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rivista semestrale

direzione: claudio ciociola, mario mancini,


francesco sabatini, cesare segre, alberto varvaro
comitato di direzione: stefano asperti, carlo beretta, eugenio
burgio, lino leonardi, salvatore luongo, laura minervini

volume xxxV
(v della iV serie)

fascicolo i

salerno editrice • roma


mmXi
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I L TE STO COM E I P OTE S I


(C RITICA DEL MANOSC RITTO-BAS E)*

la réelle valeur d’une édition critique réside


non pas dans les modifications apportées à
la leçon des mss., mais dans les raisons qu’on
a de faire ces modifications (P. Meyer, 1874).

Che il testo critico debba intendersi come un’ipotesi, metodologica-


mente fondata, è il mio punto di partenza, e vuol essere anche il punto di
arrivo del mio discorso. Può apparire un assunto scontato, ma la prassi filo-
logica dimostra come esso sia inteso e applicato in vario modo e con diver-
si esiti, tanto da far pensare che un chiarimento di questo punto sia il modo
piú efficace per definire il metodo ecdotico. Riprendo dunque la ben nota
– ma forse piú citata che praticata – dichiarazione del giovane Contini, nel
ricordo di Joseph Bédier: « l’edizione critica è, come ogni atto scientifico,
una mera ipotesi di lavoro, la piú soddisfacente (ossia economica) che col-
leghi in sistema i dati ».1
Entrambi gli argomenti connessi da Contini al concetto di ipotesi mi
paiono rilevanti e tuttora significativi. Definire l’edizione come atto scien-
tifico, contro l’assioma che si tramanda da Lachmann a Bédier, cioè che la
filologia sia piú arte che scienza (qualsiasi cosa essi intendessero con questi
termini),2 equivale a porre la necessità di una consapevolezza metodologi-

* Ringrazio Nicola Morato per le lunghe discussioni, da vicino e da lontano, sugli argo-
menti qui esposti.
1. G. Contini, Ricordo di Joseph Bédier [1939], in Id., Esercizî di lettura sopra autori contemporanei,
con un’appendice su testi non contemporanei. Nuova edizione aumentata di ‘Un anno di letteratura’, Tori-
no, Einaudi, 1974, pp. 358-71 (a p. 369). Il concetto ritorna poi lungo tutta la successiva riflessio-
ne ecdotica di Contini: cfr. p.es. Id., La critica testuale come studio di strutture [1971], in Id., Fram-
menti di filologia romanza. Scritti di ecdotica e linguistica (1932-1989), a cura di G. Breschi, 2 voll.,
Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2007, vol. i pp. 63-74 (a p. 67); Id., Filologia [1977], ivi, vol. i pp.
3-62 (alle pp. 20 e 41).
2. Il celebre titolo di J. Bédier, La tradition manuscrite du ‘ Lai de l’Ombre’. Réflexions sur l’art
d’éditer les anciens textes, in « Romania », 54 1928, pp. 161-96, 321-57 (poi in volume, Paris, Cham-
pion, 1929), replicato del resto da Contini, La ‘Vita’ francese ‘di Sant’Alessio’ e l’arte di pubblicare i
testi antichi [1970], in Id., Frammenti, cit., vol. ii pp. 957-86, ha un precedente paradossale nella
prassi di Karl Lachmann, sintetizzata efficacemente in una sua lettera del 1831 a Fr. Lücke:
« Überhaupt ist die Kritik keine Wissenschaft, sondern eine Kunst: die Principien sind für sie
Todt » (traggo la citazione da G. Fiesoli, La genesi del lachmannismo, Firenze, Sismel-Edizioni
del Galluzzo, 2000, p. 361).

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ca degli effetti e dei mezzi dell’operazione ecdotica, che non possiamo dare
automaticamente per acquisita. Indicare poi la razionalizzazione in sistema
dei dati della tradizione come presupposto per l’edizione, è chiaramente
un riferimento alle procedure stemmatiche, ma piú in generale pone l’esi-
genza di un’ecdotica che non rinunci a dar conto della diacronia del testo
nella sua trasmissione manoscritta, che assuma cioè la storia della tradizio-
ne come atto interno alla critica del testo.3
A questi due punti di metodo ne aggiungerei un terzo, preliminare ad
essi e probabilmente per Contini sottinteso: il concetto di edizione critica
implica la responsabilità di proporre un testo che, nel soddisfare ai requisiti
della scienza e nel rendere conto della tradizione, non sia solo fruibile per
gli specialisti, ma restituisca l’opera del passato alla lettura di un pubbli­co
contemporaneo: non riproduca un documento, ma interpreti l’insieme del­
la tradizione in modo da riuscire a trasferirne la realtà testuale ad una pos-
sibilità di lettura attuale. Che ciò comporti un anacronismo, è inevitabile
per qualsiasi edizione come per qualsiasi lettura: ma non sempre i filologi
si dimostrano consapevoli di questa ovvietà della storiografia novecentesca,
almeno da Marc Bloch e Fernand Braudel in poi, cioè che l’anacronismo è
la condizione stessa della scientificità delle scienze umane.
Queste tre coordinate (scientificità, diacronia, leggibilità) spero chiari-
scano che parlare di testo critico come ipotesi non vuol dire affatto giustifi-
care lo scetticismo di molta filologia contemporanea, tutt’altro. Che il testo
sia il frutto di un’ipotesi non implica che qualsiasi ipotesi sia valida, anzi
esige dietro al testo un’impostazione interpretativa che lo giustifichi.
Nel 1939, la formula di Contini intendeva confutare la pretesa storicità
della posizione di Bédier (il manoscritto come realtà data) riconducendo­la
sullo stesso piano ipotetico della razionalizzazione stemmatica: « conserva­re
criticamente è, tanto quanto innovare, un’ipotesi […]; resta da vedere se sia
sempre l’ipotesi piú economica ».4 La legittimazione del processo ricostrut-
tivo, su base probabilistica, è affiancata al dubbio circa la presunta obiet­tività
della pratica conservativa, mostrando che tra le due opzioni – quelle che

3. Significativo il fraintendimento di F. Lecoy, che nell’importante intervento al congresso


dei romanisti del 1974 (vd. oltre, n. 11) attribuisce alla formula continiana un valore tutto re­
lativistico, quasi il rifiuto della responsabilità cui l’editore è tenuto, in nome di « toutes les li-
bertés que l’on peut s’accorder sous le couvert de cette déclaration préliminaire » (p. 506). Al
concetto di ipotesi come fondante l’ecdotica di Contini è dedicato ora l’originale studio di A.
Poli, Fede sperimentale. La filologia di Gianfranco Contini, Firenze, Area Bianca, 2010, partic. pp.
35-98.
4. Contini, Ricordo di Joseph Bédier, cit., p. 369.

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il testo come ipotesi

saranno le due « verità » di Avalle –5 non v’è alcuna disparità dal punto di
vista ontologico. E questa duplice giustificazione in fondo ha ancora pieno
valore, dal punto di vista del metodo, come fondamento teorico delle due
opzioni contrapposte dell’ecdotica romanza, quelle che oggi definiremmo
come filologia orientata al testo e filologia orientata al testimone.6 Nel pri-
mo caso, con la ricostruzione del processo diacronico, risalendo verso uno
stadio della trasmissione per quanto possibile vicino al testo originario; nel
secondo caso, con la restituzione sincronica di uno o piú esiti del processo
di trasmissione materialmente attestati nella tradizione superstite:

a    b    c    . . .    n


testo testimone

Al di fuori di questa dialettica si pongono di fatto gli esiti della cosiddetta


New Philology, nella misura in cui sostengono la necessità di un’edizione
« true to its model », che non sovrapponga alcuna convenzione moderna al­-
la testualità del reperto medievale. Ne derivano edizioni “imitative” o diplo­
matiche, che di fatto abdicano a ogni esigenza interpretativa del testo edi-
to.7
Nondimeno, l’alternativa fra ricostruzione e conservazione, tradiziona-
le dell’ecdotica romanza, sembra aver cessato di essere produttiva. Vent’an-
ni fa Cesare Segre poteva constatare quella che definiva una « tregua » tra le
due opposte tendenze, chiamate a contribuire ciascuna alla migliore defi-
nizione dell’altra: 8 per ricostruire i rapporti genealogici tra i manoscritti, e

5. Rinvio in particolare al saggio d’A.S. Avalle, La funzione del « punto di vista » nelle strutture
oppositive binarie, in Convegno internazionale sul tema: « La filologia testuale e le scienze umane » (Roma,
19-22 aprile 1993), Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1994, pp. 73-79, e piú in generale
alla raccolta Id., La doppia verità. Fenomenologia ecdotica e lingua letteraria del Medioevo romanzo,
Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2002 (dove è incluso quel saggio, pp. 213-20). Sulla filologia di
Avalle mi permetto di rinviare a L. Leonardi, Avalle e la critica testuale, in Per d’Arco Silvio Aval-
le. Ricordi lettere immagini, a cura di L. Leonardi, ivi, id., 2005, pp. 61-84.
6. Le formule sono di P. Beltrami, A che serve un’edizione critica? Leggere i testi della letteratura
romanza medievale, Bologna, Il Mulino, 2010, pp. 112 e 124.
7. Mi riferisco ad es. a E. Moore Willingham (ed.), ‘La Mort le Roi Artu’ (The Death of Ar-
thur) from the Old French ‘Lancelot’ of Yale 229, with Essays, Glossaries and Notes to the Text,
Turnhout, Brepols, 2007 (la citaz. a p. 19), su cui rinvio alla mia recensione in MR, xxxiii 2009,
pp. 437-40; o all’ed. di A. Overbeck, Literarische Scripta in Ostfrankreich. Edition und sprachliche
Analyse einer französischen Handschrift der Reiseberichts von Marco Polo (Stockholm, Kungliga Biblio-
teket, Cod. Holm. M 304), Trier, Kliomedia, 2003, con la recensione di S. Dörr in « Vox Roma-
nica », 66 2007, pp. 327-30.
8. C. Segre, Metodologia dell’edizione dei testi, in Id., Due lezioni di ecdotica, Pisa, Scuola Norma-
le Superiore, 1991, pp. 7-32, a p. 8.

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poter valutare errori e varianti, è necessaria una conoscenza profonda del


diasistema di ciascun testimone; e, al contempo, per apprezzare l’indivi-
dualità specifica di ogni diasistema, è necessario il confronto metodologica-
mente avvertito del singolo codice con l’intera tradizione manoscritta. Ho
l’impressione che tale reciproco avvicinamento sia piú progredito sul pri-
mo versante, a partire proprio dalla recensio del Roland di Segre fino alle ti-
pologie della « ricodificazione » proposte da Perugi,9 mentre il fronte del
bon manuscrit, spesso alleato della cosiddetta filologia materiale, risulta me-
no permeabile alle ragioni della stratigrafia diacronica: rischiando di sem-
plificare eccessivamente, dovremmo forse constatare la maggiore pervasi-
vità dello storicismo di Bédier rispetto al razionalismo di Contini, in una
stagione che si è definita culturalmente post-moderna.
Sul piano pratico, però, l’opposizione è neutralizzata dal fatto che le
edizioni concepite e realizzate secondo logiche puramente stemmatiche,
o vi­ceversa conservative, sono sempre piú rare. Già nella memorabile tavo-
la rotonda del congresso dei romanisti di Napoli, nel 1974,10 i sostenitori del
neo­­lachmannismo (Segre) e del neobédierismo (Lecoy) arrivavano en­tram­
bi a conclusioni non troppo lontane, riassumibili nell’opportunità che per
il testo critico non ci si allontanasse troppo dalla lezione di uno dei mano-
scritti (se non nei luoghi sicuri, secondo Segre), mentre la sede per il con-
fronto tra le lezioni e per le ipotesi ricostruttive sarebbe stata l’appa­rato.11
Tuttavia, le edizioni che si prefiggano il rispetto assoluto della verità di
un singolo manoscritto, dopo aver esaurito l’analisi della varia lectio, e che
siano rigorosamente conseguenti a tale assunto, sono decisamente mino­ri­
tarie. L’eredità autenticamente bédieriana si è di fatto esaurita, dopo il cul-
mine delle edizioni di Mario Roques per Chrétien e di Félix Lecoy per il
Roman de la Rose tra gli anni ’50 e ’70, vòlte a superare le grandi edizioni
di Wendelin Förster e Ernest Langlois.12 A parte casi eccezionali, come ad

