almeno 4 settimane
nei bambini e adolescenti, e tipicamente 6 mesi o più negli adulti.

C. Il disturbo causa disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in


ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.
D. Il disturbo non è meglio spiegato da un altro disturbo mentale, come il rifiuto di uscire di
casa a causa di un’eccessiva resistenza al cambiamento nel disturbo dello spettro
dell’autismo; deliri e allucinazioni riguardanti la separazione nei disturbi psicotici; il rifiuto di
uscire in assenza di un accompagnatore fidato nell’agorafobia; preoccupazioni riguardanti la
malattia o altri danni che possono capitare a persone significative nel disturbo d’ansia
generalizzata; oppure preoccupazioni relative all’avere una malattia nel disturbo da ansia di
malattia.
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Lezione n°: 36/S1
Titolo: DISTURBI D’ANSIA
Attività n°: 01

Ansia da separazione: decorso

Il decorso del disturbo non è stato ben studiato, ma spesso si notano periodi di
peggioramento e di remissione. L’esordio può avvenire in età prescolare e in qualunque
momento durante l’infanzia, nonché, più raramente, durante l’adolescenza. Si può
avere il persistere del disturbo in età adulta (Manicavasagar et al. 2010), sebbene nella
maggior parte dei casi il disturbo dell’infanzia si risolva prima dell’età adulta.
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Lezione n°: 36/S2
Titolo: DISTURBI D’ANSIA
Attività n°: 01

Ansia da separazione: fattori di rischio e ipotesi cliniche

I fattori di rischio sono stati definiti nei termini di:

Fattori bio-psicosociali
Aspetti temperamentali del bambino, come una reattività generale delle
emozioni sono stati considerati fattori di rischio importanti. Nuclei familiari
particolarmente chiusi, i cui membri fanno fatica a riconoscere la propria e altrui
autonomia, dove domina il pensieri che il mondo esterno sia pericoloso.
Esperienze avverse
Il disturbo può manifestarsi dopo un evento stressante (ad esempio la morte
di un parente o un animale domestico, una malattia dell’individuo o di un
parente, un trasloco, cambio di scuola, un periodo critico per la coppia
genitoriale o per la combinazione di due o più di questi eventi.
Caratteristiche della madre
Madri caratterizzate da bisogni emozionali insoddisfatti e diventate di
conseguenza iperprotettive e richiedenti.
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Lezione n°: 36/S2
Titolo: DISTURBI D’ANSIA
Attività n°: 01

Il contesto relazionale originario: l’ipotesi di BOWLBY:


Bowlby descrive 4 situazioni relazionali che possono favorire un attaccamento del
bambino così insicuro e ansioso da non consentirgli il normale distacco dalle figure di
riferimento, ad esempio la frequenza scolastica.
1. La madre o più raramente il padre soffre di angoscia cronica nei confronti delle figure di
attaccamento e (in passato o al presente) e trattiene il bambino/paziente a casa per avere
compagnia;
2. Il bambino/paziente teme che qualcosa di grave possa succedere a sua madre (o
padre) mentre è lontano da lei; rimane a casa con la madre o insiste perché lei lo accompagni
ogni volta;
3. Il paziente ha paura che possa capitargli qualche cosa di male quando è fuori casa e
quindi resta a casa. La ripetuta esperienza di minacce di abbandono o espulsione dalla
famiglia rende pericoloso per il bambino allontanarsi anche per poco: la casa non è una base
sicura
4. Un genitore, a causa di qualche evento tragico accadutogli nell’infanzia, ha paura che capiti
qualcosa di male a suo figlio e perciò nell’interesse presunto della sua salute lo tiene a
casa.
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Lezione n°: 36/S2
Titolo: DISTURBI D’ANSIA
Attività n°: 01

Il contesto relazionale originario: l’ipotesi cognitivista

Alla base del disturbo vi è una limitazione del normale comportamento esplorativo del
bambino da parte della figura di riferimento principale.

Secondo Guidano (1987): Tale limitazione può avvenire in due modi:


1. Il normale interesse esplorativo del bambino è impedito da un comportamento
iperprotettivo della principale figura di riferimento
2. L’inibizione alla esplorazione avviene attraverso un comportamento rifiutante dei genitore

Lorenzini e Sassaroli (1987) mettono in evidenza 4 situazioni:


1. Il genitore diventa imprevedibile di fronte al comportamento esplorativo del figlio (cambio di
umore, allontanamento, minacce di abbandono, rifiuto della vicinanza). Non è dunque
pericoloso (come diceva invece Bowlby) il trattenere a sé il bambino per avere compagnia… è
decisivo il modo con cui si cerca di ottenere questo effetto
2. Il genitore favorisce nel bambino la costruzione di un sé debole, gracile, inadatto…..
3. Il genitore favorisce nel bambino la costruzione di un mondo ostile, pieno di pericoli….
4. Il genitore interpreta le emozioni manifestate dal bambino come segno di debolezza, anziché
come esito delle proprie azioni … e il bambino impara a interpretare le proprie emozioni
come segni di debolezza personale di fronte a pericoli/situazioni pericolose da evitare.
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Lezione n°: 36/S2
Titolo: DISTURBI D’ANSIA
Attività n°: 01

L’ipotesi relazionale: l’ipotesi di Viaro

Nell’insorgenza del disturbo, Viaro (1995) evidenza la frequente presenza di:

A. Alcune tematiche familiari dominanti

B. Centralità della relazione madre-bambino: presenza di una madre


che minaccia abbandono

C. Un evento stressante che attiva nel bambino timori di perdita


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Lezione n°: 36/S2
Titolo: DISTURBI D’ANSIA
Attività n°: 01

A. Esistenza di alcune tematiche familiari dominanti:

1. I familiari spesso condividono una visione dell’ambiente esterno come


pericoloso e minaccioso; le tensioni e insoddisfazioni presenti in famiglia
vengono attribuite a cause esterne alla famiglia vista come l’unico porto sicuro
e protettivo.
2. I familiari spesso condividono una visione della relazione genitori-figli
dove i secondi hanno il dovere di costituire la principale fonte di
compenso e soddisfazione per i primi, con conseguente tendenza
all’inversione del ruolo di accudimento. I figli devono occuparsi del benessere
emotivo dei genitori per sentirsi a loro volta protetti.
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Lezione n°: 36/S2
Titolo: DISTURBI D’ANSIA
Attività n°: 01

B. Centralità della relazione madre-bambino: presenza di una


madre che minaccia abbandono

Su questo sfondo familiare, si colloca la frequente minaccia di abbandono


da parte di una madre insoddisfatta (minaccia non raramente messa in atto,
magari solo per qualche ora, talvolta come “scherzo”), come mezzo di
controllo del comportamento altrui.
Tale minaccia si esprime con frasi tipiche in cui i figli vengono di regola
accomunati al marito come meritevoli di abbandono e/o responsabili di future
malattie o della morte della madre, con conseguente svalutazione e
colpevolizzazione. Un figlio in particolare risulta maggiormente coinvolto in
questo rapporto con la madre
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 36/S2
Titolo: DISTURBI D’ANSIA
Attività n°: 01

C. Un evento stressante che attiva nel bambino timori di perdita


(Separazione, morte, per incidente o malattia) con conseguente messa in atto
di comportamenti di controllo e prossimità

Una ipotesi per la modificazione dei sintomi


Si ipotizza che ciò che attiva la sintomatologia non sia tanto il sommarsi della
componente A e B e C, quanto il loro confondersi.
La madre cioè interpreta i comportamenti di avvicinamento e di prossimità che hanno
motivazioni protettive e di controllo come comportamenti di evitamento di un pericolo
esterno. La conseguente defaillance comunicativa non solo rinforza la sensazione di
solitudine del bambino ma gli rende anche difficile il riconoscimento delle proprie
reazioni emotive.

Un intervento che distingua i due aspetti confusi e ristabilisca la capacità di


immedesimazione e comprensione della madre nei confronti del bambino
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 36/S3
Titolo: DISTURBI D’ANSIA
Attività n°: 01

Esercitazione
Disturbo d’ansia di separazione

Di seguito, troverete la presentazione di 2 casi. Vi chiedo di commentarli sul forum,


delineando gli aspetti che maggiormente rientrano o si discostano dai criteri
diagnostici prima presentati e di illustrare alune ipotesi eziologiche.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
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Lezione n°: 36/S3
Titolo: DISTURBI D’ANSIA
Attività n°: 01

Una donna single di 21 anni giunge all’osservazione dello psichiatra accompagnata


dalla madre. La giovane donna non ha mai avuto la patente di guida e afferma che la
madre la porta in auto ovunque. Si è presentata a causa di sintomi fisici ricorrenti (tra i
quali dolori addominali e cefalee) che il suo medico di base non è riuscito a spiegare,
per cui finora non si è giunti a una diagnosi. L’anamnesi evidenzia una dipendenza dai
genitori da lungo tempo, peggiorata in seguito al decesso del padre avvenuto molti anni
prima per un cancro. Dai ricordi d’infanzia emerge come aspetto saliente uno stato di
apprensione e sconforto in seguito all’allontanamento dai genitori. La donna da piccola
non ha mai frequentato un campo diurno né ha mai dormito fuori casa e i suoi genitori
non hanno mai compiuto viaggi senza la figlia. Le scuole elementari sono state
caratterizzate da numerose assenze per la coesistenza di disturbi organici e di un vero e
proprio rifiuto della scuola.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 36/S3
Titolo: DISTURBI D’ANSIA
Attività n°: 01

Buongiorno, sono mamma di tre bambini, la più grande di 10 anni negli ultimi periodi non va più
volentieri a scuola e fatica a staccarsi da me.
Il tutto sicuramente è riconducibile alla perdita della nonna (mia madre) avvenuta il 12 novembre
scorso dopo un anno e mezzo di lunghe cure verso quel maledetto tumore che l'ha colpita. Non ho
mai nascosto niente ai miei figli. Sapevo che se mi assentavo (e questo capitava spesso) era per
stare vicino alla nonna. L'hanno sempre vista quando stava poco bene sia in casa che ne in
ospedale. Erano presenti il giorno del funerale. Dal giorno della perdita da una parte ho "ripreso"
del tempo per stare con loro, specialmente con la grande di 10 anni che ha pianto molto per la
perdita della nonna con la quale ha vissuto molti anni della sua vita (quando andavo a lavorare lei
stava con la nonna). A gennaio di quest'anno ci siamo concessi una settimana bianca in montagna
che da anni non facevamo più causa i problemi di salute di mia madre.
Fatto un quadro generale attivo al punto: La bambina, rientrata a scuola dalle vacanze di natale e
dalla settimana bianca (18 gennaio scorso) ha cominciato a piangermi dietro, a piangere davanti a
scuola quando l'accompagno al mattino e a piangere durante le ore di scuola tra compagni e
insegnanti senza motivo. Le maestre mi dicono che comincia a piangere da niente, che la
bambina si lamenta dicendo di avere mal di testa o mal di pancia; anche loro con me cercano di
capire se un qualche atteggiamento o frase possa averle dato disturbo perché si sono rese conto,
come me, che non è un malessere fisico ma psicologico. Con me dice che nessun compagno le fa
dispetti, piange solo perché non vuole andare a scuola e vuole stare con me.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 37
Titolo: IL MUTISMO SELETTIVO
Attività n°: 01

MUTISMO SELETTIVO

Il mutismo selettivo era presente nel DSM-IV (American Psychiatric Association


1994) e nelle sue versioni precedenti (in cui era indicato come “mutismo elettivo”),
ma era collocato nella sezione “Disturbi solitamente diagnosticati per la prima volta
nell’infanzia, nella fanciullezza e nell’adolescenza”. Nel DSM-5 è stata presa la
decisione di collocare il mutismo selettivo nella sezione relativa ai disturbi
d’ansia, sebbene non sia stato classificato in precedenza come un disturbo d’ansia.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 37
Titolo: IL MUTISMO SELETTIVO
Attività n°: 01

Il mutismo selettivo è caratterizzato dall’incapacità del paziente (quasi sempre un


bambino) di parlare in pressoché tutti i contesti sociali, nonostante sviluppo e
capacità di linguaggio normali, come appare evidente quando egli parla con i familiari (in
particolare con i genitori). L’esordio si ha nella prima infanzia; comunque, non sono
disponibili dati precisi circa l’età all’esordio, né dati epidemiologici certi riguardo la
prevalenza del mutismo selettivo (sebbene si ritenga che esso sia relativamente raro,
interessando, secondo alcune stime, circa un bambino su mille) (Bergman et al. 2002).

Nei bambini affetti da mutismo selettivo, l’incapacità di parlare non si osserva solo in
presenza di adulti o di altre persone non familiari; essi non parlano nemmeno con i
coetanei. L’incapacità di parlare, inoltre, è costante, per cui persiste regolarmente nei
diversi contesti sociali e nel tempo.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 37
Titolo: IL MUTISMO SELETTIVO
Attività n°: 01

Il DSM-5 raccomanda particolarmente ai clinici di non porre diagnosi di mutismo


selettivo prima che sia trascorso il primo mese dell’anno scolastico, per essere sicuri
che il mutismo non sia solo un fenomeno transitorio correlato al disagio dell’inizio della
scuola. Il mutismo selettivo viene diagnosticato all’asilo alle scuole elementari: i genitori
possono rimanere sorpresi nel sentire dagli insegnanti che il figlio, il quale a casa parla
normalmente e regolarmente, non ha scambiato una parola con nessuno. Il mutismo deve
anche apparire (in genere a genitori e/o insegnanti) come un fattore che può interferire con
gli aspetti educativi e sociali della scuola o di altre attività.
I bambini affetti da mutismo selettivo possono non essere completamente muti in
situazioni in cui ci si attenderebbe che parlino. Talvolta, un bambino affetto da mutismo
selettivo può avere un coetaneo con cui la conversazione è accennata, sebbene in
modo bisbigliato o in qualche altra forma abbreviata di comunicazione verbale. Il passare
note scritte (o, sempre più spesso, di testi in formato elettronico) è frequente da parte di
bambini un po’ più grandi in grado di scrive-re/digitare al computer.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 37
Titolo: IL MUTISMO SELETTIVO
Attività n°: 01

DSM-5: CRITERI DIAGNOSTICI

A. Costante incapacità di parlare in situazioni sociali specifiche in cui ci si aspetta che si


parli (per es., a scuola), nonostante si sia in grado di parlare in altre situazioni.
B. La condizione interferisce con i risultati scolastici o lavorativi o con la comunicazione
sociale.
C. La durata della condizione è di almeno 1 mese (non limitato al primo mese di scuola).
D. L’incapacità di parlare non è dovuta al fatto che non si conosce, o non si è a proprio agio
con, il tipo di linguaggio richiesto dalla situazione sociale.
E. La condizione non è meglio spiegata da un disturbo della comunicazione (per es.,
disturbo della fluenza con esordio nell’infanzia) e non si manifesta esclusivamente
durante il decorso di disturbi dello spettro dell’autismo, schizofrenia o altri disturbi
psicotici.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 37/S1
Titolo: IL MUTISMO SELETTIVO
Attività n°: 01

Mutismo selettivo- Eziologia: condizioni di rischio e vulnerabilità

Le specifiche cause alla base dello sviluppo del MS sono attualmente oscure (Sloan 2007).
Per certo l'ipotesi primordiale - sostenuta dalle teorie psicodinamiche e sistemico-familiari –
secondo cui il MS sia una semplice conseguenza di un trauma o di un conflitto intrapsichico
irrisolto e che quest'ultimo possa giocare un ruolo significativo nel causare il disturbo, è stata
abbandonata da molto tempo (Gordon 2001). Infatti, ricercatori e clinici non riscontrano
quasi mai dalla storia evolutiva e clinica dei bambini con diagnosi di MS particolari
esperienze traumatiche (familiari, personali, ambientali) avvenute prima dell'esordio del
disturbo e che sembrano aver determinato il comportamento mutacico. Allo stesso modo, ciò
non significa che un'esperienza traumatica (soprattutto se drammatica) vissuta dal bambino
non può essere un fattore scatenante il disturbo (Gordon 2001).
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 37/S1
Titolo: IL MUTISMO SELETTIVO
Attività n°: 01

Studi più recenti (Capobianco 2009) per un'ipotesi multifattoriale (che vede alla base
dell'eziologia del disturbo molto probabilmente l'interazione tra molteplici fattori, tra quelli più
prettamente biologici/costituzionali (primariamente temperamentali) e quelli ambientali, più
nello specifico, socio-culturali e familiari (livello culturale basso, scarsa socializzazione della
famiglia, famiglie ansiose e chiuse, dipendenza genitoriale). L'interazione di queste diverse
variabili può costituire per ciascun bambino una specifica condizione di rischio a sviluppare
un comportamento di mutismo e quindi determinare una predisposizione all'esordio e allo
sviluppo di questo disturbo. Questi fattori, quindi, nel loro insieme possono essere
considerati degli indicatori e precursori di un' eventuale evoluzione verso una sintomatologia
mutacica.
Una particolare attenzione è stata rivolta al peculiare temperamento e comportamento del
bambino che sviluppa un mutismo selettivo (predisposizione temperamentale), che sembra
coerente con il quadro dell'ansioso, timido, diffidente e riservato. Non è raro che i genitori
riferiscano la presenza di difficoltà di alimentazione, del sonno, irrequietezza nella prima
infanzia dei loro bambini.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 37/S1
Titolo: IL MUTISMO SELETTIVO
Attività n°: 01

Già Black e Uhde (1992) suggerivano che l'ansia sociale fosse un tratto costituzionale e
universale tra i bambini con MS. In altri lavori hanno osservato una forte sovrapposizione tra
mutismo e manifestazioni di apprensione, com- portamenti di evitamento di situazioni nuove,
non familiari e preferenza a stare da soli piuttosto che con gli altri. Diverse ricerche
ipotizzano che il MS potrebbe essere meglio definito come un sintomo d'ansia che riflette
diverse sottostanti condizioni di vulnerabilità.
I bambini con MS potrebbero avere difficoltà ad affrontare situazioni sociali nuove,
sconosciute, dato che queste provocano naturalmente una maggiore attivazione del
livello di aurousal neurovegetativo che non riescono ad affrontare e che provoca loro
un forte disagio interno, ansia e paura.
Di fronte a questo "pericolo percepito" la reazione comportamentale di questi bambini è
l'evitamento e il ritiro fisico e verbale, che se ripetuti nel tempo potrebbero diventare
strategie abituali e funzionali al bambino nelle situazioni che provocano in lui particolare
ansia. In tal senso il "congelamento" della produzione verbale può essere letto,
quindi, non tanto come un comportamento manipolatorio e controllante, ma piuttosto
come una strategia di difesa di fronte all'incapacità di affrontare le richieste
dell'ambiente.
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Lezione n°: 37/S1
Titolo: IL MUTISMO SELETTIVO
Attività n°: 01

Inoltre, le famiglie di questi bambini sono generalmente molto isolate sul piano
sociale, con poche relazioni esterne al nucleo familiare. Anche i genitori di questi
bambini sono spesso descritti come persone schive, eccessivamente timide e con tratti
depressivi (Kristensen e Torgensen 2001). Non è infrequente che uno o entrambi i genitori
di bambini con mutismo abbiano alle spalle una storia familiare di timidezza patologica (se
non proprio diagnosi pregressa di mutismo), un disturbo d'ansia o una fobia sociale. Tale
associazione suggerisce la presenza di una familiarità ad un temperamento
particolarmente timido e ansioso che predispone e contribuisce allo sviluppo di una
sintomatologia mutacica, in presenza di specifici fattori ambientali.
L'atteggiamento del genitore eccessivamente protettivo e ansioso con il bambino e
controllante e schivo verso il mondo esterno non permette al bambino una graduale
separazione-individuazione mediante i normali processi esplorativi e relazionali. È
importante sottolineare che, all'interno di un approccio che vede lo sviluppo del MS come
prodotto dell'interazione tra fattori biologici e ambientali, la presa in carico di un bambino
con questa problematica non può escludere assolutamente la valutazione delle specifiche
dinamiche familiari in cui è inserito.
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Lezione n°: 37/S1
Titolo: IL MUTISMO SELETTIVO
Attività n°: 01

Stati emotivi e cognizioni nei bambini con MS


Tuttavia è possibile ipotizzare nei bambini con MS alcuni nuclei disfunzionali,
facendo riferimento ai tratti di similarità con i disturbi d'ansia (Capobianco
2009):
1. inadeguatezza e incapacità: il bambino vive una costante attivazione di
disagio con percezione di pericolo nelle situazioni non familiari e percezione
di incapacità e di svalutazione personale;
2. paura del giudizio altrui: idea che gli altri giudicheranno sempre quello che
dice e fa negativamente;
3. vergogna e metavergogna: paura di provare vergogna e mostrare agli altri di
vergognarsi.
Di qui, le distorsioni cognitive potrebbero essere: 1) catastrofizzazione (delle
conseguenze dei propri errori); 2) ipergeneralizzazione (timore e percezione di
incapacità in ogni ambito extrafamiliare); 3) astrazione selettiva (sulla propria
incapacità); 4) minimizzazione delle proprie risorse (Kendall e Di Pietro 1995).
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Lezione n°: 37/S1
Titolo: IL MUTISMO SELETTIVO
Attività n°: 01

Comorbilità: mutismo selettivo e disturbi internalizzanti

Dati clinici e di ricerca (Capobianco, 2009) rilevano una significativa associazione


tra diagnosi di MS e quella dei disturbi dello spettro d'ansia, che rientrano tra i
problemi internalizzanti dello sviluppo, in particolar modo:
il disturbo d'ansia generalizzato,
il disturbo d'ansia da separazione,
l'ansia sociale e la fobia sociale
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Lezione n°: 37/S2
Titolo: IL MUTISMO SELETTIVO
Attività n°: 01

Linee generali d'intervento e strategie cognitivo-comportamentali

Le ricerche presenti e dati clinici suggeriscono una notevole efficacia dell'approccio


comportamentale e cognitivo e ciò è spiegato anche dal fatto che lo stesso modello sembra
funzionare molto bene nelle terapie per i disturbi d'ansia in età evolutiva.
L'obiettivo principale (o almeno iniziale), dunque, non è propriamente "far parlare il
bambino", ma consentirgli di sentirsi più rilassato e a suo agio con il terapeuta e con gli
adulti che lo circondano. Diventa fondamentale, infatti, che il terapeuta, insieme alla scuola e
ai genitori, programmi- no un lavoro comune per aiutare il bambino a superare il MS, da
mettere in pratica gradualmente e negli ambiti della sua vita quotidiana.
Ciò significa che l'intervento deve essere effettuato non solo a livello individuale
mediante la terapia con il bambino, ma anche in ambito familiare e in ambito scolastico.
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Lezione n°: 37/S2
Titolo: IL MUTISMO SELETTIVO
Attività n°: 01

La psicoeducazione di genitori e insegnanti è infatti una chiave fondamentale per un intervento


efficace con questi bambini. Un luogo comune errato relativo al MS è quello ad esempio
di attribuire a questi bambini una certa intenzionalità/volontà nel mantenere il loro
silenzio e non è infrequente che questa convinzione induca i familiari e gli insegnanti ad
assumere un atteggiamento "arrabbiato" e "punitivo" con il bambino, creando intorno a lui non
un ambiente emotivo favorevole, ma un clima di pressione e colpevolizzazione che,
contrariamente alle intenzioni, tende a rinforzare i comportamenti inibiti e l'ansia sociale.
È consigliabile, invece, che di fronte al comportamento mutacico del bambino i genitori
adottino un "atteggiamento neutrale", evitando di costringerlo a parlare attraverso punizioni
o eccessive pressioni e allo stesso tempo non sostituendosi a lui ma incoraggiarlo ad
utilizzare anche modalità comunicative non verbali (gestualità, disegni). Risulta
fondamentale, inoltre, da parte della famiglia e della scuola implementare le relazioni sociali
intorno al bambino, individuando ad esempio i coetanei più adatti con cui far giocare il
bambino, che riescono a comunicare con lui in vari modi e pianificare attività in piccoli gruppi
che stimolino la socializzazione dove non siano necessarie esclusivamente attività di tipo
verbale.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 37/S2
Titolo: IL MUTISMO SELETTIVO
Attività n°: 01

In diversi lavori sono descritti l'uso e l'efficacia di diverse tecniche di tipo comportamentale
finalizzate ad incrementare gradualmente le verbalizzazioni del bambino.
La tecnica "contingency management" consiste in rinforzi positivi applicati per la prima
volta su specifici comportamenti verbali del bambino e successivamente ampliati
gradualmente a più comportamenti, ad un maggior numero di persone e di ambiti coinvolti,
mediante un programma di generalizzazione, cioè estensione delle condotte comunicative
corrette a nuovi stimoli. Ad esempio, come spesso accade, se il bambino all'inizio parla solo
a casa, ma non a scuola, un primo passo potrebbe essere quello di far venire a casa del
bambino qualche compagno di classe. Successivamente, altri compagni e/o le insegnanti
potrebbero gradualmente inserirsi nel gruppo (Moldan 2005).
La tecnica della desensibilizzazione dello stimolo consiste in una serie di esposizioni
immaginarie e/o reali a situazioni gradualmente sempre più ansiogene per il bambino e
sembra avere successo soprattutto nel contesto scolastico per ridurre l'ansia legata alla
relazione con i pari e le insegnanti.
Anche il "self-modeling" sembra essere una tecnica utile. Consiste nell'audio e/o nel video
registrare il bambino che parla in situazioni in cui precedentemente manifestava il
comportamento mutacico, al fine di elicitare l'autovalutazione positiva e implementare la
fiducia sulle sue capacità verbali e relazionali
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 37/S2
Titolo: IL MUTISMO SELETTIVO
Attività n°: 01

Le tecniche più propriamente cognitive hanno l'obiettivo principale di modificare il


pensiero disfunzionale (convinzioni irrazionali) sottostante il disturbo emotivo e
comportamentale
Data l'inibizione verbale, solo attraverso tecniche di gioco e/o con il disegno il terapeuta
può esplorare le reali e sottostanti emozioni e credenze. Spesso i bambini con MS
presentano una povertà nell'attribuzione delle emozioni proprie e altrui, mostrando un
repertorio molto ridotto per descrivere le emozioni percepite. Tali strategie hanno anche la
funzione di sviluppare nel bambino con MS una autonomia di riflessione e conoscenza di sé,
delle sue abilità sociali, delle proprie emozioni e dei propri comportamenti (abilità
metacognitiva). Le tecniche di "ristrutturazione cognitiva" si basano su strategie
"controargomentative" e di riformulazione dei pensieri disfunzionali attraverso situazioni di role-
playing e simulazioni di diverse situazioni reali o immaginarie che provocano in genere disagio
nel bambino (attraverso il disegno, i burattini o lettura di storie), in cui proporre interpretazioni e
conseguenze alternative rispetto ad eventi e stati mentali propri e altrui.
Inoltre, focalizzandosi sulle difficoltà nell'area sociale del bambino il terapeuta può
guidarlo in sintesi a: 1) Riconoscere gli elementi della situazione che sono percepiti come
problematici; 2) Ipotizzare comportamenti diversi da quelli solitamente prodotti per risolvere il
problema; 3) Scegliere le condotte che meglio soddisfino la soluzione del problema e applicare
il pensiero consequenziale; 4) Mettere in pratica le soluzioni scelte e verificarne l'efficacia
(D'Ambrosio e Coletti 2002).
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 37/S3
Titolo: IL MUTISMO SELETTIVO
Attività n°: 01

I bambini con Mutismo Selettivo a scuola: consigli educativi

Alcuni bambini con Mutismo Selettivo rimangono immobili, non interagiscono, non iniziano
un gioco e a volte non rispondono agli inviti al gioco dei compagni. Anche il linguaggio del
corpo può essere impacciato, lo sguardo sfuggente e assente, il viso inespressivo. Sembra
che ignorino gli altri, mentre in realtà sono così ansiosi e impauriti da essere letteralmente
bloccati, tanto da non riuscire a rispondere. È come se si sentissero su un palcoscenico, al
centro dell’attenzione ~ proprio quello che vogliono evitare ~ e questo fa aumentare la loro
ansia. Altri bambini invece sono meno rigidi e utilizzano forme di comunicazione alternativa;
ad esempio usano la mimica o i gesti per comunicare con i loro interlocutori.

Il contenuto della presente sessione di studio è stato tratto dalla Associazione Italiana Mutismo selettvo
Chi è iteressato ad approfondire ….. http://www.aimuse.it
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 37/S3
Titolo: IL MUTISMO SELETTIVO
Attività n°: 01

I bambini con Mutismo Selettivo sono in genere molto sensibili sia alle percezioni sensoriali
(rumori, urli, tono della voce molto alto) che al giudizio degli altri: se commettono un errore,
possono preoccuparsene tutta la notte; se l’insegnante alza la voce, si chiedono se la colpa è
loro. Per questi bambini può costituire un problema non solo il far sentire la propria voce, ma
anche il fatto che le persone li VEDANO parlare; infatti, se riescono a bisbigliare qualcosa a
qualcuno spesso si coprono la bocca con la mano. Sono bambini molto pignoli e perfezionisti;
sono anche abitudinari, perché le novità destabilizzano le loro sicurezze e provocano loro
ansia. Per questo motivo i cambiamenti devono essere graduali. Può spesso accadere che in
classe restino muti, mentre appena fuori dall’aula o dalla scuola, inizino a parlare con i
genitori e a volte anche con qualche compagno.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 37/S3
Titolo: IL MUTISMO SELETTIVO
Attività n°: 01

Consigli per gli insegnanti


E’ importante cje gli insegnanti cerchino di alleviare l’ansia in classe, creando un clima disteso e rilassato in cui il
bambino si senta più possibile a proprio agio.
- Non si deve considerare oppositivo il comportamento del bambino con Mutismo Selettivo: non c’è intenzionalità nel
non parlare anzi al contrario il bambino vorrebbe riuscire, ma l’ansia gli impedisce di farlo, bloccandogli le parole in
gola.
- Non mettere sotto pressione il bambino e non ingannarlo con promesse o ricatti perché parli. Rispettare i suoi tempi.
- Permettere al bambino di indicare, di usare lo sguardo, l’alzata di mano o di scrivere su un foglio le risposte.
- Fare attenzione alle prese in giro: il bambino non deve essere etichettato come “bambino che non parla”. Spiegare
alla classe, concordando prima con il bambino e in sua presenza, che tutti abbiamo paura di qualcosa, e che il
compagno sa parlare ma a volte non riesce a far uscire le parole. In questa occasione, ogni compagno di classe
avrà lo spazio per parlare delle proprie paure.
- Si può migliorare l’autostima del bambino affidandogli piccoli compiti e incarichi alla sua portata e favorendo l’attività
in coppia o in gruppi di 3 componenti, possibilmente con compagni con cui il bambino si sente a proprio agio.
- Sempre attraverso il gioco, possono essere incoraggiati a fare rumore e a produrre suoni con la bocca (risate, soffi,
fischi). Quelli che per noi sono gesti scontati, per loro sono grandi passi che costituiscono l’inizio di una
comunicazione verbale.
- Non fare domande dirette al bambino. Nel caso la risposta possa essere un “sì” o un “no”, permettergli di rispondere
con un gesto del capo per farlo sentire coinvolto nella conversazione di classe.
- Tenere presente che se il bambino parla una volta, non è detto che poi parlerà sempre. È anche importante
controllare le reazioni quando il bambino pronuncia qualche parola: non bisogna mostrare eccessivo entusiasmo
per l’accaduto (“Maestra, X ha parlato!!!”).
- Uno dei problemi per gli insegnanti è la valutazione: si possono utilizzare compiti scritti o chiedere ai genitori di
effettuare a casa delle registrazioni mentre il bambino ripete la lezione o legge a voce alta. Si potrebbe dare la
consegna a tutti gli alunni e poi ascoltare insieme tutte le registrazioni in classe.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 37/S3
Titolo: IL MUTISMO SELETTIVO
Attività n°: 01

Bisogni Educativi Speciali (B.E.S.) e Mutismo Selettivo


Il Mutismo Selettivo rientra pienamente nella definizione dei Bisogni Educativi Speciali
(“Qualsiasi difficoltà evolutiva di funzionamento, permanente o transitoria, in ambito educativo
e/o apprenditivo, dovuta all’interazione dei vari fattori di salute, secondo il modello ICF
dell’OMS, e che necessita di educazione speciale individualizzata”).
“Non è compito della scuola certificare gli alunni con BES, ma individuare quelli per i quali è
opportuna e necessaria l’adozione di particolari strategie didattiche.” (Nota MIUR
22/11/2013).
Il Consiglio di classe è autonomo nel decidere se attivare percorsi di studio personalizzati e
formalizzarli in un Piano Didattico Personalizzato (PDP); a differenza che nei Disturbi
Specifici di Apprendimento (DSA), nel caso dei BES l’intervento non si basa su una diagnosi
clinica, ma su criteri di efficacia e convenienza.
Non tutte le personalizzazioni richiedono un PDP. “La scuola può intervenire nella
personalizzazione in tanti modo diversi, informali o strutturati, secondo i bisogni e la
convenienza.” (Nota MIUR, 22/11/2013). Non si può valutare la convenienza se non è stata
definita, almeno a grandi linee, la strategia di personalizzazione scelta.
Vantaggi del PDP: proposte più consapevoli e condivise, personalizzazione più efficace,
maggior rilevanza verso docenti e genitori, qualche possibilità di intervento in più nella
valutazione, soprattutto in caso di esami.
Svantaggi del PDP: rischio di etichettatura del bambino e caduta di autostima, problemi di
accettazione e tensioni con i compagni e i familiari, maggiori oneri per la scuola.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 38
Titolo: FOBIE SPECIFICHE E FOBIA SOCIALE
Attività n°: 01

LE FOBIE specifiche

Cos’è una fobia?


La fobia è la paura persistente e irragionevole di oggetti o situazioni identificabili,
l’esposizione ai quali può causare una reazione ansiosa o un attacco di panico
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 38
Titolo: FOBIE SPECIFICHE E FOBIA SOCIALE
Attività n°: 01

Nei bambini l’ansia connessa alla fobia può essere espressa con pianto, collera, blocco
o attaccamento, non è necessario che il bambino si renda conto che tale paura sia
irragionevole.
All’esordio di un disturbo fobico possono esserci alcuni fattori predisponenti, come
eventi traumatici, osservazione di persone impaurite, avvertimenti dei genitori o
cronache dei media.

Esistono differenti tipi di fobia specifica: per gli animali, per qualche aspetto
dell’ambiente naturale (altezza, temporale, acqua…), per sangue-iniezioni-
ferite, per situazioni specifiche (ascensori, luoghi chiusi, aerei…) e paure di altri
tipi (dei rumori forti, dei personaggi in maschera…).
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 38
Titolo: FOBIE SPECIFICHE E FOBIA SOCIALE
Attività n°: 01

Il 2-3% della popolazione soffre di una qualche fobia specifica, con maggior diffusione
nelle femmine.
Alcuni tipi di fobie, come quelle per gli animali, insorgono in età prescolare, mentre
quelle riferite a specifiche situazioni solitamente insorgono in adolescenza.

Esercitazione
Provi a dedurre quali paure caratterizzano le seguenti fobie.
1. Aracnofobia 10. Necrofobia
2. Sociofobia 11. Dismorfofobia
3. Aerofobia 12. Omofobia
4. Agorafobia 13. Idrofobia
5. Claustrofobia 14. Scotofobia
6. Acrofobia 15. Ailurofobia
7. Emotofobia 16. Cinofobia
8. Carcinofobia 17. Automisofobia
9. Brontofobia
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 38
Titolo: FOBIE SPECIFICHE E FOBIA SOCIALE
Attività n°: 01

Diagnosi differenziale

La fobia specifica può essere confusa con altri tipi di disturbi che presentano
caratteristiche di paura ed evitamento: l’agorafobia per esempio è una condizione nella
quale la persona si sente paralizzata dalla paura di trovarsi in spazi ampi e affollati,
oppure di non poter uscire da certi luoghi trovandovisi intrappolato, ma va differenziato
dalla fobia specifica in quanto l’agorafobia comprende molte situazioni differenti e non è
così definita come la fobia specifica.
L’ansia sociale si differenzia dalla fobia specifica in quanto il motivo dell’ansia non è una
paura della situazione sociale in sé, ma il timore di essere giudicati in modo negativo
dagli altri. Il disturbo di panico si caratterizza per svariati attacchi di panico che si
presentano in modo inaspettato. Capita spesso che chi abbia una fobia specifica
sperimenti un attacco di panico o alcuni suoi sintomi di fronte allo stimolo fobico, tuttavia
per differenziare i due disturbi bisogna considerare che nella fobia il panico appare
solamente di fronte allo stimolo temuto, mentre nel disturbo di panico gli attacchi sono
imprevedibili, sembrano immotivati e non si riesce a rintracciare il fattore scatenante.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 38
Titolo: FOBIE SPECIFICHE E FOBIA SOCIALE
Attività n°: 01

Nel disturbo ossessivo-compulsivo il soggetto è ossessionato da alcuni stimoli, che si


manifestano solitamente come pensieri intrusivi e che causano disagio e ansia: per
placare la sintomatologia, mette in atto delle compulsioni (comportamenti ripetitivi) per
cercare di controllarli. Se sono presenti ossessioni e compulsioni nei confronti di stimoli, è
necessario analizzare la situazione per meglio diagnosticare un disturbo ossessivo-
compulsivo piuttosto che una fobia specifica.

Se la fobia sorge in seguito ad un forte evento traumatico è necessario verificare che non
si tratti di disturbo post-traumatico da stress. In questo caso la sensazione è quella di
avere impresso nella mente il grave trauma subito, mentre nella fobia spesso non c’è un
ricordo preciso del momento in cui si è iniziato a temere lo stimolo fobico.
Quando lo stimolo fobico coincide esclusivamente con elementi relativi all’alimentazione e
al cibo, è molto probabile che il soggetto abbia disturbi alimentari come anoressia nervosa
o bulimia nervosa
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 38
Titolo: FOBIE SPECIFICHE E FOBIA SOCIALE
Attività n°: 01

Su internet può trovare una lista lunghissima di fobie specifiche, alcune veramente
impensabili!

Ad esempio www.fobie.org e http://it.wikipedia.org/wiki/Lista_di_fobie


Ad esempio: aritmofobia = paura dei numeri; zemifobia = paura delle talpe;
araquibutirofobia = paura dei gusci di arachidi; papirofobia = paura della carta;
domatofobia = paura dello stare in casa; ritifobia = paura delle rughe; tafiofobia = paura di
essere seppellito vivo; bibliofobia = paura dei libri; esisoptrofobia = paura degli specchi;
geliofobia = paura della risata; hipengiofobia = paura della responsabilità …
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 38
Titolo: FOBIE SPECIFICHE E FOBIA SOCIALE
Attività n°: 01

Soluzione
1) Aracnofobia – paura dei ragni
2) Sociofobia – paura di essere giudicato negativamente nelle occasioni sociali
3) Aerofobia – paura di viaggiare in aereo
4) Agorafobia – paura degli spazi aperti
5) Claustrofobia – paura degli spazi chiusi
6) Acrofobia – paura delle altezze (molto più che soffrire di vertigini)
7) Emotofobia – paura del vomito o di vomitare
8) Carcinofobia – paura di contrarre un tumore
9) Brontofobia – paura di elementi climatici (tuoni, fulmini)
10) Necrofobia – paura della morta
11) Dismorfofobia – paura di avere qualcosa di “storto” nel proprio aspetto esteriore
12) Omofobia – paura dell’omosessualità
13) Idrofobia – paura dell’acqua
14) Scotofobia – paura del buio
15) Ailurofobia – paura dei gatti
16) Cinofobia – paura dei cani
17) ) Automisofobia – paura di sporcarsi
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Lezione n°: 38/S1
Titolo: FOBIE SPECIFICHE E FOBIA SOCIALE
Attività n°: 01

LE FOBIE specifiche:
Esordio, decorso e trattamento
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 38/S1
Titolo: FOBIE SPECIFICHE E FOBIA SOCIALE
Attività n°: 01

Esordio e decorso della fobia specifica


La fobia specifica può svilupparsi in vari modi: solitamente in seguito ad un evento
traumatico (per esempio essere attaccati da un animale) avviene un’associazione per la
quale si collega lo stimolo che ha generato il disagio (l’animale che ci ha attaccati) con la
sensazione di malessere che si è sperimentata, trasformandolo in uno stimolo fobico.
Anche osservare un evento traumatico senza testarlo direttamente su di sé può generare
una fobia specifica: se un elemento ha fatto del male a altri potrebbe farlo anche alla
persona che osserva, pertanto si crea lo stesso meccanismo di associazione e genera
una fobia.
L’associazione è ancora più forte se durante un’esperienza si ha un attacco di panico. In
questo caso la persona collega quello che stava facendo o osservando alla sensazione di
malessere e forte ansia dell’attacco. In questi casi si possono generare le fobie più
stravaganti:
In tutti questi casi comunque il meccanismo della fobia consiste nell’associare un preciso
stimolo a una sensazione di malessere: la persona che apprende che la sua ansia è
causata da quel preciso stimolo fobico, lo vorrà evitare a ogni costo, limitandosi nel
funzionamento sociale e vivendo in uno stato di maggior tensione e paura.

L’età media di insorgenza è tra i 7 e gli 11 anni e non necessariamente la persona ricorda
quale sia stato l’evento scatenante la sua fobia.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 38/S1
Titolo: FOBIE SPECIFICHE E FOBIA SOCIALE
Attività n°: 01

Comportamenti tipici di chi soffre di fobia specifica sono spesso riconducibili


all’evitamento. Temendo di incontrare lo stimolo fobico, le persone che soffrono di fobia
specifica evitano le situazioni potenzialmente pericolose arrivando a volte a vivere chiuse
in casa, con una grande compromissione della loro vita sociale e lavorativa.
Occorre sottolineare come la quantità di fobie che colpiscono una persona, nonché il tipo
di stimolo fobico, possano renderne più o meno facile la vita di tutti i giorni. Se una
persona ha una fobia specifica per i serpenti, ma vive in una città il cui clima impedisce la
vita dei serpenti, il suo funzionamento sociale non ne risulterà compromesso.
Se invece una persona che vive nella stessa città avesse una o più fobie specifiche per il
tram, i luoghi chiusi e le persone sconosciute, si troverebbe paralizzato: non sarebbe in
grado di andare al lavoro, probabilmente non avrebbe vita sociale e si sentirebbe a
disagio ogni qualvolta uscisse di casa. In questo caso quindi, a causa del tipo di fobie e
del contesto, la persona sarebbe portata ad attuare un comportamento di evitamento che
andrebbe pesantemente ad incidere sulla sua vita e percepirebbe molto di più il peso di
queste sue fobie, sentendosi a disagio.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 38/S1
Titolo: FOBIE SPECIFICHE E FOBIA SOCIALE
Attività n°: 01

Il trattamento

La terapia per curare la fobia specifica è di tipo psicoterapeutico, farmacologico o una


combinazione tra le due. Il trattamento farmacologico rappresenta una soluzione a breve
termine per controllare eventuali crisi, episodi di ansia acuta. Principalmente nella terapia
farmacologica si utilizzano benzodiazepine (ansiolitici) e antidepressivi. Anche i
betabloccanti possono essere utilizzati per contrastare tremori e palpitazioni. I farmaci per
curare la fobia specifica hanno l’importante funzione di agire sui sintomi della fobia in
modo efficace, ma non eliminano la causa prima dell’esistenza del disturbo: per questo
scopo è necessaria la psicoterapia.

La psicoterapia cognitivo-comportamentale rappresenta il trattamento più efficace per


la cura della fobia specifica. La tecnica maggiormente utilizzata in tale ambito è
l’esposizione graduale agli stimoli temuti: il soggetto viene avvicinato in modo progressivo
allo stimolo fobico, fino ad arrivare ad avere contatto diretto con lo stimolo, che diviene
neutro ai suoi occhi grazie a un processo parallelo di ristrutturazione delle idee irrazionali
relative allo stimolo
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 38/S2
Titolo: FOBIE SPECIFICHE E FOBIA SOCIALE
Attività n°: 01

Fobia sociale

Questo tipo di fobia viene diagnosticata separatamente dalle fobie specifiche. La


caratteristica principale della fobia sociale è una marcata o persistente paura delle
situazioni sociali in cui il soggetto è esposto a persone sconosciute o al possibile
giudizio della propria prestazione.

Nel DSM-5 mentre le caratteristiche cliniche restano le stesse del DSM-IV, viene meno
la necessità -per la diagnosi- che il pz. critichi la reazione fobica. Una durata minima di
6 mesi è necessaria per la diagnosi anche al di sotto dei 18 anni d’età.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 38/S2
Titolo: FOBIE SPECIFICHE E FOBIA SOCIALE
Attività n°: 01

Il soggetto teme la possibile umiliazione o l’imbarazzo per la propria reazione ansiosa


durante l’esposizione sociale.
Nella maggior parte dei casi il decorso è cronico, ma è raramente invalidante e può
mostrare gravità variabile nel tempo.
Il DSM-5 indica un esordio tra gli 8 e i 15 anni. L’esordio tipico avviene in
adolescenza dopo una storia di inibizione sociale nella fanciullezza. A volte l’esordio
è improvviso ed è correlato a un’esperienza sociale traumatica o stressante.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 38/S2
Titolo: FOBIE SPECIFICHE E FOBIA SOCIALE
Attività n°: 01

La timidezza, l’inibizione sociale, il “blocco da palcoscenico” e l’ansia da prestazione


sono comunemente osservati nei bambini, specie quando sono in ambienti estranei
e in situazioni sociali nuove, transitorie o non familiari (es. una scuola nuova).
La fobia sociale è qualcosa di diverso.
Nella Fobia sociale le difficoltà sono da ricondurre al timore di essere sottoposti al
giudizio degli altri, nell’aspettativa che questo sia negativo. E’ stato pertanto
suggerito che le situazioni sociali sono fonte di stress, non solo perché il soggetto si
sente osservato ma anche perché si immagina isolato e ignorato dagli altri. Questa
anticipazione di scenario genera ansia che a sua volta fa mergere sintomi di tipo
fisico.
Per fare una diagnosi di questo tipo ci deve essere inoltre prova della capacità di avere
relazioni sociali e l’ansia sociale deve manifestarsi non solo con gli adulti, ma anche
con i coetanei (mentre le relazioni affettive con i famigliari e gli amici possono
essere appropriate).
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 38/S2
Titolo: FOBIE SPECIFICHE E FOBIA SOCIALE
Attività n°: 01

I bambini e i ragazzi con questo disturbo possono non riuscire a chiarire bene la fonte
della loro ansia, può accadere che non giochino con i coetanei, siano
eccessivamente timidi, rifiutino la scuola, evitino le attività sociali tipiche della loro
età, anche se il desiderio di amicizie e affetti è presente.
I bambini con fobia sociale hanno un deficit nelle abilità relazionali: Si instaura pertanto
un circolo vizioso: i deficit nelle abilità sociali determinano insuccessi nelle
interazioni con gli altri; i quali, a loro volta, determinano aspettative di scarsi esiti e
pensieri negativi rispetto alle situazioni nelle quali ci si sente valutati dagli altri.
Aspettative e convinzioni negative danno l’avvio ai sentimenti di ansia che sono
all’origine dei comportamenti di evitamento. Questi ultimi finiscono per ridurre
l’opportunità di migliorare le competenze sociali, così da contribuire al
mantenimento dei sintomi fobici.
I bambini con questo disturbo generalmente non hanno capacità sociali e fiducia in se
stessi, spesso soffrono anche di un disturbo d’ansia generalizzato (Rapaport,
Ismond, 1996).
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 38/S3
Titolo: FOBIE SPECIFICHE E FOBIA SOCIALE
Attività n°: 01

Esemplificazione clinica
Esercitazione sul forum

Vediamo ora un caso, intitolato “Nessun amico”, riguardante una bambina, Emily, di 7
anni (APA, 1997). Legga il caso descritto e commenti sul forum:

Quali elementi della storia di Emily le fanno pensare a una diagnosi di fobia sociale?
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 38/S3
Titolo: FOBIE SPECIFICHE E FOBIA SOCIALE
Attività n°: 01

Emily è stata portata da sua madre in un centro neuropsichiatrico ambulatoriale per le


sue difficoltà di relazione con i coetanei. Una recente telefonata, fatta
dall’insegnante di seconda classe di Emily, aveva convinto la madre che era
necessario cercare un aiuto professionale per Emily. L’insegnante si preoccupava
della riluttanza di Emily ad interagire con gli altri bambini della classe.
Nell’intervallo Emily sta da una parte nel cortile a testa bassa, con un aspetto di
estremo disagio. In classe non inizia mai la conversazione con gli altri bambini e ha
grande difficoltà nel rispondere anche quando viene avvicinata da un altro bambino.
Al sesto mese dell’anno scolastico, l’estremo disagio di Emily nei confronti dei suoi
coetanei non è migliorato per niente. Infatti, non ha un solo amico in classe.
Il disagio relazionale di Emily con i coetanei è iniziato dall’epoca dell’asilo. I suoi
insegnanti dell’asilo e del primo anno di scuola avevano redatto rapporti i cui la
descrivevano come una bambina isolata e nervosa con gli altri.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 38/S3
Titolo: FOBIE SPECIFICHE E FOBIA SOCIALE
Attività n°: 01

Tuttavia, l’insegnante del secondo anno fu la prima ad impegnarsi per cercare di dare a
Emily l’aiuto di cui aveva bisogno.
La madre di Emily aveva cercato ripetutamente di coinvolgerla con gli altri bambini del
vicinato. Infatti, la prendeva per mano e la portava nelle casei dei vicini dove
c’erano bambini della stessa età, per cercare di trovarle degli amici.
Sfortunatamente in queste situazioni Emily cominciava a tremare e a piangere e non
era capace di dire una parola al bambino del vicino. Ad Emily non è mai stato
chiesto di partecipare a una festa di compleanno di un altro bambino.
Il suo comportamento a casa è completamente diverso. Emily è cordiale e socievole
con la sua famiglia, in netto contrasto con la bambina isolata ed ansiosa osservata
dai suoi insegnanti e dai suoi coetanei.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 39
Titolo: Le Classificazioni Diagnostiche
Attività N°: 1

LE CLASSIFICAZIONI DIAGNOSTICHE

L’interesse per una classificazione dei disturbi psichici risale a Ippocrate, circa 2500 anni fa, il
quale distinse le patologie sulla base della presenza di squilibrio di quattro umori fondamentali
(bile nera, bile gialla, sangue, flegma): mania, melanconia e paranoia. Evidentemente l’idea di
classificare le patologie è sempre stata presente nella scienza. Perché?
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 39
Titolo: Le Classificazioni Diagnostiche
Attività N°: 1

Le classificazioni consentono di “raggruppare i fenomeni e di organizzarli in modo


da rendere possibile generalizzazioni in rapporto alle osservazioni, come si verifica
nel procedimento induttivo”. E’ però importante sottolineare che non si stratta di
“sistemi oggettivi che riflettono la natura delle cose, si tratta, al contrario, di
decisioni e metodologie umane” (Ammaniti, 2001, p. 19).

Gli sforzi per costruire un sistema diagnostico condiviso a livello internazionale,


basato su osservazioni ed esperienza clinica, risale agli anni Cinquanta.
Chiaramente, è molto diverso creare un sistema di diagnosi per malattie mediche,
di cui in quasi tutti i casi si conosce l’eziologia (cioè l’origine causale) e la
manifestazione. Nel caso della patologia psichica, si preferisce parlare di
SINDROMI PSICOPATOLOGICHE, ovvero di “un raggruppamento di segni e
sintomi, basato sulla frequente co-occorrenza, che può far supporre una patogenesi
sottostante, un decorso, un quadro familiare e una scelta del trattamento comuni”
(APA, 1994).
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 39
Titolo: Le Classificazioni Diagnostiche
Attività N°: 1

Si parla perciò di “segni” e “sintomi”. I primi sono manifestazioni osservabili


dall’esterno, i secondi sono intesi come manifestazioni soggettive vissute dalla
persona (es. ansia, idee ossessive…).

Marcelli (2006, p. 76) sottolinea come, oltre ai problemi comuni a ogni sistema di
classificazione della psicopatologia (che può immaginare sulla base di quanto detto
fin qui e che studierà in specifico in altri insegnamenti del Corso di Laurea),
nell’ambito della psicopatologia infantile sorgono ulteriori problemi:

1. Segni e sintomi non sono sempre percepiti dal bambino (spesso infatti sono i
genitori o gli insegnanti che evidenziano il problema)
2. C’è una forte dipendenza del bambino dal contesto famigliare
3. Segni e sintomi cambiano espressione e significato nel corso dello sviluppo, in
funzione della crescita.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 39
Titolo: Le Classificazioni Diagnostiche
Attività N°: 1

L’utilizzo delle classificazioni è tutt’ora molto controverso. Dato il loro carattere di


internazionalità (i clinici di tutto il mondo possono utilizzare un linguaggio comune
per intendere le stesse questioni) e di rigore metodologico, sono utili per la ricerca e
per la valutazione. Tuttavia a livello clinico risultano piuttosto limitanti, dal momento
che descrivono solo la parte più esterna e visibile del comportamento, a scapito di
aspetti più sfuggenti e difficilmente classificabili come la personalità, le dinamiche
individuali e famigliari…

Per effettuare una diagnosi è quindi utile far riferimento sia alla valutazione
nosografica-descrittiva (delle classificazioni) sia a quella più interpretativo-
esplicativa (che fa riferimento alle ragioni psicologiche sottostanti i comportamenti
osservabili).
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 39/S1
Titolo: FOBIA SCOLARE
Attività n°: 01

Fattori legati all’esordio

Vediamo qui di seguito indicati alcuni specifici fattori connessi all’esordio della fobia
scolare
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 39/S1
Titolo: FOBIA SCOLARE
Attività n°: 01

Il rifiuto della scuola: lavativi o fobici?


Guardate le differenti caratteristiche
I lavativi I fobici
-Non presentano difficoltà psicologiche -Ansia, paure, disturbi somatici
-Non vogliono frequentare la scuola -Desiderano frequentare ma non ci
riescono
-spesso mettono in atto comportamenti di -Assenze prolungate
disturbo o devianti
- frequenza scolastica discontinua -i genitori sono consapevoli delle assenze
-I genitori non sono a conoscenza delle -assenza di disturbi antisociali
assenze

Gruppo misto (10%)


Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 39/S1
Titolo: FOBIA SCOLARE
Attività n°: 01

Il rifiuto della scuola non è una sindrome unitaria ma multi-causale e eterogenea

E’ IMPORTANTE CHE IL CLINICO SI CHIEDA:


COSA OTTIENE IL BAMBINO NON FREQUENTANDO LA SCUOLA?

1. Evitamento di specifiche paure o di un’ansia generale legata all’ambiente


scolastico. Sono temute una o più caratteristiche della scuola (i bagni,
interrogazioni, insegnante..)

2. Fuga da situazioni sociali aversive. I problemi nascono da relazioni


insoddisfacenti con altri (pari, insegnanti)

3. Comportamenti volti a ottenere attenzione/ansia da separazione. Disturbi


fisici e l’intenzione è quella di restare a casa con un genitore o un’altra
persona per lui importante

4. Esperienze gratificanti fuori dalla scuola. Possono desiderare di rimanere


a casa perché ciò fornisce l’opportunità di dedicarsi ad attività gradite come
guardare la tv e incontrare gli amici.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 39/S1
Titolo: FOBIA SCOLARE
Attività n°: 01

LE CARATTERISTICHE DEI BAMBINI E DELLA FAMIGLIA

Sono state individuate delle caratteristiche «tipiche» del contesto familiare che
sembrano alimentare il problema. Madri apertamente ansiose e fobiche che
inducono nel figlio interiorizzazioni e rappresentazioni di debolezza e
vulnerabilità in cui egli viene dipinto come “bisognoso di protezione”.
L’iperprotettività spesso presente che tende a stabilire e a mantenere una
dipendenza stretta da parte del bambino. Contestualmente spesso il padre è
poco presente, rigido, o debole per ragioni che possono essere differenti (es.
lavoro, problemi familiari o lutto): ciò crea l’assenza di un riferimento
fondamentale e, ancora peggio nei maschi, di una figura di identificazione dotata
di una sicurezza. Un'altra caratteristica familiare è il regime educativo familiare
che può essere piuttosto tollerante e prevedere una leadership molto indulgente,
ben differente da alcune incontrate in ambiente scolastico.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 39/S1
Titolo: FOBIA SCOLARE
Attività n°: 01

La necessità di alzare la voce e i rimproveri di qualche insegnante possano


intimidire i bambini più paurosi e meno abituato ad un regime
comportamentale più severo a casa.
I bambini/ragazzi fobici sono generalmente dei «bravi» figli, attenti,
accondiscendenti, obbedienti e prima dell’inizio della fobia molto attenti alla
performance scolastica.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 39/S2
Titolo: FOBIA SCOLARE
Attività n°: 01

La valutazione del rifiuto della


scuola
Rigante, L., & Patrizi, C. (2007). Il rifiuto scolare [The school refusal].
Cognitivismo Clinico, 4, 124–138.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 39/S2
Titolo: FOBIA SCOLARE
Attività n°: 01

Assessment
La natura eterogenea del rifiuto della scuola e la complessità del problema richiede che nel processo di
assessment siano coinvolti oltre al paziente anche i genitori e gli insegnanti. Un‘ attenta valutazione deve
partire dai resoconti di tutte le figure che ruotano intorno al bambino/ ragazzo. Va inoltre preso in esame il
funzionamento affettivo, cognitivo e comportamentale del paziente sia a scuola che fuori, così da poter
cogliere l'eventuale presenza di altre patologie in comorbilità con il rifiuto scolastico o quadri più severi di cui
quest'ultimo è solo un aspetto secondario.
Le procedure più comuni comprendono:
• colloqui individuali con il bambino/ragazzo,
• colloqui con i genitori,
• colloqui congiunti bambino/ragazzo, genitori,
• colloqui con gli insegnanti,
• automonitoraggio del bambino (schede, diari, ecc.),
• osservazione diretta del comportamento sia a casa che a scuola,
• uso di questionari e scale.
Gli aspetti che vanno approfonditi in una prima fase di assessment sono: un'attenta anamnesi medica che
valuti la storia del paziente e le sue attuali condizioni fisiche; va indagata la storia dell'insorgenza dei sintomi
e della loro evoluzione nel tempo, cercando di coglierne l'eventuale associazione con eventi stressanti nella
storia recente e passata del bambino, con una particolare attenzione ai lutti recenti. È utile considerare la
storia scolastica e le relazione con i pari, il funzionamento famigliare, la presenza di patologie psichiatriche
del bambino o di un famigliare, così come una storia di abuso di sostanze. Bisogna cogliere la presenza di
tipologie di relazione materna predisponenti, come la presenza di madri a loro volta apertamente ansiose o
fobiche che fanno sentire il figlio come vulnerabile e bisognoso di protezione, o stili di accudimento
iperprotettivo.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 39/S2
Titolo: FOBIA SCOLARE
Attività n°: 01

Tenete presente che non si può prescindere dal collaborare con la scuola, sia in fase di
assessment che di trattamento, per garantire la risoluzione del problema.

Nel colloquio con gli insegnanti va indagata la presenza di problemi nell'inserimento sociale
del paziente, le relazioni con i pari, ma cercando anche di cogliere il clima della relazione con
gli insegnanti stessi.
Si può cercare di sapere se sono avvenuti episodi potenzialmente stressanti precedenti
all'inizio delle difficoltà del bambino (atti di bullismo, litigi con un compagno, problemi con un
insegnante, malesseri fisici vissuti a scuola o ancora insuccessi nei compiti didattici, incidenti
ecc.).
Vanno raccolte le valutazioni degli insegnanti su eventuali difficoltà nell'apprendimento o sulla
presenza di manifestazioni di ansia durante le interrogazioni o le verifiche. È utile chiedere se
vi è stato un repentino calo nel rendimento scolastico nell'ultimo periodo.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 39/S2
Titolo: FOBIA SCOLARE
Attività n°: 01

Questionari

Per quanto riguarda gli strumenti specifici per l'assessment del rifiuto scolastico, vi presenterò
la traduzione preliminare della SRAS-R di Kearney (2002), questa scala è uno strumento
specifico che permette di fare una diagnosi funzionale dei sintomi legati al rifiuto scolastico.
La School Refusal Assessment Scale Revised (in Rigante et al. 2007) prevede un
questionario per il bambino/ragazzo e uno per ambedue i genitori. Attraverso le risposte
vengono analizzati i rinforzi positivi e negativi scatenati dal rifiuto scolastico. Kearney infatti
propone una strategia di valutazione che evidenzia due tipologie di casi che si basano sul
ricevere rinforzi positivi o negativi in seguito all'assenteismo da scuola. Questi danno luogo a
quattro diversi quadri sintomatologici, infatti sebbene si osservano varie forme di
comportamenti esibiti dal bambino, le variabili che possono causare il problema e che lo
mantengono sono essenzialmente quattro:
1. evitare oggetti o situazioni che generano un'ansia generale o emozioni negative;
2. evitare situazioni sociali avversive o valutative;
3. ottenere attenzione dalle figure significative;
4. perseguire rinforzi positivi tangibili fuori della scuola (guardare la TV, dormire, giocare, stare
al computer, frequentare gli amici, consumo di alcool o di sostanze, frequentare sale da
gioco, ecc.).
I profili evidenziati differiscono a seconda dei meccanismi che ricorrono in modo disadattivo
sia nel ragionamento del bambino (biases, rigidità e pervasività degli schemi, reazione
emotiva) che nelle interazioni familiari (atteggiamenti disfunzionali). In alcuni casi è possibile
osservare la contemporanea presenza di più motivi per cui il bambino rifiuta la scuola.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 39/S2
Titolo: FOBIA SCOLARE
Attività n°: 01

La SRAS-R è una scala composta da 24 item, ciascun item è valutato su una scala Likert
che va dal punteggio 0 per la risposta "mai" al punteggio 6 per la risposta "sempre"; le
domande senza risposta non sono contate. Gli item sono suddivisi equamente tra le quattro
condizioni funzionali prima citate.

In particolare gli item 1, 5, 9, 13, 17 e 21 riguardano i comportamenti legati


all'evitamento di stimoli e situazioni negative;
gli item 2, 6, 10, 14, 18 e 22 riguardano i comportamenti di fuga da situazioni sociali e
di valutazione;
gli item 3, 7, 11, 15, 19 e 23 fanno riferimento ai comportamenti legati alla ricerca di
attenzione,
infine gli item 4, 8, 12, 16, 20 e 24 riguardano i comportamenti legati alla ricerca di
gratificazioni al di fuori della scuola

Il questionario ha una versione per il bambino/ragazzo e una versione per i genitori che
dovrebbe essere compilata separatamente da ambedue. Dai punteggi ottenuti dalle risposte
si calcola una media per ciascuno dei quattro profili funzionali. Dalle medie dei profili del
bambino, della madre e del padre si calcola un'unica media rispetto a ciascun profilo
funzionale. Il valore più alto che si ottiene rispetto ad una condizione funzionale indica quale
sia la variabile principale che mantiene il disturbo.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 39/S2
Titolo: FOBIA SCOLARE
Attività n°: 01

Diagnosi differenziale e comorbilità


Uno degli aspetti rilevanti della scala SRAS-R è che permette di distinguere i
comportamenti legati al rifiuto scolastico da quelli che riguardano le condotte trasgressive,
come il "marinare" la scuola, troviamo infatti sostanziali differenze nei due quadri.
Quando un ragazzo ha paura della scuola mostra un'ampia varietà di sintomi
somatici, elevati livelli di ansia, sintomi depressivi, rabbia e collera. I genitori sono
persuasi a lasciare il bambino a casa durante le ore scolastiche quale ambiente protetto e
sicuro. A casa il bambino ritrova la sua serenità, si dedica a varie attività, svolge volentieri
i compiti e mostra buona volontà a mantenere un'adeguata preparazione scolastica.
Al contrario, il ragazzo che si assenta in modo ingiustificato, che "marina la
scuola", mostra un comportamento intenzionale, non ha paura, non presenta
elevati livelli di ansia, solitamente tende anche a nascondere le assenze ai genitori
e spesso durante le ore scolastiche rimane fuori casa.
Puo' frequentare gruppi devianti caratterizzati da comportamenti antisociali e non è
interessato o preoccupato per la sua formazione scolastica
Come detto nel descrivere le fasi dell'assessment, va posta particolare attenzione a quei
quadri sintomatologici pervasivi nei quali il rifiuto scolare, ad una attenta analisi, appare
come un sintomo secondario di una patologia più grave.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 39/S2
Titolo: FOBIA SCOLARE
Attività n°: 01

Per quanto riguarda i problemi che più spesso si presentano in comorbilità con il rifiuto
scolastico questi possono essere:

di tipo internalizzato come: l'ansia generalizzata, l'ansia sociale, le fobie e le


lamentele somatiche, la depressione;
di tipo esternalizzante: rabbia e collera, specie quando si tende a forzare la
situazione per portarli a scuola, pianti, urla, aggressione verbale e fisica, la fuga da
scuola, il rifiuto a muoversi, la non compliance, la ricerca di rassicurazioni, il
comportamento dipendente.

Le diagnosi che più di frequente si associano ai quattro profili funzionali proposti da


Kearney e collaboratori sono: per il gruppo che evita la scuola per cercare una maggiore
attenzione dalle figure di riferimento è presente l'ansia da separazione; per i gruppi che
rifiutano la scuola per sottrarsi a stimoli che sono valutati negativamente o per evitare
situazioni sociali avversive o valutative si associa la diagnosi di depressione o di disturbo
di ansia; per il gruppo che rifiuta la scuola per perseguire rinforzi esterni positivi la
comorbilità è con i disturbi della condotta o del comportamento oppositivo--provocatorio
(Kearney, Albano 2004).
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 39/S3
Titolo: FOBIA SCOLARE
Attività n°: 01

L’intervento

Solo dopo aver compreso le ragioni che portano il bambino/ragazzo ad un


rifiuto della scuola, e dopo aver valutato attentamente il quadro clinico, è
possibile realizzare un intervento terapeutico che potrà richiedere la
collaborazione della scuola e degli insegnanti
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 39/S3
Titolo: FOBIA SCOLARE
Attività n°: 01

Gli approcci terapeutici più frequenti in questi caso sono:

Approccio cognitivo-comportamentale, (come avete avuto modo di studiare nel libro


di Di Pentima), si focalizzano sull’identificazione dei pensieri disfunzionali e distorti
legati alla fobia, verso i quali viene orientato il tentativo di ristrutturazione
cognitiva.

Approccio sistemico familiare sottolineano l’importanza delle relazioni familiari e


approfondiscono il significato del sintomo a livello familiare (anche considerando il
piano trigenerazionale) considerando il bambino come parte di un sistema più
ampio. Una volta compreso il significato del sintomi, l’approccio sistemico familiare
coinvolge attivamente nel trattamento i genitori ed i bambini.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 39/S3
Titolo: FOBIA SCOLARE
Attività n°: 01

Le linee guida per il trattamento del rifiuto scolastico che si appoggiano sulla visione
funzionale del sintomo prima descritta si articolano in quattro approcci:

(a) quando nel bambino la paura della scuola è prevalentemente legata alle emozioni
negative
della paura, dell’ansia, delle difficoltà legate alla separazione e al restare da soli, si
suggerisce l’utilizzo delle tecniche comportamentali per la regolazione degli stati fisici legati
all’ansia e delle tecniche cognitive per l’aumento della consapevolezza dei propri stati
corporei e del legame pensieri-stati fisici e emotivi; l’uso delle tecniche di esposizione
graduale per favorire il progressivo reinserimento a scuola del bambino; un lavoro sugli
aspetti dell’autostima, che consolidi il senso di efficacia personale, della capacità di
controllo delle situazioni.
b) Se il rifiuto della scuola è legato invece all’attivazione di comportamenti che hanno la
finalità di ottenere maggiore attenzione e vicinanza da parte degli adulti significativi (e che
si possono manifestare sia con i sintomi dell’ansia o del pianto, sia con comportamenti
invece più aggressivi e oppositivi) è importante lavorare anche con i familiari per
comprendere al meglio l’origine relazionale del sintomo e intervenire per una sua
risoluzione. casi anche spingere comunque perché il bambino si rechi a scuola.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 39/S3
Titolo: FOBIA SCOLARE
Attività n°: 01

(c) Se l’evitamento della scuola è legato soprattutto ai vantaggi che il bambino ricava
dallo stare a casa (poter giocare ai propri giochi preferiti o maggiore libertà, quando l’età
o la situazione lo consentono) e che spesso si accompagna ad un sistema familiare
poco strutturato e che pone pochi limiti al bambino. In questo caso è utile intervenire sia
sui genitori per aiutarli a ridurre o meglio evitare che quando il bambino è a casa possa
svolgere attività per lui piacevoli, aiutarli a stabile e mantenere alcune regole più generali
nell’ambito familiare,aiutarli a gestire le situazioni di conflitto in famiglia.
(d) Nel caso in cui invece il rifiuto della scuola è maggiormente legato all’evitamento di
situazioni sociali o di prestazione, caratterizzato quindi dall’ansia per le prove scolastiche
o per le interazioni difficili con compagni o insegnanti, l’intervento si deve muovere
dall’esplorazione delle emozioni negative legate al contatto con gli altri e ai pensieri ad
esse legati, al piano cognitivo dell’esplorazione di questi pensieri e all’intervento di
ristrutturazione e cambiamento del dialogo interno negativo (solitamente caratterizzato
da pensieri relativi al proprio senso di incapacità e inadeguatezza); è importante far
simulare al bambino nella situazione protetta della seduta le situazioni relazionali che lo
spaventano, provando insieme possibili strategie per affrontarle, un’esposizione
graduale alle situazioni
difficili e un lavoro sulle competenze e abilità sociali a partire dalle situazioni che il
bambino vive come problematiche all’interno della scuola.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 39/S3
Titolo: FOBIA SCOLARE
Attività n°: 01

IL RUOLO DELLA SCUOLA NELL’INTERVENTO

Le scuole in cui proliferano il bullismo, l’assenteismo, dove le relazioni tra insegnanti e alunni
sono impersonali, ostili e rigide devono pertanto divenire parte del processo terapeutico

Gli operatori della scuola oltre ad identificare le difficoltà e fornire un ambiente


scolastico più supportivo e facilitante possibile, deve confrontarsi col clinico per
comprendere se:

1. Preoccupazioni legate all’apprendimento

2. Preoccupazioni legate ai pari

3. Preoccupazioni legate all’insegnante

E poi agire di conseguenza ….


Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 40
Titolo: VERIFICA DELL’APPRENDIMENTO
Attività n°: 01

ESERCITAZIONE SUL FORUM

In questa sessione troverete un interessante articolo di Capobianco (2010) sul


mutismo selettivo. Vi chiedo di leggere con attenzione il contributo e di segnalare
sul forum i punti di connessione con i contenuti studiati nelle lezioni.
Cognitivismo clinico (2010) 7, 1 3-19

QUANDO È DIFFICILE PARLARE: IL CASO DI UNA BAMBINA GEMELLA


DI 10 ANNI AFFETTA DA MUTISMO SELETTIVO

Micaela Capobianco

Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione, Facoltà di Psicologia 2, Università


“Sapienza”, via dei Marsi, 78, 00184, Roma
corrispondenza: micaela.capobianco@uniroma1.it

Riassunto
Il presente lavoro illustra il caso clinico di una bambina gemella a cui è stata effettuata
tardivamente la diagnosi di mutismo selettivo (MS). La bambina ha 10 anni, ha una sorella
gemella monovulare con lo stesso problema e una sorella più piccola che non presenta alcuna
difficoltà. Come riferito dalla madre, la sintomatologia mutacica si manifesta soprattutto a scuo-
la con le insegnanti, le quali non hanno mai potuto fare un’interrogazione orale. L’assenza pro-
lungata dell’uso del linguaggio verbale ha influito molto sugli apprendimenti, sulla capacità di
astrazione e metacognizione. La comparsa e il mantenimento del disturbo sono il prodotto
dell’interazione tra fattori biologici (familiarità al temperamento timido) e ambientali (madre
ansiosa e iperprotettiva). Dalla valutazione funzionale e dall’analisi degli ABC emergono una
paura del “giudizio degli altri”, “di sbagliare ed essere derisa”, di “vergognarsi” e temi depres-
sivi, di autosvalutazione, a conferma della comorbidità tra mutismo e problemi internalizzanti.
Viene descritto e discusso in modo critico l’iter di assessment, le modalità e le strategie di
valutazione e di intervento sulla bambina e sul contesto familiare e scolastico, alla luce delle
difficoltà incontrate nelle diverse fasi legate alle caratteristiche specifiche del disturbo mutacico.
Infatti, molto pochi sono gli studi in letteratura e le conoscenze sulle strategie d’intervento più
efficaci su questi bambini risultano ancora incomplete.

Parole chiave: mutismo selettivo, attaccamento ansioso-dipendente, problemi internalizzanti,


autosvalutazione, temperamento timido.

WHEN IT’S DIFFICULT TO TALK: THE CLINICAL CASE OF TWIN FEMALE CHILDREN
OF TEN YEARS AFFECTED BY SELECTIVE MUTISM

Abstract
This paper describes the clinical case of twin children (female) with a late diagnosis of
selective mutism (SM). The children have ten years, have a twin monovular sister with the same
problem and a younger sister that not have any difficulties. As reported by mother, the selective
mutism symptom shows at school with the teachers, that cannot be an oral examine. The continued

3
Micaela Capobianco

absence of verbal language use has a great influence on learning, on abstraction and metacognition
abilities. The onset and maintenance of disorder are the results of interaction between biological
(familiarity to shy temperament) and environmental (anxious and highly protective mother)
causes. The functional assessment and ABC analysis show a fear of “other people opinion”, “to
be wrong and to be derided”, of “to be shy” and depressive thematic, of auto-devaluation, in
confirmation of comorbidity between mutism and internalizing problems.
It’s showed and discussed in critical way the iter of assessment, the modalities and the
strategies of valuation and treating on female children and on the familiar and scholastic context,
in the light of difficulties meet in the different phases for the specific mutism disorder
characteristics. Infact, the studies and the knowledge of treating strategies more efficacious on
this children result still incomplete.

Key Words: selective mutism, anxious, dependent attachment, internalizing problems, auto-
devaluation, shy temperament.

Dati anagrafici, invio e contesto della terapia


G. è una bambina di 10 anni a cui è stata effettuata di recente la diagnosi di Mutismo
Selettivo presso un servizio pubblico di Neuropsichiatria Infantile di Roma. G. vive con i geni-
tori naturali, ha una gemella monovulare (G2) che presenta lo stesso problema di mutismo e una
sorella più piccola di 5.6 aa che, da quanto riferiscono i genitori, non sembra aver avuto mai
alcun problema. Quando ha iniziato a frequentare il servizio G. ha appena terminato la IV ele-
mentare; abita con i genitori e le sorelle in una casa di campagna, lontana dal centro abitato.
È la madre, particolarmente allarmata e preoccupata, sotto pressione anche delle insegnan-
ti, a richiedere una consulenza presso un servizio specializzato dato che, nonostante sia stata
seguita per diversi anni (insieme alla sorella gemella) presso la ASL di appartenenza, la bambina
non ha mai ricevuto una diagnosi chiara e definitiva e nel tempo non è migliorata. Negli ultimi
due anni, infatti, il mutismo e i comportamenti problematici della bambina sono peggiorati e
influenzano sensibilmente le modalità di valutazione e gli apprendimenti in ambito scolastico.
La mamma vorrebbe sapere come comportarsi al meglio con la bambina e, soprattutto, come
aiutare anche le insegnanti a gestire a scuola l’interazione con la bambina.

Anamnesi familiare (rispetto agli elementi rilevanti per la spiegazione del distur-
bo della bambina)
L’anamnesi familiare è stata raccolta primariamente con la madre. Infatti, dopo il primo
incontro con entrambi i genitori, il padre non è più venuto agli appuntamenti e la bambina è
sempre stata accompagnata dalla madre.
Il padre della bambina ha un carattere molto introverso e timido. Lavora tutto il giorno e
interagisce poco con le figlie e in particolare con le gemelle. Quando è a casa, pur se presente e
collaborativo, si dedica poco a giocare attivamente con loro. Come racconta la madre di G.,
nell’infanzia e nell’adolescenza molto probabilmente ha sofferto anche lui di mutismo, ma non
è stato mai diagnosticato. Infatti i genitori del padre hanno sempre descritto loro figlio come un
bambino che parlava poco, che “arrossiva sempre” quando gli si rivolgeva la parola e difficil-
mente socializzava con adulti e coetanei. I genitori di lui hanno sempre dato poco importanza a

4
Quando è difficile parlare

questi comportamenti del figlio attribuendoli primariamente a una “questione di carattere”. Lui
stesso afferma: “con il tempo ho imparato ad adattarmi al mio carattere, mi sono inserito bene al
lavoro”. Durante il colloquio parla molto poco e solo su esplicita richiesta e il suo sguardo è
spesso sfuggente. Rispetto al problema delle figlie gemelle mostra tuttora un atteggiamento
remissivo e non segue più la psicoterapia iniziata con la moglie. Afferma di essere deluso dalla
ASL di appartenenza alla quale per molto tempo si è affidato. È molto demotivato e non crede
più all’intervento dei servizi. Inoltre non attribuisce un’estrema importanza al mutismo delle
bambine. Pensa che prima poi le figlie “si sbloccheranno” da sole, come è successo a lui.
La madre di G. ha una storia familiare traumatica. Sua mamma, alcolista, è deceduta quan-
do lei aveva 7 anni per suicido, avvenuto in casa. Ha sempre avuto un’amnesia totale della sua
vita fino a 7 anni, per cui ricorda molto poco della madre. Riferisce solo di non ricordare alcuna
carezza, abbraccio, momenti di intimità e affetto con la madre. Ha conosciuto il proprio padre
biologico in adolescenza e da poco sono state avviate le pratiche per il riconoscimento, in
concomitanza con il problema che hanno presentato le gemelle. Ha effettuato alcune sedute di
psicoanalisi durate 4 anni, ma non ritiene siano state veramente di aiuto per lei.
È la madre delle bambine che si occupa in tutto e per tutto di G. e G2 e della figlia più
piccola. La madre riferisce di non sentirsi supportata dai suoceri con cui non ritiene di avere un
buon rapporto e di ricevere un reale sostegno. Secondo lei i genitori di lui non comprendono
veramente il problema delle gemelle e lo sottovalutano. Lei stessa dice: “mi sento sola di fronte
a questo problema..quando chiedo a mia suocera di tenermi le bambine trova sempre qualche
scusa..se cerco di mantenere un rapporto lo faccio solo per le bambine che sono affezionate alla
nonna”. È la madre, infatti, a richiedere al servizio una spiegazione più chiara del problema
delle loro figlie, che, a suo avviso, nessuno finora le ha saputo dare in modo esplicito. Anche lei
si mostra delusa, ma sicuramente più disponibile e intenzionata a far qualcosa per le gemelle,
con la speranza che possano migliorare. Richiede pertanto una valutazione e, soprattutto, delle
indicazioni specifiche su come comportarsi a casa e a scuola con le bambine e su quale sia
l’atteggiamento migliore da adottare con loro.
La mamma mostra un grande senso di colpa perché sostiene che il suo atteggiamento
troppo “protettivo” non abbia aiutato le bambine. Allo stesso modo spiega e giustifica il suo
comportamento con le seguenti parole: “io non ho mai ricevuto nessuna carezza, l’affetto dei
miei genitori mi è sempre mancato e ho dovuto fare tutto da sola. Ho cercato di fare il contrario
con le bambine, facendo loro tutto, anche troppo”; “se sono così è colpa mia...per fortuna c’è D.
(terza figlia più piccola) che mi gratifica...già scrive…”.

Descrizione del problema da parte della madre: genesi ed evoluzione, frequenza


e gravità
La bambina è stata seguita dalla ASL di appartenenza all’inizio della I elementare, sotto
insistenza delle insegnanti che si lamentavano del mutismo di G. Secondo la descrizione delle
insegnanti G. “si rifiutava” di parlare con loro e con qualsiasi altro adulto dell’ambiente scolasti-
co, mentre parlava con qualche compagna di classe (durante il gioco libero, in particolare in
giardino). A casa, invece, la bambina parlava tranquillamente con tutti. Lo stesso problema era
già insorto durante la scuola dell’infanzia, ma la mamma non ha mai dato eccessiva importanza,
pensando che fosse legato al carattere (“simile al padre”) e, soprattutto, transitorio, legato al-
l’età. Fino ai tre anni dietro consiglio della dott.ssa della ASL, che la seguiva dalla II elementare,
G. ha frequentato una classe diversa dalla sorella. Dopo numerosi incontri con la ASL (durati

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Micaela Capobianco

diversi anni) solo a Marzo 2006 la dott.ssa che la seguiva ha accennato ad una probabile diagno-
si di mutismo selettivo, indicando semplicemente alla madre di effettuare delle sedute di psico-
terapia privatamente, data la scarsa disponibilità di servizi di questo tipo nel comune. Non è
stata mai iniziata alcuna psicoterapia per motivi prettamente economici.
Nell’estate del 2005 (età di 8 anni) la bambina ha manifestato una balbuzie tonica e ha
seguito un ciclo di logopedia. Racconta la madre che le balbuzie si presentavano solo in alcune
situazioni, quando la bambina era più emozionata, come ad esempio durante un litigio con la
sorella o prima di ricevere un regalo. Le balbuzie, comunque, dopo circa un anno sono regredite
spontaneamente. Attualmente la bambina parla esclusivamente a casa con gli adulti familiari
che conosce bene (oltre i genitori, alcuni parenti che vede spesso) e con le sorelle, in particolare
con la gemella con cui si è creata una forte “complicità” e “intesa” sia rispetto al comportamento
“mutacico” che in generale rispetto a qualsiasi comportamento in diverse situazioni. Si sosten-
gono a vicenda e parlano molto tra loro, soprattutto durante il gioco. La mamma le definisce
“complementari”, riferendosi con questa parola al fatto che si copiano spesso tra loro (se una fa
un capriccio, un dispetto, assume un comportamento oppositorio, lo fa anche l’altra e viceversa;
oppure, una inizia a fare una cosa e l’altra la finisce, quasi meccanicamente). G. è anche molto
legata ad un’amichetta con problemi comportamentali. La mamma descrive G. come una bambi-
na con umore “altalenante” (contrariamente alla gemella che è più “tranquilla”). G. è spesso
“nervosa”, “irritabile” e ha crisi di pianto frequenti: “…sta peggiorando..è un continuo capric-
cio, mi attacca storie al supermercato, piange e si butta per terra”. Altre volte, invece, si chiude
in se stessa, “fa la faccia triste”.
La madre è attualmente preoccupata perché questo mutismo ha inciso nel tempo sia sugli
apprendimenti scolastici che sugli aspetti socio-relazionali. G. presenta una letto-scrittura non
appropriata alla classe frequentata. In particolare, secondo la madre, spesso non capisce ciò che
legge, perché lo fa meccanicamente. Le insegnanti si lamentano del fatto che la bambina “si
rifiuta di parlare” con loro, soprattutto quando le viene espressamente richiesto per le interroga-
zioni. Fin dalla I elementare nessuna insegnante è mai riuscita ad interrogare la bambina. Solo
compiti scritti. G., durante l’anno scolastico, trascorre il pomeriggio in una struttura privata
dove viene seguita per fare i compiti. Negli ultimi mesi i genitori hanno iniziato ad assumere un
atteggiamento “punitivo” nei confronti di G. e della sorella gemella per convincerle a parlare,
ma senza sortire alcun cambiamento.
La mamma tuttora si lamenta di aver ricevuto dalla ASL la diagnosi tardivamente e si
rimprovera di aver perso molto tempo quando si sarebbe potuto intervenire prima. Si lamenta,
inoltre, che non le hanno neppure spiegato in che cosa consistesse questo problema e non le
hanno dato alcun suggerimento psicopedagogico a riguardo. Si rimprovera e si colpevolizza
molto per questo, dicendo che se ora il mutismo di G. (come pure della sorella gemella) è peg-
giorato e si è consolidato è anche legato a questo.

Anamnesi e tappe evolutive di G. (riferite dalla madre e significative per il pro-


blema)
G. è nata a 37 settimane (3 min. dopo la gemella). Nessuna problematica significativa pre-
perinatale. La madre descrive lo sviluppo di G. come regolare, secondo le tappe “normali” e non
ricorda assolutamente ritardi nello sviluppo motorio e/o linguistico nei primi anni di vita. Ha
sempre avuto un sonno costante, con pochi risvegli notturni. La madre racconta che il problema
era più che altro “il distacco”: “è sempre stata una bambina appiccicosa, non si poteva lasciare

6
Quando è difficile parlare

un attimo che piangeva e si attaccava a me..Se non l’abbracciavo prima di andare a dormire, non
si addormentava..”.Dall’età di 18 mesi è stata inserita con la gemella all’asilo nido e affidata ad
una signora durante il pomeriggio per motivi di lavoro. La separazione da questa baby-sitter
quando G. aveva quasi 3 anni, a cui la bambina era molto legata, è stata, secondo la madre,
“brusca”.
La madre non sa spiegare con precisione i motivi di questo allontanamento, ma si ricorda
che dopo il distacco G. è diventata più nervosa e più chiusa in se stessa. Secondo la madre anche
dopo la nascita della sorella (D) (G. aveva 4 aa e mezzo) la bambina è cambiata: più agitata,
cercava sempre di attirare l’attenzione. All’età di 7 aa ha avuto una perdita di coscienza con
caduta a terra, ma l’EEG è risultato negativo. La madre non sa dare una spiegazione a quel-
l’evento. La madre riferisce che G. è sempre stata una bambina che difficilmente rivolgeva la
parola a qualcuno, “si emozionava” molto quando un adulto le chiedeva qualcosa. In genere o si
ammutoliva e abbassava gli occhi, oppure “faceva finta di essere impegnata a fare qualcos’altro
e si mostrava indaffarata”. In quei momenti la madre l’ha sempre “incoraggiata” a parlare.

Assessment con la bambina


Primi incontri al servizio
Osservazione del comportamento spontaneo

- G. in interazione con la sorella


Dato che il problema di mutismo di G. è strettamente legato al rapporto con la sorella
gemella (G2), mi è sembrato importante osservare l’interazione di G. con la sorella.
Inizialmente entrambe le bambine mostrano un esplicito rifiuto a seguirmi e a distaccarsi
dalla madre. Entrambe dicono no con la testa rimanendo aggrappate alle braccia della mamma.
G. si dimostra più agitata ed oppositoria rispetto alla sorella. Dopo diverse rassicurazioni da
parte della madre e mie sollecitazioni mi seguono. Mostrano entrambe un chiaro disagio che
nascondono con un comportamento apparentemente “provocatorio”, iniziando a precedermi senza
aspettare che le guidassi verso la stanza. G., in particolare, inizia a correre per il corridoio en-
trando a caso nelle diverse stanze che incontrava, mostrandosi per questo divertita. G., una volta
in stanza, inizia, insieme alla sorella, a tirare fuori tutti i giocattoli che trova in modo confusio-
nale e ad escludermi completamente dall’interazione. Difficilmente alzano lo sguardo verso di
me e se tento di inserirmi nel gioco, si allontanano, mi danno le spalle e ridono. Mostrano una
forte complicità, uno stile comportamentale molto simile, si imitano a vicenda. G. sembra domi-
nare di più la relazione. È G., infatti, che più frequentemente inizia un’azione e l’altra la imita.
La comunicazione con la sorella è più che altro basata su denominazioni e descrizioni, non
vi è un vero dialogo.

- Incontri con G.
I primi incontri con G. hanno avuto il primario obiettivo di creare una relazione di fiducia
con la bambina, cercando di creare con lei uno spazio sereno, in cui accogliere il suo disagio,
ove lei potesse esprimersi liberamente. Ho cercato di interagire con lei senza mostrare una par-
ticolare attenzione all’aspetto verbale, ma facendole capire che potevamo utilizzare altri canali
di comunicazione come la gestualità, il disegno, il gioco, la mimica (Bissoli 2007). I primi
incontri, inoltre, sono stati necessari anche per spiegare a G. il motivo di questi incontri e le
attività che avrebbe svolto con me. Si mostra molto collaborativa e interessata quando le chiedo

7
Micaela Capobianco

di fare un disegno, ma se si accorge che la sto guardando smette di disegnare oppure copre il
disegno con la mano.
A volte si alza e si mette a sistemare freneticamente i giochi, quasi per spostare l’attenzione
da un’altra parte. Invento alcune attività ludiche con delle bambole simulando che le bambole
facciano diversi disegni, parlino tra loro. La bambina si è mostrata subito divertita dal gioco,
ridendo, e, dopo diverse sollecitazioni in cui ho finto di parlare con le bambole, G. ha iniziato ad
avvicinarsi all’orecchio di una bambola e a dire una frase, senza farmi capire cosa le dicesse, e
a far fare alla bambola l’azione appena pronunciata all’orecchio. Questa modalità ludica ha
funzionato molto bene inizialmente con G. come mediatore della comunicazione tra me e la
bambina.

Valutazione funzionale: batteria di test e strumenti


È stata effettuata una valutazione completa (mediante prove standardizzate e non) al fine di
esaminare l’attuale livello di sviluppo ed esplorare diversi aspetti più specificatamente affetti-
vo-relazionali strettamente legati al disturbo. La valutazione funzionale è stata anche un primo
passo per iniziare ad esplorare e individuare i pensieri disfunzionali e le emozioni alla base della
difficoltà di parlare di G. Tutta la valutazione è avvenuta per iscritto e distribuita in 5 incontri. In
sintesi, è stato utilizzato il seguente protocollo:

- Area cognitiva: scala WISC-R (Orsini 1993); Matrici Progressive di Raven (Raven 1947);
- Area linguistica: comprensione di frasi (Rustioni 1994) e del testo scritto con prove MT di
Cornoldi e Colpo (1998);
- Area memoria e apprendimento (TEMA) (Reinolds Cecil e Bigler 1995);
- Area emotiva, affettiva e relazionale: test proiettivi: Scenotest, Test della famiglia immaginaria
(Corman, 1976.), T.A.T. (Morgan e Murray, 1935)1.

Ai genitori è stato chiesto di compilare il Questionario CBCL (Achenbach 1991) per ana-
lizzare aspetti più specifici del comportamento/temperamento della bambina (in particolare,
disturbi Internalizzanti versus Esternalizzanti).

Alcuni elementi indicativi emersi dai risultati della valutazione (rilevanti rispet-
to alla conoscenza di emozioni e pensieri della bambina sottostanti il disturbo)
- WISC-R. G. presenta un QI totale di 80 (al limite) e un profilo cognitivo disomogeneo con
un significativo decalage tra l’area Verbale (QI 73) e l’area di Performance (QP 90). Di partico-
lare indicazione sono i punteggi molto bassi nei subtest verbali “Informazioni”, “Vocabolario”
e, soprattutto, “Comprensione” che denotatno in G. un’importante caduta semantico-concettuale
(capacità di astrazione e categorizzazione bassa), una povertà di informazioni e di strategie
socio-relazionali e una difficoltà nell’affrontare in modo appropriato diverse situazioni. Spesso

1
Per gli aspetti relativi alle dinamiche della sfera emotiva si è ritenuto utile utilizzare per gli scopi
valutativi alcuni strumenti di tipo proiettivo disponibili in letteratura, affiancando a quella cognitiva una
lettura anche di approccio psicodinamico.

8
Quando è difficile parlare

la bambina risponde alle domande proposte “non lo so”, “niente”, denotando una povertà sia di
informazioni ma anche di autonomia di pensiero, difficoltà ad interpretare la realtà e a percepire
i propri stati mentali (tra cui le proprie emozioni).
Interessante anche la risposta all’item del subtest “Vocabolario”: “cos’è un asino?”. G. scri-
ve “...che non sa niente..”. Alla mia richiesta “cioè?”, G. scrive: “.che tutti ridono di lui..”
Nonostante l’uso della scala WISC-R sia stata fondamentale per ricavare informazioni spe-
cifiche su diversi compiti verbali e non, è stato necessario somministrare anche una scala cognitiva
di tipo non verbale. Infatti, dalle Matrici di Raven G. è risultata avere un QI nella norma tra il 50°
e il 75° centile rispetto alla sua età. La valutazione cognitiva mediante le due scale (di tipo
verbale e non) ha fatto ipotizzare che l’organizzazione di tipo borderline emersa dalla WISC-R
non sia legata propriamente ad una atipia di funzionamento cognitivo, bensì ad una
ipostimolazione ed ad uno scarso uso delle potenzialità cognitive e comunicativo-linguistiche
che ha portato ad una situazione di impoverimento generale.
- Alle prove di lettura e scrittura (MT di Cornoldi e Colpo 1998) G. ha mostrato una com-
prensione generale del racconto abbastanza buona. Si rileva una marcata disortografia con fre-
quenti errori grammaticali, disgrafia e omissione di passaggi narrativi. Anche la comprensione
frasale (Rustioni 1994) è buona anche se G. non satura il test, come ci si sarebbe aspettato (dato
che la prova è tarata per bambini di età massima di 7 anni) e sembra avere maggiori difficoltà a
codificare le frasi più lunghe e complesse del test.

Grafico 1. Punteggi ponderati alle singole prove Verbali e di Performance ottenuti da G. dalla
somministrazione della scala cognitiva WISC-R

9
Micaela Capobianco

- Disegno della famiglia. G. disegna un unico personaggio rinchiuso e una serie di recinti
geometrici vuoti molto vicini (che rappresentano dei letti). La bambina scrive di aver disegnato
un papà, una mamma e una figlia (indicando i recinti vuoti vicini) “che dormono tutti nella
stessa casa”. La compartimentazione denoterebbe: 1) assenza di comunicazione tra i familiari;
2) isolamento della figura maschile (paterna) da quelle femminili (madre e figlia); 3) area fem-
minile poco definita (letti vuoti) e confusa. L’azione predominante del dormire evidenzierebbe
la prevalenza degli aspetti depressivi. La bambina mostra difficoltà ad esprimere e descrivere le
emozioni dei personaggi e fa sempre riferimento ad aspetti concreti.
- T.A.T. Dalla descrizione delle tavole prevalgono sentimenti depressivi, con tema della
morte e del litigio. I personaggi sono spesso malati, piangono, vengono portati all’ospedale o
vanno via con atteggiamento di rinuncia e passività, spesso litigano per cause banali. Le figure
maschili sono sempre sfuggenti: vanno via a cavallo, si trasferiscono da casa oppure muoiono.
Alle figure dei bambini viene spesso attribuito un ruolo di passività, accettazione, svalutazione
e incapacità.
Alcuni esempi di descrizioni delle tavole scritte dalla bambina in cui prevalgono tematiche
depressive e di morte:

Tavola 4: “Due sposi insieme, escono insieme a fare una passeggiata, finisce che tornano a
casa stanchi morti e si buttano dentro al letto”.
Tavola 6BM: “ Una signora che ha litigato con suo marito”. [chiedo: “perché litiga? Cosa è
successo?”]. “È successo che il marito non ha accompagnato il figlio a scuola e finisce che il
marito si trasferisce a un’altra casa”.
Tavola 7 GF: “Una madre e una figlia. La figlia piange perché è morto il papà e la mamma
l’ha consolata”
Tavola 8 BM: “Un signore che è malato, allora l’hanno portato in ospedale per curarlo.
Finisce che il signore è malato e non torna più a casa”.
- TEMA. La bambina mostra un lieve problema di memoria, soprattutto di tipo verbale, con
una maggiore difficoltà ad immagazzinare e richiamare alla mente informazioni rilevanti per lo
svolgimento della prova.
- CBCL. Dal questionario compilato dalla madre non emergono punteggi che si collocano
nell’area clinica, anche se prevalgono tratti internalizzanti (ansia, apprensione, depressione,
problemi nell’area sociale). È interessante notare che tra i tratti esternalizzanti la madre attribu-
isce a G. comportamenti quali: “rumorosa”, “urla”, “tiene il broncio”, “impulsiva”.

Attività ed obiettivi dei primi incontri con G.

a) Costruire un’ alleanza terapeutica ed instaurare una relazione di fiducia con G. (Bissoli
2007):
- non forzarla mai a comunicare verbalmente, incoraggiando la comunicazione non ver-
bale, attraverso un atteggiamento neutro e la creazione di un contesto di accettazione
e non focalizzazione del problema del parlare (estinzione del sintomo)
b) Esplorare le emozioni, i comportamenti (C) e i pensieri disfunzionali prevalenti (B) alla
base della paura di parlare di G. (analisi degli ABC) attraverso:
- Simulazioni ludiche con burattini/bambole (personaggi) e/o mediante il disegno (fu-
metti inventati) che rappresentassero diversi eventi di vita quotidiana in cui poteva

10
Quando è difficile parlare

presentarsi ed essere più forte la paura di parlare (ad es., interrogazioni della maestra
a scuola davanti ai compagni, incontro con un adulto non familiare per strada con la
madre).

Esempi di simulazioni su carta per esplorare gli ABC della bambina:

Situazione: “interrogazione in classe davanti ai compagni”

Ho chiesto alla bambina di far finta di essere in una scuola, in cui c’è una bambina che la
maestra deve interrogare in classe.
Le ho chiesto di indicarmi tra le faccette quella più vicina a come si poteva sentire la
bambina in quel momento, a ciò che provava e di dare un nome a queste emozioni: “io sono….
“ . Il disegno 1 qui di seguito evidenzia le diverse raffigurazioni di emozioni che possono essere
provate nella situazione simulata dell’interrogazione a scuola. Le crocette evidenziano le emo-
zioni indicate dalla bambina.

G. mi ha indicato e scritto in ordine le seguenti emozioni: paura, vergogna e tristezza.


Abbiamo disegnato insieme una vignetta che rappresentava la situazione di cui avevamo
parlato: una maestra che sta per interrogare in classe una bambina. G. mi ha aiutato a completare
il disegno. In particolare G. ha disegnato: a. la bocca della maestra (colorandola di arancione); b.
la bocca e il naso della bambina, che ha disegnato con la faccia triste e con il naso lungo. Alla
mia domanda di scegliere una faccetta per la maestra, G. mi indica quella “arrabbiata”. Poi
spontaneamente scrive sopra la bambina “triste”.

Disegno 1. Raffigurazione delle diverse emozioni espresse da G. nella situazione


dell’interrogazione a scuola

x x

11
Micaela Capobianco

Le chiedo di completare insieme le vignette vuote. Cosa chiede la maestra alla bambina?
Cosa pensa la bambina? Come si sente la bambina? Il diagramma 1 seguente evidenzia le emo-
zioni (C) e i pensieri (B) scatenati dalla situazione dell’interrogazione della maestra (A).

Diagramma 1. Descrizione degli ABC di G. rispetto alla situazione di una interrogazione a


scuola

A
Domande della
maestra a scuola

C
sono triste, ho paura, mi
vergogno B B
“Non ho “Tutti si
studiato” metteranno
a ridere”

B
“sono
incapace”

Spiegazione del problema da parte del terapeuta


G. è una bambina con mutismo selettivo, diagnosticata tardivamente (dopo la III elementa-
re). La sintomatologia mutacica si manifesta soprattutto in ambito scolastico in interazione con
le insegnanti e con i compagni durante l’attività didattica. Durante la ricreazione G. parla solo
con due compagne della classe. In famiglia la bambina parla con tutti i componenti che frequen-
ta abitualmente. G. mostra disagio nel parlare in ogni situazione non familiare, in presenza di
adulti estranei (D’Ambrosio e Coletti 2002; Vecchio e Kearney 2006). La comparsa e la
strutturazione del disturbo sono molto probabilmente legate all’interazione dinamica tra fattori
biologici (predisposizione temperamentale) e le caratteristiche ambientali (Sharon et al. 2006).

12
Quando è difficile parlare

La condizione di gemellarità monovulare, ove anche la sorella presenta lo stesso disturbo, oltre
che supportare il dato della familiarità, rappresenta un fattore che sicuramente ha svolto un
ruolo importante nel consolidare il disturbo e tuttora rappresenta un fattore di mantenimento.
G. è sempre stata una bambina tendenzialmente molto timida, che mostrava difficoltà e
timore di relazionarsi con persone non familiari. Queste situazioni sono state sempre percepite
da G. con intenso disagio, ansia e preoccupazione e la bambina ha imparato a reagire mediante
inibizione, ritiro comportamentale e verbale e la tendenza ad evitarle (Manassis et al. 2007). Dai
dati emersi dalla valutazione funzionale, dall’osservazione spontanea e, soprattutto, dall’esplo-
razione degli ABC (mediante diverse tecniche di simulazione con personaggi e disegni) emerge
che G. prova una forte difficoltà e “incapacità” a parlare soprattutto a scuola, quando le vengono
richieste prestazioni, è al centro dell’attenzione, condizioni che vengono percepite dalla bambi-
na come un pericolo alla sua valutazione, alla sua efficacia, all’immagine di sé. Sembrerebbe
che G. tema in particolare il giudizio degli altri, ha paura di sbagliare e di essere derisa, presa in
giro (“tutti si metteranno a ridere”),di vergognarsi e che gli altri si accorgano della sua vergogna
(metavergogna). Prevalgono in G. temi depressivi, di catastrofizzazione rispetto alle conseguen-
ze sugli altri del proprio parlare e la paura di essere presa in giro sembra strettamente legata ad
una percezione di inadeguatezza e autosvalutazione, di sé come incapace, (“ho paura di sbaglia-
re”, “non ho studiato”). Molto probabilmente la possibilità di essere giudicata non positivamen-
te e criticata viene vissuta come un evento che “non deve mai accadere”. Questi aspetti confer-
mano i dati clinici e di ricerca che rilevano una significativa associazione tra diagnosi di MS e
disturbi che rientrano tra i problemi internalizzanti dello sviluppo quali l’ansia sociale, l’ansia
da separazione, la depressione (Cunningham et al. 2006). Allo stesso tempo G. spesso si mostra
“iperattiva”, a volte “oppositoria”, “capricciosa”. A mio avviso sono comportamenti che mani-
festano il suo disagio, che la bambina utilizza probabilmente per nascondere agli altri il suo
reale stato emotivo e, in alcuni casi, sono funzionali ad attirare l’attenzione della madre.
Il comportamento dei genitori e in particolare della madre gioca come un altro importante
fattore di mantenimento del mutismo di G. La bambina, infatti, mostra di aver instaurato con la
madre un attaccamento ansioso-dipendente (pattern C). La mamma si mostra infatti ansiosa e
preoccupata (Tatem e Del Campo 1995). Da una parte assume un atteggiamento di pressione per
il parlare (a volte anche punitivo), dall’altro è eccessivamente protettiva e ansiosa e spesso si è
sostituisce a G. Questi comportamenti della madre hanno in qualche modo inficiato nel tempo la
costruzione dell’autonomia e il senso di efficacia di G. (come della sorella gemella) ostacolando
i normali processi di esplorazione e autonomia della bambina. G. ha sempre mostrato e presenta
tuttora una estrema dipendenza dalla madre percepita come necessaria per affrontare qualsiasi
interazione. Infatti, situazioni in cui il genitore è assente (come a scuola) causano in lei allarme
ed inibizione. Un altro aspetto importante è il confronto con le sorelle. Spesso la madre tende a
fare confronti tra le gemelle e la sorella più piccola, creando situazioni di conflitto e ricerca
dell’attenzione da parte di G. che utilizza diverse strategie tra le quali i comportamenti “provo-
catori”. Se da una parte, infatti, esiste una relazione di forte complicità tra G. e la sorella gemel-
la, dall’altra c’è anche competizione e manipolazione dell’affetto e della dipendenza dalla ma-
dre.
Il confronto tra G. e la sorella più piccola (D) incrementa il senso di autosvalutazione e di
incapacità nella bambina. Durante i colloqui con la madre è emersa la sua estrema importanza e
attenzione a mantenere un’immagine positiva, al giudizio degli altri e quindi all’evitare situa-
zioni di vergogna a cui lei dà un significato di perdita, svalutazione e umiliazione. Questi aspetti
sono strettamente legati alla sua storia di vita e, in particolare, ai suoi vissuti di abbandono e
maltrattamento. La necessità di non vergognarsi e la focalizzazione verso l’evitamento delle

13
Micaela Capobianco

situazioni in cui ci si espone a tale rischio ha un estremo significato e sembrano temi importanti
per la madre di G..
La diagnosi tardiva ha portato G. a consolidare questo stile comportamentale che ormai è
diventato abituale e parte integrante della suo modo di essere, base di un equilibro raggiunto
all’interno della relazione dipendente con la madre e la sorella gemella. Con quest’ultima, in
particolare, si è creata una sorta di “mutua complicità nel mantenere il ruolo del mutismo”. I
comportamenti di passività, mancanza di interesse, creatività e propositività, sono il prodotto
anche dal mancato uso prolungato nel tempo del linguaggio verbale come mezzo necessario per
lo sviluppo della concettualizzazione, della formulazione di pensieri complessi, della
metacognizione. Nonostante, infatti, dalla valutazione funzionale emerge un’intelligenza nella
norma (o comunque ad un livello limite) il profilo neuropsicologico denota un funzionamento
cognitivo impoverito e con un uso scarso delle potenzialità (Standart e Le Counter 2003).

Terapia
Finalità principali della terapia individuale:
1. Modificare i pensieri disfunzionali di:

a) “catastrofizzazione” e “ipergeneralizzazione” rispetto alle conseguenze del parlare e del


giudizio degli altri: non necessariamente parlare provocherà “giudizi negativi” da parte degli
altri, ma può essere anche il contrario. Di qui riflettere sulle ipotesi alternative del giudizio altrui
e sul fatto che parlare può sortire conseguenze diverse e spesso è più “conveniente” ed “utile”
del non parlare. Riflettere anche sul fatto che è “normale” che capiti che agli altri possiamo non
piacere, ma questo non lede il nostro valore personale e la nostra capacità. Riflettere anche sulla
vergogna come emozione naturale che può manifestarsi in alcuni momenti: lavorare sul tema di
base “non ci si vergogna, né si deve mostrare vergogna” a cui è associato un significato di “non
valore di sé”e lo scopo primario compromesso di “mantenere sempre una buona immagine”.

b) “autosvalutazione” e senso di “incapacità” di parlare: promozione autonomia e fiducia


in se stessi. Non sempre gli altri ridono di quello che noi diciamo e se capita che una persona non
condivide il nostro parlare, ciò non significa che non ha valore.

2. Promuovere e sollecitare l’attribuzione, l’espressione, la descrizione e la riflessione del-


le emozioni: richiedendo più volte a G. durante la simulazione di eventi (gioco e disegni) di
indicare l’emozione che secondo lei provava il personaggio in quel momento (indicando le fac-
ce, ognuna delle quali rappresentava una specifica emozione, o scrivendo). Promuovere la ri-
flessione sulla relazione tra eventi-emozioni e conseguenze.

Strategie utilizzate con la bambina:

Fornire alla bambina pensieri, emozioni, azioni e conseguenze alternative durante gli even-
ti simulati nel gioco e/o nel disegno rispetto a quelli descritti da G. tramite l’agire degli eventi
simulati e/o attraverso il dialogo scritto. Promuovere a tal fine la riflessione su:
a) l’utilità del parlare e il rapporto costi/benefici del non parlare;
b) l’accettazione che a qualcuno possa non “piacere” quello che diciamo: indipendenza del

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Quando è difficile parlare

Diagramma 2. Simulazioni di una situazione inventata (A), pensieri (B), emozioni e azioni
della bambina (C), ABC alternativo proposto dal terapeuta

A B C
Il bambino chiede Dico solo - si vergogna
alla bambina se vuole stupidaggini…non so - è rossa in viso
venire a giocare con
lui a casa sua parlare..lo vede - guarda mamma e non risponde

Terapeuta: Come finisce? Cosa succede dopo?

G. prende il pupazzo del bambino e lo fa camminare lontano insieme al padre.

T: Che pensa il bambino?


G. scrive: “niente”, “va via” “e’ triste..”
T: perché è triste?
G. scrive: “voleva giocare”
T: e la bambina?
G. scrive: sì (con !!)
T: ah! Anche la bambina voleva giocare!

T. allora, vediamo cosa succede se….(simulazione situazione diversa, in cui la bambina risponde alla
richiesta del bambino).

B
“e se poi non le sono
A simpatica?”
Il bambino chiede C
“Non fa nulla io ci
alla bambina se vuole - gli dice di sì e gli chiede quando
venire a giocare con lui a provo...”
casa sua vedersi
- è felice
B
“Che bello, mi piacerebbe
andare a giocare a casa
sua.. ci divertiremo un
mondo”

La storia finisce che la bambina è felice di aver trovato un nuovo amico con cui giocare e va a casa
contenta. Il bambino pensa “è proprio simpatica quella bambina!”

15
Micaela Capobianco

valore di sé dalla valutazione negativa o positiva delle situazioni contingenti (ad es. interroga-
zione, parlare davanti agli estranei etc.);
c. accettazione della vergogna: la vergogna è un’emozione naturale.

Nel diagramma 2 è descritto un esempio di simulazione di situazioni con personaggi in-


ventati utilizzati in terapia: simulazioni con la bambina di ipotesi alternative su come potrebbe
finire la storia rispetto ai diversi personaggi (pensieri, azioni, emozioni). Nello specifico una
mamma con la sua bambina incontrano un amico della mamma (adulto) con il suo bambino. Il
bambino chiede alla bambina se le va un pomeriggio di andare a casa sua per giocare (A). Che ne
pensa la bambina? (B); Cosa fa la bambina? Che risponde al bambino? (C); Come si sente la
bambina?(C).

Finalità principali dell’intervento in ambito familiare

- I genitori di G. fin dall’inizio hanno seguito degli incontri di supporto alla coppia. Ora
solo la madre viene costantemente in terapia individuale.

- Incontri psicoeducativi sul problema del mutismo selettivo: in particolare spiegare che G.
non parla semplicemente perché si rifiuta o fa capricci, ma perché ha un “disagio” che la rende
incapace a parlare. Questi incontri sono serviti primariamente per modificare l’interpretazione
dei genitori sui comportamenti mutatici di G. e quindi il carico di responsabilità sulla bambina.
- Suggerimenti generali su come comportarsi con G. (Bissoli, 2007):
1. Adottare un atteggiamento neutrale rispetto al non parlare: non sottolinearlo spesso come
problema, né mostrare un atteggiamento punitivo;
2. Non sostituirsi a G. nelle attività quotidiane e nelle relazioni. Quando qualsiasi persona le
fa una domanda lasciare spazio alla bambina, non insistere subito sollecitandola a rispon-
dere verbalmente e non rispondere al suo posto. Più che altro coinvolgerla nel discorso
accettando altre modalità di comunicazione. Non sostituirsi a G. nel fare i compiti, antici-
pando le risposte, ma aiutarla a riflettere di più, a rendersi più consapevole delle proprie
strategie di studio.
3. Home working: iniziare con gradualità a farle fare piccole azioni quotidiane: ad es. pagare
il giornalaio, fare una telefonata, chiedere un’informazione, etc;
4. Incrementare gli incontri sociali con i coetanei di G., se possibile, separatamente dalla so-
rella, creando spazi diversi e individualizzati;
5. Evitare di fare confronti comparativi tra le bambine. Dedicare uno spazio individualizzato
e separato con G;
6. Promuovere l’autonomia: inizialmente entrambe le bambine sono partite per 1 settimana
per un campo estivo (12 gg). Al ritorno G. si era mostrata più sicura di sé, autonoma e più
motivata. Quest’anno la mamma, però, non l’ha mandata fuori.

Finalità principali dell’intervento in ambito scolastico


- psicoeducazione alle insegnanti riguardo: a) atteggiamento neutrale rispetto al non parla-
re rinforzando comunicazione non verbale con loro e tra i compagni; b) utilizzo di materiale

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Quando è difficile parlare

alternativo (disegno, scrittura, domande a scelta multipla); c) promuovere e creare attività in


piccoli gruppi ove c’è almeno un compagno con cui la bambina parla o con cui si trova meglio.

Risultati raggiunti e indicatori


G. finora è stata seguita al servizio per circa due anni (1 anno e 8 mesi) con cadenza settima-
nale e/o bisettimanale. Parallelamente la madre ha continuato a fare sedute di psicoterapia con il
medico di riferimento e incontri periodici con me.

In terapia individuale. Dopo circa 2-3 mesi di terapia G. ha modificato in modo significati-
vo la relazione con me. Il rapporto di fiducia si è rafforzato, è molto serena quando viene agli
incontri e più facilmente si distacca dalla mamma e/o mostra atteggiamenti di attaccamento alla
madre nel momento di ricongiungimento. Durante gli incontri è molto contenta di giocare con i
burattini, disegnare e simulare situazioni ed eventi. La mamma mi racconta che soprattutto ulti-
mamente parla di più di ciò che facciamo in seduta e chiede quando dovrà tornare. Finora non ha
ancora usato chiaramente ed esplicitamente il linguaggio verbale con me, anche se spesso, du-
rante il gioco, fa fare dei rumori ai burattini o alle bambole (starnutire, sbadigliare, piangere,
russare etc.) o ad oggetti e animali (rumore della macchina, versi di un animale). A volte lo ha
fatto così spesso che mi ha guardata, si è messa a ridere, forse riflettendo di essersi dimenticata
di non produrre. In alcune sedute ha parlato molto a bassa voce e all’orecchio delle bambole.
Capita quasi sempre adesso che in sala d’attesa parli alla mamma davanti a me (non a me), anche
se escludendomi, mentre prima non parlava mai in mia presenza. Anche il suo atteggiamento
“provocatorio” è sensibilmente diminuito e la bambina è molto più coinvolta e partecipe durante
i giochi con me.

A scuola. La mamma è più serena perché negli ultimi mesi G. “sembra molto cambiata “ a
detta delle insegnanti. Parla con l’insegnante di sostegno, si isola di meno, partecipa di più a
scuola, durante la ricreazione parla con tutti i compagni e balbetta molto di meno mentre parla.
L’insegnante di sostegno racconta che G. le sembra in generale più serena. Ultimamente si rivol-
ge ad alcune insegnanti attraverso una compagna, cosa che non aveva mai fatto prima o parla a
questa compagna anche in presenza di altri compagni (cosa che non faceva prima) pur senza
coinvolgerli. G. è migliorata anche negli apprendimenti; è più attenta e i temi fatti in classe
risultano più lineari e scorrevoli, mentre prima erano prevalentemente disorganizzati con conte-
nuti non ben connessi tra loro. Inoltre, il fatto di aver preso voti più alti ai compiti scritti di
scienze e italiano sembra aver motivato di più la bambina e aumentato la fiducia sulle proprie
capacità.

A casa. Anche la mamma nota dei cambiamenti in G. soprattutto rispetto alla relazione con
la sorella gemella. G. racconta di più cosa fa scuola, non solo a livello descrittivo (come accade-
va prima), ma mostra di più le sue emozioni: rabbia o felicità per il comportamento di quella
compagna. Secondo la madre qualcosa è cambiato anche all’interno del rapporto di complicità
tra le due sorelle, legato al diverso comportamento di G. verso l’ambiente esterno. G. sembra
meno interessata e attenta ad imitare i comportamenti della sorella e, da questo punto di vista,
sembra più indipendente dalla sorella. La mamma dice “È come se si fosse rotto un patto tra
loro” che “G1 si sentisse tradita da G”. Infatti, anche se la mamma è contenta che qualcosa si sia

17
Micaela Capobianco

modificato in G. è allo stesso tempo preoccupata per la reazione che sta avendo la gemella G1: “È
più gelosa e quando G. parla con me vedo che è arrabbiata, soffre…È una sofferenza per me
vederla”. La mamma mi ha raccontato a proposito un episodio avvenuto in macchina in cui
mentre G. parlava alla mamma della giornata di scuola G1 all’improvviso l’ha interrotta e urlan-
do ha detto “basta ti ho detto! Ti devi stare zitta!”. Mentre G. è migliorata G1 al contrario è più
chiusa ed isolata.

