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Otello o la deficienza della donna è uno spettacolo teatrale del 1979, riedito nel 1985, diretto,
curato e interpretato[2] da Carmelo Bene, tratto da Shakespeare. Musiche di Luigi Zito.
2002 – Otello o la deficienza della donna di William Shakespeare secondo Carmelo Bene,
riprese del 1979; girato in due pollici, durata circa 15 ore, presso gli studi Rai di Torino; montaggio
2001/2002 di C.B. e M. Fogliatti; regia scene, costumi e interprete[2] principale C.B.; musiche L.
Zito; altri interpreti: C. Cinieri, M. Martini, L. Bosisio, C. Dell'Aguzzo, J. P. Boucher; produzione
RAI; in onore di Carmelo Bene proiettato in prima internazionale al Teatro Argentina il 18 marzo
2002.; durata 76’ 46”.
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di tagli, aggiunte, rifacimenti. Una tela di Penelope. Tant' è che dopo la terza, quarta volta cominciai a
preoccuparmi, c' erano state spese, l' eccezione per la Fogliatti, un montaggio occupato per otto mesi e
chiesi a Carmelo Bene di firmare almeno la liberatoria. E un giorno gliela portai a casa. Lui firmò con una
sola clausola: che la trasmissione doveva essere autorizzata da lui nel momento in cui avesse ritenuto
concluso il montaggio. Non mi resi conto che era una clausola micidiale». Infatti, da quel momento, ad ogni
nuova versione Carmelo Bene eccepiva nuove obiezioni, sul sonoro soprattutto «sapete che io sono un
maniaco del sonoro» ripeteva. «Una volta era "intubato", una volta c' erano troppi acuti, un' altra non era
perfettamente a sincrono. Era passato un anno da questo andirivieni e io lo pressavo. Un importante festival
spagnolo lo voleva mettere in concorso, glielo proposti e lui cominciò a urlare "il lavoro non è finito, io sono
malato, quel lavoro non è finito, non vi permettete di mandarlo da nessuna parte"». Carmelo Bene era già
ricoverato, parlava a fatica. Era la vigilia di Natale del 2001. «A quel punto mi rassegnai. Capii - racconta
Parascandolo - che non sarei riuscito a vincerla, non ne vedevo i motivi. Poi un sabato sera, verso le 11
ricevo una telefonata dalla segreteria di Walter Veltroni che era sindaco di Roma. Mi annunciano la morte di
Carmelo Bene: aveva disposto che non ci fossero funerali tradizionali, ma che al posto della bara dovesse
essere rappresentato al teatro Argentina per una intera giornata l' Otello, che considerava il suo testamento
artistico. Era il 16 marzo 2002. Lunedì 18 marzo, nelle prime ore del mattino mi arriva a casa una
raccomandata: conteneva la lettera di Carmelo Bene che autorizzava la trasmissione». «Compresi aprendo
quella lettera - dice Parascandolo - che in tutto quel periodo Carmelo Bene aveva pianificato il suo funerale,
la rappresentazione della sua morte. Mi sembrava di vivere in un racconto di Borges». Quello stesso 18
marzo 2002, l' Otello di Carmelo Bene venne proiettato ininterrottamente al teatro Argentina, davanti a un
flusso continuo di pubblico. Rai Educational lo programmò per una settimana. Poche settimane dopo fu il
festival di Cannes, nella «Quinzaine des Réalisateurs» a rendergli omaggio. «Aveva ragione - conclude
Parascandolo - di tante cose che Carmelo Bene ha fatto per la televisione quell' Otello era e resta un
capolavoro. E l' ha voluto affidare non a un amico, mi conosceva appena, ma alla Rai come servizio pubblico.
A una istituzione. Quindi a tutti».
Fallai Paolo
Corriere della Sera, 12 marzo 2012.
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Otello o la deficenza della donna è uno spettacolo teatrale di Carmelo Bene del 1979; riproposto anche
nel 1985, avrà poi nel 2002 una versione televisiva, sulla quale ci soffermeremo. Le riprese dell’opera erano
già state effettuate nel 1979 negli studi Rai di Torino, per rimanere in sospeso fino al 2001, quando
finalmente il materiale viene recuperato e montato da Marilena Fogliatti sotto la supervisione di Carmelo
Bene, non solo autore, ma anche regista, attore e ideatore delle luci, dei costumi e dell’audio dell’opera (le
musiche sono invece affidate a Luigi Zito). Questo lavoro verrà proiettato per la prima volta al Teatro
Argentina il 18 marzo 2002, a due giorni dalla morte dell’artista salentino, e si può considerare il suo
testamento artistico. Infatti l’Otello è un’opera un po’ sofferta per Bene, il quale ne rimanda sempre l’uscita
chiedendo continue modifiche alla Rai, autorizzandone la proiezione solo a pochi giorni dalla morte.
