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OTELLO di Carmelo Bene

Otello o la deficienza della donna è uno spettacolo teatrale del 1979, riedito nel 1985, diretto,
curato e interpretato[2] da Carmelo Bene, tratto da Shakespeare. Musiche di Luigi Zito.

2002 – Otello o la deficienza della donna di William Shakespeare secondo Carmelo Bene,
riprese del 1979; girato in due pollici, durata circa 15 ore, presso gli studi Rai di Torino; montaggio
2001/2002 di C.B. e M. Fogliatti; regia scene, costumi e interprete[2] principale C.B.; musiche L.
Zito; altri interpreti: C. Cinieri, M. Martini, L. Bosisio, C. Dell'Aguzzo, J. P. Boucher; produzione
RAI; in onore di Carmelo Bene proiettato in prima internazionale al Teatro Argentina il 18 marzo
2002.; durata 76’ 46”.

L' ultima lettera di Carmelo Bene


Quel «sì» a Renato Parascandolo per il film Otello, il suo testamento
Questa storia starebbe tutta in una riga, scritta a macchina e sperduta in un foglio che sembra troppo
grande: «Con la presente dichiaro che il montaggio di Otello è da ritenersi concluso». La firma, Carmelo
Bene, è sormontata da una sigla dalla grafia incerta. E la data: 12 marzo 2002. Carmelo Bene sarebbe
morto quattro giorni dopo. Sono passati dieci anni e il ricordo di questo straordinario artista della fonè, dell'
interpretazione e dell' eccesso, continua a dividere devoti e refrattari. Di certo non merita la banalità delle
celebrazioni o la volgarità di qualche gioco di parole, lui che la parola considerava una divinità per farsene
sacerdote. Quella lettera, l' ultima lettera che ha scritto, era indirizzata a Renato Parascandolo, all' epoca
direttore di Rai Educational, di fatto l' uomo che ha inventato questo canale culturale. È con lui che
ripercorriamo la storia che l' ha preceduta. «L' Otello di Carmelo Bene venne registrato nella primavera del
1979 a Torino negli studi della Rai - racconta Parascandolo - con una tecnica allora d' avanguardia: c' erano
cinque telecamere e ciascuna riversava su un video registratore diverso. Il montaggio sarebbe stato fatto
successivamente disponendo quindi di cinque riprese contemporanee. Avrebbe dovuto essere montato nel
corso dell' estate prima che ripartisse la stagione teatrale». Carmelo Bene raccontò a Parascandolo di aver
cominciato a montare quel film, «nella palazzina Persichetti una traversa di via Teulada dove c' erano tutte le
moviole della Rai. Montava, rismontava, non era convinto. Un giorno andò a trovare in una moviola vicina
Michelangelo Antonioni che stava montando Il mistero di Oberwald , ma dopo aver visto lavorare Antonioni
tornava alla sua e rismontava tutto». Cominciò la stagione teatrale e Carmelo Bene abbandonò il film. «Così
quel materiale originale è rimasto nei magazzini Rai di Torino per più di vent' anni. La Rai - spiega
Parascandolo - come la maggior parte delle televisioni conserva solo il materiale trasmesso e non il girato
originale, forse qualcuno si rese conto che quel materiale non andava buttato». Quel silenzio si rompe
improvvisamente nel 2000. È lo stesso Carmelo Bene a telefonare a Parascandolo: «L' avevo conosciuto
una sera tanti anni prima, una sola volta e lui mi dava del lei. "Io in televisione guardo solo le partite di calcio
- mi disse - e i programmi di Rai Educational di cui sono un ammiratore. Di lei mi fido e voglio farle un regalo.
Voglio concludere il montaggio dell' Otello"». Le prime reazioni di Renato Parascandolo furono di sorpresa e
preoccupazione: «Carmelo Bene aveva la nomea di essere molto esoso nelle richieste economiche e i miei
budget non sono mai stati ricchi. Ma lui insistette che si trattata proprio di un regalo ad una persona di cui si
fidava. Ci incontrammo e mi raccontò la storia del film, dicendo che considerava Otello il capolavoro della
sua vita, la cosa più bella che aveva fatto e che purtroppo era rimasta incompiuta. Mi disse esplicitamente
che non voleva nessun compenso e mi sentii ovviamente onorato». Parascandolo era preoccupato di trovare
qualcosa dopo tanti anni: «Devo fare un elogio alla Rai di Torino per la cura con cui l' avevano conservato. E
bene. Fu ritrovato tutto il materiale ma un primo intoppo venne dal fatto che Carmelo, consapevole delle sue
condizioni di salute già precarie e non potendo andare a Torino, pose come condizione che il montaggio
fosse affidato a quella che nel 1979 era l' assistente alla regia televisiva dell' Otello, Marilena Fogliatti. Ma lei
era andata in pensione. Per le regole interne della Rai non sarebbe stato possibile farla lavorare, ma l'
eccezionalità dell' occasione ci permise di fare un' eccezione». E da quel momento cominciò una piccola
odissea: Marilena Fogliatti riversa su Vhs tutto il materiale, lei viene a Roma a prendere istruzioni da
Carmelo Bene. E comincia a fare avanti e indietro per sei sette volte con Torino per riportare ogni volta lo
stato di avanzamento del lavoro. Dopo mesi il lavoro il montaggio era concluso. «Ma l' Odissea non era finita.
Perché Carmelo Bene - prosegue Parascandolo - comincia a trovare una serie di errori, fa continue richieste

