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Proprietà letteraria.

Bologna: tipi Zanichelli, i{


DoTT. BRUTO AMANTE

GIULIA GONZAGA
CONTESSA Di FONDI

IL iJii 1 \j iiij EIIIIIMLE IL SECOLO Xfl

CON DUE INCISIONI E MOLTI DOCUMENTI INEDITI

BOLOGNA
DITTA i\ICOLA ZANICHELLI
(Cesare e Giacomo Zanichelli)
1896
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1 1 1974

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INDICE

Dedica Pag.
Prefazione >

Giulia Oonzaga e Vespasiano Colonna -

I Fendi di Fondi e di Traetto.

La famiglia Gonzaga - Nascita ed educazione di Giiilia: lodi di scrit-


tori Matrimonio con Vespasiano Colonna - Vita di Prospero e di
-

Vespasiano Colonna - Cenni storici su Fondi e Traetto - Il donainio


Caetani o lo scisma d' occidente > 1

II

I Colonnesi e Clemente VII - Il 20 Settembre 1526.

Il Cardinale Pompeo Colonna - Col cugino Vespasiano s' impadronisce


di Eoma il 20 settembre 1526 - 11 sacco di Eoma dell'anno seguente
- Tregua di Clemente VII co' Colonnesi > 41

III

Luigi Gonzaga detto il Rodomonte.

Primi anni di Luigi Gonzaga, detto il Eodomonte - Malattia e morte


di Vespasiano Colonna - Sciarra Colonna e le contese per l'acquisto
di Paliano - Nozze di Luigi con Isabella Colonna, iìgliastra di
Giulia - Intervento di Luigi negli avvenimenti di Paliano - Oppo-
sizioni sorte al suo matrimonio - Napoleone Orsini - Assalto di
Vicovaro e morte di Eodomonte - Elogi di lui cantati da poeti . . > 53
IV GIULIA GONZAGA

IV

Storia o leggenda della castità.

Carattere morale di Giulia - Il concetto della castità - Un' arguta sen-

tenza del Capitano Chiappino intorno alla castità di Giulia -


La tradizione sul cameriere fatto uccidere da Giulia - Testimo-
nianze di scrittori - Il dilemma della vedova e il soggetto di
un' impresa Pag. 67

V
La Corte di Giulia a Fondi - Ippolito de' Medici.

Gandolfo Porriuo, Segretario di Giulia - Eicordi sulla Corte di Fondi -


Una dedica del Falco a Giulia - Madrigali di Margherita Palletta
Tizzoni spediti a Giulia per mezzo del Bandello - Una dedica del
II libro tradotto dell' Eneide - Ippolito de' Medici - Vicende del
porporato - La sua Corte a Eoma - Suoi versi - F. M. Molza -
Ritratti d' Ippolito - Sua spedizione in Germania - Suoi negoziati
per ottenere il dominio di Firenze - Morte del Berni - Il Cardinale
parte per Itri - Trattative aperte con lui da' fuorusciti fiorentini -
Apparecclii per un viaggio in Africa - Il Cardinale è avvelenato
-Funerali solenni - Giiidizi intorno a lui - Fine dell' avvelenatore'
e di Alessandro de' Medici » 77

VI

Il Corsaro Rarbarossa - Tentativo di ratto.

Principali corsari - I fratelli Arugi e Kliair Eddyn Barbarossa - Sbarco


de' corsari a Sperlonga e presa di Fondi - Fuga di Giulia - Inter-
vento armato del Cardinale de' Medici - Lamenti di poeti sull'av-
venimento e testimonianze di storici - Un affresco ed uji quadro
"
su quel fatto - La spedizione di Tunisi di Carlo V - Transazione
concliiusa tra Giulia ed Isabella Colonna » 121

VII

Ritratti di Oiulia.

Un anacronismo dell'Affò sul ritratto eseguito da Sebastiano dal Piombo


- Elogi del Molza e del Porrino su questo lavoro - Dipinti ora con-
servati, che rappresentano Giulia - Eitratto inserito nel presente
lavoro e ragioni della scelta - Eicordi del ritratto del Tiziano -
Incisioni varie di Giulia > 137

Vili

Giulia a Napoli - Società femminile napoletana.

Giulia a Napoli e il Monastero di S. Francesco - Dissensi colla figlia-

stra e una lettera del Porrino - Il Card. Filonardi - Tutela del


nipote Vespasiano - Ipjìolita Gonzaga e sue vicende - Irene da
INDICE V

Spilimbergo, Giulia, Tiinsillo e Onorata Tancredi - La società


femminile contemporanea: l'etera - Tullia d'Aragona - Le mode
a Eoma: un ricevimento di signore in casa d'un Commendatore
in S. Spirito a Eoma - Le mode a Napoli la festa nuziale per la
:

regina Bona e comparsa delle dame e degli uomini più distinti


di Napoli - Il moiu del tempo - Dote e corredo - Giovanna e Maria
d'Aragona - Carlo V a Napoli - La bellezza femminile e una corri-
spondenza-dialogo del Tiraboschi e dell'Affò - Isabella Sanseverino
- Lucrezia Scaglione e Maria Cardone - Dionora Sanseverino - Laura

Terracina - Suo sonetto a Giulia - Isabella della Morra, Giulia


Cavalcanti, Caterina Pellegrini Nogarola e Porzia Capece Eota. Pag. 149
.

IX

Vespasiano Gonzag:a Colonna (Iunior) -

Letterati in Napoli.

Educazione del nipote Vespasiano Primi progetti di matrimonio -


-

Nuove nozze della madre - Vicende guerresche di Vespa-


Isabella
siano - Alctmi rapporti letterari di Giulia Annibal Caro, Claudio
:

Tolomei, Liiigi Tiiusillo e Camillo Capilu^ji > 205

La Riforma in Italia.

Movimento riformatore in Italia - Abusi del clero - Scandali in un

monastero di Venezia - Costumi generali - Tradizioni ed interessi


speciali dell' Italia per limitare e determinare gli effetti della Ei-
forma - L' Inquisizione - Tendenze ed indirizzo diverso in Germania
del moto religioso - Manifestazioni riformatrici tra le varie città
italiane > 221

XI

Le Donne e la Riforma.

La donna nelle mutazioni religiose - Processi e condanne nel medio evo


- Guglielmina di Boemia - Le moglie di fra Dolcino - Donne val-
desi trucidate in Calabria - Esterminio di donne condannate per
ebraismo - Tendenza filosofico-religiosa delle donne nel secolo XVI
- Scopo diretto del loro proselitismo - Donne di Casa Orsini - Co-

stanza Daviilos - Monache napoletane accusate di valdesianesmo -


Sospetti su monache di altre città - La contessa Lucrezia Pico
Eangone di Modena - Un predicatore pernicioso inviato in questa
città da Vittoria Colonna - Una discepola del Castelvetro - Donne
processate a Venezia - Italiane rifugiate a Ginevra - Donne luc-
chesi in esilio Clara Calandrini Burlamacchi e Laura Calandrini
:

Diodati - Auto-da-fè di donne > 245


VI GIULIA GONZAGA

XII

Giulia e Valdes.

n Valdes secondo il P. Caracciolo - Il Valdes in Ispagna - Suo arrivo


a Napoli - Teoria sul Beneficio di Cristo - Ochino, Pietro Martire
e fra Giovanni Buzio, detto Mollio - Processi a prelati - Rapporti
tra Giulia ed il Cardinale Seripando - L'Arcivescovo P. Antonio
da Capua - Carteggio tra il Seripando e Giulia - Laici seguaci
del Valdes: Marcantonio Flaminio e Francesco d'Alois, detto Ca-
serta - Eapporti di Giulia col Flaminio, risultanti dal processo
Carnesecchi - G-. Caracciolo, Spadafora, Bullo, Galeota, Placido
di Sangro ecc. - Triumvirato valdesiano - Donne a Napoli seguaci
del Valdes Isabella Brisegna e Onorata Tancredi - Opere del Valdes
:

dedicate a Giiilia - Tradiizione àeW Alfabeto Cristiano fatta da Mar-


cantonio Magno ed oiferta a Giulia - Scoperta de' valdesiani per
opera de' teatini - Il Cardinale Teatino, poi papa Paolo IV - Suo zelo
per l' inquisizione - Scritture ascetiche, forse attribuibili a Giiilia. Pag. 269

XIII

Caterina Cibo e Fulvia Olimpia Morata.

Caterina Cibo e Fulvia Olimpia Morata - Protezione accordata dalla


Cibo a' cappuccini - Sue vicende per la difesa del ducato di Ca-
merino - Lotte sostenute per assicurare alla iìglia il matrimonio
col Duca d' Urbino - Suo eroismo contro le minacce di morte di
Mattia Varano - Eapporti letterari col Berni e col Firenzuola -
Lettera ascetica al Flaminio - Accusata nel processo Carnesecchi
- Fonti bio-bibliografiche - Fulvia Olimpia Morata e sua cultura -

Entra nella corte di Ferrara - Matrimonio con Andrea Grunthler


- Tristi vicende dell' esilio e sua propaganda religiosa - Ultima

sua lettera a Curio - Sua fine in Heidelberg > 303

XIV

I Congregati del Divino Amore in Roma.

L' oratorio del Divino Amore -Congregati e loro tendenze - Commis-


sione novemvirale de emendanda ecclesia - Proposte principali da

essa presentate - Processi e persecuzioni a prelati e specialmente


al Cardinale Morone > 321

XV
Tittoria Colonna, il Card. Polo e le conferenze di Titerbo.

L'atteggiamento di Vittoria Colonna di fronte alle nuove teorie religiose


- Esame de' suoi scritti per questo rapporto - Si ritir.a a Viterbo -

Il Card. Polo - Le Conferenze di Viterbo - Il Card. Contarini -


- Addebiti mossi a Vittoria Colonna ne' processi della inqmsizione

fatti sotto Paolo III, Paolo IV e Pio V - Sua morte > 329
INDICE VII

XVI

La Tomba di Vittoria Colonna.

I testamenti di Vittoria Colonaii - l'rovvisorietà iltìllii toiuljii in


Stmt'Anna ileTunuri - Esame «li liocumenti che escludono che la
salma sia stata deposta nella sepoltura comune delle monache di
quella chiesa - Spiegazioni sul difetto di inilagini fino ad oggi
della tomba e suU' oblio in cui ossa rimase - Motivi ili carattere
religioso e di convenienza, che determinarono la traslazione u
Napoli, confermati da interessi e da rapporti di famiglia - Il
tempio di San Domenico Maggiore in Xaiwli - La salma del Mar-
chese di Pescara deposta in quella ('liicsa - Vicende di essa e delle
casse di illustri estinti ivi raccolto - La sagrestia di San Domenico
Maggiore e le due casse coli' unica designazione epigrafica ili Mar-
chese (li Pescara - Si)iegazioni che possono darsi alle dette epigrafi
ed esame delle due casse o lauti - Connotati esterni del taulo con-
tenente i resti attribuibili alla poetessa - Esame scheletrico e con-
statazione del sessoindumenti ed altri particolari - Una lettera
:

del principe Marcantonio Colonna a proposito del risultato delle


mie indagini - Magioni varie, sommariamente esposte, a conforto
delle mie conclusioni sulla tomba di Vittoria Colonna - L' opi-
nione di Francesco Fiorentino Pag. 351

XVII

Altre persecuzioni - Morte di Giulia.

Attività di Giulia - Si ritira in S. Francesco delle Monache - Sua visita


ad Eleonora di Toledo, sposa di Cosimo I. Matrimonio progettato
-

tra un nipote di Giulia e una nipote del Card. Morene - La morte


del Molza - Cifrario di Giulia - Eapporti col Carnesecchi ; lettere
scambiate - Giulia si rifiuta di fuggire, ma spedisce all' estero due
servi per non compromettersi - Altre lettere ricevute dal Carne-
secchi - Morte dell' Ocliino - Pier Paolo Vergerlo - Testamento e
morte di Giulia - Indagini da me fatte per rintracciare la sua
tomba - Sequestro ordinato da Pio V alle carte di Giulia a Napoli,
e relazioni su questo fatto degli ambasciatori del tempo - Cattura
del Carnesecchi - Ulteriori notizie intorno a Giulia, ricavate dal
processo Carnesecchi e specie per l' interesse da essa dimostrato
pel Card. Polo - Dichiarazione del Carnesecchi intorno alla dot-
trina professata da Giulia - Condanna e morte del Carnesecchi -
Fine di Aonio Paleario - Conclusioni storiche sulla dottrina di
Valdes e de' suoi seguaci > 371

XVIII

Lettere di vari a Ginlia.

Lettere di Vittoria Colonna ;


- di Annibal Caro ;
- di Claudio Tolomei ;

- di Bernardo Tasso; - del Card. Seripando; - di Giulio Gossellino ;

- di Aurelio Vergerlo; - del Card, di Burgos; - di Nicolò Marco-


bruno; - di Pietro Carnesecchi > 407
TIII GIULIA. GONZAGA

XIX

Carteggio di Oiiilia.

Iiettere al Marchese di Mantova - al Duca di Mantova - a Francesco


; :

Bucalino - al Duca di Ferrara - a Don Ferrante Gonzaga alla


; : :

Marchesa di Mantova; - al Card. Ennio Filonardo; - alla Du-


chessa di Mantova - a Diana Cardona Gonzaga - a Cesare Gazzio
; :
;

- a Luigi Davila ;
- all'Imperatore Carlo V - a M.' Giovanni... -
;

a Pietro Antonio Masserotto - alla Duchessa d'Ariano - a Sabino


; ;

Calandra; - a Muzio Capiluiji; - a Ippolito Capilupi; - a Vespa-


siano Gonzaga Colonna - ad Artiiro di Vevira - a Cesare Gonzaga
; ; ;

- all' Arcivescovo di Salerno - al Card. Seripando


;
- al Vescovo
;

di Fano; - a Einiero Eanieri: - a Livia Negra Pag. 421


Indice de' nomi citati nell' opera » 483
GIUSEPPINA AMANTE
CHE .SENTÌ LA RELIGIONE

QUALE CULTO INTIMO ISPIRAZIONE PERENNE

DELLE PIÙ SQUISITE VIRTÙ

CONSACRO QUESTO LIBRO


AUSPICATO DAL MATERNO SORRISO

COMPIUTO QUANDO DI LEI SOLO AVANZA

IL RICORDO

SOAVE INCANCELLABILE

ROMA - XII FEBBRAIO MDCCCXCV


PREFAZIONE

Di Giulia Gonzaga, moglie del figlio di uno de' maggiori


capitani che rifulsero ne' primordi del secolo XVI, cioè
di Prospero Colonna, poco sappiamo, o certo non sappiamo
quanto merita una donna, la vita della quale si appalesa
ricca di singolari vicende. Ella ha fornito il soggetto a due
lavori soltanto; l'uno, di Affò Ireneo, supera di poco una
quarantina di pagine ed è una prolissa apologia della bella
contessa; l'altro, ancora inedito, di Filocolo Alicarnasseo,
tolte le vane digressioni, può condensarsi in quattro o
cinque pagine di biografia, costituente quasi un libello

diffamatorio, un'accolta di fango e di vitupei'io lanciata


dallo scrittore contro la memoria della donna, per bellezza
superiore, come cantò l'Ariosto, a quante greche o romane
furono mai. I due lavori, per indole tanto opposti, dettati
con uguale preconcetto, l'uno per lodare, l'altro per bia-
simare, svolti a forma di mi fanno ricordare la giusta
tesi,

osservazione del nostro Mantegazza: « dove appare una


bella donna, tutte le energie umane zampillano dalle loro
fonti schierate in battaglia: tutto l'uomo ha di
ciò che
meglio e di peggio balza per portarle omaggio o per
oltraggiarla con invidia. » (')

(*) Il concetto femminile attraverso i tempi. \'. Nuova Aiifoìogia,

15 fi-ennaio 1893.
XII GIULIA GONZAGA

Affò Ireneo (1741-1797), del quale scrisse una vita


Angelo Pezzana, fu un valoroso erudito, assai noto per
vari lavori storico-letterari.
Meno noto, anzi solo noto per un codice ancora quasi
del tutto inedito, contenente dodici biografìe, è Filocolo,
Filotimo, Filesio, o Filonico Alicarnasseo, secondo che
variamente è chiamato dal Duca della Guardia, che fece
un sunto di quelle biografie, dal dottor Caputo, dal Toppi
e dal Giustiniani. Il compianto mio amico, Scipione Vol-

picella, inseri una vita di lui nel Museo di Scienza e di


Letteratura e di ]}o\ wbW Iride ,
periodici napoletani, e diede
alle stampe la Colonna dello stesso
biografia di Vittoria
Filocolo. Era un cavaliere gerosolimitano, o, pare, anche
un frate, un gaudente del bel tempo antico, un goliardo
in ritardo il quale doveva trovare alimento costante alla
sua fantasia ed ai suoi gusti nel demi-monde di quel
tempo che riproduce coli' aria dell' uomo veramente sod-
disfatto. Quanti de' particolari da lui narrati saranno veri?
A quanti bisognerà fare una grande tara? Chi frequenta
i così detti circoli galanti conosce per prova come la parte

aneddotica, passando di bocca in bocca, si allarghi, s'ingi-


gantisca; il rivolo diventa torrente, ed il fattarello avve-
nimento, che deve avere il suo storico, il suo ammiratore
e, ciò più spesso, il suo diffamatore, nella maggior parte
de' casi testimone oculare, o tale proclamantesi.
In uno de' Codici di Filocolo, da me consultato in
Napoli, r Affò, nelle cui mani era capitato, scrisse in fondo
disuo pugno le parole: « questo frate mcìite per la gola!
Onde era facile applicare loro scherzosamente il motto
ovidiano : tanta discordia fratrum !

Ma perchè sì aspra diversità di giudizio fra i due


scrittori ? A me pare di poterla desumere dallo stesso
atteggiamento religioso della Gonzaga, quale dall' uno e
dall' altro fu concepito e creduto.
Affò Ireneo, trattando di Giulia, ebbe presenti i versi
di Bernardo Tasso che nel canto 100.° dell'Amadigi scrisse:
PUIOIAZIONE XllI

Giulia Gonzaga, che le luci sante


E i suoi pensler siccome strali al segno
itivolti a Dio, in lui viva, in so morta,
Di nuli' altro si ciba e si conforta.

Al contrario Filocolo (lo battezzerò cosi d'ora in

avanti, dovendo scegliere fra tanti nomi !) chiude i cenni


intorno a Giulia con queste parole « vien meno a
poco a poco la vita sua con imputatione di impudicitia
nella casa di lionore e di eresia nella Chiesa di Dio, con
confiscatione de' beni, catture di sue dame e persecutione
di G. B. Parisi e altri suoi Zalanieri e criati ».
In caltela venenum! muore con im2nUazione
Giulia
di eresia ed un' eretica non può essere che una Madda-
lena della prima maniera, una femmina precipitata nel
baratro del vizio e dell' abbominazione! Fosse ella pur stata
peccatrice e religiosa ad un temi)0 ed in tutti i tempi
della vita, come doveva essere a' giorni di Filocolo la

vera cortegiana, oh! se anch' egli non si sarebbe associato


al coro altisonante degli ammiratori della divina beltà di
Giulia Gonzaga!
Le lodi dell' Affò suonano giustificazione anticipata di

accuse che un frate più d' ogni altro doveva o deplorare,


respingere ; i biasimi di Filocolo, anche immeritati, spie-
gano i fu credente
tempi. Giulia e qui ha ragione —
r Affò ma —
non fu credente quale, con strane preten-
sioni, avrebbero voluto gli zelanti e qui ha ragione —
1' Alicarnasseo, interprete di certe intransigenze e di
tristi Però giudizi così opposti di due uomini,
reazioni.
per condizione sociale tanto vicini, m' indussero a studiare
a fondo la vita di Giulia. Ho così potuto ricostruire la sua
biografia, con molta fatica, ma insieme con viva soddisfa-
zione ,
poiché più mi inoltrai nel lavoro e più crebbe
in me l'interesse per una illustre donna, che eravamo abi-
tuati a disconoscere, o non a conoscere sufficientemente !

Giulia Gonzaga è in realtà una delle figure più note-


Toli del secolo XVI. La proverbiale bellezza, resa dram-
XIV GIULIA GONZAGA

matica anche dal tentativo di ratto del corsaro Barbarossa;


la singolare onestà , celebrata — con buona pace di

Filocolo! — da tutti i contemporanei; gli alti rapporti


sociali,r amicizia contratta con letterati ed artisti, la
propaganda ascetica da lei promossa, fino a diventare
quasi faro del movimento religioso nel napoletano ed in
parte anima in tutta Italia della generale tendenza prevalsa
in favore della dottrina valdesiana; la fortunosa vita e la
morte, amareggiata forse negli ultimi istanti da minacce
dell' Inquisizione ed occasione ad ogni modo di quel pro-

cesso, pel quale fu decapitato e bruciato Pietro Carne-


secchi, collocano Giulia Gonzaga in un posto altissimo tra
le donne di quel secolo meraviglioso. E così, considerando
la Gonzaga nella parte più saliente della vita, cioè nel-
r azione efficace esercitata nel campo religioso, come
spontanea conseguenza ho dovuto spingere le mie indagini
a scrutare la condotta che le nostre donne assunsero
all'avanzarsi della Riforma germanica, alla quale seppero
contrapporre una riforma, che meglio rispondesse al con-
cetto educativo ed alla missione della donna nella famiglia
e nella società, la riforma de' costumi. Quindi, insieme
colla Gonzaga, ho dovuto particolarmente parlare di Vit-

toria Colonna, di Fulvia Olimpia Morata, di Caterina Cibo


e di altre minori.
Mancava uno movimento religioso femminile
studio sul
in Italia nel secolo XVI: auguro che al modesto mio
saggio facciano buon viso cultori del tema importante.i

Ho avuto la fortuna d' esaminare quasi 30O lettere

inedite di Giulia: la maggior parte presso la Biblioteca


Estense. E qui rendo vive grazie al eh. Bibliotecario, dot-
tor C. Frati, che gentilmente, cogli altri impiegati di quel-
r istituto , si compiacque aiutarmi nella trascrizione di

esse. Altre ne trovai nelle Biblioteche Nazionali di Firenze


e di Napoli ;
quelle dell' archivio particolare de' Gonzaga
e dell' archivio Capilupi mi furono comunicate dalla cor-
tesia dei signori Davari ed Intra , a' quali esprimo la mia
,

PRHFAZIONK XV

sincera riconosceii/.a. Finalmente pei' quelle conservate


neir Archivio di Slato di Mantova el)f)i la cooperazione
del compianto amico A. Heriololli.
Nel testo sono state stampate Si IcttcìU; doUu (^uali
75 finora inedite: di altre 130 ho dato un sunto, seguendo
il loro ordine cronolof^nco. Per diverse preziose notizie
ricavate la pi'ima volta dall'Archivio di Stato di Modena,
mi professo obbligato alla rara gentilezza del soprain-
tendente, conte Valeri Malaguzzi.
I lettori apprezzeranno la importanza del carteggio,
specie di quella parte che ci fornisce il cifrario ed il

decifrario adoperati dalla Gonzaga. Alcune cifre, corrispon-


denti ai nomi di Vittoria Colonna, di Isabella Brisegna ecc. ,

servivano evidentemente a guardarsi dall'Inquisizione. Tutti


questi documenti giovano ad ogni modo a dimostrare la
larga parte presa dagli Italiani a' que' fenomeni dello
spirito che il Ricotti appellò rivoluzione religiosa. Ma se
altrove possono così designarsi e valutarsi, quanto all' Italia

meritano, a mio avviso, un titolo più mite, poiché si

limitarono a determinare un movimento che, in rapporto


alla donna ed al nuovo atteggiamento di essa, significò
alta affermazione di virtù civili e nobili tentativi per
restaurare la pubblica moralità.

Bruto Amante
^ A
Giulia Gonzaga - I Feudi di Fondi e di Traetto.

La fatìiiglia Gonzaga - Nascita ed educazione di G-iiilia : lodi di scrittori


- Jlatrimonio con Vespasiano Colonna - Vita di Prospero e di Vespa-
siano Colonna - Cenni storici su Fondi e Traetto - U dominio Caetani
e lo scisma d' occidente.

La famiglia Gonzaga (') che dominava in Mantova


ne' primi anni del secolo XIV, cominciò ad assumere una
notevole importanza per opera di Luigi o Ludovico, terzo
di questo nome (1414-1478), che sposò Barbara di Bran-
deburgo , figlia dell' elettore Gioacchino. Egli distribuì
a' figli vari feudi del suo marchesato: a Gianfrancesco toccò
il ducato di Sabbioneta. Da quest'ultimo (1443-1496),
unitosi in matrimonio con Antonia del Balzo, morta quasi
centenaria, nacque quel Ludovico che fu padre a Giulia
Gonzaga, celebrata per la sua bellezza e degna di avere un
ricordo speciale in uno studio che si proponga di deter-
minare l'atteggiamento assunto dalle donne italiane nel
movimento religioso del secolo XVI.

(1) A rendere più agevole la intelligenza di vari avvenimenti, ho


compilato una tavola genealogica la quale riassume nomi e gesta de'
personaggi più illustri di casa Gonzaga che tra il finire del 1400
e la prima metà del secolo XVI ebbero una parte non piccola nelle
vicende italiane.
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CAPITOLO I 3

Lu lumiglia Gonzaj^a può vantale due qualità molto


pregevoli, anzi, specie nel secolo XVI, rarissime. Le floune
— delle quali alcune assai note per la venustà — si

resero illustri per grande correttezza nella vita, pur par-


tecipando ampiamente a quella coltura della mente, nella
(jiiale le donne italiane ebbero allora un mirabile primato,
(ili uomini poi si distinsero pel loro carattere : in tempi
di tanta irrequietezza, ne' quali la mutabilità de' propositi
e de' partiti da seguiresembrava il prodotto della vera
sapienza politica i Gonzaga mostrarono in genere una
,

pertinacia ammirevole nella devozione ad una qualunque


causa assunta. Esempio singolare parve allora quel Fede-
rico da Bozzolo, clie tenne per la causa de' francesi: non
interessi personali , non sollecitazioni , né allettamenti, né
promesse poterono giammai farlo allontanare da' suoi
alleati.

Da Ludovico di Sabbioneta, come ho detto, e da Fran-


cesca Fieschi nacque Giulia in Gazzuolo. Veramente sul
luogo di nascita non si ha una precisa testimonianza;
l'Affò nella sua breve ed erudita biografìa nulla ne 'dice.
Tuttavia credo di poter dare per sicura quella indicazione,
poiché da un attento esame del carteggio della madre, con-
servato nell'Archivio di Stato di Mantova, è risultato che
la Fieschi sino al 1521 risiedette continuamente in Gaz-
zuolo. Non avvi altro documento certo. Le fonti più sicure
per determinare la notizia sarebbero stati i registri di
battesimo , ma quelli della parrocchia di Gazzuolo non
principiano che dal 1564. Il sacerdote Bergamaschi, che
scrisse una storia di Gazzuolo e suo marchesato (Casal-
maggiore, 1883), raccogliendo quanto contenevasi ne' mano-
scritti riguardanti Gazzuolo e i suoi signori, dedicò tre
pagine a Giulia, quale nativa di quella città, ma senza
darne le prove, basandosi sull'asserzione di Ortensio Landò.
Il conte d'Arco lasciò manoscritti sette volumi in foglio di
memorie intorno agli uomini e alle donne che ebbero la
luce nel mantovano ma nel cenno intorno a Giulia non
;
4 GIULIA GONZAGA

indica alcuna data, salvo quelle della vedovanza e della


morte. compianto Bertolotti, direttore dell'Archivio di
Il

Stato di Mantova, jDregato da me di fare qualche ricerca,,


mi rispose il 1.^ giugno 1891. che ogni indagine su questo
argomento aveva dato risultati negativi. « Sono stato, mi
soggiungeva, più volte a Gazzuolo e sono perfino entrato
nella tomba di Antonia Del Balzo, facendo smuovere il

coperchio, e con meraviglia, invece di un solo teschio, ne


trovai diversi. Di questa vi è una medaglia, ma di Giulia

Gonzaga non ne conosco. » Ad ogni modo l'attestazione


del Landò, l'essere stato Gazzuolo luogo di frequente e
per molti anni di immutabile dimora de' genitori, la impor-
tanza di quella cittadina, divenuta un centro artistico ove
convenivano e si soffermavano lungamente coi Gonzaga i

letterati del tempo — cosa spesso attestata dal Bandello


— ci possono far ritenere in modo quasi sicuro che Giulia
abbia avuto i natali appunto in Gazzuolo.
Quanto all'annodi nascita, le incertezze, come accen-
nai , non sono minori. Ma un' allegazione giuridica del
tempo, parlando del matrimonio di Giulia, la designa
« iuvenculam annorum tredecim vel circa, non minus
rarissima quani admiranda 2^ulch7''itiidine et innumeris
animi et corporis virtiitibus ornata^n » : e un documento
inedito ,
più oltre riprodotto , fornitomi dal chiarissimo
Davari , dice che il matrimonio doveva effettuarsi nel-
r agosto 1526. Si può quindi ritenere che Giulia sia nata
nel 1513.
Fu educata con cura specialissima. L'Affò scrive che
« natura le fu tanto de' suoi doni benefica e così di vezzi
e di grazie la ricolmò che gli atti suoi e le sue parole ,.

accompagnate ognora da modesta vivacità e condite d'un


lepor soavissimo, legavano dolcemente a lei gli animi di
ciascuno. Data quindi ad essere istrutta nelle lettere, nel
canto, nel ricamo ed in qualsifosse cosa alla principesca
sua nascita confacente, l'ingegno quasi divino, di che
abbondava, tutto con rapidità mirabile apprendere le faceva.
CAPITOLO I O

talché sebbene Paola, Ippolita ed Eleonora, sorelle sue,


nelle facoltà medesime profittassero assai, ella nondimeno
addietro di gran lunga lasciavate ». E cita in proposito
i seguenti versi del poema « Gonzagium moniimentum »
di Giovanni Buonavoglia, precettore del fratello :

lidia sed cnnctas superai ìonge ipsa sorores


CalUdula ingenio, facili condita lepore,
Blandiila co/iiposifo proinens dicferia vultìi,

Mitis et ad cantus utodulos, stiidiurnque Minervac


Nata, vel artifici dextra simulare qiiod ultra
Fingere rnultiplici polis est natura colore.

Del resto la squisitezza del suo sentire e la intelli-


genza nelle cose d'arte trovano una conferma indiretta
in due lettere inedite che pubblicherò più avanti. Con la
prima, dell'ottobre 1520, Giulia, appena settenne, manda
in dono al marchese di Mantova un mottetto composto da
Sebastiano Festa ; con
altra, dell' anno successivo, invia
1'

in dono pure marchese un secondo mottetto.


al

Della sua bellezza singolare si hanno testimonianze


moltissime in quasi tutti gli scrittori contemporanei. Citerò
alcuni passi dell'Ariosto, di Bernardo Tasso, di Gandolfo
Porrino, segretario di Giulia, e di altri su questo argo-
mento. Né ciò sembrerà superfluo, ove si pensi che appunto
la eccezionale venustà di Giulia contribuì a rendere non
poco drammatica la sua vita.

L'Ariosto {Ori. Fiir., canto 46) celebra con questi


versi la bellezza di Giulia :

Ecco che a quante oggi ne sono, toglie


E a quante o greche, o barbare , o latine
Ne furon mai, di cui la fama s' oda.
Di grazia e di beltà la fama loda,
Giulia Gonzaga, che dovunque il piede
Volge e dovunque i sereni occhi gira,
Non pur ogn' altra di beltà le cede.
Ma, come scesa dal ciel, Dea l'ammira.
6 GIULIA GONZAGA

Ad essi Orazio Toscanella fa seguire chiose non menO'


entusiastiche {Bellezze del Furioso di L. Ariosto, Venezia,
Pietro de' Franceschi e nip., 1574, p. 326):

« Se per avventura paresse che questa fosse forma di laude troppO'


iperbolica, stia sicuro che il poeta non le dà laude che non meritasse^
l)erchè trascorrendo li scritti del Magnifico M. Antonio Piagno sopracitato,
trovai una memoria, che esso avea posto nome Giulia ad una figliuo-
letta, nata mentre era per negocii importantissimi di detta Signora in
Milano, la quale adesso è maritata e chiamasi Giulia Recanata, bella et
gentile et onesta et graziosa in maniera che non trova l'invidia ove
r emende, perchè tra tutte donne del mondo bellissime da lui vedute
le

in Italia, in Francia, in Germania et in Ispagna affermò et giurò di


non aver veduto la più bella et la più graziosa de la sopratocca Giulia
Gonzaga. Torno a diie che questo dottissimo et giudiciosissimo huomo,
il quale era stato quasi per tutto il mondo fra gran personaggi, ha
fatto questa memoria et con questa meraviglia e buono augurio a sua
figliuola il felice nome di tanta Signora pose. Et se al testimonio del
Magno altri non presta intera fede, legga l' opera del Mutio Giustino-
politano, scrittore d'ingegno sublime et sovrahumano.... Havendo il
maggior imperatore al mondo mandato a rapirla, si può conchiudere-
che la sua bellezza fosse angelica, n

Ed il Betussi ('), viva ancora Giulia, scriveva :

« di bellezza, con pace di tutte le altre a dì nostri non ha avuto


paragone, la quale è stata tale e tanta che si come al tempo del-
l' imperio de' greci (parla di Elena), così il nome dell' infinita beltà di
costei passato fino all' estremo oriente et giunto all' orecchio di Soltan
Solimano, ebbe potere di suscitare in lui un incredibile desiderio
d'haverla... Certamente quanti scrittori et pellegrini spiriti ha avuta
r età nostra, si sono affaticati d' intorno alla bellezza della divina Giulia,
et nondimeno nessuno vi è stato eh' abbia potuto giungere alla verità,
del merito suo, et è ben stato dritto... chi potrà mai né con arte, né con
parole formar la vivacità degli occhi, il parlar soavc-le nobiltà del core
et la grandezza dell'animo, le quali parti et di più sono unite in Lei? »

(') Libro di Messer Giovanni Boccaccio delle Donne illustri, tra-


dotto da Messer Giovanni Betussi, con un' addizione fatta dal medesima
delle donne famose del tempo di Messer Giovanni fino a' giorni nostri
et alcune altre state per innanzi, con la vita del Boccaccio ecc. ecc.
In Vinegia, MDLVIII.
CAPITI 1
1,0 I /

Ueriiardo Tasso, che ha un cajtitolo in h)ile di Giulia


Gonzaga, cosi ce ne descrive la figura :

Il biondo, crespo, iiiaiioUato crine


Che con soavi errori ondeggia intorno,
Mosso da l'aure fresche e pellegrine.
Né d'altro mai che di se stesso adorno,
Qiiant' anime del ciel son cittadine
Stringer poria con sì bel nodo intorno,

("he sciorsi non saprian dal ricco laccio


Perche tornin più volte i fiori e '1 ghiaccio.
Chi contempla la fronte alta e serena
Di cui le Grazie fan dolce governo.
Onde l'aere turbato si serena
E fugge il freddo e nubiloso vento,
Si sente porre al collouna catena,
Che non si scioglierà forse in eterno,
Ove di man d'Amor scritto si mira
Felice chi per me piange e sospira.
S'apron due chiare e lucide fenestre
Sotto le nere sue tranquille ciglia,
Onde in questa prigion bassa e terrestre
Scorger si può di Dio la meraviglia.

A quella bocca che perle e rubini


Avanza di vaghezza e di colore...
Purpurea grana sparsa in picciol colle
Di bianca neve pur caduta allora,
Sembra la guancia delicata e molle
Che foco di virtù pinge e colora ;

11 merito eh' ad ogn' altro il pregio toUe


Il collo e '1 petto, ove valor dimora,
11' castitate alberga e leggiadria,
Lodilo Amor, eh' ivi si nudre e cria.

Ma l'angeliche voci e le parole


Proprie di Dio e non d'uomo mortale....
Oda parlar costei, ne cerchi poi
Trovar pari dolcezza unqua fra noi...
Se gira i piedi in questa parte o in quella
(^ualor grave e pensosa il passo muove,
Non tanta grazia di benigna stella
Quanto da l' orme lor deriva e piove :
8 GIULIA GONZAGA

Da le sue piante par eh' erba novella


Esca e forme di fior leggiadre e nove,
Onde dice ciascun per maraviglia,
Quest'è di primavera o suora o figlia.

Chiunque costei mira intento e fiso


Diventa pregno de l' eterna luce
Tanta nel dolce suo sereno viso
La bella donna ogn' or seco n' adduce ;

Né di veder aperto il paradiso


Con quel chiaro splendor, ch'ivi rihice
S'allegran si gli spiriti beati,

Come ne gli occhi suoi di foco armati...


poscia eh' avrà mill' anni e mille
Sepolti il tempo, de la costei gloria,

Ardin nel mondo ancor l' alte faville

Nel dotto sen d' ogni purgata istoria ;

E si come di Cesare e d'Achille


Si serba ognor fra noi cara memoria
Viva di luìia il glorioso nome
Mentre spiegherà il Sol l' aurate chiome (^).

Anche Gandolfo Porrino volle poeticamente ritrarre


Giulia in alcune stanze le quali per errore furono attri-

buite al Molza e stampate in varie edizioni del Molza (^),

solo perchè si leggono nella Raccolta del Dolce, edita nel


1558, senza tener presente che le stesse stanze erano state
già inserite tra le rime del Porrino, date in luce sette

anni prima dal Tramazzino. Ecco alcuni versi del segre-


tario di Giulia :

. . . chi brama avvampar d' un bel desio


Che non se gli asconda,
bellezza del ciel
Miri di lei, per cui tutt' altre oblia

Presso a la chioma inanellata e bionda,


Quella fronte di grazia e d' amor piena
Più che '1 sol chiara e più ch'I ciel serena.

(1) Stanze di diversi illustri poeti ecc. raccolte da M. LuDOvifo


Dolce, Venezia, G. Giolito De' Ferrari, 1558, pag. 232.
(2) Molza, Poesie. ^Milano, Tip. de" Classici it. ISOS, pag. 263. ,
CAPITOLO I
'>

Sotto le pure sue tranquille ciglia

Gli occhi sì dolce e si soave gira,


Che fa tremar di nobil meraviglia ;

Ed in noi cria valor, quando ci mira


O santi lumi, a cui nulla somiglia:
Beato al mondo chi per voi sospira !

E chi una volta in si bel foco è preso

Resta contento e di voi sempre acceso...


Col suo foco soave i cori incende
La dolce bocca, più eh' io non diviso,
E da' santi sospir vaghezza prende
L' aer d' intorno e dal soave riso,

Che verde maggio a mezzo '1 verno rende,


Ed apre e chiude in teri-a '1 parailiso ;

Quivi si fornian quei beati accenti


Fra bianche perle e bei rubini ardenti...

. . . Non sol coi begli occhi legasti


E facesti geloso il secol nostro ;

Ma con saggi discorsi e pensier casti


Ch' è la parte miglior del petto vostro ;

E di sì bella spoglia indi l' ornasti


Che bisogno non ha di perle e d' ostro ;

Com'anco uopo non è d'altro monile,


Per far più vago il bel collo gentile.
De le belle leggiadre e crude braccia
Che di candor han già l' avorio stanco,
Non è chi scampi, o chi difesa faccia,
E nel suo regno amor fa venir manco...

. . . Appo lei non può star anima trista,

Tant' è '1 valor de la sua dolce vista.

Questa la giovane, della quale, nelT estate del 1526,


r ambasciatore mantovano a Roma annunziava al duca
Federico il concordato matrimonio con Vespasiano Colonna,
conte di Fondi, designato in un' allegazione del tempo
quale senem annorum quaclraginta et ultra et infir-
«

raum, ac claudum ac mancum » ! E lo scrittore poteva


aggiungere che Vespasiano era pur vedovo di Beatrice
Appiani, dalla quale aveva avuto una figliuola, Isabella. Ma
una donna che era orgogliosa di portare il nome dei
Gonzaga, e che era fornita di alto sentimento, dovè essere
10 GIULIA GONZAGA

lusingata di sposare un Colonna, figlio di uno de' più


illustri capitani e ardito condottiero egli stesso e conti-
nuatore della fama paterna.
In verità il nome di Prospero Colonna, padre di
Vespasiano, era allora circondato da un' aureola di gloria
e la sua vita aveva della leggenda.
Cugino, ex fratre, di Fabrizio Colonna (
padre di Vit-
toria), prese parte da giovane alle molte fazioni che si

succedevano in Roma e che costituivano un vero campo


di prova pe' signori feudatari e pe' loro accoliti. Dovè
poi abbandonare Roma per un omicidio. Sostenne colle
armi le parti de' Colonna contro Sisto IV ed i Riario ;

ed in questa occasione mostrò tanto valore ed accorgi-


mento che fece a lungo sospirare la vittoria definitiva
allearmi pontificie. Per assicurare la valida difesa della
rocca di Paliano, ordinò il sequestro in Genzano di tutti

i giovani, minacciando i genitori che si sarebbe riservato


di uccidere i figliuoli, se a questa difesa non avessero
atteso strenuamente. Intraprese poi, sotto Innocenzo Vili,
guerra contro gli Orsini per conquistare alcune terre.
Quando il Papa intervenne nella congiura dei Baroni di

Napoli, egli si pose al servizio di lui. Alla calata di


Carlo Vili ne prese le parti e si impossessò di Ostia. Poi
si recò a Roma, a nome di Carlo Vili, per istabilire i

patti con Alessandro VI, il quale, per ottenerne più van-


taggiosi, fece a tradimento chiudere Prospero in Castel
Sant'Angelo. Il Colonna lo ripagò dello stesso scotto:
promise e non mantenne i patti desiderati, e rientrò il

31 dicembre 1494 in Roma a fianco di Carlo Vili, dal


quale ottenne la investitura di Fondi e di Traetto, privan-
done i Caetani, che avevano seguito le parti degli infelici
Aragonesi. Ritornato Carlo in Francia, Prospero unita-
mente a Montpensier difese per qualche tempo i paesi
con troppa fretta conquistati e con maggiore rapidità
destinati ad essere liberati. Egli previde questi eventi e
si pose ai servigi di Consalvo di Cordova, aiutando costui
CAPITOLO I li

efficacemente a scacciare i Francesi. Tornati {^ìì Arajjionesi,


ottenne dal re nel 1599 il gi-ado di (Iran Conestabile del
Re<;"no. L'irrequietudine degli (Jrsini lo richiamò nello
stato pontificio e co' suoi suggerimenti potè farli debel-
lare nella battaglia di Monticelli, alla quale succedette la
tregua di Tivoli. Intanto Luigi XII. d' intesa con Ferdi-
nando di Spagna, mandava a conquistare il regno di Napoli
e Prospero pose la sua spada a servizio degli ultimi Ara-
gonesi. VI profittò della sconfitta di questi
Alessandro
per scomunicare i Colonna e privarli di quelle terre, le
quali, insieme a molte altre, dovevano formare il disegnato
nuovo ed ampio stato del figliuolo. Cesare Borgia. Allora
Prospero, presentendo i prossimi dissidii de' due eserciti
alleati, riprese servigio presso Consalvo di Cordova e
concorse non poco ad assicurare agli Spagnuoli la vittoria
di Cerignola.Morto Alessandro VI, e fatto arrestare il
Duca Valentino da Giulio II, Prospero fu incaricato di
accompagnare in Ispagna 1' antico suo nemico, il che fecé^
con condotta delicata e cavalleresca: è noto ch'egli non
volle mai guardarlo in faccia per non umiliarlo. — Si trovò
presente e contribuì non poco al felice successo della bat-
taglia di Vicenza nel 1513; difese strenuamente il ducato
di Milano contro i Veneziani, collegatisi co' Francesi, e
potè impedire 1' unione de' due eserciti alleati.

Ma a Luigi XII succedeva Francesco I il quale, più


ambizioso dei predecessori ed assai più di loro avventu-
rato, potè penetrare in Italia, mercè il Trivulzio, per una
via non sospettata nel saluzzese: Prospero, sorpreso a
VillafrancH, mentre era a mensa, fu fatto prigioniero. Fu
liberato 1' anno dopo. Avendo deciso Leone X e Carlo V
di rimettere gli Sforza nel possesso di Milano, l'impresa
venne affidata a Prospero. Tra difficoltà non lievi ed
alcune derivate da discordie e da invidie degli stessi duci
imperiali, che gli erano compagni, egli riuscì a vincere
i Francesi alla Bicocca e ad impossessarsi di Genova.
12 GIULIA GONZAGA

Infermo egli si faceva trasportare sul campo di bat-


taglia, quando dovette proseguire la guerra contro Bon-
nivet ed ottenne non pochi successi. Morì a Milano il
1523, lasciando fama di capitano espertissimo nel trovare
fortunati espedienti di guerra, pur disponendo di poche
forze, e nello stancare e debellare i nemici con infinite
scaramuccie. Perciò gli fu dato il titolo di nuovo Fabio
Massimo; ed appunto sotto un busto di lui, collocato a
Fallano, fu posta F epigrafe :

Quisquis vides Prosperuni Colunmam


Hic vides Quintum Fabium ilaximum suae aetatis.

Ed il Muratori lo designò quale « capitano di rara saviezza


e valore, a cui simile da un pezzo non aveva veduto
r Italia ».

Il suo corpo — così il Collenuccio — « fu riposto


insieme con quel di Marcantonio Colonna suo nipote, nato
di frate] carnale per riportarsi amendui alla patria, sic-

come aveva egli nel suo testamento ordinato. » (') Il

Muratori scrive: « solennissime esequie furono a lui fatte


ed il corpo suo con quello di Marcantonio fu poi tra-
sportato a Napoli » ('). Però 1' anno successivo essi furono
trasportati a Fondi (come notano il Coppi (^) e parecchi
altri) e furono seppelliti nella cattedrale di S. Pietro.
Prospero ebbe per moglie Cabella Sanseverino. dalla
quale nacque Vespasianomorta quella, sposò Isabella
;

Carafa di Gianantonio Conte di Maddaloni.


Vespasiano, a fianco del padre, servì gli imperiali
contro i Francesi. Carlo V concesse a lui la contea di
Belgioioso, della quale era stata privata la famiglia di
Balbiano per fellonia. Quando Francesco I penetrò in

{}) Collenuccio, Roseo e Costo. Comp. dell'istoria del regno di


Napoli, Venezia, 1613, appresso Giunti, parte II, pag. 41.
(^) Muratori, Ann. a. 1523.
(^) Coppi, Memori" Colonnesi. Roma 1855, pag. 278.
CAPITOLO 1 13

Lombardia, Vespasiano l"u spedito lud roguo di Napoli


per combattere i F'rancesi. Nei 1525 i-inunziò ai diritti di
Belgioioso per l' offerta avuta di Carpi. Il Guicciardini
scrive che « avendo Carlo V conceduto Carpi due anni
innanzi a Prospero Colonna, benché mai ne avesse avuto
r investitura, voleva, in beneficio di Vespasiano, conser-
vare alla memoria di Pi'ospei'o quella rimunerazione, che
aveva fatta alla virtù e alle opere di lui vivo ». (') Lo
stesso Vespasiano, con lettera che il 24 agosto 1525 da
Genzano dirigeva al Duca di Ferrara, annunciava di aver
ottenuta dall' Imperatore laconferma e concessione di
« Carpi, suo contado e Novi con tanta ampleza et bona
voluntii che la estimo per summa gratia » (-).

Vespasiano aveva sposato Beatrice Appiani, figlia del

signor di Piombino, dalla quale, come ho ricordato, ebbe


la figliuola Isabella. Pare che nell' estate del 1525 un
fiero morbo infestasse i vari paesi soggetti al dominio di
Vespasiano. Una lettera di Baldissera di Fino al Duca di

Ferrara, scritta da Napoli il 25 luglio 1525, diceva:


« il conte de Muro me ha detto che fondi et itrj terre
de lo I. S. Vespasiano Colonna sono suspecte de morbo
et che in Itri ve sono de XXX^ case infecte » (Arch.
Modena, Cane. Due, Oratori Est. a Roma). La moglie di
Vespasiano, già ammalata, dovè forse aggravarsi in quel-
r occasione. Lo stesso di Fino aveva scritto il 20 maggio
al Duca di Ferrara: « sono apreso a octo giorni che la

Illm. S. Consorte de lo 111. Vespasiano Colonna sta (da)


qualche giorno vexata da gravissimo male qua nel regno,
nel stato del predetto S. Vespasiano, ove al presente se

(*) Guicciardini, 1. XIX, cap. II.

(2) Archivio di Stato di Modena, v. Cancelleria Ducale, particolari.


Per questi ed altri documenti inediti, tratti dall' Archivio di Stato di

Modena, debbo essere riconoscente alla squisita cortesia del chiaris-


simo Conte Valeri Malaguzzi (direttore di quell'istituto) al quale esprimo
sincere azioni di grazie.
14 GIULIA GONZAGA

retrova esso S. Vespasiano. (Arch. Mod., ibid.). In quel


mese avvenne la morte di Beatrice quasi contempora- :

neamente aveva avuto luogo quella di Gabella Sanseverino,


madre di Prospero, come rilevasi da una lettera di Fino
de Marsigli del 27 maggio 1525 al Duca di Ferrara.
I rapporti di Vespasiano con Casa Gonzaga dovevano

essere stati stretti da qualche anno. Neil' Archivio di Stato


di Modena si trova la seguente lettera, scritta da Traetto
il 25 giugno 1521 al Marchese di Mantova. « Ill.mo S.or Le
sono stato tardo a rendere gratie a V. S. del amore che
per la sua me dimostra et Jo. Tornasi in suo nome me
ha referito, e causato da persuaderme il desiderio che
tengo farli servitio se possa meglio dire che scriverà et
avendo Jo. Tomasi ben supplito verso de me in quanto
V. S. li ha imposto, ho voluto dare a lui questo carico,
sapendo quanto lo porte volenteri, piaccia a V. S. pre-
starli quel credito che sole et la servitù sua merita che
me ne farra gratia et ad V. S. quanto più posso me rac-
comando ».

Nello stesso Archivio si conserva un' altra lettera,


che Vespasiano scrive da Traetto il dì 11 ottobre 1525
al Marchese di Mantova dopo 1' avvenuto matrimonio con
Giulia. Eccone il testo.
111.™'' Signor. — La jactura del 111.'"° et R.'"" Monsi-
gnor Cardinale me ha dato per ogni respecto fastidio et
non poco per il dispiacere se hara preso la S. V. 111.* et

per il detrimento che in particular come servitor che li

era me ne succede, pur non possendo mancar al officio

mio anchor che estime con la prudentia sua pigliara a


patientia le cose che procedono da la voluntà del S.or
Dio commune a tutti, et vorrà per propria virtù superare
li accidenti de la fortuna non restame persuaderli la tole-
rantia con tanta magior fede quanta per me se offerta.
Il signor Dio li commuti il danno con la prosperità et
augmento che V. S. Ill.mo desidera et allei quanto più
posso me raccomando ».
CAPITOLO I 15

Il Mugnos scrisse di Vespasiano : « riusci non come


il padre nella milizia; però uno de' miglioi-i del suo tempo:
ebbe gli spiriti marziali; ma cosi violenti che non gli

lasciavano adoperare quo' giusti sentimenti necessari alla


guerra; ma poscia, adoperandogli con maturità, ne godea
mirabil riescita. Mambrino Roseo nelle sue storie di Napoli
esagera con molti belli encomii le virtuose ([ualilii di

questo principe colonnese » (').

Quindi la memoria gloriosa del padre, il nome per-


sonale di non degenere guerriero, i rapporti antichi con
casa Colonna e importanza del feudo dello stesso Colonna,
l'

dovettero rendere assai gradita a Giulia la notizia che


Vespasiano Colonna chiedeva la sua mano.
La seguente importante lettera, conservata nell' ar-
chivio Gonzaga, ricordata, ma non riprodotta dal Grego-
rovius (-). ci dà particolari preziosi su questo matrimonio.
È r ambasciatore del Marchese di Mantova, Federico Gon-
zaga, che scrive al suo signore da Roma, in data 20
luglio 1526.

« Heri in casa de Madama 111.™=' (3) fu fatta la conclusione del ma-


trimonio fra il Sig. Vespasiano Collona et la S.''"'' Iiilia, figliuola dello
IH. S. Ludovico de Gonzaga, et così havendo la p.'=* Madama et il

Rev."^" Mons."" Pyrro in nome promisso de darla, et esso


del patre
S.'' de torla cum dotte di XII miUia ducati doro a essere pagati in
tre anni, cum patto che la sij tradutta a marito questo mese prox."
di Augusto, cosi de tal promissione è stato fatto uno instrumento,
dove non è intravenuto oltra che Madama, il p.'° Sig."" Mons."" Pyrro
et io per signo di V. Ex.''' non havendose voluto che vi siano altre
persone acciochè la cosa resti secreta fin tanto che de d.'^ conclu-
sione sij venuta la ratificatione dal S."" Ludovico, lo quale si è pro-
misso che sera qui fra 8, o dece dì. Non si potrìa dire quanto libe-
ram.'<= et voluntieri il S.'" Vespasiano sia divenuto ad fare questo

O MuGNos FiLADELFo. HistoHci dell' aug. famiglia Colonna, Vene-


zia, 1658, p. 272.
(2) CrescUchte der Stadi liom in Miftelalter. Stuttgart, 1874, voi. 8.°,
pag. 589. Debbo alla cortesia del Ch. Davari il documento.
(3) È la Isabella d' Este, vedova del defunto Marchese.
16 GIULIA GONZAGA

effetto, mosso principal.'^ per la observantia et affectione chel porta a


V. Ex.'^, che certo è tale che non credo potesse essere maggiore, et
bene in qu.*° caso ne ha fatto in parte demostratione, che non havendo
voluto guardare in questo pigliare de moglie, a robba, che per quanto
ho informatione havea dui partiti che li davino, uno sesanta milia
du.*', r altro cento mOlia de dotte, li ha rifiutati, solo per fare paren-
tela cum V. Ex.'% et stringere con uno nodo indisolubUe la benivolenza
che ha hauto cum quella, con il mezzio di questa giovine, la quale
può ben buona steUa havendo sortito un par-
dire essere nata sotto
tito de questa manera, che non si può se non laudare de ogni parte,

esso SìgJ si allegra cum V. IH. S. et senza fine in sua buona gratia
molto si raccomanda

Roma alli XXVI di luglio 1526.

Di V. S. 111."» Fid."' Ser.'-e

Francesco Gonzaga

Il matrimonio ebbe luogo il mese successivo. Ed alle


feste seguirono subito fazioni campali. In quello stesso
mese di agosto Vespasiano, di fronte alla condotta oscil-
lante di opposizione, che papa Clemente VII teneva
verso r imperatore, istigato dal cugino Cardinale Pompeo
a vendicare antiche offese di famiglia, preparava una
rapida mossa militare che ebbe il suo epilogo colla presa
di Roma del 20 settembre 1526.
Ma, rimandando al prossimo capitolo l' esposizione
della guerra mossa da' Colonnesi contro Roma, credo
opportuno di dar termine al presente col parlare di Fondi
e di Traetto, i due centri più notevoli del feudo di Vespa-
siano Colonna e di Giulia Gonzaga, e da' quali assumevano
il titolo. Mi diffonderò specialmente su Fondi, che assume
un valore particolare nello svolgimento de' fatti, raccolti
nellaprima parte di quest' opera.

Fondi è città antichissima. Gli avanzi di opere pub-


bliche, le testimonianze degli scrittori latini e la parte
che ebbe nel medio-evo in alcuni avvenimenti attestano
la sua importanza. I romani chiamavano mons e colles
Formiani i colli tra Fondi e Gaeta, saltus Forìnianus
CAPITOLO I 17

la solva ed il salto di Fondi, (<lovu stette Miniicio, spe-


dito da Quinto Faliio Massimo j)oi' impedii-u ad Annibale
di shoccare siili' Appia) e siìiiis Formianns il niai-e li-a

Terracina e Fondi. « Non v' è luogo in quo' dintorni, ha


osservato il Notarianni, che non desti idee di voci orien-
tali, come del resto ha notato anche l' eruditissimo Maz-
zocchi. Il nome del Monte Chiavino, che servi di confine
tra' Volsci e gli Ausoni, nasce dalla voce cìiain (viva). Una
delle sue adiacenze si chiama la maina, dalla voce main
(acqua). Infatti in quelle vicinanze vi ò un paese diruto,,
detto Acquachiara. Caravilli si chiama un orto e rilevato
cono sulla cima del monte ed il nome deriva da Karan
(corno, cucuzzo, sovrapposto al monte stesso ). Rave Rap-

paia, sopra Passignano, ha origine da Appaiim (naso,


cosa prominente o saliente). Torcile da Theres o tres
(difesa, scudo), perchè difende Inola da' venti boreali:
Tirozzo, vicino Fondi, da Tivolh, (vico, contrada) e cosi
via via ».
E dirò qualche cosa di alcuni paesi i quali dovranno
assai spesso essere citati nel corso di questo lavoro.
Leìiolaeva detta ne' tempi scorsi Enula, Inola ed Inula,
come da moltissime porgamene doli' Archivio Cassinose,
ed a' tempi di Roma era ascritta alla tribù Emilia, come
rilevasi da una lapide, esistente in un angolo della casa
appartenente molti anni addietro a' Labbadia nel vico
Vallefredda. Nel territorio di Lenola trovavasi un altro
paese chiamato Ambrifi. Esisteva nel 1176 e ne era barone
Gualtieri di Reale; fu forse abbandonato nel secolo XVI.
Campodimele, ove si crede — almeno questa è la tra-
dizione popolare che ivi ho raccolta — rifugiasse Giulia
si

Gonzaga per salvarsi da' Turchi, sorge presso l' antica


Apiola, distrutta da Tarquinio Prisco.
Sperlonga, ove sbarcarono i corsari di Barbarossa
per recarsi a rapire Giulia, corrisponde all' antica Spe-
lunca de' romani. Era stato reso pii^i agevole l'accesso
da Roma, dopo che Valerio Fiacco spezzò lo scoglio ai
2
18 GIULIA GONZAGA

pie' del monte di Terracina, chiamato Lantole, aprendovi


una strada. Tiberio \i dovè ampliare il 27ì^eiorio, certo
già esistente da vario tempo, aggiungendo ad una spelonca
naturale e grandissima altre opere laterizie, delle quali
alcune coli' avanzar del mare sono rimaste sepolte nel-
r acqua e molte altre per lunga distesa si scorgono ancora
sulla spiaggia presso 1' attuale Sperlonga. Tiberio era forse
di Fondi (') (Svetonio dice: Tiberhmi quidam Fundis
natimi existimaverunt, secuti levem coniecturam, quod
materna eius avia Fundana fuerit et quod mox simu-
lacrum felicitatis ex senaiuscotis. jjublicatum ibi sit) :
abitò lungamente quel palazzo prima che si allonta-
nasse anche di più da Roma, ritirandosi a Capri. Anzi
durante il soggiorno in quel luogo Seiano potè accrescere
il favore che già godeva presso l' imperatore, per un
accidente del quale per poco non rimase vittima l' impe-
ratore medesimo. Ilda Tacito {Ann.
fatto è ricordato
1. 4.^) « vescebatur in vocabulum Speluncae,
villa, cui
mare amyclanum (') inter Fundanosque montes, nativo
in specu. Eius os, lapsis repente saxis, obruit quosdam
ministros hinc metus in 07nnes et fuga eorum, qui
:

conviviimi celebrabant. Seianus gemi vuUuque et mani-


bus super Caesarem suspensus opposuit sese incidenti-
bus : atque habitu tali rejjertus est a militibus, qui

(^) L' avo materno di Livia vuoisi che fosse della stessa famiglia
fondana, alla quale apparteneva il pretore fondano Aufidio Lusco, q\iel
vanitoso il quale, scambiando Fondi per Roma, indossava le insegne
riservate al pretore di Roma, il che ad Orazio, che traversava Fondi
per recarsi a Brindisi, fece fare le grasse risa:

Fundos Aufidio Lusco praetore Uhenter


Linquimus^ insani ridente^ proemia scribae^
Praetextam el latum clavum prunaeque vatillum {Ser7n. I, 5-7.).

Di Fondi era anche Galeria, moglie dell' imperatore Vitellio, i

soldati del quale riportarono una piccola vittoria contro i Sabiniani fra
Terracina e Fondi presso il lago omonimo.
:

CAPITOLO I 19

suhsidio vencranf ». E Svetonio: « iiixla Terracinam in


praetovio, cui Speluncae nomen est, incoenante eo, com-
plura et ingentia saxa fortuilu superne delapsa sunt
ìnultisque convivarum et ministrorum elisis, praeter
spem evasit ».

Del resto in que' dintorni non dovevano essere poche


queste abitazioni scavate nel vivo della roccia, se si

tenga presente quanto lasciò scritto Strabene : « hinc


ingentes aperiuntur sjjeluncae, in quibus magnae sunt
et sumjytuosae villae ». Probabilmente per la vastità o
per altra circostanza, al territorio, ove esisteva la grotta

abitata da Tiberio, rimase per eccellenza il nome di Spje-


lunca, che col tempo si trasformò nell' attuale nome di
Sperlonga.
Uri (forse da iter perchè sulla via Appia) era pro-
babilmente r antica Mamurra, nella quale Orazio, insieme
col rettorico Eliodoro, con Mecenate, Cocceio, Capitone e
Fonteio, dovè pernottare nel terzo giorno del viaggio
intrapreso da Roma a Brindisi :

« In Mamv/rranim lassi deinde urbe manemus. »

Poiché ho materiali copiosissimi per scrivere una


voluminosa monografia intorno a Fondi, alla quale, se la

vita mi basterà, mi propongo, quando mi sarà possibile,


di attendere, raccogliendo cosi ed attuando un voto del
mio compianto genitore ('), qui mi limiterò ad aggiungere
pochi altri cenni su quella città.

Due epigrafi meritano di essere riportate, delle quali


una determina le magistrature che esistevano in Fondi
sotto i romani. Ad un chilometro fuori della città, sulla

Q-) V. gli Statuti di Fondi, editi per cura di Errico Amante, Sena-
tore del Regno. Oltre questo lavoro a stampa, mio padre lasciò due
grossi volumi manoscritti di appunti e documenti sopra Fondi, mate-
riale che io da rari anni ho procurato di rendere anche più completo.
20 GIULIA GONZAGA

via che porta a Napoli, trovasi un muro di lusso, im


opus reticulatum, nel quale, formate da altrettanti cana-
letti, od incavi, si leggono, distanti l' una dall' altra più

di due metri, le seguenti lettere cubitali, riportate dal


ÌMommsen, dal Pratilli e da molti altri:

VVARONIANVS PIFC
Alcuni le interpretarono così: « Valerius Varonia-
nus Ponti fex Isiclis faciendiim curavii ». Il Natarianni
invece ritenne che proprio la collina, a cavaliere di detta
villa, chiamata la casa delle Monache, fosse una villa di

Varrone, ove il dottissimo romano scrivesse il suo trattato


de re rustica. È per altro quasi certo che su quella
collina, che doveva poi essere 1'arx della città, circon-
data in alto da un quadrato di mura ciclopiche (periodo
romano) (^) esistesse un tempio di Iside, la quale, al

pari di Ercole (^) e di Giove, era adorata da' Fondani.


Sul tempio di Iside sorse un monastero di benedettine,
trucidate da' Turchi, come si vedrà, nel 1534; su quello
di Giove si elevò la chiesa di S. Pietro, la quale nel
V secolo fu ingrandita da S. Paolino da Nola, secondo
scrisse S. Gregorio ne' suoi Dialoghi. In S. Pietro, opera
del XII secolo, pregevole è il pulpito. L' ambone poggia
sopra quattro colonnette erette sul dorso di due leoni e
di due arieti, come simboli della potenza divina. Ne' capi-
telli sono quattro aquile; gli archi dell'ambone, ne' quat-
tro lati, sono decorati di mosaici con in mezzo gli evan-
gelisti. Da un' epigrafe rilevasi che autore fu un certo
Giovanni, d' origine romano (^).

(^) Le mura di Fondi sono costruite con grande esattezza a massi


poligoni lisci. Un saggio in disegno ne fu dato dal Kriise: Hellas,
voi. I, tav. 1-3-5 e dal Dod/cel, Mem. Ist. 1832, tav. II, 5.

(^) V. Foucault, U antiqiHié expliquée. Tom. II, pag. 199.


(^) V. Salazaro, Momimenti dell'Italia meridionale dal IV al XIII
secolo. Napoli, 1871, parte l.'^, pag. 64.
CAPITOLO I 21

Ad oi'iente della ciltii sulla itorta donde si esce pei*

andare alla fontana di Vitruvio (coiTottanionte Peti-ulo)

leggesi questa iscrizione :

I,. NlMISTORIl'S !.. K. IiKC[AN


C. LUCIUS M. F. M. RUNTIUS l.. V. MESS.
AED. PORTAS TURHEIS MURUM
EX S. C. FACIUNI». COERARUNT
EISDEMQ. PROBARUNT.

Quella fontana trovasi per l' appunto tra gli avanzi


della villa di ^'itruvio trasformala in bagni pubblici quando
fu distrutta. A'ilruvio era nato in Fondi. Egli sostenne
guerra contro Roma ed ebbe a combattere i consoli Lucio
Papirio e Lucio Plauzio. A Roma il suo palazzo forse
sorgeva nell'attuale posto di Campo Vaccino, come fa

supporre nome. Cicerone scrisse: « In Vacci pratis


il

domus fuit M. Vacci, quae puhlicata est et aversa, ut


illiiis facinìis, memoria et nomini loci notaretur ».

Del resto sulle antichità di Fondi ho un' importante


lettera inedita del Notarianni, il dotto autore del viaggio
per V Ausonia, e mi sembra opportuno renderla ora di
pubblica ragione, anche perchè completa opportunamente
ilmio cenno. Il Notarianni scrive da Lenola il 4 marzo
1792 ad un suo amico, invitandolo a fare, come si vede,
un po' il cicerone ad un forestiero.

Amico carissimo.

Avendo tutto l' imiìeg-no acciò vi facciate onore con il Sig. Cano-
nico Finto, nel ritorno, che farà, portatelo ne' luoghi seguenti :

1." A Petrulo e gii direte esser quelli li avanzi della deli-


ziosa villa di Vifì'ìa-io Vacca, cittadino di Fondi, uomo sopratutti ricco,
il quale, nell' anno 425 di Roma, ( essendosene tornato nella sua patria
dalla Capitale, dove prima aveva fatta gran figura per molti anni), si

fece capo di molti paesi e si ribellò contro i Romani. Specialmente i

Piperuesi lo favorivano, e dopo aver sostenuta la guerra a fronte


degli eserciti consolari, fu finalmente disfatto, imprigionato, condotto
a Roma e fatto morire. In Roma ebbe gi-an palazzo in quel luogo,
detto anticamente Prata Vacci e oggidì Campo Vaccino. Di lui parla a
99 GIULIA GONZAGA

lungo Tito Livio nel libro 8'^, cap. 17, E questo VUruvio è differen-
tissimo dallo scrittore d' architettura.
2.° Portatelo inoltre a Casa delle monache e ditegli esser
quella la villa del dottissimo J/. Terenzio Varroiie, scrittore il più cele-
bre tra' latini e uomo pratichissimo, oltre U resto, d' agricoltura. E di-

teg-li inoltre che è molto probabile che ivi avesse scritto i suoi libri
de re rustica, poiché i requisiti che dice abbia da avere una villa nel

suo libro, si trovano corrispondenti esattamente alla qualità del luogo.


3.'^ Tutte le fabbriche, allato aUa strada Appia, eh' è la stessa
che passa per mezzo Fondi, sono sepolcri, e quello che sta sopra
Ponte Selce è anche un sepolcro, il quale non si sa con certezza di
chi sia ; io penso, per varie congetture, che appartenga a quel celebre
Edile di Fondi, chiamato Marco JJlpio, al quale fa eretta una statua,
come si rileva da questa iscrizione, che sta dentro la Chiesa di S. Bar-
tolomeo, fuori Porta Odioso., e che comincia :

M. llpio F. Aed.

4.° Avrei piacere che da lontano almeno gli mostraste il Cncn-


ruzzo e la vostra casa, ov' era la villa di Avenio Papa, di cui sepolcro

è la fabbrica conica, che oggi chiamasi Cucuruzzo : ed a questo pro-


posito gli ricorderete della celebre legge Papia e del Sepolcro di Cice-
rone sopra d' un colle simile a questo, nel luogo detto l' Acervàra,
vicino la spartitora di Gaeta, a man sinistra quando si va verso
Napoli.
5.° Fategli osservare nel muro del Riparo quel bel marmo,
in cui v' è la testa d' un giovenco e una stella scolpita dinanzi. Egli
che è, come mi dite, amante di antichità, vi proverà del piacere
gi'ande, sapendo che gli Egizi, i Fenici e i Greci si sono succeduti
neir essenza della mitologia e si confermerà, dal culto di Sei-apide
sparso per tutta la nostra costa marittima, che quasi tutti i luoghi
nostri furono colonie di quelle nazioni.
6.° Avrà vista la Cattedrale; ma non gli avrete detto che
quella Chiesa è poco posteriore al passaggio di San Paolo, quando da
Pozzuoli andò a Roma e che ai tempi di San Paolino, Vescovo di
Nola, era già per 1' antichità rovinosa, onde quel S. Prelato fu costretto
di proprio a rifarlo.
Vi potrei divisar mille altri luoghi; ma non so se avrete tempo
ed io mi stanco a scrivere.
Circa r Antipapa non avrà bisogno di sentirlo da voi, dovendo
essere inteso della storia del nostro Regno. Ditegli solo che per tra-
dizione si ha, esser egli stato creato nella casa di D. Vincenzo Rasile,
luogo commodo per secondare i maneggi del Conte Onorato Gaetano,
il quale abitava nel palazzo del Principe, che si stendea fin là. Le
CAPITOLO I 23

circostanze, i motivi della scelta di papa Clemente, a ragion d." Anti-


papa, g-li deono essere noti.
Se vi domanda
origine di konih, ditegli che si attribuisce
dell'

ad Ercole Libko, e che la cronologia e la storia si accordano. Diteli


che la Pinnn di Fondi è il Canipo, Ager Caecuhiis di tutti poeti i

latini : — ditegli che il Lago è l' antico Lacus Arnyclanus, detto dalla
distrutta città di Amicle antichissima, ivi vicina, di cui ancora si veg-
gono gli avanzi. — E cosi lo tratterrete con piacere jior qualche tempo ».

Del resto copiose isci-izioiii si leggono nel Mommsen,


nel Cxpuntero, nel Pratilli ed in altri.
Notissimi erano i vini di Fondi : ne parla anche Pli-
nio. Orazio così li celebrava:

Uaec fuivlana (cUt felix aiUiUiiuas <iiniiu

Expressit niustum consxd et ipse bibit.

E Marziale:

Caeciiba fondanis generosa coqmmtur AnìifcHs (^)

Vitis et in iitedia nata palude viret.

(') Presso Fondi, verso il bosco ed il mare, ove ora sorge la


località detta Canneto, o non molto lungi, doveva fiorire la famosa
Amicle, o meglio una delle due Amicle, delle quali così scrive il Cale-
pino ( Dict. octolinguis, Lugduni, MDCLXXXI ) « Amyclae pluraliter :

nouien ab urbis Laconiae, Tyntari Regia, in qua nati snnt Castor et Poi-
lux. Alia est in Italia, Inter Terracinam et Fundos, in paludibus a La",o-

nibus condita ». È quasi impossibile determinare 1' epoca della fonda-


zione della città, quando di essa, come di città da gran tempo già
distrutta, parlano Cicerone e Virgilio : quest' ultimo vi fa combattere
Camerte, figlio di Volsciente:

Qui full Ausonidum et tacitis regnavit Amijclis.

Il titolo di silenzioso è comune presso gli scrittori romani


che hanno ricordato Amicle. Servio fa dire a Lucilio questo motto
spiritoso: « miìii n':cesse est loqui nam scio Arnyclos tacendo perisse ».

Pitagorici per eccellenza, questi abitanti pare si facessero ammazzare


da' nemici, non violando il precetto del più assoluto silenzio. I mito-
logi vogliono che una invasione di serpi li facesse perire tutti. Certo
grande era la importanza di quel luogo. Uno scrittore ritiene che il

territorio amiclano dovesse distendersi su tutto il gran bosco, che ora


24 GIULIA GONZAGA

Fondi neir 846 fu soggetta ad un'incursione di Sara-


ceni , che per poco non Leone Ostiense,
la distrusse tutta.
citato dal Baronio lasciò scritto Sergio Papa secundo
, :

in sede apostolica praesidenie, a quo Ludovicus impe-


raior est coronatus, ingens Saracenorum multitudo ab
Africa classe romana devecta
, ecclesias sanctorum ,

apostolorum Petri et Pauli ex integro deptredaii sunt,


midtosque illis interfìcientes ^5er Appiani viam iter ,

aggressi, ad Fimdanam civiiatem venerimi. Quam cum


coepissent et incendio cremavissent, cunctosque illic cives
partim gladio destinavisseni universa
fjartini captioni, ,

quoque per circuitum vastavissent, secus Caietam ap)pli-


cantes, castramentati sunt (') ».

Non mi diffonderò qui a parlare del feudo di Fondi


rispetto ai suoi dominatori, bastando accennare che per
vario tempo fu sotto la Chiesa e poi passò alla dipendenza
di Gaeta. Le particolarità sull'argomento si possono riscon-
trare nella pregiata opera del Federici intorno a' Conti,
Duchi ed Ipati di Gaeta. E così del dominio dei signori
dell'Aquila dirò appresso, parlando di Gaeta, premendomi
di arrivare a tempi della famiglia de'Caetani, sia perchè
precedono immediatamente la signoria de' Colonna, de' quali

si vede, ed anche al di là del fiume, nel territorio di Sperlonga, fino


a quello dell'Mamurra, oggi Itri. Il lago ed il mare portavano
antica
anche il nome di Amicle e gli amiclani avevano un porto nella foce,
ora detta di Sant' Anastasio, da una diruta chiesetta dedicata a quel
santo. Tuttora notevoli, nel mezzo del lago di Fondi, i grandi mura-
glioni per assicurare i canapi de' legni di trafiìco. La maggiore indu-
stria amiclana era certo il vino, chiamato amiclano ed anche cecubo,
per la palude Cecuba, situata tra Fondi, Itri e Sperlonga. Il vino della
famosa città cosi è ricordato da Plinio : « antea Coecubum vino erat
generosifas celeberrima in imhistribns populetis in sino Arni/ciano ». Stra-
bone afi'ermava che « vini coecubi inter nohilia nunfranfur ». E final-
mente Orazio non seppe meglio solennizzare la vittoria d' Augusto
contro Antonio che libando col vino cecubo (Odi, I, 32).
(^) Chron. S. Man. C'assin., Milano, 1723, tomo 4, p. 301.
CAPITOLO I t^')

si occupa questo liljro, sia [>ov 1'


iiiii)oi"taii/,a di (juulla

famiglia e di alcuni avvenimenti a'ijuaii essa parteciiiò.


Loffredo Gaetano, nipote di lionifacio Vili , aveva
condotta in moglie Margherita, contessa Palatina. Avendo
ottenuto di lar pronunciare il divorzio, sposò a Roma Gio-
vanna, ultima erede de' conti dell'Aquila, figlia di Riccardo
dell'Aquila e di lacopa Ruffo di Catanzaro, ma poi si separò
anche dalla seconda moglie, mentre prima era andata la

a nozze con Nello della Pietra, o Paganello de'Pannochie-


schi, signore della Pietra, Ma presto, o egli stanco di lei,

o ella di lui, si divisero, e Nello sposò la gentildonna


senese Pia de'Guastelloni, vedova d'un Tolomei. Qui torna
alla memoria l'avvenimento leggendariamente pietoso della
Pia. Dicono che, innamorata d'un uomo più che quinqua-
genario. Agostino De Gliisi, tradisse Nello, il quale con-
dottala in Maremma la fece prendere per le gambe da
un famiglio e gettare dalla finestra. Onde Dante :

Ricordati di me che sori la Pia,

Siena mi fé , disfecemi Maremma :

Salsi colui, che, inanellata pria.


Disposata m'avea colla sua gemma.

V'è chi scrive che Nello si spingesse al barbaro atto,


mosso dal desiderio di impalmare una contessa. Margherita
Aldobrandeschi , bella ed erede di molte ricchezze ; ma
ciò non gli venne fatto. Più fortunata di Nello, la con-
tessa di Fondi, già da lui separata, proseguì impavida alla
ricerca d'un altro marito. Lo trovò in Guido di Monforte,
e quando rimase vedova di costui, ne tolse un altro, certo

Orsello Orsino , il quale probabilmente non sarà stato


l'ultimo! I casi della contessa di Fondi fanno ricordare
quelli recenti d'una signora di Neath in Inghilterra, la

quale pochi mesi addietro accordava la fida mano all' unde-


cime marito, il che suggeriva ad uno spiritoso scrittore
una riflessione retrospettiva « i mariti cadevano attorno :

a lei — onore al merito disgraziato ! — come soldati


.

26 GIULIA GONZAGA

stretti in un supremo sforzo attorno alla bandiera, ed ella


non aveva ormai nel suo guardaroba che due abiti, quello
di lutto e quello di nozze ! »

Tornando a Loffredo Caetani ricordo che a lui, nei ,

tempi di Roberto d'Angiò, successe il figlio Nicolò, capi-

tano valoroso, ma crudele. Nella lotta sorta tra la regina


Giovanna e Ludovico di Ungheria, seguì le parti di

quest'ultimo. Giovanni Villani scrisse : « in quei tempi


il conte di Fondi, nipote che fu di Papa Bonifazio Vili,
a petizione del Re d'Ungheria, prese Terracina ed il

castello d'Itri presso Gaeta per cominciare la guerra da


quella parte alla reina e a' reali dì Napoli ; i quali vi
mandarono seicento cavalieri e pedoni assai del regno per
assediare il detto castello di Itri. Il Conte fece suo sforzo
di gente dicampagna e con 200 cavalieri tedeschi, che
aveva, furono 400 a cavallo e gente a pie assai, e assalì la
detta oste e miseli in isconfitta e n'ebbe assai di presi e di
morti » (15 sett. I34G). Posto dalle soldatesche napolitano
assedio a Traetto, Nicolò pose in uno stratagemma. atto
I nemici, credendo fuggito il Conte ed abbandonata la città,

vi penetrarono e cominciarono a saccheggiarla, quando

all'improvviso apparve il Conte e li fece tutti prigionieri.


Furono trucidati i soldati di Gaeta ed in genere coloro
che non erano napoletani; i napoletani, per dispregio della
regina, furono denudati e rimandati alle case con un car-
tello, che diceva : « ego sum robha, qumn comes Fiindi
fecit de novo ! »

Ma poiché gli avvenimenti drammatici della regina


Giovanna hanno stretta relazione non solo con questo ,

conte di Fondi, ma col successivo Onorato I (tanto noto


come parte grandissima nomina dell'antipapa Cle-
nella
mente VII la quale preludiò allo scisma d'occidente) non
sarà inopportuno ricordare alcuni particolari della vita
della regina Giovanna, tanto più che la matassa è cosi
intricata, che in questa parte anche alle persone colte
meminisse iuvabit.
CAPITOLO I 27

Giovanna e Maria erano i soli tigli lasciati da Carlo


Duca di Calabria, premorto al padre, il re Roberto d'Angiò,
Giovanna aveva sposato Andrea d'Ungheria (del ramo
d'Angiò e fratello di Lodovico, re d'Ungheria); essi asce-

sero giovanissimi sul trono, il che, in quei tempi di con-


tinue turbolenze, die campo a' baroni del regno di agitarsi
e di gareggiare tra loro. La sorella della regina. Maria,
aveva sposato Carlo di Durazzo, contro la volontà di quella
e con doloro non piccolo del re ungherese che aspirava
alla mano di Maria, sperando con ciò di succedere a suo
tempo a Giovanna. E lo stesso matrimonio di Giovanna era
dispiaciuto ad altri del ramo di Angiò, mossi dalla mede-
sima aspirazione, e specialmente a Luigi Durazzo, nipote
ex fratre di re Roberto. Quindi contro il re Andrea con-
vergevano l'invidia di Carlo Durazzo, il dispetto di Luigi
di Taranto, gli interessi offesi de' baroni che circondavano
l'uno e l'altro. Il pontefice Clemente VI riconosceva Gio-

vanna ed Andrea; peraltro, considerandosi padrone del


regno e volendo rimuovere le antiche influenze e distruggere
le molte ambizioni allora alimentate, spedì quale ammini-
stratore nel regno il card. Aimerico (1344), il quale poco
dopo fa richiamato per intrighi di corte. Allora i varii
malcotenti si intesero : fu deliberata la morto di Andrea.
Con un pretesto di caccia i reali furono attratti al convento
di Morrone, presso Aversa. La notte del 18 settembre 1345

Andrea fu risvegliato da alcuni servi lasciò la regina e :

al rumor di voci corse nelle camere che precedevano la

regale. All'improvviso fu circondato e malmenato, alcuni


gli strinsero una corda al collo, lo strozzarono, non senza
vigorosa resistenza della vittima ; colla stessa corda fu
sospeso il corpo da una finestra. Al rumore la Regina non
curò di levarsi ; né in quel giorno, né poi si mostrò gran
che preoccupata dell'infame assassinio, anzi nemmeno pensò
di perseguitare i sicari. La voce incolpò del fatto la regina,
il papa iniziò un processo. Il fratello della vittima, Ludo-
vico re d'Ungheria, giurò vendetta, specialmente quando
28 GIULIA GONZAGA

seppe che la regina aveva sposato Luigi di Taranto, troppo


cointeressato perchè non fosse sospettato complice della
trama. Intanto Carlo di Durazzo, cioè il cognato della
regina, faceva imprigionai'e i sicari, veri o presunti, i

quali, dopo aver subito orribili tormenti, furono messi a


morte.
Ludovico mosse dall' Ungheria nel 1347 con forte
esercito. Il papa da Avignone dichiarò non, potergli con-
sentire l'investitura di Napoli, perchè non era stata provata
la colpa della regina. A questa si ribellava la città di Aquila;
il conte di Fondi (come ho accennato ed ora ripeterò con
maggior particolari) si sollevò, abbracciando il partito di

Ludovico. Il quale, accolto con grande onore da' varii


signorotti di Lombardia, non spaventato dalla scomunica
minacciatagli in Foligno in nome del papa dal card. Ber-
trando , si avanzò verso il Volturno a Capua. Luigi di

Taranto vi si era trincerato e si apprestava ad una forte


resistenza ; ma il conte di Fondi, trattolo in aperta cam-
pagna, gli diede una grande battaglia, dalla quale il marito
della regina uscì sconfitto.
La vittoria agevolò la via al re Ludovico. La regina
fuggì a Marsiglia, il marito si condusse rapidamente in
Toscana. I baroni, e tra i primi Carlo di Durazzo, rico-
nobbero Ludovico e si portarono a fargli omaggio ad
Aversa nel gennaio 1348. Per altro il nuovo re, il quale
riteneva complice dell' assassinio del fratello pure il Durazzo
che odiava anche come rivale nell' aspirazione alla mano
di Maria, disegnò di ucciderlo. Il conte di Fondi com-
prese l'atto impolitico del re: lo sconsigliò varie volte,
ma invano. Il Durazzo, trascinato nello stesso convento di
Morrone, ad onta delle proteste di perfetta innocenza , fu
ucciso nel luogo medesimo ove cadde vittima il primo
marito dì Giovanna.
Quindi Ludovico nel 1348 tornò in Ungheria, lasciando
Corrado
a difesa del regno di Wolfort, chiamato italiana-
mente Corrado Lupo.
CAPITOLO I 29

Luigi di Taranto l'aggiunse la liegina a Mai'siglia.


Indi insieme si recarono ad Avignone dal Papa, il quale
benedisse il loro niati-imonio e sborsò 80.000 fioi-ini d'oro,
quale corrispettivo per la cessione d'Avignone. Con questi
danari, con altri raccolti da' baroni seguaci e dal vescovo
Acciajuoli, Giovanna e Luigi tornarono in Napoli nel set-
tembre 1348, ricevuti con entusiasmo dal popolo. In breve
recuperarono gran parte del regno difeso da Lupo e ,

anche dall' altro capitano di ventura , associatosi poco


dopo, Giovanni Urslingen, prima a servizio di Luigi. I due
condottieri sostennero per vario tempo le sorti e i diritti

del re d'Ungheria. Rafforzatisi tennero testa non solo a


re Luigi, ma. presa e saccheggiata Capua, diedero anche
nel giugno del 1349 una sconfitta al re, facendo prigio-
nieri 25 baroni ed uccidendo un migliaio di soldati. La
guerra proseguì con vario esito da una parte e dall'altra,
finché re Ludovico tornò di persona in Italia e penetrò
in Salerno. Con un esercito numeroso di ungheresi, e di

altri 40,000 soldati tra tedeschi e napoletani , si accostò


con Lupo ad Aversa, la quale oppose fiera resistenza per
vari mesi. Il Papa, invitato, si intromise per mezzo del
vescovo Guido e del card, di Santa Maria Cosmedin, suoi
in

Legati : cosi ebbe luogo la tregua del 15 dicembre 1350,


colla quale l' ungherese, senza rinunciare al regno, ad onta
che altri diversamente interpretassero certi suoi atti, si

riservò ogni libertà d'azione per quando il processo, ini-


ziato contro Giovanna, fosse terminato. Dal processo,
proseguito in Avignone, derivò l'innocenza della regina,
non esclusa però del tutto la sua complicità. Ad ogni
modo re Ludovico tornò in Ungheria i capitani di ventura, :

parte coi trattati, parte colla forza, vennero espulsi dal


Regno e Luigi e Giovanni, il 27 maggio 1351, furono
;

incoronati re di Napoli da' legati del Papa, con grande


solennità. Senza intrattenermi sui tentativi fatti e non
raggiunti di conquistare la Sicilia, basterà ricordare che
Luigi morì il 1362.
30 GIULIA GONZAGA

La vedova regina passò a terze nozze l'anno seguente


con Giovanni d'Aragona, infante di Maiorica, il quale,
essendosi recato a riconquistare in Ispagna le terre avite,
vi fu ucciso nel 1368.
L'anno prima (1367) Urbano V lasciava Avignone e
ristabiliva la sede pontificia a Roma. La regina Giovanna
passò a quarte nozze il 15 agosto 1376 con Ottone di

Brunswich.
Nel 1378 moriva Gregorio XI che, come scrive il
Muratori, « aveva atteso a risarcire la chiesa di Roma,
divenuta nido di gufi ,
perchè abbandonata per più di
settant' anni da' cardinali che, immersi nelle delizie di
Provenza, niun pensiero si mettevano de' loro titoli e tutto

lasciarono andare in rovina (^) ». Il 7 aprile si riunirono i

cardinali in conclave: erano 12 francesi e quattro italiani,


tra' quali ultimi il vecchio Tibaldeschi che pagò le spese
di un curioso equivoco e d'una triste usanza infiltrata nel
popolo. I cardinali congregati mal riescivano ad intendersi,
mossi dalle varie aspirazioni sulla nazionalità dell'eligendo
e sopratutto dallo spavento che li opprimeva. Un fulmine
entrò in conclave, incendiò alcuni mobili ed usci tranquil-
lamente perla finestra. Ma gli orecchi de' cardinali erano
assaliti dalle grida insistenti e terribilmente minacciose
del popolo romano che protestava di volere un papa italiano.
I magistrati vennero a spiegare agli eminentissimi la volontà
precisa del popolo e la precisarono anche meglio, dicendo
che si voleva non solo un italiano, ma un romano. Alla
fine i porporati convennero di nominare uno che non
appartenesse al collegio cardinalizio e che per particolari
ragioni potesse essere accetto a' vari votanti. La scelta
cadde su Bartolomeo Frignano, vescovo di Bari. Al popolo,
smanioso di conoscere il risultato, parve che un Orsino
dicesse: andate a San Pietro. In quello venne alla finestra

(^) Muratori, Annali, d. a.


CAPITOLO I 31

il veccliio Tibaldescli), detto il (^ai'iliiuik' di San Pieico.


romano. Il popolo credette lui l'eletto: pel che si alìhaii-
donò a gioia infinita e corse, secondo il costume de' tempi,
a saccheggiarne la casa. Compiuto l'atto vandalico, s'avviò
verso il conclave per venerare il nuovo Pontefice. Cinque
cardinali fuggirono a Castel S Angelo , temendo eccessi
del popolo per 1' annuncio del nome del vero eletto, annuncio
che fu dato dallo stesso Tibaldeschi ! La nomina fu noti-
ficata anche a' sei cardinali tuttavia residenti in Avignone.
Il nuovo pontefice uomo integro , e di grande severità,
prese il nome di Urbano VI.
Il Muratori scrive di lui : « Dicono ch'egli possedeva
grande probità e molte altre virtù ; ma o di queste non
aveva egli se non la superficie, o almeno scomparvero tutte,

dacché fu salito al pontificato. Invece d'usare umiltà, che


sta bene anche ne' romani pontefici, per non dire di più;

invece di guadagnarsi, almeno su' principii , l'affetto dei


cardinali e di lavorare a poco a poco la riforma della
corte pontificia, che veramente gran bisogno aveva di cor-
rezione, cominciò egli tosto a trattare con aspre maniere
que' porporati, a detestare la loro dissolutezza, l'avarizia,
la simonia, i conviti, ad esigere la residenza de' vescovi,
ed a minacciare varie novità, tutte bensì lodevoli, ma che
toccavano sul vivo chi era usato alla libertà ed anche al
libertinaggio. Di più non ci volle, perchè i cardinali fran-
cesi concepissero disegni di scisma, per liberarsi da un
pontefice si contrario a' loro interessi e alle concepite
speranze ».

Colla scusa de' forti calori estivi i cardinali a poco a


poco abbandonarono Roma e si ritirarono ad Anagni. Ur-
bano VI, non ignorando che si erano ridestate, passata la
paura, le antiche aspirazioni, si recò a Tivoli e di lì mandò
i tre cardinali superstiti (il Tibaldeschi era morto) ad
Anagni per dissipare la minacciata burrasca, dichiarandosi
disposto a convocare anche un concilio per far stabilire la
legittimità o meno della sua elezione. Ma i Cardinali a'quali
32 GIULIA GONZAGA

si unirono anche i tre invitati, opponendo il pretesto che


essi lo aA'evano prescelto sotto la pressione delle minacce
de' cittadini romani « ^norteìn enim ipsis intentare vole-
bant, nisi ita fecissent » dichiaravano di non aver fiducia
nella imparzialità di un concilio, che, in fine, doveva essere
adunato dallo stesso papa, oggetto di questione. I cardinali,

iniziarono trattative per avere l'appoggio della regina di


Napoli, valendosi dell' opera di Onorato I , conte di Fondi
(1370-1400) succeduto al padre Nicolò.
Onorato, primo di questo nome nella casa pontificale
di Anagni, fu nel secolo XIV uno de'piìi magnifici e potenti

baroni, che possedessero stati e signorie in campagna di

Roma ed in Napoli, giacché alla contea di Fondi e Traetto


aveva unito quella di Sermoneta, della terra di Bassiano,

patrimonio di sua famiglia, e di molti altri paesi. Nel nome


della Sedia apostolica, egli esercitava la carica di prefetto
ossia di governatore della campagna. Né meno splendide
erano le sue parentele, dappoiché per mezzo di sua madre,
lacopa Orsini, era agii Orsini congiunto e per mezzo di
sua moglie Caterina del Balzo, era unito in parentela coi
conti di Andria e di Montescaglioso , baroni potentissimi
fino tempo del re Roberto (').
dal
La regina Giovanna consentì di buon grado, sospettosa,
dicono alcuni, che il papa volesse costituire un principato
nel napoletano ad un nepote adirata, scrivono altri, che
;

il Papa medesimo si fosse lasciato sfuggire di bocca, che

l'avrebbe un bel dì mandata a filare nel monastero di


Santa Chiara. I cardinali francesi, per maggiore sicurezza,
chiamarono una banda di Brettoni, comandata da Bernardo
da Sala. I romani si volevano opporre al passaggio di essi,

ma furono sconfitti, lasciando sul campo 500 morti. Il

conte Onorato allora invitò tutti i cardinali a recarsi in


Fondi. Ivi, alla presenza di Ottone di Brunswick, marito

(1) V. Ciuffi, demone storiche della Città di Traetto. Napoli 1854,

pag-. 38.
,

CAPITOLO I 3:^

della Regina, di Nicola Si)iiielli. amhasciatore della stessa,


del principe di Taranto e di molte nol)ilt;i, i cai-dinali.

riunitisi nella casa Rasile, elessero jìapa il 20 settend)re


1378 il cardinale Roberto di Ginevra, figlio di Amedeo III,

Conte di Ginevra, ancora quarantenne. Questi fu consa-


crato nella cattedrale di S. Pietro, ove ancora si conserva
la sedia in marmo che servì in quella solennità ('). Urbano VI
chiamò a sé Alberico di Barbiano. che aveva pochi anni
})rima formata la famosa compagnia di ventura detta di
S. Giorgio. Questi diede una battaglia in Marino il 2'.)

aprile 1379 alle truppe cardinalizie, aiutate dal Conte di


Fondi , le quali rimasero sconfìtte. Con questa elezione
avvenuta in Fondi nella persona di Clemente VII, s'iniziò

lo scisma d' occidente, che durò dal 20 settembre 1378 al


26 luglio 1429, quando cioè per la rinunzia dell'antipapa
del tempo. Clemente Vili, rimase incontrastato pontefice
Martino V, ch'era stato eletto fino dal 1417. Sant'Antonino
allora scriveva : « la questione del vero Pontefice restò
dubbiosa presso molti. Poiché sebbene sia necessario cre-
dere, che siccome la cattolica chiesa è una sola, così pure
uno solo deve essere il pastore di essa, vicario di Cristo,
ciò nondimeno, accadendo che per uno scisma siano stati
eletti più pontefici nello stesso tempo, non sembra neces-

sario di credere che questo quello sia il vero Papa ;

ma che sia bensì quello che fu canonicamente eletto. Chi


poi fosse canonicamente eletto, niuno è obbligato a saperlo,
come non ò obbligato a sapere il diritto canonico ; ma in

ciò possono seguire con sicurezza di coscienza il sentimento


e la condotta de' loro superiori prelati ».

(*) Nell'Archivio Vaticano conservasi sul fatto un codice : Origo


nefandi schismatis sub Urbano \\
6° coepti amio D.ni 4378, Et conclave
novum in civifate fundorum \
|
tibi li cardindles ab Urba \
\
no deficientes
elegenmt Clementeni septimuni dictum Anti \\
Papam. —
845-9444 mise,
cart. in 4.°, Sec. XVII, cart. 29, voi. 1 (215-2316). Vedi: Forcella,
Archivio ^'aticano.
34 GIULIA GONZAGA

È noto che Carlo III di Durazzo , uccisa la regina


Giovanna, ne aveva occupato il trono. Lodovico d'Angiò,
designato nel testamento da Giovanna, quale successore,
scese in Italia e collegatosi col conte di Savoia (Amedeo VI,
il Conte Verde), con un esercito di 40,000 uomini, si avviò
verso Napoli. A lui, insieme con altri baroni , si unì il

conte di Fondi, pel che Carlo III a Giacomo, si collegò


fratello di Onorato e venuto in gravi dissensi con questo.
Ma il Conte Verde, ammalatosi nei primi mesi del 1383,
moriva in Santo Stefano (Campobasso). L' anno successivo
moriva in Bisceglie Lodovico d'Angiò; Carlo III veniva
ucciso a tradimento in Ungheria nel 1386, lasciando il trono
al piccolo Ladislao, colla reggenza della madre Margherita.
Il nuovo re, più tardi, per reprimere i baroni ribelli , si

unì a papa Bonifacio IX 1400 occupò Scauri, castello


e nel
del conte Onorato il qual rimase così addolorato per questa
perdita che ne morì di crepacuore.
Gli successe, secondo l'Ammirato, il fratello Giacomo
che ebbe cinque figli maschi, cioè lacopello, premorto al
padre, Antonio che fu poi patriarca di Acquileia e cardinale,
Ruggero, Cristoforo e Colella. due ultimi furono
Qi;iesti

a' servizi di re Ladislao ; Cristoforo governò quale tutore


di Iacopo II, poi (alla morte di costui) in modo definitivo,
col titolo di conte di Fondi. La sua vita fu molto avven-
turosa. Dapprima combattè Giovanna II , di poi si pose
a' servigi di essa contro Lodovico III. Quando lo Sforza,
capitano di costui, assediata Napoli, tentò di penetrarvi
per la porta S. Gennaro, Cristoforo Gaetano si oppose
virilmente « uomo, scrive uno storico, per animo e per
consiglio chiaro, a cui era stata data in guardia quella
parte di muraglia, il quale spintosi col cavallo con alcuni
pochi suoi nel mezzo della zuffa, sostenne valorosamente
l'assalto de' nemici insin che vi giunsero col soccorso del
gran Siniscalco Caracciolo e Ludovico Colonna ». Poi si

pose a' servigi della regina e l'aiutò efficacemente nel-


l'assedio di Gaeta.
CAPITOLO I
:-55

Moi'la la i-eyiiia, Ci'isloi'oro si accostò al partilo <li

Alfonso d'Aragona. Quando questi, per conquistare a Renato


d' Angiò la città di Napoli, vi pose l'assedio, Cristoforo
colpito da una cannonata spai-ata dal campanile del Car-
mine, ebbe fracassato il capo (1<S ottobre 143'.)). A Fondi,
nella cattedrale di S. Pietro, gli fu })0Ì elevato un bel

mausoleo in marmo che ancora esiste, con questa epigrafe :

CRISTOPHORO HAEC UONORATUS ACl MONUMTA PARETI EREXrr


POSUITQUE
SUO I)E NOMIE SIGNA GAETANA DOMUS REGNI I.OGOTHETA
COMESQ. FLNDORLM ATQUE AKMIS TITLLS LUSTRAVIT UTRIl SQ.

Alfonso d'Aragona volle premiare la fedeltii del padre


nel ligliuolo Onorato II, il quale aveva servito lo stesso
re ed era stato fatto prigioniero nella vittoria navale,
l'iportata contro di lui nel 1435 dai Genovesi. Lo mandò
suo rappresentante all' incoronazione di papa Nicola V
(1447). L'imperatore Federico III, passando per Fondi,
fu suntuosamente ricevuto, come scrisse il Summonte, da
Onorato II, nel palazzo baronale ricco di addobbi finissimi,
di gioie immense e di quantità meravigliosa di oro e d' ar-
gento. Nella congiura de' baroni mantenne fede al re,
dolente che vi partecipasse il figlio Pierbernardino. Anzi
per questo fatto iniziò un processo contro di lui, facen-
dolo rinchiudere nella rocca, e ordinò la impiccagione di
un soldato, che voleva agevolarne la fuga. Ebbe due mogli:
Francesca di Capua e Caterina Pignatello, donna, quest'ul-
tima, di origine nobile, caduta in povertà, ma di meravigliosa
bellezza. Qualche anno addietro lessi la seguente iscrizione
nella chiesa di S. F'rancesco in Fondi (extra moenia) ('),

(*) Franc. Gonzaga nella sua opera: de origine Seraphicae reli-


gionis Franciscanae, Romae 1587, voi. I pag. 524, scrisse: ad ceatUM
pmsiis a Fundis, Campaniae civitate, inter Terracinam atque G-aietanì

sifara, conventus B. P. Francisco sacratus, ab illustrissimo Honorato Caie-


tana, huius nomi/li pri//io ac Fundorum comite circa annum hum. salutis
l'iOO consfriicftis, patrihus Francescanis conventuali/MS traditus fvÀt. Sed
.

36 GIULIA GONZAGA

dietro l'altare maggiore in uno de' muri laterali a sinistra


di chi entra. « In hoc . . . vsoleo reposiiitìu est corpus ill.mi
Honorati secundi Gaetani de Aragonia Fundor comitis . .

(credo che le parole ora mancanti fossero: « in vita sua

dileunt Deum et multas ecclesias » ) fundavit - obiit


A. D. Aie ce .... die aprilis IX Indictione ». XXV
Ad Onorato II successe Bernardino, Conte di Morcone,
il quale dalla moglie, di casa Orsini, ebbe il figlio Ono-

rato che, terzo di questo nome, assunse anche pel primo


il titolo di Duca di Traetto. Ebbe tre mogli e nove figlie
delle quali una, Giovannella, maritata in casa Farnese, fu
madre di Paolo III.

Onorato III fu fedele alla fazione Aragonese, pel che


Carlo VIII lo privò del feudo (^) e concesse Fondi e
Traetto a Prospero Colonna. Successivamente re Ferdi-
nando il Cattolico, con diploma del 15 novembre 1504,.
conferì a Prospero Colonna e ai suoi eredi « Fondi, Traetto,
Acquaviva, Ambroscio, Morandolo, Itri, Campello, Sper-
lunga, Castelforte, Schiggio, Castelnuovo, Fratte, Spiro,
Castelonorato » (^). Prospero nel 1500 aveva edificato un
monastero olivetano a S. Magno, a breve distanza da Fondi,
e nel 1516 ne ristorò dalle fondamenta la Chiesa. Nell'in-

gresso di essa leggevasi 1' epigrafe :

QUI I.EGIS CONTEMPLARE - PROSPER COI.UMNA FUNDORUM CO.MES,

TRAIECTI - DUX, REGIIQUE IMPERATOR EXERCITUS - DOMICILIUM HOC A


FUNDAMENTIS EREXIT - QUO AB ARMIS HIC LOCUM, IN COELUM - AUTEM-
ALIUD SIBI COLLOCAVIT. A. D. MD.

anno UJl ab illustrissimo qHO(iHe Honornto Caietano, eiiis iioniiiiis secundo,


ac etiam Fimdorum cordite, ex facfa sibi a Sisto UH Pont. Max. facul-
tate, cuiiis bulla in huius loci tabcllario ossenatur , ad regularern ohser-
vanfiam traìislatìis est.

(1) Incerte e s^jesso contradditorie sono le notizie intorno al domi-


nio de' Caetani a Fondi. Esse potranno in gran parte essere chiarite
quando sarà riordinato 1' Archivio di casa Caetani, alla quale opera già
si attende da tempo, come mi ha assicurato quel gentiluomo e valo-
roso erudito, che è 1' attuale Duca Onorato Caetani.
(^) Archivio Colonna, I, Fase. VI, n.'^ 276.
CAPITOLO I 37

E nella Cacciata della chiesa:

PROSI'ER COLU.MNA TEMPI.UM HOC DIVO - MAGNO IiRATLM VETI-


STATE FERE - COLLAPSLM A KUNUAMKNTIS INSTALRAVIT - A. l). MIjXVI.

Dato questo cenno di Fondi, ricoi-derò brevemente


un'altra cit(;i, che è tanto spesso nominata ne' diplomi e
negli atti del tempo, e che, dopo Fondi, era la più impor-
tante del feudo, cioè Traetto.
Traetto, situato non lontano dall'antica Minturno.
tra' canneti della quale Mario rimase qualche tempo
nascosto per isfuggire alle ricerche di Siila, ha oggi otte-
nuto di riprendere quel nome, celebrato da Livio, che
giudicò Minturno città antichissima e nobilissima, edificata
dagli Ausoni (libr. 9). Essa ebbe anteriormente anche il

nome di Cluni, secondo afifermò Plinio. Nel 590 la città


fu quasi distrutta per opera de' longobardi e gli abitatori
superstiti edificarono un nuovo villaggio, chiamato Traetto.
Il Gesuardi deriva l' origine di questo nome da traij-
ciendo, perchè il paese sorge sulle rovine di Minturno.
ivi trasportate. Invece il Pellegrino, nel suo Apparato
delle Aniichità di Capua, così spiega l'etimologia. « Traetto
trasse questo nome dal tragittarsi quivi il medesimo fiume
con alcuna pubblica scofa, .o barca, o piuttosto dal comune
vocabolo di una tal barca, che fu in alcun tempo appel-
lata Traietta, come si scorge per le parole del capitolare
del Principe Sicardo e per quello che si scrive nelle leggi
longobarde, dove comanda che Campo Plano ubi neo
si

Pons nec Traiectus ibi omnino teloneum non exigatur.


Così parimenti il castello al presente, detto Scafato,
appresso il fiume Sarno, ottenne questo nome da quello
della Scafa, che ivi serviva di tragitto e reso aveva quel
luogo famoso. » Ed infine il Cluverio : « . . . . sitiim est
opìpidwn, qiiod vulgare nomen Tr aietto ab amnis traie-
ctii traajit ».
I ricordi medio-evali di Traetto hanno stretti rapporti
€olla storia di Gaeta: giova intorno ad essi consultare la
38 GIULIA GONZAGA

dotta opera del Federici « de Duchi, Consoli ed Ipati


di Gaeta ». Danni gravissimi subì quel paese per opera
de' Saraceni, annidati per tanti anni sulle sponde del Garir
gliano : là presso Papa Giovanni X, co' suoi alleati, com-
battè nel 916 le ultime battaglie contro que' barbari. Il

pontefice, riconoscente all' intervento benefico della Corte


di Costantinopoli nella vittoria riportata, concesse, o meglio-

confermò al patrizio imperiale Giovanni I il dominio di

Traetto, aggiungendovi Fondi ed altri paesi circonvicini.


Dal 990, distaccatosi dal dominio di Gaeta, Traetto ebbe
conti propri: si un Dauferio, figlio del
ricordano tra essi
conte Gregorio e della contessa Maria Gaetana, una
Alzeiga e Marino che donò nel 1058 una quarta parte del
contado e pertinenze al monastero di Montecassino. Poco
dopo (1064) il normanno Riccardo I occupò Capua, Traetto
e Gaeta. A lui, nel possesso di Traetto, successero il figlio

Giordano e Roberto I. Altri vogliono che Ti-aetto pas-


sasse sotto il dominio di Riccardo dell' Aquila, resosi
padrone nel 1104 del Ducato di Gaeta. Goffredo, figlio di
Riccardo, fu il primo Conte di Fondi, e Riccardo, figlio

di questo Goffredo, divenne primo conte di Traetto. Venuto


in disgrazia di re Guglielmo, questo Riccardo 11 ne ottenne
poi il perdono arrestando a tradimento il fuggiasco Roberto
principe di Capua, il quale fu acciecato, onde poco dopo
morì, terminando con lui i principi di Capua, discendenti
da' Conti Normanni di Aversa. L' atto iniquo fu vendicato
da un Andi^ea di Rupe Canina, il quale, associato ad altri
baroni avversari del re « requisivit totam terratn fun-
danam et cremavit Traiectum prò r indiata princi^yis >•>.

Ma Riccardo li, riconciliatosi con Andrea di Rupe Canina,


diede fastidii non pochi al nuovo re Guglielmo IL i sol-
dati del quale nel 1166 incendiarono Traetto. Re Tan-
credi conferì il contado di Fondi al suo amico Aligerno,.
ma Riccardo II, privato allora di quel possesso, lo riac-

quistò per opera dell' imperatore Arrigo, e si impadronì


anche di Capua nel 1208. Ruggero dell' Aquila, che gli
CAPITOLO I 39

successe, avendo seguito le parli del papa. Tu piii tardi

privato dello Stato da Federico II. e riottenne Fonili e

Traetto solo dopo che Federico II scese ad accordi con


papa Benedetto IX (1230). (iiovanna, ultima discendenle
di casa dell'Aquila, sposò in Roma — i)er consiglio di

Re Carlo d'Angiò — Loffredo Gaetano di Anagni, figlio

di Pietro Conte di Caserta e nipote di Bonifacio Vili (1297).