Difficoltà incontrate e autovalutazione critica del terapeuta


Le prime difficoltà le ho incontrate durante la valutazione funzionale e i primi incontri di
terapia. Era la prima volta che somministravo prove strutturate, ove le richieste verbali e la
qualità dell’interazione sono elementi di base, in una condizione di assenza della comunicazio-
ne verbale. È stato molto costruttivo per me cercare delle modalità diverse (ad esempio quelle
scritte) per mediare la valutazione, che però inficiassero il meno possibile l’attendibilità e la
validità del test. Ho impiegato diversi incontri solo per riflettere e capire quale strategia potessi
utilizzare per esplorare i pensieri e le emozioni di G. (ABC). È stata necessaria molta “creativi-
tà” e credo che alcune volte ho usato metodi che forse non sono serviti.
Il mutismo selettivo è una problematica complessa che dipende dall’interazione di una
molteplicità di componenti individuali e ambientali, che si intrecciano anche in modo molto
diverso nei contesti di vita del bambino. Va da sé la necessità di esplorare tutte le situazioni di
vita della bambina e cercare di coinvolgere la scuola, i genitori, le insegnanti e conciliare tra
finalità della terapia ed esigenze dei diversi contesti di vita del bambino. Lo scopo importante di
intervenire parallelamente nei diversi ambiti di vita sociale della bambina si è scontrato, infatti,
con le difficoltà specifiche presenti in particolare nell’ambito familiare (ad es. sofferenza della
madre, demotivazione del padre) e scolastico (livello della classe basso con molti immigrati e
cambiamento dell’insegnante di sostegno). È stato difficile ad esempio aiutare la madre ad im-
plementare le relazioni sociali con qualche compagno/a di classe e, soprattutto, il periodo cam-
biamento dell’insegnante di sostegno (3 in un anno) non ha permesso di instaurare una continui-
tà nella relazione con me e nelle attività finalizzate a scuola con la bambina. Credo, inoltre, che,
nonostante i due anni di terapia costante, i piccoli cambiamenti che da poco si stanno osservan-
do in G., siano solo l’inizio e fanno ipotizzare che sia stato fatto solo un piccolo passo, conside-
rando la precedente condizione di forte stabilizzazione e consolidamento del problema mutacico
di G. Penso che la diagnosi e l’intervento tardivo pesino molto sulla possibilità di G. di modifi-
care i suoi pensieri e in generale sugli effetti dell’intervento. Credo, infine, che la condizione di
gemellarità, ove anche la sorella presenta lo stesso problema, sia stato ed è tuttora un fattore
rilevante di mantenimento del disturbo difficile da affrontare.
Le difficoltà incontrate sono in stretta relazione con i dati clinici e di ricerca a tutt’oggi
disponibili in letteratura. Attualmente, infatti, i lavori che si sono occupati di mutismo in età
evolutiva sono scarsi e sono per lo più analisi di casi singoli o contributi teorici (Capobianco
2009). Una letteratura scarsa e con dati poco generalizzabili influisce su una chiara
concettualizzazione di questo disturbo ancora poco definita. Ne consegue che le conoscenze
sulle strategie d’intervento più mirate e l’efficacia di diversi trattamenti su questi bambini risul-
tano ancora incomplete (Sharon et al. 2006).

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Quando è difficile parlare

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19
Cognitivismo clinico (2010) 7, 1 3-19

QUANDO È DIFFICILE PARLARE: IL CASO DI UNA BAMBINA GEMELLA


DI 10 ANNI AFFETTA DA MUTISMO SELETTIVO

Micaela Capobianco

Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione, Facoltà di Psicologia 2, Università


“Sapienza”, via dei Marsi, 78, 00184, Roma
corrispondenza: micaela.capobianco@uniroma1.it

Riassunto
Il presente lavoro illustra il caso clinico di una bambina gemella a cui è stata effettuata
tardivamente la diagnosi di mutismo selettivo (MS). La bambina ha 10 anni, ha una sorella
gemella monovulare con lo stesso problema e una sorella più piccola che non presenta alcuna
difficoltà. Come riferito dalla madre, la sintomatologia mutacica si manifesta soprattutto a scuo-
la con le insegnanti, le quali non hanno mai potuto fare un’interrogazione orale. L’assenza pro-
lungata dell’uso del linguaggio verbale ha influito molto sugli apprendimenti, sulla capacità di
astrazione e metacognizione. La comparsa e il mantenimento del disturbo sono il prodotto
dell’interazione tra fattori biologici (familiarità al temperamento timido) e ambientali (madre
ansiosa e iperprotettiva). Dalla valutazione funzionale e dall’analisi degli ABC emergono una
paura del “giudizio degli altri”, “di sbagliare ed essere derisa”, di “vergognarsi” e temi depres-
sivi, di autosvalutazione, a conferma della comorbidità tra mutismo e problemi internalizzanti.
Viene descritto e discusso in modo critico l’iter di assessment, le modalità e le strategie di
valutazione e di intervento sulla bambina e sul contesto familiare e scolastico, alla luce delle
difficoltà incontrate nelle diverse fasi legate alle caratteristiche specifiche del disturbo mutacico.
Infatti, molto pochi sono gli studi in letteratura e le conoscenze sulle strategie d’intervento più
efficaci su questi bambini risultano ancora incomplete.

Parole chiave: mutismo selettivo, attaccamento ansioso-dipendente, problemi internalizzanti,


autosvalutazione, temperamento timido.

WHEN IT’S DIFFICULT TO TALK: THE CLINICAL CASE OF TWIN FEMALE CHILDREN
OF TEN YEARS AFFECTED BY SELECTIVE MUTISM

Abstract
This paper describes the clinical case of twin children (female) with a late diagnosis of
selective mutism (SM). The children have ten years, have a twin monovular sister with the same
problem and a younger sister that not have any difficulties. As reported by mother, the selective
mutism symptom shows at school with the teachers, that cannot be an oral examine. The continued

3
Micaela Capobianco

absence of verbal language use has a great influence on learning, on abstraction and metacognition
abilities. The onset and maintenance of disorder are the results of interaction between biological
(familiarity to shy temperament) and environmental (anxious and highly protective mother)
causes. The functional assessment and ABC analysis show a fear of “other people opinion”, “to
be wrong and to be derided”, of “to be shy” and depressive thematic, of auto-devaluation, in
confirmation of comorbidity between mutism and internalizing problems.
It’s showed and discussed in critical way the iter of assessment, the modalities and the
strategies of valuation and treating on female children and on the familiar and scholastic context,
in the light of difficulties meet in the different phases for the specific mutism disorder
characteristics. Infact, the studies and the knowledge of treating strategies more efficacious on
this children result still incomplete.

Key Words: selective mutism, anxious, dependent attachment, internalizing problems, auto-
devaluation, shy temperament.

Dati anagrafici, invio e contesto della terapia


G. è una bambina di 10 anni a cui è stata effettuata di recente la diagnosi di Mutismo
Selettivo presso un servizio pubblico di Neuropsichiatria Infantile di Roma. G. vive con i geni-
tori naturali, ha una gemella monovulare (G2) che presenta lo stesso problema di mutismo e una
sorella più piccola di 5.6 aa che, da quanto riferiscono i genitori, non sembra aver avuto mai
alcun problema. Quando ha iniziato a frequentare il servizio G. ha appena terminato la IV ele-
mentare; abita con i genitori e le sorelle in una casa di campagna, lontana dal centro abitato.
È la madre, particolarmente allarmata e preoccupata, sotto pressione anche delle insegnan-
ti, a richiedere una consulenza presso un servizio specializzato dato che, nonostante sia stata
seguita per diversi anni (insieme alla sorella gemella) presso la ASL di appartenenza, la bambina
non ha mai ricevuto una diagnosi chiara e definitiva e nel tempo non è migliorata. Negli ultimi
due anni, infatti, il mutismo e i comportamenti problematici della bambina sono peggiorati e
influenzano sensibilmente le modalità di valutazione e gli apprendimenti in ambito scolastico.
La mamma vorrebbe sapere come comportarsi al meglio con la bambina e, soprattutto, come
aiutare anche le insegnanti a gestire a scuola l’interazione con la bambina.

Anamnesi familiare (rispetto agli elementi rilevanti per la spiegazione del distur-
bo della bambina)
L’anamnesi familiare è stata raccolta primariamente con la madre. Infatti, dopo il primo
incontro con entrambi i genitori, il padre non è più venuto agli appuntamenti e la bambina è
sempre stata accompagnata dalla madre.
Il padre della bambina ha un carattere molto introverso e timido. Lavora tutto il giorno e
interagisce poco con le figlie e in particolare con le gemelle. Quando è a casa, pur se presente e
collaborativo, si dedica poco a giocare attivamente con loro. Come racconta la madre di G.,
nell’infanzia e nell’adolescenza molto probabilmente ha sofferto anche lui di mutismo, ma non
è stato mai diagnosticato. Infatti i genitori del padre hanno sempre descritto loro figlio come un
bambino che parlava poco, che “arrossiva sempre” quando gli si rivolgeva la parola e difficil-
mente socializzava con adulti e coetanei. I genitori di lui hanno sempre dato poco importanza a

4
Quando è difficile parlare

questi comportamenti del figlio attribuendoli primariamente a una “questione di carattere”. Lui
stesso afferma: “con il tempo ho imparato ad adattarmi al mio carattere, mi sono inserito bene al
lavoro”. Durante il colloquio parla molto poco e solo su esplicita richiesta e il suo sguardo è
spesso sfuggente. Rispetto al problema delle figlie gemelle mostra tuttora un atteggiamento
remissivo e non segue più la psicoterapia iniziata con la moglie. Afferma di essere deluso dalla
ASL di appartenenza alla quale per molto tempo si è affidato. È molto demotivato e non crede
più all’intervento dei servizi. Inoltre non attribuisce un’estrema importanza al mutismo delle
bambine. Pensa che prima poi le figlie “si sbloccheranno” da sole, come è successo a lui.
La madre di G. ha una storia familiare traumatica. Sua mamma, alcolista, è deceduta quan-
do lei aveva 7 anni per suicido, avvenuto in casa. Ha sempre avuto un’amnesia totale della sua
vita fino a 7 anni, per cui ricorda molto poco della madre. Riferisce solo di non ricordare alcuna
carezza, abbraccio, momenti di intimità e affetto con la madre. Ha conosciuto il proprio padre
biologico in adolescenza e da poco sono state avviate le pratiche per il riconoscimento, in
concomitanza con il problema che hanno presentato le gemelle. Ha effettuato alcune sedute di
psicoanalisi durate 4 anni, ma non ritiene siano state veramente di aiuto per lei.
È la madre delle bambine che si occupa in tutto e per tutto di G. e G2 e della figlia più
piccola. La madre riferisce di non sentirsi supportata dai suoceri con cui non ritiene di avere un
buon rapporto e di ricevere un reale sostegno. Secondo lei i genitori di lui non comprendono
veramente il problema delle gemelle e lo sottovalutano. Lei stessa dice: “mi sento sola di fronte
a questo problema..quando chiedo a mia suocera di tenermi le bambine trova sempre qualche
scusa..se cerco di mantenere un rapporto lo faccio solo per le bambine che sono affezionate alla
nonna”. È la madre, infatti, a richiedere al servizio una spiegazione più chiara del problema
delle loro figlie, che, a suo avviso, nessuno finora le ha saputo dare in modo esplicito. Anche lei
si mostra delusa, ma sicuramente più disponibile e intenzionata a far qualcosa per le gemelle,
con la speranza che possano migliorare. Richiede pertanto una valutazione e, soprattutto, delle
indicazioni specifiche su come comportarsi a casa e a scuola con le bambine e su quale sia
l’atteggiamento migliore da adottare con loro.
La mamma mostra un grande senso di colpa perché sostiene che il suo atteggiamento
troppo “protettivo” non abbia aiutato le bambine. Allo stesso modo spiega e giustifica il suo
comportamento con le seguenti parole: “io non ho mai ricevuto nessuna carezza, l’affetto dei
miei genitori mi è sempre mancato e ho dovuto fare tutto da sola. Ho cercato di fare il contrario
con le bambine, facendo loro tutto, anche troppo”; “se sono così è colpa mia...per fortuna c’è D.
(terza figlia più piccola) che mi gratifica...già scrive…”.

Descrizione del problema da parte della madre: genesi ed evoluzione, frequenza


e gravità
La bambina è stata seguita dalla ASL di appartenenza all’inizio della I elementare, sotto
insistenza delle insegnanti che si lamentavano del mutismo di G. Secondo la descrizione delle
insegnanti G. “si rifiutava” di parlare con loro e con qualsiasi altro adulto dell’ambiente scolasti-
co, mentre parlava con qualche compagna di classe (durante il gioco libero, in particolare in
giardino). A casa, invece, la bambina parlava tranquillamente con tutti. Lo stesso problema era
già insorto durante la scuola dell’infanzia, ma la mamma non ha mai dato eccessiva importanza,
pensando che fosse legato al carattere (“simile al padre”) e, soprattutto, transitorio, legato al-
l’età. Fino ai tre anni dietro consiglio della dott.ssa della ASL, che la seguiva dalla II elementare,
G. ha frequentato una classe diversa dalla sorella. Dopo numerosi incontri con la ASL (durati

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Micaela Capobianco

diversi anni) solo a Marzo 2006 la dott.ssa che la seguiva ha accennato ad una probabile diagno-
si di mutismo selettivo, indicando semplicemente alla madre di effettuare delle sedute di psico-
terapia privatamente, data la scarsa disponibilità di servizi di questo tipo nel comune. Non è
stata mai iniziata alcuna psicoterapia per motivi prettamente economici.
Nell’estate del 2005 (età di 8 anni) la bambina ha manifestato una balbuzie tonica e ha
seguito un ciclo di logopedia. Racconta la madre che le balbuzie si presentavano solo in alcune
situazioni, quando la bambina era più emozionata, come ad esempio durante un litigio con la
sorella o prima di ricevere un regalo. Le balbuzie, comunque, dopo circa un anno sono regredite
spontaneamente. Attualmente la bambina parla esclusivamente a casa con gli adulti familiari
che conosce bene (oltre i genitori, alcuni parenti che vede spesso) e con le sorelle, in particolare
con la gemella con cui si è creata una forte “complicità” e “intesa” sia rispetto al comportamento
“mutacico” che in generale rispetto a qualsiasi comportamento in diverse situazioni. Si sosten-
gono a vicenda e parlano molto tra loro, soprattutto durante il gioco. La mamma le definisce
“complementari”, riferendosi con questa parola al fatto che si copiano spesso tra loro (se una fa
un capriccio, un dispetto, assume un comportamento oppositorio, lo fa anche l’altra e viceversa;
oppure, una inizia a fare una cosa e l’altra la finisce, quasi meccanicamente). G. è anche molto
legata ad un’amichetta con problemi comportamentali. La mamma descrive G. come una bambi-
na con umore “altalenante” (contrariamente alla gemella che è più “tranquilla”). G. è spesso
“nervosa”, “irritabile” e ha crisi di pianto frequenti: “…sta peggiorando..è un continuo capric-
cio, mi attacca storie al supermercato, piange e si butta per terra”. Altre volte, invece, si chiude
in se stessa, “fa la faccia triste”.
La madre è attualmente preoccupata perché questo mutismo ha inciso nel tempo sia sugli
apprendimenti scolastici che sugli aspetti socio-relazionali. G. presenta una letto-scrittura non
appropriata alla classe frequentata. In particolare, secondo la madre, spesso non capisce ciò che
legge, perché lo fa meccanicamente. Le insegnanti si lamentano del fatto che la bambina “si
rifiuta di parlare” con loro, soprattutto quando le viene espressamente richiesto per le interroga-
zioni. Fin dalla I elementare nessuna insegnante è mai riuscita ad interrogare la bambina. Solo
compiti scritti. G., durante l’anno scolastico, trascorre il pomeriggio in una struttura privata
dove viene seguita per fare i compiti. Negli ultimi mesi i genitori hanno iniziato ad assumere un
atteggiamento “punitivo” nei confronti di G. e della sorella gemella per convincerle a parlare,
ma senza sortire alcun cambiamento.
La mamma tuttora si lamenta di aver ricevuto dalla ASL la diagnosi tardivamente e si
rimprovera di aver perso molto tempo quando si sarebbe potuto intervenire prima. Si lamenta,
inoltre, che non le hanno neppure spiegato in che cosa consistesse questo problema e non le
hanno dato alcun suggerimento psicopedagogico a riguardo. Si rimprovera e si colpevolizza
molto per questo, dicendo che se ora il mutismo di G. (come pure della sorella gemella) è peg-
giorato e si è consolidato è anche legato a questo.

Anamnesi e tappe evolutive di G. (riferite dalla madre e significative per il pro-


blema)
G. è nata a 37 settimane (3 min. dopo la gemella). Nessuna problematica significativa pre-
perinatale. La madre descrive lo sviluppo di G. come regolare, secondo le tappe “normali” e non
ricorda assolutamente ritardi nello sviluppo motorio e/o linguistico nei primi anni di vita. Ha
sempre avuto un sonno costante, con pochi risvegli notturni. La madre racconta che il problema
era più che altro “il distacco”: “è sempre stata una bambina appiccicosa, non si poteva lasciare

6
Quando è difficile parlare

un attimo che piangeva e si attaccava a me..Se non l’abbracciavo prima di andare a dormire, non
si addormentava..”.Dall’età di 18 mesi è stata inserita con la gemella all’asilo nido e affidata ad
una signora durante il pomeriggio per motivi di lavoro. La separazione da questa baby-sitter
quando G. aveva quasi 3 anni, a cui la bambina era molto legata, è stata, secondo la madre,
“brusca”.
La madre non sa spiegare con precisione i motivi di questo allontanamento, ma si ricorda
che dopo il distacco G. è diventata più nervosa e più chiusa in se stessa. Secondo la madre anche
dopo la nascita della sorella (D) (G. aveva 4 aa e mezzo) la bambina è cambiata: più agitata,
cercava sempre di attirare l’attenzione. All’età di 7 aa ha avuto una perdita di coscienza con
caduta a terra, ma l’EEG è risultato negativo. La madre non sa dare una spiegazione a quel-
l’evento. La madre riferisce che G. è sempre stata una bambina che difficilmente rivolgeva la
parola a qualcuno, “si emozionava” molto quando un adulto le chiedeva qualcosa. In genere o si
ammutoliva e abbassava gli occhi, oppure “faceva finta di essere impegnata a fare qualcos’altro
e si mostrava indaffarata”. In quei momenti la madre l’ha sempre “incoraggiata” a parlare.

Assessment con la bambina


Primi incontri al servizio
Osservazione del comportamento spontaneo

- G. in interazione con la sorella


Dato che il problema di mutismo di G. è strettamente legato al rapporto con la sorella
gemella (G2), mi è sembrato importante osservare l’interazione di G. con la sorella.
Inizialmente entrambe le bambine mostrano un esplicito rifiuto a seguirmi e a distaccarsi
dalla madre. Entrambe dicono no con la testa rimanendo aggrappate alle braccia della mamma.
G. si dimostra più agitata ed oppositoria rispetto alla sorella. Dopo diverse rassicurazioni da
parte della madre e mie sollecitazioni mi seguono. Mostrano entrambe un chiaro disagio che
nascondono con un comportamento apparentemente “provocatorio”, iniziando a precedermi senza
aspettare che le guidassi verso la stanza. G., in particolare, inizia a correre per il corridoio en-
trando a caso nelle diverse stanze che incontrava, mostrandosi per questo divertita. G., una volta
in stanza, inizia, insieme alla sorella, a tirare fuori tutti i giocattoli che trova in modo confusio-
nale e ad escludermi completamente dall’interazione. Difficilmente alzano lo sguardo verso di
me e se tento di inserirmi nel gioco, si allontanano, mi danno le spalle e ridono. Mostrano una
forte complicità, uno stile comportamentale molto simile, si imitano a vicenda. G. sembra domi-
nare di più la relazione. È G., infatti, che più frequentemente inizia un’azione e l’altra la imita.
La comunicazione con la sorella è più che altro basata su denominazioni e descrizioni, non
vi è un vero dialogo.

- Incontri con G.
I primi incontri con G. hanno avuto il primario obiettivo di creare una relazione di fiducia
con la bambina, cercando di creare con lei uno spazio sereno, in cui accogliere il suo disagio,
ove lei potesse esprimersi liberamente. Ho cercato di interagire con lei senza mostrare una par-
ticolare attenzione all’aspetto verbale, ma facendole capire che potevamo utilizzare altri canali
di comunicazione come la gestualità, il disegno, il gioco, la mimica (Bissoli 2007). I primi
incontri, inoltre, sono stati necessari anche per spiegare a G. il motivo di questi incontri e le
attività che avrebbe svolto con me. Si mostra molto collaborativa e interessata quando le chiedo

7
Micaela Capobianco

di fare un disegno, ma se si accorge che la sto guardando smette di disegnare oppure copre il
disegno con la mano.
A volte si alza e si mette a sistemare freneticamente i giochi, quasi per spostare l’attenzione
da un’altra parte. Invento alcune attività ludiche con delle bambole simulando che le bambole
facciano diversi disegni, parlino tra loro. La bambina si è mostrata subito divertita dal gioco,
ridendo, e, dopo diverse sollecitazioni in cui ho finto di parlare con le bambole, G. ha iniziato ad
avvicinarsi all’orecchio di una bambola e a dire una frase, senza farmi capire cosa le dicesse, e
a far fare alla bambola l’azione appena pronunciata all’orecchio. Questa modalità ludica ha
funzionato molto bene inizialmente con G. come mediatore della comunicazione tra me e la
bambina.

Valutazione funzionale: batteria di test e strumenti


È stata effettuata una valutazione completa (mediante prove standardizzate e non) al fine di
esaminare l’attuale livello di sviluppo ed esplorare diversi aspetti più specificatamente affetti-
vo-relazionali strettamente legati al disturbo. La valutazione funzionale è stata anche un primo
passo per iniziare ad esplorare e individuare i pensieri disfunzionali e le emozioni alla base della
difficoltà di parlare di G. Tutta la valutazione è avvenuta per iscritto e distribuita in 5 incontri. In
sintesi, è stato utilizzato il seguente protocollo:

- Area cognitiva: scala WISC-R (Orsini 1993); Matrici Progressive di Raven (Raven 1947);
- Area linguistica: comprensione di frasi (Rustioni 1994) e del testo scritto con prove MT di
Cornoldi e Colpo (1998);
- Area memoria e apprendimento (TEMA) (Reinolds Cecil e Bigler 1995);
- Area emotiva, affettiva e relazionale: test proiettivi: Scenotest, Test della famiglia immaginaria
(Corman, 1976.), T.A.T. (Morgan e Murray, 1935)1.

Ai genitori è stato chiesto di compilare il Questionario CBCL (Achenbach 1991) per ana-
lizzare aspetti più specifici del comportamento/temperamento della bambina (in particolare,
disturbi Internalizzanti versus Esternalizzanti).

Alcuni elementi indicativi emersi dai risultati della valutazione (rilevanti rispet-
to alla conoscenza di emozioni e pensieri della bambina sottostanti il disturbo)
- WISC-R. G. presenta un QI totale di 80 (al limite) e un profilo cognitivo disomogeneo con
un significativo decalage tra l’area Verbale (QI 73) e l’area di Performance (QP 90). Di partico-
lare indicazione sono i punteggi molto bassi nei subtest verbali “Informazioni”, “Vocabolario”
e, soprattutto, “Comprensione” che denotatno in G. un’importante caduta semantico-concettuale
(capacità di astrazione e categorizzazione bassa), una povertà di informazioni e di strategie
socio-relazionali e una difficoltà nell’affrontare in modo appropriato diverse situazioni. Spesso

1
Per gli aspetti relativi alle dinamiche della sfera emotiva si è ritenuto utile utilizzare per gli scopi
valutativi alcuni strumenti di tipo proiettivo disponibili in letteratura, affiancando a quella cognitiva una
lettura anche di approccio psicodinamico.

8
Quando è difficile parlare

la bambina risponde alle domande proposte “non lo so”, “niente”, denotando una povertà sia di
informazioni ma anche di autonomia di pensiero, difficoltà ad interpretare la realtà e a percepire
i propri stati mentali (tra cui le proprie emozioni).
Interessante anche la risposta all’item del subtest “Vocabolario”: “cos’è un asino?”. G. scri-
ve “...che non sa niente..”. Alla mia richiesta “cioè?”, G. scrive: “.che tutti ridono di lui..”
Nonostante l’uso della scala WISC-R sia stata fondamentale per ricavare informazioni spe-
cifiche su diversi compiti verbali e non, è stato necessario somministrare anche una scala cognitiva
di tipo non verbale. Infatti, dalle Matrici di Raven G. è risultata avere un QI nella norma tra il 50°
e il 75° centile rispetto alla sua età. La valutazione cognitiva mediante le due scale (di tipo
verbale e non) ha fatto ipotizzare che l’organizzazione di tipo borderline emersa dalla WISC-R
non sia legata propriamente ad una atipia di funzionamento cognitivo, bensì ad una
ipostimolazione ed ad uno scarso uso delle potenzialità cognitive e comunicativo-linguistiche
che ha portato ad una situazione di impoverimento generale.
- Alle prove di lettura e scrittura (MT di Cornoldi e Colpo 1998) G. ha mostrato una com-
prensione generale del racconto abbastanza buona. Si rileva una marcata disortografia con fre-
quenti errori grammaticali, disgrafia e omissione di passaggi narrativi. Anche la comprensione
frasale (Rustioni 1994) è buona anche se G. non satura il test, come ci si sarebbe aspettato (dato
che la prova è tarata per bambini di età massima di 7 anni) e sembra avere maggiori difficoltà a
codificare le frasi più lunghe e complesse del test.

Grafico 1. Punteggi ponderati alle singole prove Verbali e di Performance ottenuti da G. dalla
somministrazione della scala cognitiva WISC-R

9
Micaela Capobianco

- Disegno della famiglia. G. disegna un unico personaggio rinchiuso e una serie di recinti
geometrici vuoti molto vicini (che rappresentano dei letti). La bambina scrive di aver disegnato
un papà, una mamma e una figlia (indicando i recinti vuoti vicini) “che dormono tutti nella
stessa casa”. La compartimentazione denoterebbe: 1) assenza di comunicazione tra i familiari;
2) isolamento della figura maschile (paterna) da quelle femminili (madre e figlia); 3) area fem-
minile poco definita (letti vuoti) e confusa. L’azione predominante del dormire evidenzierebbe
la prevalenza degli aspetti depressivi. La bambina mostra difficoltà ad esprimere e descrivere le
emozioni dei personaggi e fa sempre riferimento ad aspetti concreti.
- T.A.T. Dalla descrizione delle tavole prevalgono sentimenti depressivi, con tema della
morte e del litigio. I personaggi sono spesso malati, piangono, vengono portati all’ospedale o
vanno via con atteggiamento di rinuncia e passività, spesso litigano per cause banali. Le figure
maschili sono sempre sfuggenti: vanno via a cavallo, si trasferiscono da casa oppure muoiono.
Alle figure dei bambini viene spesso attribuito un ruolo di passività, accettazione, svalutazione
e incapacità.
Alcuni esempi di descrizioni delle tavole scritte dalla bambina in cui prevalgono tematiche
depressive e di morte:

Tavola 4: “Due sposi insieme, escono insieme a fare una passeggiata, finisce che tornano a
casa stanchi morti e si buttano dentro al letto”.
Tavola 6BM: “ Una signora che ha litigato con suo marito”. [chiedo: “perché litiga? Cosa è
successo?”]. “È successo che il marito non ha accompagnato il figlio a scuola e finisce che il
marito si trasferisce a un’altra casa”.
Tavola 7 GF: “Una madre e una figlia. La figlia piange perché è morto il papà e la mamma
l’ha consolata”
Tavola 8 BM: “Un signore che è malato, allora l’hanno portato in ospedale per curarlo.
Finisce che il signore è malato e non torna più a casa”.
- TEMA. La bambina mostra un lieve problema di memoria, soprattutto di tipo verbale, con
una maggiore difficoltà ad immagazzinare e richiamare alla mente informazioni rilevanti per lo
svolgimento della prova.
- CBCL. Dal questionario compilato dalla madre non emergono punteggi che si collocano
nell’area clinica, anche se prevalgono tratti internalizzanti (ansia, apprensione, depressione,
problemi nell’area sociale). È interessante notare che tra i tratti esternalizzanti la madre attribu-
isce a G. comportamenti quali: “rumorosa”, “urla”, “tiene il broncio”, “impulsiva”.

Attività ed obiettivi dei primi incontri con G.

a) Costruire un’ alleanza terapeutica ed instaurare una relazione di fiducia con G. (Bissoli
2007):
- non forzarla mai a comunicare verbalmente, incoraggiando la comunicazione non ver-
bale, attraverso un atteggiamento neutro e la creazione di un contesto di accettazione
e non focalizzazione del problema del parlare (estinzione del sintomo)
b) Esplorare le emozioni, i comportamenti (C) e i pensieri disfunzionali prevalenti (B) alla
base della paura di parlare di G. (analisi degli ABC) attraverso:
- Simulazioni ludiche con burattini/bambole (personaggi) e/o mediante il disegno (fu-
metti inventati) che rappresentassero diversi eventi di vita quotidiana in cui poteva

10
Quando è difficile parlare

presentarsi ed essere più forte la paura di parlare (ad es., interrogazioni della maestra
a scuola davanti ai compagni, incontro con un adulto non familiare per strada con la
madre).

Esempi di simulazioni su carta per esplorare gli ABC della bambina:

Situazione: “interrogazione in classe davanti ai compagni”

Ho chiesto alla bambina di far finta di essere in una scuola, in cui c’è una bambina che la
maestra deve interrogare in classe.
Le ho chiesto di indicarmi tra le faccette quella più vicina a come si poteva sentire la
bambina in quel momento, a ciò che provava e di dare un nome a queste emozioni: “io sono….
“ . Il disegno 1 qui di seguito evidenzia le diverse raffigurazioni di emozioni che possono essere
provate nella situazione simulata dell’interrogazione a scuola. Le crocette evidenziano le emo-
zioni indicate dalla bambina.

G. mi ha indicato e scritto in ordine le seguenti emozioni: paura, vergogna e tristezza.


Abbiamo disegnato insieme una vignetta che rappresentava la situazione di cui avevamo
parlato: una maestra che sta per interrogare in classe una bambina. G. mi ha aiutato a completare
il disegno. In particolare G. ha disegnato: a. la bocca della maestra (colorandola di arancione); b.
la bocca e il naso della bambina, che ha disegnato con la faccia triste e con il naso lungo. Alla
mia domanda di scegliere una faccetta per la maestra, G. mi indica quella “arrabbiata”. Poi
spontaneamente scrive sopra la bambina “triste”.

Disegno 1. Raffigurazione delle diverse emozioni espresse da G. nella situazione


dell’interrogazione a scuola

x x

11
Micaela Capobianco

Le chiedo di completare insieme le vignette vuote. Cosa chiede la maestra alla bambina?
Cosa pensa la bambina? Come si sente la bambina? Il diagramma 1 seguente evidenzia le emo-
zioni (C) e i pensieri (B) scatenati dalla situazione dell’interrogazione della maestra (A).

Diagramma 1. Descrizione degli ABC di G. rispetto alla situazione di una interrogazione a


scuola

A
Domande della
maestra a scuola

C
sono triste, ho paura, mi
vergogno B B
“Non ho “Tutti si
studiato” metteranno
a ridere”

B
“sono
incapace”

Spiegazione del problema da parte del terapeuta


G. è una bambina con mutismo selettivo, diagnosticata tardivamente (dopo la III elementa-
re). La sintomatologia mutacica si manifesta soprattutto in ambito scolastico in interazione con
le insegnanti e con i compagni durante l’attività didattica. Durante la ricreazione G. parla solo
con due compagne della classe. In famiglia la bambina parla con tutti i componenti che frequen-
ta abitualmente. G. mostra disagio nel parlare in ogni situazione non familiare, in presenza di
adulti estranei (D’Ambrosio e Coletti 2002; Vecchio e Kearney 2006). La comparsa e la
strutturazione del disturbo sono molto probabilmente legate all’interazione dinamica tra fattori
biologici (predisposizione temperamentale) e le caratteristiche ambientali (Sharon et al. 2006).

12
Quando è difficile parlare

La condizione di gemellarità monovulare, ove anche la sorella presenta lo stesso disturbo, oltre
che supportare il dato della familiarità, rappresenta un fattore che sicuramente ha svolto un
ruolo importante nel consolidare il disturbo e tuttora rappresenta un fattore di mantenimento.
G. è sempre stata una bambina tendenzialmente molto timida, che mostrava difficoltà e
timore di relazionarsi con persone non familiari. Queste situazioni sono state sempre percepite
da G. con intenso disagio, ansia e preoccupazione e la bambina ha imparato a reagire mediante
inibizione, ritiro comportamentale e verbale e la tendenza ad evitarle (Manassis et al. 2007). Dai
dati emersi dalla valutazione funzionale, dall’osservazione spontanea e, soprattutto, dall’esplo-
razione degli ABC (mediante diverse tecniche di simulazione con personaggi e disegni) emerge
che G. prova una forte difficoltà e “incapacità” a parlare soprattutto a scuola, quando le vengono
richieste prestazioni, è al centro dell’attenzione, condizioni che vengono percepite dalla bambi-
na come un pericolo alla sua valutazione, alla sua efficacia, all’immagine di sé. Sembrerebbe
che G. tema in particolare il giudizio degli altri, ha paura di sbagliare e di essere derisa, presa in
giro (“tutti si metteranno a ridere”),di vergognarsi e che gli altri si accorgano della sua vergogna
(metavergogna). Prevalgono in G. temi depressivi, di catastrofizzazione rispetto alle conseguen-
ze sugli altri del proprio parlare e la paura di essere presa in giro sembra strettamente legata ad
una percezione di inadeguatezza e autosvalutazione, di sé come incapace, (“ho paura di sbaglia-
re”, “non ho studiato”). Molto probabilmente la possibilità di essere giudicata non positivamen-
te e criticata viene vissuta come un evento che “non deve mai accadere”. Questi aspetti confer-
mano i dati clinici e di ricerca che rilevano una significativa associazione tra diagnosi di MS e
disturbi che rientrano tra i problemi internalizzanti dello sviluppo quali l’ansia sociale, l’ansia
da separazione, la depressione (Cunningham et al. 2006). Allo stesso tempo G. spesso si mostra
“iperattiva”, a volte “oppositoria”, “capricciosa”. A mio avviso sono comportamenti che mani-
festano il suo disagio, che la bambina utilizza probabilmente per nascondere agli altri il suo
reale stato emotivo e, in alcuni casi, sono funzionali ad attirare l’attenzione della madre.
Il comportamento dei genitori e in particolare della madre gioca come un altro importante
fattore di mantenimento del mutismo di G. La bambina, infatti, mostra di aver instaurato con la
madre un attaccamento ansioso-dipendente (pattern C). La mamma si mostra infatti ansiosa e
preoccupata (Tatem e Del Campo 1995). Da una parte assume un atteggiamento di pressione per
il parlare (a volte anche punitivo), dall’altro è eccessivamente protettiva e ansiosa e spesso si è
sostituisce a G. Questi comportamenti della madre hanno in qualche modo inficiato nel tempo la
costruzione dell’autonomia e il senso di efficacia di G. (come della sorella gemella) ostacolando
i normali processi di esplorazione e autonomia della bambina. G. ha sempre mostrato e presenta
tuttora una estrema dipendenza dalla madre percepita come necessaria per affrontare qualsiasi
interazione. Infatti, situazioni in cui il genitore è assente (come a scuola) causano in lei allarme
ed inibizione. Un altro aspetto importante è il confronto con le sorelle. Spesso la madre tende a
fare confronti tra le gemelle e la sorella più piccola, creando situazioni di conflitto e ricerca
dell’attenzione da parte di G. che utilizza diverse strategie tra le quali i comportamenti “provo-
catori”. Se da una parte, infatti, esiste una relazione di forte complicità tra G. e la sorella gemel-
la, dall’altra c’è anche competizione e manipolazione dell’affetto e della dipendenza dalla ma-
dre.
Il confronto tra G. e la sorella più piccola (D) incrementa il senso di autosvalutazione e di
incapacità nella bambina. Durante i colloqui con la madre è emersa la sua estrema importanza e
attenzione a mantenere un’immagine positiva, al giudizio degli altri e quindi all’evitare situa-
zioni di vergogna a cui lei dà un significato di perdita, svalutazione e umiliazione. Questi aspetti
sono strettamente legati alla sua storia di vita e, in particolare, ai suoi vissuti di abbandono e
maltrattamento. La necessità di non vergognarsi e la focalizzazione verso l’evitamento delle

13
Micaela Capobianco

situazioni in cui ci si espone a tale rischio ha un estremo significato e sembrano temi importanti
per la madre di G..
La diagnosi tardiva ha portato G. a consolidare questo stile comportamentale che ormai è
diventato abituale e parte integrante della suo modo di essere, base di un equilibro raggiunto
all’interno della relazione dipendente con la madre e la sorella gemella. Con quest’ultima, in
particolare, si è creata una sorta di “mutua complicità nel mantenere il ruolo del mutismo”. I
comportamenti di passività, mancanza di interesse, creatività e propositività, sono il prodotto
anche dal mancato uso prolungato nel tempo del linguaggio verbale come mezzo necessario per
lo sviluppo della concettualizzazione, della formulazione di pensieri complessi, della
metacognizione. Nonostante, infatti, dalla valutazione funzionale emerge un’intelligenza nella
norma (o comunque ad un livello limite) il profilo neuropsicologico denota un funzionamento
cognitivo impoverito e con un uso scarso delle potenzialità (Standart e Le Counter 2003).

Terapia
Finalità principali della terapia individuale:
1. Modificare i pensieri disfunzionali di:

a) “catastrofizzazione” e “ipergeneralizzazione” rispetto alle conseguenze del parlare e del


giudizio degli altri: non necessariamente parlare provocherà “giudizi negativi” da parte degli
altri, ma può essere anche il contrario. Di qui riflettere sulle ipotesi alternative del giudizio altrui
e sul fatto che parlare può sortire conseguenze diverse e spesso è più “conveniente” ed “utile”
del non parlare. Riflettere anche sul fatto che è “normale” che capiti che agli altri possiamo non
piacere, ma questo non lede il nostro valore personale e la nostra capacità. Riflettere anche sulla
vergogna come emozione naturale che può manifestarsi in alcuni momenti: lavorare sul tema di
base “non ci si vergogna, né si deve mostrare vergogna” a cui è associato un significato di “non
valore di sé”e lo scopo primario compromesso di “mantenere sempre una buona immagine”.

b) “autosvalutazione” e senso di “incapacità” di parlare: promozione autonomia e fiducia


in se stessi. Non sempre gli altri ridono di quello che noi diciamo e se capita che una persona non
condivide il nostro parlare, ciò non significa che non ha valore.

2. Promuovere e sollecitare l’attribuzione, l’espressione, la descrizione e la riflessione del-


le emozioni: richiedendo più volte a G. durante la simulazione di eventi (gioco e disegni) di
indicare l’emozione che secondo lei provava il personaggio in quel momento (indicando le fac-
ce, ognuna delle quali rappresentava una specifica emozione, o scrivendo). Promuovere la ri-
flessione sulla relazione tra eventi-emozioni e conseguenze.

Strategie utilizzate con la bambina:

Fornire alla bambina pensieri, emozioni, azioni e conseguenze alternative durante gli even-
ti simulati nel gioco e/o nel disegno rispetto a quelli descritti da G. tramite l’agire degli eventi
simulati e/o attraverso il dialogo scritto. Promuovere a tal fine la riflessione su:
a) l’utilità del parlare e il rapporto costi/benefici del non parlare;
b) l’accettazione che a qualcuno possa non “piacere” quello che diciamo: indipendenza del

14
Quando è difficile parlare

Diagramma 2. Simulazioni di una situazione inventata (A), pensieri (B), emozioni e azioni
della bambina (C), ABC alternativo proposto dal terapeuta

A B C
Il bambino chiede Dico solo - si vergogna
alla bambina se vuole stupidaggini…non so - è rossa in viso
venire a giocare con
lui a casa sua parlare..lo vede - guarda mamma e non risponde

Terapeuta: Come finisce? Cosa succede dopo?

G. prende il pupazzo del bambino e lo fa camminare lontano insieme al padre.

T: Che pensa il bambino?


G. scrive: “niente”, “va via” “e’ triste..”
T: perché è triste?
G. scrive: “voleva giocare”
T: e la bambina?
G. scrive: sì (con !!)
T: ah! Anche la bambina voleva giocare!

T. allora, vediamo cosa succede se….(simulazione situazione diversa, in cui la bambina risponde alla
richiesta del bambino).

B
“e se poi non le sono
A simpatica?”
Il bambino chiede C
“Non fa nulla io ci
alla bambina se vuole - gli dice di sì e gli chiede quando
venire a giocare con lui a provo...”
casa sua vedersi
- è felice
B
“Che bello, mi piacerebbe
andare a giocare a casa
sua.. ci divertiremo un
mondo”

La storia finisce che la bambina è felice di aver trovato un nuovo amico con cui giocare e va a casa
contenta. Il bambino pensa “è proprio simpatica quella bambina!”

15
Micaela Capobianco

valore di sé dalla valutazione negativa o positiva delle situazioni contingenti (ad es. interroga-
zione, parlare davanti agli estranei etc.);
c. accettazione della vergogna: la vergogna è un’emozione naturale.

Nel diagramma 2 è descritto un esempio di simulazione di situazioni con personaggi in-


ventati utilizzati in terapia: simulazioni con la bambina di ipotesi alternative su come potrebbe
finire la storia rispetto ai diversi personaggi (pensieri, azioni, emozioni). Nello specifico una
mamma con la sua bambina incontrano un amico della mamma (adulto) con il suo bambino. Il
bambino chiede alla bambina se le va un pomeriggio di andare a casa sua per giocare (A). Che ne
pensa la bambina? (B); Cosa fa la bambina? Che risponde al bambino? (C); Come si sente la
bambina?(C).

Finalità principali dell’intervento in ambito familiare

- I genitori di G. fin dall’inizio hanno seguito degli incontri di supporto alla coppia. Ora
solo la madre viene costantemente in terapia individuale.

- Incontri psicoeducativi sul problema del mutismo selettivo: in particolare spiegare che G.
non parla semplicemente perché si rifiuta o fa capricci, ma perché ha un “disagio” che la rende
incapace a parlare. Questi incontri sono serviti primariamente per modificare l’interpretazione
dei genitori sui comportamenti mutatici di G. e quindi il carico di responsabilità sulla bambina.
- Suggerimenti generali su come comportarsi con G. (Bissoli, 2007):
1. Adottare un atteggiamento neutrale rispetto al non parlare: non sottolinearlo spesso come
problema, né mostrare un atteggiamento punitivo;
2. Non sostituirsi a G. nelle attività quotidiane e nelle relazioni. Quando qualsiasi persona le
fa una domanda lasciare spazio alla bambina, non insistere subito sollecitandola a rispon-
dere verbalmente e non rispondere al suo posto. Più che altro coinvolgerla nel discorso
accettando altre modalità di comunicazione. Non sostituirsi a G. nel fare i compiti, antici-
pando le risposte, ma aiutarla a riflettere di più, a rendersi più consapevole delle proprie
strategie di studio.
3. Home working: iniziare con gradualità a farle fare piccole azioni quotidiane: ad es. pagare
il giornalaio, fare una telefonata, chiedere un’informazione, etc;
4. Incrementare gli incontri sociali con i coetanei di G., se possibile, separatamente dalla so-
rella, creando spazi diversi e individualizzati;
5. Evitare di fare confronti comparativi tra le bambine. Dedicare uno spazio individualizzato
e separato con G;
6. Promuovere l’autonomia: inizialmente entrambe le bambine sono partite per 1 settimana
per un campo estivo (12 gg). Al ritorno G. si era mostrata più sicura di sé, autonoma e più
motivata. Quest’anno la mamma, però, non l’ha mandata fuori.

Finalità principali dell’intervento in ambito scolastico


- psicoeducazione alle insegnanti riguardo: a) atteggiamento neutrale rispetto al non parla-
re rinforzando comunicazione non verbale con loro e tra i compagni; b) utilizzo di materiale

16
Quando è difficile parlare

alternativo (disegno, scrittura, domande a scelta multipla); c) promuovere e creare attività in


piccoli gruppi ove c’è almeno un compagno con cui la bambina parla o con cui si trova meglio.

Risultati raggiunti e indicatori


G. finora è stata seguita al servizio per circa due anni (1 anno e 8 mesi) con cadenza settima-
nale e/o bisettimanale. Parallelamente la madre ha continuato a fare sedute di psicoterapia con il
medico di riferimento e incontri periodici con me.

In terapia individuale. Dopo circa 2-3 mesi di terapia G. ha modificato in modo significati-
vo la relazione con me. Il rapporto di fiducia si è rafforzato, è molto serena quando viene agli
incontri e più facilmente si distacca dalla mamma e/o mostra atteggiamenti di attaccamento alla
madre nel momento di ricongiungimento. Durante gli incontri è molto contenta di giocare con i
burattini, disegnare e simulare situazioni ed eventi. La mamma mi racconta che soprattutto ulti-
mamente parla di più di ciò che facciamo in seduta e chiede quando dovrà tornare. Finora non ha
ancora usato chiaramente ed esplicitamente il linguaggio verbale con me, anche se spesso, du-
rante il gioco, fa fare dei rumori ai burattini o alle bambole (starnutire, sbadigliare, piangere,
russare etc.) o ad oggetti e animali (rumore della macchina, versi di un animale). A volte lo ha
fatto così spesso che mi ha guardata, si è messa a ridere, forse riflettendo di essersi dimenticata
di non produrre. In alcune sedute ha parlato molto a bassa voce e all’orecchio delle bambole.
Capita quasi sempre adesso che in sala d’attesa parli alla mamma davanti a me (non a me), anche
se escludendomi, mentre prima non parlava mai in mia presenza. Anche il suo atteggiamento
“provocatorio” è sensibilmente diminuito e la bambina è molto più coinvolta e partecipe durante
i giochi con me.

A scuola. La mamma è più serena perché negli ultimi mesi G. “sembra molto cambiata “ a
detta delle insegnanti. Parla con l’insegnante di sostegno, si isola di meno, partecipa di più a
scuola, durante la ricreazione parla con tutti i compagni e balbetta molto di meno mentre parla.
L’insegnante di sostegno racconta che G. le sembra in generale più serena. Ultimamente si rivol-
ge ad alcune insegnanti attraverso una compagna, cosa che non aveva mai fatto prima o parla a
questa compagna anche in presenza di altri compagni (cosa che non faceva prima) pur senza
coinvolgerli. G. è migliorata anche negli apprendimenti; è più attenta e i temi fatti in classe
risultano più lineari e scorrevoli, mentre prima erano prevalentemente disorganizzati con conte-
nuti non ben connessi tra loro. Inoltre, il fatto di aver preso voti più alti ai compiti scritti di
scienze e italiano sembra aver motivato di più la bambina e aumentato la fiducia sulle proprie
capacità.

A casa. Anche la mamma nota dei cambiamenti in G. soprattutto rispetto alla relazione con
la sorella gemella. G. racconta di più cosa fa scuola, non solo a livello descrittivo (come accade-
va prima), ma mostra di più le sue emozioni: rabbia o felicità per il comportamento di quella
compagna. Secondo la madre qualcosa è cambiato anche all’interno del rapporto di complicità
tra le due sorelle, legato al diverso comportamento di G. verso l’ambiente esterno. G. sembra
meno interessata e attenta ad imitare i comportamenti della sorella e, da questo punto di vista,
sembra più indipendente dalla sorella. La mamma dice “È come se si fosse rotto un patto tra
loro” che “G1 si sentisse tradita da G”. Infatti, anche se la mamma è contenta che qualcosa si sia

17
Micaela Capobianco

modificato in G. è allo stesso tempo preoccupata per la reazione che sta avendo la gemella G1: “È
più gelosa e quando G. parla con me vedo che è arrabbiata, soffre…È una sofferenza per me
vederla”. La mamma mi ha raccontato a proposito un episodio avvenuto in macchina in cui
mentre G. parlava alla mamma della giornata di scuola G1 all’improvviso l’ha interrotta e urlan-
do ha detto “basta ti ho detto! Ti devi stare zitta!”. Mentre G. è migliorata G1 al contrario è più
chiusa ed isolata.

Difficoltà incontrate e autovalutazione critica del terapeuta


Le prime difficoltà le ho incontrate durante la valutazione funzionale e i primi incontri di
terapia. Era la prima volta che somministravo prove strutturate, ove le richieste verbali e la
qualità dell’interazione sono elementi di base, in una condizione di assenza della comunicazio-
ne verbale. È stato molto costruttivo per me cercare delle modalità diverse (ad esempio quelle
scritte) per mediare la valutazione, che però inficiassero il meno possibile l’attendibilità e la
validità del test. Ho impiegato diversi incontri solo per riflettere e capire quale strategia potessi
utilizzare per esplorare i pensieri e le emozioni di G. (ABC). È stata necessaria molta “creativi-
tà” e credo che alcune volte ho usato metodi che forse non sono serviti.
Il mutismo selettivo è una problematica complessa che dipende dall’interazione di una
molteplicità di componenti individuali e ambientali, che si intrecciano anche in modo molto
diverso nei contesti di vita del bambino. Va da sé la necessità di esplorare tutte le situazioni di
vita della bambina e cercare di coinvolgere la scuola, i genitori, le insegnanti e conciliare tra
finalità della terapia ed esigenze dei diversi contesti di vita del bambino. Lo scopo importante di
intervenire parallelamente nei diversi ambiti di vita sociale della bambina si è scontrato, infatti,
con le difficoltà specifiche presenti in particolare nell’ambito familiare (ad es. sofferenza della
madre, demotivazione del padre) e scolastico (livello della classe basso con molti immigrati e
cambiamento dell’insegnante di sostegno). È stato difficile ad esempio aiutare la madre ad im-
plementare le relazioni sociali con qualche compagno/a di classe e, soprattutto, il periodo cam-
biamento dell’insegnante di sostegno (3 in un anno) non ha permesso di instaurare una continui-
tà nella relazione con me e nelle attività finalizzate a scuola con la bambina. Credo, inoltre, che,
nonostante i due anni di terapia costante, i piccoli cambiamenti che da poco si stanno osservan-
do in G., siano solo l’inizio e fanno ipotizzare che sia stato fatto solo un piccolo passo, conside-
rando la precedente condizione di forte stabilizzazione e consolidamento del problema mutacico
di G. Penso che la diagnosi e l’intervento tardivo pesino molto sulla possibilità di G. di modifi-
care i suoi pensieri e in generale sugli effetti dell’intervento. Credo, infine, che la condizione di
gemellarità, ove anche la sorella presenta lo stesso problema, sia stato ed è tuttora un fattore
rilevante di mantenimento del disturbo difficile da affrontare.
Le difficoltà incontrate sono in stretta relazione con i dati clinici e di ricerca a tutt’oggi
disponibili in letteratura. Attualmente, infatti, i lavori che si sono occupati di mutismo in età
evolutiva sono scarsi e sono per lo più analisi di casi singoli o contributi teorici (Capobianco
2009). Una letteratura scarsa e con dati poco generalizzabili influisce su una chiara
concettualizzazione di questo disturbo ancora poco definita. Ne consegue che le conoscenze
sulle strategie d’intervento più mirate e l’efficacia di diversi trattamenti su questi bambini risul-
tano ancora incomplete (Sharon et al. 2006).

18
Quando è difficile parlare

Bibliografia
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Vecchio J, Kearney C (2006). Selective Mutism in Children: A Synopsis of Characteristics, Assessment
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19
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 40/S2
Titolo: VERIFICA DELL’APPRENDIMENTO
Attività n°: 01

ESERCITAZIONE SUL FORUM

In questa sessione troverete un interessante articolo di Capobianco (2010) sul


mutismo selettivo. Vi chiedo di leggere con attenzione il contributo e di segnalare
sul forum i punti di connessione con i contenuti studiati nelle lezioni.
Cognitivismo clinico (2010) 7, 1 3-19

QUANDO È DIFFICILE PARLARE: IL CASO DI UNA BAMBINA GEMELLA


DI 10 ANNI AFFETTA DA MUTISMO SELETTIVO

Micaela Capobianco

Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione, Facoltà di Psicologia 2, Università


“Sapienza”, via dei Marsi, 78, 00184, Roma
corrispondenza: micaela.capobianco@uniroma1.it

Riassunto
Il presente lavoro illustra il caso clinico di una bambina gemella a cui è stata effettuata
tardivamente la diagnosi di mutismo selettivo (MS). La bambina ha 10 anni, ha una sorella
gemella monovulare con lo stesso problema e una sorella più piccola che non presenta alcuna
difficoltà. Come riferito dalla madre, la sintomatologia mutacica si manifesta soprattutto a scuo-
la con le insegnanti, le quali non hanno mai potuto fare un’interrogazione orale. L’assenza pro-
lungata dell’uso del linguaggio verbale ha influito molto sugli apprendimenti, sulla capacità di
astrazione e metacognizione. La comparsa e il mantenimento del disturbo sono il prodotto
dell’interazione tra fattori biologici (familiarità al temperamento timido) e ambientali (madre
ansiosa e iperprotettiva). Dalla valutazione funzionale e dall’analisi degli ABC emergono una
paura del “giudizio degli altri”, “di sbagliare ed essere derisa”, di “vergognarsi” e temi depres-
sivi, di autosvalutazione, a conferma della comorbidità tra mutismo e problemi internalizzanti.
Viene descritto e discusso in modo critico l’iter di assessment, le modalità e le strategie di
valutazione e di intervento sulla bambina e sul contesto familiare e scolastico, alla luce delle
difficoltà incontrate nelle diverse fasi legate alle caratteristiche specifiche del disturbo mutacico.
Infatti, molto pochi sono gli studi in letteratura e le conoscenze sulle strategie d’intervento più
efficaci su questi bambini risultano ancora incomplete.

Parole chiave: mutismo selettivo, attaccamento ansioso-dipendente, problemi internalizzanti,


autosvalutazione, temperamento timido.

WHEN IT’S DIFFICULT TO TALK: THE CLINICAL CASE OF TWIN FEMALE CHILDREN
OF TEN YEARS AFFECTED BY SELECTIVE MUTISM

Abstract
This paper describes the clinical case of twin children (female) with a late diagnosis of
selective mutism (SM). The children have ten years, have a twin monovular sister with the same
problem and a younger sister that not have any difficulties. As reported by mother, the selective
mutism symptom shows at school with the teachers, that cannot be an oral examine. The continued

3
Micaela Capobianco

absence of verbal language use has a great influence on learning, on abstraction and metacognition
abilities. The onset and maintenance of disorder are the results of interaction between biological
(familiarity to shy temperament) and environmental (anxious and highly protective mother)
causes. The functional assessment and ABC analysis show a fear of “other people opinion”, “to
be wrong and to be derided”, of “to be shy” and depressive thematic, of auto-devaluation, in
confirmation of comorbidity between mutism and internalizing problems.
It’s showed and discussed in critical way the iter of assessment, the modalities and the
strategies of valuation and treating on female children and on the familiar and scholastic context,
in the light of difficulties meet in the different phases for the specific mutism disorder
characteristics. Infact, the studies and the knowledge of treating strategies more efficacious on
this children result still incomplete.

Key Words: selective mutism, anxious, dependent attachment, internalizing problems, auto-
devaluation, shy temperament.

Dati anagrafici, invio e contesto della terapia


G. è una bambina di 10 anni a cui è stata effettuata di recente la diagnosi di Mutismo
Selettivo presso un servizio pubblico di Neuropsichiatria Infantile di Roma. G. vive con i geni-
tori naturali, ha una gemella monovulare (G2) che presenta lo stesso problema di mutismo e una
sorella più piccola di 5.6 aa che, da quanto riferiscono i genitori, non sembra aver avuto mai
alcun problema. Quando ha iniziato a frequentare il servizio G. ha appena terminato la IV ele-
mentare; abita con i genitori e le sorelle in una casa di campagna, lontana dal centro abitato.
È la madre, particolarmente allarmata e preoccupata, sotto pressione anche delle insegnan-
ti, a richiedere una consulenza presso un servizio specializzato dato che, nonostante sia stata
seguita per diversi anni (insieme alla sorella gemella) presso la ASL di appartenenza, la bambina
non ha mai ricevuto una diagnosi chiara e definitiva e nel tempo non è migliorata. Negli ultimi
due anni, infatti, il mutismo e i comportamenti problematici della bambina sono peggiorati e
influenzano sensibilmente le modalità di valutazione e gli apprendimenti in ambito scolastico.
La mamma vorrebbe sapere come comportarsi al meglio con la bambina e, soprattutto, come
aiutare anche le insegnanti a gestire a scuola l’interazione con la bambina.

Anamnesi familiare (rispetto agli elementi rilevanti per la spiegazione del distur-
bo della bambina)
L’anamnesi familiare è stata raccolta primariamente con la madre. Infatti, dopo il primo
incontro con entrambi i genitori, il padre non è più venuto agli appuntamenti e la bambina è
sempre stata accompagnata dalla madre.
Il padre della bambina ha un carattere molto introverso e timido. Lavora tutto il giorno e
interagisce poco con le figlie e in particolare con le gemelle. Quando è a casa, pur se presente e
collaborativo, si dedica poco a giocare attivamente con loro. Come racconta la madre di G.,
nell’infanzia e nell’adolescenza molto probabilmente ha sofferto anche lui di mutismo, ma non
è stato mai diagnosticato. Infatti i genitori del padre hanno sempre descritto loro figlio come un
bambino che parlava poco, che “arrossiva sempre” quando gli si rivolgeva la parola e difficil-
mente socializzava con adulti e coetanei. I genitori di lui hanno sempre dato poco importanza a

4
Quando è difficile parlare

questi comportamenti del figlio attribuendoli primariamente a una “questione di carattere”. Lui
stesso afferma: “con il tempo ho imparato ad adattarmi al mio carattere, mi sono inserito bene al
lavoro”. Durante il colloquio parla molto poco e solo su esplicita richiesta e il suo sguardo è
spesso sfuggente. Rispetto al problema delle figlie gemelle mostra tuttora un atteggiamento
remissivo e non segue più la psicoterapia iniziata con la moglie. Afferma di essere deluso dalla
ASL di appartenenza alla quale per molto tempo si è affidato. È molto demotivato e non crede
più all’intervento dei servizi. Inoltre non attribuisce un’estrema importanza al mutismo delle
bambine. Pensa che prima poi le figlie “si sbloccheranno” da sole, come è successo a lui.
La madre di G. ha una storia familiare traumatica. Sua mamma, alcolista, è deceduta quan-
do lei aveva 7 anni per suicido, avvenuto in casa. Ha sempre avuto un’amnesia totale della sua
vita fino a 7 anni, per cui ricorda molto poco della madre. Riferisce solo di non ricordare alcuna
carezza, abbraccio, momenti di intimità e affetto con la madre. Ha conosciuto il proprio padre
biologico in adolescenza e da poco sono state avviate le pratiche per il riconoscimento, in
concomitanza con il problema che hanno presentato le gemelle. Ha effettuato alcune sedute di
psicoanalisi durate 4 anni, ma non ritiene siano state veramente di aiuto per lei.
È la madre delle bambine che si occupa in tutto e per tutto di G. e G2 e della figlia più
piccola. La madre riferisce di non sentirsi supportata dai suoceri con cui non ritiene di avere un
buon rapporto e di ricevere un reale sostegno. Secondo lei i genitori di lui non comprendono
veramente il problema delle gemelle e lo sottovalutano. Lei stessa dice: “mi sento sola di fronte
a questo problema..quando chiedo a mia suocera di tenermi le bambine trova sempre qualche
scusa..se cerco di mantenere un rapporto lo faccio solo per le bambine che sono affezionate alla
nonna”. È la madre, infatti, a richiedere al servizio una spiegazione più chiara del problema
delle loro figlie, che, a suo avviso, nessuno finora le ha saputo dare in modo esplicito. Anche lei
si mostra delusa, ma sicuramente più disponibile e intenzionata a far qualcosa per le gemelle,
con la speranza che possano migliorare. Richiede pertanto una valutazione e, soprattutto, delle
indicazioni specifiche su come comportarsi a casa e a scuola con le bambine e su quale sia
l’atteggiamento migliore da adottare con loro.
La mamma mostra un grande senso di colpa perché sostiene che il suo atteggiamento
troppo “protettivo” non abbia aiutato le bambine. Allo stesso modo spiega e giustifica il suo
comportamento con le seguenti parole: “io non ho mai ricevuto nessuna carezza, l’affetto dei
miei genitori mi è sempre mancato e ho dovuto fare tutto da sola. Ho cercato di fare il contrario
con le bambine, facendo loro tutto, anche troppo”; “se sono così è colpa mia...per fortuna c’è D.
(terza figlia più piccola) che mi gratifica...già scrive…”.

Descrizione del problema da parte della madre: genesi ed evoluzione, frequenza


e gravità
La bambina è stata seguita dalla ASL di appartenenza all’inizio della I elementare, sotto
insistenza delle insegnanti che si lamentavano del mutismo di G. Secondo la descrizione delle
insegnanti G. “si rifiutava” di parlare con loro e con qualsiasi altro adulto dell’ambiente scolasti-
co, mentre parlava con qualche compagna di classe (durante il gioco libero, in particolare in
giardino). A casa, invece, la bambina parlava tranquillamente con tutti. Lo stesso problema era
già insorto durante la scuola dell’infanzia, ma la mamma non ha mai dato eccessiva importanza,
pensando che fosse legato al carattere (“simile al padre”) e, soprattutto, transitorio, legato al-
l’età. Fino ai tre anni dietro consiglio della dott.ssa della ASL, che la seguiva dalla II elementare,
G. ha frequentato una classe diversa dalla sorella. Dopo numerosi incontri con la ASL (durati

5
Micaela Capobianco

diversi anni) solo a Marzo 2006 la dott.ssa che la seguiva ha accennato ad una probabile diagno-
si di mutismo selettivo, indicando semplicemente alla madre di effettuare delle sedute di psico-
terapia privatamente, data la scarsa disponibilità di servizi di questo tipo nel comune. Non è
stata mai iniziata alcuna psicoterapia per motivi prettamente economici.
Nell’estate del 2005 (età di 8 anni) la bambina ha manifestato una balbuzie tonica e ha
seguito un ciclo di logopedia. Racconta la madre che le balbuzie si presentavano solo in alcune
situazioni, quando la bambina era più emozionata, come ad esempio durante un litigio con la
sorella o prima di ricevere un regalo. Le balbuzie, comunque, dopo circa un anno sono regredite
spontaneamente. Attualmente la bambina parla esclusivamente a casa con gli adulti familiari
che conosce bene (oltre i genitori, alcuni parenti che vede spesso) e con le sorelle, in particolare
con la gemella con cui si è creata una forte “complicità” e “intesa” sia rispetto al comportamento
“mutacico” che in generale rispetto a qualsiasi comportamento in diverse situazioni. Si sosten-
gono a vicenda e parlano molto tra loro, soprattutto durante il gioco. La mamma le definisce
“complementari”, riferendosi con questa parola al fatto che si copiano spesso tra loro (se una fa
un capriccio, un dispetto, assume un comportamento oppositorio, lo fa anche l’altra e viceversa;
oppure, una inizia a fare una cosa e l’altra la finisce, quasi meccanicamente). G. è anche molto
legata ad un’amichetta con problemi comportamentali. La mamma descrive G. come una bambi-
na con umore “altalenante” (contrariamente alla gemella che è più “tranquilla”). G. è spesso
“nervosa”, “irritabile” e ha crisi di pianto frequenti: “…sta peggiorando..è un continuo capric-
cio, mi attacca storie al supermercato, piange e si butta per terra”. Altre volte, invece, si chiude
in se stessa, “fa la faccia triste”.
La madre è attualmente preoccupata perché questo mutismo ha inciso nel tempo sia sugli
apprendimenti scolastici che sugli aspetti socio-relazionali. G. presenta una letto-scrittura non
appropriata alla classe frequentata. In particolare, secondo la madre, spesso non capisce ciò che
legge, perché lo fa meccanicamente. Le insegnanti si lamentano del fatto che la bambina “si
rifiuta di parlare” con loro, soprattutto quando le viene espressamente richiesto per le interroga-
zioni. Fin dalla I elementare nessuna insegnante è mai riuscita ad interrogare la bambina. Solo
compiti scritti. G., durante l’anno scolastico, trascorre il pomeriggio in una struttura privata
dove viene seguita per fare i compiti. Negli ultimi mesi i genitori hanno iniziato ad assumere un
atteggiamento “punitivo” nei confronti di G. e della sorella gemella per convincerle a parlare,
ma senza sortire alcun cambiamento.
La mamma tuttora si lamenta di aver ricevuto dalla ASL la diagnosi tardivamente e si
rimprovera di aver perso molto tempo quando si sarebbe potuto intervenire prima. Si lamenta,
inoltre, che non le hanno neppure spiegato in che cosa consistesse questo problema e non le
hanno dato alcun suggerimento psicopedagogico a riguardo. Si rimprovera e si colpevolizza
molto per questo, dicendo che se ora il mutismo di G. (come pure della sorella gemella) è peg-
giorato e si è consolidato è anche legato a questo.

Anamnesi e tappe evolutive di G. (riferite dalla madre e significative per il pro-


blema)
G. è nata a 37 settimane (3 min. dopo la gemella). Nessuna problematica significativa pre-
perinatale. La madre descrive lo sviluppo di G. come regolare, secondo le tappe “normali” e non
ricorda assolutamente ritardi nello sviluppo motorio e/o linguistico nei primi anni di vita. Ha
sempre avuto un sonno costante, con pochi risvegli notturni. La madre racconta che il problema
era più che altro “il distacco”: “è sempre stata una bambina appiccicosa, non si poteva lasciare

6
Quando è difficile parlare

un attimo che piangeva e si attaccava a me..Se non l’abbracciavo prima di andare a dormire, non
si addormentava..”.Dall’età di 18 mesi è stata inserita con la gemella all’asilo nido e affidata ad
una signora durante il pomeriggio per motivi di lavoro. La separazione da questa baby-sitter
quando G. aveva quasi 3 anni, a cui la bambina era molto legata, è stata, secondo la madre,
“brusca”.
La madre non sa spiegare con precisione i motivi di questo allontanamento, ma si ricorda
che dopo il distacco G. è diventata più nervosa e più chiusa in se stessa. Secondo la madre anche
dopo la nascita della sorella (D) (G. aveva 4 aa e mezzo) la bambina è cambiata: più agitata,
cercava sempre di attirare l’attenzione. All’età di 7 aa ha avuto una perdita di coscienza con
caduta a terra, ma l’EEG è risultato negativo. La madre non sa dare una spiegazione a quel-
l’evento. La madre riferisce che G. è sempre stata una bambina che difficilmente rivolgeva la
parola a qualcuno, “si emozionava” molto quando un adulto le chiedeva qualcosa. In genere o si
ammutoliva e abbassava gli occhi, oppure “faceva finta di essere impegnata a fare qualcos’altro
e si mostrava indaffarata”. In quei momenti la madre l’ha sempre “incoraggiata” a parlare.

Assessment con la bambina


Primi incontri al servizio
Osservazione del comportamento spontaneo

- G. in interazione con la sorella


Dato che il problema di mutismo di G. è strettamente legato al rapporto con la sorella
gemella (G2), mi è sembrato importante osservare l’interazione di G. con la sorella.
Inizialmente entrambe le bambine mostrano un esplicito rifiuto a seguirmi e a distaccarsi
dalla madre. Entrambe dicono no con la testa rimanendo aggrappate alle braccia della mamma.
G. si dimostra più agitata ed oppositoria rispetto alla sorella. Dopo diverse rassicurazioni da
parte della madre e mie sollecitazioni mi seguono. Mostrano entrambe un chiaro disagio che
nascondono con un comportamento apparentemente “provocatorio”, iniziando a precedermi senza
aspettare che le guidassi verso la stanza. G., in particolare, inizia a correre per il corridoio en-
trando a caso nelle diverse stanze che incontrava, mostrandosi per questo divertita. G., una volta
in stanza, inizia, insieme alla sorella, a tirare fuori tutti i giocattoli che trova in modo confusio-
nale e ad escludermi completamente dall’interazione. Difficilmente alzano lo sguardo verso di
me e se tento di inserirmi nel gioco, si allontanano, mi danno le spalle e ridono. Mostrano una
forte complicità, uno stile comportamentale molto simile, si imitano a vicenda. G. sembra domi-
nare di più la relazione. È G., infatti, che più frequentemente inizia un’azione e l’altra la imita.
La comunicazione con la sorella è più che altro basata su denominazioni e descrizioni, non
vi è un vero dialogo.

- Incontri con G.
I primi incontri con G. hanno avuto il primario obiettivo di creare una relazione di fiducia
con la bambina, cercando di creare con lei uno spazio sereno, in cui accogliere il suo disagio,
ove lei potesse esprimersi liberamente. Ho cercato di interagire con lei senza mostrare una par-
ticolare attenzione all’aspetto verbale, ma facendole capire che potevamo utilizzare altri canali
di comunicazione come la gestualità, il disegno, il gioco, la mimica (Bissoli 2007). I primi
incontri, inoltre, sono stati necessari anche per spiegare a G. il motivo di questi incontri e le
attività che avrebbe svolto con me. Si mostra molto collaborativa e interessata quando le chiedo

7
Micaela Capobianco

di fare un disegno, ma se si accorge che la sto guardando smette di disegnare oppure copre il
disegno con la mano.
A volte si alza e si mette a sistemare freneticamente i giochi, quasi per spostare l’attenzione
da un’altra parte. Invento alcune attività ludiche con delle bambole simulando che le bambole
facciano diversi disegni, parlino tra loro. La bambina si è mostrata subito divertita dal gioco,
ridendo, e, dopo diverse sollecitazioni in cui ho finto di parlare con le bambole, G. ha iniziato ad
avvicinarsi all’orecchio di una bambola e a dire una frase, senza farmi capire cosa le dicesse, e
a far fare alla bambola l’azione appena pronunciata all’orecchio. Questa modalità ludica ha
funzionato molto bene inizialmente con G. come mediatore della comunicazione tra me e la
bambina.

Valutazione funzionale: batteria di test e strumenti


È stata effettuata una valutazione completa (mediante prove standardizzate e non) al fine di
esaminare l’attuale livello di sviluppo ed esplorare diversi aspetti più specificatamente affetti-
vo-relazionali strettamente legati al disturbo. La valutazione funzionale è stata anche un primo
passo per iniziare ad esplorare e individuare i pensieri disfunzionali e le emozioni alla base della
difficoltà di parlare di G. Tutta la valutazione è avvenuta per iscritto e distribuita in 5 incontri. In
sintesi, è stato utilizzato il seguente protocollo:

- Area cognitiva: scala WISC-R (Orsini 1993); Matrici Progressive di Raven (Raven 1947);
- Area linguistica: comprensione di frasi (Rustioni 1994) e del testo scritto con prove MT di
Cornoldi e Colpo (1998);
- Area memoria e apprendimento (TEMA) (Reinolds Cecil e Bigler 1995);
- Area emotiva, affettiva e relazionale: test proiettivi: Scenotest, Test della famiglia immaginaria
(Corman, 1976.), T.A.T. (Morgan e Murray, 1935)1.

Ai genitori è stato chiesto di compilare il Questionario CBCL (Achenbach 1991) per ana-
lizzare aspetti più specifici del comportamento/temperamento della bambina (in particolare,
disturbi Internalizzanti versus Esternalizzanti).

Alcuni elementi indicativi emersi dai risultati della valutazione (rilevanti rispet-
to alla conoscenza di emozioni e pensieri della bambina sottostanti il disturbo)
- WISC-R. G. presenta un QI totale di 80 (al limite) e un profilo cognitivo disomogeneo con
un significativo decalage tra l’area Verbale (QI 73) e l’area di Performance (QP 90). Di partico-
lare indicazione sono i punteggi molto bassi nei subtest verbali “Informazioni”, “Vocabolario”
e, soprattutto, “Comprensione” che denotatno in G. un’importante caduta semantico-concettuale
(capacità di astrazione e categorizzazione bassa), una povertà di informazioni e di strategie
socio-relazionali e una difficoltà nell’affrontare in modo appropriato diverse situazioni. Spesso

1
Per gli aspetti relativi alle dinamiche della sfera emotiva si è ritenuto utile utilizzare per gli scopi
valutativi alcuni strumenti di tipo proiettivo disponibili in letteratura, affiancando a quella cognitiva una
lettura anche di approccio psicodinamico.

8
Quando è difficile parlare

la bambina risponde alle domande proposte “non lo so”, “niente”, denotando una povertà sia di
informazioni ma anche di autonomia di pensiero, difficoltà ad interpretare la realtà e a percepire
i propri stati mentali (tra cui le proprie emozioni).
Interessante anche la risposta all’item del subtest “Vocabolario”: “cos’è un asino?”. G. scri-
ve “...che non sa niente..”. Alla mia richiesta “cioè?”, G. scrive: “.che tutti ridono di lui..”
Nonostante l’uso della scala WISC-R sia stata fondamentale per ricavare informazioni spe-
cifiche su diversi compiti verbali e non, è stato necessario somministrare anche una scala cognitiva
di tipo non verbale. Infatti, dalle Matrici di Raven G. è risultata avere un QI nella norma tra il 50°
e il 75° centile rispetto alla sua età. La valutazione cognitiva mediante le due scale (di tipo
verbale e non) ha fatto ipotizzare che l’organizzazione di tipo borderline emersa dalla WISC-R
non sia legata propriamente ad una atipia di funzionamento cognitivo, bensì ad una
ipostimolazione ed ad uno scarso uso delle potenzialità cognitive e comunicativo-linguistiche
che ha portato ad una situazione di impoverimento generale.
- Alle prove di lettura e scrittura (MT di Cornoldi e Colpo 1998) G. ha mostrato una com-
prensione generale del racconto abbastanza buona. Si rileva una marcata disortografia con fre-
quenti errori grammaticali, disgrafia e omissione di passaggi narrativi. Anche la comprensione
frasale (Rustioni 1994) è buona anche se G. non satura il test, come ci si sarebbe aspettato (dato
che la prova è tarata per bambini di età massima di 7 anni) e sembra avere maggiori difficoltà a
codificare le frasi più lunghe e complesse del test.

Grafico 1. Punteggi ponderati alle singole prove Verbali e di Performance ottenuti da G. dalla
somministrazione della scala cognitiva WISC-R

9
Micaela Capobianco

- Disegno della famiglia. G. disegna un unico personaggio rinchiuso e una serie di recinti
geometrici vuoti molto vicini (che rappresentano dei letti). La bambina scrive di aver disegnato
un papà, una mamma e una figlia (indicando i recinti vuoti vicini) “che dormono tutti nella
stessa casa”. La compartimentazione denoterebbe: 1) assenza di comunicazione tra i familiari;
2) isolamento della figura maschile (paterna) da quelle femminili (madre e figlia); 3) area fem-
minile poco definita (letti vuoti) e confusa. L’azione predominante del dormire evidenzierebbe
la prevalenza degli aspetti depressivi. La bambina mostra difficoltà ad esprimere e descrivere le
emozioni dei personaggi e fa sempre riferimento ad aspetti concreti.
- T.A.T. Dalla descrizione delle tavole prevalgono sentimenti depressivi, con tema della
morte e del litigio. I personaggi sono spesso malati, piangono, vengono portati all’ospedale o
vanno via con atteggiamento di rinuncia e passività, spesso litigano per cause banali. Le figure
maschili sono sempre sfuggenti: vanno via a cavallo, si trasferiscono da casa oppure muoiono.
Alle figure dei bambini viene spesso attribuito un ruolo di passività, accettazione, svalutazione
e incapacità.
Alcuni esempi di descrizioni delle tavole scritte dalla bambina in cui prevalgono tematiche
depressive e di morte:

Tavola 4: “Due sposi insieme, escono insieme a fare una passeggiata, finisce che tornano a
casa stanchi morti e si buttano dentro al letto”.
Tavola 6BM: “ Una signora che ha litigato con suo marito”. [chiedo: “perché litiga? Cosa è
successo?”]. “È successo che il marito non ha accompagnato il figlio a scuola e finisce che il
marito si trasferisce a un’altra casa”.
Tavola 7 GF: “Una madre e una figlia. La figlia piange perché è morto il papà e la mamma
l’ha consolata”
Tavola 8 BM: “Un signore che è malato, allora l’hanno portato in ospedale per curarlo.
Finisce che il signore è malato e non torna più a casa”.
- TEMA. La bambina mostra un lieve problema di memoria, soprattutto di tipo verbale, con
una maggiore difficoltà ad immagazzinare e richiamare alla mente informazioni rilevanti per lo
svolgimento della prova.
- CBCL. Dal questionario compilato dalla madre non emergono punteggi che si collocano
nell’area clinica, anche se prevalgono tratti internalizzanti (ansia, apprensione, depressione,
problemi nell’area sociale). È interessante notare che tra i tratti esternalizzanti la madre attribu-
isce a G. comportamenti quali: “rumorosa”, “urla”, “tiene il broncio”, “impulsiva”.

Attività ed obiettivi dei primi incontri con G.

a) Costruire un’ alleanza terapeutica ed instaurare una relazione di fiducia con G. (Bissoli
2007):
- non forzarla mai a comunicare verbalmente, incoraggiando la comunicazione non ver-
bale, attraverso un atteggiamento neutro e la creazione di un contesto di accettazione
e non focalizzazione del problema del parlare (estinzione del sintomo)
b) Esplorare le emozioni, i comportamenti (C) e i pensieri disfunzionali prevalenti (B) alla
base della paura di parlare di G. (analisi degli ABC) attraverso:
- Simulazioni ludiche con burattini/bambole (personaggi) e/o mediante il disegno (fu-
metti inventati) che rappresentassero diversi eventi di vita quotidiana in cui poteva

10
Quando è difficile parlare

presentarsi ed essere più forte la paura di parlare (ad es., interrogazioni della maestra
a scuola davanti ai compagni, incontro con un adulto non familiare per strada con la
madre).

Esempi di simulazioni su carta per esplorare gli ABC della bambina:

Situazione: “interrogazione in classe davanti ai compagni”

Ho chiesto alla bambina di far finta di essere in una scuola, in cui c’è una bambina che la
maestra deve interrogare in classe.
Le ho chiesto di indicarmi tra le faccette quella più vicina a come si poteva sentire la
bambina in quel momento, a ciò che provava e di dare un nome a queste emozioni: “io sono….
“ . Il disegno 1 qui di seguito evidenzia le diverse raffigurazioni di emozioni che possono essere
provate nella situazione simulata dell’interrogazione a scuola. Le crocette evidenziano le emo-
zioni indicate dalla bambina.

G. mi ha indicato e scritto in ordine le seguenti emozioni: paura, vergogna e tristezza.


Abbiamo disegnato insieme una vignetta che rappresentava la situazione di cui avevamo
parlato: una maestra che sta per interrogare in classe una bambina. G. mi ha aiutato a completare
il disegno. In particolare G. ha disegnato: a. la bocca della maestra (colorandola di arancione); b.
la bocca e il naso della bambina, che ha disegnato con la faccia triste e con il naso lungo. Alla
mia domanda di scegliere una faccetta per la maestra, G. mi indica quella “arrabbiata”. Poi
spontaneamente scrive sopra la bambina “triste”.

Disegno 1. Raffigurazione delle diverse emozioni espresse da G. nella situazione


dell’interrogazione a scuola

x x

11
Micaela Capobianco

Le chiedo di completare insieme le vignette vuote. Cosa chiede la maestra alla bambina?
Cosa pensa la bambina? Come si sente la bambina? Il diagramma 1 seguente evidenzia le emo-
zioni (C) e i pensieri (B) scatenati dalla situazione dell’interrogazione della maestra (A).

Diagramma 1. Descrizione degli ABC di G. rispetto alla situazione di una interrogazione a


scuola

A
Domande della
maestra a scuola

C
sono triste, ho paura, mi
vergogno B B
“Non ho “Tutti si
studiato” metteranno
a ridere”

B
“sono
incapace”

Spiegazione del problema da parte del terapeuta


G. è una bambina con mutismo selettivo, diagnosticata tardivamente (dopo la III elementa-
re). La sintomatologia mutacica si manifesta soprattutto in ambito scolastico in interazione con
le insegnanti e con i compagni durante l’attività didattica. Durante la ricreazione G. parla solo
con due compagne della classe. In famiglia la bambina parla con tutti i componenti che frequen-
ta abitualmente. G. mostra disagio nel parlare in ogni situazione non familiare, in presenza di
adulti estranei (D’Ambrosio e Coletti 2002; Vecchio e Kearney 2006). La comparsa e la
strutturazione del disturbo sono molto probabilmente legate all’interazione dinamica tra fattori
biologici (predisposizione temperamentale) e le caratteristiche ambientali (Sharon et al. 2006).

12
Quando è difficile parlare

La condizione di gemellarità monovulare, ove anche la sorella presenta lo stesso disturbo, oltre
che supportare il dato della familiarità, rappresenta un fattore che sicuramente ha svolto un
ruolo importante nel consolidare il disturbo e tuttora rappresenta un fattore di mantenimento.
G. è sempre stata una bambina tendenzialmente molto timida, che mostrava difficoltà e
timore di relazionarsi con persone non familiari. Queste situazioni sono state sempre percepite
da G. con intenso disagio, ansia e preoccupazione e la bambina ha imparato a reagire mediante
inibizione, ritiro comportamentale e verbale e la tendenza ad evitarle (Manassis et al. 2007). Dai
dati emersi dalla valutazione funzionale, dall’osservazione spontanea e, soprattutto, dall’esplo-
razione degli ABC (mediante diverse tecniche di simulazione con personaggi e disegni) emerge
che G. prova una forte difficoltà e “incapacità” a parlare soprattutto a scuola, quando le vengono
richieste prestazioni, è al centro dell’attenzione, condizioni che vengono percepite dalla bambi-
na come un pericolo alla sua valutazione, alla sua efficacia, all’immagine di sé. Sembrerebbe
che G. tema in particolare il giudizio degli altri, ha paura di sbagliare e di essere derisa, presa in
giro (“tutti si metteranno a ridere”),di vergognarsi e che gli altri si accorgano della sua vergogna
(metavergogna). Prevalgono in G. temi depressivi, di catastrofizzazione rispetto alle conseguen-
ze sugli altri del proprio parlare e la paura di essere presa in giro sembra strettamente legata ad
una percezione di inadeguatezza e autosvalutazione, di sé come incapace, (“ho paura di sbaglia-
re”, “non ho studiato”). Molto probabilmente la possibilità di essere giudicata non positivamen-
te e criticata viene vissuta come un evento che “non deve mai accadere”. Questi aspetti confer-
mano i dati clinici e di ricerca che rilevano una significativa associazione tra diagnosi di MS e
disturbi che rientrano tra i problemi internalizzanti dello sviluppo quali l’ansia sociale, l’ansia
da separazione, la depressione (Cunningham et al. 2006). Allo stesso tempo G. spesso si mostra
“iperattiva”, a volte “oppositoria”, “capricciosa”. A mio avviso sono comportamenti che mani-
festano il suo disagio, che la bambina utilizza probabilmente per nascondere agli altri il suo
reale stato emotivo e, in alcuni casi, sono funzionali ad attirare l’attenzione della madre.
Il comportamento dei genitori e in particolare della madre gioca come un altro importante
fattore di mantenimento del mutismo di G. La bambina, infatti, mostra di aver instaurato con la
madre un attaccamento ansioso-dipendente (pattern C). La mamma si mostra infatti ansiosa e
preoccupata (Tatem e Del Campo 1995). Da una parte assume un atteggiamento di pressione per
il parlare (a volte anche punitivo), dall’altro è eccessivamente protettiva e ansiosa e spesso si è
sostituisce a G. Questi comportamenti della madre hanno in qualche modo inficiato nel tempo la
costruzione dell’autonomia e il senso di efficacia di G. (come della sorella gemella) ostacolando
i normali processi di esplorazione e autonomia della bambina. G. ha sempre mostrato e presenta
tuttora una estrema dipendenza dalla madre percepita come necessaria per affrontare qualsiasi
interazione. Infatti, situazioni in cui il genitore è assente (come a scuola) causano in lei allarme
ed inibizione. Un altro aspetto importante è il confronto con le sorelle. Spesso la madre tende a
fare confronti tra le gemelle e la sorella più piccola, creando situazioni di conflitto e ricerca
dell’attenzione da parte di G. che utilizza diverse strategie tra le quali i comportamenti “provo-
catori”. Se da una parte, infatti, esiste una relazione di forte complicità tra G. e la sorella gemel-
la, dall’altra c’è anche competizione e manipolazione dell’affetto e della dipendenza dalla ma-
dre.
Il confronto tra G. e la sorella più piccola (D) incrementa il senso di autosvalutazione e di
incapacità nella bambina. Durante i colloqui con la madre è emersa la sua estrema importanza e
attenzione a mantenere un’immagine positiva, al giudizio degli altri e quindi all’evitare situa-
zioni di vergogna a cui lei dà un significato di perdita, svalutazione e umiliazione. Questi aspetti
sono strettamente legati alla sua storia di vita e, in particolare, ai suoi vissuti di abbandono e
maltrattamento. La necessità di non vergognarsi e la focalizzazione verso l’evitamento delle

13
Micaela Capobianco

situazioni in cui ci si espone a tale rischio ha un estremo significato e sembrano temi importanti
per la madre di G..
La diagnosi tardiva ha portato G. a consolidare questo stile comportamentale che ormai è
diventato abituale e parte integrante della suo modo di essere, base di un equilibro raggiunto
all’interno della relazione dipendente con la madre e la sorella gemella. Con quest’ultima, in
particolare, si è creata una sorta di “mutua complicità nel mantenere il ruolo del mutismo”. I
comportamenti di passività, mancanza di interesse, creatività e propositività, sono il prodotto
anche dal mancato uso prolungato nel tempo del linguaggio verbale come mezzo necessario per
lo sviluppo della concettualizzazione, della formulazione di pensieri complessi, della
metacognizione. Nonostante, infatti, dalla valutazione funzionale emerge un’intelligenza nella
norma (o comunque ad un livello limite) il profilo neuropsicologico denota un funzionamento
cognitivo impoverito e con un uso scarso delle potenzialità (Standart e Le Counter 2003).

Terapia
Finalità principali della terapia individuale:
1. Modificare i pensieri disfunzionali di:

a) “catastrofizzazione” e “ipergeneralizzazione” rispetto alle conseguenze del parlare e del


giudizio degli altri: non necessariamente parlare provocherà “giudizi negativi” da parte degli
altri, ma può essere anche il contrario. Di qui riflettere sulle ipotesi alternative del giudizio altrui
e sul fatto che parlare può sortire conseguenze diverse e spesso è più “conveniente” ed “utile”
del non parlare. Riflettere anche sul fatto che è “normale” che capiti che agli altri possiamo non
piacere, ma questo non lede il nostro valore personale e la nostra capacità. Riflettere anche sulla
vergogna come emozione naturale che può manifestarsi in alcuni momenti: lavorare sul tema di
base “non ci si vergogna, né si deve mostrare vergogna” a cui è associato un significato di “non
valore di sé”e lo scopo primario compromesso di “mantenere sempre una buona immagine”.

b) “autosvalutazione” e senso di “incapacità” di parlare: promozione autonomia e fiducia


in se stessi. Non sempre gli altri ridono di quello che noi diciamo e se capita che una persona non
condivide il nostro parlare, ciò non significa che non ha valore.

2. Promuovere e sollecitare l’attribuzione, l’espressione, la descrizione e la riflessione del-


le emozioni: richiedendo più volte a G. durante la simulazione di eventi (gioco e disegni) di
indicare l’emozione che secondo lei provava il personaggio in quel momento (indicando le fac-
ce, ognuna delle quali rappresentava una specifica emozione, o scrivendo). Promuovere la ri-
flessione sulla relazione tra eventi-emozioni e conseguenze.

Strategie utilizzate con la bambina:

Fornire alla bambina pensieri, emozioni, azioni e conseguenze alternative durante gli even-
ti simulati nel gioco e/o nel disegno rispetto a quelli descritti da G. tramite l’agire degli eventi
simulati e/o attraverso il dialogo scritto. Promuovere a tal fine la riflessione su:
a) l’utilità del parlare e il rapporto costi/benefici del non parlare;
b) l’accettazione che a qualcuno possa non “piacere” quello che diciamo: indipendenza del

14
Quando è difficile parlare

Diagramma 2. Simulazioni di una situazione inventata (A), pensieri (B), emozioni e azioni
della bambina (C), ABC alternativo proposto dal terapeuta

A B C
Il bambino chiede Dico solo - si vergogna
alla bambina se vuole stupidaggini…non so - è rossa in viso
venire a giocare con
lui a casa sua parlare..lo vede - guarda mamma e non risponde

Terapeuta: Come finisce? Cosa succede dopo?

G. prende il pupazzo del bambino e lo fa camminare lontano insieme al padre.

T: Che pensa il bambino?


G. scrive: “niente”, “va via” “e’ triste..”
T: perché è triste?
G. scrive: “voleva giocare”
T: e la bambina?
G. scrive: sì (con !!)
T: ah! Anche la bambina voleva giocare!

T. allora, vediamo cosa succede se….(simulazione situazione diversa, in cui la bambina risponde alla
richiesta del bambino).

B
“e se poi non le sono
A simpatica?”
Il bambino chiede C
“Non fa nulla io ci
alla bambina se vuole - gli dice di sì e gli chiede quando
venire a giocare con lui a provo...”
casa sua vedersi
- è felice
B
“Che bello, mi piacerebbe
andare a giocare a casa
sua.. ci divertiremo un
mondo”

La storia finisce che la bambina è felice di aver trovato un nuovo amico con cui giocare e va a casa
contenta. Il bambino pensa “è proprio simpatica quella bambina!”

15
Micaela Capobianco

valore di sé dalla valutazione negativa o positiva delle situazioni contingenti (ad es. interroga-
zione, parlare davanti agli estranei etc.);
c. accettazione della vergogna: la vergogna è un’emozione naturale.

Nel diagramma 2 è descritto un esempio di simulazione di situazioni con personaggi in-


ventati utilizzati in terapia: simulazioni con la bambina di ipotesi alternative su come potrebbe
finire la storia rispetto ai diversi personaggi (pensieri, azioni, emozioni). Nello specifico una
mamma con la sua bambina incontrano un amico della mamma (adulto) con il suo bambino. Il
bambino chiede alla bambina se le va un pomeriggio di andare a casa sua per giocare (A). Che ne
pensa la bambina? (B); Cosa fa la bambina? Che risponde al bambino? (C); Come si sente la
bambina?(C).

Finalità principali dell’intervento in ambito familiare

- I genitori di G. fin dall’inizio hanno seguito degli incontri di supporto alla coppia. Ora
solo la madre viene costantemente in terapia individuale.

- Incontri psicoeducativi sul problema del mutismo selettivo: in particolare spiegare che G.
non parla semplicemente perché si rifiuta o fa capricci, ma perché ha un “disagio” che la rende
incapace a parlare. Questi incontri sono serviti primariamente per modificare l’interpretazione
dei genitori sui comportamenti mutatici di G. e quindi il carico di responsabilità sulla bambina.
- Suggerimenti generali su come comportarsi con G. (Bissoli, 2007):
1. Adottare un atteggiamento neutrale rispetto al non parlare: non sottolinearlo spesso come
problema, né mostrare un atteggiamento punitivo;
2. Non sostituirsi a G. nelle attività quotidiane e nelle relazioni. Quando qualsiasi persona le
fa una domanda lasciare spazio alla bambina, non insistere subito sollecitandola a rispon-
dere verbalmente e non rispondere al suo posto. Più che altro coinvolgerla nel discorso
accettando altre modalità di comunicazione. Non sostituirsi a G. nel fare i compiti, antici-
pando le risposte, ma aiutarla a riflettere di più, a rendersi più consapevole delle proprie
strategie di studio.
3. Home working: iniziare con gradualità a farle fare piccole azioni quotidiane: ad es. pagare
il giornalaio, fare una telefonata, chiedere un’informazione, etc;
4. Incrementare gli incontri sociali con i coetanei di G., se possibile, separatamente dalla so-
rella, creando spazi diversi e individualizzati;
5. Evitare di fare confronti comparativi tra le bambine. Dedicare uno spazio individualizzato
e separato con G;
6. Promuovere l’autonomia: inizialmente entrambe le bambine sono partite per 1 settimana
per un campo estivo (12 gg). Al ritorno G. si era mostrata più sicura di sé, autonoma e più
motivata. Quest’anno la mamma, però, non l’ha mandata fuori.

Finalità principali dell’intervento in ambito scolastico


- psicoeducazione alle insegnanti riguardo: a) atteggiamento neutrale rispetto al non parla-
re rinforzando comunicazione non verbale con loro e tra i compagni; b) utilizzo di materiale

16
Quando è difficile parlare

alternativo (disegno, scrittura, domande a scelta multipla); c) promuovere e creare attività in


piccoli gruppi ove c’è almeno un compagno con cui la bambina parla o con cui si trova meglio.

Risultati raggiunti e indicatori


G. finora è stata seguita al servizio per circa due anni (1 anno e 8 mesi) con cadenza settima-
nale e/o bisettimanale. Parallelamente la madre ha continuato a fare sedute di psicoterapia con il
medico di riferimento e incontri periodici con me.

In terapia individuale. Dopo circa 2-3 mesi di terapia G. ha modificato in modo significati-
vo la relazione con me. Il rapporto di fiducia si è rafforzato, è molto serena quando viene agli
incontri e più facilmente si distacca dalla mamma e/o mostra atteggiamenti di attaccamento alla
madre nel momento di ricongiungimento. Durante gli incontri è molto contenta di giocare con i
burattini, disegnare e simulare situazioni ed eventi. La mamma mi racconta che soprattutto ulti-
mamente parla di più di ciò che facciamo in seduta e chiede quando dovrà tornare. Finora non ha
ancora usato chiaramente ed esplicitamente il linguaggio verbale con me, anche se spesso, du-
rante il gioco, fa fare dei rumori ai burattini o alle bambole (starnutire, sbadigliare, piangere,
russare etc.) o ad oggetti e animali (rumore della macchina, versi di un animale). A volte lo ha
fatto così spesso che mi ha guardata, si è messa a ridere, forse riflettendo di essersi dimenticata
di non produrre. In alcune sedute ha parlato molto a bassa voce e all’orecchio delle bambole.
Capita quasi sempre adesso che in sala d’attesa parli alla mamma davanti a me (non a me), anche
se escludendomi, mentre prima non parlava mai in mia presenza. Anche il suo atteggiamento
“provocatorio” è sensibilmente diminuito e la bambina è molto più coinvolta e partecipe durante
i giochi con me.

A scuola. La mamma è più serena perché negli ultimi mesi G. “sembra molto cambiata “ a
detta delle insegnanti. Parla con l’insegnante di sostegno, si isola di meno, partecipa di più a
scuola, durante la ricreazione parla con tutti i compagni e balbetta molto di meno mentre parla.
L’insegnante di sostegno racconta che G. le sembra in generale più serena. Ultimamente si rivol-
ge ad alcune insegnanti attraverso una compagna, cosa che non aveva mai fatto prima o parla a
questa compagna anche in presenza di altri compagni (cosa che non faceva prima) pur senza
coinvolgerli. G. è migliorata anche negli apprendimenti; è più attenta e i temi fatti in classe
risultano più lineari e scorrevoli, mentre prima erano prevalentemente disorganizzati con conte-
nuti non ben connessi tra loro. Inoltre, il fatto di aver preso voti più alti ai compiti scritti di
scienze e italiano sembra aver motivato di più la bambina e aumentato la fiducia sulle proprie
capacità.

A casa. Anche la mamma nota dei cambiamenti in G. soprattutto rispetto alla relazione con
la sorella gemella. G. racconta di più cosa fa scuola, non solo a livello descrittivo (come accade-
va prima), ma mostra di più le sue emozioni: rabbia o felicità per il comportamento di quella
compagna. Secondo la madre qualcosa è cambiato anche all’interno del rapporto di complicità
tra le due sorelle, legato al diverso comportamento di G. verso l’ambiente esterno. G. sembra
meno interessata e attenta ad imitare i comportamenti della sorella e, da questo punto di vista,
sembra più indipendente dalla sorella. La mamma dice “È come se si fosse rotto un patto tra
loro” che “G1 si sentisse tradita da G”. Infatti, anche se la mamma è contenta che qualcosa si sia

17
Micaela Capobianco

modificato in G. è allo stesso tempo preoccupata per la reazione che sta avendo la gemella G1: “È
più gelosa e quando G. parla con me vedo che è arrabbiata, soffre…È una sofferenza per me
vederla”. La mamma mi ha raccontato a proposito un episodio avvenuto in macchina in cui
mentre G. parlava alla mamma della giornata di scuola G1 all’improvviso l’ha interrotta e urlan-
do ha detto “basta ti ho detto! Ti devi stare zitta!”. Mentre G. è migliorata G1 al contrario è più
chiusa ed isolata.

Difficoltà incontrate e autovalutazione critica del terapeuta


Le prime difficoltà le ho incontrate durante la valutazione funzionale e i primi incontri di
terapia. Era la prima volta che somministravo prove strutturate, ove le richieste verbali e la
qualità dell’interazione sono elementi di base, in una condizione di assenza della comunicazio-
ne verbale. È stato molto costruttivo per me cercare delle modalità diverse (ad esempio quelle
scritte) per mediare la valutazione, che però inficiassero il meno possibile l’attendibilità e la
validità del test. Ho impiegato diversi incontri solo per riflettere e capire quale strategia potessi
utilizzare per esplorare i pensieri e le emozioni di G. (ABC). È stata necessaria molta “creativi-
tà” e credo che alcune volte ho usato metodi che forse non sono serviti.
Il mutismo selettivo è una problematica complessa che dipende dall’interazione di una
molteplicità di componenti individuali e ambientali, che si intrecciano anche in modo molto
diverso nei contesti di vita del bambino. Va da sé la necessità di esplorare tutte le situazioni di
vita della bambina e cercare di coinvolgere la scuola, i genitori, le insegnanti e conciliare tra
finalità della terapia ed esigenze dei diversi contesti di vita del bambino. Lo scopo importante di
intervenire parallelamente nei diversi ambiti di vita sociale della bambina si è scontrato, infatti,
con le difficoltà specifiche presenti in particolare nell’ambito familiare (ad es. sofferenza della
madre, demotivazione del padre) e scolastico (livello della classe basso con molti immigrati e
cambiamento dell’insegnante di sostegno). È stato difficile ad esempio aiutare la madre ad im-
plementare le relazioni sociali con qualche compagno/a di classe e, soprattutto, il periodo cam-
biamento dell’insegnante di sostegno (3 in un anno) non ha permesso di instaurare una continui-
tà nella relazione con me e nelle attività finalizzate a scuola con la bambina. Credo, inoltre, che,
nonostante i due anni di terapia costante, i piccoli cambiamenti che da poco si stanno osservan-
do in G., siano solo l’inizio e fanno ipotizzare che sia stato fatto solo un piccolo passo, conside-
rando la precedente condizione di forte stabilizzazione e consolidamento del problema mutacico
di G. Penso che la diagnosi e l’intervento tardivo pesino molto sulla possibilità di G. di modifi-
care i suoi pensieri e in generale sugli effetti dell’intervento. Credo, infine, che la condizione di
gemellarità, ove anche la sorella presenta lo stesso problema, sia stato ed è tuttora un fattore
rilevante di mantenimento del disturbo difficile da affrontare.
Le difficoltà incontrate sono in stretta relazione con i dati clinici e di ricerca a tutt’oggi
disponibili in letteratura. Attualmente, infatti, i lavori che si sono occupati di mutismo in età
evolutiva sono scarsi e sono per lo più analisi di casi singoli o contributi teorici (Capobianco
2009). Una letteratura scarsa e con dati poco generalizzabili influisce su una chiara
concettualizzazione di questo disturbo ancora poco definita. Ne consegue che le conoscenze
sulle strategie d’intervento più mirate e l’efficacia di diversi trattamenti su questi bambini risul-
tano ancora incomplete (Sharon et al. 2006).

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Quando è difficile parlare

Bibliografia
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19
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 41
Titolo: DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
Attività N°: 01

Disturbi ossessivo-compulsivi in età evolutiva

In questa e nelle prossime lezioni affronteremo le ipotesi eziopatogenetiche dei disturbi


ossessivo-compulsivi in età evolutiva.

Il contenuto delle slide va integrato sul testo obbligatorio di Di Pentima: Percorsi di


sviluppo normale e patologico in età evolutiva.
Il contenuto delle lezioni è tratto dal volume di Di Penitma.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 41
Titolo: DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
Attività N°: 01

Le ipotesi eziopatogenetiche, fanno riferimento a due diverse interpretazioni, quella


psicologica e quella neurobiologica.

Le ipotesi psicologiche inerenti l'eziopatogenesi della patologia ossessivo-compulsiva sono


molteplici; qui ne vengono presentate solo alcune, che sembrano avere aspetti di
contatto e possibilità di integrazione.

• La prospettiva comportamentista
Secondo il modello del condizionamento operante di Skinner, .ogni azione viene
rinforzata, ovvero aumenta la probabilità che venga ripetuta quando consente di
raggiungere un esito positivo. Secondo questa linea, i comportamenti ossessivi tendono
ad autorinforzarsi poiché consentono all’individuo di ridurre i livelli di ansia. Sono, quindi,
delle strategie che si consolidano nel tempo per gestire il disagio psichico.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 41
Titolo: DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
Attività N°: 01

La riuscita nel ridurre, anche se solo momentaneamente, i livelli di ansia finisce per
rinforzare le strategie ossessive. Questo spiegherebbe come sia possibile ricondurre i
disturbi ossessivo-compulsivi a fattori causali non solo genetici, ma anche ambientali,
ovvero all’aver esperito un evento particolarmente stressante.

Nei disturbi ossessivo-compulsivi, tuttavia, la dimensione rituale non è l'unico aspetto


centrale; ad essa si associano anche i processi di pensiero distorti che pur svolgono un
ruolo importante nell'emergere e nello strutturarsi di questa patologia.
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Lezione N°: 41
Titolo: DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
Attività N°: 01

• La prospettiva cognitivista
La prospettiva cognitivista sposta il focus dell'attenzione dai comportamenti disfunzionali
agli schemi di pensiero, alle credenze, ai giudizi e alle convinzioni che danno conto di
come l'individuo percepisce, elabora e immagazzina le informazioni provenienti dal
mondo esterno.
Secondo l'ipotesi cognitivista nel corso dello sviluppo gli individui ossessivo-compulsivi
hanno strutturato schemi mentali che li spingono a sopravalutare la pericolosità degli
eventi esterni. L'ansia, innescata da processi di valutazione distorti, induce a mettere in
atto comportamenti ripetitivi e/o rituali di pensiero ossessivi i quali, se da una parte
permettono di neutralizzare momentaneamente gli stati d'animo, dall'altra finiscono per
consolidare gli schemi mentali negativi.
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Lezione N°: 41
Titolo: DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
Attività N°: 01

I pensieri negativi sono carichi di contenuti di colpa e responsabilità esagerate. Si


innesca, allora, una spirale di pensieri intrusivi, the l'individuo tenta di attenuare
attraverso rituali ossessivi e reazioni maladattive che finiscono per provocare ulteriori
emozioni negative.

Secondo il modello cognitivo dello Human Information Processing (HIP) gli individui
ossessivo-compulsivi possiedono schemi di pensiero specifici che danno conto del loro
modo peculiare di interpretare le informazioni e dei conseguenti comportamenti
ritualistici. Le caratteristiche degli schemi mentali sono:
• tendenza ad interpretare come minacciose le informazioni dell'ambiente esterno
• focalizzare l'attenzione per lo più sui segnali di minaccia
• senso di responsabilità eccessivo e pervasivo
• spinta ad un controllo costante dei pensieri
• dubbio cronico sulla maggior parte degli eventi e delle azioni
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 41/S1
Titolo: DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
Attività N°: 01

Disturbi ossessivo-compulsivi in età evolutiva

Sempre all’interno della prospettiva cognitivista è da citare il Gruppo di Lavoro sulle


Cognizioni Ossessivo-Compulsive che ha focalizzato sei domini cognitivi ritenuti centrali
nella patologia ossessivo-compulsiva, ovvero:
• la responsabilità esagerata,
• l'importanza eccessiva sui pensieri
• il controllo sui pensieri attraverso la soppressione del pensiero
• la sopravvalutazione della minaccia
• l'intolleranza dell'incertezza
• il perfezionismo
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 41/S1
Titolo: DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
Attività N°: 01

Alcune ricerche hanno suggerito che le credenze disfunzionali, che danno conto
dell'emergere dei sintomi ossessivo-compulsivi, hanno la loro origine all'interno del
contesto familiare; ad esempio specifici comportamenti genitoriali come il criticismo, il
controllo, i rigidi codici di comportamento sono stati associati all'emergere del
perfezionismo disfunzionale e del senso eccessivo di responsabilità.
É stata, peraltro, riscontrata una associazione tra le credenze distorte dei figli e quelle dei
genitori, con particolare riferimento all'enfasi sul senso di responsabilità, alla
sopravalutazione della minaccia, alla fusione pensiero-azione e al controllo sui pensieri.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 41/S1
Titolo: DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
Attività N°: 01

La prospettiva cognitivista mette in luce non solo come le prime esperienze relazionali nel
corso dello sviluppo abbiano determinato lo strutturarsi di specifici schemi di pensiero e
di rigidi pattern comportamentali, ma anche come questi possano poi attivarsi in conco-
mitanza con eventi esistenziali particolarmente stressanti.

È, dunque, possibile affermare che secondo questo approccio il ruolo dei fattori
ambientali (eventi traumatici e/o gravemente stressanti) consiste nel far emergere e
consolidare schemi cognitivi e pattern comportamentali distorti che esperienze relazionali
precoci avevano contribuito a strutturare in fasi precedenti.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 41/S1
Titolo: DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
Attività N°: 01

In particolare, gli schemi mentali predominanti sono incentrati sulle tematiche dell'essere
"bravi", del "non fare del male agli altri", dell'aderire perfettamente alle richieste sempre
più esigenti dei genitori al fine di garantirsene l'affetto.
Quindi il bambino ossessivo-compulsivo mette in campo un costante e notevole sforzo
per comprendere ed agire quei comportamenti che suscitano la disponibilità e
l'approvazione dei genitori.
Tutto è reso più complicato dalle modalità di comunicazione affettiva e dalle dinamiche
relazioni di queste famiglie che hanno caratteristiche peculiari.

Ecco alcuni esempi.


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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 41/S1
Titolo: DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
Attività N°: 01

I genitori limitano le espressioni di piacere dei figli e inibiscono quelle di aggressività;


l'educazione impartita è improntata al rispetto delle regole, al dovere, al sacrificio e alla
fermezza; le relazioni sociali sono poche e per lo più caratterizzate da freddezza e
formalità.
Entrambi i genitori, inoltre, sono alquanto esigenti e critici, esercitano un controllo privo
di affetto sulla vita relazionale, affettiva e scolastica del figlio, il quale non può fallire nei
suoi compiti, spesso troppo impegnativi per l'età e le competenze richieste.
I fallimenti vengono vissuti come un "tradimento" nei confronti del genitore, così che il
bambino osessivo-compulsivo è spinto costantemente a ricercare la perfezione attraverso
un'attenzione eccessiva ai dettagli, evitando l'errore come danno irreparabile, mettendo
in atto procedure analitiche a scapito di una visione più globale.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 41/S2
Titolo: DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
Attività N°: 01

Disturbi ossessivo-compulsivi in età evolutiva

Questi piccoli, quindi, apprendono ben presto ad essere "bravi" per essere amati e, al
contempo, imparano esattamente cosa non devono fare per non rischiare di essere
allontanati dai genitori. L'analisi del discorso tra figli con disturbo ossessivo-compulsivo e i
loro genitori ha messo in luce come la comunicazione sia caratterizzata da maggiori
critiche, ovvero più frequenti commenti negativi, rispetto alle conversazioni che
intercorrono tra gli stessi genitori e i fratelli o le sorelle che non presentano tale patologia.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 41/S2
Titolo: DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
Attività N°: 01

Il ruolo del contesto familiare, inoltre, viene preso, in considerazione non solo per
spiegare l'origine dei sintomi ossessivo-compulsivi, ma anche nel dar conto di quei
meccanismi che concorrono al mantenimento della patologia, nonché dell'impatto che
questa tipologia di disturbi ha sull'assetto familiare. Non è infrequente difatti, che i
bambini con sintomi di tal genere, specie quando sono particolarmente rigidi e pervasivi,
riescano a condizionare l’autonomia degli altri membri del nucleo familiare e a
ristrutturare le routine quotidiane in funzione del loro disturbo.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 41/S2
Titolo: DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
Attività N°: 01

Le ripercussioni possono essere varie: si possono strutturare legami soffocanti che


limitano notevolmente l'autonomia degli altri familiari, innescando tensioni e conflitti; la
comunicazione si impoverisce poiché finisce per essere incentrata sulla gestione
quotidiana dei sintomi.
I genitori, spinti dalla necessità di garantire una tranquillità domestica, alleviare le
difficoltà del figlio e consentire lo svolgimento delle routine quotidiane, tendono ad
assecondare i comportamenti ossessivi in modi diversi. Talvolta i genitori si sostituiscono
ai figli nello svolgimento dei rituali ossessivi, evitano di intraprendere alcune attività o di
andare in luoghi che inducono ansia nei figli, modificano le proprie abitudini.
I bambini ossessivo-compulsivi possono imporre comportamenti quali: eseguire azioni al
loro posto per evitare l'ansia, quali, ad esempio, accendere o spegnere le luci di una
stanza, ripetere continuamente stesse parole o domande, comprare determinati oggetti o
lavare abiti specifici.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 41/S2
Titolo: DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
Attività N°: 01

Questi bambini possono arrivare a proibire agli altri di compiere azioni quali toccare
oggetti che generano in loro paura o disgusto, vietare agli estranei di entrare in casa,
reagire in modo aggressivo nei confronti di ogni tentativo di cambiamenti' delle routine
quotidiane. Alcuni comportamenti riguardano le paure di contaminazione, rispetto alle
quali i bambini ossessivo-compulsivi possono vietare di toccare una porta che
considerano "contaminata", oppure i tavoli con le mani, proibire di aprire le finestre di
casa, imporre rituali di lavaggio agli altri membri della famiglia.
Le motivazioni che inducono i familiari ad accettare le richieste del bambino ossessivo -
compulsivo oltre a quelle già descritte, quali alleviare lo stress e l'ansia del bambino,
riguardano anche i tentativi di evitare le reazioni violente e aggressive che fanno seguito
se tali richieste non vengono soddisfatte.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 41/S2
Titolo: DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
Attività N°: 01

Non sono, poi, da trascurare le modalità di rispondere ai sintomi, le quali concorrono al


loro mantenimento. A tal proposito alcune ricerche hanno messo in luce gli atteggiamenti
che possono emergere all'interno del contesto familiare: vi può essere una reazione di
chiusura, intolleranza e critica che non dà spazio ad alcuna comprensione empatica dei
vissuti emotivi del soggetto; all'opposto può emergere un atteggiamento di
coinvolgimento e dipendenza totali della famiglia.

Entrambe le tipologie di atteggiamento sembrano concorrere a rinforzare la


sintomatologia ossessivo-compulsiva. Emerge, inoltre, che i membri della famiglia
condividono sentimenti di vergogna, colpa e responsabilità per la patologia del paziente,
come conseguenza di indizi negativi espressi dal contesto sociale più ampio. Tali emozioni
inducono la famiglia a chiudersi rispetto al inondo esterno; l’isolamento sociale costituisce
un fattore ulteriore che contribuisce al mantenimento del quadro sintomatico.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 41/S3
Titolo: DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
Attività N°: 01

Disturbi ossessivo-compulsivi in età evolutiva

• La prosepttiva dell’attaccamento
L’interpretazione secondo la teoria dell'attaccamento riconduce la comparsa del disturbo
ossessivo-compulsivo all'aver avuto un tipo di attaccamento caratterizzato dalla garanzia
del soddisfacimento dei bisogni necessari alla sopravvivenza, ma privo di modalità di
interazione da parte del caregiver basate sul calore emotivo e il coinvolgimento affettivo.
Nei bambini con disturbo ossessivo-compulsivo, infatti, sono stati riscontrati
prevalentemente pattern dell'attaccamento di tipo ambivalente oppure evitante.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 41/S3
Titolo: DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
Attività N°: 01

Alcuni caregiver instaurano una relazione con il piccolo connotata da una mimica rigida,
povera ed una svalutazione dei bisogni di vicinanza e conforto così da far emergere nel
bambino un attaccamento evitante.
Altri caregiver si mostrano nell'interazione con il piccolo imprevedibili, contraddittori nel
rispondere alle richieste di aiuto, spesso ipercontrollanti e intrusivi così da favorire
l'emergere di un attaccamento ambivalente.
È stato rilevato, peraltro, che quest'ultima tipologia di figura allevante fornisce cure al
piccolo senza una reale partecipazione emotiva; ad esempio il genitore può irrigidirsi
durante il cambio dei pannolini, oppure nei momenti in cui il bambino richiede di essere
abbracciato per ottenere conforto. Le comunicazioni asettiche e la carenza di tenerezza
emotiva spesso, poi, sono associate ad enfasi eccessiva sui principi morali e i valori etici.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 41/S3
Titolo: DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
Attività N°: 01

Il comportamento di cura privo di una partecipazione affettiva produce nel piccolo


sensazioni di agio e di disagio, le quali hanno come esito lo strutturarsi di una rappre-
sentazione di sé dicotomica: il sé è degno di essere amato e supportato e
contemporaneamente non è amabile e non degno di considerazione e aiuto.
Sembrerebbe, inoltre, che questo stile di accudimento induca il bambino a credere che
può essere amato solo se si “comporta bene”, se "è bravo", se "non disturba".
Al bambino sembra venga preclusa la possibilità di provare le emozioni oppure di
riflettere sui propri stati interiori, mentre viene sempre più indotto a concentrarsi sulle
performance (con richieste eccessive che riguardano per lo più la t i uscita scolastica e/o
le prestazioni sportive) e sul mettere in atto i comportamenti che consentono di ottenere
l'attenzione e l'approvazione genitoriale.
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Lezione N°: 41/S3
Titolo: DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
Attività N°: 01

Le relazioni primarie con il caregiver possono rappresentare un antecedente importante


nel dar conto anche di altri tratti caratteristici del disturbo ossessivo-compulsivo, quali, ad
esempio, il forte senso della responsabilità e la spinta al perfezionismo.
Studi hanno rilevato una prevalenza di attaccamenti ambivalenti tra gli individui con
questo tipo di patologia. Questo potrebbe spiegare la presenza del senso di responsabilità
e della spinta al perfezionismo particolarmente accentuati.
Peraltro tale risultato sembra confermare quanto riscontrato anche da altri studiosi,
secondo i quali i modelli operativi propri dell'attaccamento ambivalente possono far
emergere un perfezionismo disfunzionale, che potrebbe manifestarsi attraverso
performance sociali perfette, il cui scopo è ottenere l'accettazione da parte degli altri,
oppure essere rassicurati circa il fatto di non essere abbandonati, dato che i loro modelli
operativi sono incentrati sul sentirsi non competenti e non degni di essere amati.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 41/S3
Titolo: DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
Attività N°: 01

Gli individui ambivalenti, inoltre, in virtù della rappresentazione mentale che possiedono
di se stessi e degli altri, possono sviluppare un comportamento di ipervigilanza, ovvero di
attenzione focalizzata su potenziali minacce, proprio perché ritengono che gli altri non
siano in grado oppure non siano disponibili ad intervenire per aiutare in caso di necessità.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 42
Titolo: DISTURBI OSSESSIVO-COMPULSIVI: EZIOLOGIA
Attività N°: 01

Disturbi ossessivo-compulsivi in età evolutiva:


ipotesi eziopatologiche

In questa e nelle prossime lezioni affronteremo le ipotesi eziopatogenetiche dei disturbi


ossessivo-compulsivi in età evolutiva.