Sullo schermo insieme a Bene troviamo: Michela Martini nella parte di Desdemona, Cosimo Cinieri per Iago,
Cesare Dell’Aguzzo sia per Cassio che per Braganzio e infine Lodovico, Beatrice Giorgi nelle vesti di
Roderigo e Rosella Bolmida nella parte di Emilia.
L’Otello di Bene ha come origine la versione di Shakespeare, tuttavia questa viene stravolta dal punto di
vista cronologico – tagliata, spezzettata, modificata e ricomposta; si comincia dalla fine, tutto è già avvenuto,
e si è immersi nella sospensione del tragico, realizzata nella continua ripetizione della morte di Desdemona.
Non c’è preoccupazione di sviluppare e portare a compimento la tragedia, dal momento che si è già nella
tragedia esausta.
Gli spazi sono bui e claustrofobici, non si intravedono le pareti; unico spiraglio di luce una scena con
Desdemona avvolta da drappi bianchi. Le inquadrature totali rivelano i pochi elementi scenici disposti in
maniera raccolta, e immersi nell’oscurità. Altre immagini rivelano che il pavimento è costituito da un enorme
specchio, mentre l’elemento protagonista indiscusso dell’opera beniana è il letto ricoperto di numerosi drappi
appoggiati con numerose pieghe. In alcune immagini troviamo abbondanti stoffe pure sul pavimento, o, in
altri momenti ancora, tessuti che si costituiscono come pareti, circoscrivendo lo spazio, e che con la loro
presenza ossessiva rimandano al fazzoletto perduto dalla protagonista femminile. Il montaggio è ricco di
primi piani e mezzi busti che aggravano ulteriormente i toni ossessivi e cupi dell’atmosfera dell’opera.
Anche in questa produzione si può per l’ennesima volta ritrovare conferma dell’attenzione che la macchina
attoriale CB nutre nei confronti della parte audio: l’accorto utilizzo dei microfoni e delle loro possibilità
espressive, le variazioni, la voce registrata inserita fuori sincrono rispetto alle immagini, l’orchestrazione
delle musiche, dei rumori e dei suoni concorrono a esplicitare per l’ennesima volta come la gestione
dell’audio in un’opera teatrale o video sia per Bene come la creazione di una partitura per concerto, ovvero
non di solo accompagnamento alle immagini (del tutto evitato è l’utilizzo del sonoro per rendere l’immagine
credibile o realista), ma anzi come strumento principe per cadere nell’oblio.
Più in generale, la partitura di ogni opera del maestro è creata cercando le massime possibilità espressive
del mezzo che viene utilizzato: nel caso di questo Otello, di natura audiovisiva, va sottolineato che non c’è
predominanza della storia sul testo, oppure del testo sull’audio o sulle immagini; CB, in altre parole, realizza
una lingua efficace e propria per lo schermo, senza partire dalla storia o dal testo per costruirvi sopra le
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immagini, ma facendo nascere audio e immagine assieme.
Questa breve rassegna su alcuni dei lavori di Bene si conclude qui con Otello, opera che si conferma
straordinaria ancora oggi, a più di dieci anni della morte dell’artista, e assolutamente da recuperare.
ateatro 61.65
Carmelo Bene: lo specchio mutante di Narciso
L'Otello televisivo tra Artaud e Deleuze
di Andrea Balzola
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spesso in play-back gli serviva come Eco, come una modulazione vocale che trasportava la modulazione
mimica. Carmelo era entrato nel recinto televisivo lasciato temporaneamente aperto dalla riforma Rai, come
un esploratore nella foresta elettronica.
Un'immagine dell'Otello o la deficienza della donna di Carmelo Bene nella versione teatrale.
Dopo aver messo a soqquadro il cinema, e la radio, occupava gli ordinati studi televisivi per dimostrare –
prima di tutto ai tecnici che lo assistevano perplessi – che la televisione, oltre ad essere un elettrodomestico,
come diceva Eduardo, poteva essere un linguaggio, trasmettere una poetica d’autore. In particolare, la
televisione poteva rivelare ciò che a teatro non era visibile e che al cinema era fuori misura: l’estetica del
primo e del primissimo piano (assai più tardi lo hanno imparato anche i professionisti della televisione), lo
schermo video specchiava in modo inedito il paesaggio mutevole del volto, induceva l’attore stesso a
scoprire come una faccia possa sostituire una scena, perché già essa stessa è una scena. Ed è qui che
Carmelo, grazie a questa esperienza televisiva, dispiega pienamente la sua ridefinizione poetica del mito di
Narciso, non come contenuto dell’opera ma come modalità della macchina attoriale.