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di tagli, aggiunte, rifacimenti. Una tela di Penelope. Tant' è che dopo la terza, quarta volta cominciai a
preoccuparmi, c' erano state spese, l' eccezione per la Fogliatti, un montaggio occupato per otto mesi e
chiesi a Carmelo Bene di firmare almeno la liberatoria. E un giorno gliela portai a casa. Lui firmò con una
sola clausola: che la trasmissione doveva essere autorizzata da lui nel momento in cui avesse ritenuto
concluso il montaggio. Non mi resi conto che era una clausola micidiale». Infatti, da quel momento, ad ogni
nuova versione Carmelo Bene eccepiva nuove obiezioni, sul sonoro soprattutto «sapete che io sono un
maniaco del sonoro» ripeteva. «Una volta era "intubato", una volta c' erano troppi acuti, un' altra non era
perfettamente a sincrono. Era passato un anno da questo andirivieni e io lo pressavo. Un importante festival
spagnolo lo voleva mettere in concorso, glielo proposti e lui cominciò a urlare "il lavoro non è finito, io sono
malato, quel lavoro non è finito, non vi permettete di mandarlo da nessuna parte"». Carmelo Bene era già
ricoverato, parlava a fatica. Era la vigilia di Natale del 2001. «A quel punto mi rassegnai. Capii - racconta
Parascandolo - che non sarei riuscito a vincerla, non ne vedevo i motivi. Poi un sabato sera, verso le 11
ricevo una telefonata dalla segreteria di Walter Veltroni che era sindaco di Roma. Mi annunciano la morte di
Carmelo Bene: aveva disposto che non ci fossero funerali tradizionali, ma che al posto della bara dovesse
essere rappresentato al teatro Argentina per una intera giornata l' Otello, che considerava il suo testamento
artistico. Era il 16 marzo 2002. Lunedì 18 marzo, nelle prime ore del mattino mi arriva a casa una
raccomandata: conteneva la lettera di Carmelo Bene che autorizzava la trasmissione». «Compresi aprendo
quella lettera - dice Parascandolo - che in tutto quel periodo Carmelo Bene aveva pianificato il suo funerale,
la rappresentazione della sua morte. Mi sembrava di vivere in un racconto di Borges». Quello stesso 18
marzo 2002, l' Otello di Carmelo Bene venne proiettato ininterrottamente al teatro Argentina, davanti a un
flusso continuo di pubblico. Rai Educational lo programmò per una settimana. Poche settimane dopo fu il
festival di Cannes, nella «Quinzaine des Réalisateurs» a rendergli omaggio. «Aveva ragione - conclude
Parascandolo - di tante cose che Carmelo Bene ha fatto per la televisione quell' Otello era e resta un
capolavoro. E l' ha voluto affidare non a un amico, mi conosceva appena, ma alla Rai come servizio pubblico.
A una istituzione. Quindi a tutti».