9. Cfr. almeno C. Segre, La tradizione della ‘Chanson de Roland’, Milano-Napoli, Ricciardi,


1974; B. Spaggiari-M. Perugi, Fundamentos da Crítica textual, Rio de Janeiro, Lucerna, 2004.
10. Premesse ideologiche della critica testuale, in Atti del xiv Congresso internazionale di linguistica e
filologia romanza (Napoli, 15-20 aprile 1974), a cura di A. Varvaro, Napoli-Amsterdam, Macchia-
roli-Benjamins, 1978, vol. i pp. 481-508 (interventi di A. Roncaglia, D. McMillan, C. Segre, F.
Lecoy).
11. Cfr. ivi, pp. 496-97 e 507-8.
12. Per Chrétien, l’ed. Roques, 5 voll., Paris, Champion, 1952-1975, di cui un volume curato
da A. Micha, un altro da F. Lecoy, dopo l’ed. Foerster, 5 voll., Halle, Niemeyer, 1884-1899, piú
il Graal edito da A. Hilka nel 1932; per la Rose, l’ed. Lecoy, 3 voll., Paris, Champion, 1965-1970,
dopo l’ed. Langlois, 5 voll., Paris, Société des Anciens Textes Français, 1914-1924. Tra le posi-
zioni critiche di provenienza non italiana va ricordato l’intervento di M. Delbouille, La phi­

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il testo come ipotesi

esempio le Concordanze di Avalle per i canzonieri italiani piú antichi,13 un


simile approccio è riservato quasi esclusivamente a settori particolarmen­
te mobili delle varie tradizioni medievali, per quella italiana ad esempio ai
cantari o ai laudari (penso alle edizioni promosse da De Robertis e da Va­
ranini),14 per quella francese alle chansons de geste (citerò come esempio l’e­
dizione Luongo delle due redazioni monotestimoniali del Charroi de Nî­
mes).15 Anche in questi ambiti vi sono eccezioni, la piú vistosa sicuramente
quella che riguarda i manoscritti della Chanson de Roland, per i quali l’edi-
zione diretta da Duggan ha come obiettivo non la versione di ogni testimo-
ne, ma la ricostruzione di ciò che lo precede (« the exemplar behind it », per
Oxford, « the common model/ancestor », per i franco-italiani C e V7).16
Ma, paradossalmente, si può dire che ormai la grande maggioranza del-
le edizioni di testi romanzi consiste nella trascrizione di uno dei manoscrit-
ti latori dell’opera, variamente sottoposto a correzioni. L’adozione di un
singolo testimone come guida per il testo critico è comune sia all’edizione
di tipo stemmatico, dove uno stemma spesso insicuro di sé porta al massi-
mo a individuare un manoscritto di riferimento; sia a quella fortunata de-
riva del verbo bédieriano che è l’edizione di un manoscritto sottoposto a
correzioni in nome di un criterio pragmatico di “evidenza” dell’er­rore.
In entrambi i casi, si parla di “manoscritto-base” (d’ora in poi: ms.-base).
Se ripetessimo la statistica di Bédier sulle edizioni dei testi medievali – e
direi non solo francesi –, scopriremmo facilmente che questa è la formu­

lologie médiévale et la critique textuelle, in Actes du xiiie Congrès international de linguistique et philologie
romanes (Laval, 29 août-5 septembre 1971), Laval, Presses de l’Université de Laval, 1976, pp. 57-73.
13. Cfr. Concordanze della lingua poetica italiana delle origini (CLPIO), a cura di d’A.S. Avalle
e con il concorso dell’Accademia della Crusca, vol. i, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992, e almeno
d’A.S. Avalle, I canzonieri: definizione di genere e problemi di edizione [1985], in Id., La doppia verità,
cit., pp. 155-73.
14. Se ne vedano le premesse metodologiche rispettivamente in D. De Robertis, Problemi
di metodo nell’edizione dei cantari, in Studi e problemi di critica testuale. Atti del Convegno di Bolo-
gna, 7-9 aprile 1960, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1961, pp. 119-38; G. Varanini,
Laude e laudari: problemi editoriali, in La critica del testo. Problemi di metodo ed esperienze di lavoro.
Atti del Convegno di Lecce, 22-26 ottobre 1984, Roma, Salerno Editrice, 1985, pp. 343-61.
15. Le redazioni C e D del ‘Charroi de Nîmes’, ed. critica a cura di S. Luongo, Napoli, Liguori,
1992.
16. Cfr. La Chanson de Roland. The Song of Roland. The French Corpus, General Editor J.J.
Duggan, editors K. Akiyama, I. Short, R.F. Cook, J.J. Duggan, A.C. Rejhon, W. van Emden,
W.W. Kibler, 3 voll., Turnhout, Brepols, 2005; le citazioni risp. vol. i pp. 62-63, vol. iii pp. 33,
35, 42, ecc. Si veda in proposito C. Segre-C. Beretta-G. Palumbo, Les manuscrits de la ‘Chanson
de Roland’. Une nouvelle édition complète des textes français et franco-vénitiens, in MR, xxxii 2008, pp.
135-207.

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la che si è sempre piú affermata nell’ecdotica romanza.17 Nel propormi di


discuterla, mi preme in primo luogo evitare un equivoco. L’adozione di un
ms.-base, inteso come fondamento della facies linguistica del testo critico,18
è ritenuta necessaria in filologia romanza fin dai tempi di Paul Meyer e
della sua critica alla ricostruzione fonetica dell’Alexis primitivo da parte di
Gaston Paris.19 Anche la filologia piú ricostruttiva, quella trobadorica, ha
ammesso l’esigenza di un riferimento unico, storicamente dato in quanto
materialmente attestato in uno dei testimoni, per stabilire i fatti di forma.
Solo in filologia italiana vari fattori, primo fra tutti il bisogno di offrire per
Dante un testo linguisticamente nostro contemporaneo, hanno indotto Bar­-
bi a tentare una normalizzazione dei fatti formali (a cominciare da quelli
grafici): ma è una prassi che non è piú cosí unanime.20 Questa accezione “for­
male” del ms.-base non è in discussione; forse solo sarebbe opportuno de-
finirla con una formula non equivoca: base linguistica, o manoscritto-forma, o
magari copy-text con Walter Greg,21 o manuscrit de surface parafrasando Jac-
ques Monfrin,22 poco importa.

17. Non avrei dubbi sull’esito di un simile controllo per esempio sulle quattro piú diffuse e
prolifiche collane di edizioni antico francesi, dai tradizionali « Classiques français du Moyen
Âge » ai « Textes littéraires français », fino alle piú recenti « Lettres gothiques » e « Champion
Classiques. Moyen Âge ». Se quella cui si trovò di fronte Bédier era una selva di alberi tutti
bifidi, qui saremmo al centro di una pianura con una base senza fine.
18. Per le diverse accezioni della formula, posso rinviare a d’A.S. Avalle, Principî di critica
testuale, Padova, Antenore, 1978, pp. 121-22.
19. Cfr. P. Meyer, Rapport sur l’état actuel de la philologie des langues romanes [il titolo figura
solo negli estratti], all’interno di The President’s Annual Address for 1874, in « Transactions of the
Philological Society », 1873-1874, pp. 407-39, poi col titolo Rapport de M. Paul Meyer sur le progrès
de la philologie romane, in « Bibliothèque de l’École des Chartes », 35 1874, pp. 631-54. Mi permet-
to di rinviare per questo dibattito, e per quello tra Gaston Paris e Wendelin Foerster del de-
cennio successivo, a L. Leonardi, L’art d’éditer les anciens textes (1872-1928). Les stratégies d’un débat
aux origines de la philologie romane, in « Romania », 127 2009, pp. 273-302.
20. Il fondamento del sistema di Barbi fu posto per il testo critico della Vita nuova (fin dalla
prima edizione del 1907), e sempre su quel testo si è svolta una recente discussione, conden-
sata in P. Trovato, Per il testo della ‘Vita nuova’ e altra filologia dantesca, Roma, Salerno Editrice,
2000, e G. Gorni, Dante prima della ‘Commedia’, Firenze, Cadmo, 2001; l’adozione della forma
di un singolo ms. è proposta ora da S. Carrai, Quale lingua per la ‘Vita nova’?, in « Filologia ita-
liana », iv 2007, pp. 39-49.
21. W.W. Greg, The Rationale of Copy-Text, in « Studies in Bibliography », iii 1950-1951, pp.
19-36; vi si riprendono ad uso della filologia inglese concetti che erano abituali da piú di mez-
zo secolo in filologia romanza, come la distinzione tra fatti di sostanza (« substantive rea-
dings ») e di forma (« accidentals »), rimanendo sempre nell’ambito di una terminologia para-
aristotelica.
22. J. Monfrin, Problèmes d’édition de textes, in Actes du xviiie Congrès international de linguistique
et philologie romanes (Aix-en-Provence, 29 août-3 septembre 1983), to. ix. Critique et édition des textes,

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il testo come ipotesi

Non mi nascondo che l’aspetto linguistico per i testi e le tradizioni ro-


manze possa rivestire capitale importanza, e che non sempre sia praticabile
una distinzione tra forma (o accidentals, nella terminologia anglosassone) e
sostanza del testo. È un punto su cui tornerò alla fine. Veniamo invece al­
l’accezione corrente – soprattutto fuori d’Italia – della formula del ms.-ba-
se, che si può far risalire forse non casualmente allo stesso anno 1939 in cui
Contini commemorava Bédier. Cito la sintesi finale della proposta di Ale-
xandre Micha per l’edizione di Chrétien: « En résumé, c’est le texte du ms.
base que le lecteur aura sous les yeux, mais corrigé de ses impuretés, de ses
écarts évidents, grâce au contrôle des copies dignes de foi ».23 La proposta
derivava dai risultati insoddisfacenti di una recensio complessa, che non sem-
brava offrire garanzie stemmatiche, ma che faceva pensare di poter indivi-
duare non solo gli errori, ma anche le innovazioni singulares del ms.-base
(« on le laissera en note, quand sa leçon, seule en face des autres, est mani-
festement une réfection individuelle »).24 Ma nella prassi editoriale, soprat-
tutto in Francia, l’egemonia del ms.-base è andata crescendo in forza di una
accezione sempre piú empirica: il manoscritto a cui si predica fedeltà non
è altro che la “base”, appunto, sulla quale si innestano correzioni e modifi-
che, spesso senza criterio che non sia la supposta evidenza della loro neces-
sità, e senza farsi carico del tentativo di dar conto dello svolgersi della tradi-
zione.
Riporto, a titolo di esempio, due formulazioni di questa prassi assolu­
tamente abituale, estratte da edizioni sulle quali torneremo piú avanti (ma
non sarà difficile convenire che espressioni analoghe sono, ripeto, la norma
nelle edizioni di testi non solo antico-francesi):
pour l’établissement du texte, nous ne nous sommes pas contenté de publier tel
quel le ms. A. Il a paru indispensable de le soumettre à des examens et à des con-
trôles. […] En cas d’écart de A, nous n’avons pas corrigé systématiquement. Cha-
que fois la décision de conserver ou d’amender la leçon de A a été prise au vu de la
nature de l’erreur.25
autant que possible nous respectons la version de Ba. Mais là où il est évident que le

Aix-en-Provence, Université de Provence, 1986, pp. 351-64, alle pp. 354-55 (p. 355: « choix d’un
manuscrit de base pour les faits de surface »).
23. A. Micha, La tradition manuscrite des romans de Chrétien de Troyes, Genève, Droz, 1939, p.
392.
24. Ibid.
25. Le roman de Tristan en prose, to. i. Des aventures de Lancelot à la fin de la ‘Folie Tristan’, édité
par Ph. Ménard, Genève, Droz, 1987, p. 15.