Il contenuto delle slide va integrato sul testo obbligatorio di Di Pentima: Percorsi di


sviluppo normale e patologico in età evolutiva.
Il contenuto delle lezioni è tratto dal volume di Di Penitma.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 42
Titolo: DISTURBI OSSESSIVO-COMPULSIVI: EZIOLOGIA
Attività N°: 01

Le ipotesi eziopatogenetiche, fanno riferimento a due diverse interpretazioni, quella


psicologica e quella neurobiologica.

In questa lezione sintetizzerò l’ipotesi psicologica mentre quella neurobiologica è da


studiare solo sul libro
Le ipotesi psicologiche inerenti l'eziopatogenesi della patologia ossessivo-compulsiva sono
molteplici; qui ne vengono presentate solo alcune, che sembrano avere aspetti di
contatto e possibilità di integrazione.

•La prospettiva comportamentista


Secondo il modello del condizionamento operante di Skinner, .ogni azione viene
rinforzata, ovvero aumenta la probabilità che venga ripetuta quando consente di
raggiungere un esito positivo. Secondo questa linea, i comportamenti ossessivi
tendono ad autorinforzarsi poiché consentono all’individuo di ridurre i livelli di
ansia. Sono, quindi, delle strategie che si consolidano nel tempo per gestire il disagio
psichico.
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Lezione N°: 42
Titolo: DISTURBI OSSESSIVO-COMPULSIVI: EZIOLOGIA
Attività N°: 01

La riuscita nel ridurre, anche se solo momentaneamente, i livelli di ansia


finisce per rinforzare le strategie ossessive. Questo spiegherebbe come sia
possibile ricondurre i disturbi ossessivo-compulsivi a fattori causali non solo genetici, ma
anche ambientali, ovvero all’aver esperito un evento particolarmente stressante.

Nei disturbi ossessivo-compulsivi, tuttavia, la dimensione rituale non è l'unico aspetto


centrale; ad essa si associano anche i processi di pensiero distorti che pur svolgono un
ruolo importante nell'emergere e nello strutturarsi di questa patologia.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 42
Titolo: DISTURBI OSSESSIVO-COMPULSIVI: EZIOLOGIA
Attività N°: 01

• La prospettiva cognitivista
La prospettiva cognitivista sposta il focus dell'attenzione dai comportamenti
disfunzionali agli schemi di pensiero, alle credenze, ai giudizi e alle convinzioni
che danno conto di come l'individuo percepisce, elabora e immagazzina le informazioni
provenienti dal mondo esterno.
Secondo l'ipotesi cognitivista nel corso dello sviluppo gli individui ossessivo-
compulsivi hanno strutturato schemi mentali che li spingono a sopravalutare
la pericolosità degli eventi esterni. L'ansia, innescata da processi di valutazione
distorti, induce a mettere in atto comportamenti ripetitivi e/o rituali di pensiero ossessivi i
quali, se da una parte permettono di neutralizzare momentaneamente gli stati d'animo,
dall'altra finiscono per consolidare gli schemi mentali negativi.
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Lezione N°: 42
Titolo: DISTURBI OSSESSIVO-COMPULSIVI: EZIOLOGIA
Attività N°: 01

I pensieri negativi sono carichi di contenuti di colpa e responsabilità


esagerate. Si innesca, allora, una spirale di pensieri intrusivi, the l'individuo tenta di
attenuare attraverso rituali ossessivi e reazioni maladattive che finiscono per provocare
ulteriori emozioni negative.

Secondo il modello cognitivo dello Human Information Processing (HIP) gli individui
ossessivo-compulsivi possiedono schemi di pensiero specifici che danno conto del loro
modo peculiare di interpretare le informazioni e dei conseguenti comportamenti
ritualistici. Le caratteristiche degli schemi mentali sono:
• tendenza ad interpretare come minacciose le informazioni dell'ambiente esterno
• focalizzare l'attenzione per lo più sui segnali di minaccia
• senso di responsabilità eccessivo e pervasivo
• spinta ad un controllo costante dei pensieri
• dubbio cronico sulla maggior parte degli eventi e delle azioni
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Lezione N°: 42/S1
Titolo: DISTURBI OSSESSIVO-COMPULSIVI: EZIOLOGIA
Attività N°: 01

Disturbi ossessivo-compulsivi in età evolutiva

Sempre all’interno della prospettiva cognitivista è da citare il Gruppo di Lavoro sulle


Cognizioni Ossessivo-Compulsive che ha focalizzato sei domini cognitivi ritenuti centrali
nella patologia ossessivo-compulsiva, ovvero:
• la responsabilità esagerata,
• l'importanza eccessiva sui pensieri
• il controllo sui pensieri attraverso la soppressione del pensiero
• la sopravvalutazione della minaccia
• l'intolleranza dell'incertezza
• il perfezionismo
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Lezione N°: 42/S1
Titolo: DISTURBI OSSESSIVO-COMPULSIVI: EZIOLOGIA
Attività N°: 01

Alcune ricerche hanno suggerito che le credenze disfunzionali, che danno conto
dell'emergere dei sintomi ossessivo-compulsivi, hanno la loro origine all'interno del
contesto familiare; ad esempio specifici comportamenti genitoriali come il criticismo, il
controllo, i rigidi codici di comportamento sono stati associati all'emergere del
perfezionismo disfunzionale e del senso eccessivo di responsabilità.
É stata, peraltro, riscontrata una associazione tra le credenze distorte dei figli e quelle dei
genitori, con particolare riferimento all'enfasi sul senso di responsabilità, alla
sopravalutazione della minaccia, alla fusione pensiero-azione e al controllo sui pensieri.
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Lezione N°: 42/S1
Titolo: DISTURBI OSSESSIVO-COMPULSIVI: EZIOLOGIA
Attività N°: 01

La prospettiva cognitivista mette in luce non solo come le prime esperienze relazionali nel
corso dello sviluppo abbiano determinato lo strutturarsi di specifici schemi di pensiero e
di rigidi pattern comportamentali, ma anche come questi possano poi attivarsi in conco-
mitanza con eventi esistenziali particolarmente stressanti.

È, dunque, possibile affermare che secondo questo approccio il ruolo dei fattori
ambientali (eventi traumatici e/o gravemente stressanti) consiste nel far emergere e
consolidare schemi cognitivi e pattern comportamentali distorti che esperienze relazionali
precoci avevano contribuito a strutturare in fasi precedenti.
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Lezione N°: 42/S1
Titolo: DISTURBI OSSESSIVO-COMPULSIVI: EZIOLOGIA
Attività N°: 01

In particolare, gli schemi mentali predominanti sono incentrati sulle tematiche dell'essere
"bravi", del "non fare del male agli altri", dell'aderire perfettamente alle richieste sempre
più esigenti dei genitori al fine di garantirsene l'affetto.
Quindi il bambino ossessivo-compulsivo mette in campo un costante e notevole sforzo
per comprendere ed agire quei comportamenti che suscitano la disponibilità e
l'approvazione dei genitori.
Tutto è reso più complicato dalle modalità di comunicazione affettiva e dalle dinamiche
relazioni di queste famiglie che hanno caratteristiche peculiari.

Ecco alcuni esempi.


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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 42/S1
Titolo: DISTURBI OSSESSIVO-COMPULSIVI: EZIOLOGIA
Attività N°: 01

I genitori limitano le espressioni di piacere dei figli e inibiscono quelle di aggressività;


l'educazione impartita è improntata al rispetto delle regole, al dovere, al sacrificio e alla
fermezza; le relazioni sociali sono poche e per lo più caratterizzate da freddezza e
formalità.
Entrambi i genitori, inoltre, sono alquanto esigenti e critici, esercitano un controllo privo
di affetto sulla vita relazionale, affettiva e scolastica del figlio, il quale non può fallire nei
suoi compiti, spesso troppo impegnativi per l'età e le competenze richieste.
I fallimenti vengono vissuti come un "tradimento" nei confronti del genitore, così che il
bambino osessivo-compulsivo è spinto costantemente a ricercare la perfezione attraverso
un'attenzione eccessiva ai dettagli, evitando l'errore come danno irreparabile, mettendo
in atto procedure analitiche a scapito di una visione più globale.
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Lezione N°: 42/S2
Titolo: DISTURBI OSSESSIVO-COMPULSIVI: EZIOLOGIA
Attività N°: 01

Disturbi ossessivo-compulsivi in età evolutiva


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Lezione N°: 42/S2
Titolo: DISTURBI OSSESSIVO-COMPULSIVI: EZIOLOGIA
Attività N°: 01

Il ruolo del contesto familiare, inoltre, viene preso, in considerazione non solo per
spiegare l'origine dei sintomi ossessivo-compulsivi, ma anche nel dar conto di quei
meccanismi che concorrono al mantenimento della patologia, nonché dell'impatto che
questa tipologia di disturbi ha sull'assetto familiare. Non è infrequente difatti, che i
bambini con sintomi di tal genere, specie quando sono particolarmente rigidi e pervasivi,
riescano a condizionare l’autonomia degli altri membri del nucleo familiare e a
ristrutturare le routine quotidiane in funzione del loro disturbo.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 42/S2
Titolo: DISTURBI OSSESSIVO-COMPULSIVI: EZIOLOGIA
Attività N°: 01

Le ripercussioni possono essere varie: si possono strutturare legami soffocanti che


limitano notevolmente l'autonomia degli altri familiari, innescando tensioni e conflitti; la
comunicazione si impoverisce poiché finisce per essere incentrata sulla gestione
quotidiana dei sintomi.
I genitori, spinti dalla necessità di garantire una tranquillità domestica, alleviare le
difficoltà del figlio e consentire lo svolgimento delle routine quotidiane, tendono ad
assecondare i comportamenti ossessivi in modi diversi. Talvolta i genitori si sostituiscono
ai figli nello svolgimento dei rituali ossessivi, evitano di intraprendere alcune attività o di
andare in luoghi che inducono ansia nei figli, modificano le proprie abitudini.
I bambini ossessivo-compulsivi possono imporre comportamenti quali: eseguire azioni al
loro posto per evitare l'ansia, quali, ad esempio, accendere o spegnere le luci di una
stanza, ripetere continuamente stesse parole o domande, comprare determinati oggetti o
lavare abiti specifici.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 42/S2
Titolo: DISTURBI OSSESSIVO-COMPULSIVI: EZIOLOGIA
Attività N°: 01

Questi bambini possono arrivare a proibire agli altri di compiere azioni quali toccare
oggetti che generano in loro paura o disgusto, vietare agli estranei di entrare in casa,
reagire in modo aggressivo nei confronti di ogni tentativo di cambiamenti' delle routine
quotidiane. Alcuni comportamenti riguardano le paure di contaminazione, rispetto alle
quali i bambini ossessivo-compulsivi possono vietare di toccare una porta che
considerano "contaminata", oppure i tavoli con le mani, proibire di aprire le finestre di
casa, imporre rituali di lavaggio agli altri membri della famiglia.
Le motivazioni che inducono i familiari ad accettare le richieste del bambino ossessivo -
compulsivo oltre a quelle già descritte, quali alleviare lo stress e l'ansia del bambino,
riguardano anche i tentativi di evitare le reazioni violente e aggressive che fanno seguito
se tali richieste non vengono soddisfatte.
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Lezione N°: 42/S2
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Attività N°: 01

Non sono, poi, da trascurare le modalità di rispondere ai sintomi, le quali concorrono al


loro mantenimento. A tal proposito alcune ricerche hanno messo in luce gli atteggiamenti
che possono emergere all'interno del contesto familiare: vi può essere una reazione di
chiusura, intolleranza e critica che non dà spazio ad alcuna comprensione empatica dei
vissuti emotivi del soggetto; all'opposto può emergere un atteggiamento di
coinvolgimento e dipendenza totali della famiglia.

Entrambe le tipologie di atteggiamento sembrano concorrere a rinforzare la


sintomatologia ossessivo-compulsiva. Emerge, inoltre, che i membri della famiglia
condividono sentimenti di vergogna, colpa e responsabilità per la patologia del paziente,
come conseguenza di indizi negativi espressi dal contesto sociale più ampio. Tali emozioni
inducono la famiglia a chiudersi rispetto al inondo esterno; l’isolamento sociale costituisce
un fattore ulteriore che contribuisce al mantenimento del quadro sintomatico.
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Lezione N°: 42/S3
Titolo: DISTURBI OSSESSIVO-COMPULSIVI: EZIOLOGIA
Attività N°: 01

Disturbi ossessivo-compulsivi in età evolutiva


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Lezione N°: 42/S3
Titolo: DISTURBI OSSESSIVO-COMPULSIVI: EZIOLOGIA
Attività N°: 01

Alcuni caregiver instaurano una relazione con il piccolo connotata da una mimica rigida,
povera ed una svalutazione dei bisogni di vicinanza e conforto così da far
emergere nel bambino un attaccamento evitante.
Altri caregiver si mostrano nell'interazione con il piccolo imprevedibili, contraddittori nel
rispondere alle richieste di aiuto, spesso ipercontrollanti e intrusivi così da favorire
l'emergere di un attaccamento ambivalente.
È stato rilevato, peraltro, che quest'ultima tipologia di figura allevante fornisce cure al
piccolo senza una reale partecipazione emotiva; ad esempio il genitore può irrigidirsi
durante il cambio dei pannolini, oppure nei momenti in cui il bambino richiede di essere
abbracciato per ottenere conforto. Le comunicazioni asettiche e la carenza di tenerezza
emotiva spesso, poi, sono associate ad enfasi eccessiva sui principi morali e i valori etici.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 42/S3
Titolo: DISTURBI OSSESSIVO-COMPULSIVI: EZIOLOGIA
Attività N°: 01

Il comportamento di cura privo di una partecipazione affettiva produce nel piccolo


sensazioni di agio e di disagio, le quali hanno come esito lo strutturarsi di una rappre-
sentazione di sé dicotomica: il sé è degno di essere amato e supportato e
contemporaneamente non è amabile e non degno di considerazione e aiuto.
Sembrerebbe, inoltre, che questo stile di accudimento induca il bambino a credere
che può essere amato solo se si “comporta bene”, se "è bravo", se "non
disturba".
Al bambino sembra venga preclusa la possibilità di provare le emozioni oppure di
riflettere sui propri stati interiori, mentre viene sempre più indotto a concentrarsi sulle
performance (con richieste eccessive che riguardano per lo più la t i uscita scolastica e/o
le prestazioni sportive) e sul mettere in atto i comportamenti che consentono di ottenere
l'attenzione e l'approvazione genitoriale.
Secondo Crittenden i comportamenti ossessivo-compulsivi , presentano strategie che i
bambini hanno appreso per far fronte a un ambiente imprevedibile e pericoloso; ciò
potrebbe spiegare la loro inclinazione a cogliere per lo più le informazioni di pericolo e del
fatto che alcuni comportamenti potrebbero essere messi in atto per
ridurre la probabilità di essere danneggiati.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 42/S3
Titolo: DISTURBI OSSESSIVO-COMPULSIVI: EZIOLOGIA
Attività N°: 01
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 42/S3
Titolo: DISTURBI OSSESSIVO-COMPULSIVI: EZIOLOGIA
Attività N°: 01

• Il modello integrato
L'approccio integrato riconduce l'eziopatogenesi dei disturbi ossessivo-
compulsivi ad una molteplicità di fattori in connessione l'un l'altro. Gli individui
ossessivo-compulsivi potrebbero avere una predisposizione genetica che dà conto
della loro impulsività marcata, alla quale essi tentano di far fronte attraverso
comportamenti compulsivi. L'interazione con il contesto ambientale può finire con
il favorire lo strutturarsi di schemi cognitivi distorti, dai quali scaturiscono i com-
portamenti inadeguati.

L'approccio integrato, quindi, tenta una connessione tra una molteplicità di fattori, quali:
• vulnerabilità genetica nello sviluppare il disturbo
• caratteristiche di personalità
• eventi di vita stressanti, i quali agiscono sul genoma e sullo sviluppo di modelli
cognitivo-affettivi specifici attraverso i quali interpretare le informazioni provenienti
dal contesto esterno

Tale interpretazione deformata non solo determina l'insorgere dei sintomi, ma anche il
loro mantenersi nel tempo
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 43
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA
Attività N°: 01

LA DEPRESSIONE
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 43
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA
Attività N°: 01

La depressione non è l’unico tipo di disturbo dell’umore.


Il DSM-5 per ciò che concerne i disturbi dell’umore presenta due sezioni
separate.
La prima nominata disturbi bipolari include:
- Disturbo bipolare di tipo I
- Disturbo bipolare di tipo II
- Disturbo ciclotimico
- Disturbo bipolare indotto da Sostanze o Condizioni Mediche
- Disturbo bipolare non altrimenti specificato
La seconda sezione, denominata Disturbi depressivi comprende
- Disturbo depressivo maggiore (episodio singolo)
- Disturbo depressivo maggiore (episodio ricorrente)
- Disturbo distimico
- Disturbo disforico premestruale
- Disturbo depressivo indotto da sostanze
- Disturbo depressivo dovuto a condizione medica
- Disturbo depressivo non altrimenti specificato
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 43
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA
Attività N°: 01

Tenete presente che fino agli anni ’70 si riteneva che i bambini non potessero presentare
sintomi depressivi in ragione dell’immaturità delle loro strutture di personalità
E’ soltanto a partire dagli anni ‘70 che si inizia a riconoscere la presenza di una
sintomatologia depressiva anche in infanzia e negli anni ‘80 si applicano gli stessi criteri
degli adulti per la diagnosi di depressione maggiore.
Più recentemente, si stanno mettendo a punto criteri diagnostici specifici per l’età
evolutiva e si stanno delineando con maggiore precisione gli aspetti di divergenza e
continuità tra infanzia e età adulta.
Il DSM-5 ad esempio descrive i quadri sintomatologici dei disturbi, delineando le
differenze opportune che riguardano adulti e bambini (in termini di tipologia di sintomi e
durata degli stessi) e introduce una nuova categoria diagnostica per l’età evolutiva il
disturbo dirompente da disregolazione dell’umore.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 43/S1
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA
Attività N°: 01

Fenomenologia associata all’età

In questa e nelle prossime lezioni affronteremo la fenomenologia del disturbo depressivo


associata all’età.

Il contenuto delle slide va integrato sul testo obbligatorio di Di Pentima: Percorsi di


sviluppo normale e patologico in età evolutiva.
Il contenuto delle lezioni è tratto dalle linee Guida Sinpia sui disturbi depressivi in età
evolutiva
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 43/S1
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA
Attività N°: 01

La fenomenologia del disturbo depressivo in età evolutiva è ricca e articolata e varia in


base alla fase di sviluppo in cui il disturbo insorge e si manifesta.

La diagnosi deve, ovviamente, seguire i criteri proposti dal DSM 5 o dall’ICD-10, ma


l’esperienza clinica ha dimostrato, come detto nella scorsa lezione, che il quadro
sintomatologico varia in base all’età.

In questa e nelle prossime lezioni saranno presentati i vari quadri sintomatologici in


relazione alla fase di sviluppo in cui il disturbo insorge.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 43/S1
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA
Attività N°: 01

Per quanto riguarda i bambini, i sintomi possono essere ricondotti a quattro


macrocategorie: quella emotiva, quella cognitiva, quella motivazionale e infine quella
fisica e neurovegetativa.

• SINTOMI EMOZIONALI
La tristezza è molto comune a molti bambini depressi e deve essere analizzata in base ai
parametri di gravità e di durata. Infatti, i bambini con una depressione clinicamente
rilevante descrivono il loro sentimento di tristezza come un qualcosa di unico.
Un’altra caratteristica è la fluttuazione dell’umore durante il giorno e la rabbia.
Quest’ultima è un’emozione resistente al cambiamento e quindi risulta essere un sintomo
molto problematico, la cui gravità è collocabile su un continuum che va da lieve irritabilità
ai pensieri omicidi. È importante indagare quanto la rabbia sia connessa agli eventi
ambientali.
Un’ulteriore caratteristica è l’anedonia, ovvero la perdita delle risposte di piacere in
relazione ad avvenimenti.
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Lezione N°: 43/S1
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA
Attività N°: 01

• SINTOMI COGNITIVI
I bambini depressi tendono a valutare in modo negativo le loro prestazioni, le loro
capacità e le loro qualità personali. Questo sintomo deve essere valutato in termini di
gravità e non deve esser sottovalutato poiché le valutazioni costantemente negative
verso se stessi possono essere associate a tentativi e atti suicidari.
È da indagare poi il sentimento della disperazione, ovvero l’idea secondo la quale il futuro
potrà solo andare peggio di come sta andando il presente, che porta il bambino a
scoraggiarsi perché non vede una soluzione ai suoi problemi.
Vi è poi il senso di colpa, che viene considersato un sintomo cognitivo in quanto
connesso allo stile attributivo del bambino. Tipicamente una persona non si sente
colpevole se crede che sia stato qualcun altro a causare l’evento negativo. La ricerca
indica che bambini depressi tendono a fare attribuzioni negative interne (a sé), stabili e
globali.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 43/S1
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA
Attività N°: 01

• SINTOMI MOTIVAZIONALI
In primo luogo è da considerare la chiusura sociale del bambino che si manifesta
attraverso la diminuzione dei contatti che il soggetto ha con adulti o coetanei. Può
presentare una gravità che va da una moderata riduzione del tempo passato con altri,
fino a un evitamento dei contatti sociali on cui manca il riconoscimento dell’esistenza
degli altri.
Altri sintomi sono l’ideazione o i comportamenti suicidari (di solito dopo i 10 anni), che
possono essere stimati sulla base del contenuto dei pensieri in relazione al suicidio, e in
base al grado di disperazione dei pensieri del bambino.
In concomitanza con la depressione, molti bambini presentano un peggioramento del
rendimento scolastico, in quanto appaiono demotivati ad apprendere a conoscere.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 43/S1
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA
Attività N°: 01

• SINTOMI FISICI E NEUROVEGETATIVI


Un sintomo relativo a quest’area è quello dell’affaticamento che si riferisce alla
sensazione di stanchezza e/o alla mancanza di energia necessaria per agire. Questo
sintomo si manifesta nella forma più lieve come una leggera diminuzione dell’energia,
fino ad assumere forme più gravi impattando sulle attività quotidiane del bambino.
Il cambiamento dell’appetito può essere associato all’esordio della depressione; infatti la
perdita di peso è uno dei sintomi più comuni tra i bambini depressi.
Ci sono poi i sintomi psicosomatici che fanno riferimento a tutte quelle situazioni in cui il
bambino esprime il suo malessere attraverso dolori fisici.
In questa categoria rientrano poi i disturbi del sonno (che verranno approfonditi
successivamente)
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 43/S2
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA
Attività N°: 01

Quadri sintomatici in relazione all’età

I bambini depressi sono, dunque, bambini tristi, consapevoli di esserlo, anche se si può
assistere ad una negazione di tale tristezza che viene normalizzata o espressa in maniera
paradossale o poco chiara; sono preoccupati, spesso chiedono conferma agli altri
dell’amore che provano per loro, non riuscendo tuttavia ad esprimere il proprio bisogno di
amore, affetto e protezione. Sono bambini che non si divertono e non investono nel gioco,
apparendo come bambini annoiati e privi di interessi. Possono essere oppositivi, in
funzione di quella incapacità di esprimere bisogni e nell’incapacità di espressione e
gestione dell’aggressività con conseguente compromissione delle prestazioni scolastiche.
Sono relativamente frequenti le preoccupazioni e le fantasie sulla morte, che compaiono in
maniera eccessivamente precoce o atipica.
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Lezione N°: 43/S2
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA
Attività N°: 01
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Lezione N°: 43/S2
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA
Attività N°: 01
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Lezione N°: 43/S2
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA
Attività N°: 01
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 43/S2
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA
Attività N°: 01
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 43/S3
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA
Attività N°: 01

Fenomenologia in base all’età

Da quanto detto, risulta evidente quanto ogni sintomo dei disturbi depressivi possa
divenire lesivo di per sé. Tuttavia, il verificarsi di più sintomi in simultanea aggrava l’impatto
debilitante di ciascuno di essi. La necessità di poter realizzare una diagnosi attenta e
precoce, per lo psicologo dell’età evolutiva, diventa allora indispensabile per il buon esito
dell’intervento stesso.

È necessario introdurre una specifica per i sintomi depressivi in adolescenza. Infatti in


questo periodo i processi di maturazione dell’identità costituiscono la sfida primaria
dell’adolescente e caratterizzano questa età attraverso momenti di naturale instabilità
(depressione fisiologica) e l’espressione di riassetti critici dell’equilibrio interno in relazione
alle singole modalità di assimilare e riferire a sé l’esperienza vissuta. Quindi in questo
periodo evolutivo le fisiologiche variazioni dell’umore sono fondamentali per la maturazione
e strutturazione della personalità.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 43/S3
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA
Attività N°: 01

Sentimenti depressivi anche intensi, sono caratteristici di questo periodo dell’esistenza e


appartengono al processo di sviluppo in corso.
L'adolescente tende, generalmente, ad avere periodi di noia, disinteresse e scarsa
autostima, alternati, tuttavia, a momenti di piacere, passione e gioia.
Un genitore di un adolescente può quindi arrivare facilmente a chiedersi se l'umore
negativo del proprio figlio sia "normale" (considerando il periodo di crescita) oppure se
sia necessario consultare uno specialista.
Un importante criterio per questa decisione è la durata dei sintomi: se essi sono presenti
tutti i giorni per quasi tutto il giorno per la durata di due settimane, è possibile che si
tratti di un episodio depressivo. E’ inoltre importante considerare se i sintomi sono
presenti in un solo ambito (famiglia, scuola, amici) o se pervadono ogni ambito della vita
del ragazzo.
Tenete presente un altro aspetto importante: spesso gli adolescenti con depressione
inizialmente tendono a chiedere aiuto, perché faticano a sopportare la sofferenza
emotiva. Tuttavia, se prevale in loro il pensiero pessimistico, questi possono convincersi
che non sia possibile fare nulla e che sia quindi inutile chiedere aiuto e/o provare a
reagire.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 43/S3
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA
Attività N°: 01

Depressione e Attaccamento

Inoltre, considerando la possibile influenza dei modelli operativi interni dell’attaccamento


sui sintomi depressivi, è possibile sostenere che:
In letteratura, mentre non ci sono evidenze univoche sul rapporto tra attaccamento
evitante e sintomi depressivi, vi è un accordo nel ritenere il pattern di attaccamento
ansioso-ambivalente una condizione a rischio. Questo a causa delle strategie di
regolazione delle emozioni tipiche dei soggetti ansioso-ambivalenti.
La associazione tra attaccamento ansioso ambivalente e sintomi depressivi viene spiegata
attraverso il ruolo di mediazione svolto dalle strategie di iper-attivazione utilizzate da
questi soggetti. Queste strategie determinano una esagerata attenzione alle situazioni e
al comportamento degli altri allo scopo di analizzarli e anticipare eventuali difficoltà e
svalutazioni del sè.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 43/S3
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA
Attività N°: 01

Il senso di svalutazione e di disperazione comporta la svalutazione dei successi ottenuti e


d’altro canto la sopravvalutazione dei fallimenti. In questo modo si attivano scompensi
che si manifestano con una disperazione che tende ad essere generalizzata e a coprire
tutti i settori della propria esperienza. Gli scompensi sono caratterizzati tutti dalla rabbia
che li controlla in modo inadeguato, facendo oscillare il soggetto tra autoimputazioni e
autocommiserazione spingendolo potenzialmente verso comportamenti autodistruttivi.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 43/S3
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA
Attività N°: 01

Comorbidità

È possibile affermare che la patologia depressiva è caratterizzata quindi dalla presenza di


un certo numero di sintomi depressivi, associati a specifici sentimenti (i più comuni
sentimenti depressivi sono la tristezza, il senso di inadeguatezza, la vergogna, la paura di
non essere amati e/o accettati e, di conseguenza, la sensazione di esclusione dal gruppo,
il senso di colpa, l’incapacità nell’espressione e gestione della propria aggressività), di
durata ed intensità maggiori, tali da determinare una compromissione globale del
funzionamento cognitivo, emozionale e relazionale dell’individuo.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 43/S3
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA
Attività N°: 01

Numerose ricerche hanno dimostrato che, in età evolutiva, la sintomatologia depressiva si


presenta molto frequentemente associata ad altre patologie psichiatriche: i bambini e gli
adolescenti depressi presentano un altro problema psicopatologico associato. Le
comorbidità più frequenti sono:
• disturbi d’ansia,
• disturbi del comportamento
• abuso di sostanze
• disturbi di personalità
• disturbo da tic
• psicosi miste

Esiste, inoltre, un’elevata incidenza di patologia depressiva associata ai disturbi di


sviluppo, quali disturbi di linguaggio, disturbi di apprendimento verbali e non verbali,
ritardo mentale. Un’altra associazione frequente è quella tra disturbo depressivo e
disturbo dell’alimentazione.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 43/S3
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA
Attività N°: 01

Le interazioni complesse che si creano tra i vari sintomi, tra i sintomi e le variabili
connesse allo sviluppo e alla peculiarità delle risposte ambientali possono esercitare una
sorta di mascheramento o di distorsioni su ciascun sintomo, riducendo quindi la sua
significatività specifica in riferimento ai singoli quadri psicopatologici. Ciò rende sempre
molto difficile il riconoscimento di vere comorbidità e/o la diagnosi differenziale. Quasi
sempre, quando questo primo interrogativo viene risolto, rimane il problema di soppesare
il rapporto patogenetico e terapeutico fra i diversi nuclei psicopatologici individuati.
Peraltro, un disturbo associato alla patologia depressiva influisce sul funzionamento del
soggetto depresso e conseguentemente sui tempi di riconoscimento del disturbo, sulla
scelta ed i tempi dell’intervento.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 43/S3
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA
Attività N°: 01

È necessaria, pertanto, una corretta analisi del profilo di sviluppo del singolo bambino per
una appropriata comprensione del quadro clinico e per valutare le priorità degli interventi
nei diversi momenti del percorso evolutivo.
Infatti, la molteplicità dei fattori che intervengono nella strutturazione della patologia
depressiva rende complesso effettuare una diagnosi e creare dei percorsi ad hoc per il
singolo individuo, ma proprio perché si è consci di questa complessità è necessario
prendere in considerazione sin da subito tutti i sintomi del soggetto.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 44
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA 2
Attività N°: 01

Fattori associati all’esordio

In questa e nelle prossime lezioni analizzeremo i fattori associati all’esordio del disturbo
depressivo in età evolutiva.

Il contenuto delle slide va integrato sul testo obbligatorio di Di Pentima: Percorsi di


sviluppo normale e patologico in età evolutiva.
Il contenuto delle lezioni è tratto dalle linee Guida Sinpia sui disturbi depressivi in età
evolutiva
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 44
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA 2
Attività N°: 01

I fattori biologici

Negli ultimi anni sono stati fatti molti passi in avanti nello studio dei fattori biologici
associati all’esordio della depressione in età evolutiva.
Il punto di partenza è l’idea secondo la quale la depressione è una malattia eterogenea
derivante da una disfunzione di differenti sistemi neurotrasmettitoriali, metabolici,
endocrini.
La maggior parte delle teorie biologiche si focalizza su anomalie in uno o più dei sistemi
neurochimici cerebrali che si localizzano in aree celebrali coinvolte nella regolazione
affettiva.

In queste e nelle prossime slide, saranno considerate diverse evidenze dal punto di
vista neurobiologico, quelle genetiche, neurochimiche, neurofisiologiche e di
neuroimmagine.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 44
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA 2
Attività N°: 01

• Le evidenze empiriche:
Studi longitudinali sono stati in grado di dimostrare che nei figli di soggetti affetti da
depressione c’è un rischio di 3 volte maggiore di contrarre il disturbo depressivo e 6 volte
maggiore per il disturbo distimico, rispetto alla popolazione generale. Connesso a questi,
c’è un rischio maggiore di sviluppare altre patologie neuropsichiatriche in comorbidità con
i disturbi depressivi. Gli studi sui gemelli avvalorano l’ipotesi genetica nella eziopatogenesi
della depressione. Studi su gemelli omozigoti hanno messo in evidenza valori di
concordanza pari al 76% se cresciuti insieme e del 67% se cresciuti separatamente,
mentre, nei gemelli dizigoti, tali valori si aggirano intorno al 19%

Questi dati sono un punto di partenza che spinge ad andare oltre per comprendere
quanto questi sintomi siano riconducibili a motivazioni di natura genetica e quanto a
motivazioni di natura ambientale.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 44
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA 2
Attività N°: 01

Infatti, se il maggior rischio depressivo può essere attribuito ad una maggiore “incidenza
depressiva” nell’albero genealogico familiare, è fuori dubbio che le modalità relazionali di
un genitore malato, nonché le assenze prolungate per eventuali ricoveri e la riduzione dei
contatti sociali dell’intero nucleo familiare aumentino tale rischio.

E’, inoltre, da considerare, non solo la possibile diretta eziologia genetica del disturbo
depressivo, ma anche un indiretto effetto genetico sullo sviluppo cognitivo-emotivo-
relazionale del soggetto che condiziona le sue esperienze di vita.

A questo proposito studi di genetica molecolare hanno individuato diverse regioni


cromosomiche di suscettibilità per i disturbi dell’umore e hanno evidenziato associazioni
preferenziali tra depressione maggiore e alcuni polimorfismi genici.
In particolare, molti sono gli studi sul gene trasportatore della serotonina (infatti la
maggior parte degli antidepressivi agisce proprio su questa proteina) localizzato sul
cromosoma 17.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 44
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA 2
Attività N°: 01

Sono state studiate due varianti del polimorfismo di questo gene, la variante long e la
variante short.

La variante long incide sulle dimensioni dell’ippocampo, comportandone una riduzione


significativa.

La variante short incide invece su molti più parametri:


• variazioni nella risposta dell’amigdala a stimoli che determinano una risposta
emozionale
• riduzione dei circuiti che regolano l’umore, es. delle connessioni tra amigdala e cingolo
anteriore
• modificazione della riposta agli eventi, con maggiore probabilità di sviluppare u disturbo
depressivo in risposta a stressors ambientali
• maggiore severità dei sintomi depressivi e aumentato rischio suicidario
• temperamento ansioso e maggiore gravità dell’ansia associata a depressione
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 44/S1
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA 2
Attività N°: 01

Fattori associati all’esordio: evidenze endocrine

•Asse ipotalamo-ipofisi surrene


Insieme alle anomalie neurotrasmettitoriali, quella dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene è la
seconda ipotesi biologica maggiormente studiata. Vari dati, infatti, connettono la
depressione ad alterazioni endocrine e elevati livelli di cortisolo.
Il cortisolo è l’ormone che regola lo stress e viene secreto nei momenti di stress per
preparare l’organismo a fronteggiare eventuali minacce, ma un eccesso di questo
ormone produce sintomi simili a quelli depressivi.

Le anomalie endocrine che producono un’eccessiva quantità di cortisolo derivano da un


mancato funzionamento dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, ovvero del sistema che
controlla la reattività dell’organismo allo stress
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 44/S1
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA 2
Attività N°: 01

Secondo alcuni studiosi, nel corso dello sviluppo infantile, nei momenti critici in cui gli
eventi possono influenzare le strutture del cervello in via di strutturazione, un evento
stressogeno importante (ad esempio maltrattamenti, abbandoni, assenza di supporto
genitoriale)può modificare il compromesso meccanismo omeostatico che regola
l’adattamento allo stress portando a una disfunzione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 44/S1
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA 2
Attività N°: 01

Fino ad ora sono state descritte e analizzate:


• Le evidenze genetiche
• Le evidenze neurobiologiche, nello specifico:
L’ipotesi aminergica (anomalie neleurotrasmettitoriali)
L’asse ipotalamo-ipofisi surrene (anomalie endocrine)

Nelle slide seguenti verranno esposte le rimanenti evidenze:


• Le evidenze neurofisiologiche
• Le evidenze di neuroimmagine
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 44/S1
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA 2
Attività N°: 01

• Le evidenze neurofisiologiche
Nei pazienti ricoverati sono state evidenziate delle anomalie nel sonno. Tra queste
anomalie registrate sono incluse: il disturbo della continuità del sonno, la riduzione delle
fasi 3 e 4 del sonno non REM, ridotta la durata del sonno non REM, l’aumento del sonno
REM soprattutto nella prima parte della notte.
Tali anomalie possono persistere dopo la remissione o precedere l’esordio e sono più
frequenti nei pazienti con familiarità depressiva. I pazienti che presentano queste
anomalie rispondono meglio alla farmacoterapia.
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Lezione N°: 44/S1
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA 2
Attività N°: 01

Infatti, si è visto che in età evolutiva i disturbi del sonno costituiscono uno dei più
frequenti motivi di consultazione per il pediatra. Tali disturbi possono costituire un’entità
primaria oppure essere associati a un disturbo organico (ad esempio asma, obesità) o
psichiatrico (disturbo da deficit di attenzione/iperattività, disturbi d’ansia o dell’umore).
I disturbi del sonno (che saranno approfonditi successivamente) rientrano, infatti, tra i
sintomi descritti nei quadri sintomatici della depressione in età evolutiva, sia quando il
bambino è molto piccolo (età inferiore ai 3 anni), sia quando il bambino è in età
prescolare (età compresa tra i 3 e i 5 anni) e scolare (età compresa tra i 6 e gli 11 anni),
sia quando raggiunge l’età adolescenziale.
Un dato da tenere in considerazione è l’incidenza dei disturbi del sonno tra la popolazione
dei soggetti in età evolutiva: si consideri che il sonno “disturbato” è un problema che
viene riportato all’attenzione del pediatra con una certa frequenza e i dati della letteratura
confermerebbero l’alta prevalenza dell’insonnia nella popolazione pediatrica.
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Lezione N°: 44/S
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA 2
Attività N°: 01

Fattori associati all’esordio: evidenze endocrine

Asse ipotalamo-ipofisi surrene


Insieme alle anomalie neurotrasmettitoriali, quella dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene è la
seconda ipotesi biologica maggiormente studiata. Vari dati, infatti, connettono la
depressione ad alterazioni endocrine e elevati livelli di cortisolo.
Il cortisolo è l’ormone che regola lo stress e viene secreto nei momenti di stress per
preparare l’organismo a fronteggiare eventuali minacce, ma un eccesso di questo
ormone produce sintomi simili a quelli depressivi.

Le anomalie endocrine che producono un’eccessiva quantità di cortisolo derivano da un


mancato funzionamento dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, ovvero del sistema che
controlla la reattività dell’organismo allo stress
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Lezione N°: 44/S
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA 2
Attività N°: 01

Secondo alcuni studiosi, nel corso dello sviluppo infantile, nei momenti critici in cui gli
eventi possono influenzare le strutture del cervello in via di strutturazione, un evento
stressogeno importante (ad esempio maltrattamenti, abbandoni, assenza di supporto
genitoriale)può modificare il compromesso meccanismo omeostatico che regola
l’adattamento allo stress portando a una disfunzione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 44/S
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA 2
Attività N°: 01

Fino ad ora sono state descritte e analizzate:


• Le evidenze genetiche
• Le evidenze neurobiologiche, nello specifico:
L’ipotesi aminergica (anomalie neleurotrasmettitoriali)
L’asse ipotalamo-ipofisi surrene (anomalie endocrine)

Nelle slide seguenti verranno esposte le rimanenti evidenze:


• Le evidenze neurofisiologiche
• Le evidenze di neuroimmagine
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 44/S
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA 2
Attività N°: 01

• Le evidenze neurofisiologiche
Nei pazienti ricoverati sono state evidenziate delle anomalie nel sonno. Tra queste
anomalie registrate sono incluse: il disturbo della continuità del sonno, la riduzione delle
fasi 3 e 4 del sonno non REM, ridotta la durata del sonno non REM, l’aumento del sonno
REM soprattutto nella prima parte della notte.
Tali anomalie possono persistere dopo la remissione o precedere l’esordio e sono più
frequenti nei pazienti con familiarità depressiva. I pazienti che presentano queste
anomalie rispondono meglio alla farmacoterapia.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 44/S
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA 2
Attività N°: 01

Infatti, si è visto che in età evolutiva i disturbi del sonno costituiscono uno dei più
frequenti motivi di consultazione per il pediatra. Tali disturbi possono costituire un’entità
primaria oppure essere associati a un disturbo organico (ad esempio asma, obesità) o
psichiatrico (disturbo da deficit di attenzione/iperattività, disturbi d’ansia o dell’umore).
I disturbi del sonno (che saranno approfonditi successivamente) rientrano, infatti, tra i
sintomi descritti nei quadri sintomatici della depressione in età evolutiva, sia quando il
bambino è molto piccolo (età inferiore ai 3 anni), sia quando il bambino è in età
prescolare (età compresa tra i 3 e i 5 anni) e scolare (età compresa tra i 6 e gli 11 anni),
sia quando raggiunge l’età adolescenziale.
Un dato da tenere in considerazione è l’incidenza dei disturbi del sonno tra la popolazione
dei soggetti in età evolutiva: si consideri che il sonno “disturbato” è un problema che
viene riportato all’attenzione del pediatra con una certa frequenza e i dati della letteratura
confermerebbero l’alta prevalenza dell’insonnia nella popolazione pediatrica.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 44/S3
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA 2
Attività N°: 01

Fattori associati all’esordio

• Le evidenze di neuroimmagine
Gli studi di neuroimmagine (che saranno analizzati successivamente) mostrano come nel
corso della depressione ci sia una forte iperattività dell’amigdala, una diminuita attività
della corteccia prefrontale, del giro del cingolo anteriore e dell’ippocampo. Tali pattern di
attivazione si accordano con le evidenze cliniche che suggeriscono una risposta
emozionale talmente intensa a determinati stimoli, che non viene controbilanciata
adeguatamente dai sistemi celebrali coinvolti nel valutare costi e benefici, nel formulare
piani di azione, nel valutare decisioni, nel perseguire un obiettivo in presenza di una data
emozione.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 44/S3
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA 2
Attività N°: 01

Studi di neuroimmagine funzionale, in soggetti con disturbi dell’umore, hanno evidenziato


delle variazioni del volume, del flusso e del metabolismo a livello di diverse strutture
celebrali. Nei bambini, così come negli adulti. È stata evidenziata una riduzione del
volume della sostanza grigia nell’area della corteccia prefrontale, con un aumento del
flusso e del metabolismo a livello dell’area orbitale e una riduzione nell’area dorso-
mediale, dorso-antero-laterale e nel cingolo anteriore.

Nello specifico vediamo cosa accade nei bambini.


Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 44/S3
Titolo: PATOLOGIA DEPRESSIVA IN ETÀ EVOLUTIVA 2
Attività N°: 01

Studi effettuati su bambini depressi hanno evidenziato una significativa riduzione del
volume dell’amigdala. Tale alterazione non risulta correlata alla gravità dei sintomi
depressivi, all’età d’esordio, alla durata della malattia Il flusso e il metabolismo
dell’amigdala nei bambini depressi appare consistentemente aumentato rispetto alla
popolazione generale.

A differenza dell’adulto, sono stati effettuati pochi studi sulle alterazioni morfofunzionali a
livello dell’ippocampo nei bambini. Al momento attuale i dati sono discordanti: alcuni
autori evidenziano, infatti, una riduzione, altri nessuna variazione volumetrica
significativa.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 45
Titolo: Sintomi Depressivi E Disturbi Del Sonno: Fattori Di Rischio E Strategie Di Intervento
Attività N°: 1

RIPASSO ED ESERCITAZIONE

In questa lezione, di ripasso ed esercitazione, troverete un articolo dal titolo:

Psicopatologia del disturbo ossessivo-compulsivo atipico in età evolutiva: esame di quattro casi
clinici
Autori: G. Catone1 , P. Bernardo1 , S. Pisano1 , A. Pascotto1 , A. Gritti2

Vi chiedo di leggerlo con attenzione e successivamente di discutere i 4 casi clinici alla luce di
quanto indicato (approcci teorici e descrizione clinica) sul volume di Di Pentima
Original article • Articolo originale

Psicopatologia del disturbo ossessivo-compulsivo atipico in età evolutiva:


esame di quattro casi clinici
Psychopathology of unusual obsessive-compulsive disorder in childhood:
review of four clinical cases
G. Catone1, P. Bernardo1, S. Pisano1, A. Pascotto1, A. Gritti2
1
Dipartimento di Psichiatria, Neuropsichiatria infantile, Audiofoniatria e Dermatovenereologia; Seconda Università di Napoli (S.U.N), Napoli;
2
Neuropsichiatria Infantile, Facoltà di Scienze dell’ Educazione, Università Suor Orsola Benincasa, Napoli

Summary Results
Early onset obsessive-compulsive disorder often shows atypical
Objective features that make the nosographic collocation difficult.
We present four clinical cases of young patients with “unusual”
obsessive-compulsive disorder (OCD), considering the unequiv- Conclusions
ocal evidence suggesting the existence of possible overlaps be- The uncertain border between obsessive ideas, prevailing ideas
tween psychotic disorders and OCD symptoms. and psychotic symptoms such as delusions and/or thought dis-
order, leads to both diagnostic and therapeutic considerations.
Methods
We describe patients to define psychopathological features of Key words
symptoms. Obsessive ideas • Prevailing ideas • Delusions • Thought disorder • De-
velopmental psychopathology

Aspetti storici e psicopatologici del DOC sano organizzazioni psicopatologiche diverse nell’ambito
sia delle nevrosi che delle psicosi. L’ideazione ossessiva
Il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) è classificato dal è generalmente seguita da comportamenti ritualizzati ri-
DSM-IV-TR all’interno dei disturbi d’ansia ed è conside- petitivi, finalistici e volontari, detti ‘‘compulsioni’’, che
rato un disturbo cronico e invalidante con alcune caratte- il paziente mette in atto per lenire l’ansia provocata dal
ristiche cliniche e psicopatologiche peculiari 1. Il DOC è pensiero ossessivo.
un disturbo tutt’altro che raro e presenta una prevalenza La presenza di sintomi ossessivo-compulsivi all’interno
lifetime compresa tra l’1,9 e il 3% nella popolazione ge- di quadri clinici di Schizofrenia, così come il riscontro di
nerale  2 3. È caratterizzato dalla presenza di idee ossessi- sintomi psicotici in un DOC, è stata identificata da diversi
ve che sono considerate da Schneider  4 come fenomeni Autori fin dal secolo scorso 5. C’è una crescente evidenza
di coazione, ove per coazione si intende la coscienza a che i pazienti con comorbidità tra DOC e la schizofrenia
essere guidati. Le ossessioni hanno delle caratteristiche (entità recentemente definita “schizo-ossessiva”) sembra-
psicopatologiche ben precise che le differenziano dalle no avere modelli distinti di psicopatologia, comorbilità
idee prevalenti e dai deliri, queste caratteristiche possono psichiatrica, deficit neurocognitivi e risposta al trattamen-
essere riassunte in estraneità del contenuto, iteratività e to, suggerendo l’esistenza di un sottogruppo separato nel-
persistenza e incoercibilità, ovvero l’impossibilità al con- lo spettro della schizofrenia 6 7.
trollo da parte del soggetto che è esposto a tale ideazione Sebbene l’idea ossessiva sia classicamente descritta come
contro la propria volontà. Sebbene la distinzione tra idee egodistonica e della cui abnormità e insensatezza l’indi-
ossessive, idee prevalenti e deliri sia precisa da un punto viduo è sempre consapevole, già autori quali Schneider 5
di vista psicopatologico, nella pratica clinica talvolta è dif- o Lewis  8 osservarono che non tutti i pazienti affetti da
ficile stabilire l’esatto confine tra queste e per tale motivo ossessioni sono in grado di completa critica nei confronti
si è introdotto il concetto di “spettro” dei fenomeni osses- di esse. Questi ultimi hanno messo in evidenza che in
sivo-compulsivi, ove per spettro si intende un continuum alcuni pazienti con DOC la capacità di critica e di resi-
attraverso il quale i sintomi ossessivo-compulsivi attraver- stenza nei confronti dei sintomi decresce fino a scompa-

Correspondence
Pia Bernardo, Seconda Università di Napoli, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Via Pansini, 5, Napoli, Italia• Tel. +39 081 5666698 • E-mail: pia.
bernardo84@gmail.com

376 Journal of Psychopathology 2012;18:376-382


Psicopatologia del disturbo ossessivo-compulsivo atipico in età evolutiva: esame di quattro casi clinici

rire. Jaspers  9 e Lewis  8 differenziavano le ossessioni dai momento che i bambini spesso non hanno comprensione
pensieri deliranti sulla base della presenza o assenza di dell’ estraneità delle loro idee e dell’irrazionalità delle
insight. Uno studio sistematico su tale problema è stato loro azioni  24. I risultati di un recente studio sul DOC in
condotto da Insel e Akiskal  10 che hanno descritto alcu- età pediatrica suggeriscono che la prognosi dei bambini
ni casi di pazienti con DOC, i quali durante la malattia con scarso insight è peggiore di quella dei bambini con
hanno presentato dei deliri inquadrabili o come disturbo consapevolezza adeguata alla luce della possibilità di
affettivo o come stato paranoide. Gli autori hanno defi- sviluppare, andando avanti nel tempo, un quadro clinico
nito questi fenomeni come transitori di un DOC partico- che soddisfa i criteri per la schizofrenia o altri disturbi
larmente grave in quanto caratterizzato da mancanza di psichiatrici 25 26. Dai dati di letteratura emerge infatti che
insight, ansia, da una “maniera delirante” di resistere alle il DOC in giovane età può precedere la comparsa di al-
ossessioni, dalla presenza di relazioni familiari conflit- tri disturbi, quali schizofrenia, disturbi dell’umore di tipo
tuali e da personalità di tipo schizotipico. Da un analisi bipolare e disturbi di personalità 27.
degli studi finora effettuati emerge che i pazienti con dia- L’altro importante aspetto riguarda il trattamento in età
gnosi di DOC con tratti psicotici presentano un esordio evolutiva, vista la maggiore frequenza di fallimento del-
più precoce dei sintomi e una maggiore durata di malat- le comuni terapie  23. Da un lavoro del 2008, nel quale
tia  11, un’ anamnesi familiare positiva per disturbi dello sono state studiate le caratteristiche cliniche del DOC in
spettro schizofrenico e un anamnesi personale positiva età evolutiva resistente alla terapia, sono emerse alcune
per disturbi neuropsichiatrici nell’infanzia  12 una preva- importanti caratteristiche: i piccoli pazienti (campione
lenza nel sesso maschile, un esordio in età più giovane di 60 bambini dai 7-17 anni) con DOC resistenti al tra-
e un maggiore deterioramento funzionale 13. In passato si dizionale trattamento farmacologico (inibitori della ri-
è quindi parlato di “psicosi ossessiva”  14 11, poi di “DOC captazione della serotonina) hanno mostrato una mag-
con idee prevalenti”  15  16, quindi di “DOC con aspetti giore compromissione funzionale e gravità del quadro
psicotici”  10  17 e, più recentemente, di “DOC con scar- clinico, con livelli particolarmente elevati di sintomi di
so insight”  15 18 19. Il sistema attuale di classificazione dei internalizzazione ed esternalizzazione e maggiore fre-
disturbi mentali (DSM-IV-TR) riconosce all’interno del quenza di sintomi depressivi. È inoltre emerso un consi-
DOC una sottocategoria, definita come DOC con pre-
stente impatto ambientale, legato soprattutto a dinami-
senza di scarso insight, che deve essere utilizzata qualo-
che familiari particolarmente stressanti, con maggiore
ra la sintomatologia riveli alcune differenze con il DOC
incidenza di DOC in altri membri della famiglia. Difatti
tipico  18. Viceversa L’ICD 10 riconosce che all’interno
il lavoro di Storch et al. suggerisce che tali pazienti po-
della schizofrenia possano essere menzionati dei sintomi
trebbero beneficiare di interventi più intensivi su tutto il
ossessivo compulsivi 20.
nucleo familiare 24 25.
Resta da capire se il DOC in età evolutiva, spesso con
Il DOC in età evolutiva scarso insight, spesso resistente alla terapia tradiziona-
La questione è più complessa nel caso di DOC in età le, nonché possibile precursore di patologie importanti,
precoce. Nonostante l’evidenza di una elevata fre- non rappresenti sin dall’esordio una manifestazione fe-
quenza di DOC in età infantile (1-2% di bambini e notipica di un sottostante disturbo più complesso, che
adolescenti) 2 e progressi diagnostico-terapeutici, sono va dai disturbi di personalità a veri e propri disturbi de-
necessarie ulteriori ricerche per comprendere l’ezio- liranti. Un interessante studio di Meyer et al., propo-
patogenesi della malattia in una età cosi precoce. Nel ne un filone di ricerca per l’identificazione di quadri
2005, van Grotheest e colleghi hanno esaminato la psicopatologici, che definisce come prodromi, in ado-
letteratura e concluso che, nei bambini, i sintomi os- lescenti a rischio di psicosi. Sebbene la matrice della
sessivi-compulsivi sono ereditari, con influenze gene- sintomatologia in questi pazienti sia molto ampia e di
tiche nel range del 45-65%. Dalle attuali conoscenze difficile classificazione nosografica tramite gli strumen-
emerge una maggiore frequenza di anamnesi familiare ti diagnostici e di valutazione standardizzata, lo studio
positiva per malattia psichiatrica 22 23. I sintomi riportati prospetta la possibilità di descrivere una sintomatologia
da bambini sono simili a quelli riscontrati tra gli indi- “sottosoglia” e di considerare la denominazione di “sin-
vidui che sviluppano DOC in età adulta, e i due gruppi tomi prodromici di psicosi” come entità clinica ricono-
di pazienti sono trattati con terapie comportamentali e sciuta e degna di considerazione 26.
farmacologiche simili. Tuttavia ci sono delle differenze La ricerca futura dovrebbe esaminare le potenziali ca-
importanti dal punto di vista diagnostico, terapeutico ratteristiche neurobiologiche associate a esordio preco-
e prognostico 21. ce di DOC. La diagnosi precoce e la gestione delle co-
In primo luogo il concetto di insight è particolarmente morbidità può compensare menomazioni più tardi nella
rilevante nella diagnosi di DOC a esordio precoce, dal vita 27.

377
G. Catone et al.

Obiettivi del lavoro sce con crisi di agitazione intensa, alle quali seguo-
no giustificazioni che mettono in luce la presenza di
Il nostro lavoro ha lo scopo di distinguere le forme di una ideazione coatta che la costringe ad assumere tali
DOC con caratteristiche tipiche, con o senza insight, da comportamenti. La madre la descrive da sempre come
DOC “insoliti”, dove la presenza di scarsa consapevo- una bambina dal temperamento rigido e abitudinario.
lezza di malattia potrebbe essere legata ad alterazioni Sin da piccola ha presentato dei comportamenti com-
psicopatologiche più complesse. Queste ultime forme pulsivi, ma in maniera fluttuante. La relazione con i
potrebbero spiegare la scarsa risposta alla terapia di molti genitori si caratterizza per un rapporto con la madre
pazienti con diagnosi precoce di DOC 21 e rappresentare di profondo attaccamento emotivo che si manifesta
quel gruppo di pazienti con prognosi peggiore in quanto con una intensa ricerca di contatto fisico; il rapporto
il DOC celerebbe la presenza di disturbi di tipo psico- con il padre, anche egli affetto da DOC, appare am-
tico. L’idea che questi casi di DOC “insolito” possano bivalente tra manifestazioni di affetto e atteggiamenti
rappresentare una forma di DOC con componente psi- volti al controllo e spesso il padre diviene per Angela
cotica ha implicazioni importanti nella gestione clinica oggetto stesso delle idee ossessive. La valutazione psi-
di tali pazienti in quanto, qualora questo fosse corretto, codiagnostica si è avvalsa di una batteria di test e scale
dovremmo essere pronti ad avviare una riflessione sulla standardizzate comunemente utilizzati per l’età evo-
possibilità di strategie terapeutiche e farmacologiche dif- lutiva. Alla WISC-R risulta un Q.I.T. di 93 (Q.I.V. 91,
ferenti. Q.I.P. 98); alla CBCL 6-18, ha ottenuto alla Sindrome
In questo lavoro è proposta la descrizione di quattro casi Scale Scores, punteggi borderline alle scala Anxious/
clinici nel tentativo di apportare un contributo alla defini- Depressed (t score 65-b) e Attention Problems (t score
zione del sottile confine che intercorre tra DOC e disturbi 66-b) e punteggi clinici alla scala Thought Problems (t
psicotici. La diagnosi è stata svolta secondo l’approccio score 75-c); alla Internalizing, Externalizing, Total Pro-
standard neuropsichiatrico infantile che include colloqui blems, Other Problems, punteggi borderline alle scale
clinici con i pazienti e con i genitori, valutazione intel- Internalizing Problems (t score 61-b) e Total Problems
lettiva, scale Wechsler 28, reattivi mentali proiettivi, The- (t-score 62-b). La K-SADS-PL somministrata ai genitori
matic Apperception Test (TAT)  29 e Rorschach  30, e scale è risultata positiva alle aree DOC e disturbo d’ansia da
di valutazione strutturate e semistrutturate Schedule for separazione.
Affective Disorder and Schizophrenia (K-SADS-PL)  31 e Globalmente emerge una moderata alterazione del
Child Behavior Checklist (CBCL) 32. La diagnosi viene for- pensiero, spesso non coerente con il contesto, intensa
mulata in base ai criteri del DSM-IV-TR ed è integrata da angoscia di frammentazione sottesa ai rituali bizzarri
un profilo strutturale. e un difetto che riguarda la struttura del Sé (confine,
continuità, tempo, ritmo). È possibile ipotizzare che
Caso clinico 1: un DOC a esordio precoce le compulsioni di raccolta e conservazione abbiano la
funzione di evitare la comparsa di angoscia di fram-
Angela è una bambina di 7 anni, figlia unica, con po- mentazione corporea, nel contesto di un confine cor-
sitività all’anamnesi familiare per malattia psichiatri- poreo mal definito e diffuso che include oggetti venuti
ca: DOC nel padre. Inserita alla scuola materna all’età a contatto con il corpo e parti del proprio stesso corpo.
di quattro anni con ansia di separazione, attualmente Il bisogno di scattare e conservare fotografie (caratteri-
frequenta la I elementare con buon profitto e discreta stica anche paterna) svelerebbe una necessità di con-
socializzazione. Giunge alla nostra osservazione per trollo sul tempo. È difficile stabilire quanto l’assenza
una sintomatologia insorta da circa tre mesi, caratteriz- di insight sia legata alla giovane età o a componenti
zata da: compulsioni di raccolta e conservazione sia di psicopatologiche più complesse, tuttavia la presenza
oggetti venuti a contatto con il proprio corpo (salviette, di uno sviluppo psicoaffettivo difettuale con particola-
briciole, stoviglie di plastica, cibo rigurgitato), che de- re riguardo alla struttura del Sé, farebbero propendere
vono essere riposti in appositi sacchetti, sia di parti del per la seconda ipotesi. Durante il ricovero è stato in-
proprio corpo (non vuole che vengano gettate unghia o trapreso un programma terapeutico di tipo cognitivo
capelli e non vuole che si tiri lo sciacquone dopo aver comportamentale volto all’attenuazione dei sintomi
urinato o defecato), manifesta anche ostinato rifiuto a e a una maggiore accettazione ed elaborazione degli
lavarsi. Angela raccoglie in contenitori, che devono stati ansiosi a cui la bambina ha risposto in maniera
essere tutti della stessa misura, fotocopie e fotografie discreta, favorendo le spinte evolutive e l’apertura alle
di oggetti o di se stessa ritratta in particolari momenti; relazioni. Angela è stata dimessa con diagnosi di DOC
è inoltre presente una forte selettività alimentare alla e Disturbo d’ansia da separazione e prescritta psico-
cui base vi è una ideazione di tipo ossessivo. Qualora terapia individuale e sostegno psicologico alla coppia
non siano soddisfatte queste richieste, Angela reagi- genitoriale.

378
Psicopatologia del disturbo ossessivo-compulsivo atipico in età evolutiva: esame di quattro casi clinici

Caso clinico 2: DOC con idee prevalenti una terapia con acidi grassi omega 3 e a psicoterapia di
sostegno alla coppia genitoriale. La terapia farmacologi-
Francesco Paolo è un ragazzo di 15 anni ed è il terzo di ca è stata rifiutata dai genitori.
tre fratelli. Viene riferita familiarità psichiatrica per DOC
nel nonno paterno e nel fratello maggiore, disturbi del
comportamento e d’ansia nel padre e storia di depressio- Caso clinico 3: DOC con aspetti psicotici
ne nella nonna materna. Nato a termine da taglio cesa- Alessandro ha 12 anni, primogenito di due fratelli. È rife-
reo, con riferita lieve sofferenza perinatale. Lo sviluppo rita familiarità psichiatrica per DOC nel nonno paterno e
psicomotorio è nella norma, non rilevanti le patologie nonna materna; la madre soffre di disturbo depressivo in
internistiche, l’inserimento presso la scuola materna è trattamento farmacologico e psicoterapia. Scolarizzato a
stato a due anni e mezzo senza ansia di separazione, at- 18 mesi, ha presentato ansia di separazione. Attualmen-
tualmente frequenta il secondo anno dell’istituto tecnico te frequenta la II media con alcune difficoltà. Giunge alla
commerciale con sufficiente profitto. L’esordio della sin- nostra osservazione con un quadro clinico caratterizzato
tomatologia attuale risale a pochi mesi prima della con- da idee ossessive somatiche (eccessiva preoccupazione
sultazione, in seguito a un vissuto traumatico (suicidio di centrate su parti del proprio corpo o sul proprio aspetto),
un conoscente del posto). Riferisce idee ossessive a con- legate alla convinzione di essere portatore di odori sgra-
tenuto aggressivo (paura di far male a se stesso o di non ri- devoli. Tale ideazione ossessiva genera compulsioni di
uscire a controllare impulsi indesiderati) o a contenuto di lavaggio e pulizia: Alessandro si lava più volte al giorno
simmetria e ordine (paura che possa succedere qualcosa ed è molto attento alla cura del vestiario. L’atteggiamento
di brutto se le cose non vanno nell’ordine giusto). A tali di fronte a tali condotte è soggetto a fluttuazioni, passan-
pensieri seguono di solito compulsioni di iterazione volte do da livelli di egosintonicità, a fasi di rottura ed emersio-
ad annullare lo stato di angoscia. Da qualche mese è pre- ne di insight. Alla WISC-R risulta un Q.I.T. di 102 (Q.I.V.
sente inoltre una regressione psicoaffettiva con maggiori 109, Q.I.P. 95). Alla CBCL 6-18, ha ottenuto alla Sindrome
richieste d’affetto e progressiva chiusura alle relazioni so- Scale Scores, punteggi borderline alle scala Withdrawn/
ciali. Il paziente descrive le idee ossessive come assurde Depressed (t score 66-b) e punteggi clinici alla scala An-
nel contenuto, intrusive e incontrollabili. Nonostante la xious/Depressed (t score 78-c), Somatic Complaints (t sco-
presenza di insight delinei un quadro abbastanza tipico, re 76-c), Social Problems (t score 75-c), Thought Problems
alcuni elementi associati rendono il caso di particolare (t score 72-c), Attention Problems (t score 86-c), Aggressive
interesse perché il DOC tipico si associa a segni di “pre- Behaviour (t score 83-c); alla Internalizing, Externalizing,
psicosi”. Infatti l’ideazione ossessiva è completamente Total Problems, Other Problems Scale, punteggi clinici
pervasa da aspetti legati all’evento traumatico, la cui ela- alle scale Internalizing Problems (t score 75-c), Externali-
borazione interessa la maggior parte della vita interiore zing Problems (t score 73-c) e Total Problems (t-score 77-
del soggetto, assumendo in alcuni casi la forma di una c). La K-SADS-PL somministrata ai genitori e al paziente è
idea prevalente. Inoltre, il paziente si mostra confuso, risultata positiva all’area DOC e ad alcune caratteristiche
perplesso, talvolta disorganizzato (dato confermato al associate all’area psicotica (comportamenti marcatamente
test di Rorschach), povero nel linguaggio come affetto da bizzarri, compromissione del funzionamento scolastico,
un iniziale impairment cognitivo che si affianca a un de- linguaggio vago, esperienze percettive inusuali). Questo
cadimento nel funzionamento sociale (non esce più con caso è stato descritto per le intense fluttuazioni del livello
piacere) e ad aspetti di derealizzazione e sensazione di di insight del paziente con idee “ossessive” che talvolta as-
cambiamento soggettivo e oggettivo (come emerge dal sumono il carattere di riferimento o francamente paranoi-
test SPI-CY) 33. Alla WISC-R risulta un Q.I.T. di 72 (Q.I.V. dee. Alessandro appare confuso e perplesso, i contenuti
87, Q.I.P. 61). Alla CBCL 6-18, ha ottenuto alla Sindrome del pensiero legati all’odore corporeo risultano invasivi e
Scale Scores, punteggi borderline alle scale Withdrawn/ occupano gran parte della vita immaginativa del sogget-
Depressed (t score 64-b) e Social Problems (t score 63-b) to, con intensa sofferenza di fondo che genera sentimenti
e punteggi clinici alla scala Thought Problems (t score 75- depressivi e talvolta negazione circa la propria situazione.
c); alla Internalizing, Externalizing, Total Problems, Other Il nucleo psicopatologico principale di Alessandro è il di-
Problems Scale, punteggi clinici alle scale Internalizing sturbo del pensiero che allo stato attuale tende a collocarsi
problems (t score 78-c) e Total Problems (t-score 73-c). al limite tra l’idea ossessiva e quella delirante, inoltre la
La K-SADS-PL somministrata ai genitori e al paziente è presenza di disturbi percettivi (sentire odori in assenza di
risultata positiva all’area DOC uno stimolo), nonché disturbi formali del pensiero rendo-
La diagnosi di dimissione è stata: DOC cui è sottesa una no il quadro maggiormente complicato rispetto al DOC
struttura psichica con aree di vulnerabilità. È stata dunque classico. Alessandro è stato dimesso con diagnosi di DOC
prescritta psicoterapia individuale associata a una terapia in soggetto con tratti schizotipici di personalità ed è stata
farmacologica con fluvoxamina (50 mg/die), associata a prescritta psicoterapia individuale di tipo cognitivo com-

379
G. Catone et al.

portamentale associata a psicoterapia di sostegno alla cop- Discussione


pia genitoriale.
I dati clinici descritti offrono lo spunto per alcune rifles-
sioni, osservazioni e raffronti con la letteratura sovrae-
Caso Clinico 4: sintomi ossessivo-compulsivi sposta.
in paziente schizofrenico Il primo caso presentato, in accordo con i dati di lettera-
Elia è un ragazzo di 18 anni. Anamnesi familiare positiva tura citati 25 34 35, rientrerebbe in quel gruppo di pazienti
per malattia psichiatrica nel padre, schizofrenico, tratta- con DOC a esordio infantile e dinamiche familiari alte-
to farmacologicamente. Scolarizzato all’età di 3 anni con rate, nonché possibile precursore di patologie più impor-
problematiche relative alla socializzazione, senza ansia di tanti. Uno studio dell’ “University of South Florida” di
separazione. A 8 anni circa inizia balbuzie, verso i 10 anni Storch et al. 36 descrive dettagliatamente le compulsioni
di raccolta e conservazione in età pediatrica, presen-
episodi di enuresi e ansia generalizzata con aspetti fobici
tando casi clinici simili a quello della nostra paziente:
e ossessivo-compulsivi (idee ossessive di raccolta e con-
bambini che avevano difficoltà a scartare oggetti inutili
servazione). A 14 anni, dopo la morte del padre, esordio
e potenzialmente deleteri come tovaglioli sporchi o ali-
psicotico caratterizzato da deliri, allucinazioni, comporta-
menti in decomposizione, sacchetti di patatine vuoti, con
mento e linguaggio disorganizzati che hanno influito sulle
descrizione di una forte angoscia e agitazione quando
prestazioni scolastiche e sociali. Alla WISC-R risultava un
i loro elementi raccolti venivano buttati  35. Emerge che
Q.I.T. 67 (Q.I.V 79, Q.I.P 57), Alla CBCL 6-18, otteneva
tra i bambini con DOC, l’incidenza di “accaparramen-
alla Sindrome Scale Scores, punteggi clinici alle scala
to” (fenomeni di accumulo) è simile a quella degli adulti,
Withdrawn/Depressed (t score 82-b), Anxious/Depressed
coinvolgendo circa il 25-30% 37. Tra i giovani con DOC
(t score 73-c), Somatic Complaints (t score 75-c), Social
quelli che accumulano hanno una maggiore frequenza di
Problems (t score 88-c), Thought Problems (t score 90-c),
ossessioni di ordine e rituali di organizzazione, pensiero
Attention Problems (t score 90-c); alla Internalizing, Exter-
magico, e livelli più alti di ansia generalizzata, distur-
nalizing, Total Problems, Other Problems Scale, punteggi
bi somatici, internalizzazione ed esternalizzazione dei
clinici alle scale Internalizing Problems (t score 77-c) e To- comportamenti  25. Alla luce del riscontro di fenomeni di
tal Problems (t-score 76-c). La K-SADS-PL somministrata ai accumulo anche in pazienti in età evolutiva, potrebbe es-
genitori e al paziente è risultata positiva all’area del distur- sere supportata la tesi, attualmente discussa in letteratura
bo psicotico. Dopo una diagnosi di schizofrenia a esordio internazionale, della autonomia diagnostica del “disturbo
precoce, il paziente è stato seguito per diversi anni per da accumulo” (Hoarding Disorder). Tuttavia, considerata
la gestione della terapia farmacologica (risperidone, ac. la elevata comorbidità con altri disturbi psicopatologi-
valproico e benzodiazepine). Da circa un anno il quadro ci, potrebbe essere più corretto considerare il fenomeno
clinico si è aggravato con la comparsa di nuovi rituali di dell’accumulo come un fattore che rende più complessa
significato differente: pensieri intrusivi e movimenti con e, forse, più grave e a peggior prognosi, la psicopatolo-
significato magico specifico (necessità di compiere una gia concomitante. Tutti questi aspetti necessitano di fu-
sequenza di gesti ben precisa al fine di modificare il con- ture ricerche sistematiche, sia sul piano neurobiologico
tenuto di una esperienza delirante, caratterizzata da aiu- e neuropsicologico, che sul piano psicopatologico, che
tare persone lontane in pericolo, con le quali Elia si sente tengano in considerazione la relativa frequenza del fe-
in contatto telepatico). Per tale motivo la terapia è stata nomeno, la sua dimensione trans-nosografica e l’età di
modificata con introduzione di clozapina (175 mg/die) e esordio spesso molto precoce 38 39.
sospensione di risperidone, con miglioramento della sinto- Il secondo caso clinico presenta caratteristiche in accor-
matologia produttiva e ossessivo-compulsiva. La diagnosi do con le ipotesi di autori come Kozak e Foa  15 16 nella
è stata ridefinita in “Schizofrenia e sintomi ossessivo-com- definizione di “DOC con idee prevalenti”. Questi auto-
pulsivi”. Sono risultate infatti positive le aree “disturbo psi- ri, commentando i risultati del DSM-IV-TR field trial, di-
cotico” e “DOC” della K-SADS-PL. Questo caso è descrit- scussero a lungo circa la capacità di critica dei pazienti
to in quanto esplicativo della possibilità di comorbidità tra ossessivi, la questione dell’insight e la variabilità della
il DOC e la schizofrenia. Secondo la nostra valutazione le sintomatologia. Dagli studi effettuati, basati sull’osserva-
compulsioni sono funzionali ad alleviare l’ angoscia deri- zione clinica di pazienti con DOC, emerse il concetto di
vante dall’ esperienza delirante, le idee ossessive sono di- idee “sopravvalutate” o addirittura “deliranti”, che spinse
rettamente collegate alle idee deliranti, hanno caratteristi- gli autori a considerare il DOC o meglio l’idea ossessiva
ca di iteratività e mancanza di controllo ma non appaiono lungo un ”continuum”. Foa e Kozak hanno sottolineato
estranee e in più sono assurde nel contenuto, travalicando la necessità di porre particolare attenzione alla corretta
quindi il sottile confine geografico spaziale che intercorre identificazione di casi simili. Questi autori hanno infatti
tra i diversi disturbi del contenuto del pensiero. rilevato che alcuni pazienti ossessivo-compulsivi potreb-

380
Psicopatologia del disturbo ossessivo-compulsivo atipico in età evolutiva: esame di quattro casi clinici

bero essere mal diagnosticati e di conseguenza trattati La questione del trattamento rappresenta, a nostro avviso,
erroneamente. una decisione ancora oggi complessa. Come già esposto,
Il terzo caso clinico sembrerebbe in accordo con l’ipotesi di l’idea che i casi descritti, cosi come molte delle situazioni
Insel e Akiskal 20. Questi autori hanno descritto un partico- che ci troviamo ad affrontare nella pratica clinica, rappre-
lare sottotipo di pazienti con DOC, definiti come “ossessivi sentino quadri differenti dal comune DOC, da sempre in-
con aspetti psicotici”. Tali pazienti manifestavano in corso quadrato come un disturbo “nevrotico”, ci obbliga a consi-
di malattia dei deliri inquadrabili come stato paranoide e, derare altre strategie. I dati di letteratura suggeriscono che i
sebbene queste manifestazioni psicotiche erano considera- casi di DOC non responsivo agli SSRI possono beneficiare
te dagli autori come fenomeni per lo più transitori, si confi- dal trattamento con farmaci antipsicotici. Inoltre nei casi
gurava un quadro clinico maggiormente grave caratterizza- di diagnosi di Schizofrenia con DOC (circa il 10-25% dei
to scarso insight, ansia e personalità schizotipica. pazienti) i dati suggeriscono una combinazione tra antios-
Il quarto caso clinico si ritrova negli studi di diversi au- sessivi e antipsicotici  41 42. Ci sarebbero quattro situazioni
tori  7  40  41 che hanno riportato l’associazione di sintomi nella quali l’intervento con antipsicotici potrebbe essere
ossessivo-compulsivi in pazienti schizofrenici con peg- considerato per la terapia del DOC: 1) paziente ossessivo-
gioramento globale della sintomatologia psicotica 6 7. compulsivo con scarso insight; 2) paziente schizofrenico
con DOC; 3) DOC con tic; 4) paziente ossessivo compul-
Conclusioni sivo non responders al trattamento con almeno due diversi
SSRI. Le ricerche a sostegno dell’utilizzo di antipsicotici
Da quanto detto in precedenza, risulta evidente che la co- nel DOC sono attualmente poche 35, ma emergono studi
munità scientifica internazionale si è sempre interrogata che esaminano l’utilità di antipsicotici atipici nel DOC. Si
sulle caratteristiche del DOC. La sua comprensione ezio- è visto che pazienti SSRI-resistenti sono suscettibili a note-
patogenetica, la sintomatologia e il trattamento sono sta- voli benefici in seguito all’aggiunta di antipsicotici atipici,
ti oggetto di numerosi lavori che hanno tentato di fornire in una percentuale del 50%. Non sembra invece esservi
strumenti validi per l’ approccio clinico a uno dei distur- posto per una monoterapia antipsicotica nel DOC, ma so-
bi che in campo psichiatrico presenta diverse difficoltà e no necessari ulteriori approfondimenti, avendo notato che
dubbi interpretativi. Il sistema descrittivo e classificativo un sottogruppo di pazienti con DOC, in particolare quelli
dei disturbi psichiatrici che comprende il DOC come qua- con comorbidità con disturbo di personalità schizotipico,
dro sindromico, la cui diagnosi è possibile dalla presenza hanno reali benefici solo in seguito al trattamento con an-
di criteri diagnostici ben precisi, risulta necessario e pre- tipsicotici 36.
zioso al fine di rendere uniforme e codificato il percorso Tuttavia a volte il dilemma del trattamento (SSRI e/o
diagnostico e il trattamento offerto. Tuttavia il solo sistema antipsicotico) deriva dalle ambiguità diagnostiche, sia
descrittivo non può bastare alla mente dello psichiatra che perché pazienti con grave DOC egosintonico potrebbe
deve operare anche un lavoro su altre linee di riflessione. erroneamente essere classificati come schizofrenici, sia
Riteniamo quindi necessario soprattutto nell’approccio al perché i sintomi del DOC potrebbero celare una sotto-
DOC, ricorrere sempre a una diagnosi strutturale del pa- stante psicosi.
ziente da affiancare alla rilevazione dei sintomi e alla loro
interpretazione psicopatologica. La valutazione dello stato
delle strutture mentali deve tenere conto di: 1) riconoscere Bibliografia
l’integrità di apparati come l’intelletto, gli affetti e il sé, 1 American Psychiatric Association. Practice Guideline for
nonché i loro rapporti reciproci, 2) valutare, soprattutto in the Treatment of Patients with Obsessive-Compulsive Disor-
età evolutiva, le modalità di funzionamento mentale, se der. Arlington, VA: American Psychiatric Association 2007.
mature o se è possibile scorgere tracce di meccanismi im- 2 Karno M, Golding JM, Sorenson SB, et al. The epidemiology
maturi o francamente arcaici e 3) in età evolutiva, guardare of obsessive-compulsive disorder in five US communities.
allo sviluppo psicoaffettivo e scorgere eventuali deviazioni Arch Gen Psychiatry 1988;45:1094-5.
delle normali traiettorie. La diagnosi strutturale consente 3 Ruscio AM, Stein DJ, Chiu WT, et al. The epidemiology of
di stabilire la gravità dei sintomi ossessivo-compulsivi che obsessive-compulsive disorder in the National Comorbidity
incontriamo e di collocarli all’interno di organizzazioni Survey Replication. Mol Psychiatry 2010;15:53-63.
nevrotiche o psicotiche. Tali riflessioni si inseriscono ap- 4 Schneider K.  Psicopatologia clinica. II edizione italiana.
pieno nel concetto di spettro ossessivo compulsivo, e in Sansoni Editore: Firenze1987.
quest’ottica il sintomo ossessivo-compulsivo deve essere 5 Berrios GE. Obsessive compulsive disorder: its conceptual
considerato l’espressione fenomenologica di quadri psi- history in France during the 19th century. Compr Psychiatry
copatologici differenti che devono essere rilevati e tenuti 1989;30:283-95.
in considerazione per le evidenti implicazioni cliniche e 6 Pallanti S, Castellini G, Chamberlain SR, et al. Cognitive
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381
G. Catone et al.

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382
Original article • Articolo originale

Psicopatologia del disturbo ossessivo-compulsivo atipico in età evolutiva:


esame di quattro casi clinici
Psychopathology of unusual obsessive-compulsive disorder in childhood:
review of four clinical cases
G. Catone1, P. Bernardo1, S. Pisano1, A. Pascotto1, A. Gritti2
1
Dipartimento di Psichiatria, Neuropsichiatria infantile, Audiofoniatria e Dermatovenereologia; Seconda Università di Napoli (S.U.N), Napoli;
2
Neuropsichiatria Infantile, Facoltà di Scienze dell’ Educazione, Università Suor Orsola Benincasa, Napoli

Summary Results
Early onset obsessive-compulsive disorder often shows atypical
Objective features that make the nosographic collocation difficult.
We present four clinical cases of young patients with “unusual”
obsessive-compulsive disorder (OCD), considering the unequiv- Conclusions
ocal evidence suggesting the existence of possible overlaps be- The uncertain border between obsessive ideas, prevailing ideas
tween psychotic disorders and OCD symptoms. and psychotic symptoms such as delusions and/or thought dis-
order, leads to both diagnostic and therapeutic considerations.
Methods
We describe patients to define psychopathological features of Key words
symptoms. Obsessive ideas • Prevailing ideas • Delusions • Thought disorder • De-
velopmental psychopathology

Aspetti storici e psicopatologici del DOC sano organizzazioni psicopatologiche diverse nell’ambito
sia delle nevrosi che delle psicosi. L’ideazione ossessiva
Il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) è classificato dal è generalmente seguita da comportamenti ritualizzati ri-
DSM-IV-TR all’interno dei disturbi d’ansia ed è conside- petitivi, finalistici e volontari, detti ‘‘compulsioni’’, che
rato un disturbo cronico e invalidante con alcune caratte- il paziente mette in atto per lenire l’ansia provocata dal
ristiche cliniche e psicopatologiche peculiari 1. Il DOC è pensiero ossessivo.
un disturbo tutt’altro che raro e presenta una prevalenza La presenza di sintomi ossessivo-compulsivi all’interno
lifetime compresa tra l’1,9 e il 3% nella popolazione ge- di quadri clinici di Schizofrenia, così come il riscontro di
nerale  2 3. È caratterizzato dalla presenza di idee ossessi- sintomi psicotici in un DOC, è stata identificata da diversi
ve che sono considerate da Schneider  4 come fenomeni Autori fin dal secolo scorso 5. C’è una crescente evidenza
di coazione, ove per coazione si intende la coscienza a che i pazienti con comorbidità tra DOC e la schizofrenia
essere guidati. Le ossessioni hanno delle caratteristiche (entità recentemente definita “schizo-ossessiva”) sembra-
psicopatologiche ben precise che le differenziano dalle no avere modelli distinti di psicopatologia, comorbilità
idee prevalenti e dai deliri, queste caratteristiche possono psichiatrica, deficit neurocognitivi e risposta al trattamen-
essere riassunte in estraneità del contenuto, iteratività e to, suggerendo l’esistenza di un sottogruppo separato nel-
persistenza e incoercibilità, ovvero l’impossibilità al con- lo spettro della schizofrenia 6 7.
trollo da parte del soggetto che è esposto a tale ideazione Sebbene l’idea ossessiva sia classicamente descritta come
contro la propria volontà. Sebbene la distinzione tra idee egodistonica e della cui abnormità e insensatezza l’indi-
ossessive, idee prevalenti e deliri sia precisa da un punto viduo è sempre consapevole, già autori quali Schneider 5
di vista psicopatologico, nella pratica clinica talvolta è dif- o Lewis  8 osservarono che non tutti i pazienti affetti da
ficile stabilire l’esatto confine tra queste e per tale motivo ossessioni sono in grado di completa critica nei confronti
si è introdotto il concetto di “spettro” dei fenomeni osses- di esse. Questi ultimi hanno messo in evidenza che in
sivo-compulsivi, ove per spettro si intende un continuum alcuni pazienti con DOC la capacità di critica e di resi-
attraverso il quale i sintomi ossessivo-compulsivi attraver- stenza nei confronti dei sintomi decresce fino a scompa-

Correspondence
Pia Bernardo, Seconda Università di Napoli, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Via Pansini, 5, Napoli, Italia• Tel. +39 081 5666698 • E-mail: pia.
bernardo84@gmail.com

376 Journal of Psychopathology 2012;18:376-382


Psicopatologia del disturbo ossessivo-compulsivo atipico in età evolutiva: esame di quattro casi clinici

rire. Jaspers  9 e Lewis  8 differenziavano le ossessioni dai momento che i bambini spesso non hanno comprensione
pensieri deliranti sulla base della presenza o assenza di dell’ estraneità delle loro idee e dell’irrazionalità delle
insight. Uno studio sistematico su tale problema è stato loro azioni  24. I risultati di un recente studio sul DOC in
condotto da Insel e Akiskal  10 che hanno descritto alcu- età pediatrica suggeriscono che la prognosi dei bambini
ni casi di pazienti con DOC, i quali durante la malattia con scarso insight è peggiore di quella dei bambini con
hanno presentato dei deliri inquadrabili o come disturbo consapevolezza adeguata alla luce della possibilità di
affettivo o come stato paranoide. Gli autori hanno defi- sviluppare, andando avanti nel tempo, un quadro clinico
nito questi fenomeni come transitori di un DOC partico- che soddisfa i criteri per la schizofrenia o altri disturbi
larmente grave in quanto caratterizzato da mancanza di psichiatrici 25 26. Dai dati di letteratura emerge infatti che
insight, ansia, da una “maniera delirante” di resistere alle il DOC in giovane età può precedere la comparsa di al-
ossessioni, dalla presenza di relazioni familiari conflit- tri disturbi, quali schizofrenia, disturbi dell’umore di tipo
tuali e da personalità di tipo schizotipico. Da un analisi bipolare e disturbi di personalità 27.
degli studi finora effettuati emerge che i pazienti con dia- L’altro importante aspetto riguarda il trattamento in età
gnosi di DOC con tratti psicotici presentano un esordio evolutiva, vista la maggiore frequenza di fallimento del-
più precoce dei sintomi e una maggiore durata di malat- le comuni terapie  23. Da un lavoro del 2008, nel quale
tia  11, un’ anamnesi familiare positiva per disturbi dello sono state studiate le caratteristiche cliniche del DOC in
spettro schizofrenico e un anamnesi personale positiva età evolutiva resistente alla terapia, sono emerse alcune
per disturbi neuropsichiatrici nell’infanzia  12 una preva- importanti caratteristiche: i piccoli pazienti (campione
lenza nel sesso maschile, un esordio in età più giovane di 60 bambini dai 7-17 anni) con DOC resistenti al tra-
e un maggiore deterioramento funzionale 13. In passato si dizionale trattamento farmacologico (inibitori della ri-
è quindi parlato di “psicosi ossessiva”  14 11, poi di “DOC captazione della serotonina) hanno mostrato una mag-
con idee prevalenti”  15  16, quindi di “DOC con aspetti giore compromissione funzionale e gravità del quadro
psicotici”  10  17 e, più recentemente, di “DOC con scar- clinico, con livelli particolarmente elevati di sintomi di
so insight”  15 18 19. Il sistema attuale di classificazione dei internalizzazione ed esternalizzazione e maggiore fre-
disturbi mentali (DSM-IV-TR) riconosce all’interno del quenza di sintomi depressivi. È inoltre emerso un consi-
DOC una sottocategoria, definita come DOC con pre-
stente impatto ambientale, legato soprattutto a dinami-
senza di scarso insight, che deve essere utilizzata qualo-
che familiari particolarmente stressanti, con maggiore
ra la sintomatologia riveli alcune differenze con il DOC
incidenza di DOC in altri membri della famiglia. Difatti
tipico  18. Viceversa L’ICD 10 riconosce che all’interno
il lavoro di Storch et al. suggerisce che tali pazienti po-
della schizofrenia possano essere menzionati dei sintomi
trebbero beneficiare di interventi più intensivi su tutto il
ossessivo compulsivi 20.
nucleo familiare 24 25.
Resta da capire se il DOC in età evolutiva, spesso con
Il DOC in età evolutiva scarso insight, spesso resistente alla terapia tradiziona-
La questione è più complessa nel caso di DOC in età le, nonché possibile precursore di patologie importanti,
precoce. Nonostante l’evidenza di una elevata fre- non rappresenti sin dall’esordio una manifestazione fe-
quenza di DOC in età infantile (1-2% di bambini e notipica di un sottostante disturbo più complesso, che
adolescenti) 2 e progressi diagnostico-terapeutici, sono va dai disturbi di personalità a veri e propri disturbi de-
necessarie ulteriori ricerche per comprendere l’ezio- liranti. Un interessante studio di Meyer et al., propo-
patogenesi della malattia in una età cosi precoce. Nel ne un filone di ricerca per l’identificazione di quadri
2005, van Grotheest e colleghi hanno esaminato la psicopatologici, che definisce come prodromi, in ado-
letteratura e concluso che, nei bambini, i sintomi os- lescenti a rischio di psicosi. Sebbene la matrice della
sessivi-compulsivi sono ereditari, con influenze gene- sintomatologia in questi pazienti sia molto ampia e di
tiche nel range del 45-65%. Dalle attuali conoscenze difficile classificazione nosografica tramite gli strumen-
emerge una maggiore frequenza di anamnesi familiare ti diagnostici e di valutazione standardizzata, lo studio
positiva per malattia psichiatrica 22 23. I sintomi riportati prospetta la possibilità di descrivere una sintomatologia
da bambini sono simili a quelli riscontrati tra gli indi- “sottosoglia” e di considerare la denominazione di “sin-
vidui che sviluppano DOC in età adulta, e i due gruppi tomi prodromici di psicosi” come entità clinica ricono-
di pazienti sono trattati con terapie comportamentali e sciuta e degna di considerazione 26.
farmacologiche simili. Tuttavia ci sono delle differenze La ricerca futura dovrebbe esaminare le potenziali ca-
importanti dal punto di vista diagnostico, terapeutico ratteristiche neurobiologiche associate a esordio preco-
e prognostico 21. ce di DOC. La diagnosi precoce e la gestione delle co-
In primo luogo il concetto di insight è particolarmente morbidità può compensare menomazioni più tardi nella
rilevante nella diagnosi di DOC a esordio precoce, dal vita 27.

377
G. Catone et al.

Obiettivi del lavoro sce con crisi di agitazione intensa, alle quali seguo-
no giustificazioni che mettono in luce la presenza di
Il nostro lavoro ha lo scopo di distinguere le forme di una ideazione coatta che la costringe ad assumere tali
DOC con caratteristiche tipiche, con o senza insight, da comportamenti. La madre la descrive da sempre come
DOC “insoliti”, dove la presenza di scarsa consapevo- una bambina dal temperamento rigido e abitudinario.
lezza di malattia potrebbe essere legata ad alterazioni Sin da piccola ha presentato dei comportamenti com-
psicopatologiche più complesse. Queste ultime forme pulsivi, ma in maniera fluttuante. La relazione con i
potrebbero spiegare la scarsa risposta alla terapia di molti genitori si caratterizza per un rapporto con la madre
pazienti con diagnosi precoce di DOC 21 e rappresentare di profondo attaccamento emotivo che si manifesta
quel gruppo di pazienti con prognosi peggiore in quanto con una intensa ricerca di contatto fisico; il rapporto
il DOC celerebbe la presenza di disturbi di tipo psico- con il padre, anche egli affetto da DOC, appare am-
tico. L’idea che questi casi di DOC “insolito” possano bivalente tra manifestazioni di affetto e atteggiamenti
rappresentare una forma di DOC con componente psi- volti al controllo e spesso il padre diviene per Angela
cotica ha implicazioni importanti nella gestione clinica oggetto stesso delle idee ossessive. La valutazione psi-
di tali pazienti in quanto, qualora questo fosse corretto, codiagnostica si è avvalsa di una batteria di test e scale
dovremmo essere pronti ad avviare una riflessione sulla standardizzate comunemente utilizzati per l’età evo-
possibilità di strategie terapeutiche e farmacologiche dif- lutiva. Alla WISC-R risulta un Q.I.T. di 93 (Q.I.V. 91,
ferenti. Q.I.P. 98); alla CBCL 6-18, ha ottenuto alla Sindrome
In questo lavoro è proposta la descrizione di quattro casi Scale Scores, punteggi borderline alle scala Anxious/
clinici nel tentativo di apportare un contributo alla defini- Depressed (t score 65-b) e Attention Problems (t score
zione del sottile confine che intercorre tra DOC e disturbi 66-b) e punteggi clinici alla scala Thought Problems (t
psicotici. La diagnosi è stata svolta secondo l’approccio score 75-c); alla Internalizing, Externalizing, Total Pro-
standard neuropsichiatrico infantile che include colloqui blems, Other Problems, punteggi borderline alle scale
clinici con i pazienti e con i genitori, valutazione intel- Internalizing Problems (t score 61-b) e Total Problems
lettiva, scale Wechsler 28, reattivi mentali proiettivi, The- (t-score 62-b). La K-SADS-PL somministrata ai genitori
matic Apperception Test (TAT)  29 e Rorschach  30, e scale è risultata positiva alle aree DOC e disturbo d’ansia da
di valutazione strutturate e semistrutturate Schedule for separazione.
Affective Disorder and Schizophrenia (K-SADS-PL)  31 e Globalmente emerge una moderata alterazione del
Child Behavior Checklist (CBCL) 32. La diagnosi viene for- pensiero, spesso non coerente con il contesto, intensa
mulata in base ai criteri del DSM-IV-TR ed è integrata da angoscia di frammentazione sottesa ai rituali bizzarri
un profilo strutturale. e un difetto che riguarda la struttura del Sé (confine,
continuità, tempo, ritmo). È possibile ipotizzare che
Caso clinico 1: un DOC a esordio precoce le compulsioni di raccolta e conservazione abbiano la
funzione di evitare la comparsa di angoscia di fram-
Angela è una bambina di 7 anni, figlia unica, con po- mentazione corporea, nel contesto di un confine cor-
sitività all’anamnesi familiare per malattia psichiatri- poreo mal definito e diffuso che include oggetti venuti
ca: DOC nel padre. Inserita alla scuola materna all’età a contatto con il corpo e parti del proprio stesso corpo.
di quattro anni con ansia di separazione, attualmente Il bisogno di scattare e conservare fotografie (caratteri-
frequenta la I elementare con buon profitto e discreta stica anche paterna) svelerebbe una necessità di con-
socializzazione. Giunge alla nostra osservazione per trollo sul tempo. È difficile stabilire quanto l’assenza
una sintomatologia insorta da circa tre mesi, caratteriz- di insight sia legata alla giovane età o a componenti
zata da: compulsioni di raccolta e conservazione sia di psicopatologiche più complesse, tuttavia la presenza
oggetti venuti a contatto con il proprio corpo (salviette, di uno sviluppo psicoaffettivo difettuale con particola-
briciole, stoviglie di plastica, cibo rigurgitato), che de- re riguardo alla struttura del Sé, farebbero propendere
vono essere riposti in appositi sacchetti, sia di parti del per la seconda ipotesi. Durante il ricovero è stato in-
proprio corpo (non vuole che vengano gettate unghia o trapreso un programma terapeutico di tipo cognitivo
capelli e non vuole che si tiri lo sciacquone dopo aver comportamentale volto all’attenuazione dei sintomi
urinato o defecato), manifesta anche ostinato rifiuto a e a una maggiore accettazione ed elaborazione degli
lavarsi. Angela raccoglie in contenitori, che devono stati ansiosi a cui la bambina ha risposto in maniera
essere tutti della stessa misura, fotocopie e fotografie discreta, favorendo le spinte evolutive e l’apertura alle
di oggetti o di se stessa ritratta in particolari momenti; relazioni. Angela è stata dimessa con diagnosi di DOC
è inoltre presente una forte selettività alimentare alla e Disturbo d’ansia da separazione e prescritta psico-
cui base vi è una ideazione di tipo ossessivo. Qualora terapia individuale e sostegno psicologico alla coppia
non siano soddisfatte queste richieste, Angela reagi- genitoriale.

378
Psicopatologia del disturbo ossessivo-compulsivo atipico in età evolutiva: esame di quattro casi clinici

Caso clinico 2: DOC con idee prevalenti una terapia con acidi grassi omega 3 e a psicoterapia di
sostegno alla coppia genitoriale. La terapia farmacologi-
Francesco Paolo è un ragazzo di 15 anni ed è il terzo di ca è stata rifiutata dai genitori.
tre fratelli. Viene riferita familiarità psichiatrica per DOC
nel nonno paterno e nel fratello maggiore, disturbi del
comportamento e d’ansia nel padre e storia di depressio- Caso clinico 3: DOC con aspetti psicotici
ne nella nonna materna. Nato a termine da taglio cesa- Alessandro ha 12 anni, primogenito di due fratelli. È rife-
reo, con riferita lieve sofferenza perinatale. Lo sviluppo rita familiarità psichiatrica per DOC nel nonno paterno e
psicomotorio è nella norma, non rilevanti le patologie nonna materna; la madre soffre di disturbo depressivo in
internistiche, l’inserimento presso la scuola materna è trattamento farmacologico e psicoterapia. Scolarizzato a
stato a due anni e mezzo senza ansia di separazione, at- 18 mesi, ha presentato ansia di separazione. Attualmen-
tualmente frequenta il secondo anno dell’istituto tecnico te frequenta la II media con alcune difficoltà. Giunge alla
commerciale con sufficiente profitto. L’esordio della sin- nostra osservazione con un quadro clinico caratterizzato
tomatologia attuale risale a pochi mesi prima della con- da idee ossessive somatiche (eccessiva preoccupazione
sultazione, in seguito a un vissuto traumatico (suicidio di centrate su parti del proprio corpo o sul proprio aspetto),
un conoscente del posto). Riferisce idee ossessive a con- legate alla convinzione di essere portatore di odori sgra-
tenuto aggressivo (paura di far male a se stesso o di non ri- devoli. Tale ideazione ossessiva genera compulsioni di
uscire a controllare impulsi indesiderati) o a contenuto di lavaggio e pulizia: Alessandro si lava più volte al giorno
simmetria e ordine (paura che possa succedere qualcosa ed è molto attento alla cura del vestiario. L’atteggiamento
di brutto se le cose non vanno nell’ordine giusto). A tali di fronte a tali condotte è soggetto a fluttuazioni, passan-
pensieri seguono di solito compulsioni di iterazione volte do da livelli di egosintonicità, a fasi di rottura ed emersio-
ad annullare lo stato di angoscia. Da qualche mese è pre- ne di insight. Alla WISC-R risulta un Q.I.T. di 102 (Q.I.V.
sente inoltre una regressione psicoaffettiva con maggiori 109, Q.I.P. 95). Alla CBCL 6-18, ha ottenuto alla Sindrome
richieste d’affetto e progressiva chiusura alle relazioni so- Scale Scores, punteggi borderline alle scala Withdrawn/
ciali. Il paziente descrive le idee ossessive come assurde Depressed (t score 66-b) e punteggi clinici alla scala An-
nel contenuto, intrusive e incontrollabili. Nonostante la xious/Depressed (t score 78-c), Somatic Complaints (t sco-
presenza di insight delinei un quadro abbastanza tipico, re 76-c), Social Problems (t score 75-c), Thought Problems
alcuni elementi associati rendono il caso di particolare (t score 72-c), Attention Problems (t score 86-c), Aggressive
interesse perché il DOC tipico si associa a segni di “pre- Behaviour (t score 83-c); alla Internalizing, Externalizing,
psicosi”. Infatti l’ideazione ossessiva è completamente Total Problems, Other Problems Scale, punteggi clinici
pervasa da aspetti legati all’evento traumatico, la cui ela- alle scale Internalizing Problems (t score 75-c), Externali-
borazione interessa la maggior parte della vita interiore zing Problems (t score 73-c) e Total Problems (t-score 77-
del soggetto, assumendo in alcuni casi la forma di una c). La K-SADS-PL somministrata ai genitori e al paziente è
idea prevalente. Inoltre, il paziente si mostra confuso, risultata positiva all’area DOC e ad alcune caratteristiche
perplesso, talvolta disorganizzato (dato confermato al associate all’area psicotica (comportamenti marcatamente
test di Rorschach), povero nel linguaggio come affetto da bizzarri, compromissione del funzionamento scolastico,
un iniziale impairment cognitivo che si affianca a un de- linguaggio vago, esperienze percettive inusuali). Questo
cadimento nel funzionamento sociale (non esce più con caso è stato descritto per le intense fluttuazioni del livello
piacere) e ad aspetti di derealizzazione e sensazione di di insight del paziente con idee “ossessive” che talvolta as-
cambiamento soggettivo e oggettivo (come emerge dal sumono il carattere di riferimento o francamente paranoi-
test SPI-CY) 33. Alla WISC-R risulta un Q.I.T. di 72 (Q.I.V. dee. Alessandro appare confuso e perplesso, i contenuti
87, Q.I.P. 61). Alla CBCL 6-18, ha ottenuto alla Sindrome del pensiero legati all’odore corporeo risultano invasivi e
Scale Scores, punteggi borderline alle scale Withdrawn/ occupano gran parte della vita immaginativa del sogget-
Depressed (t score 64-b) e Social Problems (t score 63-b) to, con intensa sofferenza di fondo che genera sentimenti
e punteggi clinici alla scala Thought Problems (t score 75- depressivi e talvolta negazione circa la propria situazione.
c); alla Internalizing, Externalizing, Total Problems, Other Il nucleo psicopatologico principale di Alessandro è il di-
Problems Scale, punteggi clinici alle scale Internalizing sturbo del pensiero che allo stato attuale tende a collocarsi
problems (t score 78-c) e Total Problems (t-score 73-c). al limite tra l’idea ossessiva e quella delirante, inoltre la
La K-SADS-PL somministrata ai genitori e al paziente è presenza di disturbi percettivi (sentire odori in assenza di
risultata positiva all’area DOC uno stimolo), nonché disturbi formali del pensiero rendo-
La diagnosi di dimissione è stata: DOC cui è sottesa una no il quadro maggiormente complicato rispetto al DOC
struttura psichica con aree di vulnerabilità. È stata dunque classico. Alessandro è stato dimesso con diagnosi di DOC
prescritta psicoterapia individuale associata a una terapia in soggetto con tratti schizotipici di personalità ed è stata
farmacologica con fluvoxamina (50 mg/die), associata a prescritta psicoterapia individuale di tipo cognitivo com-

379
G. Catone et al.

portamentale associata a psicoterapia di sostegno alla cop- Discussione


pia genitoriale.
I dati clinici descritti offrono lo spunto per alcune rifles-
sioni, osservazioni e raffronti con la letteratura sovrae-
Caso Clinico 4: sintomi ossessivo-compulsivi sposta.
in paziente schizofrenico Il primo caso presentato, in accordo con i dati di lettera-
Elia è un ragazzo di 18 anni. Anamnesi familiare positiva tura citati 25 34 35, rientrerebbe in quel gruppo di pazienti
per malattia psichiatrica nel padre, schizofrenico, tratta- con DOC a esordio infantile e dinamiche familiari alte-
to farmacologicamente. Scolarizzato all’età di 3 anni con rate, nonché possibile precursore di patologie più impor-
problematiche relative alla socializzazione, senza ansia di tanti. Uno studio dell’ “University of South Florida” di
separazione. A 8 anni circa inizia balbuzie, verso i 10 anni Storch et al. 36 descrive dettagliatamente le compulsioni
di raccolta e conservazione in età pediatrica, presen-
episodi di enuresi e ansia generalizzata con aspetti fobici
tando casi clinici simili a quello della nostra paziente:
e ossessivo-compulsivi (idee ossessive di raccolta e con-
bambini che avevano difficoltà a scartare oggetti inutili
servazione). A 14 anni, dopo la morte del padre, esordio
e potenzialmente deleteri come tovaglioli sporchi o ali-
psicotico caratterizzato da deliri, allucinazioni, comporta-
menti in decomposizione, sacchetti di patatine vuoti, con
mento e linguaggio disorganizzati che hanno influito sulle
descrizione di una forte angoscia e agitazione quando
prestazioni scolastiche e sociali. Alla WISC-R risultava un
i loro elementi raccolti venivano buttati  35. Emerge che
Q.I.T. 67 (Q.I.V 79, Q.I.P 57), Alla CBCL 6-18, otteneva
tra i bambini con DOC, l’incidenza di “accaparramen-
alla Sindrome Scale Scores, punteggi clinici alle scala
to” (fenomeni di accumulo) è simile a quella degli adulti,
Withdrawn/Depressed (t score 82-b), Anxious/Depressed
coinvolgendo circa il 25-30% 37. Tra i giovani con DOC
(t score 73-c), Somatic Complaints (t score 75-c), Social
quelli che accumulano hanno una maggiore frequenza di
Problems (t score 88-c), Thought Problems (t score 90-c),
ossessioni di ordine e rituali di organizzazione, pensiero
Attention Problems (t score 90-c); alla Internalizing, Exter-
magico, e livelli più alti di ansia generalizzata, distur-
nalizing, Total Problems, Other Problems Scale, punteggi
bi somatici, internalizzazione ed esternalizzazione dei
clinici alle scale Internalizing Problems (t score 77-c) e To- comportamenti  25. Alla luce del riscontro di fenomeni di
tal Problems (t-score 76-c). La K-SADS-PL somministrata ai accumulo anche in pazienti in età evolutiva, potrebbe es-
genitori e al paziente è risultata positiva all’area del distur- sere supportata la tesi, attualmente discussa in letteratura
bo psicotico. Dopo una diagnosi di schizofrenia a esordio internazionale, della autonomia diagnostica del “disturbo
precoce, il paziente è stato seguito per diversi anni per da accumulo” (Hoarding Disorder). Tuttavia, considerata
la gestione della terapia farmacologica (risperidone, ac. la elevata comorbidità con altri disturbi psicopatologi-
valproico e benzodiazepine). Da circa un anno il quadro ci, potrebbe essere più corretto considerare il fenomeno
clinico si è aggravato con la comparsa di nuovi rituali di dell’accumulo come un fattore che rende più complessa
significato differente: pensieri intrusivi e movimenti con e, forse, più grave e a peggior prognosi, la psicopatolo-
significato magico specifico (necessità di compiere una gia concomitante. Tutti questi aspetti necessitano di fu-
sequenza di gesti ben precisa al fine di modificare il con- ture ricerche sistematiche, sia sul piano neurobiologico
tenuto di una esperienza delirante, caratterizzata da aiu- e neuropsicologico, che sul piano psicopatologico, che
tare persone lontane in pericolo, con le quali Elia si sente tengano in considerazione la relativa frequenza del fe-
in contatto telepatico). Per tale motivo la terapia è stata nomeno, la sua dimensione trans-nosografica e l’età di
modificata con introduzione di clozapina (175 mg/die) e esordio spesso molto precoce 38 39.
sospensione di risperidone, con miglioramento della sinto- Il secondo caso clinico presenta caratteristiche in accor-
matologia produttiva e ossessivo-compulsiva. La diagnosi do con le ipotesi di autori come Kozak e Foa  15 16 nella
è stata ridefinita in “Schizofrenia e sintomi ossessivo-com- definizione di “DOC con idee prevalenti”. Questi auto-
pulsivi”. Sono risultate infatti positive le aree “disturbo psi- ri, commentando i risultati del DSM-IV-TR field trial, di-
cotico” e “DOC” della K-SADS-PL. Questo caso è descrit- scussero a lungo circa la capacità di critica dei pazienti
to in quanto esplicativo della possibilità di comorbidità tra ossessivi, la questione dell’insight e la variabilità della
il DOC e la schizofrenia. Secondo la nostra valutazione le sintomatologia. Dagli studi effettuati, basati sull’osserva-
compulsioni sono funzionali ad alleviare l’ angoscia deri- zione clinica di pazienti con DOC, emerse il concetto di
vante dall’ esperienza delirante, le idee ossessive sono di- idee “sopravvalutate” o addirittura “deliranti”, che spinse
rettamente collegate alle idee deliranti, hanno caratteristi- gli autori a considerare il DOC o meglio l’idea ossessiva
ca di iteratività e mancanza di controllo ma non appaiono lungo un ”continuum”. Foa e Kozak hanno sottolineato
estranee e in più sono assurde nel contenuto, travalicando la necessità di porre particolare attenzione alla corretta
quindi il sottile confine geografico spaziale che intercorre identificazione di casi simili. Questi autori hanno infatti
tra i diversi disturbi del contenuto del pensiero. rilevato che alcuni pazienti ossessivo-compulsivi potreb-

380
Psicopatologia del disturbo ossessivo-compulsivo atipico in età evolutiva: esame di quattro casi clinici

bero essere mal diagnosticati e di conseguenza trattati La questione del trattamento rappresenta, a nostro avviso,
erroneamente. una decisione ancora oggi complessa. Come già esposto,
Il terzo caso clinico sembrerebbe in accordo con l’ipotesi di l’idea che i casi descritti, cosi come molte delle situazioni
Insel e Akiskal 20. Questi autori hanno descritto un partico- che ci troviamo ad affrontare nella pratica clinica, rappre-
lare sottotipo di pazienti con DOC, definiti come “ossessivi sentino quadri differenti dal comune DOC, da sempre in-
con aspetti psicotici”. Tali pazienti manifestavano in corso quadrato come un disturbo “nevrotico”, ci obbliga a consi-
di malattia dei deliri inquadrabili come stato paranoide e, derare altre strategie. I dati di letteratura suggeriscono che i
sebbene queste manifestazioni psicotiche erano considera- casi di DOC non responsivo agli SSRI possono beneficiare
te dagli autori come fenomeni per lo più transitori, si confi- dal trattamento con farmaci antipsicotici. Inoltre nei casi
gurava un quadro clinico maggiormente grave caratterizza- di diagnosi di Schizofrenia con DOC (circa il 10-25% dei
to scarso insight, ansia e personalità schizotipica. pazienti) i dati suggeriscono una combinazione tra antios-
Il quarto caso clinico si ritrova negli studi di diversi au- sessivi e antipsicotici  41 42. Ci sarebbero quattro situazioni
tori  7  40  41 che hanno riportato l’associazione di sintomi nella quali l’intervento con antipsicotici potrebbe essere
ossessivo-compulsivi in pazienti schizofrenici con peg- considerato per la terapia del DOC: 1) paziente ossessivo-
gioramento globale della sintomatologia psicotica 6 7. compulsivo con scarso insight; 2) paziente schizofrenico
con DOC; 3) DOC con tic; 4) paziente ossessivo compul-
Conclusioni sivo non responders al trattamento con almeno due diversi
SSRI. Le ricerche a sostegno dell’utilizzo di antipsicotici
Da quanto detto in precedenza, risulta evidente che la co- nel DOC sono attualmente poche 35, ma emergono studi
munità scientifica internazionale si è sempre interrogata che esaminano l’utilità di antipsicotici atipici nel DOC. Si
sulle caratteristiche del DOC. La sua comprensione ezio- è visto che pazienti SSRI-resistenti sono suscettibili a note-
patogenetica, la sintomatologia e il trattamento sono sta- voli benefici in seguito all’aggiunta di antipsicotici atipici,
ti oggetto di numerosi lavori che hanno tentato di fornire in una percentuale del 50%. Non sembra invece esservi
strumenti validi per l’ approccio clinico a uno dei distur- posto per una monoterapia antipsicotica nel DOC, ma so-
bi che in campo psichiatrico presenta diverse difficoltà e no necessari ulteriori approfondimenti, avendo notato che
dubbi interpretativi. Il sistema descrittivo e classificativo un sottogruppo di pazienti con DOC, in particolare quelli
dei disturbi psichiatrici che comprende il DOC come qua- con comorbidità con disturbo di personalità schizotipico,
dro sindromico, la cui diagnosi è possibile dalla presenza hanno reali benefici solo in seguito al trattamento con an-
di criteri diagnostici ben precisi, risulta necessario e pre- tipsicotici 36.
zioso al fine di rendere uniforme e codificato il percorso Tuttavia a volte il dilemma del trattamento (SSRI e/o
diagnostico e il trattamento offerto. Tuttavia il solo sistema antipsicotico) deriva dalle ambiguità diagnostiche, sia
descrittivo non può bastare alla mente dello psichiatra che perché pazienti con grave DOC egosintonico potrebbe
deve operare anche un lavoro su altre linee di riflessione. erroneamente essere classificati come schizofrenici, sia
Riteniamo quindi necessario soprattutto nell’approccio al perché i sintomi del DOC potrebbero celare una sotto-
DOC, ricorrere sempre a una diagnosi strutturale del pa- stante psicosi.
ziente da affiancare alla rilevazione dei sintomi e alla loro
interpretazione psicopatologica. La valutazione dello stato
delle strutture mentali deve tenere conto di: 1) riconoscere Bibliografia
l’integrità di apparati come l’intelletto, gli affetti e il sé, 1 American Psychiatric Association. Practice Guideline for
nonché i loro rapporti reciproci, 2) valutare, soprattutto in the Treatment of Patients with Obsessive-Compulsive Disor-
età evolutiva, le modalità di funzionamento mentale, se der. Arlington, VA: American Psychiatric Association 2007.
mature o se è possibile scorgere tracce di meccanismi im- 2 Karno M, Golding JM, Sorenson SB, et al. The epidemiology
maturi o francamente arcaici e 3) in età evolutiva, guardare of obsessive-compulsive disorder in five US communities.
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delle normali traiettorie. La diagnosi strutturale consente 3 Ruscio AM, Stein DJ, Chiu WT, et al. The epidemiology of
di stabilire la gravità dei sintomi ossessivo-compulsivi che obsessive-compulsive disorder in the National Comorbidity
incontriamo e di collocarli all’interno di organizzazioni Survey Replication. Mol Psychiatry 2010;15:53-63.
nevrotiche o psicotiche. Tali riflessioni si inseriscono ap- 4 Schneider K.  Psicopatologia clinica. II edizione italiana.
pieno nel concetto di spettro ossessivo compulsivo, e in Sansoni Editore: Firenze1987.
quest’ottica il sintomo ossessivo-compulsivo deve essere 5 Berrios GE. Obsessive compulsive disorder: its conceptual
considerato l’espressione fenomenologica di quadri psi- history in France during the 19th century. Compr Psychiatry
copatologici differenti che devono essere rilevati e tenuti 1989;30:283-95.
in considerazione per le evidenti implicazioni cliniche e 6 Pallanti S, Castellini G, Chamberlain SR, et al. Cognitive
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382
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 45/S2
Titolo: Sintomi Depressivi E Disturbi Del Sonno: Fattori Di Rischio E Strategie Di Intervento
Attività N°: 1

RIPASSO ED ESERCITAZIONE

In questa lezione, di ripasso ed esercitazione, troverete un articolo dal titolo:

Psicopatologia del disturbo ossessivo-compulsivo atipico in età evolutiva: esame di quattro casi
clinici
Autori: G. Catone1 , P. Bernardo1 , S. Pisano1 , A. Pascotto1 , A. Gritti2

Vi chiedo di leggerlo con attenzione e successivamente di discutere i 4 casi clinici alla luce di
quanto indicato (approcci teorici e descrizione clinica) sul volume di Di Pentima
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 45/S3
Titolo: Sintomi Depressivi E Disturbi Del Sonno: Fattori Di Rischio E Strategie Di Intervento
Attività N°: 1

RIPASSO ED ESERCITAZIONE

In questa lezione, di ripasso ed esercitazione, troverete un articolo dal titolo:

Psicopatologia del disturbo ossessivo-compulsivo atipico in età evolutiva: esame di quattro casi
clinici
Autori: G. Catone1 , P. Bernardo1 , S. Pisano1 , A. Pascotto1 , A. Gritti2

Vi chiedo di leggerlo con attenzione e successivamente di discutere i 4 casi clinici alla luce di
quanto indicato (approcci teorici e descrizione clinica) sul volume di Di Pentima

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Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 46
Titolo: DEPRESSIONE INFANTILE: INTERVENTI PSICOLOGICI
Attività N°: 01

TRATTAMENTO PSICOLOGICO

In questa e nelle prossime sessioni affronteremo il trattamento della depressione in età


evolutiva.

Il contenuto delle slide va integrato sul testo obbligatorio di Di Pentima: Percorsi di


sviluppo normale e patologico in età evolutiva.
Il contenuto delle lezioni è tratto dalle linee Guida Sinpia sui disturbi depressivi in età
evolutiva
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 46
Titolo: DEPRESSIONE INFANTILE: INTERVENTI PSICOLOGICI
Attività N°: 01

Allo stato attuale, sono ancora poche le evidenze scientifiche sull’efficacia dei vari
trattamenti per i disturbi depressivi in età evolutiva. Solo negli ultimi 5-10 anni sono
state prodotte alcune evidenze scientifiche specifiche sugli interventi
psicoterapeutici e psicofarmacologici nei bambini e negli adolescenti.