Con lui comincia il dominio de'Caetani nel contado
di Fondi e di Traetto. Ho già esposto le notizie concer-
nenti questo dominio, parlando di Fondi.
A' Caetani, come si è visto, successe il grande cai)i-

tano Prospero Colonna, il quale, padrone di altre tei're e


villaggi, assunse il titolo di Conte di Fondi e di Duca di

Gaeta. A lui successe il figlio Vespasiano, che nel 1520


sposava Giulia Gonzaga.
II

I Coloiiiiesi e Clemente VII - Il 20 settembre 1526.

Il Cardinale Poiiipeo Coìoniia - Col cugino Vespasiaiìo s' impadronisce di


Roma il 20 settembre 1326 - H sacco di Roma dell' anno seguente -
Tregua di Clemente VII co' Colonnesi.

Vespasiano, di natura impetuoso e diffidente, dai suo


piccolo dominio volgeva gli occhi a Roma, ove le contese
degli Orsini colla sua famiglia assumevano la parvenza di
successo di insuccesso, a seconda dell' appoggio che i

papi davano agli uni o all' altra. I ricordi dolorosi di questo


intervento non erano ancora spenti. Alla battaglia di Mon-
ticelli a fianco del padre avea preso nobile parte Pompeo,
figlio d' un fratello di Prospero : il carattere invadente,
sospettoso, vendicativo di questo cugino esercitava una
influenza grandissima sull' animo di Vespasiano nel deter-
minarne l'atteggiamento verso il Pontefice Clemente VII.
Da due mesi circa sposo a Giulia, lo vediamo spesso
abbandonare Roma per abboccarsi con Pompeo.
Pompeo Colonna aveva lasciati a Roma ricordi della
sua audacia e della sua vita galante. I Caetani lo avevano
tenuto chiuso qualche tempo nella rocca di Fondi. In
quella città si era abbandonato a clandestini amori con
una Giulia Fondana dalla quale ebbe un figliuolo, Giovanni,

che poi, legittimato da Carlo V, sposò una Caterina, figlia

di Giovanni Pelles'rino.
42 GIULIA GONZAGA

Trovandosi Pompeo a' servizi di Coiisalvo di Cordova,


rimase punto dalle insolenze de' Francesi e chiese ripetu-
tamente di prender parte alla celebre disfida che ebbe
nome da Barletta. Prospero si oppose , essendo troppo
giovane il campione; ma egli insistette tanto che gli si

dovette dare una soddisfazione, accordandogli almeno di

portare, in abito di scudiero, la lancia e 1' elmo ad uno


de' nostri combattenti. Sotto Giulio II, nell'agosto del 1512,
aveva fatto una levata di scudi, credendo morto quel
Pontefice e aveva eccitato i romani a riprendere 1' antica
libertà. Dovette naturalmente esulare. Leone X, nel 1517,
gli diede il cappello cardinalizio.
Col successore Clemente VII, sul principio, si era
tvovato di pieno accordo. Anzi il papa, tornando nel-
r aprile 1523 dalla visita compiuta alla basilica late-

ranense , dormì nel palazzo Colonna e la mattina suc-


cessiva, dalle finestre di questo, prospicienti nell' attigua

chiesa de' XII Apostoli, si trattenne a vedere lo spet-

tacolo che ogni anno , da tempo antico , solevano dare


i Colonnesi e che consisteva « nel gettare in chiesa
alla numerosa plebaglia — sono parole del Moroni —
volatili d' ogni sorta che a gara venivano rapiti , appen-
dendosi poscia al soffitto del tempio una fune con un
porcello e versandosi tine di acqua a coloro che andavano
a pigliarlo. ^>

Il papa conferì al cardinale Pompeo Colonna la carica

di vice-cancelliere; ma questi, poco dopo, si staccò da lui,

quando il pontefice strinse lega col re di Francia, con


Venezia, con Firenze e collo Sforza per neutralizzare la
preponderanza di Carlo V e consolidare lo Sforza nel
Ducato. Perciò Clemente VII aveva spedito a Piacenza
500 soldati e i Veneziani avevano inviato verso il Bre-
sciano Francesco Maria delle Rovere con molte forze :

obiettivo comune il tentare di soccorrere il castello di


Milano, ridotto alle strette da' soldati di Cesare. Ma
CAPITOLO II 43

le t'oi'ze della lega o non [ti-ocedevaiio . o procedevano


a rilento . attendendosi un rinforzo ili oOOO Svizzeri.
Francesco I, preciiìitoso sempre quando si trattava di agire
solo, si mostrava al solito tentennante ora che poteva e
doveva muovere d'accordo cogli Stati italiani, E da altra
parte l' imperatore, sempre prudente, preoccupato dal sol-
levarsi di tanto nembo, laceva tentare, per avere buoni
accordi, il re di Francia per mezzo di D. Ugo di Moncada, il

quale ebbe risposte non soddisfacenti. Allora il Moncada si

recò da Clemente VII, presentandogli favorevoli condizioni


da parte dell' Imperatore, ma il papa tenne duro a non
volerne sapere. Altri tentativi il Moncada, divenuto reg-
gente di Napoli i)er la lontananza del vice-re, fece per
mezzo di Vespasiano Colonna. Le notizie non buone che
giungevano dalla Lombardia, il pericolo della vicinanza
delle truppe del Moncada, le stesse offerte pervenutegli,
di cedergli cioè Anagni e di far ritirare le truppe nel regno
di Napoli, indussero il papa ad un accordo il 22 agosto 1520.

Riposando sulla fede di esso, questi licenziò le poche forze,


delle quali ancora disponeva. La trama era riuscita per-
fettamente e la presa di Roma fu decisa in quello stesso
anno 1526, accordandosi sopra un giorno, che tre secoli
e mezzo dopo doveva divenire memorando per conquista più
duratura, cioè il 20 settembre. Nella notte precedente arri-
varono all'improvviso 8000 fanti, secondo che si rileva da

una lettera Girolamo Negrodi o invece secondo il , ,

Guicciardini, 3000 fanti e 800 cavalli, guidati da Vespa-


siano e da Ascanio Colonna, dal cardinale Pompeo e dallo
stesso Moncada e penetrarono in Roma per tre porte. Il

Pontefice all' alba ne ebbe notizia, quando già i nemici si

erano raccolti intorno alla chiesa de' SS. Cosma e Damiano.


Il papa, spaventato, incaricò due Cardinali di recarsi in

Campidoglio per sollevare il popolo; mentre due altri si

presentavano a' duci invasori per venire a patti. Se non che


il popolo non solo rimase sordo all' appello, ma assistette
44 GIULIA GONZAGA

indifferente o lieto (') all' ingresso delle truppe nemiche


le quali, per ponte Sisto e per Borgo, si spinsero senz'altro
fino al Vaticano, devastando il Borgo, la chiesa di S. Pietro

e Vaticano () abbandonato dal pontefice che si


lo stesso
era ridotto in Castel Sant'Angelo. Quivi non potè sostenersi
e venne a patti. Il Moncada gli chiese standogli, per —
maggiore ironia, avanti in ginocchio, in atto supplichevole —
che richiamasse senz' altro le truppe dalla Lombardia e
consegnasse alcuni ostaggi. Il papa, spaventato ed irritato
pel sarcasmo e per l' ipocrisia del nemico, assentì piena-
mente alle proposte condizioni, tra le quali il completo
perdono a'Colonnesi! (^) Il Guicciardini, giudicando della

(^) « stette quel giorno il popolo romano oziosamente a vedere


e a salutare le fanterie e la cavalleria, le quali passavano in ordinanza,
e gli artefici, si come quelli che non avevano alcuna paura, senza serrar
le botteghe, sparsi sulla riva del Tevere, stavano a vedergli passare
sotto il laniccio, avendo Pompeo mandato trombetti su' canti e sulle
piazze a fare il bando che nessuno avesse paura, perchè essi non ave-
vano preso le armi per altra ragione se non per liberare il ijopolo
romano dalla tirannide dell' avarissimo Papa. Ma Clemente... avendo,
mosso da fatale avarizia, fatto dispiacere a ogni sorta di uomini, aveva
talmente sdegnato la volontà degli uondni, che in tanto vituperio dello
stato pubblico ed in sì gran pericolo del principe, ogni misericordia era
vinta dall' odio e dall' invidia » (Giovio, vita di Poiiìpeo Colonna, Vene-
zia, 1557, pag. 166).
(^) Il palazzo apostolico fu posto quasi del tutto a sacco per infino
alla guardaroba et camera del papa... si stima che il sacco passi ducati
trecentomila. — Ruscelli, Lettere eli principi, tomo I, pag. 235 e 236. —
Una lettera importante del 24 ottobre 1526 inserita nelle Lettere di Prin-
cipi aggiunge che andarono a sacco le case del Sadoleto e del-
l' Alcionio.
(3) « Item quod plenaria absolntio Dominis Columnensilms et eoriun

adherentibiis ac siibditis ac omnibus denique qui in hoc instcltu adversiis

StatuM Ecclesiasticnm intervenerunt, per Sanct. Dorn. Nostriini detnr et cOiì-

cedatur. » L' intera convenzione di Clemente MI con Ugo di Moncada


in data 21 settembre 1526 leggesi nel 2.'^ voi. p. 229 dell' opera dr
Giuseppe Molini : « Documenti di storia italiana copiati stigli originali

nutentici e per lo piii autografi esistenti in Parigi, Firenze, 1836. »


,

CAPlTOlj) II 45

condotta leiuita in questo l'ut lo da Vespasiano Colonna, lo


designa « mezzano della concordia o interpositore per sé
e pei' tutti gli alti'i della sua fede! » Il Varchi invece
vuole spiegarsi come il popolo romano ahhia permesso che
un'accolta di pochi soldati potesse im[tunemente impadro-
nirsi della città e con perfetta libertà comni(;ttere tante
scelleraggini. E scrive: « sappia che Clemente era in quel
tempo appo tutte le maniere degli uomini per diverse
cagioni odiosissimo, perchè a' chierici aveva molte e disu-
sate decime posto ; agli ufficiali di Roma aveva le loro
rendite più volte per più mesi intrapreso e ritenuto ;

a' professori delle lettere, i quali le scienze per gli studii


pubblicamente insegnavano, gli assegnamenti do' loro salari
tolto e levato; da' mercatanti, i quali in quella stagione
poche faccende facevano, tra per le guerre, ch'erano in
pie e tra quelle che di corto per mare e per terra si

aspettavano, i grossissimi dazi e gabelle riscuoteva; i soldati


della sua guardia propria con tale scarsità erano e tanto
a stento e cosi a spilluzzico pagati, che con grandissima
fatica sé medesimi e i loro cavalli sostenere potevano:
aveva a molti le loro case, per drizzare le strade di Roma,
senza pagarle, rovinate; permetteva che la plebe aggra-
vata ed affamata fosse e ciò non tanto per la carestia e
disagevolezza naturale di quegli anni, quanto ancora perché,
concedendo egli per danaro, o per amistà che si potesse
fare endica, molti comperandole a buon' ora e per piccol
pregio, appaltavano tutte le cose, infìno le grasce; onde
non trovandosi poi di che vivere, erano forzati coloro, che
comperare le cose volevano, oltre 1' usare mezzani per
averle, grossamentq. e con ingordi prezzi pagarle. E perchè
i fiorentini, non solo Roma, ma per tutte le terre della
in

chiesa, nelle quali infìno a' tempi di Leone erano stati o


rettori o ministri, avevano con ingegni sottili e cupidi
nuovi tributi e solite angherie ritrovato e con nuovi modi
acerbamente le riscuotevano, s' avevano un mal nome e
gravissimo odio appresso tutti qiie' popoli acquistato e
46 GIULIA GONZAGA

concitato, e brevemente era la bisogna a tale ridotta, che


non pure i frati su' pergami, ma eziandio cotali romiti su
per le piazze andavano, non solo la rovina d'Italia, ma la fine
del mondo con altissime grida e molte minacce predicando
e predicendo, ne' mancavano di coloro, i quali dandosi a
credere che a peggiori termini de' presenti venire non si

potesse, papa Clemente essere Anticristo dicevano. »

Clemente VII, appena trascorsi


i quattro mesi di tre-
gua concordati col Moncada e co' Colonnesi, pensò di ven-
dicarsi. Privò Pompeo Colonna del cappello cardinalizio (^),
scomunicò i Colonnesi e fece prendere dalle sue truppe
14 loro castelli che furono « saccheggiati ed arsi con
molto danno ed assai vergogna d' infiniti uomini e donne,
che colpa nessuna delle cose fatte non avevano ». Ordinò

anche la Napoleone Orsino, detto l'Abatino,


cattura di

figlio dell' Abate di Farfa e che tra breve vedremo dive-

nire assalitore delle terre della Gonzaga, sospettandolo


complice amico de' Colonnesi. E costoro nel medesimo
anno 1526, unitisi a Carlo di Lanoy (venuto di Spagna
a reggere Napoli quale vice-re) si agitavano e prepara-
vano nuovi danni al Papa il quale prese 1' off'ensiva, facendo
scendere in Italia monsignore di Valdimonte, della casa
Angioina, aspirante al trono di Napoli, e invitandolo ad
invadere il regno di Napoli colle truppe pontificie gui-
date da Orazio Baglio. Ma questo anno 1526 si chiudeva
infaustamente pel papa e per la cristianità. L'Ungheria
era stata invasa da Solimano che uccise il re Lodovico
ed espugnò Buda; in Lombardia comparivano le orde di
Giorgio Francsperg che, come allora si disse, portava

(') Matteo Casella scriveva al Duca di Ferrara il 20 novembre


1526: « si fermo che dimane in pubblico concistoro s'abbia
tien per
fare la Privatione del Card. Colonna e tutti li altri S. Colonesi, qual
vennero contro il Papa; son chiamati in camera a vedersi privare de
li feudi che riconoscono dalla sede apostolica et così presto li ])riva-
rono ». (Arch. Modena, Cane. Ducale, Disp. Or. Est. a Roma).
CAPITOLO U 4 /

seco un capestro di seta e d' oro col quale pi-oclaniava


di volei- strangolare il Papa. Invano Giovanni delle Hande
Nere si era opposto al nembo: nel Mantovano fu vittima
di un colpo di falconetto e perdette la vita. Lo spavento
per questa invasione di lanzichenecchi e luterani era
immenso, mentre essi procedevano sicuri ed insolenti
verso Roma la quale l' anno successivo doveva essere
esposta a quel sacco, che è incordato quale uno degli
episodi più terribili della storia moderna.
Solo r avvicinarsi del Borbone spinse il Papa, nel
marzo 1527, a fare una tregua co' Colonnesi ed a resti-
tuire ad essi le terre tolte. Il vice-re Lanoia venne a
Roma, Borbone e
poi procedette oltre per abboccarsi col
fermare tremenda marcia: ma non vi riuscì. Le solda-
la
tesche erano bramose di arricchirsi col saccheggio di Roma
e lo stesso Lanoia, per queste sue intenzioni, fu per cor-
rere pericolo di perdere la vita. Le truppe pontificie gui-
date dal conte Guido Ranzone, si avviarono verso Roma,
per diversa strada; ma la marcia de' soldati del Borbone,
avidi di prede e di saccheggi, si era convertita in una
vera corsa. Essi il 5 maggio si presentarono alle mura
della città, difese da poche migliaia di soldati, raccolti
tumultuariamente da Ronzo da Ceri ;
il giorno successivo
questi ultimi dovettero, dopo breve combattimento, riti-

rarsi dinanzi al furioso assalto de' nemici, lasciando morti


chi dice quattro, chi dice sette mila Romani. Non è facile
neppure a larghi tratti, di riassumere o semplicemente
di accennare le uccisioni, le devastazioni, le infamie che
contro le persone, le case private, i templi, gli edifici

pubblici furono compiute. « Cominciarono i tedeschi — cosi


Iacopo Bonaparte — a pigliar questo e quello che giun-
gevano, ed entrare furiosamente nelle più belle abitazioni
che vedevano, facendo prigioni quelli che sulle porte vi

ritrovavano chiedenti loro mercè e pietà. Entrando poi


nelle case loro toglievano tutto quello che in esse vi

ritrovavano. Né contenti di ciò, con maggior strapazzo, a


48 GIULIA GONZAGA

vista dei padri di famiglia e degli alti-i uomini che pri-


gioni e legati ritenevano, facevano forza alle loro donne,
dimodoché il marito vedeva tor l' onore alla moglie, il

padre violare la figlia, lo zio la nipote, il fratello la


non potevano loro neppur coi fatti dare soccorso.
sorella, e
Non era loro neppur concesso piangere le loro miserie,
le quali erano tanto gravi che avrebbero dall' empietà

stessa tratto le lagrime.


Quivi non giovò né grandezza di stato, né nobiltà di
famiglia, né preghi di belle giovani, né lagrime di pie-

tose madri ! erano oramai chiuse le orecchie di quei bar-


bari alla pietà! Vedeansi le figlie con le braccia aperte
correre al seno delle misere madri, e le afflitte madri
scapigliate involgersi le mani nelle barbe e ne' capelli dei
soldati per cercare con ogni sforzo di difendere le figlie

dalla villania! Tutto questo però non faceva profitto alcuno,


ma al mal fare più s' accordavano e s' infiammavano. Fino
quei malvagi pigliavano le madri, e gettatele in terra
sopra ad esse (misero spettacolo!) violavano le vergini
figliuole, e molte volte, non sazia la loro libidine, succe-
devano le madri a quelle; quindi uccidevano e queste e
quelle sugli occhi del padre o del marito che legati erano.
In essi tanta era la forza pel dolore, che senza potere
aver lacrime da piangere, o voci da gridare, se ne sta-
vano come mute ed insensate statue di pietra a vedere
le loro ingiurie; e vi furono delle madri, le quali, non

potendo vedere 1' abbominevoli oscenità che facevano alle


loro figlie, con le loro proprie dita si cavavano gli occhi
di testa. Alcun' altre nell' oscure e sotterranee grotte si

fuggivano, dove non essendo chi porgesse loro aiuto, per


il timore o per la fame si morivano. Non solo avvennero
simili specie di disonestà nelle private case, ma ancora
ne' sacri templi e divote chiese d' Iddio, nelle qlali molte
donne, fanciulle, cittadini, e nobili colle loro famiglie,
gettando dolorosi pianti e lagrimevoli strida, piene di

timore , si erano rifugiate , sperando dal magno Iddio


CAPITOLO li 4i)

(|uell' aiuto che coiioscevaiio <li non |)OU>r(' avere da alcun


umano provvedimento; ma colà ritrovate essendo daf^li

eretici, che di fuori si stavano con il restante delle infu-


riate milizie, non ricevevano miglior trattamento che nelle
proprie private case. E dove si faceva da quei di dentro
resistenza, difendendo le porte coli' arme, allora ei-a che
cresceva da ogni banda la strage. —
— Ti'a questi cosi iieri e miserabili accidenti vi fui-ono

di quei padri, d'animo veramente romano, i ([uali temendo


più la macchia dell' onore che 1' orrore della morte, non
volendo veder cosi malamente e tanto vituperosamente
maltrattare e strapazzare il loro sangue, pigliando le pro-
prie figlie con acuti coltelli le svenavano, gridando ail

alta voce: poiché anco l'onestà delle donne non è salva


ne' templi del grande Iddio, la dura necessità della for-
tuna vinca la pietà paterna, e rimangano le vergini romane
sicure dagli oltraggi sotto il governo degli infelici lor
padri, con quel modo migliore che dal disonore sottrarre
le possono. Ma non bastò anco la morte, che suol essere
l'ultimo fine delle miserie umane, a fare che i corpi
delle femmine sanguinose e senza punto di spirito non
sentissero quelle medesime ingiurie, che potevano vive
attendere da quella, scellerata gente priva d' ogni umanità,
avvegnaché con quei corpi di belle femmine ancora ago-
nizzanti esercitavano i loro sacrileghi appetiti. Non furono
più sicure le monache nei loro monasteri di quello che
si fossero 1' altre donne nelle loro private case, ovvero
quelle che nei sacri templi dove si erano rifugiate. Que-
sti, già sprezzatori d'ogni onesto costume e degli ordini
dei santissimi padri nostri introdotti ad onore di Dio,
entrarono come lupi arrabbiati tra quelle religiose ver-
gini, quasi tra tante innocenti agnello, e con ogni specie
di disonestà si posero a violare i loro per l' addietro one-
stissimi corpi. È anco da sapersi che per ultimo sfogo del
loro furore in quelle case e palazzi dove i soldati trova-
vano resistenza, avidi di bottino e non potendolo avere
4
oO GIULIA GONZAGA

per forza d' armi, allora vi attaccavano il fuoco, in guisa


tale che non poche ricchezze, non poche persone, per non
voler venir vive in tante efferate mani, furono arse ed
estinte .... All' entrare nelle chiese di Dio, quanti calici,
ostensori, imagini, croci, vasi d' argento e d' oro furono
colle mani ancora sanguinose da que' furiosi di su gli
altari rapite! .... Levarono di sugli altari le sacre ima-
gini : alcune ne imbrattarono, alcune ne fecero in pezzi,

molte ne arsero. —
— Quelle che ne' muri erano dipinte vilipesero e stra-
pazzarono in altre diverse e indegne maniere. Andarono
nelle sagrestie de' religiosi e tolsero le vesti di quelli
abbigliandosi, e con que' vasi ed altro che a' sacrifici e

divini uffici erano soliti usarsi se ne andarono agii altari


(come se fossero stati sacerdoti) con quell' istessa maniera
e cerimonie, che si sogliono usare in onore di Dio e del
benefizio del cristianesimo : in vituperio e derisione della

santa chiesa e della vera religione, contraffacevano i sacri


ministeri, ed invece delle divote preghiere, orrendissime
bestemmie vomitavano. Per le strade non si vedeva altro
che da saccomanni e da vilissimi furfanti portar gran
fasci di ricchissimi paramenti e ornamenti ecclesiastici, e
moltissime sacca piene di candellieri e altri vasi d'ar-
gento e di oro. Vedeasi ancora grandissimo numero di

prigioni d' ogni qualità urlando e stridendo dagli Spa-


gnuoli e dai Tedeschi con molti strazii e sollecitudine
essere condotti alle stanze da loro già con violenza sac-
cheggiate, dove, per desiderio di trarne nuove ricchezze,
li ritenevano miseramente racchiusi. Neil' istesse strade
s' incontrava ancora quantità di corpi morti, e tra essi

anco molti nobili per la resistenza fatta stati tagliati a


pezzi e dal fango ricoperti; molti ancora tra essi semi-
vivi, giacere senza alcun soccorso sulla nuda terra. Si

miravano in quella furia qualche volta da questa e da


quella finestra saltar per forza ed anco volontariamente
fuori di essa, uomini e donne e fanciulle d' ogni età e
CAPITOLO II 51

condizione. Altri pei- non restar vivi in jìi-oda di cosi

efferata gente fuggivano, che poi, raggiunti da' nemici,


erano cosi malamente trattati, che scannandogli, finivano
jter le strade l' infelice vita loro : si)ettacolo veramente
acerbo e miserabile, che senza grandissimo orrore non si

può raccontare ».

Il Papa, rifugiatosi a Castel Sant'Angelo, quivi fiera-


mente assediato, non soccorso in alcun modo dalle sue
armi e da quelle della Lega, dovette capitolare, obbligan-
dosi di pagar subito centomila ducati in oro, altri cin-
quantamila fra venti giorni ed entro due mesi altri due-
centocinquantamila, oltre la conségna di Castel Sant'Angelo,
di varie terre e di città e dovendo intanto restar pri-

gione fino al pagamento de* primi centocinquantamila ducati


d'oro Né ciò era poco per un papa tanto avaro che lesi-
!

nava colle sue truppe fino al punto di congedarle preci-


samente alla vigilia di due avvenimenti, come la [)resa di

Roma del 20 settembre 1526 e quella del 6 maggio 1527!


Tra' condottieri di quella terribile impresa, penetrati
in Roma, vi era Luigi Gonzaga, detto il Rodomonte, fra-
tello della nostra Giulia. A lui anzi, fatta la capitolazione,

fu dato incarico di trarre fuori di Castel Sant' Angelo il

papa e di accompagnarlo fuori di Roma. E di lui giova


parlare brevemente.
Ili

Luiiri Ooiizairii detto il Kodoiiionte.

Priiiii aiìiìi di Luigi Goiizaga. detto il liodoinoute - Malattia e morte di


Vespasiano Colonna - Sciarra Colonna e le contese per V acquisto di
Paliano - Nozze di Luigi con Isabella Colonna, figliastra di Giulia
- Intervento di Luigi negli avvenimenti di Paliano - Opposizioni
sorte al suo matrirnonio - Napoleone Orsini - Assalto di Vicovaro
e morte di Rodomonte - Elogi di lui cantati da poeti.

Luigi era nato a Mantova il 16 agosto del 1500.


A' pregi una squisita educazione, si aggiungevano in lui
di

speciali qualità fisiche.Il Guazzo scrive che « da naturai

forza aiutato ogni grosso ferro di cavallo colle mani apriva


e una fune di grossezza quanto sono quattro, over cinque
corde d'arco insieme poste, et avendola alle mani avvilup-
pata, con una sola scossa spezzata rimaneva. Anco un palo
di ferro, tanto la sua signoria a lungi io spingeva quanto
ogni altro gagliardo uomo, in doi tiri a gran fatica aggiungere
vi puotea ». Entrato al servizio di Carlo V, si fece distin-
guere a Madrid per il suo coraggio, col quale affrontava
i più valorosi campioni. Si ricorda la sfida che un moro
robustissimo mandò a lui : Luigi, tra la meraviglia degli
spettatori, tra i quali forse lo stesso Imperatore, ridusse
all' impotenza l'avversario, rimasto « nelle braccia di lui

come in quelle di Ercole il gigante Anteo ». Di qui gli

derivò forse il nome cavalleresco di Rodomonte. Seguì


54 GIULIA GONZAGA

poscia Carlo V in Inghilterra e là si fece ammirare da


Arrigo Vili, accompagnando i due sovrani nelle cacce e
dando prove non piccole di sua bravura. Tornato in Italia
ottenne dal padre la investitura del castello di Ostiano.
Quando il Borbone nel 1527 discese in Italia co' suoi
lanzichenecchi, si unì alle bande e lo seguì nella presa e
nel saccheggio di Roma, perchè egli era di coloro che
non guardano tanto a' mezzi pe' quali un uomo possa for-
marsi una reputazione, anzi teneva a proclamare questa
sua qualità, tanto che prese ad insegna il motto « sive :

honum, sive niahmi, fama est ». Il Rodomonte non avrà


mancato in quel famoso saccheggio di riservarsi le sue
buone prede artistiche, e quando Clemente VII dovette
venire a patti e accordare o denari o corrispettivi di

benefizi e di onori, il Rodomonte certo avrà preteso la

porpora cardinalizia pel fratello Pirro, cui fu effettivamente


accordata insieme colla mensa vescovile diModena. Fatta
la convenzione. Luigi fu incaricato di accompagnare il
Papa fuori di Roma e fu sua guida fino a Montefiascone.
L'Affò dice che i dolci modi e le soavi maniere conosciute
dal Papa nel suo liberatore inspirarongli un amor tenero e
grande per lui, talché fu disposto poi sempre a favorirlo. Più
esatto sarebbe affermare che fu disposto a non osteggiarlo,
perchè una triste e personale esperienza gli aveva addi-
mostrato che una lotta co'Colonnesi e co' loro non
affini

aveva mai giovato a' suoi interessi, ed era stata una delle
non ultime cause, per le quali egli non aveva potuto
opporre una gagliarda resistenza alle truppe borboniche.
Il Gonzaga compì varie missioni affidategli dal papa,

e trovandosi in Roma col suo affine, il Cardinal Colonna,


contribuì a rendere meno aspra la condizione del Ponte-
fice. Abbandonò Roma solo quando i Cesarei si allonta-
narono per recarsi a difendere Napoli, molestata dalle
armi della lega, sempre santa, ma molto sventurata ! Luigi
Gonzaga così fu presso Giulia a Fondi , ove non molto
dopo, per un sopravvenuto lutto domestico, potè intavolare
(;ai'itoi,o ih ììì>

tratiiUive di matrimonio colla figliastra della sui-rlla.

Isabella.
Poco sappiamo della vita di \'espasiano dopo la presa

di Roma, vita del resto che durò poco più di 17 mesi.


Egli teneva corrispondenza co' vari principi d'Italia, par-
tecipando coll'animo, poiché non poteva farlo più di pre-
senza, agli avvenimenti guerreschi del giorno. In una sua
lettera scritta da Gaeta il 1.^ gennaio 1527 al l)uca di
P'errara. in risposta ad una di costui, consegnatagli pei'

mezzo di Francesco Villa, diceva : « desidero quel che


non dubito che la persona di V. S. Ill.ma sia presto in

campagna, et faccia conoscere alli altri quel che so io,

che non solo faciliterà la vittoria, ma la darrà ». {Ai'ch.

Modena, Cane. Due., Partieolari).


Della gravità della malattia sopravvenuta a Vespa-
siano nel marzo 1528 abbiamo testimonianza in una lettera
che da Orvieto il 17 marzo Roberto Boschetti inviò al
Duca di Ferrara: « Il Rev. Card. P. De Gonzaga, avendo
avuto nova l'altra syra che il S. Vespasiano Colonna suo
cognato era posto per morto et se lo volea vedere vivo
andasse subito et la sorella li facea molto instantia che
andasse subito per conservazione sua: così parlato con
N. S. montò a cavallo a ledue ore de notte et andò se :

ne tene per certo el predicto S. Vespasiano sia mancato,


che requiescat in pace {Areh. Mod., ibid., Disp. Oratori
Est. a Roma) ».

Ma la notizia della malattia di Vespasiano era giunta


troppo tardi al porporato fratello di Giulia. Vespasiano,
ridotto agli estremi di vita, fece testamento a Paliano il

12 marzo 1528 per atti del notaro Corta. E così dispose


de' suoi beni e della figliuola Isabella, avuta, come dicemmo,
dal suo primo matrimonio con Beatrice di Piombino. « Lasso
Isabella ad Hipolito Medici nepote del Papa con 30,000
ducati de Regno in dote, et per contentezza de vaxalli et
satisfatione de la posterità che li figli se chiamano con lo
cognome de casa Colonna, sperando che la Maestà Cesarea
56 GIULIA GONZAGA

ne resterà servita... In caso che il matrimonio di Isabella

con Hipolito nepote non havesse loco, lo ha resolvere mia


mogliere in uno de' fratelli con cinco millia ducati de
rendita sopra lo stato di Campagna in dote. Del resto
lasso mia mogliera donna et patrona in tutto lo stato
predetto et anco del Regno, sua vita durante, servando
lo habito de vidua, et in evento che si maritasse che se
piglia la dote sua et Isabelhi resti herede universale tanto
del Stato di Campagna quanto del Regno et di Apruzio
et non si parta vivente mia mogliere in habito come di

sopra de la obedientia sua ».

Il giorno successivo, 13 marzo, Vespasiano Colonna


moriva. Il Cardinale Ippolito de' Medici pare che non tenesse
molto a quella disposizione, sia perchè al suo alto stato
non potevano mancare partiti migliori, sia perchè sperasse
che Isabella, sposando altri, ed allontanandosi da Fondi, a
lui sarebbe riescito più agevole raggiungere un suo ardente
proposito, quello di ottenere la mano della giovine vedova,
Giulia, privata colla morte del marito d'un duce
valoroso e rispettato , che poteva tenere a freno tutti

coloro che appetivano al suo feudo, pensò di vincolare


maggiormente a sé il fratello agevolandogli il matrimonio
con Isabella e consentendo al Cardinale di professarle
un' amicizia, che potesse anche fargli alimentare quelle
speranze, assicurandosi per tal modo un altro protettore.
E credo che ella subordinasse più alla mente che al cuore
i suoi rapporti con Ippolito. Ad ogni modo è certo che
ad Ippolito dovette importare assai poco d'essere posposto
al Gonzaga nel progettato matrimonio se avesse avuto :

quell'aspirazione, l'influenza e la volontà del papa si sareb-


bero senza dubbio fatte sentire contro il Gonzaga. Anzi,
secondo quella mala lingua di Filocolo Alicarnasseo, fu
propi'io Ippolito che si accordò con Giulia ,
per spingere
insieme il Rodomonte a sposare Isabella.
Ma prima che agli amori il Rodomonte dovette pen-
sare alle armi. La morte di Vespasiano aveva suscitato
CAPITOLO III 57

in nuovi e vecchi pretendenti il desiderio della conquista (').

Il papa volle prevenirla, facendo occupare le terre del


fonte defunto. Sciari'a Colonna penetrò a viva foi-za a
Paliano, ove trovavansi le due dame. Ma poclii giorni dopo
vi entrò vittorioso l'Abate di Farfa, Napoleone (Ji'sino.

Questi fece prigioniero Sciarpa Colonna, che alla sua volta


fu liberato dal sollecito intervento di Rodomonte il quale,
eccitato dal Papa, riprese Paliano (') nel maggio 1528 (^).

Il ricordo di que' fatti può particolarmente ricavarsi


dalle seguenti tre lettere inedite, conservate nell'Archivio
di Stato di Modena (Cancelleria Ducale . carteggi degli
ambasciatori estensi a Roma).
Il 4 maggio 1.528 il Boschetto scrive da Viterbo al

Duca di Ferrara:
.... u Un capitaneo de fanti di N. S. nominato niesser Geor^io col-
legranno da Mantu[al dependente da questi S.""' da Gonzaga, il quale è
stato a Paleano in fauore del S."" [A]luise da Gonzaga et hora era tornato
a Roma con la compagnia, fa manda[toJ a cliiamare da S. S.^* et hiersera
in arriuando lo fece detenere, la causa anc[hora] non se intende.... »

Il 21 dello stesso mese scrive allo stesso Duca di Ferrara:

Aduisai el conflitto di mare et rotta et morte del S."" Don Hugo,


con la presa del S."" marchese del guasto et de quelli altri S.'''. Et poi

(') Una lettera di Alfonso Rossetti da Roma del di 8 luglio 1532


al Duca di Ferrara, diceva: « Parve a giorni passati che N. S. fusse
molto inclinato a signare una commissione ad instantia del S. Luigi
Gonzaga contra il S. Ascanio Colonna per quelle cose che furono del
S. Vespasiano, poi ho inteso che S. S.tà non la signò et altro fin qui
non se ne inteso » (Arck. Mod. , ibidem).
(^j Giulia volle seguir il fratello in quella guerra. Una lettera di
Roberto Boschetti, scritta il 19 aprile 1528 da Orvieto, e diretta al Duca

di Ferrara, diceva : « il Rev.mo P. (Pirro) de'Gonzaga giunse ieri syra


qua de Paleano et ha lasato el S. Luise suo fratello in compagnia de
la sorella et deffensione de quelle Ihorro case » (Arch. Mod. , Cane. Due.).
(3j Lettera del 28 maggio 1528 di Alessandro Guarino al Duca
di Ferrara (Ardi. Morf., iòide ni : « per lettera delli XII si intende che
r abbatino di Farfaro ha represo Paliano et vi è rimaso prigione Sciarra
Colonna et Prospero de'Cavj ».
58 GIULIA GONZAGA

la repigliata di Paleano per el S/ luise Gonzaga fratello del Cardinale

con le genti di N. S/* Et replico tatto el soprascritto perche dubito


sij fatta gran diligentia, et più del solito alle lettere sì in Toscana,
come in Bologna, et hauendo il cauallaro nostro, non uoglio V. Ex.*'*
resti senza tali aduisi....

E finalmente con una terza lettera del dì 8 maggio 1528


il Boschetto si diffonde a dare al Duca di Ferrara speciali
notizie su Paliano :

« Questa mattina, per uno mandato dal S."" luyse da Gonzaga da


Paleano esso adviza N. S. come alli VI di questo esso S."" luyse essen-
dosi unito col succorso, che mandò S. S}'^ che erano oltre li capitani
de fanti, che fece qua et compagnia de caualli, anchor quelle genti
erano in Roma, che sono el Conte Nicolo da Tolentino con trecento
fanti et Girolamo matheo con sessanta caualli, et anchor qualchi
liuomini dell' abbate di farfa, et de quelli Sauelli, accostosse a Paleano
alle xviij hore, doue è una banda della Terra che la rocha la batteua
che non ui poteua stare nissuno alla diffesa Et per quello loco entrò
el S."^ Luise predetto con li suoi, et quelli della rocha anchor essi
combatteuano, di modo chel combattere durò per cinque hore et con
mortalità grande, Tandem el S.'" luyse restò uittorioso, con racquistare
la Terra et prendere Sarra Colonna, el S."" Prospero da cane et uno
fabricio della Valle nepote del R."° Car.^'' il quale essendo prigione
messer Girolamo matheo suo capital nimico, lo riscosse et fece libero,

et lo mandò a saluamento : El S."" luyse dicono hauere doe ferite de


archibuso ma sono cosa leggiera et caminaua per tutto : Nostro Signore-
sollicita lo armarsi : Mons."" della barba uiene a Parma et Piasenza.... »

Gli sponsali di Luigi Gonzaga, detto il Rodomonte, e di


Isabella Colonna erano stati fatti colla massima solleci-
tudine 26 aprile 1528, temendosi che potessero sorgere
il

improvvise difficoltà da parte del papa, ed anzi si pro-


cedette con tanta segretezza da non fare trapelare ad alcuna
la cosa. Il 25 luglio 1528 Alessandro Guarino scriveva da
Firenze al Duca di Ferrara:
... « per la via di Viterbo erasi saputo come il S.""" Aloise de Gonzaga
era gionte alla Corte. Il quale sino bora era sta amalato in Roma, et
che era per vedere di comporre le cose sue circa il matrimonio della
ftliola del S." Vespasiano CoIona: per venire poi in Lombardia. Ma
che seintendea chel papa Ihauea deputata ad hyppolito de medicj et
pero se iudicana se partirla senza resolutione ». (Arch. Modena, ib.).
CAPITOLO III 59

Isabella ebbe anzi qualche dubbio, o nieiilio iiualciie


scrupolo intorno al completo assentimento del Pontetice al

matrimonio e mandò, qual messo a Roma, Feiierico San-


tafede, il quale riportò benevoli assicurazioni da parte del
pontefice. Ma chi poteva rendersi garante dell' animo del
pontefice in avvenire, egli, che come il successore ed in

gran parte gli antecessori, stava sempre cogli occhi aperti


per procurare a' suoi parenti que' partiti, che potessero far
aumentare i loro principati , e le loro ricchezze ? Tristi
tempi, ne' quali una vedova, trenta giorni dopo la morte
del marito, è obbligata a prender le armi per difendere
le sue terre ed una figlia, quaranta giorni dopo la morte
del padre, è obbligata a fare i suoi sponsali so vuole
assicurarsi che questi in avvenire non gli sieno vietati, pur
non potendo impedire che le saranno contesi , come le
furono !

Rodomonte, fortificata la rocca, poco dopo lasciò


Fallano per riprendere servizio presso l'Imperatore. Reca-
tosi a Roma, scoprì clie già 1' animo del pontefice era
mutato rispetto al seguito matrimonio. Dispiaciuto, si recò
a Firenze e di lì Alessandro Guarino il 12 agosto 1528
scriveva al Duca di Ferrara :

... « i signori di Firenze rilasciano a Luig-i una lettera di jiasso


naolto onorevole et amorevole : lui si parte male sodisfate del papa. Il

quale in conclusione gli ha negato la moglie, la quale è gravida di...

Et come disperato si ha voluto getare giuso da una finestra ed ha fatto


molte altre pazie. » (Arch. Modena, Cane. Due. Dispacci Or. Est. a
Firenze).

A metà settembre Luigi giungeva in Lombardia. Ivi

dal padre fu investito del feudo di Rivarolo. In una lite

di successione per la signoria di Gibello, egli parteggiò per


Uberto Pallavicino, suo affine, contro altri protetti dal
Papa, pel che questi montò in furore e meditò di far

separare Isabella dal marito , concedendola in isposa ad


un Colonnese. Ma probabilmente a moderare la foga del
pontefice contribuì non poco il nipote Ippolito, il quale il
60 GIULIA GONZAGA

10 gennaio era stato creato cardinale. Da altra parte


r imperatore Carlo V in questa faccenda mostrò tutto il

suo appoggio per Luigi e riconobbe il diritto di lui alle

terre del defunto Vespasiano Colonna.


Se non che qualche tempo appresso — con un ritardo
in verità non lieve — sorgeva un pretendente alla mano
di Isabella: D. Ferrante Gonzaga la reclamava, rivolgendosi
in Bologna a Carlo V! Il fratello di Rodomonte, Cagnino,
dichiarò che il matrimonio era stato non solo rato, ma
consumato. Don Ferrante fece presentare da Burgundio
Leoli una memoria per promuovere la nullità del matri-
monio. Il giudizio non si fece attendere e riesci favorevole

a Rodomonte il quale ricordando il tempo delle sue ,

nozze e gli attuali rivali, rassomigliava a Briseide la sua


Isabella, eccitandola a tenere a bada questi ultimi, come
Penelope usò co' Proci:

Ragion è se imitaste i duri giorni


Di quella greca, a cui 1 gran seme increbbe
D' Achille, sì del primo amor le calse,

Cb' or imitate 1' altra, a cui più valse


Torre a la notte quel eh '1 giorno accrebbe
Acciò eh' ogni valor vi fregi e adorni.

Dopo il congresso di Bologna egli potè recarsi a Fondi


e probabilmente di li andare a Roma insieme con Isabella
per celebrarvi in modo solenne gli sponsali. Questo può
dedursi da una lettera che il 14 gennaio 1531 Antonio
Romeo scrisse al Duca di Ferrara (Arch. Modena Cane. Due):

" Domani II S/ Luigi Gonzaga sposara (dicono in presentia di


N. S.) la tì[glia del] S.'' Vespasiano Colonna, hauendo hauuto esso
(secondo ha detto) tal permiss[ione da] lo Imperatore, dice di andare
di poi alla corte per il stato et ne spera bene uenne a casa di Mons.""
di Mantoa et lo invitò et vi andrà a Nozze [che] si faranno con gran-
dissime feste. »

L' avvenimento fu ricordato poeticamente dal Muzio.


Isabella donò a Rodomonte una gemma legata in un anello
d'oro, su cui vedevansi da maestra mano scolpiti due occhi,
CAPITOLO III (Jl

intorno a che compose sei ei)i^M'amnii latini Aii^^elo Colocci,


altri sette il Molza ed uno Aonio Paleario.
A hi'eve distanza di tempo gli nasceva in Fondi
(0 dicembre 1532) un tì^diuolo, cui fu posto il nome di

Vespasiano : ma Luigi allora giii trovavasi in Lombardia


e più tardi andò peregrinando fuori d' Italia per vari
onorevoli incarichi ricevuti. Recandosi a Roma, passò per
Ferrara e vide l' Ariosto, il quale lo volle ricordare in
varie parti del suo Orlando, e Luigi lo ricambiò con alcuni
sonetti, riportati tra le rime varie di lui inserite nella bio-

grafia lasciataci dall' Affò. (') Giunto a Roma, ebbe dal papa
l'incarico d'impadronirsi d'Ancona colla scusa d'impedire
che questa potesse essere conquistata da' Turchi ; e l'impresa
fu da lui condotta a buon porto, valendosi pure del con-
corso di Monsignore della Barba, che poi restò al governo
della città.
Poco dopo il papa e Giulia avevano bisogno dell'opera
di Luigi contro Napoleone Orsini, uno de' Baroni piti irre-
quieti che allora dessero noia al pontefice ed infestassero
la campagna romana. Clemente VII una volta era riuscito
a farlo prendere e rinchiudere a Castel Sant' Angelo. Ma
trascorsero pochi mesi e lo stesso papa, per 1' entrata a
Roma delle truppe del Borbone, dovè rifugiarsi a Castel
Sant' Angelo e dividere la sorte col suo prigioniero ! Lì
pare si accordassero. Liberato il papa. Napoleone si diede
a scorazzare la campagna romana, uccidendo spagnuoli e
tedeschi e depredando ad Ostia i loro navigli. Ma presto
mutò volontà verso il pontefice che assoldò il conte Dolce
della Corvara e Sforza Monaldi, sotto la guida del fratello
Girolamo Orsini, per far assediare il Castello di Vicovaro,
ceduto a Girolamo e ripreso poi da Napoleone. In quelle
scorrerie Rodomonte, come si è visto, dovette anche difen-
dere e difese con successo le proprietà di Giulia.

(') AflTò, vita di L. Gonzaga, Parma, 1780, p. 104.


,

62 GIULIA GONZAGA

Napoleone Orsini, sposata la figliuola di Giulio Colonna,


si recò poi colle schiere del Lautrech alla conquista del
regno di Napoli, ed indi a Firenze: durante il famoso
assedio difese strenuamente ,
quantunque infelicemente
Borgo S. Sepolcro. Ma prima che Firenze cadesse, se ne
tornò a Bracciano, essendosi riconciliato col pontefice e
coir imperatore. Nel 1532 era venuto a nuovo diverbio
Napoleone era appoggiato dalla Francia, Giro-
co' fratelli :

lamo dal Pontefice. Girolamo, sorpreso in una imboscata


a Monopoli, fu fatto prigioniero. Allora il pontefice pensò
di snidare da Vicovaro Napoleone, mettendo a capo d' un
buon nerbo di truppe Luigi Gonzaga. Questi cinse di forte
assedio la città, difesa gagliardamente da Napoleone, e,

dopo vari mesi di inutili tentativi, ordinò che fosse presa


d' assalto 1' ultimo dì di novembre 1532. Le soldatesche
dell' Orsino, opponendo una fiera resistenza, dovettero
ritirarsi nella rocca e Luigi penetrò vittorioso nella citlà.
Ma la gioia del trionfo fu breve : Luigi, preso di mira a tra-
dimento da un soldato, nascosto in una casupola, fu colpito
alle spalle da una archibugiata. Egli fu condotto nel palazzo
di città ed ivi, un notaio, dettò le sue ultime
fatto venire
disposizioni. Chiamò tutori del piccolo Vespasiano ed ese-
cutori fedecommissari il Duca Federico di Mantova, il

fratello Francesco ed il padre Lodovico, il quale sarebbe


divenuto tutore di Vespasiano, se un giorno Isabella fosse
passata a seconde nozze. Al capitano Chiappino mantovano,
confermò « il privilegio concesso della casa di Fondi. » In
un codicillo tre giorni dopo « raccomanda alla
redatto
signora Donna lulia sua sorella la signora Isabella sua
consorte medesimamente raccomanda alla signora sua
;

consorte ipsa signora Donna lulia quanto più caldamente pò.


Item appresso conoscendo quanto sia sua signoria ed il

resto della casa obbligato ad ipsa signora Donna lulia, che


per la infinita virtù sua et per chello ha facto ad bene-
ficio et honor di sua lU.ma Casa, molto di core racco-
manda quella allo lU.mo signor Jo. Francesco suo fratello.
.

CAPITOLO 111 ()3

ad che dove pò, voglia favorirla, et anco crescergli


fine

la dote sua, acciò accadendogli lanto più lioiiestamente

possi maritarsi, poiché ipsa Signora con 1' opera et virtute


sua ha onorato et beneficato la Ill.ma sua Casa. » Infine

lasciò il Vescovo di Fondi governatore dello stato del


Regno di suo figliuolo. Si trovarono presenti alla redazione
dell' atto Giovanni dell' Aquila, capitano in S. Pietro di

Vicovaro. Nicola Pellegrino di Fondi. Emilio Boccalino di

Mantova. Antonio Rastallo di Rimini ed il cliirui-go Dio-


nigi di Bonifazio milanese.
Pare che morisse lo stesso giorno 3 decembre. Il

Faroldi nella vita manoscritta di Vespasiano Gonzaga,


citata dall' Aff"ò , lasciò scritto : « ebbe sotto Vicovaro
una ferita d'archibugio in una spalla, dalla quale mori
d' anni 33 l' anno di Cristo 1532. Fu portato a sep-
pellire nella città di Fondi , vicino al ducato di Traetto .

ond' era Duchessa sua moglie , che in Fondi si ritrovava


e con esso era il fanciullo Vespasiano vicino al compir
d' un anno '>

Non è qui il luogo di considerare il Rodomonte anche


quale letterato. Egli lasciò vari sonetti de' quali uno in

onore di Giovanni de' Medici, che morì nella casa di

Luigi. Si hanno di lui anche degli epigrammi, alcune


stanze dirette all' Ariosto, altre alla sua donna ecc. Ebbe
amicizia coli' Ariosto, col Randello, col Tolomei, col Capi-
lupi, col Bembo, col Castiglione, col Muzio che compose
un' egloga per la .sua morte. Altri componimenti poetici
furono allora pul)blicati da varii letterati che vollero
Rodomonte. Bernardo Tasso
associarsi al lutto tributato a
dedicò a Giulia alcuni suoi versi per ricordare la morte
del valoroso fratello :
,

Perchè spietata ( Parca j hai spento


Uu de' lumi mag-giori
De gì' italici onori ;

Un eh' a la gloria, a fatti egregi intento


A' nemici terrore era e spavento ?
()4 GIULIA GONZAGA

Un eh' avea , come forte


Petto, saggio consiglio ;

Che temea più periglio


D' infamia vii che d' onorata morte :

E chiuse a quella, a questa aprìo le porte.

Il Segretario di Giulia, Gandolfo Porrino, volle can-


tare gli estremi onori resi alla salma di Rodomonte,
E, rivolto alla sua dama, diceva :

E mentre che con voi piangendo canto


Del famoso fratel del mio bel sole
Le dolorose pompe e '1 lungo pianto
Di lei, eh' i monti move e ferma 1 sole
Per mostrar la pietà del viso santo
Agguagliate al suo duol le mie parole :

Che da poi eh' ella è solo a pianger volta


Ogni lor forza a le mie rime è tolta.

Ed ora una parola sulle fine di Napoleone Orsino,


cioè di colui che fu occasione, ed anzi autore egli stesso,
secondo alcuni, dell'uccisione di Rodomonte:

« Crudele Orsin, che 1' affocata palla


Mandasti incontro al Cavaliero ardito ».

Morto Luigi, — scrive il Sansovino — Clemente VII


mandò Giulio Duca d' Atri, congiunto di sangue di Napo-
leone : dopo molte pratiche si conchiuse l' accordo coi
fratelli e Napoleone si ridusse in Francia, dove fatta la

pace ad istanza del re Francesco col pontefice , eh' era


andato a Marsiglia, ottenuto perdono e licenza di poter
abitare in Roma, se ne tornò a casa, con speranza che il

Papa dovesse assettare le cose de' suoi stati co' fratelli.


E mentre che, come il più riputato e onorato uomo di
Roma, viveva con sì fatta speranza; venuta occasione
d' accompagnare una sua sorella a marito nel regno di

Napoli, uscito di Roma sopra una piccola chinea, dietro


a molti altri spagnuoli che gli andavano innanzi, soprag-
giunto da alcuni scellerati di Fossombrone, fu miseramente
rAFITOJ.O III
<).'>

morto, senza clie alcuno ile' suoi lo potesse o saposs».'

dilendere ed aiutai-e (').

Un avnmii'atoi-e scrisse per la nioite di Napoleone


([uesta terzina:

Catlde r (ìrsino e nel cader s' estiiise

Ogni gloria Marte e Roma piansi^


di
Poi che invitto visse, morte estinse.

(1) Sansovino, L'hisforia di Casa 0/'.?m*. Venezia, Stagnini, 1565.


pag. ^7.
IV

Storia leggenda della Castità.

Carattere morale di G-iuìia - Il concetto della castità - Un' arguta sentenzn


del Capitano Chiappino intorno alla castità di Giulia - La tradi-
zione sul cameriere fatto uccia re da Criulia - Testimonianze di

scrittori - n dilemma della redova e il soggetto di un' inipresa.

Giulia Gonzaga, educata finamente, conscia d'api»ar-


tenere ad una delle più antiche e più onorate case d'Italia,
famosa per la sua bellezza, ebbe della vita, de' fini e dei
rapporti di essa un sentimento altissimo. La coscienza e
forse l'orgoglio di tutto ciò dovettero formarne un'anima
ideale, un'anima, che mirava ad avere nel mondo la più
elevata estimazione, sì che a lei crescesse, non diminuisse
il patrimonio di glorie e di memorie. Si sentì regina ira

i suoi cortigiani e volle sempre più innalzare questo pie-

distallo di dominatrice, mostrandosi, come tra le nubi,


a' suoi adoratori. Solo così è spiegabile il fatto che lieta,
come pare, ella accettasse, nell'età di 14 anni, la mano
di Vespasiano Colonna, il quale era più che quarantenne,
vedovo con prole, storpio^ di viso e di figura tutt' altro
che seducente ! Ma era pure il figlio di uno de' maggiori
capitani del tempo ; era egli stesso intrepido e audace ;

la bruttezza del viso rispecchiava quelle qualità di fierezza

e di coraggio, che ad uno spirito esaltato del bello e del


grande non potevano non occupare la mente e giungere
68 GIULIA GONZAGA

al cuore. I moralisti del tempo vantavano la castità delle


donne padovane le quali mai non uscivano di casa se non
coperta la faccia ; ricordavano Zenobia, regina di Palmira,
che, a detta di Trebellio Pollione, si rifiutava di giacere
col marito; di Etelfrida, regina d'Inghilterra, che dopo
il primo parto, serbò la stessa condotta col marito, e di
Eufrosina Alessandrina che, travestita da maschio, fuggì
dalle paterne case per non perdere la verginità col suo
sposo. Si diceva che Beltruda regina , rimasta vedova e
sposata ad altro re, serbasse il corpo non solo senza ricevere
offesa dall'altrui concupiscenza, ma avesse indotto i propri
consorti alla castità. Recente era l' esempio di Veronica
Gambara la quale dal 1518, in cui rimase vedova di Gilberto
di Correggio, non dimise le vesti di lutto e nella scuderia
teneva quattro cavalli « vie più che notte oscuri, conforme
proprio a' miei travagii » come scriveva sei anni dopo al

gonfaloniere Lodovico Rosso. E nella stessa patria di Giulia


era popolare il fatto di Giulia da Gazzuolo (la Lucrezia
del luogo, della quale parla in una novella il Bandello)
giovane che, pel cordoglio d'essere stata violata, si gittò
in Oglio, talché all'eroina si apprestava lì presso un
monumento (^). Non voglio omettere il caso di quello spirito
bizzarro del Landò, s'egli per donna sua intese parlare
di sua moglie. È noto il suo scritto de'« Paradossi, evirerò
senteniie fuori del comune parere » stampato a Lione nel
1543 e poi a Venezia nel 1545, Nell'indice delle sue tesi

troviamo queste « che meglio sia esser brutto che bello ;

essere ignorante che dotto ;


esser pazzo che sano ; meglio è
morire che campare lungamente » e, tra altre : « non essere

(') Il Vescovo la fece sulla piazza, nou si ijoteudo in sacrato,


seppellire, in un deposito mettere, che ancora v' è , deliberando sep-
pellirla in un sepolcro di bronzo e quello far porre su quella colonna
di marmo, che in piazza ancor veder si puote » (Bandello, Novella 8.''').
Il Castiglione nel suo Corfegian't (Milano 1822, pag. 338) ne parla
anche in modo speciale.
CAPITOLO i\- 09

€Osa fletestabile, uè odif^sa la moiilie disonesta ». K. dolente,

l'autore conforta (iiiella sua sentenza con le iiielanconiclie

parole : « so bene di quanto cordoglio nella giovanile mia


età stata mi sia cagione l'incredibile onestà de la donna mia,
la quale né per lunga e servente servitù, né pei' ismisurato
amore, che gli prestassi, mai si volle piegare a' miei desi-
deri : tengo però per certa cosa clie sì come in virtù e
nobiltà d'animo e singolare, così fosse unica in questa
parte e rarissima all'età nostra i-itrovarsi quelle che di

sua mente sieno » (p. 38). Probabilmente messer Landò


quando scriveva così si era dimenticato di ciò che nei
Cataloghi aveva affermato della propria bruttezza « ho :

cercato a' miei giorni molti paesi si nel Levante come nel
Ponente, né mi ù occorso di vedere il più difforme di
costui, ne' vi è parte alcuna del corpo suo che imperfet-
tamente formata non sia: egli è sordo benché sia più ricco
d'orecchie d'un asino, è mezzo losco, piccolo di statura:
ha le labbra di etiopo, il naso schiacciato, le mani storte
ed é di colore di cenere, oltre che porta sempre Saturno
nella fronte » (Libro primo de Cataloghi) (').

Del resto, senza cercare altrove, un esempio recen-


tissimo erasi manifestato nella stessa famiglia, quello di

Elisabetta Gonzaga, « la quale — così il Randello — essendo


vissuta quindici anni in compagnia del marito come vedoa,
non solamente é stata costante di non palesar mai questo
a persona del mondo; ma essendo da' più propri stimolata
a uscir da questa viduità, elesse più presto patir esilio, po-
vertà e ogni altra sorte d'infelicità che accettar quello che
a tutti gli altri parca gran grazia e prosperità di fortuna ».

Forse questi esempi, l'orgoglio del nome, la coscienza


della bellezza, della propria superiorità, il concetto od il

(1) E tutto ciò a tacere delle occupazioni letterarie del Laudo,


che aveva cantato « la morte d' un un pedocchio,
cavallo, d' ini cane, d'
d'una scimia, d'nna civetta, d'una gazza, d'un uiergone, d'un gallo,
di una gatta, d'nn grillo e di altri utili animali ".
70 GIULIA GONZAGA

preconcetto di assicurare questa, l'intuizione, piuttosto


unica che rara ma vera, che la vergine sulle fantasie degli
uomini e nelle condizioni sue poteva ergere un trono
incontrastabile su tutte le altre donne , forse lo stesso
carattere compassato che un giorno la fece resistere agii
inviti, alle seduzioni del più potente de' cavalieri, Ippolito
de' Medici, fino a spingere l'impassibilità sui confini dell'in-
gratitudine , in parte anche il suo attaccamento all' inte-

resse , addimostratosi in modo spiccato ne' litigi sostenuti


più tardi colla figliastra (si sa che le donne grandemente
interessate meno sentono l' amore di esse più che di altre
:

può dirsi « nihil est in sensu qiiod non prius fuerit in


intellectu ») , ed in ultimo la stessa disposizione di animo
a studi contemplativi e religiosi, pe' quali la parte ideale
del rapporto sociale essa fondeva nell'estasi della visione
divina, tutto ciò ha dovuto contribuire alla formazione di

quel carattere che a Giulia rese facile, anzi cosa gradita


l'unione legale con Vespasiano Colonna! Ed essa vi si

indusse pur guidata dal calcolo morale quello di aggiungere :

al suo un altro bel nome rispettato e tradizionalmente


rispettabile per fama di valore. Ma non concepì il matri-
monio come tutte le altre figlie di Eva. Sdegnò, data la
deformità dello sposo, d'essere compatita: preferì d'essere
ammirata tentando di dominare l'animo ed i sensi del
marito per serbarsi al mondo quale Giulia Gonzaga ed
essere Giulia Colonna soltanto per gii efi"etti morali d'un
nome, ripetuto in Italia con ammirazione. Riesci in questo
intento ? I fatti succeduti di poi non ismentiscono l' ipotesi

singolare del forte proponimento, suffragata dalle attesta-


zioni de' contemporanei e noi la deriviamo da essi. A' mede-
simi si riporta l'Affò, il quale perciò fonda la sua sentenza
« secundum alligata » del tempo : ed è questo proprio il

caso in cui la sentenza non può pronunciarsi « secundimi


alligata et prohata » ! Egli scrisse che Vespasiano « per
quanto portò la fama, lasciò immacolato ed intatto il vago
fiore della pudicizia di lei ». Ed il fatto, non ismentito,
CAPITOLO IV 71

come sembra, giammai, tu graziosamente manifestato da


un certo capitano Cliiappino al Bianchetto, amico di Giulia,
il quale lo riferì poi a costei in una lettela del 2'.) otto-
bre lo4r) : « mi convenne tener conclusioni per difendere
la causa di V. S. contro il cai)itano Chiappino io ridussi :

non al rendersi, ma sì bene a toccare, come si dice, il

steccato perchè non ebbe in fine altra arma contra di


,

V. S. non diro ch'ella fu sempre mai nemica del


se
crescite et raultiplicamini ! e che in tutte l'altre cose ella
è rarissima et eccellentissima donna ; ma in <iuesta parte

non fu mai ne' savia ne' ancho cristiana; et mi alligò

con quanta dittìcultà V. S. si conduca a maritare le sue


damigelle, le quali essa ama, come si vede poi dagli effetti,

da tagliuole; et giura che non nasce d'avarizia, né da


difetto che si trovi in lei altro che da questa maledizione
di non avere mai V. S. conosciuto li piaceri del .Santo
matrimonio, che mi fu a intendere cosa nuova e compas-
sionevole. Io trovo cura disperata il diffenderla qui fra

noi idolatri e il Giovio (il troppo galante Monsignore!)


grida come un pazzo e dice che V. S. vorria che ognuno
morisse con il seme in corpo come farà essa ».

Queste testimonianze-, rappresentino pure l' esagera-


zione d' un fatto, forse non sarebbero state possibili in

un tema sì delicato, se un fondamento non avessero tro-


vato nel carattere della Gonzaga. E quando penso che. in

secolo così maledico, nessuno ebbe a ridire sull' affermata


castità di lei, (juando ricordo una fiera leggenda, che,
come vedremo, spiegherebbe quell' affermazione, io, a dir
la verità,mi accosto assai all' avviso del Sig. Capitano
Chiappino e di Monsignor Vescovo di Nocera, con tanta
argutez?a e mestizia raccolto da messer Bianchetto. E se,
dopo ciò, molti sentiranno meraviglia, ed altri, come il

Bianchetto, compassione, non sarà strano: perda o gua-


dagni da tutto questo la mia protagonista, la sua figura
rimane e rimarrà ugualmente singolare.
72 GIULIA GONZAGA

La fiera leggenda, dalla quale leste ho fatto cenno, è

la .seguente. Quando i turchi, presa Fondi nel 1534 penetra-


rono nel castello per rapire la bella dama, oggetto imme-
diato mediato della spedizione un cameriere corse ad ,

avvertire Giulia del pericolo imminente. Questa si preci-


pitò dal letto e ignuda, com' era, corse alla finestra, donde
si calò, fu anche aiutata a calare dal servo nel giardino
per darsi alla fuga. Scacciati poi i turchi da Fondi, Giulia,
fece uccidere il servo salvatore, affinchè, come nessuno al
mondo, neppure egli potesse un giorno raccontare di
così
averla mirata o ammirata nella sua nudità o potesse van-
tarsi di avere toccato quel corpo che si era sottratto
perfino a' diritti del marito ('). E compiuto tanto olo-
causto alla fama che serbar voleva intatta della sua pudi-
cizia . provvide però anche al sostentamento della fami-
glia del servo ucciso, accordandole una pingue pensione.
Hamelot de la Houssaj^e scrisse: « la belle lulie Gonza-
gue,femme de Vespasien Colonne pensa étre enlevée ,

à Fondy par V ambiai Barherousse, qui la vouloii mener


au Grande Seigneur. Mais avant été avertie par un
GentilJiomme de la Ville, elle se saitva mie en chemise
accompagnée de ce Gentiìhomme et V histoire dit qiie
2)our 7^écompense elle le fìt j^oignarder peu après, de depii
d' avoir été vue par un homine {-) ». Il Michaud nega

(1) Il defunto arciprete Gaetano Sotis di Fondi con lettera del


19 g-iuguo 1870 mi scriveva su questo proposito: « non ricordo da chi
mi fosse detto che la Gonzaga dal castello baronale scendesse per
una finestra, recatasi a Lenola in compagnia d' un vecchio servitore,

il quale poi fu gittato a morire in un trabocchetto, mal soffrendo l'al-

terezza della Gonzaga 1' esistenza di chi 1' aveva veduta ignuda. Que-
sta fradizloiìe vive iit Lenola, dove mi fu additato anche il famoso tra-

bocchetto in una torre profonda senza finestra e senza uscita; in fondo


a questa torre, fatta diroccare dal sig. Boccia, attuale possessore del
castello Baronale, si rinvenne non ha guari molto ossame umano ».

(2) Amei.ot de la Houssaye. Mémoires hisfonques polifiques et lif-

tcrairi'^. \ la Haye. P. De Hondt, MDCCXXXVIII, tomo 3.°, pag. 334.


CAPITOLO IV 73

il fatto. Però Francesco Daniele da Caserta, storiogralo


del Re di Napoli, dell'ordine gerosolimitano, recatosi
sulla fine dello scorso secolo a Fondi, dichiara di avere
})er l'appunto raccolta dal popolo questa voce. Ma la

tradizione sul sentimento altissimo di pudicizia di quella


donna ce la dimostra crudele non solo cogli altri, ma
anche con sé stessa. Ed infatti pochi anni dopo la sua
morte ecco che cosa nari-ava uno scrittore: « l'impera-
tore de' Turchi, padre di Selim,. che adesso ha 1' impei'io
turchesco, innamorato della fama della bellezza della
signora Giulia, mandò verso Nai)oli lUirbaros.'^a per rapirla
et condurla a lui, il quale smontato di galea presso a un
luogo, ove havea in spia che quella signora era a dijiorto,
andò jier fare la desiderata rapina; ma ella che savia era,
così in camicia come allora si trovò, scese scalza una col-
lina et si salvò, con tanta paura di non esser presa e di

non perdere la sua pudicitia che s' etnpl di maccìiie et

jjannie il vulto, et ha portalo fino alla vecchiezza quei


gloriosi segnali et quel segnalato trofeo della sua castità.
Havendo il maggiore Imperatore del mondo mandato a
rapirla si può conchiudere che la sua bellezza fosse ange-
lica (*). » Così si scriveva della Gonzaga solo dopo otto
anni dalla sua morte e dopo ciò non vale la pena di ricor-
<lare un giudizio di Filocolo Alicarnaseo, il quale o spinto
da intolleranza religiosa — dopo il processo Carnesecchi
— da altri fini evidentemente personali, si sfogava con-
ti'o la bella dama con un libello, che non può leggersi
senza un profondo disgusto.
Se il fatto del deturpamento del viso non è vero e
r altro non sembra verosimile,
dell' uccisione del servo
ambedue per altro concorrono a dimostrare anche colle ,

loro esagerazioni, quale concetto, quale tradizione della

(') Beììezzc dei Furioso di L. Ariosto, scelte da Orazio Tosca-


iiella. Venezia, Pietro de' Franceschi e nepote, 1574. pag-. 326.
74 GIULIA GONZAGA

sua fiera onestà abbia lasciato tra' contemporanei e tra


gli avvenire la leggiadra donna.
A diciotto anni vedova e vergine, se la fama non
mente, la bella Giulia doveva suscitare una quantità di
pretendenti, i quali o per sé o per i loro alti patroni si

agitavano intorno air ambita preda. Ho detto che si agi-

tavano per favorire altri. Il bravo Muzio, che sapeva


quanto il Cardinale Ippolito de' Medici ne fosse acceso,
dedicando un' egloga al porporato, credette di non poter-
gli fai'cosa più gradita che muovere un appello al cuore
di Giulia, perchè smettesse certi malinconici proponi-
menti :

Pensi così forse perpetuamente


Passar la verde tua fiorita etade
Vedova e sola senza alcun diletto ?
Senza voler di pianta si felice

Che si colga giammai frutto, ne' fronda ?

Tolga si rio voler il sommo padre


Da la tua mente. Or mie ragioni ascolta.
Lo starti a guisa di silvestre vite
Scompagnato da 1' olmo in stato acerbo
Ti tiene ognor; ma se ti ricongiungi
Tutto addolcirsi in mezzo il petto 1' alma,
Gioir il cor e di nova letitia
Tornar più belle tue sante bellezze
Vedransi immantinente . . . (')

E Claudio Tolomei invece, applicando la metafisica

all' amore, esortava :

Infiammivi del mondo amore un poco :

Del fecondo desio virtù vi mova.


Deh non troncate o donna, a questo 1' ale

Che ne 1' amare a Dio sarete eguale (^).

(1) Muzio Giustinopoutano, Ejhghc, libro V. pag. 125. Vene-


zia, 1550.
(2) V. Atanagi. De le rime di diversi nobili poeti toseaiii. Venezia,
L. Avanzo, 1565, tomo I, e. 4-1.
CAPITOLO IV 75

Si dice che Rodope, %liiiola di Dario, morto ciie i'u

il primo marito, ammazzasse la balia che la pei'suadeva a


rimaritarsi, opinando che non potesse dirsi casta chi si

maritasse due volte. Giulia non poto l'are al Muzio lo


stesso trattamento che aveva fatto, secondo la lej^^genda,
al cameriere; ma in sostanza lasciò cantare lui e gli altri,
ed anzi iniziò una serie di controdimostrazioni molto
chiare per manifestare in modo non dubbio la volontii di

conservarsi fedele alle ceneri di Vespasiano.


A quelli che la incalzavano soleva rispondere con un
dilemma riferito dal Betussi (addizione alle donne illu-
stri). E scelse per impresa un amaranto, o fior d' amore,
col motto « non moritura » per raffermare che l'affetto
al marito defunto sarebbe rimasto ognora immutabile. Il

^lolza suggerì una impresa della quale parlano E. Tasso


(della realtà e perfezione delle imprese) ed il Ruscelli
(discorso intorno all'invenzione delle imprese), e così in
modo particolare ci descrive Paolo Giovio ('): « Quella
(l'impresa) che fece il Molza ad Ippolito Cardinal de' Me-
dici, fu bellissima di vita e di soggetto, benché non com-
pitamente intesa se non da' dotti, pratichi e ricordevoli
della vita d'Orazio. Perciocché volendo egli esprimere
che Donna Giulia Gonzaga avanzava di bellezza tutte l'al-

tre donne, come sa 1' età nostra che maggiormente 1' ha


in venerazione per li suoi santi costumi ed eccellente
virtù, figuròuna cometa, dalla quale recita Plinio avere
scritto Augusto che in tempo de' giuochi festivi da lui
celebrati a Venere Genitrice, pochi giorni appresso la
morte di Giulio Cesare, apparve nella parte del cielo set-
tentrionale per spazio di sette giorni sì chiara ad ogni
regione che cominciava a vedersi un' ora innanzi il tra-
montar del sole. Per 1' apparir della quale stella credette

(*) Giovio. Ragionamento sopra i Motti e i disi'gni d' arali e d'amore,


Milano, Daelli, 1863, pag. 24.
76 GIULIA GONZAGA

il volgo significarsi 1' anima di Giulio Cesare essere rice-


vuta tra li Dei immortali. E per questa cagione l' insegna
(Iella cometa essere stata posta sopra il capo della statua,
eh' egli a Cesare padre adottivo dedicò nel foro. Come
poi Orazio con queste parole « Micat inter oìimes lulium
sidus velili inler ignes Luna minores » celebrò Giulio
Cesare, cosi il Molza, pigliando inter omnes per motto,
•che ben quadrava, volse onorar quell' unica ed eccellen-
tissima signora ».
La Corte di Giulia a Fondi - Ippolito de' Medici.

di Fondi -
Gaiìdolfo Portano, Segretario di (riuh'i - Ricordi sulla Corte
Uiui dedica del Falco a (riulia - Madrigali di Margherita Pelletta

Tizzoni spediti a Criitlia 2)er uiezzo del Bandello - Uiia dedica del

I£ libro tradotto dell' Eneide - Ipiwlito de' Medici - Vicen'le del

porporato - La sua Corte a Rouia - Suoi versi - F. M. Molza -

Ritratti d' Ippolito - Sua spedizione in G-erniania - Suoi negoziati


per ottenere il dominio di Firenze - Morte del Berni - Il Cardinale
parte per Uri - Trattative aperte con lui da' fuorusciti fiorentini -
Apparecchi per un viaggio in Africa - Il Cardinale è avvelenato -
Funerali solenni - Giudizi intorno a lui - Fine dell' avvelenatore e
'li Alessan'lro de' Medici.

La presenza della bella dama a Fondi aveva reso quel


paese un centro artistico e letterario. Molti convenivano
colà con il solo intento di visitarla; altri, costretti a tra-
versare quel luogo nel recarsi da Roma a Napoli, si fer-

mavano per conoscerla ed ammirarla. Erano cortesemente


ricevuti ed introdotti alla sua presenza dal segretario, un
modenese, Gandolfo Porrino il quale, avendo lasciato non
poca fama come letterato, merita qui qualche breve cenno.
Egli, dice il Tiraboschi nelle sue Memorie Modenesi,
fu uno de' più colti e più eleganti rimatori del secolo XVI
e degno dell'amicizia della quale fu onorato dal Varchi,
dal Caro, dal Colocci, da Monsignor Della Casa e da più
altri leggiadri poeti di quel gran secolo. Il Forciroli, ne' suoi
78 GIULIA GONZAGA

Monumenti niss. degli illushn modenesi, afferma clie il

padre di Gandolfo era nativo di Sassuolo e apparteneva


alla famiglia Bertoia; ma che Gandolfo, dopo la morte del
padre, essendo stato con somma diligenza allevato e fatto
ammaestrare negli studi dalla madre (della famiglia de'
Porrini, modenese) lasciò il cognome paterno per il ma-
terno. È probabile che l' amicizia col suo concittadino
Francesco Molza lo traesse a Roma e che da lui fosse
introdotto nella corte del Cardinale Alessandro Farnese,
nipote di Paolo III, corte che era quasi il centro comune
de' più leggiadri spiriti di quell'epoca. Dal Farnese passò
a servizio della Gonzaga. Del suo soggiorno a Fondi e
della tenera servitù ch'egli prestava a Giulia si fa men-
zione in una lettera da lui scritta ad Angelo Colocci (');

in un'altra al medesimo del celebre d'Arcano (^), ed in

due a lui dirette dal Caro. Quando il Card. Alessandro


Farnese, caduto in disgrazia del papa, fu costretto a par-
tire da Roma ed a ritirarsi in Firenze, colà fu seguito
dal Porrino ('').

La Gonzaga nutrì vivo affetto pel suo Segretario il


quale è cosi indicato dal Landò ne' suoi Cataloghi (pa-
gina 475); « messer Gandolfo Porrino, poeta amoroso, fu
Segretario di Giulia Gonzaga et amolla estremamente ».

Quando ebbe lasciato Fondi il Porrino si diede ad


una vita soverchiamente galante, il che influì non poco

(1) Atanagi, Raccolta di lettere facete e piaceroìi. Venezia 1561.


(2) Mauro d'Arcano, segretario del Card. Cesarini, il 16 dee. 1531
inviava a Fondi al Porrino una lettera : « io ho lettere da Siena del
nostro m. Alfonso. E dice di Voi e di me, quasi piangendo per cagion
di quella lettera, la cui copia voi mandaste costà a Fondi e di costà
fu mandata ad Ischia ». La lettera si chiude colle parole: « alle illu-

strissime signoreDonna Giulia ed Isabella vi piacerà baciar le mani


in mio nome, come sopra ho detto, poi raccomandarmi di mano in
mano a tutte le donne e uomini della casa e ultimamente a voi stesso ».
(Atanagi, oj). cit., pag. 319).
(^) V. TiRABOSCHi, Btbìiotcca modenese ecc. 'Modena 1783, tomo IV.
("AlMTOI.l* V 7'.)

a 1-eiideriic assai cagionevole la salute II Toloinei in

data del 30 aprile 15-Ì3, scrivendogli a \'iterl)o, lo con-


siglia ad attendere a guarire: « non amore, non giuoco,
non piacere, non istudi, non ambizione, non alti-a cosa vi

toi'ca mai da questo desideratissimo segno. Con la sanitii

poti'ete godere gli amori, i giuochi, i jìiaceri. gli studi,

gli onori : ma. senza essa, ogni amore, ogni giuoco, o^ni
onore vi sarii molesto: la vita senza la sanità non è che
una morte viva ». In un'altra lettera, inviatagli il 25 mag-
gio 1543, il Tolomei insiste: « questa vita, senza la sanitii

non è vita, ma imagine di morte! ». Frasi, che, come


vedremo, giunsero all'orecchio del Porrino quali parole
che suonano, ma non creano... proi)onimenti !

Le rime del Porrino furono raccolte in un volume e


pubblicate nel 1551 (') un anno prima della sua morte :

l'edizione è divenuta rara assai, perchè altre non se ne


fecei'o. Alcune poesie iurono inserite nelle raccolte del
Giolito, del Domenichi, del Dolce ed in altre. E vuoisi
avvertire, come si dira appresso, che la seconda parte
delle stanze, sul ritratto di Donna Giulia Gonzaga, che è
stata stampata sotto il nome del Molza, è veramente del
Porrino tra le cui rime si trova. Alcune rime manoscritte
si conservano ancora tra quelle di Filippo Valentini. Il

Porrino, come si è accennato, può aversi in conto d'uno


de' buoni poeti di quell'etii: i suoi versi furono lodati

(') Rime di Ctandoi.fo Pokuino, Venezia per Michele Tramezzino,


-MDLI - Il libro è stampato con privilegio di papa Giulio III, sub exco-
municatione latae sententiae, pe' contravventori. Dove si ficcava allora
la scomunica ! Precede una lettera al card. Farnese, per suggerimento
del quale pare che il Porrino si inducesse a fare qiiella raccolta. Vi
si leggono le stanze sopra il ritratto di Donna lulia Gonzaga Colonna
(Del beli' idolo mio, che in terra adoro). Seguono le stanze per le pompe
funebri nella morte di Luigi Gonzaga; alcune altre dette « Stanze di

lontananza » ; vari sonetti ;


- le stanze in lode della signora Livia Co-
lonna ;
- le stanze in lode della bella Susanna romana e le terzine
dirette a Vespasiano Colonna.
80 GIULIA GONZAGA

da Molìs. Giovanni Della Casa, di cui abbiamo tre lettere


a lui scritte, le quali possono leggersi non solo fra le

opere di quel colto prelato, ma anche nella raccolta del


Turchi.
Fondi presto divenne convegno di letterati, di arti-

sti, di novatori: vi si recarono Vittoria Colonna, il

Flaminio, il Soranzo, il Molza. il Tolomei, il Berni, Ippo-


lito de' Medici, Sebastiano dal Piombo, Bernardo Tasso,
il Vergerlo, il Carnesecchi, il Valdes, il quale da Napoli
scriveva il 18 settembre 1535 al Card. Ercole Gonzaga:
« in Fondi stetti un dì con quella signora, che è grandis-

simo peccato che non sia signora di tutto il mondo, ben-


ché io credo che N. S. Dio ha provisto così perchè anchor
noi altri poveretti potiamo godere della sua divina con-
versatione et gentilezza, che non è punto inferiore alla
bellezza (') ».

Il Porrino, questo gentile ambiente e la divina ricor-


dando, usciva ne' seguenti versi :

Ella portava di bellezza il vanto


Allora, e '1 sacro aspetto onesto e pio
Ben era altro a veder che volto '1 santo.
E chi non crede quel eh' ora dico io,
Miri in cappella gli angelici visi
E '1 suo ritratto in camera di Dio.
Co' suoi certi atti dolci e certi risi

Giardini apriva di rose e viole


E terrestri e celesti paradisi.
I l3ei costumi, i guardi e le parole
Facean di lei maravigliar natura
E di color, che san tutte le scuole.

Era cortese, vergognosa e pura


Accorta e saggia e pigliava diletto,

Andar per lieti campi a la verdura.

Quel secolo fu ben santo e perfetto,


E quella fu la vera età de l' oro :

O felici a que' dì Fondi e Traetto !

(') V. Ricista di st. niaiitovana, Luzio, Vittoria Colonna. I, 28.


,

CAI'ITOI.O V Ni

K(l a Fondi (irano pui-e inviati lihi'i, dediche di sci-itti,

poesie composte pei' illustrare la (lon/,ai;a. Falco cosi

scriveva in testa al suo Rimario:

" Libro, fatica mia, tal quale ognun vede, fatta jjer coloro, die
leggendo o scrivendo prendono diletto. Trapasserai il regno e prima
anderai a quella terra littorana, d'un bel sicuro porto che inlin a qui
ritenne il nome dela sua cara nutrice (M. ora per sua somma grazia
commutato in lui altro della sua patrona, e senora saggia valorosa e
bella, donna Giulia di Gonzaga ch'ivi signoreggia, overo a l'undi, in

cui Ella ogni grazia infonde, destinata dal cielo tra d)ie belli e nobili
paesi, che per lei di miglio in miglio s'abbelliscon, o per testimonio
a coloro, clie da quel di Roma vengono in (jnesta nostra jìarte di

tante altre signorili bellezze e meravigliose de nostre donne illustri

napoletane, o per certezza a' nostri che in Roma vanno dela pudicizia
e castità d' altre Giulie, Porzie e Lucrezie romane. Prima riverente
e 'nchino a' suoi casti e belli piedi, baciandole la bella e bianca mano,
dille, gentil signora e bella, da voi io vegno meco recando un gran
contesto ordinato di parole per rassomigliarlo al vostro ordinatissimo
de virtudi, che tra li contini ameni e graziosi del bel viso vostro chiaro
appare, per cui d' ora in oi'a ingentilite, umilmente vi prego (perche

la voglia è giusta) il discerniate, acciò non veggendolo, fosse più presto


disordine che ordine e che le voci di ipiello ordinate per vociferar
vostra virtuosa grandezza da prudenti e dolci dicitori fosser note d'al-

cun precetto disdicevole a la divina e infinita vostra bellezza. E porta


tua umil preghiera a sua altezza, abbi riguardo non intrasse in qual-
(pie sciocca e vile voglia per un nuovo lampegg-iare di luiovi occhi e
nuova bellezza non vista ancora e men sbigottire anzi qxiante più ,

nuove faville e ardenti di miovi atti, nuove parole e ordinati costumi


e l onesta fida compagna dela sua bellezza vedrai indi uscire, tanto
più prenda arbitrio di parlare; perciocché tali faville t'accendano più
ad amarla per una cortesissima accoglienza, eh' è naturale a tanta cor-
tesa signora. E rattenutoti un poco, ricomincia a dire che non vale
il gioire senza il favore e aura del suo imperioso e dolce nome Giulia,
nome del più lucente mese dell' anno, over del sole, detto da' greci

jelio, e raccomaudalemi, pregandola eh' el tuo autore, vero platonico


amante, abbia in sua piena grazia ».

E non solo uomini, ma nobili e colte donne celebra-


vano la bella dama : basta ora ricordare un sol nome

(') Si allude a Gaeta, riferendosi al racconto virgiliano.


,

82 GIULIA GONZAGA

quello di Margherita Pelletta, moglie di Giovanni Barto-


lomeo Tizzoni.

« Eva, cosi scrive A. Zenatti, una nobile famiglia di letterati


quella de' Tizzoni. Il conte Ludovico possessore d' una ricchissima
,

biblioteca, lasciò vari scritti di filosofia. Un amico di casa, il Bandelle,

indirizzandog-li la sua venticinquesima novella, lo chiama; tra^ dotti

iiobUissiiiio e tra' nobilissimi dottissimo. Di Margherita, donna, a detta


del Muzio, gentilissima, esperta nella musica e poetessa come sua zia

Camilla Scarampa Guidobono, il Bandelle loda altamente i madrigali,


« belli, candidi, dolci^ eleganti, e molto tersi e pieni di una soave
facondia nativa e pura, senza veruna affettazione », onde pomposa-
mente esclama: « veramente felice questa nostra età! che se l'an-
tica hebbe una Saffo, può gloriare haverne due, ciò è la
questa si

(lotta, copiosa e leggiadra vostra zia la signora Camilla Scarampa e

voi sua onorata nipote ». Quanto al conte Giovanni Bartolomeo, figlio


di Lodovico, se non era un vero e proprio letterato, era però uomo

colto e pratico del viver delle corti : fu consigliere dell' imperatore Mas-
similiano e a volta a volta suo governatore ad Asti, oratore al re d' In-
ghilterra e capitano a Trieste. Imperialisti tenaci, nel 1515, alla calata
de' Francesi i Tizzoni, cacciati dai loro possedimenti, dovettero chie-
dere ospitalità agli amici conti Valperga di JSIasino ed a mala pena
nel 1524 poterono ritornare a Desana con un caro ospite, il Muzio. Ma
per brevissimo tempo, che un' altra venuta de' Francesi li costrinse a
fuggir di bel nuovo. Il vecchio conte Lodovico riparò anche questa
volta, insieme col Muzio, a Masino e quindi a Valperga, dove rimase
finché la battaglia di Pavia non venne a torlo d'ogni angustia ».

E Matteo Bandello era incaricato di far recapitare


a Giulia Gonzaga i madrigali scrìtti per lei dalla Tizzoni.
Ecco come il poeta e novelliere rendeva conto della sua
missione in una lettera, diretta « alla molto virtuosa e
gentile eroina la signora Margherita Pelletta e Tizzoni
contessa di Deciana ».

« I vostri bellissimi madrigali, che mandati m' avete per mano


del sig. conte Ercole Roscone, fatti da voi in lode della meravigliosa
ed incredibile bellezza e dell' altre divine doti della non mai a pieno

lodata eroina Gonzaga e Colonna, ho io così volontieri ricevuti


Giulia
e letti, come cosa che mi fosse potuta venire alle mani in questi giorni.
Gli ho, dico, con mio inestimabile piacere letti e riletti più e più volte,
si perchè sono parti del vostro sublime ingegno, ch'io onoro, rivei'isco
CAPITOLO V 8:5

ed imineiisainente aimniro come cosa rara del secolo nostro, per le

rare doti che in voi come fiammeygianti stelle risplendono in og-ni


azione vostra; e si anco pei'chè sono belli, candidi, dolci, eleganti e
molto d'una soave focondia nativa e pura, senza veruna
tersi, e pieni

atfettazione. Mi sono oltre a ciò stati non mezzanamente cari, percli(>


parlano di quella eccellente signora, che oggidì con l'ali della chiara
fama tanto in alto vola, e si famosa per ogni clima si dimostra, che
tutti gli elevati ingegni della nostra età, che alquanto abbiano posto
e bagnate le labbra nel fonte Pegaseo, vi s'affaticano a celebrarla; non
per accrescerle alcuna loile agumentar i veri onori
o di lei, i quali
non possono per gli altrui scritti, quantmique dotti ed artificiosissimi,
più crescere di quello che sono, ne' per biasimo de' malevoli smi-
nuirsi; ma perchè gli scritti loro e poemi dal nome di quella, che
sempre è glorioso, ricevono pregio e gloria. Io ho essi madrigali (sic-
come per vostre lettere mi imponeste) mandati a Fondi e gli ho dati
ad un fidato messo del sig. Cesare Fieramosca, eh' egli mandò questi
dì a Capua al sig. Federico suo fratello. Esso Sig. Cesare, in mia pre-
senza, comandò al suo uomo che, come fosse a Fondi, subito presen-
tasse le vostre lettere e madrigali alla signora Giulia, a la quale anco
egli ha scritto di sua mano una lunga lettera in commendazione vostra,
con quel suo dire militare. Io mi fo a credere e porto ferma opinione
che quando essa signora Giulia vedrà i vostri madrigali (ne' può molto
tardare che il messo non arrivi a Fondi) essendo quella gentilissima
e giudiziosa eroina che è, e da tutto il mondo è tenuta, che gli leg-
gera con infinito piacere e gli riceverà tanto onorevolmente ,
quanto
cosa che gli potesse essere presentata e forse più aggradirà e averà
care vostre bellissime composizioni, che di nessun' altro che la celebri.
Quegli altri, che di lei tutto il di scrivono e la cantano, o che si

sforzano tale dimostrarla qual' è, sono uomini, il cui debito natural-


mente è d'amare, onorare, riverire e celebrare tutte le donne, e mas-
simamente (pielle che lo vogliano, come ella è, che può dar materia
amplissima a tutti gli scrittori de' tempi. Ma (per dir il vero) sempre
le lodi che gli uomini cantano de le donne portano di continovo con

loro un poco di sospetto, che per troppo amore che loro si porta, o
per acquistare la loro grazia non si passi alquanto il termine della
verità. Ma se una giudiziosa donna, come voi siete, loda un' altra
donna, che sospetto si può avere che ella non dica la nuda e aperta
verità? Voi (siami lecito così dire, parlando il vero e ciò che tutto il

mondo vede) nata bella e nobilissimamente e altamente maritata, di


buone lettere ornata, che leggiadramente ne la lingua volgare com-
ponete e su le vostre rime fate i canti e quelli maestrevolmente com-
posti con isnodata e velocissima mano sonate e col suono accompa-
gnate la soavità della vostra voce; voi (dico) che siete tale lodate la
84 GIULIA GONZAGA

signora Giulia. Questa sarà ben vera e sincera lode, ove punto di sospetta
non si può da Momo stesso trovare, conoscendosi che solamente k;
verità v' lia mosso a così di lei cantare. Felice dunque la signora Giulia
che si nobile cantatrice delle sue virtù ha ritrovato (^) ».

Ma tra tutti i doni e gii omaggi letterari uno a


Giulia dovette riescire graditissimo : il secondo libro del-
l' Eneide, tradotto in italiano per lei da un giovane non
ancora ventenne , e già salito in alta fama pel suo va-
lore nelle armi, per la sua cultura, per una vita fastosa
non che per alti rapporti di
e piena di ardite iniziative,
famiglia, essendo congiunto al papa Clemente VII. Della
sua abilità musicale abbiamo due testimonianze. Il Giovio
così ne scrisse : « Riesci dolcissimo suonatore di liuto,
artificioso ne' violoni, eccellente ne' flauti e incomparabile
ne' cornetti : toccava ancora gentilissimamente il mono-
cordo e facendo diversissimi concerti d'armonia con me-
ravigliosa imitazione suonava così i nostri tamburi e le
trombe, come gli altri strumenti barbareschi, i quali so-
gliono risvegliare gli animi alla guerra. » E l'Ammirato
conchiudeva: « insomma non era strumento alcuno, ch'egli
toccando non iacesse sentire, secondo la natura di essi.

or piacevoli, or mesti, talora dolci e ora terribili e bel-


licosi concerti (-). »

Quel giovane per molte doti simigliava a Giulia. Dopo


ciò che si è accennato intorno alla cultura artistica di

lei, non parrà strano che in singoiar modo fosse gradito


l'atto cavalleresco.
Il dono della traduzione accompagnava una lettera
intestata « alla Gonzaga » ed
illustrissima signora Giulia
ecco il testo di quel documento :

(^) Randello, Novelle, parte 3^ pag. 61. Lucca, Busdrago 1554.


(2) Giovio, Elogi ecc., tradotti dal Domenichi. Firenze, 1557, p. 280.
Anche il Sansovino affermò che « riesci singolarissimo in tutti gli
istrumenti musici ». V. « dell'origine e de' fatti delle famiglie illustH
d' Italia. Venezia 1582, pag-. 131 ».
CAPITOLO \ 85

» [lì list rissili) a Sijiiorn —


Poichò spesso ad un oppresso da gran
male l'esempio d'un maggiore alleggerisce il martire, non trovando io
alla pena mia altro rimedio, volsi l'animo a l'incendio di Troia e mi-
surando con quello il mio, conobbi senza dubbio nissun male entro a
quelle mura essere avvenuto che nel mezzo del mio petto un simile
non si senta, lo quale cercando in parte aifogare, di quel di Troia
dolendomi, ho scoperto il mio; onde lo mando a voi, acciocché egli
pei" vera simiglianza vi mostri gli affanni miei, poi che ne i sosjìiri,
ne le lagrime, ne il dolor mio ve 1' han potuto mostrare giammai ».

Autore della traduzione e della lettera era IppoliUj


de' Medici (').
Ippolito de' Medici era figlio naturale di Giuliano,
duca di Nemours (') e si crede che nascesse il 1")11 in

Urbino da una nol)ile signora la quale, per occultare il

parto, avea ordinato che fosse gettato in una fogna; ma


« non bastando l'anirao a colui d'incrudelire contro un
bambino, solamente gli copri la bocca con un mattone

(^) « I sei primi libri (ìeW Eneide di Virgilio, tradotti a più illustri
e onorate donne et tra altre a la nobilissima divina madonna Amalia
Tolomei de Borghesi, a cui è anche indirizzato tutto il presente vo-
lume. MDXXXX. »
N. B. Il 1" libro è tradotto da Aless. Sansedoni; — il 2" da Ip-
polito De' Medici, in Vinegia per Nicolò d' Aristotile detto Zopino con
l'anno di X." S. MDXXXX; — il 3° da Bernardino Borghesi; — il 4"
da Bart. Carlipicolomini ; — il 5° da Aldobrando Senese: — il r>" d;i

Alessandro Piccolomini.
(-) La seguente tavola chiarirà meglio la paternità d'Ippolito ed
i suoi rapporti con casa Medici.

Cosimo, padre della patria, 4- H6t


1

Pietro 4- 1469

Giuliano -f- UT8 Lorenzo il Magnifico + U!I2


I

ìiulìo, poi papa CLEMENTE VA Piero, espulso da Firenze il H9a


^!

Giovanni, poi papa Leone X Giuliano duca di Nemours Pietro


i I

IPPOLITO CARDINALE Lorenzo, duca d'Urbino

Caterina, regina di Francia ALESSANDRO


duca di Firenze + lóST
8() GIULIA GONZAGA

acciò non fosse sentito piangere e ivi lasciollo all' arbi-


trio della fortuna ». Altri dicono che nascesse d' una po-
vera gentildonna d'Urbino, la quale, subito dopo il parto,
lo facesse recare sulla porta dell'ospizio de' bastardelli,
e che, rivelata la cosa a Giuliano ,
questi provvedesse
fosse allevato, quantunque nutrisse sospetto che fosse
figliuolo di Federico Ventura, suo rivale in amore. L'Am-
mirato narra « che, portato di tre anni a Roma, durante il

pontificato di Leone X, mostrò segni evidentissimi di in-


gegno atto e pieghevole, e che Leone X, prendendo gran-
dissimo piacere di vederselo scherzare a' piedi, lo fece
diligentemente ritrarre in quell' atto da Raffaello in una
sala del palazzo papale. Rimasto orfano prestissimo . fu
nondimeno allevato dagli zii nobilmente dopo la morte ;

del Duca di Urbino i Medici se lo tennero come loro


,

caro parente, e furono con lui larghissimi nell' educarlo


« avviandolo non solo alle lettere , ma facendogli inse-
gnare, come a figliuolo di principe, a cavalcare, a giuocar
d'armi, e suonar vari strumenti, accompagnandoli con un
graziosissimo canto, avendolo dotato la fortuna d'un
sopranaturale ingegno , facendo restare ammirati i suoi
precettori ».

Neil' età di 14 anni Ippolito ed il cugino Alessandro


furono mandati da Clemente VII a Firenze, perchè, sotto
la guida del cardinale Passerini, governassero la città. Qui
cominciò a manifestarsi l' indole larga ed ambiziosa di
Ippolito il quale, cercando di apparire all' imaginazione
di tutti quale successore ed imitatore del gran Lorenzo,
teneva a farsi chiamare il Magnifico. La rivoluzione fio-

rentina dell'aprile 1527, guidata dal Salviati, espulse dalla


città i due giovani che si ritirarono a Lucca. Nella fuga
per poco Ippolito non fu ucciso da un' archibugiata diret-
tagli da Dante da Castiglione e andata a vuoto.
Si vedrà più tardi lo stesso Castiglione associato ad
Ippolito in alcuni tentativi contro Firenze, il che è prova
della generosità dell' animo di quest' ultimo, ovvero
CAPITOLO V 87

della sua ahilitii nel dimenticare tutto, quando ciò ^11 t: le-

vasse a raggiungere certi lini.

Singolare aftetto po-se Clemente in (|U(d giovane: non


v'era matrimonio importante in Italia ciie il Pajìa non
procui'asse di assicurare al nipote. Una lettera di (lii-o-

lamo Naselli al Duca di Ferrara del 28 dee. 1528 (Ardi.


Modena, Cancelleria, disp. or. est. a Napoli), dice: « è
voce pubblica chel papa piglia pel S.or Ipjìolito suo nipote
la figlia naturale del Imperatore che fu promessa al

S.or Don Ercole et S. ]M. promette di rimetlei'lo in Firenze


de la quale si tiene che se n' abbj ad impatronirc: pro-
mette anche favorirlo in maggior impi^esa ». Poco })rima.
il 20 settembre 1528, Alessandro Guarino aveva scritto al
Duca di Ferrara « che il papa havea concluso il mari-
dazo de Hippolito in la fìliola de Vespasiano Colonna, et
quello de Alessandro suo nepole nella filiola della Duchessa
de Camerino. » (Arch. Mod. ihid. disp. or. est. a Firenze).
Più tardi si accentuò il proposito del papa di dare ad
Ippolito per moglie Giulia Varano, la figliuola della Duchessa
di Camerino Caterina Cibo; e corse pure la voce che volesse
far cadere la scelta sopra una figliuola del Duca di Fei--

rara. Ma Ippolito che sperava di formarsi co' suoi maneggi


meglio che con cospicuo matrimonio, un principato e con-
fidava nella forza del suo braccio, delle sue aderenze e
delle sue ricchezze, distratto da splendidi divertimenti, da
studi,da amori —
perchè questo spirito versatile facil-
mente scorreva da una cosa ad un' altra su questo punto —
non volle mai secondare disegni dello zio premuroso.
i

«Non ste' molto, nota l'Ammirato, ad apparire in


questo giovane la magnificenza e la liberalità di Leone
suo zio! Doni, spettacoli, largita verso tutti meravigliosa;
anzi pareva che in lui solo molte parti bellissime di molti
uomini della sua famiglia aggiunte insieme fìorissino, quasi

rinate in questo rampollo, per tener viva la memoria di

coloro, ch'erano morti: perciocché in lui si scorgeva


r animosità di Piero suo zio. il desiderio di farsi chiaro
88 GIULIA GONZAGA

e famoso nelle armi, eh' ebbe il Duca Lorenzo suo cugino,


la cognizione e lo studio delle lettere e della poesia, che
fu grande in Leone; ma molto più nel vecchio Lorenzo
suo avolo, onde la casa sua era ripiena di capitani, di

letterati e di musici e d' ogni sorta d' uomini eccellenti e


famosi : alle quali doti rarissime dell' animo erano aggiunti,
oltre quel che si sa della fortuna e della nobiltà, i doni
della natura : bellezza e disposizione di tutto il corpo
assai egregia, grazia atta a rendersi benevolo ogni zotico
e barbaro cuore, desideri immensi di gloria e di laude ».

Il 10 gennaio 1529 Clemente VII, trovandosi grave-


mente infermo e nel timore di morire senza avere prov-
veduto convenientemente alla sorte di Ippolito, lo creò
cardinale dal titolo di Santa Prassede; poi lo nominò Legato
nell'Umbria e vice-cancelliere di Santa Chiesa. Fu fatto am-
ministratore de' vescovati di Casale e di Lecce, ed ebbe più
tardi le ricche abbazie delle tre Fontane di Grottaferrata
e di Santa Sabba. Ippolito tenne uno splendido apparta-
mento a Campo Marzio e istituì una corte, che si crede
contasse oltre trecento persone di diversi paesi. Anzi il

suo biografo nota in particolare che « ivi erano sempre


mori di Barberia nati del sangue di Signori, i quali nella
maestria del cavalcare e del saltare e degli altri esercizi
moreschi furono meravigliosi a vedere. Ivi tu vedevi Tar-
tari, che col trarre con l' arco e ferir della lancia a
minutissimi segni non trovavano pari tra gli italiani; eranvi
indiani, che parte con la gagliardezza delle membra e
parte con la destrezza e l'agilità di tutta la persona supe-
ravano tutti gli altri uomini a' giuochi della lotta. Di questi
medesimi ve n'erano chi nuotando eccellentemente e stando
per lunghissimo spazio soft' acqua aresti creduto che non
lussino stati per ritornar più sopra. Servivasi sommamente
de' Turchi ed aveali sempre a guardia della sua persona,
come uomini prontissimi a maneggiare le armi. »
Nel palazzo trovavasi un grande giardino, ove egli
raccolse animali rari e pregiati. Quando, per accompagnare
CAPILOLO V 89

Clemente VII, Ipi)olito si reci) a Marsiglia, re Fran-


cesco gli volle offrire magnifici doni, ma egli li rifiutò,

contentandosi d' un leone addomesticato che lece riporre


in ({uel giardino. Quivi era pure un orso, avuto per mezzo
(li Caterina Cibo, duchessa di Camerino. Quel giardino
era il convegno eletto di Roma.
Le cronache raccontano anche di una triste avven-
tura capitata ad una gentildonna romana, la quale, acco-
statasi con soverchia imprudenza ad una cancellata, l'u

addentata da una fiera e per poco non ne rimase vittima.


La vita di Ippolito in quel tempo è con poche pai-ole
compendiata dal Sansovino il quale dopo avere accennato
« al meraviglioso vigore di spirito poetico onde leggia-
dramente tra<lusse in lingua toscana il 2° libro di Virgilio
con piacevolissima concorrenza e trasportò anche pro- i

loquii di Ippocrate dell'arte della medicina nell'uso della


disci])lina di guerra » soggiunge: « si diede con animo
borioso a' giuochi de teatro, alle giostre, a' torneamenti e
alle cacce, dilettandosi di tenere con gravissima spesa
grandissima copia di cani e cavalli di prezzo, con tanto
splendore di vita che in breve acquistò nome illustre in

tutta Italia. »
Quale fosse allora la società romana galante è facile
imaginare, ricordando che alla Imperia nel dominio dei
cuori era succeduta, fulgentissima etera, Tullia d'Aragona,
precipitata sulla via del vizio dalla stessa madre, la bella
Ferrarese (vedova del Card. d'Aragona ), stella anch'essa
ammirata dalla Roma mondana. Ippolito scrisse due sonetti
per Tullia: in uno di essi ricordava:

Il dolce folgorar de' bei crin d' oro


E '1 fiammeggiar de begli occhi lucenti
E '1 far dolce acquetar per 1' aria i venti
Co '1 riso, ond' io m' incendo e mi scoloro.

e con l'altro faceva la sua brava dichiarazione, certo, nella


forma, assai più castigata di altre famose del Muzio :
90 GIULIA GONZAGA

Prego volgendo in me '1


bel viso santo
Al lungo penar mio dia qualche pace,
Et qualche tregua a gli aspri dolor miei.

Tullia ricambiò con altri sonetti i versi inviatile da


Ippolito e da altri letterati che allora si erano messi a
servizio di lui e tra essi dal Molza, del quale non solo pel
suo valore, ma per la parte importante che prende in que-
sto racconto, convien dire qualche cosa di particolare.
Francesco Maria Molza, nato a Modena nel giu-
gno 1489, fu mandato nel 1505 a completare gli studi a
Roma ove si strinse in grande amicizia con Marcantonio
Flaminio. Il Giraldo scriveva allora di lui : « oltre alla

toscana favella, nella quale aveva già dati saggi certis-


simi della sua erudizione, accoppiava alle lettere latine le
greche ancora e le ebree; e che quantunque più del
dovere ei si perdesse dietro all' amore delle donne, dove-
vasi non pertanto annoverare tra i più rari ingegni, ch'al-
lora fossero ». A quest' ultimo inconveniente provvide il

severo genitore, richiamandolo e facendolo ammogliare


verso il 1512 con una Masina de' Sartori. Ma quattro anni
dopo, già padre di quattro figli egli abbandona questi e ,

la moglie per correre a Roma , ove ,


preceduto da bella
fama, è accolto con grande gioia dagli uomini di lettere
e diventa familiare del Bembo, del Sadoleto, del Beroaldo,
bibliotecario della Vaticana e di altri valentuomini che
allora facevano parte dell' Accademia romana. In un tempo
in cui sembrava vergogna per un letterato non avere una
amante da celebrare, figuriamoci se il Molza, data la sua
indole ardente, non ebbe i suoi amori. Perdutamente si
invaghì di una Furnia, tanto che gli amici per dileggio lo
chiamavano Furnio Mario Molza e più tardi di una Bea- ,

trice Paregia, ricordata anche da Vittoria Colonna in un


sonetto. Pare che questa Beatrice avesse anch' essa il suo
Dante, non poeta ma molto armigero. Un bel giorno costui
assalì il Molza e gli diede una coltellata in petto, sul
principiò creduta tale da produrre la morte, dalla quale
CAPITOLO V 91

il ferito scampò })ei' le cure


d' un medico suo lìatcriie

amico, Lelio Massimo. Guarito, Molza lasciò Uoma e si il

recò a Bologna, ove conobbe Camilla Gonzaga, bellissima


e celebrata. Egli, manco a dirlo, si affrettò a consacrarle
il cuore e la cetra, ma questa fu presto distratta da una
dolorosa visione, quella cioè di una visita di Beatrice,
orbata della ricca e })ionda chioma, fatta recidere da' me-
dici romani in seguito a non so qual malattia. Il ^lolza
scrisse pel triste caso una bella elegia in latino. Lasciata

Bologna, su' primi del 1526 si recò a Roma, ove assi-


stette all' ingresso violento di Vespasiano, il marito di
Giulia, e l'anno dopo all'entrata dei lanzichenecchi ed
al relativo saccheggio, argomento quest' ultimo che ispirò
al poeta un' altra elegia. Recossi per poco in patria o
nelle vicinanze, ma, poiché non vi si poteva vedere e
sentiva disgusto di menar vita in famiglia, venne disere-
dato dal padre che lasciò la proprietà a' nipoti. Quando
il Molza tornò a Roma, gran nome suscitava la corte del
Card. Ippolito, ove fu accolto affettuosamente dal muni-
fico principe il quale anzi gli assegnò un benelicio di
quattromila ducati di rendita. Il Molza divenne amico ed
ammiratore sincero più che cortigiano del Cardinale, né
il suo umore gli avrebbe concesso di essere altrimenti.
In alcune sue stanze, dedicate al Cardinale, dopo d' aver
detto di trovarsi confuso come in mezzo a mille fiori,

conchiudeva:

Così mirando in voi. tutti i miei sensi


Restan confusi, poiché tante e tante
Rare eccellenze in que" più g-radi immensi
Veggono d' opre gloriose e sante :

E quanto sono in vagheggiar più intensi


Vostra virtù se li dipinge innante
Timor, che a voi non piaccia, onde imperfetto
Tra me solo ragiono e tra me detto (^).

{^) MoLz.\, Popsic, Bergamo 1747, pag. 167.


92 GIULIA GONZAGA

Quando Carlo V doveva venire in Italia, Ippolito insieme


al Card. Farnese (poi papa Paolo III) e all'Angeli spa-
gniiolo fu scelto dal papa per andargli incontro. Al con-
vegno Bologna del 1530, Ippolito fece splendida figura
di

€ colla solita generosità aiutò molti, dando ad insigni


artisti vari incarichi di opere per sé e per altri. Il Vasari,
nella vita del Tiziano, scrive: «dicesi che l'anno 1530,
essendo Carlo V imperatore in Bologna, fu dal Cardinale
Ippolito de' Medici, Tiziano, per mezzo di Pietro Aretino,
chiamato colà, dove fece un bellissimo ritratto di Sua
Maestà tutto armato che tanto piacque che gli fece donare
mille scudi, de' quali bisognò che poi desse la metà ad
Alfonso Lombardi, scultore, che aveva fatto un modello
per farlo di marmo, come si disse nella sua vita ». Ed
altrove pure il Vasari scrive : « non passò molto che tor-
nando Carlo V a Bologna per abboccarsi con papa Cle-
mente quando venne coli' esercito d' Ungheria, volle di
nuovo essere ritratto da Tiziano il quale ritrasse ancora, ;

prima che partisse di Bologna, il detto cardinale Ippolito


de' Medici con abito all' ungheresca, ed in altro quadro
più piccolo il medesimo tutto armato, i quali ambidue
sono oggi nella guai-daroba del Duca Cosimo. »

A Firenze nella Galleria Pitti (n. 201) trovasi il

ritratto di Ippolito fatto dal Tiziano. Nella sala dell'Iliade


si ammira il ritratto di lui in abito ungherese. Col n. 149
è segnato il ritratto eseguito dal Pontormo (v. Vasari,
vita di Pontormo); ed un piccolo busto, opera del Bron-
zino, può vedersi nella stanza de'camei (n. 403) della
celebre Galleria. Questi appunti potei prendere, quando mi
recai a Firenze per alcune indagini utili a questo libro. Il

ritratto del Card. Ippolito De' Medici, già lasciato in legato


al British Museum, trovasi ora nella National Gallery :

una incisione di esso fa parte della pubblicazione intito-

lata:Jones National Gallery.