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copiste a omis […] certains membres de phrase ou même des phrases entières, nous
les avons restituées au texte.26

Si tratta di un modo di procedere che intende essere eminentemente


pragmatico, come ha sottolineato lucidamente Frédéric Duval in un pa­
norama assai efficace della filologia francese applicata ai testi medievali, al
quale senz’altro posso rinviare come quadro di riferimento;27 un pragmati-
smo che – aggiungerei – ha ricondotto la prospettiva ecdotica romanza a
una fase pre-Gaston Paris. Basta leggere l’introduzione all’Alexis: « Les édi-
teurs les plus consciencieux se sont contentés d’ordinaire de choisir parmi
les divers manuscrits celui qui leur paraissait le meilleur et de le reproduire
aussi fidèlement que possible, en se servant des autres seulement dans les
cas où ce manuscrit présentait des lacunes ou des fautes évidentes »; 28 o una
delle tante recensioni di quegli anni sulla « Romania », per es. all’edizione
Scheler di Adenet le Roi: « l’éditeur s’est borné à ‘prendre pour base’ le
manuscrit qui lui a semblé le meilleur et à indiquer les variantes importan-
tes de ceux qu’il a consultés en outre ».29
Questo ritorno ad una prassi pre-scientifica comporta un duplice ordi­
ne di problemi, occultati dall’apparente efficacia editoriale, ma inaccettabili
per chi intenda l’edizione nei termini che richiamavo all’inizio.
1. Sul piano ontologico, il testo prodotto non è definito, neanche tenden-
zialmente, sull’asse diacronico che dall’originale arriva al testimone. L’at-
trattiva materiale del ms.-base porta verso un’edizione conservativa, ma la
possibilità di correggerlo piú o meno liberamente produce un testo che si
colloca in posizione ambigua e eterogenea, in un imprecisato retroterra del
ms.-base, al di fuori delle due opzioni ipotetiche, le due « verità », sopra de­
lineate.
2. Ma anche sul piano fenomenologico, il fatto che sia la scelta del ms.-
base e dei mss. di controllo, sia la dinamica base-correzioni non siano illu-
minate dalla recensio, conduce a soluzioni spesso contraddittorie, e fuorvian-

26. La Quête du Saint-Graal. Roman en prose du XIIIe siècle, Texte établi et présenté par F.
Bogdanow, traduction par A. Berrie, Paris, Le Livre de Poche, 2006, p. 58.
27. F. Duval, La philologie française, pragmatique avant tout? L’édition des textes médiévaux français
en France, in Pratiques philologiques en Europe, Études réunies par F. Duval, Paris, École des Char-
tes, 2006, pp. 115-50.
28. La Vie de saint Alexis, poème du XIe siècle et renouvellements des XIIe, XIIIe et XIV e siècles, publ.
par G. Paris et L. Pannier, Paris, Franck, 1872, pp. 7-8.
29. G. Paris, rec. a Adenés li Rois, Les Enfances Ogier, Li romans de Berte aus grans piés, Bueves
de Commarchis, publ. par A. Scheler, Bruxelles, Closson, 1874, in « Romania », 5 1876, pp. 115-19,
a p. 116.

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il testo come ipotesi

ti anche nella comprensione del ms.-base stesso, che non trova il proprio
posto nella tradizione.
Una delle piú efficaci teorizzazioni di questa procedura è quella propo-
sta da Philippe Ménard per l’edizione del Roman de Tristan,30 ed è proprio
da alcune recenti edizioni di romanzi francesi in prosa che mi pare utile
trarre una serie di esempi: convivono infatti per questi testi estensione te-
stuale, ampiezza della tradizione, trasmissione rielaborativa, difficoltà a in­
dividuare errori in un contesto deregolato come la prosa: tutti gli elemen­
ti che facilitano l’adozione di un atteggiameno ecdotico “pragmatico”, tal-
volta rinunciatario. Naturalmente nelle poche pagine che seguono non sa­rà
possibile sviscerare a fondo il problema di ciascun testo e di ciascuna tradi-
zione: l’attenzione sarà concentrata sul metodo applicato nella costituzione
del testo, e sulle conseguenze che su di essa derivano dall’applicazione del­
l’istituto del ms.-base.

Nella prima edizione del Tristan en prose, nel 1987, l’esplicita rinuncia
all’edizione critica è giustificata appunto dall’ampiezza dell’opera e della
sua tradizione.31 La soluzione individuata – in sintesi: manoscritto-base,
confronto con i manoscritti della stessa famiglia (pur individuata dichiara-
tamente in assenza di errori comuni)32 e correzione degli errori gravi ma
non delle innovazioni minime, confronto sporadico con alcuni manoscrit-
ti esterni al gruppo, e in casi eccezionali con alcuni manoscritti delle altre
versioni del romanzo – tale soluzione ha permesso finalmente di avere un
testo della versione vulgata, la cosiddetta v.ii, poi seguito dall’edizione an-
che della versione v.i, condotta piú semplicemente sull’unico esemplare

30. Oltre alle introduzioni ai volumi delle due edizioni (vd. subito oltre), si segnala anche la
sintesi retrospettiva di Ph. Ménard, Trente ans d’études arthuriennes, in « Perspectives médiéva-
les », xxx 2005, pp. 337-65.
31. Le roman de Tristan en prose, éd. Ménard cit., p. 13: « L’édition que nous avons entreprise
[…] ne saurait être une édition critique »; e pp. 14-15: « une édition “critique”, et encore plus
une édition “définitive”, du Tristan en prose, nous paraissent irréalisables. Pour l’édition de va-
stes textes en prose les principes de publication ne sauraient être les mêmes que pour les
textes en vers d’ampleur réduite. On est contraint de réduire ses ambitions et de limiter ses
prétentions. L’important est de fournir un texte de bonne qualité qui servira de base aux re-
cherches futures ».
32. Le roman de Tristan en prose, éd. Ménard cit., pp. 24-25. Nei volumi successivi si offrono
ulteriori argomenti, per lo piú ancora non erronei, mentre per i due ultimi volumi A dimostra
di essere legato in errore con un’altra famiglia (ma non si parla di contaminazione o cambio di
modello): cfr. to. viii, édité par B. Guidot et J. Subrenat, Genève, Droz, 1995, pp. 20-25; to.
ix, édité par L. Harf-Lancner, ivi, id., 1997, pp. 14-25.

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completo, BnF fr. 756-757 (di cui però l’edizione riproduce solo il secondo
tomo, a partire cioè dal punto in cui le due versioni iniziano a divergere piú
sensibilmente).33 Ora che, dopo vent’anni, questa enorme impresa è stata
compiuta, è possibile estendere i confronti, e valutare appieno quanto l’esa-
me della tradizione avrebbe potuto e può ancora contribuire a definire la
natura dei due testi e i loro rapporti reciproci, che è quanto dire illuminare
la specifica “verità” di ciascuna versione, e al limite di ciascun manoscritto.
Paradossalmente, però, il pragmatismo del ms.-base non ci consente an-
cora di leggere il testo completo del Tristan secondo uno dei suoi codici: per
leggere v.ii bisogna integrare l’ed. Curtis34 (ms.-base Carpentras, Bibl. Mu-
nicipale, 404) con l’ed. Ménard (ms.-base Wien, Österreichische National-
bibl., 2542, che nella parte iniziale avrebbe posto seri problemi perché for-
temente abbreviato);35 per leggere v.i abbiamo solo la seconda parte del
ciclo, da giustapporre alla prima parte nel testo di v.ii. E del resto è cosí an-
che per il Lancelot, che si legge nell’edizione di Alexandre Micha secondo
tre diversi manoscritti, uno per ciascuna sezione del testo.36
Traggo dal Tristan en prose un solo esempio – relativo al rapporto tra le
due versioni – sul quale mi è capitato di imbattermi qualche anno fa, e la cui
interpretazione trovo ora pienamente confermata a livello generale nel li-
bro di de Carné.37 Siamo alla vigilia dell’arrivo di Tristano alla Roche Dure
per il torneo, cioè proprio nel primo episodio in cui v.i e v.ii mostrano di
divergere sensibilmente l’una dall’altra. La narrazione del torneo, snodo

33. Entrambe le edizioni sono in piú volumi, firmati da uno o piú editori, sotto la direzione
di Ménard: la prima uscita in 9 volumi a Genève, Droz, 1987-1997; la seconda, col sottotitolo
Version du manuscrit français 757 de la Bibliothèque nationale de Paris, in 5 volumi, a Paris, Champion,
1997-2007.
34. Le roman de Trisan en prose, édité par R.L. Curtis, to. i: München, Hueber, 1963, to. ii:
Leiden, Brill, 1976, to. iii: Cambridge, Brewer, 1985.
35. Cfr. Le roman de Tristan en prose, éd. Ménard cit., p. 12. Nella parte in cui i due testi si
sovrappongono offrono peraltro due stadi del testo sensibilmente diversi. Il problema è illu-
strato nelle premesse del libro recente di D. de Carné, Sur l’organisation du ‘Tristan en Prose’,
Paris, Champion, 2010, pp. 20-25.
36. Cfr. Lancelot, roman en prose du XIIIe siècle, édition critique avec introduction et notes par
A. Micha, Paris-Genève, Droz, 1978-1983, 9 voll.: i voll. i-iii secondo Cambridge, Corpus
Christi College, 45 (seconda metà del XIII sec.), i voll. iv-vi secondo Oxford, Bodleian Libra-
ry, Rawlinson Q b 6 (primo quarto del XIV sec.), i voll. vii-viii secondo British Library, Add.
10293 (già ms.-base di Sommer). Lo rileva sintomaticamente Ménard, Trente ans d’études arthu-
riennes, cit., p. 341.
37. L. Leonardi, Il Torneo della Roche Dure nel ‘Tristan’ in prosa: versioni a confronto (con edizione
dal ms. B.N., fr. 757), in « Cultura neolatina », lvii 1997, pp. 209-51, di cui qui riassumo alcuni ri-
sultati. Cfr. ora de Carné, Sur l’organisation du ‘ Tristan en Prose’, cit., pp. 360-65.

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il testo come ipotesi

importante per l’accessus di Tristano al mondo arturiano, è molto piú estesa


in v.i, al cui confronto la versione piú rapida di v.ii risulta meno organica.
Ma in un punto il confronto tra le due versioni è significativo del loro rap-
porto reciproco: fermatosi a pernottare presso un valvassore, Tristano gli fa
il nome di Lamorat, ricordando di averlo recentemente affrontato (« Celui
ai je tant esprouvé, n’a pas encore granment de tans »: v.ii, vol. iii par. 184
21-22).38 La frase manca in v.i, ma il fatto vi è raccontato qualche pagina
prima: Tristano arriva al Castello Crudele, e per uscirne deve sconfiggere
il cavaliere che vi è a sua volta imprigionato, appunto Lamorat, col quale
Tristan si batte a lungo, prima di accordarsi con uno stratagemma per fug-
gire insieme (v.i, vol. i parte i parr. 45-48).39 Tutto questo episodio è assente
in v.ii, cosicché la contraddizione tra questa assenza e il riferimento succes-
sivo mostra che è v.ii ad aver ridimensionato l’episodio, e non v.i ad averlo
ampliato: solo il confronto puntuale tra le due versioni (che le due edizioni
non conducono in modo sistematico, e che solo ora sarà possibile mettere
a frutto) consente di illuminare il testo di ciascuna, i suoi tagli e le sue ag-
giunte.
Inoltre, confronti testuali di questo genere possono portare solidi argo-
menti alla vexata quaestio, da tempo rimasta in sospeso, sulla precedenza
dell’una o dell’altra versione, o meglio sulla dipendenza dell’una dall’altra,
probabilmente da decifrare luogo per luogo; 40 comunque, consentono di
comprendere appieno il testo, e di individuarne e spiegarne le apparenti
contraddizioni.
Venendo ai problemi specifici della constitutio textus, la posizione di Mé-
nard è moderatamente compromissoria: « Il faut éviter les solutions extrê-
mes: ou bien corriger systématiquement ou bien tout conserver aveugle-
ment. Suivre naïvement un copiste c’est toujours trahir l’auteur »,41 ed è ri-