I vari tipi di trattamento disponibili rientrano schematicamente in due tipi


• Non farmacologici
• Farmacologici
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 46
Titolo: DEPRESSIONE INFANTILE: INTERVENTI PSICOLOGICI
Attività N°: 01

In queste slide è presentata una panoramica di tutti i trattamenti esistenti che verranno
poi approfonditi.

Tra i trattamenti non farmacologici troviamo:


• Counseling e interventi psicoeducativi
• Psicoterapie
• Interventi di prevenzione

Tra i trattamenti farmacologici troviamo:


• Antidepressivi triciclici
• SSRI
• Stabilizzanti dell’umore
• Nuovi farmaci
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 46
Titolo: DEPRESSIONE INFANTILE: INTERVENTI PSICOLOGICI
Attività N°: 01

TRATTAMENTO

• Trattamenti non farmacologici: PREMESSA

In età evolutiva è possibile mettere in atto strategie di intervento che si basano sulla
capacità dell’ambiente di incidere biologicamente sul substrato neurobiologico.
Soprattutto nella fascia di età 0-3 anni esiste una plasticità del sistema nervoso centrale
che è aperta alle influenze ambientali, le quali possono determinare dei riadattamenti
sistemici della trama neurobiologica e influenzare lo sviluppo successivo.
L’ambiente è critico e determinante nel plasmare biologicamente il SNC in formazione e in
crescita; pertanto, occorre pilotarlo nella “patologia”, per favorire il riadattamento e la
riorganizzazione sistemica in termini neurobiologici.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 46/S1
Titolo: DEPRESSIONE INFANTILE: INTERVENTI PSICOLOGICI
Attività N°: 01

Counseling e interventi psicoeducativi

In una prima fase è sempre utile un intervento di counseling che, attraverso lo strumento
del colloquio a due o di gruppo, fornisce informazioni, chiarimenti, suggerimenti e
consigli
relativi al disturbo depressivo e ai trattamenti disponibili. L’intervento di counseling
deve avere il fine di migliorare aree più ampie di funzionamento del minore o
della sua famiglia.

E’ necessario che l’ascolto sia di tipo attivo, che focalizzi l’attenzione interamente su ciò
che l’altra persona sta dicendo e confermi la comprensione sia del contenuto del
messaggio sia delle emozioni e dei sentimenti sottesi.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 46/S1
Titolo: DEPRESSIONE INFANTILE: INTERVENTI PSICOLOGICI
Attività N°: 01

Il termine intervento psicoeducativo tende ormai ad includere una molteplicità di interventi


rivolti a ed effettuati con le famiglie. Tutti gli interventi inclusi, condividono due assunti di
base:
• La centralità della famiglia nell’universo del bambino
• L’imprescindibile necessità di un coinvolgimento della famiglia per ogni
intervento che si intenda mettere in atto
In merito al primo aspetto va, infatti, considerato che molti dei fattori di rischio vengono a
definirsi all’interno del sistema famiglia. L’intervento psicoeducativo, in questi casi, è
finalizzato a rimuovere o ad attenuare l’effetto di tali fattori che, se hanno in qualche modo
determinato l’insorgenza del disturbo, possono condizionarne il decorso e l’evoluzione.
Tuttavia, indipendentemente dall’eventuale presenza di fattori di rischio familiari,
l’intervento psicoeducativo mira ad attivare e a valorizzare le risorse del sistema famiglia
che, soprattutto in età evolutiva, rappresenta una miniera inesauribile di fattori di
protezione, soprattutto quando sono presenti, come fattori di rischio, eventi esterni
(scuola, gruppo dei pari) o che riguardano aspetti interni al bambino (profilo
temperamentale, stile cognitivo).
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 46/S1
Titolo: DEPRESSIONE INFANTILE: INTERVENTI PSICOLOGICI
Attività N°: 01

Ogni intervento psicoeducativo prevede:


• Informazione esaustiva e aggiornata sulle caratteristiche dello specifico problema
• Esposizione generale dei principi del trattamento
• Stimolazione dei genitori ad una rilettura critica delle fasi di sviluppo del soggetto,
delle sue modalità reattive prevalenti e delle sue esperienze di vita, delle sue
dinamiche intrafamigliari, degli aspetti caratterizzanti gli abituali atteggiamenti
pedagogici e dei criteri che hanno dettato le scelte di vita per il soggetto
• Guida e sostegno ai genitori nella scelta di strategie di fronteggiamento delle difficoltà
e di attivazione delle risorse intra ed interpersonali
• Ricognizione delle possibili risorse loro accessibili sul territorio di appartenenza
• Partecipazione informata all’organizzazione di tutte le fasi del progetto terapeutico
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 46/S1
Titolo: DEPRESSIONE INFANTILE: INTERVENTI PSICOLOGICI
Attività N°: 01

Tale fase di conoscenza già di per se stessa assume una forte valenza terapeutica, in
quanto aiuta i genitori a riflettere e a rileggere una serie di esperienze emozionali e
relazionali, quale premessa necessaria per sperimentare nuove strategie di
fronteggiamento.

L’atteggiamento dell’operatore dovrebbe essere improntato ad una reale volontà di capire


e di comprendere, al fine di condividere le decisione terapeutiche e di stabilire una
alleanza terapeutica per gli interventi successivi. Infatti, negli interventi psicoeducativi il
tecnico dovrebbe mantenersi sempre su un piano “superficiale”, demandando
all’intervento psicoterapeutico eventuali approfondimenti.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 46/S2
Titolo: DEPRESSIONE INFANTILE: INTERVENTI PSICOLOGICI
Attività N°: 01

TRATTAMENTO

Psicoterapie

Diversi studi hanno dimostrato l’efficacia di interventi psicoterapeutici a diverso


orientamento (cognitivo-comportamentale, interpersonale, psicodinamico,
familiare) sia nella fase acuta che nella fase di mantenimento, in particolare nelle
forme meno gravi, senza sintomi psicotici e bipolari, in tutte le fasce d’età.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 46/S2
Titolo: DEPRESSIONE INFANTILE: INTERVENTI PSICOLOGICI
Attività N°: 01

Nella psicoterapia della depressione l’obiettivo principale non è il sollievo immediato, ma


è il cambiamento nel tempo, ovvero la possibilità di collocare gli eventi passati, gestire i
presenti e programmare i futuri in una visuale diversa, più ampia e ricca di nuove
possibilità.
La forma di aiuto che la psicoterapia offre nella cura della depressione può
essere alternativa alla terapia farmacologica nelle forme medie e minori,
sotto-soglia, mentre può accompagnarsi a questa nelle forme maggiori.

Infatti, l’abbinamento antidepressivi e psicoterapia fa aumentare le probabilità


di successo di un 10-20%, rispetto al trattamento farmacologico da solo o alla
psicoterapia da sola.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 46/S2
Titolo: DEPRESSIONE INFANTILE: INTERVENTI PSICOLOGICI
Attività N°: 01

Ulteriori studi sono necessari per individuare i soggetti che sono probabilmente più
sensibili all’azione dei diversi trattamenti psicoterapeutici. Globalmente, sulla base dei dati
pubblicati, circa il 40-65% dei soggetti trattati ha una risposta favorevole al
trattamento psicoterapeutico.
Dai dati della letteratura emerge che gli interventi individuali sembrano essere più efficaci
rispetto a quelli familiari.

Tra le modalità psicoterapeutiche, la terapia cognitivo-comportamentale (TCC) e


interpersonale risultano gli approcci migliori, in particolare per gli adolescenti e
per i bambini in età scolare con buone capacità verbali.
Vi sono alcune segnalazioni sull’utilità della TCC come intervento preventivo in soggetti a
rischio, anche se questo aspetto resta ancora da dimostrare.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 46/S2
Titolo: DEPRESSIONE INFANTILE: INTERVENTI PSICOLOGICI
Attività N°: 01

Nonostante l’esiguità di studi sistematici sulla psicoterapia familiare, l’esperienza


clinica supporta l’evidenza che questo approccio ha particolare indicazione in età
evolutiva, dal momento che l’ambiente familiare rappresenta la principale
fonte di socializzazione.

Predittori negativi di efficacia di un intervento psicoterapeutico sono considerati: l’elevata


gravità del disturbo, l’associazione con disturbo della condotta o disturbo bipolare, la
presenza di sintomi psicotici e di rischio suicidario, la cronicità o l’elevata ricorrenza e la
presenza di condizioni psicosociali negative.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 46/S2
Titolo: DEPRESSIONE INFANTILE: INTERVENTI PSICOLOGICI
Attività N°: 01

E’ opportuno, all’inizio di una psicoterapia, porsi dei tempi per la valutazione di efficacia
del trattamento. Tali tempi dovrebbero tener conto maggiormente delle caratteristiche
cliniche del disturbo piuttosto che delle differenze nella tecnica di intervento
psicoterapeutico.
L’intervento psicoterapeutico appare anche utile nei disturbi depressivi al di fuori della
fase acuta, in quanto esso sembra ridurre il rischio di ricadute.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 46/S3
Titolo: DEPRESSIONE INFANTILE: INTERVENTI PSICOLOGICI
Attività N°: 01

TRATTAMENTO

Interventi di prevenzione

L’ultima tipologia di intervento non farmacologico riguarda gli interenti di prevenzione.


Sono stati studiati modelli di intervento volti a prevenire il rischio di depressione nella
popolazione generale.
I dati disponibili in tal senso sono ancora non numerosi, ma indicano una potenziale
efficacia di interventi psicoterapeutici individuali o di gruppo, trattamenti familiari e
interventi psicosociali.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 46/S3
Titolo: DEPRESSIONE INFANTILE: INTERVENTI PSICOLOGICI
Attività N°: 01

Alcuni interventi con impostazione sociologica sono tesi a creare condizioni sociali di
minore rischio depressivo, attraverso la riduzione di stressors ambientali generali e
hanno, come destinatari, tutti i soggetti della popolazione.

Altri interventi preventivi sono più direttamente mirati su popolazioni a rischio, quali
bambini o adolescenti con sintomi sottosoglia, individuati con progetti di screening,
soggetti con pregressi episodi depressivi o altre psicopatologie che aumentano il rischio
depressivo, figli di soggetti con disturbo depressivo e/o bipolare e bambini ed adolescenti
che hanno subito esperienze vitali particolarmente sfavorevoli (es. lutti familiari, abuso,
ecc.).

La validazione di tali interventi, così come la pratica realizzabilità in relazioni alle risorse
terapeutiche disponibili, sono ancora in discussione.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 46/S3
Titolo: DEPRESSIONE INFANTILE: INTERVENTI PSICOLOGICI
Attività N°: 01

Per riassumere quanto detto finora sui trattamenti non farmacologici, è possibile fare
riferimento a questa tabella conclusiva.

INTERVENTO PSICOEDUCATIVO
Alleanza terapeutica con bambino e famiglia
PSICOTERAPIE
Interventi individuali, di gruppo, familiari.
Diversi orientamenti, in rapporto a scelte personali piuttosto che a caratteristiche
cliniche o personologiche del soggetto.
Efficacia nel 40-65% dei soggetti trattati.
Necessità di porsi dei limiti temporali per la valutazione di efficacia.
Predittori negativi di efficacia:
- Gravità
- Comorbidità
- Sintomi psicotici
- Rischio suicidario
- Cronicità o elevata ricorrenza
- Svantaggio psicosociale
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 46/S3
Titolo: DEPRESSIONE INFANTILE: INTERVENTI PSICOLOGICI
Attività N°: 01

PREVENZIONE PSICOSOCIALE
Interventi sui soggetti a rischio
a)Sintomi subclinici
b)Pregressi episodi
c)Familiarità depressiva
d)Esperienze vitali negative

1.Interventi individuali o di gruppo


2.Interventi familiari
3.Interventi psicosociali
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 47
Titolo: Aule Virtuali Su Disturbo Ossessivo-compulsivo E Depressione
Attività N°: 1

AULA VIRTUALE SU DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO

Per questa e per la prossima sessione è prevista la realizzazione di un’aula virtuale sul tema del disturbo ossessivo-
compulsivo

Controllate il calendario.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 47/S1
Titolo: Aule Virtuali Su Disturbo Ossessivo-compulsivo E Depressione
Attività N°: 1

AULA VIRTUALE SU DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO

Per questa e per la prossima sessione è prevista la realizzazione di un’aula virtuale sul
tema del disturbo ossessivo-compulsivo

Controllate il calendario.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 47/S2
Titolo: Aule Virtuali Su Disturbo Ossessivo-compulsivo E Depressione
Attività N°: 1

AULA VIRTUALE SU DISTURBO DEPRESSIVO IN ETA’ EVOLUTIVA

Per questa e per la prossima sessione è prevista la realizzazione di un’aula virtuale sul
tema del disturbo depressivo in età evolutiva
Controllate il calendario.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 47/S3
Titolo: Aule Virtuali Su Disturbo Ossessivo-compulsivo E Depressione
Attività N°: 1

AULA VIRTUALE SU DISTURBO DEPRESSIVO IN ETA’ EVOLUTIVA

Per questa e per la prossima sessione è prevista la realizzazione di un’aula virtuale sul
tema del disturbo depressivo in età evolutiva
Controllate il calendario.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 48
Titolo: LA DEPRESSIONE
Attività n°: 1

LA DEPRESSIONE

Da questa Lezione 48 alla Lezione 51 affronteremo i Disturbi dell’Umore.


Il contenuto delle slide va integrato sul testo obbligatorio di Di Pentima: Percorsi di
sviluppo normale e patologico in età evolutiva
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 48
Titolo: LA DEPRESSIONE
Attività n°: 1

Normalmente il bambino, all’interno della relazione con gli adulti di riferimento, amplia
progressivamente la sua possibilità di vivere ed esprimere le emozioni. Ha già
studiato come nei primi anni di vita il piccolo faccia esperienza di un’ampia varietà di
emozioni. “Il bambino emotivamente sano è curioso, assertivo ed esplorativo” (PDM
Task Force, 2006; Pani et al., 2009).
Quando i livello di affettività positiva sono bassi, mentre le emozioni negative sono
prevalenti, si parla di depressione.

Connessioni con quanto ha già studiato


Abbiamo già affrontato in parte il tema delle emozioni nella diade madre-bambino,
specialmente quando la madre soffre di depressione, a proposito della teoria di
Tronick. Come ricorderà, un genitore depresso costruire col figlio una relazione
basata su affetti negativi. Questo tipo di relazione può essere un fattore scatenante la
depressione nel bambino, così come le carenze genitoriali (ricorda, dagli studi in
psicologia dello sviluppo, le ricerche di Spitz sui bambini deprivati e la teoria di
Bowbly?), lutti famigliari, abusi, conflitti famigliari…
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 48
Titolo: LA DEPRESSIONE
Attività n°: 1

La depressione non è l’unico tipo di disturbo dell’umore.


Il DSM-5 per ciò che concerne i disturbi dell’umore presenta due sezioni separate.
La prima nominata disturbi bipolari include:
- Disturbo bipolare di tipo I
- Disturbo bipolare di tipo II
- Disturbo ciclotimico
- Disturbo bipolare indotto da Sostanze o Condizioni Mediche
- Disturbo bipolare non altrimenti specificato
La seconda sezione, denominata Disturbi depressivi comprende
- Disturbo depressivo maggiore (episodio singolo)
- Disturbo depressivo maggiore (episodio ricorrente)
- Disturbo distimico
- Disturbo disforico premestruale
- Disturbo depressivo indotto da sostanze
- Disturbo depressivo dovuto a condizione medica
- Disturbo depressivo non altrimenti specificato
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 48
Titolo: LA DEPRESSIONE
Attività n°: 1

Tenete presente che fino agli anni ’70 si riteneva che i bambini non potessero
presentare sintomi depressivi in ragione dell’immaturità delle loro strutture di
personalità
E’ soltanto a partire dagli anni ‘70 che si inizia a riconoscere la presenza di una
sintomatologia depressiva anche in infanzia e negli anni ‘80 si applicano gli stessi
criteri degli adulti per la diagnosi di depressione maggiore.
Più recentemente, si stanno mettendo a punto criteri diagnostici specifici per l’età
evolutiva e si stanno delineando con maggiore precisione gli aspetti di divergenza e
continuità tra infanzia e età adulta.
Il DSM-5 ad esempio descrive i quadri sintomatologici dei disturbi, delineando le
differenze opportune che riguardano adulti e bambini (in termini di tipologia di
sintomi e durata degli stessi) e introduce una nuova categoria diagnostica per l’età
evolutiva il disturbo dirompente da disregolazione dell’umore.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 48/S1
Titolo: Ripasso E Esercitazione Su Depressione
Attività N°: 1

Età scolare

Billy
(APA, 2003)

Billy, un bambino afroamericano di 7 anni, viene portato in una clinica di salute mentale
da sua madre perché “è infelice e si lamenta sempre di stare male”. Vive con i suoi
genitori, suo fratello minore e sua nonna.

Esercitazione
Anche per questo caso, le chiedo di sottolineare quali segnali, tipici dell’età considerata, le fanno pensare a una
malattia depressiva. Sintetizzi le sue riflessioni sul forum
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 48/S1
Titolo: Ripasso E Esercitazione Su Depressione
Attività N°: 1

La madre descrive Billy come un bambino che non è mai stato felice e che non ha mai voluto
giocare con gli altri bambini. Dall’epoca in cui aveva iniziato la scuola dell’infanzia, aveva
lamentato gastralgie, mal di testa e altri problemi fisici vari, più marcati al mattino quando era
pronto per andare a scuola. Negli ultimi mesi le sue lamentele somatiche erano aumentate,
suggerendo la necessità di un esame fisico completo, che risultò nella norma.
Billy si era sentito bene durante il primo anno di scuola, ma adesso che frequenta il secondo ha
difficoltà ad impegnarsi. Impiega molto tempo a svolgere i compiti e frequentemente sente che li
deve rifare in modo da renderli “perfetti”. A causa delle frequenti lamentele somatiche, è difficile
farlo andare a scuola al mattino. Se gli permettono di stare a casa, si preoccupa di rimanere
indietro con i compiti.
Quando va a scuola, spesso è incapace di concentrarsi, il che lo fa sentire frustrato.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 48/S1
Titolo: Ripasso E Esercitazione Su Depressione
Attività N°: 1

Per riuscire a trascorrere la giornata, porta con sé una nota che ha fatto scrivere da sua madre:
“Oggi tu non esci presto da scuola. Se senti che devi fare i tuoi compiti numerose volte, per
favore fai proprio il meglio che puoi. Non pensare a che ore sono e il tempo scorrerà
rapidamente”.
Le sue preoccupazioni si sono estese al di là dell’ambito scolastico, e spresso è insistente ed
esigente con i suoi genitori. Teme che se i suoi genitori tornato a casa tardi, o partono e vanno
in qualche luogo senza di lui, possa loro accadere qualcosa. Nelle due settimane precedenti ha
insistito perché suo fratello minore dormisse con lui, perché aveva paura ad andare a dormire di
notte da solo.
Sebbene la madre di Billy sappia che lui no né mai stato realmente felice, negli ultimi 6 mesi si
rende conto che è diventato molto più depresso. Frequentemente si trascina per la casa,
dicendo che è troppo stanco per fare qualunque cosa. Non si interessa o non si diverte
giocando. Il suo appetito è diminuito. Ha difficoltà ad addormentarsi e spesso si alza nel cuore
della notte o presto al mattino.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 48/S1
Titolo: Ripasso E Esercitazione Su Depressione
Attività N°: 1

Tre settimane fa aveva detto per la prima volta di voler morire, e che forse si sarebbe sparato.
La madre di Billy era rimasta incinta due mesi dopo il matrimonio. Non si sentiva pronta per un
bambino. In gravidanza era ipertesa ed emotivamente turbata. Il parto fu complicato
dall’ipertensione che si aggravava. Al momento del parto Billy andò in arresto cardiaco. Durante
la prima settimana di vita, presentò vomito a getto, che durò per due settimane. Ha avuto
enuresi notturna fino ad un anno fa.
Durante il colloquio Billy permise a sua madre di andare in un’altra stanza per essere intervistata,
ma dopo 20 minuti si fece molto agitato, cominciò a piangere ed insistette per essere portato da
lei. Fu disponibile a sedere fuori dalla stanza dove era sua madre, solo a condizione che la
porta fosse aperta e potesse vederla.
Billy non fu in grado di completare un elenco di sintomi (ideato per bambini della sua età) che gli era
stato consegnato al momento della valutazione. Sentiva che doveva ottenere un elenco perfetto
e chiese che gli fosse permesso di portare i fogli a casa per poter terminare. Cominciò a
preoccuparsi di non riuscire a completare la lista.
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Lezione N°: 48/S1
Titolo: Ripasso E Esercitazione Su Depressione
Attività N°: 1

Alcuni spunti di riflessione sul caso di Billy


Billy è chiaramente depresso, ha perduto l’interesse ed il divertimento nel giocare, ha difficoltà a
dormire, scarso appetito, poca energia e pensieri suicidari.
Ha molti altri sintomi, che includono il perfezionismo, la preoccupazione per le sue prestazioni
scolastiche, le lamentele somatiche e l’ansai di separazione da sua madre. Questi sintomi di
natura ansiosa, sono associati alla manifestazione del disturbo dell’umore.
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Lezione N°: 48/S2
Titolo: Ripasso E Esercitazione Su Depressione
Attività N°: 1

Adolescenza

Esercitazione
Anche per il caso di seguito indicato, le chiedo di sottolineare quali segnali, tipici dell’età considerata, le fanno
pensare a una malattia depressiva. Le chiedo di sintetizzare le sue riflessioni sul forum
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Lezione N°: 48/S2
Titolo: Ripasso E Esercitazione Su Depressione
Attività N°: 1

George
(APA, 2003)

George è un ragazzino di 16 anni ricoverato all’ospedale del centro giovanile di detenzione in


seguito ad un serio tentativo di suicidio. Aveva avvolto i lacci da scarpe e un nastro intorno al
collo, causando una grave compromissione respiratoria.

Quando fu trovato, era cianotico e semincosciente. Era stato ammesso al centro il giorno prima e il
suo comportamento era stato di isolamento nei confronti di ciò che lo circondava.
Al momento del ricovero, George è riluttante a parlare, eccetto che per dire che voleva uccidersi e
che nessuno poteva fermarlo. Comunque, racconta una storia di due settimane di umore
depresso, difficoltà a dormire, calo dell’appetito e degli interessi, sentimenti di colpa e ideazione
suicidaria.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 48/S2
Titolo: Ripasso E Esercitazione Su Depressione
Attività N°: 1

Secondo i genitori, George non aveva avuto alcuna difficoltà emotiva fino a che, all’età di 13 anni,
aveva iniziato a far uso di stupefacenti, soprattutto LSD, marijuana e sedativi non oppioidi. I suoi
voti erano peggiorati drasticamente, era fuggito da casa in alcune occasioni dopo discussioni
con i genitori e aveva compiuto un gesto suicida con un’overdose di aspirina. Un anno dopo, in
seguito a una discussione con il preside, fu espulso da scuola. Incapaci di controllare il suo
comportamento, i suoi genitori lo avevano fatto esaminare in una clinica per disturbi mentali e
venne loro consigliato di portarlo in una casa-famiglia. Apparentemente stava bene in questa
casa e il suo rapporto con i genitori migliorò enormemente con la terapia familiare.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 48/S2
Titolo: Ripasso E Esercitazione Su Depressione
Attività N°: 1

Ritornò piuttosto responsabile nel mantenere un lavoro e nel frequentare la scuola e non venne
coinvolto in attività illegali, incluso l’uso di stupefacenti.
Sei mesi prima del ricovero in ospedale, tuttavia, George aveva di nuovo fatto uso di stupefacenti e,
in due settimane, era stato coinvolto in 10 violazioni di domicilio con scasso, tutte da solo.
Ricorda che era depresso in quel momento, ma non sa dire se il cambiamento di umore era
avvenuto prima o dopo la ripresa dell’uso di stupefacenti. Fu allora portato al centro giovanile di
detenzione, dove stesse così bene che fu riaffidato ai genitori 3 settimane prima del ricovero.
Un giorno dopo il ritorno a casa, impulsivamente partì con i suoi amici su un’auto rubata per un
viaggio nel Texas, fu preso e riammesso nel centro di detenzione.
La depressione di George iniziò poco dopo e, secondo lui, la sua colpa per ciò che aveva fatto ai
suoi genitori lo aveva portato al tentativo di suicidio.
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Lezione n°: 48/S3
Titolo: Ripasso E Esercitazione Su Depressione
Attività n°: 1

Disturbo bipolare
Il disturbo bipolare è piuttosto raro (si manifesta dai 6-7 anni) ed è caratterizzato da instabilità e
intensità dell’umore.

Esercitazione
Sottolinei quali segnali, le fanno pensare a un disturbo di tipo bipolare
Le chiedo di sintetizzare le sue riflessioni sul forum
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Lezione n°: 48/S3
Titolo: Ripasso E Esercitazione Su Depressione
Attività n°: 1

I bambini bipolari hanno reazioni imprevedibili e oscillazioni rapide dell’umore, sono ad alto rischio di
fare male a sé e agli altri. Le relazioni, l’immagine di sé, il rendimento scolastico e ogni area
della vita sono gravemente compromessi.
Spesso questi bambini e adolescenti ricevono diverse diagnosi (es. soprattutto disturbi del
comportamento; sono associati anche: disturbo alimentale, abuso di sostanze, fobia…) prima
che venga diagnosticato il disturbo bipolare. Specialmente nei bambini, è difficile riscontrare i
cicli di umore degli adulti, ma sono frequenti i problemi comportamentali (euforia, impulsività…).
Un buon numero di bambini e adolescenti che ha ricevuto una diagnosi di depressione, in seguito
riceverà una nuova diagnosi di disturbo bipolare.
Il ruolo dei fattori organici e dell’ereditarietà dell’ereditarietà della malattia è attualmente oggetto di
studio nei bambini.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione n°: 48/S3
Titolo: Ripasso E Esercitazione Su Depressione
Attività n°: 1

Due esempi
(PDM, 2006)

Un bambino di 9 anni, che oscillava tra una grande agitazione e una grande rabbia, aveva attaccato
fisicamente le sorelle perché “me la fanno sotto il naso e giocano con le mie cose”. Pensava di
essere giustificato a comportarsi in quel modo e agiva in modo eccitato “come se fossi un
guerriero che difende il suo castello” (il bambino giocava con molti videogiochi). Quando i genitori
tornavano a casa lo sgridavano perché aveva fatto male alle sorelle. Allora provava rimorso,
minacciava di buttarsi dalla finestra e diventava molto triste. In questi momenti di “down” si
arrabbiava con se stesso e parlava di quanto fosse cattivo. Questo pattern era continuato per molti
mesi. Quando aveva iniziato a brandire un coltello da cucina, i genitori lo avevano portato in
terapia temendo che potesse fare del male a se stesso o a qualcuno della famiglia. In seduta
diceva in modo agitato di essere pazzo, dichiarava che le persone non potevano più fargli questo o
quello e poi precipitava in uno stato di autorecriminazione in cui diceva che meritava di morire
come uno zio deceduto di recente.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione n°: 48/S3
Titolo: Ripasso E Esercitazione Su Depressione
Attività n°: 1

Un bambino di 10 anni aveva appena iniziato a frequentare una scuola per bambini con problemi emotivi. Aveva una
lunga storia di distruttività e aveva ricevuto varie diagnosi di disturbo da deficit di attenzione/iperattività, disturbo
della condotta, disturbo oppositivo provocatorio e disturbo del controllo degli impulsi.
Gli erano stati prescritti diversi farmaci, ma il loro effetto era stato limitato. A causa del suo comportamento, che
era durata dai 6 ai 9 anni, era stato espulso da vari corsi scolastici. In classe agiva in modo molto “sciocco”
arrampicandosi sui banchi, provocando gli insegnanti e gli altri bambini e imitando il canguro. Sembrava che non
riuscisse a fermarsi e aveva detto al terapeuta che avrebbe voluto essere in grado di farlo.
Descriveva irritabilità cronica e ideazione paranoide occasionale, come il convincimento che fossero gli altri
bambini a provocarlo e a prenderlo in giro.
La madre, anche lei un po’ ipomaniacale, aveva rivelato con una certa vergogna che venti anni prima a suo padre
era stato diagnosticato un disturbo maniaco-depressivo.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 49
Titolo: La Perdita Della Relazione: Il Lutto Nei Bambini
Attività N°: 2

La perdita della relazione: Il lutto nei bambini

Il contenuto della lezione va studiato sulle slide. Chi fosse interessato ad approfondire
l’argomento può leggere:

Lieberman (2007) il lutto infantile. La perdita di un genitore nei primi anni di


vita. Il Mulino.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 49
Titolo: La Perdita Della Relazione: Il Lutto Nei Bambini
Attività N°: 2

Tratto da: Cavedon: www.endlife.it/convegni/rivista.../27-CAVEDON.pdfCopia cache


Simili

Premessa
Un lutto è un evento tragico, soprattutto quando colpisce un bambino nei primi anni di vita e riguarda una
figura di riferimento che per il bambino rappresenta una fondamentale fonte di amore, di sicurezza e
quindi di benessere.
Tale morte ha spesso la caratteristica di essere prematura ed improvvisa in quanto causata da incidenti, violenza,
suicidio, disgrazie, piuttosto che da situazioni legate all’invecchiamento.
La modalità nella quale si verifica la morte di una persona cara al minore
determina spesso l’effetto che questa ha su di lui: se la morte è l’esito di una lunga malattia il minore in genere saprà
affrontare l’evento con l’aiuto degli adulti di riferimento, mentre una morte improvvisa, o ancor peggio violenta, rischia
di far crollare improvvisamente il sostegno emotivo e la protezione dell’altro genitore e dei parenti, proprio quando il
bambino ne ha più bisogno, facendolo sentire a sua volta in pericolo ed abbandonato a se stesso.
Nel caso estremo in cui il bambino abbia assistito alla morte violenta del genitore, poi, egli sarà esposto a ricordi di
violenza che spesso possono diventare ricordi traumatici intrusivi ed interferire con la capacità del minore di elaborare il
lutto, in quanto il bambino non riuscirà a ricordare il genitore senza ricordare anche la scena della sua morte.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 49
Titolo: La Perdita Della Relazione: Il Lutto Nei Bambini
Attività N°: 2

Concetto di morte

Prima di procedere con la descrizione delle tappe che portano il bambino ad una piena comprensione
del concetto di morte è necessario definire i cinque termini più discussi nelle ricerche che valutano
tale concetto nei bambini:

Non funzionalità: la comprensione che la morte porta alla cessazione delle funzioni vitali;
· Irreversibilità: la comprensione che la morte porta ad una fine e che quindi una volta morti
non si può tornare in vita;
· Universalità: la comprensione che la morte è inevitabile per le cose viventi e che
conseguentemente tutti gli esseri viventi muoiono;
· Causalità: la comprensione delle cause che portano alla morte;
· Mortalità personale: concetto legato all’universalità ma vi è la comprensione aggiuntiva che
anche per sé stessi vi sarà la morte.

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Lezione N°: 49
Titolo: La Perdita Della Relazione: Il Lutto Nei Bambini
Attività N°: 2

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Concetto di morte
PRIMA DEI 3 ANNI

la problematica della morte non è affatto ignorata, i piccoli si accorgono del fenomeno (per esempio
manifestando stupore e compassione di fronte alla morte di un insetto) e cominciano a differenziare
sempre più la morte dal dormire o dalla malattia, considerandola sempre più come uno stato
contrapposto alla vita e riconoscendone sia alcune cause (come incidente, aggressione con armi) sia
alcuni effetti, come l’assenza di movimento.

Essa viene però ancora vista del bambino come una separazione limitata, una specie di vita ridotta, un
evento temporaneo, come un viaggio o un lungo sonno. A 3 anni, infatti, il bambino non ha ancora
compreso che la morte è irreversibile, universale e porta alla cessazione delle funzioni vitali. Il bambino
comincia anche a capire che la morte può accadere anche a sé stesso e ai propri genitori, e quindi inizia
a provare ansia di separazione e paura di aggressione. A questa età però non comprende ancora il
principio della non funzionalità e attribuisce al defunto sentimenti e funzioni vitali.
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Lezione N°: 49
Titolo: La Perdita Della Relazione: Il Lutto Nei Bambini
Attività N°: 2

Concetto di morte

A QUATTRO E CINQUE ANNI


vi è una comprensione della morte di tipo organicistico e di norma il bambino riesce a comprendere
l’irreversibilità e la universalità del fenomeno.

DAI 6 ANNI IN POI


la quasi totalità dei bambini sa che la morte è irreversibile, universale, ed implica la cessazione
delle funzioni vitali. Tale concetto può essere raggiunto anche prima se vengono date al bambino precoci
informazioni su come il corpo stia in vita, o quando il minore ha esperienza diretta del problema (Orbach et al.
1995). Inoltre a questa età i bimbi possiedono un atteggiamento attivo nei confronti del fenomeno, vissuto in
alcuni casi come evitabile per mezzo dell’abilità umana, ed aumenta in loro anche la consapevolezza delle
emozioni negative che la morte provoca in parenti e amici.
Altri autori ritengono invece che la comprensione della morte come universale, irreversibile,
e consistente nella cessazione delle funzioni vitali, sia meno precoce e avvenga verso gli 8 anni di vita
(Sommerhimmer e Maksim, 2008).
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Lezione N°: 49
Titolo: La Perdita Della Relazione: Il Lutto Nei Bambini
Attività N°: 2

Le reazioni al LUTTO NEI BAMBINI:

• R eazioni Em otive: tristezza, rabbia, ansia, appiattimento emotivo, stordimento, solitudine, colpa,
impotenza, vergogna, insicurezza, rimorso.

• Cam biam enti nel com portam ento:


mancanza di interesse e partecipazione nelle attività abituali;
comportamenti aggressivi; irritabilità, impulsività,
regressioni e comportamenti infantili,
modifiche nel sonno
cambiamenti nell’appetito e problemi di salute fisica;
Lamentele somatiche
Crollo nelle prestazioni scolastiche

• I nterazioni interpersonali:
ritiro, isolamento sociale e comportamenti aggressivi

• Cam biam enti nel pensiero:


pensieri/memorie persistenti sulla persona persa o sulla morte; preoccupazioni che altre persone possano
morire; preoccupazioni sulla salute propria e altrui
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Lezione N°: 49
Titolo: La Perdita Della Relazione: Il Lutto Nei Bambini
Attività N°: 2

Reazioni alla perdita: in ottica temporale


Alla notizia:
- reazioni di shock, sensazioni di incredulità e stordimento

Nei giorni successivi:


- emerge l’infelicità ed è possibile che tenti di evitare il rapporto con gli altri
- peggioramento della regolarità del sonno e nella concentrazione, difficoltà alimentari,
difficoltà scolastiche
- fantasie di ricongiungimento e questo atteggiamento può preoccupare gli adulti
- nei casi di morte traumatica, i bambini si sentono sopraffatti dall’angoscia e cercano di evitare qualsiasi
ricordo. Evitano oggetti o situazioni che possono provocare loro dei ricordi e incominceranno a temere
che altre persone significative possano morire

Nelle settimane successive:


- queste emozioni intense fanno spazio a un modello + attutito di tristezza, irritabilità e a volte emerge
l’aggressività.
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Lezione N°: 49/S1
Titolo: La Perdita Della Relazione: Il Lutto Nei Bambini
Attività N°: 2

Il dolore del LUTTO


L’elaborazione del lutto implica che la persona colpita possa dare libero sfogo alle proprie sensazioni ed
emozioni, in altre parole al proprio DOLORE

Non è vero che il dolore faccia bene che “tempri il carattere” o sia “formativo”. Il dolore FA
MALE, fa SEMPRE MALE

Quel particolare dolore mentale che è proprio della esperienza


Dolore Depressivo della PERDITA di qualche cosa di BUONO che avevamo o che
eravamo. Deve trattarsi di qualche cosa di buono soggettivamente

Bowlby: se desideriamo aiutare una persona colpita da una perdita, é essenziale guardare le
cose dal suo punto di vista e rispettare le sue sensazioni anche se alcune di esse possono
apparirci non realistiche. Occorre essere disposti a prendere in discussione ogni
speranza, desiderio assieme a ogni rimpianto, rimprovero e delusione.
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Lezione N°: 49/S1
Titolo: La Perdita Della Relazione: Il Lutto Nei Bambini
Attività N°: 2

ELABORAZIONE DEL LUTTO


E’ un particolare processo mentale lungo e articolato che si svolge “a ondate” per mezzo delle quali ci
avviciniamo e allontaniamo dalla percezione diretta del dolore mentale depressivo.

Progressiva consapevolezza emotivo-cognitiva della perdita, sua accettazione profonda, ad una


stabile ristrutturazione emotivo-cognitiva della percezione di Sé che tenga pienamente conto
della perdita a un riconoscimento schietto del dolore che si sta provando, della sua sensatezza e
“legittimità” e un ritornare a accogliere, stimare, a volere bene al se stesso sofferente che ci si ritrova ad
essere.

Comporta grandi trasformazioni delle immagini mentali sia di sé sia della persona perduta che potrà venire
conservata soltanto in quanto sarà trasformata in ricordo. E così anche il legame con la persona verrà
ad essere trasformato:

Attaccamento lacerato Rimembranza dell’attaccamento


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Lezione N°: 49/S1
Titolo: La Perdita Della Relazione: Il Lutto Nei Bambini
Attività N°: 2

ELABORAZIONE DEL LUTTO

Accettare la realtà della perdita

Il primo compito: confrontarsi con la realtà della perdita . Non è difficile


riscontrare una sorta di negazione della perdita. Tale negazione può assumere
diverse forme: stato apatico che può andare avanti per giorni o settimane; parlare alla
persona morta, o immaginare di vederla.

Affrontare il dolore della perdita


La persona può negare a volte l’importanza della perdita dicendo “non sento la
sua mancanza” “non eravamo così legati”

Questo può venire erroneamente interpretato come mancanza di sentimenti.


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Lezione N°: 49/S1
Titolo: La Perdita Della Relazione: Il Lutto Nei Bambini
Attività N°: 2

Come aiutare il bambino: cosa non fare


Spesso gli adulti, proprio perché ritengono che il piccolo non sia in grado di capire cosa è successo,
tendono in qualche modo a difenderlo minimizzando il tragico lutto, impedendogli di partecipare a
tutte le cerimonie connesse al decesso, evitando di rispondere alle sue domande o limitandosi a dire
che il loro caro è partito per un lungo viaggio o, al massimo, che è andato in cielo o riposa su di una
nuvola.
A prescindere dalla credenza religiosa familiare dell’esistenza di una vita ultraterrena, tali spiegazioni
non sono affatto sufficienti per il bambino che continuerà a sperare che la persona che ama, e di cui
sente un enorme vuoto, torni. Inizierà, quindi, a porre insistenti domande relative a tale ritorno e più
passa il tempo, più inizierà a perdere fiducia in chi gli ha fornito risposte inadeguate.

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Attività N°: 2

Come aiutare il bambino: cosa fare


E’ perciò importante che il bambino, se non ha assistito al decesso, ne venga informato al più presto,
preferibilmente da un adulto di riferimento, in un contesto sicuro e protetto. Si potrebbero fornire al minore
delle spiegazioni sulla morte, come situazione di “non ritorno, almeno su questa terra, permettendogli di
fare tutte le domande che riterrà opportune, e alle quali l’adulto dovrà rispondere con indicazioni corrette,
anche se adeguate all’età.
Nel caso frequente in cui le persone più vicine al bambino non siano in grado di fornirgli conforto e
protezione adeguati, risulta quanto mai necessario che qualcun altro (che il piccolo conosce e che abbia la
capacità di farlo) si occupi di lui, non sostituendosi, ma affiancandosi ai familiari.
Dovrà suggerire loro di fornire al piccolo spiegazioni sulle procedure successive al tragico evento, ma
soprattutto convincerli a far partecipare il piccolo alle ritualità funebri connesse al decesso. Dovrà anche
suggerire ai familiari di fare in modo che il bambino torni a scuola e alle sue normali attività sociali prima
possibile. Potrà proporre di organizzare incontri familiari ai quali partecipino un gruppo allargato di parenti
(nonni, zii, cugini) per facilitare la comunicazione e la condivisione del dolore, riprendendo vecchie, ma
efficaci usanze di condivisione sociale del lutto. In tale modo risulterà più facile favorire il ricordo della
persona defunta attraverso i racconti di nonni, zii, altri parenti che riporteranno vecchi ricordi, aneddoti ed
episodi di vita passata del defunto che il bambino difficilmente conosce, ma che lo aiuteranno a scacciare
le tragiche immagini presenti, legate a ricordi traumatici e gli forniranno la possibilità di farlo continuare a
vivere in modo positivo, nel suo ricordo (Stanulovic, 2005).
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Lezione N°: 49/S1
Titolo: La Perdita Della Relazione: Il Lutto Nei Bambini
Attività N°: 2

Come aiutare il bambino

-Assicurarsi che il bambino riceva informazioni corrette sulla malattia o sulle circostanze della
morte. Correggere ogni malinteso o informazione sbagliata

-Dare esplicitamente al bambino il permesso di addolorarsi e offrirgli l’opportunità di farlo in un


ambiente sicuro

-Consapevole delle modalità non verbali di espressione del lutto

-Ristabilire la routine il più presto possibile: ritornare alla consueta e prevedibile vita familiare
aiuta a minimizzare le paure che il futuro del bambino sarà minacciato dalla perdita

-Aiutare a mantenere i legami coi coetanei, offrendo opportunità di incontro senza fare pressioni

-Assicurarsi che le regole continuino ad essere rispettate

- La maggior parte dei bambini traggono vantaggio dal poter dire “addio” alla persona
scomparsa, riponendo ad esempio un oggetto sulla tomba.
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Lezione N°: 49/S2
Titolo: La Perdita Della Relazione: Il Lutto Nei Bambini
Attività N°: 1

ELABORAZIONE DEL LUTTO

PERCHE' alcune persone trovano più difficile manifestare le proprie sensazioni di


dolore?

BOWLBY:

Nella famiglia in cui sono cresciuti e con cui sono ancora in rapporto, il comportamento di
attaccamento del bambino veniva/viene considerato come qualcosa che deve scomparire
prima possibile.
In tali famiglie, il pianto, le manifestazioni di protesta alla separazione vengono considerate
come infantili e la collera o la gelosia come riprovevoli..

Evitare il lutto é una importante variante patologica del dolore e B. sottolinea


l'importanza dell'incoraggiamento della espressione emotiva.
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Lezione N°: 49/S2
Titolo: La Perdita Della Relazione: Il Lutto Nei Bambini
Attività N°: 1

ELABORAZIONE DEL LUTTO NEI BAMBINI:


Bowlby: condizioni favorevoli

-prima di tutto che egli abbia goduto di un rapporto ragionevolmente sicuro con i genitori, prima della
perdita;

-in secondo luogo, che lo si informi tempestivamente e in modo esatto di quanto é accaduto,
permettendogli di fare tutte le domande che vuole, e rispondendo nella maniera più onesta possibile, in
modo da farlo partecipare al dolore della famiglia,

- in terzo luogo che possa godere della presenza consolante del genitore superstite, o se questo non é
possibile di un sostituto che il bambino conosca e in cui abbia fiducia, con l'assicurazione che il
rapporto continuerà in futuro.
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Lezione N°: 49/S2
Titolo: La Perdita Della Relazione: Il Lutto Nei Bambini
Attività N°: 1

Come aiutare il bambino: l’importanza dell’età


Infant: mantenere le routine; mantenere il bambino nella sua casa; è importante che riceva cure, attenzioni e
coccole da chi è in grado di fornirle

Toddler:; spiegare con un linguaggio adatto all’età che la persona amata è morta; usare i termini
morte/morto e non altri confondenti;
rispondere alle sue domande; spiegare che è giusto piangere; chiarire al bambino che non è lui la causa della
morte; se possibile coinvolgerlo nella preparazione del funerale e prepararlo al funerale

6-9 anni: chiedere al bambino cosa ha capito e cosa vuole sapere; seguire le sue domande; usare termini come
morto o morte; affrontare le sue paure, farlo giocare.

10-12 anni: essere onesti, fornire i dettagli se richiesti, coinvolgerlo nei preparativi, spiegare i sentimenti, offrire
calore comprensione e supporto

Teens: essere onesti, parlare della morte; incoraggiarli a parlare con altri adulti se trovano difficoltoso parlare
coi genitori; incoraggiare i genitori a parlare e a piangere davanti al figlio, incoraggiare i genitori a esprimere
apprezzamenti al figlio, garantirgli la sua privacy.
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Titolo: La Perdita Della Relazione: Il Lutto Nei Bambini
Attività N°: 1

Lutto normale vs lutto prolungato o traumatico


I bambini/adulti che sperimentano un lutto normale riescono nel tempo a:

• Accettare la realtà e irreversibilità della morte

• Vivere e affrontare l’ampia serie di sentimenti relativi alla persona


deceduta; tristezza, rabbia, colpa

• Adattarsi ai cambiamenti nelle loro vite e alla nuova identità

• Sviluppare nuove relazioni o approfondire quelle preesistenti con amici e familiari

• Investire in nuove attività

• Mantenere un legame continuo con la persona deceduta attraverso pensieri e ricordi

• Dare significato alla morte

• procedere nei diversi compiti di sviluppo


Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 49/S2
Titolo: La Perdita Della Relazione: Il Lutto Nei Bambini
Attività N°: 1

Una mancata elaborazione del lutto


Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 49/S3
Titolo: La Perdita Della Relazione: Il Lutto Nei Bambini
Attività N°: 1

Lutto prolungato negli adulti e nei bambini

I soggetti con PGD sono essenzialmente bloccati, cristallizzati in una condizione di lutto cronico;

intensa sensazione di nostalgia e struggimento per la persona persa e il desiderio che la vita ritorni
alle condizioni precedenti all’evento.

Sentimenti di vuoto e assenza speranza per il futuro.

Incapacità nel concentrarsi su qualunque cosa che non riguardi la perdita del proprio caro.

Senso di alienazione e di isolamento sociale


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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 49/S3
Titolo: La Perdita Della Relazione: Il Lutto Nei Bambini
Attività N°: 1

Disturbo da Lutto Prolungato nei bambini

Devono esserci almeno 3 dei seguenti sintomi (per + di 2 settimane)

1. pianto e richiamo della persona perduta


2. rifiuto della consolazione
3. ritiro emotivo con letargia ed espressione triste e mancanza d’interesse per le attività proposte
4. disturbi del comportamento alimentare
5. disturbi del sonno
6. regressioni o perdite di competenze fondamentali (es. perdita del controllo sfinterico, uso di linguaggio infantile)
7. restringimento della gamma di affetti
8. distacco, perdite di memoria selettive anche sul genitore perduto o estrema sensibilità al ricordo della persona scomparsa.

Può essere molto difficile da distinguere dal Disturbo post-traumatico da stress: qui c’è maggior tendenza alla letargia, al ritiro e
alla depressione e all’apatia, mentre nel Disturbo post-traumatico da stress c’è maggior tendenza alla riproduzione ansiosa
dell’evento e di pattern compulsivi.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 49/S3
Titolo: La Perdita Della Relazione: Il Lutto Nei Bambini
Attività N°: 1

Se il bambino è stato testimone della morte violenta o/e improvvisa di un caregiver le sue normali
reazioni si presenteranno con modalità specifiche che potranno includere la rievocazione di ricordi
traumatici quali suoni, immagini, odori legati all’evento anche quando il bambino ricorderà il suo caro da
vivo.
Nel bambino sarà anche forte la preoccupazione di subire la stessa morte del genitore.
Anche se il bambino non assiste personalmente alla morte improvvisa o/e violenta è facile che possa
essere vittima di traumi sostitutivi derivati dall’ascolto di descrizioni ripetute dell’evento fatte da altri
(convinti che il piccolo non sia in grado di capire) o semplicemente osservando l’intensa sofferenza che
l’altro genitore e i parenti manifestano attorno a lui.
“Bambini di 18 mesi, o anche più piccoli, possono formarsi immagini mentali sulla base di descrizioni
verbali, specialmente se l’argomento è di particolare importanza per loro. Queste immagini mentali
possono derivare dalla
visione delle facce sconvolte o dalle voci agitate degli adulti vittime del lutto che circondano il bambino”
(Lieberman et al. 2003, p. 45).
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 49/S3
Titolo: La Perdita Della Relazione: Il Lutto Nei Bambini
Attività N°: 1

Lutto traumatico nei bambini


Quando una persona particolarmente cara ad un bambino muore in modo traumatico
il bambino può sviluppare sia sintomi posttraumatici sia cordoglio

I bambini ritengono che la causa della morte sia terrificante e scioccante.

In questi casi le reazioni posttraumatiche interferiscono con il processo di elaborazione del lutto.

I ricordi/i pensieri, le emozioni relative alla persona deceduta possono sollecitare le memorie spaventose relative alla modalità
del decesso.

E poiché tali ricordi sono altamente spiacevoli e sconvolgenti il bambino cerca di evitare tutto ciò che può
ricordare la perdita.

In altri termini tali strategie di evitamento impediscono il normale processo di elaborazione del lutto.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 49/S3
Titolo: La Perdita Della Relazione: Il Lutto Nei Bambini
Attività N°: 1

Le difficoltà comprendono:

• Memorie intrusive relative al decesso


Possono essere espresse attraverso incubi, senso di colpa e autocolpevolizzazioni pensieri ricorrenti e
disturbanti inerenti le modalità della morte

• Evitamento e appiattimento: ritiro, evitare di ricordare la persona e/o il modo in cui è morta;

• Sintomi fisici o emotivi di accresciuto arousal: irritabilità, ansia problemi nel sonno, diminuita
concentrazione, mal di stomaco, mal di tesa, paure circa la sicurezza propria e delle altre persone,
vigilanza….
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 49/S3
Titolo: La Perdita Della Relazione: Il Lutto Nei Bambini
Attività N°: 1

IL SUICIDIO DI UN GENITORE

Il suicidio costituisce una azione difficile da comprendere sia per gli adulti che per i
bambini.

Il suicidio di un genitore colpisce al “cuore” la relazione genitore-bambino, il suo senso di


sicurezza. Il pericolo è che il bambino si senta abbandonato, non amato o che sia
stato la causa della morte. Questo può accadere in particolare quando il bambino scopre il
corpo del genitore.

E’ quindi essenziale creare l’opportunità di parlare delle emozioni disturbanti suscitate


dall’evento, comprendendo i pensieri e le fantasie circa il modo in cui è avvenuta la morte.

In genere gli adulti tendono a proteggere il bambino circa la veridicità dei fatti nel
desiderio erroneo di proteggere il bambino. Di fatto il bambino può aver compreso
quanto accaduto sia da solo sia dopo aver ascoltato alcuni “dettagli” da altri e può
sviluppare sentimenti di rabbia, confusione, colpa.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 49/S3
Titolo: La Perdita Della Relazione: Il Lutto Nei Bambini
Attività N°: 1

IL SUICIDIO DI UN GENITORE

E’ necessario fornire al bambino una duplice spiegazione:


1. il fatto che il genitore non era in grado di sentire e di pensare in modo sano a causa di
una malattia mentale
2. Il fatto che il genitore abbia commesso un errore per essersi danneggiato tanto fortemente
da uccidersi.
E’ fondamentale che al bambino venga detto che esiste sempre una soluzione ai
problemi o a uno stato di malattia ma che il genitore era troppo ammalato o confuso per
ricordarsene o per chiedere aiuto

Gli adulti rispondono al suicidio con reazioni conflittuali: RABBIA per essere stati abbandonati,
rifiutati e colpa … sentimenti che possono interferire con l’elaborazione del lutto. Spesso non
riescono a parlare dei loro sentimenti, provano vergogna e si isolano socialmente.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 50
Titolo: IL CONTESTO EZIOPATOLOGICO
Attività n°: 1

IL CONTESTO EZIOPATOLOGICO
Quando parliamo di psicopatologia è facile incorrere in un pensiero di tipo deterministico
e lineare: a una certa causa (organica o ambientale) segue una certa patologia.
Questo ci accade, ad esempio, quando definiamo “depressione” quelle manifestazioni
secondarie a una perdita. Si tratta di una spiegazione riduttiva e, a volte, anche non
vera.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 50
Titolo: IL CONTESTO EZIOPATOLOGICO
Attività n°: 1

Per questo è sempre meglio parlare piuttosto che di eziologia di “contesto


eziopatologico”: ci sono certe circostanze che possono favorire, più di altre,
l’insorgenza della patologia.

Per quanto riguarda la depressione, possiamo notare spesso una frequente


associazione tra questa malattia e una situazione di perdita o certe caratteristiche
del nucleo famigliare. Ciò non vuol dire che dopo una perdita o se c’è una madre
depressa, anche il figlio si ammalerà di depressione. Sarebbe riduttivo,
deterministico e poco rispetto della persona. Tali fattori contestuali non sono fatti
oggettivi, ad esempio la morte dell’animale amico può essere fattore scatenante un
episodio depressivo in un bambino e in un altro no. Il fatto che un evento scateni o
meno certi livelli di sofferenza dipende da come funziona il sistema, inteso in senso
psico-biologico, da come si auto-organizza in un dato contesto.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 50
Titolo: IL CONTESTO EZIOPATOLOGICO
Attività n°: 1

Esperienza di perdita

E’ un vissuto piuttosto presente nei bambini depressi.


Scrive Marcelli (2006, p. 366):

La perdita può essere reale e avere degli effetti destinati a durare nel tempo: morte di uno o
di entrambi i genitori, di un membro della famiglia, di un adulto molto amato dal
bambino (nonno, balia…), separazione brusca e completa sia per la scomparsa di un
parente (separazione dei genitori, partenza di un fratello…) sia per l’allontanamento del
bambino stesso (ospedalizzazione, affidamento non preparato a una famiglia o a un
istituto…).
L’evento sembra essere tanto più traumatico quanto più il bambino è in un’età critica (dai 6
mesi ai 4-5 anni) e quanto più gli vengono a mancare i punti di riferimento stabili
(cambiamento di ambiente, scomparsa dei fratelli).
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 50
Titolo: IL CONTESTO EZIOPATOLOGICO
Attività n°: 1

La separazione può essere temporanea (malattia, breve ospedalizzazione, assenza


temporanea dei genitori), ma provocare un’angoscia di abbandono che persiste ben
al di là del ritorno alla situazione normale. Tale angoscia a volte è puramente
fantasmatica: sensazione di non essere più amato, di aver perduto la possibilità di
contatto con la persona amata.
La perdita può essere esclusivamente “interattiva”: genitore che non è più disponibile sul
piano affettivo, preso, per esempio, da un conflitto coniugale o da un lutto.
Segnaliamo che per il bambino, soprattutto se piccolo, la perdita di una persona cara,
in particolare di un fratello, si complica spesso nella perdita “interattiva” dei genitori,
che sono essi stessi caduti in un autentico stato depressivo o presi nell’elaborazione
del lutto. Questi fattori devono essere considerati in rapporto al contesto familiare
abitualmente descritto.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 50/S1
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma
Attività N°: 1

Il disturbo da stress post-


traumatico nel DSM-IV
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 50/S1
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma
Attività N°: 1

DSM-IV E PTSD: criteri diagnostici

CRITERIO A. (CARATTERISTICHE EVENTO TRAUMATICO) La persona è stata


esposta ad un evento traumatico nel quale erano presenti entrambe le
caratteristiche seguenti:

1) la persona ha vissuto, ha assistito, o si è confrontata con un evento o con eventi che


hanno implicato morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni, o una minaccia all'integrità
fisica propria o di altri

2) la risposta della persona comprendeva paura intensa, sentimenti di impotenza, o di


orrore. Nei bambini questo può essere espresso con comportamento disorganizzato o
agitato.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 50/S1
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma
Attività N°: 1

DSM-IV E PTSD: criteri diagnostici


CRITERIO B. L'evento traumatico viene rivissuto persistentemente in uno (o più) dei
seguenti modi:

1) ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi dell'evento, che comprendono immagini, pensieri, o percezioni. Nei bambini piccoli si
possono manifestare giochi ripetitivi in cui vengono espressi temi o aspetti riguardanti il trauma

2) sogni spiacevoli ricorrenti dell'evento. Nei bambini possono essere presenti sogni spaventosi senza un contenuto
riconoscibile

3) agire o sentire come se l'evento traumatico si stesse ripresentando (ciò include sensazioni di rivivere l'esperienza, illusioni,
allucinazioni, ed episodi dissociativi di flashback, compresi quelli che si manifestano al risveglio o in stato di intossicazione).
Nei bambini piccoli possono manifestarsi rappresentazioni ripetitive specifiche del trauma

4) disagio psicologico intenso all'esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche
aspetto dell'evento traumatico

5) reattività fisiologica o esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto
dell'evento traumatico.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 50/S1
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma
Attività N°: 1

CRITERIO C. Evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma e attenuazione


della reattività generale (non presenti prima del trauma), come indicato da tre (o più) dei
seguenti elementi:

1) sforzi per evitare pensieri, sensazioni o conversazioni associate con il trauma

2) sforzi per evitare attività, luoghi o persone che evocano ricordi del trauma

3) incapacità di ricordare qualche aspetto importante del trauma

4) riduzione marcata dell'interesse o della partecipazione ad attività significative

5) sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri

6) affettività ridotta (per es., incapacità di provare sentimenti di amore)

7) sentimenti di diminuzione delle prospettive future (per es. aspettarsi di non poter avere una carriera, un matrimonio o dei figli, o
una normale durata della vita).
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 50/S1
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma
Attività N°: 1

CRITERIO D. Sintomi persistenti di aumentato arousal (non presenti prima del trauma), come indicato da
almeno due dei seguenti elementi:

1) difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno


2) irritabilità o scoppi di collera
3) difficoltà a concentrarsi
4) ipervigilanza
5) esagerate risposte di allarme.

CRITERIO E. La durata del disturbo (sintomi ai Criteri B, C e D) è superiore a 1 mese.

CRITERIO F. Il disturbo causa disagio clinicamente significativo o menomazione nel funzionamento sociale,
lavorativo o di altre aree importanti.

E' necessario specificare se il PTSD è "acuto" (se la durata dei sintomi è inferiore a 3 mesi), "cronico" (se la
durata dei sintomi è 3 mesi o più), oppure "ad esordio ritardato" (se l'esordio dei sintomi avviene almeno 6
mesi dopo l'evento stressante).
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 50/S2
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma
Attività N°: 1

Il disturbo da stress post-


traumatico nel DSM-5
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 50/S2
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma
Attività N°: 1

PTSD. Le novità del DSM-5


Nel DSM-5, Il criterio A è più esplicito rispetto a quale tipo di evento stressante è
qualificato come evento traumatico (per es. aggressione sessuale, minaccia di morte
reale o presunta, ferita grave) e richiede di determinare se:

-l’evento traumatico è stato vissuto direttamente;


-se vi si è assistito in qualità di testimoni;
-se è stato vissuto indirettamente, come fatto accaduto ad un membro della famiglia o ad
un amico stretto;
-se è il risultato dell’esposizione ripetuta ai dettagli di eventi traumatici (p.e. forze
dell’ordine).

Tuttavia il punto 2 del CRITERIO A (del DSM-IV) è stato eliminato


Ovvero non è più un requisito che una persona provi paura, disperazione e terrore
intensi, impotenza come reazione all’evento stressante
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 50/S2
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma
Attività N°: 1

PTSD. Le novità del DSM-5

Inoltre, mentre nel DSM-IV il Post-Traumatic Stress Disorder (PTSD), si


caratterizza per una triade sintomatologica:

1. Sintomi intrusivi di re-exèeriencing del trauma: ricordi, incubi notturni, flashback,


episodi dissociativi;
2. Sintomi di Evitamento di tutte le situazioni che ricordano il trauma (fino all’amnesia
dissociativa), con un appiattimento dell’affettività, ritiro sociale, riduzione degli interessi;
3. Sintomi di aumentato arousal -Iperattivazione-difficoltà a modulare il grado di arousal,
irascibilità, scoppi di rabbia, risposte di allarme, difficoltà di concentrazione e di memoria,
sonno disturbato.

Nel DSM-5 viene aggiungo un 4 gruppo di sintomi: Pensieri e MODIFICAZIONI NEGATIVE


nei pensieri e nell’umore
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 50/S2
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma
Attività N°: 1

PTSD: CRITERI DIAGOSTICI DSM-5

A. Esposizione a morte o minaccia, lesioni gravi o di violenza sessuale in uno (o più)


dei seguenti modi:

Vivendo direttamente l'evento traumatico


Ascoltare di persona la testimonianza dell'evento da parte di altri
Apprendere che l'evento traumatico si è verificato a un parente stretto o un amico. In caso di morte o minaccia di un familiare
o un amico, l'evento deve essere stata violento o accidentale
Vivere ripetute o estreme esposizioni a particolari spiacevoli dell’evento traumatico (es. i primi soccorritori raccolgono resti
umani; gli agenti di polizia ripetutamente esposti a dettagli di abusi sui minori)

B. Presenza di uno (o più) dei seguenti sintomi associati all’intrusione dell’evento traumatico,
con esordio successivo al verificarsi dell'evento traumatico:
Ricordi angoscianti ricorrenti, involontari ed intrusivi dell'evento traumatico
Sogni spiacevoli ricorrenti in cui il contenuto è relativo all'evento traumatico
Reazioni dissociative (es. flashback), in cui l'individuo si sente o si comporta come se l'evento traumatico sta verificandosi
Disagio psicologico intenso o prolungato all'esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o somigliano a
qualche aspetto dell'evento traumatico
Marcate reazioni fisiologiche a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o somigliano ad un aspetto dell'evento
traumatico
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 50/S2
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma
Attività N°: 1

PTSD: CRITERI DIAGNOSTICI DSM-5

Criterio C
C. Evitamento persistente degli stimoli associati all'evento traumatico, con esordio
successivo al verificarsi dell'evento traumatico, come evidenziato da uno o
entrambi i seguenti:
Evitamento o sforzi per evitare ricordi angoscianti, pensieri o sentimenti strettamente
associati all'evento traumatico
Evitare o sforzi per evitare stimoli esterni (persone, luoghi, conversazioni, attività, oggetti,
situazioni) che suscitano ricordi angoscianti, pensieri o sentimenti relativi o strettamente
associati all'evento traumatico
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 50/S2
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma
Attività N°: 1

PTSD: CRITERI DIAGNOSTICI DSM-5

D. Alterazioni negative di cognizioni e emozioni associati all'evento traumatico, con esordio o


peggioramento successivo al verificarsi dell'evento traumatico, come evidenziato da due (o
più) dei seguenti elementi:
Incapacità di ricordare un aspetto importante dell'evento traumatico (in genere a causa di amnesia
dissociativa e non ad altri fattori, come trauma cranico, alcol o droghe)
Credenze negative persistenti ed esagerate o aspettative su se stessi, gli altri o il mondo (es. "Io sono
cattivo", "Nessuno può essere attendibile", "Il mondo è assolutamente pericoloso", "Il mio sistema
nervoso è permanentemente deteriorato").
Cognizioni distorte persistenti circa la causa o le conseguenze dell’evento traumatico che portano
l'individuo ad incolpare se stesso o agli altri.
Persistente stato emotivo negativo (paura, orrore, rabbia, senso di colpa o vergogna)
Marcata diminuzione di interesse o partecipazione ad attività significative
Sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri
Persistente incapacità di provare emozioni positive (incapacità di provare la felicità, soddisfazione o
sentimenti di amore
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 50/S2
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma
Attività N°: 1

PTSD: CRITERI DIAGNOSTICI DSM-5

E. Marcate alterazioni dell’arousal e reattività associati all'evento traumatico, con


esordio o peggioramento successivo al verificarsi dell'evento traumatico, come
evidenziato da due (o più) dei seguenti elementi:

Comportamento irritabile e scoppi d'ira (con poca o nessuna provocazione) tipicamente


espressi come aggressione verbale o fisica verso le persone o gli oggetti
Comportamento sconsiderato o autodistruttivi
Ipervigilanza
Esagerate risposte di allarme
Problemi di concentrazione
Disturbi del sonno (difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno o sonno agitato)
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 50/S3
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma
Attività N°: 1

Il disturbo da stress post-


traumatico nei bambini e
adolescenti
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 50/S3
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma
Attività N°: 1

Il disturbo da stress post-traumatico nei bambini rappresenta il corrispettivo del disordine da stress
post-traumatico per gli adulti.
Nel DSM IV sono presenti delle specificazioni riguardanti la diagnosi di tale disordine nei bambini e
adolescenti (e comunque non per ciascun criterio) e molto di frequente diagnosi di PTSD sono
assegnate a individui minori dei 15 anni di età, considerata anche la diffusa presenza del disturbo in
bambini di età scolare o prescolare.

Nel DSM-5 il Disturbo da stress post-traumatico è stato legato allo sviluppo abbassando l’età ai sei
anni e fornendo criteri specifici per bambini di età inferiore ai 6 anni Ecco i criteri:
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 50/S3
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma
Attività N°: 1

A) Il bambino (minore di 6 anni) è stato esposto ai seguenti eventi: morte o


minaccia di morte, reale lesione grave o minaccia di lesione grave,reale violazione
sessuale o minaccia di violazione sessuale, in uno o più dei seguenti modi:
1. Esperienza personale diretta
2. Esperienza di questi eventi capitati ad altri, specialmente caregivers primari, e
vissuti dal bambino in qualità di testimone
3. Venire a conoscenza che tali eventi sono capitati a familiari stretti o amici
stretti. NOTA: vivere gli eventi in qualità di testimone non include il vederli
semplicemente tramite mezzi di informazione, televisione, film, o immagini.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 50/S3
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma
Attività N°: 1

B) Sintomi intrusivi che sono associati all’evento traumatico (che sono iniziati dopo
l’evento traumatico), come è evidenziato da uno o più dei seguenti:
1. Ricordi sgradevoli, spontanei, ricorrenti e intrusivi dell’evento traumatico
2. Sogni ricorrenti e sgradevoli relativi all’evento traumatico
3. Stati dissociativi durante i quali il bambino sente o agisce come se l’evento
traumatico stesse accadendo in quel momento
4. Intenso o prolungato disagio psicologico all’esposizione di eventi scatenanti che
assomigliano o simbolizzano un aspetto dell’evento traumatico
5. Marcata reattività fisiologica ai ricordi dell’evento traumatico

Un sintomo tra C E D
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 50/S3
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma
Attività N°: 1

C) Persistente evitamento degli stimoli associati al trauma, come evidenziano gli impegni ad evitare:
1. Attività, luoghi o pensieri ricollegati all’evento traumatico
2. Persone, conversazioni o situazioni ricollegati all’evento traumatico
D) Alterazioni negative dei pensieri e dell’umore che sono associati all’evento traumatico, come è
evidenziato da uno o più dei seguenti:
1. Sostanziale aumento della frequenza di stati emozionali negativi
2. Marcata diminuzione dell’interesse o partecipazione ad attività significative, inclusa una restrizione del
gioco
3. Ritiro sociale
4. Persistente riduzione dell’espressione di emozioni positive
E) Alterazioni dell’arousal e della reattività che sono associate all’evento traumatico,come
evidenziano due o più dei seguenti:
1. Irritabilità, rabbia o comportamento aggressivo ,inclusa un’estrema tendenza ai capricci
2. Comportamento impulsivo o auto-distruttivo
3. Ipervigilanza
4. Risposte di sussulto esagerate
5. Difficoltà di concentrazione
6. Disturbi del sonno
F) La durata del disturbo è superiore a un mese
G) Il disturbo causa disagio clinicamente significativo o difficoltà di relazione con i genitori, fratelli,gruppo dei
pari, altri caregivers o insegnanti.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 51
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma2
Attività N°: 1

Il disturbo da stress post-


traumatico nei bambini e
adolescenti

La Classificazione Diagnostica 0-3


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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 51
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma2
Attività N°: 1

La Classificazione Diagnostica 0-3


Definisce l’evento traumatico come un singolo episodio improvviso (ad esempio un
terremoto), una serie di eventi collegati (ad esempio operazioni belliche) o una
situazione persistente (ad esempio ripetuti episodi di maltrattamento).

Eventi in cui il bambino ha avuto a che fare, più o meno direttamente, con minacce alla
vita o con la scomparsa di qualcuno o con minacce all’integrità fisica e/o psicologica
propria o di persone care.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 51
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma2
Attività N°: 1

PTSD nell’infanzia
(Classificazione Diagnostica: 0-3)
a) risperimentazione del trauma: gioco post-traumatico che riproduce concretamente, in
modo compulsivo e senza elaborazione simbolica alcuni aspetti dell’esperienza
traumatica; affermazioni e domande ricorrenti sull’evento; reazioni di angoscia alla
sollecitazione del ricordo, incubi; episodi dissociativi in cui l’evento viene riprodotto
senza che il bambino ne sia consapevole;

b) appiattimento dell’affettività, che può comportare un arresto o una distorsione del


processo evolutivo, attraverso l’isolamento sociale, una gamma limitata di affetti, la
riduzione delle capacità ludiche e la perdita temporanea di competenze già acquisite
(linguaggio, controllo sfinterico);
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 51
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma2
Attività N°: 1

c) iperattivazione, che può esprimersi attraverso terrori notturni, pianto inconsolabile,


difficoltà ad andare a letto, disturbi del sonno, difficoltà di attenzione e
concentrazione, ipervigilanza, esagerate reazioni d’allarme;

d) sintomi di paura e aggressività, che si manifestano attraverso aggressività rivolta a


pari, adulti o animali; ansa di separazione; paura del buio o di andare in bagno da
solo; comportamenti autolesivi; comportamenti sessuali o aggressivi non adeguati
all’età.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 51/S1
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma2
Attività N°: 1

Il disturbo da stress post-


traumatico:
indicazioni terapeutiche
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 51/S1
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma2
Attività N°: 1

Terapia del Disturbo Post Traumatico da Stress


Le due forme d’intervento ad oggi più efficaci sono:

A) Trattamento farmacologico
La sintomatologia in fase acuta del Disturbo Post Traumatico da Stress spesso
è caratterizzata da gravi livelli di ansia, terrore e disperazione accompagnati da
insonnia. Quindi risulta opportuno valutare la necessità di associare
all’intervento psicologico, specialmente nelle prime fasi del trattamento, un
trattamento farmacologico che attenui l’intensità della sintomatologia ansiosa
potenziando l’azione psicoterapeutica. Da un punto di vista farmacologico, gli
antidepressivi Inibitori Selettivi della Serotonina (SSRI), in particolare
paroxetina e sertralina, si sono mostrati utili nell’attenuazione dei sintomi
disturbanti.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 51/S1
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma2
Attività N°: 1

B) Trattamento psicoterapeutico
Dopo un’approfondita fase di valutazione della situazione e una accurata
concettualizzazione del caso, l’intervento psicoterapeutico per il Disturbo Post Traumatico
da Stress si articola in diverse fasi:

Definizione e gestione dei problemi “urgenti” per il paziente (es. la compromissione della
funzionalità quotidiana a causa degli evitamenti)
Costruzione di una relazione terapeutica sicura e collaborativa per il paziente
Fornire informazioni sul disturbo
Stabilizzare i sintomi più perturbanti con l’utilizzo di tecniche di gestione dei sintomi (es.
tecniche di rilassamento)
Lavorare sulle memorie traumatiche mediante l’esposizione ai ricordi dolorosi
Effettuare una ristrutturazione cognitiva
Prevenire le ricadute
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 51/S1
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma2
Attività N°: 1

I due approcci terapeutici più efficaci e diffusi sono:

1. La Psicoterapia Cognitivo-comportamentale focalizzata sul trauma

Possiamo raggruppare in tre grandi categorie le tecniche cognitivo-comportamentali che saranno utilizzate
nelle diverse fasi del trattamento:

Tecniche di esposizione.
Hanno lo scopo di far familiarizzare il paziente con le situazioni temute in un clima di sicurezza mediante
procedure di Esposizione in vivo e Esposizione ai ricordi in Immaginazione. Le esposizioni in vivo si
realizzano concordando con il paziente situazioni e attività temute che possono suscitare il ricordo
dell’evento, creando una gerarchia che vada dalle più facili alle più difficili secondo un punteggio USM (unità
soggettive di malessere) e portando la persona ad affrontarle l’una dopo l’altra. Il terapeuta a fine seduta
concorderà con il paziente dei “compiti a casa”, accordandosi su cosa fare, come farlo esattamente, dove,
con quale frequenza ecc. All’esposizione in vivo, fa seguito l’esposizione con l’immaginazione dei ricordi al
fine di aiutare la persona a ripensare a quanto è successo, alle emozioni provate ed a correggere le
convinzioni controproducenti. L’esposizione ai ricordi avviene in maniera graduale consentendo al paziente,
nella fase iniziale, di saltare le parti più dolorose e di tenere gli occhi aperti; in seguito, si domanderà di
chiudere gli occhi per rendere più vivide le immagini e di usare un tempo passato nel racconto; in ultima
battuta, si chiederà di parlare al presente, di immaginare l’evento da lontano o come in un film.
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 51/S1
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma2
Attività N°: 1

Ristrutturazione cognitiva

Tramite la ristrutturazione cognitiva si aiuta il paziente con Disturbo Post Traumatico da


Stress a identificare e modificare gli “errori di ragionamento“ e le convinzioni disfunzionali su
di sé, sugli altri e sul mondo che possono essere preesistenti al trauma, ma che spesso
dipendono dall’influenza di quest’ultimo sulle visioni personali del paziente riguardo a temi
quali senso di sicurezza, fiducia in sé, valore personale e fiducia negli altri.

Tecniche di gestione dell’ansia

Per esempio, efficaci modalità di respirazione e rilassamento e l’individuazione di strategie di


distrazione mentale
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 51/S2
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma2
Attività N°: 1

Il disturbo da stress post-


traumatico:
indicazioni terapeutiche 2
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Lezione N°: 51/S2
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma2
Attività N°: 1

La terapia EMDR

L’approccio EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing, in italiano Desensibilizzazione e


rielaborazione mediante movimenti oculari) si focalizza sul ricordo delle esperienze disturbanti
traumatiche, particolarmente stressanti dal punto di vista emotivo, che possano aver contribuito al disturbo
e che portano le persone in terapia. Uno degli aspetti più importanti in questo tipo di terapia è
l’identificazione degli eventi di vita che sono stati “traumatici”. Questi eventi possono essere traumi dovuti
a incidenti, lutti, terremoti, disastri naturali, ma anche traumi di tipo interpersonale – relazionale, come i
traumi emotivi che si generano nella relazione con una figura di attaccamento disfunzionale. L’EMDR va a
lavorare sul ricordo di questi eventi, in modo da rielaborarli e riorganizzarli nella memoria, per far sì
che queste esperienze perdano l’intensa componente emotiva associata e che gli apprendimenti
disfunzionali dal punto di vista cognitivo acquisiscano un significato maggiormente positivo. Tutto ciò
permette al paziente di poter usare i suoi “ricordi dolorosi” in modo costruttivo, trasformandoli in una
risorsa. Ogni individuo è dotato della facoltà innata di elaborare gli eventi traumatici ma in alcune persone,
in situazioni particolarmente gravi, questa capacità si blocca. L’EMDR usando la stimolazione bilaterale,
cioè i movimenti oculari, è in grado di far ripartire la capacità di elaborazione. L’EMDR è supportato
da molta ricerca scientifica ed è riconosciuto come un trattamento d’elezione per il Disturbo Post
Traumatico da Stress: nello specifico per gli eventi che hanno comportato pericolo di vita o minaccia
all’integrità della persona, il trattamento è riconosciuto come tra i più efficaci (Greenberg, Brooks, &
Dunn, 2015).
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 51/S2
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma2
Attività N°: 1

Nuovi approcci alla terapia del Disturbo Post Traumatico da Stress che utilizziamo:

Terapia Metacognitiva (MCT)

La Terapia Metacognitiva è basato sull’assunto che il processo di elaborazione naturale del materiale
traumatico venga ostacolato da specifiche modalità di processamento delle informazioni che alterano la
normale attività elaborativa delle memorie traumatiche, dei pensieri e delle emozioni intrusive, frequenti
dopo un evento traumatico. Sulla base di questa ipotesi si fonda un intervento terapeutico mirato a
modificare i processi di pensiero quali il rimuginio, le strategie di attenzione focalizzata sull’accaduto che
permettono una elaborazione delle memorie traumatiche. Dai primi studi di efficacia la Terapia
Metacognitiva sembra essere un trattamento di breve durata per il Disturbo Post Traumatico da Stress che
produce alti tassi di riduzione della sintomatologia specifica e miglioramento della qualità della vita.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 51/S2
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma2
Attività N°: 1

Terapia Sensomotoria

La Terapia Sensomotoria si richiama alla psicoterapia corporea come base per le competenze terapeutiche
e integra tecniche di psicoterapia psicodinamica, di terapia cognitivo-comportamentale, con le
neuroscienze. Attraverso la consapevolezza “sul corpo” i pazienti con Disturbo Post Traumatico da Stress
imparano a lavorare all’interno di uno “spazio emotivo sicuro” in modo che i modelli di attivazione emotiva
siano maggiormente regolati all’interno di un range, dove sarebbe possibile lavorare mantenendo un
equilibrato funzionamento personale. Raggiunto questo obiettivo, si può iniziare a trattare le memorie
traumatiche. 
Ai pazienti viene insegnato il concetto di “modulazione” in modo da implementare le
capacità di “transitare” da stati emotivi negativi a stati emotivi positivi, utilizzando i vissuti corporei per
integrarli con l’aspetto della consapevolezza: ad esempio, durante una fase attiva, a un cliente potrebbe
essere chiesto di “trovare un posto nel suo corpo dove si sente calmo o neutro”.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 51/S3
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma2
Attività N°: 1

Il trauma Complesso
nei bambini e adolescenti
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Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 51/S3
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma2
Attività N°: 1

Trauma Complesso
Definiamo come trauma psicologico complesso quelle esperienze avverse che (1) sono di natura
interpersonale e spesso coinvolgono il vissuto di tradimento, (2) sono ripetitive o prolungate, (3)
comportano un danno diretto attraverso varie forme di abuso (psicologico/emotivo, fisico e
sessuale), neglect o l'abbandono da parte di persone che hanno responsabilità della cura, della
protezione e dell’educazione (ad esempio genitori, operatori, insegnanti, allenatori o consulenti
religiosi), o comportano perdite traumatiche in queste relazioni, (4) avvengono in una fase
precoce dello sviluppo o occorrono in fasi cruciali e delicate, come ad esempio la prima infanzia,
minano importanti conquiste dello sviluppo provocando danneggiamenti evolutivi che perdurano
nell’arco della vita. Esempi di potenziali di traumi complessi includono esperienze di
vittimizzazione nella sfera dell’identità o del genere sessuale, dell’identità e dei confini personali,
violenza domestica o sessuale o fisica o sociale. Queste esperienze sfavorevoli, fondate sulla
minaccia, la paura e l’imbroglio, tendono a compromettere le relazioni primarie del bambino, la
sua capacità di fidarsi e connettersi intimamente agli altri e tendono a trasformarsi in disturbi dello
sviluppo gravi e pervasivi quando coinvolgono l'integrità personale o la sicurezza e la stabilità
delle relazioni primarie in una fase precoce.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 51/S3
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma2
Attività N°: 1

Queste esperienze riguardano i traumi interpersonali come l’abuso fisico e/o sessuale, l’abuso emotivo
e il neglect, la violenza assistita e la separazione precoce o l’abbandono o il deterioramento della
relazione primaria (a causa di malattie, droghe o detenzione) del caregiver. Queste esperienze
sfavorevoli tendono ad accumularsi nel senso che una vittimizzazione espone a un'altra forma di
vittimizzazione (indicato come trauma cumulativo; coinvolge diverse forme di maltrattamento (indicata
come polivittimizzazione), e una complessa combinazione di esperienze alienanti e avvilenti in
assenza di un’adeguata protezione (trauma complesso).
Esposizioni prolungate a traumi interpersonali comportano compromissioni in molteplici aree del
funzionamento individuale (disturbo evolutivo dovuto al trauma) e in particolare sulle seguenti 7
appartenenti al Disturbo evolutivo conseguente al trauma.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 51/S3
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma2
Attività N°: 1

1) attaccamento: difficoltà interpersonali e nella capacità di sintonizzazione emotiva


con gli altri;
2) livello biologico: analgesia, somatizzatone, problematiche mediche nell’arco della
vita,
3) regolazione affettiva: mancata regolazione del Sé, scarsa comprensione degli
stati interni di Sé e dell’altro, incapacità di comunicare desideri e bisogni,
4) dissociazione: alterazioni dello stato di coscienza, depersonalizzazione,
amnesia,
5) controllo del comportamento: scarsa modulazione degli impulsi, aggressività
auto- ed eterodiretta, abuso di sostanze,
6) funzionamento cognitivo: mancata regolazione dell’attenzione, difficoltà
nell’elaborare gli stimoli, difficoltà di apprendimento, difficoltà nel programmare e
nell’anticipare;
7) senso del Sé: carente senso di Sé, scarso senso di individuazione, disturbi
dell’immagine corporea, bassa autostima, senso di vergogna e colpa.
Corso Di Laurea: Scienze E Tecniche Psicologiche (D.M. 270/04)
Insegnamento: Psicologia Dello Sviluppo Tipico E Atipico
Lezione N°: 51/S3
Titolo: I Disturbi Connessi A Stress E Trauma2
Attività N°: 1

Valutiamo il trauma nei bambini

Il Trauma Symptom Checklist for Children (TSCC) è uno strumento di self report sul distress
post-traumatico e sulla connessa sintomatologia psicologica. È indicato per la valutazione di
bambini che hanno sperimentato eventi traumatici, compresi abuso fisico e sessuale durante
l’infanzia, vittimizzazioni da parte dei pari (per esempio aggressioni fi siche o sessuali), gravi
perdite, nonché l’aver assistito a violenze su altri ed essere stati coinvolti in disastri naturali.
Il TSCC è disponibile in due versioni: quella completa composta da 54 item in cui sono inclusi 10
item che sondano sintomi e preoccupazioni sessuali e la versione alternativa (TSCC-A) con 44
item che non contiene riferimenti a temi sessuali.
Questa differenza consente al TSCC-A di tenere conto delle preoccupazioni di quanti ritengono
che i bambini, in un test psicologico, potrebbero essere sconvolti da riferimenti a problematiche
sessuali. In relazione a questo aspetto, per esempio, a tutti i soggetti del campione normativo del
TSCC testati nella scuola è stato somministrato il TSCC-A. Al contrario, tutti gli studi clinici e
forensi citati in questo manuale hanno utilizzato la forma completa del TSCC per l’importanza di
valutare sintomi sessuali in bambini sessualmente traumatizzati. Il TSCC è indicato per bambini
di età compresa tra 8 e 16 anni.
Conflitto genitoriale e sintomi post-traumatici

BRIEF REPORTS: NOTE DI RICERCA,


ESPERIENZE, DOCUMENTI E LEGGI
Conflittualità genitoriale e sintomatologia da stress
post-traumatico nei figli: uno studio esplorativo
Elena Camisasca , Sarah Miragoli, Paola Di Blasio

In letteratura sono noti gli effetti negativi dell’esposizione al conflitto genitoriale


sull’adattamento dei figli, in termini di problemi di internalizzazione ed esternalizzazione,
mentre sono meno indagate le conseguenze post-traumatiche. In un gruppo normativo di 90
famiglie con bambini di età scolare, questo studio esplorativo si propone di: 1) rilevare la
presenza della sintomatologia post-traumatica in bambini esposti a lievi versus intensi con-
flitti genitoriali, e 2) indagare i fattori di mediazione nella relazione tra conflitto genitoriale
e sintomatologia post-traumatica, prendendo come riferimento il modello Cognitivo-
Contestuale e l’ipotesi della Sicurezza Emotiva. I risultati mostrano come in condizioni di
conflitto intenso la minaccia percepita svolga un ruolo di mediazione sui sintomi di ansia,
depressione, PTS e dissociazione, e le rappresentazioni distruttive sulla rabbia. In condi-
zioni di conflitto lieve, invece, il distress emotivo svolge un ruolo di mediazione sui sinto-
mi ansiosi e le rappresentazioni distruttive sulla rabbia.
Parole chiave: conflitto genitoriale, sintomi post-traumatici, adattamento del bambino, me-
diazione.

Parental conflict and posttraumatic stress symptoms in children: an exploratory study. In


literature negative effects of exposure to parental conflict on psychological adjustment of
children (internalizing and externalizing symptoms) are known, but posttraumatic out-
comes have been less investigated. In a sample of 90 families with schoolaged children,
this exploratory study aims to: 1) detect the presence of posttraumatic symptoms in chil-
dren exposed to low versus high levels of parental conflict, and 2) investigate the mediating
factors in the relationship between parental conflict and posttraumatic symptoms, taking as
reference the Cognitive Context model and the Emotional Security hypothesis. The results
show that, in high conflict families, the perceived threat plays a mediating role on the anxi-
ety, depression, dissociation and PTS symptoms, and the destructive representations on the
anger. Instead in low conflict families, the emotional distress plays a mediating role on the
anxiety symptoms, and destructive representations on the anger.
Key words: parental conflict, posttraumatic symptoms, child adjustment, mediation.


Professore Associato di Psicologia dello Sviluppo, Università degli Studi e-Campus e
componente del C.R.I.d.e.e., Università Cattolica di Milano.

Ricercatore in Psicologia dello Sviluppo, C.R.I.d.e.e., Università Cattolica di Milano.

Professore Ordinario di Psicologia dello Sviluppo e Direttore del C.R.I.d.e.e., Università
Cattolica di Milano.
Indirizzare le richieste a: Elena Camisasca (elena.camisasca@uniecampus.it).
141
Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151
Camisasca, Miragoli e Di Blasio

1. Introduzione

Sebbene gli studi sulla violenza domestica abbiano da tempo dimostrato


come l’esposizione dei figli ai conflitti violenti tra i genitori li renda vulne-
rabili all’insorgenza della sintomatologia da stress post-traumatico (si ve-
dano le rassegne di Evans, Davies & Di Lillo, 2008; Holt, Buckley, &
Whelan, 2008), le numerose ricerche sugli effetti dei conflitti genitoriali
sull’adattamento psicologico dei figli hanno del tutto trascurato di verifica-
re la presenza di tale specifica sintomatologia. Gli studi sul conflitto hanno,
infatti, sostanzialmente dimostrato difficoltà sociali, emotive e cognitive e
condotte di internalizzazione ed esternalizzazione in bambini coinvolti nel-
le dispute tra i genitori (Camisasca, Miragoli, & Di Blasio, 2013; 2016; Fo-
sco & Grych, 2008; McCoy, George, Cummings, & Davies 2013; Pendry
& Adam 2013).
All’interno di tale ambito, i contributi che hanno indagato i possibili fat-
tori esplicativi (di mediazione) degli effetti del conflitto sui figli hanno so-
stanzialmente focalizzato l’attenzione sia sulle competenze genitoriali e co-
genitoriali deteriorate a causa del conflitto (Bonds & Gondoli, 2007; Cami-
sasca, Miragoli, Caravita, & Di Blasio, 2015; Camisasca, Miragoli, & Di
Blasio, 2014; Camisasca, Miragoli, Milani, & Di Blasio, 2016; Coln, Jor-
dan, & Mercer, 2013; McCoy, George, Cummings, & Davies, 2013) sia
sulle interpretazioni, cognizioni e reazioni emotive dei bambini. Più preci-
samente, il modello Cognitivo-Contestuale (Grych & Fincham, 1990) foca-
lizza l’attenzione sulle cognizioni e interpretazioni che si attivano nei bam-
bini, attraverso l’elaborazione primaria e secondaria della situazione con-
flittuale. Durante l’elaborazione primaria, il bambino valuta il conflitto in
termini di negatività, minaccia e rilevanza per il proprio benessere e per
quello della sua famiglia; con il processo di elaborazione secondaria egli
cerca di comprendere le ragioni che stanno alla base del conflitto, chi ne è il
principale responsabile e le proprie possibilità di affrontalo con successo. I
numerosi lavori, che hanno empiricamente validato tale modello, dimostra-
no in particolare l’importanza dei due fattori, minaccia percepita e autobia-
simo, come mediatori degli effetti del conflitto sulle condotte di internaliz-
zazione ed esternalizzazione dei figli (Fosco & Grych, 2008). Diversamen-
te, l’ipotesi della Sicurezza Emotiva (Davies & Cumminngs, 1994) focaliz-
za principalmente l’attenzione sulle reazioni emotive, rappresentazioni e
reazioni comportamentali dei bambini esposti a disaccordi genitoriali cro-
nici e distruttivi. Più precisamente, gli autori sottolienano che, quando il
bambino percepisce la precarietà del legame tra i suoi genitori: a) sperimen-
142

Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151


Conflitto genitoriale e sintomi post-traumatici

ta elevata reattività e distress emotivo, b) si costruisce delle rappresentazio-


ni interne della famiglia particolarmente negative e distruttive, c) mette in
atto tentativi cronici di ipercoinvolgimento o evitamento del conflitto. Que-
ste tre componenti costituiscono il nucleo del costrutto di “insicurezza emo-
tiva”, giudicato il fattore cardine in grado di spiegare l’impatto del conflitto
sul benessere psicologico dei bambini (Davies, Harold, Goeke-Morey, &
Cummings, 2002). I lavori empirici di validazione del modello, oltre a se-
gnalare il ruolo di mediazione del costrutto unitario di insicurezza emotiva
(Cummings, Schermerhorn, Davies, Goeke-Morey, Cummings, 2006; Da-
vies, Forman, Rasi, & Stevens, 2002; Davies et al., 2002), individuano gli
effetti distinti di mediazione del distress emotivo e delle rappresentazioni
distruttive della famiglia nell’associazione tra conflitto e comportamenti di
internalizzazione ed esternalizzazione dei figli (Buehler, Lange, & Franck,
2007; Davies & Cummings, 1998).
Il presente lavoro esplorativo si inserisce in questo ambito di studi con il
duplice obiettivo di analizzare, in un campione normativo di bambini: 1)
l’eventuale presenza della sintomatologia post-traumatica in bambini espo-
sti a lievi versus intensi livelli di conflitto genitoriale, e 2) i fattori in grado
di meglio spiegare (mediare) gli effetti del conflitto genitoriale sulla sinto-
matologia post-traumatica. Più precisamente, prendendo a riferimento le
indicazioni dei modelli Cognitivo-Contestuale (Grych & Fincham, 1990) e
della Sicurezza Emotiva (Davies & Cumminngs, 1994), verrà esplorato il
ruolo di mediazione di quattro fattori: minaccia percepita, autobiasimo, di-
stress emotivo e rappresentazioni distruttive della famiglia, individuati dai
sopracitati modelli teorici come meccanismi esplicativi dell’impatto del
conflitto genitoriale sull’adattamento psicologico dei figli.
Relativamente al primo obiettivo, ipotizziamo (H1) che i bambini espo-
sti a conflitti più gravi e intensi, in termini di aggressione verbale e psico-
logica tra i genitori, rispetto a quelli esposti a conflitti lievi, siano mag-
giormente vulnerabili all’insorgenza dei sintomi post-traumatici (ansia, de-
pressione, rabbia, stress post-traumatico e dissociazione). Relativamente al
secondo obiettivo, ipottizziamo (H2) che i fattori individuati dai modelli
sopracitati (minaccia percepita, autobiasimo, distress emotivo e rappresen-
tazioni distruttive) svolgano un ruolo di mediazione significativo nella rela-
zione tra conflitto genitoriale e sintomatologia post-traumatica dei figli.

143
Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151
Camisasca, Miragoli e Di Blasio

2 Metodologia della ricerca

2.1 Partecipanti

Hanno partecipato allo studio 90 bambini (56% femmine), con età com-
presa tra 8 e 13 anni (M = 10.4, DS = 1.5) ed i loro genitori (età md: M =
43.5, DS = 4.2; età pd: M = 45.7, DS = 5.6). I bambini appartengono a fa-
miglie normocostituite, con una durata media del matrimonio pari a 15.7
anni (DS = 4.2). Lo status socio-culturale familiare, rilevato attraverso la
professione e il titolo di studio dei due genitori, indica che il 58% delle fa-
miglie ha uno status socio-culturale medio, il 14% alto e il 28% basso.

2.2 Procedura

I partecipanti alla ricerca sono stati reclutati presso due scuole elementa-
ri e una scuola media pubbliche nella città di Milano. Le scuole sono state
reperite attraverso una procedura standard, che comprendeva un incontro
introduttivo esplicativo del progetto di ricerca con i dirigenti scolastici e le
insegnanti, e una descrizione scritta degli obiettivi e della procedura dello
studio rivolta ai genitori. Tutti i genitori, che hanno aderito alla ricerca,
hanno firmato i moduli di consenso, che descrivevano il progetto di ricerca,
il carattere volontario della partecipazione e la riservatezza dei dati raccolti.
Gli strumenti per i genitori sono stati consegnati in una busta chiusa e ano-
nima, con la richiesta che venissero compilati presso il proprio domicilio.
La somministrazione degli strumenti ai bambini è invece avvenuta a scuola,
in un luogo che potesse garantire tranquillità e riservatezza.

2.3 Strumenti

Conflitto genitoriale: è stato valutato attraverso l’utilizzo di strumenti


self-report somministrati ai bambini e a entrambi i genitori. I bambini han-
no compilato il Children’s Perception of Interparental Conflict Scale
(CPIC; Grych, Seid, & Fincham, 1992), che valuta la frequenza, l’intensità
e la risoluzione dei conflitti genitoriali, attraverso il fattore Proprietà del
conflitto ( = .82). I genitori hanno compilato la scala Aggressione psicolo-
gica (md:  = .74; pd:  = .73) della Revised Conflict Tactic Scale (RCTS;
Straus, Hamby, Boney-McCoy, & Sugarman, 1996), un questionario che
valuta il livello di conflitto tra due partner. Al fine di ottenere un punteggio
unico e riassuntivo delle prospettive dei tre membri della famiglia (genitori
144

Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151


Conflitto genitoriale e sintomi post-traumatici

e bambino), seguendo le indicazioni di Fosco e Grych (2008), è stato co-


struito un indice di Conflitto genitoriale. Tale variabile è stata costruita cal-
colando la media dei punteggi standardizzati delle variabili ottenute, attra-
verso la somministrazione ai bambini del CPIC e dei genitori della RTCS.
Minaccia percepita e autobiasimo: sono state valutate attraverso la
somministrazione ai bambini del Children’s Perception of Interparental
Conflict scale (CPIC; Grych et al., 1992). Nello specifico, la scala Minac-
cia percepita ( = .71) misura il livello secondo il quale i bambini percepi-
scono il conflitto come pericoloso per il proprio benessere e per la famiglia.
La scala Autobiasimo ( = .72) misura la convinzione dei bambini di essere
la causa del conflitto o di essere responsabili della sua risoluzione.
Distress emotivo e rappresentazioni distruttive: sono state valutate at-
traverso la somministrazione ai bambini del Security in the Interparental
Subsystem Scale (SIS; Davies et al., 2002). Nello specifico, la scala Di-
stress emotivo ( = .77) misura le reazioni emotive e le difficoltà di regola-
zione emotivo-comportamentale dei bambini, mentre quella Rappresenta-
zioni distruttive della famiglia ( = .72) misura le rappresentazioni negative
dei bambini circa la qualità del legame tra i genitori.
Sintomi post-traumatici: sono stati valutati attraverso la somministra-
zione della versione ridotta del questionario self-report Trauma Symptom
Checklist for Children (TSCC-A; Briere, 1996; validazione italiana di Di
Blasio, Piccolo, & Traficante, 2011). Sono state prese in considerazioni le
seguenti scale: Ansia (α = .73), che fa riferimento a preoccupazioni e ansia
generalizzata; Depressione (α = .77), che comprende sentimenti di tristez-
za, vissuti di colpa, ecc.; Rabbia (α = .81), che implica vissuti di ostilità e
odio; Stress post-traumatico (PTS; α = .78), che include i classici sintomi
del disturbo da stress post-traumatico; Dissociazione (α = .70) che fa rife-
rimento a derealizzazione, intorpidimento emotivo, ecc.

2.4 Strategie di analisi dei dati

In primo luogo, è stata condotta una cluster analysis k-medie per identi-
ficare due cluster di famiglie con differenti livelli di gravità, intensità e fre-
quenza del conflitto genitoriale (nei termini di aggressioni verbali e psico-
logiche tra i genitori). È stata poi condotta un’analisi t-test per verificare se
i due cluster differiscano significativamente rispetto alle variabili investiga-
te. Successivamente, in ciascun gruppo di famiglie, sono state condotte del-
le correlazioni per esplorare le associazioni tra le variabili e delle analisi di
mediazione attraverso il metodo di ricampionamento bias-corrected boo-
145
Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151
Camisasca, Miragoli e Di Blasio

tstrapping (Preacher & Hayes, 2008), particolarmente adatto per campioni


poco numerosi.

3. Risultati

3.1 Cluster analysis e t-test

È stata condotta un’analisi dei cluster di tipo k-medie (attraverso


l’inclusione delle variabili ottenute dai gentori “aggressione psicologica” e
dai bambini “proprietà del conflitto”) per identificare due gruppi di fami-
glie connotati da distinti livelli di conflittualità genitoriale. Utilizzando un
criterio di convergenza di .2, la soluzione a due cluster è stata ottenuta dopo
5 interazioni, con una distanza tra i cluster di 135.43. Il cluster 1 (n = 30)
presenta punteggi elevati di conflittualità su tutte le varibili considerate ed è
stato chiamato gruppo Conflitto intenso; il cluster 2 (n = 60) presenta, in-
vece, punteggi bassi su tutte le varibili ed è stato chiamato gruppo Conflitto
lieve. Le analisi t-test, realizzate al fine di verificare l’esistenza di differen-
ze significative tra i due gruppi, indicano che le famiglie del gruppo Con-
flitto intenso rispetto a quelle Conflitto lieve presentano punteggi significa-
tivamente più alti (t(2,88) da 3.8 a 15.8; p < .01), in tutte le variabili (conflitto
genitoriale, minaccia percepita, autobiasimo, distress, rappresentazioni di-
struttive, ansia, depressione, rabbia, PTS e dissociazione).

3.2 Analisi correlazionali e di mediazione

Nei due distinti cluster di famiglie, sono state condotte delle correlazio-
ni e delle analsi di mediazione al fine di esplorare le associazioni tra le va-
riabili e i possibili effetti di mediazione delle variabili minaccia percepita,
autobiasimo, distress emotivo e rappresentazioni distruttive della famiglia.
Conflitto lieve: le analisi indicano che il predittore conflitto correla con i
sintomi di ansia (r = .31), rabbia (r = .26) e tutti i mediatori (r da .27 a .40).
Inoltre, il distress emotivo correla con tutti i sintomi post-traumatici (r da
.39 a .59); le rappresentazioni distruttive correlano con i sintomi di ansia,
depressione, rabbia e PTS (r da .26 a .45); la minaccia percepita correla con
i sintomi di ansia, depressione e PTS (r da .30 a .40); mentre l’autobiasimo
non risulta significativamente associato a nessun sintomo post-traumatico.
Dal momento che il predittore conflitto risulta significativamente con-
nesso solo ai sintomi di ansia e rabbia, si ravvisano le condizioni (effetto
significativo di X su Y) per la verifica degli effetti di mediazione solo per
146

Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151


Conflitto genitoriale e sintomi post-traumatici

tali due sintomi. Le analisi di mediazione condotte, aventi come outcome i


sintomi di ansia e rabbia, evidenziano che il distress emotivo e le rappre-
sentazioni distruttive della famiglia svolgono un ruolo significativo. In par-
ticolare, il distress emotivo risulta l’unico mediatore degli effetti del con-
flitto sui sintomi ansiosi (R2 = .31; F = 4.7; p < .01; β = 4.2; Bootstrap
95%; CI = 10; 8.24), mentre le rappresentazioni distruttive della famiglia
mediano gli effetti del conflitto sui sintomi di rabbia (R2 = .26; F = 3.7; p <
.01; β = 1.7; Bootstrap 95%; CI = .40; 3.97).
Conflitto intenso: nel primo cluster le correlazioni indicano che il pre-
dittore conflitto correla con tutti i sintomi post-traumatici considerati (r da
.36 a .44) e con tutti i mediatori (r da .38 a .53). Inoltre, tutti i mediatori,
minaccia percepita (r da .46 a .74), distress emotivo (r da .30 a .56) e rap-
presentazioni distruttive (r da .40 a .52), ad eccezione dell’autobiasimo,
correlano con i sintomi post-traumatici.
Le analisi di mediazione con il metodo bias-corrected bootstrapping
(Preacher & Hayes, 2008) indicano che, tra i mediatori considerati, solo la
minaccia percepita e le rappresentazioni distruttive della famiglia svolgono
un ruolo significativo. In particolare, la minaccia percepita risulta l’unico
mediatore degli effetti del conflitto genitoriale sui sintomi di: ansia (R2 =
.55; F = 5.9; p < .01; β = 9.4; Bootstrap 95%, CI = .32; 26.15); depressione
(R2 = .65; F = 8.9; p < .001; β = 12.7; Bootstrap 95%, CI = 5.69; 25.77),
PTS (R2 = .62; F = 7.9; p < .001; β = 13.9; Bootstrap 95%; CI = 3.42;
30.89) e dissociazione (R2 = .38; F = 2.9; p < .05; β = 6.6; Bootstrap 95%;
CI = 3.51; 15.09). Le rappresentazioni distruttive della famiglia, insieme
alla minaccia percepita, mediano gli effetti del conflitto sui sintomi di rab-
bia (R2 = .66; F = 9.1; p < .001; βmin = 8.9; Bootstrapmin 95%; CI = .29;
20.89; βrapp = 6.4; Bootstraprapp 95%; CI = 1.31; 17.20).

4. Discussione

Il presente studio esplorativo si è proposto il duplice obiettivo di indaga-


re la presenza di sintomi post-traumatici in bambini appartenenti a un cam-
pione normativo, esposti a differenti livelli di conflitto genitoriale (lievi
versus intensi) e di comprendere quali fattori possano svolgere un ruolo
esplicativo nella relazione tra conflitto e sintomatologia post-traumatica.
Un primo dato rilevante concerne il fatto che i conflitti più lievi incidono
sostanzialmente sui sintomi di ansia e rabbia, a differenza dei conflitti più
intensi che risultano predittivi anche dei sintomi depressivi, del PTSD e
della dissociazione. Questo risultato, in linea con gli studi che evidenizano
147
Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151
Camisasca, Miragoli e Di Blasio

l’impatto del conflitto sulle traiettorie di internalizzazione ed esternalizza-


zione (Fosco & Grych, 2008), conferma anche la nostra prima ipotesi (H1),
rilevando il potenziale effetto post-traumatico dei conflitti intensi anche se
non violenti.
Un secondo dato centrale riguarda invece i meccanismi esplicativi
dell’insorgenza della sintomatologia post-traumatica. I risultati evidenziano
il ruolo di specifici fattori di mediazione, a seconda che i bambini siano
esposti a conflitti lievi versus intensi. In particolare, in caso di conflitti lie-
vi, il distress emotivo e le rappresentazioni distruttive costituiscono i me-
diatori degli effetti del conflitto sui sintomi di ansia e rabbia. Possiamo
spiegare tali risultati, presumendo che nel caso di conflitti meno ostili tra i
genitori, i bambini attribuiscano comunque una valenza di significato alla
situazione a cui sono esposti, che comporta un’aumentata preoccoupazione
e tensione emotiva, che ben si connette con i sintomi di ansia. Inoltre, pos-
siamo presumere che le rappresentazioni distruttive della famiglia, che im-
plicano nei bambini l’idea che i genitori non si impegneranno nel risolvere
le loro divergenze, possano ben spiegare i loro vissuti di rabbia e ostilità.
Diversamente, nel caso di esposizione a conflitti intensi, il principale
fattore di mediazione risulta essere il senso di minaccia percepita, che costi-
tuisce il meccamismo esplicativo di tutti i sintomi post-traumatici conside-
rati. Più precisamente, infatti, la minaccia percepita spiega da sola i sintomi
ansiosi, depressivi, di PTSD e dissociativi, e congiuntamente alle rappre-
sentazioni distruttive, anche i sintomi di rabbia. Questi risultati sostanziano
le indicazioni del modello Cognitivo-Contestuale (Fosco & Grych, 2008;
Grych & Fincham, 1990) e dell’ipotesi della Sicurezza Emotiva (Davies &
Cummings, 1994), che spiegano come la minaccia percepita dai bambini
per il proprio benessere e per quello della famiglia e le rappresentazioni
della famiglia, particolarmente negative e distruttive, spieghino gli esiti di
adattamento psicologico dei figli in modo addirittura superiore a quello del
conflitto stesso. Possiamo supporre che, quando i bambini si trovano espo-
sti ad aggressioni verbali tra i genitori di natura particolarmente ostile, va-
lutino quanto sta accadendo non solo in termini di rilevanza e importanza
della situazione, ma nei termini di una vera e propria minaccia per la pro-
pria sicurezza e per quella dei genitori. Infatti, la percezione di minaccia,
che nei nostri dati connota maggiormente il gruppo a conflitto intenso, sol-
lecita nei bambini intensi vissuti di paura, preoccupazione, angoscia e im-
potenza, che ben si connettono, non solo ai sintomi di ansia, depressione e
rabbia, ma soprattutto ai sintomi dissociativi e del disturbo post-traumatico
da stress. Possiamo, quindi, presumere che l’espozione ai conflitti intensi,
148

Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151


Conflitto genitoriale e sintomi post-traumatici

che comportano valutazioni soggettive di minaccia, insostenibile e inevita-


bile, a fronte della quale i bambini si sentono sostanzialmente impotenti, si
connoti come un’esperienza traumatica vera e propria. In questi casi il sen-
so di minaccia, soverchiando le capacità di difesa dei figli, favorisce
l’emergere della sintomatologia di disturbi dissociativi e PTSD. In sintesi
questi risultati confermano sostanzialmente anche la seconda ipotesi (H2),
rilevando tuttavia come i mediatori considerati, ad eccezione
dell’autobiasimo che non risulta significativo, assumano un’importanza di-
stinta nei due gruppi di famiglie considerati.
Concludendo, i risultati ottenuti, sebbene sicuramente preliminari, solle-
citano la riflessione slle importanti ricadute in ambito sia di ricerca sia di
intervento. Rispetto al primo ambito richiamano l’attenzione sulla impor-
tanza che le ricerche empiriche non trascurino l’indagine della sintomatolo-
gia post-traumatica nei bambini esposti ai conflitti, seppur non necessaria-
mente violenti. In termini di intervento indicano agli operatori la opportuni-
tà di considerare non solo la dinamica conflittuale genitoriale ma anche i
processi di elaborazione dei bambini, al fine di tentare di scongiurare il ri-
schio di insorgenza della sintomatologia post-traumatica.

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Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151


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Pervenuto dicembre 2015


Accettato febbraio 2016

151
Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151
Conflitto genitoriale e sintomi post-traumatici

BRIEF REPORTS: NOTE DI RICERCA,


ESPERIENZE, DOCUMENTI E LEGGI
Conflittualità genitoriale e sintomatologia da stress
post-traumatico nei figli: uno studio esplorativo
Elena Camisasca , Sarah Miragoli, Paola Di Blasio

In letteratura sono noti gli effetti negativi dell’esposizione al conflitto genitoriale


sull’adattamento dei figli, in termini di problemi di internalizzazione ed esternalizzazione,
mentre sono meno indagate le conseguenze post-traumatiche. In un gruppo normativo di 90
famiglie con bambini di età scolare, questo studio esplorativo si propone di: 1) rilevare la
presenza della sintomatologia post-traumatica in bambini esposti a lievi versus intensi con-
flitti genitoriali, e 2) indagare i fattori di mediazione nella relazione tra conflitto genitoriale
e sintomatologia post-traumatica, prendendo come riferimento il modello Cognitivo-
Contestuale e l’ipotesi della Sicurezza Emotiva. I risultati mostrano come in condizioni di
conflitto intenso la minaccia percepita svolga un ruolo di mediazione sui sintomi di ansia,
depressione, PTS e dissociazione, e le rappresentazioni distruttive sulla rabbia. In condi-
zioni di conflitto lieve, invece, il distress emotivo svolge un ruolo di mediazione sui sinto-
mi ansiosi e le rappresentazioni distruttive sulla rabbia.
Parole chiave: conflitto genitoriale, sintomi post-traumatici, adattamento del bambino, me-
diazione.

Parental conflict and posttraumatic stress symptoms in children: an exploratory study. In


literature negative effects of exposure to parental conflict on psychological adjustment of
children (internalizing and externalizing symptoms) are known, but posttraumatic out-
comes have been less investigated. In a sample of 90 families with schoolaged children,
this exploratory study aims to: 1) detect the presence of posttraumatic symptoms in chil-
dren exposed to low versus high levels of parental conflict, and 2) investigate the mediating
factors in the relationship between parental conflict and posttraumatic symptoms, taking as
reference the Cognitive Context model and the Emotional Security hypothesis. The results
show that, in high conflict families, the perceived threat plays a mediating role on the anxi-
ety, depression, dissociation and PTS symptoms, and the destructive representations on the
anger. Instead in low conflict families, the emotional distress plays a mediating role on the
anxiety symptoms, and destructive representations on the anger.
Key words: parental conflict, posttraumatic symptoms, child adjustment, mediation.


Professore Associato di Psicologia dello Sviluppo, Università degli Studi e-Campus e
componente del C.R.I.d.e.e., Università Cattolica di Milano.

Ricercatore in Psicologia dello Sviluppo, C.R.I.d.e.e., Università Cattolica di Milano.

Professore Ordinario di Psicologia dello Sviluppo e Direttore del C.R.I.d.e.e., Università
Cattolica di Milano.
Indirizzare le richieste a: Elena Camisasca (elena.camisasca@uniecampus.it).
141
Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151
Camisasca, Miragoli e Di Blasio

1. Introduzione

Sebbene gli studi sulla violenza domestica abbiano da tempo dimostrato


come l’esposizione dei figli ai conflitti violenti tra i genitori li renda vulne-
rabili all’insorgenza della sintomatologia da stress post-traumatico (si ve-
dano le rassegne di Evans, Davies & Di Lillo, 2008; Holt, Buckley, &
Whelan, 2008), le numerose ricerche sugli effetti dei conflitti genitoriali
sull’adattamento psicologico dei figli hanno del tutto trascurato di verifica-
re la presenza di tale specifica sintomatologia. Gli studi sul conflitto hanno,
infatti, sostanzialmente dimostrato difficoltà sociali, emotive e cognitive e
condotte di internalizzazione ed esternalizzazione in bambini coinvolti nel-
le dispute tra i genitori (Camisasca, Miragoli, & Di Blasio, 2013; 2016; Fo-
sco & Grych, 2008; McCoy, George, Cummings, & Davies 2013; Pendry
& Adam 2013).
All’interno di tale ambito, i contributi che hanno indagato i possibili fat-
tori esplicativi (di mediazione) degli effetti del conflitto sui figli hanno so-
stanzialmente focalizzato l’attenzione sia sulle competenze genitoriali e co-
genitoriali deteriorate a causa del conflitto (Bonds & Gondoli, 2007; Cami-
sasca, Miragoli, Caravita, & Di Blasio, 2015; Camisasca, Miragoli, & Di
Blasio, 2014; Camisasca, Miragoli, Milani, & Di Blasio, 2016; Coln, Jor-
dan, & Mercer, 2013; McCoy, George, Cummings, & Davies, 2013) sia
sulle interpretazioni, cognizioni e reazioni emotive dei bambini. Più preci-
samente, il modello Cognitivo-Contestuale (Grych & Fincham, 1990) foca-
lizza l’attenzione sulle cognizioni e interpretazioni che si attivano nei bam-
bini, attraverso l’elaborazione primaria e secondaria della situazione con-
flittuale. Durante l’elaborazione primaria, il bambino valuta il conflitto in
termini di negatività, minaccia e rilevanza per il proprio benessere e per
quello della sua famiglia; con il processo di elaborazione secondaria egli
cerca di comprendere le ragioni che stanno alla base del conflitto, chi ne è il
principale responsabile e le proprie possibilità di affrontalo con successo. I
numerosi lavori, che hanno empiricamente validato tale modello, dimostra-
no in particolare l’importanza dei due fattori, minaccia percepita e autobia-
simo, come mediatori degli effetti del conflitto sulle condotte di internaliz-
zazione ed esternalizzazione dei figli (Fosco & Grych, 2008). Diversamen-
te, l’ipotesi della Sicurezza Emotiva (Davies & Cumminngs, 1994) focaliz-
za principalmente l’attenzione sulle reazioni emotive, rappresentazioni e
reazioni comportamentali dei bambini esposti a disaccordi genitoriali cro-
nici e distruttivi. Più precisamente, gli autori sottolienano che, quando il
bambino percepisce la precarietà del legame tra i suoi genitori: a) sperimen-
142

Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151


Conflitto genitoriale e sintomi post-traumatici

ta elevata reattività e distress emotivo, b) si costruisce delle rappresentazio-


ni interne della famiglia particolarmente negative e distruttive, c) mette in
atto tentativi cronici di ipercoinvolgimento o evitamento del conflitto. Que-
ste tre componenti costituiscono il nucleo del costrutto di “insicurezza emo-
tiva”, giudicato il fattore cardine in grado di spiegare l’impatto del conflitto
sul benessere psicologico dei bambini (Davies, Harold, Goeke-Morey, &
Cummings, 2002). I lavori empirici di validazione del modello, oltre a se-
gnalare il ruolo di mediazione del costrutto unitario di insicurezza emotiva
(Cummings, Schermerhorn, Davies, Goeke-Morey, Cummings, 2006; Da-
vies, Forman, Rasi, & Stevens, 2002; Davies et al., 2002), individuano gli
effetti distinti di mediazione del distress emotivo e delle rappresentazioni
distruttive della famiglia nell’associazione tra conflitto e comportamenti di
internalizzazione ed esternalizzazione dei figli (Buehler, Lange, & Franck,
2007; Davies & Cummings, 1998).
Il presente lavoro esplorativo si inserisce in questo ambito di studi con il
duplice obiettivo di analizzare, in un campione normativo di bambini: 1)
l’eventuale presenza della sintomatologia post-traumatica in bambini espo-
sti a lievi versus intensi livelli di conflitto genitoriale, e 2) i fattori in grado
di meglio spiegare (mediare) gli effetti del conflitto genitoriale sulla sinto-
matologia post-traumatica. Più precisamente, prendendo a riferimento le
indicazioni dei modelli Cognitivo-Contestuale (Grych & Fincham, 1990) e
della Sicurezza Emotiva (Davies & Cumminngs, 1994), verrà esplorato il
ruolo di mediazione di quattro fattori: minaccia percepita, autobiasimo, di-
stress emotivo e rappresentazioni distruttive della famiglia, individuati dai
sopracitati modelli teorici come meccanismi esplicativi dell’impatto del
conflitto genitoriale sull’adattamento psicologico dei figli.
Relativamente al primo obiettivo, ipotizziamo (H1) che i bambini espo-
sti a conflitti più gravi e intensi, in termini di aggressione verbale e psico-
logica tra i genitori, rispetto a quelli esposti a conflitti lievi, siano mag-
giormente vulnerabili all’insorgenza dei sintomi post-traumatici (ansia, de-
pressione, rabbia, stress post-traumatico e dissociazione). Relativamente al
secondo obiettivo, ipottizziamo (H2) che i fattori individuati dai modelli
sopracitati (minaccia percepita, autobiasimo, distress emotivo e rappresen-
tazioni distruttive) svolgano un ruolo di mediazione significativo nella rela-
zione tra conflitto genitoriale e sintomatologia post-traumatica dei figli.