Così Carmelo Bene riconduceva al grande attore il mito di Narciso, dichiarandolo in modo esplicito in uno dei
suoi scritti teorici più importanti: La voce di Narciso. Cresciuto nell’intramontabile tradizione italiana
dell’attore mattatore, Carmelo ne indossa i panni per farlo inciampare in un cortocircuito, ne riproduce
l’enfasi del gesto e della re-citazione, per smontarla dall’interno: il grande attore catturato dallo specchio si
disfa progressivamente degli organi del corpo e della parola, diventa un unico volto assoluto che vive del suo
riflesso. Carmelo diceva sempre che agli incontri televisivi, veri e propri ring del paradosso, lui mandava la
sua controfigura, e i suoi primi piani ce lo confermavano: ci facevano vedere il suo volto mutante,
ostentatamente truccato e artefatto nelle espressioni, più attore che sulla scena. Non c’era infatti alcuna
soluzione di continuità tra la sua "assenza" teatrale e la sua "assenza" pubblica, Narciso non distoglieva mai
lo sguardo dallo specchio (Lydia Mancinelli mi ha poi confermato che Carmelo era ossessivamente attratto
dagli specchi), e se per un attimo ne era distratto, subito vi ritornava.
L’incantesimo narcisistico presuppone la coazione a ripetere, se Narciso distoglie il volto dallo specchio non
può resistere, torna a guardarsi. Ma si rivede ogni volta più limpidamente perché lo sguardo scava ogni
dettaglio, si rivede ogni volta diverso perché il volto non cessa di trasformarsi. La ripetizione concentra,
pulisce, spoglia, porta all’essenziale, si dice dei grandi poeti che abbiano la vocazione al silenzio, ma per
raggiungere, per meritare, quel silenzio devono trascorrere la loro esistenza – come Campana o Hölderlin –
nell’ossessione del verso, verso che prima è incantesimo di un suono e poi diventa indice di una direzione:
verso il silenzio. Perciò Carmelo insisteva sul rigore e citava Schopenauer: "il talento fa ciò che vuole, il
genio solo ciò che può". L’ossessione percorre una linea di necessità, si fonda sulla ripetizione del gesto e
dell’emissione e sulle differenze che quella accanita ripetizione produce. Bene ritornava sempre con gli
stessi fantasmi, i suoi doppi, Amleto, Otello, Macbeth, Riccardo III, Pinocchio, ogni volta più immobili, afasici,
denudati, svogliati, su una scena sempre più vuota. Per questo Bene trovava in Deleuze il suo mentore,
Deleuze che in quel meno noto e bellissimo saggio Marcel Proust e i segni (1967), scriveva: " Che altro si
può fare dell’essenza, differenza ultima, se non ripeterla, dal momento che non ha surrogati e nulla può
venirle sostituito?... Differenza e ripetizione si oppongono soltanto in apparenza. Non vi è grande artista, la
cui opera non ci spinga a dire: ‘Lo stesso, eppure altro’... In verità, differenza e ripetizione rappresentano le
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due potenze dell’essenza, inseparabili e correlative. Un artista non invecchia col ripetersi, perché la
ripetizione è potenza della differenza, così come la differenza è potere della ripetizione."
Lo specchio di Narciso non duplica soltanto, moltiplica. Bene pensava al testo stesso come uno specchio
dell’autore che si frantuma in una molteplicità di identità, che il drammaturgo chiama personaggi, così l’intera
fabula drammaturgica si rivela come una proiezione interiore dei volti dell’autore, e a questi volti si
sovrappone quello dell’attore. I personaggi diventano così i doppi incarnati di un doppio protagonista, che è
l’autore e l’attore insieme, dove i ruoli maschili e femminili s’invertono o si mescolano, maschere prive di
un’identità certa, satelliti di una voce molteplice ed insieme unica che istericamente testimonia la propria
afasia. Essendo interiore il testo infatti non può essere detto, diviene irrappresentabile e si dà soltanto per
frammenti, indizi, rivelando parodicamente l’irriducibilità di qualsiasi testo profondo alla scena della parola,
all’ordine del discorso. Il testo da rappresentare si trasforma in un pretesto per dichiarare l’impossibilità, il
fallimento, ironico e patetico, della rappresentazione. Ma questa parola interdetta non è un insensato vicolo
cieco, frantumandosi diventa balbuziente od ossessiva, tenta di liberarsi in phoné, verso, suono e canto.
Come uno specchio che riflettendone un altro, si moltiplica all’infinito, la finitezza dell’attore portata
ossessivamente allo sfinimento dei propri limiti si apre all’infinito. E ricrea il mito, anche a costo della vita.
Narciso si addormenta dentro il suo volto e sogna di morire, mentre la scena vuota attende il risveglio del
pubblico.
Otello di Carmelo Bene (1979-2001, Italia, 70', Betacam SP) è stato girato negli studi Rai di Torino nel
1979 e finalmente montato nel 2001, come produzione RaiEducational, da Marilena Foglietti, aiuto regista
d'allora di Bene, in conformità alle indicazioni del Maestro. Dopo la morte di Carmelo Bene, Otello è stato
presentato al Teatro Argentina e al Torino Film Festival e trasmesso da RAI 3.