Fallai Paolo
Corriere della Sera, 12 marzo 2012.

IL MESSAGGERO il 23 gennaio 1979


Ogni volta che Carmelo Bene si avvicina Shakespeare. si è tentati di riaprire il discorso del rapporto tra noi e
i classici, radicalmente scosso da quella che sembra non tanto una rivoluzione del gusto, quanto una
mutazione del senso della storia.
Si è anche tentati di affermarlo questo rapporto, cercando l'aspetto che l'autore ha preso per esaltarlo come
essenziale e per soddisfare un qualche specioso pregiudizio estetico o ideologico. Sono molti oggi in Italia, i
registi che pretendono di rinnovare un "classico" quando invece semplicemente lo forzano entro schemi
arbitrari, sottoponendosi ad artifici di messinscena. Carmelo Bene non è tra questi. Al suo terzo o quarto?!
incontro con Shakespeare, egli sopraggiunge a raccontarci uno Shakespeare affatto particolare anzi
straordinario, uno Shakespeare........."
Questo è ciò che scriveva entusiasticamente un giornalista, a proposito della prima teatrale assoluta
dell'Otello interpretato da Carmelo Bene. Anche in questo lavoro teatrale che definiva "degenere",
definizione peraltro usata per tutti i suoi lavori, le parti dialogate che si svolgevano sotto forma di monologo,
erano la parte più preponderante del lavoro e determinavano la perdita inevitabile del senso del discorso.
Infatti nelle sue performance, Carmelo Bene, a volte, si accollava anche la parte femminile, e per questo
motivo è sempre stato accusato dalle femministe di maltrattamenti verso le donne di teatro. Lui dal canto
suo, fornendo l'esempio dell'Otello, senza scomporsi minimamente rispondeva che quello: "era il suo più
grande omaggio fatto alla donna, in quanto "assente". Comunque a smentire questa sua asserzione, si
diceva che il suo letto fosse sempre pieno di donne e forse, erano le stesse donne che lo contestavano.
I brani musicali originali che accompagnano magistralmente le scene dell'Otello, sono stati composti e diretti
da un grande Maestro: Luigi Zito, scomparso di recente, molto conosciuto nell'ambito musicale ma
sconosciuto dal grande pubblico, le quali, creando quel certo pathos, coinvolgono lo spettatore nelle
particolari atmosfere che fanno parte del dramma shakeaspeariano. Il M° Zito, ha curato musicalmente,
buona parte dei lavori teatrali e televisivi di Carmelo Bene come "Romeo e Giulietta" del 1976, "Riccardo III -
secondo Carmelo Bene" .