Nel 1532quando Carlo V si trovava in Germania
,

per opporsi alle mosse di Solimano Clemente VII pensò ,


CAPITOLO V '.)3

(li sovvenire l' iiiipurutoi-c e mandò a lui Ipiìolito de' Me-


dici (') in qualità di Leg'ato a latere « con {^n'ossa somma
di danaro, scrive G. Rosso, e molta gente, il (jual Caidi-
nale poco prima che andasse Legato in Germania era stato
segretamente a Napoli sotto colore di voler pacificare il

card. Colonna col papa, sebbene altri dicono \n:v altra


causa. » ('-) Ed anclie in questa missione Ippolito procedette
colla solita munificenza, tal che Ammirato è costretto a
1'

dire: « difficil cosa è narrare con quanta pompa e splen-


dore regio egli andò a quella Legazione, menando con
seco così gran compagnia di uomini rari in ogni onorata
professione; ma molto più nell'armi, con l'altre prepara-
zioni a tanta compagnia convenienti che certo sarebbe
stata considerata per gran spesa di un re grandissimo :

le quali cose tutte, benché grandi, erano nondimeno di

gran lunga avanzate dalla magnanimità di quel giovane,


il quale con la vivacissima prontezza degli occhi, con l'af-

fabilità de' modi e delle maniere, con i movimenti leggia-


drissimi di tutto il corpo, quando si fosse trovato ignudo
d' ogni ornamento esteriore, per sé solo appariva supe-
riore ad ogni ostentazione di grandezza ».
Ippolito arrivò alla Corte dell'Imperatore il 12 ago-
sto 1532, ricevuto con grandissimo onore da lui e da
Ferdinando, re de' Romani. Egli profuse doni a destra
ed a manca ed assoldò 8000 ungheresi, volendo, depo-
sto l'abito cardinalizio (che in verità indossava assai
raramente) pur vestire all'ungherese. A Vienna per poco
non fu ucciso in una rissa occorsa tra spagnuoli e tede-
schi e dovette asserragliarsi in una casa col Marchese
del Vasto e col De Leva. Essendo minacciata Lintz dai
turchi, Ippolito vi inviò Sforza Baglioni e Otto da Mon-
taguto con una buona banda d' archibugieri.

(') V. Guicciardini, Storia d' Italia, libro XX.


(^) Rosso Gregorio , Isf. delle cose di Napoli sotto V iinperio di

Carlo V dal 1526 al I6ò7, Napoli, Montanaro, 1635. pag. 83.


94 GIULIA GONZAGA

Nel ritorno l' imperatore avea determinato il modo


come si avessero a distribuire gli armati ed i capitani :

il Legato doveva procedere fra 1' avanguardia e la retro-

guardia. Ma Ippolito, smesso l'abito cardinalizio (indos-


sando una veste di lupo), intollerante di ordini, o per
ragione di vanità, o per un secondo fine, come allora si

sospettò, con una rapida mossa raggiunse ed avanzò coi


suoi r avanguardia. Carlo V, temendo volesse giovarsi di
8000 soldati italiani per piombare sul ducato di Firenze,
lo fece raggiungere ed arrestare. Ma poi, convintosi o
tìngendo di convincersi die quell' atto dovesse attribuirsi
a foga giovanile, fece rilasciare Ippolito, rivolgendogli
molte scuse. Ippolito proseguì per l'Italia, correndo due
volte il pericolo di essere ucciso, perchè i tedeschi, offesi
dagli italiani, avevano giurato di ammazzarne quanti ne
capitassero loro tra mani. Egli fu salvato dall' accortezza
di Mercado SiJagyiuolo, sua guida nel viaggio : conoscendo
il tedesco, costui fece credei^e che egli ed il seguito fos-
sero della corte di Ferdinando.
In queir anno si affermò maggiormente 1' affetto per
Giulia del Card. Ippolito, che, nell' atto di muovere per
la Germania, spedì a Fondi, su' primi di giugno, Sebastiano
dal Piombo per ritrarre la donna amata. Sebastiano con-
dusse a termine quel lavoro che il Vasari chiamò una
pittura divina.
Né da altra parte Giulia era insensibile alle dimo-
strazioni del porporato; anzi, conoscendosene 1' affetto , a
lei facevano capo varie volte letterati ed artisti della
corte di Ippolito per ottenere più facilmente grazie e
favori dal padrone. Una lettera, che pubblicherò in fine

del volume, che Claudio Tolomei aveva così


dimostra
potuto rendere un importante beneficio ad un suo parente.
Servivasi il Molza, scrive il Serassi, dell' intercessione di

questa Signora per rientrare in grazia col Cardinale ogni


qual volta egli era con esso lui in rotta, il che avveniva
non di rado, per essere il Molza nelle sue cose molto
CAPITOLO \' '.>r)

trascurato. Onde una volta che era in disgusto più elio

mai scrisse a Gandoli'o Forvino, che allora si trovava a


Fondi presso la Signoi'a Tiiulia. in (piesta maniera :

X Mi farete graiidissimo piacere a inamlanui alcuna lettera del-


l' illustrissima siyuora nostra indirizzata al patrone, perche io jiossa

avere occasione d' entrare in rayionaineuti con Sua S. Non vorrei f^-ia

che nelle lettere Ella mostrasse d' avere indicio alcuno sopra di ciò ;

ma che mi raccomandasse di nuovo e gli rendesse grazie della cura,


eh' eg-li ha preso di me, e questo ([uasi facesse con tai parole :

scrivendo a V. S. non posso fare ch'io non le raccomandi il Molza.
avendo inteso qualmente egli è rimaso appieno soddisfatto di lei:])ur
ogni commodo, che gli farà V. S. a me sarà sempre gratissimo. —
Tali o simili parole, come vi parerà più a proposito ».

Realmente non sempre le azioni e le ispirazioni let-

terarie del Molza si conciliavano colle opere del Cardi-


nale : ne è esempio singolare la condotta di ambedue in

occasione del vandalico atto compiuto da Lorenzino de'


Medici neir estate del 1534 contro le statue dell' arco di
Costantino. Ippolito colla sua autorità riuscì a frenare
r ira del papa per Lorenzino, il quale fu solamente
mandato in l)ando da Roma. Ma
Molza continuò ad il

inveire contro il fuggiasco colla sua famosa orazione


latina, recitata in seno all' Accademia romana. Veramente
il Virgili in quel documento, anzi che un atto contraddi-
torio agli uffici amichevoli fatti da Ippolito presso il papa,
trova un eccellente servigio che il Molza rese al cardi-
nale, rovesciando una parte dell'odio di quel fatto sul
suo nemico, il duca Alessandro, presso cui erasi Lorenzino
ricoverato « con gran dispetto al solito del cardinale
de' Medici » (^).

E veramente di questi tempi fino alla sua morte si

può dii^e che Ippolito dividesse le sue cure tra l' amore
(del quale diede una nuova prova a Giulia nell' accorrere

(^j Virgili, Francesco Berni. Firenze, Le Mounier, 1881, pag. 489.


96 GIULIA GONZAGA

armato a scacciare i turchi resisi padroni di Fondi) ed i

negoziati per ottenere di sostituirsi in Firenze al dominio


di Alessandro de' Medici. Suo attivo agente in questi
maneggi era Gabriel Cesano, al quale troviamo dirette
varie lettere di Ippolito. In Firenze si può vedere un ms.
palatino (n. 582) del Card. Ippolito de' Medici: « istru-
zioni al suo agente presso l' imperatore Carlo V per per-
suaderlo a levare lo stato di Firenze al Duca Alessandro
e darlo a lui ». In un Cod. del sec. XVII, conservato
nella Riccardiana, ho letto tra altro queste istruzioni man-
date per suffragare le sue aspirazioni. « I fiorentini finora
si sono trattenuti da ogni mezzo per riguardo a lui, Ippo-
lito. Ma se non saranno aiutati si rivolgeranno al re di

Francia, il quale ha tutto l' interesse per aiutare Firenze.


Essendo dunque le cose in questo termine ed in tanto
pericolo, non ci è il più presto ed il più sicuro rimedio
ne' di più servizio di S. M. che Ella si contenti che io
vada al governo di Firenze e che sì bene si muterà la
persona non si muterà la devozione verso S. M. » Erano
ragioni legittime dell' odio e dell' amore del popolo il

ricordo de' rispettivi genitori « il quale odio in me non


cade, avendo voluto la mia buona sorte ch'io non abbia
mai offeso alcuno , anzi piuttosto cercato di far piacere
e accarezzare e soddisfare ognuno e ben piacere ho
fatto a tutti coloro, ch'io ho potuto ». Fa quindi ri-

levare il maggior beneficio che l' imperatore può trarre


dal governo d' Ippolito in confronto con quello d' Ales-
sandro. Ricorda che nel 1529 in Ispagna «. gli ha pro-
messo espressamente di restituirlo allo stato, dignità e
reputazione del governo fiorentino e giudicherà essere
suo onore, come ha promesso di farlo, così d'osservarlo
ancora ». Infine dimostra che non è possibile un accordo
tra lui ed il Duca.
26 maggio 1535 moriva improvvisamente e miste-
Il

riosamente il Berni. Era stato per pochi mesi segretario


del Card. Ippolito, al quale aveva dedicato alcune sue
CAI'ITOI.O V UT

})oesie. Ma la Ituoiia iiitclliiitMi/a iVa rimo e l' altro In

breve, forse e sopraltuita i)ei* (inolio >iiiiito di ìii(1ì|m'ii-

(lenza, dal quale si faceva ispirare nella sua \ ila il «jfoiiiali-

poeta. Il Berni era a Firenze e si trovava in i-apporii

col Duca Alessandro: fu detto che il Cardinale profittasse


di questa circostanza pei* induri-e il poeta a levare di

mezzo r odiato nemico, (guanto ([uesta all'ermazione sia


destituita di fondamento ha giii largamente provato il Vir-
gili nel suo dotto lavoro su Fiancesco Berni. La verilii

pare invece questa: che il Duca Alessandro volesse sba-


razzarsi del Cardinale Salviati, odiato pe' grandi rapporti
serbati co' fuorusciti fiorentini. Il Cardinale Innocenzo
Cibo si assunse l' incarico di trovare il mezzo, suggerendo
al Berni di avvelenare il Salviati. Il Berni non volle secon-
dare l'infame proposta: e poiché il povero canonico, con-
sapevole del progetto, diveniva dopo ciò un importuno e

pericoloso testimonio, fu fatto avvelenare dallo stesso


Cardinale Cibo, in casa delle Marchesane di Massa, cognate
di costui. Il Cibo era in illeciti rapporti con una di quelle
signore, maritata al fratello Lorenzo e da (juesto divisa.

Quando il Cardinale Cibo mori nel 1550 — un anno dopo


cioè della morte del fratello Lorenzo — quantunque
avesse quattro figli naturali Alessandro, Clemente, Elena
e Ricciardo, dispose del suo patrimonio a favore della
cognata Ricciarda.
Di questi amori incestuosi, favoriti dal Duca Ales-
sandro, che frequentava, partecipando alle turpitudini, la
casa delle Marchesane, era irritato un altro fratello del
porporato. Monsignor G. B. Cibo, vescovo di Marsiglia.
Questi pensò di vendicare gli oltraggi del fratello tradito
colla uccisione del Duca. E dubbio se fu questa una spon-
tanea iniziativa, ovvero il prodotto anche di un accordo
preso co' fuorisciti di Firenze che si trovavano a Roma e

che facevano capo ad Ippolito. Certo è che la congiura


fu scoperta, il vescovo Cibo fu arrestato e il Duca
Alessandro denunciò il fatto ed i suoi sospetti relativa-
98 GIULIA GONZAGA

mente a' complici a papa Paolo III. Costui, non è dubbio,


aveva accaparrati in conclave molti voti per opera di

Ippolito, sempre sempre influentissimo: in corri-


attivo e
spettivo del prezioso servigio il papa avrebbe procurato
di liberare Firenze dal Duca, sostituendovi il Card. Ippo-
lito. Ma Paolo III, raggiunto lo scopo, non era poi ritual-
mente disposto a mantenere Per altro non
la promes.sa.
era poco impacciato di che aveva
fronte al Cardinale
occasione e diritto di ricordargli la mancata parola. La
notizia della congiura di Firenze dovette essere un eccel-
lente pretesto al pontefice per sbarazzarsi del suo credi-
tore. Di più levarsi di mezzo il Card. Ippolito avrebbe
voluto significare impossessarsi de' suoi pingui beneficii
che sarebnero tornati tanto comodi a' nipoti del papa, ai
quali infatti, per la morte del Cardinale, furono poi tutti
conferiti. Il papa aveva buon giuoco in mano e non se lo
volle fare sfuggire. È probabile che egli, sia per i riguardi
dovuti allo stesso Cardinale, sia per quelli dovuti ai nume-
rosi uomini di lettere che lo circondavano e formavano a
Roma una corte ed una coorte assai numerosa, decidesse
di dare al fatto tutta 1' apparenza della più schietta giu-
stizia, ottenendo da qualche inquisito o facendogli estor-
cere qualche rivelazione, che rendesse ormai impossibile
la condizione del Cardinale e potesse far legittimare i

concepiti rigori. La ci^onaca manoscritta ferrarese di Fra


Paolo di Leguago del sec. XVI ( conservata nell' Archivio
di Stato di Modena, carte 238), sotto la data del mese
di giugno 1535 dice: « ... il cardinal de Medici se partito
da Roma per qualche sospetto havea del Papa: per esser
stato preso un suo intrinseco : drieto al quale ha mandato
el papa a farli intendere debba ritornare, ma non l' ha

vogliuto obedire, anzi se ne andato alla via dell' Impera-


tore ». Viceversa altri dicono che, essendosi ritirato a
Tivoli, ottemperò all' invito del papa, tornando a Roma e
ripartendo per Tivoli. Il Serassi scrive : « Il papa nel prin-
cipio del 1535 fece mettere prigione il Conte Ottavio della
CAFITOLO V 9'.)

Genga il quale era uno de' primi uomini che avesse il

card. De' INledici e nella mattina medesima, essendo il

cardinale scavalcato al palagio di S. Pietro, gli fu dai


palalVeniei'i del papa tolta la mula, sotto spezie di non
aver pagato certe rigaglie, eli' eglino dicevano apparte-
nersi loro. Pel che il card. Ippolito, temendo non l'orse il

Papa fosse mal satisfatto del suo contegno e del suo spi-
l'ito guerriero (il card, veramente sospettava d'altro!),
si parti subitamente di Roma con tutta la sua Corte e se
n' andò alla sua villa di Castel S. Angelo. Quivi dovette
ancora il ]Molza fermarsi insino a tanto che avendo il

Papa liberato di prigione il Conte Ottavio e per mezzo


dell' ambasciatore di Cesare fatto assicurare il cardinale
che non gli sarebbe stata usata violenza alcuna, egli colla
sua corte se ne ritornò di nuovo a Roma (') ».

Ed il Varchi aggiunge che « era tanto grande l'af-

fezione ed il rispetto che tutta la nobiltà romana por-


tava al card. De Medici, che il giorno, ch'egli ritornò
a Roma, non fu gentiluomo alcuno di qualunque grado
egli si fosse che non gli andasse incontro insin fuora
della città, per accompagnarlo al palagio del papa e poi
alla casa sua (') ».

Seguendo la versione di altri, Ippolito nel giugno 1535


lasciò Tivoli per recarsi a Fondi, seguito da gran parte
della sua numerosa corte, attraversando Albano e Terra-
cina: da Fondi, dopo salutata Giulia, proseguì per Ziri,
feudo di Giulia e distante da Fondi circa dieci chilometri,
prendendo stanza nel convento di S. Francesco. Si propo-
neva di recarsi a Tunisi, ove allora si trovava Carlo V,
per concorrere a snidarvi i barbareschi e possibilmente
per ottenere da lui qualche concessione, mercè la quale,
riannodati i rotti rapporti col Duca di Firenze, potesse

(^) Serassi, Vita del Molza, che precede le Poesie di questo.


Milano, Tip. CI. It. 1808, p. 66.
(2) Varchi, Sf. fior., libr. XIV.
100 GIULIA GONZAGA

meglio assicurare ed aumentare la sua fortuna. I fuoru-


sciti fiorentini rimasero spaventati degli intendimenti di

Ippolito, poiché un simile accordo avrebbe reso impossi-


bile il disegno di liberare Firenze. Mandarono perciò ad
Itri Piero Strozzi per allettare l' ambizione del Cardinale,
e per dimostrargli quanto l'appoggiare i fuorusciti potesse
tornare utile al suo decoro ed al suo avvenire, poiché
r accresciuto odio di Firenze contro il Duca rendeva pro-
babile ognora più l'espulsione di costui dal governo della
città. Ippolito però, ascoltato lo Strozzi, non parve gran
cosa commosso da queste seducenti aspettative. Lo Strozzi
tornò a Roma e pregò G. B. da Ricasoli, poi Vescovo di

Pistoia ed allora a' servigi del Cardinale, di recarsi dal


suo padrone per iniziare nuovi tentativi. Il Ricasoli infatti
andò ad Itri, cercò di trarre il Cardinale al pensiero de'
fuorusciti; ma egli rispose: « io non voglio stare più a
speranze di loro novelle e di loro baie ». I fuorusciti non
si perdettero d'animo e pensarono, in occasione dell'an-
data del Cardinale a Tunisi, di valersi dell'opera di lui,

almeno, mercè la presenza di alcuni di loro, di tratte-


nerlo Duca di
dal tentare la progettata conciliazione col
Firenze.Mandarono perciò ad Itri il cavaliere Fra Gio-
vanmaria Stratigopolo con una lettera, riprodotta dal Var-
chi, il quale ci dà la risposta favorevole del Cardinale.
Allora i fuorusciti deliberarono di spedire ad Itri, per
accompagnare il Cardinale in Africa, sette di loro, cioè
Francesco Corsini, Nicolò Macchiavelli detto il Cliiurli,

Antonio Berardi, Dante da Castiglione, Bartolommeo Nasi,


il capitano Baccio Popoleschi e il capitano Gioacchino
Guasconi. Ed a costoro diedero istruzioni che, stando a
Tunisi : « osservassero con ogni diligenza i modi di pro-
cedere del Cardinale e veggendo eh' egli procurasse la

libertà della città e la restituzione de' fuorusciti alla patria


loro, r onorassero e l' ubbidissero in tutto quello eh' ei
dicesse, come lor maggiore; ma parendo loro che il Car-
dinale cercasse la propria grandezza sua e d'accomodare
CAPITOLO V 101

per mezzo dell'imperatore le cose sue col Duca Alessan-


dro, si scoprissero liberamente a Sua Maestà e le mostras-
sero ch'eglino non erano innanzi a quella col cardinale a
quel Hne; ma perciocché egli aveva promesso a' fuorusciti

e a tutti gli altri che s' erano doluti del Duca Alessandi'o
d' essere avvocato e procuratore dinanzi a Sua Maestà
della libertà della città di Firenze e della restituzione
loro alla patria: la qual cosa, poiché egli non faceva,
dicessero all'imperatore ch'eglino da loro stessi volevano
trattare con lui della libertà e della patria loro (') ».

Il Duca di Firenze, saputo di questi maneggi, temendo


che il focoso cugino non finisse col far attuare le aspira-
zioni de' suoi nemici, decise di sbarazzarsi di lui e, per
mezzo di Alessandro Vitelli e di ( )tto da Montauto , che
allora stavano in corte del Cardinale, fece fare la scelle-
i*ata proposta allo scalco Giovanni Andrea da Borgo S. Se-
polcro, al quale fu portato una boccetta di veleno da
certo capitano Pignatta di Firenze.
Con i sette delegati anche molti altri fuorusciti abban-
donarono Roma per recarsi ad Itri dal Cardinale « i quali
tutti, insieme colla maggior parte della sua famiglia, egli
avviò innanzi a Gaeta ed a Napoli, imponendo loro che
provvedessero i legni e gli apprestassero, per poter poi,
quando fosse tempo, imbarcarsi per andare a Tunisi a
trovare l'imperadore, e seco riserbò pochi uomini della
sua corte (^) ».

Giovane impetuoso ed irrequieto , il Cardinale sma-


niava di affrettare questi preparativi. Il Molza,che allora
era in Fondi, dubbioso se il padrone lo avrebbe condotto
seco in un' occasione nella quale questi avrebbe preferito
gli uomini di spada agli uomini di penna, così scriveva
a Gandolfo Ferrino e cosi descriveva le condizioni di

(^) Varchi, Storia fiorentina, libro XIV, 44.


(2) ^'ARCHI, ibid.
102 GIULIA GONZAGA

spirito del suo padrone. « Se Dio \ì mantenga sano ed in

grazia dell' Illustr. S. Donna Giulia , appresso della quale


ora dimoriamo il giovane Soranzo ed io, date recapito a
queste mie subitamente, le quali perverranno a diritto
cammino, se giungeranno in mano di Pagolo Panciatichi.
Egli mi disse al partir suo che si troverebbe in casa d'un
fiorentino, clie si chiama messer Bernardo della Sommala.
Quivi aspettiamo ogni giorno. Il Cardinale nostro si trova
in Itri con maggior desiderio di passare in Africa che non
ebbe mai Rodomonte di venire in Italia. Ed io mi sono

mosso dietro a lui per fare il medesimo. Ma perchè Sua


S. Illustr. ha bisogno di gente da portar spada e lancia,
penso che il giovane ed io per questa volta resteremo a
casa. State sano ed amate il Molza vostro (') ».

Probabilmente il Molza scriveva sotto F impressione


del seguente sonetto , allora speditogli dal Cardinale
Ippolito.

Molza quel vero e glorioso onore


Che Cesar volg-e nell'antica strada

Di gir a ricercar nova contrada


Per trovar degno pregio al suo valore ;

Fa che mi paion anni i giorni e ore 1'

Che stato son così vilmente a bada:


Egli mi chiama e 'nsegnami ond' io vada
Per uscir d'ozio e dell'invidia fuora.
Questi mi spinse alla più rea stagione
Dove Vienna il gi'au Danubio bagna,
E verso il mar maggior superbo scende :

Or in Affrica lieto mi accompagna.


Mentre varcato il Cancro al gran Leone
L' ardente stella in largo petto incende.

(') Delle poesie volgari e latine di Fr. M. Molza, contenente le


cose inedite e gli opuscoli di Tarquinia Molza, nipote dell'Autore. —
Bergamo, Lancellotti, 1750, pag. 1-18.
In questo volume si leggono varie altre lettere del Molza al Por-
rino. Segretario, come abbiamo visto, di Giulia Gonzaga, della quale
spesso parla in dette lettere.
CAPITOLO V U)'-'

Mentre fervevano i preparativi per la partenza, Ippo-


lito si recava frequentemente da Itri a Fondi per visitarvi
Giulia: anzi queste visite, sia perchè fatte in una stagione
nella quale la malaria maifiiiornicnte infestava quel paese,
sia perchè accompagnate da molti strapazzi, jtrodotti da
cacce, tornei, divertimenti d'ogni genere, a' quali si ali-

bandonava il Cardinale, furono la causa vera, secondo il

Varchi, ch'egli ammalasse il 2 agosto 1535. L'infermila


attribuita sul principio a quelle cause, non eccitò sospetti;

ma lo scalco Giovanni Andrea da Borgo pensò di pro-


fittare della circostanza per dare eftetto allo scellerato
disegno. E così quattro giorni dopo, cioè il (5 d' agosto
(non 5 come scrisse il Varchi), stando il Cardinale a
il

letto, gli portò « una minestrina bollita in peverada di

pollo per desinare ». L'infermo, appena l'ebbe mangiata,


cominciò a dare in ismanie ed a Bernardino Salviati, ca-
meriere gerosolimitano e priore di Roma, accorso con
altri, disse : « io sono stato avvelenato e ammi avvelenato
Giovanni Andrea ». Avvertita per mezzo d'un messo, Giu-
lia si mosse subito da Fondi, seguita dal Molza e da altri,
per recarsi ad assistere il cardinale. Lo scalco fu imme-
diatamente arrestato e dal notaio di Itri fatto rinchiudere
nella rocca. Il Varchi dice che egli « confessò apertissi-

mamente di avere avvelenato il cardinale in quella pappa


ed aver pesto il veleno tra due sassi, i quali egli aveva
poi gittati via; ed insegnò il luogo, ove egli li avea git-

tati ; ed essendogli portate da' servitori del cardinale certe


altre pietre raccolte da loro a caso d'altri luoghi, ([uando
le vidde, disse che non erano quelle ch'egli aveva adope-
rato a pestare il veleno, che aveva dato al cardinale :

perchè andando i servitori del cardinale in quel luogo,


nel quale egli aveva detto d'aver gettato i sassi, gli ri-

trovarono e mostrarono e subitamente che li ebbe


glieli

veduti, disse che veramente erano quelli i sassi, de' quali


si era servito a far l'effetto di sopra detto ». — Nel docu-

mento, che pubblicherò più sotto, si vedrà che invece


104 GIULIA GONZAGA

Giovanni Andrea negava ed anzi con ribalda ipocrisia sug-


geriva « che pregassero i medici che avvertissero bene il
male de S. S. e che non lo medicassero per veleno, che
l'araazariano e che lo medicassero canonicamente ». Ma
il JNIolza, rimando replicava: « guarda s'egli è
astuto, di
un ribaldo, che per far morire il Cardinale più presto
dice che non si medichi per veneno » !

Nessuna cura fu omessa per salvare il prelato. Man-


darono persona a Roma dal papa Paolo III per ottenere
(la lui un poco di olio da caravita, specialità conservata
dal pontefice e che allora era stimata un potente contrav-
veleno. Ma il papa non si curò di mandarne ed a lui
alcuni poi addebitarono la morte del cardinale, sia per
quella trascuratezza, sia perchè egli poi concesse tutti i

benefici ecclesiastici di Ippolito a suoi nipoti e sia per la


condotta tenuta con Giovanni Andrea da Borgo San Sepolcro.
Incontro a costui, scrive il Varchi, quando giunse a' con-
fini dello stato pontificio fu mandato il bargello di Roma
forse per prevenire l' arrestato di essere reticente nelle
sue risposte. Ed infatti negò subito tutto quello che aveva
aflermato ad Itri : « disse di averlo detto per paura di non
essere ucciso da' servitori del Cardinale e fu menato in

Castel Agnolo e quivi tenuto parecchi giorni, ne si


Sant'
seppe mai in che modo, né da chi egli fosse esaminato,
né si videro mai suoi processi, né le sue esamine come
pareva ragionevole che si dovessero vedere in un accidente
di tanta importanza quant' era la morte di uno de' primi

cardinali di corte di Roma se il papa non gli fosse stato


interessato ». Ma é ovvio ammettere, che il papa su questa
faccenda abbia solo goduto del successo d' un atto, fortu-

natamente non suo, per aver potuto, così arricchire i

nipoti : r incolumilà e gli onori poi resi da Alessandro


de' Medici all' avvelenatore non poterono e non possono
lasciar dubbio sulla persona delmandante dell' assassinio !

Ma una morte ugualmente violenta e certo più crudele


doveva colpire, alla distanza di pochi mesi, il mandante
ed il mandatario.
CAPITOLO V lOf)

Il cardinale, toriuciitato da « una piccolissima e lenta


febbre », spirava dopo quattro giorni, nel lunedi 10 agosto,
a mezzodì e, come scrisse il (Hovio, trovatosi presente
alla dolorosa scena « gli fu men dura la moi-te per esser
vicino a Donna Giulia, la quale gli usò assai virtuose
cortesie ». Quanto lieto e grande avvenire troncato in un
momento ! La triste riflessione fu consacrata dal Molza in
un sonetto ciie conchiudeva :

Morte cblje invidia a si felice stato

E spense con orribile veleno


Acerbamente si leggiadra speme,
Percli" ei non fosse a tanto onore alzato
E cortesia venisse e valor meno
Che visser seco e dipartirò insieme !

Molti poeti e letterati cantarono e descrissero con


note di compianto l' immatura Veronica
fine del Cardinale.

Gambara, alla partecipazione avutane dal segretario Gabriel


Cesano, nell' esprimere condoglianze, facendo forza al-
l'animo suo mite, scriveva il 12 ottobre 1535:

... « se morte ha tolto l' illustriss. vostro padrone esempio vera-


mente di tutto il bene, che potea quag-g-iù mandare il cielo, confortatevi,

che forse non essendo il mondo degno d' averlo, innanzi al tempo l' ha
voluto Iddio appresso di lui : della maniera della morte si deve dolerne ;

ma chi sa che questa non sia aperta strada a farne le sue vendette ? »

Ed al Molza :

« la vostra lettera con li due sonetti nella morte di queir infelice


signore mi ha rinnovato il pianto, ed involta fra tenebre nuove, poiché,
come veramente dite voi, ora è spento il lume d' Europa, anzi del
mondo tutto. Io piango non solamente con voi, ma con Roma e con
questo secolo noioso, il quale ha perduto quanto di buono di bello era,
e può mai più essere in terra:

Aih morte ria, come a schiantar sei presta


Il frutto di molt' anni in si poche ore !

Ma che dirò io il frutto di molti anni, se nel primo fiore è morto


colui, eh' era degno di viver sempre? Avete ben ragione di dolervi,
restando come dite roco e , unito poiché con la morte del nuovo
,

Mecenate le muse hanno perduto lo spirito.... questa perdita universale


.

106 GIULIA GONZAGA

è stata tanto particolai- mia , eh' ella mi lia fatto sentire un dolore così
grande, ch'egli trapassa certo ogni nostra imaginazione! » (^)

Il Varchi :

« lasciò di sé grandissimo desiderio non solamente a tutti i suoi


servitori, ma ancora a tutta Italia massimamente a' romani, per-
e
ciocché egli era cortese, di grand' animo, amator grandissimo d' ogni
maniera di virtù e di maniere lodevoli e di bella presenza ; ma altiero

e superbo a meraviglia. » {^)

Colla sua fine moltissimi letterati, che vivevano presso


lo splendido porporato, rimasero privi di ogni appoggio e
andarono dispersi qua e là, imprecando contro 1' assassino
ed esaltando le virtù della vittima. E quindi si spiegano
bene le parole rivolte da G. B. Ricasoli all' avvelenatore :

« è egli però possibile, o Giovanni Andrea, che ti sia

bastato animo a esser cagione che tanti signori e tanti


1'

gentiluomini vadano, per la morte del Cardinale, tapinando


per lo mondo, i quali onoratamente vivevano in Corte di
questo signore e massimamente avendo egli fatto e tanti
e sì gran benefizi quanti tu stesso sai ? » I fuorusciti
avviati a Napoli ed a Gaeta per apprestare i legni d'ogni
sorta co' quali dovevano passare in Barbarla, furono impri-
gionati insieme con i servitori del Cardinale, perchè si

erano permessi di arrestare 1' uccisore, di porlo a' tormenti e


sopratutto di sottrarlo alla giurisdizione del regno, avendolo
fatto scortare fino a Roma. Poi liberati nel viaggio verso
Roma, morirono , la maggior parte di febbri maligne e
pestilenti ed allora corsero voci sinistre che restassero
spenti colla stessa specie di veleno, propinato al Cardinale.
L' arrivo a Roma delle spoglie del Cardinale diede
luogo a generali manifestazioni di lutto. « Non fu mai
pianto, scrive 1' Ammirato, principe alcuno così universal-
mente da tutti, come fu Ippolito; il quale portato su le
spalle di molti africani e mori a Roma, nel suo palazzo,

(^) Lettere volgari di diversi nobilissinii tioriii/ii et ecceUentissimi


iiigegiii. Venezia 1551, voi. 1.° pag. 40
(-) Varchi, stor. fior. libr. XIV.
CAPITOLO V 10/

Ogni cosii riempi di lagnine e di ululali aniarissimi. pei--

ciocciiè olti'G i cortigiani, gli amici e i favoriti suoi, dt'i

quali il numei'o era grande, oltre tanti capitani e soldati


e oltre tanti uomini letterati ed eruditi, che sotto lui si

riparavano, stranissimo era il lamenlo. che usciva dal

dissonante e vario strei>ito del pianto e di lamenti de' servi


suoi, i quali raccolti di più di venti lingue nella sua casa
amplissima piangevano la tropjìa intempestiva morte del
magnanimo loro signore. Onde hattendosi costoro il petto
e grattìandosi il volto con 1' unghie, stracciandosi i vesti-
menti addosso e gettando sospiri e urli sjìaventosi, secondo
i loro costumi, erano miserahil spettacolo non meno per
loro stessi, che per la morie di chi piangevano, a chiun(iue
li vedea, o li udia. » (')

Il feretro, tra queste dimostrazioni di compianto, fu


accompagnato alla chiesa di S. Lorenzo e Damaso. Nel
Diario degli atti di Paolo III e di altri di que' tempi,
compilato da Aug. Massarelli da Sanseverino l'anno 1543,
esistente nel suo originale nella libreria de' Mss. del fu
Giovan Antonio Moraldi, fol. 233, è appunto scritto. « 1535,^
die X Augusti, Hippolitus Cardinalis de Medices vice-
cancellarius hora 14 Uri (terra nell' agro fondano) ohiit
reneno a suo familiari sibi propinato : die i.V augusti
cadaver ducitur Romae puhlice tota urbe collacrymante. »
Nella parete a sinistra della cappella della deposizione
fu posta questa epigrafe. (^)

HYPPOI.JTO .MEDICI CARD. S. R. E. VICE CANCELL.\HIO


EXIMIIS CORPORIS AC INGENU FORTUNEQUE
MUNERIBLS ORNATISSI.MO
QLI CU.M AB TANTA RARISSI.MARU VIRTVTI INDOLE
LEO X CLEMENTISQ. VII P.\TRL'0R1!M
.\D
P E C U M GL R AM C N T EN DERET
NT I I I

ACERBISSIMA MORTE SUBRIPITLR


ANNO AETATIS XXIII A PARTU VIRGINIS
M. D. XXXV IMI IDUS AUGUSTI

(^) Ammirato, opuscoli, tomo III.

(-) Forcella, Iscrkioni delle chiese ed altri edifizi di Tìonia, voi. 5.°'

pag. 174.
,

108 GIULIA GONZAGA

Il Crescimbeni scrisse di Ippolito de' Medici : « grande


per dottrina, come ornato d' ogni sapere e non pur pro-
tettore, ma professore ferventissimo delle più eulte lettere
e delle più gravi scienze. Le sue rime se, come vanno
sparse per le raccolte e scelte tra le opere altrui
si potessero leggere unite , senza fallo renderebbero
all' autore quell' onore eh' egli in comporle fece alla

volgar poesia. »

Certo che la figura del cardinale Ippolito de' Medici


è di singolare interesse. Elegante poeta, facile traduttore
de' nostri classici, ardito soldato, per la munificenza della
vita, per la protezione concessa a' letterati, per larghe e
pronte iniziative, pel coraggio straordinario mostrato nei
fatti d' armi, per la sagacia nel condur negozi e trattare
nelle corti ed infine per l' amore portato alla più bella

dama d'Italia, attrasse su di sé od invidia od ammirazione


ed in ultimo, pel miserando fine, universale compianto.
Egli, meglio di altri mecenati, seppe favorire i letterati,

i quali se sentirono gli effetti di una straordinaria energia


di volontà, non ebbero a combattere colle consuete vanità
e cortigianerie del tempo. Se Ippolito avesse potuto vivere
più lungamente non è improbabile che sarebbe succeduto
a quel pontificato che Clemente VII e Leone X, per difetto
di energia e di audacia, non seppero tenere alto nelle lotte
tra Carlo V e Francesco : ed avrebbe fatto rivivere la figura
di Giulio IL Anche non conseguendo quel supremo onore, è

assai probabile che almeno non gli sarebbe mancato l'altro


di succedere nel ducato di Firenze ad Alessandro de' Medici.
Ma chi tanto faceva sperare, ed aveva innanzi a sé un
avvenire altissimo, cadeva miseramente vittima a 23 anni,
e questa morte se non fu il movente, servi poi come giu-
stificazione a quel Lorenzino, che, salvato dal Cardinale
quando si abbandonava all'insano atto di sfregiare i monu-
menti romani, giunse poi a vendicarlo coli' uccisione del
Duca. Ed il vaticinio di Veronica Gambara si verificava
appieno !
CAPITOLO V 1(V.)

Ma pi'ima vediamo filalo sia stata la ime del prez-


zolato servitore.
Di Giovanni Andrea da Borico S. Sepolcro si coiisoi'va

neir Archivio Mediceo (1". ^JOO. just. Y\) la seguente f^epo-


.sizione.

A <U 6 di agosto 1535 in Itri successe el caso de la mia cattura


per la malattia del rev.'"" et ili."'" mio signore, e fu in (inasto modo :

ohe essendo io el sopradecto giorno di poi el desinare del Signore, in


compagnia de Marc' Antonio butigliere, e certi altri for de la camera
del cardinale, venne el Priore di Roma me, e chiamandomi a parte a
mi disse : « el Card, dubita essere avenenato chi pensi tu possa essere ;

stato ?» Io li risposi, e dissi : « signore avvertite che el cardinale è


uso, quando se amala, haver simili suspecti. V. S. lo levi di simili

fantasie che li potriano nocere. Chi volete voi che l' abbia atosicato ? n

Lui disse : « el cuoco, el credentiere, el botigliere, che lo maneggiano,


pensi tu che potessero aver facto simile cosa ?» Io li dissi : « signor
no, (non) è alcuno di questi che non sia stato 4 o 6 anni col Cardinale
e penso siano homini da bene, et che noii hariano facto simile tristitia ».
Lui disse « tanto è il Card,
: è avenenato , e so certo che tu l' hai
avenenato ; » et cus'i replicando io che questa era ima tristitia, e mali-
gnità che se usava contro di me, et che non pensava che '1 cardinale
havesse tal suspecto di me, lui disse; « per dirti, el Card, sa certis-
simo che tu r hai avenenato, et ha in mano le lettere del Duca e del
Signorotto, che te scrivevano sopra ciò, e sa che tu hai haute de le

altre, che bisogna che tu manifesti ». Io li dissi : « signore ! non vogliate


esser cagione de la morte del cardinale, per ch'io non l'ho avenenato,
ma penso sia amalato del tal male, questa è una tristitia , che me se
apone, e V. S. sa che non è ver niente di quello dite, e non havete
simili lettere, né mai si trovaranno, perchè le cose che non sono non
se possono trovare ». E così replicandosi fra lui e me, chi l'era, e chi

non era, me disse : « per Dio ! bisognerà che tu ce lo dichi, che sapremo
che tu l' hai facto, e chi te 1' (h) a facto fare ;
« e così me menò in le
stantie sue, dove haveva ordinato ci fussi e Giovanni del Tunino, e
San Piero corso, a li quali me lassò in guardia per tutto quel giorno,
dove che ogni uno di loro più volte me recercò eh' io li dicessi se
havevo facto tal cosa, e maxime Giovanni, che più volte me disse :

« Giovanni Andrea, dillo a me, che ti prometto di salvarte, e lassarte

fugire ; » al quale io dissi : « Giovanni ! me meraviglio di voi, che me


cognoscete, e sapete chi son, e la servitù mia, e crediate ch'io abia
facto tal cosa ; io non l' ho facta, e dicovi che non che fugire, s' io

fussi in capo al mondo io tornarla per giustificare simil tristitia : vi


110 GIULIA GONZAGA

prego bene che vog-liate esser di mezzo, e parlare col Cardinale e con
costoro, che non cor(r)ino a fui-ia, che son certo che il Cardinale non
harà male, e sapete ch'io non sono uso a patire, et essere stractiato,
e se loro me danno martirii mi faranno dire ciò che vorranno, e saranno
la mina del Cardinale, che a me non basta l'animo soportarli. » E cosi
passò il giorno, ch'io non me ne detti molto affanno, anchora che la

cosa fiissi importantissima, perch'io sapeva la inocentia mia, né pen-


sava bavere ad essere strattiato a torto, de la sorte eh' io fui. Venuta
-la sera, Giovanni e San Piero, cum certi di dicto castello, me menarno
ne la rocha ; et lì me dettono in mano d' uno nottario de lì, homo de
la signora lulia ( Gonzaga ) , e li pariamo in segreto a longo, di poi

domandaro licentia, e partironsi, o fìnsero ; e immediate dicto notarlo


me cominciò a examinare, e interrogarmi che lettere havevo hauto
da doi mesi in qua in circa, e da chi, e che per mani e altre cose
eh' ionon ricordo di poi me cercò tutto per vedere quello havevo
;

adosso, e trovorommi certe lettere de mia faccende. Facto tutto questo


dicto notarlo se ne andò li fori di quella stantia, dove penso andassi
a parlare a qualcheduno, oal Priore o a qualchuno de 11 suoi, o a Giovanni

San Piero, perchè loro stavano aschosi in l'alti-a stantia, e davano


a
r ordine di quello se haveva a fare contro di me. Tornato drento el
notarlo me cominciò a dire « bisogna che tu mi dichi, perchè tu hai
:

atosicato el C. e che veneno è stato e quando ce lo desti e chi te


, ,

r ha portato, che sapemo el tutto » e cusì me legò alla fune, e feceme ;

tirare su, e me ce tenne più d' una bora, examinandome sopra ciò e ,

sempre stetti saldo cum dire la verità eh' ero innocente, e in questo
mentre che io stavo là suspesso, questo notarlo andava là fora a riferire,
e pigliar l' ordine de quello haveva a fare de sorte che per v-edere queste
pratiche d'entrare e uscire de questo (notarlo), e per la passione e
dolore grande insoportabile io cominciai a dire : « dite quello volete
eh' io dica che dirò quello volete. » Mi disse : « tu ci hai a dire chi
te ha portato el veneno, et de che sorte era, e perchè tu hai avenenato
el C, e dire come tu l'hai aveneiaato. » Io dissi: « è vero eh' io l' ho
avenenato, poiché volete dica cosi, » el veneno, non sapendo dire come
havessi hauto, dissi haverlo comprato da uno mereiaio a caste! s. Agnolo,
e dissi havercelo dato in una menestra, et che era de color biancho.
Dimandandomi perchè havevo facto, et chi me l'aveva facto fare, li

dissi ehe havevo facto per sdegno eh' 1 Cardinale se portava mal di me,
et ehe avevo facto de mia fantasia, né mai dissi altro et cusì me ;

messe a basso doi o tre volte, e sempre me retirar su perch' io diceva


ehe non era vero, e ehe col martorio me fariano dire ciò che volevano,
e cusì me lasarno in pregione e partirono tutti. De li una bora o , ,

doi tornarono, et de novo me posaro a 1^ fune con dire che pareva


-che io li dicessi le cose per stractio e baia che me la farieno bene ,
CAPITOLO A- 111

couforiiiare . e cosi ine tirar su, e teneiuloiui li di imovo li coiillriiiai

ch'io haveva avenenato, e casi io. Piero, che era li fora ascoso cum
li altri, entrò dentro, e disse : « mettetelo abbasso, « t; dissenii ; « ()

Giovanni Andrea eppur 1' hai facto !» Io li dissi : « Giovan Piero fra-

tello, io non sono stato ma che vogli


; eh' io faccia ! non posso reyiar
a quelli tormenti Io non ho facto tal
! tristitia, nò mai si trovarà se
non bene di me ». Cosi me lasarno, e loro tornarono al Castellu.
La matina poi vennaro su tre o quattro a dirmi come el Cardinale
stava bene, et era guarito, e che a ogni omo rincresceva di me che
fussi stato stractiato de simil sorte ; e cosi in quel di molti de li

Sig.""' mie disgratit',


del Cardinale vennaro a vedermi, et condolersi de le
tra li quali venne Giovanni, m. Kedrico, m. Ventramo,' e disseme che
el Cardinale stava bene, et che se voleva levare, et ch'io stessi de
bona voglia che presto saria liljero. Io li dissi che '1 cardinale haveva
hauto torto a farmi stractiare di quella sorte la servitù mia , et che
non meritava tal premio, et che non me rencresceva tanto per me,
quanto per sua S. che dubitavo, e per la cativa fede haveva in me
,

per le persuasioni dei maligni, e per le parole me havevano facto dire


non se facesse medicare per veneno, e guadagnasse la morte ;
pertanto
li pregavo fossero contenti parlare con S. S. , e removerla da tal fantasia

che si stava in questo, che ne capitaria male, et che pregassero li

medici che avertissano bene el male de


medi- S. S. , et che non Io
cassero per veneno che 1' amazariano, che lo medicassaro canonicamente
eh '1 guarirla, e che facendo questo se il cardinale moriva facessero
morir me: e ricordai a messer Fedrico, e a m. Vendramo che non
guardassero al dire del C. che ogn' un di loro sapeva che S. S.
, in ,

tutti li suoi mali, sempre haVeva paura di veneno, et che per niente

non lo lassassero in tal fantasie, che saria la sua morte. Cusi me pro-
messero fare. Passò quel di, e l' altro che il cardinale sempre migliorò
de sorte che dicevano guarire ; e cusi a ogni bora veniva su qualcuno
a dirmi eh" io li amanissi la mancia per le bone nove me portavano,
che erano queste che ognuno di qiielli, da per sé, me mandava a dire
eh' io stessi di bona voglia che el cardinale guarirla, et che non era
malato de' veneno. In questo mezzo se io havessi voluto senza dubio
alcuno haria' possuto fuggire, che quella è una rocha minata, et io
andava per tutto a mio piacere, senza guardie, ma non lo volsi fare
per non macchiare la mia inocentia.
La domenica sera venne su Piero Strozzi con forse 15 o 20
capitani, e altri afarme bravate e menade, cume dire che me faria
ben dir lui, o me faria morire in su la fune e cosi volendomi atacare ;

alla fune, chi non me sapeva legare, e chi non voleva, de sorte che

fu necessitato Piero cominciarme lui medesimo a legarme, e cusi es-


sendo aiutato fui legato, e tirato su, e li stractiato più de' doi hore, e
112 GIULIA GONZAGA

dèttemmi de li stratti de corda parecchi , e Piero era (luello clie me


interrogava. El notarlo diceva clie lasasse fare a lui, né lo consentendo,
e seguitando pur m. Piero,mezzo in collera disse « lassarò
el notarlo, :

fare a voi, e me examina era questa clie m. Piero


ne lavarò le mani. » L'
diceva che sapeva eh' io non 1' aveva facto da me, né per mio sdegno,
e che voleva ch'io li contassi el tutto, et che sapeva che veneno non
havevo hauto da Castello, e eh' io pensassi haver a morire in quella
fune. Per tanto che veduto la crudeltà loro, e la malignità sua, e con-
siderate le parole che me disse il Priore in principio che sapeva che '1
Duca me l'avea facto fare per la qual parola aralegrato, come quello
che non s' aspectava altro, disse cum alta voce « veli che ce 1' ho : !

facto dire » Di poi mi disse


! chi mi avea indocto a farlo, io dissi che
:

per lettere e promission del Signorotto l'avevo facto. Mi domandò ehi


me haveva portato le lettere, prima li dissi per diverse vie, quali lui
non erese (^), e facendo instantia, cum trappate di corda, io dissi che
me le havea date m. Carlo d'Arezzo, e volendo sapere chi me haveva
portato el veneno li dissi che 1 medesimo m. Carlo me l'aveva dato.
Me domandò in che modo ci havevo dato, dissi che in una minestra,
dimandando de la qualità del veneno, e del colore li dissi esser verde
e chiaro, et che 1' avevo in vm' ampolla. Domandando che havevo facto

de r ampolla li dissi haverla buttata in uno cesso, e rottola. Inteso a


sua volontà, senza mettermi ahasso altrimenti, me cominciò a diman-
dare se io havevo commessione avenenare anchor lui , o alcuno altro
de li suoi, e così me tene un pezo. Di poi me fé por abasso, e mi
menò da parte in secreto, facendomi instantia eh' io li dicessi se havevo
ordine avenenar lui, e confortomi cum assai bone parole e promesse
grandi , se io li prometteva star saldo ne le parole che mo haveva ,

facto dire, et confermarle in tutti li luochi che bisognasse, e al Papa,


e all' Imperator, e se li prometeva far questo lui mi dava la fé farmi
liberare cum dire : « tu sai che il Duca mi volse far aniazare , e io
presi quelli, che erano venuti per tale elfetto, e li liberai per mia huma-
nità, sicché tu pòi stare alla mia parola. » Io li promisi che non
mancarla, e cusì mi lassarno stare, e andossene. Ma essendo restato
indrieto Marco Bontempo , anchor che lui di sua mano la medesima

sera mi haveva dato tre o quattro strappate di eorda , non me poddi


tener, vedendolo solo eh' io non li dicessi in secreto , e cum sacramento
non '1 non tor-
avesse a dire a m. Pietro, tanto era la paura eh
eh '1 1'

nassi a martoriarmi Marco io ti prego per 1' amor di Dio che tu


: « ,
,

dica a m. Fedrico che non lassi medicare el cardinale per veneno che
r amazzaranno e anchora avertischa che sotto questa ombra costoro
,

(') Credette.
CAPITOLO V Ho
in (iiiesta malatia non lo aveueuassero , e pregato dopo lu morte mia,
si costoro me fanuo morire, che tu dica dove ti trovarai , e al paese,
li assasiuamenti mi sono stati lacti, e qualmente io t'ho decto ch'io
sono innoci'nte, e che questo che ho decto l' iio dicto per martirio. »

El lunedi matina venne Ceccon de Pazzi, el Capitano Gigi o Nig-i che


si chiama, fiorentino, alla mia guai-dia, che per fino a ciuell' hora me
havevano guardato certi vilani. Cosi me cominciò a far carezze, e ma-
xime Ceccone cum dire eh' io stessi saldo in quello che havevo decto
che m. Piero me farrà liberare, e eh' io stessi sopra di lui, e non du-
bitassi. E cusi uno di loro andava con le bone, 1' altro cum bravate,
cioè quel Capitano Gigi sopradicto, che me faceva mille stractii, e oltre

li stractii faceva a me, menò li uno suo servitore, e mi disse: « vedi


([uesto perchè si resimiglia al Duca, del naturale, sono in fantasia im-
piccarlo, a honor suo, e dispecto tuo ». E ciò diceva; « Giovanni An-
drea, tu stai li arabiato che non ti bisogna, te dico di certo che m.
Piero sarà cagione della tua libertà; tu deveresti quando vien qui
qualch' imo di questi servitori e gentiluomini raccomandarteli, e chieder
perdono a tutti di questo fallo, e tutti te haranno compassione, che
sanno che di quello hai facto la colpa è del Duca. » Con tali parole
cercava tenirmi alla sua volontà ; io podio li rispondeva. Nel medesimo
di venne li m. Piero, el Molza cum certi altri a dirmi « ho inteso che
tu cominci a dire che quello che hai dicto l' ai dicto per tormenti, et che
non è vero ;
per Dio I se io te atacho li a quella fune ti farò venir voglia
di star saldo in quello hai dicto ». Di poi disse: « guarda se' gli è un
ribaldo che per far morire el Cardinale più presto dice che non se
medichi per veneno ». El martedì mattina el Cardinale moiù, et cusi
venne là su Mario del Nero cum certi altri e Ceccone, e me dissaro
che 1 Cardinale era morto, et cusi me menare a basso, et me ligaro
sopra uno mulo, et cum assai più vituperi, et stractii che non fnr
(fiitti a) Cristo. Me menarne alla volta di Roma Mario del Nero e
Marco Antonio butigliere; s'andò con quanto dolore più volte jjer

il viaggio sino a Fondi. In segreto io li dissi che ero innocente, et


che ero assassinato, et cosi come vedevano voltarmi in (jualche fuocho
a guardare dicevano : « che guardi ? se viene el Duca a liberarti ! aspetta
che adesso verranno trecento fanti, e trecento cavalli del Duca a libe-
rarti », et cosi ci conducemo tra li confini della Chiesa e del Regno,
dove scontrammo el conte lulio Landò, el capitano Pietro da .Pisa,
quali venivano da Roma in poste. El capitano Pietro disse : « dove

menate questo traditore ? » « Noi lo menamo a Roma, che '1 Papa cel
terrà, che ha facto pigliare el vescovo di Furli » ('). El conte disse:
« menamelo in Fondi, finché fai'emo intendere a m. Piero, e al Priore

(1) Bernardo da Rieti.


114 GIULIA GOiNZAGA

che il vescovo è preso, e quel che s' ha a fare. Gli fa detto che la

signora lulia non li voleva assicurare eh' io non li fossi tolto, per com-
missione dell' Imperatore. El conte rispose e disse : « l' imperatore è
principe iusto, e farà tagliar la testa al Duca, se harà erato ». Et cosi
li furono sottosopra; chi me avria voluto nel territorio della Chiesa,
chi in quel del Regno, chi diceva: « squartiamolo qui! e cusi el cap.

Piero me corse adosso, volendome dare col pugnale; ma, essendo te-
nuto, me de uno pugno in un occhio. Alora se butò in mezo Ceccon
de Pazzi dicendo : « per 1' amor de Dio, lassetelo vivo, che questo è
quello che me ha a mettere in casa mia ». E cusi per quella nocte
menarmi in Fundi, tornamo indreto e alogiamo in un' osteria in Fundi,
dove vene quella sera el Molza, messer Giovanni Battista da Ricasoli
con molti altri, a crucciarmi cum parole ; ci venne anche el conte lulio,
e (sij posero a sedere appresso di me, et cum assai bone parole me
confortò, e dissemi : « o Giovanni, che hai facto ? » Risposi : « come
io sono innocente di tal tristitia, e costoro me hanno assassinato, e ho
speranza che quando sarò in loco de iustitia che Dio me aiutarà, e
sarà cognosciuta la mia innocentia. Vi jDrego bene che non diciate cosa
alcuna a costoro di quello vi ho decto , che se loro sapessero eh' io

cominciassi a dire d' essere innocente non me condurriano mai a Roma.


El conte me disse ; se t\i non 1' hai facto, non lo dire, che Dio te aiu-
terà, e altri simili parole. Circa el dirlo, « lassamelo dire è meglio! »

Io li dissi: « per questa sera non lo dite perchè me rovinareste, che


recominciariano a tormentarmi ; diretelo poi, quando saremo presso
Roma. » E cusi me promise. La nocte poi mi menarno alla volta di
Teracina, dove che m. Vendramo me venne a parlare, e dissemi: « o
Giovanni, perchè facesti tale errore ! Io gli dissi ; « m. Vendramo, questo
è uno assasinamento, che me fanno questi, io non 1' ho facto né mai :

lo pensai » Mi rispose come tu dici questo Costoro hanno examinato


. ; !

testimoni, che dicono che quando te levarne da Itri tu dicesti a tutto


il popolo « è vero eh' io ho avenenato el Cardinale, se non l' havessi
:

fatto, lo farla de novo, e increscieme che sono indugiato tanto a farlo ».

Alora dissi: m. Vendramo se mai trovate che


« io habia dicto simili
parole dite eh' io habia avenenato el Cardinale, io non 1' ho decto, e
costoro ritrovono queste falsità per possermi meglio far stractiare ».

Partimmo poi de li, e venimmo, la sera a logiare abasso de Sarmoneta


di qua da Piperno. Scontrammo el vescovo de Furlì, e Russignolo, che
venivano da Roma. El vescovo me disse « o Giovanni, tu ci hai ru- :

inati! che hai tu facto 1 » Io li risposi, « monsignore, io sono stato


assassinato e stratiato a torto, né mai feci o pensai t;il tristitia » e
cusi cavalcando cominciai da parte a ragionare cum Marco Antonio, e
Rusignolo. Alli quali io dissi: « sono innocente di questo che costoro
me apongono, e penso che '1 Cardinale non sia morto de veneno, e se
CAPITOLO V 1 ir>

pur egli è morto de veiieno, 1' anno avenenato o il l'riore, o ni. l'iero,

che sono cursi le poste con lui, e 1' anno governato uno di, o doi alle
volte, senza che nissuno Ma non gli dite
de noi servitori ci sia stato.
niente, che me uno podio, o costoro
farieno dispiacere. E cusì, passato
lo dicessero a Ceccone, o come se andasse, dicto Ceccone venne alla

volta mia con una meza zagaglia con gran collera; e davami, se non
che '1 vescovo li disse che non mi fi'sse dispiacere. Lui disse: « questo
traditore dice che noi havemo atosicato el Cardinale, » L' altro dì, par-
tendo da Sarmoneta per venire a Roma, incontrammo de la de la ci-

sterna el capitano della guardia del papa (venuto) per me. Allora
quando li fuoi presso, dissi : « ringratiato Dio, andarò in mano de iu-
stitia, » e cusi andamo alla volta de' Veletri, e per la via ragionò
molto con me el capitano Mario de la Guardia del papa, al quale io
dissi li stractii e asassinanienti me erano stati usati, e come ero in-
nocente, e che se il cardinale era morto de veneno, erano stati el

Priore e messer Piero che li erano nemici, e li dispiaceva che sua


Signoria andassi dall' Imperatore, vedendo che n' era per nascere l' ac-
cordo tra '1 Cardinale e el Duca, e pregailo me ricomandasse a Sua
Santità che non volesse credere alle parole io havevo dicto, che me
erano state facte dir cum martirii. E cusì me condussero a Roma. Non
ho voluto dire gli stractii e scorni mi furono facti per questo viaggio,
e le parole crudeli diceva Ceccone, el capitano Cigi, e del Duca, e di
me. che me paiano superflue. Non voglio lassar di dire, come de la

morte del cardinale, oltre el male che Dio gli avea mandato, o forsi
che li haveva fatto venire i suoi nemici, che teniva appresso e) cuoco,
m. Francesco e m. Giovanni Battista Ricasoli, secondo me, furono in
buona parte cagione, perchè ogni uno di loro, o per semplicità, o perchè
credessero cusì, o perchè li fosse fatto dire, o per loro malignità, dis-
sono che per haver assagiato de la menestra del cardinale erano ave-
nenati, e dissarlo al Cardinale. Questo fu causa che S. S.'^ e li altri

lo cresono jiiù facilmente, e feciarli li rimedii, quali furono causa de


la sua morte,e loro non li volsaro pigliare; e questo l'ho inteso di
bocha ognuno di loro. Gionti in Roma, incarcerato ai ferri, el dì
d'

seguente cominciamo li desamini. Due o tre volte da capo volsero


sapere a pieno, come le cose erano passate, e in Itri, e per il viaggio.
In queste prime desamine ci intervenne el Governatore, el fischale, e
un notaio vecchio, del quale non so il nome. Di poi una sera me menarno
in Torre de Nona, dove me atacarno alla fune, e me cominciamo a
interrogare. Io li dissi che tutto quello che havevo dicto de haver ave-
nenato el Cardinale era bugia, e che ero innocente, e che a me fa-
cessero quello che li parìa, ma che a m. Carlo, che havevano prigione,
non li facessero dispiacere, che quello avevo dicto di lui era bugia, e
che mai a li suoi dì mi d(i)è lettere de nissuna sorte ; a caso in quel
116 GIULIA GONZAGA

di che '1 Cardinale parti da Roma era venuto da me uno mio lavora-
tore dal Borg-o eh' io li facessi havere dal signor Braccio Baglioni un
potere a lavorio, e me portò lettere de' miei fratelli, e fu visto li in

corte nostra da tutti; e portò ancho lettere al capitan Giovanni. Co-


storo, havendo notizia de costui me cominciarono a interrogare sopra
ciò; de sorte che, vinto dal dolore e tormenti, di nuovo dissi haver

avenenato el Cardinale, et che questo villano me havea portato el ve-


neno, e le lettere, che avea mandato el Signorotto, e mio fratello. Cusi
me posaro a basso, e senza sligarme mei feciono ratificare, e in queste
esamine mutaro notaio. El dì seguente me remandaro in Castello, dove
parlando al nepote del castellano, e a uno suo capellano li dissi che
di novo me havevano fatto dire, che io ero innocentissimo, e che spe-
rava Idio me aiutarla per la iustitia me era fatta, e pregailo che non
facesse intender niente di questo al Governatore, che, senza dirli altro,
trovariano che quello haveva dicto era falso. Costoro feciono intender
subito quanto havevo (detto) al Governatore, qual venne subito, e fe-
cemi confermare quanto avevo detto. El dì venente venne da me el

card. Ghinucci, e dissemi; « el papa manda da te, e seria venuto lui

in persona, se li fussi stato lecito, e hammi dicto ti dica pei- parte


sua, e preghite che questa cosa tu me la conti come la sta, perchè
sa che 1' è vera, ma che la non sta già come tu hai decto. El papa
sa che t' è stato fatto fare, e te ha compassione, et hami dicto che se
tu vogli dire la cosa per ordine a me, eh' io te prometto per parte sua,
e de questo stanne sicuro, che sua Santità non è per mancarte, che
questo non se ricercha per far male a te, che sei di pocha importantia,
ma per cose che importano più; el Papa, te farà uno breve, promet-
tendote che sarai libero in mano di chi vorrai, né dubitare avere ad
essere ingannato eh' el Papa farìa ». « No-
poco acquisto a inganarte
stro signore Idio, a ciò forse per mezo de V. S. se habia a cognoscere
la mia innocentia, ve ci ha mandato; io non sono stato, né ho facto,
né pensai mai fare tristitia tale ». Lui disse « avertisci che li tormenti
cominciano adesso, e quelli te faranno dire quello che non vogli dire
a me, perché il papa ha testiiiionii, inditii, e rescontri de sorte, che
è certissimo che tu l'hai facto ». Io li dissi: « s'io non l'ho facto e
Dio m''aiutarà! Me rispose: « Dio lassa correre alle volte. Tu dici che
non sei stato, ma che lo pòi giustificare che non sei stato, a le tue
parole si ha a credere? De li tormenti non te mancheranno, pensaci
un poco meglio, e resolvite a dirme la cosa a fondo come la sta, che
questo che hai dicto già si vede che non è vero e sono girandole che
tu fai, e se pur tu non sei stato, pensa in che modo tu te puoi giu-
stificare, e non spectare che Dio te liberi per miracolo, aiutati! che
tormenti hai havere, e io che sono vecchio per la iustitia pativa
quattro strappate de corde » Cosi si partì e dissemi: « te dò tempo
CAPITOLO V 11-

doi (li a pensare, che costoro noti te faranno dispiacere. Si te risolverai


a dirmi niente, manda per me che verrò. Cosi al di seguente dimandai
da scrivere e scrissi una i)olizza a S. S.'" ».

Al docuinonto di soi>i'o i-iprodotto dal Fei-nii ('). (luesti

fa seguire le .seguenti osservazioni. « Chi legge attentamente


quella scrittura si convince assai presto che in essa lo

scalco Giovanni Andrea non protesta tanto la sua inno-


cenza quanto la fermezza d' averla saputa difendere fra i

tormenti, che gli furono inflitti. Il sicario prezzolato dal


Duca esagera le pene sofferte ne' molteplici interrogatoi-i
subiti nel castello di Itri per parte del castellano, di Pietro
Strozzi, di Bernardo Salviati alla presenza del Molza e
più tardi a Roma in Tor di Nona per parte del governa-
toi-e della città, e tutto questo perchè il silenzio gli sia

pagato a moneta sonante. Tuttavia confessa che la tortura


gli .strappò di bocca eh' egli era in rapporto col signor

Otto da Montauto, uno del seguito del cardinale e che un


tal Carlo d'Arezzo, prima della malattia del suo padrone,
gli fu più volte latore di lettere per parte di Alessandro
Vitelli. Sceverare il vero dal falso in una deposizione
imprecisa, incerta, spesso contradditoria senza il sussidio

di altridocumenti processuali, sarebbe per lo meno azzar-


dato e poco profittevole. Tuttavia il documento ci dimo.stra
chiaramente più cose che Paolo III. a torto sospettato
:

autore della morte del Cardinale, tentò ogni via di difesa,


corrompendone l' uccisore e promettendogli con un breve
la libertà, purché confessasse il delitto e che dal canto
suo Giovanni Andrea non solo compi 1' opera infame, ma
seppe anche compierla abilmente per non perdere il prezzo
dell'infamia commessa e i maggiori proventi, che si ripro-
metteva dopo le sofferte vicende. »

Giovanni Andrea, dopo pochi giorni, tratto da Castel


Sant' Angelo , fu lasciato in perfetta libertà ed andò a

(') L. A. Ferr.\ri: Lorenzino De' Medici e la società coHegiana del


cinquecento. Milano, Hoepli, 1891.
,

118 GIULIA GONZAGA

Firenze, ove si trattenne senza ricevere alcuna molestia


dal Duca, segretamente da lui favorito e protetto. Indi si

recò a Borgo San Sepolcro, e vi dimorò parecchi mesi. Ma


la notizia del misfatto od il ricordo di altre vecchie
ribalderie, rinfocolato da qualche grave circostanza, ecci-
tarono contro di lui l' ira di tutti e, preso un bel giorno,
fu, come scrive il Varchi, « a furia di popolo vilmente
ucciso. »
Quanto . al Duca Alessandro è noto eh' egli, avendo
saputo che i fuorusciti, per 1' arrivo da Tunisi a Napoli
di Carlo V, si presentavano dall' Imperatore per perorare
la causa della libertà di Firenze , si mosse anche lui

accompagnato da numerosa corte, (la quale faceva vestire


a lutto per la morte di Ippolito ) e seguito Lorenzino
De' Medici, prossimo al Duca per vincoli di sangue, ma
più prossimo ancora per comunione di vita licenziosa e

ribalda. E noto pure che il Duca a Napoli riesci per ,

mezzo del Guicciardini, non solo a far confermare la sue


ragioni su Firenze, ma anche a sposare nel febbraio 1536
Margherita, figlia naturale di Carlo V, tra suntuose feste
celebrate a Castel Capuano, e fiancheggiato sempre da
quel cugino , che già meditava la maniera colla quale
« avrebbe con un suo atto — così si esprimeva — fatto
conoscere d' essere uomo dabbene ! »

E qui lasciamo la descrizione del terribile assassinio


alla penna magistrale del Segni. Ecco come in tutti i più
raccapriccianti particolari lo storico fiorentino ricorda la
fine del Duca di Firenze.

« Era venuto il di 6 di g-ennaio 1536 nella festa dell' apparizione


della stella ai INIagi, chiamata dai volgari 1' Epifania, ed il duca .quel
g-iorno intero aveva consumato in maschera sur un bravo cavallo in
compagnia dell' Unghero suo cameriere. La sera, tornato stracco, s' era
cavato il giaco, ed avendo cenato, si disponeva di andare a dormire,
quando, comparso Lorenzo, con quel viso suo melanconico gli disse :

Signore che vogliam noi fare stasera ? A che il duca rispose : Io mi


voglio andare a posare, perchè io sono stracco. Allora Lorenzo, acco-
standosegli all' orecchio, gli disse non so che di segreto. Rizzossi dopo
CAPITOLO V ll'>

questo il duca, e ritiratosi in camera, si fece mettere il ^;-iaco sopra


il giubbone e, presa la rotella, per la porta del gianlino usci fuori
segretamente dalla chiocciola del verone scoperto. Seguigli dietro Giorno
e r Unghero, e quando furono in sulla via larga ritornati, essendo soli
innanzi egli e Lorenzo, rivoltatosi il duca, senti Giorno e 1' Unghero
che lo seguitavano : ai (inali dicendo che ritornassero, perchè aveva
bisogno d' esser solo, essi con gran dispiacere I' obbedirono in parte,

perchè, ritirati alquanto, e poi tra loro ragionando che era pur bene
seguitare il duca, ed a suo dispetto gli andarono dietro, pensando
eh' egli verso S. Domenico. Ma in quel tempo il Duca
fosse avviato
con Lorenzo era entrato nella casa di detto Lorenzo, contigua col suo
palazzo. E quivi ridottosi in camera, il duca che era stracco, si cavò
di nuovo il giaco e si scinse la spada ed il pugnale e gettossi in sid

letto, e disse a Lorenzo che egli andasse per chi gli aveva ordinato.
Partito che fu Lorenzo di casa, il duca prese il sonno senza alcun
pensiero. Ma Lorenzo in gran fretta andò a trovare Baccio del Taro-
laccino, detto Scoronconcolo per soprannome, allevato loro di casa, che
stava per garzone al sale, persona vile ed artefice, ma valente della
persona : e coli' arme lo condusse in casa segretamente, e quando
saliva le scale, fermatosi disse : Baccio, è ora venuto il tempo di atte-

nermi la promessa tante volte giuratami d' osservare. Io ho in camera


(juel grand' uomo mio nimico che io voglio che tu mi aiuti di ,

ammazzare. Allora Scoronconcolo, rivoltosigli disse Lorenzo padrone, :

andiamue, io non sono per mancarvi. Stette Lorenzo un poco sospeso,


poi disse : Baccio, io voglio dirti la cosa appunto, costui è il duca.
Parve a quel detto che Baccio tutto avvilisse, pure riavutosi disse :

Qui siamo, andiamo via, se fosse il diavolo Entrò il primo Lorenzo !

in camera, dove aveva il duca serrato a chiave, pure con sua voglia,
ed accostossi al letto dicendo : Signore è tempo a star desto. Quando
il duca a quel suono risvegliatosi, si sentì trafitto innanzi da una
pugnalata che s' accorgesse bene d' esser desto, ma rizzatosi e gri-

dando Ah traditore prese un dito a Lorenzo colla bocca, che di già


: !

gli aveva dato un' altra ferita, ma nessuna mortale. Ebbe spazio il duca
così ferito a rizzarsi ed uscire dal letto, perchè era molto gagliardo, ed
appiccatosi con Lorenzo, benché senz' arme, perchè se n' era spogliato,
faceva brava difesa e, veggendo Scoronconcolo, se gli raccomandava
:

e prometteva cose grandi. Ma Scoronconcolo, volendo osservare la

fede, poiché vide Lorenzo che da per so non poteva finir 1' opera e che
r udì chiamare aiuto, accostatosi con un coltello, passò la gola al duca,
che cosi scannato cadde in terra e disperatamente finì la vita. »
.

VI

Il Corsaro Barbarossa - Tentativo di ratto

Principali corsari - I fratelli Ariigi e Khair Fjì<ìuà Barbarossa - Sbarco


de' corsari a Sperloiiga e presa di Fondi - Fuga di (rmlia - Inter-
vento armato del Cardinale de' Medici - Lamenti di poeti sulV avve-
nimento e testimonianze di storici - Un a fresco ed un quadro su
quel fatto - La sjjedizionc di Tunisi ii> '''"'o V- Ti'rr,ix>i:inn<> rnn-
rhiusa tra G-iulia ed Isabella Colonn '

Tra' corsari che infestavano il Mediterraneo grandis-


simo grido aveva levato il nome di Ariadeno Barbarossa,
il quale per arditezza e potenza di mezzi d'assai superava
i suoi predecessori di pirateria. Il Giovio ce lo descrive
l'anno successivo all'avvenimento del presente capitolo,
dicendoci : « è uomo di 60 anni, di persona quadrata e
nervosa: ha le ciglia pelose e grosse; è savio e riso-
luto ». (')

A quattro a quattro, osserva il Guglielmotti, ci com-


paiono i principali archimandriti della pirateria. I corifei
della prima quadriglia sono Carnali, principe di Santa-
maura, impiccato al suo posto; Gaddalì, gran capitano di

Tunisi, messo in catena alla Pianosa e non più riscosso ;

Curtogoli, signore di Diserta, ammiraglio di Solimano e

(1) Lettere volgari di Mons. Paolo Giovio, raccolte da L. Dome-


niclii. Venezia, Sessa, 1560, pag. 79.
122 GIULIA GONZAGA

principe di Rodi, caduto decrepito nell'isola e il quarto


Carrà Maometto, vice ammiraglio ottomano contro i gero-
solimitani, sbranato da una palla di cannone durante 1' as-
sedio. Seconda quadriglia di maggior comparsa, in aria di
superare i maestri, il Moro, il Giudeo (dagli arabi chiamato
Sinàm e da' turchi Ciefut), Cacciadiavoli e Barbarossa.
Quelli della terza Morèt, Draquet, Scirocco e Lucciali.
I fratelli Arugi e Khair-Eddyn Barbarossa, da bravi
maomettani, cominciarono a farsi un nome, catturando un
giorno due galee pontificie. Per un certo tempo servirono il

sultano Afside di Tunisi. Ma morto Arugi, Khair-Eddyn,


che d' ora in avanti chiamerò semplicemente Barbarossa,
tentò di conquistare Algeri e vi riesci, uccidendone il

bey. Per assicurare il dominio d' Algeri, pose questa città


sotto la sovranità della Porta. Selim I, nominandolo viceré,

gli spedi 2000 giannizzeri. Egli audacemente occupò la


fortezza costruita dagli spagnuoli presso xVlgeri e vi fé

erigere un molo per creare un nuovo porto, adibendo


30,000 cristiani al lavoro. Condottolo a termine in due o
tre anni, egli fu in grado di dar la caccia a tutti i vascelli
mercantili, che navigavano presso la costa della Barberia.
Sbarcato in Andalusia, aveva catturati settantamila more-
schi, oppressi dalla Spagna. Solimano lo credette capace,
il solo capace da contrapporre al Boria e perciò lo creò
ammiraglio delle sue flotte. Barbarossa gli fece omaggio
e gli offrì la conquista di Tunisi cacciandone Mule^'-Mas-
sam. Si pose in mare nel 1534 colla formidabile flotta di

80 galee, e si dice che promettesse anche a Solimano di


devastare non solo le coste d' Italia, ma di off"rirgli un
dono molto gradito, arricchendo il serraglio del suo padrone
colla cattura della dama italiana, maggiormente celebrata
per bellezza, Giulia Gonzaga! Non è improbabile la pro-
messa; era fatta da quel Barbarossa, che morendo pochi
anni dopo, nel 1546, lasciava al signore « ottocento schiavi,
a Rustem bascià duecento schiavi e diecimila zecchini:
tutti gli altri schiavi da' 15 anni in su posti in libertà;
CAPITOLO VI 123

trentamila zecchini da erogare alla labbfica d'una moschea;


diecimila zecchini a Mustata suo signore ».

Del resto si giunse fino a supporre che Solimano II

ordinasse a Barbai'ossa di recarsi espressamente in Italia


per tentare il ratto deUa decantata principessa: cosi volle

ricordare il Paterno nel suo Trionfo (lolla castità:

Giulia, più che mortai cosa divina,


Credasi cagion fu che Solimano
Mandasse a depredar nostra marina.

Verso la line di luglio di (jaeir anno 1~ì'M Barbarossa


raggiunse il faro di ^lessina ove diede fuoco ad alcune
navi. Approdato in Calabria, saccheggiò San Lucido, pas-
sando tutti a fiì di spada. Bruciò il Cetraro de' monaci
cassinensi con sette galee, che vi avea fatto costruire il

Toledo, viceré di Napoli; passò in vista di Napoli ecci-


tando infinito terrore e, proseguendo, sbarcò a Procida,
portando la completa desolazione in (jucll' isola. Ma que-
sto Attila marittimo non aveva freno nella sua corsa impe-
tuosa, edopo poche ore fu a Sperlonga. Vi uccise il
comandante del forte e ammazzò la maggior parte degli
abitanti. Egli si trovava presso all' agognata preda. Fondi
non distava da Sperlonga che pochi chilometri; lì stava
Giulia Gonzaga, ed anelante di impossessarsene, di not-
tetempo, facendosi accompagnare attraverso il bosco da
un traditore di Sperlonga, sul far dell' alba del dì 6 ago-
sto raggiungeva la via Appia. Poiché nessun sospetto era
sorto del suo avvicinarsi ed i ponti levatoi erano calati,

Barbarossa, per la porta esposta a Levante, penetrò in

città. Altri invece, e tra essi il Giovio, dicono che Bar-


barossa ruppe violentemente le porte. 11 podestà di Fondi,
certo Steccacelo, non ebbe animo di tentare alcuna resi-

stenza; anzi, preso da panico, si diede alla fuga. Potè


anche porsi in salvo il vescovo Giacomo Pellegrino. Ma la

maggior parte degli abitanti, sorpresa all'impensata, restò


vittima della crudeltà e della ingordigia degli invasori. Il
124 GIULIA GONZAGA

fuoco devastava gli edifizi le persone, che dai corsari


;

erano risparmiate, venivano a mano a mano legate e tra-


sportate a Sperlonga per esservi imbarcate come schiavi.
La chiesa cattedrale di S. Pietro, ricca di memorie
patrie, non potè sfuggire alla profanazione ed all'avi-
dità de' saccheggiatori. Le tombe furono scoperchiate, le

ceneri disperse: così è a deplorare che si perdessero gli

avanzi di due insigni capitani ivi sepolti. Prospero e Mar-


cantonio Colonna ! Un fido servo di Giulia, quando i pirati

erano già penetrati nel palazzo e correvano alle sue


stanze, potè avvertire del pericolo la principessa la quale,
balzata dal letto, ignuda, si avvicinò, dicono, ad una fine-

stra, e lanciandosi nel sottostante giardino, incolume nella


caduta, prese la fuga. Ma è più probabile che da una
finestra essa potesse calarsi sul ponte levatoio per tra-
ghettare dal palazzo baronale al maschio del castello e
di li darsi alla campagna. Barbarossa sospettò che la sfug-
gita preda potesse essersi nascosta in un monastero di

monache, distante un paio di ^chilometri dal paese, sopra


una collina a cavaliere della strada Appia Nuova, la quale
da Fondi porta a Napoli. Immediatamente i pirati corsero
a quel tranquillo asilo, ove teneva stanza una ventina
di monache benedettine, la maggior parte giovanissime.
Nessuna traccia della principessa : le monache furono vio-
late ed uccise; il monastero, che sorgeva sulle rovine di
un tempio pagano e su un fondo, che si crede apparte-
nesse al dottissimo Varrone e che anzi costituisse una

....(') anno 4334 civìbus omnibus, qnì ibi tum reperiebantur in

captivitafem abductis et parum abfuii quin hoc repentino assaltu pariter


capta fuisset Bilia G-onzaga, uxor Vespasiani, flUi Prosperi Colonnae: sed
illa tempestive subdiicta per avia et invia fugens speni hostiuin elnsit.

Turcae, preda desperata, furorem suum converterunt in sepiilchrum Pro-


speri et Marci Anton/i e Coìonncnsiuui familia, ducum celeberriniorum:
una cum tempio, ubi ossa eonmi condenbantur, oblataomni pretiosa supel-
lectile, urbeque vastata.discesserunt. ( Kirclicr Atlianasius : Latiiim, Amster-
dam, Ioannes lansonius, IG7I, p. S7J. ^
CAPITOLO VI 125

sua villa, fu dato alle tìanime. Pochi anni addiuti'o, laciMido


fare 11 presso degli scavi, trovai varii teseli i che proba-
bilmente dovevano appartenere allo vittime.
Dove si nascose Giulia Gonzaga? Da qualche tradizione
raccolta sul luogo si deduce che siasi recata nel villaggio
di Cami)odimeIe, suo feudo, posto su alta montagna e inuniia
di buona fortezza, .\lcuni rileiigono che abbia potuto tro-
vare scampo in Vallecorsa, altro feudo di lei. lo inclinerei
per quest' ultima ipotesi, anche perchè ho trovata più
radicata la credenza nelle tradizioni locali. Ma (jui non
si fermano gli scrittori : p. e. il Brantome — al solito
bene informato, come in genere gli stranieri, delle cose
nostre! — fa capitare la Gonzaga tra le mani di banditi,
che ne fanno scempio. Non saprei davvero trovare il più
lontano fondamento d' una affermazione (^) la quale non
fu raccolta da alcun scrittore, o cronista del tempo, e
che anzi ha contro di sé la feroce leggenda che Giulia
facesse ammazzare il servitore che 1' aveva scorta ignuda
balzare dal letto all' avvicinarsi de' turchi ! Lo scrupolo
sarebbe stato veramente eccessivo, se fosse incolto alla
principessa il guaio tanto maggiore, narrato, dovrei dire,
imaginato dal galante abate. Filocolo Alicarnasseo ce la
fa vagare, accompagnata da un vecchio servo e da du&
donzelle, per i boschi « cibandosi di sorbe silvestri, mirti
ed altre vivande di animali bruti ». .Vnzi fa vagare . . .

neir imbarazzo anche il suo futuro liberatore, il Card. Ippo-


lito De' Medici, che per scovarla ne va a caccia come
d' un cinghiale, e scopertala infatti nascosta in un antro,
insieme col seguito, « la consola, recrea con cibi costu-
mati e fa montare in sella, e accompagnarla insino a
Fondi », chiedendo, per compenso del servigio reso, che
abbandonasse il lutto, già troppo lungamente durato!

(^) IlMuratori negli Annali, a. 1534: « che Giulia cadesse, fug-


gendo, in mano de' banditi, fu una frangia fatta dagli scioperati maligni
a questo avvenimento ».
126 GIULIA GONZAGA

Il l'atto drammatico eccitò sdegno e compassione.


Parecchi scrissero versi pel triste episodio. Muzio Giusti-
nopolitano dedicò « a Monsignor Hyppolito Card, de' Me-
dici per la fuga della Signora Giulia Gonzaga alla venuta
di Barbarossa » una sua egloga, col titolo : la Xinfa fug-
gitiva. Ecco alcuni versi :

In questi umili accenti


\'iene ardita a cantar nostra zampogna
Il periglio, la fuga e lo spavento
D' un' altra ninfa, i cui dolci vestigi
vS' avesse seguitato un altro Alfeo
Fra noi s' avrebbe una nova Aretusa.
Fuggìa da fiere man di genti ladre

Che venute di là dal gelid' Istro


Solcando 1' alto mar, traliendo prede
E svenando pastor, gregge et armenti,

Vaghi di riportarne eterni pregi

A barbarichi lidi, al bel Petruolo


Corsi eran per spogliar le nostre rive
Del primo onor: fuggìa la bella Ninfa
Che splende di beltà fra 1' altre belle,

Qual fra i lumi minor la bianca Luna.


.... Addolorata e sola
Fuggia, sparse le chiome a 1' aura, e ignudo
Il santissimo petto e scinta e scalza
Le molli piante per 1' oscura notte
Per duri sterpi e per deserti monti
Sospinta da timor, da gelosia
Di vita no, di libertà e d' onore.
Et ne fan fede i rivi, i balzi e i tronchi
Che con voci di duol languide e fioche
Tornò più volte a dir, fra queste rupi
E' sia meglio 11 morir, che stando in vita
Sbramar la rabbia d' affamati cani.
O qual era a sentir il pianto amaro,
Qual il dolor, de gli angosciosi guai!
Per te dunque, dicea, forma infelice,

Caduco fior, per te 1' eterno frutto

Di mia onestà vedrò caduto e sparso

Fracido in terra a le più sporche belve?


Tu col tuo van piacer prima cagione
CAIMTOLO VI 127

Se' de' miei mali: tu il nimico stuolo


Mi tiri appresso : tu nel gran periglio
Di servitù m'hai posta e di vergogna!

O quante volte al tremolar de 1' ora


Fra le tenere frondi o al suon d' un sterpo
Mosso da lei col teneretto piede
Tutta di freddo orror si ricoverse,

Parendole sentir i>er le sue orme


Il romor de' seguenti : e i)iii dappresso
Farlesi d' or in or ; e già alle spalle
Aver la turba e rimaner cattiva.

Ninfo ove fuggi? e perchè '1 dolce viso


Guasti col pianto ? Vuoisi aver più cara
Tanta beltà, per lo cui chiaro grido
Vengono amiche a te 1' armate squadre,
Che tu fuggi nemica. 11 santo amore
A te r ha porte con 1' aurate penne,
Amor, perchè ti faccia il gran Tiramo
Tra le reine sue prima Reina. {^)

Bai-barossa cercò di sorprendere Itri, a breve distanza


da Fondi. Ma gli Itrani, prevenuti a tempo, si difesero
virilmente ed obbligarono i nemici a retrocedere. Il fiero
corsaro spediva pure grosse schiere nel territorio ponti-
fìcio ; esse penetrarono senza resistenza in Terracina, sog-
getta appunto allo stato pontificio, saccheggiarono la città
ed uccisero molti cittadini. Il vescovo Alessandro Argoli
potè porsi in salvo.
Queste notizie, giunte a Roma, empirono di spavento
la corte pontificia. Il Papa, Clemente VII, colpito da indo-
mabile malattia, era presso agli estremi: i cardinali si

quotarono anche personalmente e assoldarono cinque o


seimila uomini, affidandone il comando al Cardinale Ippolito
De' Medici. Questi si recò con grandissima sollecitudine a
Terracina, ed a Fondi: i Turchi, non sentendosi sicuri

(^) Muzio GiusTiNopoLiTANO, Egloghe, Venezia 1550, libro V,


pag. 125.
128 GIULIA GONZAGA

all' avvicinarsi del valente capitano, retrocessero a Sper-


longa e partirono colle loro navi. (') Liberato il territorio
da que' masnadieri, Ippolito De' Medici riconsegnò le chiavi
della città a Giulia Gonzaga.
Poiché a taluno sembrò esagerazione una spedizione
a Fondi del corsaro Barbarossa col fine appunto di rapire
Giulia Gonzaga, giova avvertire che gli scrittori contem-
poranei posteriori hanno invece affermato e confermato
largamente lo scopo della spedizione. Gregorio Rosso

(^) Nel 1888 in fondo alla marina di Sperlonga tra Fondi e Gaeta
vennero trovate cinque Lombardelle, delle quali il sig. Edmondo Web
quattro inviò a Parigi ed una donò al Museo Campano. Il sig. Giu-
seppe Novi, invitato ad esprimere il suo avviso, scrisse : « questo rin-
venimento fa supporre che quelle artiglierie o fossero state adoperate
in qualche torre difensiva del littorale la quale fosse stata adeguata
al suolo in qualche fazione di guerra, oppure che fossero appartenute
a qualche galea, distrutta in battaglia navale o conquassata dall' im-
peto de' marosi. » Ed esposte le dimensioni del diametro del vivo della
volata, del risalto dell' anello, della lunghezza degli orecchioni, dello
spessore della braga, del diametro interno della forcella, conchiuse:
« la bombardella campana ha un utUe riscontro in quella di Marsala
ed è da ritenere come uno de' pochi esempi di bocche da fuoco a
braga ed a forcella, che sieno scampate in Italia dalla edace opera del
tempo. Essa appartiene ad im' età, in cui le artiglierie, acquistando
pregio ed efficacia, rovesciarono 1' ordinamento politico della società ».

Ed il sig. Cataldo lannelli osservò che « 1' occasione del seppellimento


di que' sei pezzi d' artiglieria proprio nelle acque di Sperlonga sarà
stato facilmente per uno de' conflitti, avvenuti o per mare o per terra
nel 1534 col famoso Barbarossa, il quale, dopo avere abbruciato e sac-
cheggiato non poche terre, assaltò poi e prese appunto Sperlonga,
dove gli storici dicono che, ponendo il tutto a rovina, facesse schiavi
più di mille, non lasciandovi altri che il castellano con la famiglia,
che se gli erano resi. E fu forse allora che, restando smantellate le

mura della fortezza, vennero anche a precipitare sul mare i pezzi di

difesa ». Cfr. il Bollettino della Commissione conservatrice de' monu-


menti ed oggetti di antichità e belle arti, tornata 8 ottobre 1888.

Sperlonga, come fu detto più innanzi, corrisponde all' antica Spe-


luìtca romana, così chiamata dalla splendida spelonca, convertita in
uso di palazzo imperiale da Tiberio.
CAPITOLO VI 129

{Istorie, p, 103) scrisse in proposito: « Barbarossa a' 7


agosto 1534, passando a vista di Napoli, con più paura
che danno della città, mise gente in terra all'isola di
Precida, saccheggiò quella terra, né contento di (juesto
assaltò all'improvviso Sperlonga, dove dicono tacesse
schiavi più di mille persone: mandò gente per infino a
Fondi per pigliare Donna Giulia Gonzaga, per presentarla
allo Gran Turco, che la desiderava per la gran fama della
sua bellezza. Fondi fu saccheggiata e Donna Giulia appena
ebbe tempo di salvarsi quella notte sopra un cavallo in

camicia, come se trovava ».


Il Summonte: « lìarbarossa, passato a' 7 luglio del-
l'anno predetto (1534) in Napoli, prese Procida, ove fece
gran danni e venutone a Gaeta, senza molestarla, ne passò
in Sperlonga, la quale prese e rovinò, non lasciandovi
altra persona che il castellano colla sua famiglia, che gli

si era reso : e avendo Barbarossa udito che nella città di


Fondi vi era la famosissima Giulia Gonzaga, figlia di Lu-
dovico, signore di Bozzolo, bellissima donna, moglie se-
conda di Vespasiano, figliuolo di Prospei'O Colonna, signore
di quella città, tosto vi mandò segretamente a prenderla
per volerla donare a Solimano ; ma tanto furono i turchi
volenterosi ad assalirla che avendo Ella inteso il rumore,
se ne fuggi mezzo ignuda, e montala su una giumenta si

salvò : il barbaro, vistosi defraudato nel suo desiderio, pose


a rovina ed a sacco Fondi con tutta quella riviera fino a
Terracina (') ».

Il Sansovino: «l'anno 1534 Barbarossa scorrendo con


l'armata per questi grossi mari, diede (a Fondi) un gran
sacco. E poco mancò non vi fosse presa la bellissima e
famosissima Giulia Gonzaga, moglie di Vespasiano, per-
ciocché si dice che questo Barbarossa, avendo inteso della
sua bellezza, mandò segretamente a prenderla per donarla

(')Summonte, dell' istoria della città e regno di Napoli. Napoli,


1675, tomo 4.°, pag-. 146.

9
130 GIULIA GONZAGA

a Solimano ma Ella si fuggi mezzo ignuda, tanto turchi


; i

furono presti ad assalirla ma montata sopra una giumenta


;

si salvò (') ».

Il Segni : « Ariadeno con 80 galee del Signore, oltre


alle sue in Ponente, passato dentro alla stretto, pose in

terra ne' liti italiani, vicino a Fondi, la prese senza con-


trasto e messala a fuoco quasi vi fu per pigliarne madama
Giulia Gonzaga, nuora del sig. Prospero Colonna, bellis-

sima giovane che in camicia appena campò dal pericolo () ».

E, senza aggiungere ulteriori citazioni, finirò solo col


riprodurre un brano di documento inedito , riscontrato
nella Bibl. Estense.

Il Barbarossa è smontato et venuto a Fondi et si pensa... la

S.'"'' Donna Giulia, la quale, da questi che vengono reputati... si tiene

bellissima de le belle, et essere ora vicina al summo... duo terzi che


non era quando fu a Ferrara, et non la potendo... donarla al Turco,
che scapò a un cavalo a una rocchetta... lontana. Quelle genti del
Barbarossa hanno distrutto et arso Fondi {^).

Il fatto memorabile si volle anche perpetuato col


pennello. Un magnifico alffresco, che riproduceva l'incendio
di Fondi e la fuga di Giulia Gonzaga, si ammirava fino a
pochi anni addietro nella parete a sinistra della chiesa di
S. Bartolomeo, fuori della così àettà jjorta Roma. Disgra-
ziatamente quella chiesa, tolta al culto, fu affittata per
uso di pagliaio, e da un incendio fu distrutta. Ho ancora
presente quel pregevole affresco, che spesso mi recava a
vedere per ridestare la memoria d'un fatto sì triste e
drammatico. Il pittore Paolo Catalano, morto tre o quattro
anni addietro, inviò nel 1877 all'esposizione di Napoli
un quadro, rappresentante appunto l'avvenimento. Uno

(^) Sansovino. Ritratto delle fiù ììohili e famose città d'Italia. Ve-
nezia, 1555, pag. 31.
(2) Segni. -S';^, fiorentina. Milano, 1805, voi. 2.", pag. 36.
(3) Lettera da Roma 10 agosto 1534 di Francesco Saraceno ad
Ercole d'Este (Arch. Stato di Modena, Cancelleria Ducale, dispacci
degli oratori estensi a Roma).
CAPITOLO VI l:il

scrittore di cose d' arie cosi ricordò quel lavoro : « il

Catalano ha scelto il momento della tuga. Il (juadro è


rischiarato da una doppia luce debolissima: un'aura di
luce, che entra dalla finestra, perchè l'artista suppone che
lampeggi, e la luce d'un cero caduto per terra e che con-
tinua ad ardere sul pavimento. Avete così il mistero sparso
su tutta la scena ed avete la scena; non è luce e non è
buio, 0, come diceva Dante, non è nero ancora e il bianco
muore. I colori vedono ancora; ma semispenti: si vede
si

l'insieme della camera e se ne distingue la tappezzeria


e il letto in fondo e le coltri e le seggiole ed il tavolo ed
il candelliere e in tutto un senso di cinquecento e una
quiete, che fanno applaudire all'artista. — Giulia è in
piedi, mezzo nuda
mezzo involta in un drappo turchino,
e
il cui rivolto rosso ha una nota di colore assai felice.
Essa è vaga di forme: ma d'una vaghezza, che chiamerei
asciutta, che, cioè, nulla ha di voluttuoso e questa bel- :

lezza risponde al tipo, eh' è rimasto della duchessa nella


storia. Guarda spaventata verso l'uscio, donde teme che
vengano gli assalitori : guarda incerta ancora se fosse pro-
prio necessario affidarsi alle braccia del suo famigliare.
E questi è dietro a lei. fra il supplichevole ed il fretto-
loso, accennando il luogo di scampo, affrettando col gesto
la fuga ».

Il pericolo corso eccitò gli animi tutti a provvedere


perchè in futuro non si rinnovasse. Il caso di Giulia, scrive
il Fiorentino, levò gran romore e fu tra' motivi che in-

dusse Carlo V alla spedizione di Tunisi, o almeno si cantò


cosi dal poeta Geronimo Borgia in un'ode che dedicò a
Giulia il 7 agosto dell'anno appresso:

. . . . o felix nimia columba , in-iuria cuius


Alitem iiltorem meruit tonantis.

Ed il Giannone osserva che appunto in seguito a


quell'avvenimento e pochi giorni dopo, cioè il 20 di agosto,
i napoletani, adunati in pubblico parlamento, fecero un
132 GIULIA GONZAGA

altro donativo a Carlo V di 250,000 ducati, pagandone


cinquantamila i baroni, e duecentomila i regnicoli, pur che
avesse cercato di snidare la fiera dal suo nido. E subito
giunse la risposta favorevole del Monarca.
Intanto Barbarossa sbarcava all'improvviso con otto-
mila turchi a Tunisi e vi scacciava Muley-Hassan , vente-
simosecondo sultano afside, e cominciava a fortificarla po-
tentemente; in breve vi raccolse 18 galee con 100 bocche
da fuoco, ventimila cavalieri mori e fanteria moltissima.
Decisa da Carlo V la spedizione contro Tunisi , a
Napoli per tutto quell'inverno non si attese ad altro che
a questi apparecchi. Il Toledo fabbricò una galea a sue
spese per dar l'esempio agli altri e fu imitato da molti.
Il principe di Salerno, il principe di Bisignano, il duca di

Castrovillari, duca di Nocera, il marchese di Castelve-


il

tere e l'Alarcone, marchese della Valle, a loro spese fe-


cero lo stesso. Ed entrato il nuovo anno 1535, il marchese
del A'asto, ch'era andato a Genova per abboccarsi, d'ordine
dell'Imperatore, col principe Doria, tornò a Napoli con
molte galee e grosse navi e molta gente. Il papa concorse,
affidando a Virginio Orsino il comando di 22 galee: esse
giunsero nel mese di maggio nel porto di Napoli. Sopra
queste navi fu imbarcata molta gente : il viceré Toledo
vi mandò due suoi figliuoli, D. Federico e D. Garzia : vi

salirono il marchese del Vasto, il principe di Salerno,


D. Antonio d'Aragona, figliuolo del duca di Montalto, il

marchese di Laino, i marchesi di Vico e di Quaranta, i

conti di Popoli, di Novellerà, di Sarno e d'Aversa, Sci-


pione Caraffa, fratello del principe di Stigliano, D. Diego
di Cardenas, fratello del marchese di Laino, Cesare Ber-
lingiero, Baldasarre Caracciolo, Biase di Somma, Cola
Toraldo, Costanzo di Costanzo ed altri. Partirono a' 17
maggio 1535 alla volta di Palermo, dove raccolte altre
navi e genti si ancorarono a Cagliari. Sopraggiunse in
questa città l'imperatore agli 11 di giugno, con le galee
di Andrea Doria e di D. Alvaro di Bazan, generale della
CAPITOLO W 133

squadra di Spagna: a' 13 del medesimo mese lece vela


tutta l'armata numerosissima di '.)(){) vele da Cagliari alla
volta d'Africa, dove con prospero vento giunse in tre
giorni.
Presa terra a Porto Farina, l'imperatore diede il

bastone di maresciallo al marchese del Vasto, con ordine


che tutti l'ubbidissero ('). Investita la Goletta, ed occu-
pato l'arsenale, furono prese le navi ancorate. Venne al-

lora adoperata, nota uno storico, la maggior nave di guerra,


che ancor si vedesse, la quale portava trecentosessanta
pezzi di bronzo, seicento fucilieri, quattrocento soldati di
rotella e spada e trecento artiglieri, oltre la ciurma. A
prora aveva una sega per rompere l'enorme catena, che
chiudeva il porto. Rotta questa v'entrò e la quantità di
proietti, che avventò, fece che il nome di S. Giovanni
Battista gli fosse cambiato in quello di Buttafuoco. Nella
lotta si distinse il principe di Salerno, generale della fan-
teria italiana ; ed i napoletani si condussero con molto
coraggio. De' principali vi lasciarono la vita il conte di
Sarno, Cesare Berlingiero, il conte d'Anversa, Baldassarre
Caracciolo, Costanzo di Costanzo ed Ottavio Monaca. Bar-
barossa, ritirandosi verso Tunisi con cinquantamila uomini,
ebbe il pensiero di ammazzare diecimila cristiani, che
ivi risiedevano; ma poi lo depose e dovette presto pen-
tirsene; perchè essi si sollevarono e rivolsero le armi
della città contro il corsaro. Egli, trovatosi tra due fuochi,
completamente battuto, riesci a gran stento a rifugiarsi
in Bona. Le soldatesche entravano così a Tunisi ucci-
dendo trentamila uomini e facendo diecimila schiavi.
Giulia, come è facile supporre, teneva dietro a questi
avvenimenti con grande interesse ; anzi aveva incaricato
persone di inviarle dal campo notizie particolareggiate.
In una preziosa miscellanea, conservata in Roma nella
Biblioteca Vallicellana, o, come altri dicono impropria-

(^) GlANNONE. Op. Cit.


134 GIULIA GONZAGA

mente, Vallicelliana, ho trovato « copia d'una lettera man-


data da Tunisi al molto magnifico m. Sebastiano Gandolfo...
contenente tutte le scaramuccie fatte alla Goletta et la
morte di Christiani et morti », Oltre a questa relazione,
diretta all'antico segretario di Giulia, se ne legge un'altra
alla stessa Giulia, scritta da Tunisi il 7 agosto 1535 da
Francesco Miranda, cancelliere del principe di Sulmona.
Ecco il titolo preciso. « Copia d' una lettera diretta alla
Illustriss. Sign. Giulia Gonzaga Colonna, in la quale si

contiene — : la presa della Goletta con tutte le sue par-


ticolarità; — la presa et sacco di Tunisi con tutte le sue
particolarità, eseguiti dalla Cesarea Maestà; — modo e
ordine di S. M. in accamparsi a Tunisi; — parlamento di
notte in Tunisi fatto da Barbarossa alli arabi mori Jan-
nizzari et christiani rinegati; — christiani schiavi 18 mila
liberati per ordine della Cesarea Maestà: — entrata di
S. M. in Tunisi et fuga di Barbarossa; — preci de' mori
allo impei'atore e al re di Tunisi per salvatione loro ;

offerta del re di Tunisi a Cesare per salvar Tunisi; nu-
mero di monete d'oro trovate in Tunisi per ordine d'un
christiano rinegato et concesse da S. M. al Sig. Marchese
del Vasto; — promissione delli arabi et mori all'Impera-
tore et al Re della presa o morte di Barbarossa ».

La contessa di Fondi era vendicata appieno delle


traversie subite per opera del famoso corsaro! Quando
Carlo V, il 25 novembre 1535, entrava trionfante in Na-
poli, si volle fare il confronto della presente vittoria colle
passate vicende di Giulia; ed un poeta pensò di ricordarlo
anche con questi versi dedicati alla Gonzaga :

Africa ex vieta tuus ecce vindex


lam redit Victor: dedit ac refracta
Classe quot poenas meruit perustum
Barbarus orbem.
Nuper elapsa, ah salebras per alias
Atque per dumos pedibus tenellis,
Praedo cum Fundos lacerarci, atque
Cecuba rara.
CAPITOLO VI lo5

Giulia, pochi giorni appresso, nello stesso anno 1535,


si aflVettava di recaisi a Napoli non solo per vedervi il
,

suo vendicatore, ma per cattivarsene l'animo di fronte


a domestici nemici, pei* farsi cioè liberare dalle lotte di
interessi, sollevate dalla figliastra Isabella, alle quali era
successa solo una breve tregua per effetto di una tran-
sazione, conchiusa poco prima in Fondi.
Sono in grado di dare notizia esatta di (juesta tran-
sazione, riproducendo un documento ancora inedito cioè ,

la « copia di una conventione fra Donna lulia Gonzaga et


Donna Isabella Colonna (') ».

Io Isabella Colonna prometto per questa mia pagare alla S.""*

Donna lulia per il suo vivere duomilia et cinquecento ducati di mo-


neta di Regno da pagare 3.° per 3." incominciando da questo di sot-
toscritto di maggio seremo accordate, et tutto questo sia
ttn che
senza preiuditio de mie ragioni et in fede di quanto di sopra si
le

contiene bo fatta fare la presente quale ho sottoscritta di mia mano


et fatta sigillare del mio sigillo. Data in Fondi alli 24 di maggio 1535.

Io fo fede con questa mia come io lulia di Gonzaga Colonna mi


contento di pigliare per il viver mio da la S.""* Donna Isabella Colonna
duomilia et cinquecento ducati l' anno da pagarmesi terzo per terzo
cominciando da questo di maggio fin che saremo accordate, et non

procederò ad altro termine di iiistitia tinche la detta S.""^ torni di

abriizzo che . s' intenderà per tutto settembre prossimo che viene et
tutto sia senza preiuditio de le mie ragioni, et che si possa trattare
lo accordo fra detta S,""^ et me. Data in Fondi.

(^) Arch. St. di Modena, Cane. Due. Carteggi e doc. particolari


Colonna.
VII

Ritratti (li Giulia

Un anacronismo dell' Afo sul ritratto eseguito da Sebastiano dal Piom'jo


- Elogi del Molza e del Porrino su questo lavoro - Dipinti ora
conservati, che rappresentano Giulia - Ritratto inserito nel presente
lavoro e ragioni della scelta - Ricordi dpi rìtrnffr, tir] Tiziano - Tori-
sioni varie di Giulia.

Intorno a' ritratti di Giulia, o meglio sul ritratto

dovuto al pennello di Sebastiano dal Piombo, si è creata

una piccola letteratura. Spero quindi non riescirà discaro


a' lettori che consacri un capitolo su questo soggetto.

L'Affò dice che Giulia: « gratissima al Card. Ippo-


lito de' Medici, che aveva liberato Fondi da' turchi, negar
non gli seppe l' innocente conforto di poter avere il suo
ritratto, il perchè ritornato il Medici a Roma, spedi a
Fondi, accompagnato da quattro cavalli leggieri, il celebre
fra' Sebastiano dal Piombo ».

Premetto che nell' affermazione dell' Affò si riscontra


un anacronismo, poiché l' invasione de' Corsari, come si è
visto, risale all' anno 1534, ed il ritratto fu fatto nel 1532,
come ci viene provato da un recente caldeggio di Seba-
stiano dal Piombo (Les correspondants de Michel-Ange :
Sebastiano dal Piombo. Paris, librairie de l'Art, 1890,
138 GIULIA GONZAGA

pag. 97). In una lettera in data 8 giugno 1532 scrive


Sebastiano :

Credo domani partinni ed andare insino a Fondi a retrarre una


«

seniora e credo starò 1 5 zorni


; no mende mi scriviate ne' ancora
:

mi mandate cosa alcuna insino alla tornata mia, perchè si potrebbe


smarrire ogni cosa et subito tornato, se a Dio piacerà, vi scriverò et
darò avviso di tutto ».

E con
altra lettera del 15 luglio 1532: « tornato da
Fondi ho trovato morto il nostro povero Benvenuto ».
io

(Benvenuto dalla Volpaia, celebre orologiaro).


Il viaggio dell' insigne artista a Fondi e l' oggetto
del viaggio destarono subito un vivo interesse tra' letterati
e poi eccitarono l'estro e l'ingegno di poeti e di prosatori
per lodare 1' opera compiuta. Negli scritti del Molza tro-
viamo una lettera che costui, a questo proposito, dirigeva
al Porrino, segretario di Giulia.

« Non è r ultimo il desiderio che io ho di vedere il ritratto, il

quale credo che a qiiest' ora debbia essere finito : pure se g-iung-esse
a tempo questo mio avviso, dite a fra Sebastiano che io penso che se
egli lo riduce al naturale, cioè che non gli facesse il viso maggiore
del vero, eh' io credo fermamente che gli saria venuto colto con manco
fatica assai : pur io mi ricordo del precetto sudor ne ultra crepidaiii.
:

lo ho fatto qua la cosa molto dubbiosa, acciocché la gloria sia mag-


giore. Di grazia ponete ogni cura perchè la nostra Illustrissima Signora
Donna Giulia non dia risposta all' Umore, perciò che egli non meriti
un tanto favore «.

Il Vasari, nella vita di Sebastiano, dice : « in termine


d' un mese fece quel ritratto,- il quale venendo dalle cele-
sti bellezze di quella signora e da così dotta mano, riesci
una pittura divina ». E questa ispirò le « elegantissime
stanze » del Molza, il quale giustamente osservava che
certe qualità morali sfuggono al pennello d'un artista,
per quanto valente:

« Non vengono in color, perch' altri il pensi


Così cortesi ed onorati sensi ».
CAPITOLO VII 139

E, rivolgendosi a Sebastiano, cantava:


Tu che lo stil cou luirnbil cara
Pareggi col martello ; e la grandezza,
Che sola jjossedea giù la scultura
A i color dona, e non minor vaghezza ;

Si che superba gir può la pittura


Solo per te salita a tanta altezza,
Con senno, onde n' apristi il bel secreto
Muovi pensoso a 1' alta impresa e lieto.
E credi che più bello e.semplo il cielo
Cercando a parte a parte ogni sua idea
Quel giorno non trovò che del bel velo
Cinse questa terrena e mortai Dea,
In cui versò pien d' amoroso zelo,
Quanto versar di ben quagiù potea ;

Però, perch' ogni altezza indi trabocchi,


Parrai pur che a te sol tal grazia tocchi . . ,

A te d'uopo non Ha almen 1' avviso,


Cou che Elena formò saggio pittore;
Però che in quel celeste e chiaro viso,
Ogn' arte consumò per farsi onore
Il gran ra de le stelle e 1 paradiso

Spogliò per darle d' ogni bello il fiore,


Tal che in questa veder sola potrai,
Quante ne vide Apelle o Zeusi mai.
Tien pur gli occhi com' aquila in quel sole,
Ne' cercar altra aitaal gran concetto.

Però che piover da' bei raggi suole


.
Virtù, che toglie 1' uom d' ogni difetto ;

E perchè in un momento altri al ciel vole.