38. Le roman de Tristan en prose, to. iii. Du tournoi du Château des Pucelles à l’admission de Tristan
à la Table Ronde, publié sous la direction de Ph. Ménard, édité par G. Roussineau, Genève,
Droz, 1991, p. 220.
39. Le roman de Tristan en prose (version du manuscrit fr. 757 de la Bibliothèque nationale de Paris),
to. i, édité par J. Blanchard et M. Quéreuil, Paris, Champion, 1997, pp. 139-50.
40. Si veda la valutazione conclusiva di Ménard, nella prefazione a Le roman de Tristan en
prose (Version du manuscrit fr. 757 de la Bibliothèque nationale de France), to. v, publié sous la direction
de Ph. Ménard, édité par C. Ferlampin-Acher, Paris, Champion, 2007, p. 9, sulla preceden-
za di v.i su v.ii (in linea con quanto sostenuto per la parte relativa al to. iii, éd. J.-P. Ponceau,
ivi, id., 2000, pp. 16-17), ma viceversa quanto dice la stessa editrice, pp. 72-80. Ora de Carné,
che considera v.i fonte di v.ii per il nostro episodio e in diversi altri casi, è però restio a ammet-
tere un rapporto di dipendenza generale (op. cit., p. 416 n. 2).
41. Cosí retrospettivamente Ph. Ménard, Reflexions sur la “nouvelle philologie”, in Alte und

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badita lungo il corso dei volumi.42 Ma essa si scontra con la vischiosità del
ms.-base, per cui anche in caso di errori meccanici come i sauts du même au
même, pur segnalati dagli editori, il testo talvolta non viene corretto. Cito
due luoghi, da ciascuna delle due edizioni:

v.ii, vol. iii par. 186 5, la damigella di Morgana parla a Tristano: « Vous ocesistes son
ami de chestui glaive meïsmes, ensi com vous le savés, et de chestui glaive meïsmes
vous couvenra morir. Et sachiés tout chertainnement […] » (ed. Roussineau, dal ms.-
base A, confermato da BCD).
Dopo morir i mss. GJLM leggono (con minimi scarti) : « Si le fera ma dame tant
garder que le lieu et le temps en sera venuz et que Huneson en sera vengiez, et adon­
ques vous convenra il a mourir. Et sachiez […] » (ed. Roussineau, apparato p. 318).
Nell’introduzione (p. 13), Roussineau cita questo luogo come possibile saut du
même au même tra gli accordi del gruppo ABCD contro GJLM, ma non lo inserisce
nell’elenco delle correzioni apportate al ms.-base (pp. 22-23, tra le quali 8 casi di
sauts): vale il principio secondo cui « de manière générale, les leçons personnelles de
A ont été conservées lorsqu’elles n’altéraient pas le sens » (p. 21).

v.i, vol. v par. 25 12, colloquio tra il Bon Chevalier e Guivret: « Conment? Fet li
chevaliers bons. Ne trovastez vos pieça mes qi vos abatist? – Non, si m’aït Diex, fet
Guivréz. Vos me feréz ja dire une parole qe je ne deüsse dire, ne nul proudome ne
la devroit dire. Or sachiéz qe puis trois mois ai je josté a plus de .xl. chevaliers l’un
aprés l’autre […] » (ed. Ferlampin-Acher, dal ms.-base N).
Dopo si m’aït Diex fet Guivréz il ms. e legge: « – Dont n’avéz vous mie sovent joste!
fet le Bon Chevalier, car se vos sovent eüssiéz joste, ge vos promet que vous eussiéz
[sic] trové sovent qui vos eüst abatu. – Si m’aït Diex, vos me feréz ja dire […] » (ed.
Ferlampin-Acher, apparato p. 535).
L’apparato avverte che la lezione del ms. e « peut laisser supposer un bourdon de
la part de N (autour de Si m’aït Diex) », ma anche qui il caso non è tra quelli corretti
(elenco alle pp. 24-29, con 7 esempi di sauts), in base al solito principio, espresso in
termini lievemente divergenti: « La correction du texte a été la plus discrète possi-
ble. Lorsque le sens peut satisfaire, la leçon de N a été conservée même si elle est
vraisemblablement moins bonne que d’autres » (p. 24).

Questi due esempi mi paiono chiari casi di errori di copista la cui eviden-
za non emerge dalla lettura del solo ms.-base, ma è segnalata senza equivo-
ci dal confronto con il resto della tradizione: il criterio che impone di non

neue Philologie, hrsg. von M.-D. Glessgen und F. Lebsanft, Tübingen, Niemeyer, 1997, pp.
17-33, a p. 27.
42. Cfr. ad es. Roussineau: « Une fidelité trop scrupuleuse au texte du copiste peut en effet
conduire à dénaturer l’œuvre de l’auteur » (Le roman de Tristan en prose, cit., to. iii p. 22).

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il testo come ipotesi

correggerli, se essi non producono un testo insensato (ma almeno nel se-
condo caso la perdita della battuta del Bon Chevalier non rende compren-
sibile la risposta di Guivret), e di correggere invece errori in tutto analoghi
che risultino autoevidenti dalla lettura del solo ms.-base, crea un’ambiguità
nel testo critico, che viene a oscillare tra la conservazione del manoscritto
e la ricostruzione del suo modello, senza decidersi per nessuna delle due
opzioni.

Nel caso del Tristan en prose una delle difficoltà è data dall’assenza di uno
stemma, essendo ritenuto inadeguato quello proposto da Curtis.43 Per la
Mort Artu abbiamo invece lo stemma di Frappier,44 che fino all’ultima edi-
zione di Hult non era stato confutato (vd. oltre): stemma a due rami (Arse-
nal 3347 = A contro il resto della tradizione, ramo X1, cui fanno capo sei fa-
miglie: lo riproduco qui alla p. sg.), usato da Frappier per ricostruire il testo
originario, combinando la lezione di A con la lezione dell’altro ramo, qua-
lora unanime, e fornendo un apparato rappresentativo delle principali fa-
miglie.
La prima edizione dopo quella di Frappier, curata da Emmanuèle Baum­
gartner e Marie-Thérèse de Medeiros nel 2007,45 non ha scelto il ms.-base
seguendo lo stemma: il motivo per la scelta di K (Lyon, Palais des Arts, 77),
che appartiene alla famiglia z, nei piani bassi della genealogia di Frappier, è
un motivo dichiaratamente “commerciale”, essendo K il ms. seguito nel­
l’edizione Pauphilet della Queste del Graal, pubblicata dalla stessa casa edi-
trice Champion (nel 1923!).46 La scelta è veramente singolare, perché una
lacuna meccanica all’inizio ha reso K mutilo di quasi un terzo del testo,
costringendo le editrici a ricorrere a un ampio inserto dal ms. Z (BnF, fr.

43. Cfr. Le roman de Tristan en prose, éd. Curtis cit., pp. 17-22, e le riserve di Ménard, ed. cit.,
vol. i pp. 22 e 25 (« Dresser un stemma nous semble une entreprise parfaitement arbitraire »);
vd. anche qui, n. 30.
44. La mort le roi Artu, roman du XIIIe siècle, édité par J. Frappier, Paris, Droz, 1936; per una
lettura di questa edizione rinvio a L. Leonardi, Le texte critique de la ‘Mort le roi Artu’: question
ouverte, in « Romania », 121 2003, pp. 133-63.
45. La Mort du roi Arthur. Roman publié d’après le manuscrit de Lyon, Palais des Arts 77, complété par
le manuscrit BnF n.a.fr. 1119. Édition bilingue, Publication, traduction, présentation et notes par E.
Baumgartner et M.-Th. de Medeiros, Paris, Champion, 2007.
46. « S’agissant d’autre part d’une édition destinée à la collection Champion Classiques du
Moyen Âge, il nous a également semblé justifié de donner une suite à l’édition de la Quête
faite par A. Pauphilet dans la collection CFMA, d’après ce manuscrit dont il avait reconnu la
qualité » (ivi, p. 12). In realtà la costituzione di quel testo della Queste segue una logica piú
complessa: vd. oltre.

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X
branche I branche II
X1

X2

O Ac O1 O4
A D F
fam. γ
fam. α fam. β
fam V

X3

O3 HL
U
W
I K R Z M1 O2

CO5 fam. ζ
Q
T
U1 H JE
fam Ad

C1 Version abrégée
(BSS1PY1NY)
Les contaminations G
sont marquées �Éditions du XVe
en pointillé et du XVIe Siècle

1119), selezionato questa volta invece sulla base dello stemma di Frappier, in
quanto appartenente alla stessa famiglia di K. Per di piú, gli altri mss. di
questa famiglia sono utilizzati come manoscritti di controllo.47 Anche qui
resta dunque incerto quale sia il reale obiettivo dell’edizione: non il testo di
un manoscritto, dato che per tutta la prima parte se ne deve usare un altro;
non il modello di quella famiglia, dato che il testo di K (o di Z) è adottato

47. Si tratta dei mss. M1 = British Library, Add. 17443; O2 = Bodl. Rawlinson, D 899; R = BnF,
fr. 344; T = BnF, fr. 12573. In realtà mostrano di afferire alla stessa famiglia, ma non sono consi-
derati dalle editrici, altri due mss. ignoti a Frappier: Bodmer 147 e BnF, fr. 25520, per cui cfr. ora
L. Leonardi, ‘Nuovi’ manoscritti della ‘Mort le roi Artu’, in Studi di filologia romanza offerti a Valeria
Bertolucci Pizzorusso, a cura di P.G. Beltrami, M.G. Capusso, F. Cigni, S. Vatteroni, 2 voll.,
Pisa, Pacini, 2006, vol. ii pp. 883-98, con bibliografia precedente.

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il testo come ipotesi

anche quando offre una lezione singularis, contraddetta dalla concordia dei
suoi collaterali.
Si veda un solo esempio, nel discorso in cui Lancillotto rinuncia al regno
di Gaule, in quanto donatogli da Artú:
Boort, ge vos requier que vos teingniez l’enneur de Benoïc; et vos, Lyonniaus, vos
avroiz celui de Gaunes qui fu vostre pere. De celui de Gaule, por ce que li rois Artus
le me donna, ne vos tendrai ja parole, car s’il m’avoit tout le monde doné, si li rendroie
ge a cest point (ed. Frappier, par. 125, p. 139 r. 18)
n’en tendré je ja plein pié (ms. K = ed. Baumgartner-de Medeiros, par. 136 17)

La lezione di K n’en tendré je ja plein pié « convient parfaitement », secondo


le editrici,48 ma tutti gli altri mss. della famiglia condividono con l’insieme
della tradizione un’altra lezione, sicuramente originaria, ne vos tendrai ja pa­
role.
Altrove, con ulteriore paradosso, si mette a testo la lezione di uno solo
dei mss. di controllo, T, contro il ms.-base e tutti gli altri mss. della fami-
glia:
nos nos en irons en noz terres a noz homes, qui moult sont desirrant de nos veoir
(ed. Frappier, par. 36, p. 30 r. 27)
nos nos en ironz en noz terres a noz honors qui mult nos desirrent a veoir
(mss. K O2 M1)
nos nos en irons en noz terres et en noz enheurs, ou l’en nos desire mult a veoir
(ms. T = ed. Baumgartner-de Medeiros, par. 26 26).