C’era una volta… Carmelo Bene: Otello


Blogger Erranti — domenica, 16 dicembre 2012

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Otello o la deficenza della donna è uno spettacolo teatrale di Carmelo Bene del 1979; riproposto anche
nel 1985, avrà poi nel 2002 una versione televisiva, sulla quale ci soffermeremo. Le riprese dell’opera erano
già state effettuate nel 1979 negli studi Rai di Torino, per rimanere in sospeso fino al 2001, quando
finalmente il materiale viene recuperato e montato da Marilena Fogliatti sotto la supervisione di Carmelo
Bene, non solo autore, ma anche regista, attore e ideatore delle luci, dei costumi e dell’audio dell’opera (le
musiche sono invece affidate a Luigi Zito). Questo lavoro verrà proiettato per la prima volta al Teatro
Argentina il 18 marzo 2002, a due giorni dalla morte dell’artista salentino, e si può considerare il suo
testamento artistico. Infatti l’Otello è un’opera un po’ sofferta per Bene, il quale ne rimanda sempre l’uscita
chiedendo continue modifiche alla Rai, autorizzandone la proiezione solo a pochi giorni dalla morte.
Sullo schermo insieme a Bene troviamo: Michela Martini nella parte di Desdemona, Cosimo Cinieri per Iago,
Cesare Dell’Aguzzo sia per Cassio che per Braganzio e infine Lodovico, Beatrice Giorgi nelle vesti di
Roderigo e Rosella Bolmida nella parte di Emilia.
L’Otello di Bene ha come origine la versione di Shakespeare, tuttavia questa viene stravolta dal punto di
vista cronologico – tagliata, spezzettata, modificata e ricomposta; si comincia dalla fine, tutto è già avvenuto,
e si è immersi nella sospensione del tragico, realizzata nella continua ripetizione della morte di Desdemona.
Non c’è preoccupazione di sviluppare e portare a compimento la tragedia, dal momento che si è già nella
tragedia esausta.
Gli spazi sono bui e claustrofobici, non si intravedono le pareti; unico spiraglio di luce una scena con
Desdemona avvolta da drappi bianchi. Le inquadrature totali rivelano i pochi elementi scenici disposti in
maniera raccolta, e immersi nell’oscurità. Altre immagini rivelano che il pavimento è costituito da un enorme
specchio, mentre l’elemento protagonista indiscusso dell’opera beniana è il letto ricoperto di numerosi drappi
appoggiati con numerose pieghe. In alcune immagini troviamo abbondanti stoffe pure sul pavimento, o, in
altri momenti ancora, tessuti che si costituiscono come pareti, circoscrivendo lo spazio, e che con la loro
presenza ossessiva rimandano al fazzoletto perduto dalla protagonista femminile. Il montaggio è ricco di
primi piani e mezzi busti che aggravano ulteriormente i toni ossessivi e cupi dell’atmosfera dell’opera.
Anche in questa produzione si può per l’ennesima volta ritrovare conferma dell’attenzione che la macchina
attoriale CB nutre nei confronti della parte audio: l’accorto utilizzo dei microfoni e delle loro possibilità
espressive, le variazioni, la voce registrata inserita fuori sincrono rispetto alle immagini, l’orchestrazione
delle musiche, dei rumori e dei suoni concorrono a esplicitare per l’ennesima volta come la gestione
dell’audio in un’opera teatrale o video sia per Bene come la creazione di una partitura per concerto, ovvero
non di solo accompagnamento alle immagini (del tutto evitato è l’utilizzo del sonoro per rendere l’immagine
credibile o realista), ma anzi come strumento principe per cadere nell’oblio.
Più in generale, la partitura di ogni opera del maestro è creata cercando le massime possibilità espressive
del mezzo che viene utilizzato: nel caso di questo Otello, di natura audiovisiva, va sottolineato che non c’è
predominanza della storia sul testo, oppure del testo sull’audio o sulle immagini; CB, in altre parole, realizza
una lingua efficace e propria per lo schermo, senza partire dalla storia o dal testo per costruirvi sopra le

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immagini, ma facendo nascere audio e immagine assieme.
Questa breve rassegna su alcuni dei lavori di Bene si conclude qui con Otello, opera che si conferma
straordinaria ancora oggi, a più di dieci anni della morte dell’artista, e assolutamente da recuperare.