143
Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151
Camisasca, Miragoli e Di Blasio

2 Metodologia della ricerca

2.1 Partecipanti

Hanno partecipato allo studio 90 bambini (56% femmine), con età com-
presa tra 8 e 13 anni (M = 10.4, DS = 1.5) ed i loro genitori (età md: M =
43.5, DS = 4.2; età pd: M = 45.7, DS = 5.6). I bambini appartengono a fa-
miglie normocostituite, con una durata media del matrimonio pari a 15.7
anni (DS = 4.2). Lo status socio-culturale familiare, rilevato attraverso la
professione e il titolo di studio dei due genitori, indica che il 58% delle fa-
miglie ha uno status socio-culturale medio, il 14% alto e il 28% basso.

2.2 Procedura

I partecipanti alla ricerca sono stati reclutati presso due scuole elementa-
ri e una scuola media pubbliche nella città di Milano. Le scuole sono state
reperite attraverso una procedura standard, che comprendeva un incontro
introduttivo esplicativo del progetto di ricerca con i dirigenti scolastici e le
insegnanti, e una descrizione scritta degli obiettivi e della procedura dello
studio rivolta ai genitori. Tutti i genitori, che hanno aderito alla ricerca,
hanno firmato i moduli di consenso, che descrivevano il progetto di ricerca,
il carattere volontario della partecipazione e la riservatezza dei dati raccolti.
Gli strumenti per i genitori sono stati consegnati in una busta chiusa e ano-
nima, con la richiesta che venissero compilati presso il proprio domicilio.
La somministrazione degli strumenti ai bambini è invece avvenuta a scuola,
in un luogo che potesse garantire tranquillità e riservatezza.

2.3 Strumenti

Conflitto genitoriale: è stato valutato attraverso l’utilizzo di strumenti


self-report somministrati ai bambini e a entrambi i genitori. I bambini han-
no compilato il Children’s Perception of Interparental Conflict Scale
(CPIC; Grych, Seid, & Fincham, 1992), che valuta la frequenza, l’intensità
e la risoluzione dei conflitti genitoriali, attraverso il fattore Proprietà del
conflitto ( = .82). I genitori hanno compilato la scala Aggressione psicolo-
gica (md:  = .74; pd:  = .73) della Revised Conflict Tactic Scale (RCTS;
Straus, Hamby, Boney-McCoy, & Sugarman, 1996), un questionario che
valuta il livello di conflitto tra due partner. Al fine di ottenere un punteggio
unico e riassuntivo delle prospettive dei tre membri della famiglia (genitori
144

Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151


Conflitto genitoriale e sintomi post-traumatici

e bambino), seguendo le indicazioni di Fosco e Grych (2008), è stato co-


struito un indice di Conflitto genitoriale. Tale variabile è stata costruita cal-
colando la media dei punteggi standardizzati delle variabili ottenute, attra-
verso la somministrazione ai bambini del CPIC e dei genitori della RTCS.
Minaccia percepita e autobiasimo: sono state valutate attraverso la
somministrazione ai bambini del Children’s Perception of Interparental
Conflict scale (CPIC; Grych et al., 1992). Nello specifico, la scala Minac-
cia percepita ( = .71) misura il livello secondo il quale i bambini percepi-
scono il conflitto come pericoloso per il proprio benessere e per la famiglia.
La scala Autobiasimo ( = .72) misura la convinzione dei bambini di essere
la causa del conflitto o di essere responsabili della sua risoluzione.
Distress emotivo e rappresentazioni distruttive: sono state valutate at-
traverso la somministrazione ai bambini del Security in the Interparental
Subsystem Scale (SIS; Davies et al., 2002). Nello specifico, la scala Di-
stress emotivo ( = .77) misura le reazioni emotive e le difficoltà di regola-
zione emotivo-comportamentale dei bambini, mentre quella Rappresenta-
zioni distruttive della famiglia ( = .72) misura le rappresentazioni negative
dei bambini circa la qualità del legame tra i genitori.
Sintomi post-traumatici: sono stati valutati attraverso la somministra-
zione della versione ridotta del questionario self-report Trauma Symptom
Checklist for Children (TSCC-A; Briere, 1996; validazione italiana di Di
Blasio, Piccolo, & Traficante, 2011). Sono state prese in considerazioni le
seguenti scale: Ansia (α = .73), che fa riferimento a preoccupazioni e ansia
generalizzata; Depressione (α = .77), che comprende sentimenti di tristez-
za, vissuti di colpa, ecc.; Rabbia (α = .81), che implica vissuti di ostilità e
odio; Stress post-traumatico (PTS; α = .78), che include i classici sintomi
del disturbo da stress post-traumatico; Dissociazione (α = .70) che fa rife-
rimento a derealizzazione, intorpidimento emotivo, ecc.

2.4 Strategie di analisi dei dati

In primo luogo, è stata condotta una cluster analysis k-medie per identi-
ficare due cluster di famiglie con differenti livelli di gravità, intensità e fre-
quenza del conflitto genitoriale (nei termini di aggressioni verbali e psico-
logiche tra i genitori). È stata poi condotta un’analisi t-test per verificare se
i due cluster differiscano significativamente rispetto alle variabili investiga-
te. Successivamente, in ciascun gruppo di famiglie, sono state condotte del-
le correlazioni per esplorare le associazioni tra le variabili e delle analisi di
mediazione attraverso il metodo di ricampionamento bias-corrected boo-
145
Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151
Camisasca, Miragoli e Di Blasio

tstrapping (Preacher & Hayes, 2008), particolarmente adatto per campioni


poco numerosi.

3. Risultati

3.1 Cluster analysis e t-test

È stata condotta un’analisi dei cluster di tipo k-medie (attraverso


l’inclusione delle variabili ottenute dai gentori “aggressione psicologica” e
dai bambini “proprietà del conflitto”) per identificare due gruppi di fami-
glie connotati da distinti livelli di conflittualità genitoriale. Utilizzando un
criterio di convergenza di .2, la soluzione a due cluster è stata ottenuta dopo
5 interazioni, con una distanza tra i cluster di 135.43. Il cluster 1 (n = 30)
presenta punteggi elevati di conflittualità su tutte le varibili considerate ed è
stato chiamato gruppo Conflitto intenso; il cluster 2 (n = 60) presenta, in-
vece, punteggi bassi su tutte le varibili ed è stato chiamato gruppo Conflitto
lieve. Le analisi t-test, realizzate al fine di verificare l’esistenza di differen-
ze significative tra i due gruppi, indicano che le famiglie del gruppo Con-
flitto intenso rispetto a quelle Conflitto lieve presentano punteggi significa-
tivamente più alti (t(2,88) da 3.8 a 15.8; p < .01), in tutte le variabili (conflitto
genitoriale, minaccia percepita, autobiasimo, distress, rappresentazioni di-
struttive, ansia, depressione, rabbia, PTS e dissociazione).

3.2 Analisi correlazionali e di mediazione

Nei due distinti cluster di famiglie, sono state condotte delle correlazio-
ni e delle analsi di mediazione al fine di esplorare le associazioni tra le va-
riabili e i possibili effetti di mediazione delle variabili minaccia percepita,
autobiasimo, distress emotivo e rappresentazioni distruttive della famiglia.
Conflitto lieve: le analisi indicano che il predittore conflitto correla con i
sintomi di ansia (r = .31), rabbia (r = .26) e tutti i mediatori (r da .27 a .40).
Inoltre, il distress emotivo correla con tutti i sintomi post-traumatici (r da
.39 a .59); le rappresentazioni distruttive correlano con i sintomi di ansia,
depressione, rabbia e PTS (r da .26 a .45); la minaccia percepita correla con
i sintomi di ansia, depressione e PTS (r da .30 a .40); mentre l’autobiasimo
non risulta significativamente associato a nessun sintomo post-traumatico.
Dal momento che il predittore conflitto risulta significativamente con-
nesso solo ai sintomi di ansia e rabbia, si ravvisano le condizioni (effetto
significativo di X su Y) per la verifica degli effetti di mediazione solo per
146

Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151


Conflitto genitoriale e sintomi post-traumatici

tali due sintomi. Le analisi di mediazione condotte, aventi come outcome i


sintomi di ansia e rabbia, evidenziano che il distress emotivo e le rappre-
sentazioni distruttive della famiglia svolgono un ruolo significativo. In par-
ticolare, il distress emotivo risulta l’unico mediatore degli effetti del con-
flitto sui sintomi ansiosi (R2 = .31; F = 4.7; p < .01; β = 4.2; Bootstrap
95%; CI = 10; 8.24), mentre le rappresentazioni distruttive della famiglia
mediano gli effetti del conflitto sui sintomi di rabbia (R2 = .26; F = 3.7; p <
.01; β = 1.7; Bootstrap 95%; CI = .40; 3.97).
Conflitto intenso: nel primo cluster le correlazioni indicano che il pre-
dittore conflitto correla con tutti i sintomi post-traumatici considerati (r da
.36 a .44) e con tutti i mediatori (r da .38 a .53). Inoltre, tutti i mediatori,
minaccia percepita (r da .46 a .74), distress emotivo (r da .30 a .56) e rap-
presentazioni distruttive (r da .40 a .52), ad eccezione dell’autobiasimo,
correlano con i sintomi post-traumatici.
Le analisi di mediazione con il metodo bias-corrected bootstrapping
(Preacher & Hayes, 2008) indicano che, tra i mediatori considerati, solo la
minaccia percepita e le rappresentazioni distruttive della famiglia svolgono
un ruolo significativo. In particolare, la minaccia percepita risulta l’unico
mediatore degli effetti del conflitto genitoriale sui sintomi di: ansia (R2 =
.55; F = 5.9; p < .01; β = 9.4; Bootstrap 95%, CI = .32; 26.15); depressione
(R2 = .65; F = 8.9; p < .001; β = 12.7; Bootstrap 95%, CI = 5.69; 25.77),
PTS (R2 = .62; F = 7.9; p < .001; β = 13.9; Bootstrap 95%; CI = 3.42;
30.89) e dissociazione (R2 = .38; F = 2.9; p < .05; β = 6.6; Bootstrap 95%;
CI = 3.51; 15.09). Le rappresentazioni distruttive della famiglia, insieme
alla minaccia percepita, mediano gli effetti del conflitto sui sintomi di rab-
bia (R2 = .66; F = 9.1; p < .001; βmin = 8.9; Bootstrapmin 95%; CI = .29;
20.89; βrapp = 6.4; Bootstraprapp 95%; CI = 1.31; 17.20).

4. Discussione

Il presente studio esplorativo si è proposto il duplice obiettivo di indaga-


re la presenza di sintomi post-traumatici in bambini appartenenti a un cam-
pione normativo, esposti a differenti livelli di conflitto genitoriale (lievi
versus intensi) e di comprendere quali fattori possano svolgere un ruolo
esplicativo nella relazione tra conflitto e sintomatologia post-traumatica.
Un primo dato rilevante concerne il fatto che i conflitti più lievi incidono
sostanzialmente sui sintomi di ansia e rabbia, a differenza dei conflitti più
intensi che risultano predittivi anche dei sintomi depressivi, del PTSD e
della dissociazione. Questo risultato, in linea con gli studi che evidenizano
147
Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151
Camisasca, Miragoli e Di Blasio

l’impatto del conflitto sulle traiettorie di internalizzazione ed esternalizza-


zione (Fosco & Grych, 2008), conferma anche la nostra prima ipotesi (H1),
rilevando il potenziale effetto post-traumatico dei conflitti intensi anche se
non violenti.
Un secondo dato centrale riguarda invece i meccanismi esplicativi
dell’insorgenza della sintomatologia post-traumatica. I risultati evidenziano
il ruolo di specifici fattori di mediazione, a seconda che i bambini siano
esposti a conflitti lievi versus intensi. In particolare, in caso di conflitti lie-
vi, il distress emotivo e le rappresentazioni distruttive costituiscono i me-
diatori degli effetti del conflitto sui sintomi di ansia e rabbia. Possiamo
spiegare tali risultati, presumendo che nel caso di conflitti meno ostili tra i
genitori, i bambini attribuiscano comunque una valenza di significato alla
situazione a cui sono esposti, che comporta un’aumentata preoccoupazione
e tensione emotiva, che ben si connette con i sintomi di ansia. Inoltre, pos-
siamo presumere che le rappresentazioni distruttive della famiglia, che im-
plicano nei bambini l’idea che i genitori non si impegneranno nel risolvere
le loro divergenze, possano ben spiegare i loro vissuti di rabbia e ostilità.
Diversamente, nel caso di esposizione a conflitti intensi, il principale
fattore di mediazione risulta essere il senso di minaccia percepita, che costi-
tuisce il meccamismo esplicativo di tutti i sintomi post-traumatici conside-
rati. Più precisamente, infatti, la minaccia percepita spiega da sola i sintomi
ansiosi, depressivi, di PTSD e dissociativi, e congiuntamente alle rappre-
sentazioni distruttive, anche i sintomi di rabbia. Questi risultati sostanziano
le indicazioni del modello Cognitivo-Contestuale (Fosco & Grych, 2008;
Grych & Fincham, 1990) e dell’ipotesi della Sicurezza Emotiva (Davies &
Cummings, 1994), che spiegano come la minaccia percepita dai bambini
per il proprio benessere e per quello della famiglia e le rappresentazioni
della famiglia, particolarmente negative e distruttive, spieghino gli esiti di
adattamento psicologico dei figli in modo addirittura superiore a quello del
conflitto stesso. Possiamo supporre che, quando i bambini si trovano espo-
sti ad aggressioni verbali tra i genitori di natura particolarmente ostile, va-
lutino quanto sta accadendo non solo in termini di rilevanza e importanza
della situazione, ma nei termini di una vera e propria minaccia per la pro-
pria sicurezza e per quella dei genitori. Infatti, la percezione di minaccia,
che nei nostri dati connota maggiormente il gruppo a conflitto intenso, sol-
lecita nei bambini intensi vissuti di paura, preoccupazione, angoscia e im-
potenza, che ben si connettono, non solo ai sintomi di ansia, depressione e
rabbia, ma soprattutto ai sintomi dissociativi e del disturbo post-traumatico
da stress. Possiamo, quindi, presumere che l’espozione ai conflitti intensi,
148

Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151


Conflitto genitoriale e sintomi post-traumatici

che comportano valutazioni soggettive di minaccia, insostenibile e inevita-


bile, a fronte della quale i bambini si sentono sostanzialmente impotenti, si
connoti come un’esperienza traumatica vera e propria. In questi casi il sen-
so di minaccia, soverchiando le capacità di difesa dei figli, favorisce
l’emergere della sintomatologia di disturbi dissociativi e PTSD. In sintesi
questi risultati confermano sostanzialmente anche la seconda ipotesi (H2),
rilevando tuttavia come i mediatori considerati, ad eccezione
dell’autobiasimo che non risulta significativo, assumano un’importanza di-
stinta nei due gruppi di famiglie considerati.
Concludendo, i risultati ottenuti, sebbene sicuramente preliminari, solle-
citano la riflessione slle importanti ricadute in ambito sia di ricerca sia di
intervento. Rispetto al primo ambito richiamano l’attenzione sulla impor-
tanza che le ricerche empiriche non trascurino l’indagine della sintomatolo-
gia post-traumatica nei bambini esposti ai conflitti, seppur non necessaria-
mente violenti. In termini di intervento indicano agli operatori la opportuni-
tà di considerare non solo la dinamica conflittuale genitoriale ma anche i
processi di elaborazione dei bambini, al fine di tentare di scongiurare il ri-
schio di insorgenza della sintomatologia post-traumatica.

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150

Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151


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Pervenuto dicembre 2015


Accettato febbraio 2016

151
Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151
Conflitto genitoriale, stress genitoriale e sintomi post-traumatici

Stress genitoriale materno e sintomatologia post-


traumatica nei bambini esposti al conflitto
genitoriale: un modello di mediazione
Elena Camisasca∗ & Paola Di Blasio•

In letteratura, sebbene siamo noti gli effetti post-traumatici della violenza domestica sui
figli, una nuova direzione di ricerca esplora il ruolo dello stress genitoriale quale potenziale
meccanismo esplicativo di tali associazioni. Prendendo a riferimento tali recenti indicazioni
ed i suggerimenti del modello Cognitivo Contestuale, il presente studio, condotto su un
gruppo normativo di 75 famiglie di bambini di età scolare, si propone di: 1) analizzare le
associazioni tra conflitto genitoriale, sintomatologia post-traumatica e stress genitoriale
materno; 2) valutare gli effetti delle specifiche dimensioni dello stress genitoriale materno
(distress genitoriale, PD; interazione disfunzionale genitore-figlio PCDI; e bambino difficile,
DC) sulla sintomatologia post-traumatica e di esplorare se le valutazioni soggettive dei
bambini di minaccia percepita e autobiasimo possano mediare gli effetti dello stress
materno sui sintomi post-traumatici. I risultati indicano che la dimensioni dello stress
genitoriale materno PCDI esercita un impatto significativo sui sintomi di ansia, depressione,
PTS e dissociativi, grazie alla mediazione della minaccia percepita; mentre la dimensione
dello stress DC favorisce i sintomi di rabbia grazie alla mediazione dell’autobiasimo.

Parole chiave: conflitto genitoriale, sintomi post-traumatici, stress genitoriale, minaccia


percepita, autobiasimo.

Maternal parenting stress and post-traumatic symptoms in children exposed to marital


conflict: A mediational model. In literature, the post-traumatic effects of domestic violence
on children are well known, while the exploration of parenting stress as an explicative
mechanism of these associations is a new direction of research. By considering this new
direction of research, and the indications of the Cognitive Contexual Framework, the
present study was carried out on 75 normative families. It was aimed to: 1) analyze the
associations between inter-parental conflict, post-traumatic symptomatology and maternal
parenting stress; 2) to evaluate the effects of the specific dimensions of maternal parenting
stress (parental distress, PD; dysfunctional parent-child interaction PCDI; and difficult
child, DC) on the children’s post-traumatic symptoms; to explore whether the subjective
appraisals of perceived threat and self-blame mediated these associations. Results showed
that predictive effects of PCDI on the symptoms of anxiety, depression, PTS and
dissociatives, through the mediation of perceived threat, and the predictive effects of DC on
anger symptoms, through the mediation of self-blame.

Key words: interparental conflict, posttraumatic symptoms, parenting stress, perceived

threat, self-blame.

141

Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. n. 2, giugno 2019, pp.


Camisasca & Di Blasio

∗ Professore Associato di Psicologia dello Sviluppo, Università degli Studi e-Campus e


componente del C.R.I.d.e.e., Università Cattolica di Milano.
• Professore Ordinario di Psicologia dello Sviluppo e Direttore del C.R.I.d.e.e., Università

Cattolica di Milano.
Indirizzare le richieste a: Elena Camisasca (elena.camisasca@uniecampus.it).

142

Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151


Conflitto genitoriale, stress genitoriale e sintomi post-traumatici

1. Introduzione

I numerosi studi sui conflitti tra i genitori hanno da tempo evidenziato


gli esiti negativi sui figli in termini di difficoltà sociali, emotive e cognitive
nonché condotte di internalizzazione ed esternalizzazione (Camisasca,
Miragoli, & Di Blasio, 2013; Camisasca, Miragoli, Di Blasio & Grych,
2017; Harold & Sellers, 2018; Warmuth, Cummings, & Davies, 2018).
All’interno di tale ambito di ricerca, l’esplorazione dei meccanismi e
processi esplicativi degli effetti del conflitto sull’adattamento dei figli ha
evidenziato il ruolo sia delle competenze genitoriali e co-genitoriali
deteriorate a causa del conflitto (Ipotesi dello spillover) sia delle cognizioni
e reazioni emotive dei bambini esposti ai litigi tra i genitori (Modello
Cognitivo-Contestuale di Grych and Fincham (1990).
Più specificatamente, l’Ipotesi dello Spillover (Cox et al., 2001; Emery,
Hetherington e Di Lalla, 1984; Erel & Burman 1995) sottolinea come i
genitori, con relazioni di coppia conflittuali, possano adottare modalità di
parenting disfunzionali, a causa di una sorta di “travaso degli affetti” dal
sottosistema coniugale a quello caregiver-bambino. Coerentemente con
tale ipotesi, è stato empiricamente dimostrato che i conflitti di coppia
predicono relazioni caregiver-bambino connotate da minor coinvolgimento
e responsività, pratiche educative disfunzionali e livelli accentuati di stress
genitoriale (Bonds & Gondoli, 2007; Camisasca, Miragoli, Caravita, & Di
Blasio, 2015; Camisasca, Miragoli, & Di Blasio, 2014; Camisasca,
Miragoli, Di Blasio & Feinberg, 2018; Colpin, De Munter, Nys, &
Vandemeulebroecke, 2000; Merrifield & Gamble, 2013).
Abidin (1995), nel definire lo stress genitoriale nei termini di
discrepanza tra le risorse che il genitore percepisce di possedere e le
esigenze imposte dal ruolo genitoriale, sottolinea la natura
multidimensionale del costrutto in termini di distress genitoriale (PD),
interazione disfunzionale genitore-figlio e bambino difficile. Il distress
genitoriale (PD) fa sostanzialmente riferimento al senso di incompetenza
genitoriale e allo stress associato alle restrizioni derivanti dal ruolo di
genitore. La dimensione interazione disfunzionale genitore-figlio (P-CDI)
riflette i sentimenti negativi connessi alle aspettative verso il figlio e la
disconferma del ruolo di genitore nella relazione col figlio, mentre la
dimensione bambino difficile (DC) indica la percezione del figlio, in
termini di temperamento difficile, comportamenti richiestivi, provocatori,
non collaborativi ed esigenti.
Alcuni contributi, coerentemente con l’idea che i livelli cronici di stress

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Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151
Camisasca & Di Blasio
genitoriale creino un ambiente emozionale negativo e disregolato che,
attraverso una sorta di “contagio degli affetti”, impattano direttamente lo
sviluppo socioemozionale dei bambini (Anthony et al., 2005; Camisasca &
Di Blasio, 2014; Denham et al., 2000), attribuiscono allo stress genitoriale
il ruolo di mediatore degli effetti del conflitto sui comportamenti di
internalizzazione ed esternalizzazione dei figli (Camisasca, Miragoli, Di
Blasio, 2016b; Hughes and Huth-Bocks 2007; Huth-Bocks and Hughes
2008).
L’importanza delle interpretazioni e cognizioni dei bambini esposti al
conflitto, nel spiegare l’impatto del conflitto sull’adattamento psicologico
dei figli, è stata invece evidenziata nel Modello Cognitivo-Contestuale
(Grych & Fincham, 1990). Più precisamente, Grych e Fincham (1990)
spiegano come i bambini, esposti a situazioni di conflitto, non possano
evitare di cercare di comprendere quanto stia avvenendo, mettendo in atto i
processi di elaborazione primaria e secondaria. Con il processo di
elaborazione primaria, il bambino valuta la situazione conflittuale in
termini di negatività, minaccia e rilevanza per il proprio benessere e per
quello della famiglia; con il processo di elaborazione secondaria, egli cerca
di comprendere le ragioni che stanno alla base del conflitto, chi ne è il
principale responsabile e le proprie possibilità di affrontalo con successo.
Secondo gli autori, bambini che valutano il conflitto come pericoloso per il
proprio benessere e per il funzionamento della famiglia (minaccia
percepita) e che nutrono la convinzione di essere la causa del conflitto e/o
di essere responsabili della sua risoluzione (autobiasimo) sono
maggiormente a rischio di esiti disadattivi. I lavori che hanno
empiricamente validato il modello Cognitivo-Contestuale, dimostrano come
la minaccia percepita medi la relazione tra conflitto ed i comportamenti di
internalizzazione (Fosco & Feinberg, 2015) mentre l’autobiasimo medi
l’associazione tra conflitto ed i comportamenti di esternalizzazione (Fosco
& Grych, 2008; Fosco & Lydon-Staley, 2017).
In uno studio recente (Camisasca, Miragoli & Di Blasio, 2016b) è stato
inoltre rilevato come la minaccia percepita svolga un ruolo di mediazione
anche nell’associazione tra conflittualità genitoriale ed i sintomi di ansia,
depressione, PTS e dissociazione.
Il lavoro sopra citato è il primo ad aver esplorato gli esiti post-traumatici
nei figli esposti al conflitto genitoriale sebbene, da tempo, i lavori sulla
violenza domestica abbiano rilevato la sintomatologia da stress post-
traumatico nei bambini esposti a tale forma di violenza (Evans, Davies &
Di Lillo, 2008; Greene, Chan, McCarthy, K. Wakschlag & Briggs-Gowan,
2018; Holt, Buckley, & Whelan, 2008; Schechter et al., 2017; Telman et al.
2016; Yalch, Black, A., Martin, & Levendosky, 2017). E’ inoltre

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Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151


Conflitto genitoriale, stress genitoriale e sintomi post-traumatici

interessante rilevare come nell’ambito della letteratura sulla violenza


domestica, solo due contributi abbiano evidenziato il ruolo dello stress
genitoriale nell’insorgenza della sintomatologia post-traumatica nei
bambini esposti. Più precisamente, nel lavoro di Crusto et al. (2010),
condotto su bambini di età prescolare, è stato riscontrato il ruolo di
mediazione dello stress genitoriale nell’associazione tra violenza domestica
e sintomi da stress post-traumatico nei figli; mentre nello studio di Telman
et al. (2016), realizzato su bambini di età scolare, è stata sottolineata una
associazione significativa tra stress genitoriale e sintomatologia da stress
post-traumatico.
L’esistenza dei soli due studi sopra citati apre, a nostro avviso, una
nuova direzione di ricerca circa il ruolo dello stress genitoriale quale
potenziale fattore in grado di favorire l’insorgenza della sintomatologia
post-traumatica nei bambini esposti ai conflitti tra i genitori.
Inoltre, nell’ambito di tale esplorazione, riteniamo possa essere utile
l’individuazione dei possibili fattori in grado di spiegare l’effetto dello
stress genitoriale sulla sintomatologia post-traumatica e, prendendo a
riferimento le indicazioni del Modello Cognitivo-Contestuale, la nostra
attenzione si è focalizzata sulle cognizioni di minaccia percepita ed
autobiasimo.
L’idea che lo stress genitoriale possa incidere sulle valutazioni
cognitive dei bambini, nei termini di minaccia percepita ed autobiasimo, a
loro volta associate agli esiti post-traumatici, trae spunto da un recente
studio (Figge, Martinez-Torteya, & Bogat, 2018) che sottolinea come, in
situazioni di violenza domestica, le relazioni caregiver-bambino deteriorate
risultino associate a livelli accentuati di minaccia percepita. Nel spiegare
tali risultati, gli autori, sottolineano come i bambini privati della possibilità,
a causa della presenza di relazioni disfunzionali con i genitori, di trovare il
conforto e l’aiuto necessario per regolare le intense emozioni elicitate
dall’esposizione alla violenza domestica, risultino caratterizzati da intensi
vissuti di impotenza e minaccia percepita.
Il presente lavoro, prendendo a riferimento i lavori sopra citati, si
propone di esplorare il ruolo dello stress genitoriale materno, nelle sue
specifiche componenti distress genitoriale (PD), interazione disfunzionale
genitore-figlio (PCDI) e bambino difficile (DC), nell’insorgenza della
sintomatologia post-traumatica (sintomi di ansia, depressione, rabbia, di
PTSD e dissociativi) nei bambini esposti al conflitto genitoriale. Si è deciso
di focalizzare l’attenzione sullo stress genitoriale materno dal momento
che, per i bambini partecipanti alla ricerca, la madre costituisce la figura di
riferimento principale alla quale potersi rivolgere per un aiuto e supporto in
situazioni stressogene. Inoltre, all’interno di tale esplorazione, verrà

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Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151
Camisasca & Di Blasio
investigato il ruolo della minaccia percepita e dell’autobiasimo quali
potenziali meccanismi esplicativi delle associazione tra stress genitoriale e
sintomatologia post-traumatica.
Il presente studio presenta pertanto il duplice obiettivo di analizzare, in
un campione normativo di bambini: 1) le associazioni tra conflitto
genitoriale, sintomatologia post-traumatica e stress genitoriale materno; 2)
gli effetti delle specifiche dimensioni dello stress genitoriale materno (PD,
PCDI e DC) sulla sintomatologia post-traumatica ed il potenziale ruolo di
mediazione di minaccia percepita e autobiasimo in tali associazioni.
Relativamente al primo obiettivo, in linea con le indicazioni della
letteratura (Camisasca et al., 2016a; Schechter et al., 2017; Telman et al.
2016; Yalch, Black, A., Martin, & Levendosky, 2017), ipotizziamo (H1)
che i bambini esposti a conflitti più gravi ed intensi presentino livelli più
accentuati di sintomatologia post-traumatica (ansia, depressione, rabbia,
stress post-traumatico e dissociazione). Inoltre in linea con le con le
ricerche condotte nell’ambito dell’Ipotesi dello Spillover (Camisasca et al.,
2016b; Hughes and Huth-Bocks 2007; Huth-Bocks and Hughes 2008),
ipotizziamo (H2) che livelli più accentuati di conflitto siano associati a
livelli più accentuati di tutte le dimensioni dello stress genitoriale materno
(PD, PCDI e DC). Relativamente al secondo obiettivo, in linea con
l’emergente letteratura (Crusto et al., 2010; Figge et al., 2018; Telman et
al., 2016), ipotizziamo che lo stress materno possa favorire una
vulnerabilità all’insorgenza della sintomatologia post-traumatica, attraverso
la mediazione dei fattori minaccia percepita e autobiasimo.

2 Metodologia della ricerca

2.1 Partecipanti

Hanno partecipato allo studio 75 bambini (58% femmine), con età com-
presa tra 8 e 13 anni (M = 9.3, DS = 1.3) ed i loro genitori (età md: M =
42.5, DS = 5.4; età pd: M = 45.5, DS = 6.1). I bambini appartengono a
famiglie normocostituite, con una durata media del matrimonio pari a 14.6
anni (DS = 5.1). Lo status socio-culturale familiare, rilevato attraverso la
professione e il titolo di studio dei due genitori, indica che il 56% delle
famiglie ha uno status socio-culturale medio, il 15% alto e il 29% basso.

2.2 Procedura

I partecipanti alla ricerca sono stati reclutati presso due scuole


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Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151


Conflitto genitoriale, stress genitoriale e sintomi post-traumatici

elementari pubbliche nella città di Milano. Le scuole sono state reperite


attraverso una procedura standard, che comprendeva un incontro
introduttivo esplicativo del progetto di ricerca con i dirigenti scolastici e le
insegnanti, e una descrizione scritta degli obiettivi e della procedura dello
studio rivolta ai genitori. Tutti i genitori, che hanno aderito alla ricerca,
hanno firmato i moduli di consenso, che descrivevano il progetto di ricerca,
il carattere volontario della partecipazione e la riservatezza dei dati raccolti.
Gli strumenti per i genitori sono stati consegnati in una busta chiusa e
anonima, con la richiesta che venissero compilati presso il proprio
domicilio. La somministrazione degli strumenti ai bambini è invece
avvenuta a scuola, in un luogo che potesse garantire tranquillità e
riservatezza.

2.3 Strumenti

Conflitto genitoriale: è stato valutato attraverso l’utilizzo di strumenti


self-report somministrati ai bambini e a entrambi i genitori. I bambini han-
no compilato il Children’s Perception of Interparental Conflict Scale
(CPIC; Grych, Seid, & Fincham, 1992), che valuta la frequenza, l’intensità
e la risoluzione dei conflitti genitoriali, attraverso il fattore Proprietà del
conflitto (α = .82). I genitori hanno compilato la scala Aggressione psicolo-
gica (md: α = .74; pd: α = .73) della Revised Conflict Tactic Scale (RCTS;
Straus, Hamby, Boney-McCoy, & Sugarman, 1996), un questionario che
valuta il livello di conflitto tra due partner. Al fine di ottenere un punteggio
unico e riassuntivo delle prospettive dei tre membri della famiglia (genitori
e bambino), seguendo le indicazioni di Fosco e Grych (2008), è stato
costruito un indice di Conflitto genitoriale. Tale variabile è stata costruita
calcolando la media dei punteggi standardizzati delle variabili ottenute,
attraverso la somministrazione ai bambini del CPIC e dei genitori della
RTCS.
Stress genitoriale materno: il livello di stress materno misurato con il
Parenting Stress Index Short Form (PSI-SF, Abidin, 1995; Guarino et al.,
2008), è un questionario self-report di 36 item con risposte su scala Likert a
5 punti (da 1 = fortemente in disaccordo a 5 = fortemente d’accordo)
composto da tre sottoscale (Distress genitoriale, Interazione disfunzionale
genitore-figlio e Bambino Difficile). La scala Distress genitoriale (PD)
misura il senso di incompetenza nell’allevamento del figlio, il conflitto col
partner, la mancanza di supporto sociale e lo stress associato alle restrizioni
derivanti dal ruolo di genitore. La scala Interazione disfunzionale genitore-
figlio (P-CDI) riflette i sentimenti negativi connessi alle aspettative verso il
figlio e la conferma o meno del ruolo di genitore nella relazione col figlio.
147
Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151
Camisasca & Di Blasio
La scala Bambino difficile (DC) indica la percezione del figlio, in termini di
temperamento, comportamenti richiestivi o provocatori non collaborativi ed
esigenti. La somma dei punteggi alle tre sottoscale (PD + PCDI +DC)
permette di ottenere il valore dello Stress Totale indicativo del livello di
stress genitoriale, non derivante da altri ruoli o altri eventi.
Minaccia percepita e autobiasimo: sono state valutate attraverso la
somministrazione ai bambini del Children’s Perception of Interparental
Conflict scale (CPIC; Grych et al., 1992). Nello specifico, la scala Minac-
cia percepita (α = .72) misura il livello secondo il quale i bambini percepi-
scono il conflitto come pericoloso per il proprio benessere e per la famiglia.
La scala Autobiasimo (α = .73) misura la convinzione dei bambini di essere
la causa del conflitto o di essere responsabili della sua risoluzione.
Sintomi post-traumatici: sono stati valutati attraverso la somministra-
zione della versione ridotta del questionario self-report Trauma Symptom
Checklist for Children (TSCC-A; Briere, 1996; validazione italiana di Di
Blasio, Piccolo, & Traficante, 2011). Sono state prese in considerazioni le
seguenti scale: Ansia (α = .72), che fa riferimento a preoccupazioni e ansia
generalizzata; Depressione (α = .78), che comprende sentimenti di tristezza,
vissuti di colpa, ecc.; Rabbia (α = .80), che implica vissuti di ostilità e odio;
Stress post-traumatico (PTS; α = .78), che include i classici sintomi del
disturbo da stress post-traumatico; Dissociazione (α = .70) che fa
riferimento a derealizzazione, intorpidimento emotivo, ecc.

2.4 Strategie di analisi dei dati

In primo luogo, sono state condotte delle correlazioni per esplorare le


associazioni tra le variabili e delle analisi di mediazione attraverso il
metodo di ricampionamento bias-corrected bootstrapping (Preacher &
Hayes, 2008), particolarmente adatto per campioni poco numerosi.

3. Risultati

3.1 Analisi correlazionali

Le analisi (tabella 1) indicano che il predittore conflitto correla


positivamente con tutti i sintomi post-traumatici considerati: ansia (r =
.38), depressione (r = .35), rabbia (r = .29), PTS (r = .30) e dissociazione
(r = .39); con le dimensioni dello stress genitoriale materno, distress
genitoriale (PD; r = .25), relazione disfunzionale genitore figlio (PCDI; r
= .38) e bambino difficile (DC; r = .26); e con le valutazioni soggettive di
148

Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151


Conflitto genitoriale, stress genitoriale e sintomi post-traumatici

minaccia percepita (r = .44) e autobiasimo (r = .46). I dati correlazionali


indicano inoltre che la dimensione distress genitoriale (PD) non correla con
i sintomi post-traumatici analizzati, la dimensione relazione disfunzionale
genitore figlio (PCDI) correla con tutti i sintomi analizzati ad eccezione
della rabbia (r da .25 a .34) mentre la dimensione bambino difficile (DC)
correla con i sintomi di rabbia (r = .27). Inoltre, le dimensioni relazione
disfunzionale (PCDI) e bambino difficile (DC) correlano positivamente con
la minaccia percepita e l’autobiasimo (r da .24 a .37), mentre la dimensione
distress genitoriale correla solo con la minaccia percepita (r = .25). Infine
minaccia percepita e autobiasimo correlano positivamente con tutti i
sintomi considerati (r da .29 a .57). Dal momento che la dimensione
distress genitoriale non risulta significativamente associata alla
sintomatologia post-traumatica e alle valutazioni soggettive di minaccia
percepita e autobiasimo, non verrà considerata nel modello di mediazione
(Tabella 1).

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
1. Conflitto 1
2. Distress .253* 1
genitoriale (PD)
3. Interazione .392** .398** 1
disfunzionale
genitore-figlio
(PCDI)
4. Bambino Difficile .247* .153 .629** 1
(DC)
5. Minaccia percepita .441** .249* .373** .269* 1
**
6. Autobiasimo .466 .003 .239 .339** .420** 1
7. Ansia .389** .088 .274* .186 .577** .355** 1
8. Depressione .354** .012 .255* .215 .548** .333** .662** 1
* * * ** ** **
9, Rabbia .295 .056 .126 .270 .310 .435 .492 .329 1
10. PTS .308* -.041 .268* .228 .427** .291* .564** .568** .358** 1
11. Dissociazione .396** .056 .340** .261* .417** .383** .683** .574** .420** .548** 1

3.2 Analisi di mediazione

Le analisi di mediazione con il metodo bias-corrected bootstrapping


(Preacher & Hayes, 2008) indicano che la dimensione dello stress relazione
disfunzionale genitore figlio (PCDI) unitamente alla minaccia percepita
svolgono un ruolo significativo per la quasi totalità dei sintomi considerati
(ansia, depressione, PTS, dissociazione) mentre la dimensione dello stress
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Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151
Camisasca & Di Blasio
bambino difficile unitamente all’autobiasimo svolgono un ruolo
significativo sui sintomi di rabbia (Figure 1 & 2). In particolare, le analisi
indicano che l’effetto della dimensione interazione disfunzionale genitore-
figlio sul mediatore minaccia percepita (a path; coeff = .26; p <.01) è
significativo; l’effetto totale (c path) della di tale dimensione dello stress
sulle variabili dipendenti ansia (coeff. = .20; p <.05), depressione (coeff. =
.21; p <.05) PTS (coeff. = .28 <.05), e dissociazione (coeff. = .19 <.05), è
significativo, mentre l’effetto diretto (c’ path) non risulta significativo.
Inoltre, la minaccia percepita media degli effetti della dimensione relazione
disfunzionale genitore figlio (PCDI) sui sintomi di: ansia (R2 = .07; F =
5.9; p < .05; β = .12; Bootstrap 95%, CI = .04; .24); depressione (R2 = .06;
F = 4.3; p < .05; β = 12.7; Bootstrap 95%, CI = .03; .29), PTS (R2 =
.07; F = 4.8; p < .05; β = . 10; Bootstrap 95%; CI = .00; .26) e
dissociazione (R2 = .11; F = 8.2; p < .01; β = .11; Bootstrap 95%; CI = .02;
.20).

Figura 1: il ruolo di mediazione della minaccia percepita

L’effetto predittivo della dimensione dello stress bambino difficile risulta


significativo sul mediatore autobiasimo (a path; coeff. = .09; p <.05);
l’effetto totale (c path) della di tale dimensione risulta significativo sulla
variabile dipendente rabbia (coeff. = .07; p <.05), mentre l’effetto diretto
(c’ path) non è significativo L’autobiasimo, inoltre, media invece l’effetto
della dimensione dello stress bambino difficile (DC) sui sintomi di rabbia
(R2 = .07; F = 4.9; p < .05; β = .06; Bootstrap 95%; CI = .00; .17).

Figura 2: il ruolo di mediazione dell’autobiasimo

150

Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151


Conflitto genitoriale, stress genitoriale e sintomi post-traumatici

4. Discussione

Il presente studio si è proposto il duplice obiettivo di indagare le


associazioni tra conflitto genitoriale, sintomatologia post-traumatica e stress
genitoriale materno e di comprendere se la minaccia percepita e
l’autobiasmo possano svolgere un ruolo esplicativo nella relazione tra stress
genitoriale materno e sintomatologia post-traumatica dei figli. Un primo
dato rilevante, in linea con le aspettative (H1 e H2) indica che i conflitti più
gravi e intensi incidono sostanzialmente su tutti i sintomi considerati e sulle
dimensioni dello stress genitoriale materno (PD, PCDI e DC). Questo
risultato è in linea con la letteratura che rileva il potenziale effetto post-
traumatico dei conflitti intensi, anche se non violenti (Camisasca et al.,
2016a), e l’effetto spillover ovvero del travaso degli affetti negativi dalla
relazione di coppia alla relazione caregiver-bambino (Camisasca et al.,
2016b; Camisasca, Miragoli & Di Blasio, 2019; Hughes and Huth-Bocks
2007; Huth-Bocks and Hughes 2008; Miano & Astorino, 2017).
E’ pertanto possibile sostenere che il clima emozionale negativo
generato dal conflitto coniugale si trasferisca nella relazione caregiver-
bambino attraverso: un aumento dei vissuti e delle percezione negative
materne di incompetenza e di isolamento (PD), attraverso sentimenti
negativi inerenti la relazione col figlio (PCDI) e attraverso le percezioni
negative del figlio in termini di temperamento difficile, comportamenti
richiestivi, provocatori ed esigenti (DC). Un secondo dato centrale riguarda
i possibili effetti dello stress genitoriale materno sulla sintomatologia post-
traumatica dei figli attraverso la mediazione delle valutazioni soggettive
della minaccia percepita e autobiasimo. I risultati evidenziano come le
dimensioni dello stress materno PCDI e DC incidano sulla sintomatologia
post-traumatica dei figli, attraverso la mediazione delle variabili
considerate. In particolare, mentre la PCDI esercita un impatto significativo
sui sintomi di ansia, depressione, PTS e dissociativi, grazie alla mediazione
della minaccia percepita, la dimensione DC favorisce i sintomi di rabbia
151
Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151
Camisasca & Di Blasio
grazie alla mediazione dell’autobiasimo.
Relativamente all’impatto della dimensione PCDI sulla sintomatologia
post-traumatica, attraverso la mediazione della minaccia percepita,
possiamo ipotizzare che, le relazioni disfunzionali genitore-figlio,
caratterizzate dalla proiezione sui figli di vissuti e aspettative negativi
materne, suscitino nei bambini percezioni ed emozioni di sconforto e
solitudine che, impedendo loro di considerare l’adulto di riferimento come
fonte di sicurezza e supporto, favoriscono un aumento del loro distress
emotivo e della minaccia percepita, in condizioni di conflitto (Figge et al.,
2018). A loro volta, le valutazioni soggettive di minaccia, sollecitando
intensi vissuti di paura, preoccupazione, angoscia e impotenza, rendono i
bambini particolarmente vulnerabili ai sintomi di ansia, depressione e,
soprattutto, ai sintomi dissociativi e del disturbo post-traumatico da stress.
Possiamo, quindi, presumere i conflitti intensi e il conseguente stress
genitoriale materno che comportano valutazioni soggettive di minaccia,
insostenibile e inevitabile, a fronte delle quali i bambini si sentono
sostanzialmente soli e impotenti, assumano la connotazione di
un’esperienza traumatica vera e propria. In questi casi, il senso di minaccia,
soverchiando le capacità di difesa dei figli, favorisce l’emergere della
sintomatologia dei disturbi dissociativi e di PTSD.
I nostri risultati evidenziano inoltre come la dimensione materna dello
stress bambino difficile (DC) eserciti un effetto significativo indiretto sui
sintomi di rabbia grazie alla mediazione delle valutazioni soggettive di
autobiasimo. Possiamo ipotizzare che i bambini, oggetto di valutazioni
negative del caregiver che li percepisce esageratamente richiestivi,
provocatori, non collaborativi ed esigenti sviluppino cognizioni di
autobiasimo e di erronea responsabilità per quanto sta accadendo tra i
genitori. Le cognizioni di responsabilità tipiche dell’autobiasimo ed i
vissuti di colpa ad esse connessi possono promuovere una percezione di sé
ostile e negativa che può tradursi in conseguenti espressioni di rabbia auto
dirette. Inoltre, possiamo ipotizzare che le percezioni di autobiasimo
possano indurre i bambini ad intraprendere una serie di azioni di
mediazione/risoluzione della conflittualità genitoriale che, risultando
fallimentari, promuovono conseguenti espressioni di rabbia eterodirette.
Concludendo, i nostri risultati, sebbene sicuramente preliminari,
richiamano l’importanza che le ricerche empiriche non trascurino
l’indagine del ruolo dello stress genitoriale nell’insorgenza della
sintomatologia post-traumatica nei bambini esposti ai conflitti. Inoltre, in
termini di intervento, segnalano l’utilità di considerare come possibile
target di intervento non solo la dinamica conflittuale genitoriale ma anche
lo stress genitoriale ed i processi di elaborazione dei bambini, al fine di

152

Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151


Conflitto genitoriale, stress genitoriale e sintomi post-traumatici

tentare di meglio supportare le famiglie in crisi.

5. Limiti e prospettive di ricerca

La scarsa numerosità dei partecipanti che rende i risultati non


generalizzabili, rappresenta un primo evidente limite dello studio, in parte
superato dall’utilizzo nelle analisi di mediazione del metodo “Bias-
corrected bootstrapping”, specificatamente indicato per campioni
numericamente ridotti. Va inoltre considerato che la natura cross-sectional
del lavoro impedisce, di individuare le relazioni causali tra stress genitoriale
materno e la sintomatologia post-traumatica dei figli. La scelta di
considerare lo stress genitoriale materno un antecedente dei sintomi post-
traumatici e non viceversa, si è basata sostanzialmente sugli spunti teorici e
le evidenze empiriche della letteratura sopra citata che, da tempo,
dimostrano il ruolo dello stress genitoriale sull’adattamento psicologico dei
figli. Tuttavia, non è da escludere che possa accadere l’inverso; ovvero,
come è stato suggerito in un lavoro di Salloum, Stover, Swaidan, e Storch
(2015) le difficoltà dei genitori nel gestire la frequente irritabilità e gli scatti
d’ira che denotano i sintomi post-traumatici dei figli può decisamente
aumentare i livelli di stress genitoriale. Le ricerche future, attraverso lavori
di natura longitudinale, potranno pertanto meglio sostanziare tali risultati ed
esplorare gli effetti bidirezionali dello stress genitoriale e dei sintomi post-
traumatici. Inoltre, prendendo spunto dal lavoro di Hiller e collaboratori
(2018) che sottolineano il ruolo protettivo dei genitori ai fini dell’adozione
di strategie di coping funzionali nei figli vittime di traumi, gli studi futuri
potranno esplorare le possibili connessioni tra lo stress genitoriale, strategie
di coping e sintomi post-traumatici nei bambini esposti al conflitto. In tali
lavori sarà interessante esplorare se e in che modo livelli accentuati di stress
genitoriale favoriscano l’utilizzo di strategie di coping di evitamento e di
distrazione nei figli che sappiamo essere associati ad esiti disadattivi
poiché impediscono l’elaborazione dell’evento stressogeno/traumatico e la
modifica delle valutazioni/percezioni soggettive negative (Camisasca,
Caravita, Milani & Di Blasio, 2012, Hiller et al., 2018; Williamson et al.,
2017).

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Pervenuto marzo 2019


Accettato maggio 2019

157
Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151
Conflitto genitoriale, stress genitoriale e sintomi post-traumatici

Stress genitoriale materno e sintomatologia post-


traumatica nei bambini esposti al conflitto
genitoriale: un modello di mediazione
Elena Camisasca∗ & Paola Di Blasio•

In letteratura, sebbene siamo noti gli effetti post-traumatici della violenza domestica sui
figli, una nuova direzione di ricerca esplora il ruolo dello stress genitoriale quale potenziale
meccanismo esplicativo di tali associazioni. Prendendo a riferimento tali recenti indicazioni
ed i suggerimenti del modello Cognitivo Contestuale, il presente studio, condotto su un
gruppo normativo di 75 famiglie di bambini di età scolare, si propone di: 1) analizzare le
associazioni tra conflitto genitoriale, sintomatologia post-traumatica e stress genitoriale
materno; 2) valutare gli effetti delle specifiche dimensioni dello stress genitoriale materno
(distress genitoriale, PD; interazione disfunzionale genitore-figlio PCDI; e bambino difficile,
DC) sulla sintomatologia post-traumatica e di esplorare se le valutazioni soggettive dei
bambini di minaccia percepita e autobiasimo possano mediare gli effetti dello stress
materno sui sintomi post-traumatici. I risultati indicano che la dimensioni dello stress
genitoriale materno PCDI esercita un impatto significativo sui sintomi di ansia, depressione,
PTS e dissociativi, grazie alla mediazione della minaccia percepita; mentre la dimensione
dello stress DC favorisce i sintomi di rabbia grazie alla mediazione dell’autobiasimo.

Parole chiave: conflitto genitoriale, sintomi post-traumatici, stress genitoriale, minaccia


percepita, autobiasimo.

Maternal parenting stress and post-traumatic symptoms in children exposed to marital


conflict: A mediational model. In literature, the post-traumatic effects of domestic violence
on children are well known, while the exploration of parenting stress as an explicative
mechanism of these associations is a new direction of research. By considering this new
direction of research, and the indications of the Cognitive Contexual Framework, the
present study was carried out on 75 normative families. It was aimed to: 1) analyze the
associations between inter-parental conflict, post-traumatic symptomatology and maternal
parenting stress; 2) to evaluate the effects of the specific dimensions of maternal parenting
stress (parental distress, PD; dysfunctional parent-child interaction PCDI; and difficult
child, DC) on the children’s post-traumatic symptoms; to explore whether the subjective
appraisals of perceived threat and self-blame mediated these associations. Results showed
that predictive effects of PCDI on the symptoms of anxiety, depression, PTS and
dissociatives, through the mediation of perceived threat, and the predictive effects of DC on
anger symptoms, through the mediation of self-blame.

Key words: interparental conflict, posttraumatic symptoms, parenting stress, perceived

threat, self-blame.

141

Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. n. 2, giugno 2019, pp.


Camisasca & Di Blasio

∗ Professore Associato di Psicologia dello Sviluppo, Università degli Studi e-Campus e


componente del C.R.I.d.e.e., Università Cattolica di Milano.
• Professore Ordinario di Psicologia dello Sviluppo e Direttore del C.R.I.d.e.e., Università

Cattolica di Milano.
Indirizzare le richieste a: Elena Camisasca (elena.camisasca@uniecampus.it).

142

Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151


Conflitto genitoriale, stress genitoriale e sintomi post-traumatici

1. Introduzione

I numerosi studi sui conflitti tra i genitori hanno da tempo evidenziato


gli esiti negativi sui figli in termini di difficoltà sociali, emotive e cognitive
nonché condotte di internalizzazione ed esternalizzazione (Camisasca,
Miragoli, & Di Blasio, 2013; Camisasca, Miragoli, Di Blasio & Grych,
2017; Harold & Sellers, 2018; Warmuth, Cummings, & Davies, 2018).
All’interno di tale ambito di ricerca, l’esplorazione dei meccanismi e
processi esplicativi degli effetti del conflitto sull’adattamento dei figli ha
evidenziato il ruolo sia delle competenze genitoriali e co-genitoriali
deteriorate a causa del conflitto (Ipotesi dello spillover) sia delle cognizioni
e reazioni emotive dei bambini esposti ai litigi tra i genitori (Modello
Cognitivo-Contestuale di Grych and Fincham (1990).
Più specificatamente, l’Ipotesi dello Spillover (Cox et al., 2001; Emery,
Hetherington e Di Lalla, 1984; Erel & Burman 1995) sottolinea come i
genitori, con relazioni di coppia conflittuali, possano adottare modalità di
parenting disfunzionali, a causa di una sorta di “travaso degli affetti” dal
sottosistema coniugale a quello caregiver-bambino. Coerentemente con
tale ipotesi, è stato empiricamente dimostrato che i conflitti di coppia
predicono relazioni caregiver-bambino connotate da minor coinvolgimento
e responsività, pratiche educative disfunzionali e livelli accentuati di stress
genitoriale (Bonds & Gondoli, 2007; Camisasca, Miragoli, Caravita, & Di
Blasio, 2015; Camisasca, Miragoli, & Di Blasio, 2014; Camisasca,
Miragoli, Di Blasio & Feinberg, 2018; Colpin, De Munter, Nys, &
Vandemeulebroecke, 2000; Merrifield & Gamble, 2013).
Abidin (1995), nel definire lo stress genitoriale nei termini di
discrepanza tra le risorse che il genitore percepisce di possedere e le
esigenze imposte dal ruolo genitoriale, sottolinea la natura
multidimensionale del costrutto in termini di distress genitoriale (PD),
interazione disfunzionale genitore-figlio e bambino difficile. Il distress
genitoriale (PD) fa sostanzialmente riferimento al senso di incompetenza
genitoriale e allo stress associato alle restrizioni derivanti dal ruolo di
genitore. La dimensione interazione disfunzionale genitore-figlio (P-CDI)
riflette i sentimenti negativi connessi alle aspettative verso il figlio e la
disconferma del ruolo di genitore nella relazione col figlio, mentre la
dimensione bambino difficile (DC) indica la percezione del figlio, in
termini di temperamento difficile, comportamenti richiestivi, provocatori,
non collaborativi ed esigenti.
Alcuni contributi, coerentemente con l’idea che i livelli cronici di stress

143
Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151
Camisasca & Di Blasio
genitoriale creino un ambiente emozionale negativo e disregolato che,
attraverso una sorta di “contagio degli affetti”, impattano direttamente lo
sviluppo socioemozionale dei bambini (Anthony et al., 2005; Camisasca &
Di Blasio, 2014; Denham et al., 2000), attribuiscono allo stress genitoriale
il ruolo di mediatore degli effetti del conflitto sui comportamenti di
internalizzazione ed esternalizzazione dei figli (Camisasca, Miragoli, Di
Blasio, 2016b; Hughes and Huth-Bocks 2007; Huth-Bocks and Hughes
2008).
L’importanza delle interpretazioni e cognizioni dei bambini esposti al
conflitto, nel spiegare l’impatto del conflitto sull’adattamento psicologico
dei figli, è stata invece evidenziata nel Modello Cognitivo-Contestuale
(Grych & Fincham, 1990). Più precisamente, Grych e Fincham (1990)
spiegano come i bambini, esposti a situazioni di conflitto, non possano
evitare di cercare di comprendere quanto stia avvenendo, mettendo in atto i
processi di elaborazione primaria e secondaria. Con il processo di
elaborazione primaria, il bambino valuta la situazione conflittuale in
termini di negatività, minaccia e rilevanza per il proprio benessere e per
quello della famiglia; con il processo di elaborazione secondaria, egli cerca
di comprendere le ragioni che stanno alla base del conflitto, chi ne è il
principale responsabile e le proprie possibilità di affrontalo con successo.
Secondo gli autori, bambini che valutano il conflitto come pericoloso per il
proprio benessere e per il funzionamento della famiglia (minaccia
percepita) e che nutrono la convinzione di essere la causa del conflitto e/o
di essere responsabili della sua risoluzione (autobiasimo) sono
maggiormente a rischio di esiti disadattivi. I lavori che hanno
empiricamente validato il modello Cognitivo-Contestuale, dimostrano come
la minaccia percepita medi la relazione tra conflitto ed i comportamenti di
internalizzazione (Fosco & Feinberg, 2015) mentre l’autobiasimo medi
l’associazione tra conflitto ed i comportamenti di esternalizzazione (Fosco
& Grych, 2008; Fosco & Lydon-Staley, 2017).
In uno studio recente (Camisasca, Miragoli & Di Blasio, 2016b) è stato
inoltre rilevato come la minaccia percepita svolga un ruolo di mediazione
anche nell’associazione tra conflittualità genitoriale ed i sintomi di ansia,
depressione, PTS e dissociazione.
Il lavoro sopra citato è il primo ad aver esplorato gli esiti post-traumatici
nei figli esposti al conflitto genitoriale sebbene, da tempo, i lavori sulla
violenza domestica abbiano rilevato la sintomatologia da stress post-
traumatico nei bambini esposti a tale forma di violenza (Evans, Davies &
Di Lillo, 2008; Greene, Chan, McCarthy, K. Wakschlag & Briggs-Gowan,
2018; Holt, Buckley, & Whelan, 2008; Schechter et al., 2017; Telman et al.
2016; Yalch, Black, A., Martin, & Levendosky, 2017). E’ inoltre

144

Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151


Conflitto genitoriale, stress genitoriale e sintomi post-traumatici

interessante rilevare come nell’ambito della letteratura sulla violenza


domestica, solo due contributi abbiano evidenziato il ruolo dello stress
genitoriale nell’insorgenza della sintomatologia post-traumatica nei
bambini esposti. Più precisamente, nel lavoro di Crusto et al. (2010),
condotto su bambini di età prescolare, è stato riscontrato il ruolo di
mediazione dello stress genitoriale nell’associazione tra violenza domestica
e sintomi da stress post-traumatico nei figli; mentre nello studio di Telman
et al. (2016), realizzato su bambini di età scolare, è stata sottolineata una
associazione significativa tra stress genitoriale e sintomatologia da stress
post-traumatico.
L’esistenza dei soli due studi sopra citati apre, a nostro avviso, una
nuova direzione di ricerca circa il ruolo dello stress genitoriale quale
potenziale fattore in grado di favorire l’insorgenza della sintomatologia
post-traumatica nei bambini esposti ai conflitti tra i genitori.
Inoltre, nell’ambito di tale esplorazione, riteniamo possa essere utile
l’individuazione dei possibili fattori in grado di spiegare l’effetto dello
stress genitoriale sulla sintomatologia post-traumatica e, prendendo a
riferimento le indicazioni del Modello Cognitivo-Contestuale, la nostra
attenzione si è focalizzata sulle cognizioni di minaccia percepita ed
autobiasimo.
L’idea che lo stress genitoriale possa incidere sulle valutazioni
cognitive dei bambini, nei termini di minaccia percepita ed autobiasimo, a
loro volta associate agli esiti post-traumatici, trae spunto da un recente
studio (Figge, Martinez-Torteya, & Bogat, 2018) che sottolinea come, in
situazioni di violenza domestica, le relazioni caregiver-bambino deteriorate
risultino associate a livelli accentuati di minaccia percepita. Nel spiegare
tali risultati, gli autori, sottolineano come i bambini privati della possibilità,
a causa della presenza di relazioni disfunzionali con i genitori, di trovare il
conforto e l’aiuto necessario per regolare le intense emozioni elicitate
dall’esposizione alla violenza domestica, risultino caratterizzati da intensi
vissuti di impotenza e minaccia percepita.
Il presente lavoro, prendendo a riferimento i lavori sopra citati, si
propone di esplorare il ruolo dello stress genitoriale materno, nelle sue
specifiche componenti distress genitoriale (PD), interazione disfunzionale
genitore-figlio (PCDI) e bambino difficile (DC), nell’insorgenza della
sintomatologia post-traumatica (sintomi di ansia, depressione, rabbia, di
PTSD e dissociativi) nei bambini esposti al conflitto genitoriale. Si è deciso
di focalizzare l’attenzione sullo stress genitoriale materno dal momento
che, per i bambini partecipanti alla ricerca, la madre costituisce la figura di
riferimento principale alla quale potersi rivolgere per un aiuto e supporto in
situazioni stressogene. Inoltre, all’interno di tale esplorazione, verrà

145
Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151
Camisasca & Di Blasio
investigato il ruolo della minaccia percepita e dell’autobiasimo quali
potenziali meccanismi esplicativi delle associazione tra stress genitoriale e
sintomatologia post-traumatica.
Il presente studio presenta pertanto il duplice obiettivo di analizzare, in
un campione normativo di bambini: 1) le associazioni tra conflitto
genitoriale, sintomatologia post-traumatica e stress genitoriale materno; 2)
gli effetti delle specifiche dimensioni dello stress genitoriale materno (PD,
PCDI e DC) sulla sintomatologia post-traumatica ed il potenziale ruolo di
mediazione di minaccia percepita e autobiasimo in tali associazioni.
Relativamente al primo obiettivo, in linea con le indicazioni della
letteratura (Camisasca et al., 2016a; Schechter et al., 2017; Telman et al.
2016; Yalch, Black, A., Martin, & Levendosky, 2017), ipotizziamo (H1)
che i bambini esposti a conflitti più gravi ed intensi presentino livelli più
accentuati di sintomatologia post-traumatica (ansia, depressione, rabbia,
stress post-traumatico e dissociazione). Inoltre in linea con le con le
ricerche condotte nell’ambito dell’Ipotesi dello Spillover (Camisasca et al.,
2016b; Hughes and Huth-Bocks 2007; Huth-Bocks and Hughes 2008),
ipotizziamo (H2) che livelli più accentuati di conflitto siano associati a
livelli più accentuati di tutte le dimensioni dello stress genitoriale materno
(PD, PCDI e DC). Relativamente al secondo obiettivo, in linea con
l’emergente letteratura (Crusto et al., 2010; Figge et al., 2018; Telman et
al., 2016), ipotizziamo che lo stress materno possa favorire una
vulnerabilità all’insorgenza della sintomatologia post-traumatica, attraverso
la mediazione dei fattori minaccia percepita e autobiasimo.

2 Metodologia della ricerca

2.1 Partecipanti

Hanno partecipato allo studio 75 bambini (58% femmine), con età com-
presa tra 8 e 13 anni (M = 9.3, DS = 1.3) ed i loro genitori (età md: M =
42.5, DS = 5.4; età pd: M = 45.5, DS = 6.1). I bambini appartengono a
famiglie normocostituite, con una durata media del matrimonio pari a 14.6
anni (DS = 5.1). Lo status socio-culturale familiare, rilevato attraverso la
professione e il titolo di studio dei due genitori, indica che il 56% delle
famiglie ha uno status socio-culturale medio, il 15% alto e il 29% basso.

2.2 Procedura

I partecipanti alla ricerca sono stati reclutati presso due scuole


146

Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151


Conflitto genitoriale, stress genitoriale e sintomi post-traumatici

elementari pubbliche nella città di Milano. Le scuole sono state reperite


attraverso una procedura standard, che comprendeva un incontro
introduttivo esplicativo del progetto di ricerca con i dirigenti scolastici e le
insegnanti, e una descrizione scritta degli obiettivi e della procedura dello
studio rivolta ai genitori. Tutti i genitori, che hanno aderito alla ricerca,
hanno firmato i moduli di consenso, che descrivevano il progetto di ricerca,
il carattere volontario della partecipazione e la riservatezza dei dati raccolti.
Gli strumenti per i genitori sono stati consegnati in una busta chiusa e
anonima, con la richiesta che venissero compilati presso il proprio
domicilio. La somministrazione degli strumenti ai bambini è invece
avvenuta a scuola, in un luogo che potesse garantire tranquillità e
riservatezza.

2.3 Strumenti

Conflitto genitoriale: è stato valutato attraverso l’utilizzo di strumenti


self-report somministrati ai bambini e a entrambi i genitori. I bambini han-
no compilato il Children’s Perception of Interparental Conflict Scale
(CPIC; Grych, Seid, & Fincham, 1992), che valuta la frequenza, l’intensità
e la risoluzione dei conflitti genitoriali, attraverso il fattore Proprietà del
conflitto (α = .82). I genitori hanno compilato la scala Aggressione psicolo-
gica (md: α = .74; pd: α = .73) della Revised Conflict Tactic Scale (RCTS;
Straus, Hamby, Boney-McCoy, & Sugarman, 1996), un questionario che
valuta il livello di conflitto tra due partner. Al fine di ottenere un punteggio
unico e riassuntivo delle prospettive dei tre membri della famiglia (genitori
e bambino), seguendo le indicazioni di Fosco e Grych (2008), è stato
costruito un indice di Conflitto genitoriale. Tale variabile è stata costruita
calcolando la media dei punteggi standardizzati delle variabili ottenute,
attraverso la somministrazione ai bambini del CPIC e dei genitori della
RTCS.
Stress genitoriale materno: il livello di stress materno misurato con il
Parenting Stress Index Short Form (PSI-SF, Abidin, 1995; Guarino et al.,
2008), è un questionario self-report di 36 item con risposte su scala Likert a
5 punti (da 1 = fortemente in disaccordo a 5 = fortemente d’accordo)
composto da tre sottoscale (Distress genitoriale, Interazione disfunzionale
genitore-figlio e Bambino Difficile). La scala Distress genitoriale (PD)
misura il senso di incompetenza nell’allevamento del figlio, il conflitto col
partner, la mancanza di supporto sociale e lo stress associato alle restrizioni
derivanti dal ruolo di genitore. La scala Interazione disfunzionale genitore-
figlio (P-CDI) riflette i sentimenti negativi connessi alle aspettative verso il
figlio e la conferma o meno del ruolo di genitore nella relazione col figlio.
147
Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151
Camisasca & Di Blasio
La scala Bambino difficile (DC) indica la percezione del figlio, in termini di
temperamento, comportamenti richiestivi o provocatori non collaborativi ed
esigenti. La somma dei punteggi alle tre sottoscale (PD + PCDI +DC)
permette di ottenere il valore dello Stress Totale indicativo del livello di
stress genitoriale, non derivante da altri ruoli o altri eventi.
Minaccia percepita e autobiasimo: sono state valutate attraverso la
somministrazione ai bambini del Children’s Perception of Interparental
Conflict scale (CPIC; Grych et al., 1992). Nello specifico, la scala Minac-
cia percepita (α = .72) misura il livello secondo il quale i bambini percepi-
scono il conflitto come pericoloso per il proprio benessere e per la famiglia.
La scala Autobiasimo (α = .73) misura la convinzione dei bambini di essere
la causa del conflitto o di essere responsabili della sua risoluzione.
Sintomi post-traumatici: sono stati valutati attraverso la somministra-
zione della versione ridotta del questionario self-report Trauma Symptom
Checklist for Children (TSCC-A; Briere, 1996; validazione italiana di Di
Blasio, Piccolo, & Traficante, 2011). Sono state prese in considerazioni le
seguenti scale: Ansia (α = .72), che fa riferimento a preoccupazioni e ansia
generalizzata; Depressione (α = .78), che comprende sentimenti di tristezza,
vissuti di colpa, ecc.; Rabbia (α = .80), che implica vissuti di ostilità e odio;
Stress post-traumatico (PTS; α = .78), che include i classici sintomi del
disturbo da stress post-traumatico; Dissociazione (α = .70) che fa
riferimento a derealizzazione, intorpidimento emotivo, ecc.

2.4 Strategie di analisi dei dati

In primo luogo, sono state condotte delle correlazioni per esplorare le


associazioni tra le variabili e delle analisi di mediazione attraverso il
metodo di ricampionamento bias-corrected bootstrapping (Preacher &
Hayes, 2008), particolarmente adatto per campioni poco numerosi.

3. Risultati

3.1 Analisi correlazionali

Le analisi (tabella 1) indicano che il predittore conflitto correla


positivamente con tutti i sintomi post-traumatici considerati: ansia (r =
.38), depressione (r = .35), rabbia (r = .29), PTS (r = .30) e dissociazione
(r = .39); con le dimensioni dello stress genitoriale materno, distress
genitoriale (PD; r = .25), relazione disfunzionale genitore figlio (PCDI; r
= .38) e bambino difficile (DC; r = .26); e con le valutazioni soggettive di
148

Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151


Conflitto genitoriale, stress genitoriale e sintomi post-traumatici

minaccia percepita (r = .44) e autobiasimo (r = .46). I dati correlazionali


indicano inoltre che la dimensione distress genitoriale (PD) non correla con
i sintomi post-traumatici analizzati, la dimensione relazione disfunzionale
genitore figlio (PCDI) correla con tutti i sintomi analizzati ad eccezione
della rabbia (r da .25 a .34) mentre la dimensione bambino difficile (DC)
correla con i sintomi di rabbia (r = .27). Inoltre, le dimensioni relazione
disfunzionale (PCDI) e bambino difficile (DC) correlano positivamente con
la minaccia percepita e l’autobiasimo (r da .24 a .37), mentre la dimensione
distress genitoriale correla solo con la minaccia percepita (r = .25). Infine
minaccia percepita e autobiasimo correlano positivamente con tutti i
sintomi considerati (r da .29 a .57). Dal momento che la dimensione
distress genitoriale non risulta significativamente associata alla
sintomatologia post-traumatica e alle valutazioni soggettive di minaccia
percepita e autobiasimo, non verrà considerata nel modello di mediazione
(Tabella 1).

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
1. Conflitto 1
2. Distress .253* 1
genitoriale (PD)
3. Interazione .392** .398** 1
disfunzionale
genitore-figlio
(PCDI)
4. Bambino Difficile .247* .153 .629** 1
(DC)
5. Minaccia percepita .441** .249* .373** .269* 1
**
6. Autobiasimo .466 .003 .239 .339** .420** 1
7. Ansia .389** .088 .274* .186 .577** .355** 1
8. Depressione .354** .012 .255* .215 .548** .333** .662** 1
* * * ** ** **
9, Rabbia .295 .056 .126 .270 .310 .435 .492 .329 1
10. PTS .308* -.041 .268* .228 .427** .291* .564** .568** .358** 1
11. Dissociazione .396** .056 .340** .261* .417** .383** .683** .574** .420** .548** 1

3.2 Analisi di mediazione

Le analisi di mediazione con il metodo bias-corrected bootstrapping


(Preacher & Hayes, 2008) indicano che la dimensione dello stress relazione
disfunzionale genitore figlio (PCDI) unitamente alla minaccia percepita
svolgono un ruolo significativo per la quasi totalità dei sintomi considerati
(ansia, depressione, PTS, dissociazione) mentre la dimensione dello stress
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Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151
Camisasca & Di Blasio
bambino difficile unitamente all’autobiasimo svolgono un ruolo
significativo sui sintomi di rabbia (Figure 1 & 2). In particolare, le analisi
indicano che l’effetto della dimensione interazione disfunzionale genitore-
figlio sul mediatore minaccia percepita (a path; coeff = .26; p <.01) è
significativo; l’effetto totale (c path) della di tale dimensione dello stress
sulle variabili dipendenti ansia (coeff. = .20; p <.05), depressione (coeff. =
.21; p <.05) PTS (coeff. = .28 <.05), e dissociazione (coeff. = .19 <.05), è
significativo, mentre l’effetto diretto (c’ path) non risulta significativo.
Inoltre, la minaccia percepita media degli effetti della dimensione relazione
disfunzionale genitore figlio (PCDI) sui sintomi di: ansia (R2 = .07; F =
5.9; p < .05; β = .12; Bootstrap 95%, CI = .04; .24); depressione (R2 = .06;
F = 4.3; p < .05; β = 12.7; Bootstrap 95%, CI = .03; .29), PTS (R2 =
.07; F = 4.8; p < .05; β = . 10; Bootstrap 95%; CI = .00; .26) e
dissociazione (R2 = .11; F = 8.2; p < .01; β = .11; Bootstrap 95%; CI = .02;
.20).

Figura 1: il ruolo di mediazione della minaccia percepita

L’effetto predittivo della dimensione dello stress bambino difficile risulta


significativo sul mediatore autobiasimo (a path; coeff. = .09; p <.05);
l’effetto totale (c path) della di tale dimensione risulta significativo sulla
variabile dipendente rabbia (coeff. = .07; p <.05), mentre l’effetto diretto
(c’ path) non è significativo L’autobiasimo, inoltre, media invece l’effetto
della dimensione dello stress bambino difficile (DC) sui sintomi di rabbia
(R2 = .07; F = 4.9; p < .05; β = .06; Bootstrap 95%; CI = .00; .17).

Figura 2: il ruolo di mediazione dell’autobiasimo

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Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151


Conflitto genitoriale, stress genitoriale e sintomi post-traumatici

4. Discussione

Il presente studio si è proposto il duplice obiettivo di indagare le


associazioni tra conflitto genitoriale, sintomatologia post-traumatica e stress
genitoriale materno e di comprendere se la minaccia percepita e
l’autobiasmo possano svolgere un ruolo esplicativo nella relazione tra stress
genitoriale materno e sintomatologia post-traumatica dei figli. Un primo
dato rilevante, in linea con le aspettative (H1 e H2) indica che i conflitti più
gravi e intensi incidono sostanzialmente su tutti i sintomi considerati e sulle
dimensioni dello stress genitoriale materno (PD, PCDI e DC). Questo
risultato è in linea con la letteratura che rileva il potenziale effetto post-
traumatico dei conflitti intensi, anche se non violenti (Camisasca et al.,
2016a), e l’effetto spillover ovvero del travaso degli affetti negativi dalla
relazione di coppia alla relazione caregiver-bambino (Camisasca et al.,
2016b; Camisasca, Miragoli & Di Blasio, 2019; Hughes and Huth-Bocks
2007; Huth-Bocks and Hughes 2008; Miano & Astorino, 2017).
E’ pertanto possibile sostenere che il clima emozionale negativo
generato dal conflitto coniugale si trasferisca nella relazione caregiver-
bambino attraverso: un aumento dei vissuti e delle percezione negative
materne di incompetenza e di isolamento (PD), attraverso sentimenti
negativi inerenti la relazione col figlio (PCDI) e attraverso le percezioni
negative del figlio in termini di temperamento difficile, comportamenti
richiestivi, provocatori ed esigenti (DC). Un secondo dato centrale riguarda
i possibili effetti dello stress genitoriale materno sulla sintomatologia post-
traumatica dei figli attraverso la mediazione delle valutazioni soggettive
della minaccia percepita e autobiasimo. I risultati evidenziano come le
dimensioni dello stress materno PCDI e DC incidano sulla sintomatologia
post-traumatica dei figli, attraverso la mediazione delle variabili
considerate. In particolare, mentre la PCDI esercita un impatto significativo
sui sintomi di ansia, depressione, PTS e dissociativi, grazie alla mediazione
della minaccia percepita, la dimensione DC favorisce i sintomi di rabbia
151
Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151
Camisasca & Di Blasio
grazie alla mediazione dell’autobiasimo.
Relativamente all’impatto della dimensione PCDI sulla sintomatologia
post-traumatica, attraverso la mediazione della minaccia percepita,
possiamo ipotizzare che, le relazioni disfunzionali genitore-figlio,
caratterizzate dalla proiezione sui figli di vissuti e aspettative negativi
materne, suscitino nei bambini percezioni ed emozioni di sconforto e
solitudine che, impedendo loro di considerare l’adulto di riferimento come
fonte di sicurezza e supporto, favoriscono un aumento del loro distress
emotivo e della minaccia percepita, in condizioni di conflitto (Figge et al.,
2018). A loro volta, le valutazioni soggettive di minaccia, sollecitando
intensi vissuti di paura, preoccupazione, angoscia e impotenza, rendono i
bambini particolarmente vulnerabili ai sintomi di ansia, depressione e,
soprattutto, ai sintomi dissociativi e del disturbo post-traumatico da stress.
Possiamo, quindi, presumere i conflitti intensi e il conseguente stress
genitoriale materno che comportano valutazioni soggettive di minaccia,
insostenibile e inevitabile, a fronte delle quali i bambini si sentono
sostanzialmente soli e impotenti, assumano la connotazione di
un’esperienza traumatica vera e propria. In questi casi, il senso di minaccia,
soverchiando le capacità di difesa dei figli, favorisce l’emergere della
sintomatologia dei disturbi dissociativi e di PTSD.
I nostri risultati evidenziano inoltre come la dimensione materna dello
stress bambino difficile (DC) eserciti un effetto significativo indiretto sui
sintomi di rabbia grazie alla mediazione delle valutazioni soggettive di
autobiasimo. Possiamo ipotizzare che i bambini, oggetto di valutazioni
negative del caregiver che li percepisce esageratamente richiestivi,
provocatori, non collaborativi ed esigenti sviluppino cognizioni di
autobiasimo e di erronea responsabilità per quanto sta accadendo tra i
genitori. Le cognizioni di responsabilità tipiche dell’autobiasimo ed i
vissuti di colpa ad esse connessi possono promuovere una percezione di sé
ostile e negativa che può tradursi in conseguenti espressioni di rabbia auto
dirette. Inoltre, possiamo ipotizzare che le percezioni di autobiasimo
possano indurre i bambini ad intraprendere una serie di azioni di
mediazione/risoluzione della conflittualità genitoriale che, risultando
fallimentari, promuovono conseguenti espressioni di rabbia eterodirette.
Concludendo, i nostri risultati, sebbene sicuramente preliminari,
richiamano l’importanza che le ricerche empiriche non trascurino
l’indagine del ruolo dello stress genitoriale nell’insorgenza della
sintomatologia post-traumatica nei bambini esposti ai conflitti. Inoltre, in
termini di intervento, segnalano l’utilità di considerare come possibile
target di intervento non solo la dinamica conflittuale genitoriale ma anche
lo stress genitoriale ed i processi di elaborazione dei bambini, al fine di

152

Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151


Conflitto genitoriale, stress genitoriale e sintomi post-traumatici

tentare di meglio supportare le famiglie in crisi.

5. Limiti e prospettive di ricerca

La scarsa numerosità dei partecipanti che rende i risultati non


generalizzabili, rappresenta un primo evidente limite dello studio, in parte
superato dall’utilizzo nelle analisi di mediazione del metodo “Bias-
corrected bootstrapping”, specificatamente indicato per campioni
numericamente ridotti. Va inoltre considerato che la natura cross-sectional
del lavoro impedisce, di individuare le relazioni causali tra stress genitoriale
materno e la sintomatologia post-traumatica dei figli. La scelta di
considerare lo stress genitoriale materno un antecedente dei sintomi post-
traumatici e non viceversa, si è basata sostanzialmente sugli spunti teorici e
le evidenze empiriche della letteratura sopra citata che, da tempo,
dimostrano il ruolo dello stress genitoriale sull’adattamento psicologico dei
figli. Tuttavia, non è da escludere che possa accadere l’inverso; ovvero,
come è stato suggerito in un lavoro di Salloum, Stover, Swaidan, e Storch
(2015) le difficoltà dei genitori nel gestire la frequente irritabilità e gli scatti
d’ira che denotano i sintomi post-traumatici dei figli può decisamente
aumentare i livelli di stress genitoriale. Le ricerche future, attraverso lavori
di natura longitudinale, potranno pertanto meglio sostanziare tali risultati ed
esplorare gli effetti bidirezionali dello stress genitoriale e dei sintomi post-
traumatici. Inoltre, prendendo spunto dal lavoro di Hiller e collaboratori
(2018) che sottolineano il ruolo protettivo dei genitori ai fini dell’adozione
di strategie di coping funzionali nei figli vittime di traumi, gli studi futuri
potranno esplorare le possibili connessioni tra lo stress genitoriale, strategie
di coping e sintomi post-traumatici nei bambini esposti al conflitto. In tali
lavori sarà interessante esplorare se e in che modo livelli accentuati di stress
genitoriale favoriscano l’utilizzo di strategie di coping di evitamento e di
distrazione nei figli che sappiamo essere associati ad esiti disadattivi
poiché impediscono l’elaborazione dell’evento stressogeno/traumatico e la
modifica delle valutazioni/percezioni soggettive negative (Camisasca,
Caravita, Milani & Di Blasio, 2012, Hiller et al., 2018; Williamson et al.,
2017).

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Pervenuto marzo 2019


Accettato maggio 2019

157
Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol. 18, n. 2, giugno 2016, pp. 141-151
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 53
Titolo: PROVA DI APPRENDIMENTO E DI AUTOVERIFICA
Attività N°: 01

Prova di apprendimento
su e-portfolio
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 53
Titolo: PROVA DI APPRENDIMENTO E DI AUTOVERIFICA
Attività N°: 01

• Descriva gli eventi che possono comportare l’insorgenza del PTSD

• Descriva le differenze nella diagnosi di PTSD tra il DSMIV e DSM-5

• Confronti le caratteristiche del lutto traumatico con quelle di PTSD

• Descriva il disturbo post-traumatico complesso.


Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 53/S2
Titolo: PROVA DI APPRENDIMENTO E DI AUTOVERIFICA
Attività N°: 01

Prova di apprendimento
su e-portfolio
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 53/S2
Titolo: PROVA DI APPRENDIMENTO E DI AUTOVERIFICA
Attività N°: 01

• In merito ai due articoli letti:

• Descriva le somiglianze e differenze negli obiettivi, partecipanti e procedure di analisi

• Quali sono i risultati principali dei 2 articoli?

• Quale tra i 2 articoli ha trovato più interessante? Motivi per esteso le sue ragioni
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 54
Titolo: DISTURBI DIROMPENTI DEL CONTROLLO DEGLI IMPULSI
Attività N°: 01

I DISTURBI DIROMPENTI DEL CONTROLLO DEGLI


IMPULSI E DELLA CONDOTTA

In questa e nelle successive due lezioni tratteremo di disturbi definiti “esternalizzanti”,


ovvero caratterizzati da disturbi “esterni”, nel comportamento (mentre i disturbi
“internalizzanti” sono quelli caratterizzati da disturbi più “soggettivi”, emotivi, come i
disturbi d’ansia, dell’umore e somatoformi). Si suggerisce di integrare il contenuto delle
slide, prendendo a riferimento il volume di Di Pentima, Percorsi di sviluppo normale e
patologico.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 54
Titolo: DISTURBI DIROMPENTI DEL CONTROLLO DEGLI IMPULSI
Attività N°: 01

Le indicazioni del DSM-5

Nel DSM-5, nel neo introdotto capitolo dal titolo: Disturbi da Comportamento
Dirompente, troviamo patologie che prima erano incluse nel capitolo delle patologie
osservate per la prima volta nella infanzia ed adolescenza e i d. della sfera degli impulsi
NAS.

Nel DSM-5, i Disturbi da Comportamento Dirompente comprendono:


- Disturbo Oppositivo-Provocatorio (che approfondiremo nelle slide)
- Disturbo Esplosivo intermittente
- Disturbo della Condotta (che approfondiremo nelle slide)
- Disturbo di Personalità Antisociale
- Disturbo da Comportamento Dirompente non altrimenti specificato
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 54
Titolo: DISTURBI DIROMPENTI DEL CONTROLLO DEGLI IMPULSI
Attività N°: 01

DISTURBO OPPOSITIVO PROVOCATORIO


E’ bene ricordare che nel corso della prima infanzia il comportamento ostile e
negativistico è del tutto normale.

Esso è espressione della volontà del bambino di diventare autonomo e di porre


fine al rapporto simbiotico che lo ha legato alla mamma fin dalla nascita.

Questa forma di comportamento oppositivo raggiunge il suo apice intorno ai


18-24 mesi, età in cui il piccolo, avendo raggiunto una buona padronanza della
deambulazione, ha la curiosità di scoprire come sono fatte le cose.

Terminata questa fase, il bambino acquisisce una forma di autoregolazione che gli
permetterà di instaurare rapporti meno conflittuali.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 54
Titolo: DISTURBI DIROMPENTI DEL CONTROLLO DEGLI IMPULSI
Attività N°: 01

Quando si parla di disturbo oppositivo provocatorio?

Si può parlare di disturbo oppositivo-provocatorio quando il comportamento ostile, anziché


svanire lentamente, persiste nel tempo ed in forme accentuate, tanto da creare serie
difficoltà relazionali, dapprima nell’ambiente familiare, poi in quello sociale.
Rispetto ai bambini della stessa età, questi soggetti presentano un’aggressività molto più
invalidante e difficilmente modificabile. Sono arrabbiati, risentiti, insofferenti, non
accettano l’autorità degli adulti e vi si ribellano apertamente. Lottano continuamente con i
genitori, non si conformano alle loro regole e non rispettano gli orari. La loro aggressività
non è esclusivamente reattiva, ma amano provocare, sfidare gli altri, disturbare
volontariamente, senza mostrare tuttavia alcun tipo di violenza. Questi bambini
inoltre, non si giudicano responsabili dei loro errori e ne attribuiscono le colpe ad altri e
quindi, non hanno consapevolezza del loro problema.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 54
Titolo: DISTURBI DIROMPENTI DEL CONTROLLO DEGLI IMPULSI
Attività N°: 01

Se le prime manifestazioni del disturbo si manifestano già intorno ai 3-4 anni, sarà
soltanto con l’ingresso a scuola che il problema diverrà sempre più evidente. Questi
bambini, infatti, mostrano una totale incapacità di adattamento alle regole scolastiche e la
loro oppositività finisce con il condizionare l’attività didattica dell’intera classe.
Nel contesto ludico si mostrano poco inclini alla collaborazione di squadra e all’alternanza
dei turni perché, volendo sempre stare al centro dell’attenzione, finiscono con
l’intromettersi negli spazi d’azione dei compagni, impedendone la partecipazione ai giochi
comuni. Nelle altre attività invece, cercano sempre di comandare e imporre la loro volontà
ad ogni costo, arrivando ad aggredire con insulti e minacce chi non si mostra concorde
con le loro idee. Il conseguente rifiuto da parte dei coetanei non farà altro che aggravare
ancora di più la loro condizione.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 54/S1
Titolo: DISTURBI DIROMPENTI DEL CONTROLLO DEGLI IMPULSI
Attività N°: 01

IL DISTURBO OPPOSITIVO PROVOCATORIO

Il disturbo oppositivo-provocatorio è una patologia dell’età evolutiva caratterizzata da una


modalità ricorrente di comportamento negativistico, ostile e di sfida, che però
non arriva a violare le norme sociali né i diritti altrui. Le varie edizioni del
Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, che si sono succedute in questi
ultimi decenni, definiscono il disturbo in modo simile, ma presentano delle differenze nei
criteri diagnostici.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 54/S1
Titolo: DISTURBI DIROMPENTI DEL CONTROLLO DEGLI IMPULSI
Attività N°: 01

IL DISTURBO OPPOSITIVO-PROVOCATORIO

I criteri diagnostici del DSM-IV-TR per il Disturbo Oppositivo-Provocatorio includono:

A) Una modalità di comportamento negativistico, ostile e provocatorio che dura da


almeno 6 mesi, che preveda almeno 4 dei seguenti atteggiamenti:

1) Spesso va in collera
2) Spesso litiga con gli adulti
3) Spesso sfida attivamente o si rifiuta di rispettare le regole degli adulti
4) Spesso irrita deliberatamente le persone
5) Spesso accusa gli altri per i propri errori o per il proprio comportamento
6) È spesso suscettibile o facilmente irritato dagli altri
7) È spesso arrabbiato e rancoroso
8) È spesso dispettoso e vendicativo
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 54/S1
Titolo: DISTURBI DIROMPENTI DEL CONTROLLO DEGLI IMPULSI
Attività N°: 01

I criteri sono soddisfatti solo da comportamenti pervasivi e più intensi di quelli attesi per
l’età

B) l’anomalia del comportamento causa compromissioni clinicamente significative del


funzionamento sociale, scolastico o lavorativo.

C) I comportamenti non si manifestano esclusivamente durante il decorso di un


Disturbo psicotico o dell’umore

D) Non sono soddisfatti i criteri per il disturbo della condotta e, se il soggetto ha più di
18 anni, non sono soddisfatti i criteri del Disturbo Antisociale di personalità.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 54/S1
Titolo: DISTURBI DIROMPENTI DEL CONTROLLO DEGLI IMPULSI
Attività N°: 01

Le novità del DSM-5

Nel DSM-5, rispetto al DSM-IV

1. I sintomi sono ora raggruppati in tre tipologie: umore rabbioso e irritabile;


comportamento polemico/sfidante; condotte vendicative.
Questo cambiamento evidenzia come il disturbo rifletta una sintomatologia emotiva e
comportamentale.

2. E’ stato eliminato il criterio D: Non sono soddisfatti i criteri per il Disturbo della
Condotta

3. E’ stata inserita una nota sulla frequenza dei sintomi


4. E’ stato inserito il criterio sulla severità dei sintomi
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 54/S1
Titolo: DISTURBI DIROMPENTI DEL CONTROLLO DEGLI IMPULSI
Attività N°: 01

DSM 5 (APA, 2013)


Pattern persistente di umore arrabbiato/irritabile, comportamenti polemici, sfidanti o
vendicativi che persistono almeno per 6 mesi, periodo nel quale sono presenti almeno 4
sintomi sotto elencati che sono stati osservati durante l’interazione con almeno un individuo
che non è un fratello.

Arrabbiato/Umore irritabile
• 1.Spesso si arrabbia
• 2.Spesso è suscettibile o facilmente irritato dagli altri
• 3.Spesso è arrabbiato e rancoroso

Polemico/condotte di sfida
• 4.. Spesso litiga con le persone che rivestono ruoli di autorità o con gli adulti
• 5.. Spesso sfida attivamente o rifiuta di rispettare la/le richieste o le regole degli adulti
• 6.. Spesso irrita deliberatamente gli altri
• 7. .Spesso accusa gli altri per i suoi errori o il proprio cattivo comportamento

Condotte vendicative
• 8.E’ stato vendicativo o dispettoso almeno due volte negli ultimi 6 mesi.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 54/S1
Titolo: DISTURBI DIROMPENTI DEL CONTROLLO DEGLI IMPULSI
Attività N°: 01

Nel DSM-5 è stata proposta anche una categorizzazione del DOP, valutando l’intensità
dell’espressività sintomatologica.

I criteri proposti sono i seguenti:

0 -Assente: Mostra meno di due sintomi

1 -Sottosoglia: Mostra almeno due sintomi ma meno di 4 sintomi e i sintomi non


causano un funzionamento deficitario significativo.

2 –Lieve: Mostra almeno 4 sintomi ma i sintomi sono presenti esclusivamente


in un contesto (ad esempio a casa, a scuola, a lavoro, con i coetanei)

3 -Moderato: Mostra almeno 4 sintomi e alcuni sintomi sono presenti in almeno


due contesti.

4 -Grave: Mostra almeno 4 sintomi e alcuni sintomi sono presenti in 3 o più contesti
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 54/S2
Titolo: DISTURBI DIROMPENTI DEL CONTROLLO DEGLI IMPULSI
Attività N°: 01

Epidemiologia e decorso

La prevalenza del disturbo oscilla tra il 2% e il 16%. E’ osservato più frequentemente nei
maschi e in particolare tra coloro che in età prescolare hanno manifestato temperamenti
problematici con alta reattività e difficoltà a essere tranquillizzati oppure
iperattività motoria. Vengono frequentemente osservati una scarsa autostima,
labilità dell’umore e scarsa tolleranza alla frustrazione.

DECORSO

I primi sintomi del disturbo fanno la loro comparsa intorno a 4 anni, presentano una
traiettoria crescente fino a 8 anni, per poi rimanere stabili. L’esordio si colloca normalmente
intorno agli 8 anni ed è prevalente nei maschi. In un numero significativo di casi questo
disturbo precede il disturbo della condotta.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 54/S2
Titolo: DISTURBI DIROMPENTI DEL CONTROLLO DEGLI IMPULSI
Attività N°: 01

Fattori di rischio
TEMPERAMENTO:
Caratteristiche temperamentali negative dei bambini piccoli (difficoltà nel sonno, difficoltà ad
adattarsi alle situazioni nuove, emozioni e sentimenti negativi) sono legate a successive
difficoltà di comportamento.
FATTORI GENITORIALI E FAMILIARI:
L’accudimento del bambino è turbato da un susseguirsi di diverse persone o i genitori usano
pratiche educative rigide, coercitive o incoerenti e distratte. Sembra inoltre che un
disturbo depressivo della madre possa favorire lo sviluppo di un quadro clinico di questo
genere. In particolare, i bambini oppositivi tendono ad avere madri ipercontrollanti, intrusive
aggressive o depresse e padri distanti, passivi e non comunicativi. Questi genitori dunque
tendono a manifestare meno comportamenti positivi nei confronti dei figli e sono
più propensi a minacciare, criticare, infastidire, e umiliare i loro figli. Hanno una
minore propensione a monitorare i comportamenti dei figli e non danno loro tempo a
sufficienza per aderire alle loro consegne. I comportamenti oppositivi sono poi spesso
associati a conflitti coniugali e cogenitorialità disfunzionale. Situazioni ambientali e
famigliari connotate da disorganizzazione, inadeguatezza e confusione. I nuclei sono spesso
svantaggiati sul piano socio-economico e culturale, caratterizzati da sovra-affollamento,
genitori affetti da psicopatologia, da disturbi antisociali, utilizzo di sostanze.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 54/S2
Titolo: DISTURBI DIROMPENTI DEL CONTROLLO DEGLI IMPULSI
Attività N°: 01

L’ipotesi del Processo Coercitivo di Patterson


Patterson (1982) parla di “processo coercitivo” per descrivere un pattern di comportamento in cui i
bambini riescono a rendersi conto di poter realizzare i propri desideri o di evitare censure, grazie a
una progressiva escalation dei loro comportamenti negativi fino a che i genitori non capitolano.

Il genitore dà una istruzione /comando



Il bambino percepisce il comando come avversivo/indesiderabile e reagisce con la
disobbedienza

Il genitore:
1. Revoca il comando e ciò rinforza la disobbedienza del bambino o
2. Cerca malamente di far ragionare e di persuadere il bambino ma NON CI RIESCE
 Il genitore diventa quindi frustrato e comincia a urlare, minacciare o punire
fisicamente
1. Il bambino dopo un po’ obbedisce: il comportamento aversivo/aggressivo del genitore è rinforzato e
aumenta in lui la percezione che questo sia “l’unico modo per gestire il bambino”. Il bambino è pieno di
risentimento e meno propenso a spingere il genitore a reazioni aggressive
2. Il surplus di rabbia e di punizioni continua a risultare inefficace. Il bambino si rende conto del potere
che ha di sfidare il genitore persino di fronte a gravi minacce. La percezione di tale potere è rinforzante
per il bambino.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 54/S2
Titolo: DISTURBI DIROMPENTI DEL CONTROLLO DEGLI IMPULSI
Attività N°: 01

I 3 concetti fondamentali del Modello di Patterson, 1992

1. Il bambino sperimenta con prevedibilità la corrispondenza trai suoi comportortamenti


negativistici e le risposte minacciose del caregiver. Ogni ordine si traduce in
oppositività del bambino che produce reazioni di collera nel genitore con una
escalation sempre più intensa. Tutto ciò fornisce al bambino una capacità di
previsione sul suo ambiente di vita

2. Poiché spesso il genitore desiste dalle sue richieste, il bambino sperimenta un


senso di controllo sul comportamento del genitore e ciò rappresenta un incentivo nel
mantenere la condotta oppositiva

3. Gli eventuali comport. adeguati del bambino vengono ignorati dal genitore che
fornisce un rinforzo differenziale solo per gli atti aggressivi. La condotta oppositiva
deviante viene selezionata e mantenuta in quanto è l’unica che permette di prevedere
e controllare l’ambiente di vita.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 54/S2
Titolo: DISTURBI DIROMPENTI DEL CONTROLLO DEGLI IMPULSI
Attività N°: 01

Aggressività come richiesta di attenzione e di cura

Le prepotenze e le ostilità tipiche del disturbo possono venire interpretate come degli
strumenti per mezzo dei quali i bambini comunicano la loro sofferenza

QUATTR O SCOPI DEL BAM BI NO "OPPOSI TI VO" :

1. R ichiam are su di sè l'attenzione


2. Lottare per la suprem azia e il potere (desiderio di prim eggiare sem pre,
senza tener conto dei lim iti; incapacità di tollerare le frustrazioni e di
adeguarsi alla realtà )
3. Vendicarsi di "ingiustizie" subite (reali o presunte ) sul piano affettivo
4. Cam uffare il senso di im potenza, inferiorità e la scarsa autostim a.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 54/S2
Titolo: DISTURBI DIROMPENTI DEL CONTROLLO DEGLI IMPULSI
Attività N°: 01

Gli atteggiamenti dei genitori


I genitori di bambini con problemi comportamentali tendono a credere che la causa (e di
conseguenza la soluzione) delle difficoltà del figlio riguardi il bambino e non il genitore o
l’interazione tra l'uno e l'altro.

Le attribuzioni genitoriali, infatti, tendono a focalizzarsi su caratteristiche stabili e


disposizionali del bambino, come spiegazione primaria delle sue difficoltà. Le madri
potrebbero pensare, per esempio, (a) che i loro bambini siano responsabili dei loro
comportamenti; (b) che il bambino intenzionalmente si comporti male manifestando
rabbia o ripicche/dispetti nei confronti dei genitori e (c) che i problemi del bambino siano
relativamente non modificabili o incontrollabili.
In altre parole, i genitori dei bambini con tali problemi potrebbero non accettare
facilmente la premessa che le loro pratiche genitoriali abbiano giocato un ruolo
importante nello sviluppo dei problemi o che possano essere usate per modificare
l’attuale situazione. Inoltre, alcuni genitori non si sentono competenti o capaci di
fronteggiare il comportamento del bambino e sperano che il terapeuta si assuma
la piena responsabilità di aiutare il figlio.

In altri casi, alcuni genitori ritengono che i problemi del bambino siano totalmente causati da
loro, perché non sono bravi genitori.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 54/S3
Titolo: DISTURBI DIROMPENTI DEL CONTROLLO DEGLI IMPULSI
Attività N°: 01

Esercitazione sul FORUM:


IL CASO DI ANNA
Legga il caso di seguito descritto e risponda sul forum
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 54/S3
Titolo: DISTURBI DIROMPENTI DEL CONTROLLO DEGLI IMPULSI
Attività N°: 01

Si presentano puntali all’appuntamento Marisa (38 anni), insegnante di matematica e


Lorenzo (38 anni) programmatore. Sono genitori di Anna (3 anni). Sono due giovani di
bell’aspetto e gentili nei modi.
Su mia richiesta, Marisa specifica di essere “esausta”, “sotto pressione” e preoccupata a
causa della figlia Anna che definisce letteralmente “ingestibile” e iperattiva. Mi fa vedere
due foto e noto una bellissima bambina dagli occhi azzurri e con i boccoli biondi
(“apparentemente un angioletto”). Mi racconta che trova veramente difficile entrare in
contatto con la bambina che, per ogni cosa e dal mattino alla sera, dice NO!.
Mi racconta la sua giornata tipo: alle 7 del mattino, la signora -armata di santa pazienza e
di buon umore – si avvicina al lettino della bambina augurandole una buona giornata e, a
tale saluto, la bambina risponde subito: “no, è una brutta giornata”; quando propone alla
figlia di alzare le tapparelle per vedere il sole, si sente dire nuovamente No; alla proposta
di andare in bagno per fare pipì, la bambina si oppone; alla colazione propone yogurt o
latte e la bambina sceglie una terza cosa; non vuole farsi vestire; per lavarsi è una lotta;
per ogni cosa è una lotta! Tutto questo succede sia con la madre sia col padre ma non
alla scuola materna e meno coi nonni. Mi racconta che da sempre Anna è stata una
bambina difficile. Dalla prima settima di vita fino a 3 mesi e mezzo, la bimba piangeva
dalle 6 di sera alle 6 del mattino ininterrottamente.
A questo si aggiungeva la fatica di non riuscire ad allattare, aveva infatti il seno dolente a
causa delle ragadi e faticava a trovare un latte artificiale che andasse bene per la piccola
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 54/S3
Titolo: DISTURBI DIROMPENTI DEL CONTROLLO DEGLI IMPULSI
Attività N°: 01

Le cose sono andate meglio dai 3 mesi e mezzo fino ai 5 mesi e mezzo perché la bambina
dormiva durante la notte. Con l’inizio della dentizione, verso i 6 mesi di vita, la bambina si
svegliava ogni giorno alle 4 del mattino e, a quel punto, la signora doveva giocare con lei
fino alle 6 del mattino. Lo svezzamento non ha comportato problemi dal punto di vista
alimentare ma la signora ricorda questo periodo come faticoso perché la bambina, che non
stava mai ferma e desiderava giocare col cibo e cucchiai, allungava notevolmente i tempi di
durata del pasto. Anna viene descritta come una bambina curiosa, intelligente e precoce
dal punto di vista motorio e linguistico. La signora si rivolgeva alla madre e alle amiche per
sapere se la sua bambina “fosse normale” e le risposte sono sempre state positive o
vaghe… Questa cosa frustrava la signora che pensava perché per me è così difficile fare la
mamma, mentre le altre donne dopo circa un anno pensano ad un secondo figlio?
Ad un anno di età circa, la bambina è stata inserita al Nido e il periodo di inserimento non
sembra essere stato particolarmente difficoltoso. E’ interessante, tuttavia, notare come la
signora interpreti negativamente alcuni normali comportamenti di attaccamento della
bambina. Anziché dire la bambina mi cercava perché, in un luogo estraneo, desiderava
mantenere la vicinanza con la sua mamma (figura di riferimento), dice: “ mi cercava perché
mi voleva manovrare”. L’idea di una bambina che non cerca la vicinanza materna per
bisogno e affetto ma “per manovrare” tornerà altre volte nel racconto della madre.
Mancano invece totalmente i ricordi circa come si comportava la bambina al ritorno della
madre al Nido.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 54/S3
Titolo: DISTURBI DIROMPENTI DEL CONTROLLO DEGLI IMPULSI
Attività N°: 01

Su insistenza emergono “vaghi” ricordi di evitamento e di ricerca dei nonni, al posto della
mamma. Le educatrici descrivono Anna come una bambina capricciosa “un osso duro” ma che
nel giro di poco tempo si è assolutamente integrata alla vita e alle regole del nido. Attualmente
la bambina frequenta la scuola materna (una scuola inglese) e si trova benissimo. Hanno scelto
questa scuola per facilitare la bambina nell’acquisizione della lingua straniera. Entrambi i genitori
si dichiarano molto soddisfatti di questa scelta e condividono la sensazione che la bambina si
trovi benissimo e che non desideri condividere con loro questo suo spazio. La signora infatti
dice, la bambina “non ci vuole fare entrare in questo suo mondo” “parla solo quando
interrogata”. Elenca poi una ulteriore serie di comportamenti della bambina: vede la mamma
riordinare i cassetti, lei si reca al cassetto prende il contenuto e butta tutto per terra, la mamma
inavvertitamente fa cadere uno specchietto di vetro e suggerisce alla bambina di stare alla larga
per non farsi male e la bambina si avventa sui pezzi di vetro che schiaccia con foga con i piedi;
la mamma costruisce qualche gioco… la bambina lo distrugge; la mamma ha appena pulito il
divano … la bambina vi appoggia di proposito le manine sporche. Tale comportamento si
manifesta - da sempre - per tutto il giorno tutti i giorni. Anche il padre dice che non ce la fa più
e che non sanno più cosa fare: le minacce non servono, le sgridate non servono, le sculacciate
non servono e il lasciar correre peggiora nuovamente le cose. Entrambi i genitori ricordano di
aver vissuto solo due settimane in vacanza una nel 2005 e l’altra nel 2006 senza che tali
comportamenti si verificassero. Non ricordano alcun evento che possa connettersi a tali
miglioramenti. La signora mentre racconta dice che, per fortuna, tale situazione non ha
scatenato difficoltà all’interno della coppia e il marito condivide questa visione.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 54/S3
Titolo: DISTURBI DIROMPENTI DEL CONTROLLO DEGLI IMPULSI
Attività N°: 01

Quale disturbo può spiegare le difficoltà comportamentali di Anna?


Quali sono gli aspetti comportamentali maggiormente rilevanti?
Quali sono a vostro avviso le dinamiche relazionali connesse al disturbo?
I COLLOQUIO

Si presentano puntali all’appuntamento Marisa (38 anni), insegnante di matematica e Lorenzo (38
anni) programmatore. Sono genitori di Anna (3 anni). Sono due giovani di bell’aspetto e gentili nei
modi.
Su mia richiesta, Marisa specifica di essere “esausta”, “sotto pressione” e preoccupata a causa della
figlia Anna che definisce letteralmente “ingestibile” e iperattiva. Mi fa vedere due foto e noto una
bellissima bambina dagli occhi azzurri e con i boccoli biondi (“apparentemente un angioletto”). Mi
racconta che trova veramente difficile entrare in contatto con la bambina che, per ogni cosa e dal
mattino alla sera, dice NO!.
Mi racconta la sua giornata tipo: alle 7 del mattino, la signora -armata di santa pazienza e di buon
umore – si avvicina al lettino della bambina augurandole una buona giornata e, a tale saluto, la
bambina risponde subito: “no, è una brutta giornata”; quando propone alla figlia di alzare le
tapparelle per vedere il sole, si sente dire nuovamente No; alla proposta di andare in bagno per fare
pipì, la bambina si oppone; alla colazione propone yogurt o latte e la bambina sceglie una terza
cosa; non vuole farsi vestire; per lavarsi è una lotta; per ogni cosa è una lotta! Tutto questo succede
sia con la madre sia col padre ma non alla scuola materna e meno coi nonni.

Mi racconta che da sempre Anna è stata una bambina difficile. Dalla prima settima di vita fino a 3
mesi e mezzo, la bimba piangeva dalle 6 di sera alle 6 del mattino ininterrottamente.
A questo si aggiungeva la fatica di non riuscire ad allattare, aveva infatti il seno dolente a causa
delle ragadi e faticava a trovare un latte artificiale che andasse bene per la piccola. Le cose sono
andate meglio dai 3 mesi e mezzo fino ai 5 mesi e mezzo perché la bambina dormiva durante la
notte. Con l’inizio della dentizione, verso i 6 mesi di vita, la bambina si svegliava ogni giorno alle
4 del mattino e, a quel punto, la signora doveva giocare con lei fino alle 6 del mattino. Lo
svezzamento non ha comportato problemi dal punto di vista alimentare ma la signora ricorda questo
periodo come faticoso perché la bambina, che non stava mai ferma e desiderava giocare col cibo e
cucchiai, allungava notevolmente i tempi di durata del pasto.
Anna viene descritta come una bambina curiosa, intelligente e precoce dal punto di vista motorio e
linguistico.
La signora si rivolgeva alla madre e alle amiche per sapere se la sua bambina “fosse normale” e le
risposte sono sempre state positive o vaghe… Questa cosa frustrava la signora che pensava perché
per me è così difficile fare la mamma, mentre le altre donne dopo circa un anno pensano ad un
secondo figlio?
Ad un anno di età circa, la bambina è stata inserita al Nido e il periodo di inserimento non sembra
essere stato particolarmente difficoltoso. E’ interessante, tuttavia, notare come la signora interpreti
negativamente alcuni normali comportamenti di attaccamento della bambina. Anziché dire la
bambina mi cercava perché, in un luogo estraneo, desiderava mantenere la vicinanza con la sua
mamma (figura di riferimento), dice: “ mi cercava perché mi voleva manovrare”. L’idea di una
bambina che non cerca la vicinanza materna per bisogno e affetto ma “per manovrare” tornerà altre
volte nel racconto della madre. Mancano invece totalmente i ricordi circa come si comportava la
bambina al ritorno della madre al Nido. Su mia insistenza emergono “vaghi” ricordi di evitamento e
di ricerca dei nonni, al posto della mamma. Le educatrici descrivono Anna come una bambina
capricciosa “un osso duro” ma che nel giro di poco tempo si è assolutamente integrata alla vita e
alle regole del nido. Attualmente la bambina frequenta la scuola materna (una scuola inglese) e si
trova benissimo. Hanno scelto questa scuola per facilitare la bambina nell’acquisizione della lingua
straniera. Entrambi i genitori si dichiarano molto soddisfatti di questa scelta e condividono la
sensazione che la bambina si trovi benissimo e che non desideri condividere con loro questo suo
spazio. La signora infatti dice, la bambina “non ci vuole fare entrare in questo suo mondo” “parla
solo quando interrogata”.
Elenca poi una ulteriore serie di comportamenti della bambina: vede la mamma riordinare i cassetti,
lei si reca al cassetto prende il contenuto e butta tutto per terra, la mamma inavvertitamente fa
cadere uno specchietto di vetro e suggerisce alla bambina di stare alla larga per non farsi male e la
bambina si avventa sui pezzi di vetro che schiaccia con foga con i piedi; la mamma costruisce
qualche gioco… la bambina lo distrugge; la mamma ha appena pulito il divano … la bambina vi
appoggia di proposito le manine sporche. Tale comportamento si manifesta - da sempre - per tutto
il giorno tutti i giorni. Anche il padre dice che non ce la fa più e che non sanno più cosa fare: le
minacce non servono, le sgridate non servono, le sculacciate non servono e il lasciar correre
peggiora nuovamente le cose. Entrambi i genitori ricordano di aver vissuto solo due settimane in
vacanza una nel 2005 e l’altra nel 2006 senza che tali comportamenti si verificassero. Non
ricordano alcun evento che possa connettersi a tali miglioramenti. La signora mentre racconta dice
che, per fortuna, tale situazione non ha scatenato difficoltà all’interno della coppia e il marito
condivide questa visione.

Quale disturbo può spiegare le difficoltà comportamentali di Anna?


Quali sono gli aspetti comportamentali maggiormente rilevanti?

Quali sono a vostro avviso le dinamiche relazionali connesse al disturbo?


Prendo la parola e cerco innanzitutto di empatizzare con la fatica di questa mamma e di questo
papà.
Fatica che, a mio avviso, non è mai stata accolta e compresa al punto che la signora pensava alle
altre donne come a delle “wonderwoman” e, a se stessa, come a una incapace. Decido di dirle che,
da quanto raccontato, la sua bambina mi sembra una bambina oggettivamente difficile.
All’inizio il suo temperamento, su base biologica, la rendeva più difficile di altri bambini (umore
negativo, reattività agli stimoli, intensità nelle risposte..) e poi su queste premesse si sono innescate
dei vissuti dei genitori e della bambina che hanno ulteriormente complicato il tutto. Come
definizione del problema parlo di comportamento di tipo oppositivo provocatorio che comprende
appunto tutti i comportamenti negativistici di sfida che mi hanno precedentemente raccontato.
Relativamente alla spiegazione psicologica, spiego ai genitori come entrambi mi riferiscono una
visone solo parziale della propria figlia e, precisamente, una bambina considerata come una piccola
adulta (la mamma infatti mi aveva raccontato che a 6 mesi il no della sua bambina le appariva come
il no di un adulto) “onnipotente, mostruosa e sfidante”, mentre accanto a tale visone (il primo lato
della medaglia) devono aggiungerne un’altra altrettanto vera. La visone che potrebbero aggiungere
è quella di una bambina con un profondo senso di impotenza e di angoscia che, attraverso il
comportamento sfidante è alla ricerca continua di un contenimento.
I genitori sono un poco sorpresi da questa lettura ma concordano sul fatto che ai loro occhi questa
bambina risulta onnipotente e un poco spaventante. Spiego loro come tale visione impedisce loro di
contenere la bambina con un comportamento coerente (mi sposto un poco sul versante educativo) e,
riprendo il suggerimento “siate severi” dei due neuropsichiatri.

Non dico loro che il vissuto della madre di avere una bambina ostile e “mostruosa” in realtà
aumenta l’angoscia e la rabbia della bambina. Rispetto all’idea di avere una bambina mostruosa,
nel corso del racconto, la madre infatti mi aveva detto di aver osservato la bambina giocare con le
bambole e di aver visto che la bambina le apostrofava con le parole :”sei un mostro”.
I genitori mi dicono che non sanno da che parte iniziare, relativamente a un comportamento che sia
coerente, e io suggerisco loro di considerare un aspetto e di partire da quello.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 55
Titolo: IL DISTURBO DELLA CONDOTTA
Attività n°: 01

IL DISTURBO DELLA CONDOTTA

Segni clinici
La caratteristica fondamentale del Disturbo della Condotta è una modalità di
comportamento in cui i diritti fondamentali degli altri o le principali norme
appropriate per l'età vengono costantemente violati.

Si suggerisce di integrare il contenuto delle slide, prendendo a riferimento il volume di Di Pentima,


Percorsi di sviluppo normale e patologico.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 55
Titolo: IL DISTURBO DELLA CONDOTTA
Attività n°: 01

I CRITERI DEL DSM-5 per il DISTURBO DELLA CONDOTTA

A. Una modalità di comportamento ripetitiva e persistente in cui i diritti


fondamentali degli altri o le principali norme o regole sociali, in
riferimento all’età, vengono violati.

B. Presenza di almeno 3 dei 15 criteri, nei 12 mesi; Almeno 1 criterio negli


ultimi 3 mesi
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 55
Titolo: IL DISTURBO DELLA CONDOTTA
Attività n°: 01

DSM – 5: DISTURBO DELLA CONDOTTA

AGGRESSIONI A PERSONE O ANIMALI

1. E’ prepotente, minaccia o intimorisce gli altri


2. Dà inizio a colluttazioni fisiche
3. Usa un’arma che può causare danni fisici ad altri (bastone, barra, bottiglia
rotta, coltello, pistola)
4. E’ fisicamente crudele con le persone
5. E’ fisicamente crudele con gli animali
6. Ruba affrontando la vittima (aggressione, scippo, estorsione, rapina a mano
armata)
7. Forza qualcuno ad attività sessuali
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 55
Titolo: IL DISTURBO DELLA CONDOTTA
Attività n°: 01

DISTRUZIONE DELLA PROPRIETA’


8. Appicca il fuoco con l’intenzione di causare seri danni
9. Distrugge deliberatamente proprietà altrui

GRAVI VIOLAZIONI DI REGOLE


13. Trascorre fuori casa la notte nonostante la proibizione dei genitori, con inizio
prima dei 13 anni d’età
14. Fugge da casa DUE volte mentre vive a casa dei genitori o di chi ne fa le veci,
o UNA volta senza ritornare per un lungo periodo
15. Marina spesso la scuola, con inizio prima dei 13 anni

C. L’anomalia del comportamento causa compromissione clinicamente


significativa del funzionamento sociale, scolastico, o lavorativo
D. Se il soggetto ha > 18, non sono soddisfatti i criteri per il Disturbo Antisociale di
Personalità
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 55
Titolo: IL DISTURBO DELLA CONDOTTA
Attività n°: 01

SPECIFICARE
312. 81 Esordio nell’Infanzia (almeno 1 sintomo < 10 anni)
312.82 Esordio nell’adolescenza ( > 10 anni)
312.89 Esordio NON Specificato
(i criteri per la diagnosi sono soddisfatti ma non ci sono sufficienti informazioni
disponibili per determinare se l’esordio è stato prima o dopo i 10 anni)

SPECIFICARE
• Mancanza di Rimorso e Senso di Colpa
• Insensibile-mancanza di empatia
• Disinteresse sulle Performance
• Superficiale o carente negli affetti
Specificare:
- Lieve
- Moderato
- Grave
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 55
Titolo: IL DISTURBO DELLA CONDOTTA
Attività n°: 01

Le differenti forme del disturbo si distinguono anche per livello di gravità:


1) Lieve: I problemi di condotta che vanno al di là di quelli richiesti per fare
la diagnosi, se presenti, sono pochi, e i problemi di condotta causano
danno relativamente lieve agli altri (per es., mentire, marinare la scuola,
stare fuori la sera senza permesso).
2) Moderato: Il numero di problemi di condotta e gli effetti sugli altri sono
intermedi tra il lieve e il "grave" (per es., rubare senza affrontare la
vittima, vandalismo).
3) Grave: Sono presenti molti problemi di condotta che vanno al di là di
quelli richiesti per fare la diagnosi, oppure i problemi di condotta causano
notevoli danni agli altri (per es., rapporti sessuali forzati, crudeltà fisica,
uso di armi, furto con aggressione alla vittima, violazione di proprietà,
scasso).
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 55
Titolo: IL DISTURBO DELLA CONDOTTA
Attività n°: 01

EPIDEMIOLOGIA E DECORSO

PREVALENZA
Si riscontra con maggiore prevalenza tra i maschi sotto i 18 anni in percentuali
che variano tra il 6% e il 16%, mentre nelle femmine tra il 2% e il 9%. Al quadro
clinico spesso si associano scarsa tolleranza alla frustrazione, irritabilità ed
esplosioni di rabbia frequenti.
Questi soggetti possono manifestare una scarsa empatia per i sentimenti ed i
desideri altrui, la loro aggressività è spesso reattiva a intenzioni e gesti
altrui che interpretano come più ostili e minacciosi del vero.