Basta i lumi fermar nel casto petto:


Con quest' ali potrai lieto ed adorno
Far a te stesso ed a natura scorno ....
E poi soggiunga: o ben felice etade,
In cui sì bella Donna al mondo nacque,
E voi viepiù felici alme contrade,
Ove a lei di menar sua vita piacque,
Felicissime poi 1' anime, e rade
Che spesso il nido entraro, ov' ella giacque ;

Ma molto più felice, a cui fa dato


Vederla, udirla nel suo primo stato ! . . .

Potrai ben, poscia espresso quel dolce oro


Ch' avrai col dotto ed onorato stile
140 GIULIA GONZAGA

E le rose e le nevi e il bel tesoro


Di quei due lumi, con cui posto è vile,

Quanto in altro già mai degno lavoro


Natura e il cielo ordiron di gentile:
Render le grazie a i Dei, e in ciascun tempio
Lasciar forma di te con chiaro esempio.

.... Là 've natura 1' ali stese


Tessendo il suo più bello e chiaro pegno,
Di girsen presto con nuova arte prese
Sebastiano ardire, a te l' ingegno
Sacrando, o Palla, con sua mano appese
Nel tempio tuo di riverenza degno
Gli stili, e li color, cui saggio or sprezza,
Per non pinger già mai minor bellezza.

Anche il Porrino volle imaginare poeticamente le im-


pressioni del pittore:

. . . Vidi specchiarsi in quel sembiante umano


Tutto pensoso il buon Sebastiano,
Ne r aspetto gentil attento e fiso
Stava quel nuovo e sì famoso Apelle;
E al lampeggiar dell' angelico riso,
E de le dolci matutine stelle

Parte del cor da sé stesso diviso;


Non già per tante creature belle,
Ch' eran luci minori, intorno a lei.

Che 'nfiamma d' onestate uomini e Dei.


Fortunato Pittor, che nella mente
Teco portasti dai stellati chiostri

Cosa, che più non vide umana gente.


Per far 1' alto miracolo a dì nostri,
Cbe di sua vista il vago spirto ardente,
StUe mortai non sarà poi che mostri
Come fia scesa a provar caldo e gelo,
Se prima non 1' avrà veduta in cielo . . .

Che sì bella giammai non vestì panni


Come questa, d' onor albergo fido
E tanto par eh' ognor se stessa avanzi
Quanto 1' altre avanzar solca pur dianzi.

Ove trovasi il lavoro di Sebastiano? R, Borghini (il

Riposo, Firenze, Neustenus e Moiiche, 1730, pag. 371 )


CAPITOLO VII 141

scrisse a questo proposito : ^< l'itrasse, a i-icliiesta del


Card. Ippolito de' Medici, la siij,noi'a friulia Gonzaga, il

quale ritratto riesci cosa rai-a e de' più belli ch'egli mai
facesse e fu poi mandato in Francia al re Francesco, che
il fece porre in suo luogo in Fontanehlò ». Quest'indi-
cazione, tolta dallo stesso Vasari, ho trovata confermata
da altri. Neil' edizione del Vasari edita dal Le Monnier
il 1854, in una nota apposta all' accenno di quella galle-
ria, è scritto: « molti Iianno detto essere il ritratto di

Giulia Gonzaga quella tìgiira muliebre con attributi di

santa, dipinta da Sebastiano in tavola ed oggi conservata


nella Galleria Nazionale di Londra. Ma questa tavola pro-
viene dalla Galleria Borghese. Essa è di proporzioni colos-
sali e di fino disegno; ma non di eccellente verità di

colorito ».
Il Cavalcasene mi assicurava che tre sono i ritratti

indicati come di Giulia Gonzaga. Uno di essi sarebbe stato


appunto quello conservato nella Galleria Nazionale di Lon-
dra cogli attributi di S. Agata, il nimbo e la tanaglia. Vi
si legge r iscrizione :

F. SEBASTIANVS. YEN. FAGIEBAT.

Un altro ritratto trovasi nella galleria Staedel a


Francoforte. È designato come lavoro di Sebastiano e
quale ritratto della Giulia Gonzaga e fu acquistato per
3800 fiorini. E finalmente un terzo ritratto, con quell'in-
dicazione, trovasi nella Galleria di Lord Radnor nel
castello di Longford. Porta l' iscrizione :

SVNT LAQVEI VENERIS CAVE.

Mi procurai una riproduzione fotografica del ritratto


esistente nella Galleria di Londra del quale del resto —
si ha anche una incisione di L. Stocks ed una foto- —
grafia del ritratto esistente a Francoforte; ed in ultimo,
per mezzo del nostro Ministero degli affari esteri, rivolsi

anche una preghiera in proposito a Lord Radnor. Questi


142 GIULIA GONZAGA

dicliiai-ò al nostro Ambasciatore a Londra, eh' era allora il

Conte Tornielli, che due quadri della collezione Longford


Gasile potrebbero essere il ritratto in questione, sebbene
non sieno ricordati sotto quel nome nel catalogo ; l' uno, già
descritto come la Fornarina di Raffaello, fu rivendicato
di recente a Sebastiano del Piombo, ma ignorasi il nome
della donna, che rappresenta. Fu acquistato nel 1791 alla
vendita Cotvvays, come proveniente dalla villa Negroni,
dove era stato conservato preziosamente per oltre due
secoli: la donna porta un mantello con pelliccia ed una
foggia strana di pettinatura: ha sull'orlo dell'abito una
scritta mal decifrabile. L' altro quadro è pure il ritratto

d'una bellissima donna, già attribuito al Giorgione, rico-


nosciuto pili tardi come del Bordone : si crede rappresenti
Violante, figlia di Palma il vecchio : ha un abito di vel-
luto cremisi, capelli biondi ed uno specchio in mano. Ed
il Ch. V. P. Richter, in una lettera al mio egregio amico,
prof. Venturi, scriveva:

« Nelle mie notizie fatte a Longford Castle nel 1885 non ho


registrato l' iscrizione che Lei vorrebbe veder verificata . . . Posso sol-

tanto dire che in un salone — specie di tribuna — ho trovato un bel-


lissimo ritratto di donna, opera di Sebastiano dal Piombo, ma esposto
col nome o di Raffaello o di Michelangelo. Me ne feci uno schizzo
rapidamente. È una pittura eseguita in quello stile grandioso, che si

ammira anche nel quadro dell'ammiraglio Boria a Roma d.

Ma, pur avendo presenti le varie fotografìe de' ritratti


di Giulia, a me sarebbe mancata una ragione efficiente
per stabilire quale potesse realmente riprodurre il ritratto
autentico e sul principio credetti di non poter risolvere

questo dubbio senza il sussidio d' una medaglia, che spe-


rava di poter rinvenire in qualche galleria, perchè Sci-
pione Gonzaga lasciò scritto ne' suoi Commentari che
comunissime erano al suo tempo le medaglie di Giulia.
Però le indagini iniziate presso i vari medaglieri diedero
un risultato affatto negativo. L' Armand ( les Medailleiirs
ilaliens des qitinzième et seizièìne sicclcs. Paris, 1887,
CAPITOLO VII li:.

voi. 3^ p. 52-53) attrilniisce ad Alfonso Lombardi (luoiio


nel 1537) le medaglie di Giulia Gonzaga, di Ipiiolito dei
Medici, del Molza, di Pajìa Paolo III e did 'l'ilialdeo, ed
aggiunge:

Ces médailles nous sont inconnues. Leur attribution à Alfonso


Lombardi repose sur des dociiinents que M. G. Milanesi veiit bien
nous indiquer. Les plus iniportants sout deux lettres d' Alfonso adres-
sées au due de Mantove. Frédèric II de Gonzai,nie. L' une, du 6 mai
1536, nous fait connaìtre qu '1 avait fait une médaille de Paul III :

d' après 1' autre, on peut conjecturer qu' il a fait les médailles de
Molza, de Tebaldeo et du cardinal Hippolvte de Médicis. C est par
ordre de ce mòme cardinal qu' Alfonso aurait fait la médaille de Giu-
lia Gonzag-a.

Mi rivolsi quindi, per mezzo del Gli. Venturi, al Mila-


nesi, il (juale rispondeva con lettera del 12 giugno 1801 :

Il sig-. Armand. nella sua opera de' medaglisti italiani, seguendo


una mia congettura, fondata sopra alcune lettere indirizzate da Alfonso
Lombardi a Federico II di Gonzaga, attribuisce al Lombardi alcune
medaglie, tra le quali quella di Giulia Gonzaga ma nò ne' Musei ita- :

liani, uè negli stranieri non si conosce nessuna delle dette medagiie.

Ad onta di tutti questi infelici tentativi, oso affer-


mare di pubblicare in questo volume il ritratto di Giulia
colla quasi certezza di aver colto nel segno, scartando
il ritratto di Londra, per autorevoli motivi già esposti
da altri (') e prescegliendo il ritratto conservato nella
Galleria di Francoforte. In quella tela, come sfondo, scorgesi
il panorama d' un villaggio. A me surse il dubbio che
rappresentasse qualche feudo di (xiulia. Risoluto questo

{^) Ed è bene ricordare quanto il Blanc {Hi-sfoire des peiiitres

de toutes les écoles, Paris, Renouard-Loones, LS84) scrive sul ritratto


conservato nella Galleria di Londra.
« Portrait d' une femme en S. Agathe. Deux tìgures de prnportion colossale,
grave par Stccks. Cast à tort qu' on regarde ce portrait comiiie étant celui de
I\ilie Cxcnzague qui, selon Vasari, fut donne a Francois I'"' et place à Fontaine-

bleau mais si elle eùt ètè reprèsentée en sainte Agathe, il est probable que une
;

telle circonstance eùt ètè inentionnée par Vasari. Le portrait est sìgnè d'ailleurs
Sebastianus Venetus Faciebat Roma; or, ce n"est pas à Roma qu' il fut peint,
mais à Fondi, royaume de Naples ».
144 GIULIA GONZAGA

dubbio si sarebbe chiarito di leggieri quale potesse essere


stato il concetto dell' artista nel porre accanto all' ima-
gine della gran dama qualche cosa che in modo sicuro
la designasse e la ricordasse. E non mi sono male appo-
sto. Quel villaggio corrisponde, tenuto conto di qualche
modificazione apportata dal tempo, ad un feudo appunto
di Giulia, distante un quattro o cinque chilometri da
Fondi, sulla via Roma-Fondi e che perciò Sebastiano, poco
prima di arrivare a Fondi, dovè vedere e potè ritralTe.
Si chiamava Monticelli. Lì presso un tempo vi era il

sepolcro creduto di Galba (il quale, secondo un passo di


Svetonio, nacque nell'ambito del territorio attuale di

Monticelli ), ed a breve distanza esisteva una villa di Sesto


Giulio Frontino, della quale Marziale ricorda i placidos
7'ecessus. Dalle rovine, ne' tempi di mezzo, nacque il

casale di Flexu, ossia de Flessu, perchè propriamente in

quel sito la via Appia fa una curva. Il Monte, che gli

sovrasta vicino, Portella, era allora chiamato Frontiliano,


o frontiniano, dalla villa di Frontino. Forse il paese di
Monticelli, sul colle, fuori strada, surse dalla distruzione
del connato casale e la stessa origine avrà avuto la Villa
tra Monticello e Monte Arcano.
Questo villaggio fu distrutto prima della metà del
secolo XVI, nella discordia insorta tra D. Isabella Colonna
e Giacomo Pellegrino, vescovo di Fondi. (') E qui mi sia
permesso incidentalmente di ricordare che mio padre, il

quale diede alla luce gli antichi Statuti di Monticelli»


desiderava che questo nome fosse stato cambiato in quello
di Villa Galba ed anzi alla sua pubblicazione diede appunto
il titolo di « Statuti di Monticelli, villa Galba in fieri ».

Ma la maggioranza del consiglio comunale, composta dì

gente incolta, decise invece di mutare bensì il nome; ma


di ribattezzarlo in quello di Monte San Biagio !

(') V. NoTARiANNi, Viaggio per V Ausonia, p. 167.


CAPITOLO VII 145

Anche il Tiziano ritrasse Giulia Gonzaga, né di ciò


può dubitarsi leggendo le parole die il Vasari, nella vita
del grande maestro, scrisse : « non è stato quasi alcun
signore di gran nome, né principe, nò gran donna, die
non sia stato ritratto dal Tiziano, veramente in questa
parte eccellentissimo pittore ». Infatti il Tiziano fece il

ritratto di Giulia e lo mandò in regalo ad Ippolito


Capilupi, nunzio a Venezia. Il Capilupi scrisse di questo
dono a Giulia a Napoli e ne elibe la seguente risposta
(25 aprile 1542):

«... Del g-uadagno. che ha fatto il' un mio ritratto, io uou so


quanto mi debba rallegrare, perciocché essendo della bellezza che
scrisse, non deve essere di naturale, oppure mess. Tiziano ha voluto
mostrare la forza del suo ingegno formando una donna compitamente
bella et come dovrebbe essere, non come io mi sia stata. Pure mi
piace che il ritratto sia in potere di V. S. potendomi facilmente suc-
cedere che ella per mezzo della pittura avrà memoria delle persone
vive et per l'avvenire mi sarà più cortese delle sue lettere (') «.

Il Campori in un catalogo della Galleria Coccopani,


a pag. 148, sotto il n.*^ 105 trovò notato: «un ritratto
della signora Giulia Gonzaga di mano di Tiziano ». Paolo
Coccopani, scrive lo stesso Campori (Raccolta di catalo-
ghi ed inventari inediti di quadri, statue ecc. dal sec. XV
al XIX, Modena 1870, pag. 148), nato nel 1584,
sec.
eletto Vescovo di Reggio nel 1625 e morto in Modena
il 1650 va segnalato fra' più ferventi e generosi racco-
glitori di opere d' arte del suo tempo. Oltre ad una copiosa
biblioteca e a molte antiche medaglie si formò un museo
ricco di più centinaia di quadri e disegni. Il catalogo dei
quadri e dei disegni è scritto, per la parte riguardante 1

(^) Questa lettera è riprodotta nel pregiato studio di G. B. Intra,

Di Ippolito Capilupi e del suo tempo. Milano, fr. Rivara, 1893, p. 49.

Il Capilupi, bene osserva il eh. scrittore, fu un prelato licenzioso nella


giovinezza, un astuto diplomatico nella virilità, un cultore delle belle
arti negli anni più maturi e sempre un uomo amabile, studioso, poeta,
cortegiano.

10
146 GIULIA GONZAGA

quadri, della mano stessa del Vescovo. Tutte queste pre-


ziosità di pitture, di disegni, di libri, di medaglie, di carte
incise, dopo la morte del loro possessore, andarono in

dispersione, come lasciò scritto il Vedriani ne' Vescoin


Modenesi. Alcuni pochi quadri rimasero invenduti ed
ancora si custodiscono in Modena da' discendenti di quel-
r illustre famiglia.
Anche recentemente feci assumere accurate informa-
zioni sul ritratto del Tiziano e seppi che non esiste più
presso i due rami ora superstiti del March. Coccopani, i

quali posseggono ancora tre quadri del Tiziano, o a lui

attribuiti; ma da molto tempo non appartiene più loro il

quadro da ricercato. me
Toccherò ancora rapidamente di due incisioni osser-
vate in due diverse pubblicazioni. Nel voi 4^ delle « vite

e ritratti delle donne celebri » (Milano 1838, pag. 198)


della Duchessa d' Abrantès, si trova una litografia di donna,
col titolo : « Giulia Gonzaga-Colonna, duchessa di Traetto,
da un dipinto esistente nella Galleria Giovio in Como ».
Che il Giovio, smanioso di arricchire la sua galleria fino
a mettere pubblicamente la penna a disposizione di chiun-
que gli desse in corrispettivo de' quadri, e che formò
effettivamente una raccolta assai ammirata dal viceré Don
Ferrante Gonzaga, come rilevasi dalle lettere del Giovio,
abbia posseduto anche un ritratto di Giulia è probabilis-
simo ; ma anche di questo dipinto non esiste più alcuna
traccia a Como tra' possessori de' quadri, appartenuti al

famoso vescovo.
Nella sezione Guicciardini della Biblioteca Nazionale
<ìi Firenze trovasi una traduzione in spagnuolo, fatta dal
Valdes, di due epistole di S. Paolo, con dedica a Giu-
lia, della quale riproduce un ritratto. Questo è a mezza
figura, col viso volto leggermente a sinistra. Un drappo
appoggiato sul capo ricade sul dorso, coprendo intera-
mente la persona da tergo ed è sostenuto dalla mano
destra della Gonzaga. Abito scollato « alla vergine », al
CAPITOLO VII 117

disotto del quale una stoffa bianca copre le spalle e parte


del seno. Maniche strette con sboffo alla spalla e berretto
rotondo ricamato, clie fascia il capo alla metà posteriore.
Ai piedi della tavola vi sono queste indicazioni: « Giulia
Gonzaga — aet. 35, MDXXXIV — Sebastiano Del Piombo
P., Pearson se. ». Evidentemente non ò che una copia del
dipinto, conservato nella Galleria di Londra, ed attribuito,
con quanto fondamento ho già accennato, a Sebastiano dal
Piombo.
Chiudo questo breve studio su' ritratti di Giulia Gon-
zaga e sulle indagini da me compiute sulla materia, pre-
gando il lettore, che desidera conoscere qualche cosa di
più recente, di consultare Manuel de Bihliographie
il

biograpìlique et cV iconographie de femmes celebres par


un vieux hibliophile (Torino, Roma, Parigi, libr. Nilsson,
1892). Sotto il nome di Giulia Gonzaga, nella parte ico-
nografica, vengono ricordati F. Stòber sculp., I. Ender
delineavit, Stocks se. — V. F. Stoeber: Kiinstler, portraits
von F. S. 2 part. 8 portraits. Wien 1835. — Dell' Ender,
nato a Vienna nel 1793, parla il Nagler nella sua Neiies
allgemeines Kunstler- Lexicon. Lo Stoeber, professore del-
l' Accademia di Vienna, nato nel 1795, morì verso la metà
di questo secolo ed è noto per molti pregevoli lavori.
vili

Giulia a Napoli - Società femminile napoletana

G-iiiìia a Napoli e il Monastero di S. Francesco - Dissetisi colla figliastra


e lina lettera del Porrino - Il Card. Filonardi - Tutela del nipote
Vespasiano - Ippolita Gonzaga e sue vicende - Irene da Spilimbergo,
Giulia, Tansillo e Onorata Tancredi - La società femnìinile con-
temporanea: V etera - Tullia d'Aragona - Le mode a Roma: vai

ricevimento di signore in casa d'un Commendatore in S. Spirito a

Roma - Le mode a Napoli: la festa nuziale per la regina Bona, e

comparsa delle darne e degli uomini più distinti di Napoli - Il

menu del tempo - Dote e corredo - Giovanna e Maria d' Aragona


- Carlo V a Napoli - La bellezza femminile e ima corrispondenza-
dialogo del Tiraboschi e dell'Affò - Isabella Sanseverino - Lucrezia
Scaglione e Maria Cardane - Dionora Sanseverino - Làura ferrar
Cina - Suo sonetto a Giulia - Isabella della Morra, Giulia Caval-
canti, Caterina Pellegrini Nogarola e Porzia Capece Rota.

Morti Ippolito De' Medici, ed il Rodomonte ,


potenti
e temuti e perciò validi suoi protettori, sorti gravi dis-

sensi di interessi colla figliastra e cognata Isabella, spinta


dal desiderio di cercare un luogo più adattato per dare
una completa educazione al nipote Vespasiano ed anche
forse di far risorgere quella vita di rapporti intellettuali
ed ideali, a' quali ormai Fondi o Traetto non potevano
più prestarsi, Giulia decise di condursi in Napoli nel
150 GIULIA GONZAGA

dicembre del 1535 ('). Con breve di Papa Paolo III ottenne
di poter abitare nel convento annesso alla chiesa di San
Francesco delle Monache, ora detta della Rotonda, alle
spalle della chiesa di S. Chiara. L'affermazione dell'Ama-
bile « la Gonzaga dimorava nel monastero di S. Francesco
delle Monache, oggi detto del Gesù delle Monache presso
porta S. Gennaro mi sembra assolutamente erronea (^);
»

come provano molti documenti. In un codice del 1600 è


detto: « San Francesco è una chiesa bella con un mona-
steri© di monache dell' ordine di S. Francesco, sito presso
il campanile di S. Chiara fondato per ordine del Re Ro-
berto l'anno 1325, dove abitavano alcune monache senza
clausura, quali dispensavano le elemosine che il re faceva
giornalmente a' poveri e così fu chiamato S. Francesco
della Limosina. Costoro, in processo di tempo, a persua-
sione d'una monaca di detto ordine, venuta dalla città di
Assisi portando seco una devota imagine di S. Francesco,
diedero principio a fondare il presente monastero, nella
cui chiesa al presente riposa la beata Maddalena di Co-
stanzo, già monaca in esso, che passò di questa all'altra
vita l'anno 1335. Queste monache per prima non osser-
vavano la clausura fino all'anno 1568, che da Pio V Ponte-
fice Massimo li fu concessa, come al presente osservano (^) ».

Non mi par dubbia perciò l'ubicazione del monastero,


ricordata poi anche nelle Guide di Napoli. « La chiesa
quasi di contro la piccola porta di S. Chiara è intitolata
a S. Francesco delle Monache. Ivi fu trasferita la par-

(') Il Giovio, scrivendo decembre 1535 al Vescovo di Faenza,


il 12
Nunzio di Francia, gli « qua si aspetta la signora Donna
annunziava :

Giulia e lo signor Don Ferrante da Sicilia per terra a Natale ». Let-


tere del Giovio, ediz. 1560, pag. 98.
(^) Amabile. H Sani' Officio delia Inquisizione di Napoli. Città di
Castello, 1892, voi. 2.°, pag. 225.

(3) Arch. St. Nap. anno 1883, pag. 293: Cod. del sec. XIIIL
Catalogo d^gli ediflzi sacri della città di Napoli.
,

CAPITOLO Vili li")!

l'Occhia (li S. Mai-ia delle Monache ('). \ù\ il Celano, sotto


la rubrica « Chiesa di S. Fi-ancesco delle Monache » sci'isse:

« la storia della fondazione di questa chiesa, riportata nel


testo, concorda con (quella di tutti gli altri scrittori delle

cose nostre. Allorché nell" anno 1751 fu rifatta e con


maggiore eleganza abbellita, si ebbe cura di collocare
sulla porta d'ingresso in bianca pietra la seguente iscri-

zione. « Iluius templi frontem - Veiustate pcìie squal-


lentem - Nobiles virgines - Serafici patris progenies -

Claustri aditu extructo - forma et opere


Elegantiori
ruarmoreo - Exornanclam curar imt - Anno domini
MDCCLI» {-).

L'epigrafe leggesi tuttora.


A dissipare qualunque dubbio, se pur dubbio ancora
potesse sussistere, interpellai il Ch. B. Capasso,. Direttore
dell'Archivio di Stato di Napoli: — ed egli mi fece cono-
scere : « che la chiesa di S. Francesco delle Monache
nella quale si rinchiuse verso la fine di sua vita la signora
Giulia Gonzaga e vi fu sepolta, esiste tuttora nella nostra
città. Abolito il convento delle Clarisse, che vi era an-
nesso, vi fu trasferito nel principio di questo secolo la

parrocchia della Rotonda, che stava nel largo di S. Do-


menico e nella seconda metà del secolo passato fu abolita.
Il Gesù delle Monache, fuori porta S. Gennaro, quantun-

que appartenga allo stesso ordine, nulla ha che fare con


la Chiesa, nella quale fu seppellita la Gonzaga. E un er-

rore il confonderla. Codici obituarii del detto convento di


S. Francesco non esistono , né carte riguardanti questo

(') E. PiSTOLESi, G-uida iiietodica di Napoli, ivi, 1845, p. 272.


(2) Celano, Notizie del bello, dell' antico e dd curioso della città

di Napoli, ivi, 1858, voi. Ili, pag-. 481.


Sulle vicende poi e sulle trasformazioni della chiesa si consulti il

Grimaldi, non che l'opera di Gaetano Filangieri: « documenti per


la storia, le arti e le industrie delle prov. napoletana. Napoli, 1885,
voi. Ili, pag. 221 ^.
152 GIULIA GONZAGA

Monastero pervennei'O all'Archivio di Stato, dopo la sua


soppressione. I registri parrocchiali delle morti per la

parrocchia della Rotonda, nel perimetro della quale stava


l'accennato Monistero, cominciano col 4 genn. 1584 ».

Una delle occupazioni più assidue e più. tormentose


di Giulia fu quella, che ora diremmo , liquidazione di in-
teressi ne' rapporti colla figliastra e cognata Isabella Co-
lonna ('). Più sopra ho riportato il testamento di Vespa-
siano, che lasciava la moglie « donna e padrona in tutto

lo Stato ed anco del regno sua vita durante ». Questo


testamento, la sopradote accordata dal padre erano im-
pugnati da Isabella. I termini della questione, le pretese
della figliastra, le disposizioni concilianti di Giulia possono
in gran parte rilevarsi dalla seguente lettera, che Giulia
inviava da Fondi il 3 giugno 1535 a Don Ferrante Gonzaga.

Illusf. Skj. Fratello lion. — Credo avesse una lettera


clie V. S.
mia insieme con quella del Villano, che portò un giovane, che veniva
al servizio di V. S. dov'ella potè facilmente vedere come il Villano
mi dava assai grossa parte ne le cose del testamento ; ma o per aver
meglio viste le scritture, o perchè si sia, mi dice al contrario, dicendo
che li Feudi non si ponno obbligar senza assenso impetrato prima la

morte del Signor Vespasiano fé : me : ovver che Donna Isabella avesse


rilevato detto assenso. A la prima dico, che credo, com'io son certa,
che il Signor mio non ci pensò, perchè si vede chiaramente che mi
volse lassar il tutto. Ma quando altro non ci fosse, dimostra pur che
lassando cinque mila ducati da vivere a la figlia, pigliando il Sig. Luis
mio fratello, e che il resto sia mio, voglia inferir che il resto de li

frutti siano miei. A dover provar che Donna Isabella cercasse quella
conferma da Sua Ma. io non lo potrìa mostrar, salvo se in Corte di
Sua Ma. non fusse, perchè le scritture di Fondi son perse, e quello
Notaro morto. Si trova ben una Procura che fu fatta in Gaeta, ma
non fu fatta per questo. Ma io so, che quando il Signor mio fratello
andò in Corte, portò una Procura di Donna Isabella. Ma come si sia,
io non cerco voler il suo Stato, ma bene il modo d'intertenermi ; e li

{}) Nell'Archivio di Stato di Mantova vi è una lettera di Ludo-


vico Gonzaga. Questi in data 27 novembre 1535 scrive al Duca di
Mantova, raccomandando la figlia Giulia, alla quale indebitamente si

nega la dote. La causa doveva decidersi dall'Imperatore.


CAPITOLO Vili ]."):;

miei Avvocati me ne ponno esser boni testiinonj, che «iuandu mi dis-


sero che mi competeva molto, io sempre dissi volermi accomodar col
manco ch'io potessi, come anche V. S. potrà vedere per un partito

che fra li altri ho voluto far con Donna Isabella. Ora sapendo che
V. S. viene in Napoli, me
ae sono molto allegrata, avendo visto con
quanta affezione V. S. è sempre venuta ne le cose mie. E sia certa
eh' io tengo più fede in lei che in persona del mondo, l'er questo la
prego (juanto piii posso voglia tanto che sta in Napoli veder di far
che queste cose mie si accomodino di qualche modo, che di tatto
quello che farà V. S. sarò io contentissima, e se bisognerà aver ajuto
per sia di Sua Ma. io spero col mezzo di V. S. e de l' Illustrissimo
ed Eccellentissimo nostro di accomodar le cose mie.

Carlo V delegò il Viceré Don Pietro di Toledo per


decidere questa controversia : ma la sentenza diede luogo
a nuove eccezioni da parte di Isabella, ed allora Carlo V
con diploma del 27 febbraio 1536 (') dispose che il

dottore Giovanni de Figueroa « nosirae regiac Cancelle-


riae Regenti » ed i consiglieri Giovanni Marziale e Ga-
leotto di Fonseca decidessero sulla causa, « indignitra

existimantes similes controversias et contentiones inier


eas orivi » . Quindi « comìniitimus et iniungimus ut vo-
catis et auditis praefatis III. lidia de Gonzaga et Isa-
bella Colmnna, vel earum legitimis procuratoribiis in
his quae vera siqjra contenta dicere, peterc, ojojìonei'e,
praetendere et allegare vohierint, attenta 2'J^'^'sonarum
qiialitate, earumqiie statu, nec non natura et exigentia
quaerimoniarum, actionura et praetentioniun prae fata-
rum, siqoer ipsis et earum qualibet, eisque annexis et
connexis et dependentibus summarie, simptliciter et de
plano sine strepitìi, forma aut figura juditii, sola rei
et facti veritate inspecta, procedatis, j^^^ovideatis, deci-
daiis et ter^ninatis ». Questo il linguaggio curialesco... e

(1) Se ne può leggere il testo, assai importante per chi desidera


conoscere i particolari della questione, esposti con molta esattezza,
nel libro dell' Affò : Memorie di tre principesse della fariiiglia G-onzaga,
pag. 41.
154 GIULIA GONZAGA

si vede che il progresso da allora ad oggi non è stata


molto !

Il litigio fra le due dame per allora e per vario


tempo si mantenne non solo vivo, ma spietato, degene-
rando quasi in uno scandalo, nel quale, per quel gusto
che tutti prendono agli affari degli altri," gusto anche
più eccitato quando si tratta di affari di altre molti si ,

inframmettevano prò e contra ('). Gondolfo Porrino, l'ex


Segretario di Giulia, per affetto alla riputazione della sua
signora, non ne potè più, ed un bel giorno le scrisse da
Roma, tra stizzito e scherzoso, una lettera ad hoc, che
vale la pena di riprodurre.

Io ho inteso da mons. Arcella, con mio grandissimo dispiacere^


come la vostra lite in Napoli pende ancora e che non cessate di tri-

bolare. Sopra di che avendo fatto alquanto di discorso fra me mede-


simo, non ho voluto mancare di scrivere a V. S. il parer mio quale
egli sia, fedelissimo so bene eh' egli sarà. Dico dunque (s' eg'li è lecito
agguagliare le cose piccole alle grandi) che a me pare che si possa
in gran parte assomigliare questa differenza fra V. S. e la sig. Isabella
alla briga fra l'imperatore e il re di Francia e il sig. Vespasiano alla

cristianità. Perchè sì come l'odio e lo sdegno fra quelli due principi


risulta e si converte tutto in pregiudizio della repubblica cristiana o
di S. Chiesa, loro comune madre; cosi le vostre divisioni tornano tutte
a danno di questo vostro comune figliuolo, e se quelli sono tenuti per
le leggi divine e civili a mantenere e ampliare la fede e il cristiane-
simo, e voi per le medesime leggi e per le naturali ancora siete ob-
bligate al bene del vostro figliuolo. Quelli in luogo di fare quanto-
possono in augmento della legge di Cristo spendono i loro tesori per
rovinarsi li regni e sommergersi l' un l' altro : e voi similmente, per
consumare l' una l' altra, gittate le facultà e le sostanze vostre, le
quali si dovrieno conservare a miglior uso per quel figliuolo. Quelli
due S. danno allegrezza alli comuni nemici e fanno li grandi, adope-
rando il ferro e il fuoco fra loro e sollevando chi quelli e chi questi,
e voi fate il medesimo, se ben mirate al proceder vostro e considerate

(') Filocalo non entra a ponderare le ragioni che militavano prò


contra per le due signore: egli tronca senz'altro la questione desi-
gnando le contendenti: « ambedue femmine boriose, altere, bizzarre e
fastidiose ».
CAPITOLO viir 1")

le circostanze e le dipendenze del S. Vespasiano. Né il Vicario di Dio.


non mai possente a porre d'accordo li predetti Re;
ch'altri, è stato
questo è avvenuto parimenti a chiimque s'ò messo per coinpnn'e tante
vostre ire e discordie e a S. Santità medesima. Ma Principi detti si i

potrebbero pur difendere con qualche rag-ione, come a dire eh' essi
contendono della monarchia del mondo : e però sono escusati se fanno
ogni sforzo e ogni diligenza per ottenerla. Il che non avviene di voi

altre , anzi vi si può dire il contrario , che contendete di nulla e pro-

cacciate ogni via per offendervi più fieramente che quelli non fanno.
La qual cosa veramente solo a pensarla è pur troppo strana, conside-
rando i tanti e si stretti legami già stati fra voi, e se in gran parte
si sono disciolti per morte, almeno la memoria doverla conservarli;
ma se quella ancora non basta, dovrebbe pure bastare il vedervi tut-
tavia innanzi il sig. Vespasiano ; che questo nodo solo che vi è rimase,
veramente deve essere possente a mantenere e congiungere in amici-
zia e amore ogni mente perversa dopo qualunque offesa non che voi
che nate siete di sangue si generoso e gentile. Voi mi potreste dire
che non è vostra la colpa, ma che procede dall'altra madre, e quella
dirà il contrario: cosi fa ancora l'Imperatore e il Re di Francia, ag-
gravandosi l' un r altro delle cagioni di tante ruine. Ne crediate già
per questo, eh' io voglia scusar lei ; ma ben vi dico che l' unione fa-
rebbe per tutte due; della quale poi nascendo tanto gran bene in

acconcio de' fatti del sig. \"espasiano, non si dovrebbero guardare le

cose così per sottile, ma più presto lasciar qualque cosa, ancor che si

tenesse con ragione. E pensate phe voi gli potete dare in un giorno
quello eh' egli forse penerà molti anni de' suoi migliori anni in acqui-
starlo. Per la qual cosa egli vi potrà chiamare giustamente piuttosto
matrigne che madri e quei, che vi consigliano altrimenti, debbono
essere ignoranti e maligni e nemici della vostra quiete e distruttori
di quella, per qualche loro commodo e interesse. Non vedete voi che
questa vita, che voi tenete, vi ha fatto scordare la vostra benigna
natura e vi tiene di continuo in preda a persone umilissime e venali ?

Onde nascono poi mille indegnità negli animi nobili. Tornate adunque
in voi stessa, e pensate" bene che tutte le vostre sorelle e che gli

altri, che v' amano, ne sentono un dolore estremo. Ma lasciamo andare


le persone ordinarie, come parenti e amici, la Santità di N. S. ragio-
nandone alcuna volta ha mostrato di disiderare sommamente che vi
concordiate, sì per utile e onore e riposo vostro, come anco per amor
del S. Vespasiano e della buona memoria del padre suo, che ben si

ricorda S. Santità quanto fosse benemerito della Sede Apostolica. Ora


solamente per questa tanta autorità, che il Papa, il quale è santissimo
e prudentissirao, loda questa vostra concordia, e la giudica buona e
santa, non devereste voi concorrere nella medesima opinione a chiusi
156 GIULIA GONZAGA

occhi ? E se fate professione araendue d' essere tenere madri del S.


Vesiiasiano, come io sono certo die voi siete col cuore, perchè non si

pone ad effetto questo buon animo vostro a beneficio suo poi che
tanto r amate ? Lassate dunque le gare e le liti da parte e unitamente
procacciate la grandezza di questo vostro figlio di tanta speranza, e
pensate che voi due siete le colonne e che, unite, lo sostenterete e
disgiunte lo farete rovinare. Che questo accordo sia buono già si vede
chiarissimo e manifesto, benché nel modo di condurlo pare qualche
difficoltà ; ma a levarla e' è questo rimedio di non ricordare ingiurie,
né ragioni; ma trovare un mezzo ben istrutto delle cause e senza
passione é commettere il tutto in arbitrio suo. E a questo fatto non
si potrebbe non che trovare, ma imaginare il migliore, né il più giusto,
ne il più pio di Nostro Signore, rimettendosi interamente nel perfetto
giudicio di S. Santità. E da tale accordo potrebbe poi seguitare l'ef-
fetto dell' altro negozio di più importanza, del quale altre volte s' è
ragionato. Sopra che principalmente avete a considerare la evidente
utilità, che ne viene al S. Vespasiano, perché in tutte le vostre azioni
dovete sempre tendere a quel fine e voi conoscete molto bene quanta
Vedete come é andata la causa di
difficoltà sia a ricuperare Stati.

Casalmaggiore e come va tuttavia, e questo dello stato di terra di


Roma mirate in che termine si trova e quanto importi il tenere in
mano massimamente ora che tutto il mondo va sossopra. Si che,
e
Signora mia, non vi perdete più tempo, perchè ogni giorno non ven-
gono l'eredità e sempre non avrete un Papa disposto ad esaltare il
vostro nipote; ma, com'è detto, trattate pure con ogni providentia la
cosa, per conseguire tutti i vantaggi possibili e futuri al sig. Vespa-
siano e troverete che qui si desidera il medesimo. E se la signora
Isabella, che gli è madre o il principe di Sulmona (') si scosterà dal
dovere, voi sarete sempre iscusata appresso Dio e il mondo ; e il

sig. Vespasiano non si potrà mai dolere di voi che non gli abbiate
procacciatoun buon protettore e benefattore, del quale veramente egli
ha gran bisogno in questa età e in questi frangenti del mondo. Or
molte ragioni sopra questi negotii si dovrebbero addurre e molte
risposte alle obietioni già fatte si potrebbero fare; ma per essere V.
Signoria istrutta a pieno d' ogni cosa, mi par che questo basti, e con-
siderate bene tutte le cose dette da me, come sono in effetto e le

troverete verissime. E a Vostra S. bacio le mani. {^)

(1) Allora Isabella era già passata in seconde nozze col principe
di Sulmona, come si vedrà.
(2) Delle lettere volgari di diversi nobilissimi uomini et eccel-
lentissimi ingegni, scritte in diverse materie. Venezia 1567, libro III,

pag. 98.
CAPITOLO Vili 157

Il risultato della lunga vertenza ci ò indicato in una


lettei'a che Giulia inviò l'otto giugno 1537 al cardinale
Ennio Filonardi (') e che mi pare opportuno di riprodui-e.

K.iiìo S. coiiie Pafi'e Oss-./uo. — Io non lio scritto iu «luosti g-iorni

a V. S. R.nia essendomi ritrovata assai più del solito occupata in

questa causa, quale Dio g-razia è stata pur espedita e in mio favore
hanno pur condenuata la sig. D. Isabella a pagarmi ogni anno doimila
e cinquecento ducati a terza per terza e altri mille ducati adesso pel
tem])0 passato. La ragione mia era tale che invero la doveva mandare
più avanti, ma mi contenta molto più aver fatto conoscere al mondo
la giustizia mia e la causa che mi ha necessitato a questo termine
che di aver ottenuto. Poi non è poco ad esser fuori di questo fastidio :

cosi volesse Dio che fusseno finite le altre, a le (juali vado procurando
di dare la miglior forma che posso e del tutto sai-a al solito avisata.
Per adesso la supplico a prender questo piacere di vedermi in parte
da quiete e a comandarmi sempre ecc.

Giova pur ricordare che Isabella, recatasi qualche


tempo prima in Lombardia, col suo fare pretenzioso ed
arrogante , si era inimicati il suocero ed i parenti ; anzi
pare che questi la invitassero a tornarsene sollecitamente
indietro, mal soffrendo in essa una nuova padrona. Isa-
bella, trovandosi in Napoli, e prima della definizione della
lite, iniziò trattative di matrimonio con Carlo di Lanoia,
principe di Solmona, al quale poi, come si vedrà, si unì.
Il padre di Giulia, venuto a morte, con testamento
del 14 giugno 1540 volle che la tutela del nipote Vespa-
siano si esercitasse dalla fiulia. Il dolore di staccarsi da

(^) Ennio Filonardi era stato creato cardinale da pochi mesi.


Nacque a Bauco e iniziò la sua carriera a Roma, entrando nelle grazie
di Innocenzo Vili. Alessandro VI lo fece Vescovo di Veroli, Giulio II

lo fece governatore di Imola, e Leone X, Adriano VI e Clemente VII


lo mandarono Legato tra gli Svizzeri, ove a tutta possa combattè
r introduzione della nuova dottrina- religiosa. Prese parte alla guerra,
sotto Paolo III, contro il Duca di Urbino e contro il Duca di Came-
rino. Morì circa il 1549 e fu sepolto nella chiesa di S. Sebastiano in
Veroli, della quale città il Filonardi si era reso benemerito, curando
importanti restauri alla chiesa cattedrale.
158 GIULIA GONZAGA

Vespasiano e di doverlo abbandonare proprio nelle mani


della sua rivale, fece montare sulle furie Isabella, che impu-
gnò la disposizione. Ma Giulia non era tal donna da cedere
e tanto più che, priva di figliuoli, in Vespasiano avea
riposto grandissimo affetto ed aveva certo 1' ambizione di

allevarlo con fina educazione, per renderlo così degno del


nome del padre e di casa Gonzaga. Si avvalse quindi lar-
gamente delle sue influenze. 11 verdetto del magistrato
non si fece attendere, accordandole ragione. A questi
risultati non dovette certo essere estranea l' iniziativa effi-
cace di Don Ferrante Gonzaga. Infatti in una lettera di
lui a Giulia e pubblicata nella raccolta del Marcobruni,
Don Ferrante, dopo avere vivamente sconsigliato un matri-
monio proposto pel giovane Vespasiano, cosi rammenta la
sua opera passata suU' argomento « ricordo a V. S. che :

questo figlio è stato dato da S. M. a me e sopra la parola


mia levatolo dalla madre che non v' era disposto senza la
volontà di S. Maestà, e con questo 1' ho dato io a V. S.
la quale supplico a non mi venir meno della parola sua;
ma ben a tenerlo e non concludere alcuna cosa senza
me, acciocché io ne possa render conto a S. Maestà,
come son obbligato e anche acciocché io, che, come
V. S. sa, mi son nemicato con tutto il mondo per suo
beneficio, non resti così affrontato che si faccia cosa
senza che io sia inteso ». Probabilmente Don Ferrante
si proponeva di dare per moglie a Vespasiano la sua
terzogenita Ippolita , come fece poi proporre dal suo
segretario Nuti a Carlo V a Bruxelles, quantunque allora
fossero avviate trattative di matrimonio col Fabrizio Co-
lonna, duca di Tagliacozzo.
Di Ippolita, celebre per bellezza, per coltura e per una
.vita infelicissima, é il caso che qui si dica qualche cosa
di più particolare, considerando anche i rapporti affettuosi
serbati con Giulia.
Ippolita, nata a Palermo dal vice-re Don Ferrante il

1535, fu condotta bambina a Napoli quando da poco vi


CAPITOLO Vili 1 .")'.)

era arrivata Giulia, la quale preso alletto grandijssimo per


la fanciulla, come si rileva da questi due brani di lettoi-e
inviati al pailre. « Io ni' ho g"oduto questi pochi giorni la

signora principessa e questi saporitissimi Nini e massime


Donna Ippolita mia, che non posso saziarmi di vederla e
baciarla » (lett. 4 aprile 1537). E sette giorni dopo, in
altra lettera: « bacio mille volte il Nino (un figliuoletto
di Don Ferrante )
(') e diecimila Donna Ippolita mia bel-
lissima e saporitissima (^) ». A Mantova, per suggerimento
del Cardinale Ercole Gonzaga e a Milano, ove il padre era
divenuto governatore, Ippolita fu circondata da valenti
istitutori ed in breve si fece ammirare per la sua coltura.
Chiesta in isposa da Fabrizio Colonna, duca di Taglia-
cozzo, nipote di Vittoria, il padre tuttavia suggerì all'im-
peratore a Bruxelles il nome del nipote di Giulia; — ma
prevalse il primo partito. Ippolita sposò Fabrizio
1548; il

ed essa soddisfatta, dopo pochi giorni, scriveva a Don Fer-


rante : « l'obbligazione ch'io tengo prima col Signor
Iddio e poi a V. E. è tale che lingua umana non lo potria

esprimer, di avermi dato un cosi bello e buon marito ».

E Girolamo Muzio Giustinopolitano, presente a' festeggia-


menti nuziali, si affrettava a regalare alla sposa il suo
trattato intorno l'istituzione, l'utilità ed i doveri del
matrimonio! Ma la felicita della sposa fu assai breve.
Ottavio Farnese, nipote di papa Paolo III, colla morte del
Pontefice, si vide minacciato ne' suoi dominii dal succes-
sore Giulio III, pel che ricorse all' aiuto delle armi
francesi; ed il Papa e l'Imperatore nominarono loro

(') Il fratello di Ippolita, Cesare, che poi successe al padre nel


ducato di Guastalla e sposò la sorella di San Carlo Borromeo. Cesare
Gonzaga è uno de' protagonisti di T. Tasso, nel dialogo « il Gonzaga
o del piacere onesto » designato cogli elogi di principe di alto inge-
gno e di maturo giudizio, di molta cognizione di lettere, amatore dei
letterati e de' poeti grandissimo, a' quali porgeva non solo materia, ma
commodità di scrivere e di poetare «.

(-) Affò, Menìorie di tre irrincipcsse di casa G-onzaga, p. 122.


IGO GIULIA GONZAGA

Capitano generale Don Ferrante, il quale si fece seguire da


Fabrizio e strinse d' assedio Parma. Fabrizio fu colto da
grave febbre. Venne trasportato a Viadana, ove corse la
sposa ad assisterlo ; ma la malattia si aggravò e Fabrizia
passò di vita il 24 agosto 1551. Alla principessa, che
parve disperata per tanta iattura, sopraggiunsero presto
una lettera consolatoria di Pietro Aretino ed un' altra di
Lucrezia Gonzaga, la quale le diceva :

Veramente ragione ebbe colui che scrisse che tutte le cose che
erano secondo natura, fussero buone e ninna esservene più secondo
natura che il morire . . . Questo mondo, signora, è una vaUe di lagrime
profonda, oscura, e piena di fango ed è bene avventurato chi felice-
mente vi esce, fatto. Ahi quante volte mi sono io riso
com'egli ha
di coloro che non avveggono che il piangere le cose irrecuperabili
si

nasce piuttosto da soverchia pazzia che da molta pietà, e che la morte


non sia morte, ma piuttosto principio di vital Conchiudo dunque che
saviamente fate se, essendo voi mortale, altro non aspettate da que-
sta nostra vita che cose mortali.

E gli effetti di queste arti consolatorie pare non si

facessero molto attendere! Intanto Leone Aretino le coniava


un medaglione: sul rovescio raffigurava una Diana in atto

di incamminarsi alla caccia tra le selve, co' cani al fianco^

il corno alla bocca e il dardo nella destra, mostrandola


anche in cielo nella figura della luna circondata da molte
stelle e con un lato 1' Averno, donde escivano Cerbero e
Plutone. Un biografo osserva : « il motto par iibique po-
testas, che vi fu apposto, spiega il concetto di questo
simbolo, poiché dando i mitologi a Diana triforme in terra,
in cielo e nell' èrebo uguale possanza, significar volle come
a questi tre medesimi regni la grande virtù d' Ippolita si

estendesse, cara al cielo divenuta per la sua pietà, ama-


bile alla terra per le sue doti e formidabile alla morte,
la cui ingiuria nel toglierle il caro sposo altamente sprez-
zando, mostravasi trionfatrice nel prepotente suo orgo-
glio ». Frutto di questo disprezzo e di questo orgoglio....
furono le nozze con Antonio Carafa, Duca di Mondra-
CAPITOLO Vili Hil

gone, tìglio del principe di Stigliano, uno de' lellerati che


allora andavano per la maggiore, parte per merito pro-
pi'io e parte, anzi in assai maggior parte, per riflesso dei
soliti scrittori cortigiani, alimentati dalla pi'otezione di
Mecenati, o aspiranti a conquistare questa protezione. (')

Ippolita —
esempio in (juesto caso imitabilissimo dalle
nostre matrone —
volle che la nuova casa a Napoli
rappresentasse il suo gusto e la sua passione per le belle

arti, e mandò perciò il pittore Bernardino Campo espres-


samente a Como per riprodurre dalla famosa galleria di
Monsignor Paolo Giovio le migliori pitture ivi conservate;
e realmente Ip})olita trasformò le sue stanze in una
splendida galleria, della quale parlaiono con ammira-
zione i contemporanei. Probabilmente — e cosi afferma
il Modestino — il palazzo, sotto forma di castello mer-
lato in cima, ed oggi detto di Cellamare, doveva essere
situato poco dopo la Chiesa di Sant' Orsola, nella strada
di Chiaia, cinto da un vasto giardino, descritto da Tor-
quato Tasso nel suo dialogo « il Gonzaga o del piacere
:

onesto ».

Il Duca di Mondragone ebbe da una figlia^


Ippolita
Clarice, che fu poi moglie di Carafa, duca di Nocera e,
rimasta vedova, sposò Paolo di Sangro. principe di San
Severo. Ma presto gravi dissidii domestici avvelenarono i

giorni beati di Ippolita. Il suocero, istigato dalla seconda


moglie, Lucrezia del Tufo, non volle più accogliere in

(1) « Fu uno de' principi deg-ni di lode per le singolari sue virtù
e non ordinario valore, e d' animo generoso fra quanti ne furono del
suo tempo onde quel tanto, che il padre a' cavalli, e falconi spender
;

soleva, spendeva egli a tenere una numerosa corte, fra quali erano
molti cavalieri, a' quali dava onorate provvisioni, e benché fosse stato
molto avido d' avere cariche militari sopra gente da guerra, onde con
tal disegno fosse andato in Ispagna nella corte di Carlo V, non potendo
però conseguire posti di suo gusto, non pose in etfetto quella sua
buona intentioae » ( Aldimari, lùsforia geneaolojica della famiglia Caraffay
Napoli 1691, pag. 387).

11
162 GIULIA GONZAGA

casa gli sposi, e assegnò al figliuolo una provvisione di


seimila scudi l'anno, affinchè egli potesse mantenersi colla
sposa. Il padre di Ippolita, Don Ferrante, trovavasi allora
in Fiandra, e la triste nuova e la disgrazia di essere
caduto dall'animo dell'Imperatore furono non ultime
cagioni della morte sopravvenutagli lo stesso anno 1557.
Un contemporaneo lasciò scritto: «Don Ferrante, buona
memoria, avendo intesa questa pratica, scrisse alla signora
principessa che per conto niuno voleva che S. E. desse
la signora Ippolita a suo marito, se il marito non pigliava
un gentiluomo e una gentildonna, persone onorate le quali
fossero in compagnia della signora Duchessa Ippolita, per
poter sempre dar conto della vita di lei a tutto il mondo,
dubitando S. E. che il marito, il quale è giovane e un
poco capriccioso non facesse un dì uno sfregio alla
,

signora sua consorte calunniandola in cosa che non


,

fosse vera; al che S. E. voleva rimediare colla presenza


delle due persone sopradette ». Il marito di Ippolita,
od obbligato dal genitore, ovvero trascinato da quel-
l'umore cui accenna il cronista, lasciò la sposa a Napoli;
ed Ippolita si ritirò presso la madre, la quale, dopo due
anni, seguì il marito nel sepolcro. Ed i pochi anni, che
ancora sopravvisse

la bella Gonzaga
Ippolita, d' onor, non d' altro vaga (')

furono consacrati all' intimità di pochi amici e parenti


ed alle lettere, delle quali diede saggio in un bel sonetto
scritto per la morte di quell' Irene di Spilimbergo, troppo
celebrata perchè possa esimermi dal darne qui un fugace
ricordo.
Irene, figliuola di Adriano e di Giulia da Ponte,
nacque il 1541 a Spilimbergo. Per cura dell'avolo paterno.

(^j Tasso, AmacUgi, Canto 100.


CAPITOLO Vili ICt'A

Giovai! Paolo da Ponte. In educata ncdla musica dal Gazza


a Venezia, ed oltre a ciò imparò lettei-e, canto, ricamo,
disegno e all' ultimo, sotto il Tiziano, pittura. Anzi, per
attendere con soverchio ardore a colorii'e, inreriuò di

febbre ed a capo di 22 giorni morì, ancora diciannovenne.


Allorché Bona, regina di Polonia, fu ospitata nel
castello di Spilimbergo,udendo cantare Irene insieme colla
sorella Emilia, rimase estremamente ammirata. Gli occhi
aveva maghi, dicono contemporanei, che la conobbero.
i

Quasi presaga della morte precoce, avea posto suU' en-


trata della stanza questo verso fatale :

Quel che destina il elei non può fallire.

Tutti i poeti d'Italia sicommossero per la fine della


bellissima giovinetta e scrissero di lei anche dame di gran
conto. Il Fiorentino cita alcuni versi di Torquato e di
Bernardo Tasso, del Rota e del Paterno per la luttuosa
circostanza.
L' Atanagi nel 15()1 publilicò a Venezia una raccolta
col titolo : «.< Rime di diversi nobilissimi ed eccellentis-
simi autori in morte della signora Irene di Sjnlim-
bergo ».

Marco Minghetti toccò di questo fiore, spento anzi


tempo, neir articolo « Le donne italiane nelle belle arti
ne' secoli XV e XVI», edito dalla Nuova Antologia. Egli
parla anche di Properzia de' Rossi, modenese (m. 1530),
di Lavinia Fontana ( 1552-1612), di Plautilla Nelli (n. 1523),
di Sofonisba Anguissola, di Marietta Robusti e di Laura
Bovio.
Il Tansillo, in un suo sonetto, imagina che l' anima
di Irene sia contesa in cielo da diversi; ma è rivendicata
a sé da Natura:

Perchè si novamente laggiù pinse

Che vaga col suo stil 1' alta donzella


D' imitar la mia man. 1' as-giunse e vinse.
164 GIULIA GONZAGA

Ed ecco il sonetto, scritto da Eleonora duchessa di

Mondragone, per la compianta giovane:

Quella, che co' soavi almi coaceuti


Onde fermar potea del corso i fiumi
E render queto il mar, placidi i venti,
Dolci far spesso alpestri aspri costumi;
Quella, che co' suoi chiari e santi lumi
Tosto liete facea le afflitte menti,
E spargea grazie tali infra le genti,

Che di terra fean ciel, d'uomini numi;


Quella, che con la man più eh' altra mai
Leggiadi-a Apelle e Pallade vincea
E con la dotta penna ogn' altro ingegno,
Morte ne invola. Ahi Ciel, come tu il fai,
Che Donna tal, anzi verace Dea
Di queir empia soggiaccia al fero sdegno •?

Ippolita morì in Napoli il 9 marzo 1563, dopo nov e


giorni di malattia, nell' ancor verde età di ventotto anni,
assistita affettuosamente da Giulia Gonzaga, come ne fa

fede la seguente lettera, che il marito inviava a Vespa-


siano il 13 di quel mese:

Io sono riuiaso tanto afflitto e sconsolato di questo tanto acerbo


accidente, il quale ora mi porge si amara materia di scrivere a V. S.

che a gran pena mi basta animo di darle si doloroso ragguaglio. La


1'

duchessa mia è morta, ed io non so come sono rimasto in vita, ed


insieme sepolto in im eterno dolore. E per narrare brevemente a V. S.
il caso, le dico che essendo ella stata dal primo di marzo per sino li

sei con un poco di febbre, accompagnata con dolore di testa, ed essendo


alli sette di questo mese interamente del tutto sanata, aveva determi-

nato per permissione de' medici uscir fuora di letto. Ma fu soprag-


giunta intorno alle 18 ore del medesimo giorno da mortale e tanto

non più inteso repentino discenso, che la notte, circa le 7 ore innanzi
al martedì 8 dell' istante, presente la signora Giulia Gonzaga Illustris-

sima, la quale per farci delle solite grazie volse ritrovarsi dal princi-
pio dell" infermità per infino all' ultimo, col fare que' rimedi, che a lei
col consenso de' medici parevano migliori, passò di questa vita lasciando
me in quel supremo grado di dolore involto, che non riceve augu-
mento. Non ho voluto mancare, riputandomele quel servitore, che le
sono, di darle questa amara e angosciosa novella e insieme dolermi
CAPITOLO Vili 1()5

seco della morte dell' 111. mo Signor Cardinale di Mantova ('), che in

questo medesimo punto a tanto dolor mio mi è soprag'giunta, pregan-


dola a tener per me nell' avvenire quella memoria di comandarmi,
che merita la servitù, che le tengo e il desiderio, che sempre^ avrò <li

servirla.

Più importanti ancora per diversi particolari , che


riflettono in isjiecial modo Giulia, sono due lettere ("),

elle il Tansillo diresse ad Onorata Tancredi. Nella jìrima


del 12 marzo l.")f)3, le scriveva: «... già so che sin a
quest'ora avrete inteso il successo e come ella (la du-
chessa di Mondragone) cadde apopletica la domenica, che
fu alli VII dopo desinare, quando stava tanto bene della
sua prima indisposizione che si preparava a volersi levare :

sultito le mancò la favella sebben per lungo spazio mostrò


d'intendere quanto le si diceva. Visse dopo il caso un
giorno e mezzo, tormentata da' medici in tante e tante
maniere che fu grandissima compassione. Al fine rese a
Dio quell'anima ben nata, essendosi comunicata la dome-
nica innanzi, quand'ella stava benissimo, quasi che presaga
di quello che le doveva succedere : il qual presagio lo

mostrò ancora si tosto che si pose in letto, però che


disse che se ne morirebbe, aggiungendovi che il sig. Duca
suo si piglierebbe un'altra consorte. Or tutte le circon-
stanzie, che potevano rendere più grave il dolore , sono
concorse in questa morte sua, perchè sì giovane, sì bella,
sì valorosa e così rara signora ha messo in pubblico pianto

(') Ercole Gonzaga, zio di Giulia, Presidente del Concilio di


Trento, morto in questa città il 2 marzo 1563. Leone X lo fece vescovo
a 15 anni, e Clemente VII lo nominò Cardinale con la diaconia di
S. Maria la Nova. Ebbe importanti incarichi da' papi e da Carlo V.
Dotto, integro, avveduto, fu lodato dal Bembo, dal Sadoleto, dal Pal-
lavicino. Si calcola che abbia donato a' poveri oltre mezzo milione di
scudi.Fu per essere fatto Papa nel conclave dal quale poi uscì Pio IV ;

ma, come disse un suo contemporaneo, era assai più facile indurre i
cardinali a dargli il voto, che persuadere il Gonzaga ad accettare.
(') Furono pubblicate la prima volta dall' Affò, op. cit., p. 114.
166 GIULIA GONZAGA

tutta la citta di Napoli: di me non favello, perchè avendo


io ricevuto da lei grazie e favori più convenevoli alla
grandezza del suo bell'animo e della sua amorevolezza
che alla bassezza dello stato mio, avrò occasione di te-

nerne memoria sempiterna. Ella si è riserbata due giorni


in S. Domenico sopra terra, ove per vederla è concorsa
continuamente tutta la città. Dio l' abbia nella sua gloria !

Gran pietà è il vedere il sig. Duca privo di lei oggi,


quando gli era più che mai cara. Ma che dirò della nostra
signora Donna Giulia la quale io vidi intorno a quella
povera giovane, mentre ch'ella camminava all' estremo, in
pianto e in dolore incomparabile? Io non vi potei star
lungamente, perchè oltre lo spettacolo così tetro e così
tragico, che invitava ognuno a piangere, v'erano cento
occhi intorno delle più nobili signore di Napoli, che pian-
gendo amarissimamente facevano questo medesimo X
questa percossa si è aggiunta quella della morte del Car-

dinal di Mantova, la qual ha finito d'affliger tanto la

signora Donna Giulia che ben ha bisogno che Dio l'aiuti.

Ella fin qui se ne sta ritirata, né si lascia visitare, per-


chè in vero non sta bene ne' anco della sanità del corpo.
Intendo che alcune di queste signoie principali pur la

veggono, ed io, come potrò, farò il medesimo; ma piaccia


a Dio di conservarcela lungo tempo... Il giorno di poi che
mancò la signora Duchessa, venne a morte la signora Mar-
chesa della Padula ('), la qual morte è tanto meno ap-
parsa, quanto che è stata offuscata da quest' altro mag-
gior lume; ma invero da tutti si è sentita assai, perchè
si è perduta una virtuosissima signora. Vedete dunque voi
quanto sia lugubre e negra questa mia carta: un'altra
volta forse scriverò di cose più liete. Attendete alla vo-
stra sanità e fuggite più che potete la malinconia, comin-
ciando dall' abbruciar subito questa mia tragedia. Baciovi
la mano e con tutto il cuore mi vi raccomando ».

(1) Donna Maria Cardona.


CAPITOLO Vili lfi7

Nella successiva lettera «lei 27 marzo il Tansillo scri-


veva ad Onorata Tancredi... « la vostra signora (Giulia), seb-
bene ha sempre dinanzi agli occhi della mente cosi gran
perdita pur tollera il tutto con animo forte e cristiano....

Qui escono ogni gioi-no fuori nuove composizioni : io per


me penserò d'aver fatto punto con (juel tanto, ch'io vi

mandai con l'ordinario passato: forse potrei aggiungervi


un'elegia per vostra consolazione. Intanto mando questi
vi

sonetti e quanti me ne verranno alle mani vi manderò


parimenti, sebben intendo che si farà una raccolta di tutte
le cose che si potranno avere e si metteranno insieme a
perpetua memoria del valore di questa nobilissima signo-
ra (').Son quattro giorni eh' io vidi la sig. D. Giulia e
del male me ne parve assai bene. Ella è savia e conosce
molto bene quali sieno i frutti di questo mondo ».

La bellezza e la dottrina di Ippolita furono ricor-


date da molti scrittori. II Tiraboschi nella sua storia
della letteratura italiana (tomo 7° pag. 91) cosi ne parla:
« Ippolita, figlia di Don Ferrante, negli studi sostenne le
veci del padre e in tenera età sembrò un prodigio di

erudizione. Ne fanno testimonianza tre medaglie, in onore


di essa coniate, due mentre aveva solo 15 anni, 1' altra
quando contavane 17, le quali si veggono nel Museo Maz-
zucchelliano (t. L pag. 327). Una di esse principalmente
colla sfera e con più altri stromenti matematici, che si

veggono nel rovescio, ci mostra che di cotali studi ella

dilettavasi assai. La poesia ancor le fu cara, e Giulio Bi-


delli, a lei dedicando le sue rime nel 1551, la dice donna
più d'ogni altra atta a giudicarne. Nelle rime di diverse
donne, raccolte dal Domenichi, se ne hanno alcune di Ip-
polita, e il Quadrio afferma che essendo ella morta nel

(^) Ed infatti il Sicuro raccolse molti componimenti dovuti ad


Angelo di Costanzo, a Scipione Ammirato, a Luig-i Tansillo ecc. con
questo titolo: « Rime di diversi eccell. autori in morte dell' Illustriss.

Sig. D. Hippolita Gonzaga, Napoli, Scotto, 156i ».


168 GIULIA GONZAGA

1563, molti poeti la piansero e le loro rime furono rac-


colte da Antonio Securi ».
E qui non parrà inutile digressione di dire qualche
cosa intorno alla società femminile napoletana, la quale
non inferiore alla cultura femminile di altri centri italiani,

si faceva sopratutto notare per la correttezza della vita.


Il Graf ha potuto scrivere un bel capitolo sulle cortigiane
del tempo e specialmente di Venezia dubito che potrebbe ;

trovarsi materiale sufficiente per comporne uno su Napoli.


Se altrove la cortigiana dominava, essa addirittura trion-
fava in Roma ed il nome della maggiore di essa, V hn-
jjeria « nobilissimum. Romae scortimi » significava nella

sostanza anche l'impero di fatto esercitato da certe dotte.


La cortigiana di questo tempo subisce l'influenza del pe-
riodo della rinascenza. — « E la cortigiana, scrive il Graf,
non si contentava della sola coltura letteraria essa do- :

veva ancora andare adorna di altre virtìi, come allora


dicevasi cantare se la natura le aveva fatto dono di bella
:

voce, sonare uno o più strumenti, danzare con grazia e


usare poi sempre soavità nel parlare e garbatezza ne'
modi... Essa non aveva obbligo di essere letterata e scrit-

trice: ma doveva avere lo spirito pronto e la lingua sciolta:


•doveva sapere co' vezzi, col brio, con l'arguzia, co' modi
aff'abili ed accorti, col vario uso delle sue varie virtù,
invaghire i cortigiani, ammaliare i letterati, imbertonire
i prelati, intrattenere un crocchio, prender parte ad una
disputa, dar animo ad una festa... Come non trascuravano
le doti e gli ornamenti dello spirito, così pure non tra-
scuravano le doti e gli ornamenti del corpo, e, general-
mente parlando, nessuno di que' sussidi, onde la loro pro-
fessione poteva in qualche maniera avvantaggiarsi. Uno
de' primi accorgimenti loro, non dimenticato a dì nostri,

era di cambiare nome, spesso troppo umile


il e volgare,

ricevuto col battesimo, in un nome sonoro e peregrino,


il quale era come un suggello poetico, impresso nelle per-
sone, chiamandosi Ginevra, Virginia, Isabella, Olimpia,
CAPITOLO Vili 169

Elena, Diana, Lidia, Vittoria, Laura, Domizia, Lavinia,


Lucrezia, Stella, Delia, Flora. A colai nome esse mede-
sime, altri, solevano aggiungere quello della città natale,
o della nazione, dicendo Camilla da Pisa, Giulia Ferra-
rese, Beatrice Spagnuola, Angiola Greca e simili... (?'lie

attendessero con ogni studio a farsi belle e piacenti, non


fa bisogno di dirlo. Rinfrescavano la carnagione, inibian-
chivan e rassodavan le carni con varie maniere di bel-
letti e di lisci, votando, come dice il (ìarzoni, le spezierie
di biacca, di sublimato, di piii maniere d'allume, di bor-
race, d' adraganti, di acque distillate, di aceti lambiccati
e non rifuggendo neanche dall'uso di certe sudicerie sto-
macose, alcune delle quali sono ricordate dallo Zoppino.
Tingevano in biondo i capelli con acque medicate, di cui
sono pervenute fino a noi le numerose ricette, assogget-
tandosi a tal uopo a pratiche lunghe e penose. Ne' loro
spogliatoi era un barbaglio e un arruffìo di specchi, di

ampolle, di bossoli, di pettini, di forbici, di gioielli, e


l'aria affogava con l'alito acuto dell'acque rose, dell'acque
nanfe, dell'acque muschiate, de* zibetti, degli ambracani,
de' mirabolani, del benginì e di mille sorta di polveri, di
pa.sticclie, di saponi. Anzi, afferma il Garzoni, che tutta
la casa olezzava di profumi. Ne' si deve di ciò dar troppo
biasimo alle cortigiane le quali non facevano vera-
mente se non seguitare comune. Ercole Benti-
l'usanza
voglio, parlando delle donne del tempo suo, dice ben rare
quelle che non adoperassero il liscio, e quanto all'uso di
imbiondirsi i capelli, era uso di tutte le donne italiane;
ma più particolarmente delle veneziane... Nel vestire osten-
tavano somma eleganza e lusso eccessivo. Usavano bian-
cherie finissime e profumate, vesti di seta, di velluto, di
drappo d'oro ricchissime, acconciature pompose, pellicce
delle più rare, guanti preparati con la concia di gelso-
mini di Spagna, o di garofani, trine e pizzi preziosi di

Venezia, e abbagliavano con lo scintillio delle anella, delle


maniglie, delle collane, de' pendenti, de' diademi. Erano
170 GIULIA GONZAGA

sempre le prime a seguitare le nuove fogge, le quali


mutavano spesso... Se eccessivo era il lusso nel vestire,
non minore era quello delle abitazioni, degno spesso di
principesse, non che di cortigiane. Palazzi sontuosi ospi-
tarono sovente le Olimpie, le Diane, le Ortensie più fa-

coltose. Una saltarella pagava in Roma 80 scudi d'oro di


pigione, Isabella di Luna ne pagava cento, somma più
che cospicua pel tempo. Le stanze erano non di rado
tappezzate di arazzi preziosi, di broccati, di drappi d'oro,
di cuoi dorati, oppui^e mostravano le pareti e le volte
dipinte da mano maestra. In terra, su per le tavole ve-
devansi tappeti turcheschi. I letti avevano lenzuola di
renza finissima, padiglioni di raso, coltri di seta, cuscini
ricamati, e a' letti facevano degna accompagnatura seg-
gioloni di cremisino, di velluto listato d'oro, scranne scol-
pite, specchi riccamente incorniciati, spalliere pompose,
cofani e stipi leggiadramente intagliati e intarsiati. Nelle
credenze scintillavano le argenterie, le maioliche di Faenza,
di Cafaggiolo, di Urbino, i vetri di Venezia; e, raccolti
in artificioso assetto, o sparsi in vago scompiglio vede-
vansi per le stanze quadri, statue, vasi preziosi, armi
eleganti, liuti e mandòle, libri sfarzosamente legati, nin-
noli d'ogni sorta e perfino anticaglia. Cagnuoli da tenere
in grembo, gattini lindi e co' fronzoli, pappagalli loquaci,
scimie ghiribizzose e altri animali piacevoli o rari, em-
pievano la casa de' giuochi e delle voci loro e facevano
festa alla padrona. Negli atrii, nelle logge, nelle antica-
mere, era uno sfoggio ridente di fiori e di piante pere-
grine... In tali case, in mezzo a siffatto lusso, accoglievano
gli amici e gli ammiratori loro e come ei'ano esse di tutti

i ritrovi eleganti, così tenevano ritrovi elegantissimi, a'

quali non mancavano ambasciatori e prelati, cavalieri,


musici e ogni maniera di artisti (^) ».

(') Graf, Attraverso il ciaquecento. Torino, Loescher, 1888, p. 231.

Giustamente osserva il eh. scrittore: a' tempi di Pericle e dì Alcibiade


CAPITOLO Vili 171

Inutile osservare che hi religione era s(i-iunento ot-


timo — allora come sempre — in mano di esse. L'Aretino
la dire dalla Nanna alla figliuola:

«... accaderà che andrai al Popolo (S. Maria del Popolo a Roma),
alla Cou.'^olazione, a S. Pietro, a S. Janni e per le altre chiese princi-

pali ne' (li solenni ; onde tutti i galanti signori, cortigiani, gentiluomini
saranno in ischiera in quel luogo che gli sarà più coinrnodo a veder
le belle, dando la sua a tutte quelle che passano, o pigliano de l'accpia
benedetta con la punta del dito, non senza (lualche pizzicotto, che
cuoca ».

Era il gran mezzo per agir male ed ac({uetare la pro-


pria coscienza , seguitando ad agir male. La Martinella
del Contile dichiara: « odo la messa una volta al mese,
dico la corona ». Paolo IV e Pio V obbligarono quelle
donne ad ascoltare la predica ogni tanto ed è davvero esi-
larante quanto riferisce a loro riguardo un avviso di
Roma del '.M) novembre 1566:

1 Domenica passata furono intimato tutte le cortigiane che alle


20 ore andassero alla predica in Santo Ambrogio. Li predicò un tren-

tino che, salito in pulpito, cominciarono a romoreggiare fra loro ed a


sorridere, di modo che
il buon padre rise anch' egli un pezzo {sic !) :

pur buona mente di Sua Santità, solicitò alla salute


alla fine disse la

delle anime loro.... Li birri stetero alla porta della chiesa, acciò non
entrassero alcun omo: ma ve n'erano da fuori da due mila! ».

Prototipo dell'etera romana è Tullia d'Aragona, figlia

di Giulia Campana, decantata tra le belle di Roma, che


a' traviamenti educò la figlia e più tardi vi avviava la mi-

nore e bellissima figliuola Jole, a gran fortuna morta nel

il matrimonio in Grecia comincia a cadere in discredito : nel cinque-


cento in Italia moltissimi lo detestano, moltissimi lo deridono ed i

letterati sono quasi tutti dell' avviso dell' Aretino, il quale dice la mo-
glie esser peso da lasciare alle spalle d'Atlante. Il celibato delle per-
sone colte, de' letterati e degli artisti tende a suscitare l'etera e la
cortigiana.
172 GIULIA GONZAGA

fior degli anni. L' ingegno e la cultura di Tullia ebbero


tanti lodatori quanti non ne ebbero forse l' ingegno e la
cultura della Colonna, unica e vera antitesi che allora le
si potesse contrapporre. La sua bellezza , celebrata da
moltissimi scrittori , fu a noi tramandata in una bella
tavola (dato che quella, secondo la tradizione, rappresenti
Tullia) da Alessandro Bonvicino, detto il Moretto, conser-
vata nella civica pinacoteca di Brescia. — Il dipinto, cosi lo
descrive il Biagi, rappresenta una giovane donna bellissima,
col capo leggermente reclinato a sinistra, e avente nella
mano sinistra una bacchetta d' oro piuttosto lunga e sot-
tile con in cima un ornamento a modo di scettro. Come
fosse stanca, appoggia il braccio sinistro sopra un marmo
di forma rettangolare. Veste un ricco abito di velluto ci-

lestro, coperto in gran parte da una pelliccia foderata di


velluto rosso, e ne' capelli porta intrecciati nastri azzurri
con fili di grosse e candide perle. La grazia raffaellesca,
sposata al vigoroso colorir de' veneziani, accrescono incanto
al volto bellissimo , che vi guarda con due grandi occhi
pensosi, indimenticabili, di quelli che gli antichi poeti
d' amore chiamavano « ardenti stelle » e che noi moderni
chiameremmo « occhi fatali ». Purissimo l'ovale del viso,
fidiaco r orecchio capelli spartiti in mezzo e legger-
: i

mente ondati, raccolti intorno alla testa, che, piegando a


sinistra, lascia ammirare la linea stupenda del collo, come
colonna altera, eretto in mezzo alle trine, onde ci è na-
scosta la delicata bellezza dell' omero. La mano uscente
anch' essa di mezzo alle trine candida « come di polito

avorio e lucido alabastro » con le dita affusolate, con le

unghie color di rosa, di signorile fattura ha avuto le più

dolci carezze dal sovrano pennello ('). —

0) Biagi, un' etera romana, Tullia d'Aragona. V. Nuova Antologia,


agosto 1886, p. 654.
, ,

CAPITOLO Vili 173

A questa etera j)otcva il Muzio rivolgere i so}^uenti


versi senza che essa punto s' oflendosse !

Vien, Ninfa bella, e fra le molli braccia


Raccogli quel che, con le braccia aperte,
Disioso t'aspetta, e nel tuo grembo
Ricevi lieta l' infocato amante :

Stringi '1 bramoso amante: e strette aggiungi


Le labbra a le sue labbra : e '1 vivo spirto
Suggi de l'alma amata: e del tuo spirto
Il vivo fiore ispiri a le sue brame

Le belle membra tue morbide e bianche


Ad amor le consacra : ed al tuo amante
Qual vite ad olmo avviticchiata e stretta
Con lui cogli d' amore i dolci frutti.

Ma desidero trasportai-e le mie lettrici — se qualche


lettrice avrà il mio lavoro — in più spirabil aere, e far
suonare al loro orecchio alcuni nomi di buone e care
donzelle , ricordando brevemente i drappi e le eleganze
sfoggiate dà oneste fanciulle e da stimate gentildonne in

questa stessa Roma, ove il costume femminile sembrava


per sempre perduto.
Allora non avevamo le mode di Parigi, né le sete di
Lione; ma non per questo le nostre donne potevano ab-
meno riccamente e meno artisticamente, poiché,
bigliarsi
come ricorda un erudito scrittore, tesseva Firenze d'ogni
ragione di drappi; ma più ricerchi erano i suoi allarati,
le saia di grano, i panni e le rascie pagonazze, il perso
peluzzo e il piano, il monachino, il panno e la saia rossa
garba, la rascia nera, il resino garbo, il capo di picchio,
il cilestro, le tele di S. Gallo e le bottane, le telette in-
fine d' oro e d' argento, filato a opera sopra orditi gialli

verdi. Da Venezia venivano le saie ed i drappi rosati ;

da Siena il panno perso, il garbo lionato, la saia bianca


garba ed il rovescio rosso ; da Vicenza il panno garbo nero,
verde, turchino, bigio e lionato; dalle Marche i mini
oltrafini e grossi; dalla Romagna l'umile romagnolo; da
174 GIULIA GONZAGA

Perpignano lo scarnato, il ranciato, il lionato, il roano;


da Prato e da Camerino il lionato; da Perugia la saia

bigia nera; da Genova e da Firenze i velluti: da Na-


poli le bombagine meglio tessute e meglio stampate delle
portoghesi.
Se non che ho promesso un elenco di signore a modo,
proprio di « fiori illibai issimi senza mistura di alcuna gra-
migna cortigianesca » ed eccolo, completato appunto dalla
descrizione delle fogge e de' drappi allora in uso. E un
interessante brano di cronaca, e chi 1' ha scritto —
disgraziatamente ne ignoriamo il nome — doveva avere
qualità da disgradare certo i nostri migliori reporters.
Egli dunque ,
parlando di un geniale convegno per una
orrevolissima festa data in Roma da « un Comandatore in

Santo Spirito», dice;

« in prima adunque fulgurava Martina Cesarina in veste doro


tirato, cinto con perle, sbernia di raso pavonazo et scufl3.a doro con
perle lavorata; seguitava Coronata in veste di broccato riccio, sbernia
di taffettà cangiante, cinto di smalto, scuffia doro, con un cerchio di
fili dargento et seta verde mista ala moresca nela fronte ; succedeva
Concordia della Valle in veste di broccato d' argento, cinto d' oro,

sbernia di raso cremesino puntato d' oro, et dal cubito fino ale mani
pareva con perle una pallade armata : seguivala appresso Portia Arbe-
rina in veste di damasco bianco, zenzili bianchi et cinti de una ma-
tassa di perle leggiadrissime ; sotto lei era Cornelia Caffarelli in veste
di tabi turchino listata d' oro tirato con un petto et cinto di perle,
sbernia di raso cremesino con scacchi d' oro variata et scutfia d' oro,
procedevali a la sinistra Innocentia Mathalena in veste di tabi giallo,
cinto de un cordone di corniola con bottoni d' oro intermezato, di sopra
haveva li zenzili et in fronte li pendeva una palla di baiaselo lucidis-
simo ; succedeva a lei Lutia Bufolina in veste di broccato de argento,
cinto de oro tirato con quattro teste di smalto imi^eratorie, scutfia d' oro
et di perle ricamata; allato li era Sofonisba Cavaliera in veste di ciam-
bellotto candidissimo listata di velluto cremesino, zenzili di sopra, cinto
di medaglie d' oro, secondo intendo, antiquissime ; questa dolcemente
teneva per mano Costantia Tomaroza in veste di raso pavonaza listata
a cordone d' oro con balzana d' oro, sbernia di taffettà bianca, cinto de
una tela soriana con pendagli d' oro et più sete divisato, scuffia di seta
verde, con oro et perle variata; allato a lei erano le due belle sorelle
,

CAPITOLO VJII IT.")

Alexandra et Viollaute Mellinu molto in oro, in jioclil anni, in excessiva


forma specialissime. (Queste erano in uno «li quelli sugg-esti con molte
altre, quali non bo memoria a ricontarle. Nel altro dicontro in prima
era Faustina degli Alterii in veste di raso paonazzo con zenzili, cinto
de una matassa di perle di molti cerchi et catene al collo li ridevano,
ne la fronte un circuletto d" oro, dove erano expressi di smalto li segni
XII del zodiaco; allato a lei era Armellina Centia in veste sotto et
sopra di purpura candidissima, scuffia di rete d' argento, cinto di perle
con qual(iue gioia bonoratissimo: a la sua sinistra era Imperia Co-
lounese, sotto et sopra in broccatello cremisino con balzana de oro et
zenzili sutilissimi, cinto de uno cordone di bottoni d' oro, con una
palla di smalto, dove tutti li elementi effigiati artificiosamente si ve-
devono : seguiva Sabina Matuza in veste di damasco verde, che pareva
\in papagallo quando si vagheggia, con zenzili bianchissimi, con una

frontiera d' oro donde pendeva una croce de diamanti, cinto de meda-
glie d' oro, corniole et diaspri con grande arte catenati succedeva a :

questa la vaga Aurante Casale et la modesta Cassandra Boccamaza,


tutte due spose, in un habito, in una beltà, in un volere, in una casa
spectatissime (*) ».

Tornando a discorrere di quella società napoletana


alla quale direttamente partecipò Giulia e prima di ricor-
dare alcune donne, che insieme colla Gonzaga maggiormente
allora si per bellezza e per cultura, darò un
distinsero
cenno complemento del quadro presentato sulla moda
(a

di Roma) sulla moda dirò così di Napoli. E una bellissima

descrizione lasciataci da un diligente cronista nella quale, ,

colle indicazioni de' drappi e delle stoffe del tempo, ci


compaiono innanzi le figure di molte signore, che allora
andavano per la maggiore. Esse presero pai-te quasi tutte
alla « festa ed allo ingaudio della serenissima dona Bona
Sforza, nova regina di Apolonia (Polonia) » Bona era figlia
di quel Galeazzo Sforza, nominale Duca di Milano, avve-

lenato forse da Ludovico il Moro, ispiratore della calata


tra noi di Carlo Vili, col quale ricominciò per la nostra
povera patria la serie dolorosa di invasioni e di prepon-
deranze straniere. Bona andava a marito al re di Polonia

(^) Ct.we, carteggio inedito d'artisti, voi. 1.'' app. p. 408.


176 GIULIA GONZAGA

e la sera de' solenni sponsali, fatti a Castel Capuana, ella


si una gonella
presentò agli invitati « vestita di di raso

torchino veneziano tutta sementata di cupe di ape di mele


d' oro di martiello, e tutta la gonella era piena di cupe
sopradette e anco la barretta azzurro, e le medesime cupe
d' oro stavano seminate per le pieghe di detta barretta
con certe elitre gioie e perle, che sono estimate la gonella
e barretta docati 7000 ». — Stava la futura regina sotto
un tabernacolo « coperto di panno azzurro tutto stellato
mezzo un' arma reale, cioè 1' arma
di stelle d' oro e nello
reale dello re d'Apollonia e ^ arma della nova Regina
sua mogliera ».

Ed ecco « la lista e nome delle donne e signori de


titulo e altre che in questa festa vennero ad onorare detta
nova Regina ».

Vennero l' illustrissimo sig. Prospero Colonna (il suocero di Giulia


Gonzaga) vestito di raso e damasco nigro con la roba di velluto nigro
insorrata di martole,... la mogliere del sig. Antonio Grisone camerlengo
di casa Tomaciello come a donna vidua e in sua compagnia una sua
figlia e sua nuora, vestite con due gonnelle di imbroccato e bernie di
raso carmosino insorrate di taffetà bianca e due barrette di raso, vina
carmosina con certe teste di fiori smaltate di oro di martiello semenate
per le pieghe della berretta, e sopra la baretta un cordone di una
matassa di oro, 1' altra barretta di raso torchino di certe lettere d' oro

di martiello, semenate per le pieghe di detta barretta con un cordone


d'oro, tutte le maniche delle gonnelle alzate di cordoni d'oro e di
seta bianca, e due gTOSsi collari d' oro al collo, le quali erano accom-
pagnate dalli loro mariti, cioè la figlia dal sig. Gio. Vinc. Carafa e
r altra dal figlio del detto sig. Gio. Antonio : li quali andavano vestiti
con due saiuni di velluto morato carmosino e robbe di raso nigro,
una inferrata di lupo cerviero e l' altra di martole e le mule guarnite
di velluto nigro e francie di seta. Appresso venne la mogliera del
sig. Velardo Piscicello, vestita di imbroccato con un grosso collaro al

collo e una barretta di velluto nigro con certe fogliacee d' oro di mar-
tiello, semenate per le pieghe della barretta e accompagnata da suo

marito, vestito di velluto nigro e sua mula guarnita anco di velluto e


france di seta e in loro compagnia una sua zia, mogliera di .M. Cola Ma-
riconna vestita con una gonnella di raso morato carmosino inferrata
,

(foderata) di taffettà bianco e un grosso collaro al collo, fatto a canocchie


CAPITOLO Vili 177

d' oro e una eentura di oro di luartiello. Appresso vennero due yeu-
tiMonne di casa Caracciolo, una vestita di velluto lionato e l'altra di
raso lionato con due g-rossi collari al collo, acconipaynate da multe
altre donne ben vestite ;
— lo figlie dell' eccellente signora Contessa
di Terranova, cioè di Madama Vittoria dello Manzo , tutte vestite di
imbrocato e di velluto di diverse sorti , e bellissimi collari d' oro al

collo e barrette di velluto negro con certe seggie di foco di oro semi-
nate per le pieghe delle barrette e nuilte altre donne in loro compagnia.,
molto ben vestite. Appresso vennero la tiglia del sig. Gio. Ant. Bul-
cano, vestita con una gonnella di raso bianco e certe seggie di foco
d' oro di martiello per le pieghe della detta berretta per corrispondere
con lo collaro, e una eentura d* oro di martiello ;
— l' eccellente signora
contessa di Matalune (Maddaloni) di casa Sanseverino, vestita di vel-
luto morato carmosino e in sua compagnia l'eccellente contessa di
Rugo, vestita morato carmosino e un grosso collare al collO'
di raso
d' oro, e anco e' era con loro la mogliera del sig. Io. Tommaso Car-

rafa, con una gonnella di raso carmosino fasciata con certi frisci d' oro

tirato con ini grosso collare al collo e andava a cavallo a una acchinea
(chinea), guarnita di velluto carmosino e france d'oro e seta negra:
— r illustrissima signora principessa di Francavilla di casa di Avalos
come a donna vidua, quale era, portata per lo braccio dall' illustrissimo

signore Fabrizio Colonna; — la moglie del locutenente della Sum-


maria, nominato messer Geronimo di Francisco Ciciliane con due sue
figliuole: tutte due andavano vestite di raso carmosino, cioè le gon-
nelle con certi arbori di dattoli di imbroccato seminato per le gonnelle
poste di ricamo multe ricche, e due barrette in testa del medesimo
raso, con certi arbori di dattoli d'oro di martiello seminate per le
dette pieghe delle barrette per corrispondere alle gonnelle. — Appresso
venne la mogliera di Cosen Colle Catalano Regente del Consiglio reale,^

vestita con una gonnella di velluto morato carmosina e in sua com-


pagnia una sua figliuola, vestita con una gonnella di raso carmosino,
con certe penne d' oro di martiello semenate per la gonnella e in testa
una scuffia d' oro e una barretta di raso carmosino e in le pieghe
certe penne d' oro di martiello ,
per corrispondere con la gonnella e
al collo un ricco collaro d' oro fatto a penne. — Appresso vennero
certe donne dello seggio di Montagnia, cioè la mogliera del signor
Gio. Turco Cicinello, vestita con una gonnella di imbroccato con una
bernia di raso carmosino con un collaro al collo , e una lìarretta in

testa di velluto nigro, con certe teste di garofani d' oro di martiello
e in sua compagnia molte altre donne vestite tutte di velluto e in

raso di diversi colori ;


— la mogliera del barone di Gragnano con una
gonnella di imbroccato e con un collavo fatto a spina pesce molto
bello e sua barretta di velluto carmosino , con certe comete d' oro di

12
178 GIULIA GONZAGA

martiello, tutte belle smaltate semenate per le pieghe della barretta.


— Appresso venne la mogliera del sig. Gio. Battista di Abenabulo di

casa Caracciolo con una gonnella di imbroccato e bernia di raso car-


mosino, con barretta di raso morato carmosino e certi truncbi di oro
di martiello semenati per le pieghe, e al collo un grosso collaro fatto

a spere;.... l'illustrissima marchesa di Bitonto , vestita con una gon-


nella di raso negro fatto a trippa e sua bernia di velluto nigro, e
barretta di velluto nigro e 1' eccellente contessa di Culisano sua sorella
di casa di Gonzaga, vestita di velluto nigro e in loro compagnia era la

Marchesella della Padula , loro nipote , vestita di imbrocato ed era di


circa 8 anni e in loro compagnia erano molte altre donne bene in

ordine. — Appresso venne la contessa che fu di blatera e sua cognata,


vestita con gonnella di imbroccato raso e bernie di imbroccato riccio
sopra riccio e due grossi collari al collo : vennero a cavallo a due
mule guarnite di velluto e france d' oro e seta. — Appresso venne la

mogliera del figlio del conte di Cariati di casa Spiniello con una gon-
nella di imbroccato riccio e al collo un bello e grosso collaro e in
testa una una berretta di l'aso bianco con certe let-
scuffia d' oro e
tere d' oro di martiello semenate per le pieghe di detta barretta
e una centura di oro. Appresso venne l' illustrissima signora Vice-
regina moglie di don Romualdo de Cardona Viceré del Regno di
, ,

Napoli, a cavallo a una chinea guarnita di imbroccato e france di


oro ed essa andava vestita con una gonnella di tela d' oro, tirato cioè
la metà e 1' altra metà di tela d' argento tirato tutta la detta gonnella :

era semenata di quaquiglie di Santo Jacovo d' oro di martiello, e sua


barretta di raso azurro con le medesime quaquiglie semenate per
le pieghe della detta barretta con molte perne e gioie; e era portata
per le braccia dall' Illustrissimo sig. don Ferrante d' Alarcene , Viceré
di Calabria, vestito di raso nig-ro: e anco in sua compagnia era la

mogliera del sig, Verzegno, maggiordomo del Viceré, e la mogliera


del segretario Seron, tutte due vestite d' imbroccato e barrette di
velluto carmosino , con certi arbori d' oro di martiello , semenate per
le pieghe della d. barretta e collori d'oro bellissimi; e anco in loro
compagnia era l' illustrissima prencipessa di Salierno di circa 12 anni,
vestita di velluto nigro e molte altre signore vestite di imbroccato e
velluto di diverse sorti, tutte con ricchissime collane e barrette, e anco
In questa compagnia era la illustrissima sorella di detta illustrissima
signora Viceregina, principessa di Bisignano, vestita di velluto nigro.
— Appresso venne la figlia del Duca di Mont' Auro , nominato don
Ferrante di Ragona, con gonnella d' imbroccato riccio, coperta di
raso carmosino intagliato di modo che si mostra dall' uno all' altro e
in testa una scuffia d' oro e una barretta di raso bianco con certe
lettere d' oro di martiello per le pieghe della barretta , e per cordone
,

CAPITOLO VIIJ 179

dfUa barretta certe perne g-rosse più elio una fava j^rossa 1' una e per
medaglia un bello e g-rosso rubino, al collo un bel collaro d'oro e una
centura di oro di martiello e sopra la barretta per cordone certe i)erne
g-rosse quanto una fava 1' una e in sua coinpag-nia era sua madre di
casa di Cardona , vestita di velluto morato carmosino. — Appresso
vennero la mogliera del barone Tolosa e sua cognata, vestita di im-
broccato riccio e bellissime collane e barretta in testa con molte perne
e gioie semenate per le jìiegbe della barretta : — la signora marchesa
di Laino di casa Caracciolo , inante di suo marito , con una g-onnella
di raso morato carmosino , portato in Sciacclie , tutta semenata di
fogliame di seta di oro di martiello: — l'eccellente signora contessa
di Nicastro con gonnella di raso carmosino con truncbe d' oro di mar-
tiello, fatte mezzo d' oro dello medesimo
a quatre, con certe stelle in
semenate per la gonnella e in testa con una medesima guarnizione
come alla gonnella e del medesimo oro e al collo >m ricco collare e
una centura d' oro di martiello — la duchessa d' Amalfi a cavallo a
;

una chinea bianca guarnita di imbroccato riccio con g-uarnimenti di


argento molto riccamenti fatti e sei staffieri vestiti di raso verde e
velluto lionato con saiuni del medesimo ed essa andava vestita con
vma gonnella di imbroccato riccio sopra riccio la metà mezza d' oro ,

e r altra metà di imbroccato d' argento con certi frisi d' oro di
martiello fatti a comete e una scuffia d' oro e una barretta di raso
azurro con certe comete d' oro di martiello , semenate per le pieghe
per corrispondere colla gonnella e al collo un ricco collare e una cen-
tura d'oro di martiello e sei sue creature vestite di damasco impa-
gliato, fasciate di velluto negro con pistagne di taffetà fjianco e anco
la detta duchessa portava sotto le maniche strette di raso bianco tutte
semenate d'oro di martiello. — Appresso vennero l'illustrissima mar-
chesa di Ilicito, vestita con ima gonnella di imbroccato riccio sopra
riccio, e certe spere d' oro di martiello semenate per la gonnella e una
barretta in testa di velluto azurro con le medesime spere di oro per
le pieghe per corrispondere con la gonnella e un g-rosso ooUaro al

collo d'oro e una centura d'oro di martiello: — la contessa di Venafro,


vestita di raso carmosino con certi frisi d' argento di martiello seme-
nate per tutta la gonnella e in testa una scuffia d' oro e una barretta
di velluto negro, con certi interlazzi d' argento semenate per le pieghe
della berretta; eun grosso collaro d'oro al collo e una centura d'oro
di martiello ed era accompagnata da suo marito lo quale andava ,

vestito con un saione di velluto carmosino e uno capusso di velluto


nigro inforrato di damasco. — Appresso venne lo signore Alfonso
gualando con una robba di imbroccato riccio sopra riccio e saione di
velluto carmosino alto bascio e una scuffia d' oro e barretta di velluto
con una ricca medaglia e un grosso collaro d' oro : — e lo sig. Gio.
ISO GIULIA GONZAGA

Alfonso Picciolo , suo cognato , vestito con un saione di imbroccato


riccio e una robba di velluto carmosino alto in bascio , inferrato di
tela d' argento con una scuffia d' oro e barretta di velluto. La signora
Isabella Gualanda sua mogliera , con una gonnella di tela d' argento
con seggio di fuoco d' oro di martiello con un grosso collaro d' oro e
barrette di raso bianco, con certe seggio di fuoco correspondenti alla
gonnella, semenate per le pieghe ».

Poi la sposa fu ingaudiata, cerimonia cosi compiuta


che « lo Piscopo fece le sue cerimonie e 1' altro Amba-
sciatore le pose r aniello e dopoi basai doi dete della
mano deritta, et quelle le messe in la fronte della nova
Regina e dapoi le tornai a basare et le fé' una degna
reverenza ».

La sera fu fatto un gran convito: « incomenzaro a


magnare circa le due ore di notte e compierò circa le
undici ore di notte ». Nove ore!... Proprio a tavola non
s'invecchia! — E per chi avesse vaghezza di conoscere
il rn'enu, io riproduco tale e quale anche questa descri-
zione del cronista;

In primis pignolata in quattro con natte e attonnate. — Insalata


d' herbe. lelatina - Lo bollito e bianco magnare con mostarda con
r ordine suo - Li coppi di picciuni - Lo avrusto ordinario con mir-
rausto e salza de vino agro - Le pizze sfogliate - Lo bollito salvaggio
con putaggio ungaresco e i^reparato - Li pasticci de carne. Li pagoni
con sua salza - Le pizze fiorentine - Lu arrusto salvaggio e strangola
preiti - Le pastidelle de carne. La zuppa nauma - Lo arrusto de fasani.
Almongiavare - Li capuni copierti - Le pizze bianche. E appresso gela-
tine ingotti - Conigli con suo sapore. Li guanti - Le starne con lemon-
celle sane. Li pasticci de cotogne - Le pizze pagonazze - Le pastidelle

de zuccaro per tutte le tavole.

E il diligente cronista aggiunge altri particolari:

Alla tavola della signora Regina fo (fu) fontana de adure; le


tartette per tutte le tavole; alla tavola della signora regina con detto
misso castagne de zuccaro con lo scacchiero ; le nevole e procassa ;

confietti e.... 1' acqua a mano di buono odore.


rAPITOI.n Vili ISl

Egli volle l»ui' darvi coiuiikMa iioli/iu ik-l coireiln


delia sposa e del numero e della qualitii delle lenzuola:

Cento e fimiue camicie, dodici petteuaturi, centoventi niuccatiiri

lavorati di cordona d'oro e seta di diversi colori, 18 coltre di letto,


r argenteria e le g-onnelle.

Ve ne era una

« di tabi d' oro incarnato g-narnita di seta bianca o velluto negro ;

una di raso torchino listata d'oro con iesomine d'arg'ento tirato; una
di damasco d'oro tirato con le tiamme divelluto carmesi: una di raso
bianco con le fiamme di imbroccato di pilo; una di raso turchino seme-

nata di cupe d'api d'oro di martiello, che costa 4000 ducati d'oro » ecc.

In ultimo « venne una cascia vacante, la quale l'u

messa avanti a que' signori nobili e ientilhuomini, e dapoi


vennero quindici piatti pieni di docati e che t'oro allo
numero di 100,000 docati d'oro, tra quali ce foro assai
ducati fonisi e contraffatti e quelli foro messi dentro la
detta cascia in presenza di multi signori! » Il povero re,

quando la sposa giunse in Polonia, ebbe non solo la sor-


presa di trovare la moneta falsa, racchiusa nella cassa;
ma, a dire de' maligni del tempo, ebbe pure una seconda
sorpresa dolorosa, ed una terza — che avrei dovuto chiamar
prima! — addirittura dolorosissima; — coster-
pel clie,
nato, uscì nel famoso lamento: Regina Bona nobis attidit
tria dona.... con quel che segue!
Ed ora, accennati i costumi e le donne allora piii in

voga, aggiungerò qualche cosa per alcune più meritevoli


di encomio e strette da rapporti con Giulia Gonzaga, colla
quale si contesero il primato in mezzo a quella società
femminile napoletana che maggiormente si faceva notare
per grazia e per ingegno.
Allora, colla Gonzaga, erano celebrate quali colte e
bellissime le due sorelle Giovanna e Maria d'Aragona,
Isabella Sanseverino , Isabella Brisegno , Ippolita Gonzaga,
duches.sa di Mondragone — della quale ho già diffusamente
182 GIULIA GONZAGA

parlato — Lucrezia Scaglione e le poetesse Maria Cardona,


Dioiiora Sanseverino e Laura Terracina.
Alcuni anni prima aveva fatta la sua splendida com-
parsa nel circolo delle nobili dame napoletane Vittoria
Colonna: non solo il suo ingegno e la sua onestà erano
ammirati: essa aveva saputo procacciarsi lode anche per
la sua eleganza ; ed un cronista del tempo ce la fa avviare
ad una solennità « a cavallo a una chinea bianca e negra,
guarnita di velluto carmosino e francie d'oro e argento
et sei staffieri vestiti con saiuni et ieppuni de raso giallo
et raso torchino, et essa andava vestita con gonnella d'im-
broccato et velluto carmosino con rami grandi d'oro di

martiello semenate per la gonnella et in testa una scuffia


d'oro et una barretta di raso carmosino con li medesimi

lavori d'oro et una centura d'oro di martiello et in sua


compagnia sei dame sue create, vestite di damasco azzurro,
fatto a cirielli ».
Viveva ancora — inoltrata negli anni — oggetto di

singolare rispetto, esempio di perfetta educatrice, la prin-


cipessa di Francavilla , donna Costanza d'Avalos , vedova
di Federico del Balzo, conte di Acerra. Essa era divenuta
illustre per l' animo suo intrepido durante la difesa di
Ischia contro i francesi. Mortile i due fratelli Alfonso ed
Innico, prese cura speciale de' rispettivi figli superstiti, cioè
di Ferrante Francesco Davalos, divenuto marchese di Pe-
scara e di Alfonso Davalos, divenuto poi marchese del
Vasto: l'uno sposò Vittoria Colonna, l'altro Maria d'Ara-
gona. I due cugini lasciarono un nome chiaro nella storia
militare, specie il primo, cui Costanza aveva dato per mae-
stro Giambattista Mosefilo. Ma
veramente allevò ad alti
chi
sensi i due valentuomini fu proprio la principessa di Fran-
cavilla. « La fiera educatrice, cosi il Reumont, ricordava
assiduamente a' nipoti la gloria degli avi; ricordava ogni
speranza di lor casa esser riposta nel loro valore e li

faceva addestrare alle armi, dove riescirono eccellenti,


,

CAPITOLO Vili 1<S3

senza tralasciare la coltura dcH' animo. <^>u;iiiil() i iiepoti,

precocemente venuti in fama , si cimentavano nel campo


di battaiilia, ella vegliava sulle loro mo|i:li: — o. nel
castello d' Ischia passarono molti anni Vittoria Colonna
consorte del Pescara e Maria d'Aragona, consorte del Vasto.
Solo in tempi d'ozi e quando tornava il marito, la Mar-
chesa del Vasto abitava a Pozzuoli , in una villa , o nel
palazzo che avevano a Ghiaia, accanto alla torre, che por
essere appartenuto al celebre Pontano, ne aveva ritenuto
il nome ».

Giovanna d'Aragona, fattasi presto cono.scere per al-


cuni sonetti e stampe in istile gioioso , aveva sposato il

1521 Ascanio Colonna, fratello di Vittoria, uomo per


costumi tanto diverso, fortunatamente anzi troppo diverso
dalla maggior parte degli uomini. Egli si abbandonava
completamente agli studi di astrologia e di alchimia. Non
era bastato a guarire certi matti l' aneddoto attribuito a
Leone X, cui un tale, colla speranza d'un grosso premio,
aveva dedicato un libro sull'alchimia: il papa mandò
un premio , ma assai modesto , una borsa vuota osser- ,

vando che ad un valentuomo , inventore del metodo pei'


fabbricare l'oro, sarebbe stato necessario solo quell'og-
getto per riempirlo del prodotto della splendida invenzione.
E Giulia Gonzaga scriveva: « l'è pure una gran cosa che
mendichi e pidocchiosi veglino arricchire
questi furfanti ,

ognuno quasi che più molesta loro sia l' altrui povertà
e miseria che la propria mendicità! » Ascanio, invece di
insegnare la fabbrica dell' oro , avrebbe dovuto imparare
a conservare il proprio, perchè egli fu tanto prodigo che
negli ultimi anni di sua vita fu condannato ad una specie
di interdizione legale. E queste occupazioni erano il meno :

sembra che il valentuomo ne avesse anche alcune , uso


Eliogabalo, pel che la moglie, sdegnata, soleva dire : io mi
rassegnerei di essere volentieri sua schiava quando egli
fosse almeno padrone di sé stesso !
,,

184 GIULIA GONZAGA

Ed a ragione il Tansillo, riferendosi a ciò, cantava :

Puossi veder quaggiù segno più certo


Del ben divin cbe l' uman occhio abbaglia
Ch' uom terren non comprende il suo gran merlo ?

E proprio un tal uomo era marito d' una donna di

mirabile bellezza, della quale sono in grado di dare non solo


i connotati , ma una singolare relazione , anzi addirittura
la relazione direi dell'autopsia dovuta ad un celebre uma-
nista , medico e vescovo
ad Agostino Nilo , filosofo , :

veramente più medico che vescovo e quanto al primo , ,

titolo... seguace, come si vedrà, della filosofia dell'estetica!


Non ardisco di riprodurre in italiano quella pagina sin-

golare per non guastarne il colorito e per non trarmi


addosso qualque protesta. Eccola adunque nel suo testo :

Mediocri statura erecta ac gratiosa membris quadam admirabili


ratione formatis, ornatur, cuius habitudo nec pinguis, nec ossea, sed
succulenta, colore non pallido, sed ad rubrum albumque vergente; capil-

lis oblongis aureisque : auribus parvis, ac rotundis ad os commensuratis,


semicircularibus superciliis suffuscis, quorum pili breves sunt, nec
densitudine horrentes: coesiis ocsllis, cunctis stellis lucidioribus ,
qui
charites, atque hilaritatem omni ex parte perflant: subnigris palpebris,
quarum pili non prolixi, sed decentiratione compositi sunt. Naso per-
pendiculariter a superciliorum intercapedine ducto, mediocri magnitvi-
quae inter nasum et os iuter-
dine, atque acquali decorato. V'allecula,
posita divinaquadam proportione formata est, ore ad parvitatem verso,
semper dulce quoddam subridente, basiolam turmatim advolantia longe
magis ad se trahente quam magnes ferrum advocet atque rapiat
,
,

cuius crassiuscula labella melica, ac corallina sunt. Dentes quoque


parvi ,
perpoliti , eburnei , ac decenter contexti , anhelitu ,
qui ex eo
exhalat, admirabilem odoris suavitatem redolente, voce, quae non
liominem, sed Deam sonat: mento, conualle quadam, admodum inter-

secto, maxillis, niveo, roseoque colore affectis, facie universa quae ad


rotunditatem tendens virilem vultum refert : recto ac procero collo
albo, atque perpleno, inter liumeros illustri quadam ratione collocato :

pectore ampio, planoque, ubi os nuUum cernitur, in quo mamillae ro-

tundae, decenti mensura correspondentes, suavissimo fragrantes odore,


persicis pomis persimiles. redolent. Crassiuscula admodum manu, sil-

vestri parte nlvea, domestica vero eburnea, quae facie ipsa non est
,

CAPITOLO Vili IS")

<)l)louf,''ior, cuius pleuiusculi .iliyiti, rotandhiuo uoii breves simt, iin-

giies subincurui atque perteiiues colore per quain siiavi: thorace pyri
eversi formam subeunte, sed pressa, cuins viilelicot coims ad seotum
transversuui parvus, at<iue spliericiis, basis , ad colli ratlictMu longi-
tudine, ac planitie excellenti proportione forinatis, collocantiir. N'outre
sub pectore decenti, et lateri (juae secretiora correspondeant : amplis,
atque perrotundis coxendicibns: coxa ad tibiam, et tilna ad brachiuni
sexquialtera jn-oportione se habente, hunieris divina rationo ad caeteras
corporis partes commensiiratis, pedibus niotlicis, digitoriiiii adiiiirabili
corapositione stnictis, ciiiiis synimetria ac pulcliritndo tanta est, ut
non iniiiria Inter caelicolas collocari digrna sit (M-

25 novembre 1535 Carlo V, reduce da Tunisi


Il

giungeva in Napoli. Tornava glorioso \ìcv la vittoria sul

Barbarossa, il quale l'anno innanzi aveva tentato di rapire'


Giulia Gonzaga; e questa si recava, il mese dopo quel-
l'ingresso, a iMverii-e il suo augusto vendicatore. Sono
note le feste che allora ebbero luogo per onorare il
grande monarca. Vennero diffusamente descritte dal Rosso
ne' suoi Giornali, dal Summonte e da altri storici napo-
letani. Carlo entrò solennemente a Napoli ,
passando per
l'arco di Porta Capuana, artisticamente trasformato con
simboli, commemoranti la gloria del vincitore, su' regni
del quale non tramontava il sole! — Meravigliosi erano gli

apparati. Giovanni da Nola, il principale architetto e con


esso il Manlio: tra "\\ Girolamo Santacroce, e
scultori
fra' pittori Andrea da Salerno, discepolo di Raffaello.

(^) Il Reumont. nella vita di V. C. dopo d'avere citato l'Ariosto,

a proposito di Giovanna d'Aragona : « eh' ove ne irraggia — L'alta


beltà , ne paté ogn' altra scempio « soggiunge « die i poeti non ab-
biano detto di troppo, è provato dal grazioso ritratto di lei, il quale
se non è della mano di KatTaello , fu dipinto però sotto l' immediata
sua dii-ezione, e die, noto per secoli col falso nome della regina Gio-
vanna, adorna ora la collezione del Louvre. Giovanna d' Aragona Co-
lonna non soltanto era dotata di splendida bellezza, ma era donna che
possedeva non comuni qualità intellettuali, nobili sentimenti, coraggio
civile e sincera pietà. Vittoria si trovò con lei nelle più strette rela-

zioni ».
186 GIULIA GONZAGA

avevano prestata l'opera loro. Il concepimento poetico fu


di Antonio Epicuro e di Bernardino Rota e si vuole fosse
stato medesimo formato già dianzi da Jacopo Sannazzaro.
il

Composero poi anche que' due poeti i versi latini apposti


agli edifizi, alle statue e alle pitture, che costituivano gli

apparati (^). Il Giovio che si trovava a Napoli, in data


28 decembre 1535, scrivendo a Monsignor Di Carpi, dava
qualche particolare della vita dell'Imperatore, e notava:

Sua Maestà ha fatto giustizia contro qualche barone , il quale


trattava i i:)opoli male e malissimo, tra' quali sono stati Carati, Carac-
cioli ed altri. E per non parer melanconico ha fatto maschera e vista
Lucrezia Scaglione, la quale è più bella che mai e ha due belle figlie

"maritate. Ci sono ancora tre belle donzelle, le quali compariscono


come spose, Diana di Cardona, Covella Coscia e Cornelia Gennara.
Sua Maestà potrebbe avere la dispensa delle ferite date a Tunisi
a' Cristiani se maritasse una di queste con quelli della Minerva. Vero
è che sua Maestà è fredda come la tramontana e fugge le occasioni
di peccare col pensiero.