Scritto da Anna Silvestrini.

ateatro 61.65
Carmelo Bene: lo specchio mutante di Narciso
L'Otello televisivo tra Artaud e Deleuze
di Andrea Balzola

Premessa artaudiana: l’attore Eliogabalo


In occasione del centenario di Artaud, il Teatro di Roma diretto da Ronconi aveva organizzato un convegno
in cui metteva a confronto il Maestro francese con Carmelo Bene, una delle sue più eccellenti
"disincarnazioni" teatrali. Tema unificante dell’incontro non poteva non essere la fine, l’infarto definitivo del
"teatro di rappresentazione" teorizzato da Artaud e mostrato da Bene. Purtroppo le stagioni teatrali che
dominano i cartelloni italiani attuali continuano a ignorare felicemente che Artaud e Bene siano mai esistiti,
ma tant’è, i morti e i geni si celebrano, non si studiano e non s’interrogano. Sarebbe troppo scomodo e
affaticante. La differenza tra Artaud e Bene è la complementarità tra Pieno e Vuoto, se il primo teorizzava
per eccesso, il secondo agiva per difetto, per sottrazione, se Artaud voleva un palcoscenico saturo e un
attore posseduto da una trance cosmica, Bene svuotava la scena e riduceva il suo corpo a "macchina
attoriale", inefficace e inefficiente, attraversata e scossa da significanti impersonali. Carmelo reclamava "un
teatro senza spettacolo", una tragicomica ironia del niente.
Ma dove inizia la fine del teatro? Probabilmente fin dal suo primo vagito, perché la scena è il non luogo per
eccellenza, prima spazio sacro dove si celebrava ritualmente il divino, cioè l’invisibile, l’inudibile, l’ineffabile,
ciò che – per dirla con Carmelo – ci manca; poi spazio profano dove tutto è possibile e nello stesso tempo
impossibile, in quanto nulla a teatro è vero se non la finzione stessa. Lo sappiamo fin da bambini, ciò che
accade a teatro appare senza essere. Questo il suo paradosso essenziale, questa mancanza d’essere la
sua più profonda ragion d’essere. La scena non ha una natura propria, è e rimane vuota, anche se
momentaneamente riempita di oggetti, décor e soggetti. Così l’attore, che è "vanitoso" (cioè,
etimologicamente, vuoto), attraversato e/o posseduto dalle maschere e dai personaggi nel teatro classico e
borghese, dalle energie e dai significanti nel teatro post-artaudiano. In questo senso il grande attore non
rappresenta l’eroe tragico, è egli stesso il vero eroe tragi-comico, in quanto nella sua vanità rivela al mortale
suo simile l’illusione dell’io. Un eroe moderno, come suggeriva Lacan, "è colui che compie imprese derisorie
in situazioni di smarrimento". E sono proprio queste "imprese" che Carmelo ripeteva allo sfinimento in ogni
sua apparizione, derubando come prestanomi illustri, nobili controfigure, gli eroi più emblematici e
problematici di Shakespeare, sbranandoli (letteralmente: riducendoli a brani) con feroce crudeltà artaudiana
e con lacaniana chirurgia ironico-analitica. Come l’Eliogabalo di Artaud, l’attore Bene si dichiarava contento
di essere fatto a pezzi, ed è forse questo il principale anello di congiunzione tra lui e l’autore francese, fare a
pezzi la lingua e il testo affinché possa emergere "la parola prima delle parole", la voce di un’energia
primaria capace di svellere i generi e i codici per rianimare il corpo imbalsamato e scuotere la mente opaca
dell’attore e del pubblico, eliminare le mediazioni interpretative, concettuali ed ideologiche, spogliare il corpo
dei suoi organi attraverso l’anarchia del comico e la follia dell’estasi.