DECORSO
L'esordio può essere anche relativamente precoce intorno ai 5 o 6 anni, ma più
spesso emerge in età successive. L'esordio precoce è predittivo di una
prognosi peggiore e di un aumentato rischio di disturbo antisociale e di
disturbi correlati a sostanze in età adulta.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 55/S1
Titolo: IL DISTURBO DELLA CONDOTTA
Attività n°: 01

I Fattori di rischio
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 55/S1
Titolo: IL DISTURBO DELLA CONDOTTA
Attività n°: 01
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Lezione n°: 55/S1
Titolo: IL DISTURBO DELLA CONDOTTA
Attività n°: 01

Fattori relativi al bambini Fattori relativi alle risorse di


rete
• Sesso maschile • Politiche di sicurezza
• Temperamento difficile pubblica che non
• Esperienze di child abuse prevedono alte sanzioni per
• Presenza di comportamento atti violenti
oppositivo nella infanzia • Assenza di risorse
• Iperattività, Impulsività ADHD sociosanitarie all’interno
• Basso QI e insuccessi scolastici della comunità
• Scarse competenze o abilità
specifiche. Ad esempio negli
hobby, sport
• Disfunzioni nelle abilità
metacognitive
• biases cognitivi, che portano a
interpretare gli stimoli sociali
come ostili o minacciosi
• precoce uso di sostanze come,
sigarette, alcol o altro, in
particolare se anteriore ai 12
anni
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Lezione n°: 55/S1
Titolo: IL DISTURBO DELLA CONDOTTA
Attività n°: 01

Ipotesi eziologiche
La psicopatologia dello sviluppo, com'è noto, sottolinea il concetto di
multifattorialità nella determinazione delle problematiche comportamentali ed
emotive di rilievo clinico, per cui sia lo sviluppo normale che psicopatologico non
può costruirsi, ad esempio, solo a partire da un certo dato temperamentale, né da
uno specifico deficit neuronale, né da un particolare pattern d'attaccamento, bensì
dall'intreccio tra fattori di rischio, da un lato, e fattori protettivi, dall'altro,
rintracciabili su diversi domini personali e sociali: caratteristiche proprie del
bambino (funzioni neuro cognitive, vulnerabilità biologica, temperamento); qualità
dei legami di attaccamento e stile educativo familiare; variabili ecologiche (avversità
familiari, economiche, stress sociali, eventi critici che possono colpire il ciclo vitale
familiare). Più domini di rischio sono implicati e si sovrappongono, più alta è la
probabilità di psicopatologia: ad esempio, in bambini con diagnosi accertata di
Disturbo Oppositivo-Provocatorio e di Disturbo della Condotta c'è una probabilità 3-
4 volte superiore alla norma di trovare elementi di rischio in tutti e 4 i domini
(Rugliano et al. 2009)
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Lezione n°: 55/S2
Titolo: IL DISTURBO DELLA CONDOTTA
Attività n°: 01

I Disturbi del Comportamento Dirompente e i


tratti calloso-anemozionali

Nello studio dei Disturbi del Comportamento Dirompente occorre prestare


attenzione ai tratti calloso-anemozionali (callous-unemotional, CU) che sono
da sempre considerati elementi cruciali nella psicopatia Frick, 2008).
Vedremo qui di seguito le caratteristiche distintive di tali tratti che ritrovate sul
libro di Di Pentima.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 55/S2
Titolo: IL DISTURBO DELLA CONDOTTA
Attività n°: 01

Questi tratti sono tipici di bambini e adolescenti, che mostrano mancanza di


senso di colpa, mancanza di empatia e superficialità emotiva. La presenza
di queste «lacune» fanno sì che questi soggetti possano venire considerati
appartenere ad un sottogruppo specifico di Disturbi del Comportamento
Dirompente che presenta il rischio aumentato di evoluzione nel disturbo
antisociale di personalità.

I tratti calloso-anemozionali sono stati presi attenta considerazione al fine di


comprendere i meccanismi chiave delle forme di disregolazione
emotiva che si osserva in alcuni soggetti con problemi di condotta mentre in
altri no, e il ruolo che riveste l’aggressività in tali manifestazioni emotive.
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Lezione n°: 55/S2
Titolo: IL DISTURBO DELLA CONDOTTA
Attività n°: 01

Più specificatamente, l’insensibilità ai vissuti degli altri, l’assenza di senso


di colpa e la tendenza alla manipolazione che si ritrova nei soggetti
con tratti calloso-anemozionali, conducono all’idea che l’aggressività sia
strumentale al raggiungimento dei propri scopi (aggressività proattiva) e dunque
è raro assistere a disregolazioni emotive eccessive.

Viceversa, individui con problemi nella sfera della condotta che non
presentano tratti calloso-anemozionali, mostrano un’aggressività di tipo
reattivo che si palesa a seguito di situazioni sociali attivanti (provocazioni,
umiliazioni ecc.) ed è stata associata a contesti ambientali sfavorevoli ed a
disfunzioni nelle cure parentali (Wootton, 1997). La difficoltà nella regolazione
emotiva potrebbe trovare origine in una forte suscettibilità a situazioni sociali
emotivamente attivanti che si traduce in agiti impulsivi a seguito dei quali il
bambino/adolescente, senza tratti calloso-anemozionali, potrebbe provare senso
di colpa
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 55/S2
Titolo: IL DISTURBO DELLA CONDOTTA
Attività n°: 01

Come precedentemente già indicato, numerosi studi hanno ipotizzato un ruolo


cruciale dell’ambiente nell’insorgenza dei tratti calloso-anemozionali,
presupponendo che insensibilità e mancanza di empatia, in associazione ad
agiti aggressivi, siano il prodotto di una storia evolutiva caratterizzata da
abuso o rifiuto da parte delle figure genitoriali, incapaci di accudire la
prole o apertamente maltrattanti.
Crescere in un ambiente privo di vicinanza e sintonizzazione emotiva e
cognitiva, impedisce lo sviluppo di capacità empatiche e abilità sociali; deficit
d’empatia in aggiunta a fattori di vulnerabilità biologica vanno così a facilitare
l’insorgenza di gravi disturbi comportamentali, i quali a loro volta condurranno il
soggetto a una progressiva esclusione sociale, incrementando il rischio di
un’evoluzione antisociale.
Da qui l’importanza di un intervento tempestivo sul contesto e le dinamiche
familiari che possa prevedere, qualora possibile (spesso questi non soggetti non
richiedono aiuto) un aiuto all’individuo finalizzato ad incrementare l’empatia,
sostenendolo nello sviluppo di una Teoria della Mente e nell’accrescimento delle
abilità sociali.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 55/S3
Titolo: IL DISTURBO DELLA CONDOTTA
Attività n°: 01

Il disturbo di personalità antisociale

In questa sessione verrà sinteticamente introdotto il tema del disturbo


antisociale di personalità che come abbiamo visto spesso costituisce l’esito
dell’evoluzione del disturbo della condotta e in particolare del sotto-tipo con
tratti unemotional.
Il contenuto della lezione va integrato col libro di Di Pentima ed è stato in parte
tratto dal sito dell’istituto Beck
https://www.istitutobeck.com/disturbi-di-personalita/disturbo-antisociale-personalita
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 55/S3
Titolo: IL DISTURBO DELLA CONDOTTA
Attività n°: 01

Premessa:

Il disturbo antisociale di personalità può assumere varie forme: infatti i comportamenti


antisociali che lo caratterizzano possono avere una natura diversa: subdoli, manipolativi
e approfittatori fino all’attacco diretto.
Il disturbo appare accompagnato da: atteggiamenti di disprezzo, inosservanza e
violazione dei diritti delle altre persone e si manifesta con comportamenti di ostilità e/o
aggressioni fisiche. L’inganno e la manipolazione sono le modalità comportamentali
privilegiate di questo tipo di personalità. Come abbiamo già visto, in molti casi, i
comportamenti ostili e aggressivi possono comparire già durante l’infanzia e
l’adolescenza. Durante l’infanzia si tratta di piccoli furti, menzogne e scontri con chi
rappresenta l’autorità. L’adolescenza è invece segnata generalmente da episodi di abuso
di sostanze (marjuana, cocaina, eroina), gesti violenti nei confronti di persone e/o
animali.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 55/S3
Titolo: IL DISTURBO DELLA CONDOTTA
Attività n°: 01

Secondo il DSM–5 non è possibile fare diagnosi di disturbo


antisociale della personalità prima dei 18 anni

Quali sono le caratteristiche centrali del disturbo?


Troverete qui di seguito un elenco da leggere con attenzione:

- Impulsività
- Temperamento disinibito
- Assenza di timore delle punizioni
- Incapacità di imparare dall’esperienza e dalle punizioni
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 55/S3
Titolo: IL DISTURBO DELLA CONDOTTA
Attività n°: 01

- Tendenza a biasimare gli altri o a offrire plausibili razionalizzazioni per il loro


comportamento
- Incapacità di provare empatia, cioè di comprendere i sentimenti degli altri,
in particolare di come gli altri si sentono per le conseguenze delle loro azioni
- Incapacità di identificarsi con la vittima
- Incapacità di provare sentimenti di colpa per gli effetti che le proprie azioni
lesive producono sulle altre persone
- Sfruttamento degli altri per il proprio tornaconto personale
- Stile relazionale sado-masochistico fondato sul potere piuttosto che sul
legame affettivo
- Bassa tolleranza alla frustrazione
- Basso evitamento del pericolo
- Bassa dipendenza dalla ricompensa
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 55/S3
Titolo: IL DISTURBO DELLA CONDOTTA
Attività n°: 01

Conseguenze del Disturbo Antisociale di Personalità

La tendenza delle persone con disturbo antisociale di personalità a non


curarsi dei bisogni dell’altro, l’atteggiamento di totale indifferenza e l’assenza
di rimorso pregiudicano gravemente la nascita di relazioni personali sincere
con queste persone. Gli unici rapporti sviluppati sono basati sullo
sfruttamento dell’altro finalizzato al raggiungimento dei propri scopi. A livello
lavorativo la mancanza di disponibilità, le ripetute assenze ingiustificate e la
tendenza a non rispettare le scadenze finanziare e le regole, possono
portare questi soggetti a numerosi problemi legali.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 55/S3
Titolo: IL DISTURBO DELLA CONDOTTA
Attività n°: 01

Cura del Disturbo Antisociale di Personalità

Come peraltro già indicato per i soggetti con disturbo della condotta con tratti
unemotional, i pazienti con disturbo antisociale della
personalità raramente si rivolgono a un professionista volontariamente
perché non sono consapevoli di avere un disturbo. Di solito, l’inizio di un
percorso psicoterapico è successivo alla diagnosi di “psicopatia” fatta in
tribunale a seguito di procedimenti penali in cui sono stati imputati. Il
ricovero in ambienti come, ad esempio, gli ospedali psichiatrici, è il
prerequisito essenziale per la pianificazione di trattamenti farmacologici e
psicoterapici, i cui eventuali risultati possono comunque svanire con il tempo o
una volta che il soggetto cambia ambiente.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 56
Titolo: IL DISTURBO ANTISOCIALE
Attività N°: 01

Esercitazione
e-portfolio

Il caso di Philip: legga il caso di seguito descritto e inoltri le sue risposte su e-portfolio:
- Quale tipologia di disturbo presenta Philip e perchè
- Quale livello di gravità e perché
- Quali differenze con il caso di Anna della lezione precedente
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 56
Titolo: IL DISTURBO ANTISOCIALE
Attività N°: 01

Individui per il seguente caso clinico (APA, 2003) se è a esordio nella fanciullezza o
nell’adolescenza e se è un disturbo lieve, moderato o grave. Evidenzi inoltre i sintomi che
la conducono a fare una diagnosi di disturbo della condotta.

Phillip, di 12 anni, viene sospeso dalla scuola di una piccola città ed inviato per un
trattamento psichiatrico dal suo preside. Lo accompagna la nota seguente: “Questo
ragazzo è stato un problema continuo da quando è venuto nella nostra scuola. Non va in
cortile perché è cattivo con gli altri bambini. Trasgredisce le regole della scuola, prende in
giro i bambini che fanno la sorveglianza, ruba agli altri bambini e sfida tutte le autorità.
Phillip fa la lotta con gli altri bambini sull’autobus. Gli è stato sospeso il diritto di usufruire
della mensa diverse volte per aver provocato scontri, dato calci e spintoni. Dopo essersi
comportato male un giorno in mensa, l’insegnante gli ha detto di salire nel suo ufficio per
incontrarmi. Si è categoricamente rifiutato, si è sdraiato sul pavimento e ha fatto le bizze,
dando calci e urlando. Spesso racconta bugie. Quando viene sorpreso in flagrante, nega
ogni cosa ed assume un’aria di innocenza ferita.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 56
Titolo: IL DISTURBO ANTISOCIALE
Attività N°: 01

Crede che ce l’abbiamo con lui. Il suo atteggiamento è scontroso quando gli viene
rifiutata qualunque cosa. Mette il broncio e quando gli si chiede perché faccia queste
cose, indica la testa e dice “Perché io non so bene quassù”. Questo ragazzo ha
assolutamente bisogno di aiuto. Non sembra avere amici. Il suo comportamento
aggressivo li tiene lontani da lui. Lo psicologo della nostra scuola lo ha valutato e i
risultati indicano un’intelligenza media, ma il suo risultato a scuola è solo a livello di una
terza-quarta classe.”

Lo psichiatra ha appreso dalla nonna di Phillip che egli è nato quando sua madre
frequentava l’ultimo anno della scuola superiore. I genitori di lei avevano insistito che
tenesse il bambino e contribuisse ad allevarlo; sono stati prevalentemente i nonni,
tuttavia, a provvedere alla sua educazione.
Poco dopo la sua nascita, la madre scappò con un uomo, lo sposò ed ebbe un secondo
figlio. Il matrimonio fallì e lasciò questo bambino a suo padre. Phillip non aveva avuto
contatti con sua madre da quando lo aveva lasciato.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 56
Titolo: IL DISTURBO ANTISOCIALE
Attività N°: 01

L’educazione all’uso del vasino non ebbe successo con Phillip e per alcuni anni soffrì di
enuresi. A 5 anni i suoi nonni materni lo adottarono perché temevano che un giorno sua
madre potesse reclamarlo. Mostrò ansia nella separazione da sua nonna quando iniziò la
scuola. Fu poi coinvolto in un grave incidente, nel quale sua nonna fu ferita e una
persona nell’altra auto morì. Phillip non sembrava ferito, ma ebbe un’amnesia transitoria,
probabilmente come risultato diretto, immediato dell’impatto. Successivamente ebbe
incubi notturni, paura dell’oscurità e un’esacerbazione della sua paura di separarsi dalla
nonna.
Il profitto scolastico di Phillip non era buono. Ripetè la terza classe e poi frequentò una
classe speciale di recupero. La nonna di Phillip ricorda che l’insegnante di suo nipote
lamentava “che il ragazzo non poteva mai stare seduto”.
Il suo comportamento contro le regole si manifestato con l’inizio della scuola e per molti
anni è stato caratterizzato da liti, bugie e furti.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 56/S1
Titolo: IL DISTURBO ANTISOCIALE
Attività n°: 01

Esercitazione e-portfolio

Il caso di Philip: legga il caso di seguito descritto e inoltri le sue risposte su e-portfolio:
- Quale tipologia di disturbo presenta Philip e perché
- Quale livello di gravità e perché
- Quali differenze con il caso di Anna della lezione precedente
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 56/S1
Titolo: IL DISTURBO ANTISOCIALE
Attività n°: 01

Individui per il seguente caso clinico (APA, 2003) se è a esordio nella fanciullezza o
nell’adolescenza e se è un disturbo lieve, moderato o grave. Evidenzi inoltre i sintomi che
la conducono a fare una diagnosi di disturbo della condotta.

Phillip, di 12 anni, viene sospeso dalla scuola di una piccola città ed inviato per un
trattamento psichiatrico dal suo preside. Lo accompagna la nota seguente: “Questo
ragazzo è stato un problema continuo da quando è venuto nella nostra scuola. Non va in
cortile perché è cattivo con gli altri bambini. Trasgredisce le regole della scuola, prende in
giro i bambini che fanno la sorveglianza, ruba agli altri bambini e sfida tutte le autorità.
Phillip fa la lotta con gli altri bambini sull’autobus. Gli è stato sospeso il diritto di usufruire
della mensa diverse volte per aver provocato scontri, dato calci e spintoni. Dopo essersi
comportato male un giorno in mensa, l’insegnante gli ha detto di salire nel suo ufficio per
incontrarmi. Si è categoricamente rifiutato, si è sdraiato sul pavimento e ha fatto le bizze,
dando calci e urlando. Spesso racconta bugie. Quando viene sorpreso in flagrante, nega
ogni cosa ed assume un’aria di innocenza ferita.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 56/S1
Titolo: IL DISTURBO ANTISOCIALE
Attività n°: 01

Crede che ce l’abbiamo con lui. Il suo atteggiamento è scontroso quando gli viene rifiutata
qualunque cosa. Mette il broncio e quando gli si chiede perché faccia queste cose, indica
la testa e dice “Perché io non so bene quassù”. Questo ragazzo ha assolutamente bisogno
di aiuto. Non sembra avere amici. Il suo comportamento aggressivo li tiene lontani da lui.
Lo psicologo della nostra scuola lo ha valutato e i risultati indicano un’intelligenza media,
ma il suo risultato a scuola è solo a livello di una terza-quarta classe.”

Lo psichiatra ha appreso dalla nonna di Phillip che egli è nato quando sua madre
frequentava l’ultimo anno della scuola superiore. I genitori di lei avevano insistito che
tenesse il bambino e contribuisse ad allevarlo; sono stati prevalentemente i nonni,
tuttavia, a provvedere alla sua educazione.
Poco dopo la sua nascita, la madre scappò con un uomo, lo sposò ed ebbe un secondo
figlio. Il matrimonio fallì e lasciò questo bambino a suo padre. Phillip non aveva avuto
contatti con sua madre da quando lo aveva lasciato.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 56/S1
Titolo: IL DISTURBO ANTISOCIALE
Attività n°: 01

L’educazione all’uso del vasino non ebbe successo con Phillip e per alcuni anni soffrì di
enuresi. A 5 anni i suoi nonni materni lo adottarono perché temevano che un giorno sua
madre potesse reclamarlo. Mostrò ansia nella separazione da sua nonna quando iniziò la
scuola. Fu poi coinvolto in un grave incidente, nel quale sua nonna fu ferita e una persona
nell’altra auto morì. Phillip non sembrava ferito, ma ebbe un’amnesia transitoria,
probabilmente come risultato diretto, immediato dell’impatto. Successivamente ebbe
incubi notturni, paura dell’oscurità e un’esacerbazione della sua paura di separarsi dalla
nonna.
Il profitto scolastico di Phillip non era buono. Ripetè la terza classe e poi frequentò una
classe speciale di recupero. La nonna di Phillip ricorda che l’insegnante di suo nipote
lamentava “che il ragazzo non poteva mai stare seduto”.
Il suo comportamento contro le regole si manifestato con l’inizio della scuola e per molti
anni è stato caratterizzato da liti, bugie e furti.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 56/S2
Titolo: IL DISTURBO ANTISOCIALE
Attività n°: 01

Esercitazione e-portfolio

Legga i tre casi di seguito indicati e li confronti e commenti in merito a:


possibili fattori di rischio per l’insorgenza delle condotte descritte
Antecedenti della condotta aggressiva
tipologia di condotta di condotta aggressiva
ipotesi diagnostiche
Relazioni familiari
Inoltri le sue risposte su e-portfolio
Quali fattori di rischio è possibile ravvisare nelle vicende di Antonio? ● E quali
nel caso di Chiara? ● Si tratta di variabili di rischio appartenenti a diversi
livelli?
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 56/S2
Titolo: IL DISTURBO ANTISOCIALE
Attività n°: 01

PIETRO

6 anni, frequenta la prima classe della scuola primaria; ● Manifesta comportamenti oppositivi nei
confronti degli adulti; ● Fin dal suo inserimento al nido d'infanzia, Pietro ha sempre manifestato un
forte interesse all'interazione con i coetanei; ● Le sue competenze sociali si sono ulteriormente
perfezionate durante il periodo della scuola dell'infanzia, quando Pietro era in grado di regolare i
propri comportamenti in base ai segnali mimico-emotivi dei compagni; ● Accanto a questi
comportamenti positivi, venivano riportati ovviamente anche momenti di conflittualità (litigio per un
giocattolo conteso, ricerca dell'attenzione dell'adulto) ● Queste alterazioni emotivo-comportamentali
duravano pochi minuti e spesso Pietro era in grado di calmarsi autonomamente, senza l'intervento
della maestra o del genitore. ● In alcune occasioni, segnalate da particolare intensità emozionale,
Pietro ha anche colpito con spinte e schiaffi il compagno considerato responsabile di averlo irritato:
in questi casi, il tempestivo intervento dell'adulto e la relativa sanzione riuscivano a inibire ulteriori
escalation comportamentali; ● All'inizio della scuola primaria, Pietro non sembra manifestare
particolari problemi di adattamento, che invece compaiono a distanza di alcuni mesi; ● In particolare
Pietro si dimostra oppositivo nei confronti di ordini impartiti dagli insegnanti durante le attività
didattiche: ritarda l'inizio dei compiti, non prende dalla cartella i materiali necessari per la lezione
ecc.... Inizialmente, questi comportamenti oppositivi vengono considerati una normale difficoltà di
adattamento alla maggiore strutturazione dell'attività didattica prevista nella scuola primaria. ● Nel
giro di poche settimane, però, la condotta problematica si diffonde anche ad altri contesti: talvolta,
Pietro si mostra oppositivo durante le attività ludiche e sportive o a casa con i familiari.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 56/S2
Titolo: IL DISTURBO ANTISOCIALE
Attività n°: 01

ANTONIO
● Antonio ha 13 anni ed è impegnato nell'ultimo anno della scuola secondaria di primo grado, i suoi genitori
vengono chiamati a scuola a causa di un violento litigio accaduto durante la ricreazione: apparentemente
senza motivo, Antonio ha aggredito un suo compagno con schiaffi e pugni; ● Antonio è sempre stato
considerato, fin dai primi anni di vita, un bambino molto sensibile sul piano emotivo: rispondeva con intensi
scoppi di pianto a qualsiasi rimprovero da parte dei genitori; reagiva intensamente e rapidamente in
presenza di lievi stimolazioni ambientali, alternando emozioni di rabbia o paura. I genitori si sono sempre
lamentati della difficoltà a regolare i ritmi del figlio, es. rispetto ai momenti di riposo, al mangiare. ●
L'ingresso nella scuola dell'infanzia è stato caratterizzato da alcune difficoltà: Antonio mostrava forti
alterazioni emozionali al momento in cui il genitore lo lasciava a scuola e andava a riprenderlo. ● Durante le
interazioni con i compagni, ricorreva spesso all'atto fisico come mezzo per risolvere eventuali conflitti:
spingeva via il compagno che toccava i suoi giocattoli, colpiva l'insegnante responsabile di non prestargli
sufficiente attenzione; ● Inoltre, piccole frustrazioni, es. un disegno rovinato, scatenavano violente escalation
emozionali, durante le quali era molto difficile calmarlo e a causa delle quali doveva essere allontanato dal
gruppo dei coetanei. ● Il passaggio alla scuola primaria ha ulteriormente acuito tali problematiche
comportamentali: Antonio diventava spesso aggressivo e, se rimproverato dall'insegnante, ricorreva a insulti
e minacce; con il passare degli anni, questi atteggiamenti sfidanti hanno posto crescenti difficoltà di
gestione; ● Parallelamente, però, il bambino ha anche manifestato sempre una serie di competenze
relazionali: riconosceva quando un compagno aveva bisogno di aiuto ed era in grado di fornirgli il supporto
necessario; ● Inoltre, in momenti di calma, era in grado di dialogare con l'adulto e di comprendere quali
comportamenti fossero errati. ● Questa capacità, però, veniva poi spezzata via da improvvise esplosioni di
rabbia; ● La situazione, infine, è ulteriormente degenerata alla scuola secondaria di primo grado, laddove gli
approcci punitivi adottati hanno solamente acuito le difficoltà di autoregolazione del ragazzo, incrementando
la frequenza di colluttazioni con i compagni.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 56/S2
Titolo: IL DISTURBO ANTISOCIALE
Attività n°: 01

CHIARA

● Chiara ha 15 anni, ha avuto una carriera scolastica segnata da risultati positivi e da una
condotta sempre tranquilla e controllata; ● La ragazza è stata appena sospesa, in quanto
coinvolta, insieme ad altre persone, in una serie di atti vandalici volti a danneggiare un
compagno di classe: insulti omofobici scritti sui muri della scuola, danneggiamento di oggetti
ecc.. ● Di fronte alla sanzione da parte della scuola e ai rimproveri dei genitori, Chiara ha
reagito con relativa indifferenza. ● Fin da piccola, Chiara è stata considerata una bambina
molto tranquilla; i rapporti con gli altri sono sempre stati caratterizzati da una ridottissima
incidenza di qualsiasi tipo di conflitto; ● Inoltre non hai mai manifestato problemi nel distacco
dai genitori all'ingresso alla scuola dell'infanzia; ● Tutto il percorso scolastico di Chiara è stato
segnato da ottimi risultati e dall'assenza di qualsiasi rilevante problema di comportamento;
tuttavia, in alcune occasioni, le insegnanti hanno registrato una certa “freddezza” emotiva e
una tendenza ad annoiarsi facilmente, assumendo talvolta atteggiamenti di indifferenza verso
le attività svolte dai compagni.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 56/S3
Titolo: IL DISTURBO ANTISOCIALE
Attività n°: 01

Esercitazione e-portfolio

Legga i tre casi di seguito indicati e li confronti e commenti in merito a:


possibili fattori di rischio per l’insorgenza delle condotte descritte
Antecedenti della condotta aggressiva
tipologia di condotta di condotta aggressiva
ipotesi diagnostiche
Relazioni familiari
Inoltri le sue risposte su e-portfolio
Quali fattori di rischio è possibile ravvisare nelle vicende di Antonio? ● E quali nel
caso di Chiara? ● Si tratta di variabili di rischio appartenenti a diversi livelli?
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 56/S3
Titolo: IL DISTURBO ANTISOCIALE
Attività n°: 01

PIETRO

6 anni, frequenta la prima classe della scuola primaria; ● Manifesta comportamenti oppositivi
nei confronti degli adulti; ● Fin dal suo inserimento al nido d'infanzia, Pietro ha sempre
manifestato un forte interesse all'interazione con i coetanei; ● Le sue competenze sociali si
sono ulteriormente perfezionate durante il periodo della scuola dell'infanzia, quando Pietro era
in grado di regolare i propri comportamenti in base ai segnali mimico-emotivi dei compagni; ●
Accanto a questi comportamenti positivi, venivano riportati ovviamente anche momenti di
conflittualità (litigio per un giocattolo conteso, ricerca dell'attenzione dell'adulto) ● Queste
alterazioni emotivo-comportamentali duravano pochi minuti e spesso Pietro era in grado di
calmarsi autonomamente, senza l'intervento della maestra o del genitore. ● In alcune
occasioni, segnalate da particolare intensità emozionale, Pietro ha anche colpito con spinte e
schiaffi il compagno considerato responsabile di averlo irritato: in questi casi, il tempestivo
intervento dell'adulto e la relativa sanzione riuscivano a inibire ulteriori escalation
comportamentali; ● All'inizio della scuola primaria, Pietro non sembra manifestare particolari
problemi di adattamento, che invece compaiono a distanza di alcuni mesi; ● In particolare
Pietro si dimostra oppositivo nei confronti di ordini impartiti dagli insegnanti durante le attività
didattiche: ritarda l'inizio dei compiti, non prende dalla cartella i materiali necessari per la
lezione ecc.... Inizialmente, questi comportamenti oppositivi vengono considerati una normale
difficoltà di adattamento alla maggiore strutturazione dell'attività didattica prevista nella scuola
primaria. ● Nel giro di poche settimane, però, la condotta problematica si diffonde anche ad
altri contesti: talvolta, Pietro si mostra oppositivo durante le attività ludiche e sportive o a casa
con i familiari.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 56/S3
Titolo: IL DISTURBO ANTISOCIALE
Attività n°: 01

ANTONIO
● Antonio ha 13 anni ed è impegnato nell'ultimo anno della scuola secondaria di primo grado, i suoi genitori
vengono chiamati a scuola a causa di un violento litigio accaduto durante la ricreazione: apparentemente
senza motivo, Antonio ha aggredito un suo compagno con schiaffi e pugni; ● Antonio è sempre stato
considerato, fin dai primi anni di vita, un bambino molto sensibile sul piano emotivo: rispondeva con intensi
scoppi di pianto a qualsiasi rimprovero da parte dei genitori; reagiva intensamente e rapidamente in
presenza di lievi stimolazioni ambientali, alternando emozioni di rabbia o paura. I genitori si sono sempre
lamentati della difficoltà a regolare i ritmi del figlio, es. rispetto ai momenti di riposo, al mangiare. ●
L'ingresso nella scuola dell'infanzia è stato caratterizzato da alcune difficoltà: Antonio mostrava forti
alterazioni emozionali al momento in cui il genitore lo lasciava a scuola e andava a riprenderlo. ● Durante le
interazioni con i compagni, ricorreva spesso all'atto fisico come mezzo per risolvere eventuali conflitti:
spingeva via il compagno che toccava i suoi giocattoli, colpiva l'insegnante responsabile di non prestargli
sufficiente attenzione; ● Inoltre, piccole frustrazioni, es. un disegno rovinato, scatenavano violente
escalation emozionali, durante le quali era molto difficile calmarlo e a causa delle quali doveva essere
allontanato dal gruppo dei coetanei. ● Il passaggio alla scuola primaria ha ulteriormente acuito tali
problematiche comportamentali: Antonio diventava spesso aggressivo e, se rimproverato dall'insegnante,
ricorreva a insulti e minacce; con il passare degli anni, questi atteggiamenti sfidanti hanno posto crescenti
difficoltà di gestione; ● Parallelamente, però, il bambino ha anche manifestato sempre una serie di
competenze relazionali: riconosceva quando un compagno aveva bisogno di aiuto ed era in grado di
fornirgli il supporto necessario; ● Inoltre, in momenti di calma, era in grado di dialogare con l'adulto e di
comprendere quali comportamenti fossero errati. ● Questa capacità, però, veniva poi spezzata via da
improvvise esplosioni di rabbia; ● La situazione, infine, è ulteriormente degenerata alla scuola secondaria di
primo grado, laddove gli approcci punitivi adottati hanno solamente acuito le difficoltà di autoregolazione del
ragazzo, incrementando la frequenza di colluttazioni con i compagni.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 56/S3
Titolo: IL DISTURBO ANTISOCIALE
Attività n°: 01

CHIARA

● Chiara ha 15 anni, ha avuto una carriera scolastica segnata da risultati positivi e da


una condotta sempre tranquilla e controllata; ● La ragazza è stata appena sospesa, in
quanto coinvolta, insieme ad altre persone, in una serie di atti vandalici volti a
danneggiare un compagno di classe: insulti omofobici scritti sui muri della scuola,
danneggiamento di oggetti ecc.. ● Di fronte alla sanzione da parte della scuola e ai
rimproveri dei genitori, Chiara ha reagito con relativa indifferenza. ● Fin da piccola,
Chiara è stata considerata una bambina molto tranquilla; i rapporti con gli altri sono
sempre stati caratterizzati da una ridottissima incidenza di qualsiasi tipo di conflitto; ●
Inoltre non hai mai manifestato problemi nel distacco dai genitori all'ingresso alla
scuola dell'infanzia; ● Tutto il percorso scolastico di Chiara è stato segnato da ottimi
risultati e dall'assenza di qualsiasi rilevante problema di comportamento; tuttavia, in
alcune occasioni, le insegnanti hanno registrato una certa “freddezza” emotiva e una
tendenza ad annoiarsi facilmente, assumendo talvolta atteggiamenti di indifferenza
verso le attività svolte dai compagni.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 57
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività N°: 02

IL DISTURBO DA DEFICIT DI
ATTENZIONE E IPERATTIVITA’

Il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (conosciuto come DDAI o con la


sigla ADHD dall’inglese Attention Deficit Hyperactivity Disorder) è trattato sul libro
dal titolo: Diagnosi dei disturbi evolutivi nel capitolo 7 che deve studiare
al fine di integrare il contenuto delle slide. Si tratta di un argomento
piuttosto ampio, che attualmente ha una grossa rilevanza sociale, per l’aumentare
delle diagnosi (e di cure farmacologiche) relative ad esso.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 57
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività N°: 02

IL DISTURBO DA DEFICIT DI ATTENZIONE E IPERATTIVITA:


una definizione concisa

Il Disturbo da Deficit dell’Attenzione ed Iperattività, ADHD (acronimo


inglese per Attention-Deficit Hyperactivity Disorder), è un disturbo dello
sviluppo neuropsichico del bambino che si manifesta in tutti i suoi
contesti di vita, i cui sintomi cardine sono: inattenzione, impulsività e
iperattività
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Lezione N°: 57
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività N°: 02

Le novità del DSM-5, rispetto al DSM-IV

1) sono stati aggiunti esempi alle voci criterio per facilitare l'applicazione durante il corso
della vita,
2) il requisito cross-situazionale è stato rinforzato per "diversi" sintomi in ogni gruppo
(Disattenzione, Iperattività, Impulsività)
3) il criterio di insorgenza è stato cambiato da "sintomi che erano presenti prima dei 7 anni"
a "diversi sintomi di disattenzione o iperattività-impulsività erano presenti prima dei 12 anni";
4) i sottotipi sono stati sostituiti con presentazioni specifiche che si ricollegano direttamente
ai precedenti sottotipi;
5) una diagnosi di comorbilità con il Disturbo dello Spettro Autistico è ora consentita;
6) è stato operato un cambiamento nella soglia dei sintomi per gli adulti, in modo da
riflettere la sostanziale evidenza di compromissione clinicamente significativa per l’ADHD,
con un taglio per cinque sintomi.
.
Infine, l'ADHD è stato posto nel capitolo Disturbi dello Sviluppo Neurologico per
considerare i problemi correlati allo sviluppo cerebrale.
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Lezione N°: 57
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività N°: 02

I sintomi di Inattenzione
1. Scarsa cura per i dettagli, errori di distrazione
2. Labilità attentiva
3. Sembra non ascoltare quando si parla con lui/lei
4. Non segue le istruzioni, non porta a termine le attività
5. Ha difficoltà ad organizzarsi
6. Evita le attività che richiedono attenzione sostenuta (compiti)
7. Perde gli oggetti
8. E’ facilmente distraibile da stimoli esterni
9. Si dimentica facilmente cose abituali
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Lezione N°: 57
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività N°: 02

I sintomi di Iperattività
1. Irrequieto, non riesce a star fermo su una sedia
2. In classe si alza spesso quando dovrebbe star seduto
3. Corre o si arrampica quando non dovrebbe
4. Ha difficoltà a giocare tranquillamente
5. Sempre in movimento, come “attivato da un motorino”
6. Parla eccessivamente

I sintomi di Impulsività
7. Risponde prima che la domanda sia completata
8. Ha difficoltà ad aspettare il proprio turno
9. Interrompe / si intromette in attività di coetanei o adulti
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Lezione N°: 57/S1
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività N°: 02

ADHD

Prevalenza, decorso e comorbilità


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Lezione N°: 57/S1
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività N°: 02

PREVALENZA

I numeri variano tra il 2% e il 18% della popolazione in età scolare ma la stima migliore
sembra essere quella del 4%. Il rapporto tra maschi e femmine oscilla da 8:1 a 10:1.

Il deficit attentivo può essere presente già in età prescolare:


Bambini con scarse abilità di coordinazione motoria
Bambini con irregolarità nell’alimentazione e nel sonno
Bambini con ritardi nell’apprendimento del linguaggio
Bambini eccessivamente irrequieti e attivi: bambini che si interessano ai giochi per periodi
molto brevi; che cambiano attività e reagiscono in modo spropositato alle stimolazioni dei
genitori;
Bambini irritabili, con frequenti scatti di ira, con scarso controllo emotivo

Le manifestazioni del disturbo spesso persistono nella adolescenza e nella età adulta.
In età adulta, senso interiore di irrequietezza piuttosto che come grossolana iperattività
motoria, l’inattenzione comporta difficoltà ad organizzare le proprie attività e compiti
lavorativi.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 57/S1
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Attività N°: 02

DECORSO

Rischio di esiti negativi come la delinquenza, dipendenza da sostanze, abbandoni


scolastici precoci e difficoltà relazionali.
Importante indice predittivo di tale evoluzione è la presenza, già nell’infanzia, di un
disturbo della condotta associato all’ADHD. Tale associazione presenta una prognosi
significativamente peggiore di quella del disturbo di condotta isolato (Aylor et.al. 1996).

International Consensus Statement on ADHD (2002)

i soggetti che soffrono di ADHD non completano l’obbligo scolastico (32-40%),


raramente arrivano all’università (5-10%), hanno pochi amici, sono frequentemente
coinvolti in attività antisociali, mostrano maggiore frequenza di gravidanze prima dei 20
anni, di malattie sessualmente trasmesse (16%), di incidenti stradali dovuti a velocità
eccessiva e, da adulti, soffrono di depressione (20-30%) e di disturbi di personalità
(18-25%).

Solo una minoranza di casi mostra una remissione della sintomatologia.


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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 57/S1
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività N°: 02

Comorbilità

I bambini caratterizzati da questa diagnosi incontrano spesso delle difficoltà in aree importanti dello
sviluppo come l’apprendimento, il controllo della aggressività, le relazioni sociali.

Aggressività e comportamento antisociale. Entrambi sono frequentemente associati al deficit di


attenzione/iperattività. La comorbilità col disturbo della condotta e col disturbo oppositivo provocatorio
varia dal 30% al 50%.
La presenza di entrambi i disturbi costituisce un forte predittore dell’abuso di sostanze, della
delinquenza, e della iperattività in adolescenza.

Apprendimento e risultati scolastici. Sebbene la comorbilità con la diagnosi dei disturbi specifici
dell’apprendimento vari dal 10 al 30%, la presenza di problemi nelle attività scolastiche è una
caratteristica centrale del disturbo.
Ansia e depressione
Rifiuto da parte dei pari. E’ una delle caratteristiche associate più frequentemente riscontrata anche
quando non c’è aggressività da parte del bambino con questo disturbo.

Disfunzioni familiari. Alti livelli di stress, uno scarso senso di competenza genitoriale, e interazioni
genitore-bambino conflittuali sono caratteristiche familiari salienti che accompagnano il
disturbo. Sono caratteristiche che contribuiscono al mantenimento e al decorso del disturbo.
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Lezione N°: 57/S1
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività N°: 02

Caratteristiche Deficit Attenzione Deficit Attenzione


Senza Iperattività Con Iperattività
Storia di Psicopatologia Disturbi nello spettro Disturbi nello spettro
Familiare internalizzante; Difficoltà di antisociale e disturbi da
apprendimento deficit di attenzione
Sintomatologia Problemi specifici di attenzione Comportamenti oppositivi e
(alcuni problemi aggressivi, comorbidità per
internalizzanti) il disturbo oppositivo
provocatorio e disturbo
condotta
Problemi coi pari Isolamento sociale, Rifiuto attivo da parte dei
Trascuratezza da parte dei pari pari

Risultati scolastici Tassi più elevati di difficoltà di Tassi più elevati di


apprendimento sospensioni scolastiche e
supporti educativi speciali
Decorso Dati insufficienti Rischio per esiti
antisociali
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Lezione N°: 57/S
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività N°: 02

EZIOLOGIA E FISIOPATOLOGIA
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Lezione N°: 57/S
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Attività N°: 02

CAUSE NEUROBIOLOGIGHE

Il sistema di Controllo dell’attenzione (Corteccia prefrontale, Gangli della base, Talamo)


permette la soppressione di stimoli irrilevanti a vantaggio dell’elaborazione di quelli rilevanti
per un’azione adeguata

Il bambino ADHD è caratterizzato da un deficit specifico a carico delle funzione


esecutive e in particolare: nel controllo delle risposte e nel mantenimento della
vigilanza
I bambini con ADHD hanno deficit nei circuiti cerebrali che stanno alla base della
inibizione e dell’autocontrollo
Il bambino con ADHD non possiede una adeguata concentrazione di
neurotrasmettitori (dopamina e norepinefrina) tale da permettere un adeguato
funzionamento del Sistema di Controllo dell’Attenzione.
Nei gangli della base e nella corteccia prefrontale dei bambini adhd avviene un consumo di
glucosio inferiore rispetto al gruppo di controllo di circa il 10%
Il cervello dei bambini così carichi di energia ha un livello di attività inferiore rispetto a
quello dei bambini di controllo
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Lezione N°: 57/S
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività N°: 02

CAUSE GENETICHE

Diversi studi indicano che il disturbo può essere genetico e si basa su una
alterazione dei geni che sono attivi nello sviluppo della corteccia prefrontale e
che codificano il trasportatore della dopamina
CAUSE ALIMENTARI

ADHD esito di una reazione tossica/allergica a conservanti e coloranti contenuti nei


cibi.. I risultati delle ricerche sono però contrastanti.

Fattori di rischio FAMILIARI

Interazioni precoci madre-bambino stressate e intrusive. Altri studi individuano


una storia di maltrattamento o di abbandono; gravi disaccordi coniugali,
disturbi mentali nella madre; vita familiare disorganizzata e priva di regole
EZIOLOGIA MULTIFATTORIALE

E’ probabile che lo sviluppo del ADHD sia l’esito di un complesso


intreccio di fattori INTRAINDIVIDUALI, FAMILIARI E AMBIENTALI
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 57/S
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività N°: 02

Il deficit nelle funzioni esecutive


Le funzioni esecutive non hanno in letteratura una definizione univoca: le competenze che
la compongono si riferiscono ad abilità che permettono di pianificare, organizzare e
monitorare un’azione.
Welsh (2002) indica 3 domini separati di competenze delle FE:

Inibizione: durante lo svolgimento di un compito, infatti, un soggetto dovrebbe inibire tutti gli stimoli
«altri» diversi dal compito stesso, come stimoli esterni (rumori, suoni) o interni (altri pensieri, immagini).
Nei soggetti con ADHD vi è una mancata inibizione che causa caoticità esecutiva.

Pianificazione e memoria di lavoro: La pianificazione riguarda la capacità di scomporre


un’azione complessa in una serie di passi elementari da eseguire in successione. Si tratta di quelle
abilità che consentono di trattenere e organizzare in memoria le informazioni che saranno poi utilizzate
nel momento opportuno e inibire quelle non rilevanti per il compito. Una funzione fondamentale nel
pianificare e controllare l’azione è l’utilizzo del linguaggio interno, ovvero quella abilità che consente al
soggetto di ripetere sub-vocalmente le istruzioni per lo svolgimento del compito, così da inibire nel
contempo pensieri o stimoli interferenti. Tali competenze nei soggetti con ADHD sono compromesse.
Flessibilità cognitiva:
capacità di adattarsi a nuove situazioni di apprendimento e di muoversi abilmente tra vari stati mentali.
Queste funzioni cognitive sono state valutate attraverso l’uso di test in bambini con ADHD, la ricerca ha
confermato che i bambini con tale disturbo presentano deficit nei processi cognitivi superiori.
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Lezione N°: 57/S
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività N°: 02

Il controllo delle componenti attentive


L’attenzione può essere definita in modo generale come un processo cognitivo che permette di
selezionare determinati stimoli ambientali, ignorandone altri.

Le principali manifestazione comportamentali delle difficoltà attentive possono riassumersi in:


- Tempo ridotto di lavoro su uno stesso compito
- Maggior numero di distrazioni
- Frequenti cambi di interesse

Si possono distinguere le seguenti componenti attentive: sostenuta, divisa, focale o selettiva

Attenzione sostenuta: abilità di mantenere uno stato di vigilanza e attenzione durante le attività mentali
prolungate. Nei bambini con ADHD è stato riscontrato un deficit a livello dell’attenzione sostenuta, risulta
infatti eccessivo il decremento della vigilanza.

Attenzione selettiva: abilità di importanza fondamentale che permette di selezionare in modo coerente
e funzionale gli stimoli provenienti dall’esterno

Attenzione focale: insieme delle informazioni selezionate all’interno di un ambito spazio-temporale. E’


l’attenzione che viene indirizzata in modo specifico su un determinato bersaglio

Attenzione divisa: è il tipo di attenzione utilizzato maggiormente per buona parte della nostra esistenza
e permette di orientare l’attenzione a stimoli di natura diversa.
Corso Di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione N°: 57/S
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività N°: 02

I modelli motivazionali

Il modello del deficit nei meccanismi di risposta alla ricompensa detto delay-
avversion, per via della avversione alla attesa, parte dall’osservazione che i
soggetti con ADHD mostrano una forte intolleranza al saper aspettare per
la soddisfazione di un desiderio. Da ciò ne deriva uno stile motivazionale
caratterizzato dalla scelta di gratificazioni o ricompense immediate anche se di
minor entità, rispetto a gratificazioni di maggior entità ma in termini temporali
più distati da raggiungere.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 57/S3
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività n°: 02

ADHD:
Il percorso diagnostico
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 57/S3
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività n°: 02

Il percorso diagnostico richiede diverse fasi:

Richiesta di consulenza
Molte richieste di consulenza in età scolare vengono formulate in seguito alla presenza
di importanti livelli di iperattività, a volte associati a comportamenti aggressivi, crisi di
rabbia, irritabilità, litigiosità e provocatori.
Durante la scuola secondaria di primo grado, le problematiche principali interessano
principalmente: i sintomi cognitivi (disattenzione), maggiori difficoltà scolastiche,
evitamento di compiti prolungati, comportamenti oppositivi rispetto a richieste di sforzo
mentale
Durante l’adolescenza e la prima età adulta: chiaro disturbo dell’attenzione con ricadute
negli apprendimenti scolastici e di organizzazione della vita quotidiana, sensazione
soggettiva di instabilità e irrequietezza, instabilità lavorativa e nelle relazioni sociali

Età adulta: porta con sé delle peculiarità una chiara difficoltà nell’organizzazione del
lavoro, intolleranza alla vita sedentaria, condotte rischiose, rischio di marginalità sociale
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 57/S3
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività n°: 02

- Raccolta delle informazioni anamnestiche

- Colloquio e osservazione clinica


- Atteggiamento iniziale verso la situazione
- Rapporto con il clinico
- Osservazione durante il gioco

- La valutazione diagnostica
La valutazione di un paziente con ADHD è un processo lungo e complesso che attraversa
numerose fasi: interviste cliniche, esami medici, test neuropsicologici e valutazione
comportamentale effettuata tramite questionari. Che si tratti di bambini, adulti o adolescenti
che presentano la sintomatologia dell’ADHD, i dati ottenuti dovrebbero essere messi a
confronto tra di loro e interpretati clinicamente in relazione alla storia del paziente stesso.
Se pensiamo che un bambino con difficoltà comportamentali possa essere affetto da
ADHD, è necessario prima di tutto raccogliere informazioni da fonti diverse (genitori,
insegnanti, educatori), utilizzando interviste semi-strutturate o questionari standardizzati
(scale di valutazione) che ci consentano di indagare sui vari aspetti del comportamento e
del funzionamento sociale e adattivo del bambino. La letteratura internazionale offre in tal
senso un’ampia gamma di strumenti d’indagine che vengono descritti qui di seguito.
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Lezione n°: 57/S3
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività n°: 02

Interviste diagnostiche
L’intervista diagnostica è uno dei principali strumenti impiegati che consente di
raccogliere informazioni sulla situazione clinica generale del soggetto e di indagare sulla
eventuale presenza di altri disturbi o comorbidità, nonché sul funzionamento complessivo
del comportamento problema nei differenti contesti, come quello familiare o scolastico. E’ un
mezzo utile per rafforzare l’alleanza terapeutica tra il medico e il paziente, ma anche per
coinvolgere genitori e insegnanti nella fase di valutazione del trattamento, con lo scopo di
creare un ambiente di supporto per il bambino.

L’intervista al genitore rappresenta il principale strumento di valutazione indiretta,


largamente usato per raccogliere informazioni circa il comportamento del bambino e per
formulare una corretta diagnosi. L’utilizzo dell’intervista comportamentale può comunque
essere esteso anche ad altri adulti non facenti parte della famiglia, per lopiù insegnanti e
caregiver.
Alcuni scopi principali dell’intervista ai genitori sono: - stabilire una relazione tra genitore e
clinico; - ottenere informazioni sul bambino e sulla famiglia in generale, in particolare sul punto
di vista dei genitori riguardo al problema del figlio; - valutare il grado di stress presente nella
vita familiare originato dal comportamento del bambino, analizzando anche lo stato psicologico
dei genitori; - mettere in luce eventi specifici legati alla manifestazione del problema; -
formulare una diagnosi e programmare un intervento terapeutico.
Tra le piu’ utilizzate: Diagnostic Interview for Children and Adolescents (DICA; Reich et al. 1997).
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Lezione n°: 57/S3
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività n°: 02

Questionari di valutazione
Tali strumenti possono essere esclusivamente centrati sulla sintomatologia ADHD, oppure spaziare
sui diversi ambiti della psicopatologia, in modo da mettere a fuoco possibili disturbi associati (es.
disturbi dell’umore, disturbi d’ansia, disturbi della condotta).
I questionari maggiormente utilizzati, di cui esistono versioni italiane standardizzate od in corso di standardizzazione sono:
Child Behavior CheckList (CBCL, Achembach 1991; validazione italiana Frigerio). Molto usata in studi epidemiologici,
consente di definire e misurare un fattore “generale” relativo ai disturbi “esternalizzanti” e «internalizzanti» del
comportamento.
Conner’s Teacher, Rating Scale- Revised e Conner’s Parent Ratig Scale (CTRS-R, CPRS-R, forme lunga “-L” e breve “-
S”; Conners 1997; validazione della versione italiana in corso)
Disruptive Behavior Disorder Rating Scale (DBD; Pelham 1992; versioni validate italiane: SCOD-I e SCOD-G,
Marzocchi et al. 2001; Marzocchi et al. (2002)
ADHD Rating Scale –IV (DuPaul et al; 1998, di cui esiste una versione italiana curata da Marzocchi & Cornoldi). L’ADHD
Rating Scale è un metodo di misurazione dei sintomi dell’ADHD nei bambini e ragazzi di età compresa fra i 5 e i 18 anni.
Lo strumento comprende 18 item suddivisi in due subscale, Inattenzione e Iperattività/Impulsività, ognuna delle quali
composta da 9 item. La scala permette di ottenere le valutazioni di genitori e/o insegnanti riguardanti la frequenza con cui si
è presentato ciascun sintomo dell’ADHD nei sei mesi precedenti alla somministrazione, sulla base dei criteri stabiliti dal
DSM-IV. La ADHD Rating Scale - IV può essere completata in maniera indipendente da genitori e insegnanti, mentre il
calcolo del punteggio è affidato a un medico specializzato.
A nche la somministrazione al bambino di scale di autovalutazione per ansia e depressione (ad
esempio: Multidimensional Anxiety Scale for Children, MASC, March 1997; Children Depression
Inventory, CDI, Kovacs, 1992) puo’ essere utile. E’ opportuno ricordare che le scale di valutazione
completate da genitori, insegnanti e dallo stesso bambino, non consentono di formulare una diagnosi
clinica: sono peraltro strumenti preziosi come complemento diagnostico.
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Lezione n°: 57/S3
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività n°: 02

I test diagnostici

Permettono una misurazione delle capacita di attenzione prolungata, di pianificazione,


categorizzazione e di inibizione delle risposte automatiche.

Gli strumenti diagnostici: Il Continuous Performance Test (CPT) valuta il mantenimento


della vigilanza per un lungo periodo di tempo,

Un altro test, il Matching Familiar Figure Test (MFFT) valuta la capacità di inibire
risposte eccessivamente rapide ed automatiche.

E’ sempre opportuno misurare il livello cognitivo del soggetto con strumenti


standardizzati (Matrici Progressive di Raven o, meglio, WIPPSI o WISC-R)
e valutare le capacità di scrittura, lettura e comprensione del testo
(diagnosi differenziale con i disturbi specifici dell’apprendimento).
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Lezione n°: 57/S3
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività n°: 02

Sintesi diagnostica

Per realizzare una diagnosi di ADHD occorre procedere con estrema cautela e ricordarsi
che il profilo neuropsicologico non caratterizza in modo univoco tutti i soggetti ADHD ma
ci permette di orientare l’intervento.
Spesso i sintomi ADHD sono in comorbidità con i sintomi di internalizzazione (ansia e
depressione) e di esternalizzazione (disturbo oppositivo provcatorio e disturbo della
condotta) che peggiorano notevolmente il livello di funzionamento adattivo dei soggetti.
Il DSM 5: indica i seguenti livelli di gravità:
- Lieve, solo pochi sintomi in più rispetto a quelli richiesti per la diagnosi
- Medio, implica un modesto impatto significativo sul funzionamento sociale e lavorativo
- Severo, molti sintomi in più e compromissione del funzionamento sociale e lavorativo
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Lezione n°: 57/S3
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Attività n°: 02

IN SINTESI

Non esiste un unico esame diagnostico. Una diagnosi adeguata necessita di


un’indagine di tipo medico, neuro-psicologico, educativo e sociale e si deve basare
su un’anamnesi e una valutazione completa del bambino e non solo sulla presenza di
uno o più dei sintomi.
La diagnosi di ADHD si basa sulla classificazione del DSM-5 o sulla classificazione dell’ICD-
10 (International Classification of Diseases) dell’OMS. Per una valutazione accurata del
bambino, la diagnosi deve essere effettuata da specialisti della salute mentale dell’età
evolutiva con specifiche competenze sulla diagnosi e terapia dell’ADHD e sugli altri disturbi
che possono mimarne i sintomi o che possono associarsi ad esso. E’ estremamente
importante che il processo di valutazione, condotto da clinici specialisti, raccolga le
informazioni sul comportamento e la compromissione funzionale del bambino da fonti
multiple attraverso le interviste/colloqui con genitori, parenti, insegnanti o altre persone che
interagiscono con il bambino, al fine di escludere altre cause psichiatriche o ambientali che
possono eventualmente giustificare la sintomatologia clinica. Già a partire dal percorso
diagnostico, è essenziale la partecipazione-comunicazione del pediatra di famiglia referente
per la salute del bambino.
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Lezione n°: 58
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività n°: 01

ADHD:
L’INTERVENTO
MULTIMODOALE
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Lezione n°: 58
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività n°: 01

Alcuni principi di carattere generale

Il trattamento dell’ADHD deve avere una natura multimodale

I genitori, gli insegnanti e lo stesso bambino devono sempre essere coinvolti nella
messa a punto di un piano di trattamento individualizzato sulla base dei sintomi più
severi e dei punti di forza identificabili.

Si raccomanda un primo intervento basato su rigorosi ed intensi approcci psicosociali


(interventi comportamentali, terapia cognitiva, terapia familiare, supporto per
insegnanti).
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Lezione n°: 58
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività n°: 01

Quali obiettivi per il trattamento?

Migliorare le relazioni interpersonali con genitori, fratelli, insegnanti e coetanei

Ridurre comportamenti dirompenti ed inadeguati

Migliorare capacità di apprendimento

Aumentare autostima e autonomia

Migliorare l’accettabilità sociale del disturbo e la qualità di vita del bambino/adolescente


Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 58
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività n°: 01

Intervento farmacologico con psicostimolanti:

Negli Stati Uniti, dove l’utilizzo degli psicostimolanti e’ pratica accettata da decenni, le linee
guida raccomandano l’utilizzo degli psicostimolanti in tutti i casi di ADHD severo o
moderato, a condizione che il bambino viva con un adulto responsabile che possa
somministrare il farmaco, che il personale scolastico sia disponibile per la somministrazione
in orario scolastico e che siano state considerate altre modalità di intervento quali il parent
training od altri interventi psicoeducativi.

In Europa, dove le attitudini cliniche e le restrizioni legali limitano l’uso degli psicostimolanti,
le linee guida cliniche (Taylor et al. 1998) raccomandano un primo intervento basato su
rigorosi ed intensi approcci psicosociali (interventi comportamentali, di tipo
cognitivista, terapia familiare, supporto per gli insegnanti), anche se, non deve
precludere, in via di principio, l’uso degli psicostimolanti.

Per chi fosse interessato a questo tema suggerisco di visionare il siti: giù le mani dai
bambini. Giù le mani dai bambini ONLUS è la più importante campagna di informazione e
sensibilizzazione contro l'abuso di psicofarmaci nell’infanzia in Europa.
http://www.giulemanidaibambini.org/
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 58
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività n°: 01

Gli interventi psico-educativi

Scopo principale degli interventi deve essere quello di migliorare il


funzionamento globale del bambino/adolescente. In particolare gli interventi
terapeutici devono tendere a:

• Migliorare le relazioni interpersonali con genitori, fratelli, insegnanti e coetanei.


• Diminuire i comportamenti dirompenti ed inadeguati
• Migliorare le capacità di apprendimento scolastico
• Aumentare l’autonomia e l’autostima

Tali interventi sono focalizzati a garantire al bambino maggiore struttura,


maggiore attenzione, e minori distrazioni.
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Lezione n°: 58
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività n°: 01

Genitori ed insegnanti dovrebbero acquisire le


seguenti abilità:

1. Potenziare il numero di interazioni positive col bambino

2. Dispensare rinforzi sociali o materiali in risposta a comportamenti positivi del bambino

3. Ignorare i comportamenti lievemente negativi

4. Aumentare la collaborazione dei figli usando comandi più diretti, precisi e semplici

5. Prendere provvedimenti coerenti e costanti per i comportamenti inappropriati del


bambino
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Lezione n°: 58/S1
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività n°: 01

ADHD:

L’INTERVENTO MULTIMODOALE 2
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 58/S1
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività n°: 01

IL PARENT-TRAINING
Classicamente il Parent Training è inizialmente composto da 8-12 sessioni settimanali di
un gruppo di genitori con un terapista specificamente formato. Il programma delle sessioni
è focalizzato:
- miglioramento della comprensione da parte dei genitori delle caratteristiche del
bambino con ADHD

- insegnamento di abilità che permettano di gestire e migliorare le difficoltà che tali


caratteristiche comportano. Tecniche specifiche per guidare il bambino, rinforzare i
comportamenti sociali positivi e diminuire o eliminare quelli inappropriati.

Durante gli interventi di Parent Training volti a sostenere i genitori nell’educazione del loro
bambino DDAI, alcuni obiettivi specifici sono:
- evidenziare alcune abitudini di interazione problematica;
- fornire maggiori strategie di coping;
- migliorare e/o risolvere situazioni problematiche all’interno del contesto di vita quotidiano.

Nei più recenti programmi di parent- training si è iniziato anche a lavorare sulle
rappresentazioni mentali dei genitori e a utilizzare modelli cognitivi e psicodinamici
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Lezione n°: 58/S1
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività n°: 01

Alcuni suggerimenti per i genitori

E’ inoltre importante aiutare il bambino con DDAI attraverso una comunicazione chiara e
semplice, che lo aiuti a prestare attenzione. Ecco alcune indicazioni:
• Far sì che il luogo sia privo di distrazioni e assicurarci l’attenzione (contatto oculare,
toccandogli anche il braccio o prendendogli la mano). Può essere utile far ripetere al
bambino quanto gli si è chiesto di fare
• Affermazioni chiare e non ambigue, con tono di voce fermo (non rabbioso), frasi
semplici senza troppi incisi e “parentesi”
• Non usare la retorica (“non ti sembra sia arrivato il momento di spegnere la tv e mettersi
a studiare?”), perché non esprime chiaramente l’ordine da eseguire. Meglio: “spegni la
televisione!”
• Non eccedere con gli ordini, dare solo quelli necessari (le regole che può tenere a
mente il bambino sono limitate). In genere più non si viene obbediti e più si danno
ordini, invece è meglio presentare poche e significative regole.
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Lezione n°: 58/S1
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività n°: 01

• Se la regola non è eseguita, ci dev’essere una sanzione. Meglio poche regole con
conseguenze certe, piuttosto che tante regole e senza conseguenze.
• Le regole richieste devono essere calibrate sul bambino. Non ha senso chiedere al
bambino con DDAI di stare fermo 20 minuti…è ovvio che trasgredirà! E’ importante che ciò
che chiediamo sia eseguibile dal bambino.
• Dare un’istruzione alla volta, perché il bambino non se le ricorda e non riesce a pianificare
(es. “prendi i quaderni per fare i compiti” e non “prendi i quaderni, fai i compiti e poi
preparati per la cena”)
• Dire prima al bambino cosa ci aspettiamo (es. “quando andiamo dai nonni devi: salutare
appena entri e rimettere a posto quello che tocchi”)
• Esplicitare sempre il comportamento richiesto: “finisci l’esercizio”, “spegni la tv”. Quando il
bambino non ubbidisce, si può ribadire il comportamento e aggiungere un limite di tempo
entro cui il compito dev’essere fatto e la conseguenza se ciò non accade: “spegni la tv
entro 2 minuti e vieni a cena, altrimenti dopo non vedrai i tuoi cartoni preferiti”.
In questo modo indichiamo: cosa ci aspettiamo dal bambino, gli diciamo che l’applicazione
della conseguenza è in mano sua
• Dare dei feedback (il bambino così capisce se ciò che ha fatto è stato apprezzato o meno)
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Lezione n°: 58/S1
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività n°: 01

Il teacher training
Il teacher training ha lo scopo di fornire tre principali competenze ai docenti coinvolti:
1. Capacità di osservare e interpretare correttamente il comportamento del bambino in
classe. Agli insegnanti viene presentato il disturbo e i suoi principali sintomi,
l’attenzione è posta sulle manifestazioni in classe dell’ADHD e sulle difficoltà che il
bambino con questo disturbo può presentare in compiti di apprendimento. L’obiettivo
che si intende raggiungere è quello di chiarire la natura di questo disturbo ed evitare
l’instaurarsi di false credenze.
2. Capacità di strutturare spazi, tempi e compiti in modo da sostenere l’apprendimento
del soggetto ADHD. Vengono forniti suggerimenti su come creare un ambiente che
possa essere sia facilitante per il bambino, sia per l’instaurarsi di una buona relazione
insegnante/ alunno. L’obiettivo è mostrare come poter intervenire sull’ambiente per
ottenere dei cambiamenti nelle manifestazioni comportamentali del soggetto.
3. Capacità di utilizzare in modo efficace strumenti e strategie per favorire l’integrazione
del soggetto ADHD nel gruppo classe. Agli insegnanti vengono presentate alcune
strategie per la gestione dell’alunno in classe, in modo particolare per far fronte alle
difficoltà relazionali che potrebbero manifestarsi in seguito ad alcuni comportamenti
impulsivi messi in atto dal bambino con ADHD. L’obiettivo è fornire strumenti per
intervenire nel contesto classe e aumentare le possibilità di successo relazionale e
inserimento sociale del bambino
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Lezione n°: 58/S1
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività n°: 01

Alcuni suggerimenti per gli insegnanti


Accorgimenti per contenere un’eccessiva attività
• Non tentare di ridurre l’attività ma incanalarla e utilizzarla per finalità
accettabili
• Usare l’attività come premio
• Usare l’attività come risposta alle istruzioni

Accorgimenti per contenere un’eccessiva impulsività


1. non chiedere al bambino di aspettare ma offrire una risposta motoria da
compiere durante l’attesa
2. Incoraggiare il bambino a esprimere le sue capacità positive di leadership

Accorgimenti per evitare la caduta dell’attenzione


1. Diminuire la lunghezza del compito
2. Rendere i compiti più interessanti
3. Cercare le novità, specialmente alla fine di un lungo compito
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Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività n°: 01

L’intervento con la famiglia

I bambini con ADHD sono privi di quel “savoir faire sociale” che consente loro di
integrarsi socialmente con i coetanei e gli adulti; in particolare, coi fratelli e i genitori.

Ciò causa frequentemente senso di inadeguatezza, bassa autostima, bassa soglia alle
frustrazioni. Tali "sensazioni" rendono più difficile inibire la propria impulsività,
pianificare i propri comportamenti e stabilire relazioni sociali gratificanti.

Risulta fondamentale lavorare con la famiglia per una chiarificazione elaborazione dei
pensieri e delle emozioni connesse che caratterizzano tutti componenti
relativamente alla sintomatologia ADHD.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 58/S1
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività n°: 01

In sintesi…

L’intervento consigliato per l’ADHD si basa su un approccio


multimodale e combinato che combina interventi psicosociali
e eventualmente terapie mediche.

I genitori, gli insegnanti e lo stesso bambino devono sempre


essere coinvolti nella messa a punto di un programma di
intervento, individualizzato sulla base dei sintomi più severi e
dei punti di forza identificabili nel singolo bambino.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 58/S2
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività n°: 01

L’ADHD «dal vivo»


forum

Vi presenterò ora alcune testimonianze di bambini, genitori, insegnanti e fratelli


di bambini con ADHD. Vi chiedo di leggerle e di commentare sul forum, quali
sono le testimonianze che vi hanno maggiormente »colpito», spiegando le
vostre motivazioni al riguardo e facendo collegamenti con quanto studiato sul
tema sia in termini diagnostici sia terapeutici.

Si tratta di testimonianze tratte dal sito: A.I.F.A.Onlus Associazione Italiana


Famiglie ADHD
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 58/S2
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività n°: 01

Qualche giorno fa, in un momento tranquillo mio figlio mi ha detto: "Sai mamma è come se io
avessi due cervelli: uno dove ce l'hanno tutti e l'altro nella bocca, ma il problema è che quello che
ho nella bocca, non lo controllo io e dice cose che non vorrei direi...".

Io sono cattivo perché disubbidisco spesso ai miei genitori e li faccio arrabbiare.


Io sono irrequieto perché quando mi chiedono di stare fermo io non ci riesco.
Io sono svogliato perché quando la maestra mi dice di svolgere il compito sento una grande fatica che
mi impedisce di farlo.
Io sono geloso perché quando la mamma fa le coccole alla mia sorellina soffro pensando che la
mamma vuole più bene a lei che a me.
Io sono un confusionario perché per attirare l’attenzione dei compagni invento sempre qualcosa di
burrascoso che fa arrabbiare la maestra.
Io sono trasandato perché quando mi vesto indosso i vestiti nel modo sbagliato.
Io sono ribelle perché trasgredisco le regole che non capisco.
Io sono cialtrone perché perdo continuamente tutto nonostante che ripeta a me stesso di stare più
attento.
Io sono sconclusionato perché quando faccio i compiti non riesco a scrivere in modo decente e non li
porto quasi mai a termine.
Io sono distratto perché a scuola quando scorgo dalla finestra il volo di una farfalla non presto più
attenzione a quel che avviene in classe.
Io sono sognatore perché uso la mia fantasia per non sentire la mia ansia.
Io sono infelice perché non riesco a capire il motivo di essere diverso dagli altri e di non poter vivere
spensieratamente.
Io sono triste perché sento dentro di me un gran vuoto che niente e nessuno riesce a colmare.
Io sono disperato perché a volte neanche il babbo e la mamma riescono a capirmi.
Io sono un bambino che tenta in tutti modi di mostrarvi chi sono, ma voi adulti lo capite?

Un bambino ADHD, Firenze 12/11/2004


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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 58/S2
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività n°: 01

Ho conosciuto il vostro sito così per caso e leggendo le varie storie ho trovato delle analogie con la
mia... Sono la sorella di un bambino diverso da tanti altri bambini che ho conosciuto, a volte troppo
scontroso e aggressivo, un bambino che quando è a casa fa di tutto per attirare l'attenzione su di
sé... Mio fratello condiziona le giornate di tutti i suoi familiari e questo a volte mi fa paura... Cambia
spesso umore e se non si fa quello che dice lui scatena una furia assurda... I miei genitori hanno
attenzioni tutte per lui, ma non è tanto questo che mi fa arrabbiare, quanto il fatto che il
comportamento di mio fratello condizioni l'umore di tutti noi...
A volte vorrei gioire per le cose belle che fuori mi capitano ma spesso ne sono impedita
dall'atmosfera che la prepotenza di mio fratello ha creato in casa... ed è così che spesso mi ritrovo
a piangere da sola perché capisco che è difficile anche per lui, che anche lui soffre, forse anche più
di noi e quando penso questo capisco che dovrei aiutarlo...
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 58/S2
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività n°: 01

Sono un'insegnante alle "prese" con un bambino affetto da ADHD.


E' inutile riferire la fatica incommensurabile per far accettare un bambino che, agli occhi degli altri, appare difficile,
indomabile: praticamente un selvaggio! Per me Paolo è solo un bambino più vivace ed intelligente degli altri e con un
guizzo strano negli occhi che talvolta lo induce a fare cose insolite. Dopo grande sforzo (e tante ore di studio su
manuali di psicologia e psichiatria - si immagini - neo-immessa nei ruoli come insegnante di sostegno, senza alcuna
esperienza a riguardo), sono riuscita a trovare la "formula magica" che mi ha consentito di controllare il suo
comportamento aggressivo e di aumentare i tempi dell'attenzione con notevoli progressi in tutte le discipline. Certo, non
mancano le difficoltà quotidiane, ma penso che i bambini ADHD riescano a percepire immediatamente se sono amati,
accettati o al contrario rifiutati. Non sono affatto migliore di altri insegnanti, ma amo il mio lavoro ed adoro i bambini, il
loro mondo magico immerso in oniriche illusioni. Ogni giorno, prima di entrare in classe, rammento l'insegnamento di
Don Lorenzo Milani che affermava, riferendosi ai ragazzi difficili della scuola di Barbiana, " I care", mi importa, mi sta a
cuore.
Ed è quello che faccio con Paolo ascoltandolo, prevedendo le sue difficoltà, comunicandogli tutta la mia fiducia ed il
mio affetto, ma nel contempo lo faccio sentire come gli altri, anche quando sguaina una spada improvvisata con una
riga o gira su stesso a braccia aperte. Penso che un bambino ADHD abbia qualcosa in più rispetto agli altri, rispetto a
tutti noi, ingessati nel nostro claustrofobico sistema di regole e divieti: egli ha la libertà ed il coraggio di esprimere i
sogni ed i desideri più profondi, quelli che tutti noi avremmo voluto realizzare, ma che non abbiamo mai avuto il
coraggio neppure di ammettere finendo molto spesso sul lettino di un terapeuta.
Mi rendo però anche conto di quanto sia importante far acquisire ad un bambino con deficit dell'attenzione, le principali
regole della convivenza democratica ed è per questo che ho messo in atto, con buon esito, alcune fondamentali
strategie della psicologia cognitivo - comportamentale, al fine di ridurre le risposte negative ed incrementare quelle
positive mediante appositi rinforzi. VIsto il successo ottenuto con tali interventi psicologici , ho suggerito alla mamma
del bambino di rivolgersi presso tutte le principali strutture sanitarie, al fine di verificare se vi fosse qualche bravo
terapeuta o psicologo esperto in terapie cognitivo-comportamentali in grado di seguirlo in orario extrascolastico, ma la
ricerca è stata vana. Possibile che un disturbo così diffuso sia altrettanto misconosciuto nel nostro Paese?
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 58/S3
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività n°: 01

L’ADHD «dal vivo»


Forum
Vi presenterò ora alcune testimonianze di bambini, genitori, insegnanti e fratelli di
bambini con ADHD. Vi chiedo di leggerle e di commentare sul forum, quali sono le
testimonianze che vi hanno maggiormente »colpito», spiegando le vostre
motivazioni al riguardo e facendo collegamenti con quanto studiato sul tema.

Si tratta di testimonianze tratte dal sito: A.I.F.A.Onlus Associazione Italiana Famiglie


ADHD
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
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Lezione n°: 58/S3
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività n°: 01

Abbiamo voluto aspettare per raccontare la nostra esperienza, perchè volevamo che fosse la testimonianza di una storia
andata a buon fine...
Siamo genitori di un bambino al quale è stato diagnosticata l'ADHD. Dall'età di un anno ci accorgemmo che era un
bambino difficile e strano nel comportamento, piangeva con facilità e senza motivo, era intrattabile, incontenibile,
irrequieto. Ha sempre mancato di autocontrollo, tanto da sembrare un bambino disinibito. Mia moglie non ricorda
momenti di tenerezza in braccio, perché il bambino preferiva correre e distrarsi continuamente, lanciare tutto in aria,
molto distruttivo. Da un lato era acuto e attento, non gli sfuggiva niente e a noi questo sembrava molto positivo. Adesso
nostro figlio ha sei anni e peggiora tantissimo quando usciamo di casa, quando è alle feste ed in compagnia con altri
bambini o cuginetti suoi coetanei. Nei compleanni i regali non li guarda neppure perché distratto, bisticcia, si agita e
finisce la giornata sconvolto e distrutto. Nelle gite si dimentica della nostra presenza, non mangia, non sta seduto, è
sempre in movimento, l'unica cosa che gli interessa è correre. Dopo varie visite specialistiche all'Ospedale di
Neuropsichiatria infantile, una TAC, un ricovero (mandato via dall'ospedale perché disturbava) gli venne correttamente
diagnosticato il "Disturbo da deficit di attenzione/iperattività". Il problema però fu il progetto terapeutico. In questo periodo
gli vennero proposti degli incontri trimestrali con il neuropsichiatra e che consistevano nel far fare al bambino quello che
voleva lui... Non riscontravamo, ovviamente, nessun miglioramento... A noi non venne dato nessun consiglio
psicoeducativo adatto al suo problema. Alla scuola materna le maestre riuscirono ad insegnargli ben poco,
perché affermavano che lo distraeva anche la mosca che volava, non stava attento, non rispettava le regole,
disturbava i suoi compagni che lavoravano, distruggendo i loro lavori. Dalla mensa lo esonerammo in quanto
non mangiava e si arrabbiava tanto e dopo era esausto ed irritabile e pertanto decidemmo di fargli frequentare la
scuola solo al mattino, con grande gioia delle maestre. Sperando che con il tempo sarebbe maturato, (così
affermavano medici e maestre) siamo arrivati alla prima elementare ed i problemi sono cresciuti maggiormente.
Non riesce a stare seduto nel banco durante le lezioni, esce fuori dall'aula senza permesso e chiacchiera molto,
si dimentica le matite e quant'altro altro, ritorna a casa con i compiti incompleti e disordinati. A volte piange
sostenendo che è stanco, ma ultimamente abbiamo scoperto che mente per nascondere i suoi falli. Parla
sempre e pensa ad alta voce, canta, non è per niente timido, anzi. Nella scuola in pochi giorni lo conoscono in
molti e la maestra di matematica ha affermato che è un bambino "esibizionista". E' comunque molto intelligente
e un bambino meraviglioso. Eravamo esausti di questa situazione e cercando questa sindrome su Internet
abbiamo scoperto il vostro sito….
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Lezione n°: 58/S3
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Attività n°: 01

Le testimonianze di altri genitori "incompresi" come noi ci hanno molto aiutati, ma la speranza si è accesa
quando abbiamo scoperto e che era possibile affrontare questa turba con una terapia farmacologica. Ci
siamo così subito rivolti al Centro della nostra Regione, da voi indicato nel sito, quello di Cagliari, e con
grande gioia abbiamo scoperto un'equipe di medici espertissimi e competenti su questa problematica. In
soli tre giorni di ricovero nostro figlio è stato sottoposto a visite di ogni tipo, test ed esami specialistici.
Adesso è in terapia farmacologica con il "Ritalin" e siamo meravigliati, contenti ed ancora increduli del
miglioramento che in soli due giorni di terapia nostro figlio ha mostrato. Tutti i sintomi sopradescritti non
esistono più, è sereno, pensa, non parla eccessivamente, non è indisponente, non è irritante, anzi è più
simpatico ed ha un atteggiamento amorevole. Vuole svolgere i compiti da solo, è riuscito a fare i disegni da
solo per un'ora senza fermarsi, cosa che per lui era un grosso problema. Non s'incanta ma è veloce, riesce
a capire meglio ed a ragionare, e meno stupido e sciocco, sembra più maturo, insomma non è più
iperattivo ed è più concentrato. Questo si chiama "Miracolo"! Vogliamo allora rivolgerci a quei genitori un
po' increduli: il bambino con la terapia diventa "normale", non è "sedato", non è "allucinato", ma è sereno.
Cari genitori vi vogliamo incoraggiare, perché anche noi eravamo sconfortati, delusi e stanchi, ma sappiate
che questa sindrome è curabile, non aspettate a domani, ma muovetevi adesso!
Grazie a voi per il vostro progetto: che Dio vi benedica!
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Lezione n°: 58/S3
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Attività n°: 01

Sono una mamma disperata. Mio figlio é seguito da uno psicologo da quattro anni, ma ho
avuto pochi risultati, la scuola mi sta distruggendo. Davide è un bambino iperattivo con
disturbo di attenzione; a scuola è spesso in castigo perchè disturba e non rispetta i compagni
e nemmeno le insegnanti. In alcune circostanze è anche aggressivo: pochi giorni fa ha
colpito con una gomitata il viso di una bambina provocandole un ematoma. Frequenta la
quinta elementare in un piccolo paesino (in classe sono in sette) ed è stato sospeso per tre
giorni e non so se questo sia il modo giusto per punirlo, dal momento che le insegnanti sanno
che lo sto portando dallo psicologo per i suoi problemi. Il periodo scolastico è stato un
calvario: spesso stata richiamata per il suo comportamento dalle insegnanti e frequenti
telefonate brusche di genitori dei compagni di scuola, per la sua impulsività. Aiutatemi!
Comincio ad essere stanca...
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 58/S3
Titolo: DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Attività n°: 01

Marco
... sono un ricercatore Italiano nel campo
dell'elettrofisiologia cerebrale, attualmente
impiegato in Francia. Ho avuto modo di visionare il
sito GiuLeManiDaiBambini.org ed ho immenso piacere
nel constatare che in Italia vi è coscienza circa i rischi
legati all'assunzione delle anfetamino-simili come il
Ritalin per il trattamento del disordine dell'attenzione
con o senza iperattività (ADD/ADHD).
Sono a Vostra disposizione per ulteriori chiarimenti,
non esitate a contattarmi per ulteriori informazioni...
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 59
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO
Attività n°: 01

IL BULLISMO

Nel corso di questa e della prossima lezione parleremo di una tematica molto attuale,
ovvero del bullismo e del cyberbullismo.

Per chi fosse interessato si consiglia la lettura del testo di Caravita & Gini (2010) L’immoralità
del bullismo. Edizioni Unicopli, Milano.

Lo studio della lezione va integrato con i contenuti dell’articolo di: Dimitri, S., Pedroni, S.,
& Donghi, E. (2018). Attraverso le sofferenze della vittima: tra bullismo, cyberbullismo e
proposte di intervento. Maltrattamento e abuso all’infanzia
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 59
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO
Attività n°: 01

La specificità del bullismo

Bullismo = una forma specifica di aggressività.

“Uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o


vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle
azioni negative, messe in atto da parte di uno o più compagni”
(Olweus, 1993)

“Azione negativa”:
“Situazioni in cui qualcuno intenzionalmente infligge o tenta di infliggere
un’offesa od un disagio ad un altro”.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 59
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO
Attività n°: 01

Criteri distintivi del bullismo rispetto ai comportamenti


aggressivi

 Intenzionalità
 Reiterazione;
 Presenza di uno squilibrio nella forza (fisica
o psicologica) e nel potere all’interno della
relazione tra il bullo e la vittima;
 Mancanza di provocazione da parte della
vittima.

DIMENSIONE RELAZIONALE DEL BULLISMO


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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 59
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO
Attività n°: 01

Bullismo: diretto e indiretto

Il bullismo si può manifestare in modo "diretto" e "indiretto".

Il bullismo diretto consiste nel picchiare, prendere a calci e a pugni, spingere, dare
pizzicotti, appropriarsi degli oggetti degli altri o rovinarli, minacciare, insultare, offendere,
prendere in giro, esprimere pensieri razzisti sugli
altri o rovinarli.
Il bullismo indiretto, invece, si gioca più sul piano psicologico, meno visibile e più difficile
da individuare, ma non meno dannoso per la vittima di "turno«.
Esempi di bullismo indiretto sono: l'esclusione dal gruppo dei coetanei, l'isolamento, la
diffusione di pettegolezzi e calunnie sul conto della vittima, il danneggiamento dei rapporti
di amicizia.

Il bullismo è un fenomeno che riguarda sia maschi che femmine, seppure si esprima
nelle differenze di genere. Infatti i maschi mettono in atto soprattutto prepotenze di tipo
diretto, come aggressioni fisiche e verbali. Le femmine, invece, utilizzano in genere
modalità indirette di prevaricazione e le rivolgono prevalentemente ad altre femmine,
sebbene negli ultimi tempi diversi episodi denotino che il genere femminile sta mutuando i
comportamenti aggressivi, tipici maschili
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 59
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO
Attività n°: 01

Forme assunte dalla prevaricazione


Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 59
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO
Attività n°: 01

L’eterogeneità del bullismo:


Alcune indicazioni operative

• La complessità del bullismo richiede di focalizzare


l’attenzione anche su forme meno evidenti di prepotenza,
ma altrettanto dannose.
• La messa in atto di interventi contro la prevaricazione
richiede un’attenta lettura del fenomeno nella propria classe
o scuola.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 59/S1
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO
Attività n°: 01

Caratteristiche del fenomeno

Differenze di genere: i maschi usano prevalentemente le forme dirette


di prepotenza, mentre le femmine utilizzano di più le modalità indirette
(esclusione, isolam ento sociale, ecc.).

Con la crescita le forme occasionali di bullismo tendono a diminuire


per:

a) Pressioni alla socializzazione, esercitate dagli adulti e dai pari;

b) Interiorizzazione delle regole e dei valori sociali;

c) Sviluppo delle capacità empatiche (capacità di comprensione e


condivisione dei sentimenti e delle emozioni degli altri).
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Lezione n°: 59/S1
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO
Attività n°: 01

Tendenze evolutive

 la vittimizzazione tende a calare con l’età;


la prevaricazione agita decresce negli anni di passaggio tra cicli
scolastici, ma aumenta nuovamente negli anni successivi.
Con l’età:
 Diminuzione delle prepotenze dirette;
 Aumento delle forme indirette.
Per lo più il prevaricatore è coetaneo o maggiore della vittima.
Nella preadolescenza le prepotenze si differenziano in base al
genere ed alla classe.
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Lezione n°: 59/S1
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO
Attività n°: 01

Adolescenza e comportamenti prevaricanti

• Nella preadolescenza e nella adolescenza le prepotenze si


spostano dalla classe alla compagnia (Bonino, 2000).

• Nell’adolescenza la prevaricazione è trasversale alle classi ed
in certa misura ai contesti (scuole):

bullismo e baby gang ⇒ fenomeni connessi



Famiglia, scuola e altre agenzie educative devono essere
coinvolte nella prevenzione e nel contrasto del fenomeno.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 59/S1
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO
Attività n°: 01

Effetti a breve e lungo termine


I ruoli di vittim a e di prevaricatore persistono nel tem po e
divengono stabili → PERM ANGONO NELL’ADOLESCENZA E
N ELL’ETÀ ADULTA.

Effetti per le VI TTI M E:


 Breve term ine : disperazione e disaffezione per l’attività
scolastica (alle scuole superiori ¼ delle vittime desidera
lasciare la scuola o si mostra rassegnato rispetto al
perdurare delle prepotenze nel futuro).
 Lungo term ine : da adulti sono maggiormente affetti da
depressione.
Effetti per i P REVARI CATORI :
 da adolescenti ed adulti presentano livelli più elevati di
delinquenza conclamata.
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Lezione n°: 59/S1
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO
Attività n°: 01

I luoghi delle prepotenze


• Nelle scuole la maggior parte delle prevaricazioni si verificano
entro l’edificio scolastico: nell’aula delle lezioni (sup.: 54,8%),
nei corridoi (sup.: 42,3%), nei bagni (sup.: 30,7%).
• In generale, le dimensioni della scuola non sembrano influire
sulla frequenza delle prevaricazioni.
• In Italia: il problema delle prepotenze si presenta con una
gravità ed una configurazione diversa a seconda della regione,
del territorio e, nelle città più grandi, a seconda del quartiere.

• Le differenze delle zone riflette la compattezza normativa della
comunità e dei modelli educativi e valoriali proposti dai genitori.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 59/S2
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO
Attività n°: 01

I protagonisti del fenomeno


(Salmivalli et al., 1996)
 Bullo: prende attivamente l’iniziativa di fare prepotenze (il 13,4% degli alunni di
scuole superiori; il 18,9% bulli-vittima).
 Aiutante del bullo (“seguace” del bullo): ha una posizione secondaria nella
prevaricazione.
 Sostenitore del bullo: rinforza il comportamento del bullo (ride, sta a guardare,
ecc.) (il 42,63% dei ragazzi di scuole superiori si diverte e fa il tifo per il bullo).
 Vittima: subisce spesso sopraffazioni (21,4% degli alunni di scuolr sup.).
 Difensore della vittima: prende le difese della vittima (il 19,5% degli alunni delle
scuole superiori).
 Esterno: non fa niente, cerca di restare estraneo (il 34,94% degli studenti delle
scuole superiori).

Il “bullismo” è sovente un fenomeno che interessa tutto il gruppo-


classe e quindi non è riducibile alla condotta disadattiva individuale
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Lezione n°: 59/S2
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO
Attività n°: 01

Prevaricatori
p. principali p. passivi (aiutanti del bullo)
 Coetanei o maggiori della vittima;
 Spesso fisicamente più forti della media dei compagni;
 Presentano un comportamento marcatamente aggressivo verso i pari e
verso gli adulti del contesto scolastico;
 Una “personalità aggressiva”
 Valutazione strumentale della violenza e volontà di affermazione di sé;
Autostima nella media;
Presentano livelli di ansia ed insicurezza bassi o nella media;
 Tendenza al machiavellismo e al disimpegno morale;
 Processi di pensiero sofisticati (ad es. la capacità di leggere la mente altrui);
 Diversi bulli si sentono AMMIRATI E TEMUTI dai compagni e per questo sono
motivati alle prepotenze;
 Molti bulli reputano le vittime “deboli”, “inferiori”, “idioti”, “diversi”, “gradassi” e
“rompiscatole”;
 Alle sup. il 70,4% dei bulli privilegia valori “egoistici” a valori “sociali”; i valori
“altruistici” di “realizzazione di sé” sono ritenuti meno importanti.
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Lezione n°: 59/S2
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO
Attività n°: 01

1. Vittime
v. passive v. provocatrici

 Timidi, ansiosi ed insicuri;  Ragazzi irritabili e talvolta


 Basso livello di autostima, locus iperattivi;
of control esterno;  Modello di comportamento
 Poco aggressivi ⇒ con scarse aggressivo oltre ad un modello
difese (per i pari); di comportamento ansioso;
 Carenze nelle capacità  Locus of control esterno e
relazionali e nella gestione del maggiore tendenza alla
conflitto; depressione;
 Bassa popolarità tra i
 Bassa popolarità tra i
compagni.
compagni.
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Lezione n°: 59/S2
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO
Attività n°: 01

Fattori di rischio – individuali


Temperamento difficile
Disturbi diagnosticati:

Bullo
• Bullismo e ADHD:
– Sottotipi ADHD.
• Bullismo e Disturbo Oppositivo-Provocatorio.
• Bullismo e Disturbo di Condotta.
Vittima
• Bullismo e Difficoltà di Apprendimento.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 59/S2
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO
Attività n°: 01

Fattori di rischio – Il contesto familiare.

• Presenza di alcuni atteggiamenti educativi scorretti:


– Rifiuto e freddezza nella prima infanzia;
– Uso di metodi coercitivi di punizione;
– Scarso monitoraggio delle attività del giovane;
– Permissivismo (percepito dal figlio) verso i comportamenti
prepotenti messi in atto dal ragazzo a scuola.
• Mancanza di coerenza nel far rispettare le norme;
• Mancanza di coesione all’interno della famiglia del prevaricatore;
• Comunicazione problematica con i genitori;
• Conflittualità tra genitori (nei casi limite violenza assistita);
• Processi di pensiero (come il disimpegno morale) possono essere
appresi;
• Determinati sistemi valoriali possono essere appresi.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 59/S2
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO
Attività n°: 01

Fattori di rischio – Il gruppo dei pari.

• Contagio sociale = il comportamento prevaricante si può diffondere


attraverso l’osservazione e l’imitazione di un bullo che costituisce un
modello (talora desiderabile);
• Abbassamento dei freni inibitori verso le prepotenze;
• Attuazione di alcuni meccanismi psicologici di autogiustificazione
come la diffusione di responsabilità;
• Il meccanismo del capro espiatorio : in casi particolari la vittima può
essere il capro espiatorio del gruppo (anche della classe che è sotto
tensione per le valutazioni degli insegnanti);
• Atteggiamenti di accettazione del bullismo entro la classe (Salmivalli
& Voeten, 2004).
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 59/S2
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO
Attività n°: 01

Fattori di rischio – Il contesto scolastico.


• Stili educativi inadeguati (permissivismo, eccesso
di autoritarismo, ecc.) che creano un clima
disfunzionale in classe;
• Inefficienze nel controllo e soglia di attenzione
bassa verso il problema;
• Mancata coordinazione dell’intervento educativo
tra insegnanti.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 59/S3
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO
Attività n°: 01

Il cyberbullsimo

Il contenuto della Lezione è stato tratto dall’articolo dal titolo: Il funzionamento morale
come fattore di rischio per il bullismo e il cyberbullismo di Caravita, Milani, Binaghi,
Apolloni, pubblicato sulla rivista Maltrattamento e abuso all’infanzia, marzo 2018

Lo studio della lezione va integrato con i contenuti dell’articolo di. Dimitri, S., Pedroni, S., &
Donghi, E. (2018). Attraverso le sofferenze della vittima: tra bullismo, cyberbullismo e
proposte di intervento. Maltrattamento e abuso all’infanzia
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 59/S3
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO
Attività n°: 01

La definizione di cyberbullismo è ancora oggetto di dibattito. Tra le definizioni del


fenomeno, Smith e colleghi (2008) hanno proposto la seguente: «Un atto
aggressivo, intenzionale, condotto da un gruppo o da un individuo, utilizzando
mezzi elettronici di comunicazione, più volte e nel tempo, ai danni di una
vittima che non può facilmente difendersi» (p. 376).
Questa descrizione del cyberbullismo evidenzia la sua stretta relazione con il
bullismo tradizionale (o offline), in quanto ne riprende le caratteristiche distintive
(Olweus, 1996): l’intenzionalità della condotta violenta, la reiterazione nel tempo e
lo squilibrio di potere tra bullo e vittima, tale per cui la vittima si trova in difficoltà a
proteggersi.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 59/S3
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO
Attività n°: 01

La differenza tra bullismo tradizionale ed elettronico risiede, semmai, nel fatto che nel
cyberbullismo manca il rapporto faccia a faccia tra la vittima e il cyberbullo, e che le
tecnologie, per le loro caratteristiche di anonimato e diffusione nel tempo e nello spazio,
modulano queste tre dimensioni distintive del bullismo.

Nel bullismo elettronico, lo squilibrio di potere che viene a crearsi tra vittima e cyberbullo
non risente della fisicità della persona o dell’interazione quanto piuttosto dell’anonimato e
della percezione di invisibilità di cui beneficia il cyberbullo (Vandebosh & Van Cleemput,
2008). L’intenzionalità e la responsabilità dell’azione denigratoria assumono, inoltre una
forma indiretta e diffusa, in quanto è difficile risalire al responsabile principale della
prepotenza ed è facile che tutti coloro che condividono o commentano si rendano in parte co-
responsabili. La reiterazione nel tempo della condotta aggressiva acquisisce una
connotazione peculiare nelle prepotenze online, in quanto spesso consiste nel
prolungamento degli effetti e della diffusione di un singolo episodio di cyberbullismo
a seguito dell’assenza di barriere fisiche e temporali creata dalle tecnologie
(Vandebosch & Van Cleemput, 2008).
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 59/S3
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO
Attività n°: 01

In modo analogo al bullismo tradizionale, il cyberbullismo si presenta sia in forma


diretta sia indiretta: nel primo caso, si verifica un’aggressività mirata da parte del
cyberbullo sulla vittima; nel secondo caso, le azioni denigratorie hanno lo scopo di
screditare la vittima nel suo ambiente sociale, agendo alle sue spalle. Le modalità di
vittimizzazione maggiormente riscontrate nel cyberbullismo sono i messaggi di testo,
quando avviene attraverso i telefoni cellulari, e le offese sui siti di social network,
quanto si verifica attraverso Internet (Smith et al., 2008), e la gravità percepita delle
cyberprepotenze differisce in base al tipo di azione: ad esempio, chiamate e fotografie
sono valutate a maggior impatto, mentre e-mail e le chat-room sono percepite essere
poco gravi (Mitchell, Jones, & Turner, 2017).
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 59/S3
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO
Attività n°: 01

Sia nel bullismo sia nel cyberbullismo il gruppo dei pari svolge una parte importante.
In entrambi i fenomeni, infatti, i giovani possono essere coinvolti con ruoli diversi
(Salmivalli, Lagerspetz, Bjorkqvist, Osterman, & Kaukiainen, 1996). Oltre all’autore e alla
vittima delle prepotenze, gli astanti possono operare a favore di chi subisce le
prevaricazioni, come difensori della vittima, o sostenere tali dinamiche in modo attivo,
come aiutanti o sostenitori – che si limitano a manifestare approvazione senza azione
esplicita – del prepotente, o in modo passivo, agendo come esterni, ossia senza prendere
posizione a sostegno del bullo o della vittima. In merito ai ruoli di coinvolgimento nelle
prepotenze, infine, è possibile osservare differenze di genere per quanto riguarda il ruolo di
cyberbullo.
In particolare, se il bullismo tradizionale è più spesso maschile, le femmine ricorrono più
frequentemente al cyberbullismo (Caravita et al., 2016), probabilmente in quanto per le
ragazze l’offesa non è di natura fisica bensì colpisce la reputazione e l’immagine sociale
(Whittaker & Kowalski, 2015). L’azione del gruppo, inoltre, è ancora più rilevante nel
cyberbullismo che nel bullismo tradizionale, determinandone l’efficacia, e si esprime
attraverso commenti, condivisioni e visualizzazioni (Genta, Brighi, & Guarini, 2013).
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 60
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO - II
Attività n°: 01

Le conseguenze nelle vittime di


cyberbullismo

Lo studio della lezione va integrato con i contenuti dell’articolo di Dimitri, S.,


Pedroni, S., & Donghi, E. (2018). Attraverso le sofferenze della vittima: tra
bullismo, cyberbullismo e proposte di intervento. Maltrattamento e abuso
all’infanzia
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Lezione n°: 60
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO - II
Attività n°: 01

Nel caso specifico del cyberbullismo le azioni violente, che vengono agite nella rete,
risultano più pervasive in quanto l’azione non si conclude con la sua messa in atto, ma è
destinata a rimanere a lungo e reiterata;
questa condizione d’estensione dell’azione e di maggiore diffusione non fa altro che
aumentare e perpetuare nel tempo la sofferenza della vittima.

Il profilo della vittima è quello di una persona abituata a subire prepotenze e che
sviluppa molto spesso la convinzione di non poter far nulla per cambiare la
situazione, oltre a sentirsi, nella maggior parte dei casi, responsabile di ciò che le accade,
sviluppando sentimenti di colpa e vergogna. Colui che subisce un’azione aggressiva può
provare vissuti di impotenza, che lo immobilizzano, fisicamente e cognitivamente, di fronte
ai comportamenti del bullo. Si trova in una posizione di squilibrio, nella quale la “bilancia
del potere” pende dalla parte del bullo/cyberbullo, che, privo di scrupoli, si accanisce nei
confronti di essa. Una dimensione fondamentale della sofferenza è, in questi casi, il
vissuto di solitudine che le vittime sperimentano, si sentono sole contro il mondo, gettate in
un vortice di emozioni contrastanti, dal quale non riescono a uscire da sole.
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Lezione n°: 60
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO - II
Attività n°: 01

Il profilo del bullo/cyberbullo sembra invece caratterizzato da scarsa empatia e da


scarsa capacità di considerare e prevedere l’esito delle proprie azioni, ricorrendo
all’uso di meccanismi di disimpegno morale funzionali a inibire la sanzione
interna, ovvero dei dispostivi cognitivi che lo salvano dall’autocondanna e da un grave
danno all’autostima. Alcuni esempi possono essere: la de-umanizzazione della vittima,
il dislocamento e la diffusione della responsabilità, l’attribuzione di colpa alla vittima,
ecc. In un certo senso anche nel profilo del bullo/cyberbullo troviamo spesso un vissuto
di sofferenza, spesso, è proprio una condizione di disagio interiore, a spingere il
bullo/cyberbullo ad agire in modo aggressivo.
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Lezione n°: 60
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO - II
Attività n°: 01

Confronto degli effetti sulla vittima di cyberbullismo e bullismo

Gli effetti psicologici causati da bullismo e cyberbullismo sono paragonabili. I


risultati delle ricerche sembrano concordare sulla presenza in entrambi di:
depressione, diminuita autostima e sintomatologia psicosomatica. Per quanto
riguarda il cy-berbullismo vi è inoltre un aumento delle condotte a rischio quali
abuso di alcool e di sostanze stupefacenti in adolescenza (Goebert et al.,
2011), ma la peculiarità è una provata diminuzione del rendimento scolastico,
un maggiore assenteismo e un’alta probabilità di abbandono accademico che
non sempre interessa le vittime di bullismo tradizionale, anche se alcuni studi
individuano quest’esito anche nel bullismo. Nella tabella (Tab.1.) presentiamo
a confronto le diverse variabili prese in considerazione dagli studi analizzati.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
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Lezione n°: 60
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO - II
Attività n°: 01

Autore Anno Età popolazione Effetti del Bullismo Effetti del Cyberbullismo

Fekkers et al. 2004 9-12 Psicosomatici


Depressione

Goebert et al. 2011 14-19 Abuso di sostanze

Navarro et al. 2011 10-12 Difficoltà a parlare in pubblico


Paura di giudizi negativi
Ansietà sociale

Pabian et al. 2015 10-17 Ansia Ansia

Giumetti et al. 2015 11-19 Assenteismo


Abbandono scolare
Scarso rendimento scolastico

Kodish et al. 2016 14-29 Depressione Rischio suicidario


Ideazione suicidaria
Tentativo di suicidio

Tabella tratta dall’articolo: Attraverso le sofferenze della vittima: tra bullismo, cyberbullismo e proposte di
intervento di Serena Dimitri; Sofia Pedroni,Elisa Donghi, Maltrattamento e abuso all’Infanzia, 2018
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Lezione n°: 60/S1
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO - II
Attività n°: 01

La Legge 71 (2017) come strumento di prevenzione ed


educazione

Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione


ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”

Indicazioni tratte dall’articolo dal titolo: Educare per prevenire la sofferenza delle cybervittime. Ricadute educative a
partire dalla Legge 71/2017 di Zanetti e Colangelo, in Maltrattamento e abuso all’infanzia, 2018
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Lezione n°: 60/S1
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO - II
Attività n°: 01

La Legge 71 riporta una espressa definizione del fenomeno complesso del


cyberbullismo. L’articolo 1, comma 2, della legge, infatti, definisce il cyberbullismo come:

«qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione,


diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento
illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la
diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia
del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un
gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in
ridicolo».
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Lezione n°: 60/S1
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO - II
Attività n°: 01

Con singolare chiarezza, all’art. 4 si riconosce il ruolo fondamentale della scuola nel
perseguire gli obiettivi di cui all’art. 1, comma 1, il cui disposto è stato opportunamente
riportato sopra. In primo luogo il comma 1 attribuisce al Ministero dell’Istruzione
dell’Università e della Ricerca (MIUR), sentito il Dipartimento per la Giustizia Minorile del
Ministero della Giustizia, il compito di adottare linee di orientamento per la
prevenzione e il contrasto del cyberbullismo nelle scuole, anche avvalendosi della
collaborazione della Polizia postale e delle comunicazioni. Il successivo comma 2
stabilisce il contenuto di tali linee di orientamento, le quali:

«conformemente a quanto previsto alla lettera l) del comma 7 dell'articolo 1 della legge
13 luglio 2015, n. 107, includono per il triennio 2017-2019: la formazione del personale
scolastico, prevedendo la partecipazione di un proprio referente per ogni autonomia
scolastica; la promozione di un ruolo attivo degli studenti, nonché di ex studenti che
abbiano già operato all'interno dell'istituto scolastico in attività di peer education, nella
prevenzione e nel contrasto del cyberbullismo nelle scuole; la previsione di misure di
sostegno e rieducazione dei minori coinvolti; un efficace sistema di governance diretto dal
Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca».
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Lezione n°: 60/S1
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO - II
Attività n°: 01

Il legislatore ha ritenuto necessario gestire il problema del cyberbullismo in ambito


scolastico non solo attraverso l’attivazione di utili e imprescindibili percorsi di
formazione specifica dei docenti, ma prevedendo anche un ruolo attivo degli
studenti e di ex-alunni per contrastare il cyberbullismo. È evidente come il disposto
normativo, seppur integrato dalle nuove linee di orientamento, lasci notevole spazio –
anche in ossequio all’autonomia – alle singole istituzioni scolastiche. L’auspicio è che le
previsioni della Legge 71 trovino proficua attuazione in ambito scolastico, grazie anche
alla competenza e sensibilità di dirigenti scolastici e referenti.

Sempre in relazione all’ambito scolastico, il legislatore non ha disciplinato solo aspetti


preventivi ed educativi, ma ha specificato le incombenze del dirigente scolastico,
nonché la necessaria integrazione del regolamento d’istituto e del patto educativo
di corresponsabilità.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 60/S1
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO - II
Attività n°: 01

Le nuove facoltà per (cyber)vittime e genitori

La Legge 71 non contiene solo previsioni programmatiche o relative al mondo della


scuola, sebbene esso costituisca l’ambiente principe in cui si originano le interazioni
alla base del cyberbullismo, e introduce due istituti a beneficio dei minori vittime di
cyberbullismo: la procedura di oscuramento, rimozione e blocco, prevista dall’art. 2
(rubricato: “Tutela della dignità del minore”), e l’ammonimento, di cui all’art. 7. La
prima permette, al minore ultraquattordicenne che si ritenga vittima di cyberbullismo,
nonché a ciascun genitore, di inviare al titolare del trattamento dei dati personali o al
“gestore del sito internet o del social media” un’istanza finalizzata all’oscuramento, alla
rimozione o al blocco «di qualsiasi altro dato personale del minore, diffuso nella rete
internet, previa conservazione dei dati originali».
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 60/S2
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO - II
Attività n°: 01

ESERCITAZONE
sul forum
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 60/S2
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO - II
Attività n°: 01

Esercitazione

Legga questa “Storia di bullismo” (inventata sulla base di vari racconti reali, scritta da
Roberta Jannetti e tratta da un sito internet) e individui le caratteristiche del fenomeno,
della vittima e dei protagonisti che ruotano intorno a bullo e vittima; commenti inoltre
anche cosa a suo parere ha permesso il perpetuarsi del bullismo.
Le chiedo di esprimere le sue notazioni e i suoi commenti sul forum
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 60/S2
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO - II
Attività n°: 01

Mi chiamo M. e ho 15 anni: non so perché, non so cosa io abbia fatto, ma da due anni
vengo perseguitato a scuola da un gruppetto di 6 ragazzi. Uno si trova nella mia stessa
classe, ma gli altri sono tutti più grandi di me. Ho cercato di reagire e mi hanno picchiato;
allora ho pensato di non reagire, ed è stato anche peggio, perché hanno cominciato a
picchiarmi e ad offendermi, con insulti e scherzi per qualsiasi cosa.
Non ricordo esattamente come sia cominciata: da pochissimo avevo cominciato il liceo,
dove portavo da casa un panino per la ricreazione. Inutile dire che cominciarono a
rovistare nella cartella per prendermi la mia merenda, ma non per mangiarla, solo per
giocarci, solo per farmi dispetto, quasi come dei gatti con le loro prede. Ma loro non sono
gatti: e giocare fino a disintegrare qualcosa non è nel loro istinto.
Dissi a mia madre che preferivo comprarmi direttamente la merenda a scuola: dolce
come sempre, non se la prese, ma cominciò a darmi una paghetta per le mie piccole
necessità. Nel momento in cui non trovarono più niente nella mia cartella, si infuriarono.
Pretesero i miei soldi. Io non ne avevo moltissimi, mi servivano solo per una merendina a
scuola per tutta la settimana: davo comunque loro tutto ciò che avevo, proprio per essere
lasciato in pace. Ma quando non avevo soldi da dare iniziarono a picchiarmi innervositi.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 60/S2
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO - II
Attività n°: 01

Per i professori, che sembravano non accorgersi di niente, sembrava quasi un innocente
gioco fra ragazzi. Il fatto che venissero persone dalle altre classi per "divertirsi" con me,
non interessava loro assolutamente. Gli altri miei compagni di classe avrebbero voluto
reagire, ma erano terrorizzati che quegli altri se la potessero prendere anche con loro.
Così lasciavano fare, guardandomi con compatimento.
Io avevo paura e non osavo confidarmi con nessuno. Avevo paura di parlarne ai miei:
perché tremavo al pensiero che, dopo, quelli avrebbero potuto vendicarsi.
Tornavo a casa pesto, spesso col sangue dal naso, ma inventavo sempre goffe e
patetiche scuse (caduto dalle scale, sbattuto ad una porta) su come mi fossi fatto male.
Scuse a cui, naturalmente, i miei non credevano.
Ero triste e solo: il mio carattere cominciò a cambiare e mi vennero strani tic nervosi, che
ancora di più erano oggetto di scherno da parte di quei bulli. Un giorno in cui tornai a casa
conciato peggio del solito, mia madre mi costrinse a denunciare tutti quei ragazzi,
facendo nomi e cognomi. Ovviamente ho cambiato città, scuola, mondo, amici... Ma
almeno sto trovando un minimo di serenità.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 60/S3
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO - II
Attività n°: 01

Strategie di intervento

Si suggerisce di integrare il contenuto di questa sessione di studio con quanto


indicato nell’articolo di Dimitri, oggetto del materiale di studio
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 60/S3
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO - II
Attività n°: 01

L’intervento clinico in caso di bullismo, prevede un trattamento non solo


per il bullo, ma anche per la vittima.

Il trattamento cognitivo comportamentale mira nella vittima a:


•favorire l’acquisizione e lo sviluppo di un maggior senso di sicurezza, di
autostima e autoefficacia
•migliorare il proprio senso di adeguatezza e favorire l’accettazione di sé come
persona gradita e accettata dai compagni
•migliorare il proprio modo di relazionarsi e apprendere uno stile di
comunicazione assertiva attraverso il training per le abilità sociali

Il trattamento cognitivo comportamentale mira nel bullo a:


•far acquisire la capacità di mettere in atto comportamenti prosociali e
socialmente accettabili, riducendo le risposte aggressive e utilizzando un
modello comunicativo assertivo
•favorire il riconoscimento degli stati emotivi dell’altro
•sviluppare un senso di empatia e compassione
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 60/S3
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO - II
Attività n°: 01

L’intervento a livello scolastico prevede 3 livelli:


1.a livello di scuola – raccolta di dati, formulazione di un piano condiviso e
impegno collettivo, predisposizione di spazi controllabili per prevenire azioni di
bullismo, comunicazione efficace scuola/famiglia.
2.a livello di classe – definizione di regole e sanzioni condivise sul bullismo,
incontri di discussione, sviluppo dell’apprendimento cooperativo attraverso la
costituzione di gruppi di lavoro, stimolazione di attività positive in comune,
incontri scuola/genitori/alunni.
3.a livello individuale – colloqui sia con le vittime, sia con i bulli e promozione di
comportamenti adeguati, colloqui con i genitori delle persone designate per
favorire la collaborazione, gruppi misti di discussione guidata tra genitori di
vittime e bulli.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 60/S3
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO - II
Attività n°: 01

In sintesi, nell’analisi delle componenti sulle quali agire, sicuramente un


aspetto su cui intervenire è lo sviluppo e l’incremento delle abilità
empatiche, in particolare la componente affettiva, con lo scopo di
preservare i ragazzi da mettere in campo comportamenti vessatori nei
confronti dei loro pari e svilupparne la capacità di immedesimarsi nella vittima
per comprenderne il dolore provocatole.
In tal senso, in tutti i programmi, si insiste nel creare un ambiente classe
caldo e accogliente, in cui insegnanti e professori siano i primi a
provare empatia nei confronti dei loro studenti così che essi, tramite
l’osservazione e l’imitazione, apprendano determinati comportamenti.
Altri aspetti su cui la letteratura suggerisce d’investire sono: la promozione
delle competenze sociali di problem solving ossia saper gestire in modo
efficace i problemi, perspective taking ovvero il saper adottare una
prospettiva diversa dalla propria, migliorare la gestione dei conflitti, agire sullo
sviluppo morale (in particolare per i prevaricatori) e sulle abilità assertive (in
particolare per le vittime).
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 60/S3
Titolo: BULLISMO E CYBERBULLISMO - II
Attività n°: 01

Per quanto riguarda il cyberbullismo risulta importante svolgere percorsi di educazione


all’uso dei media, condividere direttive chiare e rigorose sull’uso delle tecnologie e
riflettere con i ragazzi circa i rischi e le conseguenze psicologiche del fenomeno.

Anche nella lotta al cyberbullismo è importante coinvolgere le famiglie degli studenti.


In generale, contrastare bullismo e cyberbullismo risulta di fondamentale importanza al
fine di evitare che le conseguenze delle prepotenze subite a scuola abbiano ricadute
anche da adulti. Fosse (2006) scoprì che, di 160 adulti che avevano richiesto un primo
trattamento psichiatrico, il 50% era stato prevaricato durante la sua carriera scolastica e
l’esperienza da vittima si ripercuoteva nei sintomi presentati da adulti.
Infine, è è opportuno mettere in atto interventi preventivi su larga scala, in particolare
focalizzati sull’empatia, mirati a sensibilizzare i ragazzi al tema. Inoltre, tali interventi
devono essere rivolti anche alla comunità (genitori e docenti, in particolare) così da
metterli in grado di riconoscere i casi di cyberbullismo e operare prontamente per
contrastarli. In questo modo sarà possibile ridurre gli interventi di prevenzione secondaria,
attuati quando ormai l’autostima della vittima è già stata minata.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 61
Titolo: PROVA DI APPRENDIMENTO E AUTOVERIFICA
Attività n°: 01

Prova di apprendimento
sul forum
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 61
Titolo: PROVA DI APPRENDIMENTO E AUTOVERIFICA
Attività n°: 01

Le chiedo ora di ripensare a quanto studiato in merito ai


disturbi oppositivo-provocatorio, della condotta e al
bullismo e di commentare sul forum le loro somiglianze e
differenze in termini di

- Comportamenti
- Fattori di rischio a livello familiare
- Strategie di Intervento
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 61/S1
Titolo: PROVA DI APPRENDIMENTO E AUTOVERIFICA
Attività n°: 01

Prova di apprendimento
sul forum
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 61/S1
Titolo: PROVA DI APPRENDIMENTO E AUTOVERIFICA
Attività n°: 01

Le chiedo ora di ripensare a quanto studiato in merito al disturbo da


deficit di attenzione e iperattività e di commentare sul forum quali sono
le:

- Principali caratteristiche sintomatologiche


- Principali conseguenze in termini di malessere psicologico per
soggetti che presentano tale disturbo
- Principali ripercussioni sul sistema familiare
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 62
Titolo: DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO
Attività n°: 01

I DISTURBI DELLO SPETTRO


AUTISTICO

Nel corso di questa e delle prossime lezioni individueremo le principali caratteristiche


dei Disturbi dello Spettro Austistico (così definiti nel DSM-5) per poi focalizzarci
sulla problematica autistica, della quale analizzeremo i principali criteri diagnostici ed il
suo impatto.
Dovrà integrare il contenuto delle slide sul libro Diagnosi dei disturbi evolutivi.
Troverà questo argomento nel capitolo 6.
I contenuti della lezione sono tratti dal volume di studio e dale line Guida SINPIA SU
AUTISMO
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 62
Titolo: DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO
Attività n°: 01

DSM IV: I DISTURBI PERVASIVI DELLO SVILUPPO

Il DSM.IV e Il DSM-IV-TR avevano il Disturbo Autistico in un più ampio gruppo di


disturbi, ovvero, i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo. Si tratta di altre categorie che
pur condividendo con il Disturbo Autistico alcune caratteristiche, se ne differenziano per
altre. Tali differenze riguardano una diversa espressività dei sintomi della triade ovvero
alcune caratteristiche clinico-evolutive.

In particolare, il DSM-IV-TR include nei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo:


¨ il Disturbo di Asperger
¨ il Disturbo di Rett
¨ il Disturbo Disintegrativo della Fanciullezza
¨ il Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 62
Titolo: DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO
Attività n°: 01

Disturbo di Asperger

Il Disturbo di Asperger, o Sindrome di Asperger, presenta quali elementi clinici


caratterizzanti, che lo portano ad essere incluso nei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo:
• una compromissione qualitativa dell’interazione sociale, che il più delle volte si
manifesta “attraverso un approccio sociale agli altri eccentrico ed unilaterale, piuttosto
che attraverso l’indifferenza sociale ed emotiva” (APA, 2002);
• la presenza di schemi di comportamento, interessi ed attività ristretti e ripetitivi, che si
esprimono soprattutto con una “dedizione assorbente ad un argomento o ad un
interesse circoscritto, sul quale il soggetto può raccogliere una gran quantità di fatti o di
informazioni” (APA, 2002).
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 62
Titolo: DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO
Attività n°: 01

Disturbo di Asperger
Esso, pertanto, si differenzia dal Disturbo Autistico per:
• l’assenza nell’anamnesi di un ritardo del linguaggio. Il linguaggio, peraltro, all’epoca
della consultazione, risulta ben sviluppato anche se “insolito per la fissazione
dell’individuo su certi argomenti o per la sua verbosità” (APA, 2002);
• l’assenza nell’anamnesi di un ritardo dello sviluppo cognitivo. Il livello cognitivo,
peraltro, all’epoca della consultazione risulta nella norma, anche se disomogeneo per
una significativa prevalenza del Quoziente Intellettivo Verbale rispetto a quello di
Performance;
• le caratteristiche dell’interazione sociale, che prevedono la “presenza di
una motivazione a rivolgersi all’altro anche se ciò viene fatto in modo
estremamente eccentrico, unilaterale, verboso e insensibile” (APA, 2002);
• le caratteristiche delle atipie nel repertorio di interessi ed attività. Mentre,
infatti, nell’Autismo prevalgono i manierismi motori, l’attenzione circoscritta a parti di
oggetti e il marcato disagio nei confronti del cambiamento, nel Disturbo di Asperger, in
relazione anche al buon livello linguistico e cognitivo, prevale l’interesse nei confronti di
argomenti sui quali l’individuo spende una gran quantità di tempo a raccogliere
informazioni e fatti.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 62
Titolo: DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO
Attività n°: 01

Disturbo di Rett
Il Disturbo di Rett, o Sindrome di Rett, è un disturbo neurodegenerativo con
etiologia definita (mutazione nel gene MECP2). Colpisce quasi esclusivamente le
femmine ed esordisce tra i 6 e i 18 mesi, dopo un periodo di sviluppo
normale. Il quadro clinico è caratterizzato da: una decelerazione della crescita del
capo (non costante); atassia; tremori; perdita delle competenze prassiche e della
coordinazione motoria; perdita delle competenze comunicative verbali e non
verbali; perdita delle competenze interattive. Abituale è la presenza di alterazioni
elettroencefalografiche.
A differenza dell’autismo:

¨ le mani sono interessate da tipiche stereotipie


¨ la manipolazione finalistica degli oggetti è praticamente assente
¨ i disturbi dell’interazione sociale sono generalmente transitori
¨ il quadro neurologico è più ricco e patognomonico
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 62
Titolo: DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO
Attività n°: 01

Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato


La categoria del DPS-NAS viene comunemente usata nei casi in cui, pur se presenti
disturbi riferibili all’interazione sociale, alla comunicazione e/o al repertorio di
interessi ed attività (stereotipati e ristretti), il quadro clinico non assume
caratteristiche qualitativamente definite e quantitativamente sufficienti per una
diagnosi di autismo o di altri DPS.
Ne deriva una categoria residua, per la quale non sono stati ancora definiti i criteri
diagnostici di inclusione (Buitelaar et al., 1998; Scheeringa, 2001; Tanguay, 2004;
Volkmar et al., 2004; Walker et al, 2004).