Monsignor Giovio raramente abituato a peccare di

pensiero ,
perchè troppo spesso peccava d' opere ,
qui è
soverchiamente ingenuo : ad ogni modo è certo che sua
Maestà, fredda come la tramontana, in una festa da ballo
accordò a Donna Giovanna tre singolari favori, tra' quali

quello di levarsi la maschera innanzi alla imperiale sua


presenza! E fu sorpreso della bellezza dell'Aragonese, e,
quando venne a Roma, tentò anche di riconciliare moglie
e marito, quantunque senza risultato perchè tra' coniugi ,

sopra un sol punto l'accordo era completo; ognuno cor-


dialmente aveva giurato di sfuggire 1' altro !

E qui chiuderò il cenno di Giovanna d'Aragona ricor-


dando un singolare suo atto di audacia e gli elogi, che a
lei tributò una vera turba di poeti e di letterati. E nota la

(^) Miccio, vita di Pietro di Toledo, edita da F. Palermo. V. nar-


razioni ecc. sulla storia del Regno di Napoli, Firenze, Yiesseux, 1846,

pag, 25, nota.


CAPITOLO Vili IST

guerra fatta contro gli Spagnoli da Paolo IV. (Questi, tutto


intento a distruggere i feudi e le proprietà de' Colonnesi,
un bel giorno fece circondare la casa di D. Giovanna e la
fece lungamente bloccare, riservandosi di arrestarla col
figliuolo Marcantonio, mentre Ascanio('), perduto il castello
di Paliano, era fuggiasco. Ma D. C'iovaniia sagacemente
deluse il Papa, che credeva di tenerla sempre in ostaggio.
Profittando della solenne pompa di D. Giovanni Carafa,
nipote del Papa che veniva investito de' feudi del suo
consorte, ottenendo il bastone di maresciallo della Chiesa,
verso la mezzanotte, colle nuore, le figliuole e la nipotina,

del tutto travestito, con barbe finte e con iscarpe da


viandante, ingannando cosi la vigilanza delle guardie,
s' avviò a piedi verso Termini, accompagnata soltanto da un
suo fedele. Aveva dato ordini che ivi stessero in pronto
certi ronzini e una lettiga, nella quale entrata Ella, la
nuora e la nipotina, ordinò che le figliole e quegli altri

suoi cavalcassero i ronzini. Giunti alla porta di S. Lorenzo


e chiamate le guardie , disse di andare ad una vigna a
diporto : donò pochi giuli ad una guardia e, senza destare
sospetti, fece aprire la porta. Col modo stesso le fu aperta
la porta del ponte, onde si va a Tivoli, e camminando a
gran passi vi giunse sul fare dell'alba. Quivi dicendo che
era la signora Porzia Zambeccari, che andava ad Arsoli
suo castello, passò a Vicovaro ed indi, portata la lettiga
per queir alpestre piaggia sulle spalle di uomini già prima
provveduti diligentemente dalla Cella, terra che le appar-
teneva, si condusse a salvamento in Tagliacozzo, suo feudo.
La mattina in Roma si tenne nella sua casa il consueto
ordine della mensa, delle tavole e delle altre cose, ed a
que' che venivano per visitare la signora, la donna di

compagnia diceva che stava un poco indisposta a letto ;

ed accortamente rendeva risposta a ciascuno finché alle ,

(1) Sulla fine di Ascanio, V. l'Archivio della società romana di

storia patria, a. 1880, voi. IV, p. 330.


,

188 GIULIA GONZAGA

18 ore, conformandosi agli ordini ricevuti, ella, per mezzo


de' paggi, ne dava avviso a tutti i congiunti ed amici.
Pubblicatasi a questo modo la fuga , si mandarono , ma
indarno , cavalli correndo infìno a Vicovaro. Paolo IV
n' ebbe tanto sdegno che ordinò s' impiccasse il caporale
delle guardie destinato a custodire la porta S. Lorenzo
e dispose si aprisse una procedura contro Ascanio Colonna
apponendogli diversi delitti. All'incontro l'Imperatore ebbe
tanta soddisfazione nell'udire questo tratto di spirito che
inviò a D. Giovanna un regalo di duemila scudi.
La bellezza di D. Giovanna fu occasione al volume
edito a Venezia il 1565 dal Ruscelli : « il tempio della
divina S.'"" Giovanna d' Aragona , fabbricato da tutti i più
gentili spiriti e in tutte le lingue principali del mondo ».

Si pensò in principio di dedicare l' opera alle due sorelle ;

ma fu fatto notare che il tempio non poteva consacrarsi


che ad una sola deità! Antecipazione del seicento! E si

osservava che per D. Maria, quella per la quale il Tan-


sillo probabilmente scriveva:

« E chi vuol dir beltà dica IMaria »

per questa seconda dea si sarebbe magari fabbricato un


altro tempio, come il Nifo un volume speciale aveva a lei

dedicato. Per quella raccolta scrissero 200 autori in ita-

liano , 71 in latino, 11 in greco, 9 in ispagnuolo, 2 in


francese , 1 in tedesco. Non si può davvero negare che
quel tempio mancasse di sacerdoti e di sacerdotesse, poiché,
ad esaltare l'impareggiabile bellezza di D. Giovanna, si

unirono, con mirabile esempio di abnegazione, anche alcune


donne, tra le quali Anna Golfarini , credo napoletana,, e
Clelia Romana.
Degna, per bellezza e per virtù, fu la sorella D. Maria
che il Giannone disse : « donna di singolare bellezza , di
real presenza, e di ingegno e di giudicio incomparabile ».

Aveva sposato nel 1523 D. Alfonso Davalos, Marchese del


Vasto (cugino del Marchese di Pescara) , il giovane più
,
,

CAPITOLO Vili \S\)

bello e più baldo di Napoli, il quale, per i-aj^ioni delle


armi, lasciava quasi seini)re la moglie abbandonata nel
castello di Ischia. Donna Maria, così il Fiorentino, siti-

bonda di gloria più del mai-ito istesso, ingannava le lunghe


e pigre ore, ricamandogli vesti ricchissime, perché a nes-
suno cedesse in una rivale, che il
isjdendore. Ella aveva
marito osava preferirle Laura Monforte siciliana, dama
. ,

della principessa di Francavilla. La fiera aragonese non


fece vista di risentirsene e cercava anzi di scusare il

marito, attribuendone l'errore a virtù di maleficii e d'in-


canti, ed al fascino che l'ardente siciliana saettava dagli
occhi. Le amiche, o sinceramente indignate o piuttosto
cupide di scandali, improvvidamente la consigliavano ad
una rottura: fermo ed accortamente rassegnata,
ella tenne
alla loro insistenza, soleva replicare « non dubitate, che :

il tempo, il mio amore e la voce del dovere faranno ben


presto rinsavire mio marito. I giovanili scapestramenti
soggiungeva, disfogati che sieno , me lo torneranno puro
e deterso da ogni ruggine ». E la sua costanza- vinse di

fatti: il marito dopo tre anni aprì gli occhi e tornò tutto
alla moglie.
Pare che solo allora D. Alfonso si accorgesse che
era padrone di un tesoro che tutti potevano invidiargli
meglio insidiargli. Divenne perciò ferocemente geloso
della moglie. Quando Carlo V, reduce da' t)-ionfi della
spedizione di Tunisi, capitanata appunto dal Marchese del
Vasto, rivolse a costui alcuni complimenti intorno alla
bellezza della sposa: « di questa infuori e della mia fama,
replicò il fiero giovane , ogni altra cosa è liberamente
nelle vostre mani ». Una sera che il viceré Toledo, in

una festa, invitò gli uomini di lasciare sole le signore


ed a ciò si opponeva il cognato , destinato dal Marchese
ad accompagnare D. Maria, a non abbandonarla un istante,
ed il viceré aveva alzata la voce per questo rifiuto,

il Marchese, sopravvenuto, fece luccicare la lama del pu-


gnale sugli occhi del viceré , restato incolume solo per
190 GIULIA GONZAGA

l'intervento e la mediazione dell'Imperatore. Cosi la festa


per poco non si mutò in un dramma sanguinoso. Il fatto
produsse naturalmente molto chiasso Giulia Gonzaga, che
:

forse dovette trovarsi presente al ricevimento insieme


colla principessa di Salerno e di Bisignano, colle contesse
di Nola e di Pacentro , colla Spinelli e con altre dame ,

battezzò sarcasticamente Marchese col nome di Polifemo.


il

Del resto lo stesso Marchese era poi solito confessare che


per tre anni era stato nemico della moglie senza saperne
il perchè per altri tre ne era stato innamorato e per
;

tutto il resto era stato con lei da marito. E de' sette figli,

avuti dall'unione con D. Maria, soleva ripetere, in rap-


porto alle varie vicende della sua vita e del suo carattere,
che il primogenito Francesco era figliuolo della sua casa;
D. Inigo (poi Card. d'Aragona) era figliuolo della con-
sorte; D. Cesare della fortuna: D. Giovanni della sua bella
figura; D. Carlo dell'ira; donna Beatrice della concordia,
e donna Antonia dell' inimicizia. Ad ogni modo gli storici

sono concordi nell' ammirare l'onestà di D. Maria: la fie-

rezza di lei era tale da non permettere soverchie confi-


denze e molto meno da eccitare dubbi sul suo attaccamento
allo sposo (^). Il Carnesecchi, dinanzi agii inquisitori nel
1566, diceva che Giulia aveva messo a D. Maria il nome
di Draga « parendoli che li convenisse per essere una
signora brava et animosa, come sa il mondo » (). Il Fio-

rentino ritiene che la donna, tanto celebrata dal Tansillo,


sia stata appunto D. Maria di Aragona. Se è cosi, poche

(1) Pare che a lei, per confortarla dell' assenza lontana del marito,
Veronica Gambara indirizzasse il sonetto , del quale riproduco la prima
quartina :

Donna gentil, che cosi largamente


De le doti del ciel foste arricchita.
Che per mostrar la forza sua infinita ,

Fece voi così rara ed eccellente.

(2) Miscellanea di storia italiana. Torino, 1870, Tomo X, p. 405.


CAPITOLO Vili 191

donne possono vantare d'aver ricevuto un complimento


pili bello di quello che il gentil poeta diresse a I). Maria:

Se tu sapessi iiuante yrazie e (luante


Hellezze e quai virtù nove e celesti
Premon le spalle tue, forse diresti:
Più bello è il peso mio di quel d' Atlante !

Filocolo narra che 1). Maria , richiesta qual donna


onesta fosse al mondo, rispondesse consideratamente; « la
più superba, perchè può correggere con la severità che
possiede l'imbecillità del sesso! ». Ma il maligno cronista
non si ferma qui e mette in ballo anche Giulia Gonzaga,
la quale interrogata perchè Maria avesse conservato
D.
sempre un buon nome, arguì amente osservava: « per la
guardia del drago ladrone ». Anzi, sempre secondo quella
buona lingua di Filocolo, stizzita D. Giulia che a Napoli
molti la posponessero alle due sorelle , diceva : « la
preferenza che si concede allo due sorelle d' Aragona
nasce da ciò, che i napoletani hanno i lumi calcinati dalla
mistura » — alludendo — spiega Filocolo — con don-
nesca malignità al malvezzo che avevano elle, come tutte
le altre, d' imbellettarsi il viso. Del resto, se ciò è vero,
prova che Giulia aveva un fine spirito d' osservazione e
prova sopratutto... che i tempi non sono affatto cambiati!
Se, percorrendo le vie delle nostre gi-andi città, inebriati
da certe visioni , che sfolgorano da' cocchi , o che , come
la modesta donna dantesca, quasi sfuggendo artificiosa-
mente d'essere osservate, traversano frettolosamente i
marciapiedi, o che ci appaiono dalle finestre e da' davanzali,
ricordassimo il motto di Giulia, quante volte, colpiti dalla
verità di una più attenta osservazione, dovremmo con-
vertire r improvviso entusiasmo in una naturale nausea
ed in un profondo disgusto!
Ed a proposito di certe miserie quotidiane della vita,
mi si permetta pure di notare che se la bellezza può
suscitare contese tra vive, giunge qualque volta a stabilire
192 GIULIA GONZAGA

perfino un rapporto di invidia tra vive e morte ! E


r osservazione mi viene suggerita dalla lettura di alcune
lettere scambiate tra il Tiraboschi e l'Affò, l'autore di

una breve biografìa di Giulia inserita nel voi. « le tre ,

Gonzaghe ». Debbo quelle lettere, ancora inedite, alla cor-


tesia del Ch. C. Frati, il quale recentemente ha pubblicato
un l.*^ volume del carteggio tra' due eruditi; e ne —
riproduco alcuni brani, perchè costituiscono, nella loro
brevità, un saporitissimo dialogo:

Ajìv: queste mie tre donne, già morte, mi danno un gran fastidio:
però compatisco bene chi ne ha attorno delle vive ! (Lett. al Tiraboschi

25 maggio 17S7).
Tiraboschi: non si lasci spaventare da tre donne le quali, se
erano così gentili, come ci vengon descritte, spero che verranno una
notte a grattarle i piedi in ringraziamento della fatica per esse impie-
gata (lett. all'Aifò 28 maggio 1787). — « L' Abate Bettinelli mi scrive
gran lodi delle sue tre Goii-zaghe. E io non le ho ancora avute. Spero
che al più tardi me le porterà la signora Marchesa Paolucci >> (lett.

all'Affò, 15 luglio 1787).


A,f(): alla signora Marchesa Paolucci ho consegnato il mio
libercolo. L' avrei mandato prima se mi si fosse presentata l' occasione.
Io poi non so se sia tale, quale decantalo il signor Bettinelli, troppo
mio parziale in questa parte. Ella ne giudicherà (lett. al Tiraboschi
20 luglio 1787).
Tiraboschi: dal P. ab. Mazza avrà avuto le mie congratulazioni
per le tre bellissime sue Gonzaghe, che mi sembrano una delle mi-
gliori opere, uscite dalla sua penna... La Marchesa Paolucci però, come
modesta vedova, è un po' scandalizzata di tante bellezze, si vivamente
descritte,- ma non so poi se sia per amor proprio ch'Elia non incoi cre-
dere tutto ciò, ch'Ella ne dice (lett. all'Affò, 30 luglio 1787).
A,fò: il P. ab. mi fece già sapere che cosa Ella pensasse del
libro e ne rimasi più che contento... Se poi la signora Marchesa Pao-
lucci gentilissima non vuol credere che le mie tre Gonzaghe fossero
si belle, non voglio io già per questo pormi la lancia su la coscia per
sostenerlo. Gli antichi le dissero tali ed essi diranno sempre lo stesso !

(lett. al Tiraboschi, 31 luglio 1787).

Se a me è permesso rifugiarmi sotto le grandi ali

del Tiraboschi e dell'Affò, vorrei anch'io esporre, o meglio


prevenire un possibile addebbito. Chi sa che pure a me
CAPITOLO Vili 193

qualche nuova Paolucci non muovei'à un ^norno rimpro-


vero d' aver troppo esaltata la bellezza di (jueste donne
e specialmente di Giulia Gonzaga? Ed in tal caso mi ri-

servo anch' io il dii-itto di rispondere : gli antichi cosi


hanno scritto, ed i morti, affò di Dio! non cambiano opi-
nione! E poiché il presente volume è costalo al modesto
autore una fatica certo non minore di quella sostenuta
dall' Affò nel compilare la sua breve monogratia, rinunzio
ben volentieri compenso promesso dal dotto gesuita
al :

certi gusti non possono salire fino a me, anzi


da frati

non possono giungere neanche a toccare quelle estre-


mità! Ma rivolgo a me stesso l'augurio che l'ombra bella
e gentile della Gonzaga mi
aliti quahjue volta attorno,
non immemore delle lunghe ore consacrate alla sua me-
moria in giorni assai tristi della mia vita!
E chiudo la lunga parentesi e completo
il quadro
della vaga Maria Aragonese , Marchesana del Vasto lo :

completo con una osservazione ideale del galante Bran-


tome. Maria d'Aragona era bella; ma si conservava bella
anche quando non era piìi giovane , tanto che 1' autunno
di lei , osservava il Branlome , sorpassava la primavera
delle altre donne.
E quando D. Maria era divenuta ve-
così più tardi,
dova del Marchese del Vasto, morto a Vigevano nel
marzo 1546, e la sorella Giovanna aveva perduto il marito
Ascanio, nel 1557, il Tansillo, ammirando la bellezza delle

due donne abbrunate ,


potò ricordarcele con una bella
imagine :

Che in negri panni avvolte e in negro velo


Quasi due lune in bel notturno cielo !

D. Maria morì a Napoli, ammirata e compianta, il 9


novembre 1568: « morì, disse il Fiorentino in una sua
conferenza, dopo 22 anni d' illibata vedovanza, altera nella
prosperità, più altera nella sventura , degna della regia
stirpe, da cui discendeva; degna moglie del più grande
13
194 GIULIA GONZAGA

guerriero, che avesse l'Italia a quel tempo; cantata a


gara da' poeti, amata dal Tansillo, ultima forse che avesse
sognato una corona indipendente ; F ultima certo , su cui
l'astro degli Aragonesi avesse, tramontando, inviato il più
fulgido raggio ».

Isabella Sanseverino, cosi il Modestino , era tanto


celebre per la sua bellezza che correva un proverbio che
qualunque straniero si fosse partito da Napoli senza
vederla, avrebbe mancato di osservarne il meglio. Sì Ella
€ sì il Sanseverino formarono una coppia felicissima, aman-
dosi teneramente. Quindi gravissime dovettero essere le
cause che spinsero il Principe a dividersi da lei ed in-

correre nella perdita de' suoi- Stati, ed amendue mossero


lamenti della loro separazione, senza che per altro avessero
potuto ricongiungersi mai. I) Principe compose una canzone
di duolo che così cominciava:

Oimè 1 eh' io non i)ensava di partirmi . . .

canzone eh' era cantata a gara in Italia e in Francia, ed


•un'altra in lingua spagnuola che diceva:

Ya passò el tiempo que era inamorado


Ya passò mi gloria, ya passò my ventura,
Y ha llagado la hora de mi sepoltura !

Questa principessa venne accusata d'avere spedito


'diverse somme al consorte, profugo dal governo spagnuolo
-e fu perciò esaminata e trattenuta in carcere. Ciò non
ostante parve opportuno al Collaterale di mandarla in

Ispagna, ov' ella faceva istanza di andare ; ed è fama che


ivi dalla Principessa di Portogallo fosse stata molto bene
accolta.L'Imperatore le accordò perciò un'udienza, e
mosso a compassione delle avversità di lei per averla ,

conosciuta e trattata in Napoli, le diede licenza di ritor-


narsene a piacer suo, né volle che più si parlasse delle
cose avanzate contro la medesima. Intanto, mentre ella si
CAPITOLO Vili 1U5

restituiva nel regno, venne nel cammino soi'pi-esa da apo-


plessia, che le tolse ad un tratto la favella e la vita ('),

Di Isabella Brisegno parlerò più innanzi : amicissima


della Gonzaga e guadagnata alle idee del Valdes, dovè
al)bandonare Napoli e ritirarsi all'estero, sovvenuta di
pensione annua da Giulia.
Lucrezia Scaglione, di Avei'sa , figlia di Gio. Luigi,
signore di Crisigliano, ebbe a marito Paolo Carafa, sesto-
genito di Alljerico Carata (duca di Ariano, Ceree e Cam-
polieto) e di Giovanna di Molise. Bella d'aspetto, assai
giovane si era fatta ammirare a Castel Capuano in occa-
sione delle nozze della regina Bona, alla presenza della
qaale si presentò . come scrisse un cronista del tempo,
« vestita di imbroccato e un grosso collare al collo e una
centura di oro de martiello e una barretta in testa con
certe fogliagge di oro di martiello semenate per le pieghe
della detta barretta e in sua compagnia de molto altre
donne bene in ordine ». Fu di ingegno sì pronto e cosi riso-
luta in amore che essendo il principe d'Orango a Napoli ed
ella in Sorrento, a dispetto del Lautrec che teneva asse-
diata Napoli, gli mandava continui regali. Pel qual magna-
nimo ardire salvò più volte i fratelli, uomini raggiratori
e sediziosi e osò far bastonare fino il reggente Capodi-
ferro. Il marchese del Vasto, Alfonso Davalos, prima d'in-
chinarsi a baciarla, era solito di dirle : osculavit me osculo
oris sui ! E la solita mala lingua di Filocolo osserva che,
toccandole il impunemente aggiungere
seno, avrebbe potuto
anche la seconda parte quia meliora sunt ubera tuo
:

vino ! Benché presso al tramonto fu da Carlo V creduta


ancora nubile. Il Giannone anzi ricordando il convegno di
belle dame che allora el)be luogo a Napoli, ne fa menzione
speciale, e credo non inopportuno di riprodui-re qui le
parole dello storico napoletano {Storie, libr. XXXII) :

(}) MouESTiNo, discorso sul sogg-iorno di T. Tasso a Napoli, ivi 1864.


196 GIULIA GONZAGA

.... ciò, che rendeva (Napoli) più augusta e superba fu 1' adu-
namento in quest' occasione delle più illustri dame fregiate della più
rara beltà e d' altre eccellentissime doti e maniere. Eravi D. Maria
d'Aragona, Marchesa del Vasto, D. Giovanna d'Aragona, sua sorella,
moglie d'Ascanio Colonna, D. Isabella Villamarino, principessa di Sa-
lerno ; D. Isabella di Capua, principessa di Molfetta, moglie di D. Fer-
rante Gonzaga; la principessa di Bìsignano; D. Isabella Colonna, prin-
cipessa di Sulmona; D. Maria Cardona Marchesa della Padula, moglie
di D. Ferrante d' Este ; D. Clarice Ursina principessa di Stigliano ; la

principessa di Squillace; D. Roberta CaralTa Duchessa di Maddaloni,


sorella del principe di Stigliano ; D. Dorotea Gonzaga, Marchesa di Bi-
tonto ; D. Eleonora di Toledo, figliuola del viceré e molte altre grandi
signore titolate del Regno. Eravi ancora la famosa Lucrezia Scaglione
la quale, ancorché non titolata, per la sua estrema bellezza, audacia e
valore era sopra tutte le altre commendata.

Nipote di Isabella Sanseverino (nata da una sua sorella),


fu la poetessa Maria Cardona, moglie di Artale di Cardona,
suo cugino , del quale, rimasta vedova senza prole, passò
a nozze nel 1540, con Francesco d'Este, figlio naturale
d'Alfonso I d'Este, duca di Ferrara. Era Donna Maria Car-

dona assai ricca, poiché oltre il Marchesato della Padula,


toccolle anche la contea d'Avellino, feudo che con altri ,

paesi le ricadde per la morte di D. Antonio e D. Ugo


Cardona, germani del padre. Fu donna di grande cultura,
di singolare bellezza e valentissima nella musica e nel
canto. Strinse amicizia co' primi letterati del secolo. Gio-
vanni Andrea Gesualdo le dedicò nel 1533 le sue esposi-
zioni sopra il Petrarca ; Marcantonio delli Falconi la sua
opera sull'incendio di Pozzuoli nel 1538, e Gio. Mario di
Leo il suo elegante poemetto in ottava rima, intitolato
r amor 2^^'^9^oniero. Ebbe corrispondenza con Atonion
Minturno, con Bernardo Tasso e con Vincenzo Martelli,
come risulta da parecchie lettere scritte da questi per- ,

sonaggi alla medesima. Donò ai Gesuiti, di recente sta-


biliti in Napoli, il luogo, ch'era un ampio sito, dove al

presente si distende S. Maria degli Angioli a Pizzofalcone,


col suo casamento e col suo giardino. Morì a' 9 marzo
1563, senza eredi, e alla sua morte il contado di Avellino
CAPITOLO Vili 197

ritornò alla regia Corte per linea finita. Una sua lettera
(riportata dal Giustiniani) è scritta con molta grazia, dal
Castello di Avellino. Ortensio Landò mandò alle stampe
il 1550 il panegirico, che compose per lei. Il Quadrio l'in-

cluse tra le poetesse del suo secolo (').

Dionora Sanseverino nacque a ÌSapoli da Pietro Antonio


Sanseverino. principe di Bisignano e da Giulia Orsino.
Fiorì il 1560 ed aveva la sua casa a Mergellina, accanto
a quella di Laura Terracina. Le sue rime si leggono nella
raccolta fatta stampare dalla Bergalli a Venezia il 1720.
Cantò morte immatura di Irene da Spilimbergo
la e ;

Dionigi Atanagi primo ne stampò versi nelle poesie da i

lui pubblicate per quella triste occasione. È lodata dal


Giannone. Laura Terracina le dedicò un sonetto , chia-
mandola « Venere al volto e dentro il cor Diana ». Mori
il 1581.
Di Laura Terracina si conosce poco o nulla. Il Bulifon,
nell'edizione delle sue rime del 1692, dichiarò di poter
solo affermare che essa fiorì verso il 1550 e che abitava
a Ghiaia, e da parenti stessi della Teri-acina, ancora allora
viventi, non aver potuto rilevare altro! Cercherò io di
abbozzare qualche cennno biografico, facendo una ricostru-
zione della sua vita, o almeno della sua vita letteraria
coir esame degli scritti e con qualche notizia, che a gran
stento ho potuto raccogliere.
Realmente essa aveva la casa tra quegli ameni giar-
dini di Ghiaia, che entusiasmarono tanto l'anima del Tasso,
quando l' infelice poeta soggiornò a Napoli. Venuta in fama
di esimia poetessa e preso il nome di Febea, ebbe in dono
da re Odoardo VI l'ordine della Giarrettiera. Nel 1546 la
si trova ascritta all'Accademia degli incogniti, che ebbe
a principe Baldasarre Moracca, vescovo di Lesina e che
contava tra' suoi membri Angelo di Costanzo, Andrea Mor-
mile , Alfonso Campi, Gian Lorenzo Villarosa ed altri.

(V) V. MODESTINO, Op. Cit.


198 GIULIA GONZAGA

Una raccolta delle sue Rime vide prima la luce a Venezia


nel 1548 pe'tipi di Giolito De Ferrari ed a cura di Ludo-
vico Domenichi. Due anni dopo lo stesso stampatore pub-
blicò il « Discorso sopra tutti i primi canti d'Orlando
Furioso » che, a distanza di pochi mesi, fece seguire da
altra edizione. Io posseggo quella di Venezia « in Frez-
zeria al segno della Regina » del 1582, e le « Quarte
Rime » edite a Venezia nel 1560, non che le rime com-
plete stampate dal Bulifon nel 1692-1694, ed il Discorso
dato a luce nel 1698. Il Discorso ottenne, lei viva, la
fortuna di altre edizioni. E con tutto ciò l'autrice ebbe
non pochi fastidi per il concorso mancato o non del tutto
efficace dal Dolce ;
pel che nel 1550 scriveva a Giovanni
Alfonso Mantegna :

.... credo vi sia noto quanto dispiacere abbia e con giusta ca-
gione preso di Messer Lodovico Dolce, dolce forse ad altrui, a me
amarissimo, per ciò che avendomi per più sue lettere offerto voler
egli aver pensiero di correggere la mia terza opera data in luce sopra
i canti dell'Ariosto, non solo non 1' ha punto corretta , ma Dio il volesse
(con sua pace parlando) che fosse almeno medesimo modo, di quel
eh' io la mandai e non di peggiore stampata che non si scorgereb-
bero in essa tanti errori: quali ci hanno quasi in tutto disanimata di
mai più dare in luce cosa alcuna.

Nel discorso ogni canto ha un intaglio in legno e


dediche consacrate a Carlo V, ad Eleonora Sanseverino,
a Garsia di Toledo, agli amici traditori , a Filippo Della
Noia, principe di Solmona (cioè il secondo marito di Isa-
bella, figliastra di Giulia Gonzaga) ; a D. Ferrante Sanse-
verino, a D. Costanza d'Avalos, duchessa di Melfi, agli

instabili libidinosi, alla Contessa di Calisano, a' Cardinali


e sanguinosi Capitani, a D. Isabella di Toledo, a Don Pietro
di Toledo viceré di Napoli ; a D. Isabella Colonna, di cui
sopra, a Michelangelo Buonaroti , a Veronica Gambara ; e
si leggono dediche a' malvagi cortigiani, agli usurai, agli
uomini instabili ed infermi, agli uomini nemici delle donne,
alle giovani e donne vanagloriose, alle donne magnanime
CAPITOLO Vili l'.'-^

ed anche ad un mancatore di fede, di cui tace il nome


ed a cui rivolge il rimprovero ariostesco :

Non ti tm-liar, ma se turbar ti dei

Turbati, che di fc mancato sei!

A Napoli Matteo Camer nel 15G1 stampò le « Settime


Rime sopra tutte le donne vedove di questa nostra città
di Napoli ».

Ebbe amici, ammiratori, corteggiatori in gran numero:


per lei facevano versi il Domenichi. il Calamita ecc. ed
ella ne indirizzava al Bentivoglio, al Tansillo, al Domenichi,
a Vittoria Colonna, al \'archi, al IJembo, a quel misterioso
tipo di Gio. Bernardino Bonifacio, ultimo Marchese d'Oria
e signore di Francavilla e di Casalnuovo che attendeva ,

solitario agli studi e che facendosi servire solo da due


schiave turche , venuto in sospetto d' essere luterano
(meglio musulmano!) se ne andò davvero colle sue schiave
presso i luterani, donando tutti i suoi beni all'imperatore
Carlo V ('). Ed a que' valentuomini bisogna aggiungere il

(*) Di lui parla Scipione Ammirato nel suo voi. delle Famiglie
Nobili napoletane. Fu in Norimberga, adottò la confessione augustana
e non la lasciò mai più; andò vagando per diversi luoghi, visitò Ba-
silea, Lione, Londra, la Transilvania, sempre portando seco 1 suoi libri,

che formavano otto some, e, dopoché una delle sue schiave turche
impazzi e l' altra prese marito, si recò a Costantinopoli per fornirsi

d' uno schiavo persiano, il quale fuggendosene , lo lasciò in Moldavia.


Si stabili allora in Vilma, nella Lituania, ove dimorava un miglio fuori
della città,compagnia solo d' un cane, vestendo abiti miserabili,
in
attendendo egli medesimo alle cure domesticlie, da sé rifacendosi il
letto e cuocendo le sue minestre di uova e di latte, non nudrendosi

di altri cibi che di latte e latticini, uova, fichi seccia, uva passa, pomi
e ravanelli, bevendo sempre acqua e non usando mai stufa, benché in
paese molto freddo. Mori in Danzica il 1597, quarant' anni dopo aver
abbandonato Napoli. Aveva già composto una traduzione di Sallustio,

stampata a Firenze il 1550, e lasciò una miscellanea latina di Inni,

epigrammi e paradossi, che fu pure data alla stampa in Danzica nel


1599, dopo la sua morte (V. Amabile, il Sant' Officio dell' inquisizione
di Napoli. Citta di Castello, 1892).
200 GIULIA GONZAGA

nome di Gio. Alfonso Mantegna, cantore di bellezze abba-


stanza intime della Terracina, che gii affidava un'edizione
del suo Discorso.
Il Tansillo l'invocava quale sua musa ispiratrice:

Da la vicinità del vostro stile

Fu la virtù ne la mia mente infusa.


Cantate dunque voi, donna gentile;
E perchè canti anco io, siate mia musa.

E Laura, dopo aver replicato con molto spirito, con-


chiudeva :

S'io non scrivo più, non m'incolpate


Ma la modestia mia prego lodate.

Un altro « infiammato » pel grido che si spandeva della


sua bellezza, era un Mario Cardonio, il quale non si peri-
tava di scriverle che

Sebbene con quest' occlù io non vi veggio


O vidi mai, 1' ardore e il gel non scema !

Ma il più tracotante era un Reverendo, Don Desiderio


Cavalcabò, il quale « con una sagacità, nota un arguto scrit-
tore , insita alla sua classe, cui non isfuggono mai i pregi
particolari del bel sesso » non poteva fare a meno di escla-

mare :

Chi raccontar le molte


Bellezze potria mai del largo petto,
In cui r alto diletto
S'annida di que' pomi onesti e cari?

Non sarà inutile aggiungere che questo Reverendo,


dopo d'avere così bene in una sua canzone esaminato le
bellezze di Laura, come i capelli, gli occhi, la gola ecc.
ne fosse divenuto spasimante, come annunzia in due sonetti,

in cui tutta esala la sua fiamma amorosa, Ed anche al


Reverendo Cavalcabò Laura inviava versi di riconoscenza:
CAPITOI.O Vili 201

Per questo dotto, saggio, alto costante


Che di valor più eh' un pregiato laspe
Risplonde si eh' a Battro, a File, a Idaspe
Il chiaro nome va tanto sonante!

Se non che la Terracina faceva belare i precursori


d'Arcadia, e teneva a bada gli audaci, avendo assai bene
fìsso in mente il solo programma, che dovrebbe avere
ogni buona donna, il che vuol dire anche ogni accorta
donna: cedere sì, ma all'uomo che alla presenza di bravi

testimoni l'avesse regolarmente impalmata! Su questo


punto Madonna Laura era trojìpo risoluta a non transi-
gere: avrebbe magari mandato all' inferno tutti i Petrarca
della terra, e tanto percliè coloro che si recavano da lei

deponessero ogni velleità, volle a chiare note manifestare


e ribadire il preciso ed immutabile suo pensiero :

Un sol potrà ben farmi voltare


Dall' esser mio e tutta avermi seco
Quando il ciel mi vorrà sposo donare
Ch' abbia quel fior , oh' or porto intatto meco ;

Ma s' altrimenti volesse operare


Ogni ardito pensier sarebbe cieco !

E spergiurava che, prima di mancare a questo pro-


posito,
Più tosto il mare ampio diverria
Picciol rivo a ciascun piano e palese;
E il Tebro, che d' ognuno è in tanta stima
Si vedrà ritornar verso la cima !

Dal ritratto di lei, messo innanzi alle sue rime, stam-


pate nel 1552 in Venezia dal Guadagnino (e da quello che
precede pure l'edizione surricordata del Bulifon)si arguisce
« esser molto avvenente ed aver quella fisonomia bruna
e vivace, propria delle donne napoletane e che si osserva
anche nelle imagini delle madonne, dipinte dagli artisti di

quel secolo. Era alquanto complessa e di sen ricolma ».

La provvidenza d' un pretendente, proprio di quelli disposti


, ,

202 GIULIA GONZAGA

« a tutta averla seco » non mancò nella persona di Giovan


Vincenzo Carafa (^). Ed Ella , vedendolo , dichiara che
... al cor mi corse
Un gelato timor di fuoco adorno,
E fa' talmente la mia ling-ua muta
Ch' appena oggi in me stessa son venuta !

Allora cominciò a comprendere davvero

Che non è peste, ne' morbo maggiore


Che trovarsi in servitù d' amore.

E pare che il morbo der-ivasse subito e più tardi

Da quel mavtir, da quella frenesia


Da quella rabbia detta gelof^ia.

Onorata dai più preclari ingegni d'Italia, Laura passò


giorni lieti e tranquilli nella ridente sua villa di Ghiaia
che pare, anche maritata, non abbia mai abbandonata sino
alla morte, avvenuta nel 1580. Il Gandida Gonzaga ritiene
che dalla poetessa discenda il ramo dell' attuale famiglia

beneventana di Bacio Terracina Goscia.


Amica di Giulia Gonzaga , a questa dedicò le due
seguenti stanze :

Vorrei dir molto, ma la man mi treme


Anzi mi sento al cor un vivo ghiaccio,
E tanto si paventa e tanto teme
Ch'in un voler mille pensieri allaccio,
Che '1 vostro ornato vostro seme
stile e il

Ad altra eh' a la mia darebbe impaccio


E cosi or cresce or manca il mio desire
,

Ne' al verso , ne' al timor posso supplire.

(M Campanile V. Insegna di Nobiltà, pag. 201.


Il Boccalino, ne' suoi Ragguagli di Parnaso, dice invece eh' ebbe
a marito il Mauro, il quale avvedutosi in una riunione eh' ella andava
fregiata nella gamba di un ligaccio, ornato di gemme (quello donatole
da Edoardo VI) 1' uccise.
Sono proprio notizie venute dal Parnaso e dall' Olimpo Figuria- I

moci se im fatto cosi tragico sarebbe rimasto ignorato, trattandosi


d' una donna sì nota e si celebrata !
CAPITALO Vili 203

Dumine scrivete voi, donna g-entile,


E (late pace a la mia mente oscura,
Poi che l'è fatta nel mirar si vile.

Che nulla in tant' altezza s' assicura ;

Or se non trovo a voi cosa simile,


Che dirò altìn, che sete voi Natura,
E che del ciel tutto il tesoro avete,
E de' miseri ciechi il lume siete (•).

Chiudo la serie delle donne illustri contemporanee


di Giulia, ricordando due altri nomi, cioè Isabella della
Morra e Giulia Cavalcanti ().
Isabella della Morra, napoletana, fu una delle più colte
rimatrici del suo tempo. Sonetti e canzoni di lei furono

inseriti nella raccolta del Domenichi, nelle rime di cinquanta


illustri poetesse pubblicate dal Bulifon nel 169") e nella
raccolta della Bery-alli. Lo stesso Bulifon nel 1693 aveva

(^) Discorso sopra il principio di tutti i canti d'Orlando Furioso.


Napoli, A. Bulifon, 1698, p. 119.
(-) Non parlo di Caterina Pellegrini Nogarola, perchè, secondo
scrive il Ferri, nata a Verona; quantunque la Bergalli la dica napo-
letana. Fu contemporanea alle poetesse citate. Di lei si hanno rime nel
libro di Lucio Paolo Rosello Padovano : « il ritratto del vero governo del

principe dall' eseuipio vivo del fj-ran Cosinio d-' Medici r, (Venezia 1552),
e nelle raccolte del Domenichi, del Bulifon e della Bergalli.
Altra donna, assai lodata per le sue virtù, fu Porzia Capece, morta
in Napoli il 15G0. Sulla s)ia tomba, in S. Domenico Maggiore, leggesi
r affettuoso distico del marito Bernardino Rota :

Viva gauàium^ mortua


Mariti gemitus, hic sita est.

Porzia, cantata da Scipione Ammirato, fu la musa ispiratrice al Rota


che scrisse molte rime i>i vita ed in morte della sua Porzia. Tra esse due
sonetti furono dedicati a Giulia Gonzaga e leggonsi a pag. 81, 59, 172
della parte prima delle poesie, raccolte ed annotate dall' Ammirato.
(Delle poesie del sig. B. Rota, che comprendono le rime, le egloghe,
le elegie, gli epigrammi ecc. Napoli, Rispoli, 1737).
204 GIULIA GONZAGA

pubblicato le rime di Isabella insieme con quelle di

Veronica Gambara, Lucrezia Marinella e Maria Selvaggia


Borghini.
Cavalcanti Giulia nacque a Gaeta. Si leggono rime di

lei nella raccolta della Bergalli ed in quella dell'Atanagi


il quale così scrive : « questa è una gentildonna Gaetana
bella e virtuosa e che molto si diletta de lo studio de la
poesia toscana ».
IX

Vespasiauo Colonna (Iunior) - Letterati in Napoli.

Educazione 'del nipote Vespasiano - Primi progetti di matririioni - Nuove


nozze della madre Isabella - Vicende guerresche di Vespasiano -
Alcuni rapporti letterari di Giulia : Annibal Caro, Claudio Tolomei,
Luigi Tansillo e Camillo Capilupi.

Giulia, avendo fatto riconoscere il suo diritto alla


tutela del nipote Vespasiano, dal 1541, quando il fan-
ciullo era ancora bilustre, si dedicò con grandissima cura
ed affetto ad educarlo, emula anch'essa di Vittoria Colonna
nella nobile ambizione di dare alla società chi un giorno
potesse rappresentare animo e la cultura e mantenere
l'

alta la fama del nome avito. Resero facile il compito l'inge-


gno e la buona volontà del giovane, secondo scrisse Giam-
michele Bruto che, al concorso di queste circostanze, volle
aggiungere il merito della valente educatrice, notando più
tardiin una lettera indirizzata a Vespasiano ciim ad :

haec omnia aediicatio accederei qualem existimari ae-


quum est in sanctissima domo, atque adeo ajyud prin-
cipem foeminam hdiam Gonzagam, qiiae eadem esse
huius saeculi ornamentum unum clarissimum et decus
patris sororem tui. (') Infatti fu largamente istruito nelle
lettere latine e greche ed addestrato in tutti quegli eser-

(*) Episfolae clarorum vir. a Bruto coUecfae, Libro 1, pag. 99.


206 GIULIA GONZAGA

cizi, che lo potessero un giorno rendere non indegno del


nome guerriero del padre. E così Vespasiano, innamorato
degli studi, in breve ebbe rapporti di amicizia e di stima
co' principali letterati, da' quali fu con lode ricordato per
aver saputo essere uomo di penna e uomo di spada. Di

ciò abbiamo una bella testimonianza nel lavoro che Sci-


pione Ammirato scrisse sul Rota, ovvero sulle imprese.
In compaiono interlocutori Nino de Nini,
quel dialogo
vescovo di Potenza, Bernardino Rota, Alfonso Cambi; e
Bartolomeo Maranta fa dire dal Rota di Vespasiano « il
solo che mi pare oggi che odori dell'antico, poiché non
impedendo la scienza militare quella delle lettere, si vede
chiaramente eh' egli riesce non meno valoroso ed ardito
capitano nelle battaglie, che savio e gentil signore nella
pace ». Ed
Rota osserva: « tal frutto nasce da cotal
il

radice, di che non ci abbiamo a maravigliare se egli è alle-


vato e nodrito sotto 1' ammaestramento di Giulia Gonzaga,
le cui lodi non poss' io passare se non con silenzio poi- ;

ché dirne poco sarebbe un mancar del suo merito, e ragio-


narne appieno quel che conviene , richiederebbe e più
tempo che non è questo e maggior lodatore che non
sono io » (').

Per assicurare al nipote le sue ragioni sopra Casal-


maggiore, Giulia spedì presso Carlo V Nicolò Marcobruno.
L'epistolario della Gonzaga è prova non dubbia della
solerzia e della sagacia da lei spiegate per tutelare il

patrimonio del nipote. Neil' Archivio di Stato di Napoli


si conservano su, questo proposito due documenti, uno è
lo strumento di compra di alcuni territori in Sabioneta
da Mario de Mericanis, fatto nel 1542 (mazzo 848, n. 109);
e r altro é pure lo strumento di compra d' una casa del
Conte d' Alife nel seggio di Nilo nel 1550 (mazzo 849,
n. 143). Si disegnò forse dalla madre di aumentare la
fortuna e l' influenza di Vespasiano anche con un ricco

(^) Ammirato, Opuscoli, tomo I, pag. 425.


CAPITOLO IX 207

matrimonio, ponendo gli ocelli su Vittoria Farnese, figlia


di Pier Luigi Farnese, duca di Parma e Piacenza e nipote
del Pontefice Paolo III. Sembra ciie a Giulia non piacesse
questo partito ; e ciò fu una fortuna per la Farnese,
almeno a giudicare dalla miseramla fine, che un giorno
ebbero ad incontrare le donne che si unirono a Vespa-
siano. Giulia colia sua attivitii riesci a far rompere le
trattative ; Vittoria poi celebrò il suo atto nuziale il 4
giugno 1547 con Guidobaldo Duca di Urbino, entrando
sposa in quella cittii ne' jiriini gioi'ni del 154.S, poco dopo
che il padre era caduto assassinato. E Vittoria ebbe vita
tranquilla e lunghissima.
E poiché siamo in tema di matrimoni, non sarà qui
inopportuno ricordare quello contratto da Isabella, madre
di Vespasiano, col principe di Sulmona, aggiungendo qual-
che altro particolare sopra una donna la quale, in materia
di interessi, diede tanto filo a torcere alla nostra Giulia.
Isabella Gonzaga, oltre i litigi con Giulia, non ne
aveva sostenuti e non ne sostenne poi di minori coi
Colonnesi di Roma, come può desumersi da vari carteggi
che si conservano inediti nell' Archivio di Stato di Modena
(Cane, ducale di Modena: dispacci degli oratori estensi).
Una lettera di FrancescoSaraceno al Duca di Ferrara,
iu data 28 giugno 1533, riferiva: « de le cose di questi
Sig. Colonesi con la Sig. Isabella Gonzaga non se ne parla
altro, il papa voria le terre se desponessero et il signor
Ascanio voria dare securta de stando luri et ludicatum
solvendo ». Ed in un avviso in data sei marzo 1566 da

Roma si legge : « la principessa di Sulmona partirà presto


per Roma con tutta la famiglia, dove viene per litigare
col Sig. Marc' Antonio Colonna alcune castella che sono
in campagna di Roma in deposito già molti anni sono
degli Amb. Cattolici, che ne hanno hauto licenza dal Re
et promessa dal papa di farli giustizia ».

Carlo V trovandosi a Napoli sul finire del 1535 aveva


divisato di dare Isabella in moglie a Filippo di Lannoy
208 GIULIA GONZAGA

principe di Sulmona. Costui era figlio di quel Carlo di

Lannoy che seppe farsi attribuire il merito della vittoria


di Pavia, nella quale giornata Francesco I preferì di
consegnare a lui la spada. Il figlio del Lannoy era stato
generale di cavalleria per l' imperatore e militò in Ger-
mania nella guerra contro Duca di Sassonia con buona
il

riputazione di bravo soldato. Ebbe la concessione del


castello di Capuana in Napoli, ch'egli poi cede per uso
de' tribunali, accettando in cambio un palazzo a Fontana
Medina, passato poi a' Ruffo. Nella chiesa di S. Maria del-
l' Oliveto a Napoli si ammirava una magnifica lampada
donata dal padre e presa, si disse, nel sacco di Roma.
Rubavano alle chiese per arricchire altre chiese Quanto !

questo matrimonio fosse accetto a Isabella non sappiamo


piuttosto possiamo in parte argomentare da poche
parole scritte da Matteo Casale il 19 febbraio 1536 ad
Alessandro Guarino, consigliere ducale : « la Signora Isa-
bella, non havendo pur potuto contradire alle voglie de
soi superiori, ha condesceso alle voglie sue et cusi torrà
el Sig.re principe di Sulmona » (Arch. Modena, ibid.).
Un altro avviso di Alfonso Rossetti, in data 26 febbraio
1536 Duca di Ferrara, diceva: « la S.ra Isabella Col-
al

lona dimane o postidomane si sposara cum il principe de


Sulmona » (Arch. Mod. ib.). Le nozze ebbero luogo alba
presenza dell' imperatore e furono solennissime. Carlo V
partì soddisfatto dopo che ebbe così potuto contentare il

figlio del suo antico generale (^). Isabella ebbe in dote


Caramanico negli Abbi'uzzi, Forse alle feste assisteva Per-
sio Crescensi, che vediamo in diverse carte citato quale
suo segretario e che doveva essere di Lenola, ove ancora
vi sono famiglie con quel nome.

(1) Il Rosso, op. cit. p. 135 scrive: « si parti l'imperatore dalla


nostra città con dolore universale alli 22 marzo 1536 con lasciare
prima concluso et effettuato il matrimonio del principe di Sulmona
con Donna Isabella Colonna, Duchessa di Traetto, figlia di Vespasiano
Colonna e vedova di Luiffi Gonzaga ».
,

CAPITOLO IX 20\}

Non riescii'a sj^^i-adito al lettor(3 un flociuncniu ine-


dito (che ci (lii notizia di (luelT avvenimento e di Carlo V)
conservato presso l'Archivio di Stato di Modena ('): è
una lettera inviata al Duca di Ferrara. Eccola nella sua
integrità:
Di y^ipoli XXI IJ Febbraio (tóHr,)

Ill.mo et Hx.ìiio S.r et Patron ossrrr.nìo

Qiello che occorreva scrivere a V. Ex.tia dopoi le nostre clie


sono r ultime de XXIJ e XXIIJ «lei presente haiiemo sis"nificato cmn
le qui alligate de XX VJ del presente, ne ci resta altro se non elio

questa sera in casa del Principe di Hisig-nano si celebra cmn un bel-


lissimo banchetto il quale e preparato et ove e conuitata Sua M.ta
e tutta la corte et nobilita di Napolj le sponsalitie e matrimonio della
S.ra Isabella CoUona cum il Principe de Sulmona, dicessi che nella
medesima casa si consimiara il Matrimonio.
Heri sua M.ta comparse al improuiso cum otto o dieci caualli
dietro et tre o quatro staferi senza guardia alcuna nella strada de
Nido, et dopoi che 1' hebbe trascorsa tutta salutando le damme e S.re
cum Reuerentia de beretta che da ogni banda della strada stanano
alle finestre ritorno facendo il medpsmo. et (piesto uso sua M.ta cum
molta domesticità et ala libera.
Le sponsalitie della figliuola de Sua M.ta se celebrarano dimane
nel castello De Capuana, et dopoi partirà il Duca de Fiorenza come
ho scritto nelle qui alligate
De V. Ex.tia
Matheo Casella
Alfonso Rossetto

Giulia volle, come allora era abitudine generale


avviare Vespasiano alla carriera delle armi introducen-
dolo nella corte di Filippo II, figlio di Carlo V. Abbiamo
una lettera diDon Ferrando Gonzaga, che il due di aprile
1545 scrive da Mantova al principe Doria, capitano gene-
rale delle armate marittime cesaree :

Il sig. Vespasiano Gonzaga mio nipote è stato da S. M. Cesarea


accettato in servizio del principe e cosi alla fine del maggio prossimo

(^) Cancelleria ducale, carteggio degli ambasciatori estensi a


Napoli.
210 GIULIA GONZAGA

disegnano di mandarlo a Barcellona, sperando da V. S. ( di cui confi-

diamo più troppo di quello che ci conviene ) potranno ottenere una


galera o due, colle quali egli se ne può passare. La supplico pertanto,
se le è possibile a quel tempo, che le si degni fare alla sig. D. Giu-
lia Gonzaga, a Vespasiano et a me quella gratia, della quale prometto

a V. S. che le saremo sempre obbligatissimi servitori e tanto più


obbligati quanto più fossero le difficoltà che la dovessero ritenere di

non farla. E con la debita reverenza le bacio le mani.

Cosi Vespasiano si recò a Madrid.


È noto che il Duca Ottavio Farnese, sentendosi mal
sicuro in Parma, avea stretta lega il 1551 col Re di

Francia. Papa Giulio III, mal soffrendo ciò, impose al

Farnese di sciogliersi da quella lega, ed ottenutone rifiuto,


ordinogli di consegnare Parma alle truppe pontificie, sotto
pena di scomunica. Naturalmente il Duca si rifiutò ed allora
ebbe principio quella lunga e fastidiosa guerra di Parma,
stretta d' assedio dalle armi cesaree, guidate da Don Fer-
rante Gonzaga. Vespasiano prese parte alle fazioni ed in
una di esse rimase ferito. Combattè poi con singoiar valore
in Fiandria a fianco del padrigno, di D. Ferrando Gon-
zaga e di Emanuele Filiberto. Ma i successi maggiori egli
raccolse nella guerra sorta fra papa Paolo IV e gli spa-
gnuoli. Vespasiano s'impadronì a viva forza di Bauco,
espugnò Anagni e cinse d'assedio Vicovaro (guardata da
Francesco Orsino), desideroso, coli' acquisto di quella città,
di vendicare il Rodomonte, che, come si è visto
padre
sopra, ivi trovò gloriosa morte il 1532. L'Orsino fu co-
stretto a ritirarsi e Vespasiano penetrò nella terra, rispar-
miando però il paese dal saccheggio. Di là si recò a Palom-
bara che, in seguito a ripetuti assalti, cadde nelle sue
mani. Non fu però ugualmente fortunato nell' assalire

Ostia. Mancate le munizioni, tentò di espugnare la città


con ardito assalto. Vespasiano incoraggiava i soldati alla
scalata, ma perchè l' ira, onde venivano respinti, comin-
ciava a renderli timorosi, fu a lui forza, dice il Faroldi
« per essere simile a sé stesso, andare avanti colla spada
e rotella per essere il primo a saltar nella fossa e far
CAPITOLO IX ^11

animo a' soldati; e mentre era sopra alla ripa di (jiiella,

gli venne di travei-so un' archibugiata, elio lo colse nel


labbro di sopra della bocca e gli portò via la carne inter-
media delle narici, dove che per la grande effusione del
sangue fu forza ritirarsi ». Ebbe pronte cure e la ferita

in breve si rimarginò: nulla uris defovìnitas, dice il

Lisca, seqmita est oh miram medici industriani : giiiv

augebcd nobilis cicatrix oris dignitatem » (').

Toi'quato Tasso volle ricordare con encomio la con-


dotta di Vespasiano in quest' ultima guerra ed il succes-
sivo ritoi'iio a Napoli, ove spesso frequentò que' luoghi,
che arrisero sempre all' occhio ed alla mente del grande
e sventurato poeta. Egli, nella dedicatoria premessa il

21 settembre 1563 al dialogo il Minturno, scrisse : « Vespa-


siano Gonzaga, dopo ch'ebbe termine la guerra fra Paolo IV
e Filippo II, avendo deposto il carico militare, il quale
aveva con grandissima laude sostenuto in esser Capitano
Generale della fanteria italiana, se ne tornava in Napoli,
ove era l' illustrissima signora Isabella Colonna, princi-
pessa di Solmona, sua madre, nell'ottobre dell'anno 1557,
e per ricreare 1' animo da' lunghi affanni della milizia tra-
vagliato se n' andò diportando in quella dilettissima e di
giardini e di palazzi ornatissima piaggia, la quale è vera-
mente l'occhio della napoletana delicatezza ».
In queir anno che fu a Napoli (1557) la casa di
Vespasiano divenne il convegno degli ingegni più eletti,
tra quali il Minturno, il Rota, Angelo di Costanzo ed il
vescovo Florimonte.
Ma, oltre che per le virtù militari. Vespasiano, come
accennai, merita un ricordo per la sua cultura. Di que-
sta fanno fede varie poesie lasciate, la corrispondenza di

molti dotti, e le dedicatorie a lui di non pochi lavori,


tra quali mi piace ricordare il bel libro di Stefano Guazzo

(^) Affò, vita cit. Parma, Carmignam, 1780, p. 29.


212 GIULIA GONZAGA

sulla Civile conversazione, che in pai-te è anche docu-


mento biografico di lui. Gloria massima di Vespasiano fu
lo sviluppo dato a Sabbioneta che, di piccolo villaggio^
si trasformò in una vera città. La scelta di insigni archi-
tetti nella costruzione di nuovi edifici, la nomina di valo-

rosi maestri per le scuole da lui impiantate, l'introdu-


zione di una tipografia ebraica, la formazione della ricca,
galleria, d' una grande bij3lioteca e della zecca, la compi-
lazione degli statuti, mostrarono che Vespasiano era for-
nito di spirito di grande iniziativa, di larga conoscenza
di uomini e di cose, di sapienza civile, di amore alle let-
tore ed alle belle arti, di devozione alle memorie avite.
Riconoscente poi a quanto per la sua educazione aveva
fatto Giulia Gonzaga, volle che la strada ariipia e diritta,
che univa le due porte Vittoria ed Imperiale della città,

fosse chiamata Via Giulia.


Ma tra le pareti domestiche non fu ugualmente for-
tunato e non è facile qui stabilire quanto a' tristi drammi ^

svoltisi più tardi, abbia contribuita l'esagei^ata sua crudeltà:

certo le tre mogli di lui furono, si può dire, vittime di


un triplice delitto: l'una avvelenata barbaramente, l'altra
spentasi misteriosamente ed una terza, per l' età inoltrata
e per gli acciacchi del Duca , condannata ad una triste-

vita vegetativa: l'ultima fu, od apparve, in confronto-


delie altre, la più avventurata!
E qui , nel ricordare gli atti feroci, mi servirò della
narrazione commovente, dovuta alla penna del Gli. G. B,
Intra e tratta dalla recente sua monografìa sopra Sab-
bioneta.

\'esijasiano aveva preso in moglie Diana di Cardona e condottala


ad abitare Sabbioneta. L' infelice giovane si. poteva dire maritata solo
di nome, perchè il principe, dedito alle armi, era quasi sempre lontano.
Nel 1559, tornato esso a Sabbioneta, da cieche lettere era stato avvi-
sato come Diana gli avesse rotto fede: accennavasi qual suo drudo
Annibale Raineri, suo segretario e si susurrava di gi-avidanza. Arse di

sdegno Vespasiano, uomo aderissimo di sé ; e anche solo dubitando


del fatto, si teneva offeso che di sua moglie si fossero concepiti e-
-

TAI'ITOI.»» IX ?1''

divnlj^-ati simili sospetti. Dopo avcro a liiiiycj meditato come potesse


vendicarsi, senza rendere pubblico il suo disonore, si aperse con Pier
Antonio Messirotto, suo lido e parato a seg'uirlo in quahuKiue via gli

fosse piaciuto di condurlo. Questi comprese per aria il comando del pa-
drone, e una sera, in una stanza a terreno del palazzo ducale, afferrato
il Raineri, lo scannò.
\'aspasiano allora . presa la moj^lie, la trasse nella stanza, dove
yiaceva ucciso il Raineri, e additandole il cadavere, le porse una tiala
contenente niortalissimo liquore. -- iSevi, le disse il truce marito: ti

risparmio morte pubblica ed infame, solo per 1' onore della mia fami-
glia — ; e cliiusala nella stanza, se ne andò.
La misera donna esitava a trangugiare il veleno ; due giorni stette

iu si mortale angoscia quando in quando dal pertugio della chiave


; di

udiva una voce a lei ben nota, che le intimava bevi. Al terzo giorno,
estenuata ed esausta, appressò alle labbra la tremenda tazza e bevette.
Allora apertasi subito la stanza, la Principessa ancora agonizzante
fu portata nel suo letto nelle stanze ducali; e immediatamente si sparse
la voce, che fosse stata colta e uccisa da una sincope; si prepararono
solennissimi funerali, fu messa a lutto tutta la corte e lo stesso Ve-
spasiano si mostrò in pubblico addoloratissimo.
Ma né i pomposi funerali fatti alla Principessa, né il lutto osten-
tato dal Principe ingannarono la cittadinanza; si taceva per rispetto,
per prudenza, per timore; ma l'orrenda tragedia fu nota a tutti, e la

tradizione di padre in figlio ne giunse fino a noi.


Nel 1564 trovandosi Vespasiano in Ispagna chiese in moglie Anna
d'Aragona sorella del duca di Segovia e cugina in quarto grado del
Re; il matrimonio segui in Valenza il giorno 8 maggio, e poco dopo
gli sposi, venuti in Italia, fecero il loro ingresso trionfale in Sabbio
neta : da tale matrimonio vennero due figli, che in memoria dei loro
avi furono chiamati Isabella e Luigi.
Le gioie di questo matrimonio non ebbero lunga durata. Nel 1566
la Principessa abbandona improvvisamente Sabbioneta, e si ritira a vi-

vere da sé in Rivarolo fuori; era in preda a profonda melanconia,


vestiva a lutto esi chiamava in colpa; il marito non andava mai a

vederla non riceveva nessimo, pascendosi solo della sua tristezza


; ella :

dopo un anno di abbandono e di solitudine, logora e consunta, il


giorno 11 luglio 1567 se ne mori, portando seco nella tomba il segreto
della sua fine.
Ad un terzo matrimonio si avventurò Vespasiano, sposando nel
1583 Margherita Gonzaga . , sorella di Ferrante II principe di Guastalla ;

ma oramai era vecchio e affranto così dalle fatiche della guerra, come
dalle domestiche sventure, di <jui egli era il primo colpevole. Capiva
di non potere sperare nuova prole onde pensò a collocare l' unica sua
:

figliuola Isabella.
214 GIULIA GONZAGA

Vespasiano visse ancora fino al 1591: in quest' anno, a' 26 di feb-

braio, mori nel suo palazzo di Sabbioneta, e fu sepolto, com'egli aveva


ordinato, nella chiesa dell' Incoronata, ove in seguito la fig-lia gli fece

erigere un superbo mausoleo.

Ed occorrerà tornare a Giulia la quale, insieme col


pensiero dell' educazione del nipote, non aveva tralasciati
(oltre le cure per una propaganda religiosa , di che dirò
appresso) i rapporti con molti letterati che si recavano a
Napoli. Ella, per accudire appunto all' educazione di Ve-
spasiano, abbandonò per breve tempo il convento di San
Francesco delle Monache, recandosi ad abitare nel borgo
delle Vergini. Nella nuova dimora notavasi , tra altro,
anche un ritratto ,
quantunque senza pregio , di Vittoria
Colonna. Ce ne dà contezza la seguente lettera diretta
a Paolo Manuzio da Alfonso Cambi Importuni.

Manderovvi certe lettere scrittemi dal Caro. ... e se vorrete eh' io


r accompagni con qualcuna di quelle della Marchesa di Pescara, aven-
done io molte di sua propria mano scritte a mio padre, lo farò volon-
tieri. Del Giovio ne ho infinite. Non ho infino ad hora trovato in Napoli
altri ritratti della Marchesa di Pescara che uno che ne ha la signora

Giulia Goiizaga, il quale oltre che non la rappresenta di queir età che
la desiderate, non vai nulla — A' 3 ottobre 1562, di Napoli.... quello che
aveva mio padre lo donai alla signora D. Vittoria Colonna sua nipote.

Ma e in casa e nel convento continuo era '


il pelle-
grinaggio di letterati che si recavano a salutarla e giun-

gevano di lontano gli omaggi de' suoi ammiratori (').


Tra' letterati che spesso andavano da Giulia era ,

Annibal Caro il quale ne divenne sincero amico, come si

rileva anche dal seguente madrigale di Luigi Cassola.

{}) Camillo Olivo il 21 apr. 1545 scrive da Mantova a Nicola Mar-


cobruno; « a Napoli bacerete per me la mano alla Signora Donna
Giulia ed al sig. Vespasiano gli direte quattro di quelle parole che
sapete dir per gli amici vostri, come son' io ».
CAI^lTdLO IX 215

Non iiieu deyna o meii bella un' altra appare


Mostra lo scritto fuor Giulia Gonzaga
Di cui le glorie son famose e chiare
Per quanto il ciel si stende, il mar s' allarga.

I duo che dottamente a noi cantare


Volser del lume, eh' ogni sdegno appaga,
Leggonsi in un sol verso a paro a paro
Francesco Mnri;i Molza e AnniV)al Caro (')

Del Molza ho parlato più innanzi e (^ui, per ragione


di tempo , ricorderò il Caro. Egli la prima volta si recò
quasi espressamente a Napoli per conoscervi Giulia. Ed
infatti cosi scriveva al Porrino il 10 ma^-^io 1538:

Se non fosse che mi ci tiene il servigio del padrone, io me ne


toi'nerei indietro più volontieri che non ci venni, perchè, dopo la mia
commissione, ci sono venuto più tosto per veder Donna Giulia che
Napoli. E non vi essendo voi, non sono per visitarla, si perchè non
mi conosce, si perchè stando in monasterio non mi par che sia in loco
di visite. E tenete per certo eh' io me ne parti — vò tanto scontento,
per questo rispetto, quanto ci venni volontieri per la medesima ca-

gione E perchè vegnate a ogni modo, vi rammento 1' eccellenza


e r amor di questa Signora :

E lei conversa indietro accorta e saggia


Gir con quegli occhi a ritrovarvi '1 core,

secondo che n' avete cantato. . . . Sicché venitene, caro M. Gandolfo ;

e, non potendo, fate eh' il sappia, perchè non v' aspetti in vano.

Queste titubanze a visitare Giulia riajìpaiono anche in

una lettera, inviata lo stesso giorno al Molza:

... Io mi trovo qui senza M. Gandolfo, il quale disegnava che

fosse mio padrino per mettermi a campo con questi cavalieri Napo-
il

letani e con la sig'nora Giulia specialmente, la quale non oso affrontar


senza lui. Imperò mi perdonerete se non la visito per parte vostra.
Ben mi farebbe caro che le scriveste una lettera, perchè, quando pur
mi risolvessi, le potessi andare innanti con queir occasione.

Ma non passa una settimana ed il Caro non può resi-


stere alla tentazione di visitare Giulia, anche senza la

(') Cassola, Madrigali, Venezia, Giolito, 154.5, carte 34.


216 GIULIA GONZAGA

presenza di quel benedetto Messer Gandolfo. Così egli


rende conto al Molza di questa sua visita:
ÌNIi sono arrischiato senza lui di visitare Donna Giulia, avendoci
trovato M. Giuliano che mi ha intromesso. Di questa signora non posso
dir cosa che non sia stata detta e che dicendosi non sia assai men
del vero. La mag-gior parte de' nostri ragionamenti furono pur sopra
al sig. il Moha? come dirompe? come fa delle beri"
Molza: Come trionfa
modi di parlare che in bocca di questa donna po-
e simili altri vostri
tete immaginare se non sono altro che toscanesmi. Fermossi all' ultimo
in domandarmi come siete innamorato. Considerate se ci fu da ragio-
nare. Insomma vi vuole un gran bene desidera vedervi una volta a ;

Napoli e vi si raccomanda.

E con altra lettera del 25 maggio al Molza:


Della risposta e della raccomandazione, che m' avete mandata alla
signora D. Giulia, ho ricevuto tanto piacere quanto sento dispiacere e
cordoglio delle tante ingiurie che la fortuna vi fa e che tutto giorno
v' apparecchia. Di che non vi posso dir altro di quello che per l' altra vi
dicessi. Alla signora detta feci presentare la vostra e quella del Gandolfo;
e subito S. Signoria mandò per me, rinnovandomi per vostro amore
quelle offerte e queir accoglienza, che m' avea già fatte per sua gentilezza.
Ne' solamente S. S. ma ognuno mi fa qui cortesia per vostro rispetto.

Infine il Caro, in una del 27 aprile 1538, inviata a


Isabella Marriche. dopo d'essersi modestamente doluta che
il figlio Giorgio lo dipingesse a tutti per poeta, soggiunge :

Con la signora Donna Giulia, con la quale, secondo il suo scrivere,


mostra d' aver tentato di mettermi nel medesimo concetto, non dubito
di portar questo pericolo : perchè, se pur si ricorda di me, conoscendomi
non gli crederei molto, essendo ella di raro giudizio come è di bellezza.

Riporterò appresso una lettera del Caro a Giulia.


Anche Claudio Tolomei coltivò l' amicizia di Giulia
Oonzaga e le diresse questi versi :

Voi che del primo ben più eh' altra mai


Nel volto avete alta sembianza impressa;
Ben somigliate lui, che' vostri rai
\'isti da voi, v' han fatto amar voi stessa.
Simil' è '1 vostro amore a quello assai.
Come a la sua beltà vostra s' appressa :

Che ne l'eterno suo primo disio


Dio saggio mosse amor nel bello Iddio.
CAPITOLO IX '-^ì'

E se quel primo è troppo stretto foco:


E chiuso entro a se stesso, altrui non giova,
E schiavo d' altro bel. non can^^-ia loco,

E 'n voi s'invecchia, e 'n noi non si rinovii ;

Infiammivi del mondo Amore un poco;


Del secondo disio virtù vi mova:
Deh non troncate donna a (|uesto ale 1'

Che ne l'amare a Dio sarete eguale!

A spiegare la concettosa astruseria di questi versi


non occorreva meno di un commento metafisico-teologico
e ce lo ha dato messer Dionigi Atanagi il quale, riguardo
alla prima otiava. scrisse:

Assomiglia l'amor di costei al primo amor di Dio; conciosiache


il primo amor, che fusse mai, fu di Dio conoscente, a Dio conosciuto
bello, perchè la sapienza di Dio, conoscendo la bellezza di Dio, l' amò.
Cosi questa donna, conoscendo la sua divina beltà, s' è innamorata di

quella. La quale dice aver, più eh' altra, sembianza e similitudine nel
volto del primo bello, cioè de la bellezza di Dio : perchè le cose, che
son belle quaggiù, tanto son belle quanto partecipano de' raggi de la

divina bellezza, la quale più che in altri corpi risplende ne le creatiu-e


umane e di quelle nel volto più che in altra parte.

E rispetto all'ultima ottava:

Prega finalmente che se quel primo amor di sé stessa è troppo


stretto e raccolto e non giova ad altri, ed è schivo de 1' altrui bellezze
e s' invecchia in se e in altri non si rinnova prega, dico, eh' ella non :

voglia fermarsi in quest' amor solo, ma si distenda ancora al secondo


amore, amando le cose formate da lei. Che cosi facendo sarà ne l'amore
siuiile a Dio, il quale non si posò nel primo amore, ma scese al secondo (').

Che Dio mi perdoni una citazione così noiosa ! Ecco


che cosa vuol dire il platonismo in amore! Davvero che
il realismo in arte di ÌNIuzio Giustinopolitano non esige
commenti e schiarimenti di alcuna sorte: parla troppo
chiaramente a riguardo di Donna Tullia d'Aragona!

(') De le rime di diversi nobili poeti toscani, raccolti da M. Dionigi


Atanagi, Venezia, Lodovico Avanzo, 1565; voi. 1.° pag. 43.
, , ,

218 GIULIA GONZAGA

Il Tansilio fu pure grande amico ed ammiratore di


Giulia Gonzaga, come si è veduto più sopra. Qui aggiun-
gerò che Gonzaga la quale ne' molti anni che passò
la ,

a Napoli, una sola volta abbandonò quella città per recarsi


in Lombardia non seppe resistere alle molte premure
,

del Tansilio e accettò , certo ne' primi giorni che giunse


in Napoli, di fare una visita a Nola. Fu allora forse che
il Tansilio ,
grato alla condiscensione della nobil dama
le diresse il seguente sonetto, nel quale è appunto ricor-
data la fuggevole venuta a Nola di Giulia:

Se '1 Moro che domò l'Alpe e '1 romano


Imperio afflisse e 1' avea quasi estinto
Tra le delizie, onde fu preso e vinto,
G-iuUa, su '1 nostro almo terren campano.
Veduto avesse voi, ferro africano
Di latin sangue non avria più tinto,
Ch' innanzi a voi s' avria la spada scinto,
E '1 fren de' suoi pensier postovi in mano.
E se dato v' avesse Nola albergo.
Quando ebbe di sua fuga il primo onore,
Com' or, che fa di voi tante alme ir vaghe
Volto avria il petto dove volse il tergo,
Bramoso di portar in mezzo al core
De le belle man vostre, eterne pieghe.

In ultimo riproduco alcuni versi trovati tra le poesie


inedite di Camillo Capilupi, quando ultimamente venne
riordinato l'Archivio Capilupi e favoritimi dal Cli. G. B.
Intra.
Camillo Capilupi, nato il 1509, morto il 1548, figlio

di Benedetto, fratello di Ippolito e di Lelio , fu podestà


di Viadana, Ambasciatore a Carlo V, governatore del Mon-
ferrato e castellano della cittadella di Casale, scrittore di
storie ,
poeta elegante , insigne nella diplomazia e nelle
armi. Sembra avesse un debole per Giulia; perciò si

lamenta che e la molta sua bellezza e il matrimonio e


quindi la lontananza , che per Giulia erano de' beni ,
per
lui si convertirono in mali.
CAPITOLO IX OJQ

Ecco i versi :

Se non fusse Madonna


Per non destar hi dove or donne orgoylio
Direi del vostro ben quanto mi dog-lio.
Vegg-io come a gran salti al ciel poggiate
E come ognor più v'appressate al colmo
De la bellezza e d' aspettati onori

Che qual tenera vite aggiunta all' olmo


Voi Colonna e frutti e fiori
all'alta
Raddoppiate in più matura etate.
Ma perché allontanate
Troppo il bel guardo oso di dir (non voglio)
Ch' il ben vostro mi reca ogn' or cordoglio I
X
La Itifonna in Italia.

Movimeiìto nforuiatore in Italia - Abusi del clero - Scandali in un luo-


nastero di Venezia - Costumi generali - Tradizioni ed interessi

speciali dell' Italia per limitaì^e e determinare gli effetti della Ri-

forma - L' Inquisizione - Tendenze ed indirizzo diverso in Ger maina


del moto religioso - Manifestazioni riformatrici tra le varie citta

italiane.

Il movimento religioso riformatore, che a torto si fa


risalire alla sola Germania, fu movimento — salvo il ca-
rattere ed i fini diversi che assunse — affatto italiano,
creato dalla conoscenza di gravi mali interni e dalla rea-
zione della coscienza nazionale , insorta per distruggerli.
Come un movimento evolutivo e sapientissimo a favore
delle riforme politico-sociali si era già propagato tra noi
lo scorso secolo — specie in Napoli per opera del Ta-
nucci ed in Toscana per iniziativa del gran Leopoldo —
movimento poi sopraffatto dalla rivoluzione francese da
una parte ed annullato dalla reazione degli stessi governi
italiani dall' altra, così per ordine di tempo, e per im-
portanza di fenomeni , prima che
era già viva in Italia ,

dirompesse dalla Germania, quella corrente, che intese a


correggere gli abusi del clero, a restaurare in esso e con
esso la pubblica moralità ed anche a dare alle manifesta-
zioni del pensiero un indirizzo più ampio, distrigandolo
dalle pastoie della scolastica e da altri vincoli. Le nostre
222 GIULIA GONZAGA

Biblioteche sono piene di Bibbie, tradotte e commentate:


gli epigrammi del Valla, gli opuscoli di Gio. Francesco
della Mirandola, le predicazioni del Savonarola, per tacere
di altri, danno sicura testimonianza dello spirito largo,
col quale i mali erano palesati e deplorati. Non solo; ma
oggetto di onori, di liete accoglienze erano diversi stranieri,
che lanciavano i colpi più crudeli contro Roma e contro
la curia romana: fra essi specialmente Erasmo di Rot-
terdam, autore di opuscoli che, sotto questo rispetto, poco
hanno da invidare a quelli di Lutero e de' suoi seguaci.
Ed agli onori facevano seguito dimostrazioni anche più
accentuate: si disse che un papa volesse beatificare per-
fino il Savonarola, a ciò vivamente incitato dal P. Sera-
fino Razzi.
La lede era profonda quando i mali, pur esistendo e
gravissimi nel clero, erano cambattuti. Così fu di Gre-
gorio VII, che seppe sostenere una lotta mirabile pe' suoi
altissimi fini con Enrico IV; ma la fede fu scossa quando
all'esistenza de' mali si aggiunse non solo la tolleranza,

ma quasi la glorificazione. E papi e santi dovettero con-


fessare la triste condizione di Era un papa. Enea fatto.

Silvio Piccolomini, che scriveva nelle sue epistole: «la


corte di Roma non dà nulla senza danaro vi si vende :

fin la imposizione delle mani ed doni dello Spirito Santo i :

non si dà perdonanza de' peccati che a quelli che hanno


danaro ». Era una santa, Caterina da Siena, che dopo aver
paragonato il Papa a Giuda, a Pilato ed a Lucifero, scri-
veva « convertì i dieci comandamenti in un solo portate
: :

danaro Roma è un baratto d' inferno ed il diavolo vi


!

presiede e vende il bene che Cristo acquistò colla sua


passione, onde passa il proverbio:

Curia romana non petit arem sìnr lana ;

Dantes exaudit; non dantibus ostia clandit ».

Ed un predicatore, concludendo il suo sermone colla

consueta perorazione a prò dell' abbondante elemosina,


CAPITOLO X 22:5

senza volerlo, faceva la più fina satii-a di iiuolle abitudini,

quando cosi eccitava i fedeli: « voi mi chiedete, fi-atelli caris-


simi, come si vada in Pai-adiso ? Le campane del Monastero
ve l'insegnano col loro ^wowo : ilan-do, dan-du, dan-do ! »

E per tal modo si era perVenuto a tanto ricchezze od a


tanta corruzione che il Concilio Lateranense III era stato
obbligato, come rileva un fervente scrittoi'e cattolico, ad
imporre a' Cai'dinali di contentarsi di quaranta o cinquanta
vetture, agli arcivescovi di trenta o quaranta, a' vescovi
di venticinque, agli arcidiaconi di cinque o sette, di due
cavalli a' diaconi. Per mantenere questo fasto profano ac-
cumulavansi fin quaranta o cinquanta benefici in una sola

mano, ed una delle principali tigure di questo libro, Ip-


polito de' Medici, appare esempio notevole dell' accentra-
mento di tante rendite ecclesiastiche nelle mani di pochi
favoriti. Vuoisi che Benedetto XII proponesse a' Cardinali,

se rinunziassero ad avere più d'un beneficio, di assegnare


loro centomila fiorini d' oro di rendita e metà dello Stato
pontifizio : —
e ad essi non pareva abl)astanza. Ed intanto
la corruzione scendeva grossolana nel clero minore dove
ignoranza, vendita di sacramenti, comune 1' ubbriachezza,
sfacciata la libidine: nelle chiese e ne' conventi si stabi-
livano bettole e giuochi : le monache uscivano a volontà
da' monasteri : tratìicavansi grazie, dispense, perdoni. Degli
antichi ordini religiosi rilassavasi la disciplina e perfino in
quel Montecassino, che già allora aveva dato ventiquattro
papi, duecento cardinali, milleseicento arcivescovi, ottomila
i monaci vestivano sfoggiati, abitavano
vescovi, molti santi,
commodi, riservavansi peculi particolari, anzi ricevevano dal
convento una prebenda colla quale vivere in case secolari.
A dare un' idea delle condizioni morali del clero
d' allora giova riprodurre la relazione d' un gravissimo
scandalo scoperto a Venezia ('). Esso è narrato da Ippo-

(^) È riferito a pag. 34 della pregiata monografia di G. 13. Intra:


« di Ippolito Capilupi e del suo tempo ». Milano, 1893.
224 GIULIA GONZAGA

lito Càpilupi (1511-1580), Nunzio in quella città, amicis-


simo di Giulia Gonzaga, il quale ebbe in dono, come si è
visto, dal Tiziano il ritratto di lei; — circostanza questa
di non lieve momento per spiegare la reazione morale di
alcune donne italiane, che, consce degli abusi, iniziarono
qua e là una vera crociata per combatterli.

È qui un Prete prigione, et g-ià condannato alla morte, chiamato


Gio. Pietro, il quale haveva il governo del Monastero delle Convertite,

et era loro Confessore. Costui essendo il più scellerato huomo del


mondo, haveva nondimeno acquistata tanta opinione di santità, che
non solo in Venetia, ma in questi contorni era chiamato per consigliere
et per esecutore di tutte le buone opere, che si disegnavano di fare;
et coprendo i vitii suoi con mirabil arte et con faccia affumicata et
con digiuni finti ha per spatio di XIX anni ingannata tutta questa città.

Hor finalmente alcune delle Convertite che pochi di fa sono fuggite


fuor del Monastero non potendo tollerar più la tirranide sua hanno
scoperto le sue scelleraggini, le quali sono tante et tali che ser Ciap-
pelletto cosi famoso a paragone di lui si può dire che fosse santo.
Costui è di Valcamonica, dotto nella lingua greca et latina, et ha no-
titia anco della Sacra Scrittura et è huomo di quarantatre anni: egli
teneva amicitia di persone di bona fama, et in particolare di don
Hieremia già favorito di papa Paolo III ; era amato dal Ser.™° Principe
et da tutti i Grandi del dominio, et sempre ragionava con loro di opere
sante et della religione. Haveva con l'Abbadessa dei Monastero con-
tratta strettissima amicitia et con alcune altre monache per farsi ti-

ranno di tutte come in breve spatio di tempo si fece, et per conservar


r imperio, che si haveva acquistato sopra di loro, non permetteva che
si confessassero mai da altri che da lui, ancor che egli per essei'e fuor

della città o per esser infermo non potesse confessarle, perché dubi-
tava che colla occasione della confessione fatta ad altri non palesassero
le sue scellerità per la qual cosa è avvenuto molte volte che ne sona
;

morte senza confessione.


Costui poi che ebbe il freno in mano di questo convento, dove
sono da 400 Monache et la maggior parte giovani et belle, si diede a

voler satiare tutti li sfrenati appetiti della lussuria sua, et in ciò teneva
questa maniera, che quando confessava alcuna di quelle, che g-li pia-
cevano, neir atto medesimo della confessione tentava di tirarla alle

vog'lie sue con alcuni suoi ragionamenti, che haveva premeditato, et


con mettergli le mani addosso per eccitar in lei più facilmente l' ape-
tito carnale, et se la ritrovava del tutto contraria a simili novelle, la
laudava molto come costante et forte, et cercava di darle ad intendere,.

i .
rAIMTOI.ù X 'S^->

che egli simosso a tentarla jier far prova della bontà sua. Ma
fosse
passati dopo l' assalto datole nella confessione, prendendo
alcuni di

occasione da cosa di leg-gier momento, la faceva porre in pri^rione et


batterla et tormentarla fieramente in diversi modi; et per questa via
di crudeltà spesso haveva (luello, che non haveva potuto bavere con

lusinghe, perchè alcune di loro per non esser sempre ne' ceppi et nelle
catene, vinte dai tormenti continui, si disponevano a compiacerlo: alcune
altre non volendo consentirgli, nò potendo come delicate sostenere
r incomodo della prigione né la crudeltà de' tormenti si hanno data la
morte con mangiare e bere cose, che le uccidevano.
Hor questo scellerato per non si mettere ad impresa di monaca,
la quale poiché 1' avesse con<iuistata non gli fosse piaciuta, voleva ve-
derle nude. Laonde nel tempo della state le faceva spogliare et entrare
in vm luogo, dove è acqua di mare, che si cìiiama la Cavana, nella
quale sogliono tener la gondola; et havendole a suo bell'agio consi-
derate parte a parte, et fatta nell' animo suo elettione delle più belle
et più vaghe secondo il giuditio suo, procurava per l'una delle due vie
predette di tirarle al suo dishonesto desiderio, et con tutto che stesse
di altri maggiori, nondimeno
continuo in (piesto peccato involto et in
celebrava messa quasi ogni di, né mai si confessava, et spesso coni-
la

municava le monache sue concubine, che erano nel medesimo peccato


mortale, et se pur alcuna di loro non acciecata del tutto dal diavolo
ricusavii di voler eommunicarsi, egli le sforzava a farlo con dire loro
che egli haveva studiato, et che sapeva meglio di loro quel che si

poteva fare; et era. tanto il timore, che era entrato nella mente di
t'itte per le crudeltà che usava contro di quelle che non 1' obbedivano,
che non ardivano di rifiutar il sacramento anchor che si conoscessero
(li commettere cosi grave peccato; et vi è stata alcuna di loro, che-
presa in bocca l' ostia sacrata et conservatala senza inghiottirla, la

gittava nel fuoco poiché si era ritirata dal cospetto di lui et delle
monache, giudicando minor peccato questo che il riceverla essendone
tanto indegna. Et per ristorarsi delle fatiche amorose, che erano grandi,
perchè era solo come gran turco nel serraglio, che tutte le maneg-
giava, et con molte haveva conversatione cai-nale, viveva di fagiani et
di starne et di pretiosi vini, et haveva la camera piena di confetti et

ristorativi et di mille ricette per poter con l' opera loro esser più forte
alla battaglia. Et se alcuna di loro si ingravidava, egli con medicine
et con altre arti le faceva spregnar, delle una è stata gravida
([uali

di lui quattro volte, et è ancora al presente, non havendo egli potuto


questa ultima volta fare in lei quel che fece le altre volte per esser
stato tardi avvisato da lei della sua pregnezza.
Et non contento di questi due peccati di bissarla et di gola nei
quali era eccellente, rubava non solo tutte le elemosine che erano fatte

15
226 GIULIA GONZAGA

al monastero che erano molte per la divotione che tutta la città ba-
vera, ma rubava anche le fatiche di queste poverelle, le quali egli

faceva lavorare dì et notte senza riposo in diversi esercizii, che per


avaritia sua et per ingannare la città haveva introdotto nel monastero
sotto colore di dar utile alle monache, et di tener gli animi loro oc-
cupati, sicché non potessero haver tempo di rivolgere i loro pensieri
a cose vane et dishoneste.
In somma costui era padrone dei corpi, delle anime e della roba
et delle fatiche di queste poverelle, dalle quali si faceva adorar come
papa et da altre donne della città, che gli baciavano i piedi; ed an-
corché talora si fosse odorata alcuna cosa della mala vita di lui et
che se ne fosse fatto motto a questi Signori come fece il Rev."" Car-
dinale Ferrerio, nondimeno era tanta la impressione della bontà sua
neir animo di tutti, che non si dava mai orecchio a chi parlava di lui
meno che honoratamente; et ultimamente il Patriarca di Venetia che
fu avvisato dalle monache, che fuggirono dal monastero, di tutto quello
che di poi si è verificato, non poteva essere ascoltato in Collegio
quando si propose il caso, dandogli repulsa la maggior parte di questi
Signori con dirgli, che era troppo credulo a dar fede a donne fuggite
dal monastero contro una persona così santa.
Ma alla fine venuti in notizia della verità non senza vergogna per
la credulità loro che è durata tanto tempo, 1' hanno condannato alla

morte, la quale invero non é eguale ai demeriti suoi: la sentenza é


che lunedì che viene gli sia tagliata la testa et poi abbruciato. Questo
caso ha dato gran scandalo in tutta la città, come V. S. 111.""^ si può
immaginare.
Tutto quello che io ho scritto della vita di costui é verissimo, et
il Vicario del Patriarca, che é stato presente all' esamine, me 1' ha
narrato; saranno scritte in questa materia molte altre cose, che come
si suole la fama aggiunge al vero, ma la sostanza è quel che le ho
narrato. Si crede che questi Signori disegnano di purgar questo Mo-
nastero delle Convertite mandandone fuori una grande quantità.

E tante enormezze duvarono per il lungo corso di


19 anni nel centro stesso della città, sotto gli occhi d'una
Signoria, per la quale i sospetti , le inquisizioni , lo spio-
naggio erano le norme supreme di governo.
Ed ora udiamo ancora dallo stesso Nunzio la narrazione
dell'ultimo supplizio inflitto a quel disgraziato, come egli
la scrisse al Cardinale Borromeo in data del 15 novembre:

Il Lunedì i)assato, secondo che era stato stabilito da questi Signori


ili.'"' fu tagliata la testa a quel Prete delle Convertite, et poi abbruc-
CAPITOLO X 227

ciato: et parve che Dio gli volesse dar lua^rgior pena di (india clip

gli era stata costituita dalla giustizia et pietà di (juesti Signori, i)erché
il boja gli diede i)iii di otto colpi colla mazza sulla accetta che gli

aveva posta sul collo, et non potò tagliarglielo: onde uno di (luelli

che r aveva accompagnato alla morte et confortatolo come si costuma,

mosso a pietà, che per mano del boja non poteva morire, gli tolse la
mazza di mano, et di suo pugno gli diede ben quattro o cinque colpi
con tuttt' le forze sue, i quali non furono anche tali, che gli spiccas-
sero la testa dal busto : per la (piai cosa il boia rii)rese la mazza in
mano, et gliene diede parecchie, et al line con un coltello datogli dal
birro tini di tagliargli il collo, non avendo potuto farlo con tutti i

colpi, che egli et queir altro gli diedero. Questo infelice prete, essendo
già condotto sul palco , disse molte parole verso il popolo, le quali
furono scritte da un giovane mentre il Prete le diceva, et la coi)ia
verrà con questa mia, essendomi stata promessa.
Nel monastero delle Convertite è stato dopo (piesto fatto gran
confusione, et è tuttavia, ma non cosi grande. Sono uscite due di fa

da novanta in cento monache di consenso di questi signori, le quali


non havevano fatta i)rofessione, et vi erano entrate, secondo che si

dice, ingannate et dal Prete e da altri per loro interesse.

Ad Ogni modo questi abusi commessi allora in gran


parte per mezzo della confessione (la quale ancor oggi,
conferita spesso a gente che pur non essendo cattiva, per
essere poca delicata, diventa tuttavia strumento insciente
di corruzione ira lo giovani) avevano dovuto eccitare prov-
vedimenti numerosi dalla Santa Sede. Nel cit. Archivio
della Societii Romana di St. patria leggesi un Breve di

Clemente VII del 9 febbraio 1534 ad Aleandro, legato di

Venezia, « perchè destramente faccia arrestare e severa-


mente punisca maestro Simonetta ed altri frati minori, rei
di saci'ilegio e di incesto contro le monache del convento
di Arcella di S. Chiara di ^'icenza a loro soggetto e delle
quali una è fuggita con un soldato ».

Per riflesso i costumi generali del secolo XVI, come


quelli del secolo precedente, facevano un perfetto riscontro
al tri.ste quadro. Basti ricordare che il Marchese Nicola III

d' Este ebbe più di 300 figli illegittimi. A Roma si con-


tavano 6800 donne pubbliche, a Venezia 11650; — a Lucca
il Comune prometteva una percentuale — a proprio carico
228 GIULIA GONZAGA

in rapporto alla dote della donna — per chi trovava ma-


rito. Ne' testamenti si facevano condizioni più favorevoli
agli illegittimi, perchè figli dell'amore anziché del dovere.
A Milano, nel 1553, si ordinava una mascherata di gentili
cavalieri : fingevano di essere mandati dalla Dea Venere
alle donne più avvenenti « onde le più belle e })erfette

parti corporee ritrarre ed entrando in una sala, piena di


nobili matrone e donzelle e recando seco ognuno de' ma-
scherati un foglio, su cui era scritta un' ottava, indicanda
la più venusta e ben formata parte di qualque particolare
gentildonna ».

Del resto il papato dal giorno nel quale messo a


contatto più diretto co' principati civili e colle scissioni

interne de' comuni cominciò ad essere discusso, ebbe un


continuo movimento discendentale. Bonifacio Vili che sogna
una supremazia universale come quella di Innocenzo III,
apparve un anacronismo: lo schiaffo di Sciarra Colonna
fu un insulto che fece compiangere la vittima ma non ,

eccitò la cristianità contro chi l'istigò, e Dante che deplora


r atto è il primo iniziatore d' una riscossa contro la teo-

crazia. Il pontificato di Bonifazio Vili segna nella storia


della chiesa un periodo culminante per vastità di con-
cetti, e per arditezza di lotta. Ma con lui hanno principio
mali gravissimi , che involgono e travolgono la chiesa
senza posa fino all' atto improvvido, fecondo di tanti mali
alla religione, del trasferimento della santa sede ad Avi-
gnone, cui seguono lo Scisma d'Occidente, il concilio di
Basilea, le lotte reciproche di papi e di antipapi, le divi-
sioni degli animi per gli uni e per gli altri. La Riforma
si sarebbe mostrata prima se la stampa fosse apparsa
prima e se il consolidamento del principato civile de' papi
avesse avuto luogo prima.
L' Italia^i'appresentò ognora di fronte alla Germania
r unità religiosa, l' impero. Ma quando il papato, se non
come fatto, almeno come aspirazione e come azione, non po-
tendo diventare una grande unità politica, volle affermarsi
CA TITO LO X 2'21>

come un grande moderatore politico, soi-se nalurale il

<lissidio tra Roma e la (iermania: il predominio relit;ioso

fu consideralo da pai-te di (jucsf ultima come un amhilo


e contrastabile possesso.
Perfino quell'infingardo dell' imperatoi-e Massimiliano
ebbe per un momento la velleità di associare alla corona
il papato. L' esem]iio non restò inimitato. Il cattolico

Luigi XII convocava i concilii d'Orleans e di Tours e

dichiarando che il pontefice non aveva diritto di far guerra


agli stranieri, ribadendo in altri termini il concetto dan-
tesco che aveva stigmatizzato che le sacre chiavi

Divenisse!' segnacolo in vessillo


Che contro i battezzati combattesse,

proclamava I' esistenza della chiesa gallicana.


Ma ad onta di tanti errori l'Italia non volle mai per-
dere il predominio e unità religiosa. Questa al passato
1'

impero universale sostituiva moralmente un nuovo impero


non meno grande. Si ripugnava dal concedere alla Ger-
mania, la quale aveva sottratto all'Italia il primo dominio,
pure la successione nel secondo. Il concetto del papato
universale, anche aflievolito nelle menti, doveva conside-
rarsi quale elemento prezioso in una rinascenza di paga-
nesimo, in parte spiegabile perchè sorretto appunto da
una foi"za morale, che per importanza rappresentava l'an-
tica onnipotenza materiale. Di più 1' umanesimo non ardì
scindersi da quel ])apato, che non rimase indifferente alla
sua apparizione ; anzi la salutò con gioia e ne confortò i

primi passi. Gli interessi dell'arte, della letteratura, quelli


di ordine materiale e le stesse necessità e differenze po-
litiche de' vari stati italiani rendevano o impossibile, o
non del tutto accettabile tra noi una riforma nel senso
e cogli estremi, quale fu intesa, promossa ed attuata in

Germania.
Quindi l'Italia che precorse nell'indirizzo della cri-
tica e di una orpande libertà d' esame il movimento della
230 GIULIA GONZAGA

riforma, contenne questa ne' limiti della restaurazione della


disciplina, della morale e della modificazione di alcuni
istituti in guisa che, senza toccare il dogma, si rendesse
più efficace e più serio l' organamento ecclesiastico. Il

medesimo era stato scosso negli ultimi anni sopratutto dal


nepotismo pontificio, che si manifestava con favori distri-
buiti senza criterio, senza misura ed in opposizione co' veri
interessi della Chiesa stessa. Basti rammentare che Fi-
lippo, figlio del Duca di Savoia, da bimbo era vescovo di
Ginevra, e fatto maggiore, depose l' abito clericale, imi-
tato da Emanuele Filiberto, eletto cardinale a due anni.
Ranuzio Farnese era vescovo di Montefiascone a 1) anni;
a 15 Giovan Filippo di Giolea diventava vescovo di Ta-
rantasia. Il Cardinale Ippolito d' Este a sette anni era
Primate d'Ungheria! Ed aveva la stessa età Alfonso, ba-
stardo di re Ferdinando d'Aragona, all' atto della nomina
a vescovo di Saragozza. Di quattordici anni era cardinale
Giulio della Rovere, nipote di Giulio II: di quindici un
figlio di Pier Luigi Farnese; e diverse dozzine di prelati
ebbero la porpora, mense vescovili ecc. quando dovevano
ancor raggiungere i venti anni. Collo stesso criterio, cioè
senza nessun criterio, si distribuivano i benefici ecclesiastici
e delle indulgenze si faceva un uso non molto corretto ;

ma per quest' ultimo punto, sia perchè la vicinanza del


papato rendeva meno gravi, o neutralizzava qualche volta
certi effetti, sia per l'indole scettica degli italiani, la spe-
ranza di una forte reazione non era in rapporto diretto
colla probabilità di vederla suscitare.
Lo studio della riforma in Italia, fatto serenamente,
porta, a mio modesto avviso, ad una sola conclusione: il
movimento tra noi fu contenuto in limiti precisi, positivi :

si volle la riforma cattolica della chiesa come definì il ,

tentativo con grande verità Vincenzo Gioberti, al quale i

gesuiti astutamente contrapposero la forinola della « riforma


della chiesa cattolica » cambiando cosi le carte in mano al

loro acerrimo ed immortale avversario ! Ed in quel campo


CAI'IToI.O X 'J'.W

si scliierarono cai'iliiiali, vescovi, prt'laii, leiiurali, (loiiiie in-

Fenomeno naturale, come in ogni grande rivolgimento,


signi.

pur avendo comune intento, divei'si e forse qualque volta


1'

opposti furono i mezzi adoperati per raggiungerlo. Soprav-


venne, durante il fervore della lotta, il dubbio del possi-
bile trionfo degli avversarii. Alloi-a il sospetto eccitò la
reazione: i compagni, i commilitoni della riforma discipli-
nare furono com])attiiti collo stesso accanimento de' belli-

geranti per la riforma dogmatica. I mezzi repressivi spa-


ventarono od infervorarono. Si ebbero molte vittime o
rassegnate o pronte a subire con gioia il martirio: e non
mancarono diversi che, per evitare questo estremo, jias-

sarono nel camjìo nemico. Tra gli ultimi 1' Ochino. Lo


sti'uniento di cui si avvalsero per queste pei-secuzioni. pei*

queste prosciizioni. e. giova notarlo, per raggiungere spesso


un fine perfettamentf^ opposto a quello voluto, fu V in-
quisizione.
Su questo istituto gioverà dire una schietta parola;
precisamente la mancanza di schiettezza ha potuto far tol-
lerare il terribile tribunale e la mancanza di schiettezza
ha potuto più tardi farlo spiegare e giustificare.
T'manizzato, nella genesi e negli ordinamenti delle
leligioni, il concetto di Dio, attribuite a lui tutle le qualità,
o meglio tutte le miserie del carattere umano, facendone
sopratutto un essere vendicativo e vanitoso, è naturale che
per la tutela del suo onore si ricorresse non solo alle pre-
ghiere che solleticano; ma anche a' sacrifici cruenti, che
costituiscono un'espiazione per la divinità oltraggiata,

ovvero la più completa manifestazione della soggezione


della creatura al creatore. Così nel politeismo s'immolano
vittime per placare lo sdegno degli Dei. o per vendicare
le offese ad essi arrecate. Iddio non si difende da sé: può
offendere, perchè onnipotente ; ma deve essere difeso nelle
sue suscettibilità dall'uomo, che assicurandogli l'onore eil

il rispetto, tutela l'onore ed il rispetto proprio. Perciò il

codice religioso non è diverso tra' pagani e tra gli ebrei.


"232 GIULIA GONZAGA

Cristo portò un completo sconvolgimento in simili aberra-


zioni: la sua religione è religione di carità, di amore,
di perdono, e Dio si personifica o si confonde nell' ideale

della fratellanza universale. Alla spada è sostituita la pa-


i-ola, alla violenza l'esempio, alla pena il pentimento, alle
offese il ricambio del perdono. Una comunione di fini, di

affetti avvince tutta l'umanità, derivata da un unico padre,


creatore, e Cristo non lascia, in tutto il suo insegna-
mento, che una sola preghiera : il 'paler noster, il quale
ricorda i rapporti tra l'ente e l'esistente ed il vincolo
costante tra le creature. La chiesa ne' suoi riti idealizza
anche di più questa fusione di anime determinando rela-
zioni di affetti e di dipendenze non periture, e ne viene
quella comunione di anime che dura anche oltre tomba e
che dà alla vita uno scopo, tiene viva la speranza ne' mor-
tali, perpetua i legami tra le persone amate e distrugge
tutti i tristi effetti dovuti al tempo ed all' umana con-
tingenza. Non obiii , ahiit, è scritto poeticamente sopra
una tomba di San Domenico Maggiore in Napoli. Questo
idillio che nessuna mente umana saprebbe concepire,
spiega l'eroismo de' cristiani nelle fiere persecuzioni dei
primi secoli , il culto serbato al ricordo di eroi e di

eroine, la conservazione gelosa di imagini, di epigrafi, di

resti mortali, de' quali sono piene le cripte, le catacombe,


le memorie tutte del periodo glorioso della nuova società.
]\Ia un bel giorno i perseguitati diventano persecutori, si

dimentica la figura di Cristo, anzi si afferma che Cristo


debba essere più vendicato che onorato, e si ricorre agli
stessi mezzi autorizzati dal vecchio testamento. Per tal

modo sorge e si propaga l'istinto della vendetta di gene-


razione in generazione contro gli uccisori del fondatore
della Chiesa. « Se invece di perseguitare gii ebrei con
odio cieco, osservò il Renan, il cristianesimo avesse abo-
lito il regime che uccise il suo fondatore, quanto sarebbe
stato più logico, quanto avrebbe meritato meglio del genere
umano! » (vita di G. C. cap. XXIV). Ma l'ira non cessa
CAPITOLO X 23'5

qui: bisognava colpire anche coloro clic nella cliiesa ollen-


<levano o indirettamente o dii-etiamente chi la ci-eò ; ed
allora sorgono i concilii a fissare delle sanzioni, e in

modo più perfetto nel secolo XVI si foggiano (jne' tre-

mendi tribunali di sangue, che invano si è cercato di

scusare. Fu detto che la chiesa in ciò segui i tempi e le

correnti de'temjii. Ma se la chiesa — come societii reli-

giosa, eminentemente elica — aveva una missione, doveva


esercitarla non facendosi trascinare dalla corrente, ma
ostacolando una corrente, tanto più che questa suonava
ed era negazione perfetta di tutti i precetti di Cristo.
Ed anche più deplorevole è una scusa accampata da scrit-
tori cattolici, che vicevei'sa chiamei*ei pseudo-cattolici,
}>erchò la veritii è la base del carattere che volle Cristo
quando disse: sii autem sermo vester : ani, ani; non nun!
E la scusa consiste nel dire che i tribunali dell' inqui-
sizione determinavano solo l'esistenza o meno della colpa;
e poi lasciavano il colpevole in mano al braccio secolare,
che ne disponeva secondo le legislazioni de' tempi. Ora ciò

si converte in una crudele e beffarda ippocrisia, poiché


negare la responsal)ilii;i diretta agli atti dell'inquisizione,

sarebbe come negarla ad un giurato, all'odierno giudice


del fatto che affermando l'esistenza del reato, dovrebbe ma-
gari sperare che poi il giudice del diritto non applicasse la
legge ! Ed oggi la legge può avere ed ha una scalv. penale
che allora non esisteva. Chi era ritenuto eretico veniva di

necessità dannato dal braccio secolare all'estremo supplizio;


ed i componenti il santo tribunale con quanto gusto si

abbandonavano ad inquirere ed a pronunciare simili ver-


detti di fatto! Però, osservava ingenuameittc Cesare Cantù,
spesso gli inquisitori raccomandavano a' secolari che si

usasse indulgenza e si risparmiasse la vita. Ed infatti

Bernardino di S. Matteo di Trani, Scipione di S. Angelo


di Pisa, Francesco di S. Croce Gerusalemme Pacheco
in

e Giovan Francesco di S. Potenziana di Gambara « per

la misericordia divina della Santa romana chiesa preti


234 GIULIA GONZAGA

cardinali e nella universa repubblica cristiana contro l'ere-


tica pravità inquisitori generali » conchiudevano la sentenza

contro il Carnesccchi, letta in Roma il 16 agosto 1567 e


pubblicata il 21 settembre 1567 in venerabili ecclesia
Beatae Mariae supra Minervam j^ublice coi-am po^nilo,
con queste parole: « diamo et relassiamo alla corte se-
colare, cioè a voi Monsignor di Roìna, che lo riceviate
nel vostro foro et a vostro arbitrio da punirsi con debito
castigo: pregandovi però, sì come caldamente vi preghiamo
(bello quel calclamenie\ e quanto fu del pari ingenuo il

rifiuto del Monsignore ad ottemperare al voto de' quattro


cardinali!), a moderar la sentenza nostra intorno la per-
sona sua senza pericolo di morte ed effusione di sangue! »
E pare che il potere secolare di Roma non fosse emana-
zione della Santa Sede! Ed è noto che Pio V. il quale
aveva spinto Cosimo I ad imitare il tradimento di Giuda

contro il Carnesecchi (consegnato vilmente nelle mani d'un


Monsignore, spedito a Firenze dal Pontefice) non volle
mai ottemperare né alle preghiere del Duca, né della re-
gina di Francia, che chiedevano la vita del famoso proto-
notario , decapitato e bruciato a Castel Sant'Angelo ! Per
fortuna, per legittimare il suo rifiuto, Papa mandava alla
il

regina un estratto del processo. Il documento in possesso


dal famoso cardinale Girolamo Dondini, nunzio apostolico
presso la Regina, comprato da' suoi eredi, fu poi acqui-
stato da Giacomo Manzoni e pubblicato a Torino nel 1870
nella Miscellanea di Storia Patria, edita per cura della
R. deputazione di storia patria (voi. X). L'estratto, di

eccezionale importanza, fu al presente lavoro di prezioso


ausilio.
Del resto Brevi pontifici pubblicati dal Fontana e da
i

altri dimostrano che tutto ciò era e sembrava naturalis-


simo. Un Breve del 23 giugno 1547 (V. voi. cit. della
Società romana di Storia patria) « conferma al Nunzio di
Venezia ed a' suoi ufficiali, sebbene costituiti negli or-
dini sacri, facoltà di procedere contro gli eretici fino
CAPITOLO X 235

air effusione del sangue, mutilazione di niend)i';i ed estremo


supplizio, senza incorrere in pene ecclesiastiche ed irre-
golarità » (p. 401). Le stesse facoltà sono accordate al
Nunzio ili Venezia Ludovico Beccatelli : « facidlates cantra
hen'ticos etiarn ad sangiiinis et membrorum mutilationis
nec non uUinii supplìcii ac degradationis sentcntias li-

bere procedere ».
Infine quanto un lii/.antinismo anche più ridicolo del-
l' antico ed una negazione completa d' ogni precetto di

Cristo dominassero gli animi de' feroci giudici , si rileva


dalle accuse, delle quali un inquisito, Matteo d'Aversa, il

3 luglio 1553 credè confessarsi innanzi a' padii inquisitori.


Nel costituto di quel giorno egli rivelava d' avere avuto
due opinioni:
1.*^ ho creduto che al suonar dell'Ave Maria non
siamo tenuti dir l'Ave Maria; ma più presto il Pater Noster,
e cosi ho osservato qualque tempo;
2.^ ho creduto che li heretici non devono essere
abbruciati, ma che vivant et convertantur.
Se invece di scusare l' inquisizione ci fossimo abituati
a chiamare le cose col loro nome ed a riconoscere perciò
che pur troppo il periodo di que' procedimenti costituì un
fatale errore, un danno per 1' umanità ed una sconfessione
de' principi miti di Cristo , la chiesa avrebbe avuto assai
minori attacchi ed avrebbe riaffermati e glorificati, collo
stigma impresso a' carnefici, i principi altissimi del suo
fondatore. Se i papi avessero eretto in Roma una colonna
infame a ricordo de' giudici ed in espiazione delle vittime,

i cattolici non avrebbero veduto sorgere un giorno un


monumento a Giordano Bruno ! Se quel monumento signi-
fica solo la protesta contro l'intolleranza teocratica, mi
auguro che venga un papa che dia alfine il dovuto com-
pianto a tutte le vittime della ferocia religiosa, elevando
un monumento che raccolga in un gruppo i principali
inquisitori, nell' atto che, pronunciano sentenze e.... calpe-
stano una croce!
236 GIULIA GONZAGA

Se le ragioni accennate più sopra impedirono o neu-


tralizzarono una larga propaganda in Italia nel senso
assolutamente eterodosso , motivi ed interessi di indole
affatto opposta resero anche tra noi in parte accetto il

moto scoppiato in Germania. Di esso, a capo di pochi anni,


si chiari appieno lo scopo, il quale ebbe poi un completo
trionfo nella pace di Vestfalia: si ottenne il consolidamento
d' una conquista politico-sociale , riflettente una diversa
distribuzione delle ricchezze de' benefìci ecclesiastici ed
un' emancipazione a prò de' principi e de' feudatari dal
sacro romano impero.
L' Italia di fronte alla Germania per certi rapporti
teneva allora una posizione privilegiata, quale l'ebbe Roma
repubblicana ed imperiale di fronte al resto del mondo
allora conosciuto. Come Roma spediva ovunque consoli e
proconsoli che nel nome della metropoli usavano ed abu-
savano, taglieggiavano ed immiserivano le popolazioni sog-
gette, così dal centro del cattolicismo partivano falsi pastori,
i quali, recandosi tra le popolazioni cattoliche, nel nome
di Dio, adulterando spesso, sorpassando o svisando le inten-
zioni de' papi , le opprimevano fìnanziariamente. In Ger-
mania la vendita delle indulgenze si faceva per mezzo di

appalti e sottoappalti , con tutti gli abusi e le vessazioni


naturali a questi sistemi. Ivi il P. Tezel viaggiava in
carrozza scortato da tre uomini a cavallo. Tosto arrivato
in una terra rizzava banco, predicava, ostentava il van-

taggio delle indulgenze, il cui prezzo si dibatteva e stipu-


lava secondo le sostanze e la dabbenaggine degli uomini.
E addoppiandosi all' ingordigia de' venditori la credulità
de' compratori si venne a ritenere e vociferare che per
più meno di fìorini potesse chicchessia levar qualunque
anima dal Purgatorio e assicurarsi perfino 1' assoluzione
de' peccati avvenire. Il volgo credeva che la moneta fosse
il prezzo della remissione de' peccati senza uopo di con-
trizione : sborsandola quietava la propria coscienza e con-
tinuava a peccare. È vero che la chiesa esigeva buone
cAPiLoi.o X 237

opere e coscienza netta; ma nel latto yli a^^enti pontificii


lasciavano correre interpretazioni molto più larghe ed
erroneo. E fino ilal 1475 si era pubblicato in Roma il

libro intitolato: Tasse della Cancelleria, ove erano sta-


bilite le tarifi'e corrispondenti a ciascuna colpa. Forse il
libro fu supposto, né certo ebbe mai caratteri autentici;
ma non fu disdetto, ed anzi fu lasciato circolare (').