Lo specchio elettronico di Narciso


Quando incontrai Carmelo sul set dell’Otello televisivo, nel 1979, mi fece subito una domanda, mi chiese se
avevo letto Differenza e ripetizione di Deleuze, per lui il libro più importante. Superato il test, iniziò il dialogo
e potei seguire le riprese dell’Otello. Sicuramente una delle esperienze da spettatore più straordinarie,
perché vedevo nascere sotto i miei occhi un linguaggio. Bene azzerava l’uso ordinario del mezzo televisivo e
ripartiva da zero. Ripensava da zero anche la versione teatrale che era all’origine della trascrizione televisiva.
Agiva per sottrazione, cancellava le scenografie, aboliva campi medi, campi e controcampi, saturava i
contrasti cromatici abolendo i toni intermedi, facendo pittura elettronica, riduceva al minimo movimenti e
azioni degli attori, incollava l’inquadratura fissa ai primi piani.
Com’è noto, la scena dell’Otello di Bene era un fazzo-letto, su cui si consumava il dissolvimento del
protagonista nelle sue ossessioni. C’era una specularità tra il quadrato di quel letto-fazzoletto-prigione e lo
schermo video. Il paesaggio del volto dilagava sui resti di una scena smobilitata. Mi impressionava,
vedendolo da vicino, sul set e fuori dal set, la metamorfosi costante di un volto che nell’arco di pochi secondi
poteva tornare bambino o diventare anziano. Bene usava il monitor di controllo per modulare il suo volto
mutante, si specchiava nel monitor per ri-creare l’incantesimo narcisista dell’attore nel personaggio. La voce,

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spesso in play-back gli serviva come Eco, come una modulazione vocale che trasportava la modulazione
mimica. Carmelo era entrato nel recinto televisivo lasciato temporaneamente aperto dalla riforma Rai, come
un esploratore nella foresta elettronica.

Un'immagine dell'Otello o la deficienza della donna di Carmelo Bene nella versione teatrale.

Dopo aver messo a soqquadro il cinema, e la radio, occupava gli ordinati studi televisivi per dimostrare –
prima di tutto ai tecnici che lo assistevano perplessi – che la televisione, oltre ad essere un elettrodomestico,
come diceva Eduardo, poteva essere un linguaggio, trasmettere una poetica d’autore. In particolare, la
televisione poteva rivelare ciò che a teatro non era visibile e che al cinema era fuori misura: l’estetica del
primo e del primissimo piano (assai più tardi lo hanno imparato anche i professionisti della televisione), lo
schermo video specchiava in modo inedito il paesaggio mutevole del volto, induceva l’attore stesso a
scoprire come una faccia possa sostituire una scena, perché già essa stessa è una scena. Ed è qui che
Carmelo, grazie a questa esperienza televisiva, dispiega pienamente la sua ridefinizione poetica del mito di
Narciso, non come contenuto dell’opera ma come modalità della macchina attoriale.
Così Carmelo Bene riconduceva al grande attore il mito di Narciso, dichiarandolo in modo esplicito in uno dei
suoi scritti teorici più importanti: La voce di Narciso. Cresciuto nell’intramontabile tradizione italiana
dell’attore mattatore, Carmelo ne indossa i panni per farlo inciampare in un cortocircuito, ne riproduce
l’enfasi del gesto e della re-citazione, per smontarla dall’interno: il grande attore catturato dallo specchio si
disfa progressivamente degli organi del corpo e della parola, diventa un unico volto assoluto che vive del suo
riflesso. Carmelo diceva sempre che agli incontri televisivi, veri e propri ring del paradosso, lui mandava la
sua controfigura, e i suoi primi piani ce lo confermavano: ci facevano vedere il suo volto mutante,
ostentatamente truccato e artefatto nelle espressioni, più attore che sulla scena. Non c’era infatti alcuna
soluzione di continuità tra la sua "assenza" teatrale e la sua "assenza" pubblica, Narciso non distoglieva mai
lo sguardo dallo specchio (Lydia Mancinelli mi ha poi confermato che Carmelo era ossessivamente attratto
dagli specchi), e se per un attimo ne era distratto, subito vi ritornava.
L’incantesimo narcisistico presuppone la coazione a ripetere, se Narciso distoglie il volto dallo specchio non
può resistere, torna a guardarsi. Ma si rivede ogni volta più limpidamente perché lo sguardo scava ogni
dettaglio, si rivede ogni volta diverso perché il volto non cessa di trasformarsi. La ripetizione concentra,
pulisce, spoglia, porta all’essenziale, si dice dei grandi poeti che abbiano la vocazione al silenzio, ma per
raggiungere, per meritare, quel silenzio devono trascorrere la loro esistenza – come Campana o Hölderlin –
nell’ossessione del verso, verso che prima è incantesimo di un suono e poi diventa indice di una direzione:
verso il silenzio. Perciò Carmelo insisteva sul rigore e citava Schopenauer: "il talento fa ciò che vuole, il
genio solo ciò che può". L’ossessione percorre una linea di necessità, si fonda sulla ripetizione del gesto e
dell’emissione e sulle differenze che quella accanita ripetizione produce. Bene ritornava sempre con gli
stessi fantasmi, i suoi doppi, Amleto, Otello, Macbeth, Riccardo III, Pinocchio, ogni volta più immobili, afasici,
denudati, svogliati, su una scena sempre più vuota. Per questo Bene trovava in Deleuze il suo mentore,
Deleuze che in quel meno noto e bellissimo saggio Marcel Proust e i segni (1967), scriveva: " Che altro si
può fare dell’essenza, differenza ultima, se non ripeterla, dal momento che non ha surrogati e nulla può
venirle sostituito?... Differenza e ripetizione si oppongono soltanto in apparenza. Non vi è grande artista, la
cui opera non ci spinga a dire: ‘Lo stesso, eppure altro’... In verità, differenza e ripetizione rappresentano le