Siamo all’inizio del romanzo, quando Boort decide di lasciare la corte di


Artú dopo che Lancillotto si è reso irreperibile: è vero che la lezione di K e
degli altri è inaccettabile, ma l’errore sarà da identificare in enheurs/honors,
svista paleografica per homes che troviamo in tutto il resto della tradizione,
e che sarà originario, per cui la lezione di T accolta nell’edizione è chiara-
mente un tentativo fatto dal suo copista di ripristinare un senso alla frase a
partire da quella svista.
Anche qui dunque l’incertezza circa l’obiettivo dell’edizione e il man­
cato ricorso all’insieme della varia lectio impediscono non solo la costituzio-
ne di un testo coerente, ma anche il giusto apprezzamento della lezione del

48. Ed. cit., p. 313 n. 3, con traduzione « je n’en veux rien tenir », che risulta quanto meno
ingiustificata.

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manoscritto stesso scelto come base. L’impostazione è infatti assolutamen-


te sincronica: il testo di Z e K è “controllato” solo tramite gli altri rappresen-
tanti della loro stessa famiglia, offrendo quindi deliberatamente un punto
di vista molto parziale sulla tradizione, ma quando la famiglia è concorde
nell’offrire una lezione inaccettabile, in una dozzina di luoghi la si correg-
ge, adottando il testo Frappier, piú spesso invece non si interviene, e ci si
limita a definirla in nota « pas exacte » (p. 97), « pas satisfaisante » (p. 107),
« suspecte » (pp. 117 e 193), « syntaxiquement peu correcte » (p. 129); salvo
che poi, in alcuni di questi casi, il testo è talmente insostenibile che la tradu-
zione a fronte non lo segue.49
Anche questo contraddittorio rispetto per la versione della famiglia ri-
schia di essere fuorviante, in assenza di una valutazione d’insieme della
tradizione. Un solo caso (che, per la sua esemplarità, ho già esposto in piú
d’un seminario): nell’assalto per liberare Ginevra, destinata al rogo dopo
essere stata sorpresa in flagrante, Lancillotto uccide Agravain, Boort uccide
il fratello Guerrehet e ancora Lancillotto uccide anche l’altro fratello Gahe-
riet (è il fatto che susciterà la vendetta senza fine di Gauvain):
Lors le [scil. Agravain] fiert Lancelos si durement que arme nule nel garantist qu’il
ne li mete parmi le cors le glaive; si l’empaint bien comme cil qui assez avoit cuer
et force; si l’abat del cheval a terre et au cheoir brise li glaives. Et Boorz, qui venoit tant comme
il pooit del cheval trere , crie a Guerrehet que il se gart de lui, que il le deffie de mort; si li
adresce le cheval et le fiert si durement […] (ed. Frappier, par. 94, p. 99 r. 8)
[…] si l’abat dou cheval a terre et crie a Guerrehet que il se gart de lui […] (mss. K R O2 Z
M1 T = ed. Baumgartner-de Medeiros, par. 90 21)

In K e nei mss. della sua famiglia c’è una variante macroscopica: Boort non
è piú menzionato, e anche la seconda uccisione è cosí attribuita a Lancillot-
to. Le curatrici seguono questo testo, e sostengono l’intenzionalità della
variante, che vuole far pesare sull’eroe tutta la responsabilità della morte
dei tre fratelli. In realtà la variante, se solo si considera il contesto nel resto
della tradizione, si spiega invece benissimo come una semplice lacuna du
même au même. La riprova la troviamo poco piú avanti nel testo, dove tutti i
codici, anche quelli della nostra famiglia, citano Boort come l’uccisore di
Guer­rehet:
Si a tant alé qu’il troeve Guerrehés que Boorz avoit ocis (tutti i mss.; ed. Baumgart-
ner-de Medeiros, par. 97 16, corr. Lancelos)

49. Uno degli esempi esplicitati in nota è nell’ed. cit., p. 253 n. 2.

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il testo come ipotesi

Le curatrici ipotizzano che il copista della versione abbia dimenticato di


aggiornare il testo secondo la sua innovazione precedente, e corregono lo­
ro, inserendo a testo una congettura contro tutta la tradizione unanime.50 È
un buon esempio, credo, di come l’idea di seguire un singolo manoscrit­
to o una singola versione del testo, se non è accompagnata da una rigorosa
valutazione della sua dimensione diacronica, possa fornire un’immagine
totalmente distorta proprio di quella versione o di quel manoscritto, fino a
giustificarne paradossalmente la correzione ope ingenii.
D’altra parte, tale rischio di fraintendimento proprio della specificità
della versione che si pubblica è presente anche a prescindere dalla costitu-
zione del testo, quando la valutazione è fatta senza tener conto dell’insieme
della tradizione. In uno dei momenti cruciali della finale battaglia di Sales­
bières (par. 216), un ampio commento del narratore, con riferimento alla
veraie estoire di quella carneficina, è segnalato come tipico del redattore del-
la versione di K e soci, poiché il passo manca nell’ed. Frappier:51 ma la sem­
plice consultazione dell’apparato di Frappier (p. 208 var. 19) mostra che il pas­
so è presente in tutti i manoscritti del secondo ramo dello stemma, per cui
esso non è affatto specifico del particolare stadio del testo riprodotto nel­
l’edizione.

Lo stesso tipo di fraintendimento è presente nell’altra recente edizione


della Mort Artu, a cura di Mary B. Speer, in conclusione del ciclo pubblicato
nella « Pléiade ».52 Il ms.-base doveva in questo caso garantire unità a tutta la
Vulgate, e si è scelto dunque naturalmente uno dei manoscritti ciclici, Bonn,

50. Ed. cit., p. 235: « Le copiste de notre version a oublié au § 97, l. 16 le remaniement qu’il a
opéré et donne Guerrehés que (K: qui) Boort avoit ocis, leçon que nous avons corrigée en fonction
du texte du § 90. À l’évidence, dans notre version, c’est Lancelot qui doit porter seul la respon-
sabilité de la mort des trois frères ».
51. Ed. cit., p. 419: « Toute cette fin du § qui insiste sur l’ampleur du désastre en prenant à
temoin la veraie estoire ne se lit pas dans l’éd. Frappier. Ces lignes sont un bon exemple du
souci qu’a le rédacteur de cette version d’amplifier très souvent, par rapport au texte de l’éd. Frap-
pier, et l’acharnement des combats et des combatants et les conséquences de la bataille ».
52. Le Livre du Graal, to. iii. Lancelot. La Seconde Partie de la quête de Lancelot, La Quête du Saint
Graal, La Mort du roi Arthur, édition préparée par D. Poirion, publiée sous la direction de Ph.
Walter, Paris, Gallimard, 2009 (La Mort du roi Arthur, éd. M.B. Speer, pp. 1181-486; Note sur le
texte et la traduction, Notes et variantes, pp. 1652-92). La stessa Speer aveva usato per questo pro-
getto l’inusuale definizione di « semi-critical edition »: cfr. M.B. Speer, The Long and the Short
of Lancelot’s Departure from Logres. Abbreviation as Rewriting in ‘La Mort le roi Artu’, in Text and In-
tertext in Medieval Arthurian Literature, ed. N.J. Lacy, New York-London, Garland, 1996, pp.
219-39, a p. 221.

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Universitäts- und Landesbibliothek, 526 (B), non allontanandosi dalla scel-


ta unitaria fatta da Oskar Sommer un secolo fa a favore del ms. British Li-
brary, Add. 10294 (L), testualmente vicino a B: anche per la Mort Artu, come
per il Lancelot, questi manoscritti ciclici offrono una version abrégée, che ha
quindi una sua specificità nella tradizione del romanzo.53 L viene usato
come controllo, assieme all’altro manoscritto ciclico BnF, fr. 112 (P), che
presenta però gravi lacune. Quando l’errore è condiviso, si ricorre a due
manoscritti della versione lunga, scelti apparentemente senza tener conto
della loro posizione nella tradizione, ma probabilmente per la loro piú fa-
cile disponibilità: BnF, fr. 342 (D), è il testimone edito nel 1910 da Bruce54
(nello stemma Frappier è l’unico rappresentante della famiglia b); British
Library, Royal 20 C VI (C) è il ms. di controllo principale di Sommer (nel-
lo stemma Frappier è all’interno della famiglia e). Non si prendono in esa-
me né gli altri quattro testimoni della version abrégée noti a Frappier, di cui
due ciclici (va aggiunto Manchester, The John Rylands University Library,
French 1)55 né alcun testimone della famiglia z, dal cui stato testuale secon-
do Frappier la version abrégée discende direttamente.
Conseguenza di questa visione parziale della tradizione è inevitabilmen-
te la difficoltà a valutare l’apporto della versione stessa che si pubblica. Gli
errori comuni a tutti e tre i manoscritti vengono corretti con il ricorso ai due
testimoni della versione lunga, ma si resta nel dubbio se siano errori propri
solo di quei tre codici, oppure del redattore della versione breve, oppure se
addirittura non risalgano alla fonte z: un semplice controllo sugli altri testi-
moni della versione breve e della famiglia z (questo ora facilitato dall’ed.
Baumgartner-de Medeiros)56 mostra che la responsabilità dell’errore risale
appunto quasi sempre all’altezza di z. E cosí possiamo constatare il diverso
risultato tra l’ed. Speer, che corregge,57 e l’ed. Baumgartner-de Medeiros
(B-dM), che conserva. Cito solo tre esempi, all’inizio del romanzo:

53. The Vulgate Version of the Arthurian Romances, edited from manuscripts in the British
Museum by H.O. Sommer, Washington, The Carneige Institution, vol. vi 1913. Sulle esigenze
ecdotiche poste da un caso in tutto analogo di duplice versione cfr. R. Trachsler, Pour une
nouvelle édition de la ‘Suite-Vulgate du Merlin’, in « Vox Romanica », 60 2001, pp. 128-48.
54. ‘Mort Artu’, An Old French Prose Romance of the XIII th Century Being The Last Division of
‘Lancelot du Lac’, now first edited by J.D. Bruce, Halle, Niemeyer, 1910 (edizione semi-diplo-
matica: si veda la nota di P. Meyer in coda alla recensione di J.L. Weston, in « Romania », 40
1911, pp. 133-39).
55. Cfr. Leonardi, ‘Nuovi’ manoscritti della ‘Mort le roi Artu’, cit.
56. Ringrazio Emanuele Arioli per alcuni controlli sui manoscritti parigini.
57. Analogamente Speer corregge anche gli errori, qui sopra segnalati, che sono lasciati a
testo da Baumgartner-de Medeiros.

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il testo come ipotesi

B-dM 8 1: « Cele nuit demora Lancelos laienz […] » (errore di z, non segnalato dalle
edd.)
Speer 11 a: « Celui jour demoura Lanselos laiens […] » (BPL come z, l’ed. corregge)
B-dM 11 21: « Voire, fet li autres, […] » (errore di z, non segnalato dalle edd.; ma trad.
« disent les autres »)
Speer 15 b: « Voire, font li autre, […] » (BPL come z, l’ed. corregge)
B-dM 12 2: « Il lesse corre le cheval isnelement […] » (variante di z)
Speer 16 b: « Il laisse courre a Hector isnelement […] » (BPL come z, l’ed. corregge)

L’incertezza circa l’effettivo contributo alle modifiche testuali da attribui­


re alla versione breve vale a maggior ragione quando si tratta di rielabora-
zioni piú significative. Un caso-limite è quello del passo in cui Gauvain
racconta ad Artú il rifiuto che gli ha opposto la damigella di Escalot, dichia-
ratasi innamorata di un altro cavaliere: nella versione breve (ed. Speer, par.
41 p. 1218), Gauvain riferisce al re che è stata la damigella a rivelargli l’iden-
tità del rivale, Lancillotto, in contraddizione con l’episodio narrato poco
prima, dove la damigella in realtà non conosce il nome del suo amato. Speer
commenta l’innovazione, segnalandone la portata circa il ruolo del per­
sonaggio nella dinamica narrativa del romanzo, e attribuendola alla versio-
ne breve, solo in quanto differisce dall’ed. Frappier.58 Si tratta invece della
versione che tramandano addirittura tutti i manoscritti del secondo ramo
dello stemma, cioè tutti i testimoni conservati della Mort Artu salvo A; anzi,
è uno dei luoghi selezionati da Frappier per costruire lo stemma, come
errore comune appunto a tutti i testimoni diversi da A (secondo Hult, vi-
ceversa, che discute lo stemma di Frappier, è senz’altro la versione origi­
naria).59

In altre edizioni, l’adozione di un ms.-base può portare a esiti totalmente


divergenti, in cui il testo critico è di fatto il risultato di una ricostruzione.
Prima di parlare dell’ultima edizione della Mort Artu, curata da David F.
Hult, è utile esaminare brevemente l’edizione recente dell’altro romanzo
del ciclo, la Queste du Saint Graal a cura di Fanni Bogdanow, già piú sopra
citata.60 Anche qui esiste una precedente edizione “classica”, a cura di Al-

58. « un changement dans la version courte qui diminue le rôle catalyseur du neveu du roi
dans la chaîne de malentendus tragiques qui mènent à la chute du royaume (cf. l’édition de J.
Frappier, § 35) » (ed. Speer, p. 1659).
59. Cfr. ed. Frappier, pp. xxxviii-xli. Per le considerazioni di Hult, vd. oltre.
60. La Quête du Saint-Graal, éd. Bogdanow, cit. alla n. 26.