Disturbo Disintegrativo della Fanciullezza


Il Disturbo Disintegrativo della Fanciullezza (DDF), in fase di “stato” presenta le
caratteristiche tipiche del Disturbo Autistico, da cui si differenzia esclusivamente
per le modalità di esordio. Il DDF, infatti, è caratterizzato da uno sviluppo
apparentemente normale nei primi due anni di vita. Successivamente a tale epoca si
verifica una “perdita” di competenze socio-comunicative ed adattive precedentemente
acquisite.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 62/S1
Titolo: DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO
Attività n°: 01

I disturbi dello spettro autistico


Le novità del DSM-5
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 62/S1
Titolo: DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO
Attività n°: 01

Le principali novità del DSM 5


• La definizione “Disturbi Pervasivi dello Sviluppo” viene sostituita con
“Disturbi dello Spettro Autistico”
• La Diagnosi dovrà essere accompagnata dall’indicazione specifica della
gravità espressa con una scala a tre valori
• Le tre aree sintomatologiche (la triade) vengono ridotte a due: il deficit
comunicativo e quello di reciprocità sociale vengono uniti nel “deficit
della comunicazione sociale”. Viene confermato il gruppo dei “comportamenti ripetitivi”
• L’epoca della comparsa dei sintomi: dai 36 mesi diventa ”i sintomi devono essere
presenti nella prima infanzia ma possono rendersi evidenti successivamente in
circostanze in cui sono richieste abilità sociali a cui il soggetto non riesce a far fronte”
• Eliminazione della presenza dei differenti sottotipi della patologia: disturbo
pervasivo non altrimenti specificato, sindrome di Asperger; disturbo disintegrativo,
sindrome di Rett (grave patologia neurologica di origine genetica, ora inserita nei
disturbi genetici)
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 62/S1
Titolo: DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO
Attività n°: 01

L’introduzione delle nuova dicitura Disturbi dello Spettro Autistico richiama l’attenzione
del clinico sul concetto dimensionale del disturbo, caratterizzato da comportamenti che si
estendono tra normalità e malattia, ma che si differenziano perché la frequenza e l’intensità
di quel sintomo non consentono di adattarsi al contesto, di sviluppare tutte le risorse
cognitive, di acquisire e mantenere relazioni sociali.
Il fatto che il disturbo venga considerato all’interno di uno «spettro» significa che la
distribuzione della frequenza di un dato comportamento problematico varia nel tempo
e nell’intensità della sua manifestazione.
Questo comporta che all’interno delle dimensioni (sintomi) del disturbo si racchiudono
soggetti con caratteristiche cliniche eterogenee nella compromissione sociale e nella
presenza di comportamenti ripetitivi e di interessi ristretti.

I soggetti affetti da DA condividerebbero quindi la compromissione delle funzioni sociali e


comunicative, associate a interessi ristretti e comportamenti stereotipati.
Tuttavia, la presenza di disabilità intellettiva (il 30% dei soggetti) e la presenza di sintomi
associati tra cui instabilità motoria e attentiva, e di altri disturbi del comportamento,
ipersensibilità ai suoni e elevata soglia del dolore, contribuiscono all’ampia eterogeneità
clinica e per questo i sintomi associati ai sintomi primari devono essere indicati come
comorbidità.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 62/S1
Titolo: DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO
Attività n°: 01

Ricordiamo che:

Per il DSM-IV le caratteristiche distintive del Disturbo Autistico erano:

. Una menomazione dell’interazione sociale


. Una difficoltà di comunicazione verbale e non verbale
. Marcate problematiche del comportamento e delle attività immaginative

Secondo il DSM-IV, la diagnosi veniva prevista a partire dai 3 anni. Nel DSM-5, si
parla della possibilità di riconoscere i sintomi dai 12 mesi, nelle forme più
severe, ai 2 anni, quando i sintomi sono di grado lieve.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 62/S1
Titolo: DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO
Attività n°: 01

I disturbi dello spettro autistico: Criteri diagnostici

Il DSM-IV indicava al clinico il numero di sintomi (almeno 6 su 12) che dovevano


soddisfare i criteri per la diagnosi all’interno:
dell’area sociale (almeno 2) della capacità di comunicazione (almeno 1) degli
interessi (almeno 1).

Il DSM-5 identifica solo 2 AMBITI all’interno dei quali ricercare i segni e i sintomi del
disturbo.
- Il primo riguarda la presenza di deficit nella comunicazione e interazione sociale
(ad es. assenza di reciprocità emotiva, deterioramento nell’uso dei comportamenti non
verbali, difficoltà nello sviluppare e mantenere amicizie, assenza di condivisione di
esperienze).
- Il secondo riguarda la presenza di attività stereotipate e interessi ristretti. All’interno
di questa dimensione sono descritti quattro sintomi: le manifestazioni di almeno 2 di
questi sono richieste per la diagnosi: presenza di movimenti stereotipati o ripetitivi (uso
degli stessi oggetti, ecolalia, frasi idiosincratiche), aderenza inflessibile a routine non
funzionali, interessi ristretti e fissi, iper o iporeattività a stimoli sensoriali o inusuali
interessi ad aspetti sensoriali dell’ambiente (ad es. indifferenza al dolore, alla
temperatura, reazioni di panico nei confronti di rumori comuni, …).
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 62/S1
Titolo: DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO
Attività n°: 01

Ulteriore Novità del DSM-5: Ogni dimensione deve poi essere specificata in relazione alla
gravità, per la quale si distinguono 3 livelli:
- Richiesta di assistenza, dove il problema sociale è caratterizzato solo da un inizio
difficile dell’interazione. Il soggetto è capace di esprimersi e di rispondere alle consuete
domande di rito, ma non riesce a sostenere una conversazione. Dal punto di vista
degli interessi/attività è presente una difficoltà a passare da una attività all’altra e
sono presenti comportamenti rigidi che vanno conosciuti dall’interlocutore.
- Richiesta di assistenza sostanziale per quei soggetti i cui deficit verbali e non verbali
sono marcati, le iniziative di interazione sociale sono limitate e i comportamenti
ripetitivi/fissi interferiscono con il funzionamento del paziente nei vari contesti di vita
- Richiesta di assistenza molto sostanziale, prevista per i soggetti in cui i deficit
descritti sopra sono molto severi (ad es. poche parole intelleggibili, nessuna iniziativa
sociale o solo occasionale, estrema difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti, grande
difficoltà a cambiare il focus di una azione).

Infine, il percorso diagnostico deve precisare se il disturbo dello spettro autistico si


accompagna a disabilità intellettiva, disturbo del linguaggio, oppure è associato
ad altri disordini del neurosviluppo (ad esempio ADHD) o del comportamento.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 62/S2
Titolo: DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO
Attività n°: 01

Epidemiologia e caratteristiche salienti

L’autismo non presenta prevalenze geografiche e/o etniche, in quanto è stato descritto
in tutte le popolazioni del mondo, di ogni razza o ambiente sociale. Presenta, viceversa,
una prevalenza di sesso, in quanto sembra colpire i maschi in misura da 3 a 4
volte superiore rispetto alle femmine
Sulla base dei dati attualmente disponibili una prevalenza di 10 casi le per 10000
sembra la stima più attendibile. Tale dato confrontato con quelli riferiti in passato ha
portato a concludere che attualmente l’autismo è 3-4 volte più frequente rispetto a 30
anni fa. Secondo la maggioranza degli Autori, questa discordanza nelle stime di
prevalenza sarebbe dovuta più che ad un reale incremento dei casi di autismo ad una
serie di fattori individuabili in:
¨ maggiore definizione dei criteri diagnostici, con inclusione delle forme più lievi;
¨ diffusione di procedure diagnostiche standardizzate;
¨ maggiore sensibilizzazione degli operatori e della popolazione in generale;
¨ aumento dei Servizi (anche se ancora decisamente inadeguati alla richiesta, sia
quantitativamente che qualitativamente).
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 62/S2
Titolo: DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO
Attività n°: 01

AMBITO: presenza di deficit nella comunicazione e interazione sociale

Anche se la compromissione qualitativa della comunicazione accompagna il


soggetto autistico nel corso di tutto il suo ciclo vitale, le modalità con cui essa si
esprime variano necessariamente nel corso dello sviluppo.
• Nel corso dei primi anni di vita, la compromissione della comunicazione si esprime con il
mancato uso del linguaggio verbale e la “disattenzione” nei confronti del linguaggio
verbale degli altri (“non ci chiama per nome”, “non si volta quando chiamato per nome”,
“non usa le parole per chiedere o indicare”,
“non sta a sentire quando gli si chiede di fare qualcosa”). Peraltro, questo disinvestimento
del linguaggio verbale non è compensato da modalità alternative di comunicazione come
gesti o mimica.
• I bambini che già nei primi anni di vita cominciano ad accedere a produzioni “verbali”,
mettono comunque in evidenza atipie espressive rappresentate da gergolalie, ecolalia
immediata, ecolalia differita, inversioni pronominali, stereotipie verbali.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 62/S2
Titolo: DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO
Attività n°: 01

AMBITO: presenza di deficit nella comunicazione e interazione sociale


• Dopo il sesto anno di vita, il 50% dei casi riesce ad accedere al linguaggio
verbale. Anche in questi casi, tuttavia, esso risulta qualitativamente inadeguato. Nel
complesso, l’aspetto caratterizzante la compromissione del linguaggio è rappresentato dal
mancato riconoscimento dell’altro come partner conversazionale. In questo senso vanno
interpretati anche altri disturbi, quale quello di parlare di argomenti a lui favoriti senza
preoccuparsi se interessino l’interlocutore o se siano pertinenti al discorso. Frequente è
l’uso di frasi bizzarre, spesso associate in maniera illogica ad alcuni eventi (espressioni
idiosincratiche). Anche la perseverazione nel porre domande - a volte la stessa domanda -
di cui conoscono perfettamente la risposta, denota la mancanza di interesse o del bisogno
di condividere con chi ascolta un contesto più ampio di interazioni in cui entrambi, chi
parla e chi ascolta, siano coinvolti in modo attivo. Per quel che riguarda, infatti, la
componente non-verbale del linguaggio, raramente vengono usati quei gesti e quelle
pantomime che solitamente accompagnano il messaggio verbale per arricchirne il
significato. Sul piano del linguaggio di comprensione, vengono segnalati alcuni deficit
molto particolari, quali l’incapacità di riconoscere i motti di spirito, i doppi sensi,
le metafore e le locuzioni idiomatiche. Si tratta di difficoltà riconducibili al disturbo di
una particolare area del linguaggio, la pragm atica , intesa come quell’area relativa
alla capacità di definire le relazioni fra il linguaggio propriamente detto e chi lo usa, in
rapporto agli scopi, ai bisogni, alle intenzioni e ai ruoli di chi partecipa.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 62/S2
Titolo: DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO
Attività n°: 01

AMBITO: presenza di deficit nella comunicazione e interazione sociale

Anche se la compromissione qualitativa dell’interazione sociale accompagna il soggetto autistico nel corso
di tutto il suo ciclo vitale, i comportamenti con cui essa si esprime variano necessariamente nel corso dello
sviluppo.
• Nel corso del primo anno di vita, i comportamenti atipici che abitualmente indicano una compromissione qualitativa
dell’interazione sociale sono essenzialmente rappresentati da: sguardo sfuggente; assenza di sorriso sociale;
mancanza di atteggiamenti anticipatori quando si cerca di prenderlo in braccio (tendere le braccia); atipie del dialogo
tonico (difficoltà a tenerlo in braccio); inadeguatezza dell’attenzione congiunta (difficoltà di richiamare la sua attenzione su
un oggetto o un evento interessante)
• Fra il secondo e il quinto anno di vita, la compromissione dell’interazione sociale si arricchisce di comportamenti sempre
più espliciti e caratteristici. Il bambino “si aggira” fra gli altri come se non esistessero; tende ad isolarsi; quando chiamato
“non risponde”; non richiede la partecipazione dell’altro nelle sue attività, né lo rende partecipe delle sue attività
(richiamando, ad esempio, l’attenzione dell’altro su oggetti o eventi interessanti, ovvero portando o mostrando oggetti);
utilizza l’altro in maniera strumentale per l’appagamento delle esigenze del momento (il bambino, ad esempio, senza
guardarlo negli occhi prende il braccio dell’altro e lo indirizza verso una cosa, che lui da solo non riesce a prendere).
Quest’ultimo aspetto induce a tener ben presente che il rapporto interpersonale non è mai - o quasi mai - completamente
assente: esso tuttavia è limitato sempre - o quasi sempre - a richiedere (qualcosa o qualche azione) e non a condividere
(interessi, bisogni, emozioni) (Mundy, 2003).
• In epoche ancora successive (dal sesto anno di vita in poi), la compromissione dell’interazione sociale può continuare ad
esprimersi con i comportamenti su accennati ovvero, in relazione al conseguimento di un adattamento formale
all’ambiente, può assumere forme meno esplicite. In queste ultime situazioni, tuttavia, a fronte di un apparente
adeguamento alle regole sociali, persiste uno scarso investimento della relazione con mancata individuazione dell’altro
come figura privilegiata per condividere esperienze, interessi ed attività.
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Lezione n°: 62/S3
Titolo: DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO
Attività n°: 01

Caratteristiche salienti

Deficit della capacità di giochi di finzione.


Il gioco di finzione, inteso come la capacità del bambino di riproporre in chiave ludica
situazioni sociali vissute e rielaborate, rappresenta una tappa obbligata nello sviluppo del
bambino. Un gran numero di ricerche ha ormai confermato, soprattutto nei primi anni di
vita, l’incapacità del bambino autistico di effettuare giochi di finzione. Tuttavia, anche
nell’Autismo, il fatto che un bambino di 2 anni non faccia un gioco di finzione (per esempio,
far finta di mangiare una pappa inesistente), non significa che a 5 anni non lo possa fare. E’
vero, tuttavia, che questa attività sarà sempre atipica, in quanto: ipostrutturata rispetto alla
normalità; limitata a solo alcune azioni, riprodotte peraltro in maniera “meccanica” e
ripetitiva; priva di un reale piacere di condivisione con l’altro
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Lezione n°: 62/S3
Titolo: DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO
Attività n°: 01

AMBITO: attività stereotipate e interessi ristretti


Il bambino autistico presenta un interesse assorbente e perseverante che può riguardare
diversi aspetti della realtà. L’interesse assorbente e perseverante, cioè, può riguardare la
raccolta di stimoli provenienti dal proprio corpo (per esempio, guardarsi le mani o assumere
posture bizzarre per le
sensazioni che queste gli rimandano), ovvero, l’osservazione di particolari oggetti ed eventi
(per esempio, oggetti che rotolano o particolari configurazioni percettive), o anche
l’esecuzione di determinate attività più o meno elaborate e mentalizzate (per esempio,
mimare una scena di un film o “sapere” tutto dei dinosauri) . Viene, pertanto, a configurarsi
una sorta di continuum, da interessi poco elaborati ad attività molto strutturate: quello che
va sottolineato è che cambiano gli interessi, ma l’Interesse inteso come stato partecipativo e
dedizione assorbente non cambia. La diversa scelta degli “interessi” è probabilmente legata
ad una serie di fattori, quali: lo stile temperamentale; particolari caratteristiche
dell’ambiente; l’età; l’entità della sintomatologia autistica; l’eventuale copresenza e la gravità
di un ritardo mentale associato.
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Lezione n°: 62/S3
Titolo: DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO
Attività n°: 01

AMBITO: attività stereotipate e interessi ristretti

Alcune abituali routine quotidiane, quali il mangiare, il lavarsi, l’uscire, che devono
svolgersi secondo sequenze rigide ed im m utabili . Il bambino, ad esempio, al momento
del pasto, può aver bisogno di mangiare sempre nella stessa stanza, nello stesso posto, con la
stessa disposizione spaziale del piatto e delle posate; più spesso sono le
caratteristiche del cibo che devono essere sempre le stesse, sia in termini di sapore che di
aspetto (o sempre pastina o sempre formaggini o sempre surgelati di forma particolare).
Questo bisogno di immutabilità - riferito dai genitori come espressione di un “carattere
abitudinario” - si verifica anche nel gioco (disposizione di soldatini o di macchinine secondo un
ordine che deve rimanere immodificato), nella disposizione degli oggetti nella sua stanza (che
deve essere
sempre la stessa), nei percorsi da seguire nelle uscite o nell’attaccamento esasperato ad
oggetti insoliti. Nel complesso, due aspetti particolari caratterizzano questo tipo di
comportamenti: l’abilità del bambino di cogliere anche minime variazioni del set percettivo
(accorgersi, ad esempio, che la disposizione dei soldatini è stata alterata o che il cibo ha una
consistenza lievemente diversa) e le reazioni di profondo disagio quando ciò avviene. In
effetti, è proprio questo profondo disagio - che, peraltro, si traduce in vivaci reazioni
comportamentali di rabbia ed aggressività auto o eterodiretta -, che conferisce a queste
abitudini il carattere di un rituale ossessivo-compulsivo.
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Lezione n°: 62/S3
Titolo: DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO
Attività n°: 01

ALTRI SINTOMI CARATTERISTICI


Abnorme risposta agli stimoli sensoriali. Molti bambini autistici, apparentemente
“sordi” ai comuni suoni dell’ambiente, mostrano una particolare sensibilità nei
confronti di alcuni stimoli uditivi (per esempio, sirene, cigolii, campanelli). Tali
suoni scatenano nel bambino violente reazioni di panico, con tentativi di
proteggersi (per esempio, coprirsi le orecchie con le mani). Risposte simili possono
essere osservate anche nei confronti di particolari stimoli visivi (flash, luci intense,
determinati oggetti) o di alcuni stimoli tattili. L’elemento caratterizzante questi vari
comportamenti è quindi rappresentato sostanzialmente dalla tonalità emotiva di
fondo che li accompagna, la crisi di panico. Essa è scatenata da stimoli di
diversa natura, che, verosimilmente, per un disturbo percettivo assumono connotazioni
emozionali aberranti.
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Lezione n°: 62/S3
Titolo: DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO
Attività n°: 01

Condotte autolesive. Diversi bambini autistici presentano condotte autoaggressive,


quali battere il capo contro la parete o colpirsi il capo con il pugno.
Tali comportamenti richiedono spesso misure terapeutiche attive e eticamente
accettabili, perchè possono portare a seri traumi o automutilazioni.

Presenza di particolari abilità. Queste “isole di speciali competenze” possono


riguardare la capacità di discriminare e riconoscere particolari stimoli visivi,
un’eccezionale memoria per numeri o date, o un’inaspettata capacità di leggere e
recitare interi brani.

Ritardo Mentale. Circa il 75% dei pazienti autistici presenta Ritardo Mentale
(Rapin, 1998). Recentemente, l’estendersi del concetto di Disturbo dello Spettro
Autistico ha determinato stime sensibilmente differenti: in particolare, la
percentuale di Ritardo Mentale in bambini con Disturbo dello Spettro Autistico si
sarebbe ridotta al 50%
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Lezione n°: 63
Titolo: IL PERCORSO DIAGNOSTICO
Attività n°: 01

Diagnosi di autismo ed il suo


impatto sulla famiglia
Il contenuto della lezione è stato tratto da: LINEE GUIDA PER L’AUTISMO
RACCOMANDAZIONI TECNICHE-OPERATIVE PER I SERVIZI DI
NEUROPSICHIATRIA DELL’ETA’ EVOLUTIVA
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 63
Titolo: IL PERCORSO DIAGNOSTICO
Attività n°: 01

STRUMENTI DIAGNOSTICI
Poiché la diagnosi di Disturbo Autistico è basata su parametri esclusivamente
comportamentali risulta indispensabile, da un lato, riferirsi a situazioni di
osservazione standardizzate e, dall’altro, adottare scale di valutazione
opportunamente elaborate per il “comportamento” autistico.
Vengono di seguito riportati gli strumenti con significato diagnostico,
maggiormente utilizzati a livello internazionale. In questa lezione, vi presenterò 2
strumenti anche se affronteremo nel dettaglio la Childhood Autism Rating Scale
(CARS) le cui istruzioni di codifica sono state inserite nell’ultima sessione di
studio di questa lezione
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 63
Titolo: IL PERCORSO DIAGNOSTICO
Attività n°: 01

Autism Diagnostic Observation Schedule (ADOS) (Lord et al., 2000)


Si tratta di uno strumento ampiamente diffuso per la diagnosi di autismo, complementare
all’intervista strutturata per genitori (ADI-R). Inizialmente creati come strumenti per la
ricerca, sono stati adattati per l’uso sistematico nella pratica clinica. L’ADOS è basata
sull’osservazione diretta e standardizzata del bambino ed è strutturato in moduli che
esplorano il comportamento sociale in contesti comunicativi naturali. I diversi moduli
comprendono prove selezionate in base
all’età e al livello linguistico. Permette diagnosi entro lo spettro autistico sulla base dei
criteri DSM e ICD. Adatto all’utilizzo a partire dai 2 anni (anche per bambini non
verbali), fino all’età
adulta. La somministrazione richiede 30-45 minuti, ma richiede training e procedure di
convalida specifiche.
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Lezione n°: 63
Titolo: IL PERCORSO DIAGNOSTICO
Attività n°: 01

Childhood Autism Rating Scale (CARS) – (Schopler et al., 1988)


E’ una scala di valutazione del comportamento autistico che permette di esplorare,
raccogliendo informazioni in contesti vari e da fonti multiple,
15 aree di sviluppo: relazioni interpersonali, imitazione, affettività, utilizzo del corpo, gioco
ed utilizzo degli oggetti, livello di adattamento, responsività agli stimoli visivi, responsività
agli stimoli uditivi, modalità sensoriali, reazioni d’ansia, comunicazione verbale,
comunicazione extra-verbale, livello di attività, funzionamento cognitivo, impressioni generali
dell’esaminatore.
A ciascun’area viene assegnato un punteggio da 1 a 4 (1 = nella norma; 2 =
lievemente anormale; 3 = moderatamente anormale; 4 = gravemente anormale per l’età).
Per determinare il grado di anormalità nelle aree di sviluppo analizzate l’esaminatore deve
considerare la peculiarità, la frequenza, l’intensità e la durata del comportamento
considerato. La somma dei punteggi riportati in ciascun' area può variare da 15 a 60 ed
esprime il livello di gravità dell’autismo. La maggioranza degli studi sembra fissare il cut-off a
30 per i bambini e a 27 per gli adolescenti (Mesibov et al., 1989).
Possono essere utilizzate a partire dai 2 anni di età. Richiedono circa 30 minuti per la
somministrazione. E’ importante un training per il loro utilizzo. Le CARS sono state oggetto di
numerosi studi che ne hanno dimostrato la consistenza interna e la sua validità
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 63
Titolo: IL PERCORSO DIAGNOSTICO
Attività n°: 01

LA VALUTAZIONE CLINICA GLOBALE

La valutazione clinica globale si riferisce a quell’insieme di procedure finalizzate


a raccogliere dati utili a completare la conoscenza del bambino e a definire
l’inquadramento nosografico del “caso”.
I dati che emergono, infatti, sono critici
per:
¨ effettuare una diagnosi differenziale con altri disturbi mentali
¨ valutare la presenza in co-morbidità di altri disturbi mentali
¨ definire l’inquadramento nell’ambito dei Disturbi dello Spettro Autistico
¨ individuare eventuali cause
¨ tracciare un profilo funzionale del bambino
¨ accertare la presenza di condizioni mediche associate
¨ approfondire le caratteristiche dell’ambiente
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 63
Titolo: IL PERCORSO DIAGNOSTICO
Attività n°: 01

Le fasi fondamentali del processo diagnostico si collocano in due


principali aree:
II.1. area degli incontri dedicati ai genitori
1. per conoscerli e farsi conoscere
2. per raccogliere i dati anamnestici
3. per definire il quadro comportamentale attuale del bambino
4. per definire il funzionamento adattivo attuale del bambino

II.2. area degli incontri dedicati al bambino


1. per l’esame obiettivo
2. per l’esame neurologico
3. per l’esame psichiatrico, con particolare riferimento a:
1. ai comportamenti con significato diagnostico
2. al livello cognitivo e linguistico
3. allo sviluppo emotivo
4. al profilo di sviluppo
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 63/S1
Titolo: IL PERCORSO DIAGNOSTICO
Attività n°: 01

Il percorso diagnostico

Il contenuto della lezione è stato tratto da: LINEE GUIDA PER L’AUTISMO
RACCOMANDAZIONI TECNICHE-OPERATIVE PER I SERVIZI DI
NEUROPSICHIATRIA DELL’ETA’ EVOLUTIVA
E va integrata con quanto indicato nel volume di Vio e Lo Presti
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 63/S1
Titolo: IL PERCORSO DIAGNOSTICO
Attività n°: 01

LA VALUTAZIONE CLINICA GLOBALE


INCONTRI DEDICATI AI GENITORI
LA “CONOSCENZA” RECIPROCA
I colloqui con i genitori rappresentano un momento cruciale del processo diagnostico.
Tali colloqui infatti, oltre a fornire informazioni critiche per la “conoscenza” del soggetto,
permettono anche la “conoscenza” dei genitori, in termini di organizzazione dei ritmi
familiari, atteggiamenti affettivo-pedagogici, e di strategie educative e terapeutiche
messe in atto nei confronti dei disturbi del figlio
Questo processo di conoscenza dei genitori deve essere finalizzato a valutare le risorse
“personali” (capacità di fronteggiare il disagio connesso al disturbo del figlio), “familiari”
(caratteristiche del nucleo familiare, stato socio-economico, qualità delle relazioni intra
ed interfamiliari) ed “ambientali” (disponibilità dei servizi sul territorio di residenza, aspetti
culturali dell’area di appartenenza), cui riferirsi per la formulazione del progetto
terapeutico.
Il processo diagnostico inteso come processo di conoscenza deve essere esteso alla
coppia genitoriale e all'intero sistema famiglia. Ciò permette infatti di valutare la
conoscenza che i genitori hanno del disturbo, il loro livello di consapevolezza sulla
condizione del bambino e le risorse sia in termini emozionali che logistiche.
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Lezione n°: 63/S1
Titolo: IL PERCORSO DIAGNOSTICO
Attività n°: 01

L’ANAMNESI
Nella raccolta dell’anamnesi risulta molto utile far riferimento a schemi di
intervista opportunamente elaborati..
Per quel che riguarda il disturbo autistico, la ricostruzione anamnestica deve tener
conto di:
. ANAMNESI FAMILIARE
• Consanguineità.
• Familiarità per disturbi di interesse neuropsichiatrico o altri disturbi che possono associarsi
con una condizione di autismo:
¨ presenza di autismo, difficoltà di interazione sociale o condizioni cliniche ad esso assimilabili.
In merito a questo ultimo aspetto, particolare attenzione va riservata all’eventuale presenza
nei fratelli e/o nei collaterali di stili comportamentali indicativi di uno scarso investimento della
interazione e della comunicazione, o di interessi bizzarri per contenuto o ripetitività;
¨ presenza di ritardi o disturbi di linguaggio, disturbi cognitivi, disturbi di apprendimento;
¨ presenza di altri disturbi psichiatrici nosograficamente definiti, quali schizofrenia, disturbi
ossessivo-compulsivi, sindrome di Tourette. Va in particolare approfondita la presenza di
disturbi dell’umore, la cui associazione con l’autismo è stata più volte segnalata.
• Presenza di malattie genetiche o condizioni mediche conosciute. L’associazione dell’autismo
con situazioni cliniche, quali la sindrome dell’X-fragile, la sclerosi tuberosa, rappresenta un
riscontro possibile. Risulta inoltre importante segnalare qualsiasi altra associazione, anche con
malattie “rare”
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Lezione n°: 63/S1
Titolo: IL PERCORSO DIAGNOSTICO
Attività n°: 01

GRAVIDANZA, PARTO E PERIODO NEONATALE


Le patologie legate alla gravidanza, al parto e al periodo neonatale non sembrano porsi
come fattori eziopatogenetici, in quanto non presentano significative associazioni con
l’autismo. Ciò non di meno un’attenta ricostruzione anamnestica può permettere di
valutare l’eventuale presenza di segni indicativi di una patologia “intrinseca” del feto, quali
un ridotto accrescimento intrauterino, un basso peso alla nascita, difficoltà di adattamento
nell’immediato post-partum. Tali segni,
infatti, esprimendo una scarsa competenza del prodotto del concepimento a crescere e a
nascere possono essere indicativi di una patologia genetica e/o malformativa.
STORIA DELLO SVILUPPO
La ricostruzione delle prime fasi dello sviluppo rappresenta una momento molto
importante. Tale ricostruzione deve essere rivolta a definire non solo l’epoca e le
modalità d’acquisizione delle principali tappe dello sviluppo psicomotorio (sviluppo
posturo-cinetico, sviluppo delle competenze cognitive, sviluppo comunicativo-linguistico,
sviluppo sociale), ma anche le modalità di
organizzazione delle principali funzioni di base (alimentazione, ritmo sonnoveglia,
reattività/consolabilità) e la presenza di particolari caratteristiche del
profilo temperamentale (molto attento/poco attento; irritabile/tollerante; molto
“allegro”/poco “allegro; molto “curioso”/poco “curioso”).
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Lezione n°: 63/S1
Titolo: IL PERCORSO DIAGNOSTICO
Attività n°: 01

ASPETTI RELATIVI AL DISORDINE ATTUALE


Questa ultima parte dell’anamnesi riguarda la definizione dell’età e delle modalità di
esordio dei segni e sintomi che hanno determinato la consapevolezza nei genitori di un
“serio problema di sviluppo”. Nel caso in cui sia stato il pediatra a mettere in allarme i
genitori segnalando comportamenti a cui loro non avevano dato eccessiva importanza, è
necessario aiutare i genitori a ricostruire le modalità relazionali del bambino e i suoi stili di
comunicazione, facendo riferimento ad esempi e a situazioni di vita quotidiana. Ciò rende i
genitori maggiormente partecipi del processo diagnostico, consapevoli dell'eventuale
irregolarità di determinati comportamenti e quindi disponibili ad un coinvolgimento "attivo"
nel progetto terapeutico nel caso venga confermato il sospetto inizialmente formulato.
La ricostruzione delle modalità di esordio del quadro deve prendere in considerazione non
solo i sintomi precoci “specifici”, relativi, cioè, all’area dell’interazione e della
comunicazione sociale, ma anche i sintomi “aspecifici” (difficoltà della suzione,
ipereccitabilità, difficoltà dello svezzamento, disturbi del sonno) che nel loro insieme
configurano un “disturbo della regolazione”, riferito con elevata frequenza nell’anamnesi
del soggetto con disturbo autistico.
Particolare attenzione dovrebbe infine essere posta alla eventuale presenza di regressione
e ai possibili eventi “stressanti” connessi in relazione temporale con l’insorgenza dei
disturbi (malattie, incidenti, ospedalizzazioni, morte di uno dei genitori, bruschi
cambiamenti ambientali, etc.).
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 63/S1
Titolo: IL PERCORSO DIAGNOSTICO
Attività n°: 01

DEFINIZIONE DEL QUADRO COMPORTAMENTALE ATTUALE DEL BAMBINO


Per ricostruire il quadro comportamentale del bambino è necessario integrare le
notizie che i genitori “spontaneamente” forniscono con alcune domande specifiche,
relative al modo di interagire del bambino con loro genitori e più in generale con gli
altri, sul modo in cui si rivolge loro per chiedere o comunicare, sull’aderenza alle loro
richieste o alle loro proposte di interazione, sui suoi interessi e sulle modalità con cui
organizza le sue attività ludiche.
Per mettere in evidenza alcuni comportamenti “atipici” è necessario talvolta spiegare
ai genitori le caratteristiche e il senso dei comportamenti che si cerca di
approfondire, ricorrendo anche ad esempi.
In questa parte dell’esame va inserita la somministrazione dell’intervista Diagnostic
Interview (ADI-R).

Nella ricostruzione del quadro comportamentale del bambino vanno


inoltre rivolte ai genitori domande specifiche che riguardano il livello
adattivo, che si esprime attraverso le autonomie, le modalità di comunicare i suoi
bisogni, la gestibilità nel quotidiano. Bisogna spesso aiutare i genitori a fornire dati
attendibili, invitandoli, per esempio, a riferire una giornata-tipo e stimolandoli a
riflettere su alcuni situazioni “significative”, quali il momento dei pasti, quello
dell’addormentamento, gli incontri con altri bambini, le uscite, le visite a o da parte di
amici o familiari.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 63/S1
Titolo: IL PERCORSO DIAGNOSTICO
Attività n°: 01

INCONTRI DEDICATI AL BAMBINO

ESAME OBIETTIVO
L’esame obiettivo è finalizzato a ricercare l’eventuale presenza di segni e sintomi
riferibili a condizioni mediche nosograficamente definite, con particolare
riferimento a quelle più frequentemente segnalate in associazione con l’autismo
(sclerosi tuberosa, sindrome dell’X-Fragile, Ipomelanosi di Ito, etc.).
Particolarmente importante è la misurazione di parametri auxologici, quali la
statura, il peso e, soprattutto, il perimetro cranico (PC). Di riscontro frequente è
un valore del perimetro cranico superiore al 90° percentile; questo dato può non
essere presente alla nascita, ma evidenziarsi successivamente, con
un’accelerazione del tasso di crescita tra i 2 e i 12 anni (Aylward et al., 2002).
Circa il 25% dei bambini con disturbi dello spettro autistico presenta
macrocefalia.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 63/S1
Titolo: IL PERCORSO DIAGNOSTICO
Attività n°: 01

ESAME NEUROLOGICO
L’esame neurologico standard, finalizzato a valutare l’integrità delle strutture
nervose centrali e periferiche dovrà tener conto non solo dei sintomi “maggiori”
(spasticità, distonie, atassia, paralisi, etc;), ma anche dei segni “minori”
(neurological soft signs). Nell’ambito di questo ultimo tipo di segni rientrano rilievi
aspecifici e di incerta definizione nosografica, quali strabismo, sfumate asimmetrie
di lato dei riflessi o del tono, lievi ipercinesie coreiformi, incertezze nella
coordinazione dinamica generale. Tali segni, oltre a rappresentare una
testimonianza di una possibile disfunzione neurobiologica di fondo, si pongono
talvolta come utili elementi per una diagnosi differenziale.

ESAME PSICHIATRICO a carico della Neuropsichiatria Infantile

1. L’osservazione. L’osservazione rappresenta la modalità privilegiata e spesso


esclusiva nelle situazioni in cui il bambino è molto piccolo, non verbale e/o non
disponibile ad un aggancio relazionale. Essa prevede due momenti: uno
apparentemente non strutturato e l’altro strutturato (= seduta di gioco).
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 63/S1
Titolo: IL PERCORSO DIAGNOSTICO
Attività n°: 01

1. L’osservazione Per i bambini più piccoli, non verbali e/o con basso livello di
sviluppo possono essere proposti: giochi senso-motori (rincorrersi-prendersi-
nascondersi); giochi con la palla, macchinine o costruzioni; attività espressive con
l’uso di matite o plastilina; giochi di finzione con miniature di bicchieri, piatti o
bambolotti. Per bambini più grandi, verbali
e/o con livello di sviluppo relativamente adeguato possono essere proposte
situazioni-stimolo maggiormente strutturate, quali giochi di finzione di maggiore
complessità simbolica (riproposizione di scene di vita quotidiana e drammatizzazioni)
o giochi con regole.
Quanto più l’osservazione è apparentemente libera, in un contesto relazionale
rassicurante, tanto maggiori saranno le possibilità espressive del bambino e,
quindi, gli elementi che si riescono a cogliere. Il termine apparentemente viene
sottolineato per indicare che, nell’organizzazione dell’osservazione, nulla è
lasciato al caso o all’improvvisazione. In effetti l’esaminatore ha uno schema
mentale ben preciso che lo guida. La stessa scelta di lasciare “libero” il bambino
di agire e di interagire risponde ad uno specifico scopo, in accordo ad un
protocollo predefinito.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 63/S1
Titolo: IL PERCORSO DIAGNOSTICO
Attività n°: 01

Il colloquio. Il colloquio rappresenta la naturale integrazione dell’osservazione


quando il bambino è in grado di interagire verbalmente. Per gli adolescenti
verbalmente competenti esso diventa la modalità di elezione per condurre l’esame.
Il colloquio viene condotto in accordo ai suggerimenti comunemente adottati
nell’esame neuropsichiatrico infantile, riassumibili nei seguenti punti:

¨ organizzare adeguatamente gli spazi in cui deve avvenire il colloquio


¨ favorire la libera espressione del soggetto, creando una dimensione relazionale in
cui non si senta esaminato e, soprattutto, giudicato;
¨ evitare l’adozione di atteggiamenti direttivi, forzando il colloquio su
tematiche che interessano l’esaminatore, ma non il bambino, o nei confronti delle
quali egli sembra mostrare delle resistenze
¨ guidarlo ad esprimersi su alcune tematiche critiche, quali i rapporti con gli altri, i
rapporti con i genitori, la scuola, la natura degli interessi e delle attività, le emozioni
fondamentali (rabbia, felicità, tristezza, paura) e le situazioni in grado di attivarle.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 63/S1
Titolo: IL PERCORSO DIAGNOSTICO
Attività n°: 01

VALUTAZIONE DEI COMPORTAMENTI CON SIGNIFICATO DIAGNOSTICO

Questa parte dell’esame prevede la valutazione di quegli aspetti che caratterizzano il


comportamento autistico, così come definito dai criteri diagnostici del DSM-5
Per i bambini più piccoli e/o non verbali la tecnica di valutazione è fondamentalmente
rappresentata dall’osservazione (seduta di gioco). Risulta particolarmente importante
annotare aspetti, quali:
¨ il modo in cui il bambino entra nella stanza, che può variare dal rifiuto manifesto,
all’inibizione o alla completa disinibizione;
¨ il modo in cui investe lo spazio, che può esprimersi con la ricerca di uno spazio privilegiato
in cui resta “confinato” o, al contrario, con un’attività motoria frenetica che lo porta a
spaziare per tutta la stanza;
¨ il modo in cui esplora gli oggetti presenti nella stanza, che può variare da una completa
indifferenza, ad una manipolazione afinalistica o ad un uso ritualizzato;
¨ il modo in cui reagisce alla presenza dell’altro, che può essere caratterizzato da una
completa indifferenza, da reazioni di evitamento o da una viscosità indiscriminata;
il modo in cui risponde alle richieste dell’esaminatore, che può variare da un’apparente
disponibilità ad interagire, ad un’aderenza passiva o a un completo rifiuto;
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 63/S1
Titolo: IL PERCORSO DIAGNOSTICO
Attività n°: 01

VALUTAZIONE DEI COMPORTAMENTI CON SIGNIFICATO DIAGNOSTICO

¨ il modo in cui comunica i propri bisogni, che può variare da segnalatori poco differenziati
(gridare, esprimere malessere, accentuare condotte stereotipate) a comportamenti più
espliciti (prendere la mano dell’altro e dirigerla per), fino a gesti funzionali (indicare)
¨ gli interessi e le attività prevalenti, che possono essere rappresentati da manierismi motori
stereotipati e/o dedizione assorbente a particolari attività e/o interessi bizzarri.
¨ il modo in cui reagisce al cambiamento, che può variare da un’accentuazione di manierismi
motori stereotipati a manifestazioni esplicite di rabbia o a situazione di angoscia
Per i bambini in grado di interagire verbalmente l’osservazione va integrata con il colloquio,
nell’ambito del quale andranno in particolare valutati aspetti, quali:
¨ l’iniziativa nello scambio verbale, che può essere assente o per contro “eccessiva”
¨ la presenza di contenuti ideativi perseveranti, che possono esprimersi in rapporto al livello
cognitivo e linguistico con espressioni verbali semplici o con periodi articolati e complessi
incentrati su un’unica tematica;
¨ le finalità preferenziali della comunicazione, che risulta generalmente di tipo richiestivo ( =
rivolgersi all’altro per ottenere qualcosa) e mai – o quasi mai - di tipo dichiarativo ( =
richiamare l’attenzione dell’altro per condividere un comune fuoco di interesse);
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 63/S1
Titolo: IL PERCORSO DIAGNOSTICO
Attività n°: 01

VALUTAZIONE DEI COMPORTAMENTI CON SIGNIFICATO DIAGNOSTICO

¨ la coerenza delle risposte, che può essere qualitativamente valida, ma


quantitativamente limitata a risposte molto sintetiche, spesso monosillabiche. Per
contro, può rivelarsi un’aderenza alle domande scarsa o nulla, con pseudo-risposte
che ripropongono tematiche perseveranti
¨ anomalie nell’alternanza dei turni, che sottende uno scarso riconoscimento
dell’altro come partner conversazionale
¨ la pragmatica, che può essere più o meno alterata, fino ad arrivare alla completa
incapacità di padroneggiare le componenti non verbali del linguaggio
¨ alterazioni della prosodia, dell’intonazione e/o del ritmo dell’eloquio ¨ la presenza di
stereotipie verbali
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 63/S1
Titolo: IL PERCORSO DIAGNOSTICO
Attività n°: 01

VALUTAZIONE DELLE COMPETENZE COGNITIVE E LINGUISTICHE

Per quel che riguarda le competenze cognitive, la valutazione prevede non solo il
calcolo del QI totale, ma più in generale la definizione del profilo cognitivo del
soggetto. In particolare, oltre al livello cognitivo globale, andranno valutati i
fattori che concorrono a determinarlo, quali attenzione, memoria, abilità
visuopercettive-motorie e competenze prassiche.

Per quel che riguarda le competenze linguistiche, è necessario procedere alla


valutazione di tutte le componenti del linguaggio (fono-articolatoria, grammaticale,
semantica, pragmatica), in espressione e in ricezione. Quando la disponibilità
relazionale del soggetto lo permette, vanno utilizzati i reattivi mentali standardizzati
comunemente usati in Neuropsichiatria Infantile, scelti sulla base dell’età cronologica
e del livello di sviluppo del bambino
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 63/S1
Titolo: IL PERCORSO DIAGNOSTICO
Attività n°: 01

VALUTAZIONE DELLO SVILUPPO EMOTIVO


Questa area si riferisce alla valutazione della tonalità emotiva che si associa ai
comportamenti del soggetto. Particolare attenzione andrà rivolta alla gamma
delle emozioni presentate dal soggetto, alla capacità che egli ha di modularle
e alla congruenza degli stati emotivi con la situazione.
Per i bambini più piccoli e/o non verbali, tali aspetti andranno valutati
mediante l’osservazione, facendo riferimento a:
¨ espressioni mimiche
¨ atteggiamenti posturali
¨ livelli di attività motoria
¨ comportamenti aggressivi auto- e/o etero-diretti
¨ stereotipie
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 63/S2
Titolo: IL PERCORSO DIAGNOSTICO
Attività n°: 01

INCONTRI DEDICATI AL BAMBINO


ESAME OBIETTIVO
L’esame obiettivo è finalizzato a ricercare l’eventuale presenza di segni e sintomi
riferibili a condizioni mediche nosograficamente definite, con particolare
riferimento a quelle più frequentemente segnalate in associazione con l’autismo
(sclerosi tuberosa, sindrome dell’X-Fragile, Ipomelanosi di Ito, etc.).
Particolarmente importante è la misurazione di parametri auxologici, quali la
statura, il peso e, soprattutto, il perimetro cranico (PC). Di riscontro frequente è
un valore del perimetro cranico superiore al 90° percentile; questo dato può non
essere presente alla nascita, ma evidenziarsi successivamente, con
un’accelerazione del tasso di crescita tra i 2 e i 12 anni (Aylward et al., 2002).
Circa il 25% dei bambini con disturbi dello spettro autistico presenta
macrocefalia.
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Lezione n°: 63/S2
Titolo: IL PERCORSO DIAGNOSTICO
Attività n°: 01

ESAME NEUROLOGICO
L’esame neurologico standard, finalizzato a valutare l’integrità delle strutture
nervose centrali e periferiche dovrà tener conto non solo dei sintomi “maggiori”
(spasticità, distonie, atassia, paralisi, etc;), ma anche dei segni “minori”
(neurological soft signs). Nell’ambito di questo ultimo tipo di segni rientrano rilievi
aspecifici e di incerta definizione nosografica, quali strabismo, sfumate asimmetrie
di lato dei riflessi o del tono, lievi ipercinesie coreiformi, incertezze nella
coordinazione dinamica generale. Tali segni, oltre a rappresentare una
testimonianza di una possibile disfunzione neurobiologica di fondo, si pongono
talvolta come utili elementi per una diagnosi differenziale.

ESAME PSICHIATRICO a carico della Neuropsichiatria Infantile

1. L’osservazione. L’osservazione rappresenta la modalità privilegiata e spesso


esclusiva nelle situazioni in cui il bambino è molto piccolo, non verbale e/o non
disponibile ad un aggancio relazionale. Essa prevede due momenti: uno
apparentemente non strutturato e l’altro strutturato (= seduta di gioco).
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Lezione n°: 63/S2
Titolo: IL PERCORSO DIAGNOSTICO
Attività n°: 01

1. L’osservazione Per i bambini più piccoli, non verbali e/o con basso livello di
sviluppo possono essere proposti: giochi senso-motori (rincorrersi-prendersi-
nascondersi); giochi con la palla, macchinine o costruzioni; attività espressive con
l’uso di matite o plastilina; giochi di finzione con miniature di bicchieri, piatti o
bambolotti. Per bambini più grandi, verbali
e/o con livello di sviluppo relativamente adeguato possono essere proposte
situazioni-stimolo maggiormente strutturate, quali giochi di finzione di maggiore
complessità simbolica (riproposizione di scene di vita quotidiana e drammatizzazioni)
o giochi con regole.
Quanto più l’osservazione è apparentemente libera, in un contesto relazionale
rassicurante, tanto maggiori saranno le possibilità espressive del bambino e,
quindi, gli elementi che si riescono a cogliere. Il termine apparentemente viene
sottolineato per indicare che, nell’organizzazione dell’osservazione, nulla è
lasciato al caso o all’improvvisazione. In effetti l’esaminatore ha uno schema
mentale ben preciso che lo guida. La stessa scelta di lasciare “libero” il bambino
di agire e di interagire risponde ad uno specifico scopo, in accordo ad un
protocollo predefinito.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 63/S2
Titolo: IL PERCORSO DIAGNOSTICO
Attività n°: 01

Il colloquio. Il colloquio rappresenta la naturale integrazione dell’osservazione


quando il bambino è in grado di interagire verbalmente. Per gli adolescenti
verbalmente competenti esso diventa la modalità di elezione per condurre l’esame.
Il colloquio viene condotto in accordo ai suggerimenti comunemente adottati
nell’esame neuropsichiatrico infantile, riassumibili nei seguenti punti:

¨ organizzare adeguatamente gli spazi in cui deve avvenire il colloquio


¨ favorire la libera espressione del soggetto, creando una dimensione relazionale in
cui non si senta esaminato e, soprattutto, giudicato;
¨ evitare l’adozione di atteggiamenti direttivi, forzando il colloquio su
tematiche che interessano l’esaminatore, ma non il bambino, o nei confronti delle
quali egli sembra mostrare delle resistenze
¨ guidarlo ad esprimersi su alcune tematiche critiche, quali i rapporti con gli altri, i
rapporti con i genitori, la scuola, la natura degli interessi e delle attività, le emozioni
fondamentali (rabbia, felicità, tristezza, paura) e le situazioni in grado di attivarle.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 63/S2
Titolo: IL PERCORSO DIAGNOSTICO
Attività n°: 01

VALUTAZIONE DEI COMPORTAMENTI CON SIGNIFICATO DIAGNOSTICO

Questa parte dell’esame prevede la valutazione di quegli aspetti che caratterizzano il


comportamento autistico, così come definito dai criteri diagnostici del DSM-5
Per i bambini più piccoli e/o non verbali la tecnica di valutazione è fondamentalmente
rappresentata dall’osservazione (seduta di gioco). Risulta particolarmente importante
annotare aspetti, quali:
¨ il modo in cui il bambino entra nella stanza, che può variare dal rifiuto manifesto,
all’inibizione o alla completa disinibizione;
¨ il modo in cui investe lo spazio, che può esprimersi con la ricerca di uno spazio privilegiato
in cui resta “confinato” o, al contrario, con un’attività motoria frenetica che lo porta a
spaziare per tutta la stanza;
¨ il modo in cui esplora gli oggetti presenti nella stanza, che può variare da una completa
indifferenza, ad una manipolazione afinalistica o ad un uso ritualizzato;
¨ il modo in cui reagisce alla presenza dell’altro, che può essere caratterizzato da una
completa indifferenza, da reazioni di evitamento o da una viscosità indiscriminata;
il modo in cui risponde alle richieste dell’esaminatore, che può variare da un’apparente
disponibilità ad interagire, ad un’aderenza passiva o a un completo rifiuto;
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 63/S2
Titolo: IL PERCORSO DIAGNOSTICO
Attività n°: 01

VALUTAZIONE DEI COMPORTAMENTI CON SIGNIFICATO DIAGNOSTICO

¨ il modo in cui comunica i propri bisogni, che può variare da segnalatori poco differenziati
(gridare, esprimere malessere, accentuare condotte stereotipate) a comportamenti più
espliciti (prendere la mano dell’altro e dirigerla per), fino a gesti funzionali (indicare)
¨ gli interessi e le attività prevalenti, che possono essere rappresentati da manierismi motori
stereotipati e/o dedizione assorbente a particolari attività e/o interessi bizzarri.
¨ il modo in cui reagisce al cambiamento, che può variare da un’accentuazione di manierismi
motori stereotipati a manifestazioni esplicite di rabbia o a situazione di angoscia
Per i bambini in grado di interagire verbalmente l’osservazione va integrata con il colloquio,
nell’ambito del quale andranno in particolare valutati aspetti, quali:
¨ l’iniziativa nello scambio verbale, che può essere assente o per contro “eccessiva”
¨ la presenza di contenuti ideativi perseveranti, che possono esprimersi in rapporto al livello
cognitivo e linguistico con espressioni verbali semplici o con periodi articolati e complessi
incentrati su un’unica tematica;
¨ le finalità preferenziali della comunicazione, che risulta generalmente di tipo richiestivo ( =
rivolgersi all’altro per ottenere qualcosa) e mai – o quasi mai - di tipo dichiarativo ( =
richiamare l’attenzione dell’altro per condividere un comune fuoco di interesse);
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 63/S2
Titolo: IL PERCORSO DIAGNOSTICO
Attività n°: 01

VALUTAZIONE DEI COMPORTAMENTI CON SIGNIFICATO DIAGNOSTICO

¨ la coerenza delle risposte, che può essere qualitativamente valida, ma


quantitativamente limitata a risposte molto sintetiche, spesso monosillabiche. Per
contro, può rivelarsi un’aderenza alle domande scarsa o nulla, con pseudo-risposte
che ripropongono tematiche perseveranti
¨ anomalie nell’alternanza dei turni, che sottende uno scarso riconoscimento
dell’altro come partner conversazionale
¨ la pragmatica, che può essere più o meno alterata, fino ad arrivare alla completa
incapacità di padroneggiare le componenti non verbali del linguaggio
¨ alterazioni della prosodia, dell’intonazione e/o del ritmo dell’eloquio ¨ la presenza di
stereotipie verbali
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 63/S2
Titolo: IL PERCORSO DIAGNOSTICO
Attività n°: 01

VALUTAZIONE DELLE COMPETENZE COGNITIVE E LINGUISTICHE

Per quel che riguarda le competenze cognitive, la valutazione prevede non solo il
calcolo del QI totale, ma più in generale la definizione del profilo cognitivo del
soggetto. In particolare, oltre al livello cognitivo globale, andranno valutati i
fattori che concorrono a determinarlo, quali attenzione, memoria, abilità
visuopercettive-motorie e competenze prassiche.

Per quel che riguarda le competenze linguistiche, è necessario procedere alla


valutazione di tutte le componenti del linguaggio (fono-articolatoria, grammaticale,
semantica, pragmatica), in espressione e in ricezione. Quando la disponibilità
relazionale del soggetto lo permette, vanno utilizzati i reattivi mentali standardizzati
comunemente usati in Neuropsichiatria Infantile, scelti sulla base dell’età cronologica
e del livello di sviluppo del bambino
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 63/S2
Titolo: IL PERCORSO DIAGNOSTICO
Attività n°: 01

VALUTAZIONE DELLO SVILUPPO EMOTIVO


Questa area si riferisce alla valutazione della tonalità emotiva che si associa ai
comportamenti del soggetto. Particolare attenzione andrà rivolta alla gamma
delle emozioni presentate dal soggetto, alla capacità che egli ha di modularle
e alla congruenza degli stati emotivi con la situazione.
Per i bambini più piccoli e/o non verbali, tali aspetti andranno valutati
mediante l’osservazione, facendo riferimento a:
¨ espressioni mimiche
¨ atteggiamenti posturali
¨ livelli di attività motoria
¨ comportamenti aggressivi auto- e/o etero-diretti
¨ stereotipie
SCALA DI VALUTAZIONE DELL’AUTISMO INFANTILE
Eric Schopler e coll. (Traduzione Dr. Goran Dzingalasevic)

QUADERNO DI NOTAZIONE

Cognome: ________________________________ Nome:________________________

Data e luogo di nascita: ____________________________________________________

Età cronologica: __________________________

Data dell’esame: __________________________

Esaminatore: _____________________________

PUNTEGGI ALLE DIVERSE CATEGORIE

I II III IV V VI VII VIII IX X XI XII XIII XIV XV Totale

NON AUTISTICO DA LIEVEMENTE A SEVERAMENTE AUTISTICO


MEDIAMENTE AUTISTICO
15 18 21 24 27 30 33 36 39 42 45 48 51 54 57 60

1
ISTRUZIONI

Per ogni categoria, utilizzare lo spazio lasciato libero per rendere appunti sui
comportamenti da valutare. Quando l’osservazione è finita, valutare i comportamenti
corrispondenti ad ogni prova. Per ogni item, circondare il numero che corrisponde meglio
alla descrizione del comportamento del bambino. E’ possibile graduare la descrizione la
descrizione utilizzando le note intermedie: 1,5 – 2,5 – 3,5 . Per ogni item troverete criteri di
valutazione abbreviati. Bisogna riportarsi al capitolo 2 del manuale per avere una
conoscenza più completa dei criteri di valutazione.

I. RELAZIONI SOCIALI

1. Nessuna difficoltà o anomalia nei confronti con le persone. Il comportamento


del bambino è adeguato all’età. Un certo grado di timidezza, di disturbo o di
irritazione legato al fatto di essere osservate ma non di più rispetto ai
bambini normali della stessa età.

2. Anomalie minori nelle relazioni. Il bambino può evitare di guardare l’adulto


negli occhi, può evitare il contatto con l’adulto o mostrarsi reticente se
l’interazione è iniziata in una maniera forzata, essere eccessivamente
timido, essere meno sensibile alla presenza dell’adulto rispetto ai bambini
normali o attaccarsi più spesso ai genitori rispetto alla maggior parte dei
bambini della stessa età.

3. Anomalie medie nelle relazioni. Il bambino presenta a volte dei


comportamenti di chiusura, sembra insensibile alla presenza dell’adulto. Un
intervento importante e duraturo può essere necessario a volte per ottenere
l’attenzione del bambino. Il contatto iniziato dal bambino stesso è minimo.

4. Anomalie gravi nella relazioni. Il bambino è costantemente chiuso in se


stesso e insensibile a ciò che fa l’adulto. Non risponde e non cerca quasi mai
il contatto con l’adulto. Solo sollecitazioni più insistenti possono produrre
l’effetto di attirare l’attenzione del bambino.

Osservazioni:

2
II IMITAZIONE

1. Imitazione adeguata. Il bambino può imitare dei suoni, delle parole e dei
Movimenti che corrispondono al suo livello.
2. Imitazione lievemente anormale. La maggior parte del tempo, il bambino imita
dei comportamenti semplici come battere le mani o riprodurre dei suoni.
Occasionalmente, imita dietro stimolazione o dopo un indugio.
3. Imitazione mediamente anormale. Il bambino non imita spontaneamente e
l’adulto deve insistere e aiutarlo per ottenere il comportamento desiderato.
Spesso, il bambino imita dopo un indugio.
4. Imitazione gravemente anormale. Il bambino imita raramente o quasi mai i suoni
o i movimenti anche se viene stimolato o aiutato dall’adulto.

Osservazioni:

III RISPOSTE EMOTIVE

1. Risposte emotive adeguate all’età e alla situazione. Il bambino presenta un tipo e


un’intensità di risposta normali. Questo si manifesta con un cambiamento
dell’espressione facciale, della postura e del modo di comportarsi.
2. Risposte emotive lievemente anormali. Il bambino presenta a volte un tipo e un
grado di reazioni emotive inadeguate. Le risposte non sono legate, a volte, con gli
oggetti o le situazioni presenti.
3. Risposte emotive mediamente anormali. Il bambino presenta segni di
inadattabilità nel tipo e nell’intensità delle risposte emotive. Le reazioni possono
essere relativamente inibite o eccessive, possono essere incoerenti con la
situazione. Il bambino può fare smorfie, ridere o irrigidirsi anche se l’ambiente
non sembra provocare tale emozioni.
4. Risposte emotive gravemente anormali. Le risposte sono raramente appropriate
alla situazione. Quando il bambino è in uno stato emotivo determinato, viene
difficile farlo cambiare di umore. Al contrario, può presentare delle emozioni
molto diverse mentre la situazione è rimasta uguale.

Osservazioni:

3
IV USO DEL CORPO

1. Uso del corpo normale per l’età. Il bambino si muove con la stessa facilità, la
stessa abilità e lo stesso livello di coordinamento di un bambino della stessa età.
2. Uso del corpo lievemente anormale. Si osservano lievi particolarità come la
mancanza di destrezza, movimenti ripetitivi, scarsa coordinazione. Possono
apparire dei movimenti meno abituali, ma raramente.
3. Uso del corpo mediamente anormale. Si rilevano comportamenti che sono
Chiaramente strani o inabituali per un bambino di questa età: movimenti bizzarri
delle dita, postura particolare delle dita o del corpo, fissazione dello sguardo su
una parte del corpo, manipolazione del corpo, auto-aggressività, dondolamento,
rotazione, agitazione delle dita o marcia sulle punta dei piedi.
4. Uso gravemente anormale del corpo. Movimenti come quelli descritti sopra che
appaiano con un’intensità ed una frequenza importante corrispondono ad uno
uso gravemente anormale del corpo. Questi comportamenti possono persistere
malgrado tentativi per eliminarli o per integrare il bambino in altre attività.

Osservazioni:

V USO DEGLI OGGETTI

1. Interesse normale per i giocatoli ed altri oggetti, uso adeguato. Il bambino


manifesta un interesse normale per i giocatoli ed altri oggetti adeguati al suo
livello di abilità e le usa in una maniera adeguata.
2. Interesse lievemente anormale per i giocatoli ed altri oggetti, uso lievemente
inadeguato. Il bambino può presentare un interesse atipico per gli oggetti o
giocare in una maniera immatura (per esempio, batte con lo giocatolo o lo
succhia).
3. Interesse mediamente anormale per gli oggetti, uso mediamente inadeguato. Il
bambino può manifestare poco interesse per i giocatoli o altri oggetti, o le può
utilizzare per focalizzare la sua attenzione su una parte insignificante del
giocatolo, essere affascinato dal riflesso della luce sull’oggetto, muovere in
maniera ripetitiva una parte dell’oggetto o giocare con un solo oggetto senza
considerare gli altri.
4. Interesse gravemente anormale per gli oggetti, uso gravemente inadeguato. Il
bambino può possedere i comportamenti descritti sopra, con una frequenza e
un’intensità più significative. Il bambino è più difficile da distrarre da queste sue
attività inadeguate.

4
Osservazioni:

VI ADATTAMENTO AL CAMBIAMENTO

1. Risposta al cambiamento, adeguata all’età. Il bambino può notare i cambiamenti


di routine e fare dei commenti, accetta però queste modificazioni senza segni di
allarme.
2. Reazioni lievemente anormali al cambiamento. Quando un adulto prova a
cambiare un’attività, il bambino può continuare la stessa attività o utilizzare lo
stesso materiale.
3. Reazione mediamente anormale al cambiamento. Il bambino resiste attivamente
ai cambiamenti di routine, prova a continuare l’attività precedente e risulta
difficile distrarlo. Può innervosirsi e mostrarsi perturbato quando una routine
stabilita viene modificata.
4. Reazione gravemente anormale al cambiamento. Il bambino presenta delle
reazioni gravi al cambiamento. Se un cambiamento è imposto, può contrariarsi,
rifiutare di cooperare e manifestare rabbia.

Osservazioni:

VII RISPOSTE VISIVE

1. Risposte visive adeguate all’età. Il comportamento visivo del bambino è normale


e adeguato per l’età. La vista viene usata insieme agli altri sensi per esplorare
un oggetto nuovo

2. Risposte visive lievemente anormali. Occorre richiamare ogni tanto il bambino a


guardare gli oggetti. Il bambino può essere più interessato dagli specchi o le luci
che dai suoi pari, può a volte fissare nel vuoto. Può anche evitare di guardare la
gente negli occhi.

3. Risposte visive mediamente anormali. Occorre spesso richiamare il bambino a


guardare ciò che fa. Può fissare nel vuoto, evitare di guardare la gente negli
occhi, guardare gli oggetti da un angolo inusuale, o tenere gli oggetti vicinissimo
agli occhi.

5
4. Risposte visive gravemente anormali. Il bambino evita costantemente di
guardare la gente o alcuni oggetti e può presentare le forme estreme delle
particolarità visive descritte sopra.

Osservazioni:

VIII RISPOSTE AUDITIVE

1. Risposte auditive adeguate per l’età. Le risposte auditive sono normali e


adeguate per l’età. L’udito viene usato insieme agli altri sensi.
2. Risposte auditive lievemente anormali. Possono essere rilevati una certa
mancanza di risposte o una reazione lievemente eccessiva ad alcuni rumori. Le
risposte ai suoni possono essere differiti. Può essere necessario riprodurre un
suono per attirare l’attenzione del bambino. Il bambino può essere distratto ddai
rumori esterni.
3. Risposte auditive mediamente anormali. La risposta del bambino al rumore può
variare. Ignora spesso un rumore quando viene presentato per la prima volta.
Può soprasaltare o coprirsi le orecchie sentendo rumori conosciuti con i quali è
confrontato quotidianamente.
4. Risposte auditive gravemente anormali. Il bambino risponde troppo o troppo
poco ai rumori. La risposta è eccessiva qualunque sia il tipo di stimolo sonoro.

Osservazioni:

IX GUSTO – ODORATO - TOCCARE (RISPOSTE E MODI DI ESPLORAZIONE)

1. Risposte normali agli stimoli gustativi, olfattivi e tattili: uso normale di questi
sensi. Il bambino esplora nuovi oggetti in una maniera adeguata per l’età,
generalmente toccandole e guardandole. Il gusto è l’odorato possono essere
utilizzati quando è adeguato farlo. Quando reagisce a dei dolori minimi e
coerenti, il bambino esprime il disagio ma non ha una reazione eccessiva.
2. Risposte lievemente anormali agli stimoli gustativi, olfattivi e tattili; uso
lievemente anormale di questi sensi. Il bambino può continuare a portare gli
oggetti alla bocca, annusare o gustare oggetti non commestibili, ignorare un
piccolo dolore o presentare una reazione eccessiva rispetto alla semplice
reazione di disagio di un bambino normale.

6
3. Risposte mediamente anormali agli stimoli gustativi, olfattivi e tattili; uso
mediamente anormale di questi sensi. Il bambino può essere mediamente
preoccupato nel toccare, sentire e gustare gli oggetti o le persone. Il bambino
può reagire troppo fortemente o troppo poco al dolore.
4. Risposte gravemente anormali agli stimoli gustativi, olfattivi e tattili; uso
severamente anormale di questi sensi. Il bambino è preoccupato nell’annusare,
gustare o toccare gli oggetti soprattutto per la sensazione piuttosto che per
l’esplorazione o l’utilizzazione degli oggetti. Il bambino può ignorare il dolore o
reagire molto forte ad un disagio lieve.

Osservazioni:

X PAURA, ANSIA

1. Paura o ansia normali. Il comportamento del bambino è adeguato alla situazione


tenuto conto dell’età.
2. Paura o ansia lievemente anormali. Il bambino presenta ogni tanto una paura o
un’ansia troppo intensa o troppo lieve rispetto alla reazione di un bambino
normale della stessa età in una situazione simile.
3. Paura o ansia mediamente anormale. Il bambino presenta una paura troppo
intensa o troppo lieve rispetto alla reazione di un bambino anche più piccolo, in
una situazione simile.
4. Paura o ansia gravemente anormali. Le paure persistono anche dopo
l’esperienza ripetuta di situazioni o di oggetti senza pericolo. E’ estremamente
difficile calmare o confortare il bambino. Al contrario, può non sapere reagire in
una maniera adeguata ai pericoli che evitano i bambini della stessa età.

Osservazioni:

XI COMUNICAZIONE VERBALE

1. Comunicazione verbale normale per l’età e la situazione.

2. Comunicazione verbale lievemente anormale. Il linguaggio presenta un ritardo


generale. L’essenziale del discorso ha un significato, però possono essere

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presenti ecolalia o inversione pronominale. Parole particolari o in gergo possono
essere utilizzati ogni tanto.

3. Comunicazione verbale mediamente anormale. Il linguaggio può essere


assente. Quando è presente, la comunicazione verbale può essere un miscuglio
di linguaggio significativo e di particolarità come gergo, ecolalia o inversione
pronominale. Il linguaggio può comportare anche delle particolarità come le
domande ripetute o una preoccupazione eccessive su argomenti specifici.

4. Comunicazione verbale gravemente anormale. Il bambino non utilizza un


linguaggio funzionale. Può emettere dei gridi infantili, dei suoni strani o che
somigliano a gridi di animali, dei rumori complessi che si avvicinano al
linguaggio, o può fare un uso bizzarro e persistente di alcune parole o frasi.

Osservazioni:

XII COMUNICAZIONE NON VERBALE.

1. Comunicazione non verbale normale per l’età e la situazione.

2. Comunicazione non verbale lievemente anormale. La comunicazione verbale è


immatura. Il bambino può puntare vagamente con il dito o toccare ciò che vuole
nelle situazioni dove un bambino normale della stessa età indica con il dito o
presenta dei gesti specifici per indicare ciò che vuole.

3. Comunicazione non verbale mediamente anormale. Il bambino è generalmente


incapace di esprimere i suoi bisogni o desideri mediante gesti. E’ ugualmente
incapace di indicare ciò che vuole mediante gesti.

4. Comunicazione non verbale gravemente anormale. Il bambino utilizza soltanto


gesti bizzarri o particolari che non hanno un significato apparente. Non integra il
significato dei gesti e delle espressioni facciali degli altri.

Osservazioni:

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XIII LIVELLO DI ATTIVITA’

1. Livello di attività normale per l’età e la situazione. Il bambino non è ne più attivo,
ne meno attivo di un bambino normale in una situazione simile.

2. Livello di attività lievemente anormale. Il bambino ogni tanto è leggermente


agitato o piuttosto rallentato. Il livello di attività del bambino interferisce
lievemente con la sua performance.
3. Livello di attività mediamente anormale. Il bambino può essere molto attivo e
difficile da controllare. Può spendere energia senza limite e non desiderare di
andare a letto la sera. A contrario, può essere apatico e necessitare di forte
stimolazione per farlo muovere.
4. Livello di attività gravemente anormale. Il bambino presenta dei livelli di attività
estremi che vanno dall’iperattività all’apatia. Può anche passare da un estremo
all’altro.

Osservazioni:

XIV LIVELLO INTELLETUALE E OMOGENEITA’ DEL FUNZIONAMENTO


INTELLETIVO

1. Intelligenza normale e funzionamento intellettivo omogeneo. Il bambino è


Intelligente come un bambino normale della stessa età e non presenta ne abilità
eccezionali ne problemi.
2. Funzionamento intellettivo lievemente anormale. Il bambino non ha un
intelligenza così sviluppata rispetto a quella di un bambino della stessa età, il
suo ritardo è omogeneo in tutti gli ambiti.
3. Funzionamento intellettivo mediamente anormale. In genere, il bambino non ha
un intelligenza così sviluppata rispetto a quella di un bambino della stessa età.
Però, può presentare performances vicini alla norma in uno o parecchi ambiti del
funzionamento intellettivo.
4. Funzionamento intellettivo gravemente anormale. Mentre il bambino non ha in
generale un intelligenza così sviluppata rispetto a quella di un bambino normale
della stessa età, si mostra capace di funzionare ad un livello superiore rispetto ai
bambini della sua età in uno o parecchi ambiti.

Osservazioni:

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XV IMPRESSIONE GENERALE

1. Nessun autismo. Il bambino non presenta nessun sintomo caratteristico


dell’autismo.
2. Autismo lieve. Il bambino presenta soltanto alcuni sintomi o un lieve grado di
autismo.
3. Autismo medio. Il bambino presenta un certo numero di sintomi o un grado di
autismo medio.
4. Autismo severo. Il bambino presenta molti sintomi o un grado estremo di
autismo.

Osservazioni:

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Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 64
Titolo: FATTORI EZIOLOGICI E INTERVENTI
Attività n°: 01

FATTORI EZIOLOGICI
E INTERVENTI

Nel corso di questa lezione cercheremo di fornire una breve panoramica rispetto alla
diffusione dei disturbi dello spettro autistici tra la popolazione per poi concentrarci ad
analizzare le possibili cause di queste problematiche e individuare la tipologia di
intervento più adatta per i bambini con questo tipo di disturbo.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 64
Titolo: FATTORI EZIOLOGICI E INTERVENTI
Attività n°: 01

Dati epidemiologici

L’epidemiologia (la disciplina che studia la distribuzione e la frequenza delle malattie) ha


permesso di stabilire che l’autismo non sembra presentare prevalenze geografiche e/o
etniche, in quanto è stato descritto in tutte le popolazioni del mondo, di ogni razza o
ambiente sociale; presenta, viceversa, una prevalenza di sesso, in quanto colpisce i
maschi in misura da 3 a 4 volte superiore rispetto alle femmine, una differenza
che aumenta ancora di più se si esaminano i quadri di sindrome di Asperger, una delle
forme dei disturbi dello spettro autistico. Una prevalenza di 10-13 casi per 10.000
sembra la stima più attendibile per le forme classiche di autismo, mentre se si
considerano tutti i disturbi dello spettro autistico la prevalenza arriva a 40-50 casi per
10.000. Sono tuttavia in corso ulteriori studi dal momento che nei paesi anglofoni sono
pervenute segnalazioni che porterebbe la prevalenza dei disturbi autistici a 90/10.000.
Considerando tutte le forme di disturbo dello spettro autistico, l’incidenza di questa
patologia nei bambini di età inferiore ai cinque anni è di circa di un soggetto ogni mille e
le ricerche dimostrano che nel corso degli ultimi decenni l’incidenza di questa patologia è
andata progressivamente aumentando.
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Lezione n°: 64
Titolo: FATTORI EZIOLOGICI E INTERVENTI
Attività n°: 01

Rispetto alle possibili cause del disturbo, ancora oggi tra gli studiosi non vi è unanimità
e sono state proposte diverse ipotesi in merito.

Tuttora non è stata chiaramente compresa la concatenazione di eventi patologici che


determinano l’insorgenza di un quadro sintomatologico così complesso e variegato che
si correla con il non corretto funzionamento di strutture distinte, sia dal punto
di vista anatomico che funzionale.
La complessità del disturbo induce infatti ad ipotizzare una compromissione
multisistemica e di origine multifattoriale.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 64
Titolo: FATTORI EZIOLOGICI E INTERVENTI
Attività n°: 01

Nel passato diversi studiosi avevano individuato nei genitori (soprattutto nella madre) e nei
loro comportamenti i principali responsabili della patologia autistica.
L’ipotesi prevalente individuava una correlazione tra il disturbo nel bambino e la presenza
di genitori ossessivi ed incapaci di aiutare il piccolo ad uscire dal suo guscio protettivo.
In seguito i genitori dei bambini autistici vennero descritti come adulti freddi e distaccati,
capaci di soddisfare i bisogni fisici dei loro figli, ma inadeguati nel riconoscere le loro
esigenze emotive (Bettheleim, 1967).
Tali interpretazione psicodinamiche, predominanti nel passato, non sono sostenute da
nessuno studio scientifico.
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Lezione n°: 64/S1
Titolo: FATTORI EZIOLOGICI E INTERVENTI
Attività n°: 01

Impatto sulla famiglia

Il contenuto della lezione è tratto dall’articolo di Di Marco & Hichy


GESTIONE DELLO STRESS IN GENITORI CON FIGLI AUTISTICI: GLI EFFETTI
DELL’AUTOEFFICACIA E DEL SUPPORTO SOCIALE

•Annali della facoltà di Scienze della formazione


•Università degli studi di Catania
•17 (2018), pp. 75-84
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 64/S1
Titolo: FATTORI EZIOLOGICI E INTERVENTI
Attività n°: 01

Premessa
La nascita di un bambino è uno degli avvenimenti fondamentali nella vita di una coppia e
rappresenta un evento cruciale che impone una vera e propria riorganizzazione della
famiglia1.
Quando il bambino tanto sognato ed idealizzato, però, non è sano, il lieto evento si tinge di
tragico, la gioia lascia il posto allo sconforto e i sentimenti di smarrimento e perdita che
investono i genitori fanno sì che essi vivano una situazione intrinsecamente paragonabile
ad un lutto. La nascita di un figlio disabile è, quasi sempre, un evento inaspettato e non
scelto, un evento, quindi, paranormativo e potenzialmente disadattivo, che coinvolge la
famiglia nelle sue dimensioni pratiche ed emotive e ne influenza il benessere generale.
Dal trauma e dal dolore iniziali, generano sensi di colpa e sentimenti di rabbia, fino ad
arrivare, faticosamente, all’accettazione del problema4. Ne consegue una condizione di
stress, ovvero, una discordanza, negativamente connotata, tra uno stato di desiderio e la
percezione di una situazione che impone una reazione fisiologica di adattamento5. Il
trauma per l’arrivo del bambino imperfetto e per la perdita del bambino desiderato, si
evolve in stress per effetto del disagio, dell’ansia e della tensione derivanti dalla
consapevolezza che le abituali modalità di funzionamento sono inadeguate e che la
famiglia dovrà mobilitare nuove risorse e affrontare inediti compiti di sviluppo.
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Lezione n°: 64/S1
Titolo: FATTORI EZIOLOGICI E INTERVENTI
Attività n°: 01

Nel tempo, i vissuti stressanti di queste famiglie stentano a ridursi a causa


dell’impegno
richiesto dai percorsi di cura, riabilitazione e educazione e delle minori, o comunque
differenti, occasioni di gratificazione.

Dinamiche familiari: effetti derivanti dal tipo di disabilità e dai ruoli genitoriali

La letteratura, evidenzia come gli effetti negativi dell’accudimento (stress,


ansia, depressione etc.) siano maggiori in presenza di figli con disturbo dello
spettro autistico. Sembrerebbe, infatti, che a causa dei problemi
comportamentali e delle difficoltà comunicative che contraddistinguono i
bambini affetti da autismo e della scarsa accettazione di tali comportamenti da
parte della società, le famiglie sperimentino maggiore angoscia, fatica fisica e
psicologica e paghino “costi”
(emotivi, di isolamento sociale, finanziari etc.) molto onerosi.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 64/S1
Titolo: FATTORI EZIOLOGICI E INTERVENTI
Attività n°: 01

Madri e padri

Dall’analisi delle dinamiche familiari, emergono, inoltre, differenze sostanziali tra


madri e padri relativamente al carico emotivo e organizzativo. Con riferimento ai
vissuti emotivi, le madri mostrano atteggiamenti più pessimistici e sono più esposte
alla depressione; nei padri, invece, sono più diffusi i sentimenti di frustrazione e
rabbia. Nonostante la ridefinizione del ruolo sociale della donna moderna, la figura
della madre risulta protagonista nella cura e nella gestione quotidiana del figlio
disabile. Spesso, anche le donne impegnate professionalmente prima della maternità,
si ritrovano a svolgere solo funzioni domestiche, avendo rinunciato al lavoro dinanzi
all’esigenza di assistere a tempo pieno il figlio; nel complesso, le donne con figli
disabili sono casalinghe che vivono una realtà ristretta e non di rado frustrante, con
scarse opportunità di sviluppo personale e professionale. I padri, di conseguenza,
sono meno presenti e maggiormente concentrati sul lavoro, per cui, più
frequentemente che nelle famiglie normotipiche, nelle famiglie con figli disabili
emerge una tradizionalizzazione dei ruoli genitoriali.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 64/S1
Titolo: FATTORI EZIOLOGICI E INTERVENTI
Attività n°: 01

Nel complesso, dalla letteratura, il padre appare come un genitore “periferico”


che non svolge compiti strettamente legati all’accudimento e alla cura, se non
quando la gestione del figlio è troppo gravosa per la sola madre.
Alcuni autori, tuttavia, suggeriscono come l’immagine del padre assente sia una
realtà in fase di superamento e che, sempre più spesso, seppur con difficoltà e
in tempi successivi alla nascita del bambino, essi siano maggiormente coinvolti
nella vita del figlio riuscendo a costruire una paternità più partecipata rispetto al
passato.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 64/S2
Titolo: FATTORI EZIOLOGICI E INTERVENTI
Attività n°: 01

Famiglia: Stress and coping


Negli ultimi decenni la ricerca sulle famiglie interessate dalla disabilità ha messo in secondo
piano gli aspetti patologizzanti per meglio comprendere le strategie adattive, i processi di
cambiamento e le risorse che mettono in atto per fronteggiare situazioni certamente
problematiche ma non necessariamente manchevoli di gratificazioni e spazi di felicità.
Ad una migliore e più ampia comprensione del funzionamento delle famiglie con figli disabili,
si è giunti grazie agli studi condotti nella prospettiva della Family Stress and Coping Theory,
un modello teorico sviluppato grazie al contributo di differenti autori che costituisce il
tentativo più completo di analisi dell’argomento.

Gli studi condotti secondo questo modello, evidenziano come la vita di queste famiglie sia
ben più complessa e problematica rispetto a quella delle famiglie normotipiche ma che,
l’evento critico, come in tutte le famiglie, vada interpretato come un momento di passaggio
che può portare a una ondizione funzionale o disfunzionale, a seconda delle risorse
(materiali, cognitive e relazionali) che la famiglia mette in campo nel corso del proprio ciclo
di vita20
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 64/S2
Titolo: FATTORI EZIOLOGICI E INTERVENTI
Attività n°: 01

Più nel dettaglio, la crisi, quale risultato di un evento stressante, può evolversi in
reazione adattiva in funzione della capacità della famiglia di valutazione adeguata
della sua gravità e della capacità di mobilizzare risorse; la risposta di adattamento
si sviluppa attraverso tre fasi: periodo della disorganizzazione, periodo
attivo di ricerca, raggiungimento di un nuovo livello di organizzazione.

La capacità della famiglia di ricercare, adoperare nuove risorse e utilizzare


in modo diverso quelle già note, è definita strategia di coping (concetto che abbiamo
già approfondito) e comprende comportamenti, azioni e idee efficaci e funzionali alla
gestione dell’evento critico. Olson afferma che, nell’impegno richiesto per
fronteggiare l’evento critico, la famiglia corre il rischio di perdita di coesione e di
distacco emotivo qualora, oltre all’individuazione e all’utilizzo delle risorse interne e
esterne, non sappia organizzarsi in modo flessibile e comunicare in termini di bisogni
e emozioni. Relativamente alle risorse interne, l’autoefficacia genitoriale, ovvero
la percezione di sé come persona capace di svolgere in modo competente il
ruolo di padre o madre sembra essere una variabile determinante nel
limitare gli effetti dello stress legati alla gestione di un figlio con disabilità.
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Lezione n°: 64/S2
Titolo: FATTORI EZIOLOGICI E INTERVENTI
Attività n°: 01

Al contempo, con riferimento alle risorse esterne, la presenza di una trama di relazioni
interpersonali significative che offre sostegno emotivo e materiale, viene considerata
una variabile predittiva del processo adattivo, perché funge da mediatore
tra la situazione problematica e la risposta familiare. Il supporto sociale di tipo
informale, quello cioè derivante dalla considerazione e dall’aiuto offerto dal partner, dalla
famiglia e dagli amici, infatti, contribuisce a ridurre la vulnerabilità allo stress, i disturbi della
sfera emotiva e il senso di isolamento, migliorando sensibilmente la qualità della vita e i
vissuti di benessere
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 64/S2
Titolo: FATTORI EZIOLOGICI E INTERVENTI
Attività n°: 01

Esiti della ricerca:


La ricerca degli autori aveva l’obiettivo di indagare il livello di stress in 62 genitori
(31 uomini, 31 donne) di figli autistici. Gli autori hanno ipotizzato che il senso di
autoefficacia e il supporto sociale percepito potessero incidere sui livelli di stress.

I dati emersi dalla ricerca evidenziano un quadro pressoché identico per madri e
padri: livelli di stress simili, stesso senso di autoefficacia genitoriale, percezione
omogenea del supporto sociale percepito. Tuttavia, l’analisi di regressione mostra
come per i padri, e non per le madri, al crescere dell’autoefficacia e del
supporto sociale percepito lo stress diminuisca. I padri, quindi, sembrano aver
acquisito l’abilità di limitare gli effetti dello stress sfruttando al meglio le risorse
interne (autoefficacia genitoriale) ed esterne (supporto sociale percepito).
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 64/S2
Titolo: FATTORI EZIOLOGICI E INTERVENTI
Attività n°: 01

A partire, quindi, da uno scenario percepito come identico da entrambi i genitori,


riscontriamo delle differenze significative che evidenziano come le madri, in accordo con la
letteratura, siano più esposte agli effetti negativi dello stress da accudimento. Esse, infatti,
appaiono meno resilienti degli uomini, ovvero, non sembrano capaci di
valorizzare e adoperare al meglio gli elementi favorevoli, che pure sono presenti
nel loro contesto esperienziale e, che possono concorrere al superamento delle circostanze
avverse e ad una riorganizzazione, in termini di benessere, della loro esperienza
genitoriale.

Per comprendere i meccanismi che determinano tali differenze tra madri e


padri, appare auspicabile approfondire la ricerca al fine di individuare gli elementi cruciali
che possano aiutare le madri a contenere i vissuti negativi correlati allo stress e ad
affrontare funzionalmente le sfide insite nell’esercizio del ruolo di genitore con figlio
disabile. Appare, inoltre, necessario, offrire interventi a sostegno della genitorialità
orientati alla resilienza, ovvero, all’apprendimento della capacità di costruzione di
un percorso di vita che sappia andare oltre le avversità, individuando e utilizzando
al meglio i fattori di protezione (autostima, autoefficacia, problem solving,
ottimismo, flessibilità, reti sociali e relazioni interpersonali) e incrementando le
competenze utili per apprendere non tanto a difendersi dalla condizione stressante, quanto
a rispondere attivamente ad essa.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 64/S3
Titolo: FATTORI EZIOLOGICI E INTERVENTI
Attività n°: 01

Indicazioni di trattamento
Le Linee Guida Sinpia specifcano come l’intervento debba essere precoce, intensivo,
curriculare (NRC, 2001). Per un approfondimento, si suggerisce di leggere con attenzione le
indicazioni contenute nelle Linee Guida

L’intervento deve essere precoce.


La precocità, infatti, permette una più adeguata sistematizzazione e riorganizzazione interna
delle esperienze percettive che vengono facilitate, in quanto si ha la possibilità di “operare”
in un periodo in cui le strutture encefaliche non hanno assunto una definita specializzazione
funzionale e le funzioni mentali, pertanto, sono in fase di attiva maturazione e
differenziazione (Guaralnick, 1998; Dawson et al., 2001).

L’intervento deve essere intensivo . Il termine “intensivo” si riferisce alla necessità di


attivare una nuova dimensione di vita, per il bambino e per la famiglia. Per quel che riguarda
il bambino, si tratta di organizzare una serie di situazioni strutturate, nell’ambito
delle quali egli possa confrontarsi con nuove esperienze, nuove attività e nuovi
modelli di relazione.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 64/S3
Titolo: FATTORI EZIOLOGICI E INTERVENTI
Attività n°: 01

Ciò, soprattutto all’inizio, richiede “tempo”: tempo per conoscere il bambino, tempo per
formulare un progetto personalizzato, tempo per verificare le sue risposte ed adattare su di
esse.
L’indicazione che deriva dall’esperienza internazionale fa riferimento ad un tempo non
inferiore alle 18 ore settimanali (NRC, 2001). Per quel che riguarda la famiglia, bisogna
ugualmente organizzare situazioni strutturate, nell’ambito delle quali è necessario lavorare
sul disorientamento dei genitori per attivare le loro naturali risorse e coinvolgerli nel progetto
terapeutico. Anche questo obiettivo, soprattutto all’inizio, richiede “tempo”: tempo per
conoscere i genitori, tempo per aiutarli ad elaborare le angosce connesse al disturbo e alla
scarsa prevedibilità del suo divenire, tempo per formulare insieme con loro le strategie per la
realizzazione del progetto. Il termine “intensivo”, tuttavia, non è limitato ad una mera
dimensione temporale, ma si riferisce anche all’esigenza di un’adeguata organizzazione dei
tempi, degli spazi e delle attività del bambino nel corso di una sua giornata abituale. Ciò fa
sì che le esperienze “quotidiane” possano assumere una valenza terapeutica. In questa
prospettiva la “terapia” non è solo quella che si svolge nel servizio di riabilitazione, ma è
piuttosto un progetto, che deve essere elaborato dall’équipe del Servizio di NPI. Tale
progetto prevede obiettivi specifici realizzabili mediante programmi con caratteristiche
conformi ai contesti in cui essi devono essere implementati (Famiglia-Servizio di
Riabilitazione-Scuola). E’ evidente che affinché tali programmi possano rispondere alle
finalità più generali del progetto, è necessario un collegamento funzionale fra le figure cui è
demandata la responsabilità di implementarli (genitori-terapisti-insegnanti)
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 64/S3
Titolo: FATTORI EZIOLOGICI E INTERVENTI
Attività n°: 01

L’intervento deve essere curriculare . Il termine “curriculare” si riferisce ai


contenuti che devono caratterizzare i diversi programmi previsti dal progetto. In termini di
contenuti, si ritiene che ciò di cui il bambino necessita per uno sviluppo quanto
più possibile “tipico” può essere “insegnato” facendo riferimento ad un ordine
sequenziale di “tappe”, che sono quelle che normalmente compaiono nel corso
dello sviluppo. Nel concetto di “curriculare” è implicito un altro aspetto critico per la
formulazione del programma: vale a dire, la necessità di una definizione chiara degli obiettivi
e di un monitoraggio sistematico del percorso terapeutico.
In particolare è necessario:
· individuare, fra gli obiettivi possibili, quelli che si riferiscono a
competenze osservabili e misurabili;
· stabilire un punto di partenza e prefissare una serie di tappe sequenziali;
· predisporre un sistema per la raccolta dei dati in itinere e la valutazione dei
risultati in tempi prefissati.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 64/S3
Titolo: FATTORI EZIOLOGICI E INTERVENTI
Attività n°: 01

Su cosa bisogna agire ? (COSA)


Le caratteristiche del periodo portano ad individuare alcuni Punti Critici comuni ai
diversi bambini (Schema 1).
Tali Punti Critici dettano gli Obiettivi Prioritari dell’intervento, che sono
individuabili nei seguenti aspetti:
1. il disorientamento dei genitori;
2. il disturbo dell’interazione sociale e della comunicazione, espresso da una marcata
difficoltà ( impossibilità) di aggancio relazionale e da una
scarsa ( assente) disponibilità ad esperienze condivise;
3. la scarsa modulazione degli stati emotivi.

Individuare questi tre aspetti quali punti critici cui deve rivolgersi il progetto non
significa naturalmente ignorare eventuali altri problemi che possono essere
presenti. Va, tuttavia, considerato che molti di questi “altri” problemi sono spesso
“secondari” in termini di sequenza causale. E’ evidente tuttavia che quando gli
eventuali “altri” problemi sembrano assumere una valenza preminente nel
caratterizzare il comportamento disadattivo, essi vanno specificamente presi in
considerazione e trattati. Pertanto, i tre “punti” descritti vanno considerati quali
obiettivi irrinunciabili (obiettivi di minima) di qualsivoglia programma.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 64/S3
Titolo: FATTORI EZIOLOGICI E INTERVENTI
Attività n°: 01

Com e si può agire su tali aspetti? (COM E)


1) Il disorientamento dei genitori. Lavorare sul disorientamento dei genitori non ha
solo lo scopo di garantire la loro “serenità”, ma risponde al concetto più volte espresso di
individuare la famiglia come luogo privilegiato per la crescita comunicativo-sociale del
bambino e di coinvolgere i genitori quali protagonisti del progetto. Il raggiungimento di
tale obiettivo riconosce una serie di obiettivi
intermedi, riassumibili nel modo seguente:
Il primo obiettivo è rappresentato dall'aiutare i genitori a raggiungere una
soddisfacente conoscenza dell'Autismo, quale disabilità evolutiva.
E' evidente che tutte le "informazioni" necessarie per favorire la conoscenza dei genitori
non possono essere trasmesse in un singolo incontro. Ciò, al fine di favorire una
graduale "metabolizzazione" delle spiegazioni che vengono loro fornite. Una metodologia
di questo tipo permette di far nascere nei genitori la percezione del Servizio come un
punto di riferimento in grado di ascoltarli e di affiancarli. Da tale consapevolezza nasce
anche il bisogno di rivolgersi al Servizio per avere
consigli nella gestione "quotidiana" del bambino. Quando ciò avviene significa che il
primo obiettivo è stato raggiunto.
Il raggiungimento del primo obiettivo si pone quale premessa per il
conseguimento del secondo obiettivo: attivare le risorse genitoriali nella gestione del
quotidiano.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 64/S3
Titolo: FATTORI EZIOLOGICI E INTERVENTI
Attività n°: 01

Quando infine nel corso degli incontri sono stati realizzati i primi due obiettivi si può
passare al terzo obiettivo, che consiste nell'implementare in famiglia specifici
programmi di intervento. Essi rappresentano il proseguimento e/o il
completamento di quanto effettuato negli "altri spazi terapeutici" (Servizio e
Scuola). Si tratta di programmi finalizzati a facilitare:
¨ l'acquisizione di specifiche autonomie
¨ la scomparsa di specifici comportamenti disadattivi con strategie concordate con gli
operatori del Servizio.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 65
Titolo: RIPASSO
Attività n°: 01

Esercitazione
su e-portfolio

Le chiedo di leggere i commenti di un Forum di discussione di seguito indicati e


di inoltrare su e-portfolio le sue considerazioni in merito a quanto appreso sulla
diagnosi e l’impatto dell’autismo sulla famiglia.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 65
Titolo: RIPASSO
Attività n°: 01

Ciao
Purtroppo i sintomi posso essere diagnosticati a grandi linee anche in solo 5 minuti
dal pediatra, poi ovviamente la diagnosi certa deve essere fatta da un centro
specializzato. Non ci sono sintomi universali, perchè ogni bambino autistico ha
comunque caratteristiche diverse, io ho 2 gemelli autistici ma tra di loro sono
diversissimi e hanno problematiche quasi opposte. Cio' che accomuna invece tutti
.
questi bambini e il primo segnale d'allarme è la totale mancanza o scarso liguaggio
adeguato all'età, mancanza di comunicazione anche non verbale (non guarda negli
occhi, non indica col dito) e mancanza di socializzazione sia con i pari che con adulti.
Altri segnali sono tendenza a isolarsi, eventuali gesti stereotipati, mancanza di
interesse per i giochi o giochi stereotipati e sempre gli stessi...Ti consiglio anch'io di
non aspettare per avere una diagnosi, di solito la trafila è molto lunga e il tempo per
questi bambini è preziosissimo...Se hai bisogno di altre info, su terapie o altro
chiedimi pure.
Nicky+Francesco e Lorenzo 2 anni e 10 mesi
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 65
Titolo: RIPASSO
Attività n°: 01

Non correre!
Cara bilancina, concordo con le mamme che ti hanno risposto, ma accetta un consiglio a
monte.
NON LASCIARTI PRENDERE DALL'ANSIA!
Vivi questa situazione con estrema lucidità: tuo figlio ha bisogno di te, della tua forza
interiore, della tua determinazione nel saper affrontare la vita e quello che ci riserva.
Inoltre, sei all'inizio di una diagnosi ancora incerta. Quindi, non tormentarti da sola, ma
accompagna serenamente il tuo piccolo da un bravo neuropsichiatra infantile che ti
spiegherà l'iter da seguire. Il ritardo psichico spesso viene definito astrattamente e
frettolosamente "autismo", ma non sempre si tratta di questo. Spesso i bambini
raggiungono le loro tappe più tardi rispetto ad altri.
Il mio consiglio, in attesa dell'incontro con lo specialista, è di iscriverlo di corsa presso un
asilo nido privato o una ludoteca: i soggetti più obiettivi saranno gli educatori che lo
avranno in cura. Chiedi loro di tenerlo d'occhio, di farti sapere se socializza con gli altri
bambini o se tende ad isolarsi, se è interessato, curioso.
Sarà una prima prova.
Non va bene, infatti, che il bimbo stia solo con i genitori.
Facci sapere, ok?
In bocca al lupo. Ti sono vicina...
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 65
Titolo: RIPASSO
Attività n°: 01

Non aspettare
cara Bilancina ,non vorrei farti preoccupare, ma se penso a quando andavo a chiedere al
mio pediatra perchè mio figlio non parlasse ancora a 24 mesi e mi sentivo rispondere che
era piuttosto normale visto che è un maschio, mi vengono ancora i brividi. Faccio i
complimenti al tuo pediatra, perchè comunque ha cercato di aprirti gli occhi. E, credimi,
adesso capisco che noi genitori spesso ce li abbiamo davvero chiusi.
Mio figlio adesso a 3 anni e quattro mesi. Abbiamo capito che c'era qualche problema
quando, portandolo di ns iniziativa (perchè secondo il pediatra potevamo ancora aspettare)
all'asilo, la maestra si è resa conto che oltre a non parlare, aveva un comportamento
anomalo e da lì è iniziata tutta la tiritera: esami all'udito, visita foniatrica, visita psichiatrica,
etc. Il consiglio che ti do è di fare prima possibile tutti gli esami necessari, senza affidarti
troppo al pediatria, perchè di solito loro non hanno una competenza specifica; cerca invece
un buon centro di neuropsichiatria infantile e, soprattutto non aspettare. Potrebbe anche
essere che tuo figlio non sia autistico ed abbia solo un disturbo del linguaggio o qualche
altro disturbo. Comunque anche se dovesse trattarsi di autismo, non credere a chi ti dice
che non c'è nulla da fare, perchè oggi un intervento precoce a 360 pu davvero fare la
differenza.
In bocca al lupo.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 65
Titolo: RIPASSO
Attività n°: 01

ll ns bimbo è autistico
Ciao, anche noi siamo nella stessa situazione... La scorsa settimana il neuropsichiatra ha
confermato la diagnosi di autismo x il ns bimbo di 4 anni e mezzo .... E noi siamo andati nel
panico e presi dalla disperazione. Il ns bimbo a dire il vero parla come tutti i suoi coetanei
ma ha delle grosse difficoltà nell'interazione sociale ... sto cercando di contattare delle
associazioni che formulano dei programmi specifici basati sul metodo ABA, io e il mio
compagno abbiamo un lavoro a tempo pieno e quindi siamo preoccupati x come potremo
gestire qs cosa ... Voi cosa state facendo?

Anche io nel panico


ciao a tutte, ieri visita da una neuropsicologa che non si è sbilanciata molto ma ha parlato
di deficit cognitivo-comportamentale la cui entità va valutata. Io sono entrata nel panico già
da un mesetto quando ho aperto gli occhi un giorno vedendo una foto di mio figlio all'asilo
nido che si faceva i fatti suoi in disparte. Sono entrata nel panico .. che deriva dal non
sapere in pratica cosa sarà..da grande come sarà mio figlio? Autismo minor cosa vuol dire?
Non conosco un uomo adulto autistico...voi si? L'ignoto mi uccide e la neurops. è così
fredda che mi ha solo sconfortato. Secondo me abbiamo tutte bisogno di parlarci, di sapere
che non siamo sole e che c'è ben di peggio nella vita. Mio figlio ha 28 mesi e non dice
mezza parola, solo mamma quando sta male.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 65
Titolo: RIPASSO
Attività n°: 01

Però è un bambino gestibilissimo, gli piace il parco giochi. l'asilo nido, gli animali e non
fa capricci. E' un po’ indietro nelle attività complesse , lui salta e corre in
continuazione..però riusciamo ad andare al bar o al ristorante ( molto veloce ne) .. ma
io mi chiedo anche questi bimbi qualche anno fa in una società più serena sarebbero
stati malati? ormai sono tutti autistici
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 65/S1
Titolo: RIPASSO
Attività n°: 01

Esercitazione
su e-portfolio
Il caso clinico di Giuseppe

Le chiedo di leggere il caso clinico di seguito indicato e di inoltrare su e-


portfolio le sue considerazioni diagnostiche, specificando il livello di gravità
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 65/S1
Titolo: RIPASSO
Attività n°: 01

Legga il caso clinico e provi a formulare la diagnosi, indicando il livello di gravità

Gravidanza decorsa senza particolari difficoltà, anche se l’amniocentesi ha evidenziato la


presenza della sindrome di Turner. Parto a termine, peso alla nascita: 2,800 Kg.
Deambulazione autonoma: 19 mesi. Prime parole: 8 mesi circa, a 18 mesi lo sviluppo del
linguaggio si arresta, dicono i genitori, e scompare il sorriso e l’interazione coi familiari.
Presenti stereotipie motorie (rotazioni delle mani). Presenti interessi ristretti (ad esempio
uso del tablet con una certa competenza). Irrequietezza e instabilità motoria apprezzabili.
Presente il gesto dell’indicare ma non quello referenziale.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 65/S1
Titolo: RIPASSO
Attività n°: 01

Osservazione clinica

Giuseppe non rileva l’uscita dei genitori dallo studio, assorto nell’uso del tablet.
Inutile qualsiasi tentativo di coinvolgimento: contatto oculare assente e non catturabile.
Quando viene privato del tablet, si irrita, strilla per qc istante, non accetta un giocattolo
sostitutivo. Inizia a girovagare per lo studio (ricerca dell’oggetto nascosto).
Disinteressato al contesto. Si fissa su alcuni particolari; non è in grado di rendersi
conto di dove si trova. Si muove a volte sbattendo i piedi come in una sorta di marcia.
Produce qc parola isolata ma incomprensibile. Insensibile ai richiami, evitante i
tentativi dell’osservatore di interazione, anche se forzata e insistita. In questo caso,
Giuseppe manifesta lamentosità e irritazione. E’ sensibile ai divieti; solo in queste
occasioni si avvicina all’osservatore prendendone il braccio per cercare soddisfazione
alla sua richiesta. Il contatto fisico è di breve durata, per riprendere a girare per lo
studio senza meta.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 65/S1
Titolo: RIPASSO
Attività n°: 01

Le stimolazioni fisiche (ad es. prendere il bambino in braccio, il solletico ecc. ) sono
gradite, ma solo per brevi istanti.
Si avvicina durante la visita un paio di occasioni alla porta afferrando la maniglia; di fronte
al «no» dell’osservatore si blocca e produce una frase, inattesa e molto chiara: Mamma
chiudi la porta. Presente un accenno a gioco simbolico (ad es. uso del telefono: produce
alcune parole, con modalità cantilenante), mai utilizzati due oggetti contemporaneamente,
anche se procede nell’esplorazione del giocattolo.
Giuseppe si dimostra sensibile al rinforzo alimentare e ludico (tablet) ma non sociale;
presenti richieste verbali, con frasi parola (olofrasi); ripete parole o brevi frasi, anche se
non sempre comprensibili. Il contatto oculare spontaneo non viene utilizzato, su richiesta
solo con rinforzo. Sfarfallio saltuario delle mani. Presenta, su stimolazione del padre,
qualche comportamento imitativo.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 65/S2
Titolo: RIPASSO
Attività n°: 01

Esercitazione su ePortfolio
Esercitazione
Le presento ora il caso di Mark, di 5 anni e mezzo.

Legga con molta attenzione la descrizione ed evidenzi i comportamenti che


potrebbero far supporre una diagnosi di autismo.
Inoltre provi a utilizzare la Scala Cars e individui i comportamenti che non
riesce a valutare. Inoltri le sue risposte su e-portfolio
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 65/S2
Titolo: RIPASSO
Attività n°: 01

Mark a 5 anni e mezzo produceva suoni, ma non pronunciava ancora parole, a volte si
impegnava in movimento particolari delle dita e sbatteva le mani quando era molto felice o
irritato. I genitori riferivano che talora aveva momenti di affettuosità, ma non giocava
adeguatamente e non tollerava gli altri bambini. I genitori dicevano che Mark cercava il
contatto sociale, ma che era troppo ansioso per funzionare bene con gli altri. I
comportamenti inadeguati lo rendevano difficile da gestire e spesso aveva scoppi d’ira e
gridava senza motivo. Non reagiva alle sculacciate e quando si faceva male non piangeva.
I suoi piccoli rituali giornalieri venivano tollerati dalla famiglia, ma la loro interruzione gli
creava notevole disagio. All’età dell’intervista non era capace di vestirsi da solo e portava il
pannolino di giorno e di notte. Era molto attaccato a un orsacchiotto di peluche, ma si
separava facilmente dalla madre.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 65/S2
Titolo: RIPASSO
Attività n°: 01

Spesso si trastullava a lungo strisciando un fazzoletto o dei fili d’erba sulla fronte o sulla
faccia. I genitori erano preoccupati che senza una costante supervisione, la sua incuranza
del pericolo gli avrebbe causato danni. Essi riferivano che raramente riusciva a completare
i compiti affidati. Mark aveva 18 mesi di età quando i genitori cominciarono a sospettare
che fosse diverso. Sembrava “troppo buono” e allo stesso tempo poco reattivo. Una
valutazione dell’udito risultò normale. Il funzionamento intellettivo non poté essere
inquadrato accuratamente, ma l’esaminatore sentì che ci doveva essere qualche
menomazione. In una recente visita Mark ha continuato a mostrare scarse relazioni sociali
e capacità molto superficiali. Appariva disinteressato rispetto alle cose che aveva intorno e
la sua espressione era in qualche modo spenta. Il rumore di fondo della clinica lo agitava e
frequentemente si metteva le dita nelle orecchie. Quando era a disagio egli colpiva con la
testa la madre e si opponeva al contatto tattile.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 65/S3
Titolo: RIPASSO
Attività n°: 01

Esercitazione su ePortfolio
Esercitazione
Le presento ora il caso di Mark, di 5 anni e mezzo.

Legga con molta attenzione la descrizione ed evidenzi i comportamenti che


potrebbero far supporre una diagnosi di autismo.
Inoltre provi a utilizzare la Scala Cars e individui i comportamenti che non
riesce a valutare. Inoltri le sue risposte su e-portfolio
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 65/S3
Titolo: RIPASSO
Attività n°: 01

Mark a 5 anni e mezzo produceva suoni, ma non pronunciava ancora parole, a volte si
impegnava in movimento particolari delle dita e sbatteva le mani quando era molto felice
o irritato. I genitori riferivano che talora aveva momenti di affettuosità, ma non giocava
adeguatamente e non tollerava gli altri bambini. I genitori dicevano che Mark cercava il
contatto sociale, ma che era troppo ansioso per funzionare bene con gli altri. I
comportamenti inadeguati lo rendevano difficile da gestire e spesso aveva scoppi d’ira e
gridava senza motivo. Non reagiva alle sculacciate e quando si faceva male non
piangeva. I suoi piccoli rituali giornalieri venivano tollerati dalla famiglia, ma la loro
interruzione gli creava notevole disagio. All’età dell’intervista non era capace di vestirsi da
solo e portava il pannolino di giorno e di notte. Era molto attaccato a un orsacchiotto di
peluche, ma si separava facilmente dalla madre.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 65/S3
Titolo: RIPASSO
Attività n°: 01

Spesso si trastullava a lungo strisciando un fazzoletto o dei fili d’erba sulla fronte o
sulla faccia. I genitori erano preoccupati che senza una costante supervisione, la sua
incuranza del pericolo gli avrebbe causato danni. Essi riferivano che raramente riusciva
a completare i compiti affidati. Mark aveva 18 mesi di età quando i genitori
cominciarono a sospettare che fosse diverso. Sembrava “troppo buono” e allo stesso
tempo poco reattivo. Una valutazione dell’udito risultò normale. Il funzionamento
intellettivo non poté essere inquadrato accuratamente, ma l’esaminatore sentì che ci
doveva essere qualche menomazione. In una recente visita Mark ha continuato a
mostrare scarse relazioni sociali e capacità molto superficiali. Appariva disinteressato
rispetto alle cose che aveva intorno e la sua espressione era in qualche modo spenta.
Il rumore di fondo della clinica lo agitava e frequentemente si metteva le dita nelle
orecchie. Quando era a disagio egli colpiva con la testa la madre e si opponeva al
contatto tattile.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 66
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO
Attività n°: 01

DIFFICOLTA’ DI APPRENDIMENTO

Lo studio di questa e della prossima lezione sui DSA dovrà essere integrato con
quanto indicato nel volume Diagnosi dei Disturbi Evolutivi, al capitolo 8.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 66
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO
Attività n°: 01

Premessa:

Non sono pochi i bambini che durante il loro percorso scolastico incontrano importanti
difficoltà nell’apprendimento. Esistono molte spiegazioni e molti punti di vista sulle
motivazioni per cui l’esperienza scolastica può diventare difficoltosa, faticosa sul piano
dell’impegno personale ma anche della gestione familiare e causa di frequenti frustrazioni e
disagi sul piano emotivo. E, prima di addentrarci nella definizione dei Disturbi Specifici
dell’Apprendimento occorre introdurre un’importante distinzione tra Difficoltà di
Apprendimento e Disturbo Specifico dell’Apprendimento. Le difficoltà di apprendimento
sono problematiche significative che si manifestano nel percorso scolastico dell’allievo e
possono essere causate, ad esempio, da un grave svantaggio socio-culturale, da un
disturbo di attenzione e/o iperattività, da disturbi emotivi (come per esempio ansia,
depressione, paure), da disturbi comportamentali, da un’insufficiente scolarizzazione, da
una scarsa motivazione allo studio o ancora da una didattica non adatta all’allievo.
Il Disturbo Specifico dell’Apprendimento, invece, è una significativa difficoltà
nell’acquisizione e nell’uso di abilità di comprensione del linguaggio orale, dell’espressione
linguistica, della lettura, della scrittura o della matematica ed è generato da un mal
funzionamento del sistema nervoso centrale, pertanto si manifesta fin dalle primissime fasi
di acquisizione delle abilità scolastiche
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 66
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO
Attività n°: 01

Nel febbraio 2011, è stata svolta la prima rilevazione relativa agli alunni con disturbi
specifici dell’apprendimento (DSA) dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della
Ricerca secondo la quale nel 2011 gli alunni con certificazione DSA erano
complessivamente 65.219 (0,9% della popolazione scolastica) numero che nell’anno
scolastico 2011/2012 è aumentato alla cifra di 90.030 equivalente all’1,2% della
popolazione scolastica). In particolare si è individuato un aumento delle certificazioni per
la scuola secondaria di primo grado del 34% e nella scuola di secondo grado del 54%.

E’ da sottolineare come tale aumento non sia attribuibile solo ed esclusivamente a una
maggiore insorgenza del problema negli allievi, ma a una maggiore sensibilizzazione
rispetto a tale problema che ha fatto sì che negli anni tali allievi non venissero etichettati
come svogliati, pigri, poco inclini allo studio o addirittura, poco intelligenti, ma come
soggetti che necessitano, come recita la legge (170/10 e la più recente normativa
«Bisogni educativi speciali, BES del MIUR, 06/03/2013), di forme didattiche e modalità
di valutazione più adeguate affinché possano raggiungere il successo formativo.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 66
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO
Attività n°: 01

Nel DSM-IV i Disturbi dell’Apprendimento (o DSA Disturbi Specifici dell’Apprendimento)


comprendono il disturbo della lettura, del calcolo, dell’espressione scritta e disturbo
dell’apprendimento non altrimenti specificato.
Per far diagnosi di uno di questi disturbi, è necessario sottoporsi a dei test
standardizzati. Si ipotizza che circa il 10% della popolazione abbiamo un disturbo
dell’apprendimento. I bambini con queste difficoltà, specialmente se non
diagnosticate, vanno incontro più frequentemente a fallimenti scolastici e
demotivazione, unitamente a un calo della stima in sé.
Sono intrinseci all’individuo e possono essere presenti lungo l’intero arco di vita.

Si può parlare di DSA solo nel caso in cui:


1. Il livello intellettivo sia nella norma.
2. I risultati del bambino in test standardizzati siano significativamente al di sotto di
quanto previsto in base all’età, all’istruzione e al livello intellettivo.
3. Non siano direttamente causati da fattori ambientali e sociali, emotivo-
motivazionali, comportamentali e deficit sensoriali.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 66
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO
Attività n°: 01

Il DSM-5 descrive 6 possibili condizioni che possono concorrere alla diagnosi:


Lettura inaccurata e lenta; difficoltà nel comprendere il significato di ciò che viene letto;
difficoltà nella scrittura, nell’espressione scritta, nel dominio numerico e nei processi di
ragionamento matematico. Si tratta di un disturbo al cui interno è possibile distinguere uno
specifico dominio accademico compromesso (ad esempio, dislessia, discalculia e
disortografia).

Il DSM-5 pertanto introduce un’importante novità quale l’annullamento della


differenziazione tra dislessia, discalculia, disortografia e disgrafia (differenziazione ancora
valida per la legge 170/2010). Secondo il DSM-5 non vi sono infatti motivazioni valide da
giustificare una distinzione tra i DSA pertanto parla di un’unica diagnosi di “Disturbo
specifico dell’apprendimento”. Tuttavia, a tale diagnosi sono stati affiancati degli
“specificatori” e per ciascuno di essi sono menzionate le capacità deficitarie con
riferimento alla lettura, al calcolo e al linguaggio scritto. Con l’introduzione del DSM-5 si
supera la rigidità dei confini tra i differenti disturbi dell’apprendimento e si riconoscono le
sfumature e la variabilità dell’espressione del disturbo. Il DSM-5 infatti parla di 3 livelli di
gravità del disturbo (lieve, moderato e grave, si veda pag 166 del Volume Diagnosi dei
Disturbi Evolutivi).
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 66/S1
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO
Attività n°: 02

DSA & disagio psicologico

Il Disturbo Specifico dell’Apprendimento può essere considerato come un deficit di alcune


abilità scolastiche specifiche che emerge in un soggetto caratterizzato da assenza di
disabilità intellettiva.
Le difficoltà, non riconducibili a disabilità intellettiva ad alcuni fattori esterni al bambino
(cattivo insegnamento..), non garantiscono alla persona una completa
autosufficienza nell’apprendimento, poiché si evidenziano in quelle attività che, come
“il leggere, lo scrivere e il far di conto”, consentono la trasmissione della cultura.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 66/S1
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO
Attività n°: 02

Con una certa frequenza i DSA causano nel bambino un forte disagio psicologico,
poiché lo inducono a vivere una serie di ripetute esperienze di insuccesso scolastico alle
quali né il piccolo né gli adulti di riferimento riescono ad attribuire una motivazione.
La mancanza di corrispondenza tra l'impegno del bambino ed i suoi risultati scolastici
possono suscitare una serie di emozioni negative legate ad un vissuto di incapacità.
I rimproveri degli adulti acuiscono il senso di colpa del piccolo e contribuiscono a ridurre
l'autostima dello studente. Tutto questo può ridurre la sua motivazione del bambino ad
apprendere e sperimentare. Fra i diversi aspetti motivazionali coinvolti nei processi di
apprendimento, e nei vissuti che a questo processo si accompagnano, la letteratura ha
evidenziato come cruciali i concetti di competenza, autoefficacia, stile attributivo e
autostima. Inoltre, la gamma di problemi psicologici che possono presentare i ragazzi con
DSA è molto varia e si manifesta già a partire dalla scuola primaria, per poi modificarsi nel
tempo. Alcuni studi hanno dimostrato che gli adolescenti con dislessia oltre ad andare
incontro ai problemi di bocciatura, di abbandono scolastico, corrono il rischio maggiore di
sviluppare problemi sociali (Lipka, Lessux e Siegel, 2006; Wiener e Schneider,2002) e
disturbi nella sfera emotiva (Gregg et al., 1996).
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 66/S1
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO
Attività n°: 02

In alcune occasioni la frustrazione legata ai ripetuti insuccessi scolastici può incentivare


i comportamenti aggressivi ed i vissuti depressivi.

Un importante fattore di protezione per i bambini con DSA è la precocità della diagnosi
per le maggiori potenzialità che l’intervento riabilitativo può assumere quando si agisce
per tempo. Studi longitudinali comprovano che l’individuazione e l’intervento precoci
assumono un ruolo positivo nel determinare l’evoluzione dei disturbi specifici
dell’apprendimento e il complessivo sviluppo affettivo e cognitivo dei bambini con tali
problematiche (Jackson et al., 1999; Morris et al., 2000; Vadasy et al.,2000). Il lavoro di
individuazione precoce dei soggetti che possono essere definiti “a rischio” ha come
obiettivo prevenire la comparsa e il consolidamento di strategie o meccanismi errati,
inefficaci e di limitare la probabilità di un loro insuccesso scolastico avviando interventi
mirati e specifici.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 66/S1
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO
Attività n°: 02

L’importanza dello screening

La rilevazione delle potenziali difficoltà di apprendimento può iniziare durante l’ultimo


anno della Scuola dell’Infanzia attraverso questionari osservativi compilati dagli
insegnanti, che possono rappresentare strumenti altamente predittivi rispetto alla
possibilità di un successivo sviluppo di queste difficoltà.
In questo contesto è importante porre attenzione alle difficoltà che possono incontrare i
bambini anticipatari, che possono derivare dalla necessità di ulteriori naturali tempi di
maturazione e non da difficoltà di apprendimento né tanto meno da disturbi. Nella scuola
dell’infanzia non è previsto inoltre effettuare invii al servizio specialistico per un sospetto di
DSA.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 66/S1
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO
Attività n°: 02

La Consensus Conference (CC, Disturbi specifici dell’apprendimento, ISS 2011) stabilisce


che il DSA può essere riconosciuto tale solo all’ingresso nella scuola primaria e
precisamente al termine della classe seconda per la lettoscrittura, e della terza per la
discalculia, laddove il bambino viene esposto all’insegnamento di lettura, calcolo e scrittura
sistematico..

Tuttavia è possibile individuare, già nel corso del primo anno di scuola primaria, una serie
di indicatori di rischio per la successiva comparsa di un DSA:
a) difficoltà nell’associazione grafema-fonema e/o fonema-grafema;
b) mancato raggiungimento del controllo sillabico in lettura e scrittura;
c) eccessiva lentezza nella lettura e scrittura;
d) incapacità a produrre le lettere in stampato maiuscolo in modo riconoscibile.