Di più in questi tempi in Italia non esisteva più quel-


r istituto che nel medio-evo abbracciò l'Italia e l'Europa,
cioè il feudalismo ecclesiastico. Il clero era ricco, dispo-
neva di molti beneficii ; ma non vi esercitava un potere
politico, ad eccezione di Roma, che costituiva uno stato
come gli altii. Ma in Germania (a prescindere che tra
sette principi elettori tre ei-ano ecclesiastici, cioè gli

arcivescovi di Treviri, di INIagonza e di Colonia) molti


erano gli Stati inferiori governati da Priori, Vescovi. Ab-
bati ecc. ed il Piccolomini (che fu poi Papa Pio II) scrisse
che ivi appunto « i maggiori prelati potevano mettere in

arme quarantamila uomini; che in paragone loro quelli


d' Italia erano appena jìarrochi di città. Straordinario il

numero di prelature, prevosture, canonicali, decanati, arci-

diaconati , conferiti a uomini dotti o nobili : nella sola


Liegi settanta prebende erano unite alla chiesa cattedrale ».
« Del resto, osserva il Ricotti, questi principi ecclesiastici
quanto co' propri costumi scandalizzavano i fedeli e colla
propria ignoranza nuocevano alla Chiesa, altrettanto colle
ricchezze smisurate, ma scompagnate dalla forza, stimo-
lavano popoli e principi a fare impresa contro di loro :

questi per ingrandirsi della loro rovina, quelli per levar-


sene d'addosso il gioco, tanto più grave perchè era doppio,
cioè spirituale e temporale e tanto più spregiato pei'chè
tenuto da mani inette ».

La rivoluzione religiosa potè tardare finché fu viva


la credenza negli scopi provvidenziali del potere politico-

(*) Ricotti, Della rivoluzione protestante, libro II, discorso IV.


,

238 GIULIA GONZAGA

religioso. La monarchia, secondo le concezioni medioevali,


era universale e divisibile in due autorità, secondo i fini

predisposti da Dio, nella monarchia politica e nella mo-


narchia religiosa: due soli cantati da Dante, irradianti
i

il mondo, personificali nel papa e nell'imperatore. Questo


principio di autorità avvinceva le menti colla stessa rive-
renza, colla stessa sanzione d'un dogma; — e solo così
è spiegabile come , in tempi essenzialmente religiosi , un
buon cattolico combatta il papa nel campo ghibellino, pur
ritenendosi cattolico, ovvero combatta, come guelfo, l'im-
peratore ,
poiché il dissidio della coscienza poteva facil-

mente comporsi risalendo a' principi fondamentali e mode-


ratori dell' autorità e della genesi di questa. Ma quando
i papi furono scossi moralmente da una serie di errori
e vollero campo politico, inco-,
contendere nello stesso
minciò colla cresciuta cultura quell' esame libero degli
, ,

istituti e degli uomini che venendo in campo anche


, —
interessi particolari o da tutelare, o da migliorare , o da
conquistare — portò ad un radicale cambiamento di idee,
più tardi afi'ermatosi colla rivoluzione religiosa.
Escirebbe dai limiti di questo lavoro parlare in modo
diff"uso delle manifestazioni od afi"ermazioni riformatrici
sorte nelle varie città italiane. Tuttavia desidero, a grandi
linee, ricordare i luoghi ove le nuove idee ebbero maggiore
diffusione ed accennare alcuni nomi più notevoli, per ren-
dere così, per altri rapporti, meno incompiuto il presente
studio.
A Roma, sotto gli occhi del papa e dell'inquisizione,
il movimento non si accentuò, salvo il fenomeno dei con-
gregati nell'oratorio del Divino Amore, un'associazione
di transigenti di fronte all' intransigenza romana ed al-
l' intransigenza germanica. Ma alle porte di Roma si fecero
notare le riunioni di Viterbo, delle quali erano anima il

Cardinal Polo e Vittoria Colonna. Le riunioni dell'oratorio


del Divino Amore ebbero trasferimento e seguito a Venezia
nella chiesa di S. Giorgio Maggiore. Il movimento riformista
CAinroi.o X 239

elìbe quivi il priucipul prolettore nel }i;"ovei'no stesso, intol-

lerante dell' inquisizione e d' ogni accenno ad intervento


di predominio straniero. Gli scritti de' novatori trovarono
tipograti ditibnditori, propagandisti nel francescano Ivaldo
Lupetino, poi condannato a morte, in Baldassarre Altieri,
segretario dell'ambasciatore inglese, e in Angelo Buonariri,
generale de' canonici regolari. Le città della repubblica e
le confinanti ebbero ovunque neofiti. A Padova predicarono
Enrico Scoto, il Brolao, il Gribaldo; a Crema posero stanza
Ottonello Vita, discepolo ili Vergerio, e un frate Battista
da Crema, che si afl'ermò poi specialmente a Milano; a
Bergamo si facevano notare il vescovo Vittorio Soranzo,
ed il suo vicario il quale una volta tentò di far arrestare
r inquisitore Ghisleri, tutto intento a reprimere la pro-
paganda libraria di Como. Furono accusati Giovanni Gri-
mani, patriaica di Aquilea, un frate Angelo di Trevigi
che procurava di divulgare il libro del Beneficio di Cristo,
e sopratutto rimase famosa 1' opera attivissima del vescovo
di Capodistria, Pier Paolo Vergerio, del quale tanto si è
scritto e si scrive. Infine a Vicenza avevano più frequen-
temente luogo le riunioni de' sociniani, scoperti nel 1546
e arrestali in gran parte, de' quali riescirono a scampare
Lelio Socino, il Siculo. 1' Ochino, l'Alciati, il Gentili e il

Blandrata. Le persecuzioni in Venezia incominciarono col


lóGO: i rei erano condotti colla gondola al mare e poi
con a' piedi un sasso pesante erano incatenati su una tavola,
sostenuta da due gondole, che, ad un dato segno, si riti-

ravano, lasciando cadere in acqua il paziente. Così perirono


Giulio Guirlanda, il vicentino Antonio Ricetto, Francesco
Sega di Rovigo, il prete Francesco Spinola e l'altro prete
Baldo Lupentino che aveva trascorsi 20 anni in carcere.
Il bassanese Domenico Casablanca, trentenne, arrestato a
Piacenza, fu strozzato e bruciato. Arrestato in Padova,
ove studiava , nel 1555 Pomponio Algeri , che allora
contava 25 anni, il Senato Veneto non seppe rifiutarsi
alle insistenze della curia romana. Tradotto in Roma, il
240 GIULIA GONZAGA

19 agosto 1556 fu bruciato vivo a Piazza Navona, facen-


dolo entrare in una caldaia bollente di olio, pece e tre-
mentina , dove visse per un quarto d' ora « con allegra
mani al cielo, e dicendo: suscipe Do-
faccia, alzando le
mine Deus fanmhini et martìrem tuum! »
Di Napoli parlerò in speciale capitolo.
Firenze, la patria del Carnesecchi e del Martire, ebbe,
secondo Sante Pagnini, molti aderenti. A Bologna si portò
a diffondere le nuove idee Giovanni MoUio da Montalcino,
frate minorità ed i seguaci non dovettero essere pochi,
se Baldasarre Altieri nel 1545 era in grado di scrivere
ad un suo amico che un signore bolognese poteva chia-
mare sotto le armi seimila soldati evangelici, quando fosse
occorso di muovere guerra al papa ; ed il Caracciolo
ricorda l'opera di G. B. Scoto, confortato dall'amicizia e
dall' appoggio di persone potentissime, quali il Morene, il

Polo e laMarchesa di Pescara.


A Lucca sorsero numerosi i novatori , tra i quali si

ricordano Pietro Martire Vermigli, col Tremellio fer-rarese,


dottore in lingua ebraica, Celso Martinengo, lettore in

lingua greca, Paolo Lascisio veronese, Girolamo Zanco,


le Burlamacchi e Diodati ed alcuni credono lo
famiglie
stesso Francesco Burlamacchi. il quale per altro, al dire
del Masi « delle nuove dottrine non considerava che la
opportunità politica e la forza rivoluzionaria, non si preoc-
cupava che di farne l'arma, con cui disgiungere imperatore
e papa » ('). A Siena si agitavano 1' Ochino e Lattanzio
Rangone ; a Fiesole era sospetto il vescovo a S. Gemi-/
;

niano Michele Angelo Tramontano ed il medico Fracano ;

a Perugia bandivano le nuove dottrine lo stesso Fracano,


il Tramontano ed un prete detto Crescio.
A Milano vi erano molti frati, preti e secolar-i. inchi-
nevoli alla corrente: di alcuni di essi parla Muzio nel
il

libro II delle sue lettere. A capo vi era un don Celso.

(') Masi: Burlainacclii , ecc. - Bologria, Zanichelli, 1876, p. :38.


,

CAPITOLO X 211

canonico regolare che, processato per istigazione del Muzio,


fuggì a Ginevra.
Il Piemonte die i natali a quel Celio Secondo Curione (')

il (juale pe' suoi scritti e per l'ardore nel pi'opagai-ne i

precetti, può considerarsi il Lutero d'Italia. Celio, nato


il 1503 a Torino, ultimo di ventitre fratelli, studiò a
quella università e apprese le nuove dottrine dagli ago-
stiniani torinesi. Quindi Germania con Giacomo
si recò in

Cornelio e Francesco Guarino. Passò alcun tempo a Ivrea


presso il cardinale di quella città, insegnò a Milano, visse
diversi anni a Casale, tornò a Torino, ove, per la contro-
versia avuta con un domenicano fu ai-restato. Ma riesci ,

a fuggire e si ritrasse ad insegnare a Pavia, restando


incolume per qualche tempo dagli agguati dell'inquisizione.
Poi si ritirò a Venezia e di lì a Ferrara, ove conobbe
Fulvia Olimpia Morato che doveva poi rivedere in esilio

in Germania ed al nome della quale e principalmente


legato il nome del Curione. — Piemontesi furono an-
che il cappuccino Goffredo Varaglia, bruciato a Torino
il 29 marzo 1558 per aver predicato tra' valdesi, e Ludo-
vico Pasquali Coni che predicò tra' valdesi di Calabria
con Stefano Negrino più tardi fatto morire di fame
,

mentre il Pasquali, trascinato a Roma il dì 8 settembre ,

1500, alla vista del papa e de' cardinali, nella corte con-
tigua a Castel Sant'Angelo, venne strozzato e poscia bru-
ciato. Di lui restano alcune lettere.
Ma due città diedero luogo a' maggiori sospetti e in

realtà si trasformarono in focolari delle teorie riformiste,

cioè Ferrara e Modena.

(^) Sul Curione, morto prof, d'eloquenza a Basilea nel 1569, v. il

panegirico dello Stepano, suo collega, presso Schelhorn: araoenitates


literariae tomo XIV. Le più recenti biografie di lui, edite nel 1860,
,

si debbono a Carlo Schmid, prof, di Strasburgo, ed a Maria Young


(the life and times of Aonio Fdleario,.

16
,

242 GIULIA GONZAGA

Ferrara, per opera di Renata d' Este , divenne natu-


ralmente il rifugio de' riformatori, fino al punto che Cal-
vino, nel 1536, vi potè fareuna breve apparizione, profit-
tando dell'assenza del Duca. Modena, patria di quattro
cardinali infetti, Sadoleto, Cortese, Badia e Bertani (car-
dinal di Fano) annoverava pure un' accademia che aveva
accolte le nuove idee. Il Card, e Vescovo Morone ,
poi
sospettato anche lui, cercò di conciliare le varie tendenze.
Erano considerati novatori il Segretario del Vescovo
Bianco De Bonghis, Antonio Gabaldino, libraio, che ristampò
il Beneficio di Cristo Bonifacio Valentino cui Adriano
, ,

segretario del card. Fanense, scrisse una lettera di con-


doglianza per la morte di Lutero, e sopratutto un uomo,
divenuto celebre per le sue polemiche col Caro e ce-
lebre anche per le sue sventure , Ludovico Castelvetro
(1505-1571) {').

Pare , dice un suo biografo , che le ricerche sulla

fede religiosa del Castelvetro e de' suoi compagni si faces-


sero non solo prima dell'uccisione di Alberico Longo (1555),
ma ancora prima della guerra crudele suscitata dalla
critica alla famosa canzone. L' essere stato citato a Roma
nel 1556 non toglie che prima fossero nati su lui gravi
sospetti ('). —
I dubbi sulla fede di molti accademici mode-

nesi, cominciati nel 1537, si rinnovarono nel 1542, nel 1545,


poi nel 1555 ed infine nel 1560 e sempre in que' sospetti
trovasi commisto il nome del Castelvetro. Egli nel 1561
fuggì da Roma : si recò a Modena, trattenendovisi qualche
tempo nascosto e poi a Ginevra , Lione , Vienna e Chia-
venna. ove morì.

(1) Neil' Archivio della Società rom. di st. patria leg-gesi un Breve
di Paolo III del 1° ottobre 1555 al Duca di Ferrara per far arrestare
e mandare a Bologna i modenesi Bonifazio Valentini, preposto alla
cattedrale, Filippo Valentini, Ludovico Castelvetro e il libraio Antonio
Gabaldino, infettti di eresie (voi. Ili, p. 434).

(2) Sandonnini, Ludovico Castelvetro e la sua famiglia. Bologna,


Zaniclielli. 1882, p. 82.
,

CAPITOLO X 243

Neil' estratto de' processi inquisitori sotto Paolo III

e Paolo IV vediamo ricordati i seguenti nomi: Ascanio


Colonna, Luigi Priuli, fra Andrea da Volteri-a, Bartolomeo
Miranda, arcivescovo, fra Bart. Pergola, Cai-dinalc Bembo
( frequentavit visitationem marchionissae Piscariae ) ;
Card. Badia, Card. Cantarono, fra Claudio Caravalo car-
melitano, Donato Rullo, Card. Fanense (amicus Lutìieri:
dolet eius abUum); Card. Fregoso, Guido Giannetto (visita-
hat marchionissam PiscaìHae); Geronimo Bono (haereli-
cus visitabat marchionissam Piscariae); Chizola Canonico,
G. B. ^Qoio (i ci) ; l'arciv. Idruntino, h.l^Qhaìidi (quaedam
deflincia suspecta de haeresi) ; Ludovico Castelvetro, fra
Mariano da Siena dell' ordine de' predicatori D. N. Mar- :

cellus episcopus : Ant. ab. Villamarino, napoletano; M. A.


Flaminio, N. Sanfelice, vescovo di Cava, Ottaviano Lotto
card. Polo, P. Carnesecchi, P. Fracano, medico perugino,
Paolo de Paolis, benedettino, Prospero de regio, monaco
cassinese, Renata (ducissa Ferrariae suspecta de haeresi,
subventrix haereticorum) ; Card. Simonetta, Card. Sado-
leto , Card. Seripando , Card. Tridentino , fra Tomaso da
S. Miniato e fra Tommaso Boninsegna dell' ordine de' pre-
dicatori; Vescovo Vittorio Soranzo ecc. (^) e moltissimi
il

altri che ometto di riferire.


Diversi di questi nomi riappaiono nel processo Car-
nesecchi del 1566, specialmente quello di Luigi Priuli, la
cui nomina a vescovo di Brescia fu annullata da Paolo IV.
È assai noto 1' affetto grandissimo per lui del Polo , che
se lo condusse in Inghilterra e Io fece suo erede. Muzio
Calino che ebbe non piccola parte nel concilio di Trento,
arcivescovo di Zara e poi nel 1566 vescovo di Terni
{-\- 1570), scrivendo al Gu alterezze lodava il Priuli, chia-
mandolo buono, santo, innocentissimo e soggiungeva: « la
sua morte, siccome anche la memoria della sua vita e

(}) Ardi, della Società romana di storia patria, voi. 3.°


244 GIULIA GONZAGA

de' suoi santi costumi, ci dovrà essere sempre fresca nel-


r animo » (^).

Si potrebbero moltiplicare i nomi di cardinali, vescovi,

preti, frati che sono segnati a dito dall' inquisizione. La


qual cosa giova a confermare che gli abusi erano ricono-
sciuti dallo stesso clero; che il movimento era in gran
parte estradogmatico e rifletteva la disciplina e la riforma
de' costumi, e prova sopratutto una dolorosa verità che i
papi, spaventati da' progressi della riforma germanica, si
abbandonarono ad una feroce reazione, mettendo in un fa-
scio i riformatori del dogma e quelli della disciplina nonché
perseguitando ingegni illustri ed anime sincere, consci del
male e combattenti contro il male. Ma parve politica
buona sacrificare anche gli antichi amici e gli antichi
alleati di un moto precursore del quale fu anima anche ,

un papa. Paolo III. Si sperava così di levare un pretesto


alla lotta, come se la lotta non fosse già incominciata
da molto tempo e non fosse già grandemente progredita,
si potesse distruggere, sopprimendo le persone invece
di sopprimere gli abusi e di correggere certi istituti. Si

ebbero quindi vittime inutili, le quali ad ogni modo riman-


gono lagrimevoli ed ammirevoli esempi di alto carattere
e di alto ideale nel nuovo movimento degli spiriti verso
la critica e verso il libero esame.

(^) Campori, Lettere di scrittori italiani nel sec. XVI, p. 66.


XI

Le Donne e la Riforma.

La donna nelle mutazioni religiose - Processi e condanne nel medio evo -


G-ugìiehnina di Boemia - La moglie di fra Dolcino - Donne valdesi
trucidate in Calabria - Esterniinio di donne condannate per ebraismo
- Tendenza filosofico -religiosa delle donne nel socolo XVI - Scopo
diretto del loro proselitismo - Donne di Casa Orsini - Costanza
Davalos - Monache napoletane accusate di valdesianesmo - Sospetti
su monache di altre città - La contessa Lucrezia Pico Rangone di

Modena -Un predicatore pernicioso inviato in questa città da Vit-


toria Colonna - Una discepola del Castelvetro - Donne processate a
Venezia - Italiane rifugiate a G-inevra - Donne lucchesi in esilio:
Clara Calandrini Burlamacchi e Laura Calandrini Diodati - Auto -
da -fé di donne.

Quanto la donna abbia concorso ad ogni mutazione


di forma religiosa non è qui il caso né di ricercare né ,

di stabilire, per non divagare soverchiamente. Quale ele-


mento essenzialmente conservatore, la donna più che alla
si hanno anche esempi recenti,
formazione, pel che del resto
contribuisce largamente o alla diffusione o alla conserva-
zione d'una confessione religiosa. Non vi é martirologio
che non annoveri molti esempi della viva parte presa dal
sesso gentile : il martirologio cristiano celebra innumere-
voli donne, che si consacrarono e si immolarono per la
nuova credenza. Anche le varie sette che sorgono dal seno
stesso del cristianesimo non mancano di simili esempi. Ben
disse Camillo Flammarion nel suo Le Monde avant de la
,,

246 GIULIA GONZAGA

creatioìi de V homme, che « le misticisme de la femme,


» son besoin d'aimer, sa faiblesse mème et sa peur, qui
» en est la consequénce, ont dù favoriser puissament l'evo-
» lution religieuse. Ce sont là, en effet, d' excellents élé-
» ments pour constituer un sentiment religieux actif ».
Nel medio evo appaiono frequenti casi di processi e
di condanne di donne imputate di eresia, quantunque in

un tempo, nel quale la superstizione era così profonda,


non bisogna facilmente ribattezzare per eretiche molte
sventurate considerate maliarde, maghe, fattucchiere, stré-
ghe, astrologhe. Gioverà, per citare qualche caso, tener
presente un'ordinanza dell'epoca angioina (^), da essa si

rileveranno non pochi nomi di donne, affidate alla paterna


correzione inquisitoria de' francescani.

Il 12 agosto 1269, Carlo fece scrivere a tutti i Giustizieri, Secreti,


Baiuli, giudici, maestri giurati etc. , die avendo fra Benvenuto del-
l' Ordine de' minori, Inquisitore dell' eretica pravità, inviato Regebazio
e Jacobuzio suoi familiari, i quali sarebbero stati latori deUa presente
lettera, per prendere alcuni eretici dimoranti in diverse parti del Regno,
ed avendo dimandato il favore e l' aiuto Regio a questo fine, carce-
rassero e custodissero in luoghi sicuri tutti questi eretici a richiesta
degli anzidetti o di qualche altro di loro e ne prendessero tutti i beni,
stabili, mobili e semoventi, da conservarsi pe' bisogni della Curia Regia ;

de' quali beni, presi con la massima attenzione, se volessero evitare


r indignazione divina e la Regia , facessero fare quattro simili istru-

menti pubblici, da tenersi uno presso di loro, un altro presso il

custode de' beni , il terzo presso la Curia , il quarto presso i Maestri


Razionali della Magna Curia. E in fine della lettera fece notare i

seguenti nomi :Montesano Bencivenga de Vecorclana, Verde


Gilia de ,

figlia di Guidone Verruti Fiore di Colle Casale Benvenuto Malyen


, ,

d'Acquapendente Migliorata sua moglie che olim dicevasi Altruda


,

Sabbatina che chiamavasi Bona maestro Matteo tessitore Alda sua, ,

moglie Giovanni di Orso Angelo di Orso di Guardia dei Lom-


, ,

bardi Vitale Maria sua moglie Bernarda e Bernardo suo marito


, ,

Guglielmo provinciale, Bernardo calzolaio, Bernarda sua moglie, Pietro


malapocca. Maria sua moglie, e Maria loro figlia. Salvia, Nicolao figlio
di lei, Andrea suo genero, Benedetto fratello di d.'* Salvia, Bona figlia

(1) Amabile, Il sanV officio d,elV inquisizione di Napoli. Voi. I, pag, 55.
rAPiTòLo XI 247

della stessa, Salvia di Rocca niaginolH, Pieti-o Biccari nipote di Gio-


vanni Biccari, Margarita moglie del q."* Zoglofo domino di Ferrara,
Sybilia sua cognata di Melfi, mastro Matteo tessitore, Alda sua moglie,
mastro Mauro mercante di Casalvere, Matteo Giovanni («olia, (iiovaniii
e Gemma suoi figli, Suriana, Matteo Marratone, Geuuna sua donna,
Dinago di Alifia, maestro Manneto di Venfro, Nicola fratello di Jacobo,
Maria madre sua di Boiano, Guglielmo d' Isernia , Stign." e Margarita
sua moglie di San Massimo, Viatrice sua figlia, Roberto figlio del detto
Ugone, Benvenuto Jazeo e sua moglie che dimorano presso San Martino
e stiedero in Alifia. L" azione del detto Inquisitore francescano si spiegò
per larga estensione e in modo notevole ; e può ritenersi che altret-
tanto notevole sia stata l'azione dei domenicani.

A Firenze, ne' primordi del secolo XIII, si l'anno notare


varie donne eretiche. Si cita la famiglia calabrese Pulce
di Pulce, secondata da molte signore, fra le quali Teodora,

moglie di Pulce, un'Aldrobandesca una Contrelda, una ,

Ubaldiua ecc., le quali appoggiavano l'insegnamento che


Maria non fosse donna, ma un angiolo che Cristo non ;

prese carne da lei e che non si trovavano il corpo ed il


sangue suo nell' eucarestia. Tenevano adunanze in Firenze
nella casa del Manetto, del Lingraccio e massime de' Baroni,
i quali, come rilevanti dell'impero, rimanevano esenti dalla
giurisdizione comunale e che edificarono una torre a
S. Gaggio, fuori di città, apposta per ricettare gli eretici,

a tacere de' loro conciliaboli in una


Mugnone. villa sul
Ne' processi del tempo della Inquisizione, le deposizioni
risultano fatte in gran parte da donne e principalmente
da Lamandina Pulce, tanto avversa agli eretici. Il Cantìi,
che riferisce queste notizie , riporta anclie un caso di
singolare proselitismo religioso femminile, sorto co' seguaci
della Guglielmina, comparsa appunto in quel secolo ; e vale
la pena di riprodurre dal Cantù lo strano avvenimento il

quale del resto doveva ripetersi perfino nel nostro secolo


colle eccentricità della famosa Ester Stanhope, l'amica
di Pitt {').

(^) Ester Stanhope,. in mezzo a' Brusi, fantasticò una nuova reli-
gione e promise \m nuovo Messia, di cui essa sarebbe stata sacerdotessa.
248 GIULIA GONZAGA

A Milano vi fu una Guglielmina, che diceasi oriunda di Boemia


e di stirpe regia e che, a guisa de' Montanisti, non ammetteva Cristo
come ultimo termine del progresso morale e religioso, ma come un
progresso che doveva essere sorpassato da una nuova missione : in lei
lo Spirito Santo essersi incarnato per redimere Giudei, Saraceni e mali
cristiani: averla Raffaele Arcangelo annunziata a sua madre Costanza,
moglie del re di Boemia, il di della Pentecoste : nata un anno dopo a
quell'annunciazione ; era vero Dio e vero uomo nel sesso femminile,
come Cristo nel maschile e dal sacrosanto suo sangue resterebbero
salvati i miscredenti : come natura umana, non
Cristo , secondo la

secondo la divina, doveva morire, risorgere e alla presenza de' discepoli


e de' devoti salire al cielo per elevare l' umanità femminile. Quanto visse

il popolo la venerò : morta nel 1282, fu tumulata splendidamente a


Chiaravalle casa de' Cistercensi presso Milano , e tenuta in conto di
santa, e il suo sepolcro frequentato da devoti, illuminato giorno e notte
da ceri e lampade, e vi si celebravano tre feste l'anno, distribuendosi
da que' monaci pane e vino in commemorazione di lei, della quale si

enumeravano le virtù e i miracoli : e ceri ardevano davanti alla effigie


di essa, dipinta in S. Maria Maggiore, in Sant'Eufemia, alla Canonica
e altrove.
Come Cristo lasciò in terra S. Pietro per suo Vicario, offrendogli
di reggere la Chiesa, così la Guglielmina lasciò vicaria sua nel mondo
Mainfreda, monaca dell' ordine delle Umiliate di S. Caterina in Brera.
Essa teneva adunanza de' fedeli, predicava, componeva litanie; e la
Pasqua del 1299, vestitasi di abiti pontificali, come altre compagne,
celebrò una messa in casa di Iacopo da Ferno, ove Albertone da Nevate
recitò r epistola e Andrea Saramita una lezione di vangelo da lui com-
posto. Tempo verrebbe eh' essa ilainfreda più solennemente celebrerebbe
sul sepolcro dello Spirito Santo incarnato : indi nel duomo di Milano,

poi in Roma predicherebbe dalla sede apostolica : diverrebbe vera papessa,


colle autorità del pontefice odierno, il quale sarebbe abolito e surro-
gato dalla Mainfreda, che battezzerebbe le genti ancora sedute nelle
tenebre. I quattro evangeli darebbero luogo a quattro altri, stesi per
ordine della Guglielmina. Il visitare la tomba di questa era meritorio,
come il visitare quella di Cristo ;
pel che da tutte le plaghe s' accor-
rerebbe a Chiaravalle ; ma 1 seguaci di essa sarebbero esposti a tor-
menti e supplizi ; non mancherebbe qualche Giuda che li tradisse, e

Aveva fissato la sua dimora sul monte Libano, vìvendo libera in mezzo
a popoli selvaggi, sottraendosi agli usi ed aUe convenienze sociali, e
gettandosi, negli ultimi anni di sua vita, in braccio a tutte le assurdità
di negromanzia, magia e demonologia. Morì il 23 giugno 1839 in età
di 63 anni.
CAPITOLO xr 249

li desse nelle mani de' nemici, cioè dell' Inquisizione. Tali opinioni viil-
gari apparvero da' loro processi, da quali però non risultano le turpi-
tudini, di che sono imputate queste deliranti; che la Gug-liehnina
rompesse a vergognoso commercio con Andrea Saraniita che la Main- :

comandasse di spegnere i lumi, e


freda, al termine delle cong-reghe,
si abbandonasse senza distinzione di persone o di sesso. Fatto è che,
sparsesi tali voci, il vulgo, colla consueta versatilità, mutò il culto in
esecrazione, gli inni in bestemmia, e l' Inquisizione colse la Mainfreda,
il Saramita, Iacopo da Perno ed altri (20 luglio 1300) e ne cominciò
il processo. Iacopo abiurò ; la Mainfreda ed il Saramita furono mandati
al rogo sulla piazza della Vetra, il G ag-osto, insieme colie reliquie della
Guglielmina !

E gli inquisitori, a' tempi di Giovanni XXII, fecero diseppellire le

reliquie d'una inglese la quale, sulle orme della Guglielmina, riteneva


sé stessa incarnazione dello Spirito Santo, destinata alla redenzione del
peccato delle donne !

Nella storia curiosa de' fraticelli e delle lotte e persecuzioni ad essi


rivolte, va celebre Fra Dolcino ; ma la celebrità di costui è accresciuta

dagli insegnamenti comunistici e dalla triste fine della moglie, Mar-


gherita da Trento, che spirò sul rogo, erettole dagli inquisitori, insieme
con sessanta seguaci.

Scene più terribili sono quelle, che si riferiscono allo


sterminio di molte donne delle colonie valdesi in Calabria
nel 1Ò6U-61 (^). Ugo del Balzo, siniscalco del re Roberto,
trovandosi a Torino, s'incontrò in alcuni valdesi, a' quali
offerse terre in Calabria da coltivare, e costoro per la
ristrettezza del territorio in cui vivevano, accettarono con
regolare contratto , e col corrispettivo di alcuni canoni
fecero una larga emigrazione, sbarcando prima a Montalto.
Edificato quivi un borgo, detto borgo degli ultramontani,
occuparono 50 anni dopo un casale a brevissima distanza,
detto di S. Sisto, che divenne sede della loro chiesa prin-
cipale ;
poi con nuove reclute de' paesi originari si spar-
sero in Vaccurizzo, Argentino, S. Vincenzo e altri casali

di Montalto ; ed in ultimo, col beneplacito dello Spinelli,


signore di Fuscaldo. edificarono nelle terre di costui la

(•) Tengo in parte presente la narrazione dell' Amabile nel suo libro
sul Saat' Officio deh' Inquisizione in Napoli.
250 GIULIA GONZAGA

Guardia, posto elevato e naturalmente forte, formandone


una città chiusa, con molti privilegi, concessi a coloro che
andi'ebbero ad abitarvi, pel che divenne presto un luogo
ricco e notevole. Le successive persecuzioni sofferte dai

loro connaturali del Piemonte, massime la persecuzione a

modo di crociata indetta da Innocenzo Vili nel 1487, fecero


crescere il numero de' rifugiati in Calabria. Altri valdesi,

cacciati dalla Provenza, verso la fine del soggiorno de' papi


in Avignone, vennero a stabilirsi sui confini montagnosi
di Puglia, tra questa e il principato ultra. Quivi abitarono
ed in parte edificarono Montelione, Montecauto, Faito, le
Celle e la Motta, essendo poi raggiunti più tardi, verso
il1500, da' Valdesi di Frassinière e di altre valli alpine,
che andarono ad abitare non lungi da' detti luoghi, in
Vulturara di Capitanata, ugualmente a' confini montagnosi
di Puglia, tra questa ed il Molise e si fusero, a quanto
sembra, con quelli venuti dalla Provenza. Tutti costoro, e
piemontesi e provenzali, professarono la dottrina di Pietro
Valdo di Lione, cioè unica guida la bibbia, unico salva-

mento Gesù Cristo; non interpretazione riserbata alla chiesa


romana, non santi, non adorazione dell'ostia, non confes-
sioni, non digiuni, non purgatorio e relativi suffragi, pre-

dicazione libera, insomma quelle dottrine dogmatiche pro-


clamate poi anche da Lutero, onde, allorché furono scoperti,
vennero denominati luterani. Ma dissimulavano le dette
credenze e non si curavano di diffonderle ;
parrebbe anzi
che non rifuggissero dall'udire le Messe, e che facessero
battezzare i loro figliuoli da preti cattolici si noti che :

ce n'era uno nella Guardia perfino nel 1545, Con le quali

cautele, e col parlare tra loro il dialetto nativo piemon-^^

tese in Calabria e il provenzale in Puglia, poterono rimanere


per tanti e tanti anni non compresi. Ricevevano periodi-
camente ministri o pastori, che i Sinodi delle valli alpine
inviavano per farli confortare col loro ministero , e che

solevano per lo più, nel venire in Calabria, visitare i paesi


del versante mediterraneo, e nel tornarsene poi alle loro
CAPITOLO XI 2.)I

case, dopo aver conosciuto l'invio del successore, visitare


i paesi del versante adriatico. Segnatamente in Calabria,
come si leg^e nelle Numerazioni de' fuochi, ei-ano chiamati
Ultramontani, o corrottamente Tramontani, talora Alba-
nesi, e nulla si conosceva delle loro credenze. Ora, appunto
questi di Calabria, avendo saputo che i fratelli delle valli
alpine si erano dati al libero esercizio del loro cullo
lasciando le dissimulazioni, el)bero voi^lia di imitarli: il

ministro Gilles, che trovavasi allora in Calabria, li con-


sigliò a temporeggiare, in vista de' gravi pericoli che avreb-
bero corso, e suggerì a' più infervorati che piuttosto met-
tessero in ordine i loro affari e se ne andassero in posti
più sicuri. Taluni così fecero, altri non furono a tempo
per farlo, ma era impossibile che tutti lo facessero del
pari. Succedeva intanto al ministro Gilles il ministro Ste-
fano Negrino di Bobbio inviato dal Sinodo, e continuando
sempre in molti la voglia di un culto ])ubblico, fu mandato
a Ginevra Marco Uscegli o Ussel (Ui'sello è una famiglia
riportata ne' fuochi della Guardia) detto Marchetto, per
avere, mediante la Chiesa italiana là organizzata, un pa-
store capace di porre in esecuzione il loro disegno : cosi fu
prescelto Gio. Luigi Pasquali di Cuneo, già soldato, con-
vertitosi alle dottrine Valdesi e andato a studiare in
Losanna, divenuto zelantissimo ed abbastanza colto, avenda
tradotto in italiano il Nuovo Testamento, ed essendo ani-
mato da fede vivissima e quasi da desiderio di martirio,

come risulta dalle lettere che scrisse durante la persecu-


zione sofferta e che sono rimaste. Egli lasciò perfino la sua
promessa sposa Camilla Guarina (non « si era sciolto dal
legame matrimoniale » come dice il Cantù), condusse con
sé qualche catechista, trovandosi nominato segnatamente
un Giacomo Borrelli anche piemontese, ed accompagnato
dall' Uscegli, verosimilmente durante il viaggio visitò,
secondo il solito, anche le terre dell'appennino di Puglia;
così potè predicare a' fedeli di que' paesi. Giunto tra' cala-
bresi, immediatamente si die a predicare alla scoperta
252 GIULIA GONZAGA

insieme col Negrino , e così ebbero principio i guai di


quelle terre, che, nella loro ignoranza dell'andamento delle
cose nel Regno, non avvertite seriamente dal Gilles, il quale
avea dissuaso molti, ma sans donner V espouvante à tant
de gens vollero la predicazione non più clandestina, furono
secondate dall'ardore della Chiesa di Ginevra e del Pa-
squali, e vennero gravemente compromesse.
Il cardinal Alessandrino, poi Pio V, denunciò gli

eretici al Vescovo di Cosenza, ed intervenne ad appog-


giare l'opera degli inquisitori il Vice re di Napoli, Duca
d'Alcalà. Il Pasquali fu arrestato, tradotto a Roma ed
abbruciato vivo il 15 settembre 1560. Si adunarono alcune
compagnie di soldati per assalire S. Sisto gli abitanti ;

mandarono a chiedere libertà di andarsene altrove; e non


ottenutala, uscirono in campagna per difendersi, ed al primo
scontro le truppe rimasero confìtte. Vennero altri soldati,
guidati da reverendi Commissari, accompagnati dal Vescovo
di Cosenza, seguiti da Fra Valerio inquisitore. Gli abitanti
di S. Sisto, a' quali si erano associati quelli della Guardia,
furono sbaragliati, parecchi uccisi, e vi fu pure una fuga
generale di coloro, ch'erano rimasti nel villaggio, quando
esso venne occupato dalla truppa che saccheggiò tutte le
case. Non si mancò di dar la caccia a' fuggitivi, serven-
dosi persino de' cani, ne' boschi e scovandoli anche dagli
alberi, su' quali si erano ricoverati, mentre altri spinti dalla

fatica e dalla fame erano presi alla spicciolata o a piccole

frotte da' villani de' paesi vicini, probabilmente crocesegnati.


Dopo che i soldati ebbero bruciato S. Sisto , Fra Valerio
raggiunse i dispersi e citò ognuno ad abiurare, inclusi i

giovanetti. Coloro che tornarono più tardi ed abiurarono


dopo la fuga più o meno protratta, malgrado l'abiura, ebbero
a sottostare ad una condanna con la confìsca de' beni,

essendo la fuga, in materia di S. Officio, un indizio certo di

reità; ma molti dovettero anche, con processi e con torture,


dar conto in Cosenza della loro vita passata e fornirono
un contingente di giustiziati e di condannati alle galere.
.

CAPITOLO XI 253

Contro la Guardia poi mosse il governatore della provincia.


Marchese di Bucchianico, aiutato dal feudatario del luogo,
lo Spinelli. E costui « prese prigioni tutti i terrazani,
che, dati in balia della Corte, furono tutti, chi scannato,
qual segato per mezzo e qual' altro buttato giù da un'altis-
sima balza. Stranissima cosa a udire fu l' ostinazione di

costoro, che mentre il padre vedeva dar morte al figliuolo

e il figliuolo al padre, non pur non ne mostravan dolore,


ma lietamente dicevano che sarebbono angeli di Dio, tanto
il diavolo a chi si erano dati in preda, li aveva acciecati » (').

Tra tanti tristi particolari di quell'eccidio si narra di


sessanta donne di S. Sisto, che furono torturate in guisa
che le corde, penetrate nelle carni, produssero ferite, nelle
quali crebbero i vermi , e li fecero cadere mediante la
calce viva procurata loro segretamente ; ed alcune mori-
rono nelle prigioni, altre furono abbruciate, altre furono
vendute a danaro contante; un certo numero delle più belle
fu smarrito e non si potè sapere che cosa ne fosse divenuto
Un avviso del tempo dice :

Partirono a prender questi luterani, de' quali è stata usata tal dili-
gentia che una parte presero alla campagna e molti altri tra huomini e
donne che si sono venuti a presentare, passano il n.° 1400; ed oggi che
è il dì del corpo di Xsto ha fatte (il sig. Ascanio, spedito dal viceré)
([uelle giuntar tutte insieme e le ha fatto condurre in prigione qui in
Montalto, dove al presente si ritrovano ; e certo è una compassione
senth-li esclamare, piangere e dimandar misericordia, dicendo che sono
stati ingannati dal diavolo, e dicono molte altre parole degne di com-
passione : con tutto ciò il sig. Marchese e il sig. Ascanio hanno questa
mattina, avanti che partissero della Guardia, fatto dar fuoco a tutte
le case e havanti avevano fatto smantellar quelle e tagliar le vigne.
Hora resta a far la giustitia, la quale per quanto hanno appuntato
questi signori con gli auditori e fra Valerio qua inquisitore, sarà tre-
menda, atteso vogliono far condurre di questi huomini et anco delle
donne fino al principio di Calabria et fino alli confini et di passo in
passo farli impiccare. — Fino a quest' hora s' è scritto quanto gior-

(^) CoLLENuccio, Comp. delle storie del Regno di Napoli. Napoli,

Gravier, tomo 3.°


254 GIULIA GONZAGA

nalinente di qua è passato circa a questi heretici : hora occorre dire


come lioggi a buon' hora si è incominciato a far 1' horrenda iustitia

di questi luterani, che solo in pensarvi è spaventevole, che cosi sono


questi tali come una morte di castrati; li quali erano tutti serrati in
una casa e veniva il boia et li pigliava a uno a uno e gli legava una
benda avanti agli occhi e poi lo menava in un luogo spatioso poco
distante da quella casa, e lo faceva inginocchiare e con un coltello gli
tagliava la gola, et lo lasciava cosi, dipoi pigliava quella benda cosi
insanguinata, e col coltello insanguinato ritornava a pigliar 1' altro, e

faceva il simile, ha seguito quest' ordine fino al n.° di 88, il qual spet-
tacolo quanto sia stato compassionevole, lo lascio pensare et conside-
rare a voi. I vecchi vanno a morire allegri, et li gioveni vanno più
impauriti, si è dato ordine e già sono qui le carra, et tutti si squar-
teranno e si metteranno di mano in mano per tutta la strada che fa
il procaccio fino a i confini della Calabria, se il papato et il s/ vice
Re non comanderà al sJ Marchese che levi mano, tuttavia fa dar de
la corda a gli altri e fa un numero per poter poi far del resto, si è

dato ordine far venire hoggi cento donne delle più vecchie , et quelle

far tormentare e poi farle giustitiare ancor loro per poter far la mi-
stura perfetta. Ve ne sono sette che non vogliono vedere il crucifisso

ne si vogliano confessare, i quali si abbruciaranno vivi. Di ^lont' alto


ali xi di Giugno 1561.

Quantunque non in rapporto diretto con questo lavoro,


non voglio, sia pur fugacemente, tacere sulle persecuzioni
subite da molte, donne, per l' accusa di ebraismo. Fra tanti
mi limiterò a riprodurre un documento, edito dall'Ama-
bile, e che si riferisce a processi svolti nel 1569. Ecco
un avviso testuale del tempo :

« Donne che fumo prese in Napoli dal Arcivescovo fumo jyerche

» esercitavano la legge hebraica, et che haveano tradutti libri Hebraichi in


» spagnuolo, la principal donna chiama Lavinia che
di questa fattione si
» fu moglie d' un capitan chiamava fonsecha et
di Giustitia che si

» la Madre d'essa era di razza Giudea, questa ha hauta la corda,


» et si dice che ha confessato di molte cose, le quale non si ponno
y sapere perche 1' offitio del Arcivescovo va molto segreto. Un' altra
» sig.''* Principale di questa med.™^ fatione nomata la Isabella Galze-

» rana (sic), et sono state pigliate delle altre, et ne sono state liberate
» alcune, et fra esse la moglie del Capitan Valdes eh' è una bella Gio-
» vane, però la Madre di essa è stata retenuta et tutte (legg. et di
» tutte) le Donne retenute ne hanno messe alcune nel Monasterio dela
» Consolatione, et la S.''^ Isabella Galzerana fu messa nel Monasterio
CAPITOLO XI V:..).)

» delli Angeli. (.Juando lìi pigliata (india Lavinia, la Isabella (ialzerana


» non era in Napoli, perchè subito sentendo questo subito andò a tro-

» vare la Principessa d'Ascoli con la quale soleva vivere per sua l)a-
» mig-ella. et se ne parti con essa di Napoli, però fu mandata una
» Compagnia menata in Napoli, et non
di cavalli per essa, et cosi fu
i> si dice altro non che viveano secondo la legge Hebraica et che
si

» la predetta lavinia era la Maestra, et una donna di poca qualità. La


» lavinia ha nna figliola zitella la quale ù più ostinata che sua Madre,
n altra donna Maritata non vi è presa. Si è detto per Napoli che —
/> vi era una setta di fratelli in christo, et che sotto questo facevano
T> predicare et altre cose disoneste, et questo tutto è Inigia. Si dice
» che una figliola bastarda del Marito della Lavinia che haveva tenuta
i> per serva et che 1' havea maritata con unPasticciaro, ha scoperta
» la cosa, perche devendoli la Lavinia x Ducati et non la volea pagare,
et lei r accusò ». Quest' ultima, soggiunge l'Amabile, fu certamente la
Lavinia Petralbes, registrata una Virginia Fonsecha (vero-
al pari di

similmente la un certo numero di donne di


sua ligliuola zitella), in
cognome spag-nuolo, che si può trarre da un altro de' documenti an-
nessi a questa narrazione, il quale reca un elenco di processi e di scrit-
ture del S.*° Officio napoletano appartenente a questo periodo e ad un
tratto successivo esteso fino al 1580. Eccolo questo gruppo di nomi,
in cui figura quello di un solo uomo appena, nomi sicuramente di una
parte delle tante donne perseguitate che diedero il più forte contin-
gente pe' 15 volumi di processi, come riescirà sempre più chiaro al-
lorché si riscontrerà qualcuno di tali nomi nelle persone che furono
poi giustiziate Severina Catalana, Laudomia Conca, Lavinia Petralbes,
:

Isabella Kaguante, Dianora Catalana, Virginia Fonsecha, Virginia Ra-


mires. Angela di Leone, Geronima Pellegrina, Laura Zaccharia ed altre.
Sibilla Falcone, Laudomia Raguante, Gaspare Vignes, Angela Conca,
Laura Raguante e sua figlia, Porzia Beltrana, Blanes ed altre, Laura
Rossa, Virginia del Castiglio ed Angela Leone sua madre. Laura Ra-
guante e Beatrice Villautte, Isabella Savanales ed altre ; di quasi tutte
costoro sono notate le defensioni, ed egualmente notate, ma poi cassate,
quelle di Violante Cutiglies e di Laudomia Villautte , forse perchè
mandate a Roma, come si vedrà esservi state mandate certamente le
scritture intorno a Violante Paglias e a Lucrezia Blanes. Ripeto che
questi nomi rappresentano una parte, anzi una piccola parte delle
persone processate per ebraismo, e se ne avrà più tardi una testimo-
nianza autentica. Circa le loro pratiche religiose, non se ne hanno
notizie fino a questo momento, ma non è difficile concepirle; circa
il modo in cui furono scoperte, gli Avvisi dicono esservi stata una
denunzia suggerita dall' odio per interessi oflTesi, mentre i teatini dicono
essere stata tutta opera loro : ma forse , come già pe' Valdesiani,
256 GIULIA GONZAGA

scoperta la faccenda, i teatini allargarono le ricerche mediante il

confessionale, ciò che il Del Tufo definì essersi fatto « religiosamente »,

Nel secolo XVI 1' umanesimo trasforma il sentimento


della donna italiana. La coltura classica si diffonde larga-
mente, mirabilmente tra le donne. Risentono anch' esse
dell' effetto immediato del rinascimento abbandonandosi ,

spesso ad una specie di scetticismo tra la religione cri-


stiana, che domina nel fatto gli spiriti, e la pagana la
quale risorge e si riafferma colla devozione a' suoi mag-
giori scrittori. L' indifferenza conquide tutti coloro, che
attingono a quelle fonti, conquide papi, preti, prelati, let-
terati, scultori e gentildonne. La indifferenza è abbandonata
qualche volta per dar luogo all' investigazione religiosa;
e l'investigazione, condotta con un processo estraneo alla
teologia, finisce per prescindere affatto dal dogma per
prendere invece di mira quasi esclusivamente il costume.
Prima di essere letterate le nostre donne sentono di
dovere essere educatrici, moralizzatrici nella missione che
ad esse è affidata nella famiglia e fuori della famiglia.
Ne' loro detti, nelle loro sentenze ci si sente più il vezzo
delle studiose delle opere degli antichi filosofi, che de' poeti
e de' letterati della Roma che fu. Perciò la tendenza, la
moda a è frequente. Raccogliamo alcuni di
sentenziare
questi cosi detti memorabili delle donne del secolo XVL
Lucrezia Gonzaga Manfrone soleva dire « le amicizie :

dovrebbero essere immortali, le inimicizie mortali. Di cat-


tiva madre mai o di rado nacque buona figliuola ».
Isabella Scotta contessa Torcila: « il primo grado per
salire alla pazzia si è creder di esser savie ».

Emilia Rangona contessa Scotta: «la verità è citta-

dina del cielo e la bugia per la sua debolezza mai s' in-

vecchia; ma appena nata se ne muore ». — « Siccome far


si suole esperienza del danaro s' egli sia buono o falso
prima che si riceva, così devesi esperimentare l' amico,
prima che di lui la persona si fidi ».
.

CAPITOLO XI 257

Franceschina da Bressino : « la bellezza è più grata


agli occhi de' riguardanti; ma la bruttezza ù più sicura».
Lucrezia Rangona : « la morte repentina è quella che
da noi si dovrebbe desiderare e non temere, perchè ci

toglie quello che nella morte suol essere più duro, eh' è
il timore di morire ».

Susanna Valente; « la fortuna non dona cosa veruna;


ma soltanto impresta ». — « La vita è come una commedia
della quale, pur che 1' ultimo atto sia bello, tutta la com-
media è bella ».
Barbara Gonzaga da Correggio : « le materne lusinghe
hanno spesse volte spento ne' propri figliuoli tutto il seme

della virtù e fattigli riescire contrari alla speranza, che


di essi si aveva »
Camilla Malvezzi : « non può 1' uomo essere amico ed
insieme adulatore ».

Lucrezia d'Este: « devonsi desiderare i fatti de' gio-


vani, i consigli de' mediocri , i desideri de' vecchi ». —
« Felici sarebbero le arti se solo gli artefici di quelle le
giudicassero ». — « L'amore è simile al coccodrillo, il

quale fugge chi lo seguita e seguita chi lo fugge ».

Anna del Carretto : « molto più sono le cose che ci

spaventano che non sono quelle che ci nuocciono ».

Contessa Cauriola: « chi si separa dal fedele amico


si separa da sé stesso ».

Isabella d'Aragona : « molto più soave cosa è dire la


verità che udirla ».

Bona Suarda : « meglio con la verità offendere che


con la bugia fare altrui grato ».

L' indagine religiosa ne' rapporti co' fini sociali della


vita s' iniziava anche diffusamente tra le nostre donne. In
quel libro curioso di Duhhii, attribuito ad Ortensio Landò,
si leggono molti diibhii di curiosi ingegni proposti all'au-
tore.Notiamo in materia religiosa e morale domande di

Donna Lucrezia Gonzaga di Gazuolo, della Marchesana


della Padula , di Isabella Gonzaga da Gazuolo, della Mar-
17
258 GIULIA GONZAGA

chesana di Vigevano, di Ludovica Branca Gazzuola, di


Bertola Diedo , di Virginia Scaruffa ,di Susanna Bozzi

de' Valenti, di Isabella Villamarino principessa di Salerno,


di Maria Gardena Contessa di Avellino, di Lucrezia di
Correggio, di Isabella Gonzaga di Puviglio, di Claudia
Rangona di Correggio, di Caterina Colonna Gonzaga, di
Lucrezia Corsa, della Contessa Caterina Mandella Casti-
glione e di Paola Trivulzia Rangona.
Questo spirito di investigazione non poteva mancare
alla donna italiana, sopratutto pe' frequenti contatti co' no-

vatori, meglio co' censori, cogli epigrammisti, co' satirici


de' costumi ecclesiastici ,
poiché a quella larga schiera si

può dire appartenessero i migliori ingegni ed i più pregiati


cultori di lettere, vale a dire coloro che oggi diremmo
formare la pubblica opinione. E la donna italiana, quella,

bene inteso, che la letteratura si propose d' avviare a fini

civili ed educativi , non potè sottrarsi agli influssi del mo-


vimento religioso considerato quale restaurazione morale
del paese ;

e sotto questo rapporto può bene aff"ermarsi
che essa completò sé stessa e rese più alta nel fine e
ne' mezzi la sua missione sociale. Alcune dame italiane
sostennero perciò una vera lotta e mirabili furono i loro
sforzi per migliorare i traviati costumi. È noto che Vit-
toria Colonna contro la depravazione femminile faceva
tenere in Roma pubbliche conferenze, che furono poi pro-
seguite in Napoli dalla stessa persona, inviata e racco-
mandata da Vittoria a Giulia Gonzaga. E cosi Vittoria
Colonna imprendeva un viaggio espressamente a Ferrara
per propugnare di persona la difesa de' cappuccini, sorti
contro i francescani traviati dall' antica regola, ed otte-
neva il loro trionfo presso il Duca. L'infervoramento re-
ligioso, suscitato dal Valdes, propagato da Giulia Gonzaga,
accettato e sostenuto da Vittoria Colonna, mirava a ri-

chiamare la società a quel tipo divino del Cristo, che era


sembrava perfettamente smarrito nel cuore, nella mente
ed in tutte le manifestazioni esteriori de' sacerdoti di lui.
CAPITOLO XI 259

a quel tipo di carità universale, cancellato nell'opera di

diversi pontefici, che tanto più si credevano vicini a Cristo

quanto più se ne allontanavano, progettando leghe, con-


troleghe, conflitti, chiamate di armigeri stranieri, complotti
per allargare il principato civile, isterilendo la loro mis-
sione in gare vane e crudeli. K quando sopravvennero
giorni di reazione, quelle anime pure, ideali, che traccia-
vano un sentiero retto, luminoso all' umanità o traviata
o male indirizzata, furono oggetto di persecuzioni, di vi-

lipendi, confuse coli' appellativo di eretiche e di luterane,


perchè luterano allora voleva dir tutto quanto di peggio
immaginasse la mente: era il grido d'allarme col quale
a priori si riesciva a condannare, prima che a giudicare,
a demolire e seppellire una persona, prima di averla ascol-
tata, d' aver permesso che potesse profferire parola.
Attorno alle donne che ebbero parte principalissima
nel cennato movimento, se ne aggruppano altre minori,
poche conosciute, moltissime ignorate, perchè l' inquisi-
zione teneva al mistero in questa faccenda, paventando
l'esempio ed il contagio, che potessero derivare alle altre.
Non si può negare che un proselitismo importante abbia
esercitato Vittoria Colonna se gli inquisitori invocano
contro di lei la testimonianza delle stesse monache: «j^os-
sunt cantra eam testi ficari moniales monasteriorum in
qiiibus degit Romae, Florentiae et Viterbii »; ed altre
monache vengono addirittura incolpate « moniales S. Ca- :

tharinae de Viterbo suspectae ex litteris Marchionissae


Piscariae ».

Le lettere di Olimpia Morato ci fanno conoscere al-


cune donne, che partecipano al movimento (^), cioè due

(1) Il Masi ricorda fra le donne Lavinia della Rovere, Maddalena


de Ceri, Giulia Rangone, Vittoria Colonna (nel soggiorno fatto presso
il Duca Ercole e la Duchessa Renata) e Francesca Bucironia V. i —
Burlamacci e di alcuni documenti intorno a Renata d' Este. — Bologna,
Zanichelli, 1876, p. 181.
260 GIULIA GONZAGA

dame di casa Orsini, Maddalena e Cherubina e principal-


mente Lavinia della Rovere, sposata a Paolo Orsini, figlio
del celebre Camillo, duce tra' più valorosi del tempo. Il

Sansovino chiama Lavinia: « donna di felicissimo e fecon-

dissimo ingegno, poi che oltre all' altre sue rarissime e


nobilissime qualità, è tutta data alla filosofia e all' altre
belle lettere humane ». Essa visitava nelle prigioni il vec-
chio Fannio di Faenza, poi condannato al rogo dall' inqui-
sizione, e tentò poi ogni mezzo per salvarlo dall' estremo
supplizio ; soccorse la famiglia d' Olimpia, restata a Fer-
rara, nelle gravissime strettezze finanziarie, nelle quali
versava. Lavinia della Rovere che visse quasi sempre
abbandonata dal marito, al servizio di Enrico II di Francia,
appare in alcuni dialoghi di Olimpia ed è oggetto di lodi
grandissime, di manifestazioni cordiali in molte lettere da
parte di lei, la quale ricorda pure, quali sue seguaci,
Maddalena, sposa di Lilio di Ceri e la Contessa Giulia
Rangone.
Costanza d'Avalos, moglie di Alfonso Piccolomini « fu
donna di grande pietà ed uditrice del Valdes a Napoli »

notano gli editori dell'epistolario di V. Colonna. Vittoria


inviò nel 1545 alla duchessa d'Amalfi, sua cugina, tre
lettere, inserite nell'accennata raccolta. Il Reumont osserva,
a proposito di Costanza d'Avalos, che la vita di essa
fu tutt' altro Suo consorte, il duca d'Amalfi,
che felice.

mancava troppo di fermezza di indole e di buon contegno


per potersi mantenere in uno stato così diffìcile, quale era
quello di capitano generale di Siena. Questa repubblica
sempre ondeggiava fra il dominio di fazioni oligarchiche
e quello d' una democrazia turbolenta ed in essa allora si
preparavano que' fatti, che pochi anni appresso la condus-
sero a nuove tempeste, e, dopo una lotta eroica, alla per-
dita della libertà e della indipendenza. Già una volta
Carlo V che teneva e trattava Siena come città dell' im-
pero, aveva costretto il duca d'Amalfi a rinunciare alla

sua carica. Più tardi gli aveva permesso di riprenderla,


CAPITOLO XI 201

finché il sospetto ch'egli fosse ligio a' francesi (sospetto


suscitato da una tresca amorosa del duca con una Senese
appartenente ad ambiziosa famiglia) ebbe per conseguenza
nel 1541 un nuovo allontanamento. Questo fu definitivo,
dappoiché il duca scelse per sua dimora l' isola di Nisida
presso Napoli, Costanza che al suo primogenito aveva dato
il nome del proprio padre, Inigo, ed a sua figlia quello di
Vittoria, era, al pari di questa, donna pia e d' ingegno.
Essa già compagna di lei ne' convegni di Yahles e ne' ri-

trovi d' Ischia, scrisse poesie, di cui le poche rimaste, ce


ne fanno desiderare un numero maggiore, dovendosi, in

quelle che possediamo, lodare ricchezza di gravi sentimenti


e di pietà cristiana. Al pari di Vittoria anch' ella passò
gli ultimi suoi anni in un convento, quello di Santa Chiara
in Napoli, al quale fino da' tempi degli angioini si erano
congiunte tante memorie di nobili famiglie.

Ma sopra tutti efficace fu l'azione di Giulia Gonzaga.


In capitolo speciale parlerò dell' opera valdesiana di lei

in Napoli. Qui però gioverà ricordare un processo, nel


quale ella è spesso citata e che ebbe luogo a Padova ed a
Venezia, cioè del processo di Lorenzo Tizzano. SuU' argo-
mento scrisse poche parole l'Amabile ed una speciale mono-
grafia il Berti ('). Il Tizzano, già frate di Monteoliveto, poi
secolarizzato, per due anni cappellano di varie chiese di
Napoli, fu in ultimo nominato cappellano procuratore delle
monache di S. Francesco, residenza abituale di Giulia, ed
esercitò simile ufficio per nove anni anche presso D. Ca-
terina Sanseverino, sorella del principe di Bisignano. Si
recò il 1550 a Padova pei- studiarvi medicina. In quello
che ivi attendeva allo studio, sopraggiunse il principe di
Salerno, accompagnato da certo Fabrizio Coppola che co-
nosceva chi fosse il Tizzano, quali le sue relazioni co' no-
vatori, quand' era a Napoli, e quali le opinioni che allora

(}) Berti, di Giovanni Valdes e di taluni suoi discepoli, secondo nuovi


documenti tolti dall'Archivio veneto, memoria. Roma, Salviucci, 1878.
262 GIULIA GONZAGA

professava. La presenza del Coppola impaurì sì vivamente


il Tizzano che mutò tosto il nome del suo casato in quello
di Benedetto Florio, per timore d' essere scoperto. Egli
era in Padova da quattro o cinque mesi quando vennero
arrestati nella casa stessa, ove abitava, parecchi aderenti
a Lutero. Temendo che la sorte toccata agli amici potesse
colpire anche Padova a Venezia con certo
lui, fuggi da
Giovanni Laureto suo complice. Ma non parendogli che
Venezia fosse luogo bastantemente sicuro, andossene in
Ferrara, poi in Genova per imbarcarsi e tornare nel Regno.
La cosa gli andò male, perchè non trovò in Genova ba-
stimento. Inquieto ed incerto se ne ritornò in Padova, dove,
senza essere citato, chiamato o querelato, si presentò da
sé spontaneamente al P. Girolamo inquisitore. Questi volle
che scrivesse tutta la sua confessione per mano del can-
celliere. Poi l'Inquisitore scrisse al suffraganeo che dicesse
al Florio eh' era mestieri eh' egli venisse in Venezia se
voleva vivere sicuro in avvenire. Il Florio, senza por
tempo in mezzo, si recò il 12 ottobre 1553 in Venezia.

Ma ecco che mentre confidava di ripartirsene libero, l'au-

ditore Rocco Cataneo gli significava in nome del legato


che meglio sarebbe si costituisse in prigione, come si

costituì.
Il Tizzano il 27 ottobre 1553 (documento terzo), depose:

Di donne io mi ricordo d' aver ragionato delle opinioni del Valdes


con la signora D. lulia da due volte in S. Francesco di Napoli. Poi
con la signora Lucrezia Poggiola, creata della d.* Sig.''^ Julia e con
la signora domina Isabella Mandriches (Brisegna), moglie dell' Ill.mo
signor Governatore di Piacenza : ho ragionato con quella signora Lu-
crezia più volte e in più tempi : con 1' altra da due volte in circa di

alcune di quelle mie prime e seconde opinioni e errori, cioè luterane


e anabattiste, però non mi ricordo di qual particolarmente. E il me-
desimo ho con suor Caterina di detto monasterio et di altre donne
fatto
non mi ricordo e questo potette essere da due anni incirca dopo la
morte del Valdes ".

Il giorno successivo il Tizzano chiese di fare nuove


deposizioni « i^v'O exoneratione suae conscientiae et quia
CAPITOLO XI 203

promisit domino auditori libere et sincere dicere veri-


tatem » : e dichiarò :

Mi sou ricordiito che oltre quelle donne, colle quali dissi ieri d' aver
ragionato, io ho ragionato ancora delle con alcune opinioni predette
altredonne nel modo che dissi a V. S. Ho ragionato con una suor —
Bernardina, monaca del sopranominato monasterio di S. Francesco di
Napoli (') più volte può esser da cintjue in sei anni incirca del sacra-
mento dell' altare, tenendo che fosse solamente un segno e della divi-
nità di Cristo negative e dell' altre opinioni luterane, le quali la detta
monaca aveva già inteso dal Valdesio e ne era assai bene instrutta. —
Ho anche ragionato con una suor Jacoma,un tempo ab- la ciuale fu
badessa del detto monasterio e con una suor Aurelia del detto mona-
stero molte volte di molte opinioni luterane... Mi ricordo anche aver
ragionato con un fra Lione di Monte oliveto di Napoli, conmiesso di
detto Monastero (').

(') E cosi il movimento religioso, o meglio riformatore de' co-


stumi che attrasse tanti preti, vescovi e cardinali, non era meno diiTuso
ne' monasteri di donne. II p. Caracciolo, nella vita di Paolo IV, scrisse :

« In Viterbo fé residenza il Polo. Furono infette molte monache del


monastero di S. Caterina in (jiiella città, come anche in Firenze i mo-
nasteri intieri erano infetti ».

Nel sunto de' processi editi dal Corvisieri e che ebbero luogo sotto
Paolo III e Paolo IV, sì trovano appunto designate « moniales sandae
Martae extra muros Florentiae » — e altrove « moniales sanctae Cliata-
rinae de Viterbo, sti^pectae ex litteris Marcliionissae Piscariae ».

(2) In un processo inedito del tempo, della curia di Napoli, l'Ama-


bile ha trovato ricordato :

1.° Uno certificato di Sore Camilla Caracciola Monicha Professa


nel Venerabile Monasterio di D.^ Regina inquisita di molte heresie ; nec
non la sentenza data da Pietro Dusina Vicario Generale di Napoli, con
la quale condanna la d.'^ Sore Camilla à dovere abiurare de formali,
et ad altre penitenze sahitari, et ciò à 16 Giugno 1572. Et l'atto del-
l' abiura seguì nel portello del Communichino della d.** Chiesa etc.
avanti 1' ìstesso Dusina Vicariò Generale.
2.'^ n Costituto di Sore Isabella Loffreda Monicha del sud.'" Mo-
nasterio di D.^ Regina inquisita di grave heresia allì 10 d'aprile 1572.
Nec non la sentenza promulgata dal d.'° Dusina contro la med.^
Monacha, quale condannò all' abiura de levi per essere d' anni diecìnove,
et ad altre penitenze salutari, et si fé 1' abiura nel luogo e modo d.'°
ut sup."^ (opera citata, documenti annessi al 2.° voi.).
264 GIULIA GONZAGA

Modena,
In così il Sandonnini ('), nell' anno 1537 si

sparse un libro eretico, senza nome di autore e di editore


e senza luogo ed anno di stampa, nel quale si trattava
della fede cristiana, delle vite de' monaci e delle monache
e come non si potesse esser salvi che per la sola grazia
di Dio senza nessun' altra opera. Il P. Serafino da Fer-
rara, canonico regolare di S. Agostino e predicatore nel
Duomo, ne trovò una copia presso la contessa Lucrezia
Pico, vedova del Conte Claudio Rangone. Questo fu il se-

gnale della guerra che si accese fra l'accademia e l'au-


torità religiosa. Il P. Serafino il 10 decembre predicò
contro la setta luterana e condannò il libercolo trovato
presso la contessa Rangone, ordinando a tutti di conse-
gnarlo
o entro le 24 ore. Gli accademici non esitarono a
scagliarsi contro il predicatore e ad assumere la difesa
del libro condannato, confermando in tal modo la voce che
gli accademici ne fossero autori. Non fu neppure rispettata
la contessa Lucrezia, malignandosi sulle relazioni che
aveva col giovane canonico. Celebrandosi in casa del dottor
Machella il matrimonio di sua figlia con Francesco Camu-
rana, improvvisamente entrarono un banditore e due trom-
betti e venne letto pubblicamente uno scritto ingiurioso pel
P. Serafino e la Rangone, la quale si vide costretta di
ricorrere al Duca, perchè cessasse la persecuzione.
Tassoni il Vecchio ne' suoi annali manoscritti , con-
servati nella Biblioteca Estense , lasciò detto : « in ci-

vitate Mutinae erant multi sequentes suas opiniones


(dell' ex frate Paolo Riccio siciliano). Non solimi ho7ìiines,
sed et mulieres, ubicumque occasio dahatur, in i^lateis,
in apothecis, in Ecclesiis, de fide et lege Christi dispu-
tabant, etomnes promiscue sacras scripturas lacerabant,
allegantes Paulum, Mattheiim, loannem, Apocalypsem et
omnes doctores, quos numquam viderant (^).

(^) Sandonnini, Ludovico Castelvetro, Bologna 1882, p. 156.


(^) Sandonnini, op. cit. pag-. 152.
CAPITOLO XI 265

Un Ms. relativo all' inquisizione parla di una denuncia


fatta in Modena nel 1574 da Bonfiglio Bonligli, rettore
del collegio di Gesù, contro certa Ballila Carandini, am-
maestrata dal Castelvetro (').

Ma ciò che sollevò maggior rumore fu la predica-


zione di frate Darteli, che si disse inviato a Modena da
Vittoria Colonna. Il p. Caracciolo, più volte citato, dice :

« vi fu (a Modena) Bei'nardo Bartoli, predicatore perni-


cioso, mandato a predicare per opera di Luigi Friuli, del
Cardinal Polo e della Marchesa di Pescara. Fu detto che
era discepolo del Cardinal Polo, per il che tutti e tre ne
furono processati » (p. 135).
A Venezia ebbero luogo speciali processi per eresie
contro le seguenti donne:

1533. Anna, moglie di Pietro falegname (luterana).


1533. Apollonio Antonia di Pirano (luterana).
1548. De Angelo Franceschina di Venezia (luterana).
1548. De Filippo varie di Venezia.
1550. Contarini Maria di Venezia (luterana).
1550. Costantini Itiona di Capodistria (luterana).
1553. Angelica da Venezia (anabattista).
1563. Dotto Caterina di Montagnana (luterana).
1565. Corona suor Prudenza di Venezia (luterana).
1566. Calia Roselli Dionora della Puglia (luterana).
1566. Borri Maddalena di Firenze (eretica).
1568. Frattina Elena di Portogruaro (luterana).
1572. Giustina dell'Austria (luterana).
1574. Dardani Elisabetta di Venezia (luterana).
1579. Leonardi Cornelia di Bassano con suo marito
e figli (luterana).
E taccio di altre di tempi posteriori quali Alioni
Laura, Barbaro Chiara, Campagnessa Elisabetta, Castioni
Croce Anna, Chini Maria di Ostia, Codato Angela, Colo-
siniMilander Lucrezia, Cristofoli Antonia, Croce Castioni

(') Sandonnini, op. cit. pag. 152.


266 GIULIA GONZAGA

Anna, Farsetti Luigia, Foscarini Marina, De Franceschi Fran-


cesca, Gemma Aurora di Soveringo, Girardi Domenica ecc.
Non mancano donne, che emigrano in Germania per
causa religiosa, specialmente ferraresi , e illustre fra tutte
Fulvia Olimpia Morato, alla quale consacrerò un capitolo
speciale. Talune altre cercano scampo a Ginevra. Benché
quivi il concorso maggiore di italiani non cominci che dopo
il 1550, famoso Ochino da Siena trovò al suo arrivo in
il

quella città nel 1542 un numero sufficiente di compatrioti


per poter predicare nella nostra lingua. Però l' organiz-
zazione regolare della chiesa italiana deve fissarsi col 1552
per opera del Marchese Galeazzo Caracciolo. Il GalifFe (^)

ricorda tra le donne Lucrezia Castel di Milano (1609);


Lugeri Clara, vedova Ferrari da Cremona (1562) e la
Contessa Diamante de'Pepoli (Bologna), che sposò a Gi-
nevra Edoardo de Thienes e poi Manfredo Balbani.
Ma di di Lucca, costrette ad esulare dalla
due donne
patria, è d'uopo fare speciale ricordo, cioè di Clara Ca-
landrini maritata a Michele Burlamacchi (figlio al famoso
Francesco, decapitato nel castello di Milano il 14 feb-
braio 1548), e di Laura Calandrini, maritata a Pompeo
Diodati, da' quali era nato quel Giovanni, che si rese ce-
lebre per la traduzione della Bibbia e che era stato te-
nuto a battesimo a Lucca da Carlo V e da papa Paolo III !

Le due donne, fuggiasche per la Francia, incontrarono


tutti i pericoli e le miserie inevitabili in un paese, ove
gli ugonotti, perseguitati e sconfitti a Saint-Denis, subirono
poi la suprema iattura colla troppo famosa strage della notte
di S. Bartolomeo, dalla quale a gran stento scamparono le

due esuli italiane. Clara Burlamacchi ebbe in Francia una


bambina, cui volle essere matrina Renata d' Este che, co-
stretta a lasciare la Corte di Ferrara, allora viveva riti-
rata nel castello di Montargis, e perciò alla neonata fu

(^) Le refuge itaìien de Genève aii XVI et XVII siècles par I. B.


G. Galiffe, Genève, 1881.
CAPITOLO XI 267

dato il nome della sventurata principessa. Le memorie dei


Burlamacchi sono state appunto scritte da Renata Burla-
macchi. Essa a Ginevra sposò Cesare Balijani, dal quale
ebbe dieci figli, premorti alla madre. Rimasta vedova passò
in seconde nozze con Teodoro Agrippa d'Aubign*'', il for-
midabile campione della riforma, che celebrò le nozze
come sfida a' suoi giudici. « Le parleìnent de Paris, scrisse
Paul De Saint -Victor, V aijant condamné a mori, il lui
repondit en 2Jì'enant femme le jour, oit V on tranchait
la téle à son effigie : le vieux saldai se remaria en barbe
bianche, avec la candeur d' un palriarche de la Genèse » !

Il movimento religioso femminile tra le nazioni cat-


toliche, all'epoca della riforma, meriterebbe uno studio
speciale, poiché coli' Italia anche gli altri Stati darebbero
a questa interessante indagine largo contributo di fatti.

Certo è, p, e. che in Ispagna la persecuzione a molte donne


incolpate di luteranesimo, e così a vescovi, frati ecc. co-
involti nelle stesse accuse, non fu piccola. A me basta
ricordare un elenco di persone bruciate, che si legge
in una:

Relatione (conserv. presso la Bibl. Yallicellana) della Fede, che si

è celebrato dall' officio della Santa Inquisitione di Valladolid nel giorno


di domenica della Santissima Trinità a' XXI del mese di Giugno della
natività del Nostro Signore Giesu Christo MDLIX col nome di tutti
quelli signori et donne, che sono stati abruciati et anco le condan-
nagione de racconciliati. — In Bologna per Alessandro Benacio, — con
licentia de' superiori.

Ecco r elenco :

Gli abruciati. Il Dottor Agostino De Gazaglia, cappellano et predi-


catore di S. M., habitatore di Valladolid, degradato et abruciato in
persona per Lutherano, maestro et predicatore della detta setta di
Luthero, con confiscation de beni. — Francesco de Vivero, prete suo
fratello, habitator di Valladolid, degradato et abruciato in persona
id. ecc. — Donna Beatrice de Vivero, monaca, sorella del li sopradetti,
abruciata in persona id. ecc. — Donna Leonora de Vivero madre delli

sopradetti, morta, habitatrice che fu di Valladolid, condannata sua me-


moria et fama, abruciata in statua per lutherana , con confiscation de
268 GIULIA GONZAGA

beni et comandossi che fosse rovinata la sua casa, perchè in essa si


radunavano alcune persone a predicare et insegnare la detta setta pe-
stifera di Luthero, et che nel suolo di essa fosse posta una colonna
di marmo, a perpetua memoria, con lettere che dichiarino, perchè fu
rovinata; —
il mastro Alonzo Perez, prete, habitator di Valentia, de-
gradato et abruciato id. ecc. — U Baccillieri Antonio de Herezzuolo,
habitator de Coro abruciato in persona per lutherano pertinace id. ecc. —
Christoforo di Ocampo, habitator di Zamora, abruciato in persona id. ecc.

— il licenziato Francesco di Errerà, nativo di Pegnaranda, abruciato


in persona ecc. id. — Giovan Garsia, argentiero, habitator di Valla-
dolid , abruciato in persona id. ecc. — Cristofaro di Padiglia, habitator
di Zamora, abruciato in persona id. ecc. — Isabella de Strada, habi-
tatrice di Pedrosa, abruciata in persona id. ecc. ;
— Giovanna Vela-
squez, nativa di Pedrosa, abruciata in persona Gonzalo id. ecc. —
Vaez Portughese, habitator di Lisbona, abruciato in persona perchè
era stato Giudeo et giudaizava, con confiscatione de, beni; Cathe- —
rina Romana, habitatrice di Pedrosa, abruciata in persona per luthe-
rana con confiscation de beni; —
Donna Catherina de Ortegha, habi-
tatrice di \'alladolid, abruciata in persona per lutherana, maestra della
detta setta.
XII

Giulia e Valdes.

Il Valdes, secondo il P. Caracciolo - Il Valdes in Ispagna - Suo arrivo


a Napoli - Teoria sul Beneficio di Cristo - Ochino, Pietro Martire
e fra G-iovanni Buzio, detto Mollio - Processi a prelati - Rapporti
tra G-iulia ed il Cardinale Seripando - L' Arcivrsrovo P. Antonio da
Capua - Carteggio tra il Seripando e G-iulia - Laici seguaci del Valdes:
Marcantonio Flaminio e Francesco d'Alois, detto Caserta - Rapporti
di Giulia col Flaminio, risultanti dal processo CarneseccM - G. Ca-
racciolo, Spada/ora, Rullo, Galeota, Placido di Sangro ecc. - Trium-
virato valdesiano - Donne a Napoli seguaci del Valdes: Isabella
Brisegna e Onorata Tancredi - Opere del Valdes dedicate a Giulia -
Traduzione dell' Alfabeto Cristiano fatta da Marcantonio Magno ed
offerta a Giulia - Scoperta de' valdesiani per opera de' teatini - U
Cardinale Teatino, poi papa Paolo IV - Suo zelo per l' inquisizione
- Scritture ascetiche, forse atfrihuihili a Giulia.

Il teatino P. Caracciolo, nella vita di papa Paolo IV


(p. 127), scrive:

Nel 1535 con Carlo V venne in Napoli un Don Giovanni Valdes,


nobile spagnuolo, ma altrettanto perfido eretico. Era costui, mi disse
il cardinale di Monreal, che sei ricordava, di bell'aspetto e di bellis-
sime maniere e d' un parlar dolce ed attrattivo : faceva professione di
lingne e di sacre scritture. S' annidò in Napoli, ove fece grandi rovine.
Imperochè oltre a moltissimi studenti calabresi, infettò anche molti
nobili di Napoli e di Terra di Lavoro. Di costui tre furono i principali
discepoli: Pietro Martire Vermig-lio, canonico regolare di S. Pietro ad
Ara, fra Bernardino Ochino da Siena, predicatore cappuccino e Mar-
cantonio Flaminio da Imola, tutti e tre letterati, particolarmente nelle
270 GIULIA GONZAGA

lingue e nelle lettere umane. Ora costoro, mentre furono in Napoli,


per fare brigata maggiore di discepoli, s' erano divisi in diversi pulpiti
di scrittura sacra : il Vermiglio in S. Pietro ad Ara leggeva le epistole

di S. Paolo. E poiché quivi eravi la compagnia de' BiancM, fondatavi


dal P. D. Calisto, canonico regolare, quindi fu che molti gravi e per
altro da bene gentiluomini napoletani, ma poco accorti, coli' ascoltare
le lezioni di queir eresiarca, restavano macchiati di quella pece. Il

^'aldes leggeva in casa le istesse epistole. Il Flaminio in queU' istessa


e di Caserta faceva sermoni spirituali e 1' Ochino nel 1536 cominciò a
vomitare anch' egli alcune proposizioni eretiche nella chiesa di S. Gio-
vanni Maggiore dove predicò la quaresima.

Così il Caracciolo, con abbastanza esattezza, narra


della presenza a Napoli del Valdes, del quale tuttavia è
opportuno si dica qualche cosa di più preciso, poiché
esercitò non solo un'azione grandissima a Napoli, ma in

molte altre chiese italiane, ed in diverse altre città il nome


di lui fu tramandato con molte lodi.

Come succede di coloro che nel campo religioso e


morale hanno creato un vasto proselitismo, la vita del
Valdes è ancora circondata da vart dubbi, solo in parte
dissipati da recenti lavori, coi quali si è tentato di rico-

struire la biografia di lui (^).

Giovanni Valdes nacque in Cuenca, nella Nuova Ca-


stiglia, sul finire del secolo XV da nobile famiglia e non
deve confondersi con un altro fratello. Il Cantù pone in
dubbio l'esistenza del fratello, ed io non saprei con quanto
fondamento poiché abbiamo due lettere
,
di Erasmo di

Rotterdam che provano ciò ampiamente.

(^) Carrasco Manuel, Alfonso et Juan De Valdes, leurs vie et écrits


religieux: etude Jiistorique, Genève, chez les principaux libraires, 1880.

Benjamin R. Wiffen, Life and of Juan Valdes, otherwise


tcritings

Waldesso spanish reformer in the sixfeenth century. Wifh a translation


from the italian of his hundred and ten considerations by John T. Betts.
London, Spottisvrord, 1865.
Questo lavoro del Wiffen è stato da me tenuto presente in modo
speciale nel trattare de' rapporti tra il Valdes e Giulia Gonzaga.
CAPITOLO XII 271

Ecco che cosa scriveva da Basilea il 1. marzo IH?.^


r insigne filosofo :

Il tuo germano è stato ed è meco contin\iamente tanto officioso


che debbo amare tutto ciò che in qualsiasi modo gli appartiene.
io

Ma tu, mi vien detto, lo rappresenti cosi nella corporale apparenza


come neir austerità dell' ingegno da sembrare voi non due gemelli, ma
del tutto lo stesso uomo. Ora che ti sei dedicato alle discipline liberali

per artinare l'indole nata alla virtù in ogni genere d' ornamenti, a che
esortarti, poiché corri spontaneamente in questo nobilissimo studio ?

Meglio si addice il congratularmi e 1' applaudire. Ritieni per fermo che


io non sono di nessun altro più che del tuo germano e che non sono
meno tuo che di lui. Vale.

Abbiamo poi altra lettera di Erasmo diretta a' fra-


telli Valdes in data 29 ottobre 1528. Il Valdes si era già
fatto conoscere per un dialogo fra Mercurio e Caronte,
nel quale s' flagellavano vari abusi della corte romana.
Più animoso nel combattere questi abusi e sopratutto nel
rilevai'e la sconvenienza che il capo del cristianesimo po-
tesse schierarsi con una potenza contro un' altra si era
mostrato in altro scritto sul sacco di Roma, che consi-
derava quale un giusto castigo mandato da Cristo per
colpire il suo Vicario e la curia, e faceva anzi voti che
r Imperatore ritenesse prigioniero il Papa (^). Baldassarre
Castiglione, allora legato di Clemente VII in Ispagna, re-
plicò vivacemente, rilevando anche errori religiosi negli
scritti del Valdes. Costui non mancò di rispondere, ed una

lotta di questo genere non avrebbe potuto che condurlo

(') Due dialoghi l'uno di Mercurio et Caronte, nel quale oltre a


molte cose belle, gratiose et di bona dottrina si racconta quello che
accade nella guerra dopo l'anno 1521. L'altro di Lattanti© e di un
archidiacono nel quale si trattano le cose avvenute in Roma nel 1527.
Di spagnuolo in italiano con molta acutezza et tradotti et revisti. In
Vinegia S. L. ed anno in 8.°

Altra edizione, molto rara, è questa : « Dialogo : en que particu-


larmente se tratan: las cosa.s aca \
ecidas en Rome: el an de \
MDXXVII
I
aglaria de Bios y hien universal de la Rejjubblica \
Christiana. S. L. ed
anno in 8.°.
272 GIULIA GONZAGA

a rovina, poiché egli si trovava in un paese come la


Spagna. Ma il Castiglione moriva il 1529. Tuttavia, per
la denuncia di opinioni ereticali, fatta dal celebre autore
del Cortegiano , è a credere che il Valdes non si rite-
nesse sicuro e partisse verso la fine del 1529 per l'Italia.
Andò a Napoli e poi a Roma e quivi si trattenne dal 1531
al 1533. Vi esercitò per pochi mesi l'ufficio di gentiluomo
di camera di Clemente VII; nell'anno stesso 1533 cessò
di esserlo e si recò a Napoli ove poco dopo scrisse il
dialogo sulla lingua, pubblicato il 1737 (^).

Il Valdes abit5,va a Ghiaia, e la sua casa divenne il

centro, il pellegrinaggio delle persone più distinte in Na-


poli per sangue e per cultura. Egli predicava la giustifi-
cazione per la fede, quella famosa dottrina che per
qualche tempo costituì il più strano equivoco, perchè
senza saperlo e senza volerlo s' incontrarono nelle mede-
sime credenze cattolici e riformatori, finché, sovraggiunta la
reazione, furono tutti coinvolti negli stessi processi e nelle
stesse persecuzioni e si videro eminenti cardinali, vescovi,
prelati, letterati, poeti, signore, vecchi e fanatici ortodossi
giudicati alla stessa stregua: se vivi furono condannati,
se morti furono processati ugualmente. Ma i processi non
fecero che rivelare una sola cosa : la diffusione larghissima

in Italia di una dottrina che la chiesa stessa non potè in


modo preciso definire nel concilio od almeno
di Trento,

definirla in un senso diverso da' primi novatori e da molte


persone sospettate. Indi gli equivoci continuarono, sorretti
anche da una specie di identità di linguaggio, di formolo
e di definizioni. Dovettero però diminuire le persecuzioni.

(1) Alla Nazionale di Firenze ve ne ha una recente edizione. « Dia-


logo de la lengua tenido àzia e l A. i533. Apéndize picblicado por primera
vez el anno de i737. Ahora reimpreso conforme al m. s. de la Biblioteca

Nazial, unico que el editor conze. Por Apéndize va una Carta de a Valdes.
Madrid, ano de 1860, imprenta de Martin Alegria ». L' appendice com-
prende la lettera del Valdes al Castiglione per giustificare il dialogo

sul sacco di Roma e la risposta del Castiglione medesimo.


.CAPITOLO XII 273

altrimenti si sarebbe finito per coinvolgere nel sospetto


la memoria di tutto o quasi tutto il collegio cardinalizio
e de' capi delle diocesi italiane. Sopratutto si volle evitare
lo scandalo col far iiziioi-aro il nome delledonne che ac-
cettarono quel movimento religioso. Leggendo il lungo
interrogatorio del processo Carnesecchi, svoltosi in Roma
nel 1566, si desume il profondo convincimento de' cardinali
inquisitori sulle colpe non solo de' cardinali Polo, Morene,
Sadoleto, ma anche della duchessa di Camerino, di Giulia
Gonzaga e di Vittoria Colonna. Eppure quanto accorgi-
mento ripongono giudici nell' evitare nella sentenza di
i

citare que'nomi: essi si limitano a fare allusioni, spiega-


bili nel solo caso che i dibattimenti fossero stati pubblici,
i processi si fossero potuti consultare, aspirazione addi-
rittura ereticale per que' tempi !

Il Valdes diffondeva le teorie sugli effetti illimitati


prodotti a benefìcio dell'umanità dalla redenzione operata
da Gesù Cristo; però non traeva la conseguenza che dovesse
mancare il concorso delle opere per salvarsi. La illazione
poteva essere facile e spontanea, e così fu per molti; ma
in effetto il Valdes non si occupava di ciò e quindi i suoi
adepti ascoltavano la messa, si comunicavano, osservavano
tutte le pratiche della Chiesa cattolica. Ridotto l'apostolato
a questi termini, è chiaro che egli si confondeva co' predi-
catori cattolici : la sua opera consisteva in una rifioritura,
come oggi si direbbe, dell' evangelo e del culto di Gesìi.
Di aspetto bello, di facile eloquio, aiutato nella sua gra-
cile salute dallo spirito irrequieto dell' apostolato e del
proselitismo (reggeva, scrive il Bonfadio, una particella
dell'anima il corpo suo debole e magro), diffondeva opu-
scoli, teneva cattedra in chiesa , in casa , a passeggio ; si

affermava sopratutto colle conferenze che sempre come ,

genere, hanno allettato i napoletani. Si comprende così


come egli divenisse sentimentale presso le signore, apparisse
un gran santo un vero e perfetto cristiano per tutti e
, ,

tutti, compresa perfino la cattolicissima corte del viceré ,.

18
.

274 GIULIA GONZAGA

non avessero scrupoli di ascoltarlo, di seguirlo, di ammi-


rarlo. Era divenuto il P. Agostino di que' tempi per tutte
le donne eulte e galanti che in fondo alle tempeste ed

alle vanità del mondo volevano o trovare, od assicurare


un porto a' dubbi di una coscienza o troppo timida, o non
troppo sicura. Nel leggere il trattato sulla giustificazione
del Cardinal Polo il quale proclamava con S. Tommaso che
Deus remittat j^eccata et iustiflcet impimn 'per jnisterium
Christi (^), e nell' osservare le fonti che adduce e gli argo-
menti che mette in campo comprende come allora si
, si

agitassero e si smarrissero gli spiriti a traverso un vero


bizantinismo di eloquio e di formule. E fa proprio pena di
leggere le varianti del trattato de justificatioìie nell'edizione
parigina del 1571 e nella veneta del 1589. Nella prima si
leggeva: •« huiusce causae disquisitio pendet »\ nell'altra
si faceva dire al Polo : « huiusce causae disputatio
pendet ». Nella prima: « fides etimn ajìpellatur fiducia »;

nell'altra: etiam quandoque appellatur fiducia »


« fides

E così con un disputatio invece di disquisitio e con un


quandoque di più credevano alcuni di essersi rimessi sulla
buona strada, mostravano di aver fatto qualche cosa per
affermarsi diversamente da quanto in passato potevano
apparire. Miserie di tempi , sottigliezze e sofisticherie di
teologi !

Collega efficacissimo del Valdes era l'Ochino il quale


« predicava con ispirito e devozione sì grande, che faceva
piangere le pietre » scrisse il Rosso, ed ebbe 1' abilità di
trarre alle sue prediche perfino l' Imperatore Carlo V !

L' Ochino era nato a Siena il 1487; entrò tra' francescani


il 1534, divenne capo dell'ordine de' cappuccini il 1538.
Egli si era, così scriveva, persuaso di tre cose: 1.* che
Cristo con la sua obbedienza e con la sua morte avesse
soddisfatto completamente ed avesse meritato il cielo per

(^) Ejnsfolarum Rerjinaìdi Poli ecc. Pars III, p. 203. Brixiae, Riz-
zar di, 1748.
CAPITOLO XII 275

gli eletti; 2.'* clie i voti religiosi, inventati dagli uomini,


non solo sono inutili , ma perniciosi e cattivi ;
3.° che la

chiesa romana, intenta ad airascinare i sensi con l'estrin-


seca pompa e lo splendore, ù antiscritturale e abominevole
al cospetto di Dio. Il Oraziani (') dice: « capo bianco,
come la neve, barba lunga, cadente fino alla cintura, pal-
lore sul volto implicante dubbio sulla sua salute, tutto lo
rendeva ad un tempo venerabile ed interessante ». — In
Napoli una volta predicò dinanzi ad un uditorio così nu-
meroso e con tanta eloquenza che raccolse per l' ele- ,
,

mosina destinata alla carità, cinquemila scudi ("). Se Giulia


Gonzaga subiva un fascino dal Valdes.un fascino dal famoso
cappuccino subirono la duchessa di Camerino Caterina ,

Cibo, cui r Cellino poi dedicò suoi dialoghi e Vittoria i ,

Colonna, perdio a consiglio di questa, interessatane dal


Bembo, l'Ochino condiscese di recarsi a predicare a Ve-
nezia. E anche (|ui le donne traevano entusiaste appresso
il nuovo apostolo ed il Bembo scriveva a Vittoria Co-
lonna « il nostro fra Bernardino
: che d' ora in avanti ,

desidero chiamar mio, come vostra altezza lo chiama suo,


qui è adorato; non v' è alcuno d'ambo sessi che non i

l'innalzi alle stelle ». Tornato a Napoli nel 1539 seguitò

a farsi ammirare per la sua eloquenza: « le sue prediche,


scrive un cronista del tempo, diedero campo e cagione a
molti di parlare della sacra scrittura, di studiar gli evan-
geli e disputare intorno la giustificazione, la fede, le opere,
la potestà pontificia, il purgatorio e simili altre questioni ».
Il viceré Toledo ebbe però qualche sospetto e lo mani-
festò all'Arcivescovo. L'Ochino in S. Giovanni Maggiore
— teatro de' suoi trionfi oratori — invitato a chiarire
le sue idee, si mostrò così abile da dissipare ogni dubbio.
I sospetti non si rinnovarono più finché stette a Napoli, cioè

{}) Nella vita del Card. Commendone.


(^) Zaccaria, Annali de' frati minori cappuccini. Venezia, 1643,
t. 1, pag. 411.
,

276 GIULIA GONZAGA

fino alla morte del Valdes, avvenuta nel 1540, nel qual
tempo abbandonò Napoli ed ebbe per successore l'agosti-
niano Pietro Martire Vermigli. Questi dalla chiesa annessa
al suo convento, cioè da S. Pietro ad Aram, imprese a
spiegare e commentare le epistole di S. Paolo con tanto
credito e con tanto concorso di gente , che cattivo cri-

stiano era considerato chi non accorreva a quella chiesa.


Il Vermigli (n. a Firenze nel 1500) aveva studiato a
Padova filosofìa, a Bologna l'ebraico. Tradusse, stando a
Vercelli, Omero a consiglio del suo amico Cusano ed eccitò
ammirazione dal pergamo delle principali città d' Italia.
Un bel giorno, commentando un passo della prima epistola
di S. Paolo a' Corinti, sollevò gravi dubbi sull' esistenza

del Purgatorio. Il solito accorto viceré Toledo ottenne


che gli fosse vietata la predicazione; ma il Vermigli, forte
dall' appoggio del Card. Gonzaga, del Contarini, del Bembo
e del Polo, si appellò a Roma e fu ritirato l' interdetto.
« Una dialettica sottile, osserva l'Amabile, ed una tem-
peranza conciliante, erano le doti principali del Vermigli,
da neanche smentite mai durante il resto di sua vita, e
lui

queste doti, con la sua dottrina, gli procurarono un favore


indicibile ». Anch' egli pochi mesi dopo la morte del
,

Valdes, colpito da febbri miasmatiche, abbandonava Napoli.


L'Ochino ebbe a Napoli compagno nella predicazione
un concittadino, Giovanni Buzio, da altri detto Molilo o
Meglio. Costui si era fatto notare come valente lettore
in teologia in Pavia , Milano , Brescia ed in Bologna spe-
cialmente, ove ebbe a feroce contradditore e poi delatore
un metafisico, a nome Cornelio. Accusato e arrestato sotto
Paolo III, venne poi prosciolto. Venuto a Napoli, inco-
minciò la predicazione nella chiesa di S. Lorenzo dove
convenivano molti preti e frati. Ed anche allora il viceré
Toledo non mancò di richiamare sul Buzio l' attenzione
del Sant'Officio. Dopo molte vicende il Buzio fu arrestato
a Ravenna sotto Giulio III. Egli si mostrò coraggioso
violento co' giudici. Non era da aspettarsi meno da un
CAPITOLO XII Zi t

uomo come il Buzio il quale un giorno, incontralo lo

Zanchi e domandatogli se avesse letta l'upei-a de origine


erroris di lìullinger, gli aveva soggiunto : « se non avete
danaro i)ei' comprarla cavatevi 1' occhio diritto per acqui-
starla e poi leggetela coli' occhio sinistro ». Le antiche
scritture di S. Giovanni Decollato di Roma ci hanno la-
sciato il ricordo della fine infelice di lui e di un altio

frate suo compagno , Tisserando di Perugia. — Sotto


r anno 1553 si legge : « essendo costituito nella carcere
della S.''' inquisizione a piazza Montaulo (poi piazza di

Ripetta) m.° Giovanni Buzio di Montalcino, frate del-

l' ordine dei conventuali, condannato a morte per la giu-


stizia, di poi fatta la sua confessione in prima raccomandò
l'anima sua al omnipotente idio , e alla sua S. madre
vergine Maria e a S. Francesco suo padre e a S. Antonio
da Padova, a onore del quale si fece frate.... Poi fu me-
nato in Campo di flore, impiccato e poi abrusciato ». —
E sotto lo stesso anno : « essendo costituito nella sopra-
detta carcere della S.'"" inquisizione theodoro di giovanni
theodori da perugia, condannato a morte per via di giu-

stizia, di poi fatta la sua confessione.... Poi fu menato in

Campo di fiore e lì impiccato e abrusciato ».

Altro lettore e commentatore delle epistole di S. Paolo


era un fra Lorenzo Romano ex agostiniano che poi , ,

emigrò in Germania e, tornato in Italia, si costituì a Roma,


contribuendo colle sue rivelazioni , spesso citate nel pro-
cesso del Carnesecchi , ad aggravare la sorte di molti
arrestati quali sospetti novatori. Ed infine tra' prelati si

ricordano il Merenda, cappellano di


cosentino Apollonio
monsignore Arcella, vescovo amico del Polo, di Policastro,

del Seripando poi emigrato a Ginevra: il domenicano


,

Girolamo Nichesola, da Verona, vescovo di Teano il ve- ;

scovo di Cava Gian Tommaso da Sanfelice


, già com- ,

pagno del Soranzo, dal quale fu perfezionato nelle belle


lettere, tenuto in carcere poi in Roma per 25 mesi per
aver sostenuto nel concilio di Trento molte opinioni eretiche
,

278 GIULIA GONZAGA

intorno alla giustificazione , a' digiuni , alle cerimonie ed


alle costituzioni della chiesa ; Giulio Pavesi , bergamasco
arcivescovo di Sorrento, di poi nunzio apostolico. Questi —
così l'Amabile — nelle sue due ultime lettere al Seripando
(carteggio Seripando, febbr. e sett. 1561) scherza intorno
all'andare al concilio di Trento e poi dice che vi andrà
essendosi certificato del volere del Pontefice. E si ha ancora
una lettera del Seripando alla Gonzaga intorno a questa
andata. Giulia si interessava molto delle cose del concilio,
voleva che 1' arcivescovo di Sorrento non vi mancasse e
vedeva in Napoli, sicuramente da parte della curia arci-
vescovile che si era sbrigata di lui , manovre per non
farvelo andare. Raccomandò quindi il negozio e la persona
al Seripando il quale era Cardinal legato al Concilio ed
egli le scrisse da Trento il 10 dee. 1561 in questi termini:

Io ben partii da Napoli, come dissi a V. E. con disegno d' oprar


quanto potea, che preparandosi il Concilio, Monsignor di Sorrento fosse
costretto a venirvi, come persona clie, secondo il parer mio, era ed è
per giovar sempre a tutte le opre buone e sante. ^la per dire il vero
questa cosa m' era mezzo che passata dalla fantasia e non saprei perchè.
Intendendo poi che N. S. 1' aveva chiamato per mandarlo qui e che da
Napoli si facevano molte contromine a ciò che non venesse e che s'usa-
vano tante forze e tanti favori per impedir la sua venuta, volsi mo-
strar di poter ancor io qualche cosa e che non bastavano
na- le forze

poletane di far tanto danno a questo concilio quanto sarebbe stata


r assentia di un così raro e discreto prelato.

Partecipa poi ch'egli è giunto e continua:

Con M."" di Sorrento per infiniti rispetti, de' quali il principale è


il comandamento di V. E. io farò ogni cosa comune, e già prima
eh' egli giungesse si era avuto ordine del modo come avea a trattarsi.
E io con questo resto, recomandandomi alle orazioni di V. E. pregando ,

N. S. Dio che la conservi lieta e felice.

Si ricordino queste espressioni di rispetto e di stima


del Seripando per Giulia e si notino da una parte la ostilità
della curia arcivescovile di Napoli verso il Pavesi ,
già
sostituito dal Campagna (vescovo di Montepeloso) nell'ufficio
,

CAPITOLO XII 279

di Vicai'io e da altra parte l'interesse di Giulia per lui


e la premura del Seripando per entrambi (').

Ma del Seripando che — come ho accennato — ehlie

con Giulia corrispondenza epistolare la quale — vedremo


meglio appresso — fu vivissima ed assai importante, e
dell' Arcivescovo di Otranto , Monsignore di Capua, tanto
legato da amicizia a Giulia, come dimostrò il Carnesecchi
nel suo processo, mi pare opportuno dare qualche parti-
colare più diffuso. Comincerò da quest' ultimo.
Pietro Antonio di Capua nel 1536 successe nell'Arci-
vescovado di Otranto allo zio Fabrizio di Capua « nobi-
lissimo napoletano, illustre pel candore de' costumi, che
era intervenuto al concilio lateranense V.° ed aveva otte-
nuto da Clemente MI alcuni privilegi per la sua chiosa,
in considerazione della catastrofe sofTerta da' turchi ». Il

nuovo Arcivescovo Pietro Antonio di Capua , che prese


poi parte al concilio di Trento, tenne frequente carteggio
con Giulia « essendo consueto di scrivere alla signora
ancor mentre che stava in Roma » ed anche successivamente
da Trento « dandole avviso delle cose del concilio » come
fu affermato dal Carnesecchi a' suoi giudici. Il Di Capua,
che assistè Giovanni Valdes negli estremi momenti , subì
per parte del Sant'Officio un processo (1558) ricordato
dallo stesso Caracciolo ; ma del risultato non si seppe mai
nulla. Morì nel 1579.
Girolamo Seripando, nato il 1493 a Troia di Puglia,
appena quattordicenne si fece agostiniano. Si applicò con
alacrità agli studi biblici , ed apprese perciò il greco
r ebraico ed il caldaico ,
ponendosi cosi in grado di fare

suir argomento pubbliche conferenze che gli accrebbero


in breve credito tra' dotti. Nel 1539 fu eletto generale
dell'Ordine. Nominato arcivescovo di Napoli, rifiutò l'uf-
ficio. La città di Napoli inviò il Seripando Ambasciatore
in Fiandria presso Carlo V, dal quale fu proposto ad

(1) Amabile , op. cit.


,

"280 GIULIA GONZAGA

Arcivescovo di Salerno e Giulio III gli conferì la nomina


nel 1544. Il Seripando convenne al Concilio di Trento.
Vi si fece ammirare per 1' erudizione sua grandissima, per
tatto e per prudenza, talché gli vennero dati incarichi
speciali dai padri presenti al Concilio. Pio IV lo nominò
Cardinale e Legato nel detto Concilio. Morì nel 1563 :

il cadavere fu trasportato a Napoli e sepolto in S. Gio-


vanni in Carbonara. Un busto di lui fu collocato nella
navata a destra della chiesa di Sant'Agostino in Roma ed
altro busto gli venne eretto nella chiesa degli agostiniani
a Trento. La sua libreria lasciata in legato al convento
,

di S. Giovanni in Carbonara di Napoli, passò nel 1792


alla Biblioteca Nazionale; quivi, nella sala de'Mss., si
vede un ritratto di lui. I suoi Mss. si trovano citati nella

Biblioteca Agostiniana dell' Ossinger. Tra' lavori a stampa,


ricorderò: Doctrina orandi, seu expositio orationis domi-
nicae : acced: Dootrina credendi, seu S. Aug. expositio
symboli —
In Divi Paidi epistolas ad Roni. et Galatas
comentaria —
Oratio in funere Caroli V (Nap. 1559) —
Prediche sopra il simbolo degli apostoli. Alcune sue —
lettere si leggono nella raccolta del Manuzio.
Ed appunto due
anni innanzi la morte aveva spinto
ilPapa ad introdurre una stamperia in Vaticano chia- ,

mandovi Paolo Manuzio, il quale venne e stabilì la tipo-


grafìa « in aedibus joopidi romaìii » e la prima opera
data a luce fu il lavoro del Card. Polo: De Concilio et

reformatione Angliae nel 1562. È noto che il successore


Pio V non volle continuare gli assegni al Manuzio che ,

cruciato, tornò a Venezia. Il Seripando ebbe rapporti di

amicizia col Valdes, col Flaminio, col Carnesecchi e con


•Giulia alla quale diresse non poche lettere. In fine pub-
blicherò due lettere di costei al Seripando. La vita austera,
la riforma de' costumi tentata nella sua diocesi, i rapporti
•di amicizia co' novatori fecero tenere il Seripando in con-
tinui sospetti per le nuove dottrine. Ma invece egli le

«ombattè ,
però con forma umana e conciliante , naturale
CAPITOLO XII 281

ad un uomo culto o buono, il quale i>erciò non si senti oltldi-

gato a smottei'e amicizie e rapporti con persone, designate


sospette per lo stesso titolo. E i)aieccliie di (jueste furono
da lui prudentemente aiutate. Al Tansillo ottenne che
papa Paolo IV togliesse il divieto emesso della lettura
delle sue poesie, con grande soddisfazione del poeta,
impaurito che da quel divieto i)otesse trarsi una occasione
per colpirlo colle solite accuse, allora tanto in voga, di
riformatore, tanto più eh' egli si trovava in relazione con
molti valdesiani.
Quali rapporti di stima e deferenza unissero il Seri-
pando alla Gonzaga può rilevarsi ampiamente dal carteggio
del primo, consultato minutamente dall'Amabile, il quale
perciò ebbe a conchiudere: « egli stimava in lei ugual-
mente i pregi dell' intelletto, essendovi una lettera sua a
Camillo Porzio, che chiede quale sia il ])rndentissÌ7no
giudiiio della S:'"" D. Giulia intorno alle compo-
III.'^''

sizioni, nelle quali si è esercitato e mostra di farne gran


conto ». A tale deferenza del Seripando per Giulia non
dovè essere estraneo qualche pericolo da lui corso nel 1557,
allorché l'energumeno Paolo IV aveva già fatto carcerare
il Morene e gli altri prelati, dicendosi in quel tempo che
Seripando e il suo compagno, cioè fra Simone di Firenze,
« passavano burrasca per conto di religione » e non
essendo per qualche tempo cessati i sospetti de' cardinali
inquisitori contro di lui , infino a che fu creato Cardi-
nale nel febbraio del 1561. Mei suo carteggio comincia a
trovarsi una menzione di Giulia all' anno 1554; da que-
st' anno si passa subito al 1560 e principalmente nel
1561 si ha uno scambio di lettere con parecchie altre
menzioni che continuano fino ad una parte del 1562, du-
rante il tempo in cui il Seripando trovavasi qual Cardi-
nale Legato al Concilio di Trento. Dapprima si nota
il desiderio di Giulia che il Seripando riunisca e pub-
blichi le opere lasciate dal Card. Polo. Il Seripando
secondò volentieri il desiderio, promise che l'avrebbe
282 GIULIA GONZAGA

soddisfatto, e benché creato Cardinale da Pio IV nel 1561


e andato a Roma , ove fece anche parte della congrega
de' Cardinali inquisitori, poi andato a Trento pel concilio,
che doveva riaprirsi, non cessò d'occuparsene, scriven-
done al Card. Morene e anche a Paolo Manuzio, che
avrebbe dovuto apporvi una prefazione; finché sopraffatto
dalle cure del Concilio non potè più attendervi.
Ma credo opportuno riprodurre gli appunti su tutto
il carteggio raccolti dallo stesso Amabile (') : il lettore
mi perdonerà questa lunga e non troppo amena cita-
zione, pensando che essa completa indirettamente il capitolo
suir epistolario di Giulia e mette in maggior luce la
fenomenale attività di questa donna intorno alle questioni
che ora si direbbero palpitanti di attualità, alle quali si

interessava in modo singolare e sulle quali aveva le infor-


mazioni nonché la collaborazione di consigli e di opera da
uomini tanto eminenti, come appunto il Seripando ed altri.

Bassegua delle menzioìii e delle lettere concernenti Giulia Gonzaga ri-


maste nel carteggio del Seì'ipando <(cons. alla Bibl. Naz, di Napoli « 1.°,

XIV Aa 61, fol 105 e 112: Seripando al Gocciano e viceversa, sett.

1554. a) « alla S. D. Giulia mandarò le cose che V. S. me dice perchè


Menghino le ha già riscosse dal procaccio et procurare risposta » ecc.
b) « Ho avuto la lettera della S.''^ D. Giulia ». — 2.° Aa 54 f. 196
Serip. a... (sotto si dice « alla S.""^ Giulia, la quale ha da rispondere
il ad un certo che desiderava saperlo « e tutto mostra che si
sup.'° ;

tratta d'una bozza di lettera scritta a richiesta di D. Giulia la quale


avrebbe dovuto scriverla ad un altro, forse al Morene, in riscontro
d' una lettera di costui, essendo nella fine della bozza aggiunti due

versi speciali per D.^ Giulia), 16 sett. 1560: « l'Arciv. di Salerno dice
di sapere che la bo. me. del Card. Polo ha scritto questi libri » : (segue
r elenco de' libri, cioè del modo di predicare ; alcune brevi questioni
del Concilio; de la reformatione de la Chiesa; Dialogo tra sé ed il

Card, d' Urbino — delle condizioni che deve avere un papa, in lingua
italiana ; molte epistole e tra le altre alcune notevoli all'Arciv. di Conza,
quando era maestro del sacro Palazzo ; e dice che per ora non si ricorda
d' altro). « Dice di più che ama et stima tanto voi solo, quanto ame-

(^) Amabile, op. cit. voi. I, pag. 153.