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bert Pauphilet,61 che aveva stabilito uno stemma a due rami, privilegiando
per la costituzione del testo una delle famiglie del ramo a, quella che riuni-
sce i già citati KRZ (non si parla qui ancora di ms.-base: il riferimento al
solo K riguarda l’adozione della sua grafia, « qui est la plus constante », p.
viii), e controllando la sua lezione tramite altri quattro rappresentanti di a
e due di b, secondo una logica stemmatica (ma con un apparato minimo):

auteur
w

b a

Estoire ACD B OAc KRZ TX, U Aa, M, ecc. V, Ad NPYSS’

Bogdanow dà per buono lo stemma, pur giudicato fragile già dai recen-
sori dell’epoca,62 e vi inserisce nel ramo b (identificandone vari nuovi sot-
togruppi) altri quattro codici ignoti a Pauphilet, anche sulla base delle pro-
prie ricognizioni pluridecennali sulla tradizione del romanzo. Uno di que-
sti, l’unico risalente al sec. XIII, Berkeley, University of California, The
Bancroft Library, 73 (Ba), è scelto come base per la nuova edizione.63
Siamo dunque in un’ottica che si vorrebbe stemmatica; se non che tutta
la dimostrazione dei raggruppamenti è fondata su varianti indifferenti (tal-
volta su lezioni buone), non su errori, non offrendo dunque alcuna garan-
zia di affidabilità.64

61. La Queste del Saint Graal, roman du XIIIe siècle, édité par A. Pauphilet, Paris, Champion,
1923. La recensio preliminare è contenuta in A. Pauphilet, Études sur la ‘Queste del Saint Graal’,
ivi, id., 1921, pp. v-xxxv (« La tradition manuscrite et l’établissement du texte de la Queste del
Saint Graal »).
62. Cfr. in particolare la recensione del saggio citato alla n. prec. firmata da M. Roques in
« Romania », 49 1923, pp. 441-44.
63. Il manoscritto era stato segnalato in F. Bogdanow, A little known codex, Bancroft ms. 73
and its place in the manuscript tradition of the vulgate ‘Queste del Saint Graal’, in « Arthuriana », 6 1996,
pp. 1-21. Per gli altri suoi numerosi saggi si veda la bibliografia dell’ed. cit., dove si trovano
comunque i dati della classificazione stemmatica (cfr. pp. 44-59).
64. Basti citare l’avvio dell’argomentazione: « Que Ba appartient à la famille b, on ne saurait
en douter. Ce temoin partage avec les autres manuscrits de cette famille certaines de leurs
caractéristiques textuelles. Ainsi, partout où les manuscrits de la famille a ont omis par inat-
tention certaines sections du texte, Ba donne la bonne leçon comme les autres temoins de la

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il testo come ipotesi

Con queste premesse, la costituzione del testo è fondata – come abbia-


mo visto sopra –65 sul rispetto della versione del ms.-base, per quanto pos-
sibile, salvo correggerlo quando risultino “evidenti” omissioni, involontarie
o volontarie. Come si giustifichi tale evidenza, non è precisato: ma un esa-
me del testo, dove gli interventi editoriali sono segnalati tra parentesi qua-
dre, mostra che il numero delle correzioni è elevatissimo (ne ho contate 133
nei primi 5 fogli del manoscritto), in quanto esse non riguardano solo i casi
di errore insostenibile, ma anche le piú minute varianti fraseologiche o sin­
tattiche. Per dare un’idea della casistica, riporto qui il breve secondo para-
grafo del testo (p. 84), caratterizzato da correzioni di elementi anche mini-
mi della struttura sintattica:
2. Il monte et la damoisele ausi, si se partent de leenz sanz autre compaignie, fors
seulement d’un escuier qui auvec la pucele estoit venuz. Quant il sont oissu de
Kamaalot, si chevauchent tant qu’il sont venu en la forest. Si se metent el grant
chemin et oirrent bien la montance d’une liue, tant qu’il vindrent en une valee. Lors
voient devant els au travers [du chemin] une abeie de nonains. La damoisele torne
cele part [si tost come il sont pres. Et] quant il vienent a la porte, si apele li escuiers
et l’en lor ovre, si descendent et entrent enz. Quant cil de leenz sorent que Lance-
loz fu venuz, si li vindrent [tuit] encontre et li firent [molt] grant joie. Et quant il
l’orent mené en une chambre et il l’orent desarmé, si voit gesir ses .ii. cosins Boorz
et Lyonel en .ii. liz. [Lors] est molt liez et les esveille; [et] quant il le voient, si l’aco-
lent et besent. Et lors comence la joie que li troi cosin firent li .i. de l’autre.
– Biax sire, fet Boorz [a Lancelot], quele aventure vos a ça amené? Ja vos quidion
nos trover a Kamaalot.
Et il lor conte coment une damoisele l’a leenz amené, mes il ne set [onques] por
quoi.

L’apparato attinge a tutti gli altri mss. attribuiti al ramo b (i sei noti a Pau-
philet piú i 3 segnalati da Bogdanow)66 e ai soli KZ per il ramo a – la cui
tradizione resta dunque per gran parte sconosciuta –, e rivela che le corre-
zioni investono casi in cui Ba è isolato tra i mss. considerati, o in coppia con
un altro, o in sintonia con gli altri mss. di b (quest’ultimo è il caso della man-
canza di a Lancelot come destinatario del discorso diretto, certo non indi-

famille b » (ed. cit., p. 46). Segnalo che un riesame della tradizione manoscritta della Queste è
oggetto della tesi di dottorato di Luca Cadioli, in corso presso l’Università di Siena.
65. Si riveda la citazione qui all’altezza della n. 26.
66. Si tratta dei mss. V = BnF, fr. 120 (sigla Pauphilet: O), V a = Arsenal 3480 (Ac), V1 = BnF,
fr. 12581 (C), V5 = BnF, fr. 339 (A), V6 = BnF, fr. 342 (D), N = BnF, fr. 343 (B), O = Bodleian
Rawlinson D 874 (non siglato da Pauphilet), e dei mss. V3 = Ravenna, B. Classense, 454; V4 =
Udine, B. Arcivescovile, 117; V11 = Laur. Ashb. 121.

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spensabile al contesto), quindi il criterio sul quale giudicare l’“evidenza”


delle omissioni di Ba sembrerebbe fornito da una qualche forma di applica-
zione dello stemma; ma siccome l’apparato registra le varianti soltanto nei
casi in cui il ms.-base è stato corretto, non consente di percepire se vi siano
luoghi in cui la lezione isolata di Ba è stata mantenuta a testo.
Ci si può chiedere dunque che senso abbia aver scelto per base un mano-
scritto che tende ad abbreviare come Ba, per poi sottoporlo a tante correzio-
ni anche minime. Ma soprattutto l’apparato non chiarisce l’incertezza su
quale stadio del testo sia quello a cui tende l’edizione: quando il ms.-base,
quando il suo modello, quando il ramo b, quando l’originale? È un caso in
cui la formula editoriale del ms.-base adottato salvo evidenza di errore por-
ta in realtà a un’edizione fortemente ricostruttiva, ma senza che per questa
ricostruzione sia applicato un metodo in grado di affrontare la dinamica
delle varianti e darne conto nell’edizione.

L’edizione Hult della Mort Artu offre invece il tentativo a mio giudizio piú
avanzato di coniugare il rispetto di un ms.-base con un’ipotesi ricostruttiva.67
Tuttavia, proprio per questo, consente di mostrare gli effetti dell’utilizzo di
un ms.-base in situazione-limite.68
Per come è costruita, l’edizione si presenta in realtà in modo molto di-
verso da quelle fondate su un ms.-base. In primo luogo, discute lo stemma,69
confutando l’erroneità dei luoghi probanti per Frappier la riunione del se-
condo ramo (X1) contro il primo, e la consistenza della famiglia d (da cui le
famiglie contaminate e e z = X3); unico superstite, l’errore costitutivo di g,
anch’esso passato in X3. Gli argomenti di Hult sono molto interessanti, e
sebbene non possa dire di esserne stato del tutto convinto, non è questo
il tema di oggi, e possiamo convenire interlocutoriamente che egli abbia
ragione. La sua conclusione mi pare comunque contraddittoria: « Toujours
est-il que l’analyse de Frappier est précieuse pour sa constitution de groupes

67. La Mort du roi Arthur, édition, traduction et présentation de D.F. Hult, Paris, Le Livre
de Poche, 2009. L’analisi di questa edizione è stato argomento di uno dei miei corsi all’Univer-
sità di Siena, nell’anno accademico 2009-2010: sono grato agli studenti di quel seminario per
la loro collaborazione impegnata e partecipe.
68. Al Seminario – tenutosi alla Fondazione Ezio Franceschini di Firenze nell’ottobre 2010 –
in cui queste riflessioni sono state proposte, David F. Hult ha partecipato come discussant : lo
ringrazio per la disponibilità a confrontarsi pubblicamente sulle ragioni e i metodi del lavoro
filologico.
69. La Mort du roi Arthur, éd. Hult cit., pp. 119-27. Hult riproduce (p. 126) la versione sem-
plificata dello stemma di Frappier che avevo stampato in Leonardi, Le texte critique de la ‘Mort
le roi Artu’, cit., p. 139, definendolo impropriamente « révisé par Leonardi ».

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il testo come ipotesi

de manuscrits apparentés, sans que l’on puisse déterminer ce qui fait que tel
groupe précède tel autre, et qui permettrait la construction d’un stemma
convaincant » (p. 127). In realtà la confutazione dell’errore costitutivo di d
dovrebbe vanificare almeno quel gruppo di manoscritti, e con esso dovreb-
be far cadere la prova della contaminazione a monte di X3, i cui componen-
ti risulterebbero dunque associati a g in un’unica grande famiglia, senza piú
distinzione di piani alti e piani bassi. Se le prove addotte per lo stemma non
sono valide, e quindi « la fondation de Frappier n’est pas aussi solide que ce
qu’il avait prétendu » (p. 125), se dunque lo stemma crolla, non si può poi
continuare a fare riferimento a quella genealogia.
Il passo successivo è la scelta del ms.-base, che riavvicina anche l’edizione
Hult alla norma cui siamo abituati. Esso dovrebbe essere scelto, dice Hult,
« parmi les trois familles en haut du stemma » (p. 127). Questa frase avrei po­
tuto scriverla io, nell’ambito di una logica stemmatica, e infatti ho scritto che
in particolare la famiglia d mi pareva la piú interessante, soprattutto dopo
aver collocato al suo interno due manoscritti ignoti a Frappier.70 Ma non
capisco bene come Hult possa ancora parlare di piani alti dello stemma e
di famiglia d, dopo aver confutato le prove della loro consistenza. In effetti
Hult, indipendentemente da me, sceglie uno di quei due codici, lo stesso
ora a Berkeley scelto da Bogdanow per la Queste (siglato però Be, e retro-
datato al secondo quarto del sec. XIII), riconoscendolo anch’egli – ma non
è chiaro su quali basi – come appartenente a d. Insomma, io sono totalmen-
te d’accordo col ragionamento di Hult, una volta ammesso però che esso si
fonda sullo stemma di Frappier.
L’aspetto piú interessante riguarda comunque i criteri di costituzione
del testo. Di fronte a un’opera cosí importante della letteratura medieva­
le, Hult non ritiene sufficiente un’edizione conservativa – « la réproduction
d’un seul témoin, avec des corrections conservatrices » p. 132 –,71 e propone
un’edizione « bien plus interventionniste que ce qui est souvent la norme
de nos jours » (ibid.), un’edizione nella quale il ms.-base serve a ricostruire

70. Leonardi, ‘Nuovi’ manoscritti della ‘Mort le roi Artu’, cit., p. 898.


71. Questo argomento (« pour un texte de cette importance », p. 132) mi pare molto signifi-
cativo, e del tutto in linea con quanto sostenevo nel mio articolo: « un approfondissement de
cette question complexe est rendu nécessaire non seulement par l’importance et la beau­
té littéraire d’un texte aussi célèbre, qui exige le maximum de soins philologiques […] »; « la
question se pose tout de même de savoir si l’on n’est pas en droit d’attendre de l’édition de la
Mort Artu quelque chose de plus qu’une reproduction rigoureuse des habitudes graphiques et
de la compétence linguistique d’un de ses copistes » (Leonardi, Le texte critique de la ‘Mort le roi
Artu’, cit., pp. 133 e 149).