Attraverso uno screening nelle prime classi della scuola primaria, con l’uso di strumenti
standardizzati, si possono quindi individuare i bambini che presentano una
compromissione dell’apprendimento della letto-scrittura e della matematica.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 66/S1
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO
Attività n°: 02

Nel panorama italiano le batterie di screening più utilizzate sono:

- Prove PRCR-2 (Cornoldi et al, 2009): per valutare le difficoltà di lettura e scrittura;

- Prove MT (Cornoldi et al., 2017): per misurare i livelli di acquisizione delle abilità di
lettura in termini di decodifica (due parametri: rapidità e correttezza) e comprensione;

- Batteria per la valutazione della scrittura e della competenza ortografica-2 (Tressoldi et


al. 2013): misura i livelli di competenza ortografica raggiunta per l’individuazione delle
difficoltà disortografiche;

- Batteria per la Valutazione della Dislessia e della Disortografia Evolutiva- 2 (Sartori et


al. 2007): valuta il livello di competenza acquisita sia nella lettura che nella scrittura;

- Test AC-MT - Test di valutazione delle abilità di calcolo e soluzione di problemi (Cornoldi
et al. 2012): misura le abilità matematiche.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 66/S2
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO
Attività n°: 02

DSA: il percorso diagnostico

Chi fosse interessato ad approfondire il tema, può consultare il sito di Lo Presti (autore
del volume da studiare) al segente link:
https://gianlucalopresti.net/la-diagnosi-dei-disturbi-specifici-di-apprendimento/ d
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 66/S2
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO
Attività n°: 02

La richiesta di consulenza
Le motivazioni che possono spingere insegnanti e genitori a richiedere un approfondimento
specialistico per DSA possono essere molteplici, anche se molto spesso i genitori e gli
insegnanti utilizzano come metro di paragone i fratelli e le prestazioni scolastiche della media
della classe.

Le difficoltà scolastiche a seconda dell’età del soggetto


Scuola Primaria: lettura molto lenta, stentata, a volte anche molto scorretta; i genitori
segnalano una grande fatica nell’eseguire i compiti scolastici anche se con l’aiuto dell’adulto
di riferimento
Scuola Secondaria di primo grado: vengono segnalati gli studenti che hanno già incontrato
difficoltà sin dalla scuola primaria; a volte dalla terza classe, quando si cimentano con lo
studio vero e proprio.. Le difficoltà vengono attribuite a scarsa motivazione, problemi di
attenzione, difficoltà nelle relazioni sociali, eccessivo carico di lavoro. Vengono tuttavia
anche segnalati studenti che non avevano particolari difficoltà nella scuola primaria (si veda
pagina169, volume Vio e Lo Presti)
Scuola secondaria di secondo grado: occorre tenere presente l’indirizzo di studio: dagli
istituti professionali … ai licei… l’impegno e lo sforzo è notevolmente diverso e può mettere
in difficoltà lo studente.
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Lezione n°: 66/S2
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO
Attività n°: 02

La raccolta delle informazioni anamnestiche: una volta definito il quadro iniziale della
problematica avanzata, è necessario indagare i dati riportati nella scheda
clinico/anamnestica, sia in generale sia in relazione i singoli ambiti di sviluppo.

Le ipotesi diagnostiche: Il DSM-5 raccomanda di valutare con attenzione le possibili


diagnosi differenziali, al fine di distinguere le condizioni effettive di disturbo specifico
dell’apprendimento da altre condizioni che causano difficoltà negli apprendimenti ma non
ne sono la causa specifica (si veda capitolo 10 sulla comorbidità del volume: Diagnosi dei
disturbi evolutivi)

- Variazioni dai normali risultati scolastici


- Disturbi di apprendimento dovuti a disturbi sensoriali o neurologici
- ADHD
- Disturbi psicopatologici
- Comorbidità con disturbi emotivi-relazionali

Per un approfondimento si veda pagina 171 del volume.


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Lezione n°: 66/S2
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO
Attività n°: 02

Valutazione diagnostica. La diagnosi di DSA può essere effettuata soltanto da


neuropsichiatri infantili o da psicologi psicologi e questi professionisti devono essere
dipendenti da servizi pubblici del Sistema sanitario nazionale o da servizi privati
accreditati. La diagnosi prevede l’utilizzo di prove standardizzate

Progetto di intervento I I modelli riabilitativi neuropsicologici si basano sul profilo


funzionale e lavorano sul potenziamento delle abilità residue allo scopo di creare strategie
suppletive e vicarianti della funzione compromessa.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 66/S3
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO
Attività n°: 02

Disturbi della lettura, scrittura e calcolo:


caratteristiche

Si può porre una diagnosi di Disturbo Specifico di Apprendimento quando, a test


standardizzati di lettura, scrittura e calcolo, il livello di una o più di queste tre
competenze risulta di almeno due deviazioni standard inferiore ai risultati medi
prevedibili, oppure l’età di lettura e/o di scrittura e/o di calcolo è inferiore di almeno due
anni in rapporto all’età cronologica del soggetto, e/o all’età mentale, misurata con test
psicometrici standardizzati, nonostante una adeguata scolarizzazione.

I contenuti della sessione sono stati tratti da https://www.stateofmind.it/tag/disturbi-


specifici-apprendimento-dsa/
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Lezione n°: 66/S3
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO
Attività n°: 02

I Disturbi Specifici dell’Apprendimento hanno un’origine biologica che è alla base delle
anomalie a livello cognitivo che sono associate a sintomi comportamentali del disturbo e
che comprende un’interazione di fattori genetici, epigenetici e ambientali che colpiscono le
capacità cerebrali di percepire o processare informazioni verbali o non verbali in modo
efficiente e preciso (DSM-5, 2014).
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Lezione n°: 66/S3
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO
Attività n°: 02

I bambini con Disturbi Specifici dell’Apprendimento hanno un’intelligenza nella norma


e/o superiore alla norma, essi riescono facilmente ad avere una visione d’insieme, a
percepire un’immagine nel suo complesso.
 Sono in grado di cogliere gli elementi
fondamentali di un discorso o di una situazione, ragionando in modo dinamico e creando
connessioni inusuali che altri difficilmente riescono a sviluppare.
Pensano soprattutto per immagini, visualizzando le parole e i concetti in modo
tridimensionale, per questo memorizzano molto più facilmente per immagini. Sono capaci
di vedere le cose da diverse prospettive e processano le informazioni in modo globale
invece che in sequenza.
Le principali caratteristiche dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento sono:
•Le inattese e importanti difficoltà nella letto-scrittura e/o nei numeri e nel calcolo
•Le difficoltà nella consapevolezza fonologica (difficoltà nel riconoscere quanti, quali e in
che ordine sono i suoni di una parola)
•La lentezza nell’automatizzazione di diverse abilità

Alcuni bambini con Disturbi Specifici dell’Apprendimento possono anche avere


difficoltà di coordinazione, di motricità fine, nelle abilità di organizzazione e di sequenza e
difficoltà nell’acquisizione delle sequenze temporali (ore, giorni, stagioni, ecc.).
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 66/S3
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO
Attività n°: 02

Nel DSM-5 (APA, 2013) si sottolineano inoltre le possibili “conseguenze funzionali


negative lungo l’arco di vita che includono […] alti livelli di distress psicologico e inferiore
salute mentale generale […] l’abbandono scolastico e i co-occorrenti sintomi depressivi
aumentano il rischio di esiti negativi in termini di salute mentale generale. Al contrario alti
livelli di supporto emotivo e sociale predicono migliori risultati a livello di salute
mentale”. 
Diventa estremamente importante quindi che la scuola e la famiglia vadano ad
agire tenendo conto sia del disturbo e del miglioramento del profitto scolastico, ma anche
degli aspetti emotivi del bambino. In questo modo si possono ottimizzare i risultati e
prevenire che il bambino sviluppi una bassa autostima, disturbi ansioso depressivi e una
sottostima delle sue capacità.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 67
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO II
Attività n°: 02

DISLESSIA, DISGRAFIA, DISORTOGRAFIA E


DISCALCULIA

La lezione va studiata insieme al capitolo 8 del Volume di Vio & Lo Presti.


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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 67
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO II
Attività n°: 02

Il disturbo della lettura: la dislessia

La dislessia si configura come un disordine del linguaggio scritto caratterizzato da una


capacità di lettura al di sotto della norma.
I soggetti colpiti da tale disturbo presentano una difficoltà nel leggere velocemente e
correttamente ad alta voce.
Tali difficoltà non possono essere ricondotte a insufficienti capacità intellettive, a mancanza
di istruzione, a cause esterne o a deficit sensoriali.

«Cosa si prova nel dover affrontare un testo, anche semplicissimo, quando si è dislessici?
Cosa succede nella vostra testa? Il designer inglese Daniel Britton ha cercato di simulare
questa esperienza con il progetto Dyslexic Typeface. Ha elaborato uno speciale carattere
tipografico spezzando, sottraendo e mischiando alcuni dei tratti fondamentali di ogni lettera.
I testi scritti con questo font risultano sempre leggibili, ma richiedono molto più tempo per
essere compresi e con un sforzo maggiore rispetto alla naturalezza e semplicità dell’atto
quotidiano al quale siamo abituati. Provate! Testo e immagine tratto da: «
https://gianlucalopresti.net/category/scienza-e-dsa/.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 67
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO II
Attività n°: 02

Ecco come appare il testo ad una persona con dislessia

Immagine tratta da: https://gianlucalopresti.net/category/scienza-e-dsa/.


Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 67
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO II
Attività n°: 02

I segnali della dislessia


Abbiamo già visto come la dislessia sia un disturbo a carattere neurobiologico, che
contraddistingue quei bambini che, nonostante abbiano uno sviluppo tipico, non
acquisiscono o faticano ad acquisire una lettura fluente e accurata in termini di
velocità e correttezza.
Le prime difficoltà implicano il fatto che il bambino:
legge con fatica, molto lentamente e commette errori diversi:
a) scambia le vocali o le consonanti
b) salta e omette delle lettere
c) riduce le parole o aggiunge lettere alle parole
d) salta le righe mentre legge
.

Un bambino/ragazzo con DSA manifesta delle difficoltà nella conversione


grafema/fonema all'inizio della prima elementare, che si trasforma successivamente in
una lettura lenta e frammentaria, con molte omissioni, inversioni, sostituzioni di fonema,
invenzione di parole, scarsa comprensione del significato delle singole parole e poi
dell’intero testo scritto.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 67/S1
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO II
Attività n°: 02

La discalculia

una difficoltà specifica, inerente l’apprendimento della per la matematica, o più


esattamente, della aritmetica in relazione all’elaborazione di calcoli di base, come
addizioni, sottrazioni, e le esecuzioni di calcoli mentali eseguiti in maniera fluente. Il
problema più comune è l’attribuzione di significato ai numeri.

I sintomi tipici della discalculia sono:


Difficoltà ad effettuare un conto alla rovescia
Difficoltà nel ricordare i numeri
Difficoltà nel capire il senso dei numeri
Lentezza nei calcoli
Difficoltà nelle procedure matematiche soprattutto quelle più complesse
Evitamento di attività legate alla matematica che sono percepite come particolarmente
difficili
Scarse abilità aritmetiche mentali
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 67/S1
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO II
Attività n°: 02

In età prescolare, il bambino , fatica a legare un numero a una situazione di vita reale,
mostra difficoltà nel ricordare i numeri, soprattutto nel giusto ordine, stenta a ordinare gli
elementi per dimensione, forma o colore ed evita giochi in cui è richiesto l’uso dei numeri,
il conteggio e altri concetti matematici.
Usa spesso le dita per contare invece di strategie mentali più sofisticate, non riesce a
pianificare la soluzione di un problema di matematica, ha difficoltà a distinguere la
sinistra dalla destra e ha uno scarso senso dell’orientamento.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 67/S1
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO II
Attività n°: 02

Durante la scuola primaria ha difficoltà a riconoscere i numeri e simboli, fatica nella


riproduzione del calcolo di base, usa spesso le dita per contare invece di strategie mentali
più sofisticate, non riesce a pianificare la soluzione di un problema di matematica, ha
difficoltà a distinguere la sinistra dalla destra e ha uno scarso senso dell’orientamento.
Ancora, ha difficoltà a ricordare i numeri di telefono e i punteggi ottenuti in un gioco e se
può evita totalmente il gioco in cui è richiesto l’uso dei numeri.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 67/S1
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO II
Attività n°: 02

Al liceo si sforza ad applicare, con fatica, i concetti matematici alla vita quotidiana, non
riesce a misurare gli ingredienti di una ricetta, cerca strategie per non perdersi e usa
tattiche per aggirare i problemi come l’uso di tabelle e grafici.
L’insorgenza del disturbo nella popolazione generale si aggira intorno al 5%, malgrado
possa essere difficile effettuare una adeguata diagnosi perché spesse volte è confusa con
le normali difficoltà in ambito di apprendimento.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 67/S2
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO II
Attività n°: 02

I disturbi specifici della scrittura

Disortografia e Disgrafia
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 67/S2
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO II
Attività n°: 02

I bambini con un Disturbo della Scrittura: disortografia

Le caratteristiche più comuni della disortografia sono:


Confusione di fonemi e di grafemi;
Errori di ortografia;
Problemi legati alla codifica di alcune parole scritte;
Errori nel copiare le parole;
Inversione di sillabe;
Tagli arbitrari di parole;
Omissione di lettere necessarie in una parola;
Coniugazioni di verbi errate;
Errori di analisi del testo;
Lentezza, esitazione e povertà nella scrittura.

Si tratta, in soldoni, di un problema che insorge, il più delle volte come conseguenza
della dislessia, ma in alcuni casi può manifestarsi anche in maniera isolata.
Per saperne di più:
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 67/S2
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO II
Attività n°: 02

gli errori più tipici presentati dai disortografici SONO:

Sostituzione di lettere simili graficamente, m/n – v/f – b/d – p/q;


Sostituzione di lettere omofone, b/p – t/d – f/v – s/z;
Inversioni di lettere, da/ad – per/per – da/pa;
Difficoltà di riconoscere gruppi sillabici complessi; gn – ch – gl;
Difficoltà di lettura delle non parole;
Difficoltà di mantenere il rigo di lettura;
Confondere i rapporti spaziali e temporali, dx/sx – ieri/oggi giorni/mesi);
Difficoltà di espressione verbale;
Difficoltà nella ricopiatura dalla lavagna
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 67/S2
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO II
Attività n°: 02

Disgrafia: i sintomi

I sintomi della disgrafia rientrano in sei categorie: visuo-spaziale, motoria, elaborazione


del linguaggio, ortografia / scrittura, grammatica e l’organizzazione del linguaggio, in
presenza di capacità di scrittura in ritardo rispetto ai coetanei. I sintomi manifestati sono
alcuni tra i seguenti:
1. difficoltà visuo-spaziale: esempi: problemi con la forma e la spaziatura tra lettere;
difficoltà a organizzare parole da sinistra a destra nella pagina; difficoltà a scrivere su
una linea e dentro i margini;
2. difficoltà motorie: problemi a tenere una matita in modo corretto; incapacità di usare
adeguatamente le forbici; problemi a colorare all’interno dei margini;.
3. problemi di elaborazione linguistica: difficoltà a capire le regole di un gioco, perdere il
filo del discorso.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 67/S2
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO II
Attività n°: 02

4. Problemi di ortografia / difficoltà a capire le regole ortografiche; difficoltà a distinguere


se una parola è errata; problemi con il controllo ortografico, mischiare maiuscole e
minuscole; mischiare il corsivo con lo stampatello;
5. Grammatica: Punteggiatura non corretta; Utilizzo di troppo virgole; Mescolare i tempi
verbali; Non si iniziano le frasi con la lettera maiuscola; Non si scrivono frasi
complete, e spesse si usano elenchi puntuali. ifficoltà a raccontare; le frasi sono
confuse;
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 67/S3
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO II
Attività n°: 01

La discalculia

La Discalculia rappresenta un disturbo delle abilità numeriche ed aritmetiche.


Il bambino con questo tipo di problema fatica a comprendere e manipolare il concetto di
numerosità e ad acquisire le procedure e gli algoritmi del calcolo.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 67/S3
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO II
Attività n°: 01

Anche alla base della discalculia ritroviamo carenze relative alle abilità percettivo-motorie,
ma, non di rado, a differenza di quanto avviene per gli altri DSA, le difficoltà logico-
matematiche possono essere attribuiti anche a una carenza di esperienze concrete.

I bambini discalculici dovranno avere la possibilità di utilizzare alcuni strumenti


compensativi come la calcolatrice, la tavola pitagorica e le tabelle delle misure e delle
formule.
Per la risoluzione dei problemi dovranno essere aiutati attraverso esempi concreti che
consentano loro di ridurre il grado di astrattezza del testo ed imparare ad associare ad
ogni termine specifico (totale, differenza..) il calcolo appropriato.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 67/S3
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO II
Attività n°: 01

Cos’è il PDP - piano didattico personalizzato? Quando si attua?


È chiamato in questo modo il documento di programmazione con il quale la scuola definisce gli
interventi che intende mettere in atto nei confronti degli alunni con esigenze didattiche
particolari ma non riconducibili alla disabilità (in caso di disabilità, come è noto, il documento di
programmazione si chiama PEI, Piano Didattico Individualizzato, ben diverso per contenuti e
modalità di definizione). Per gli alunni con DSA, Disturbi Specifici di Apprendimento, un
documento di programmazione personalizzato (il PDP, appunto) è di fatto obbligatorio;
contenuti minimi sono indicati nelle Linee Guida del 2011, come pure i tempi massimi di
definizione (entro il primo trimestre scolastico). La scuola può elaborare un documento di
programmazione di questo tipo per tutti gli alunni con Bisogni Educativi Speciali qualora lo
ritenga necessario. Per gli alunni con DSA, il consiglio di classe predispone il Piano Didattico
Personalizzato, nelle forme ritenute più idonee e nei tempi che non superino il primo trimestre
scolastico, articolato per le discipline coinvolte nel disturbo, che dovrà contenere:
1. Dati anagrafici
2. Tipologia del disturbo
3. Attività didattiche individualizzate
4. Attività didattiche personalizzate
5. Strumenti compensativi
6. Misure dispensative
7. Forme di verifica e valutazione personalizzata
Testo tratto da: http://www.istruzione.it/urp/dsa.shtml
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Lezione n°: 67/S3
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO II
Attività n°: 01

Cosa sono gli strumenti compensativi per gli alunni con DSA?

Gli strumenti compensativi sono strumenti didattici e tecnologici che sostituiscono o


facilitano la prestazione richiesta nell’abilità deficitaria. Fra i più noti indichiamo:
la sintesi vocale, che trasforma un compito di lettura in un compito di ascolto;
1. il registratore, che consente all’alunno o allo studente di non scrivere gli appunti della
lezione;
2. i programmi di video scrittura con correttore ortografico, che permettono la produzione
di testi sufficientemente corretti senza l’affaticamento della rilettura e della contestuale
correzione degli errori;
3. la calcolatrice, che facilita le operazioni di calcolo;
4. altri strumenti tecnologicamente meno evoluti quali tabelle, formulari, mappe
concettuali, etc.
Tali strumenti sollevano l’alunno o lo studente con DSA da una prestazione resa
difficoltosa dal disturbo, senza peraltro facilitargli il compito dal punto di vista cognitivo.
L’utilizzo di tali strumenti non è immediato e i docenti - anche sulla base delle indicazioni
del referente di istituto - avranno cura di sostenerne l’uso da parte di alunni e studenti con
DSA.

Testo tratto da: http://www.istruzione.it/urp/dsa.shtml


Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
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Lezione n°: 67/S3
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO II
Attività n°: 01

Quali sono le misure dispensative per gli alunni con DSA?

Le misure dispensative sono invece interventi che consentono all’alunno o allo studente
di non svolgere alcune prestazioni che, a causa del disturbo, risultano particolarmente
difficoltose e che non migliorano l’apprendimento. Per esempio, non è utile far leggere a
un alunno con dislessia un lungo brano, in quanto l’esercizio, per via del disturbo, non
migliora la sua prestazione nella lettura.
"In merito alle misure dispensative, lo studente con dislessia è dispensato: dalla lettura a
voce alta in classe; dalla lettura autonoma di brani la cui lunghezza non sia compatibile
con il suo livello di abilità; da tutte quelle attività ove la lettura è la prestazione valutata. In
fase di verifica e di valutazione, lo studente con dislessia può usufruire per l’espletamento
delle prove o, in alternativa e comunque nell'ambito degli obiettivi disciplinari previsti per
la classe, di verifiche con minori richieste". L’adozione delle misure dispensative, dovrà
essere sempre valutata sulla base dell’effettiva incidenza del disturbo sulle prestazioni
richieste, in modo tale da non differenziare, in ordine agli obiettivi, il percorso di
apprendimento dell’alunno o dello studente in questione.
Testo tratto da: http://www.istruzione.it/urp/dsa.shtml
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 68
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO E STRATEGIE EDUCATIVE
Attività n°: 01

DSA: alcune strategie per gli insegnanti


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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 68
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO E STRATEGIE EDUCATIVE
Attività n°: 01

Strategie da usare • Scrivere e permettere all’alunno di scrivere in stampato maiuscolo. •


Non rimproverare gli alunni disgrafici mettendo in rilievo la brutta scrittura. • Adattare l’uso
degli strumenti compensativi alle specifiche difficoltà. Incoraggiarli ad usare il computer,
con il correttore automatico, nello svolgimento dei compiti a casa e, se possibile, anche a
scuola. • Permettere agli alunni di registrare le lezioni. • Non essere avaro di gratificazioni
e usare il rinforzo come strumento usuale. • Visualizzare le spiegazioni con mappe
concettuali e schemi disegnati alla lavagna. • Adeguare alle difficoltà specifiche
dell’alunno, gli esercizi e il materiale di studio a casa. • Ricordare che gli alunni dislessici
hanno bisogno di più tempo e non devono essere penalizzati per questo. • Farli lavorare
utilizzando tabelle, mappe, schemi anche nelle verifiche perché gli alunni con DSA hanno
generalmente abilità di memoria a breve e a lungo termine ridotte. • Favorire occasioni di
conversazione nelle quali sia possibile parlare delle proprie diversità
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 68
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO E STRATEGIE EDUCATIVE
Attività n°: 01

Sintomi più comuni degli alunni con Disturbo Specifico di Apprendimento (DSA)

1. Difficoltà nel memorizzare i giorni della settimana e i mesi in ordine. A volte non
ricordano la data di nascita, le stagioni.
2. Confusione tra destra e sinistra.
3. Scarso senso del tempo.
4. Difficoltà motorie fini come allacciarsi le scarpe o i bottoni.
5. Problemi attentivi e di concentrazione o eccessiva vivacità.
6. Problemi di memoria a breve termine.
7. Lettura molto lenta o molto scorretta.
8. Comprensione del testo molto ridotta.
9. Difficoltà nel copiare dalla lavagna: salto di righe, parole, presenza errori.
10. Sostituzioni di lettere graficamente simili.
11. Difficoltà a memorizzare termini difficili e specifici delle discipline.
12. Difficoltà nell’espressione verbale del pensiero.
13. Difficoltà nell’apprendere lingue straniere, in particolare, la loro scrittura
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 68
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO E STRATEGIE EDUCATIVE
Attività n°: 01

Problematiche emotive collegate ai DSA

Frustrazione E’ determinata dalla incapacità di questi alunni a soddisfare le aspettative di


genitori e insegnanti. Nessuno sa quanto duramente i bambini con DSA si impegnino.
Ansia Spesso la costante frustrazione e confusione a scuola rende questi bambini ansiosi.
L’ansia è esacerbata dal senso di inadeguatezza che caratterizza la loro esperienza
scolastica. L’ansia fa sì che i bambini evitino tutto ciò che li spaventa e spesso insegnanti
e genitori interpretano questo comportamento come pigrizia. Rabbia La frustrazione può
provocare rabbia, che può essere rivolta contro la scuola, gli insegnanti, ma anche i
genitori e la madre in particolare. Spesso il tutoraggio da parte dei coetanei o di ragazzi
poco più grandi può rivelarsi uno strumento efficace di intervento e di aiuto. Immagine di
sé Durante i primi anni di scuola ogni bambino deve risolvere i conflitti tra un’immagine di
sé positiva e i sentimenti di inferiorità, provocati dalle difficoltà nell’apprendimento. I
bambini dislessici si fanno l’idea di essere inferiori agli altri bambini e che i loro sforzi
facciano poca differenza; spesso si sentono inadeguati e incompetenti. Depressione I
bambini dislessici sono ad alto rischio di provare intensi sentimenti di dolore e sofferenza.
Il bambino depresso può diventare più attivo e comportarsi male per mascherare i
sentimenti di dolore.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 68/S1
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO E STRATEGIE EDUCATIVE
Attività n°: 01

Ripassiamo sul forum

Al termine di queste due lezioni sui Disturbi Specifici dell’Apprendimento ecco una lista di
domande che la aiuteranno a focalizzare i concetti principali.
Le chiedo di rispondere sul forum
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 68/S1
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO E STRATEGIE EDUCATIVE
Attività n°: 01

• In che senso la definizione dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento si basa sui


criteri di specificità ed esclusione?
• Quale è il rapporto intercorrente tra questi disturbi e disabilità intellettiva?
• Quali possono essere le conseguenze dei DSA sullo sviluppo cognitivo, emotivo
e comportamentale del bambino?
• Cosa si intende per misure compensative e dispensative?
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 68/S2
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO E STRATEGIE EDUCATIVE
Attività n°: 01

Esercitazione sul forum

Le presenterò ora alcuni casi clinici (PDM, 2006) con diagnosi di Disturbo
dell'Apprendimento.
Le chiedo di individuare l'area compromessa e di scrivere le sue considerazioni sul forum
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 68/S2
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO E STRATEGIE EDUCATIVE
Attività n°: 01

1. I genitori di uno studente di 15 anni decidono di consultare uno psichiatra perché si


dichiarano estremamente preoccupati per il comportamento del figlio sorpreso a
guidare senza patente.I genitori descrivono i suoi primi anni come privi di elementi
degni di attenzione, ma ricordano che quando aveva incominciato a frequentare la
prima elementare si era verificato un cambiamento: non gli piaceva la scuola ed
aveva incominciato a comportarsi male. Verso la fine della seconda elementare il suo
insegnante si lamentava regolarmente per la sua pigrizia, dicendo che non si
impegnava abbastanza. In quarta elementare aveva ricevuto l'aiuto di un tutore che
aveva cercato di insegnargli ad usare la tastiera del computer. In seguito era stato
inserito in una classe speciale, ma anziché sentirsi aiutato il ragazzo si era sentito
umiliato ed era diventato particolarmente aggressivo.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 68/S2
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO E STRATEGIE EDUCATIVE
Attività n°: 01

Nonostante a scuola avesse questo tipo di problemi, a casa rimaneva un bambino


felice ed ubbidiente.
Aveva comunque perso ogni interesse nella lettura e si lamentava che gli sforzi che
faceva per leggere anche una sola pagina lo stancavano molto.
Quando cercava di leggere le righe della pagina si confondevano e non riusciva a
distinguere le singole parole.
A livello scolastico era molto indietro rispetto ai compagni. Si era parecchio isolato ed
il suo comportamento aggressivo non lo aiutava a coltivare le amicizie.
Nel tempo emersero i primi segni di depressione che lo inducevano a lamentarsi in
continuazione di sentirsi stupido e ad esplicitare il desiderio di morire.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 68/S2
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO E STRATEGIE EDUCATIVE
Attività n°: 01

2. Un bambino di seconda media con un'intelligenza superiore alla media era


sempre in ritardo con i compiti scritti e con una certa frequenza dimenticava di
portare a scuola i quaderni con gli esercizi assegnati. Quando gli veniva chiesto
di fare un breve tema finiva per fissare lo schermo del computer senza sapere
come cominciare. Dopo aver scritto una frase appariva insoddisfatto per il modo
in cui aveva espresso i suoi pensieri. I suoi sforzi per migliorare la situazione
continuavano ad essere vani ed alla fine, frustrato, lasciava perdere il tema. A
volte la madre cercava di aiutarlo. Abbozzavano insieme il testo, ma quando il
ragazzo si trovava a dover continuare da solo il lavoro si bloccava ed anche se
non aveva problemi a spiegare alla madre ciò che avrebbe voluto scrivere non
riusciva a continuare il lavoro.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 68/S2
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO E STRATEGIE EDUCATIVE
Attività n°: 01

3. I genitori e gli insegnanti di una bambina di 8 anni riferivano che la piccola aveva
difficoltà ed andava in ansia dinnanzi al ragionamento quantitativo ed alle operazioni
matematiche. Nel passato erano state messe in evidenza alcune sue difficoltà nel
passare da una materia all'altra, specialmente quando si trattava della matematica.
Anche se riusciva a svolgere correttamente le operazioni che aveva imparato a
memoria, non riusciva a risolvere i problemi matematici che implicavano più passaggi
e presupponevano ragionamenti logici anche molto semplici.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 68/S3
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO E STRATEGIE EDUCATIVE
Attività n°: 01

Discuta sul forum


I bambini con DSA visti «da vicino»

Le presenterò ora alcuni stralci di discussioni apparsi di recenti sui forum per i DSA
Le chiedo di leggere con attenzione e di commentare sul forum gli aspetti relazionali che
ritiene più importanti e significativi
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 68/S3
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO E STRATEGIE EDUCATIVE
Attività n°: 01

Buongiorno a tutti, sono una mamma di un bimbo con dislessia frequenta la terza
elementare ed il suo cammino è tortuoso fatto di continui alti e bassi. Noi genitori siamo un
po' preoccupati per come sembra procedere l'anno scolastico. Inizio dicendo che noi
genitori ci siamo accorti della dislessia e noi abbiamo contatto i servizi, le maestre non ci
hanno ne' guidato ne' supportato. La diagnosi è' arrivata le maestre hanno archiviato, ma
nutro molte perplessità: la maestra d'italiano sembra non crederci e ancora ad oggi ogni
tanto quando ci incontra ci comunica che quando il bimbo si impegna ha risultato!
Insomma potrei elencarvi una serie di azioni che reputo sbagliate e controproducenti e che
continuo a vedere. Giovedì abbiamo il ritiro pagelle, noi genitori siamo carichi di rabbia e di
nervosismo, captiamo che molte cose non vanno ( viene spesso richiamato perché
distratto, perché non fa quello che richiede l'insegnante, perché non scrive,...)ma non
sappiamo come comunicarlo, non sappiamo come improntare un dialogo che sia
costruttivo ( i compiti di casa non sono mai stati diminuiti, quando il bimbo è' stanco scrive
la maestra in corsivo, ci viene spesso riportato che un atteggiamento troppo infantile, che
non ascolta, che passa il tempo ad animare i materiali scolastici, ha la testa fra le nuvole
,...). Cerco un vostro consiglio. Mio marito vorrebbe andare diretto dalla dirigente io vorrei
dargli ancora un'altra possibilità. Grazie per l'aiuto
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 68/S3
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO E STRATEGIE EDUCATIVE
Attività n°: 01

Anche mio figlio che ha compiuto 19 anni il 22 settembre, sta riuscendo in quello che
voleva... è diventato cuoco, ha preso 2 diplomi l'ultimo l'anno scorso a giugno chef, tecnico
di cucina 4 livello europeo... e da quando aveva 14 anni ha continuato a lavorare per
arrivare a fare il cuoco.. ora è in un ristorante fisso da febbraio di quest'anno... le lotte per la
dislessia sono state infinite, Giulio è dislessico, discalculico , disortografico disprassico... ma
quando lavora è un super cuoco... ha preso anche la patente, anche se ha dovuto dare per
3 volte l'esame scritto ( maledetti!!!!) mentre la prova pratica l'ha passata subito ( sapeva già
guidare benissimo...) qui dentro in questo forum ci abbiamo passato le elementari e le
medie e le lotte anche all'alberghiero... ma usciti da scuola la vita sembra essere più serena
e tranquilla... certo poi devi litigare per il lavoro e per come vieni inquadrato, ma quello è un
problema che purtroppo abbiamo tutti.... quindi caro Don, sii positivo, non mollare mai, da a
tuo figlio tutto il supporto che puoi, ma dagli anche compiti da svolgere, ostacoli da superare
e costruiscigli un carattere forte e sano, facendogli comprendere che la dislessia è il seme
del genio... devi insegnargli ad avere stima e fiducia in se stesso e spronarlo a fare tutto,
anche quando è recalcitrante perchè si fa 1000 film mentali... Giulio ci mise a leggere il suo
primo libro di 60 pagine 6 mesi, l'ha ripreso in mano l'altro giorno e ci ha messo 40 minuti
per leggerlo tutto.... fagli usare tanto il pc e stagli vicino, ma sii ferma e non fare tu le cose
per lui.... le prime volte le farete insieme, poi deve pian piano fare tutto da solo... se hai
bisogno ci sono un abbraccio forte..
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 68/S3
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO E STRATEGIE EDUCATIVE
Attività n°: 01

Mi domando: perchè mai una famiglia dovrebbe DELIBERATAMENTE per un a.s. intero
non dichiarare che la figlia è stata certificata DSA, per poi rendersi conto l'anno
successivo che FORSE sarebbe meglio dichiarare questa certificazione...???
Diagnosi in V elementare, ignorata per tutta la 1a media, consegnata in 2a media...
Riposta: per vergogna, per ignoranza
vuoi sapere come reagii io alla diagnosi di dsa di mio figlio? Io che già avendone il
sospetto avevo cominciato ad informarmi, io che ancora prima di questo ero comunque
interessata alle problematiche dei ragazzi e che quindi già conoscevo il problema nelle
grandi linee?
Andai su un forum e chiesi: "beh, adesso abbiamo la diagnosi, che ce ne facciamo?“
Credi, mi venne consegnato questo documento con una stretta di mano e tanti saluti.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 68/S3
Titolo: DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO E STRATEGIE EDUCATIVE
Attività n°: 01

Ciao, ho letto le testimonianze e mi sento tanto la fotocopia di Luisa. Anch’io ho un figlio 13


anni, frequenta la terza media con un sacco di problemi. Alle elementari non sapeva copiare
alla lavagna e faceva spesso l’intervallo a sedere per punizione. Alle maestre spesso facevo
presente che non era possibile che in quarta elementare sbagliasse tutte le doppie, gli
apostrofi e gli accenti e tutti verbi con le h per non parlare delle m che sembravano n e delle
a che sembravano o, ma la risposta era sempre la stessa era lui che non si impegnava, che
non stava attento, era troppo agitato a volte aggressivo insomma era proprio un bambino
antipatico! Alle medie speravo che la situazione migliorasse, dopo una prima e una seconda
media faticosissima piena di insuccessi umiliazioni e rimproveri, anche da parte mia,
finalmente all’inizio della terza l’insegnante di italiano mio dice che sospetta che mio figlio
sia dislessico; facciamo i test e risulta che Niccolò non è solo dislessico ma anche
disgrafico con un’autostima pari a zero e chiari segni di autosvalutazione e zero
motivazione. Pensavo che a questo punto che le cose sarebbero migliorate ma invece se è
possibile vanno ancora peggio e soprattutto con l’insegnante che ha fatto la segnalazione: i
4 volano per compiti non fatti (perchè non scritti sul diario ), interrogazioni programmate
rimandate di 20 giorni, e poi fatte a sorpresa nei compiti c’è sempre la valutazione per la
forma quando dovrebbe esserci solo quella per il contenuto , compiti in classe non facilitati
e continui rimproveri proprio a lui che avrebbe bisogno di essere gratificato quando riesce a
fare bene. E’ molto difficile far capire ad un ragazzino di 13 anni che lui è come gli altri e
può fare tutto ciò che vuole quando tutti gli altri non fanno altro che sminuirlo di continuo.
Scusate per lo sfogo. Marinella
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 69
Titolo: DISABILITÀ INTELLETTIVA
Attività n°: 01

LA DISABILITA’ INTELLETTIVA

In questa lezione parleremo di disabilità intellettiva ’argomento è da studiare sulle


slide e sul capitolo 4 del volume: Diagnosi dei disturbi evolutivi.

Il capitolo sui disturbi del neurosviluppo del DSM-5 si apre con la


descrizione del «disordine evolutivo intellettivo». Si tratta di un problema
dello sviluppo generale delle abilità cognitive che compromettono il
funzionamento adattivo della persona, la qualità della vita di relazione, la
possibilità di essere autonomi, indipendenti e di badare a se stessi.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 69
Titolo: DISABILITÀ INTELLETTIVA
Attività n°: 01

Secondo il DSM5 la disabilità intellettiva è un disturbo con esordio nel periodo dello
sviluppo che comprende deficit del funzionamento sia intellettivo che adattivo
negli ambiti concettuali, sociali e pratici.

Nel DSM 5, Il concetto di disabilità intellettiva sostituisce quello di ritardo per dare
importanza a una prospettiva ecologica focalizzata sull’interazione persona-ambiente. Si
riconosce che l’applicazione sistematica di supporti individualizzati può migliorare il
funzionamento .
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Lezione n°: 69
Titolo: DISABILITÀ INTELLETTIVA
Attività n°: 01

Affinchè possa essere diagnosticata una condizione di disabilità intellettiva, è necessario che
siano soddisfatti i seguenti tre criteri:
• Deficit delle funzioni intellettive, come ragionamento, problem solving, pianificazione,
pensiero astratto, capacità di giudizio, apprendimento scolastico e apprendimento
dall’esperienza, confermati sia da una valutazione clinica sia da test di
intelligenza individualizzati e standardizzati;
• Deficit del funzionamento adattivo che porta al mancato raggiungimento degli standard
di sviluppo e socioculturali di autonomia e di responsabilità sociale. Senza un supporto
costante, i deficit adattivi limitano il funzionamento in una o più attività della vita quotidiana,
come la comunicazione, la partecipazione sociale e la vita autonoma, attraverso molteplici
ambienti quali casa, scuola, ambiente lavorativo e comunità;
• Esordio dei deficit intellettivi e adattivi durante il periodo dello sviluppo. L’età e le
caratteristiche dell’esordio dipendono dall’eziologia (causa) e dalla gravità della
menomazione della struttura e/o delle funzioni cerebrali. In altri termini, le persone con
disabilità intellettive possono avere difficoltà nello svolgere le attività di vita quotidiana,
come ad esempio i compiti domestici, la gestione del tempo e del denaro, le relazioni
interpersonali, etc…
Le persone con disabilità intellettive tendono ad avere processi di formazione più lenti con
la necessità di supporti per sviluppare nuove abilità, comprendere informazioni difficili e
interagire con gli altri. Inoltre tendono a perdere le abilità acquisite.
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Lezione n°: 69
Titolo: DISABILITÀ INTELLETTIVA
Attività n°: 01

La disabilità intellettiva, in genere, è una condizione che dura per tutta la vita
sebbene i livelli di gravità possono cambiare nel tempo. In alcuni casi si osservano
periodi di peggioramento seguiti da periodi di stabilizzazione, in altri si può avere un
progressivo peggioramento del funzionamento. Interventi abilitativi precoci e continuativi
che investono il contesto di vita e si protraggono anche nell’età adulta, possono migliorare
notevolmente il comportamento adattivo tanto che la diagnosi di disabilità intellettiva, in
alcuni casi, potrebbe non essere più appropriata.
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Lezione n°: 69/S1
Titolo: DISABILITÀ INTELLETTIVA
Attività n°: 01

«La disabilità intellettiva (disturbo dello sviluppo intellettivo) è «un


disturbo con esordio nel periodo dello sviluppo che comprende
deficit del funzionamento sia intellettivo che adattivo negli ambiti
concettuali, sociali e pratici»
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Lezione n°: 69/S1
Titolo: DISABILITÀ INTELLETTIVA
Attività n°: 01

Le Novità del DSM-5:

a) Il termine ritardo mentale diventa disabilità intellettiva (o disordine dello sviluppo


intellettivo nei primi anni di vita)

b) Enfatizza la necessità di usare valutazioni cliniche e standardizzate nella diagnosi di


DI basando la severità dell’impairment sul funzionamento adattivo piuttosto
che solamente sul QI (il funzionamento adattivo determina il livello di supporto
necessario)

Rimuove dai criteri diagnostici i punteggi ottenuti ai test per il QI, ma incoraggia ad
inserire tale dato nella descrizione del profilo cognitivo del soggetto, permettendo
così che i punteggi dei test non vengano utilizzati come fattore di definizione delle abilità
generali di un soggetto senza considerare in maniera adeguata i livelli di funzionamento
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Lezione n°: 69/S1
Titolo: DISABILITÀ INTELLETTIVA
Attività n°: 01

I 3 criteri del DSM-5


Leggiamo più nel dettaglio i 3 criteri diagnostici del DSM5

1. Deficit funzioni intellettive (ragionamento, problem-solving, pensiero astratto,


apprendimento scolastico e apprendimento dall’esperienza) confermato sia dalla
valutazione clinica che dalla somministrazione di un test di intelligenza individuale

2. Deficit nel funzionamento adattivo consistente in un mancato raggiungimento degli


standard di sviluppo e socioculturali per l’indipendenza personale e la responsabilità
sociale. Senza supporto continuativo i deficit adattivi limitano il funzionamento in una o
più attività della vita quotidiana, quali la comunicazione, la partecipazione sociale e la
vita indipendente, in più ambiti diversi, come la casa, la scuola, il lavoro e la comunità

3. Insorgenza dei deficit intellettivi e adattivi nell’età evolutiva


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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 69/S1
Titolo: DISABILITÀ INTELLETTIVA
Attività n°: 01

La disabilità intellettiva comporta impairment nelle abilità mentali globali che incide sul
funzionamento adattivo in tre aree o domini

- Dominio concettuale: comprende competenze linguistiche, abilità di lettura, scrittura,


matematica, ragionamento, memoria e conoscenze generiche
- Dominio sociale: riguarda la capacità empatica, il giudizio sociale e interpersonale,
la capacità di comunicazione, di sviluppare e mantenere le amicizie
- Dominio pratico: concerne la gestione degli ambiti personali, come il sapersi
prendere cura di se stessi, la responsabilità sul lavoro, la gestione del denaro, le
attività del tempo libero.

Per la diagnosi almeno un dominio del funzionamento adattivo deve essere


compromesso in modo da rendersi necessario un supporto al soggetto in un ambito
(scuola, lavoro, casa, comunità)
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 69/S2
Titolo: DISABILITÀ INTELLETTIVA
Attività n°: 01

La disabilità intellettiva

Le indicazioni del DSM-5


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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 69/S2
Titolo: DISABILITÀ INTELLETTIVA
Attività n°: 01

Disabilità Intellettiva Lieve DSM 5

Difficoltà nell'apprendimento di abilità scolastiche come lettura, scrittura, calcolo, concetto


del tempo e del denaro; negli adulti sono compromessi il pensiero astratto, la funzione
esecutiva e la memoria a breve termine (ambito concettuale). L'individuo è immaturo nelle
interazioni sociali; la comunicazione e il linguaggio sono più concreti rispetto a quanto
atteso per l'età; la capacità di giudizio sociale è immatura e la persona è a rischio di
essere manipolata (ambito sociale). L'individuo può avere maggior bisogno di supporto
nelle attività complesse della vita quotidiana come il fare acquisti, utilizzo dei trasporti, la
gestione della casa e dei bambini (ambito pratico).
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Lezione n°: 69/S2
Titolo: DISABILITÀ INTELLETTIVA
Attività n°: 01

Disabilità Intellettiva Moderata

Nei bambini in età prescolare il linguaggio e le abilità prescolastiche si sviluppano


lentamente; i progressi nelle abilità scolastiche si verificano lentamente e sono limitati
rispetto ai coetanei e negli adulti si fermano a livello elementare (ambito concettuale). La
capacità di relazione è evidente, ma la capacità di giudizio sociale e di prendere decisioni
è limitata e il personale di supporto deve assistere la persona nelle decisioni della vita
(ambito sociale). L'individuo può prendersi cura dei bisogni personali, sebbene sia richiesto
un lungo periodo di insegnamento affinché possa diventare indipendente; l'indipendenza
lavorativa può essere raggiunta in lavori che richiedono limitate abilità concettuali, ma è
necessario un notevole sostegno; possono essere sviluppate svariate capacità ricreative;
in una minoranza significativa di individui è presente un comportamento disadattivo che
causa problemi sociali (ambito pratico).
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 69/S2
Titolo: DISABILITÀ INTELLETTIVA
Attività n°: 01

Disabilità Intellettiva Grave

Il raggiungimento di abilità concettuali è limitato; l'individuo in genere comprende poco il


linguaggio scritto o i concetti che comportano numeri, quantità, tempo e denaro (ambito
concettuale). Il linguaggio parlato limitato, l'eloquio può essere composto da singoli parole
o frasi e può essere facilitato con l'aiuto di strumenti aumentativi; l'individuo comprende i
discorsi semplici e la comunicazione gestuale (ambito sociale). L'individuo richiede un
sostegno in tutte le attività della vita quotidiana e non può prendere decisioni responsabili
riguardo al proprio benessere; la partecipazione a compiti domestici, attività ricreative e
lavoro richiede assistenza continuativa; in una minoranza significativa di casi è presente
comportamento disadattivo, compreso autolesionismo (ambito pratico).
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Lezione n°: 69/S3
Titolo: DISABILITÀ INTELLETTIVA
Attività n°: 01

Le cause

La disabilità intellettiva può dipendere da cause diverse. Essa infatti può essere generate
sia da cause biologiche (genetiche e non genetiche) sia da cause ambientali.

Le cause biologiche possono essere suddivise in:


cause biologiche genetiche;
cause biologiche non genetiche;
cause ambientali.

Si parla di cause genetiche delle disabilità intellettive, qualora siano presenti anomalie
in un singolo gene oppure anomalie strutturali dei cromosomi. Tra le cause genetiche
maggiormente conosciute vi è ad esempio la sindrome di Down.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 69/S3
Titolo: DISABILITÀ INTELLETTIVA
Attività n°: 01

Le cause non genetiche delle disabilità intellettive, invece, sono quelle che si
determinano a livello biologico e possono originarsi in diversi momenti della vita di un
individuo: possono determinarsi prima della nascita (si parla di cause pre-natali), durante il
parto (prematurità ed asfissia), oppure per patologie sopravvenute dopo il parto (ad
esempio encefaliti, meningiti o traumi cranici)

Tra le cause prenatali le principali sono rappresentate dalle alterazioni


cromosomiche, sia di numero che di forma (sindrome di Down, sindrome di Turner,
sindrome di Klinefelter, ecc.), le alterazioni genetiche causanti difetti del
metabolismo (galattosemia, lipidosi, fenilchetonuria, ecc.), le infezioni materne,
l’esposizione materna ad agenti chimici (piombo, mercurio, sostanze stupefacenti) o fisici
(radiazioni) dannosi, la malnutrizione, il diabete in gravidanza, l’ipossia, l’ipoglicemia o la
tossiemia materne. Tra le cause perinatali si trovano le complicazioni del travaglio, i
traumi del parto e il distress respiratorio del neonato.
Sono state descritte più di 750 cause genetiche della disabilità intellettive. Le più
frequenti/conosciute sono circa 27.

Ogni sindrome genetica causa di disabilità intellettive tende ad avere caratteristiche


peculiari.
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Lezione n°: 69/S3
Titolo: DISABILITÀ INTELLETTIVA
Attività n°: 01

Si parla di cause ambientali delle disabilità intellettive, invece, quando una disabilità
intellettiva può essere dovuta a svantaggio socioculturale.
Le disabilità intellettive dovute a gravi carenze a livello educativo o socioculturale
costituiscono una minoranza. Tali fattori, infatti, più facilmente sono responsabili di
diagnosi di "disturbi di apprendimento" o di "disturbi nello sviluppo della personalità". Le
carenze possono essere più o meno gravi ed avere effetti diversi a seconda dell'età del
bambino.
Lo svantaggio socioculturale può produrre in alcuni individui effetti negativi tali da portare
ad una diagnosi di disabilità intellettive (soprattutto per chi ha una dotazione intellettiva di
partenza inferiore alla norma), può produrre effetti negativi sulle prestazioni cognitive che
si accumulano con il passare del tempo (soprattutto fino all'adolescenza) e che sono
maggiori in caso di presenza di disturbi di personalità.
La ricerca indica un ruolo determinante dei fattori socio-ambientali nell’insorgenza e nel
decorso della vulnerabilità disabilità intellettiva, sebbene ci siano ancora molti aspetti da
approfondire.
Livelli adeguati di supporto per le persone con disabilità intellettive favoriscono una
maggiore inclusione sociale e possono rivestire un ruolo protettivo contro
l’aggravamento della condizione di disabilità.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 69/S3
Titolo: DISABILITÀ INTELLETTIVA
Attività n°: 01

Focalizziamo ora l’attenzione su alcune cause specifiche

Periodo Prenatale
Le infezioni congenite che possono provocare disabilità intellettiva sono quelle da virus
della rosolia, da cytomegalovirus, dal Toxoplasma gondii,, dal virus herpes simplex o dal
virus dell'HIV.

L'esposizione durante la gravidanza a farmaci e sostanze tossiche può determinare


disabilità intellettiva. La sindrome feto-alcolica è la più frequente di queste condizioni.
Altre cause sono i farmaci anti-epilettici quali fenitoina o acido valproico, farmaci
chemioterapici, l'esposizione a radiazioni, piombo e metilmercurio.
Una grave malnutrizione in gravidanza può compromettere lo sviluppo del cervello fetale
e causare una disabilità intellettiva.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 69/S3
Titolo: DISABILITÀ INTELLETTIVA
Attività n°: 01

Periodo Perinatale
Alcune complicanze legate alla prematurità, quali emorragie del sistema nervoso
centrale , problemi placentari quali placenta previa, preeclampsia, all'asfissia perinatale
possono aumentare il rischio di disabilità intellettiva.
Il rischio aumenta nei nati piccoli per l'età gestazionale. I neonati con peso molto o
estremamente basso alla nascita hanno maggiore possibilità di sviluppare una disabilità
intellettiva.

Periodo Postnatale
La malnutrizione e la deprivazione ambientale (mancanza di stimoli fisici, emotivi e
cognitivi indispensabili per la crescita, lo sviluppo e l'adattamento sociale) in epoca
neonatale e nella prima infanzia rappresentano le più frequenti cause di disabilità
intellettiva in ogni parte del mondo. Le encefaliti batteriche e virali (inclusa l'AIDS
associata alla neuroencefalopatia), le meningiti, le intossicazioni croniche e gli incidenti
che provocano danni cerebrali e asfissia possono determinare la disabilità intellettiva
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 69/S3
Titolo: DISABILITÀ INTELLETTIVA
Attività n°: 01

Punti chiave
La disabilità intellettiva implica un lento sviluppo intellettuale con un funzionamento
intellettivo al di sotto della media, comportamento immaturo, e limitate capacità di
prendersi cura di se stessi, condizioni che in combinazione sono abbastanza gravi da
richiedere un certo livello di supporto.
Alcuni disturbi prenatali, perinatali e postnatali possono causare disabilità
intellettiva, ma spesso non può essere identificata una causa specifica.
Ritardi del linguaggio e difficoltà di autonomia personale e abilità sociali possono essere
determinati da problemi emozionali, da deprivazione ambientale, da disturbi
dell'apprendimento o da sordità più che dalla disabilità intellettiva.

Le cause specifiche vanno ricercate eseguendo l'imaging del cranio, test genetici (p. es.,
l'analisi cromosomica microarray, sequenziamento dell'esoma), e altri test che possono
essere suggeriti dalle manifestazioni cliniche.
Un team multidisciplinare dovrà fornire un programma completo, personalizzato (che
comprenda il supporto della famiglia e di consulenti)
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 70
Titolo: BAMBINI PLUS-DOTATI
Attività n°: 01

I bambini plus-dotati

Questa lezione va studiata sulle slide

Chi fosse interessato ad approfondire la tematica, può consultare il sito


http://labtalento.unipv.it/ dell’Università di Pavia, diretto dalla prof. Zanetti.

Alcuni contenuti della lezione sono stati tratti da Ferraris, A. O., Di Matteo, S., &
Stevani, J. Bambini superdotati., Psicologia Contemporanea, 2008
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 70
Titolo: BAMBINI PLUS-DOTATI
Attività n°: 01

Il fenomeno della plusdotazione risulta ancora scarsamente conosciuto nel nostro Paese,
nonostante si stimi che in Italia circa il 5%-8% dei bambini mostri prestazioni al di sopra
della media.

Uno dei pregiudizi più comuni è quello che possedere un alto potenziale intellettivo
comporti una garanzia di successo nella vita (Achter, Benhow & Lubinski, 1996).

Il bambino plus-dotato svilupperà il suo potenziale se e solo se viene precocemente


identificato e il suo percorso accademico supportato
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 70
Titolo: BAMBINI PLUS-DOTATI
Attività n°: 01

Quando si parla di bambini prodigio o di bambini superdotati è facile rendersi conto di


quanto radicati siano i pregiudizi e gli stereotipi che li circondano: del resto, già nel termine
di superdotato compare il prefisso “super”, che rimanda a un’idea di superiorità, di un
qualcosa che sovrabbonda. Sono bambini che, per quanto riguarda la sfera intellettiva,
non seguono i normali ritmi evolutivi e rispetto alla loro età anagrafica mostrano delle
capacità paragonabili, se non addirittura superiori, a quelle degli adulti. Per questo motivo
essi suscitano emozioni ambivalenti: se, da una parte, ne rimaniamo stupiti, li ammiriamo
e magari li invidiamo, dall’altra ne siamo intimoriti e li guardiamo con diffidenza,
considerandoli esseri misteriosi e temibili nella loro atipicità.
Pensando poi alle loro eccezionali qualità, siamo portati a credere, in modo quasi
automatico, che questi bambini porteranno a termine la loro carriera scolastica senza
sforzi e con il massimo dei risultati, apparendoci d’altra parte scontato che diventeranno
adulti di successo, sia in ambito lavorativo che sociale. Insomma, la credenza comune è
che tali bambini siano avvantaggiati a tal punto da non avere bisogno di particolari
attenzioni: l’idea del di più, dell’eccesso, ci fa perdere di vista la questione di base, vale a
dire la loro diversità, con tutte le conseguenze che l’essere differente comporta.
Permettere ad un bambino superdotato di svilupparsi armoniosamente non è una cosa
facile in un contesto poco preparato a rispondere alle sue particolarità e ai suoi bisogni.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 70
Titolo: BAMBINI PLUS-DOTATI
Attività n°: 01

i bambini prodigio mostrano un talento eccezionale in un ambito specifico ed esprimono


le loro capacità in età precoce: sin da piccoli si rivelano in grado di ottenere risultati di
grande rilievo, contravvenendo alla normale successione delle tappe evolutive.
In sostanza, le attitudini del bambino prodigio non sono diverse da quelle degli altri
bambini, ciò che le differenzia è l’importante anticipazione con la quale esse si
manifestano nel ciclo di sviluppo.
Secondo le stime degli psicologi i bambini superdotati costituiscono il 2% della
popolazione infantile.
I contributi di numerosi studi sull’argomento, alcuni dei quali condotti per oltre mezzo
secolo (come il famoso studio longitudinale dello psicologo americano Lewis Terman),
consentono di isolare e chiarire alcune caratteristiche intellettive e tratti di
personalità tipici di tali soggetti.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 70
Titolo: BAMBINI PLUS-DOTATI
Attività n°: 01

1. Il primo elemento di distinzione è la precocità: i bambini superdotati hanno spesso


uno sviluppo intellettivo anticipato e compiono progressi più rapidi rispetto ai loro
coetanei. Possiedono una capacità di apprendimento non solo più pronta, ma anche
qualitativamente diversa in confronto a quella dei bambini della loro età; prediligono un
pensiero logico, lineare e deduttivo; hanno bisogno solo di una quota minima d’aiuto
da parte degli adulti nello svolgere i loro compiti e manifestano in genere una certa
insistenza nel volersela cavare da soli.

2. Un secondo elemento è la motivazione: i superdotati appaiono intrinsecamente


motivati e molto tenaci nel perseguimento dei loro obiettivi. Possiedono una curiosità
vivace e poliedrica che si traduce in una molteplicità di interessi e nella passione per la
lettura. Sono in grado di mantenere con facilità un’elevata soglia di concentrazione,
cosicché a volte sembrano perdere il contatto con il mondo circostante. Non si
scoraggiano di fronte a problemi complessi, ma ne sono stimolati e quando si trovano
alle prese con un ostacolo non si danno per vinti e cercano di superarlo. Pur amando
la compagnia molti mostrano anche una marcata introversione e sono selettivi nella
scelta delle amicizie.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 70/S1
Titolo: BAMBINI PLUS-DOTATI
Attività n°: 01

Caratteristiche distintive dei bambini plus-dotati


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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 70/S1
Titolo: BAMBINI PLUS-DOTATI
Attività n°: 01

Ma come si riconosce un bambino plus-dotato da un bambino semplicemente


brillante?
Naturalmente per appurare che un bambino si trovi in una condizione di plusdotazione,
occorre che sia sottoposto a dei test specifici, ma non solo: è necessario che venga
valutato da uno psicologo esperto in bambini ad Alto Potenziale. Tuttavia esistono delle
differenze tipiche che si possono elencare e che dovrebbero allertare genitori e
insegnanti
BAMBINO BRLLANTE
Conosce le risposte, interessato, attento, ha buone idee, lavora sodo, risponde alle
domande, il migliore del gruppo, ascolta con interesse, impara con facilità, comprende le
idee, si diverte con i coetanei, coglie il significato, porta a termine i compi , ricettivo,
riproduce con precisione, ama la scuola, assorbe le informazioni, un buon tecnico, ha
un’o ma memoria, ama le spiegazioni ordinate, soddisfa o di imparare.
BAMBINO PLUS DOTATO
pone domande, estremamente curioso, coinvolto mentalmente e fisicamente, ha idee
strane e bizzarre, nelle prove riesce bene, discute i de agli, elabora, al di là del gruppo,
manifesta pareri e sentimenti molto forti, conosce già, diventa competente dopo 1 o 2
ripetizioni, costruisce astrazioni, preferisce gli adulti, dà inizio a progetti, appassionato,
disegna cose nuove, ama imparare, manipola le informazioni, un inventore, ha un’ottima
memoria, gode della complessità, un acuto osservatore, estremamente autocritico.
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Lezione n°: 70/S1
Titolo: BAMBINI PLUS-DOTATI
Attività n°: 01

Le caratteristiche distintive dei bambini plus-dotati

1. Spiccate abilità verbali: molti bambini iperdotati iniziano a parlare ben prima degli
altri. E già da subito mostrano un lessico, una sintassi, una semantica molto più
complesse di ciò che ci si aspetterebbe da un bambino della stessa età. Queste
precoci abilità verbali solitamente si mostrano nella comprensione assai sofisticata di
concetti astratti (quale, ad esempio, la creatività). Solitamente amano leggere molto e
sono abili lettori: queste capacità nascono perlopiù automaticamente e da autodidatti
apprendono la lettura e la scrittura.

2. Un'insolita buona memoria: una caratteristica fondamentale è che essi imparano in


fretta e facilmente e ricordano con meno allenamento rispetto ai "normodotati". Essi
hanno inoltre un'eccellente memoria visiva e riescono a memorizzare qualsiasi
dettaglio di una pagina stampata.

3. Una forte curiosità: i bambini iperdotati solitamente chiedono continuamente


"perchè?", pongono molti quesiti agli adulti, anche su questioni scomode, a cui i più
grandi trovano difficoltà nel rispondere.
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Lezione n°: 70/S1
Titolo: BAMBINI PLUS-DOTATI
Attività n°: 01

4. Un'ampia gamma di interessi: i loro interessi sono molto più ampi e sviluppati
rispetto alla media. Alcuni concentrano la loro attenzione su un unico interesse; altri
invece saltano da una passione all'altra, risultando agli occhi degli adulti dei
"disorganizzati". Quest'ultimo tratto caratteriale, sebbene possa essere irritante per
genitori e insegnanti, è molto comune tra i bambini iperdotati.

5. Interesse nella sperimentazione: questi bambini utilizzano buona parte della loro
giornata a sperimentare come funzionano gli oggetti della casa, a volte anche ai limiti
della pericolosità.

6. Intensa immaginazione e creatività: è comune che questi bambini abbiano spesso


un amico immaginario con cui giocano e di cui spesso inventano una vera e propria
identità: per loro questo mondo immaginario può diventare davvero reale!

7. Notevole senso dell’umorismo: la loro forte immaginazione si esprime spesso in un


insolito senso dell’umorismo, che li spinge a creare in continuazione indovinelli e
giochi di parole
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Lezione n°: 70/S1
Titolo: BAMBINI PLUS-DOTATI
Attività n°: 01

8. Richiesta incessante di spiegazioni: i gifted sono sempre alla ricerca di spiegazioni


alle loro domande, e non si accontentano facilmente di risposte superficiali.

9. Intolleranza verso gli altri: l’ enorme energia, che li porta ad avere sempre un
contagioso entusiasmo, li può portare anche ad essere impazienti con gli altri. Hanno
difficoltà a capire perché gli altri bambini non condividano i loro interessi o non
sembrino afferrare la soluzione a problemi, che appare invece a loro così palese.

10. Curva dell’attenzione più lunga: molti bambini iperdotati spendono un gran numero
di ore a leggere, disegnare, costruire modelli. La loro concentrazione è intensa,
focalizzata su un’attività specifica; possono anche notare dettagli che agli altri
sfuggono.

11. Un pensiero complesso: essi sono alla ricerca continua della complessità. Amano
organizzare persone o cose entro sistemi complessi, come inventare giochi con
regole molto sofisticate.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 70/S1
Titolo: BAMBINI PLUS-DOTATI
Attività n°: 01

12. Impegnati in temi politici o sociali: dal momento che sono in grado di vedere le
sfumature della vita attorno a loro, i bambini gifted sono preoccupati delle “regole”
della vita molto più dei compagni della loro età, specialmente per quanto riguarda il
tema della giustizia.

13. Sensibilità: solitamente i ragazzi brillanti sono anche più sensibili: notano molte più
cose nell’ambiente che li circonda e reagiscono più energicamente. Sono spesso
consapevoli dei loro sentimenti e possono risultare molto emotivi.

14. Intensità: questa è probabilmente la caratteristica più importante negli iperdotati.


Semplicemente essi tendono ad essere molto più profondi degli altri bambini in
qualsiasi cosa essi facciano. Ad esempio, se essi sono interessati a giocare a
scacchi, questo diventerà tutto ciò che vogliono fare.

15. Sognare ad occhi aperti: questi bambini spesso si perdono nelle loro fantasticherie,
al punto di diventare inconsapevoli di ciò che succede loro attorno.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 70/S2
Titolo: BAMBINI PLUS-DOTATI
Attività n°: 01

Bambini plus-dotati e possibili problematiche


psicologiche e sociali
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 70/S2
Titolo: BAMBINI PLUS-DOTATI
Attività n°: 01

Le possibili problematiche del bambino superdotato

Lo sviluppo del bambino superdotato è spesso caratterizzato da eterogeneità, nel senso


che la precocità tocca solo alcune aree della sua personalità, mentre le altre procedono
a ritmi di maturazione cosiddetti normali. Tale squilibrio può essere all’origine di una
“disarmonia” definita “sindrome di dissincronia”.

Diversi settori della personalità si sviluppano a differenti velocità. Una sfasatura è


rilevabile tra intelligenza e psicomotricità ed un’altra tra intelligenza ed affettività.
Generalmente, i bambini intellettualmente molto dotati non manifestano la medesima
precocità a livello psicomotorio, nel quale seguono un ritmo di sviluppo ordinario, vale a
dire più congruo con la loro età reale. Ciò significa che questi bambini, assai vivaci sul
piano intellettivo, possono imparare a leggere in modo autonomo ancora prima del loro
ingresso a scuola, ma spesso si ritrovano poi a fronteggiare difficoltà nell’apprendimento
della scrittura. La discrepanza con una mano percepita come incapace di adeguarsi al
ritmo del pensiero, può suscitare nel piccolo un’ansiosa volontà di controllo, che
comporta ripercussioni negative sulla qualità dell’espressione grafica, come, ad
esempio, un tratto troppo marcato, tremante e irregolare, o estremamente rallentato. Il
bambino può tollerare più o meno a lungo questi insuccessi, dopodiché tende ad
adottare una strategia di evitamento, con un investimento negativo sull’espressione
scritta in generale.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 70/S2
Titolo: BAMBINI PLUS-DOTATI
Attività n°: 01

Anche tra intelligenza e affettività ci può essere uno squilibrio che porta il bambino ad
adottare comportamenti o rituali finalizzati a nascondere la sua immaturità e che spesso
sono fonte di disorientamento per i genitori. L’accesso intellettivo precoce ad informazioni
non interamente elaborabili sul piano emotivo può generare una serie di angosce, che
rendono il bambino più fragile e dalle quali egli cerca di proteggersi tramite
l’“intellettualizzazione”. Mentre il livello di sviluppo emotivo li spingerebbe a cercare la
compagnia dei coetanei, la maturazione intellettiva più progredita li induce alla
condivisione dei loro interessi con compagni più grandi, se non addirittura con gli adulti. I
compagni possono giudicarli strani e bizzarri ma fortunatamente non è così per tutti.

Ci sono dei genitori che, scoperte le doti dei figli, cercano di spingerli al massimo,
assumendo un atteggiamento che può essere controproducente.
Come avviene per lo sport, anche in altri ambiti, se si tiene conto soltanto delle doti e si
trascurano i bisogni emotivi e sociali dei figli, si rischia di danneggiarli invece di sostenerli.
L’ideale è accompagnarli nel loro percorso, naturalmente, senza enfatizzare o creare un
clima di attesa: capire di volta in volta quali sono le loro genuine esigenze fornendo loro
gli stimoli di cui hanno bisogno e consentendo loro, contemporaneamente, di vivere la
loro vita di bambini.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 70/S2
Titolo: BAMBINI PLUS-DOTATI
Attività n°: 01

I bambini gifted possono essere polemici e / o manipolatori. (a volte si considera questi


bambini dei piccoli avvocati!) I genitori e gli altri educatori devono ricordare che, anche
se l’argomento è logico e convincente, è pur sempre un bambino che richiede la
disciplina del caso, non importa quanto ii comportamento sia intelligente o simpatico. I
bambini che si accorgono di poter manipolare gli adulti possono sentirsi molto insicuri. I
genitori e gli altri adulti devono fare attenzione a non permetterlo.

In altri casi, Il perfezionismo può portare alla paura del fallimento, di conseguenza il
bambino eviterà di provare a fare qualcosa per paura di fallire. Questi ragazzi sono
attenti osservatori, dotati di una forte immaginazione e abilità di vedere oltre; queste
qualità possono però causare timidezza e la volontà di rimanere in disparte (nelle
retrovie) al fine di evitare possibili implicazioni. A causa della loro forte sensibilità le
critiche o la rabbia in generale possono intaccare la sfera personale in quanto faticano a
farsi scivolare di dosso le critiche e gli eventuali insuccessi in generale. La sensibilità e il
senso ben sviluppato del: ‘’giusto e sbagliato’’ può portarli ad vere preoccupazioni per le
guerre, la fame nel mondo, l’inquinamento e altri fatti di ingiustizia e violenza. Se sono
sovraccaricati d’immagini e argomenti su questi problemi, possono diventare introversi e
riservati o soffrire di “depressione esistenziale“.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 70/S2
Titolo: BAMBINI PLUS-DOTATI
Attività n°: 01

Molti bambini, ragazzi ma anche adulti dotati e di talento sono stati erroneamente
diagnosticati da psicologi, psichiatri ed altri operatori sanitari, e/o non sono stati riconosciuti
nemmeno dalle loro famiglie e dalla scuola. Le mis-diagnosi sono il frutto di una non
conoscenza, formazione e comprensione, presente ancor più nel contesto italiano, delle
caratteristiche della plusdotazione, che pertanto sono confuse con comportamenti
patologici. Tra le mis-diagnosi più comuni vi sono quelle di: Disturbo di Attenzione ed
Iperattività (DDAI o ADHD), Disturbo oppositivo provocatorio, Disturbo Ossessivo
Compulsivo, Disturbi dell’Umore, ecc. Il problema delle mis-diagnosi, e di conseguenza il
rischio di “etichettare” a vita bambini e ragazzi plusdotati, è principalmente legato al fatto,
già anticipato, che vi è una quasi totale non conoscenza, tra i professionisti del settore,
delle caratteristiche sociali, emotive e comportamentali della plusdotazione; molti aspetti
tendono, infatti, ad essere erroneamente interpretati come segnali di patologia, anziché
come espressione di intensità, creatività, curiosità, ecc. su cui lavorare. Vi sono però anche
situazioni in cui alla plusdotazione si aggiungono caratteristiche realmente assimilabili ad
una specifica patologia. In questo caso si parla di comorbidità e questo dovrebbe portare
ad una doppia-diagnosi, aspetto però altrettanto difficile, di nuovo per via della non
conoscenza della plusdotazione.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 70/S3
Titolo: BAMBINI PLUS-DOTATI
Attività n°: 01

Bambini plus-dotati a scuola


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Lezione n°: 70/S3
Titolo: BAMBINI PLUS-DOTATI
Attività n°: 01

Cosa fare a scuola?

A volte gli insegnanti possono trovarsi in difficoltà con un bambino plus-dotato, proprio per
i comportamenti sopra descritti, tuttavia, questi bambini possono essere una risorsa
enorme per la classe, laddove le loro potenzialità vengano riconosciute e valorizzate.
E’ importante riuscire in questo intento, poichè il rischio che il bambino inibisca il suo
talento per “risultare come gli altri” è un rischio reale che può portare anche a sintomi
depressivi. Al fine di valorizzare le eccellenze, la scuola è chiamata a mettere in campo
tutte quelle strategie e metodologie che permettano a tutti gli alunni il successo formativo
e scolastico, attivando una didattica di tipo inclusivo basata su alcune azioni importanti:
.
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Lezione n°: 70/S3
Titolo: BAMBINI PLUS-DOTATI
Attività n°: 01

Gli insegnanti dovrebbero:

- Utilizzare l’apprendimento cooperativo, in modo da assegnare ruoli che possano


valorizzare i talenti di questi bambini che possono, in questo modo, risultare utili anche
ai compagni.
- Favorire una didattica a classi aperte, sia a livello orizzontale (classi dello stesso
grado) che verticale (classi di grado superiore).
- Favorire la flessibilità didattica (Personalizzare i compiti laddove è possibile,
proponendo materiale più stimolante e articolato da studiare).
- Predisporre vari tipi di laboratorio.
- Coinvolgere i bambini in attività di spiegazione alla classe.
- Adattamento di determinate parti della settimana scolastica a “gruppi di lavoro” non
fissi.
In alcuni casi, non in tutti, è possibile prevedere per questi bambini un salto di classe
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 70/S3
Titolo: BAMBINI PLUS-DOTATI
Attività n°: 01

In linea generale, tra le misure didattiche adottate nelle diverse Nazioni, volte a sostenere
l’apprendimento di studenti speciali, ritroviamo il “percorso di studio abbreviato”
(accelerazione), le “attività di livello avanzato” (arricchimento) e, l’”offerta educativa
differenziata” (raggruppamento) che ad oggi rappresenta la strategia di utilizzo più
frequente, una soluzione intuitiva che crea classi speciali o raggruppamenti adattate alle
particolari esigenze dei bambini che dimostrano caratteristiche eccezionali

Se da un lato l’accelerazione offre agli allievi lo stesso percorso didattico significativo ma


concentrato in un minor numero di anni, permettendo un risparmio di tempo (che può
arrivare a dimezzare i tempi canonici), dall’altro è l’itinerario che presenta maggiori rischi di
“dissincronia emotiva”. L’arricchimento (di contenuto, di processo, di prodotto) mira,
invece, ad aggiungere alla normale educazione nuove e stimolanti attività al fine di
sviluppare le loro capacità in aree di maggiore eccellenza. Il raggruppamento infine, come
detto prima, è la modalità didattica maggiormente presente nelle realtà scolastiche
europee che presenta il vantaggio non indifferente di permettere agli studenti di esercitare
tra loro la funzione «specchio» a scapito però di una inclusione educativa di classe.
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Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 70/S3
Titolo: BAMBINI PLUS-DOTATI
Attività n°: 01

IN ITALIA

Il nostro sistema scolastico non prescrive percorsi differenziati per gli studenti plusdotati
come avviene nei più avanzati paesi europei, dove sono esistono scuole dedicate o è
possibile accelerare il corso di studi.

E’ possibile però trovare nella legislazione scolastica dei principi che permettono alle
scuola, in forza dell’autonomia, di dedicare ai bambini plus-dotati la necessaria attenzione.
Tutta la nostra normativa, infatti, è fortemente finalizzata al riconoscimento di ogni singola
specificità ed alla promozione delle potenzialità personali.
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Lezione n°: 71
Titolo: RIPASSIAMO
Attività n°: 01

PROVA DI APPRENDIMENTO
E-portfolio

Di seguito troverà alcune domande e la prego di inoltrare le sue risposte su e-


portfolio

Quali sono le caratteristiche dei bambini plus dotati?


Quali sottili differenze esistono tra i bambini plus-dotati ed i bambini brillanti?
Quali sono a suo avviso le principali difficoltà psicologiche dei bambini plus-dotati e
quali difficoltà possono incontrare i genitori? E gli eventuali fratelli?
Quale tra le proposte educative presentate per questi bambini le risulta più
interessante? Motivi le sue ragioni.
La formazione in servizio degli insegnanti
rispetto le tematiche della plusdotazione
In-service teacher training on giftedness
Martina Brazzolotto
Università degli Studi di Bologna
martinabrazzolotto@gmail.com

ABSTRACT
I pregiudizi sulla plusdotazione, come per esempio credere che i bambini
con plusdotazione (gifted children) non necessitino di particolare atten-
zione da parte dell’insegnante (Zanetti, 2016), possono influenzare la didat-
tica. Progettare percorsi di formazione sulla plusdotazione significa appro-
fondire tali tematiche e co-costruire con gli insegnanti delle attività inclu-
sive per la classe, anche attraverso dei tutoraggi. Allo stesso tempo, il for-
matore, oltre a supportare i docenti, può capire meglio le percezioni degli
insegnanti e, a partire da quest’ultime, ri-progettare un nuovo percorso, in
qualità di professionista riflessivo (Schön, 1983). Dalle nostre esperienze,
emerge la questione dell’“etichetta” di plusdotazione, dicitura messa in dis-
cussione da alcune insegnanti, in quanto essa non sembra corrispondere
agli atteggiamenti attesi da un alunno o una alunna con plusdotazione. An-
che la dimensione affettiva della relazione educativa sembra giocare un
ruolo importante nella formazione: i sensi di colpa che prova un’insegnante
nel fornire attività pensate per una alunna con plusdotazione, temendo di

Formazione & Insegnamento XVI – 2 – 2018


ISSN 1973-4778 print – 2279-7505 on line
Supplemento
trascurare chi, secondo lei, è maggiormente in difficoltà, sembra ostacolare
una piena inclusione.

The prejudices on giftedness, such as believing that gifted children do not


need special attention from the teacher (Zanetti, 2016), to influence teach-
ing. Designing training courses on giftedness means deepening these is-
sues and co-building with teachers the inclusive activities for the students,
as well through tutoring. At the same time, the trainer, in addition to sup-
porting the teachers, can better understand the teachers’ perceptions and
re-design a new course, as a reflective professional (Schön, 1983). From our
experiences, it emerges the question of the “label” of giftedness, ques-
tioned by some teachers, as it does not seem to correspond to the student’s
attitudes. Furthermore, the affective dimension of the educational relation-
ship seems to play an important role in the teacher training: the guilt feel-
ings that a teacher has in providing activities designed for a student with
giftedness, fearing to neglect who, according to her, is more in difficulty,
seems to hinder a full inclusion.

KEYWORDS
Teacher Training, Giftedness, Inclusive Education.
Formazione in Servizio, Plusdotazione, Inclusione Scolastica.

215
Introduzione

Secondo gli artt. 26 e 29 del CCNL 2006-2009 la formazione continua è parte inte-
grante della funzione docente: essa costituisce sia un diritto contrattuale sia, se-
condo la legge 107/2015, un dovere. Il docente, attore attivo del processo forma-
tivo, avrebbe il compito di garantire la massima qualità di istruzione a tutti i suoi
alunni (Galliani, 2015), attraverso un continuo aggiornamento dei suoi saperi, di-
mostrando di conoscere metodologie didattiche innovative o, quanto meno, che
forniscano a tutti gli studenti la possibilità di apprendere. Come indicato nel
“Piano per la formazione dei docenti 2016-2019”, la formazione in servizio non
dovrebbe essere costituita da lezioni frontali ma da uno scambio interattivo tra
teorie e pratiche didattiche; in questo senso, secondo noi, il tutoraggio in classe
potrebbe promuovere collegamenti tra saperi e prassi. Di particolare importanza
risulta essere la consapevolezza degli insegnanti circa le proprie pratiche di in-
segnamento e una attenta riflessione (Schön, 1983), che possa portare gradual-
mente il docente al cambiamento (Ajello, 2002).
La formazione degli insegnanti sulla plusdotazione rappresenta un’area tra-
scurata, sia a livello europeo sia a livello nazionale. Nel 2005 è stata condotta una
ricerca in Europa sui sistemi educativi in merito la plusdotazione in 21 paesi: solo
9 di essi (Austria, Germania, Spagna, Ungheria, Lussemburgo, Olanda, Romania,
Slovenia e Regno Unito) prevedevano una formazione ad hoc sulla plusdotazio-
ne. A ostacolare l’adesione di dirigenti scolastici e insegnanti ai corsi di formazio-
Martina Brazzolotto

ne sulla gifted education sarebbe la credenza che gli apprendenti con plusdota-
zione non avrebbero bisogni educativi speciali (Reid, Horvathova, 2016). Già ne-
gli aspiranti insegnanti ci sarebbe un maggiore interesse orientato alla compren-
sione di una didattica adatta agli alunni con disturbi o deficit (Berman, Schultz,
Weber, 2012) e una minore sensibilità verso la didattica per la plusdotazione;
sembra dunque che la riflessione sull’inclusione sia indirizzata prevalentemente
agli alunni con deficit.
In questa sede, dopo una breve panoramica sulla formazione in servizio sulla
plusdotazione, presenteremo due esperienze secondo noi significative, in quan-
to ci inducono a riflettere sulle percezioni e sulle esigenze formative dei docenti,
utili per migliorare i futuri percorsi di formazione e intraprendere nuove ricerche.

1. Gifted education e formazione in servizio

Nel contesto statunitense la formazione degli insegnanti sulla plusdotazione ha


lo scopo principale di indicare ai docenti le caratteristiche, fornendo loro stru-
menti per individuare i bambini con plusdotazione, per poi indirizzare quest’ul-
timi in classi o programmi speciali (Adderholdt-Elliot, Algozzine, Algozzine, Ha-
ney, 1991; Coleman, Gallagher, 1995). Nel contesto europeo invece, si pone mag-
gior attenzione ai bisogni specifici dei bambini con plusdotazione, con l’obietti-
vo di includerli in un contesto classe, evitando dannose etichette che potrebbe-
ro stigmatizzarli ulteriormente (come sancito dalla Raccomandazione europea
n.1248 del 1994). Il tema dell’inclusione sembra essere ancora più forte nel nostro
Paese, anche se per oltre 40 anni (dalla legge 517/1977) ci siamo occupati in modo
particolare della didattica speciale per le persone con deficit e disabilità, trascu-
rando le tematiche relative la plusdotazione. Recentemente (il 22 dicembre 2017,
durante la seduta parlamentare n. 903) alcune associazioni italiane di genitori e
di esperti, a supporto delle tematiche relative la plusdotazione, hanno avanzato
una proposta di legge, nella quale si mette in evidenza sia il riconoscimento della

216
plusdotazione, sia l’importanza del ruolo della scuola nell’inclusione scolastica
dei bambini con plusdotazione, chiedendo maggiore attenzione al settore della
ricerca e agli insegnanti, verso questi alunni. Dai dati che emergono dal LabTa-
lento1, la quasi totalità dei bambini con plusdotazione manifesta o problemi a
scuola o in famiglia o in merito la gestione delle emozioni (LabTalento, 2014). È
evidente, pertanto, che questi bambini abbiano dei reali bisogni specifici (Mor-
mando, 2011), bisogni che se non colti dal contesto scolastico potrebbero porta-
re all’esclusione, all’insuccesso e all’abbandono scolastico (Zanetti, 2016; Sandri,
Brazzolotto, 2017).
Da alcune ricerche si evince che gli insegnanti maggiormente formati e com-
petenti sulle tematiche della plusdotazione tendano a valorizzare la creatività e
avere concezioni più inclusive sulla plusdotazione (Copenhaver, McIntyre, 1992;
Goodnough, 2000; Siegle, Powell, 2004). Riteniamo che ampliare le conoscenze
degli insegnanti sugli alunni con plusdotazione significhi capire meglio alcune
peculiarità: come riescono alcuni alunni a risolvere problemi matematici senza
riuscire a spiegare i procedimenti? Perché il bambino con plusdotazione non di-
mostra i suoi talenti? Perché alcuni alunni si auto-escludono dalle attività scola-
stiche? Forse saper rispondere a queste e altre domande sulla plusdotazione po-
trebbe aiutare il docente inclusivo a rispettare tutte le differenze e a valorizzare
le potenzialità di ciascuno.
Nei percorsi di formazione il primo argomento che viene affrontato è proprio
il riconoscimento della plusdotazione, che sembra essere fortemente influenza-

La formazione in servizio degli insegnanti


to dalle credenze personali (Elhoweris, Mutua, Alsheikh, Holloway, 2005; Masten,
Plata, 2000); quest’ultime andrebbero a loro volta a modificare la relazione con gli
studenti e le aspettative sulla crescita intellettuale (Goodman, 1985; Rosenthal,
2002). Gli insegnanti tendono a identificare i bambini con plusdotazione con le
eccellenze: come quegli alunni molto competenti in tutto, i quali dimostrano le
loro capacità ottenendo ottimi voti (Peterson, Margolin, 1997); la formazione in-
vece sarebbe utile per modificare gradualmente le convinzioni con le informa-
zioni provenienti dalla letteratura scientifica. Come abbiamo già detto, spesso i
bambini con plusdotazione hanno un ritmo veloce di apprendimento e una mo-
dalità di ragionamento diversa dagli altri bambini, si parla di pensiero arbore-
scente, caratteristiche che spesso portano l’insegnante a escluderli dalle attività.
Spesso trascorrono gran parte del loro tempo, soprattutto nei primi anni della
scuola primaria, a colorare schede, dopo aver terminato il compito che loro sa-
pevano già fare 2 anni prima; si sentono diversi, talvolta stupidi, non accolti dal-
l’insegnante per le loro diversità e quindi in alcuni casi potrebbero assumere at-
teggiamenti disadattati (come vedremo nel paragrafo 2.1). Come sostiene McCo-
ach e Siegle (2007), la formazione sui bambini gifted non è sempre garanzia di
cambiamento degli atteggiamenti e delle metodologie, in quanto le credenze
giocano un ruolo importante, anche se gli insegnanti formati sarebbero maggior-
mente attivi con gli studenti e più entusiasti delle miriadi di differenze individua-
li che gli apprendenti portano nel contesto classe (Croft, 2003; J.F. Feldhusen,
1997; Graffam, 2006; Hansen, Feldhusen, 1994; Mills, 2003; Story, 1985).
L’associazione nazionale per i bambini gifted (NAGC) negli Stati Uniti ha sta-
bilito delle competenze che dovrebbero possedere tutti gli insegnanti che ope-
rano con questi bambini, riportiamo quelle che secondo noi rispecchiano un ap-

1 Laboratorio Italiano di Ricerca e Sviluppo del Talento, del Potenziale e della Plusdota-
zione (Università di Pavia)

217
proccio inclusivo: 1. conoscenze sullo sviluppo dei bambini gifted; 2. caratteristi-
che del comportamento dei bambini gifted e dei loro stili di apprendimento; 3.
strategie di insegnamento per includere il bambino con plusdotazione in classe;
4. la valutazione scolastica; 5. come creare alleanze tra scuola, famiglia e il conte-
sto circostante (Seredina, Pomortseva, Morozova, 2016).
Riteniamo che sia fondamentale che gli insegnanti siano a conoscenza sia
delle caratteristiche sia delle metodologie, cercando di far crescere i bambini
con plusdotazione non solo in termini cognitivi ma soprattutto emotivo e rela-
zionali, assumendo uno sguardo globale.

2. Percezioni di alcune insegnanti sulle strategie didattiche per i bambini con plu-
sdotazione

Proponiamo di seguito due esperienze di formazione in servizio sulla gifted edu-


cation che ci potrebbero aiutare a riflettere sui bisogni formativi che derivano
dalle percezioni degli insegnanti sulla didattica per i bambini con plusdotazione.

2.1. Il baricentro clinico di alcune insegnanti

La prima esperienza che proponiamo si è svolta per un anno (da gennaio a di-
Martina Brazzolotto

cembre 2017) in un istituto comprensivo del centro Italia, in collaborazione con


il LabTalento. Abbiamo selezionato questa esperienza in quanto ci induce a ri-
flettere sull’importanza che assume il ruolo dell’etichetta per alcune insegnanti:
il bambino con plusdotazione non era ritenuto tale e quindi c’era la tendenza a
categorizzarlo in un altro gruppo. Nonostante non possiamo affermare che tutti
gli insegnanti tendano a utilizzare i loro saperi per formulare una ipotetica dia-
gnosi, con l’obiettivo di affidare l’inclusione a un altro docente o a un esterno,
come nel caso che presentiamo, crediamo che sia utile essere consapevoli di tale
fenomeno per programmare dei corsi di formazione maggiormente incentrati
sulle pratiche educative e formative.

2.1.1. Il contesto

La richiesta di un supporto alla didattica è pervenuta da una mamma di un bam-


bino con plusdotazione che frequentava la seconda classe della scuola primaria
nell’a.s. 2016/2017. Le insegnanti non avevano mai sentito parlare di plusdotazio-
ne e dunque la madre si attivò per cercare esperti disponibili a tenere una for-
mazione in loco. Sono state proposte due modalità di formazione: in plenaria, 3
incontri da 2 ore ciascuno, sulle seguenti tematiche: identificazione, caratteristi-
che della plusdotazione e principi di gifted education con un approccio inclusi-
vo. Dopo la formazione più teorica, rivolta a tutti i docenti dell’istituto compren-
sivo2, abbiamo attivato un tutoraggio in classe di 12 ore, suddiviso in 3 giornate
scolastiche (3 mattine da 4 ore ciascuna); questo secondo momento di formazio-
ne è stato dedicato esclusivamente alle insegnanti della classe dove era inserito

2 L’istituto comprensivo è formato da 2 scuole dell’infanzia, 2 scuole primarie e una


scuola secondaria di primo grado.

218
il bambino, che in questa sede chiameremo Marco, vissuto come “problematico”
a scuola. In questa sede ci focalizzeremo in modo particolare sulla pratica del tu-
toraggio.

2.1.1. Osservazioni delle insegnanti

Prima di co-programmare delle attività inclusive, abbiamo chiesto alle insegnanti


di effettuare un’osservazione mirata su Marco nel contesto classe.
Le insegnanti inizialmente avevano dei forti pregiudizi su di lui: essendo un
bambino con plusdotazione si aspettavano un grande interesse per le materie,
delle elevate abilità in matematica e una preferenza per le sfide. È stato difficile
per le docenti credere che un bambino con moltissime difficoltà a gestire le emo-
zioni e le relazioni, manifestate con atteggiamenti disadattati, potesse avere delle
potenzialità, a tal punto da dubitare della valutazione redatta da più psicologi.
Tra marzo e aprile 2017 abbiamo chiesto alle insegnanti di scrivere dei “reso-
conti” (Dovigo, 2014, p. 112) di alcune giornate, ne riportiamo alcuni estratti, nei
quali vengono esplicitati sia alcuni atteggiamenti “collaborativi” del bambino: “le
consegne prevedevano di realizzare un cruciverba con le tabelline, inventare un
semplice problema con l’addizione, risolverne uno con il doppio e la metà e un
esercizio di logica un po’ difficile. [Marco] li ha svolti tutti abbastanza bene eccet-
to quello di logica che ha sbagliato” (resoconto dell’8 aprile 2017, n.2); sia molti

La formazione in servizio degli insegnanti


“comportamenti problema” quali: “ha speso il suo tempo a disegnare, ritagliare,
parlare per fatti suoi. Ho provato a togliergli le forbici e i fogli; allora si è disteso
per fare finta di dormire e russare” (resoconto del 27 marzo, n. 1); e ancora: “ha
avuto una piccola crisi (si è buttato per terra, ha cominciato a gridare...) fortunata-
mente però è durata poco (circa un quarto d’ora)” (resoconto dell’8 aprile 2017,
n.2). La medesima insegnante inoltre riporta anche gli interessi di Marco: “è ve-
nuto a scuola con un libretto contenente tante curiosità e quiz che lo prendevano
molto, per cui tutta la mattinata ha cercato di leggerlo ai compagni, a me e alla bi-
della con una certa insistenza. Verso la fine della giornata gliel’ho tolto perché
doveva fare altro” (resoconto dell’8 aprile 2017, n.2). Come si nota da queste af-
fermazioni, l’insegnante tende a non valorizzare gli interessi e ad associare sem-
pre qualche aspetto negativo alle azioni di Marco (“che ha sbagliato”; “si è diste-
so”; “con insistenza”).
Sembra che secondo le docenti non funzioni nessuna modalità per ridurre gli
atteggiamenti considerati “non consoni” alla vita di classe; esse, durante i collo-
qui, ci hanno riferito più volte che secondo loro gli atteggiamenti del bambino
erano propri dell’autismo, pensando dunque che l’unica soluzione fosse “cam-
biare diagnosi” per poi affidarlo a un insegnante di sostegno. È interessante no-
tare come l’obiettivo delle docenti non rispondesse alla domanda “come posso
includere un bambino con tali caratteristiche?” ma piuttosto: “l’etichetta della
plusdotazione non è corretta, forse appartiene alla categoria autismo?); si nota
uno spostamento del focus: da quello didattico (proprio degli insegnanti) a quel-
lo clinico (tipico di altre figure professionali).

2.1.2. Obiettivi

A partire dai dati emersi dalle osservazioni delle docenti abbiamo elaborato de-
gli obiettivi per il tutoraggio in classe: coinvolgere Marco nelle attività senza che
dimostrasse sofferenza (ossia scappare dalla classe, gettarsi per terra, piangere,

219
urlare, ecc.); scoprire e valorizzare le sue potenzialità attraverso modalità inclu-
sive, estendendole a tutti gli alunni. Non era previsto invece di fare un trattamen-
to di tipo “clinico” per eliminare alcuni suoi atteggiamenti che spaventavano tan-
to le insegnanti e i compagni (come per esempio mangiare pezzettini di carta o
di gomma da cancellare e ritagliare in continuazione figure di personaggi a lui ca-
ri); per supportare Marco nella gestione delle emozioni era infatti stata avviata
una psicoterapia in orario extrascolastico.

2.1.3. Il tutoraggio in classe

Il tutoraggio in classe, parte integrante della formazione, ha seguito 5 fasi: co-


programmazione didattica; osservazione in classe; analisi dei dati; intervento in
classe; ri-progettazione delle proposte didattiche.
Nella prima fase sono stati tenuti in considerazione sia alcuni degli approcci
della didattica inclusiva quali metacognitivo e cooperativo (Miato, Miato, 2003;
Morganti, Bocci, 2017) sia alcuni principi della “didattica dei talenti” quali: princi-
pio delle opzioni, quello dell’auto-orientamento, quello della valutazione criti-
co-proattiva e quello dell’apprendistato (Baldacci, 2002, p. 168; Renzulli, Reis,
2014; Winnebrenner, Brulles, 2012; Siegle, 2013).
Riportiamo, a titolo esemplificativo, l’attività di italiano su l’uso dell’H, del 20
dicembre 2017, co-programmata insieme alle insegnanti. Dopo un breve ripasso
Martina Brazzolotto

guidato dall’insegnante sull’utilizzo di “ha” e le differenze dalla preposizione


semplice “a”, abbiamo previsto un lavoro a coppie: ogni alunno doveva scrivere
5 frasi che avessero a/h e poi scambiare il quaderno con il compagno; abbiamo
condiviso che chi riceveva il quaderno non doveva giudicare il lavoro attribuen-
do dei voti, ma solo commentare e giustificare. Terminata questa prima attività
abbiamo previsto un learning menu (Winebrenner, Brulles, 2012) individuale,
ogni alunno poteva scegliere tra le seguenti attività:

– Inventa una poesia dove sia presente “a” e “ha”.


– Inventa una canzone a ritmo di “h”.
– Crea una verifica dove ci sia a/ha per aiutare la maestra.
– Costruisci il ventaglio dell’h (in ogni sezione del ventaglio si poteva scrivere
una frase con l’h).

Per finire, abbiamo programmato un momento conclusivo di condivisione in


grande gruppo dell’attività scelta; chi lo desiderava poteva esplicitare i propri
punti di forza e le eventuali difficoltà incontrate.
Dalle griglie di osservazioni, compilate da un’insegnante in compresenza,
leggiamo che: “inizialmente [Marco] dimostra entusiasmo per l’attività: costruisce
un ventaglio di carta. Prima ci gioca e dice che non gli piace di scriverci le frasi so-
pra. Dopo un po’, le scrive, sempre consultando lo schema. [Marco] ha scelto la
stessa attività della classe. Mi riferisce: ‘avevo paura di scegliere’” (griglia di osser-
vazione per italiano del 20/12/2017).
Analizzando i dati, abbiamo capito che le attività che prevedevano una scelta
mettevano in difficoltà Marco, nonostante la letteratura scientifica promuova ta-
le modalità proprio per coinvolgere maggiormente i bambini con plusdotazione.
In questo senso il tutoraggio in classe svolge un ruolo fondamentale nella forma-
zione continua: non sempre tutte le indicazioni operative possono essere adatte
a tutti i bambini e alcune volte gli insegnanti possono trovarsi in difficoltà a per-
sonalizzarle.

220
Al termine del tutoraggio, le insegnanti hanno ribadito le loro convinzioni ini-
ziali: Marco non avendo risposto brillantemente alle attività proposte, non era un
bambino con plusdotazione ma con autismo. Non ammettevano invece i grandi
sforzi che aveva compiuto Marco per partecipare alle nuove attività (come si nota
dalle osservazioni emerse nella griglia).
Pensiamo che comunque il tutoraggio in classe, inteso come momento for-
mativo nella quotidianità scolastica, potrebbe essere uno strumento che aiuti a
personalizzare la didattica e che favorisca l’inclusione scolastica; Marco durante
le attività proposte ha sempre dimostrato, a modo suo, come riferito dalla madre,
entusiasmo e di sentirsi coinvolto e accettato.

2.2. Plusdotazione e sensi di colpa

La seconda esperienza di formazione si è svolta da aprile a maggio 2018; degna di


nota è la dimensione affettiva che spesso orienta l’insegnante nelle scelte didatti-
che. Una docente ha dimostrato di provare dei forti sensi di colpa a programmare
attività per la sua alunna con plusdotazione, in quanto credeva che ciò significas-
se commettere un torto verso i bambini in difficoltà. Il nostro contesto culturale
infatti orienta i docenti a occuparsi in modo particolare di chi manifesta delle dif-
ficoltà dovute a una disabilità o a un deficit (ben affermate con una diagnosi);
sembra quasi impossibile che una bambina con plusdotazione possa avere dei bi-

La formazione in servizio degli insegnanti


sogni diversi, come un apprendimento accelerato; sembra esserci inoltre una ge-
rarchia dei bisogni: le differenze non avrebbero tutte lo stesso peso, alcune sono
ritenute più importanti di altre. Si fatica a entrare nell’ottica della differenziazione
didattica (D’Alonzo, 2016), la quale prevede la consapevolezza da parte dell’inse-
gnante che ogni alunno, indipendentemente dalla categoria di appartenenza,
possieda delle potenzialità e dei limiti, come d’altronde ognuno di noi.

2.2.1. L’istituto

La formazione in servizio sulla plusdotazione si è tenuta in un istituto compren-


sivo del nord-est Italia, a partire dalla richiesta di un dirigente scolastico, vista la
presenza di alcuni bambini con plusdotazione in alcuni plessi. L’istituto com-
prensivo è formato da 6 scuole primarie e una scuola secondaria di primo grado.
Il percorso di formazione, in accordo con il dirigente, era costituito da 4 ore di
lezione frontale, per tutti i docenti dell’istituto e 6 ore di tutoraggio, quest’ultime
distribuite in 3 diverse classi (2 ore ciascuna) e un incontro di restituzione in ple-
naria, sull’esperienza condotta in classe. Nei primi due incontri teorici abbiamo
proposto le caratteristiche dei bambini con plusdotazione e alcune strategie di-
dattiche. Il tutoraggio è stato condotto in 3 classi dove era presente un bambino
con plusdotazione. In questa sede descriveremo in modo particolare solo
un’esperienza condotta in una classe seconda della scuola primaria, in quanto
sono emerse delle percezioni interessanti che potremmo tenere in considera-
zione nelle future formazioni.

2.2.2. Il contesto classe

Prima di iniziare una co- programmazione per l’intervento di 2 ore, abbiamo


chiesto alla docente di presentarci la classe, le sue modalità didattiche e descri-

221
vere la bambina con plusdotazione3. Riportiamo di seguito le sue descrizioni ri-
cevute per iscritto il 24/04/2018. Le parole in grassetto sono quelle che abbiamo
evidenziato noi in fase di analisi e che ci hanno guidato nella programmazione.

“I miei alunni sono 20 e molto diversi tra loro. Ho trovato la classe eteroge-
nea fin dalla prima. C’è A. che ha imparato tutte le lettere dell’alfabeto in
stampato maiuscolo a fine prima e che ancora adesso fatica molto a leggere
e a copiare un testo dalla lavagna anche perché si distrae e si assenta facil-
mente, c’è R. che ha migliorato molto la lettura ma fatica a discriminare al-
cuni suoni e quindi a scriverli correttamente, parlerebbe continuamente an-
che se alle volte lo fa perché è appassionato di animali, N. che non vorrebbe
mai scrivere, che si alza frequentemente dal posto e che interrompe la lezione
per sapere quanto manca alla merenda o per comunicarmi che sta male, B.
che non sta quasi mai seduto sulla sedia, che vuol essere sempre primo e uti-
lizza spinte e calci per ottenerlo ma è molto sensibile e poi si rende conto
dello sbaglio, V. (la nostra plus dotata) che all’inizio dell’anno scorso sapeva
già leggere e che per lei molte cose erano e sono facili e spesso gli altri si ri-
volgono a lei per un aiuto o per giocare insieme, A. che spesso assume posizioni
masturbatorie soprattutto nei momenti di ascolto o prima di partire con
un’attività e che quindi si assenta perché penso abbia un vulcano in eruzio-
ne dentro di sé che riesce a placare attraverso il disegno e la drammatizza-
zione, C. che ha trascorso tutta la prima a piangere quasi ogni mattina al di-
stacco dalla mamma e che ancora adesso manifesta timore e ansia per le in-
Martina Brazzolotto

segnanti nuove che sostituiscono le maestre, M. che si distrae continuamen-


te e G., il suo alter ego, che è sempre pronto a mettere in risalto le dimenti-
canze e gli sbagli degli altri.
Prevalentemente uso la lezione frontale anche se talvolta utilizzo il lavoro
di gruppo, 1 volta a settimana il circle time, attività ludiche e, dove è possi-
bile il metodo della ricerca. Mi piace molto ascoltare le loro idee e le loro
esperienze e cerco di renderli più partecipi e responsabili.
L’anno scorso ho provato a coinvolgerla4 come tutor di altri suoi compagni
o come “bibliotecaria” della biblioteca di classe visto che ama molto leggere.
Avevo anche provato a darle qualche prova più complessa ma ho rinunciato
dopo che alcuni altri compagni avevano protestato e forse neanch’io ero con-
vinta o forse non sapevo come giustificare queste differenze. Quest’anno ab-
biamo inserito l’utilizzo di un’ora di compresenza alla settimana dividendo
la classe in due gruppi e proponendo attività a 3 livelli. Inoltre ho cercato di
essere più aperta alle sue proposte, come quando mi ha suggerito di fare
una lezione sugli Egizi o le ho dato un compito diverso da fare per casa… ma
sono cose sporadiche; lei ha trovato nelle attività extra scolastiche molti sti-
moli, come imparare a suonare la chitarra, usare il computer, studiare l’in-
glese, visitare mostre, partecipare a laboratori….
Qualche volta trovo difficoltà nella conduzione delle lezioni perché alcuni
bambini sono molto esuberanti ed altri si distraggono facilmente, quindi faccio
fatica ad attirare la loro attenzione, a coinvolgerli nelle attività e soprattutto
alle volte mi accorgo che tendo ad essere dispersiva e seguendo i loro inter-
venti rischio di perdere di vista l’obiettivo che mi ero prefissata.
Mi sono dimenticata di dirle che cosa piace a V. oltre a leggere e a scrivere,

3 L’insegnante ha risposto a una breve intervista scritta, le domande erano: 1. Potrebbe


descrivere i suoi studenti? 2.Come svolge prevalentemente le sue lezioni? 3. Come
coinvolge l’alunno con plusdotazione in classe? 4. Incontra delle difficoltà nella con-
duzione delle lezioni? (Se sì, quali? E secondo lei perché).
4 Qui l’insegnante si riferisce alla bambina con plusdotazione.

222
anche tutto ciò che riguarda l’osservare in profondità (so che ha un micro-
scopio) la scienza e la storia in particolare, l’arte. Non ritrovo in lei i compor-
tamenti da lei descritti come disturbanti, di “ pigrizia” “ svogliatezza ecc. ma
un’ottima capacità organizzativa, una velocità nel compito, una spiccata abili-
tà nel trovare strategie efficaci di fronte ad attività proposte (es. nel gioco sac-
co pieno/ vuoto chiudendo gli occhi ha evitato di essere influenzata dai
miei trabocchetti e molti altri hanno seguito il suo esempio). Aveva l’anno
scorso spesso degli atteggiamenti di superiorità nei confronti della classe e
derisori verso gli altri che sono molto diminuiti”.

Dalla descrizione si osserva quanto variegato sia il contesto classe, la spiccata


sensibilità dell’insegnante a mettere in evidenza quasi tutte le differenze e la dif-
ficoltà a gestirle.

2.2.3. Il tutoraggio in classe

A partire da questi dati, abbiamo provato a elaborare una programmazione che


è stata proposta all’insegnante una settimana prima dell’intervento, in modo tale
che potesse modificare o integrare quanto da noi pensato. Si voleva così propor-
re all’insegnante delle diverse modalità di insegnamento, non calate dall’alto, ma
ben ancorate al suo contesto classe, promuovendo l’inclusione e gli apprendi-
menti anche (non solo) della bambina con plusdotazione, che in questa sede

La formazione in servizio degli insegnanti


chiameremo Carlotta. Abbiamo distinto gli obiettivi di apprendimento per gli
alunni, da quelli di insegnamento, l’intervento infatti era parte integrante della
formazione e quindi anche l’insegnante aveva degli obiettivi da raggiungere. Gli
obiettivi di apprendimento erano:
– conoscere l’ambiente circostante per rispettarlo e preservarlo;
– utilizzare la lingua italiana in modo creativo;
– conoscere la differenza tra piante erbacee, arbustive e arboree;
– saper gestire il lavoro di gruppo (condivisione di materiali e scelte);
– riconoscere negli altri bambini potenzialità e bisogni diversi dai propri.

Mentre l’obiettivo per la maestra era:

– saper gestire le differenze individuali, offrendo giustificazioni agli alunni sui


bisogni specifici.

L’insegnante infatti ci ha confidato, sia per iscritto (vedi sopra) sia telefonica-
mente, di sentirsi in grande difficoltà a gestire le differenze, ancora di più sapen-
do che in classe c’era una alunna con plusdotazione. Ci ha riferito che viveva dei
fortissimi sensi di colpa: a lei sembrava di sbilanciare ingiustamente la sua atten-
zione verso Carlotta.
Con l’insegnante abbiamo condiviso 5 attività, da svolgere, a rotazione nelle
due ore, a gruppi. Ogni gruppo aveva 15 minuti di tempo e poi passava all’attività
successiva. Le consegne erano:

1. creare un cruciverba sulle api;


2. individuare una pianta, capire il nome con l’App PlantNet; disegnarla sul qua-
derno e scrivere il nome e se appartiene alle erbacee, arbustive, arboree;
3. scrivere una breve filastrocca sulle erbacee, prendendo spunto dalla natura
circostante;
4. individuare un insetto, e capire con l’enciclopedia di quale si tratta. Poi de-
scriverlo brevemente sul quaderno;

223
5. individuare se ci sono piante arbustive nel giardino e descriverne almeno una
sul quaderno.

Al termine dell’attività abbiamo chiesto sia a Carlotta sia a Debora, una bam-
bina con difficoltà di apprendimento, un parere sull’attività svolta: entrambe ci
hanno riferito che hanno imparato e sono state bene.
Pensiamo che nella formazione sia importante includere anche gli aspetti af-
fettivi: come superare i sensi di colpa nel bilanciare i compiti? Abbiamo proposto
alle insegnanti, durante l’ultimo incontro, un cambio di prospettiva ossia indivi-
duare le potenzialità anche nei bambini con difficoltà; pensiamo che molte mo-
dalità di prevenzione, soprattutto per i disturbi specifici di apprendimento, intro-
dotte nella scuola, siano orientate a individuare quasi esclusivamente le difficol-
tà. Affrontare le tematiche della plusdotazione ci offre la possibilità di riflettere
e conoscere meglio gli aspetti del talento per poi saperli riconoscere anche nei
bambini con difficoltà.
L’insegnante ci ha riferito in un incontro successivo che ha preso spunto dal
tutoraggio per altre attività che ha svolto autonomamente; ci ha ribadito che ha
apprezzato molto il supporto ricevuto.

3. Verso un modello di formazione per gli insegnanti in servizio sulla plusdotazione


Martina Brazzolotto

La formazione continua per gli insegnanti, in merito le tematiche della plusdota-


zione, risulta essere uno strumento fondamentale sia per divulgare le caratteri-
stiche dei bambini gifted, sia per diffondere alcune metodologie suggerite dalla
letteratura internazionale, anche se quest’ultime dovrebbero essere adattate al
nostro contesto italiano, maggiormente sensibile all’inclusione di tutti gli alunni
nella stessa classe, indipendentemente dalla “categoria” di appartenenza, rispet-
to al modello anglo-americano. Un percorso di formazione sulla didattica per la
plusdotazione non dovrebbe essere strutturato solo con lezioni frontali o simu-
lazioni ma dovrebbe essere ancorato alle pratiche scolastiche, come suggerito
dal Piano per la formazione dei docenti 2016-2019. Il rapporto diretto con un
esperto può facilitare l’emergere di credenze e di difficoltà, il docente in questo
senso può aumentare la consapevolezza delle proprie pratiche didattiche e
orientarsi al cambiamento. Il formatore è colui che accompagna i docenti in un
percorso di formazione scandito da momenti di: lezioni teoriche, osservazioni,
interpretazione degli atteggiamenti degli alunni, co-progettazione di lezioni ad
hoc per la classe, riflessioni sulle strategie per includere anche il bambino con
plusdotazione. L’esperto non è colui che si sostituisce al docente ma colui che
offre, assieme a dei saperi teorici, delle prassi innovative per il docente.
Infine, sarebbe importante che prevalessero aspetti educativi/didattici nelle
formazioni per gli insegnanti, riducendo i saperi clinici che, come abbiamo di-
mostrato, inducono alcuni insegnanti a deviare il focus didattico verso la mera
categorizzazione (vedi paragrafo 2.1).

Conclusioni

La formazione in servizio degli insegnanti sicuramente è una tematica molto de-


licata e allo stesso complessa, come la relazione educativa, ma crediamo che sia
possibile studiarla e capire meglio come agire grazie l’ingresso del formatore nei
contesti reali, mettendo così al centro la situazione didattica (Brousseau, 2011).

224
Pensiamo che essa, in modo particolare quando riguarda la plusdotazione, do-
vrebbe avere lo scopo di far conoscere le peculiarità con il fine ultimo di trovare
delle strategie per coinvolgere i bambini con plusdotazione nella didattica, senza
focalizzarsi solo sulla loro identificazione. Dalle nostre esperienze emerge che
alcuni insegnanti si sono sbilanciati sul piano clinico, riconoscendo nel bambino
dei tratti di autismo anche se quest’ultimi erano stati esclusi da psicologi esperti,
senza dimostrare di riconoscere in lui delle potenzialità. Questo indica quanto
sia importante iniziare a parlare di potenzialità e talenti nella scuola e non solo
di difficoltà.
Nella formazione è altresì indispensabile non trascurare le percezioni degli in-
segnanti: offrire delle attività specifiche per bambini con plusdotazione significa
escludere o togliere attenzione ai bambini con deficit o difficoltà di apprendi-
mento? A quanto pare c’è bisogno di ampliare le nostre conoscenze sulla gestio-
ne della classe, tenendo in considerazione anche i bambini con plusdotazione.

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La formazione in servizio degli insegnanti


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226
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 71/S2
Titolo: RIPASSIAMO
Attività n°: 01

PROVA DI APPRENDIMENTO
E-portfolio

In questa e nella prossima sessione, la invito a discutere l’articolo inserito nella


sessione precedente. Inoltri le sue risposte su e-portfolio

Quali sono i contenuti che l’hanno sorpresa di più? Per quale ragione?
Quali sono i contenuti prevalenti nella formazione alla plusdotazione?
Quali competenze dovrebbe avere un insegnante di bambini gifted?
Descriva i principali contenuti delle due esperienze di formazione
Quale delle due esperienze ha suscitato il suo interesse? Perché?
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 71/S3
Titolo: RIPASSIAMO
Attività n°: 01

PROVA DI APPRENDIMENTO
E-portfolio

In questa e nella prossima sessione, la invito a discutere l’articolo inserito nella


sessione precedente. Inoltri le sue risposte su e-portfolio

Quali sono i contenuti che l’hanno sorpresa di più? Per quale ragione?
Quali sono i contenuti prevalenti nella formazione alla plusdotazione?
Quali competenze dovrebbe avere un insegnante di bambini gifted?
Descriva i principali contenuti delle due esperienze di formazione
Quale delle due esperienze ha suscitato il suo interesse? Perché?
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 72
Titolo: CONCLUSIONE
Attività n°: 01

L’esame di profitto

Come saprà, l’esame si svolgerà seguendo le indicazioni del Regolamento per gli
esami di profitto dell’Ateneo.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 72
Titolo: CONCLUSIONE
Attività n°: 01

L'apprendimento delle specifiche conoscenze e capacità caratterizzanti l’insegnamento è


accertato in itinere attraverso la somministrazione di quiz e altre forme di esercitazione
scritta e prove di apprendimento.
Tali modalità di accertamento non costituiscono prove d’esame perché hanno
principalmente l’obiettivo di stimolare sia un lavoro di auto-valutazione sia di
rielaborazione critica e personale dei contenuti del corso. I risultati che ne derivano
non hanno quindi alcun peso nella valutazione finale, che consiste unicamente in un
esame scritto e/o orale da svolgere secondo il Regolamento per lo svolgimento degli
esami di profitto e teso a valutare sia le conoscenze che le competenze acquisite.

Si precisa che le risposte alle domande aperte sono valutate in ragione della correttezza,
della completezza, della precisione e pertinenza della risposta fornita, dove 0 indica una
risposta errata o mancante e il punteggio massimo una risposta corretta, completa,
precisa e ben scritta.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 72/S1
Titolo: CONCLUSIONE
Attività n°: 01

La tesi

Se gli argomenti che ha avuto modo di studiare hanno suscitato la sua curiosità ed
interesse e desidera farne oggetto di specifico approfondimento per l’elaborato della
Laurea triennale in Scienze e Tecniche Psicologiche, potrà rivolgersi allo Sportello tesi,
indicando come possibile scelta il mio nominativo
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 72/S1
Titolo: CONCLUSIONE
Attività n°: 01

In base a quanto indicato sulle Linee Guida per gli Elaborati di tesi della Facoltà di
Psicologia, la stesura della tesi triennale prevede che il tesista approfondisca una tematica
specifica che è stata trattata nella letteratura scientifica internazionale più recente.

Il tesista col supporto del docente relatore svolgerà un lavoro preliminare di ricerca
bibliografica teso a definire il titolo dell’elaborato

Una volta definito il titolo. Il tesista proseguirà il suo lavoro di ricerca del materiale
scientifico sulle banche dati indicate dal relatore/TD attraverso l’utilizzo di parole chiave. Il
tesista dovrà reperire almeno 10/15 fonti bibliografiche e, tra queste, selezionare 4 articoli
scientifici che, a suo avviso, che dovrà leggere, sintetizzare e schedare.

Spesso per svolgere una ricerca bibliografica accurata è necessario conoscere


l’inglese (la gran parte degli articoli scientifici è infatti scritta in inglese che, solitamente
risulta abbastanza semplice e comprensibile per chi ha un livello medio di conoscenza
della lingua).
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 72/S1
Titolo: CONCLUSIONE
Attività n°: 01

Per ogni articolo scelto il tesista potrà, a seconda degli accordi presi con il relatore,
compilare l’Allegato A (modulo per la schedatura degli articoli) che verrà inviato dal
relatore; nel caso venga proposto dal relatore tale passaggio, lo studente è tenuto
obbligatoriamente ad allegare le schedature degli articoli alla versione definitiva
dell’elaborato di tesi.

La consegna dell’elaborato finale avviene in modo graduale e secondo le indicazioni


fornite dal relatore.
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 72/S2
Titolo: CONCLUSIONE
Attività n°: 01

I tirocini curriculari e post-lauream

Il vostro percorso di studio prevede la realizzazione di un tirocinio curriculare e post-


lauream per accedere alla sezione B dell’Albo degli psicologi
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 72/S2
Titolo: CONCLUSIONE
Attività n°: 01

Io sono disponibile a seguire, presso l’Ateno i tirocinanti coinvolgendoli in attività di


studio e di supporto alle ricerche che sto svolgendo.

A tal fine, è importante che il tirocinante abbia le competenze necessarie per leggere e
tradurre articoli scientifici in lingua inglese e possa collaborare insieme a me,
coinvolgendo le strutture scolastiche
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 72/S2
Titolo: CONCLUSIONE
Attività n°: 01

Le mie attività di ricerca prevedono l’analisi dei fattori familiari, relazionali ed


individuali che possono favorire o ostacolare il benessere psicologico dei minori.

Le tematiche oggetto di particolare approfondimento sono:


La conflittualità/insoddisfazione di coppia
La co-genitorialità
Le pratiche educative, lo stress genitoriale e il senso di competenza genitoriale
percepita

Il disturbo depressivo e post-traumatico da stress del post-partum (in questo caso


il tirocinante dovrà rivolgersi a Consultori pubblici o privati).
Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 72/S3
Titolo: CONCLUSIONE
Attività n°: 01

Il tirocinio curriculare e post-lauream

La prof. Camisasca è disponibile a seguire tirocinanti curriculari e post-lauream.


Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 270/04)
Insegnamento: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Lezione n°: 72/S3
Titolo: CONCLUSIONE
Attività n°: 01

Il tirocinio curriculare può anche prevedere attività di studio e approfondimento su


tematiche di interesse del Corso di Laurea in Scienze e Tecniche psicologiche.

I tirocinanti affiancheranno le tutor disciplinari in una serie di attività didattiche e di studio


indirizzate agli studenti (ad esempio, Virtual Lab; workshop, webinar…) e attività di
analisi della letteratura scientifica

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