CAPITOLO XII 283

rebbe et stimerebbe tutti i;\i amici et padroni a i quali per sua disgratia
è sopravisso; ma si duole bene che nello scrivere che voi fate di lui

li par di vedere che 1'animo vostro non sia affatto purgato dalle cor-
tegianie romane : il qual peccato non è per perdonarvi se voi non cre-
derete eh' egli non ha né fede, nò affetto alcuno a tutto qiiello che
altri dice et voi scrivete. V invita a Salerno, dove andara tra poclii

giorni, et vi certifica che queir aere è ottimo à torre via tutte le re-
liquie de i morbi pericolosi, tra i quali pessimo egli reputa che sia
quel clie si contrahe dal canto delle syrene. — V. E. gionghi et manchi
quanto li piace et habbia in sua potestà tutto me, come ha qualsivoglia
suo servitore ». — 3. ", Va GO f. 8. D.^ Giulia al Seripando. 24 febb."^

IStJl. Scrive della risoluzione del Sig. Cesare 111.'"° sopra un affare vi-
vamente raccomandato dal Seripando; i quattro ultimi versi sono au-
tografi. — 4.", Ibid. f. 20, Id. id. ult." di febb." 1561. Si congratula
perchè è stato creato Cardinale, e dice: « son volta a ringraciar Dio
poiché da lui solo e venuta la sua promocione, et comincio a sperare
che se vora ricordar de li soi. et per ciò li desidero longa vita et sa-
nità accio veda adimplita (luellapromessa che già mi fece ». La lettera
è autografa tutta, la firma è « Julia de Gonzaga Colonna » la spe- ;

ranza sua pare essere che Dio vorrà farlo divenir Papa per dar pace
a' fedeli suoi la promessa è certamente la pubblicazione de' libri del
;

Polo. — 5.", Aa 49, f. <jl. Serip. a Placido di Sangro, 19 niag. 1561 :

« Salutando Placitello et raccomandandomi alla S.""» D. Giulia senza


eccettione » etc. — 0." Aa 59 f. 18. Id. id. id. « De nuovo me reco-
mando alla S.""^ D. Giulia et à tutti. Perche so quanto V. S. era affet-

tionato alla fé. me. del fiJ Ferrante di Gonzaga li mando 1' alligata

opera fatta in laude di quel honoratis." Signore, della quale mi per-


suado che non sia ancor comparsa copia in coteste bande » — 7.", Ibid.

f. 156. Serip. a D.^ Giulia, 19 giugno 1561 da Trento. « Dalla lettera


che me lià dato Mons."" di Theano et dalle parole che me ha detto da
parte dell" E. V. io mi sono confirmato à credere chella si degna tener
memoria di me come io tengo e terrò sempre di lei. Non ce' 1 dimo-
stro per non haver qui cosa degna di lei sin' adesso, ma ben spero
che alla rinfrescata cenne saranno molte, quando così piaccia alla bontà
di Dio, et che questo afflitto mondo sia per sostenersi con qualche
riparo, del qual li afiermo clie bisogna bene che venghi dal Cielo,
perchè 1' opre humane non possono altrimenti riuscire di quel che sin
qui han fatto » (parole notevolissime). « Priego N. S. Iddio che sempre
la mantengbe sotto la mano della protettione sua lieta, et satisfatta di
quanto desidera. La lettera di sua mano 1' hebbi prima che partissi da
Roma ». — 8.°, Aa 60, f. 22. Id. id. 28 luglio 1561. « Ho ricevuto à
favore grandissimo che V. E. se sia degnata con lettera di mano sua
avvisarme dell' indispositione passata, et della sanità che N. S. Dio, per
284 GIULIA GONZAGA

far gratia à molti,. 1' ha restituita, à me tocca pregar sempre la sua


divina M.^à che la conservi sana, et à lei ancor tocca farce l' opera
sua. Ho fatto con Mons.'" 111.™° di Mantova tutto quello officio che lei
m' ha commandato, con quello miglior modo eh' io ho saputo, et certo
che non solo questa volta, ma ogni volta che è accascato parlar di lei
questo ha mostrato haverli quella atfettione che meritamente deve,
8.°''

et talmente 1' ha mostrato


che io che non soglio contentarmi di parole
che vanno in forma, ò vero mediocri, ne sono rimasto satisfattiss."
perche m' è parso veramente che conosce le conditioni vere et rare,
non comuni ne simulate dove si trovano, et di questo ne ha visto
qualche segno ancor Mons."" di Theano, havendo io detto, che mi era
stato ricomandato da V. E. Le cose di qua vanno tuttavia riscaldan-
dosi... Et per ora non havendo altro quanto più posso me [ricomando
all' E. V. pregando Dio che la conservi et favorisca con quei spetiali
favori che suol fare à quelle anime che più care le sono ». — 9.°. Aa
52, f. 16. Serip. a Placido di Sangro, 18 ag.° 1561. Gli ricorda aver
lui medesimo sofferto una febbretta, di cui non si liberò se non an-
dando a Posilipo, e vuole che si supplichi D.''^ Giulia « ammalata di
febbretta », dicendo « che lasci star le altre alli Monasterij, et lei che
ci è stata tanto tempo pigli xin poco d' aere, se no '1 farà, vi prometto
che la prima cosa che si decreterà qui {infend. nel Concilio) sarà che
le Signore et altre donne non possono stare ne i Monasteri se non si

vestono moniche » (maniera, come si vede, carezzevole, per farla de-


cidere ad uscire). — 10,'^, Aa 49. f. 168, Id. id. 1.° 7bre 1561. « Credo
che la S.'"^ D. Giulia harà à quest' hora havuto una lettera dell' 111.™*'

suo, per la quale harà conosciuto quanto desideri chella se mantenghi


sana et di tanto torno a supplicare S. Ecc.*'^ ancor' io ». — 11.°, Aa
55, f. 107. Id. id. 21 7bre 1561. Mando al Card, di Mantova la lettera
di D. Giulia; « in questo raezo me ricomando à S. E. et a V. S. salu-
tando strettamente Placitino. — 12.° Ibid. Id. id. 2-4 9bre 1561. « Mons.'
111.™° usa diligentia mirabile in voler intendere la sanità della S.'"'' D.
Giulia, alla quale desidero ogni felicita, et esserli in gratia assai più
di quel che io merito ». — 13.°, Aa, 60, f. 24. Serip. a D.''^ Giulia, 8
lObre 1561. Le parla dell'intervento di Mons.'" di Sorrento al Concilio.

— 14.°, Aa 49, f. 58. Serip. a Placido di Sangro, 12 genn.° 1562 « Re-


comandome strettamente alla D. Giulia et desidero eh' ella stia
S.''-''

sempre sana ». —
15.°, Aa 63, f. 135 t.° Serip. a Camillo Porzio, 23

marzo 1562; « Voi m' havete fatto un g-ran piacere per lo raguaglio
pai'ticolare che mi date dell' attieni vostre... Delle compositioni nelle
quali vi sete exercitato, dopo che saranno poste in luce, mi sarà caro
haverne copia, et intenderne il prudentiss.° giuditio della S.''^ D. Giulia
111.™*, per il quale quando l'opra venghi approbata potrete star sicuro
che non li potrà nuocere nec Jovis ira nec ignes ».
,

CAPITOLO XII 285

Ma a fianco degli uomini dalla tonaca e dalla cocolla,


vediamo collocarsi un numopo non meno notevole di laici,
lustro alcuni della letteratiii-a e dell'arte, i quali, amici
personali del Valdes non mono che ardenti suoi seguaci
diffondono le sue teorie a Napoli e ne' dintorni con zelo
grandissimo. Principali tra essi in questo periodo appaiono
Marcantonio Flaminio, e GianlVancesco d'Alois, alias Ca-
serta, più conosciuto col secondo nome.
Marcantonio Flaminio nacque il 1498 ad Imola da
Giannantonio, cui si debbono dodici libri di lettere, le vite
di alcuni santi dell' ordine de' predicatori , un dialogo
intorno alla educazione de' fanciulli, un trattato della ori-
gine della filosofia, una grammatica latina ed altre opere,
delle quali dà un elenco il Domenicano Giuseppe Capponi,

che nel 1744 ne pubblicò a Bologna le lettere latine, pre-


cedute da una biografia ('). Sotto una guida sì autorevole
Marcantonio si istruì nelle lettere, ed è noto che di sedici
anni presentò a Leone X alcuni versi latini : piacquero
tanto da indurre il Pontefice a ritenere in Corte Marcan-
tonio ed a rivolgergli più tardi il complimento virgiliano

Macte nova virtute puer: sic itw ad astra.

Il Pontefice scendeva perfino a dispute letterarie col gio-


vane il quale mostrava tale disinvoltura da eccitare la ge-
nerale ammirazione. Conobbe verso il 1515 il Sannazzaro a
Napoli e Baldassarre Castiglione ad Urbino. Fu a Bologna
per perfezionarsi negli studi, tornò a Roma verso il I5I9,
ove strinse amicizia col Molza , e fu chiamato a' servigi

del Datario Giberti, col quale percorse varie città. Nel

1536 gli morì il padre. Aveva già fatta una parafrasi in


prosa di 32 salmi. Costretto a partire da Roma, per ra-
gioni di salute, si recò nel 1539 a Napoli. Quivi ebbe acco-

glienze oneste e liete da B. Tasso, dal Caserta, e conobbe

(^) TiRABOscHi, St. leti. Hai., tomo III, p. 2074 dell' edizione mi-
'
lanese de' CI. italiani.
286 GIULIA GONZAGA

il Valdes, Giulia Gonzaga e più tardi l'Ochino, il Vergerio


ed il Carnesecchi : fu ospite di Ferrante Brancaccio e
frequentò le conversazioni del Seripando, di Mario Galeota,
di Ferdinando Torres, di Onorato Fascitelli (editore delle
opere di Lattanzio ) , di Galeazzo Florimonte e di altri
letterati del tempo, spesso ricordati ne' suoi versi. Il Fla-
minio in breve divenne un attivissimo propagatore delle
dottrine valdesiane non solo in Napoli, ma in molti paesi
vicini, percorsi varie volte per guarire dalle sue indispo-
sizioni. Due sue lettere inedite al Seripando, scrive l'Ama-
bile, mostrano che nel luglio ed agosto 1539 egli era già
in Caserta, migliorato in salute ed intento a svolgere i

temi della grazia e del libero arbitrio in un senso, ante-


cipatamente partecipato da lui al Seripando e da costui
molto urbanamente oppugnato. Esse si trovano in un codice
appartenuto al Seripando che reca pure due lettere scam-
biate neir anno precedente tra il Card. Contarini ed il

Flaminio e dippiù una lettera del Contarini a Don Timoteo,


veronese , canonico regolare e a messer Tullio Crispoldo
e un opuscolo , sempre del Contarini diretto a M. Lat- ,

tanzio Tolomei, che corrisponde al trattato pubblicato in


latino e senza indirizzo col titolo : De praedesiinatione.
Leggesi ancora un'epistola del vescovo di Modone (Lippo-
mani), coadiutore di Bergamo, all' arcivescovo Fregoso sul
trattato della grazia e del libero arbitrio, trattato scritto
dal Fregoso e indirizzato alla duchessa d'Urbino senza
nome d' autore : tutto ciò a corredo del trattato della giu-
stificazione del Seripando, composto poi nel 1543, in

seguito di alcune domande, rivoltegli da Lattanzio Tolo-


mei; ma inviato a Geronimo Scannapeco, napoletano assai
stimato che poi ,
già vecchio , fu obbligato di andare per
imputazioni di Sant'Officio a Roma, dove in tale occasione
morì. Ma ciò che sopratutto rese celebre la presenza in
Napoli del Flaminio fu la sua collaborazione linguistica
alla famosa opera del benefìcio di Cristo, a difesa della
quale compose anche un opuscolo contro un frate Ambrogio
CAPITOLO XII 287

Caterini ,
poi Arcivescovo di Coii.sa: opera citata dal La-
derchi negli Annali Ecclesiastici e l'orse non pubblicata
per essere stato quel libro messo all' indice. Tutti questi
fatti, in forma naturalmente di accuse, si leggono nel-
l'estratto del processo Carnesecchi.
Il Flaminio quando, per la morte del \'aldes, abban-
donò Napoli per recarsi a Viterbo, tenne viva corrispon-
denza con Giulia, tradusse alcune delle opere del Valdes
per consiglio della stessa, indirizzandolene la dedica. Tutto
ciò risulta pure dagli interrogatori degli inquisitori e dalle
risposte del Carnesecchi nel processo omonimo.

— Interrogatiis an ipsi pvaenominati, vel eorum aliquis ad dictam


dominam luliam a Viterbo scribebat,
— Respondit: Scriveva il Flaminio et scrivevo io a detta Signora
Donna Giulia; ma più spesso il Flaminio di me, che in ([uel tempo
io scriveva rarissime volte.
— Interrogahis si dieta domina Inlia ab aliquo ex ipsis Viterbi
existente fiierit rogata mittere aliquos libros ad eos et quos, et an
miserit, et an ipse dominus constitutus super hoc scripserit, vel libros

huiusmodi viderit, vel acciperit,


— Respoiìdit: .... so bene che il Flaminio aveva seco una parte
delli scritti di Valdes et credo che fussero il libro delle considerationi,
et il commento sopra li psalmi et che andava traducendoli di spa-
gnolo in italiano per compiacere alle suddetta signora che n' haveva
ricerco.
— liiterrogatus cuius opus sit quinternus... repertus inter scri-
pturas ipsius domini constituti Florentiae, qui incipit in primo folio :

« alla illustrissima signora Donna Giulia Gonzaga » et in tertio folio

praetitulatur ; meditationi et orationi formate sopra l' epistola di S. Paulo


ad Romanos, et cuius manu scriptus sit,

— Respondit: — Io recognosco il libretto et la mano di chi è


scritto, et dico la compositione di esso esser di Marc' Antonio Flaminio
et la scriptura d' un giovane mio servitore, chiamato Pompeo Rossi da
Novellara et che fu trascritto da tre amici qua o in Roma o in Fio-
renza, et (leinde dixit a Roma.

Compagno al Flaminio nella propaganda valdesiana


era Gian Francesco d'Alois, alias Caserta, amico del Giovio,
del Dolce, di Paolo Manuzio, e di Scipione Ammirato, che
lo introduce tra' personaggi del suo dialogo Rota^ ovvero
288 GIULIA GONZAGA

delle Imprese. Il Caserta, lodato per alcuni sonetti, ac-


cusato d' essere luterano, fu, insieme con Giambernardino
da Gargano, pubblicamente decapitato e bruciato in piazza

del Mercato nel marzo 1564. Giangaleazzo Caracciolo, figlio


del Marchese del Vico, fu presentato appunto dal Caserta,
suo parente, al Valdes che lo convertì alle sue teorie. Il
Caracciolo partecipò la cosa al Flaminio il quale con una
lunga lettera da Viterbo si rallegrò del fatto e si congratulò
col Caserta, benemerito d' aver procacciato alle nuove idee
un uomo del valore di Giangaleazzo. È noto che questi
poi, emigrato a Ginevra, divenne pastore in quella chiesa
della vasta colonia italiana ivi convenuta.
Nel processo Carnesecchi appare spesso il messinese
Bartolomeo Spadafora (protetto da Vittoria Colonna e da
Giulia Gonzaga, che lo sovvenne di danaro), stretto da re-
lazioni col Seripando , lodato pe'suoi scritti dallo Zeno
e dal Sanso vino, processato e carcerato più volte, e libe-
rato quando il popolo romano, morto Paolo IV, abbattè
le porte del carcere dell'inquisizione. Ed in quel processo
collo Spadafora si presenta pure sovente
di Do- il nome
nato Rullo, amico e segretario del Polo e del Giberti,
arrestato a Lecce per ordine della inquisizione e coinvolto
nel cennato processo. E bisogna ricordare Mario Galeota,
accademico, lodato dal Flaminio, autore d' un trattato delle
fortificazioni (ove si fa in un punto allusione anche a
Giulia Gonzaga), arrestato poi in Calabria per ordine
della Inquisizione ;
— e Don Placido de Sanguine di Sangro,
principe* dell'Accademia de' Sereni, uno de' personaggi
principali del tumulto del 1547 contro l'Inquisizione, onde
ebbe a penare assai in carcere, ma non per imputazioni di

eresia. Era questi veramente molto amico di Giulia come


del Seripando e tra le moltissime bozze di lettere del
Seripando al sig. Placido figurano spesso i saluti rispettosi

e qualque ambasciata a D. Giulia (^). A capo di questo

(}) Amabile, op. cit.


CAPITOLO XII 2<S9

movimento religioso sovrasta il nome di Giulia Gonzaga:


anzi, secondo Filocolo, anima di questo movimento sarebbe
stato un triumvirato composto da Sigismondo Mignoz,
D. Germano Minadois (governatore dell' ospedale degli
Incurabili) e Giulia Gonzaga. Dell'azione svolta da questo
triumvirato su uomini ragguardevolissimi, laici ed eccle-
siastici, si è già non minore deve essere stata
visto; e
quella esercitata su molte donne. A tacere di non poche
monache, come si è accennato in altro capitolo, occorre
ricordare che ferventi seguaci di Giulia divennero , tra
altre, Isabella Brisegna e Onorata Trancredi. Isabella,
sposò Garzia Manrique, spagnuolo, governatore di Pia-
cenza. Questi non permise in alcun modo che la moglie
professasse le nuove opinioni, pel ciie Isabella si rifugiò a

Ravenna e poi fu a Zurigo ed a Chiavenna, sussidiata con


cento scudi l' anno da Giulia. Il Carnesecchi la chiama
divina in quel processo, nel quale tanto spesso ricorre il

suo nome. A lei Celio Secondo Curione, l' editore delle


considerazioni di Valdes, dedicò la 1.^ edizione delle opere
di Olimpia Morata. Ed il Campori , nella sua raccolta di
lettere inedite del secolo XVI, riproduce una lettera di
Alessandro Bellanti, segretario nel 1542 del Conte Camillo
Borromeo, alla Brisegna, lodata per la sua virtù e pel
suo ingegno.
Di Onorata Tancredi, gentildonna senese, si è già
parlato quando fu ricordata la vita di Ippolita Gonzaga,,
duchessa Mondragone, della quale, a consiglio di Luca
di

Contile, fu compagna e governatrice. La Tancredi ebbe


corrispondenza letteraria con Bernardo Tasso, coll'Aretino.
col Tansillo e con Luca Contile, segretario, come è noto,
del Cardinale Agostino Trivulzio, e poi del Marchese e
della Marchesa del Vasto, di Ferrante Gonzaga e di Sforza
Pallavicino.
Ma riservandomi di aggiungere altre notizie su' rap-
porti di Giulia con vari e specie col Card. Seripanda
quando dovrò toccare della fine della Gonzaga, dirò ancora

19
,

290 GIULIA GONZAGA

qualche cosa su' rapporti col Valdes, ricordando le dediche


da costui fatte a Giulia di alcune opere.
La manifestazione più sicura dell' affetto e della stima
del Valdes per quella donna si ha appunto nel fatto che
il famoso predicatore dedicò alla stessa diversi lavori
la introdusse quale protagonista ne' suoi dialoghi e
ne' suoi scritti teologici (').

(^) Nella Biblioteca Nazionale di Firenze (sez. Guicciardini) si con-


servano, oltre le citate, le seguenti opere ed edizioni del Valdes:
— Coiiìentario, o declaracion breve et compendiosa sobra la Epistola
de S. Paulo apostoì a los Romanos mnìj saludable para todo cristiano.
Venecia, Philadelpho, 1556, 8.°
— La epistola de S. Paulo a los Romanos : la I a los Corintios ambas
traduzidas ; comentadas par Juan de Valdes, aliare fìelmente reimpres-
sas ano de 1856 (con ritratto di Giulia, e su questo ritratto si legga
quanto ho scritto nel cap, VII).
— Juan de Valdes to the most illustrious Lady signora Bornia Giulia
0-onzaga. È la dedicatoria de' Salmi di Valdes, tradotti dal Witfen dallo
spagnuolo e posti in volume « alfabeto cristiano » a faithful
fine del ;

reprint of the italian of 1546, with two modem translations in Spanisli


and in eng-lish, London MDCCCLXI. Opera di pag. 216, fuori commercio,
di soli 150 esemplari.
— Juan de Valde's. Letter to Julia Gonzaga upon sikness. Tran-
slated from the spanish ^l. S. by lohn T. Betts. Reprint from the
Friends' Quarterly Examiner. London,, Barrett sons and Co. Printers.
— Sul principio della dottrina cristiana. Cinque trattateli! evan-
gelici di Gio. Valdesso, ristampati dall'edizione romana del 1545.
Halle, Schwabe 1876, 12.°
— Li/e and writings of Juan Valdes otherioise Valdesso, spanish
reformer in the sixteenth century, by Beniarnin B. Wi.fen. With a tran-
slation from the italian of bis hundred and ten consìderations by John
T. Betts. London, Spottisword, 1865, 8.°
— Le cento e dieci divine considerazioni del S. Giovanni Valdesio,
nelle quali si ragiona delle cose più utili, più necessarie e più perfette
della cristiana professione. In lingua spagnuola sul manoscritro nella
libreria della città di Hamburgo dell'anno 1558, con un appendice.
Londra, Claro del Bosque, 1863.
— Le cento e dieci divine considerazioni con i cenni biograUci di
Gio. e Alfonso Valdesso per Eduard Boehmer. Halle in Sassonia, Gu-
glielmo Ploetz, 1860.
CAPiToro XII 291

Il Yaldes morì, secondo Curione, nel 1540, e, secondo


altri nel 1551 (*). Non è facile stabilire la cronoloffia
de' suoi scritti. Nelle cento e dieci divine considera/ioni
die la somma de' suoi pensieri intorno al modo clie si

doveva tenere per operare in sé stessi il rinnovamento


religioso. In questo libro, dice il Berti, vi ha unzione
e linguaggio cristiano, analisi acuta de' mali morali, che
travagliano l'uomo e de' rimedi che converrebbe a quelli
opporre. Non ostante questi pregi, il libro ingenera con-
fusione nella mente e riesce poco chiaro ne' suoi concetti
sostanziali , attese le espressioni vaghe ed indeterminate
di cui fa uso ed abuso, favellando di Gesìi Cristo e dello
Spirito Santo.
Col suo dialogo dell'alfabeto cristiano, osserva il

AVifFen , « Yaldes si propone di inoculare nella mente di


Giulia Gonzaga alta purezza di intenzioni e di pensiero,
abnegazione, sofferenza delle ingiurie, e lo fa in modo da
dimostrare chiaramente essere la sua la religione del cuore,

quella del nuovo testamento ». Lo stesso Wiffen scrive:

— Cent et dix considerations. Lyon, Ogerolles, 1563.


— Zicnto i dies considerationes de Juan de Valdes, ristampato S.
L. 1855, 8.'^ per Reniamin B. Wiffen.
A Roma nelle Biblioteche Nazionale , Alessandriua , Ang-elica e
Casanatense non esiste alcun lavoro a stampa del Valdes ; le consul-
tazioni mi furono possibili solo a Firenze, nella sezione speciale Guic-
ciardini, mercè la cortesia del Prefetto della Nazionale, comm. Chilovi,
al quale ora rendo pubbliche azioni di grazie.
(*) Il Bonfadio, scrivendo dal lag-o di Garda al Carnesecchi, cosi
lamentava la morte del Yaldes : « è stata questa certo gran perdita
e a noi e al mondo, perchè il signor Valdes era uno dei rari uomini
d'Europa, e quegli scritti, ch'egli ha lasciato sopra le Epistole di
S. Paolo ed i Salmi di David, ne faranno pienissima fede. Era senza
diibbio ne' fatti, nelle parole ed in tutti i suoi consigli un compiuto
uomo. Reggeva con una particella dell' anima il corpo suo debole e
magro con la maggior parte poi,
: col puro intelletto, quasi come fuori
del corpo, stava sempre sollevato alla contemplazione delle verità e
delle cose divine " [Raccolta di prose italiane, Milano, tip. CI. it. . 1809,
Voi. ^P, p. 403).
292 GIULIA GONZAGA

« poco durò la vita del Valdes dopo la pubblicazione


dell'Alfabeto cristiano: pure negli ultimi quattro o al più
cinque anni egli presentò a Giulia la sua traduzione dal
greco dell' Evangelo , secondo Matteo , de' salmi tradotti
dall'ebraico, dell'epistole a' romani anche dal greco con
un commentario; né potè essa conoscere le altre sue opere,
perchè manoscritte ».

Chi intraprese la traduzione italiana dell' alfabeto


cristiano fu Marcantonio Magno. Del Magno ,
procuratore
appunto di Giulia, si è toccato innanzi, quando si sono ricor-
dati gli incarichi che ebbe da quella per la sistemazione
degli interessi del nipote Vespasiano. Poco sappiamo della
vita del Magno (^). Questi lasciò due figli che scrissero
eleganti versi: l'uno fu Magno Celio morto nel 1602 e
che il Tiraboschi giudicò uno de' migliori imitatori del
Petrarca e di lui abbiamo anche un' affettuosa canzone
per la morte del padre, nella quale invoca il genitore :

Che del duolo , ond" io sento il cor piagarmi


Scenda in sogno talora a consolarmi.

L'altro figlio, Alessandro, morì di 24 anni « tro-


vandosi segretario del serenissimo dominio veneto col
clarissimo provveditore dell' armata M. Filippo Bragadiuo,
con molto dispiacere di ciascuno , che il conosceva ,
per
la speranza grande che dava di riescire ogni giorno più
valoroso », come scrisse l' Atanagi , nella Raccolta del
quale leggonsi poesie de' due fratelli.

(}) Nel Tol. Scelta di curiosità letterarie inedite o rare, Bologna,


1874, Disp. CXXXII, 3, pag, 250, trovo una lettera di M. A. Magno a
Pietro Aretino.... « Signor Aretino.... in luogo della cortesia usata da
vostra signoria alli tre cavalieri ierosolimitani , che vennero a cono-
scerla presenzialmente e farle riverenza, dove gustammo il cibo della
piacevolissima sua conversazione e il poto de li soavissimi suoi vini,
le mando insieme con la nota de li nomi e del gran maestro loro, la
fabbrica del Mondo del suo Messer Francesco Alunno, cambio assai
differente del ricevuto diletto n.
,

CAPITALO XII 293

Della traduzione ho avuto pi-esente la recente edi-


zione: « Alfabeto ci-istiano scritto in lingua spagnola e dallo
stesso autografo recato in italiano per Marco Antonio
Magno: ora ristampata fedelmente la versione italiana,

pagina per pagina, coll'aggiunta di due traduzioni, l'una


in castigliano, l'altra in inglese, Londra, Spottiswoode,
1860-61 ». Questo liliro non fu messo in vendita: ma
venne solo dispensato da Beniamino B. Wiffen. — Ecco
il testo della dedica :

Alia lìiusfriss. Signora la S. Giulia Gonzaga xua padrona, Marra


A n ionia Magno.
Avendo letto il dialogo in lingua castegliana e' ha il titolo d'Al-

phabeto christiano, composto da persona che non ha voluto gloria di


nome, et halla acquistata di fatti, movendo il lettore alla pietà ci-istiana

più che altra cosa eh' io leggessi giammai, mi è parso per più accen-
dermi a seguire il vero camino di Christo, eli' egli ci insegna, riducerlo

in lingua nostra italiana quanto più chiaramente ho saputo, non curando


fpur che sia inteso) d' altre osservalioni di parlar Thoscano, ma sola-
mente d' usare quasi l' istesse parole, e' ha usato 1' autore. Et cosi a
V. S. Illustriss. mando la effigie di sé medesima , accioche vegga se
io ho cosi ben saputo farla ragionare in lingua sua , come il compo-
sitore dell' opra 1' ha indutta con cosi divini ragionamenti allo amore
dello Spirito Santo.

11 Cantù cosi riassume V Ahecedario cristiano del


Valdes. riprodotto poi anche nelTEnciclopedia diHerzog(').

— Giulia Gonzaga restava commossa dalle prediche dell' Ochino.


Un giorno eh' ella usciva da S. Giovanni Maggiore, il Valdes vedendola
agitata, 1' accompagnò tino al palazzo , mentre essa sfogavasi con lui
parlandogli delle speranze, delle lotte, degli sconforti suoi « Dentro di
me sento una battaglia. Le parole di frate Ochino mi riempiono di
terrore dell' inferno ; ma temo le male lingue. Ochino mi dà 1' amore
del paradiso: ma sento al tempo stesso 1' amore del mondo e della sua
gloria. Come sottrarmi a questo conflitto, a cui soccombo? Col met-
ere d'accordo le due inclinazioni o col sopprimerne una? »

(^) C.\NTÙ, G-li eretici in Italia, Torino, Unione tip. ed., voi. 3.°,
pag. 710.
,

294 GIULIA GONZAGA

Il Vakles la rassicurava che queir agitazione era segno che la

imagine di Dio si ripristinava in essa. « La legge vi ha fatta la ferita,

r evangelo ve ne guarisce. Solo temo che cerchiate regolare la vostra


vita cristiana in modo che quei che vi stanno intorno non si accorgano
di cangiamenti.... Voi dovete scegliere fra Dio ed il mondo. Ed io vi
farò conoscere la via della perfezione. Amate Dio sopra ogni cosa ed
il prossimo come voi stesso «.

Ed ella: « ma se ho sempi-e inteso che solo i voti monastici


guidano alla perfezione ? »

Ed il Valdes : « lasciate dire. I monaci non hanno perfezione


cristiana se non in quanto hanno l'amor di Dio: non un soldo di più ".

E seguitò mostrandole l' unico mezzo ,


per cui questa carità , eh' è la
perfezione, si produce nel nostro cuore. Le opere nostre sono buone
solo quando fatte da persona giusta. Come il fuoco bisogna per dare
il calore, così vuoisi la fede viva per produrre la carità. La fede è
r albero ; la carità è il frutto. Ma per fede intendo quella che vive
neir anima, che viene dalla grazia di Dio, che attaccasi con confidenza
illimitata a tutte le parole di Dio. Quando Cristo dice chi crederà fia
salvo, il discepolo, che crede , non dee avere più il minimo dubbio
sulla sua salute ».

Come ella protestava di non cedere a chicchessia quanto alla fede,


il Valdes soggiungeva : « badate bene. Se vi chiedono se credete gli
articoli della fede, assicurate di sì; ma se vi chiedono se credete che
Dio ha perdonati i vostri peccati, voi rispondete che lo credete , ma
non ne siete sicura. Se accettate con piena fede le parole di Cristo
allora, anche provando pentimento de' vostri peccati, non esiterete a
dire con tutta sicurezza: Iddio medesimo ha perdonato i miei peccati ».
Giulia r interrogò qual fosse codesta via della salute, ed il Valdes
rispondeva : « tre vie conducono alla cognizione dell' onnipotenza di Dio.
Il lume naturale, che fa conoscere 1' onnipotenza di Dio ; l' antico Testa-
mento, che ci mostra il creatore come terribile all' iniquità ; finalmente
Cristo, vialuminosa e maestra. Cristo è amore; laonde quando conosciamo
Dio per mezzo di lui, lo conosciamo come un Cristo d' amore. Dio ha
soddisfatto pel peccato solo il Dio infinito poteva pagare un debito
:

infinito. Ma non basta crederlo. Ogni giorno ,


qualche momento con-
sacrate a meditare sul mondo, su voi stessa, su Dio, su Gesù Cristo
senza astringervi in modo superstizioso: fatelo in libertà di spirito,

scegliendo la camera , che vi par più opportuna , foss' anche quando

vegliate nel vostro letto. Due immagini abbiate sempre innanzi agli
occhi, quella della perfezione cristiana e quella della vostra imperfe-
zione. Questi libri vi faranno avanzare in un giorno più che gli altri

in dieci anni. La stessa scrittura, se non la leggete con tale umiltà


di spirito, potrebbe essere un veleno per 1' anima vostra. La predica
ascoltate con umiltà di spirito ».
,

CAPITOLO XII 295

" M;i se, interruppe ella, il predicatore è del gran iminero di


quelli , che invece di predicar Cristo , ciarlano cose vane ed inutili

tratte dalla lilosotìa e da non so quale teolog-ia , che contano baie e


favole, volete eh' io lo segua i »

— Valdes: « fate in tal caso quello che vi pare preferibile. I

momenti più cattivi per me sono quelli che perdo a sentire predi-
catori, (juali voi descrivete; onde rado mi succede ».

— Giulia: « due parole ancora: i|ual uso fare della libertà


cristiana? »

— Valdes: « il vero cristiano è libero dalla tirannia del peccato


e della moi'te : è padrone assoluto delle sue affezioni ; ma è anche il

servo di tutti ».

Quale il l'isLiltato dell'opera <lel Valdes? A questa


domanda risponde il p. Caracciolo, nella vita più Aolte
citata di Paolo IV : « in Napoli se ne appestarono tanti
e particolarmente molti maestri di scuola, che arrivarono
al numero di tremila come si riconobbe poi quando si

ritrattarono ». — E lo stesso aveva riferito il motto del


padre del Cardinale Ottavio Bandino « gravissimo vecchio
che diceva in quel tempo non pareva che fusse galantuomo
e buon cortigiano colui, che non aveva qualque opinione
erronea ed eretica ».
La statistica è di un teatino e nessuno meglio dei teatini
poteva farla! Essi si stabilirono a Napoli nell'anno stesso,
in cui vi si stabili il Valdes, del quale spiavano accuratamente
la condotta per poterlo colpire. Non lo denunziarono, perchè,
come si è visto, il Valdes — avendo proclamata semplice-
mente la giustificazione per la fede, senza affermare, almeno
pubblicamente, se a rendere quella efficace dovessero o
meno concorrere le opere — si era cosi tenuto nel campo
dogmatico cattolico ; ma le conseguenze o tacitamente o
per mezzo de' suoi compredicatori già si traevano da molti
in senso eterodosso. Questi ultimi furono scoperti da' frati
mercè il santo sacramento della confessione. « I nostri
padri, scrisse il Caracciolo, scoprirono l'eresia in Napoli.
Raniero Gualando e Antonio Cappone, per la pratica che
,

296 GIULIA GONZAGA

ebbero col Valdes e Ochino furono a pericolo anch' essi


incautamente d' essere macchiati di quella pece. Ma perchè
si confessavano da' padri nostri a S. Paolo, però i nostri,
che se ne stavano in sospetto, si fecero riferire da loro
tutto ciò che intendevano da quegli occulti eretici »

(pag. 143).
Apparteneva a quell'ordine, anzi era stato uno dei
fondatori dell'ordine nel 1525, con S. Gaetano, Giampietro
Carafa nato il 28 giugno 1476 da Giannantonio Conte di
Matalona e da Vittoria Camponesca la quale, come allora
si ripeteva, essendo gravida di lui , si era recata a Mon-
tevergine per consacrare a Dio il nascituro, quando, scorta
da un romito, fu pregata di procedere più cautamente per
quelle difficili ed alpestri vie affine di assicurare e rispet-
tare così meglio chi portava in seno e che un giorno sarebbe
stato papa! E la buona signora, tornata fra' suoi, non
mancò di ripetere a tutti che quanto prima avrebbe
dato alla luce un figlio, predestinato a reggere un giorno
le sorti della Chiesa. La profezia si verificò ,
quantunque
assai tardi ,
perchè Giampietro fu assunto al pontificato
quasi ottuagenario. Del resto se la madre vedeva i futuri
papi, il figliuolo pare che non fosse meno forte a prevedere
la prossima morte de' papi, come gli avvenne quando poi di-

ventò cameriere segreto del Borgia. « Era solito, scrive il

Moroni, Alessandro VI tenere la S. Eucaristia in una scatola


(in una pisside 1' usava nella sua deportazione Pio VI), o
palla d' oro e portarla seco di nascosto. Trovandosi senza
questo conforto a solenne convito negli orti del cardinale
€astellense , arbitro de' suoi affari , die la chiave di sua
«amera a Giampietro perchè, presa la scatola sul tavolino,
prontamente gliela recasse , senza dirgli del contenuto
forse avendo timore di incorrere in alcun pericolo. En-
trato Giampietro nella pontificia stanza, rimase soprafìatto
dalla luce sfavillante che usciva dalla palla e vide in
visione il papa morto per terra ed i cardinali in atto di
procedere all'elezione del successore. Caduto al suolo per
,

CAPITOLO XII 297

ispavento, semivivo lo l'accolsero i domestici i)alaliiii,

quando altri sbigottiti i-ecavano infatti il i>ontofice mori-


bondo che poco dopo lini di vivere ». — Il Carata l"u l'atto

cardinale da Paolo 111 e fu conosciuto col nume di car-


dinale Teatino.
Il cardinale Teatino, poi Papa Paolo IV, fu di condotta
irreprensibile e, se avesse avuto molti imitatori , certo la
riforma della disciplina cattolica si sarebbe anticipata, o
più rapidamente si sarebbe compiuta. Come Paolo III pe'
suoi nipoti, operò Paolo IV a prò de' suoi parenti, creando
cardinali Carlo suo nii)0te (nominato ad un tempo soprain-
tendente degli affari dello stato ecclesiastico), un pronipote
e Diomede suo congiunto. Ad un altro nipote, Giovanni,
diede il ducato di Palliano e l' utlicio di prefetto delle
galere con 72,000 scudi annui; altri 30,000 scudi annui
conferi ad un altro pronipote Antonio nell' atto di nomi-
narlo capitano delle guardie pontificie. Quante ribalderie
commettesse questa gente, abusando del nome e dell'auto-
rità del vecchio pontefice, è noto ; ma a lui bisogna dare
lode grandissima, poiché, come ebbe scoperto le loro scel-
leraggini, fece tacere completamente la voce del sangue e
la voce di altri cardinali che volevano salvare i colpevoli.
Li espulse tutti da Roma. Il Cardinal Carlo fu confinato
a Civita Lavinia ;
partendo costui lasciò sul lastrico
duecento servitori — tanti ne aveva l'onesto nipote!
Oli altri nipoti e consanguinei furono esiliati in diversi
luoghi. Paolo IV ebbe il non comune coraggio di denun-
ciare e stigmatizzare in concistoro i guai scoperti e
partiti per 1' esilio gii autori di essi , come se si fosse
levato un gran peso di dosso, esclamò: « adesso sì cne
possiamo e dobbiamo dire del nostro pontificato anìio
primo »\ Viceversa fu proprio quello l'anno ultimo per
lui e vi fu chi si incaricò di dare a' nipoti ben più fiere

pene ,
perchè il successore Pio IV fece strangolare il

cardinale Carlo Carafa in Castel Sant'Angelo , decapitare


il Duca di Palliano, il Conte d'Alife e D. Leonardo de
,

298 GIULIA GONZAGA

Cardines e condannare a 100,000 scudi di multa il cardi-


nale Alfonso Carafa , Arcivescovo di Napoli , celebrando
queste gesta con una medaglia, fatta coniare appositamente.
Se non che Pio V reintegrò in tutti gli onori i superstiti
Carafa e fece tagliare la testa ad Alessandro Pallantieri,
governatore di Roma , che aveva fatto da procuratore
fiscale ne' giudizi contro i malcapitati parenti di Paolo IV
e si era proposto , a quanto fu allora detto , di compiere
certe sue vendette ed animosità personali. In una parola
una successione a Roma non troppo diversa da quella
de' successori di Maometto !

L' amore per la tutela della religione non fu per


Paolo IV solo zelo, ma fu vero fanatismo e naturalmente il
fanatismo non guarda e non può guardare a' mezzi che
debbono servire a raggiungere un fine. Clemente VIII fece
incidere sul piedistallo di lui, a titolo d'onore, queste
parole: « Sceleruyn vindici integerrimo^ catliolicae fidei
acet^rimo propugnatori ». Ed il Gregorovius, osservan-
done la statua collocata nella chiesa della Minerva, ci

dava questo bellissimo ritratto :

Il suo volto scarno e macilento è adombrato da una rada barba ;

i lineamenti duri, come di bronzo^ ne fanno un vero tipo di frate austero.

Gli occhi sono profondamente infossati nelle occhiaie : le rughe che


solcano la sua fronte e le guancie ed attorniano la bocca risoluta ed
imperiosa non sono solamente grinze d'un vecchio ottantenne, ma
anche le d' uno spirito pieno d' impeto prepotente e focoso,
tracce
d' un' anima fanatica e nata per comandare. Quest'anima, coli' ardore

della sua volontà, penetrava uomini e cose da lei spirava un' atmosfera, ;

che riempiva tutto di passione, di zelo o di spavento. Perfino quel


terribile Alba, che non tremava dinanzi ad alcuno, poiché in Roma si
fu presentato a questo Papa, dovette confessare di non aver mai temuto
il volto di alcun uomo quanto quello di questo vecchio... Fu lui, che
riformò nel corpo e nell' anima la chiesa e le ispirò quel fervore e
queir incredibile energia, con cui potè non solo resistere alla riforma
ma anche penetrare vittoriosa nel cuore de' paesi protestanti. Egli le
trasfuse tale entusiasmo quale era quello, onde era animato nel deci-
moterzo secolo, al tempo di Domenico e di Francesco. L' inquisizione,
le torture, gli Auto-da-Fè, la censura sono opere sue ; da lui ricevette
CAPITOLO XII 200

alimento e favore la compag-uia di Gesù , a lui si rivolsero Loyola e


Saverio, uomini ch'erano animati dallii medesima Hamma distrut,^<j:i-

trice che il loro compatriota Pizzarro, in altro campo.

Quanto questo zelo spinto al fanatismo, eccitasse ed


,

esaltasse il Carafa, mentre era ancora il cardinale Tea-


tino, si può desumere dal seguente fatto, riferitoci dal
Caracciolo e che basta a caratterizzare appieno l' uomo :

Subito che il papa, dice il Caracciolo, si risolvè di fondare il

Sant'Officio, il che fu nell'anno 1542, il cardinale Teatino, ancorché


assai povero, ebbe tanto desiderio di mettere in eftetto (juesta santa
opera da lui consigliata, che, come scrive il Cardinale Antonio Carafa
nella sua apologia, a sue spese e senza aspettare sussidio alcuno dalla
Camera, affittò casa, accomodò le stanze per gli ufficiali , fé fornir di

catenacci e di fortissime serrature le parti de' futuri carceri del Saut' Offi-
cio e provvidele di ceppi e ferri e altri strumenti che vi bisognavano.

Anche oggi si possono ancora mirare i ferri, le forti

cancellate provviste dalla cristiana magnanimità del car-


dinale Teatino : nulla è toccato dell' antico carcere del-
l' inquisizione ,
posto in via Ripetta, n. 118, vale a dire
nella casa situata presso piazza Ripetta, una volta chia-
mata piazza Montauto, che ha il prospetto su quella via
e due lati vicino alla piazza Borghese e sulla cosidetta
piazza sterrata di Borghese, o delle scuderie di Borghese.
Un triste sentimento assale 1' anima rimirando le finestre

munite ancora tutte di forti sbarre , destinate ad assicurare


— nel nome ed in onore di Cristo — tanti infelici, ad
assicurarli, bene inteso, dai pericoli della libertà e della
vita! — Oggi quello stabile è occupato da un negozio di

ferramenta e di ottonami, vi si accede, come vi si acce-


deva una volta, da due rampe laterali.

Del resto se lo spirito di tolleranza cristiana non era


molto professato dal cardinale Teatino , non era ugual-
mente troppo compreso dal teatino suo biografo e apo-
logista ,
padre Caracciolo. Egli, nell'opera citata, dopo
d'aver stigmatizzata l'imprudente compassione del vescovo
300 GIULIA GONZAGA

di Noione che, avendo Calvino nelle mani, si contentò


solo di fargli bollare le spalle, soggiunge:

Perciò faceva bene il cai'dinal Teatino ed il suo imitatore Pio ^',

i quali quando avevano in mano cotali ministri, li facevano morire ed


abbruciare per la lor pertinacia ; né si fidavano delle loro promesse ! (p. 140).

E, sempre coli' intenzione di esaltare il cardinal Teatino,


così il Caracciolo descrive il trattamento da lui fatto agli

ebrei, quando diventò papa Paolo IV:

Li rixicliiuse in un cantone della città di Roma. E perchè si di-

sting'uessero da' cristiani e fossero conosciuti, li costrinse a portare 1

maschi la berretta o cappello di color giallo (^) e le femmine un velo


o altro segno in testa di color simile. Proibì loro il traffico di tutte le

cose, eziandio al vitto umano necessarie e che non avessero con cristiani
commercio alcuno, ne' possedessero. E comandò che rimanesse, si come
era, anzi si accrescesse, secondo il numero de' catecumeni, il tributo
che gli pagavano di dieci scudi l'anno per ciascuno, e, aggiungendoli
delle altre gravezze, rivocò tutti li privilegi loro concessi dalli altri
pontefici, con 1' occasione de' quali avevano infinite ricchezze accumu-
late, a torto e a diritto.Fece anche abbruciare i libri del loro Talmud.
Cosa degna di notare quanto cresca la mala gramigna nella città di :

Cremona, racconta Sisto senese, che vi fu presente, ve ne furono pub-


blicamente bruciati dodicimila volumi (p. 281).

Accennato così al carattere di Paolo IV, non è da


meravigliarsi de' mezzi da luì adottati per sradicare la

(}) Il distintivo giallo a Firenze doveva esser portato da certe

donne per poterle così distinguere dalle... altre Tullia d'Aragona, quando !

soggiornò a Firenze, mise in moto molte influenze per sottrarsi dal-


l' osservanza di questo bando, emanato da Cosimo I, e mercè un' istanza,

redatta dal Varchi e da lei sottoscritta e coli' aiuto della duchessa


Eleonora di Toledo, conseguì l' invocata grazia, in considerazione della
« rara scienza di poesia e di filosofia, ammirata da' pregiati ingegni ».

Gli ebrei pagarono a suo tempo pan per focaccia. Quando, morto
Paolo IV, il popolo romano trascinò a vilipendio la statua del ponte-
fice, tolta dal Campidoglio e staccò da quella la testa, questa fu
coperta da un ebreo con un berretto giallo e tra' fischi della plebaglia
fu buttata al Tevere.
CAPITOLO XII 301

ereticale pravità. Erano gli stessi mezzi e, dato il prof^resso


de' tempi ed il trionfo del cristianesimo , orano anzi
mezzi peggiori di quelli adottati dagli anticlii per impedire
l'espansione della nuova religione cristiana. La dillerenza
consisteva in ciò che coloro, i quali erano uccisi dai rap-
presentanti del culto di Giove, si chiamavano mai-tiri e

dovevano come tali poi onorarsi; gli altri, uccisi ii(d nome
di Cristo ,
per sentenza de suoi sacerdoti , non dovevano
eccitare neanche un pensiero di commiserazione nel con-
cetto dell'umanità. Cristo aveva bisogno gli si immolassero
vittime, come ne ebbero bisogno gli Dei immortali! L'an-
tica teocrazia poteva dirsi ed era rappresentante di Giove;
ma r altra poteva dirsi rappresentante di Cristo, del Dio
dell' amore e del perdono ?

Poiché ho accennato a vari lavori sulla riforma,


dedicati a Giulia, mi si consenta di esprimere un lontano
dubbio che cioè due trattatelli di argomento
, ascetico
possano attribuirsi appunto alla Gonzaga.
Il Fontana ha pubblicato nell'Archivio della Societii
romana di storia patria (voi. X, p. 611) due scritture

(tratte daun codice esistente nella Biblioteca Comunale di


Camerino) della seconda metà del sec. XVL Egli ritiene
che sieno di Vittoria Colonna, od almeno una di esse,
perchè, tra altro, vi si incontrano i nomi del Friuli, del
Sauli, del Rullo e perchè il ragionamento è di persona
femminile. Nello stesso codice trovasi una raccolta di

poesie latine, nella quale si vede data la preferenza a


quelle che celebrano i meriti di Gesù Cristo. Il Felician-
geli ha messo innanzi il dubbio che idue lavori possano
essere o della Cibo , o di Giulia Gonzaga. Il Fontana,
accennata questa ipotesi, dichiara di escluderla senz'altro.
Io, a dir vero, senza pronunciarmi sulla questione (e man-
cherebbe ogni elemento sicuro per pronunciarsi, perchè
non potrebbe neanche un confronto calligrafico,
statuirsi
trattandosi di copie ) mi permetto di fare osservare che
gran parte delle ragioni addotte dal Fontana per stabilire
302 GIULIA GONZAGA

che l'autrice possa essere stata per avventura V. Colonna


si potrebbe accampare per confortare l'altra ipotesi che le

scritture possano essere state di Giulia, la quale indub-


biamente nella propaganda delle idee valdesiane — alle

quali si ispirano que' due lavori — fu molto più attiva


della Colonna. Del resto le persone stesse, citate dal Fon-
tana a suffragio della sua opinione , erano in continuo
rapporto con Giulia, la quale notizia di fatto il lettore è
in grado di stabilire colla lettura di questo capitolo e
potrà completare, consultando il processo del Carnesecchi,
pubblicato dal conte Manzoni.
XIII

Caterina Cibo e Fulvia Olimpia Morata.

Caterina Cibo e Fulvia Olinìpia Morata - Protezione accordata dalia Cibo


a' cappuccini - Sue vicende per la difesa del ducato di Camerino -
Lotte sostenute per assicurare alla figlia il matrimonio col Duca
d' Urbino - Suo eroismo contro le minacce di morte di Mattia Varano
- Rapporti letterari col Ber ni e col Firenzuola - Lettera ascetica
al Flaniiiìio - Accusata nel processo Carnesecchi - Fonti bio-biblio-
gra^che - Fulvia Olimpia Morata e sua cultura - Entra nella corte

di Ferrara - Matrimonio con Andrea Chruntìder - Tristi vicende


dell'esilio e sua propaganda religiosa - Ultima sica lettera a Curio
- Sua fine in Heidelberg.

Nel movimento religioso femminile italiano del se-


colo XVI hanno parte importante due altre donne, singo-
lari per ingegno, diversissime per carattere, per vicende ed
anche per la via percorsa, perchè l'una concepì la riforma
della chiesa nel campo disciplinare e l'altra nel campo
dogmatico. Esse sono Caterina Cibo e Fulvia Olimpia Morata.
La Cibo, la fiera castellana, spiegò a prò de' cappuccini
(considerati restauratori della morale ecclesiastica (') e per

(1) 11 Fontana ha pubblicato un breve pontificio del 16 apr. 1532,


promosso per istanza di Caterina Cibo e diretto al Vescovo di Came-
rino, perchè corregga la disonesta vita del clero « clericos ac presbi-
teros tuae civitatis et diocesis, tua seu vicarii neglig-entia , inhoneste
atque etiam dissolute vivere ».
,

304 GIULIA GONZAGA

riflesso base ad una riforma de' costumi della chiesa) lo


stesso ardore che spiegò nel difendere la sua rocca, difesa
che ,
per alcuni particolari, rende la Cibo molto rassomi-
gliante ad un' altra eroica castellana, Caterina Sforza.
Caterina Cibo, vissuta in una citta cattolica, e qualche
anno anche in Roma, sede del cattolicismo, nipote di due
papi, sorella ad un cardinale e ad un vescovo, non poteva
essere che quella che realmente si dimostrò, vincolata cioè
a que' limiti, quali vediamo segnati all'attività, all'ingegno
ed all'ideale della donna italiana. — Fulvia Olimpia Mo-
rata , vissuta invece in una corte , trasformata ,
per un
certo tempo e per un certo indirizzo, in corte quasi fran-
cese, con preponderanza religiosa eterodossa, dovuta alla
duchessa Renata che importò idee, seguaci, riti e spirito

di combattimento e di resistenza ad oltranza, fino a sacri-


ficare la sua persona ed il suo fastigio alle nuove idee,
— Olimpia, per 1' educazione di famiglia ,
pel matrimonio
col luterano Grunthler, non poteva invece non seguire
una tendenza affatto opposta. Contro i mali della chiesa ella
non concepì rimedii mercè la chiesa stessa bensì mercè ,

una chiesa diversa la quale si richiamasse alla semplicità


ed alla purità del suo fondatore. Poche donne al mondo
hanno avuto più di Olimpia fede nella sua fede, dalla
quale trasse un' altissima idealità e forza di propaganda
alle nuove idee di rassegnazione alle proprie sventure.
,

Anima pia, carattere dolce, intenta più a sovvenire le


sventure altrui che ad alleviare le proprie, sopportate
con una serenità ed una abnegazione che nessuna filo-
sofia al mondo può dare, ma che solo possono attingersi

da una religione professata però con convincimento pro-


fondo come fu concepita e sentita dalla povera Olimpia,
questa rimane una delle figure più belle, certo la più inte-
ressante del periodo della riforma religiosa. Per quanto il
suo ingegno, la sua cultura eccitino grande ammirazione
maggiore ancora è la compassione che destano le sciagure
di questa infelice giovane la quale, orfana di padre, lontana
CAPITOLO XIII 305

dalla madi'e e dalle soi-elle che sapeva esposte alla po-


vertà ed alle persecuzioni, pi-ivata in un incendio de' pro-
dotti del suo squisito intelletto, costretta a vivei-e in

sotterianei, più ori'idi delle pegyioi'i catacombe de' primi


cristiani, esposta a tutti gli orrori di un assedio e del
saccheggio di orde ci'udeli e fameliche, fuggiasca, spogliata

e denudata da' banditi, accattando il pane a frusto a frusto,


muore, non ancora ventinovenne, dimenticata in paese stra-
niero, dettando dalla sua casetta di Heidelberg un'ultima
lettera la quale, per la sublime filosofia e per il culto della
rassegnazione, è solo paragonaltile all'ultima lettera che
circa quaranta anni dopo il povero Tasso scriveva al suo
Costantini dal monastero di Sant' Onofrio « quasi per
cominciare da questo luogo eminente e colla conversazione
di questi divoti padri la mia conversazione in cielo ».

Povera martire!

Caterina Cibo, figlia di Franceschetto, era nipote di


Innocenzo Vili e, per parte di madre, di Leone X e di Cle-
mente VII. Nacque il 13 settembre 1501 nella villa de'Pan-
zani presso Firenze. Fu istruita nel greco , nel latino e
nell' ebraico ed a 12 anni fu promessa sposa a Giovanni
Maria Varano, poi Duca di Camerino.
Fino da' primi anni del matrimonio sorsero gravi tor-
bidi nel Ducato. Camerino fu assalita da Sigismondo, nipote
del Varano, il quale si rifugiò a Roma ed ottenuti aiuti di
armi si presentò innanzi Camerino, e giovandosi degli aiuti
della fortezza che non aveva mai capitolata, dopo aspra bat-
taglia, potè penetrarvi. Sigismondo si preparava a ripren-
dere le armi quando cadde ucciso in Roma, non senza so-
spetto che il colpo provenisse dallo stesso marito di Caterina.
Caterina che aveva già avuto nel 1523 una figliuola,
Giulia, della quale si dovrà poi parlare nel corso di questa
narrazione , si recò a Roma , ove la presenza del papa
Clemente VII suo zio e de' fratelli la richiamò e la

20
,

306 GIULIA GONZAGA

trattenne. Le proposte ed il bisogno della riforma di costumi


nella chiesa trovarono facile 1' animo di Caterina a secon-
darla. Una prima manifestazione ella diede nell' appoggiare
il disegno di fra Matteo da Baschi che intese non solo
di riformare nell'esteriorità dell'abito, ma anche e più
nel campo morale i francescani, allora dediti alla lieta vita;
e la diede pure nel proteggere quel frate ed altri che ne
imitarono 1' esempio dalle persecuzioni e da' pericoli
a' quali furono esposti per parte de' minori osservanti. Un
diarista dice che 4 il 10 luglio 1528 venne in Camerino
un frate scappuccino (così furono in principio chiamati i

cappuccini ) quale andava per la città gridando con li


,

Mammoli (cioè i fanciulli) misericordia. Radunò molte


persone dietro di lui : predicava ogni dì dopo pranzo con
ammonire il popolo che s' emendasse degli eccessi e del
male, se faceva dare con buoni esempi et ogni sera andava
gridando ad alta voce: misericordia! » Il predicatore abi-
tava nel palazzo de' Varano. E fin da allora l' interesse
preso da Caterina alla riforma della chiesa nella chiesa
è un fatto notevole e giova a confermare a quali novità
intendessero e quale scopo elevato si prefiggessero le nostre
migliori donne nel movimento religioso di quel tempo.
Il Duca di Varano che superava di una ventina di
anni la moglie moriva nel 1527, e Caterina che aveva
già ottenuto 1' anno precedente dal papa il diritto di suc-
cessione in caso di morte del marito, assunse il ducato
in condizioni gravissime mal celate aspirazioni di
per le

altri a quella successione. Rodolfo Varano, figlio naturale


del morto Duca, profittando della fiducia della Duchessa,
le occupò il castello e fece lei prigioniera. Accorse il
fratello della Duchessa, Giambattista, con poche forze, per
liberarla; ma altre maggiori ne sopraggiunsero, guidate
da Ascanio Colonna , cognato di Rodolfo , le quali pene-
trarono nella città e la posero a sacco. Clemente VII invitò
il Duca d'Urbino di recarsi a liberare Caterina; al Duca
-si unirono alcune schiere di Ercole Varano (cugino del
CAPITOLO XIII 'M)l

morto Duca) ed altre del Card, dcdla Marca. L'assedio


durò a lungo. Al fine Ascanio Colonna, stretto da tanti
avver.sai'ii, venne a patti ed usci dalla città. Caterina, ri-

presa la rocca di Camerino, lece impiccare un Venanzio


della Serra, princij)ale istigatore di Rodolfo Vai-ano nel-
l'opera comjiiuta. Ma
Varano il quale insieme coi
Ei'cole
figlio Alessandro era accorso, mosso certo da secondo fine,
a liberare la Duchessa, non si poteva acconciare al modo
onde si era posto fine alla vertenza. E Caterina, temendo
de' maneggi di costoro, in possesso ancora di alcuni castelli,
pensò di assicurarsi un valido protettore, pioniettenilo al
Duca di Urbino di dare l'unica sua figliola Giulia in moglie
al figlio del Duca medesimo, Guidobaldo, ad onta che nei
testamento del defunto marito del dì 8 agosto 1527 fosse
disposto che Giulia (nata
1523) dovesse sposare uno
il

de* figli di Ercole, a beneplacito della madre.


I Varano di Ferrara non si dettero per vinti. Mattia,

figlio (li Ercole (il quale ultimo era stato chiuso in una
fortezza dal Duca di Ui-bino ed era stato poco dopo libe-
rato) venne con alcune soldatesche sotto Camerino; ma
lu sconfitto e Caterina fece lanciare da Clemente VII la
scomunica contro di lui, contro l'altro fratello Alessandro
e più tardi contro il loro padre, Ercole.
Su quella promessa di matrimonio non si pronunciò
giammai in modo favorevole il pontefice e Caterina ebbe
altre offerte per Ippolito de' Medici e sopratutto per
Filippo Lanoia, principe di Solmona, in favore del quale
prese parte vivissima Carlo V, grato alla memoria del
Lanoia, vincitore nella battaglia di Pavia. Ma Caterina non
volle giammai ritirare la parola data al Duca d'Urbino a
favore del figlio Guidobaldo. E dire che questi invece si era
innamorato pazzamente di Clarice Orsini, figliuola di Gian
Domenico Orsini! Se non che in que'tempi, in materia di
libertà di scelta ne' matrimoni , i figliuoli non avevano
certe licenze de' nostri tempi, ed il Duca, forte della for-
tissima patria potestà, come allora questa era intesa ed
,

308 GIULIA GONZAGA

esercitata, premesse alcune solenni insolenze all' indirizzo


dell'oggetto amato e della famiglia di Clarice, scrisse
al figliuolo che non solo « è da sopire il ragionare di
questo; ma ne anco a te si conviene ragionare d'alcun'altra,
ma lassare in tutto la cura a me delli casi tuoi ». 11

figliuolo replicò; il padre autoritario con un'ultima inte-


merata lo ridusse al silenzio.
Dopo un così grave insuccesso sembrava che Mattia
Varano avesse deposto ogni pensiero di altri tentativi
ed infatti per alcuni anni egli non fece più parlare di sé.
Però, morto Clemente VII, pensò per sorpresa di impadro-
nirsi, come gli riesci di fare, della Duchessa, dando con pochi
uomini, nella notte del 13 aprile 1534, la scalata alle mura
di Camerino e penetrando all' improvviso nel palazzo
de' Varano. Il Sansovino ('), dopo di avere designata Cate-
inna per « donna di grande animo e valore », così ricorda
r ardito episodio , nel quale la castellana mostrò animo
estremamente virile. « Mattia deliberò di usare la forza
e r ingegno per tentare la fortuna. E avendo in sua com-
pagnia alcuni di Camerino con altri del contado, entrò in
tempo nella città e, preso il palazzo, ebbe anche in suo
potere la Duchessa, colla quale usò ogni termine di cor-
tesia per indurla a dargli per moglie la figliuola; ma,
negando Ella non meno con ragioni apparenti che pru-
denti egli mostrò di sforzarla
,
conducendola al castello ,

guardato da Aranino Cibo, cugino della Duchessa, e quivi


minacciando di ucciderla se non gii dava la figliuola, che
era nel detto castello in guardia di Aranino. Ella, con
animo fermo e degno d'eterna memoria, non solo gli

contraddisse ; ma, vedendo che egli le stava sopra con la


spada nuda e col braccio alzato per darle, postasi in

ginocchioni e alzatosi il velo ,


gli porse il collo racco-
mandandosi a Dio. Ma in quel tanto essendosi la città

(1) Sansovino, dell' origitie e de' fatti delle famiglie ili ustri d'Italia,.

Venezia, 1582, pag, 99.


CAPITOLO XIII 309

sollevata. Mattia i-iiiiosso dal suo pensiei'O, si div<le a i-ili-

rarsi, coudiicendosi seco la Duchessa, la quale essendo giii

discosta dalla città forse due miglia, fu soccorsa cosi da


alcuni degli stessi di Camerino, condotti dal detto Mattia,
come anche da altri, ch'erano corsi al suo rumore, e
riacquistata dalle sue mani e ricondotta in città, avuto in
breve spazio di tempo nelle mani intorno a venti ribelli,
complici di questo trattato,, li fece tutti inqiiccare » (').

Sposata il 1534 la figliuola Giulia a Guidobaldo Della


Rovere, Caterina lasciò, dopo varie contese per ragioni
di interesse, il dominio della città alla figlia ed al genero,
dominio di breve durata, perchè il papa, che in vano con
brevi e scomuniche aveva chiamata Caterina a lloma, fece
poi occupare il Ducato dal suo commissario Ascanio
Parisani.
In Roma, scrive il Reumont, dove spesso soggiornò
tanto a' tempi di Leone, quanto a quelli di Clemente, Cate-
rina fé conoscenza con molti letterati, fra' quali fu Fran-
cesco Berni, con cui rimase in vivo commercio epistolare
e quell'ingegnoso quanto arguto toscano Agnolo Firen-
zuola. 11 Firenzuola dedicò nel 1525 alla Duchessa di Ca-
merino le sue Conversazioni sulV amore. In esse vanta
« animo nata insieme con lei
la benignità e gentilezza di

e con gli anni sempre » come pure che


suoi cresciuta
« essa tutto il tempo sottratto alle cure del governo dedi-

cava al conversare con uomini, co' quali andava d'accordo

(1) Ne aveva prevenuto il fratello, Card. Innocenzo, con queste


fiere parole : « Hora io penso di questi prig-ioni farne una bella stang-ata
e mandarli tatti in piccardia, che oltre all' oltraggio che hanno fatto

qui, sono poi tutti di mala vita e micidiali. So che a V. S. parerà anco
un sogno, come pare a noi altri, che 60 persone, messisi a pigliar Came-
rino e poi che 1' han presa e me fatta prigione senza far dispiacere
alcuno, mi habbino rilassata senza dirmi una parola e fuggirsi senza
essere da persona cacciati, et cosi ne rendo gratie a Dio che il fatto

sia si ben terminato ». Il testo della lettera è riportato nel pregiato


lavoro del Dott. B. Feliciangeli : Notizie e documenti sulla vita di Cate-
rina Cibo Duchessa di Cameniìo. Ivi, libreria Fattorino, 1891.
310 GIULIA GONZAGA

il SUO vivace ingegno, per il che pareva risorta l'accademia


ateniese » (^).

Il Serdonati, nella vita di Caterina, scrisse :

Caterina Cybo fu di tante doti ornata che la bellezza del corpo,


che fu in lei grandissima , non pare che si metta in conto , che fu
ripiena di meravig-liosa bontà e d' ingegno molto acuto, sì che apprese
quattro linguaggi, 1' ebreo, il greco, il latino e il nostro toscano e gli
intendeva tutti ottimamente, e non solo fece progresso nelle humane
lettere, ma anche nella sacra teologia, che a questo fine imparò la
lingua ebrea, ed era usata studiare la sacra bibbia in ebreo, e servirsi
de' comenti de' Dottori greci in greco, oltre che attese anche alla filo-
sofia, sì che fu uno specchio di dottrina e di religione.

In Firenze, ove, dopo abbandonata Camerino, trascorse


il resto della vita (^), Caterina continuò ne' suoi rapporti
con uomini dotti. Ad essi bisogna aggiungere il nome del
Flaminio, del quale si ha una lunga lettera filosofico-religiosa
diretta a Caterina; il che fa supporre ragionevolmente che
ella non lasciasse di occuparsi delle gravi questioni del
giorno le quali facevano capo al movimento della riforma.
Dalla detta lettera del Flaminio si deduce che la Duchessa
partecipava alle stesse credenze valdesiane di Giulia Gon-
zaga e di Vittoria Colonna intorno alla giustificazione
per la fede.
Nel compendio de processi del SanC Officio (sotto
Paolo III, Giulio III e Paolo IV), pubblicato dal Corvi-
sieri nell'Archivio della società romana di storia patria,
a Caterina si muove una imputazione speciale: « Ducissa
Camerini haeretica sectatrix haereticorum et doctrix mo-
nialium haereticorum ». Più gravi e più insistenti sono
le accuse che si riscontrano nell'estratto del processo del
Carnesecchi. L'Ochino dedicò a Caterina alcuni dialoghi: in
quattro di essi quella signora compare quale interlocutrice.
E noto che in casa di Caterina l' Ochino scrisse la famosa
lettera a Vittoria Colonna ,
per annunziarle la sua fuga.

(1) Vittoria Colonna. Torino, Loescher, 1883, pag. 147.


(') Morì in quella città il 17 febbraio 1557.
,

CAIMTOI.O XIII :')1 1

Il Carnesecchi nel costituto (i luai-zo l^r.T. a jn-oito-

sito dell' Ocliino, diceva:

« Egli si trovava a Firenze quando passarono di hi il vescovo di


Verona, cioè il Giberto e il Card, d' Inghilterra , allora sig-. lleyinaldo
Polo, e il vescovo di Cbieti, poi papa Paolo III, ed essendo li due
primi alloggiati in casa mia, fra Bernardino venne a visitarli; ma non
so quello che ragionassero insieme: perchè poi eh' io l'ebbi introdutto
dal vescovo , eh" era molto suo amico , me ne partei , et egli lo con-
dusse dal sig. Reginaldo Polo et credo che in tale congresso si tro-
vasse ancora la signora Catherina Cibo, Duchessa di Camerino, essendo
venuta essa ancora a visitare il \"escovo di Verona n (pag. 518 op. cit.).

In un costituto dell'anno precedente (20 luj;lio) il

Carnesecchi avea dichiarato rispetto alla Duchessa:

« Dico che credo sia stata amica di fra Bernardino et ante et post
discessum et che lei abbia sempre amate e stimate le sue composi-
zioni et io con lei. Del 1540 o 1541 insieme con Flaminio mi ricordo
averla visitata in Firenze in casa sua et bavere ragionato seco del
articulo della giustificatione, ma secondo l' opinione valdesiana et senza
avere facte altre illationi et ella sentiva e teneva cosi ; et dì più posso
dire questo che ella habbia tenuto a soi uno Don Paulo già
servitii

monacho di S. Benedetto il quale non sentiva bene di religione; im-


però non so se lei lo conoscesse et tenesse per tale et se lui se sco-
presse seco, et allhora detto D. Paolo era apostata et in habito di prete ».

Ancora una deposizione dello sventurato protonotario:

— Momtiis ut dicat vcrUatem si dieta olini Ducissa erat Lutherana,


cuiii ipse constitiittis sciente)' ad eam miserit pmedictos duos apostatas et

hereticos cuni litteris coiiimendaticiis


Respondit: Io non so che la sua cognizione circa le cose della

religione passasse li termini della giustificazione per la fede; ma può


ben essere che da poi in qua eh' io non la veddi , che e' era passati
molti anni, insino alla morte, ella fosse passata più oltre, et che avesse
fatto le illationi dependenti dal sudetto articolo, ma io non lo so certo (' j.

(^) Su Caterina Cibo dà molti particolari il Benrath nella bio-


grafia dell' Ochino. Un capitolo alla duchessa di Camerino consacrò
pure il Reumont nel lavoro : Beitmge ziir ital. Gesch.
,,

312 GIULIA GONZAGA

Fulvia Olimpia Morata (') nacque in Ferrara il 1526


da Fulvio Peregrino mantovano professore all' univer-
,
,

sità di Ferrara ed aio di due fi'atelli del Duca Ercole

amicissimo di Celio Secondo Curione. — Dal padre fu


avviata allo studio della letteratura latina e greca ,
per
la quale ultima ebbe a maestro il Sinapi. Ma più che i

maestri poterono il fertile suo ingegno e una passione ar-


dente per quegli studi, pel che a 12 anni faceva meravi-
gliare tutti per la facilità colla quale parlava e scriveva
il latino ed il greco, accettava e sosteneva dispute sulle
due letterature. Il- Giraldi la proclamava « puella supra
seocum ingeniosa, latinas et graecas litteras apprime
erudita, miraculwìi fere omnibus qui eam audiunt » e
col Giraldi non rifinivano dal lodarla il Calcagnini , il

Riccio , il Monzilli ed altri valorosi , che allora conveni-


vano a Ferrara. Scrisse in greco 1' elogio di Muzio Scevola,
tenne alcune letture su' Paradossi, recitò un'apologia di
Cicerone.
E questa miracolosa fanciulla doveva alternare lo

studio colle cure minute , lunghe , fastidiose della casa


accudendo a' fratelli ed alle sorelle, perchè scarsi erano
i proventi del genitore, non sempre florida la salute della
madre Lucrezia. E per lo spirito di abnegazione che ma-
nifestava in tutto ciò , Olimpia non eccitava meno ammi-
razione : felice accoppiamento delle più alte qualità del
cuore e dell' intelletto!

(1) Di Olimpia Morata si ricordano le seguenti biografie:


NoLTEN , Vita Holympiae Moratae, Francofort, Hesse, 1775.
Knetschke, De Olympia FtUvia Morata, Zittau, 1808.
TuRNBULL, The times life and loritiwjs of Oìimpia Morata, Bo-
,

ston, 1846.
II TiRABOscHi nel toni. 7.° pag. 1753 della sua storia letteraria la

chiama donna veramente nata ad onor del suo sesso e di tutta Italia »,
«

e ricorda che Gaspare Sardi a lei dedicò il suo opuscolo « de triplici

philosofla » rammentando nella dedica una lettera greca scrittagli da


,

Olimpia e lodando lo studio della filosofia, a cui erasi consacrata.


CAPITOLO xiii ^n:'.

ForUmatamente a sollevare le Iristi condizioni eco-


nomiche della famiglia Moi-ala sopravvenne un gradilo
incarico olTerto ad Olimpia: ella otteneva l' ullicio <li

maestra di Anna d'Este (figliuola della Duchessa Renata)


la quale, sotto una guida si esperta, fece progressi rapi-
dissimi. Poco dopo giungeva in Corte una dolorosa notizia:
ei'a morto (1547) Pietro Bembo, per tanto tempo idolo

della Corte ferrarese. Ed Olimpia ricordò le insigni qua-


lità dell'uomo dotto con un inno greco. Non durò molto

Olimpia in Corte. L* anno appresso il padre ammalava


gravemente ed ella lasciava le aule dorate per consa-
ci'arsi tra le umili i>areti domestiche all'assistenza del
genitore. Pur troppo le cure furono inutili: Olimpia,
appena diciottenne, rimase orfana dell'unico sostegno di
una numerosa famiglia. Ma le disgrazie crebbero. Con-
temporaneamente la sua discepola, Anna d'Este, par-
tiva di l'errara , sposa a Francesco di Lorena, Duca di

Guisa. Così le mancava anche un appoggio, allora più che


mai necessario, per opporsi ad una congiura ordita in

Corte a suo danno. Nel 1543 papa Paolo III era capitato
a Ferrara, accoltovi con magnifiche feste dal Duca. E ben
difficile che allora sul moltiplicar.si di novatori in quella
città non sia stata richiamata l'attenzione del Duca da
parte del papa, di quel papa che lo stesso anno creava
il tribunale della Santa Inquisizione. La presenza della Du-
chessa certo avea dovuto rendere vana, o meglio aveva
dovuta neutralizzare 1' opera del vecchio pontefice: ma non
poteva a' nuovi rimproveri mostrarsi ormai piìi sordo il

Duca, ricordevole de' passati guai incontrati dal genitore


con Roma. Non fu più ammessa in corte la povera Olimpia
la quale , sorretta da fede sincera , altissima , si consacrò
completamente all'assistenza della madre inferma, delle
tre sorelle e del fratellino Emilio ;
questa fede cercò
di trasfondere ne' suoi compagni, che ormai potremo dire
compagni di miseria.
,,

314 GIULIA GONZAGA

« Dopo la morte, sciiveva essa, o meglio la partenza di mio padre,


io restai sola, tradita, abbandonata da quelli che dovevano essere il

mio sostegno, esposta a' più ingiusti trattamenti. Le mie sorelle par-
teciparono alla mia sorte e non raccolsero che ingratitudine. Non si
può imaginare quale fu allora la mia disperazione. Quelli, che altra
volta avevamo chiamati amici, non osavano mostrarci alcun interessa-
mento e noi eravamo piombati in un abisso sì profondo, che sem-
:

brava impossibile uscirne fuori più mai ».

In qiie' frangenti apparve alla donna desolata un gio-


vane che sembrò dovesse essere suo salvatore e si propose
di essere suo salvatore : ma che invece, per le vicende tristi,

in cui fu involto, trascinò in altri guai la povera Olimpia


ed affrettò il termine di una vita sì angosciata. Un tedesco
Andrea Grunthler, studente di medicina a Ferrara, ammi-
rando l'ingegno, commiserando i casi di Olimpia, le offrì
la mano ed « ella l'amò per la pietà che n'ebbe». Essi
celebrarono modestamente le nozze il 1550: Olimpia com-
pose un inno in greco, invocante la benedizione del cielo
sugli sposi. Il Grunthler , laureatosi , spinto parte dalla
necessità di sfuggire i rigori riapparsi contro i novatori,
e parte dal bisogno di procacciarsi una occupazione, si recò
in Germania col proposito di chiamare a sé la' sposa,
appena avesse potuto ottenere una cattedra. La separa-
zione resa anche più crudele dal pensiero de' pericoli,
,

cui lo sposo andava incontro in un paese agitato da guerre


civili e religiose, percorso da bande inferocite, avide di
sangue e di saccheggio, non fu lunga, ma fu dolorosissima.
Alcune lettere di Olimpia ci descrivono le ansie, i martiri
dell' anima sua in que' pochi mesi , che sembrarono anni
alla giovane sconsolata, solo confortata dall'assistenza
affettuosa e delicata d'una dama di gran cuore e di grande
intelletto, Lavinia della Rovere, nuora di Camillo Orsini.
Il Grunthler, ottenute buone promesse per una cattedra
tornò a Ferrara. Trovò che lì i pericoli crescevano per
opera della inquisizione, ed allora pensò di ripartire subito
colla sposa: questa portava con sé anche il fratellino,
CAPITOLO XIII .)!;)

Emilio, (li olio anni: tre vittime clie ^;i avviavano al

sacriticio, il quale doveva compiei'si dopo pochi anni.


Giunti ad Augsboui'g, ebbero accoglienze oneste e liete
dalla famiglia Fugger, ospitalissima co' dotti e cogli emi-
grati e da un erudito, Giorgio Hermann. Olimpia potè ivi

passare qualche tempo tranquilla, abbandonandosi a' suoi


studi , e traendo ispirazione dalla inesauribile sua vena
poetica: « tolwn dieni , come essa scriveva al Girardi, me
cum musis delec/o, nuUisque ncgoliis ah illis abfJucor ».

Queste occupazioni dello spirito erano ora interi-otte, ora


completate da una viva corrispondenza epistolare, mante-
nuta colla famiglia a Ferrara e con Celio Secondo Curione,
il novatore più attivo che abbia avuto l' Italia , uomo
molto culto , agitato , anzi infatuato da spirito di pi'oseli-
tismo. La corrispondenza tra Olimpia e Curione è di alto

interesse religioso e letterario, mentre serve a compren-


dere molti scritti della giovane poetessa e ad intendere
e spiegare le battaglie del suo cuore.
Gli sposi decisero di recarsi a Wurtzbourg, ove tro-

vavasi Giovanni Sinapi, già conosciuto a Ferrara, divenuto


medico del principe Melchiorre Zobel. Ivi Grunthler eser-
citò con r amico la sua professione. Un accidente , del

quale per poco non restò vittima il piccolo Emilio , il

quale cadde da una finestra senza però riportare alcun


danno , rese più fervida 1' anima religiosa di Olimpia che
volle riconoscere in ciò il miracolo, la mano diretta di Dio:
« ita Deus qui mo/iuos etiam ah inferis excitare potest,

siiosincolumes tueri et conservare jwtesi! » Intanto da


Schweinfurt in Baviera cioè dal suo paese natio giun- , ,

geva un invito a Grunthler. L' insediamento d' una forte


guarnigione in quella città rendeva necessaria 1' opera di

un medico, e vi si recò il giovane dottore, sul finire del

1551. Appena giunto, o pochi giorni dopo, ebbe un'ono-


revole offerta dall' Herman di andare ad occupare una
cattedra a Lintz , nell'alta Austria. Ma Olimpia, avendo
saputo che quivi non avrebbe potuto esercitare con libertà
316 GIULIA GONZAGA

il culto evangelico, preferì rimanere in quel villaggio, ove


tutto del resto concorreva a renderla triste quantunque
rassegnata , il clima , la lontananza da antichi amici , la

ignoranza della lingua, il difetto d'ogni notizia della lon-


tana famiglia. E pure queste privazioni furono ben poca
cosa di fronte a' mali, che qualche anno dopo ella collo
sposo doveva affrontare. Nel 1555 quella città, ove si era
rinchiuso Alberto di Brandeburgo, fu assediata dall'elet-
tore Maurizio Duca di Brunswich e da' vescovi
, dal di

Wurtzbourg Bamberg. Gli orrori dell'assedio non


e di si

possono adeguatamente descrivere. Alla fame successe la

peste, dalla quale fu colpito pure il Grunthler che per


poco non vi lasciò la vita ; al contagio seguirono gli

incendi. I dialoghi greci e latini, le osservazioni sopra


Omero, la traduzione in greco di molti salmi, la maggior
parte dell'opera intellettuale di Olimpia furono preda delle
fiamme Ed dovè seppellirsi per settimane intere, insieme
ella
co' suoi, in fondo ad una cantina, per salvarsi dalle arti-
glierie che facevano rovinare tutti gli edifizi. Penetrati
gli assedianti nella misera città, cominciarono i saccheggi
e le uccisioni senza rispetto a sesso e ad età. Olimpia e
Grunthler poterono a stento darsi alla fuga, guadagnando
la campagna ; ma , incontrati da bande armate , vennero
denudati e Grunthler fu frati enuto prigioniero. Ecco come
la misera giovane descrive que' terribili momenti:

« Vorrei clie aveste visto come io era scapigliata , coperta di


stracci, che ci tolsero la veste da dosso, e fugg-eudo perdetti le scarpe,
né aveva calze a' piedi sicché mi bisognava fuggire sopra le pietre
,

ed i sassi, che non so come io arrivassi. Spesso diceva: adesso ca-


scherò qui morta, che non posso più «.

Alle preghiere della sventurata pare si arrendessero


que' manigoldi ed il marito fu lasciato libero. Percorsero
così di notte molte miglia : giunsero a Hamelbourg vit-

time infelici tra vittime anche pii^i lagrimevoli, tanto che


Olimpia potè dire: « ego, inter pauperculas omnes, videhar
CAPITOLO XllI 317

mendicarum esse regina ». Mu anche di qui dovettero


allontanarsi, pei'clié ordini severi e ci-udeli perseguitavano
i supeistiti di Schweinfurt. Ripreso il cammino, fuiono
arrestati nuovamente e rimessi in lihortii dopo alcuni
gioini. finché, compiute molte peregrinazioni, poterono
tiovare scampo presso il conte di Reinck. partigiano della
riforma. Fornito di commendatizie, Grunthlr ottenne alfine
una cattedra di i)rofessore di medicina ad Heidelberg.
Il posto di dama d' onore della moglie dell' elettore

Palatino, offerto ad Olimpia, non fu accettato. Ella si

consacrò del tutto alle cure della famiglia, della benefi-

cenza e della religione, attivissima sempre nel tener corri-


spondenza co'coi'religionari, nell' infervorarsi del progresso
della riforma, nell' interessare gli amici a prò di tutti i

perseguitati per causa religiosa.


Ma pur ti-oppo, se lo spirito era sempre vivo, ardente,
il corpo cominciava a soggiacere a tante e sì dolorose
cause di perturbamento.

À l'àfje, scrive un suo biografo, oh le taìent se recMeiìle dam sa


niaturitè, elle ressentait les att'intes d'un mal, doni le geruie contrade

som un del éfranger, s' était développé avec une nouvelle energie durant

les agitations de sa destin-}e. Le siege de Schweinfurt, les veilles, les pri-


vations et les an'joisses qu' elle avait eu a soufrir pen^Iant quatorze mois,
sa fuite nodiirne de cette ville, ses terreurs, son exustence errante, lui

avaient porte un coup profond dont elle ne detait plus se relever. EU" jugea
son danger sans illusion coimne sans faiblesse. La culture des lettres ne

fut dés lors, pour elle, qu' une application plus costante a V étude de la

parole sainte: la poesie qu' une priere. La derniére JLuse dont elle fut
visitée, fut celle des toinbeaiiS [}).

Ed alla tomba essa rivolgeva 1' anima vivificata dalla

fede, come a desiderato porto, ripetendo nelle sue lettere


il motto di S. Paolo : « ciqno dissolvi et esse cura Christo ».

Le ultime lettere, scambiate con Curione, non possono non


eccitare l'animo alla più profonda pietà per questa giovane
conficcata a 29 anni su un letto , e nello stesso tempo

(^) BoNNET, Vie d' Olympia Morata, Paris, 1851, p. 199.


318 GIULIA GONZAGA

ad un' alta ammirazione per la forza di spirito ,


per la

serenità della mente, per la rassegnazione sincera, che


manifestò in questi estremi momenti.
Un giorno, era il novembre 1555, Curione ricevette
questa lettera di Olimpia da Heidelberg.
Debbo dirvi che non ho luogo a sperare di vivere lungamente.
La medicina non mi porge alcun sollievo. Ogni 'giorno, anzi ogni ora
i miei amici si avvedono della mia dissoluzione. Non è improbabile
che questa sia l' ultima volta che scrivo sento mancar le forze la : :

macchina è presso alla sua decomposizione. L' appetito è andato ; la

tosse, giorno e notte, minaccia di soffocarmi; la febbre è continua e


gagliarda ; ed in genere i patimenti mi allontanano il sonno. Non mi
resta che esalare lo spirito ; ma fino all' ultima ora avrò sempre pre-
senti gli amici ed i favori da essi ricevuti. Rendo a voi infinite grazie
de' libri, che mi avete mandati ed a quelle degne persone, che mi
hanno fatto sì prezioso dono. Se continuassi a vivere, mostrerei la mia
gratitudine; ma, per quel che soffro, il mio passaggio è a momenti.

Vi raccomando la Chiesa : fo voti, pel di lei vantaggio, che resti sempre


sotto la vostra direzione. Addio, egregio Celio : non vi turbate alla no-
tizia della mia morte, perchè so finalmente di vincere desidero di :

partire ed essere con Cristo. Mio fratello, di cui mi domandate, pro-


fitta negli studi, quantunque abbia più bisogno di sprone che di freno.

Heidelberg pare deserto per la gran quantità di gente morta di peste,


o fuggita per la paura. Mio marito vi fa i suoi complimenti; salutate
per me la vostra famiglia. Vimando que' poemi che ho potuto scri-,

vere, perchè li ho ritenuti a memoria dopo la distruzione di Schwein-


furt. Tutti i miei scritti sono periti. Siate voi il mio Aristarco e cor-

reggete questi, che vi trasmetto. Addio di nuovo! (^)

(1) La Morata lasciò quarantotto lettere, dialoghi, orazioni latine,


tre discorsi su' paradossi di Cicerone e varie poesie greche. Celio Se-
condo Curione curò la raccolta degli scritti, de' quali si fecero nello

stesso secolo quattro edizioni a Basilea, cioè nel 1558, 1562, 1570 e
1580 e prima fu dedicata ad Isabella Manrique. Ecco il titolo del-
la

l' ultima edizione Olympiae Fuloiae Moratae Faeminae doctissimae ac


: , ,

piane divinae, Opera omnia cum eruditorum testimoniis. Quibiis praet. C.


S. C. EpisMas selectas et Orationes mmc denmni accessenmt M. Anfonii
PngamUii Fabulae, ex Aesopo latine factae et Joannis Boccaccii qnaedam
ex italico. — Basileae, ex Officina Petri Pernae, 1580.
Una lettera inedita di OUmpia al padre venne inserita nel discorso
tenuto nell'aprile 1892 in Ferrara dal Prof. Agnelli per celebrare il

V.° Centenario della libera università degli studi.


CAPITOLO XIII ol9

Curione leggeva e commentava tristamente alla famiglia

questa lettera elegiaca, quando, aprendone a caso un'altra,


giunta collo stesso corriere, lesse che Olimpia era spirata
il 7 novembre ! Il dramma aveva il suo pieno epilogo in
modo vertiginoso: un mese dopo o poco più Gruntliler, vit-

tima della sua abnegazione professionale, periva anch'esso;


e pochi giorni appresso era raggiunto dal piccolo Emilio.
Così avevano pace i poveri esiliati, i quali furono raccolti
in una stessa tomba nella chiesa di S. Pietro di Heidelberg,
e furono ricordati da queste parole:

Deo imm. S. et virtuti ac menìon'ae Olì/nqme Moratae, Fuìvii Morati


Maììtuani, viri doctissimi ,filite, Andrea Grunthìeri medici coiijugis ledis-

siiiice fernince, cujus iiigeniurit ac sin'jularis utriusque liiìguce cognitio, in

nifiribus autem probitas, suinriiur/tque 'pietafis studiuni, supra communcm


moduiii scraper existimata siint. Qmd de cjus vita hominuni judiciiini, beata
ìiiors, sanctissiiite ac pacatissiuie ab ea obita, diviìio quoque confirrnavit
testiriìoiìio. Obiit, mutato solo, a salute DLV supra linlle. Sme cetatis XXIX.
Hic cum marito et Emilio fratre sepulta.

Ma il povero abituro di Schweinfurt, distrutto dalle


orde incendiatrici, fu fatto ricostruire per decreto di po-
polo ; ed a ricordare il luogo ove Olimpia Morata passò
giorni di indicibile angoscia che affrettarono la fine della
martire poetessa, non ancora ventinovenne, fu collocata
r epigrafe :

Vilis et exHis domus hacc quamvis, liabitatrix


Clara tame», claram reddidit et celebrerà!
XIV

I Congregati del Divino Amore in Roma.

U oratorio del Divino Aùiore - Congregati e loro tendenze - Coìnmissione


noveiuvirale de emendanda ecclesia - Proposte principali da essa
presentate - Processi e persecuzioni a prelati e specialmente al
Cardinale Morone.

Scrive il P. Caracciolo, nella vita di Paolo IV :

Que' pochi uomini dabbeni ed eruditi prelati, eh' erano in Roma


in quel tempo di Leone X, vedendo la città di Roma e tutto il resto
d' Italia, dove per la vicinanza della sede apostolica dovria più fiorir

r osservanza de' sacri riti, essere cosi maltrattato il culto divino e l' am-
ministrazione de' santi sacramenti, mossi da santo zelo, si riunirono in
un oratorio, chiamato del Divino Amore, circa 60 di loro, per far quivi,
quasi come in una torre o cittadella, og:ni sforzo per guardare le di-
vine leg-gi e ribatter l' impeto de' vizi e degli abusi. Questi furono, tra
gli altri, il Contareno, il Sadoleto, il Giberto, il nostro Giovan Pietro
Carafa, Gaetano da Tbiene, Bonifacio da Colle, Paolo Consigliero, Tullio
Crispoldo, Latino Giovenale, Luigi Lippomano, Giuliano Dathi o Cachi
e altri molti, tutti uomini principali e di vita esemplare. Fondarono
quest' oratorio nella parrocchial chiesa di S. Silvestro e Dorotea in
Trastevere, non lungi da S. Maria in Trastevere, cioè da quel luogo,
ove dicono che S. Pietro abitasse. Era allora curato della Chiesa il già
detto Giuliano Dathi, penitenziere maggiore di S. Giovanni Laterano il

quale poi fu anche vescovo di S. Leone, uomo di molta autorità ap-


presso a Leone X e dotato di molta prudenza e bontà. Costui, prima
che fosse prete, aveva avuto moglie e da lei una figliuola, la quale
insino a' tempi nostri viva, raccontava d' aver ella veduto il vescovo
Teatino e gli altri nostri padri andar spesso agli uffizi, sermoni ed altre
21
322 GIULIA GONZAGA

opere pie, che facevano in detta chiesa. Fu di tanto grande esempio


questo oratorio, che molte città d' Italia, con virtuosa e lodevole emu-
lazione, fondarono oratori similari e dipendenti dal g-ià detto oratorio (^).

Che cosa volevano costoro, dei quali uno divenne Papa,


un altro fu proclamato santo, due ottennero la porpora

cardinalizia e gli altri emersero per incarichi ecclesiastici


delicatissimi? Essi si proposero di combattere per l'unità
della chiesa, non opponendosi vanamente a' nemici con inu-
tili ciarle; ma risalendo alle fonti che avevano promosso
le scissure, per purificarle e togliere così le cagioni del
dissidio.Uomini di vita purissima davano esempio di ciò
che dovesse essere il clero; ma poiché l'esempio non
bastava ed occorrevano leggi e sanzioni a sradicare abusi
gravissimi che deturpavano la chiesa, a questi bisogni
intesero colle loro aspirazioni, coi loro voti, colle mani-
festazioni loro autorevoli. Così essi crearono una specie
di opinione pubblica sulla necessità di riforma cattolica
della chiesa, di riforma della chiesa nella chiesa e di riac-
costare il costume e la legge all' esempio ed ai precetti
del primo fondatore !

Fu una congiura pacifica che quasi raggiunse 1' alto


intento col sacrifizio dei congiurati. L' ambiente allora era
tale da non far riconoscere facilmente le intenzioni. Pro-
vatevi a frenare un cavallo che abbia presa la mano al
suo conduttore : esponendo e forse lasciando la vita, sal-

verete i pericolanti. Ed allora la corsa nella via del vizio


e della corruzione era precipitosa, irrefrenabile. Quei
valentuomini vollero trattenerla: vi l'iuscirono in gran
parte : il concilio di Trento fini per consacrare i loro

(^) Caracciolo, o}). cit. pag-. 48. A pag. 51 lo stesso autore sog-
giungeva: la nostra religione di chierici regolari è derivata da quel-
r oratorio di Santa Dorotea. E si ha per tradizione e detto da noi vecchi
che alla nova di doversi fondare la detta religione de' chierici , vi fu-
rono 36 persone di detto oratorio, che fecero pensiero d' entrarvi ; ma
poi sgomentati dalla stretta povertà, che si istituiva, di trentasei quattro
soli restarono.
,

CAPITOLO XIV 323

sforzi ; ma gli audaci pionieri furono disconosciuti e taluni


sacrificati.

Da quel gruppo alcuni erano stali scelti da Paolo III


a far parte della famosa congregazione per la riforma dei
costumi. E noto infatti che quel pontefice, per avere le

opportune proposte, necessarie a raggiungere lo scopo


suaccennato, fece capo nel 1537 ad una commissione com-
posta dei cardinali Contarini, Carata (poi Paolo IV),
Sadoleto, Polo, dell' arcivescovo di Salerno Frégoso
dell'arcivescovo di Brindisi Aleandri, di Giberti, il cele-
bre Datario di Clemente VII poi vescovo di Verona, del
Cortese, abate cassinese e del padre Badia, maestro del
sacro palazzo. Essi 1' anno successivo presentarono le

loro conclusioni in un opuscolo : « consilium novemvirale


de emendanda ecclesia ». La composizione in gran parte
fu forse dovuta al Carata, al futuro papa, poiché il Ca-
racciolo ebbe a dire: « si scorge dallo stile di quell'ope-
retta che fu farina sua e che egli vi ebbe prima e
la

maggior parte ». Essendo un documento di capitale impor-


tanza nella storia della riforma, iniziata da noi, perchè
in un certo qual modo determinò l' indirizzo dei lavori
del concilio di Trento e dei decreti da adottare, i quali
infatti si uniformarono ai precetti dati dal consilium ,

gioverà qui riprodurre i punti principali del famoso docu-


mento ; su che terrò presente il sunto dato dall' Amabile
nel suo lavoro sul Sant' Officio di Napoli.

Far osservare le leg-gi e non dispensare dalle medesime

senza necessità; — non pretendere lucro nell' uso della potestà delle
Chiavi, secondo il mandato di Cristo gratis accejìistis et gratis date
: :

avere ministri idonei, non ordinando persone imperite , basse, scostu-
mate, di poca età ;
— guardar bene alla collazione de' benefìci eccle-
siastici e massime de' vescovati, badando al gregge di Cristo e non
alle persone, facendo che i vescovi abbiano a risiedere nelle loro chiese
e vietando la cessione di queste ;
— non costituire pensioni su' frutti
de' benefici, eccetto che per elemosine e massime a clerici poveri: —
vietare la permuta de'beneficii: — vietare le rinunzie de' vescovadi
con riserva : — vietare la successione ne' benefici tra' parenti, le aspet-
324 GIULIA GONZAGA

tative, le riserve ;
— mantenere l' incompatibilità di alcuni beneficii,
massime de' vescovati ;
— non conferire vescovati a cardinali, essendo
-incompatibili il cardinalato e il vescovato; — obbligare i vescovi a
risiedere nelle rispettive diocesi; — obbligare i cardinali a risiedere
nella curia ;
— non prestarsi a permettere ciie i clerici si sottraggano
alla giurisdizione del proprio vescovo; — abolire i frati conventuali
coir impedire cbe se ne ammettano altri ;
— stabilire che predicatori
e confessori dell' ordine de' frati sieno sempre sottoposti a' vescovi
circa la loro idoneità; — ordinare che pure i Nunzi e Legati non
debbano attendere a lucri; — vietare che vi sieno frati conventuali
in cura di monache ;
— vietare le dispute nelle chiese ed ogni disputa
pubblica in teologia; — non concedere a' frati che lasciano il con-
vento r uso dell' abito clericale, tanto meno che abbiano beneficii ;

togliere la questua dello Spirito Santo, di S. Antonio, ecc. che impli-
cano superstizioni; — non concedere le dispense a' costituiti negli

ordini sacri, che vogliono prender moglie, né le dispense per le nozze


tra' consanguinei, salvo in casi specialissimi e sempre gratis; — non
concedere assoluzione al simoniaco; — non concedere a' clerici la

licenza di testare i beni della chiesa; — non concedere licenza di

confessionarii e di altari portatili, né l' indulgenza più di una volta


r anno, né commutazione di voti, né alterazione della volontà del te-
statore; —
imporre, specialmente in Roma, la decenza negli abiti dei
sacerdoti; — proibire che le meretrici passeggino per la città o vi

cavalchino mule con le matrone; — conciliare le inimicizie, aver


cura degli ospedali, de' pupilli, delle vedove.

Il documento presentava in un certo modo buon giuoco


in mano ai protestanti e fu da essi pubblicato e postillato.

Lo diedero alle stampe in latino lo Sturmio (1539), rettore


dell' Accademia di Strasburgo con una lettera-prefazione,
ed in tedesco Lutero. Questi, nella nota appostavi, osservò
che i cardinali si contentarono di tor via i piccoli ramo-
scelli , conservando accuratamente il tronco dell'albero
imputridito, libero dalle molestie, e, come i farisei del
Vecchio Testamento, cacciare i moscerini e inghiottire ì

camelli. Lutero per porre questo fatto innanzi agli occhi


de' suoi lettori fece mettere nel frontespizio del suo libro
una stampa, in cui il papa veniva rappresentato sedente
su un alto trono, circondato da cardinali che tenevano in
mano lunghe pertiche, cui stavano attaccate le code delle
CAPITOLO XIV 325

volpi , con rami di ginestra. Quella misura del papa dis-


piacque molto al Pallavicini, perciiè, ordinando una riforma
di costumi, il capo della chiesa dimostrava di riconoscei-e
l'esistenza degli abusi e delle dei'ormità e aggiungeva forza
ai discorsi diffamatori che gli eretici facevano circolare (').

E certo che uno de' compilatori , il Carafa. divenuto


Papa, sconfessò l'opera sua e de' suoi colleghi destinati
poi dallo stesso pontefice , nel periodo della reazione , a
crudeli sospetti ed a persecuzioni. — Il Consilium fu
messo ali '
indice !

Sono note le polemiclie che scoppiarono lo scorso


secolo tra il cardinale Querini , che da quell' opuscolo
traeva argomento i)er lodare le Ijuone intenzioni di papa
Paolo III, e Rodolfo Kiesling {op. de actis Peculi IH ad
emendationem eccl. spectantibus , Lipsiae 1747), nonché
Giovanni Giorgio Schelhorn (f?e Consilio de emendanda eccl.

ausjnciis Pauli 111 conscripto , ac a Pendo IV deminato,


Tiguri 1748). Il Querini concluse, quantunque anche su ciò
contraddetto, che non si intese dannare il testo , ma le

varie postille e note fatte dagli editori del Consilium.


Ma come , accennai , i congregati del Divino Amore
ed i compilatori del Consilium divennero presto oggetto
di sospetti feroci, e di persecuzioni. La morte prematura
salvò alcuni di essi dalle conseguenze di processi iniziati
dall' inquisizione. Il Contarini, che nel congresso di Rati-

sbona aveva sostenuta la teoria della giustificazione per


la fede, ha una parte saliente nel processo Carnesecchi :

fortunatamente era morto nel 1542, e cosi era morto nel


1547 il cardinale Badia che si trova citato negli indici
de' processi inquisitorii editi dal Corvisieri. Si toccherà
appresso de' processi orditi contro il cardinal Polo ;
gra-
vissime furono certo le persecuzioni delle quali fu vittima
il cardinal Morone.

l"^) V. Macchie, Storia della Riforina in Italia, p. 82.


326 GIULIA GONZAGA

Giovanni Morone, figlio del celebre Girolamo, il gran


Cancelliere di Milano, tradito o denunziato dal marchese
di Pescara a Carlo V, era nato il 1509 e, addottoratosi
a Padova, presto levò di sé tanto grido che a 20 anni
Clemente VII lo nominò vescovo di Modena, ove potè
recarsi pacificamente solo nel 1532 a prendere possesso
della mensa, prima contesagli dal cardinale Ippolito d'Este
juniore. Fu Nunzio in Boemia presso re Ferdinando I il

1536. Intervenuto al Concilio di Spira nel 1542, fece accet-


tare la proposta della convocazione del Concilio, ed in
queir anno fu nominato cardinale. Prima destinato coi
cardinali Parisio e Polo alla legazione del Concilio di
Trento (1542) venne poi mandato presso Carlo V con un
incarico del Papa. Convocato il Concilio, a lui mancò,
con universale meraviglia, la direzione di esso. I processi
inquisitori, pubblicati in questi ultimi anni, spiegano questo
fatto. Secondo si deduce anche dall' estratto del processo
Carnesecchi, al Morone si" faceva colpa di aver tenuto,
letto, diffuso fatto diffondere a proprie spese 1' opuscolo
del Beneficio di Cristo , di avere accolto in casa persone
sospette di eresie , d' aver favorito e sussidiato eretici,

promesso a' luterani in Bologna (ivi nel 1544 era stato


destinato Legato) che venendo da Roma ordini contro di
loro li avrebbe prima avvertiti; ed infine d'aver profes-
sato che non si dovevano perseguitare i dissidenti, ma si
dovevano sopportare come Dio li sopportava, mentre « forse
chiamiamo luterani tali che sono migliori di noi ».
Paolo IV fece il 1557 rinchiudere in Castel Sant'An-
gelo il cardinal Morone il quale sopportò con mirabile ras-
segnazione la dura e lunga prigionia triennale. Verso gli

ultimi mesi il papa era disposto a concedergli libertà, purché


il Morone consentisse ad una specie di ritrattazione; ma
egli si rifiutò, preferendo restare prigioniero. I quattro
cardinali, deputati ad esaminare il suo processo, tra' quali
il cardinale Alessandrino, lo proclamarono innocente. Can-
didato alla tiara pontificia alla morte di papa Paolo IV,
CAPITOLO XIV :)J /

fu vinto dal Modici, poi Pio IV. Alla morte di questo si

accentuò la propaganda a favore della sua candidatura;


principale sostenitore era San Carlo Borromeo. Però il

cardinale Alessandrino si oppose, ricordando i sospetti di


eresia, da' quali era stato circondato e riuscì a far ])ro-
clamare sé. col nome di Pio V.
11Morone, già nominato da Pio IV presidente o primo
legato nel Concilio di Trento (1563), fu inviato da Gre-
gorio XIII a Genova per procurare di quetare le fazioni
di quella repubblica (1575) ed intervenne il 1576 quale
legato alla dieta di Ratisbona. Nel 1578 passò in Fiandra
e successivamente si ritirò in Modena, consacrandosi total-
mente alle cure della sua diocesi.Mori in Roma, ove
possedeva una casa in Trastevere (donde il nome di vicolo
Morone ancora esistente) nel 1580 e fu sepolto in Santa
Maria sopra la Minerva, lasciando vari lavori a stampa,
ricordati dall' Argelati nella sua Biblioteca degli scrittori
railanesi.
XV

Tittoria Colonna, il Card. Polo


e le conferenze di Viterbo.

Z' atteggiamento di Vittoria Colonna di fronte alle nuore teorie religiose -


Esame de' suoi scritti per questo rajyporto - Si ritira a Viterbo - Il
Card. Polo - Le Conferenze di Viterbo - Il Card. Contarini - Ad-
debiti mossi a Vittoria Colonna ne' processi della inquisizione fatti
sotto Paolo III, Paolo IV e Pio V - Sua rnorte.

La nobile e pura immagine di Vittoria Colonna, ha


scritto il Campori, appare al pensiero siccome una di

quelle sublimi statue greche, rimaste dopo tanti secoli


senza confronto nell'arte degli altri popoli. Poco mancò
a questa donna per raggiungere i sommi gradi della per-
fezione : ingegno alto e virile ,
pietà sincera , spirito arden-
tissimo di carità, costume illibato, superiore alle calunnie.
Incrollabile conti'O le seduzioni di un secolo depravato e
vedovata in giovane età, conservò per tutta la vita la fede
giurata uomo, che la morte le tolse immaturamente
all'

dalla presenza, ma non le potè levare dalla memoria.


Quest' anima nobilissima non rimase certo indifferente
alle ragioni ed alle cause che avevano suscitato il movi-
mento religioso. Alla depravazione femminile di Roma prov-
vide direttamente, facendo ivi tenere pubbliche conferenze
e per la stessa persona e coli' aiuto di Giulia Gonzaga
ottenendo che queste conferenze si ripetessero a Napoli.
A far argine alle corruzioni del clero prestò opera efficace,
330 GIULIA GONZAGA

proteggendo la nuova istituzione de' cappuccini. Infine la


fede di lei, resa più ardente dallo scetticismo universale,
ebbe nuovo alimento dalla professione valdesiana e dal-
l' autorevole partecipazione di uomini eminenti e devoti
alla insigne donna.
Di questi sentimenti e di queste tendenze di Vittoria
Colonna abbiamo argomenti nelle sue poesie, nel suo episto-
lario e in modo speciale nella condotta serbata a Viterbo,
durante il soggiorno trascorso in quella città (1541-1544),
secondo risulta da processi dell' inquisizione e da carteggi
del tempo.
Vittoria aveva già cantato in un suo sonetto:

Veggio d' alga e di fango ornai si carca


Pietro, la nave tua, che se qualche onda
Di fuor r assale e intorno la circonda
Potria spezzarsi e a rischio andar la barca.

Il Reumont osserva;

Vittoria Colonna con tutto !' ardore dell' anima anelava alla riforma ;

già le parea vedere lo spirito divino

che purga e rinnova


Del lezzo antico 1' alma vera Chiesa.

Le allusioni rivolte ne' suoi sonetti all'indirizzo chie-


sastico di que' tempi sono state notate nella biografia che
di Vittoria ha scritto Adolfo Trollope : A decade of italian
loomen. (Londra 1859, tomo 1.° cap. Q.^ p. 352).
Rispetto al suo carteggio non sarà inutile rilevare
ciò che nella prefazione gli editori di esso, i Ch. Ferrerò
e Miiller (pag. XXV) hanno avvertito :

Le lettere divulgate dal Fontana hanno rischiarato le relazioni di

lei colla corte pontifìcia ; e, se ve n' era ancor d' uopo, provato una
volta di più la natura delle sue aspirazioni e de' suoi sentimenti reli-
giosi; quelle in difesa de' cappuccini mostrato l'animo suo, che s'ac-
cendeva per quanto le rappresentava un ritorno a vita austera e zelo
per la fede, una cooperazione a quella riforma della chiesa, che stette
in cima a' pensieri di lei e de' suoi amici.
CAPITOLO XV :>:31

Un rapido esame all' Epistolario ci convincerii age-


volmente dell' attiva cooperazione prestata a prò doU' or-
dine francescano riformato, soggetto negli esordii a molte
persecuzioni o sventate, o sospese, o attenuate dall' inter-
vento diretto di Caterina Cibo e di Vittoria Colonna.
Vittoria in una lettera del 151)5 al Card. Contarini
(p. 93) raccomanda la sorte de' cai)puccini. Di essi si oc-

cupa anche in una lettera del 27 giugno 1536 ad Eleonora


Gonzaga della Rovere, duchessa di Urbino (p. 116). alla
quale scrive :

. . . , saprà con iiuanto ordine de Dio se governa questa povera refonna


perseguitata da tutti li hoiniui mundani.

Un'altra lettera al Cardinale Contarini, sullo stesso


soggetto, leggesi a pag. 116 del citato volume. Vittoria
raccoglie e confuta le varie e piìi comuni obiezioni, pro-
poste contro i cappuccini.

Molte cose m' haii diete che 1' oppongono che, ponendosi Cristo
e S. Francesco dinante, saranno risolute. Prima che paiono luterani,
perchè predicano la libertà dello spirito, che se son subgiugati alli

ordinarli della terra , che non han scripture , che non obediscono al
Generalissimo, che portano differente 1' habito et che acceptano li frati

de la Observantia. Circa al primo se responde che si S. Francesco fu


heretico, li suoi imitatori son lutherani. Et si predicar la libertà del
spirito sopra li vitii, ma subgietto ad ogni ordinatione della Santa
Chiesa, se chiama errore, sarria anchora errore observare lo Evangelio,
che dice in tanti lochi: spiritiis est qui vivificai.