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una versione precedente del testo, con l’aiuto dei rappresentanti delle altre
famiglie (praticamente gli stessi di Frappier: anche in questa scelta impor-
tante la nuova edizione dipende dalla vecchia).72 La differenza rispetto alla
prassi abituale sta proprio nel tentativo di precisare i criteri di correzione
del ms.-base: non solo quando è « manifestement corrompu » (ibid.), ma
anche quando la sua erroneità è rivelata solo dai mss. di controllo, laddove
la lezione di Be ha comunque un suo senso. Questo è un punto fondamen-
tale, nella misura in cui si riconosce pari statuto a errore autoevidente e in­
novazione giudicata tale solo dal confronto con le altre famiglie: siamo, sen­
za che Hult lo riconosca, in piena logica lachmanniana.
Il terzo criterio rompe però questo filo logico: le omissioni di Be sono
integrate solo se il testo mancante è semanticamente o esteticamente ne-
cessario (p. 133). Hult riconosce che è questo il settore piú “soggettivo” del­
la sua edizione, e in effetti è quello che potenzialmente la espone a contrad-
dizioni difficilmente giustificabili.
Si potrebbero citare molti luoghi di diversa entità, ma mi limito anche
qui a estrarre come esempio un breve passo rappresentativo. Lancillotto ha
salvato Ginevra dal rogo e, rientrando alla Joyeuse Garde, sosta presso il ca­
stello di un cavaliere suo fedele (testo e apparato Hult, pp. 508-10):
Quant il le vit, si en fu liez et le reçut molt honorablement1 et 2 li promist a aidier
contre toz homes, neïs contre lo roi Artur, et dit: « Sire, se vos plest, je baillerai a vos
et a ma dame la roïne cest chastel; et vos si le devez bien otroier, ce me semble. »3 Et
Lanceloz l’an mercie molt de ceste offre que il li faisoit mes il li4 dist que il n’i de-
moreroit pas.
A l’endemain, si tost come li jorz aparut, se parti Lanceloz de leenz entre lui et

1. liement Be ; honorablement DRFAVAc   2. RDAVFAc aj. li fist la nuit (la nuit om. AVF )
toute la feste (lonour VA; tant doneur et tant de ioie F ) que il pooit (quil onques pot A) et   3.
DVRFAc aj. car molt est fors et se uos i uoles demorer uos naues garde de tot le monde ne de
tot le pooir le roi Artu; A om. tout le discours du seigneur   4. l’an … mes il li om. Be; lan mercie molt
de ceste offre que il li faisoit mes il li VDRFAc ; len mercie molt A  

72. I manoscritti selezionati da Frappier per il suo apparato, oltre ad A, erano D (BnF, fr.
342) per la famiglia b, O (BnF, fr. 120) per la famiglia g, V (Vat. Pal. Lat. 1967) per la famiglia d,
R (BnF, fr. 344) sostituito quando lacunoso da Z (BnF, n.a.fr. 1119) per la famiglia z, B (Bonn,
Universitäts- und Landesbibl., 526) per la versione ridotta, e non sistematicamente W (BL,
Royal 19 C XIII) in quanto contaminato tra i due rami dello stemma. Hult registra le varianti
degli stessi A D V R B, sostituisce O con Ac (Arsenal, 3480; ma i mss. derivano come gemelli
da g), aggiunge F (BnF, fr. 751) come secondo ms. della famiglia d, e « parfois » K come ulterio-
re rappresentante di z (ed. cit., p. 133); non considera, come Frappier, nessuno dei 12 mano-
scritti che rientrano nella famiglia e.

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il testo come ipotesi

tote sa compaignie. Et li quens, qui estoit apellez Daguins,5 li bailla .xl. chevaliers et
si lor fist a toz jurer seur sainz que il a Lancelot aideront jusqu’a la mort encontre
toz cels qui li vodront mal fere.
5. qui estoit … Daguins om. Be; qui estoit apellez daguins (dagitins D ; dagins V; deguins F ; danguis
Ac) RDVFAc ; A om. A l’endemain … mal fere.

Siamo nella seconda parte del romanzo, dove il confronto con la tradi-
zione denuncia in Be un’attività di accorciamento del testo assimilabile a
quella già vista in azione per la Queste (tra parentesi, è questo l’unico ele-
mento che induce qualche dubbio sull’efficacia di Be come ms.-base): Hult
interviene a colmare queste lacune di diversa estensione, sulla base del con-
senso di tutti gli altri manoscritti considerati (varianti 4 e 5, con A sempre
singolare). In un contesto dunque in cui si constata che è Be a tagliare, non
trovano giustificazione a mio avviso i casi in cui invece la sua versione ab-
breviata viene accolta a testo (varianti 2 e 3).
La mia impressione è che la consuetudine del ms.-base, la presenza della
sua pretesa storicità, abbiano pesato su questo ultimo fronte della constitutio
textus, impedendo di procedere all’eliminazione dal testo critico di tutte le
lezioni che l’esame della tradizione, in ultima analisi lo stemma (anche se
privo di piani alti), giudica singulares e quindi innovative.

Potrei limitarmi a concludere che c’è dunque ancora bisogno di una


nuova edizione critica della Mort Artu. Piú in generale, vorrei provare a de­
lineare un modello di edizione critica, fondata su un’ipotesi che tenga conto
dei dati della tradizione, in termini se possibile accessibili non solo alla scuo-
la del lachmannismo “all’italiana”.
Per farlo, è probabilmente opportuno provare ad abolire il concetto di
ms.-base, nell’accezione ormai da tempo comune che abbiamo fin qui ana-
lizzato. Se un’edizione non si propone di presentare rigorosamente il te­
sto di un solo manoscritto, se dunque è in qualche misura ricostruttiva, de­-
ve dare a ciascun testimone il peso che la sua collocazione nella tradizione
consente di assegnargli, e il testo dovrà essere una sintesi, la piú obiettiva
possibile, di questo equilibrio. Ciò non implica necessariamente uno stem-
ma che conduca direttamente al presunto originale, o alla sua anticamera.
Ma fin dove lo stemma probabilisticamente si lascia individuare, il suo fun-
zionamento è garanzia di interpretazione della diacronia: anche qualora se
ne disegnassero solo le linee parziali, o i cosiddetti piani bassi (possibili­
tà ammessa anche da Bédier),73 l’edizione rappresenterà quella parte della

73. Bédier, La tradition manuscrite du ‘Lai de l’Ombre’, cit., p. 71: « presque toujours les princi-

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tradizione. Uno stemma in fondo esiste per l’Estoire del Graal, ma Jean-Paul
Ponceau si è limitato ad usarlo per correggere gli errori del suo ms.-base, e
nient’altro della varia lectio è offerto dall’apparato;74 le linee principali di uno
stemma esistono per il Tresor di Brunetto Latini, ma Pietro Beltrami, che
pure agisce con logica stemmatica sui testimoni della prima e principale
famiglia, rispetta comunque il ms.-base « fin dove sia accettabile », e dà con-
to nell’apparato soltanto delle sue lezioni corrette.75

Per concludere con un esempio in positivo di ciò a cui penso, vorrei pre-
sentare in estrema sintesi come sarà costruita l’edizione del ciclo di Guiron,
l’unico grande corpus arturiano che sia rimasto tuttora inedito, anche per la
presunta eccezionale difficoltà di ridurre a un quadro stabile la sua complessa
tradizione manoscritta. Una sfida dunque non facile, che abbiamo intrapreso
con Richard Trachsler sulla base della tesi di dottorato di Nicola Morato,76 e
alla quale lavora un gruppo di ricerca tra Siena, Parigi e Göttingen.77
Per il Meliadus, la prima branche del ciclo, Morato ha proposto un’ipotesi
di sistemazione genealogica della tradizione, sulla base di una collazione in­
tegrale dei 17 testimoni (16 manoscritti e la princeps) su ventuno loci critici,
dimostrando tra l’altro che il ms. BnF fr. 350, ms.-base della ricostruzione di
Lathuillère e di altri progetti di edizioni ad essa conseguenti, è fortemente
contaminato78 (e forse proprio averlo preso come punto di riferimento ha

paux groupements de manuscrits y apparaissent déterminés de façon très juste, ceux que l’on
aligne au bas du tableau: la base de la construction, le rez-de-chaussée, est solide ».
74. L’Estoire del saint Graal, éditée par J.-P. Ponceau, 2 voll., Paris, Champion, 1997.
75. Brunetto Latini, Tresor, a cura di P.G. Beltrami, P. Squillacioti, P. Torri, S. Vatte-
roni, Torino, Einaudi, 2007 (la citaz. a p. xxx).
76. N. Morato, Il ciclo di ‘Guiron le Courtois’. Strutture e testi nella tradizione manoscritta, Tesi di
Dottorato, Università di Siena, 2008, ora rielaborata e uscita in volume: Firenze, Edizioni del
Galluzzo, 2010.
77. Al “Gruppo Guiron”, oltre a Nicola Morato, collaborano Sophie Albert, Fabrizio Ci-
gni, Claudio Lagomarsini, Francesco Montorsi, Patrick Moran, Anne Salamon; a diverso ti-
tolo, per l’analisi dei manoscritti, anche Nathalie Koble, Anne Schoysman, Fabio Zinelli. Il
progetto è promosso dalla Fondazione Ezio Franceschini con l’Università di Siena e dall’Uni-
versität Göttingen, con il coinvolgimento dell’Université de Lausanne (tramite Marco Pralo-
ran), e la collaborazione della Bibliothèque nationale de France.
78. Cfr. R. Lathuillère, ‘Guiron le Courtois’: étude de la tradition manuscrite et analyse critique,
Genève, Droz, 1966, e ora N. Morato, Un nuovo frammento del ‘Guiron le Courtois’. L’incipit del
ms. BnF fr. 350 e la sua consistenza testuale, in MR, xxxi 2007, pp. 241-85; poi Id., Il ciclo di Guiron le
Courtois, cit., pp. 275-403. Queste le sigle utilizzate: 338 = BnF, fr. 338; 350 = BnF, fr. 350; 355 =
BnF, fr. 355; 356 = BnF, fr. 356; 359 = BnF, fr. 359; 5243 = BnF, n.a.fr. 5243; A1 = Arsenal 3325; A2
= Arsenal 3477; C = Cologny-Genève, Fondation Martin Bodmer, 96; Fe = Ferrell 5, collezio-
ne privata (ex Ludwig XV 6, ora in prestito a Cambridge, Corpus Christi College, Parker

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il testo come ipotesi

creato in Lathuillère l’illusione ottica che tutta la restante tradizione fosse


inguaribilmente contaminata, mentre era contaminato il ms.-base). Pro-
pongo qui le linee principali dello stemma che deriva dal lavoro di recensio
di Morato, e che risulta stabile per la gran parte del Meliadus, fino cioè al
punto (nei dintorni di Lath. 40) in cui le due forme – ciclica e non ciclica
– del romanzo vengono a congiungersi, con cambiamenti di fonte che si
sovrappongono alla riduzione delle testimonianze.79
Nell’impossibilità pratica di registrare nell’apparato una collazione esau-
stiva di tutta la tradizione, si sono scelti uno o due rappresentanti per ogni
famiglia o sottofamiglia (sono i codici sottolineati nello stemma), privile-
giando i testimoni meno propensi a rielaborazioni autonome. Dal confron-
to integrale della loro lezione il testo si costituirà senza la guida di un ms.-
base, tenendo presente la dinamica dello stemma:
w

a b

g d

5243 3501-2 Fi L1 A1 Fe V2 338 356 A2 L3 C T 359 355 Gp

Naturalmente, un manoscritto deve essere prescelto per la facies grafico-


linguistica del testo critico, quella che Monfrin definiva la surface (vd. sopra,
n. 21). Ne abbiamo parlato all’inizio, è questa l’accezione tradizionale del