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due potenze dell’essenza, inseparabili e correlative. Un artista non invecchia col ripetersi, perché la
ripetizione è potenza della differenza, così come la differenza è potere della ripetizione."
Lo specchio di Narciso non duplica soltanto, moltiplica. Bene pensava al testo stesso come uno specchio
dell’autore che si frantuma in una molteplicità di identità, che il drammaturgo chiama personaggi, così l’intera
fabula drammaturgica si rivela come una proiezione interiore dei volti dell’autore, e a questi volti si
sovrappone quello dell’attore. I personaggi diventano così i doppi incarnati di un doppio protagonista, che è
l’autore e l’attore insieme, dove i ruoli maschili e femminili s’invertono o si mescolano, maschere prive di
un’identità certa, satelliti di una voce molteplice ed insieme unica che istericamente testimonia la propria
afasia. Essendo interiore il testo infatti non può essere detto, diviene irrappresentabile e si dà soltanto per
frammenti, indizi, rivelando parodicamente l’irriducibilità di qualsiasi testo profondo alla scena della parola,
all’ordine del discorso. Il testo da rappresentare si trasforma in un pretesto per dichiarare l’impossibilità, il
fallimento, ironico e patetico, della rappresentazione. Ma questa parola interdetta non è un insensato vicolo
cieco, frantumandosi diventa balbuziente od ossessiva, tenta di liberarsi in phoné, verso, suono e canto.
Come uno specchio che riflettendone un altro, si moltiplica all’infinito, la finitezza dell’attore portata
ossessivamente allo sfinimento dei propri limiti si apre all’infinito. E ricrea il mito, anche a costo della vita.
Narciso si addormenta dentro il suo volto e sogna di morire, mentre la scena vuota attende il risveglio del
pubblico.

Roma, ottobre 2002

Otello di Carmelo Bene (1979-2001, Italia, 70', Betacam SP) è stato girato negli studi Rai di Torino nel
1979 e finalmente montato nel 2001, come produzione RaiEducational, da Marilena Foglietti, aiuto regista
d'allora di Bene, in conformità alle indicazioni del Maestro. Dopo la morte di Carmelo Bene, Otello è stato
presentato al Teatro Argentina e al Torino Film Festival e trasmesso da RAI 3. 


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