Library, Ferrel 5); Fi = Laur. Ashb. 123; L1 = British Library, Add. 12228; L3 = British Library,
Add. 36673; T = Torino, Biblioteca Nazionale Universitaria, L.I. 7-8-9; V2 = Marciano fr. XV;
Gp = stampa Galliot du Pré, 1528. Nello stemma non compare il ms. BnF, fr. 340, il cui testo
comincia dopo Lath. 40, collocandosi nell’ambito di d.
79. Nell’ultima parte del testo d passa sotto a; inoltre g, cui afferiscono anche 3502 e 359, si
arresta e passa alla redazione ciclica, mentre A1 e 5243, lacunosi, e Fi, antologico, si fermano
prima, 340 è molto parziale, V2 iperinnovativo. Anche per la parte di testo che precede Lath.
40, la recensio permette di dimostrare i piani alti e intermedi, mentre sfuggono in parte i piani
bassi (anche se siamo sicuri che nessuno dei testimoni sia descriptus). Per questa indetermina-
tezza, per il fatto che a piani bassi il grado di probabilità della sistemazione non può ancora
dirsi allineato tra l’alta verosimiglianza e la certezza, Morato nel vol. cit. non azzarda il disegno
di uno stemma. Tuttavia i rapporti sicuri o altamente probabili che emergono dalla recensio e
che sono rappresentati nello stemma, anche per il fatto che il nostro sforzo editoriale punta
verso l’alto, risultano, come vedremo, tutto sommato sufficienti all’attuazione del nostro mo-
dello di constitutio textus.

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concetto di ms.-base, che determina soltanto la veste formale, senza pre-


giudicare le scelte circa la sostanza testuale. Sarà semmai da precisare – e ci
proponiamo di farlo – quali debbano essere i limiti di questa facies, quale la
tipologia dei fatti che rientrano nell’ambito di ciò che definiamo la forma
linguistica di un testo, e nella fattispecie di un testo in prosa (non solo grafia
e fonetica, ma anche – fino a che punto? – morfologia, ordine delle parole,
ecc.). È evidente che il manoscritto prescelto, soprattutto nel caso di testi in
volgare, determinerà in misura non lieve il testo critico. Anche per questo,
i criteri con cui andrà individuato non potranno essere esclusivamente l’an-
tichità cronologica e la pertinenza linguistica, anzi su questi dovrà prevale-
re, ove necessario, la “competenza” testuale, ovvero l’affidabilità della tra-
dizione in esso confluita, in modo da limitare il piú possibile inserti alloge-
ni nel testo critico (inserti che pongono certo un problema di omogeneità
al testo ricostruito, ma in misura non maggiore di quanto accade per i testi
fondati su un ms.-base corretto ricorrendo ad altri manoscritti).
Tutto ciò sarà piú dettagliatamente esposto, come si conviene, nell’intro-
duzione al primo volume dell’edizione. Qui mi preme soltanto esemplificare
la procedura di costituzione del testo che stiamo cercando di definire. Ripor-
to quindi il testo, ancora provvisorio, di due paragrafi della futura edizione
Morato, dalla parte iniziale del Meliadus, con il relativo apparato critico (che
registra tutte le varianti sostanziali dei testimoni presi in considerazione):

23. Ensint malmenéz et si sanglent 1 com le damoisel estoit, le portent il devant


l’empereor; et li dient que ocis est tout orendroit. Li empereres, qui voit cestui fait,2
enraige de duel et forsene, car il amoit le damoisel trop merveilleusement.3 Il de-
mande: 4 « Qui a ce fait? ».5 Et cil qui a Esclabor voloient mal de mort, dient tout
maintenant: 6 « Sire, sire! Qui le poit faire, fors celui qui avec lui chevauchoit? Escla-
bor si estoit avec lui, nul autre de tout le monde il n’i avoit. Aucunes7 paroles par
aventure vindrent 8 entre le damoisel et Esclabor;9 et Esclabor,10 qui plus estoit fort
et qui estoit montéz en si11 grant orgoill com nous savom tuit,12 l’ocist adonc. Nul
autre ne le pot ocirre, car nul autre n’estoit avec lui ».13
24. Quant l’empereor14 ot ceste novele, il ne set qu’il doie respondre:15 il amoit
de si grant amour Esclabor que, se il fust son fill charnel, il nel peüst plus amer.16

1 si sanglent 3502 338 356 C L3] en tel mainere L1; si ensanglenté Fe   2 voit cestui fait L1
Fe] che voit 3502 338 356 C L3   3 merveilleusement] et forment le tenoit chier add. L1   4
demande] tout errament a cels qui devant lui estoient add. L1   5 Qui a ce fait? L1 Fe] qui che
avoit feit 3502 338 356 C L3   6 tout maintenant] om. Fe   7 Aucunes] Eun en aucunes Fe   8
vindrent] meürent L3   9 entre le damoisel et Esclabor L1 3502] entre lui et le damoisel Fe;
entre Esclabor et Gracien 338 356 C L3   10 Et Esclabor] om. 3502   11 en si] ensint L1; el molt
Fe   12 cum nous savom tuit] com vos meesmes savéz L1; la add. Fe; tuit om. 356 C L3   13
3502 L3 non paragrafano   14 empereor] epereor L1   15 respondre] faire C; dire L3   16 il

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il testo come ipotesi

Mes quant il li a tant meffait qu’il li a son neveu ocis, se ceste amor torne en haÿne,
ce n’est17 mie trop grant merveille. Et qu’en diroie? Pris est tout maintenant Escla-
bor18 et mis19 en prison par le comandament l’empereor. Le duel est grant par tou-
te20 Rome por la mort del damoisel, poi a home21 qui nel plaigne. Mis est en terre22
a tel honor com l’en devoit tel home metre, a la maniere et a la guise que li gentill
home estoient enterré.23 A celui tens,24 l’empereor meesmes en fait trop gran duel:
dolent est molt durement,25 ne ce n’est mie grant merveille. Quant Esclabor se voit
en tel maniere emprisonné26 por achoison27 de cestui fait dont il n’estoit mie colpa-
ble, ensint com il meesmes set,28 se il est durement esmaiéz29 nel demandéz. Il ne
set qu’il doie dire30 en ceste perilleuse aventure, bien set que l’empereor li velt
orendroit 31 mal de mort.

amoit de si grant amour Esclabor que, se il (com s’il 338 356) fust son fill charnel il nel peüst
plus amer 3502 Fe 338 356] il estoit molt durement corrociéz que il amoit L1; charnel om. C
L3   17 ce n’est] ce L3   18 Esclabor] om. Fe   19 mis] m(…) L1   20 toute] tote e Fe   21
poi a home] poy en y avoit C L3   22 en terre] en tel L3   23 que li gentill home estoient
enterré L1] que gentill home doit estre enterés 3502; qe l’en metoit en terre gentil home Fe; de
gentil homme 338 356 C L3   24 A celui tens L1 3502 Fe] om. 338; Et 356 C L3   25 durement
L1 C L3] om. 3502 Fe 338 356   26 emprisonné] en prison Fe   27 por achoison] et achoisoné
Fe   28 set] tot certainement add. L1   29 esmaiéz L1 Fe] esbahis 3502 338 356 C L3   30 dire]
om. Fe   31 orendroit] om. Fe

I criteri per la costituzione del testo partono dalla constatazione che la fa­
miglia a – per la gran maggioranza composta da manoscritti copiati in Ita­-
lia – rappresenta lo stadio piú conservativo e affidabile della tradizione, tra­
man­dando il Meliadus ancora al di fuori del ciclo di Guiron, e che al suo inter-
no il testimone che si segnala per regolarità e minore innovatività è L1, ita-
liano di metà sec. XIV. L1 è dunque stato prescelto come fonte della veste
linguistica, destinata a rimanere arbitraria e senza connessioni necessarie di
data e area con il supposto originale (per cui peraltro abbiamo una data, 1230-
1240, ma ancora non un luogo). Per i fatti che consideriamo di sostanza, in-
vece, alla testimonianza di L1 non è attribuito maggior valore di quella degli
altri manoscritti considerati, nella misura dei valori attribuiti dallo stemma.
La lezione di L1 è dunque lasciata in apparato non solo per errori banali
(11 ensint, 14 epereor, 19 due lettere illeggibili) o guasti piú importanti (16, con
giro di frase che appare insensato), ma anche quando è pienamente accet-
tabile nel contesto, se risulta però isolata dallo stemma: nel nostro esempio
si tratta di varianti di L1 contrapposte a tutto il resto della tradizione (1 en tel
mainere vs si sanglent, 12 com vos meesmes savéz vs cum nous savom tuit), o di sue
aggiunte autonome (3, 4, 28: sempre precisazioni inessenziali). Per essere
accolta a testo, la lezione di L1 deve essere confermata almeno dall’altro ra­
mo di a, rappresentato da Fe: è il caso di 2 qui voit cestui fait vs qui che voit,

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lino leonardi

analogo a 5 Qui a ce fait? vs qui che avoit feit, e di 24 A celui tens vs Et (qui c’è
anche entro a l’assenso di 3502, mentre entro b 338 omette la congiunzione)
e 29 esmaiéz vs esbahis; l’accordo di 3502, in tre casi su quattro, con la variante
del ramo b non sposta la valutazione stemmatica a favore di quest’ultimo,
stante la natura potenzialmente contaminata di quell’importante testimo-
ne. Ciò non toglie che l’appoggio di 3502, laddove Fe diverga da b, è suffi-
ciente a portare L1 a testo: è il caso di 9 entre le damoisel et Esclabor vs entre lui
et le damoisel Fe, entre Esclabor et Gracien b, e anche – meno precisamente – di
23, dove 3502 differisce solo lievemente da L1.80
Cosa si propone dunque un’edizione cosí costruita? Di restituire con
precisione il testo dell’autore? O quello di un capostipite di famiglia, dicia-
mo a? A ben vedere, quelle che ho riassunto qui sono le linee di un’ipotesi
che non pretende di riesumare la fiducia ottocentesca nella ricostruzione
meccanica dell’originale o dell’archetipo, ma sí intende proporre un testo
che abbia l’ambizione di dare conto della tradizione manoscritta, e di inter-
pretarne la variazione per quanto è possibile risalire nella diacronia. Esso
rappresenterà lo stadio di volta in volta raggiungibile, e l’apparato indiche­
rà quando si tratti dei piani altissimi dello stemma (archetipo o originale,
quando la tradizione sia unanime), oppure della famiglia a, oppure della
sottofamiglia di L1, quando non del solo individuo L1.

In fondo, una prospettiva come quella che ho cercato di definire potreb-


be facilmente intitolarsi, e la intitolerei volentieri, Old Philology, vecchia
filologia. Ma forse, come mi è già capitato di dire in un’altra occasione, è
giunto il momento di provare a riconoscere che questa prospettiva è la piú
efficace per tornare a dare un senso possibile ad una Filologia testuale senza
altri aggettivi, che intenda recuperare un suo ruolo credibile nelle scienze
umane del ventunesimo secolo, proponendo i testi del passato in edizioni
che siano affidabili per i lettori di oggi, in quanto in grado di interpretare il
testo medievale nella sua natura problematica, e di dar conto tramite l’ap-
parato della dimensione diacronica della sua tradizione.

Lino Leonardi
Università di Siena
direzione@medioevoromanzo.it

80. La recensio indica una remota possibilità di congiunzione tra L1 e A1 Fe V2 che, se do-
vesse trovare ulteriori riscontri, potrebbe indurre ad attribuire il loro accordo a contaminazio-
ne, rivalutando la testimonianza di 3502. Per questi luoghi occorrerà prevedere eccezional-
mente il controllo su 5243 Fi (purché attestino i passi in questione), per verificare se conferma-
no L1 o 3502.

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