Nelle quali ultime un movimento ed parole vedonsi


uno spirito di modernità, che eccitano
davvero meraviglia.
Anche ad Alfonso Davolos, marchese del Vasto, Vit-
toria raccomanda suoi cappuccini (lett. 26 ott. 1536,
i

p. 122), non che al Cardinale Ercole Gonzaga, con lettera

dello stesso anno (pag. 127) e con altra del 22 aprile


1537 (p. 137). Al Cardinale Agostino Trivulzio scrive il
3 ottobre 1538 (pag. 164):

Chiusero la porta del intrar de frati, sperando redur questa reforma


a niente et mostrando reformarsi loro : hor che vedono che questa per
332 GIULIA GONZAGA

un solido fondamento empie di seciilari et va innanzi,


della verità s'

et le loro reforme ogni giorno indrieto, non ponno aver patientia ma ;

in tutti i modi la molestano, che certo ormai ne vien pietà a quante


città sono in Italia, che in tutte 1' odor della ottima vita de' cappuc-
cini è mirabile gratia a Dio et a V. S. che fu prima origine de farce
Intrare i buoni.

Le lettere scambiate tra la Regina di Navarra, Mar-


gherita di Valois e Vittoria Colonna meritano un esame
particolare. La celebre novatrice manifesta una profonda
ammirazione ed un alto affetto per la poetessa, la quale
non dissimula uguali sentimenti per la sorella di Fran-
cesco I. E tutto ciò —
pur volendo escludere ogni comu-
nanza di idee in qualche punto di credenza religiosa —
dimostrerebbe che Vittoria era animata da una tolleranza,
che ha di troppo precorso i nostri tempi, ovvero è spie-
gabile col contributo arrecato al movimento religioso
dalla Colonnese.
La stessa osservazione sorge spontanea dalla lettura
dèlie lettere inviate a Vittoria da Pier Paolo Vergerio.
In una del 1540 Vergerio le diceva:

Ho
da scriver bora d' una mia grandissima letitia et consolatione,
che ho avuto in questi giorni passati. La serenissima regina di
io

Navarra mi ha tenuto quattro lunghe ore per le due prime fiate a


ragionar seco dello stato presente della Chiesia di Dio et de" sacri
studii et di alcuni articoli bellissimi et tutti spirituali et di quegli

appunto che V. E. suol desiderar che si ragioni et si pensi sempre.

E conchiude inneggiando all' atteggiamento di alcune


donne di fronte alla nuova corrente di idee religiose :

Lodato sia Gesù. Cristo, che in questi tempi turbolenti ha susci-


tato in diverse città et province spiriti così fatti ; il che soglio consi-
derare et dire a tutte l' bore et stupirmi et consolarmi : in questi

regni la serenissima Regina, di cui parlo, in Ferrara madama Renea


de Pranza, in Urbino madama Leonora Gonzaga, le quali io vidi tutte
due venendo in qua et conversai parecchie ore con le loro Eccellentie :

et mi parvero intelletti molto elevati et molto pieni di carità et molto


accesi in Christo in Roma madama Vittoria Colonna per dir ora sola-
:

mente del sesso vostro. Io per me son secui-o che questo habbia ad
CAPITOLO XV 3:H3

esser la via, cou la quale si venirà tosto a purgare et illustrare la

santa vig'aa et chiesa del Sigriore, che era piena di spine ot di oscu-
rità: cioè se la bontà di Dio ci anderà suscitando di cpiesti spiriti

ferventi in un sesso et 1' altro, in questa et in quella città e provincia,


li quali da un lung-o sonno, che ci teneva gli occhi et gli animi gra-
vati et pigri, ci possono svegliar et scaldare nella cognitione delle
vere vie et nel servizio di Dio più che tutti gli inchiostri del mondo,
che iscrivessero og-ni giorno molte reformationi et piii che quante
diete si potessero mai fare (p. 19G).

In quel volume leggesi una lettera del dì 8 decembre


a Giulia Gonzaga. La riproduco in ultimo: notevole è il

postscriptum :

Ho inteso che V. S. ha mandato 1' esposizione sopra San Paolo


(opera del VaMes) che era molto desiderata et più da me, che n' ho

bisogno, però più ne la ringratio et più (luando la vedrò, piacendo a Dio.

A pag. 247 si trova la famo.sa lettera del 22 agosto


1542 di Bernardo Cellino, che annunziava la sua fuga
d' Italia. Vittoria, a consiglio del Card. Polo, consegnava
quel documento al card. Marcello Cervini, poi divenuto
papa Mercello II nel 1555, al quale il 4 decembre dello
stesso anno, soggiungeva tristamente, commendando la
lettera di Cellino:

Mi duole assai che quanto più pensa scusarsi, più se accusa et


q\ianto più crede salvar altri da naufragi!, più li espone al diluvio,

essendo lui fuor dell'Arca, che salva et assicura.

In fine le lettere al Morone, al Polo, al Contarini


sono ripiene di sfoghi ascetici, da' quali doveva trovarsi
mossa e commossa di continuo l' anima della Marchesa
di Pescara.
Ma ormai non vi può essere più alcun dubbio che
Vittoria, trovandosi a Viterbo, partecipasse largamente
alle teorie valdesiane. Il Gerdesio, a proposito di Pietro
Martire, scrisse: Joanne Valdesio,
comite consiliorum
clam coetuni instituit praeci^^ue nohilitatis tam viris qiiam
foeminis celebrafiim, in quorum numero etiam recensetur
334 GIULIA GONZAGA

Victoria Columna Ferdinandi Avali Marchionis Pisca-


ìHensisquondam iixor ingenio, pietaie modestia cum , ,

jMucis comparanda {^) È noto che di quelle idee per un


.

tempo, ne' primi tempi fu largo


propugnatore l'Ochino,
pel Benrath potè scrivere nel detto volume su
che il

quel novatore iìxtellectual highly-gifted icomen helonged


:

to it. Aìnong them Vittoria Colonna, loho come over


froYìi Ischia, her sister-in lato, Julia Gonzaga, Duches
of Tr aietto, the icoman of her tijne. Co-
'ìnost lovelij
stanza d'Avalos, Duches of Amalfi, and Isabella Man-
rique, voho, although the sister of a Cardinal, afterwards
fled across the Alp)s for her religions sake (^).
Viterbo per la presenza di
Vittoria Colonna e del
Legato Card. Reginaldo Polo era divenuto un centro non
diverso per importanza da quello di Napoli, una specie di
continuazione de' congregati del Divino Amore di Roma.
Il cardinale, figlio di Riccardo Polo e della contessa Mar-

gherita di Salisbury la quale fu nipote de' due re Edo-


ardo IV e Riccardo III, era affine di Enrico Vili, salito
al trono quando il Polo era ancora molto giovane. Venuto
in Italia a studiare, contrasse amicizia col Bembo, col
Contarini e col Carafa ,
poi papa Paolo IV, e ritornò in
patria quando Enrico VIII, innamorato della Bolena, cer-
cava di far legittimare il ripudio della moglie. Il Polo
resistette alla preghiera del re, che lo voleva difensore
della sua causa, e dovè fuggire in Italia. Di qui non solo
oppose nuovi rifiuti alle promesse ed alle lusinghe del

(^) Gerdesii, Hisf. reforiiiationis etc. Groning-ae et Bremae, 1752,


t. III. pag. 359.
(^) Bernardino Ochino of Siena, A contnbvMon to/vards the history

of the reformation hy Cari Benrath, transl. from the german by Heìen


Ziriirtiern. London. I. Nisbet, 1876, cap. 1, p. 62.
GiANNONE, nella Storia di Napoli, libro 32: « si credette cbe
Il

la tanto famosa Vittoria Colonna, vedova del marchese di Pescara, e

Giulia Gonzaga per la strettezza cbe tenevano col Valdes fossero


,
,

state ancbe contaminate de' suoi errori ».


CAPITOLO XV 335

monarca, ma scrisse contro <li lui anche un lavoro « difesa

dell'unità della Chiesa». Paolo III lo fece cardinale nel


1536, e ciò contrihuì ad eccitare maggiormente lo sdegno
del re che mandò al patibolo il fratello e la madre set-
tuagenaria del Polo e promise 50000 scudi a chi avesse
ammazzato il cardinale. Contro il porporato si ebbero
varii attentati, ed egli i)erdonò a' sicarii, costretto però
ne' suoi viaggi all'estero e stando in Italia a farsi circon-
dare e seguire da guardie e da persone fidate. Uomo dotto,
puro, integro, fu uno do' jìrosidenti del Concilio di Trento,
e poco mancò non succedesse nel pontificato a Paolo III.

Quando sul trono d'Inghilterra salì Maria la Cattolica,


il Polo venne spedilo legato presso di lei: ma le qualità
del suo carattere, inteso più a conquistare colla persua-
sione e coir esempio gli eterodossi che a punirli, lo rese
inviso alla corte romana. Privato perciò della legazione,
tuttavia la esercitò per volontà espressa dalla Regina. Ma
alle intransigenze di Roma il Polo corrispose colla sotto-
missione e colla consueta sua dolcezza; pel che fini per
conquistarsil'animo de' suoi avversari. Morì nel 1558,
poche ore dopo la morte della regina. Lasciò vari scritti
di carattere religioso e concernenti le sue missioni. Giulia
Gonzaga molto si occupò perchè tutti i lavori del Polo
che dagli scrittori del tempo è designato col nome di
Cardinale d' Inghilterra, fossero pubblicati o a cura del
Morone, ovvero a cura del Seripando. Il Beccadelli. com-
})agno del Polo ad Orvieto, ne scrisse la vita: il Card. Que-
rini nel secolo passato ne pubblicò le lettere. Al Belvedere
a Vienna, siccome è ricordato dal Blanc, si conserva il

ritratto di lui, ed una riproduzione ne esiste a Pietroburgo.


Il Caracciolo a pag. 267 della vita di Paolo IV ha
questi importanti particolari sul Card. Polo:

I capi, per quanto ho potuto raccorre da varie scritture, pe'quali


fu processato Polo, furon questi. In primis V essere stato complice col
Morone. Il 2.° il tener in casa molti eretici o sospetti d' eresia anche
in ([uel tempo quando egli era legato in Inghilterra. Il 8.° I' aver egli
336 GIULIA GONZAGA

favorito ed innalzato coloro che erano stati concubinari insieme e


sacerdoti in Inghilterra. Il 4.° la molta piacevolezza e convivenza usata
con gli eretici d' Inghilterra, i quali nondimeno e di numero ( perchè
erano circa 30,000) e di ostinazione e malizia erano tali, con i quali,
dice il Surio , ancorché non bisognava adoperare la
amico di Polo ,

piacevolezza, ma la sferza ed il rigore, o veramente, come ben fece


la cattolica regina Maria, con un ugual bando cacciarli via tutti dal

Regno. E ben si vide vano effetto di questa dannosa piacevolezza di


Polo, perciocché, come nota l' istesso Surio, wn solo guadagnò Polo
alla modi, che fu Giovanni
Chiesa Cattolica con que' suoi piacevoli
Cico, già maestro del re Edoardo eretico; anzi neanche questo gua-
dagnò, perciocché il detto Cico poco dopo ritornò al romito e come
relapso ed ostinato fu finalmente bruciato vivo, insieme con Pietro
Carro, come racconta il Tuano.

A Viterbo, ove era Legato, e dove si trovava e rimase


Vittoria Colonna dal 1541 al 1545, il palazzo del cardi-
nale era quotidiano convegno delle persone più distinte,
che aderivano al principio della giustificazione per la fede.
Questa dottrina in quell' anno 1541 completata dal con- ,

cetto del concorso delle opere era stata sostenuta dal ,

cardinal Contarini ( che aveva a compagni il Badia ,


poi
cardinale, Alberto Piggio e il dottor Scotto poi arcive- ,

scovo) nel convegno di Ratisbona. Le conclusioni vennero


accettate dai delegati protestanti Melantone e Bucero e
dagli altri delegati; ma furono rese inutili dalle opposi-
zioni concordi di Lutero da una parte, e del papa dal-
l' altra, il quale disconobbe 1' opera del Contarini. Erano
momenti di eccitazione e di reazione ; le vie conciliative
sembravano le vie più ruinose. Lo stesso Cantù, troppo
noto per le sue opinioni su questa materia , dovette con-
fessare ciò ne' suoi Discoì^si sugli eretici:

Che se immediatamente ed innanzi tutto corretta la disciplina, la

Corte romana avesse receduto dalle pretensioni meramente curiali, non


trasformate in dogmatiche questioni disciplinari, non tenuto troppo
tenacemente a temporalità e privilegi, che col tempo le furono tolti
senza scisma, ceduto insomma di buona voglia quel che poi dovette
per necessità, avrebbe almeno tolto di mezzo il principale mezzo della
riforma.
CA ri Ti) LO XV 337

Dato quest' indii'iz/.o non è da moravi <,diai-e clic tutti

gli aderenti alle conferenze di Viterbo, che riproducevano


l'immagine di una nuova edizione, come si è accennato,
delle conferenze antiche del Divino Amore a Roma, fossero
un giorno perseguitati quali eretici, o sospettati di eresia

e figurassero più volte nel processo svolto il 15(H) contro


Pietro Carnesecchi. Questi, il Flaminio, il Priuli e vari
altri erano assidui frequentatori di Vitlor-ia (.'olonna. Il

Flaminio corrispondeva più fi-equentemente da Viterbo con


Giulia Gonzaga; alla stessa scriveva Vittoria Colonna la

nota lettera, poi sequestrata ed inserta negli atti proces-


suali del Carnesecchi (la riproduco al cap. XVIII), nella
quale lettera si dichiarava desiderosa « della consolatione
di conferire con lei, anzi di imparare veramente quel che
Dio per ottimi mezzi (per Valcles) li ha comunicato ».

Nel 1542 ebbe luogo la fuga di Ochino che ne avverti


con lettera Vittoria Colonna, mentre del fatto D. Fei-rante
Gonzaga veniva a conoscenza per mezzo di una lettera
di Giulia Gonzaga, che riprodurrò appresso. Vittoria Co-
lonna deplorò quella fuga (^), comprendendo dalle parole
dell' Ochino che costui usciva da' limiti di quel movimento
religioso, seguito da lei, da Giulia Gonzaga, dal Contarini,
dalMorone e sopratutto dal suo cardinal Polo, il quale,
come ebbe a dire il Carnesecchi, « faceva professione
di amarla et honorarla come madre et lei è converso
teneva il cardinale per figliolo e come tale mostrò di

tenerlo in efi'etto ».

Conseguenze delle conferenze valdesiane di Viterbo


furono vari processi. Certo contro Vittoria, dopo morta,

(') Si disse agevolata dal fratello Ascanio Colonna il quale fornì


un cavallo e danari all' Ochino. Certo poi Ascanio venne sospettato di
aver •
aderito alla dottrina valdesiana, perchè nel compendio de' pro-
cessi del Sant' Offizio sotto Paolo III e Paolo IV si trova cosi designato :

" Ascaniu-s Columna . . . ipse instvuctus ab Ochino et a Polo et a Mar-


chioìii.^s-a fsorore ».

22
338 GIULIA GONZAGA

venne istruito un processo per opera del Sant' Officio. Il

processo, così l'Amabile, fu veduto da una persona di non


dubbia fede, dal Caracciolo, il quale nota questo ricordo
alla parola Marchionissa Piscariae nel suo compendhim
23rocessuum.
Per far meglio rilevare gli addebiti mossi alla Colonna,
riprodurrò, come hanno fatto gli editori dell'epistolario
di essa, le accuse contenute ne' compendii e nell'estratto
de' processi pubblicati dal Corvisieri e dal Manzoni.

Compendio (o repertorio) de' processi del Sant'Officio


da Paolo III a Paolo IV (edito dal Corvisieri weWArch.
della Soc. roìiiana di St. patria, a. 1880, voi. III).

Marchionissa Piscariae filia spiritualis et discipula Cardinalis


Poli haeretici fol. 15 ex 1'-'
teste, et complex illius et aliorum haere-
ticorum ex Scoto fol. 84 fac. 2^ et fol. 85 fac. 1^ et ex 17 teste fol. 151
fac. 1.* falsa doctrina imbuta a Cardinale, et propterea illius araator,

ut ex pluribus litteris ad cardinalem Moronum a fol. 279 cum seq.


et 291 et 294. Possunt contra eam testificari moniales monasteriorum
in quibus deg-it Romae, Florentiae, et Viterbii fol. 15 et domina Isa-
bella bispana, quam docuerat sanctos non esse intercedendos, ibidem.
^"isitabatul' Romae a Guido Giannetto, a Scoto, a Bono et aliis hae-
reticis, ibidem fol. 15 a tergo et quod se detexit baereticam. Scoto
fol. 15 ibidem, ubi, in quibus, et de lectione libi'orum Lutheranorum
et fol. 85 fac. 1'"^.
Item praedicta Marchionissa complex haereticorum
ex 4. teste fol. 17 e fol. 84 fac. 2^. Item Marchionissa declaravit testi

adhaerere Contareni opinioni, quod sola fide iustificamur fol. 17 a tergo,


de quo in repetitione fol. 161, et se didicisse a Polo, a quo fuerat
persuasa fol. 29 in principio. Habuit scripta a Polo fol. 20. Ipsa cum
Polo et aliis suis amicis seduxit Rainerium Gualanum, ibidem a tergo
de eadem fol. 20 et ut Poli familiarissima habebatur , suspecta de
haeresi fol. 48 fac. 2* et fol. 49 fac. 2^, fol. 16 fac. 1^ et seq. Dicit
Ascanium fratrem fuisse notatum de suspitione fol. 53 fac. 2*. Intima
Moroni fol. 62 in fine et fol. 154 in fine et seq. Ipsa per litteras Poli

mittit fratrem Bernardum Mutinam ad praedicandum prò Morono fol.

156 et fol. 51 fac. 1* et in repetitione fol. 155 fac. P et apparet ex


litteris suis ad Moronum mittere de mandato Moroni fol. 296 fac. 1'*.

Ipsa et Polus male de fide sentiunt fol. 137 fac. 1*. Marchionissa
pecuniam de suis redditibus praestat haereticis , vel ad fidelium sub-
versionem largiebatur per Polum. Unde et sola in monasteriis vivebat
CAPITOLO XV 339

fol. 151 fac. 2''. Marchionissa maxime affecta propter falsam doctrinam
erga Cardinalem Morouum et illius complex , cur sub discipliua Poli
Cardinalis ex pluribus litteris suis ad Morouum a fol. 279, 280 et seq.
ad idem fol. 283 et seq. et quod Polus leg-atus in Concilium sit veluti

Cliristus mediator inter populos, et imprecatio prò eo coutra Lejj-atos


collegJis, et dicto fol. 283 illum veluti Christi uuntium expectat, ilhim
mirifice extollit in suis ad eum fol. 288 et seq. — Polum vocat suum
Eliseum, et Aloysium Priolum suum Giezi. Et de amore in eum arden-
tissimo et de inhibita doctrina fol. 290 et 291 et in aliis ad eumdem
ac etiam de nimio amore et reverentia in Polum in suis litteris ad
Morouum, unde tamquam carnalis a Priolo redarguebatur , et quoil
Christum videret in ilio fol. 292 et 293 fac. T' et idem fol. 294, ubi
etiam quod est singularissimum Dei instrumentum, per quod ipsa
acceperit doctrinam fol. 249 fac. P et 2* ad idem 296, ubi etiam
bortatur Moronuni ad relegenda scripta Poli domini sui , fol. 296 et
298 , ubi etiam de cura Poli et de auctoritate illius propter doctri-
nam etc. , et eum
optimum magistrum et dominum suum
appellat ,

et plura de eo et de Moreno in litteris ad Priolum fol. 302 et seq. et


ibi dicit Polum spiritum Dei, et iterum quod recipit absolute a Deo,

quantum Polus agit. Moronus fatetur, ab ea Polum Cardinalem unice


dileetum, ut ex teste eius patuit, et eam suspectam et infectam forsan
opinionibus fratris Bernardi Ocbini, et eam frequenter visitasse; in

sua confessione fol. 12 fac. 1* et 2^, ubi quod eam saepe visitabat

cardinalis Bembus et Sadoletus, et in constitutis a fol. 26 et sequen-


tibus, ubi interrogatur super litteris eiusdem marchionissae.
— Mnniales S. Catharinae de Viterbo suspectae ex litteris Marchio-
nissae Piscariae fol. 279 fac. 2^ et fol. 284 fac. P et 2=^ et fol. 200 fac. 1''.

— Cardinalis Polus doctor et complex Moroni ex litteris Marchio-


nissae Piscariae pluribus a fol. 279 eum seq Polus pater et
magister spiritualis in falsa doctrina Marchionissae Piscariae et ab ea
unice dilectus et nimio affectu ac reverentia adamatus propter istam
disciplinam fol. 15 ex eodem teste, et ex litteris Marchionissae fol. 279
et 280-282 et seq. 283 et 284 et in litteris Marchionissae Piscariae
ad ipsum fol. 288 et 289, 290, 291, 292, 293, 294, 296 et 298 et seq.
et 300, ubi Polum et Moronum mirifice extollit et fol. 302 et 303 ipse
Moronus fatetur Marchionissam toto animo et unice dilexisse Polum
in sua confessione fol. 12 fac. 2'' Seduxit Moronum et Marchio-
nissam eisque persuasit, ut ex 4 teste fol. 19.
-;- Raiiiei'ius Gualanus neapolitanus complex fol. 19; ex quarto
teste fol. 14 seductus a Marchionissa, Priolo et Flaminio fol. 20 a tergo,
ubi quod se illuminatum asserebat. Idem abiuravit fol. 30 fac. 1^.

— Moronus suspectus testi ex familiaritate eum Marchionissa


Piscariae f. 61 et f. 62 fac. 2^ et propter hanc familiaritatem suspectus
340 GIULIA GONZAGA

alteri testi f. 134 fac. 2.''^


et seq. et de hac familiaritate et conversione
patet ex literis fol. 279 cum seq.
plurimis datis et acceptis a
Habuit (Moronus) praedicatorem lutheranum Mutinae fratrem Ber-
nardum missum opera Poli et Marcbionissae Piscariae fol. 155 fac. P
et fol. 156 et ipse fatetur mississe sibi propositum et approbatum a
Polo et Priolo etiam aliis, sed etiam a fratribus sui Ordinis prò eru-
diendo populo haeresibus maculato , et benigne convertendo in confes-
sione sua, fol. 5 fac. 2.
— Moronus dare arguitur complex Marchionissae Piscariae et
Card. Poli, huius etiam discipulus in nova doctrina per litteras Mar-
chionissae et de intima secreta spirituali ac familiari conversatione
cum eisdem f. 279 et 280 et ad illam saepissime rescribebat et invicem
mutuas litteras accipiebat fol. 281 fac. 1* et 2* et seq. et ae idem in
aliis fol. 283, et fol. 284 et 286 et ad eundem in aliis litteris fol. 290
et 291 et de gratia et de summa Marchionissae benevolentia in Polum
et ad idem fol. 292, ubi significat Moronum didicisse a Polo et quod
orat ne discedat a concilio cum Polo prò propagatione falsae doctrinae,
ut ibi coUigitur et fol. 293 et ibi de nimio affectu et reverentia in
Polum et fol. 294 ad idem et 296 idem, ubi memorat Moronum de
Polo scripsisse plura et vocat Polum optimum magistrum domimim
nostrum et Mororum meum verum et salutiferum confortum f. 298
fac. 1* et 2^ ad idem extollens utriusque Poli et Moroni virtutes et
animorum coniunctionem et mutuam charitatem alludens ad doctrinam
communem f. 300 Moronus accipit litteras a Polo de Marchionissa,
cuius vehementem affectum et ardorem erga se comprobat. Eas Mo-
ronus Marchionissae mittit, ut ex litteris per Marchionissam ad Priolum
scriptis patet f. 302 , ubi disputat de affectione in Polum ,
quam ille

et aliis ut carnalem reprehendebant nostrum Rev.™ Moronum


, dicit

item dulcissimum meum et rev.™ Moronum. Moronus fulctus se no-


visse d. Marchionissam in sua confessione fol. 12 f. et in constituti fol. 26
et seq. ubi etiam exhibentìir et recognoscuntur litterae Marchionissae.
(E seguono accuse su Ascanio Colonna, già citate, su Alvise Friuli,
suir Ochino, sul Flaminio, su Girolaìiio Bono e su &. B. Scoto « haere-
ticus.... visitabat ^larchionissam Piscariae quam detexit haereticam n).

II. Dal processo dinanzi il di P. Cariiesecchi


Sant' Offlzio di Roma
Manzoni Misceli, di (edito da G. ,

St. italiana, Torino, 1870, Voi. X, da p. 189 a p. 573).

Lnterrogatus (10 nov. 1566) si ipse constitutus cognovit aut vidit, et


ex qua causa , quondam Tictoriam Coluiunam Marchionissam Pi-
scariae, et a quo tempore et ubi,

Respondit: L' ho conosciuta et osservata come meritava la vertù


di quella signora. La prima volta eh' io la vedesse et li baciasse la
, , ,

CAPITOLO XV 341

mano fu qui in Roma il primo anno di Papa l'aulo terzo per intro-
ductione, si ben mi ricordo, del Cardinale Palmieri, il quale era molto
amico di quella sig-nora. Di poi la reviddi a Fiorenza, essendo lei capi-
tata in quelle bande per andare alli bagni di Lucca, dove essendo
andato ancor io per mia buona sorte in quel tempo medesimo hebbi ,

occasione di pigliar ancor più stretta famigliarità et servitù con lei,


et la continuai poi iusin all'ultimo della sua vita, havendola in quel
mezzo revista più volte et qui in Roma et poi a Viterbo , nel tempo
cb' io ero appresso il Cardinale d' Inghilterra, essendosi lei retirata in
quella terra in un monasterio, del cui titolo non mi ricordo, per potere
secondo diceva , attendere a servire a Dio più (luietamente che non
faceva a Roma.
InteiTogatus si dictus D. Cardinalis (Polus) solebat habere colloquia
vel sermones cum eadem D. Marchionissa et de quibus rebus,
Rcspondit: Haveva spesso ragionamenti con quella signora et in
Roma et in Viterbo et sempre, credo delle cose di Dio ,
perchè 1' uno
e r altra se deiettava più di questo che di niun altro STibietto.
Et ad interrogationem dominorum
Respondit: I particolari di lor ragionamenti non poteva intendere
né io ne altri, perchè parlavano insieme senza arbitri et senza testi-
moni, che si ben il Flaminio, il Priuli et io accompagnavamo Sua
Signoria illustrissima al monasterio, non intervenivamo però alli loro
colloquii, ma se intertenevamo da noi o in chiesa o li intorno.
Interrogatus an sciai dictos etiam M. Anthonium Flaminium et Aloi-
siuìii Priolum conversatos et colloquutos fuisse cum eadem D. Marchionissa
et de quibus,

Respondit: Et questi signori ancora visitavano spesso la sudetta


signora et parlavano ancor essi di cose spirituali, mescolando però
ancor con esse delle profane et comune secondo che occorreva.
Interrogatus an ipse quoque intererat eorum colloquiis
Respondit: Intervenivo ancor io qualche volta alli ragionamenti loro.
Interrogatus an ipse constitutus et predicti D. Cardinalis Flanìinius
et Priulus loquuti fuerint cum eadem Marchionissa de dogmatibiis fidei et

qualiter ipsa sentiebat de fide


Respondit: Non mi ricordo che si sia parlato, né trattato tra noi
et quella signora d' altro dogma che della giustificatioue per la fede
et né anche questo saprei dire a punto con che circostautie ella se

tenesse, ma basta che 1' attribuiva molto alla gratia et alla fede in suoi
ragionamenti. Et d' altra parte nella vita et nelle attioni sue mostrava
di tenere gran conto dell' opere facendo grande elemosine et usando
charità universalmente con tutti, nel che veniva a osservare et seguire
il consiglio , che ella diceva haverli dato il Cardinale , al quale ella

credeva come a un oracolo, cioè che ella dovesse attendere a credere


, ,

342 GIULIA GONZAGA

come se per la fede sola s' bavesse a salvare, et d' altra parte atten-
dere ad operare come se la salute sua consistesse nelle opere, il che
ella mi referi un giorno, dicendo haver fatto instantia al sudetto Car-
dinale che li dicesse 1' opinione sua circa questo articulo della giusti-
non haverne potuto cavare altra resolutione che questa,
ficazione, et
né bavere poi bavuto ardire di dimandargli altro intorno a questo, né
altro dogma pertinente alla fede, dubitando di non offenderlo con la
troppa curiosità sua.
Iiiterrogatus an sciat vel audiverit dictam Marchio /lissam tenuisse
aliquas alias opiniones circa fideni suspectas,
Respondit: In verità non. E ben vero che mi pare bavere com-
preso, legende qualche suo sonetto, che ella tenesse la predestinatione
assolutamente, ma non so dire a ponto in che modo.
Interrogatus an ipsi vel illi habuerint sermones de aliis dogmatibiis

et quibus curri eadeni D. Marchionissa vel cura alii^ illiiis alumnis,fami-


liaribus, comitibus; viris et mulieribus ,

Respondit: Non mi ricordo d' haver parlato, né esser intervenuto


con li sopradetti ad alcuno parlamento che si sia fatto di cose scan-
dalose, né heretice con lei, né con nissuno di suoi, benché non cogno-
scevo né anche altri della sua famiglia, con chi avesse potuto trattare
di simil cose, excetto con una matrona, che stette seco insin alla

morte, et che credo si trovi bora viva in Roma, et chiamarsi madama


Prudentia.
Interrogatus si dieta domina Marchionissa habebat aniicitiani vel con-
versationeiji cum D. Itilia Gonzaga et cum domino Cardinali Morono et quam,
Respondit: Con la signora donna Giulia non haveva più amicitia
che tanto quanto bastava a conoscersi 1' un et 1' altra et volersi più ,

presto bene che altrimenti, né credo che si parlassero, né scrivessero


mai insieme (i).

Col Cardinale Morene mi pare ricordare che bavesse qualche


famigliarità et conversatione, benché non posso dire di haver mai visto
Sua Signoria Illustrissima con lei.

Interrogatus si scit dictam dominam Marchionissarn habuisse amicitiam


vel conversationem cum aliquibus hereticis vel de fide suspectis et quibus
Respondit: Ninno che sappi io, perché se bene era stata amicis-
sima di fra Bernardino da Siena, era stato innanzi che egli fusse suspetto
di heresia alcuna, et in quel tempo che era tenuto un sancto da tutti.

Et dicentibus dominis an sciat dictam Marchionissam scripsisse literas

ad aliquos hereticos vel de fide suspectos vel ab eis literas receperit

(1) Il Carnesecchi ignorava la lettera inviata da Vittoria a Giulia e


sequestrata tra le carte di quest' ultima. La riproduco in fine del volume
CAPITOLO XV 343

Respondit: Non mi ricordo né di Tiino, nò di altri (p. 2(jt5-271).

Ex ron-ititufo dici noiiae dccembris /o6G.


Interrogatus an dictus quoiidnm domitius Cainillus ff'rsiiiiis' habuerit
aniicifiutii rei coiiversationeiii cuai dieta quondani domina lulia rei cum
qtiondaiii Victoria Marckionissa Piscariae et cum iìlustrissiìnis Cardina-
lihm Polo, Morano, Contareno, Priulo et Fìamiiiio tei aliis siinilibus,

Respondit: Con la Signora donna Giulia non so che havesse mai


commertio ninno , né credo che si vedessero mai insieme , ma con la

signora Vittoria Colonna credo bene che havesse qualche conoscenza,


se non per altro, per esser il ditto sig. Camillo stato molto amico del
reverendissimo Cardinale Polo et per conseguente del Priuli et del
Flaminio. Di fiorone non dico ne si, né non ,
perchè non ne so nulla
in causa scientiae, et del Confc^rino credo che fusse amico e cosi del
Bembo.
Interrogatus si scit vel novit quae particularia colloquia interredehant
inter dictmn quondam Camillum et dictum dominum Cardinalem Polum,
Flaminiuid et Priuluiu et de causa eorum arnicitiae et dictae dominae
Marchionissae ,

Respondit: Io non posso testificare se non di quello che ho visto


et udito, però dirò quello che mi ricordo esser passato tra gli sudetti,
ragionando insieme in presentia mia, nel qual ragionamento interven-
nero anchora doi monachi di Santo Benedetto, che fu il parlare delle
tentationi, che pativa l'uomo christiano parte dalla carne, parte dal
diavolo et parte dal mondo: nel qual proposito il signor Camillo s'al-

largò et distese più che tutti.... Quanto alla signora Marchesa, quanto
ho detto, non so certo che fusse amicitia tra loro , ma son inclinato
più presto a credere di si che altrimenti per la medesima causa (pa-
gina 350-352).

Ex constituto eiusdern diei mercurii


. 19 febriiarii loG7.

Interrogatus si ipse constitutus novit fuisse aliquam arnicitiain vel

familiaritatem, et an etiam propter causam religionis, inter quondam


Victoriam Columnam Marckionissam Pischariae et dominava luliam Gon-
zagam,
Respondit : Io non so se le i)redette signore se vedessero mai,
né tampoco si scrivessero, donde la S. V. può facilmente considerare
che amicitia et Intelligentia potesse essere tra loro.
Et dicente dornino quod imo ipse d. constitutus novit dictas do/ninas

invicem olirm sihi scripsisse, et ideo velit recordari,


Respondit : Può essere che si habbiano scritto et eh' io l' habbia
saputo, ma in non me ne ricordo, ne deve parere gran fatto
verità
alla S. V., questo essendo già 20 anni passati che la Marchesa di
Pescara morse....
344 GIULIA GONZAGA

Iiìferrogatus an dieta domina lìdia et dieta domina 3Iarcliionissa


nos.sent quid inincem crederent circa religionem,

Respondit : Non mi ricordo né anche di questo, con tutto eli' io


creda d' bavere jiarlato più volte et alla Marchesa della signora donna
Giulia et a donna Giulia di lei.

Interrogatm ut specifice dicat in quibus articulis dieta doinina Mar-


chionissa deviabat a fide eatholica,
Respondit: Non posso dire di certa scientia che quella signora
deviasse in nissun articulo dalla fede eatholica, ma ho bene per opi-
nione eh' ella tenesse l' articulo della giustificatione per la fede, se ben
non mi ricordo che ella s' aprisse mai totalmente meco che io lo possi

testificare altrimenti che per eoniettura, fondata principalmente nella


intrinsichezza, che haveva havuta con fra Bernardino Ochino, et poi
in quella che hebbe poi col Friuli et col Flaminio, i quali tenevano
ancor essi medesima opinione circa il suddetto articulo, oltre all' in-
la

ditio, che di ciò danno i sonetti composti et stampati di detta signora.

Interrogatus an ipse dominus constitutus conveniebat cum dieta domina


Marchionissa et cum domino Aloisio Priulo vel aliis, et invicem conferc-
bant de rebus fidei et de quibus articulis,
Respondit : Era tra noi convenientia, quanto al sudetto articulo ;

dico tra noi, cioè tra il Friuli et il Flaminio et me, ma se fusse tra
loro et la Marchesa, non ne posso dire nulla affirmativamente, perchè
non mi ricordo d'essermi trovato presente ad alcuno ragionamento
occorso tra essa Marchesa et li sudetti, per il quale habbia potuto
venire in cognitione di questo particulare.
Et ad aliani interrogationem dominorum,
Dixit trovavamo alcune volte insieme, o il Friuli o il Fla-
: Ci
minio et io, o tutti e tre di compagnia con la detta Marchesa, ma i
nostri ragionamenti erano per la maggior parte di cose comuni et
indifferenti, et si pure si parlava di cose di religione, se ne parlava in
generale, discorrendo i:!erbi gratia sopra la providenza che ha Dio de' suoi,
et lodando la humiltà come fondamento di tutte le altre vertù Chri-
stiane, et parlando poi della mortificatione, alla quale deve attendere
il christiano, et similia.
Interrogatus an ipse dominus constitutus quandoque snìus adibat dictam
dominam Marckionissam et cum ea colloiiuebatur et an de rebus fidei et

quibus,
Respondit : Non mi ricordo intorno a ciò d' alcuno particulare,
essendo cosa ormai di 24 anni, non negando però di non mi ricordare
d' haverla visitata più volte, et mentre era a Viterbo, et poi qui a Roma
io solo, et di haver ragionato seco a longo, ma per quello che mi
ricordo, i nostri ragionamenti erano la maggior parte in laude del
Cardinale Folo, come subbietto che deiettava ambedue, et il resto poi.
,

CAPITOLO XV 345

a dire il vero, era più tosto di cose i)rofane et temporali che di cose
spirituali et divine. Et insomma non mi ricordo di haver conferito seco
di alcun dogma di quelli, che sono in discettatione.

(Precede qui la lettera di Vittoria a (riulia Gonzaga — che ripro-


durrò in appresso — intorno alla quale il Carnesecchi <• esariiinato'. :

Quiljus per euui visis et lectis, et super eis interrogatus,


Dixit : Io reconosco la mano
della signora Marchesa che l' ha
scritta la lettera, et commemoratione, che si fa in detta
con tutta la

lettera de' presenti mandati mentre io era a Viterbo, dalla signora


,

donna Giulia al Cardinale, non mi posso ricordare di questo fatto, mercè


della mia infelice memoria già tante volte da me deplorata di sopra.
Et quanto alla interpretatione della lettera in quella parte ove dice :

quello che Dio per ottimi mezzi li ha coraunicato, dico non sapermi ima-
ginare che detta signora volesse intendere altro, che là dottrina et
institutione, che la signora donna Giulia haveva havuta per mezzo del
Valdes, ancor eh" io non sappia corto quello che essa Marchesa per
altro se sentisse delli scritti et opinioni del suddetto Valdes.
Et quella espositione di San Paulo credo che sia quella del \'aldes,

come ho detto di sopra.


Interrogatus nonne etiam ex hiJice literis apparet dictuin Marchio-
nissarn accepissc opiniones haereficas a dicfo doinino Cardinali Polo, duni
dicit: Io che sono a Sua Signoria reverendissima della salute dell' anima
et di quella del corpo obligata, che 1' una per superstitione, et 1' altra
per mal governo era in periculo,
Respondit: Io quant' a me non ne cavo questa conclusione, inter-
pretando la parola di quella signora in buona parte, cioè che la volesse
inferire che col mezzo de' buoni consigli et ricordi del cardinal Polo
del quale si parla in questa lettera, essa Marchesa se fusse ridutta
quasi dall' estremo al mezzo, cosi circa le cose appertinenti alla salute
dell' anima, come quelle che concernevano alla sanità del corpo.

Et ad aliam intcrrogationern.
Dixit : La signora Marchesa, avanti che pigliasse 1' amicitia del
Cardinale, si affliggeva talmente con digiuni, cilicii et altre sorte di
mortifìcationi della carne, che si era ridotta ad bavere q\iasi la ]jelle

in suir osso, et ciò faceva forse con ponere troppa confidentia in simili
opere, imaginandosi che in esse consistesse la vera pietà et religione,
et per consequente la salute dell' anima sua. Ma poi che fu admonita
dal Cardinale che ella piuttosto oftendeva Dio che altrimenti, con usare
tanta austerità et rigore centra il suo corpo, con ciò sia che prima
dice San Paulo ad Timofheuni che corporalis exercitatio admodum ralet
ad pietatern (il che però mi imagino, et non so certo, che fusse da Sua
Signoria illustrissima addotto in questo proposito, poi che il christiano
è obligato ad haver cura del suo corpo, et conservare quel tabernaculo
346 GIULIA GONZAGil

che Dio r ha posto, insin che piace di ripeterlo a chi I' ha dato) la

suddetta signora cominciò a retirarsi da quella vita così austera, re-


ducendosi a poco a poco a una mediocrità ragionevole et honesta.
Ef elicente domino quod imo dieta Marchionissa intelU{/it sub noniine
superstitionuni religionem catholicam et dogmata et ritus fldei orthodoxae
consueto laore haereticorum,
Resj)0/ìdit : Io ho avuto da fare assai a interpretare tante et tante
lettere scritte da me alla signora donna Giulia, et ho hormai tanto
stanca la mente et li spiriti che non posso attendere alla interpretatione

di lettere d' altri, et però, senza contrastare altrimenti, mi rimetterò a


quello, che sia il più vero et il più legittimo senso delle suddette parole.
Et repìicante domino nonne recordatur ipse dominus constitutus in

literis siiis ad eandem dominam IiUtam scripsisse, per dictam dominam


luliam se fiùsse liberatuni a superstitiosa et falsa religione, et super eis

interrogatum, interpretatimi fiiisse, quod voluerit intelìigere de opinion ibus


circa iustiflcationem ex sola fide, et de operibus et siinilibus, qua^, opera

dominae luliae, a Valdesio didicerat, et quare sirniliter non interpretatur


has literas super nomine superstitionis,
Bespondit: Non mi soviene a punto né di quel che si contenesse
quella mia lettera, ne della interpretazione che li fiisse data da me
allhora, ma presupposto che sia così, come V. S. dice, non mi pare che
sitex consequenti che si debbano interpretare le parole della signora
Marchesa nel medesimo senso che le mie, essendo differentia del grado,
nel che era ciascuno di noi, lei avanti che apprendesse la disciplina
del Cardinale, et io avanti che per mezzo di donna Giulia apprendessi
quella del Valdes.
Et dicto sibi quod imo haeretici, praesertim moderni, et alii male
sentientes de fide (ut etiam ex praesenti processu colligiturj vocant super-
stitiosos deditos religioni et pietatis operihìis, et superstitionem regulas,

institutiones et discipUnas ecclesiasticas, et ideo cum i/la scribat se libe-

ratam a superstitionibtis intelìigere videtur, a fidei cafliolicae doctrina seu

religione et eiiis ritibus et sacris institutis,

Bespondit: A me pare che per solvere questa questione bisogne-


rebbe che ipsamet Marchionissa reviveret ^ et comparer et ad dicendam
causam suam.
Monitus ut velit omnia et quaecunque ipse dominus
libere fateri

constitutus scit de dieta domina Marchionissa et Cardinali Polo, omissis


quibuscunque aliis excusationibus, cum non possit dici vere poenitens, ncque
sincere reversus, nisi integram indimimitamque verifatem tam de se ipso,

quam de aliis, nulla personarum habita ratione, propalaverit,


Bespondit : Io non posso dire con verità di sapere altro di quello
che ho detto, né so vedere perché si debba dubitare che io non dichi
sincerissimamente tutto quello che so, se non di quelle cose che ap-
, , , , ,

CAPITOLO XV 347

parteng-ono a me, nelle quali pur fo professione d' haver detto la verità,
per quanto mi è stato sug:gerito dalla conscientia et memoria mia in-
sieme, almeno di quelle che appartengono ad altri, et massime a quelli

dai quali, non essendo più in questo mondo, non posso più né sperare
né temere cosa alcuna, potendo all' incontro temere di esser gravemente
punito in questo mondo et nel altro, tacendo et dissimulando quello
che io son obligato di dire et di confessare.
Iitterrogatus quid ipse domimis constitutm intelligat per iUa verha
dictantiit ìiteraruni: si che se non fusse M. Luisi Friuli et il signor
Carnesecchi, io starei male,
Respondit: Non credo che volesse inferire altro che quello che
sonano le parole istesse, cioè che se non fosse stata visitata più spesso
dal Friuli et da me, che dal Flaminio, che harebbe sentito più la
solitudine della stanza di Viterbo che cosi non faceva....

Iiiterrogafus de quibus ipse domiiius ronstUnfus credat dictam Mar-


chìonissam iììtelUgere diim scrihif: Et pensando che tutti scrivano a
V. S. la ottima volontà di Monsignor verso lei, non ardirò di fare
questa lettera più longa
Respondit: Credo volesse intendere per l'ordinario del Flaminio
et di me, ma per occasione del presente mandato , et forse accompa-
gnato dalla suddetta signora donna Giulia con una sua lettera al Car-
dinale, potrebbe essere che havesse inteso in quel tempo ancora del
Friuli , come quello che , essendo quasi la man destra del Cardinale
presupponeva che dovesse rispondere a essa signora ringratiandola etc.

Et in fine eiusdeni constituti


Et i/iter scribendum dixit a se ipso: L'Abbate di San Saluto (•)

ancora visitava spesso la suddetta Marchesa in quel tempo che lei era
in Viterbo, dove lui era vicelegato.

Ex constitiito diei io vis /O febriiarii lòdi.


Interrogatiti si dieta domina Victoria Columna Marchionissa Piscariae
accepit cornniodato ab ipso domino constituto vel Flaminio tei Priulo ali-

quos libros
Rfspondit: Di me posso affermare, per quanto mi ricordo però,
dinon bavere prestato, né donato libri a quella signora, et delli altri
non so rendere conto.
Et dicentibus dorninis si dieta domina Marchionissa legit Ubrum de
Beneficio Christi et aìios similes
Respondit: Né anche di questo so cosa alcuna.
Et cum haee scriberentur,

(') Cioè Vincenzo Farpaglia, abate di San Solutore di Torino.


348 GIULIA GONZAGA

Dixit: Ma potrebbe forse saperne qualche cosa una M.* Prudentia,


elle stava con lei, et che l' accompagnò insin alla morte, la quale donna
non so già se sia viva o morta, non havendone da tre anni in qua
inteso nova alcuna.
Interrogafus aa dieta domina Marcliionissa legerit fune Lutkerum,
Bucerum, Brentiuni rei Calvinum aut MelancMonem aut aìiorum liaereti-

corum libros,

Bespondit: Io non lo so, né lo credo, massime havendo il Cardi-


nale più volte ammonito la detta Signora che non dovesse esser troppo
curiosa, et che dovesse stare dentro ai termini convenienti al sesso
et alla humiltà et modestia sua, il che veniva a essere de direcfo con-
trario alla tentatione che li fusse venuta di leggere simili libri.

Ef dicentibus dominis si dicius domimis Cardinalis ipsam de hoc


admonuif, ergo erat curiosa legere libros huiusmodi,
Bespondit: Io non dico che il Cardinale l' avesse admonita di

questo più che d' altro ; ma che 1' aveva admonita in generale che si

dovesse guardare dalla curiosità.


Et replicantibus dominis qtiod imo per deposifiones aliquoruni constai
dictara doniinam Marcliionissarii deìectatam fuisse Uctione librorum huiu-
smodi haereticorum,
Bpspondit: Non nego che questo non possi essere, ma dico che
non ne so niente et che tengo per certo che quando pur l' avesse fatto,
r harebbe tenuto occulto et a me et alli altri familiari del Cardinale,
con paura che 1' havesse risaputa.
Interrogatus quid dieta domina Marehionissa de Luthero et Calvino
sentirei, saltem in privatis colloquiis habitis cum ipso et aliis familiaribus

dicti domini Cardinalis,


Bespondit: Non mi ricordo d'aver mai tenuto proposito seco, ne
solo, né accompagnato delli sudetti authori.

Et replicantibus dominis quod non est verisimile, cum constet ipsum


dominum constitutum et alios dicti Cardinali^ familiares saepius legisse

libros haereticorum huiusmodi, et super eis contulisse, et dieat an etiam


de Bernardino Ochino tunc sermonem habuerint,
Bespondit: Io confesso che ne legevamo qualche volta il Flaminio
et io, et forse anche il Friuli, ma non so certo, perché dubitava,
di lei
secondo me, che risapendolo il Cardinale non l' havesse ripresa, imperò
non est ex consequenti che noi dovessimo parlare et conferire di tal cosa
con la Marchesa, dovendosene guardare, se non per altro, per rispetto
del Cardinale sudetto, che detestava tal curiosità et in lei et in tutti

generalmente. Quanto mo a fra Bernardino non mi ricordo a punto


quello, che ella se dicesse di lui in quel tempo ,
perché non se era
ancora fugito in terra de heretici, quando io ero in Viterbo, ma credo
ben per certo cbe fusse da lei biasimata et detestata la resolutione
CAPITOLO XV 349

di ciò presa da lui, se bene li liaveva per iimnzi portato molta reve-
rentia et rispetto (p. 498-505).

Hx consfitiifo diei luiutr io muiiit isai.


Ltterrogatus quani aiukitiam habfhat Barfholomeu.s Spatafora chui
Marchioiiissa Piscariae et Cardiiìali Polo, et an fipud aW'ruiii eoniui illuni
cognofìcerit,

Respondit: Io mi ricordo bavere reso conto di sopra un' altra volta


dell' occasione che presi amicizia con quel g:entiluomo, imperò tornerò
a replicarlo per satisfatione delle Signorie \'ostre, dicendo d' haverlo
conosciuto nell'anno 1545 o 4(3 in Roma per mezo della signora mar-
chesa di Pescara, essendosi alcuna volta atrrontati insieme l'un l'altro

di noi a visitare in un medesimo tempo la sudetta signora, con la

quale pareva che egli avesse molta familiarità ; ma per qual mezzo se
r havesse contratta io non lo so. Ma col cardinale Polo credo la con-
traesse per mezo del barone del Burcio, eh' era un gran gentilhuomo
siciliano, il quale stava allora qui al governo del duca Octavio et delle
cose sue, et era molto amico et servitore del Cardinale sudetto, il quale
allora però se trovava absente (p. 525).
Et in quadam coiifessione pei' eundem constitiitum facta cu/'n detine-
retur in carceribus Turris Nonae, postquam curiae saeculari traditus esset,
in fine processus :

— Occorrerai apresso aggiungere due cose, le quali forse parerà


stranio o che non mi sia venuto in mente prima che adesso, o vero
che siano state taciute et simulate da me così longamente, ma bisogna
che mi sia perdonato dalla benignità et clementia dell! illustrissimi et

reverendissimi miei signori ancora questo errore, con infiniti altri,

accettando in grado questa confessione che fo adesso, come se l' ha-


vesse fatta insin dal primo giorno che cominciai ad essaminarmi. Dico
dunque, che nel tempo che si fece il decreto dal Concilio di Trento
sopra l'articulo della giustificatione, essendosi il Cardinale d' Inghilterra
bona memoria ammalato di catarro, et per questo retiratosi fuora di
Trento a non so che luogo più ameno et salubre, la signora Marchesa
di Pescara se ne rallegrò meco come di cosa che fusse tornata mira-
bilmente a proposito del sudetto signore, dicendo che Dio haveva
quasi miracolosamente disposto et ordinato cosi, acciò che il Cardinale
non fusse intervenuto a tal decreto, quasi volesse inferire di sapere
che fusse discrepante il senso di S. S. illustrissima da quello, che
tenevano gli altri, il che me fu similmente confìrmato poi et dal Fla-
minio et dal Priuli, quando fumo tornati da Trento a Roma; ma non
mi dissero già in che particolarmente consistesse la differentia delle
opinioni, né io fui da tanto che me li domandassi per allhora, spe-
rando credo, di bavere tempo a farlo un'altra volta con più agio, il
350 GIULIA GONZAGA

che poi non segui per essermi in capo a pochi di partito da Bagnorea,
dove erano allhora, per la volta di Fiorenza, et poi di Francia.

Restami hora a dire una cosa, clie in verità non mi è sovvenuta


prima che da pochi giorni in qua, attenente alla signora Marchesa
predetta, et quest' è eh' ella mi disse un giorno d' aver letto il com-
mento d' un salmo di David che comincia : Erucfavit cor meunì verbuni
bonmn, il quale li era piaciuto mirabilmente, et tal commento era di
Martino Luthero, imperò che li era stato mostrato sotto nome d'un' altra
persona, et che da lei era stato letto con tale credenza et con tanto
gusto et deletto, che non si ricordava d' haverlo mai sentito maggiore
d' alcuna altra lettione di cose moderne.

Vittoria Colonna morì il 1547, Poco sappiamo intorno


a' suoi ultimi giorni. Nel capitolo che segue dirò in pro-
posito qualche cosa di più speciale e quindi esporrò il

risultato delle mie indagini sulla tomba della illustre

poetessa.
XVI

La Tomba tìi Vittoria Colonna.

/ testamenti di Vittoria Colonna - Provvisorietà della tomba in Sant'Anna


de' Funari - Esarni di documenti che escludono che la salma sia
stata deposta nella sepoltura comune delle monache di quella chiesa
- Spi''ga:ioni sul difetto di indagini fino ad oggi della tomba e sul-

l' oblio, in cui essa rimase - Motivi di carattere religioso e di con-


venienza, che determinarono la traslazione a Napoli, confermati da
interessi e d^a rapporti di famiglia - Il tempio di San Domenico
Maggiore in Napoli - La salma del Marchese di Pescara deposta
in quella Chiesa - Vicende di essa e delle casse di illustri estinti

ivi raccolte - La sagrestia di San Domenico Maggiore e le due casse


coli' tmica designazione epigrafica di Marchese di Pescara - Spie-
gazioni che possono darsi alle dette epigrafi ed esame delle due casse
tauti - Connotati esterni del tauto contenente i resti attribuibili

alla poetessa - Esame scheletrico e constatazione del sesso: indu-


menti ed altri particolari - Una lettera del principe Marcantonio
Colonna a proposito del risultato delle mie indagini - Ragioni varie,
sommariamente esposte, a conforto delle mie conclusioni sulla tomba
di Vittoria Colonna - L' opinione di Francesco Fiorentino.

Vittoria Colonna, assalita da grave malore nel 1547 e


trovandosi nel monastero di Sant'Anna de' Funari in Roma,
allora detto di S. Maria in Julia, aveva disposto delle sue
ultime volontà col testamento 27 gennaio di quell' anno,
redatto dal notaio Pirotta. Fu da me esaminato nel volume
di atti conservatici del Pirotta: non porta la firma della
testatrice. E da supporre che Vittoria o trovandosi meglio
rimandasse ad altro tempo il completamento di quell'atto,
352 GIULIA GONZAGA

ovvero, anche peggiorando, non potesse firmarlo. Certo è


che tra esso testamento ed altro di terza persona si scorge
uno spazio bianco, destinato senza dubbio ad essere col-
mato da una formola notarile e dalla firma autografa.
Trasportata la poetessa nel vicino palazzo de'Cesarini,
suoi parenti (oggi palazzo Chiassi, di fronte al teatro Ar-
gentina, e con un lato sul Corso Vittorio Emanuele) Vit-
toria Colonna, pure per atti del Pirotta, fece un nuovo
testamento, da lei firmato. In questo ripetè gran parte
delle disposizioni inserite nel primo, e così , coli' uno e
coir altro, provvide rispetto alla sua sepoltura: « voluti
et mandavit cum (anima) de corpore separavi contigerit,
corpus suwn in ecclesiastica sepultura sepeliri eligenda
per Venerabilem Abhatissam illius Monasterii in quo
separatio corporis et aniynae fieri contigeynt, iuxta stylum
et consuetudinem illius monasterii ».
Il 27 febbraio 1547 la poetessa spirava e la spoglia

dalla casa dei Cesarini era trasportata in Sant' Anna dei


Funari ed era ivi deposta provvisoriamente. E si com-

prende, dopo quanto sopra ho narrato della sua professione


valdesiana e de' suoi rapporti co' seguaci del Valdes, come
r esecuzione della volontà della defunta rimanesse sospesa
e provvisoriamente si collocasse in S. Anna la cassa mor-
tuaria. La Badessa, che non ignorava le accuse rivolte a
Vittoria (si è visto che le monache tutte soìio designiate
quali testiinoni a carico contro di lei), rinunziò volen-
tieri all'esercizio delle facoltà contemplate nel testamento;
uno degli esecutori testamentari, Bartolomeo Stella, non
si fece più vivo l' altro,
; Lorenzo Bonorio, volle trarsi
d' impaccio facendo capo ad Ascanio Colonna, allora fug-
giasco, e finalmente gli stessi protettori del testamento,
tutti compreso il Polo (che per non compro-
inquisiti,

mettersi ulteriormente aveva forse suggerito a Vittoria


di lasciargli solo fiduciariamente 9000 scudi per mezzo
del Soranzo) abdicarono tacitamente al mandato di protet-

tori del testamento ed a quello di invigilare la disposi-

zione pili sacra del testamento stesso.


CAPITOLO XVI 35r-f

La provvisoi'ietà della tomba in Sant'Anna non è solo


r effetto logico di tutti questi presu{)posti della vita della
Colonnese; ma è anche un fatto non dubbio, derivante
da elementi precisi, consacrati in quattro lettere dell'udi-
tore Bonorio, che provvide al temporaneo deposito della
cassa della poetessa. Queste lettere si leggono a pag. 12,
13 e 14 dell' opuscolo, edito nel 1887 da Don Fabrizio
Colonna, e che porta il titolo: La tomba di Vittoria
Colonna.
Con una prima lettera del 25 febbraio 1547 il Bonorio
così scrive ad Ascanio Colonna:

la sig-.'^ Marchesa questa mattina.... passò all' altra vita


alle elicisele bore et un quarto. Essi questa sera di notte cum consulta
di tre R.™' nominati nel testamento e di tutti i SS. parenti maschi e
femmine, deposto il corpo in S. Anna con ordine se ne faccia quello che
V. E. vorrà, non volendo far altro si resterà li.

Il 27 febbraio , due giorni dopo , il Bonorio scrive


ad Ascanio :

il corpo si sta ancora in una cassa impeciata : sarà bene


che V. E. comandi se vuole che resti lì.

In una tèrza lettera, dell'ultimo di febbraio, lo stesso


Bonorio dice:

cum consulta del Rev.™" d' Inghilterra (qui compare e


per una sol volta il Polo) s' è dato a far la cassa... et allocarassi dove
sarà r opinione di quelli che intendono, in la Chiesa di S. Anna, da

potersi levare ognora che ne le venisse voglia.

Finalmente il 15 marzo 1547 il Bonorio scrive al

fratello di Vittoria:

del corpo si è seguito l'ordine suo; è in una cassa


impeciata: fra tre dì si porrà in quella di velluto in alto et se sarà
indicato sia meglio lasciare il corpo dove è per V effetto che V. E. scrive,

si lascerà.

Da queste lettere, estratte dall' Archivio di casa Co-


lonna, scritte dall'esecutore testamentario, si traggono

23
354 GIULIA GONZAGA

alcune importanti conclusioni , sulle quali richiamo l' at-

tenzione dei lettori :

1.° la deposizione della Colonna a Sant'Anna


Che
fu considerata sempre provvisoria, ed anche quando Ascanio
risolvette di indicare quel luogo come il più opportuno
per sede definitiva, il Bonorio, l'intendente della casa,

invece di annuire prontmnente (ed essendo trascorsi 18


giorni dalla morte una decisione sembrava matura) ac-
cenna a qualche possibile difficoltà, mettendo innanzi una
condizionale di opportunità « et se sarà indicato sia me-
glio lasciare il corjoo lì ».

2.^ Dalle lettere si rileva un connotato esteriore


della cassa: la cassa era stata iìnpeciata.
3.° Finalmente dalla lettera del 15 marzo si ha
che la cassa venne posta in alto. « Questo documento —
giustamente osserva Don Fabrizio Colonna — esclude che
il corpo fosse deposto nella sepoltura comune, ed essen-
dosi deliberato di collocarlo in alto, dà luogo a credere
che forse venisse posto in una delle pareti della chiesa,
siccome usavasi fare innanzi al Concilio di Trento ».

Ed io , a suffragare l' autorevole parere del discen-


dente di Vittoria, osserverò :

1 P Che la cassa rimase in alto per espressa volontà


del fratello Ascanio, chiamato erede universale nel testa-
mento della poetessa; e così, effettuandosi un trasporto,
sarebbe stata con ogni probabilità tenuta ugualmente in alto.
2.^ Che nella fossa comune delle monache non fu

deposta, perchè non era in armonia colla volontà della


ciò
defunta. Le parole di lei accennano evidentemente ad una
tomba speciale, e, volendo altrimenti, avrebbe ella stessa
indicata la fossa comune. Non jìoteva poi essere messa
nella fossa comune (ne la Colonnese quando dettava le sue
ultime volontà poteva ignorare ciò) contravvenendosi in

caso opposto al diritto canonico ,


perchè Vittoria non
fu monaca (e solo i resti di monache potevano essere
raccolti in unico sepolcreto), ed a simile divieto legale
CAPITOLO XVI Soó

non si sarebbe l'alto davvei'o un' eccezione proprio per


una valdesiana, por una propa^jandista Ira le stesse mo-
nache della dottrina di Giovanni V'aldes.
È ben vero che un ordine di Pio V disponeva che
le casse rimaste in alto nelle chiese si dovessero rego-
larmente seppellire. Ma se la salma della Colonnese non
fosse stata giìi precedentemente trasportata via, non avrebbe
il Papa accordato un' eccezione per i resti della donna
ch'era zia di quel Marcatonio Colonna, cui la chiesa e la ci-

viltà dovevano in parte la battaglia di Lepanto? Non erano


queste eccezioni frequenti , come si può anche rilevare
da una visita alla chiesa di San Domenico Maggiore a
Napoli? E non potendosi deporre, per diritto canonico,
nel sepolcreto comune, si sarebbe scavata una tomba spe-
ciale, senza che di questa, del nome di chi la ordinò, delle
spese incontrate nulla si sapesse, anzi senza che della tomba
nessuna traccia si fosse trovata quando fu demolita la
chiesa Sant'Anna? E Marcantonio, nel suo trionfo sul
di

Campidoglio, nel periodo del massimo prestigio della sua


famiglia, non si sarebbe ricordato di onorare degnamente
i resti della zia immortale, supposto che si conservassero
ancora in Sant'Anna? Se il dubbio del sepolcreto comune,
accogliente la salma della Colonnese, fosse menomamente
esistito (ipotesi, ripeto, inconciliabile col diritto canonico,
colla volontà della testatrice e dell'erede, co' precedenti
biografici della poetessa), sul finire del secolo passato e
del presente, quando si scoprì la tomba di Raff'aello e si
addivenne ad altre scoperte, non sarebbe pure sorta l'idea
di fare un' indagine tanto modesta come fatica e tanto
preziosa come risultato , nella mente di uno de' tanti che
onoravano Roma colle loro ricerche storiche, quali il Can-
cellieri, il Fea, il Guattani, il De Romanis, E. Q. Visconti,
il Siepi, r Odescalchi ed altri? E l'accurato editore delle
Rime della Colonnese, Pietro Ercole Visconti, poteva
ciò credere sinceramente, quando lanciava, quasi pauroso
di soffermarvisi, quell' ipotesi o quella cervellotica sup-
356 GIULIA GONZAGA

posizione ? {^). Avendo davvero quel sospetto , non si sa-


rebbe affrettato di squarciare il mistero con una tenuis-
sima spesa di poche lire, anzi di pochi soldi, quando per
queir edizione pur faceva spendere varie migliaia di lire

al principe Don Alessandro Torlonia?


La verità vera è che non già si credeva all' esistenza
in Sant'Anna della cassa : solo si temeva di fare una ricerca

che da una parte poteva giovare a risvegliare il ricordo


della poetessa, troppo nota anche quale seguace del Valdes,
e dall' altra — per un risultato negativo — avrebbe fatto
stigmatizzare certi tempi non troppo onorevoli ed onorandi
per la chiesa di Cristo. Si seguitò perciò in una congiura
di silenzio, o peggio, di vaghe, differenti voci, congiura
affermatasi identica nel fine, non mai interrotta nel tempo,
dalla morte di Vittoria in poi.

Già il vescovo Giovio non aveva potuto frenarsi per


certi addebiti mossi all'illustre donna, e ne' suoi Dialoghi
delle imprese militari ed amorose scrisse di Vittoria:

Essa signora anchor che tenesse vita secondo la disciplina Chri-

stiana, pudica e mortificata, fusse pia e liberale verso ognuno, non le

mancarono però invidiosi e maligni, che le davano molestia e distur-


bavano i suoi altissimi concetti; ma si consolava che que' tali credendo
di nuocere a lei, nuocevano a sé stessi e fu più che vero per molte ;

ragioni che ora non accade dire.

Oltre il silenzio premeditato, concorse più tardi a


rendere diffìcile di stabilire l'ubicazione della tomba anche
la malafede rivelatasi con indicazioni varie e contraddit-
torie, che, raccolte da scrittori, potevano e dovevano

(1) « Volle con cristiana umiltà che tale fosse il suo funerale (?),

quale di una religiosa del monastero, dove cessasse la vita. Di che


avvenne, come io stimo, che nel comune sepolcro delle monache di
S. Anna venisse deposta » ( p. CXXXIX della vita premessa all' edizione
delle rime, fatta il 1840). Ma in qual parte del testamento ha letto il

Visconti quella novità ? O come dalle parole, innanzi pur da me citate,

ha potuto trarre questa bella conseguenza?


CAPITOLO XVI 357

ingenerare confusione su questo tema. Incominciarono i

dissensi sul luogo, ove fini di vivere una donna, clie del
suo nome aveva empito la prima metà del secolo XVI, della
quale nelle loro lettere si professano ammiratoi'i Cai-lo V,
Clemente VII, Alichelangiolo, la regina di Navarra, gli
ingegni più eletti del tempo. È morta a Viterbo, secondo
il Crescimbeni, il Quadrio, il Roscio ed altri: a Milano,

nel monastero di S. Maria, secondo il Bulifon, il Bullart,


il Moreri: Roma, secondo Filocolo Alicarnasseo: in altre
in

città, altri. Né minori le differenze delle attesta-


secondo
zioni riguardo all' anno della morte. Il BuUait assegna il
1545, il Giovio il 1546, il Tuano il 1547 ecc. e le incer-
tezze e le contraddizioni sono tante che Luisa Bergalli,
diligente raccoglitrice di rime di donne del secolo di
Vittoria e di tempi posteriori, fu obbligata a porre in
modo indeterminato i termini di quella data, fissando l'anno
della morte tra il 1541 ed il 1549; quando invece, per
persone tanto inferiori alla fama di Vittoria Colonna, si

hanno concordanze sul tempo e sul luogo del decesso.


Ma la traslazione, resa sopratutto necessaria anche per
convenienze religiose, dovette aver luogo con grandissima
segretezza per impedire tra le suore uno scandalo, inevi-
tabile nel caso che la cosa fosse trapelata. E quando co-
minciò forse a trapelare, per soffocare il dubbio, si sparse la
voce che Vittoria si trovasse sepolta nella fossa comune,
anzi accanto alla beata Santuccia (bella compagnia: una
beata, o ritenuta beata, accanto ad una valdesiana!); e
r affermazione fu suffragata dalla narrazione de' soliti
miracoli La commedia fu assai bene concertata si prestò
! :

a rappresentarla una monaca, la reverenda Madre San-


tuccia donna Battista del Bufalo, dell' età più reverenda
ancora di 87 anni. Questa buona suora aveva sentito pro-
nunciare da una bambina, appena nata, il nome di Gesù e
Maria, nell' atto che veniva immersa nel sacro fonte aveva ;

scorto sollevarsi il morta mezzo


braccio di una persona,
secolo prima ed avea anche veduto contemporaneamente
358 GIULIA GONZAGA

la cassa di Vittoria discendere colla beata fondatrice nel


comune sepolcreto! E ad futuram rei memoriam,
tutto ciò,
meglio ad praesentem, donna Battista volle certificare
in un curioso documento, edito dal Ch, Tordi.
Ad ogni modo è noto che nel 1887, abbattendosi la
chiesa di S. Anna per miglioramenti edilizi del quartiere
Regola, si fecero indagini minutissime affine di rinvenire
sotterra la cassa di Vittoria Colonna, ed il risultato fu
negativo. Del resto era da supporre che la cassa d' una
donna illustre — come la Colonnese — trovandosi già
collocata in alto, non sarebbe poi stata deposta sotterra
se non nel solo caso di costruzione di apposita tomba, pro-
getto non mai pensato ed eseguito. È probabile il solo caso
opposto, che da una tomba comune si estraggano avanzi di

una persona illustre per meglio conservarli sopra terra!


E qui , nome insigne della Colonnese si op-
oltre al ,

ponevano , come ho ricordato varie volte considerazioni ,

di diritto canonico e convenienze religiose ed altri motivi


già addotti ,
per concedere nel sepolcreto delle suore un
ultimo asilo alla illustre spoglia.
Dove ha potuto essere trasportata quella cassa?
Don Fabrizio Colonna, nel citato op. a pag. 15 scrive:

Tre furono i sepolcri de' Colonna del ramo primogenito al quale


la Marchesana apparteneva: in SS. Apostoli, in S. Giovanni Laterano e
nella cappella Ducale in Fallano. Ora in nessuno di questi esiste il

corpo dell'illustre Colonnese. Che poi le monache lo abbiano portato seco


nel loro passaggio al Monastero di Campo Marzio, ciò sarebbe sup-
ponibile se si lìotesse arnmettere che fosse stato seppellito nel sepolcro comune;
ma ciò, come abbiamo accennato, non si verificò. E da ricerche fatte

da persone attinenti a casa Colonna , nell' archivio appartenente alle

monache di Campo Marzio, nulla risulta di siffatto rimuovimento.

A queste indagini, ordinate da' discendenti della poe-


tessa, bisogna aggiungere le altre da me praticate anche
nelle tombe del ramo Colonna di Napoli, e perfino nella
tomba de'Davalos, con risultato affatto negativo.
È impossibile supporre che dopo il processo di Pietro
Carnesecchi, nel quale due donne figurano quali complici
CAPITOLO XVI 359

principali, la Colonnese e la Gonzatja, la cassa situata in


alto, se ancora si fosse conservata in Sant'Anna, potesse
essere tollerata in quel luogo da Pio V, il quale, a proposito
del detto processo, lamentava la fine della Gonzaga pei- non
aver potuto darsi il piacere di farla bruciare viva! La con-
dizione della Colonnese era resa più grave da circostanze
di tempo e di luogo : essa aveva tentato di diffondere la
dottrina del Valdes tra monache ed a monache stabilite

in Roma; vi si aggiungevano circostanze di famiglia. Come


suddito ribelle e come eretico era stato perseguitato o so-
spettato il fratello, e la famiglia Colonna aveva arrecato fa-

stidi non pochi allo stesso principato civile do' papi. Due
cugini della poetessa, il Card. Pompeo e Vespasiano, si

erano impadroniti di Roma il 20 settembre 1526, pre-

correndo un anno e quasi favorendo coli' esempio il


di

colpo audace ed il saccheggio delle orde luterane del Bor-


bone. Ad evitare una postuma profanazione è naturale che
si tentasse di trasportare la salma altrove, ed in luogo
ove, per lontananza, per differenza di governo, per estese
relazioni di famiglia e di ricordi familiari, potesse essere

meglio salvaguardata. Fu codesto un pensiero gentile, anche


a prescindere da tutto ciò , od un pensiero ispirato dalla
convenienza e dalla necessità di tutti questi precedenti ?

Vittoria Colonna, quantunque valdesiana, morta cat-

tolicamente, deposta j^ro tempore in una chiesa, celebre e


celebrata da tanti, potè ben trovare chi pensasse ad im-
pedirne la dispersione delle ossa. Si sarebbero conciliate
due aspirazioni de' contemporanei e della defunta se si fosse
potuto stabilire il segreto della sua ultima dimora — ren-
dendola inaccessibile ad ogni profanazione —e se si fosse
potuto ad un tempo riporre la cassa accanto a quella del
marito, secondando così un voto che la Colonnese senza
dubbio avrà avuto in qualque periodo della sua vita per
l'oggetto della sua adorazione:

Vera gloria saria vedermi unita


Col lume che dà luce al corpo mio
Poi sol nel viver suo conobbi vita.
360 GIULIA GONZAGA.

Per r accennata eliminazione di località, ammessa


dalla stessa famiglia Colonna non restava a fare altri ten-
,

tativi che presso la chiesa di S. Domenico Maggiore in

Napoli, poiché essendo ivi deposto il Marchese di Pescara,


era logico dedurre che il collocamento provvisorio in

Roma della salma della moglie potesse essere divenuto de-


finitivo trasportando e collocando la cassa vicino appunto
alla cassa del marito. Questa supposizione, tanto naturale,
era confortata da altre considerazioni tratte dalla biografia
della Colonnese. La vita di essa ed i maggiori ricordi si

riconnettono appunto colla città di Napoli. È noto che


Vittoria venne a nozze da Marino in Napoli « accompagnata
dal padre e da onoratissimo seguito di cavalieri romani »
quantunque la festa avesse luogo in Ischia. Celebre è rimasta
la villa di Pietralba, di proprietà de' Davalos, situata sulla
collina di Sant'Ermo, signoreggiante Napoli. Quella loca-
lità, ove Vittoria passò giorni lietissimi, ispirò vari versi
ad un suo ammiratore, a Galeazzo di Tarsia. Della grazia,
dell'eleganza, spiegate da Vittoria nel suo soggiorno a
Napoli, si ha ricordo nella descrizione del Passero a pro-
posito delle nozze della regina Bona. E finalmente il fra-

tello di Vittoria, Ascanio, poi erede universale de' beni


della poetessa, possedeva una casa presso San Giovanni
Maggiore in Napoli, e quivi tolse a moglie la bellissima
Giovanna d'Aragona (della quale ho diffusamente parlato)
e morì nella stessa città.
Quell'ipotesi, che un giorno mi fu confermata, anzi
mi fu messa innanzi dal Conte Alessandro Moroni nome —
caro e rispettato per la sua cultura e per la sua integrità
di Carattere — trovava, ripeto, il suo principale fonda-
mento nel fatto che il marchese di Pescara era stato se-
polto in quella città ove, a cura di Vittoria e secondo le
•disposizioni testamentarie del marito, era stata costruita
una chiesa, che prese il nome di S. Tomaso d'Aquino. Mi
posi quindi con maggior ardore a far ricerche di scrittori,

di chiosatori delle rime di Vittoria, o delle rime di altri


CAPITOLO XVI 361

che avessero parlato di lei, ed un giorno, consultando il

canzoniere del Tansillo, annotato da quell' uomo insigne,


che fu Francesco Fiorentino il —
quale negli ultimi suoi
anni consacrò il poderoso ingegno agli studi storici lessi —
che il Fiorentino, in una postilla ad un sonetto del Tan-
sillo, riflettente Vittoria Colonna, aveva dichiarato che la

spoglia della poetessa si trovava appunto nella sagrestia di


San Domenico Maggiore, accanto a quella del marito. Il Fio-
rentino non esprimeva una semplice sua opinione, più o
meno accettabile: denunciava il fatto quale fruito d'un
convincimento sì profondo, che da simile ricordo egli —
uomo tanto serio e ponderato ne' giudizi — aveva tratto
occasione per scagliare una feroce invettiva contro tutta
la città di Napoli, perchè questa lasciava negletti avanzi
tanto preziosi.
una designazione, confortata dall' autorità
Lieto per
e dal convincimento d'un tanto uomo, incaricai due valenti
giovani napoletani, i fratelli Romolo e Quirino Bianchi —
che avrò ancora occasione di ricordare a titolo di lode —
di iniziare alcune ricerche preparatorie nella sagrestia di

San Domenico Maggiore.


Il Marchese di Pescara, ferito nella battaglia di Pavia

il 25 novembre 1525, era morto a Milano la notte del


2 decembre di quell' anno. Paolo Giovio, suo biografo,
dice che il corpo del Marchese fu portato a Napoli,
accompagnato da una turba di amici e di familiari, vestiti
di San Domenico, all'altare
a bruno e fu posto nella chiesa
grande, dove con singoiar pompa, rinnovate le esequie,
monsignor Gualtiero Corbetta, oratore di Milano, elegan-
tissimamente lo lodò in pubblico. Il Passero, nelle sue
cronache, ha pure una minuta descrizione di questo funerale
e del lauto (cassa mortuaria) collocato in San Domenico.
Il Volpicella nella descrizione storica di alcuni princi-
pali edifizi della città di Napoli riproduce su per giù questi
particolari, e così altri. Nel 1560 la cassa si vedeva tut-
tavia nella maggiore cappella, dalla banda sinistra, sotto
362 GIULIA GONZAGA

un baldacchino di velluto e tela d' oro, con un cartello


sul davanti, ove si leggevano quattro versi latini composti
in lode di quel capitano, riportati dal De Stefano nella
descrizione de' luoghi sacri della città di Napoli (Ivi 1560).
Verso il 1562, come si legge a pag. 25 del catalogo
degli uoìnini illustri figli del real Monistero di S. Do-
tnenico Maggiore del Lavazzuoli, frate Giordano Crispo
dwn esset jprior conventiis S. Domenici, anno 1568, e
medio Ecclesiae transtulit chorimi post altare maius.
Le casse erano tutte rivestite di velluto rosso o di
altro drappo, scrive Stanislao Aloe nel libro Napoli e le
sue vicinanze. Il Menichini in un opuscolo sopra S. Domenico
Maggiore ci porge 1' elenco e la descrizione delle nobili
coltre funerali, distinte per steìmni gentilizi che fino alla
militare occupazione francese si conservarono in S. Do-
menico Maggiore jier ornarsi nelle ricorrenze di anni-
versari le ìHspettive castellane. A pag. 154 vi è la de-

scrizione particolareggiata della coltre del Marchese di

Pescara, bruciata nel 1704.


A ciascuna delle accennate casse, rivestite di velluto,
era prima affissa una tabella contenente uno o piìi distici,

composti da uno stesso autore per commemorare le gesta


de' trapassati : le tavolette furono tolte o quando il viceré
Zunica, conte di Miranda, nel 1594, per comando di Fi-

lippo II, racconciò questi regi depositi, rivestendoli di

nuovi drappi , o quando i frati diedero ad essi altro


collocamento, dopo la costruzione della nuova sagrestia.
Altri cambiamenti subirono i tauti, o casse mortuarie, nel
secolo XVII, e propriamente durante il priorato di Mon-
signor Tommaso Ruffo, che ebbe principio l'anno 1670,
non che dopo il terremoto dell'anno 1688.
Verso il 1600 fu costruita la sagrestia ed in essa si

portarono i detti tauti. Così nel 1623, secondo il Volpi-


cella, si trova in quel luogo il tanto del March, di Pescara,
innanzi al quale, in luogo degli accennati quattro versi,
si leggevano cinque distici, composti già dall'Ariosto, per
CAPITOLO XVI 303

incidersi su un sepolcro di marmo da innalzarsi al Pe-


scara, progetto restato poi ineseguito. I distici sono ripor-
tati dal Nobile « Napoli e i suoi dintorni» a pag. 211,
e cominciano col verso :

Quis iacet hoc gelido sub iiiarmore?

Circa la data del passaggio del tanto del Pescara,


come de' tauti di Ferrante l.*^ e 2.° d'Aragona, della regina
Giovanna, moglie di quest'ultimo, d'Isabella d'Aragona,
morta nel 1524, di Maria d'Aragona, marchesa del Vasto ('),
tumulata nel 1568 non sono gli scrittori d' accordo.
,

Però può ritenersi che esso passaggio abbia avuto luogo


nel 1568, anno cioè in cui, come narra Tommaso Costo
nelle annotazioni alla 2.^ parte delle istorie del Regno di
Napoli, scritte da Mambrino lioseo da Fabriano, per or-
dine di Pio V furono tolte dalle chiese le arche di legno
per sotterrare le ossa conservale in quelle, facendosi, è
bene ricordarlo, diverse eccezioni per casse appartenenti
a personaggi illustri.

IlEnghenio nel suo lavoro, pubblicato nel 1624,


d'

Napoli Sacra, a pag. 291, dice che sulla tomba del Pescara,
posto nella sagrestia, si leggevano i versi dell'Ariosto,

(') Il deputato Broccoli, in una conferenza tenuta a Napoli,


espresse il dubbio che la salma da me attribuita alla Colonna potesse
invece attribuirsi a Maria d'Aragona. A prescindere da molte consi-
derazioni già svolte in questo capitolo , che confuterebbero appieno
tale ipotesi, giova pur ricordare che Francesco Fiorentino fece studi
accurati su Maria d'Aragona e tenne sulla medesima una splendida

conferenza a Napoli. Ora è quasi assurdo supporre che all' illustre


filosofo e storico , indagatore accurato d' ogni più minuto particolare

riflettente l' Aragonese , fosse sfuggita una circostanza sì importante


— se fosse stato in grado di assodarla od anche di proporla come
dubbio — ; ed invece fosse sorto in lui il pensiero di designar quale
tanto di Vittoria Colonna il tauto che — a detta del mio contraddit-
tore — avrebbe contenuto lo scheletro dell' Aragonese , alla quale lo
stesso Fiorentino consacrò, ripeto, ricerche biografiche speciali con
pazienza di storico scrupoloso e con anima d' artista !
,

364 GIULIA GONZAGA

che stettero sulla cassa fino al cadere del secolo XVII,


secondo quanto è anche affermato dall'autore della Guida
de forestieri, edita nel 1697.
Resta quindi dimostrato che la cassa del vincitore di
Francesco I , tolta dall' interno della chiesa , si trovava
nella prima metà del sec. XVII già in sagrestia.
Le pareti di questa sono attualmente coverte ,
per
un' altezza di circa 4 metri , da un lungo armadio , al

disopra del quale gira intorno una balaustrata, ove, pog-


giate su piccoli infissi nel muro, ovvero sul pavimento
della stessa balaustrata sporgono o giacciono 45 casse
mortuarie, appartenenti in gran parte alla famiglia Ara-
gonese e ad altre nobili famiglie italiane e straniere.
Mediante una scaletta interna si sale alla detta balaustrata
ed il visitatore si trova vicino a' tanti.

In un lato , e proprio a destra di chi entra nella


sagrestia, su in alto, scorgesi un dipinto su tela, rafiìgu-
rante un gentiluomo con baffi e barba bionda, naso inar-
cato, fronte bassa e volto piuttosto magro. Questo quadro
resta al disopra d' un tanto, o meglio d' un' arca di note-
vole dimensione : vi si trova inchiodata una spada e
attaccata alla stessa arca , sporge una banderuola. Su
quest' arca , nel prospetto ,
pende un pezzo di legno , su
cui è scritto a carattere vero lapidario :

FERDINANDUS DAVALOS DE AQUINO


MARCHIO PISCARIAE

Immediatamente al di sotto, poggiata sul pavimento,


vi è una cassa di minor dimensione, avente un cartello
bianco con le seguenti parole :

FRANCISCUS FERDINANDUS DAVALOS


DE AQUINO MARC. PISCARIAE CESARIAE MAIESTATIS
VICARIUS GENERALIS ITALIAE
OBIIT ANNO DOMINI 1525

Dunque uno stesso nome sovrapposto a due casse


differenti! Ma vi furono due Marchesi di Pescara? Si, l'uno
,

CAPITOLO XVI 365

fu il marito di Vittoi-ia, l'altro omonimo, assai posteriore,


fu viceré di Sicilia, secondo il d'Englienio: morì il 1570
ed il corpo fu trasportato a Napoli. Stando alle laholle,
lo scheletro del marito di Vittoria doveva trovarsi nella
cassa giacente sul pavimento (
percliè la tabella ricorda
l'anno effettivo della morte: 1525); — la cassa dell'altro
Marchese (se fu mai trasportata nella sagrestia) doveva
trovarsi nell'arca suntuosa sovrastante, foderata di vel-
luto e controdistinta dal solo nome e dal solo titolo.
E così il problema, prescindendo da ogni indagine,
sarebbe stato risoluto, salvo a dissipare un solo dubbio,
cioè: come accadde che quest'arca, la quale doveva appar-
tenere all'illustre capitano, marito della Colonnese (il che
deducesi chiaramente dalla suntuosità dell' arca stessa
rivestita tutta di velluto, del lembo di bandiera, che quasi
le si riallaccia, dalla vicinanza del ritratto , dalla spada
assicurata esternamente, una spada destinata a sostituire
l'autentica, ora conservata al museo di Capodimonte),
com'è che quest'arca è stata vuotata, la cassa interna
del celebre capitano è stata deposta sul pavimento ed
entro è stata invece collocata la cassa d'un illustre ignoto!
quale 1' omonimo viceré di Sicilia ? Chi avrebbe ardito di
vuotare l'arca del Marchese di Pescara, del vincitore
dell' antagonista di Carlo V, se non si fosse trattato di
collocarvi entro la moglie e non certo una persona estra-
nea? Quella semplice prima riprodotta
epigrafe — la

sopra —
non poteva appunto designare, come mh' accessio
maritalis. Vittoria Colonna? L'aver omesso di anteporre
anche il nome di essa, 1' aver conservati sulla cassa quei
simboli gloriosi, non potevano appunto significare che si

intese! mascherare questo cambio, per raggiungere lo scopo


di far restare imperturbate le ossa della moglie nell' arca
tomba destinata al Marchese di Pescara e si intese
ancora, per i connotati esterni, di conseguire il fine di
farla credere l'arca dell'illustre capitano?
366 GIULIA GONZAGA

Questi dubbi si fecero più gravi quando, esaminato


il lauto cassa posta al di sotto, (') si potè constatare che
il sesso, r età approssimativa, il colore de' capelli, la sta-
tura deponevano appunto a favore della tabella sovrap-
postavi e facevano conchiudere che lo scheletro ivi rac-
chiuso fosse appunto il Marchese di Pescara, morto, come
diceva la tabella e come sussiste storicamente, il 1525.
Allora procedetti all' esame dell' arca, che trovai
rotta dalla parte del coperchio, rinvenendo entro una
cassa, rotta pure nella parte superiore, ma bene assicurata
attorno alle marginature, perchè ancora tutta impeciata.
Questo primo elemento fu per me di preziosa importanza,
perchè delle casse ancora visibili, sfornite di arca spe-
ciale, nessuna è impeciata; mentre questa circostanza è
ricordata più volte, come s' è visto, dal Bonorio, a pro-
posito della cassa di Vittoria.
Dopo un rapido esame portato allo scheletro cessò
ogni dubbio che potesse trattarsi del viceré di Sicilia,
morto giovane, come il vincitore della battaglia di Pavia,
mentre due illustri professori dell' Ateneo napoletano con-
vennero nel determinare 1' età approssimativa tra' 45 ed i
55 anni, il qual ultimo termine deponeva a favore del-
l' ipotesi che si trattasse di Vittoria Colonna, morta cin-

quantasettenne.
Allora si addivenne alla constatazione del sesso, cosa
non facile, tenuto conto delle condizioni dello scheletro e
non accertabile con un semplice esame anatomico, senza
il sussidio che può solo fornire un gabinetto scientifico. Il

Ch. A. Zuccarelli, professore d' antropologia nella Regia


Università di Napoli, consacrò tre giornate intere a questo

Debbo una speciale parola di ringraziamento all'illustre Pro-


(^)

fessore Guido Baccelli Ministro deUa P. Istruzione che accordò il


, ,

permesso di procedere a queste indagini. E con riconoscenza ricorderò


anche il nome di quel gentiluomo, che è il Comm. G. Ferrando, Di-
rettore Generale in quel Ministero , che volle cortesemente agevolare
la mia domanda.
CAPITOLO XVI 367

esame, valendosi di craniomeiro, di pulvimetru e di altri

strumenti per misure antropometriche; procedendo a spe-


ciali analisi, mercè microscopio , agenti chimici ed altri

sussidi iorniti dal suo gabinetto antropologico « G. H.


della Porta ». Egli concliiuse trattarsi di organismo di

donna tra' 45 e 55 anni, tenendo presenti seguenti fatti i

di maggior rilievo: aspetto muliebre delle parti pudende,

bacino assai ampio, diametri femminili e svasamento infe-


riore di esso : larghezza del manubrio e lunghezza consi-
derevole della lama dello sterno; conformazione femmi-
nile della fronte; poco sviluppo delle apòfisi mastoideo e
delle orbitarie; proporzioni muliebri della mandibola ecc.
Alcuni caratteri, che avrebbero deposto piuttosto per l'altro
sesso (come sviluppo notevole de' femori, capacità cranica
prossima alla maschile) lo Zuccarelli ritenne spiegabili

con la costituzione robusta, vantaggiosa, macroschela, de-


viata se vuoisi in senso virile , di una viragine, ciò che
è conforme, secondo studi moderni, all' ingegno superiore
ed alla infecondità della Colonnese.
E qui giova dare un cenno degli indumenti che ave-
vano già precedentemente concorso a suffragare le con-
clusioni sul sesso. Lo scheletro fu trovato circondato da
una tela ruvida, abbondantemente impeciata, rotta la quale,

con debita accuratezza, fu rinvenuto vestito d'una camicia,


a quanto pare, di tela bianca fina, sormontata da un col-
letto orlato di largo merletto, chiusa davanti al collo e
alla sommità del petto da tre allacciature, mercè una fine
trina. Le maniche terminavano con somigliante merletto,
allacciato a' polsi con ugual trina. Le mutande erano evi-
dentemente fermate alla cintura con un laccio infilzato
ad una vagina, ampie assai, a livello del bacino, con spi-
ghetti feminei in corrispondenza dell' inforcatura ed estese
sino al disotto del ginocchio. Intorno alla colonna cervi-
cale esistevaun cingolo, legato a nocche posteriormente.
Sul cranio una cuffia, della quale ci ha dato già il disegno

V llln straziane Italiana (n.*^ 2 del 13 gennaio 1895) ed


i connotati con queste parole :
368 GIULIA GONZAGA

Di un tessuto a tela, finissimo e bianco, che pare sia di seta,


su cui tempo ha impresso 1' età, logorando la trama, è fatta la cuffia.
il

È cucita con una precisione da far credere al dietropunto come di


macchina perfezionata. La stoffa, increspata converge al vertice che , ,

è un cerchietto dello stesso lieve tessuto il di cui diametro è forse ,

un centimetro. Annerita come di carbone, quasi dappertutto, in alcune


parti è perfino lacerata. In giro , attaccata da una fila fittissima di
punti, è una striscia di ricamo ; un festoncino semplice , ma eminen-
temente femminino.

In ultimo, tra la tela esterna impeciata e la cuffia


del capo, si trovarono pure delle bende, alle quali erano
attaccati capelli biondi misti a detrito.
Tutti questi particolari furono annotati in un speciale
processo verbale, in data del 9 decembre 1894 , firmato
dal dott. Angelo Zuccarelli, dal padre Carlo Maiella, ret-
tore della Chiesa e sovraintendente del monumento, dal
signor Gaetano Maio, rappresentante l' ufficio regionale per
la conservazione dei monumenti in Napoli, dall' avv. Qui-
rino Bianchi, dal prof. Romolo Bianchi e da me. Quel
documento si conserva presso il medesimo ufficio regionale.

Tornato a Roma e riferito il risultato delle mie in-

dagini al Principe D. Marcantonio Colonna , attuale capo


della casa Colonna mi dichiarò che il compianto
(^), egli
padre, principe D. Giovanni, morto da pochi mesi negli ,

(1) Il Principe Don Marcantonio Colonna m' inviò la seguente


lettera :

Preg.mo Signore ,

Roma, 13 dee. 1S94.

Costretto ieri di recarmi fuori di Roma per un affare di famiglia,


al mio ritorno mi fu rimessa la sua carta da visita. — Sono dolen-
tissimo per ciò, stante tale combinazione, di aver dovuto ritardare il

piacere di fare la sua conoscenza.


Mi permetta però intanto d' esprimerle , in attesa di poterlo fare
a voce, anche a nome della mia famiglia, i sensi della nostra sincera
ammirazione per la preziosa scoperta lei fatta. La scoperta è tanto
da
più preziosa in quanto che, malgrado numerose ed accurate inda-
le

gini fatte in piùepoche , rimaste sempre infruttuose incominciavasi ,

oramai ad affermare nella nostra famiglia il dubbio che quelle venerate


ossa fossero per sempre perdute.
,


CAPITOLO XVI :Ui'.)

aitimi anni di vita soleva ripetere che per la tohiha di


Vittoria Colonna bisognava ricercare nella cìiiesa di
San Domenico Maggiore in Napoli.
Questi ^4i elementi da me raccolti. Mi si consenta di

riassumerli, o meglio di enumeraidi a conforto della mia


opinione che la salma di Vittoria Colonna si trovi nella

detta chiesa di San Domenico Maggiore.


l.'' L'ubicazione delle due casse, V una sovrapposta
all' altra, controdistinte da due tabelle portanti un solo e co-
mime nome ; e la differenza invece di sesso stabilita scien-
tificamente (oltre che per gl'indumenti) tra' due scheletri;
Il collocamento della cassa contenente lo sche-
2.*^

letro di donna entro l'arca, che tutto fa credere abbia già


accolta la cassa collo scheletro del Marchese di Pescara
fatto solo spiegabile colla legittima presunzione che alla

cassa del marito si sia sostituita la cassa della moglie ;

3."* La conservazione relativa dello scheletro desi-


gnato per quello di Vittoria Colonna (spiegabile col fatto
che la cassa della Colonnese, secondo i documenti pub-
blicati da Don Fabrizio Colonna, rimase sempre sopra
terra, in alto, come appunto sopra terra ed in alto fu

trovata )
— non che la statura corrispondente a quella
che sappiamo della poetessa;
4.^ L' età attribuita allo scheletro da due scien-

ziati professori all' Università di Napoli, corrispondente a


quella di Vittoria Colonna; e l'eleganza degli indumenti
femminili rinvenuti ;

5.° Un processo d'eliminazione, in seguito ad inda-


gini fatte condurre innanzi dalla stessa Casa Colonna, per
escludere che la salma di Vittoria sia stata sepolta altrove.

A Lei dunque rinviene il merito d' aver reso certezza ciò che per
più secoli fu dubbio e mistero.
Con i sensi della più profonda osservanza e la speranza d' aver
(juanto prima il bene di fare la sua personale conoscenza, mi creda
Suo dev.nio
Marcantonio Colonna
24
.

870 GIULIA GONZAGA

Non fu trovata in Roma


Sant'Anna nel 1887, all'atto
in
della demolizione della Chiesa (ed ho già dimostrato l'as-
surdità dell'ipotesi che vi fosse restata definitivamente):
né fu trovala in nessuna delle altre chiese , specie di
patronale familiare, ove, secondo tutte le probabilità,
avrebbe potuto essere seppellita, e ciò in seguito alle
indagini praticate dalla famiglia Colonna, ricordate da
Don Fabrizio Colonna nel citato opuscolo ;

6.° La tradizione, sopra riferita, tramandata nella


famiglia Colonna, raccolta dal capo della casa D. Giovanni,
morto lo scorso anno e confermatami dal figlio, attuale
capo, principe D. Marcantonio, tradizione che certo ha un
valore grandissimo. Arroge le ragioni storico-biografiche,
che sussidiano quella tradizione, perchè per un determi-
nato tempo la famiglia Colonna, perseguitata dai papi, fu
più napolitana che romana per motivi di interesse , di

parentela e di residenza: e le ragioni biografiche parti-


colari di Vittoria, troppo nota per la sua mirabile devo-
zione alla memoria del marito; — pel che, non avendo
per avventura potuto la salma trovar sede definitiva in

un monastero, si volle interpretare quale adempimento di

una tacita espressione della sua volontà il collocamento


dei resti presso quelli del consorte.
Chiudo questi cenni sulle ultime indagini da me com-
piute intorno alla tomba di Vittoria Colonna, riferendo
le parole testuali, colle quali un illustre filosofo, Fran-
cesco Fiorentino, enunciava la sua aftermazione, e dirò
meglio il suo convincimento:

Vittoria Colonna.... morì il 1547 e ora riposa nella sagrestia di


San Domenico Maggiore, accanto al suo caro Ferdinando, le cni ossa
fece trasportare a Napoli ella stessa. Quando io vidi cosi neglette
come giacciono due casse mortuarie che rinchiudono la più
ora, le ,

colta donna ed il più quando io vidi irruginita ed


prode cavaliere ,

obliata quella spada, che vinse Francesco 1'^ a Pavia, la prima spada
d' Italia dopo quella di Vittorio Emanuele deplorai, sdegnato dal pro-
,

fondo dell' anima, la sonnolenza di questa città che sa esaltarsi sol-


tanto per uomini, che persona al mondo non le invidierà mai !
XVII

Altre persecuzioni — Morte di Giulia.

Attività di Giulia - Si ritira iii S. Francesco delle Moiìwhe - Sua risita


ad Eleonora di Toledo, sj)osa di Cosiuio I. - Matriinonio 2»'ogettato

tra un nipote di G-iulia ed una nipote del Card. Morone - La morte


del Moha - Cifrario di Giulia - Rapporti col Carnesecchi ; lettere

scambiate - Giulia si rifiuta, di fuggire, ma spedisce all' estero due

serti per non compromettersi - Altre lettere ricevute dal Carnesecchi

- Morte dell' Oc/iino - Pier Paolo Vergerio - Testamento e inorte di


Giulia - Indagini da me fatte per rintracciare la sua tomba - Se-

questro ordinato da Pio V alle carte di Giulia a Napoli, e relazioni

su questo fatto degli ambasciatori del tempo - Cattura del Carne-


secchi - Ulteriori notizie intorno a Giulia, ricavate dal processo Car-
nesec-hi e specie per V interesse da essa dimostrato pjel Card. Polo
- Dichiarazione del Carnesecchi intorno alla dottrina professata da
Giulia - Candanna e morte del Carnesecchi - Fine di Aonio Paleario
- Conclusioni storiche sulla dottrina di Valdes e de' suoi seguaci.

Giulia, come
può anche rilevare dalle lettere che
si

pubblico, negli anni trascorsi in Napoli fu molto cagio-


nevole di salute. La sua attività fenomenale, che la costrin-
geva ad un carteggio svariato, febbrile con moltissimi;
i problemi religiosi che incalzavano la mente e tenevano
sempre incerto 1' animo ; le incertezze di possibili perse-
cuzioni, rese più acute da frequenti esempi di processi
religiosi e di condanne di amici, dovettero influire non
poco a danneggiare la salute, a darle quelle vertigini,
que' non rari abbattimenti, de' quali si spesso si favella
,

372 GIULIA GONZAGA

nelle sue lettere. Menava vita ritiratissima. Era stata qual-


che tempo nel convento di S. Francesco delle Monache,

poi passò ad abitare una casa nel Borgo de' Vergini e final-
mente domandò di tornare in quel monastero. Il Papa
secondò il desiderio col seguente breve che il Ch. Pro-
fessor Fontana si compiacque trascrivermi dall'Archivio
Vaticano (lulii III brev. min. A. MDL, tomo 1.° breve 239,
n.° 55).

Bilectae in christo filiae nobili mulieri luliae de Gtonzaga Viduae.


Dilecta in christo filia salutem. Expone nobis nuper fecisti quod tu, ut

viduitatem tuam aliqua spirituali consolatione sublevares in monasteri')

monalinm 8. FranciscA ordinis sanctae clarae neapolitanaenis vifam ducere


deliberans in dicto monasterio per phires annos perrnansisti, et adirne per-
rnanes, cupisque prò maiore conscientiae tiiae securitate Licentiam perma-
nendi in ipso monasterio sicut tibi per felicis recordationis Paulurri III
predecessorern nostrum concessam tibi etiam per nos concedi. Quare nos pijs
tms desiderijs quanttim cum Beo possurnus benigne annuentes, precibusque
tuis nobis per dilectum fiìiurn nostrum Hipolifum Cardin. loiiariensem
super hoc humiliter porrectis inclinati, Tibi qiioi quandiu tibi placuerit,

una ciun ceteris niuUeribus tibi inservientibus in eodern monasterio perma-


nere et cum eisdem monialibus versari ac prandere et cenare, dummoio
Camerae in quibus tu, et dictae tuae mulieres dormient a cubiculis dicta-
rurn monialium divisae sint auctorifate apostolica tenere praesentium con-
cedimns. Mandantes tam praesidentibus dicto monasterio quam iìlius Aòòa-
tisae et monialibus ut necessarias mansiones prò tuo et tuarum ìisu tibi

accomodare velini, teque benigne tractent et ornni charitate prosequantur


non obstantibus constitutionibus ac ordinationibus apostolicis ac monasterij
et ordinis praedictorum statutis et consuetudinibus caeterisque contrarijs
quibuscumque. Datum Bomae apud S. Petrtirn etc. die 28 rnarfii I5o0
anno primo.
Similis fuit concessa a Paulo III sub data superius cassata per
bonae memoriae Cardinaleni G-hinutiuin etc.

Blos

Una sola volta Giulia si era condotta in Lombardia


per ragione di interessi. Fu ad Ischia e per le vive pre-
ghiere del Tansillo si recò una volta anche a Nola, ed ho
già riportato il sonetto scritto dal Tansillo in tale occa-
sione. Forse non infrequenti visite scambiava con Donna
Eleonoi'a di Toledo. E noto che quando Cosimo I. duca
CAPITOLO XVII 373

di Firenze, iniziò trattative pei* sposare una figlia del


viceré di Napoli, questi avrebbe desiderato che la scelta
fosse caduta sulla primogenita Isabella. Ma Angelo Nicolini
scriveva: « secondo la relazione et l'ama di qui, la mag-
gior figlia del viceré è brutta, e di cervello è il ludibrio
di Napoli ». Per lo che Cosimo non ne volle addirittura
sapere ed i procuratori di Cosimo, Luigi Ridolfi e Iacopo
De' Medici, ottennero per lui la seconda figliuola, Eleonora.
La dote fu fissata a 25000 ducati, elevata poi ad una
doppia somma in seguito a donativi ('). Un recente lavoro,
nel quale fu inserito un inventario inedito del 15o3, ci

dà interessanti particolari sul corredo della sposa e i-iporta


un ritratto di essa(-). Non abbiamo molte notizie sulle feste
compiute nella circostanza delle nozze che ebbero luogo il
20 aprile 1539: quindi prezioso è questo frammento di
lettera, diretta il 21 aprile di quell' anno da Giulia a
D. Ferrante Gonzaga :

Fui ieri una certa barea (barriera o stec-


a palazzo dove vidi
cato ) assai bona una giostra e la manterranno Don Garzia
e si aspetta
e Don Pietro Gonza! es e sarà la prima domenica del mese, che viene.
La signora Duchessa dicono che andrà a Fiorenza a mezzo il mese e
.sta molto contenta.

Ed a proposito di matrimoni, Giulia, bramosa di allar-


gare non solo i rapporti di amicizia, ma anche quelli di
parentela tra seguaci valdesiani, aveva proposto di mari-
tare una nipote del cardinal Morene con un Andrea, fra-
tello di Cesare Gonzaga. Il Carnesecchi scriveva su que-
sto proposito a Giulia che il Morone
...è devenuto molto ansio e desideroso d' intendere con che fon-
damento Donna Giulia abbia mosso tale ragionamento, e cosi mi ha
comandato per mezzo del Gorio, che è 1' anima sua, eh' io vegga di

(') Ferrai, Cosìmo De' Medici, duca di Firenze. Bologna, Zani-


chelli. 1882. p. 76.
(^) Conti, La prinui reggia di Cosimo I De' Medici nel 'palazzo già
della Signoria di Firenze, descritta ed illustì^ata ecc. Firenze, Pellas, 1893.
374 GIULIA GONZAGA

cavare destramente da essa Donna Giulia quel che 1' abbia indotta a
fare tale motivo. V. S. adunque sarà contenta di parlarne seco come
prima vi ara la commodità ed avisarmi subito del ritratto, acciò che
io ne possa dar conto a quel signore, il quale si mostra desiderosis-
simo dell' effetto di tal disegno ; ma, come modesto, non ardisce di
sperarlo, se già Dio non avesse destinato di far per mezzo di Donna
Giulia questo cosi gran benefìcio e favore a lui e alla casa sua, di
che le resteria in eterno obbligato; come in ogni modo resta della
volontà e disposizione che in questo e in ogni altra cosa mostra di
farli piacere e servizio.

Di questo tempo, oltre a quelle già accennate, colle dimo-


strazioni speciali di stima del Morone, ne riceveva anche
dal Mandruzzo, detto il Card, di Trento, che a proposito
di Giulia diceva: « non aver visto, né udito giammai cosa
che abbia più satisfatto in un medesimo tempo alla ragione
e al senso » e affermava che tutto quello « che li era
stato detto non aveva mai potuto credere mal ninno di
essa D. Giulia, anzi l' aveva sempre tenuta per angelo,
così nella bontà, come nella bellezza e pregava il Carne-
secchi di scriverlo a lei ».

Una notizia che gravemente l' afflisse, fu la morte


del Molza. Questi , dopo la tragedia d' Itri , recatosi a
Roma, quivi si era innamorato perdutamente di Faustina
Mancina, bellissima gentildonna romana. Per lei scrisse la
Ninfa Tiberina e vari sonetti. Ma le Faustino riescirono
non molto fauste al poco prudente e troppo galante poeta.
Colpito da quel male, che chi credeva importato a Napoli
dalle truppe francesi e chi derivato dagli americani —
ricambio crudele alla crudeltà de' colonizzatori — nel 1542
si sparse la voce della morte del Molza. La triste nuova
fu creduta generalmente e Marcantonio Flaminio ed altri
la piansero in versi che il Molza ebbe la rara soddisfa-
zione di leggere, non illudendosi però troppo sulla lunga
durata del grato disinganno. Ed infatti due anni dopo il

poeta rimaneva vittima de' suoi trascorsi.


Ma più vivo ancora fu il dolore provato da Giulia
per l'annunzio, pervenutole qualche anno dopo, della fine
CAPITOLO XVII .>/;)

del suo antico segretario. Gandolfo Porrino. (Juesti aveva


passati vari anni a Fii-eiize, a servizio del Card. Farnese,
che ivi dimorava. Si recò poscia a Roma il l" ottobre 1.")-^;

ma sorpreso da un male forse non molto dilierente da


quello del Mol/.a. mori nello stesso mese. Una lettera che
Camillo Capilupi scriveva il 1° ottobre 1552 allo zio Ippo-

lito, cosi annunciava il triste avvenimento:

Il povero in. Gandolfo Porrino venne dieci di fa in Roma ed era


grasso, bello e rosso, con licentia di starsi questa invernata in Roma,
e si è ammalato in casa del Cinami e in meno di otto di è morto e

ieri fu sepolto con molto dispiacere di chi lo conosceva ; ed ha fatto


testamento lasciando il Puteo suo erede generale. Si è confessato e
comunicato: dicono che il suo male è proceduto da troppo star con
donne.

L' attività maggiore di Giulia, come lio accennato,


era consacrata alle questioni religiose del giorno. Serbava
un'incessante corrispondenza, si rendeva sempre conto
del propagarsi di certe idee, influiva sulla pubblicazione
di scritti congeneri, si valeva della sua autorità per favo-
rire la carriera di vari prelati, teneva dietro all'anda-
mento del Concilio di Trento, facendosi mandare raggua-
gli dall' .arcivescovo di Otranto: chiedeva ed otteneva
Per sottrarsi alle
notizia degli amici inquisiti e fuggiaschi.
aveva adottato un cifra-
possibili sorprese dell'Inquisizione,
rio speciale, adoperato non solo co' novatori, ma anche
con altri non conosciuti come tali, messi tuttavia a parte
de' segreti di Giulia. Diverse di queste cifre si ricavano
dall' estratto del pi'ocesso Carnesecchi : un altro cifrario
ho potuto scoprire in alcune lettere 7— che orainedite
rendo di pubblica ragione, da Giulia a Don
indirizzate
Ferrante Gonzaga. È da notare che nel cifrario che ora
io pubblicohanno segni speciali per indicare gli inqui-
si

sitori e Vittoria Colonna, colla quale ultima Giulia non


ebbe alcun rapporto di interessi ma solo uno scambio di ;

idee religiose.
376 GIULIA GONZAGA

Ed ecco i due citVari : il 1°, uipeto, si desume dal car-


teggio di Giulia con Don Ferrante Gonzaga, da me con-
sultato alla Biblioteca Estense; il IP è tolto dall' estratto

del processo Carnesecchi.

I II

18zzz6z6l5 - donna 00 - Donna Giulia


33rzzoziz - viva 5 - Carafa
2 -Re 55 - Isaliella Brisegna
4 - Doana Giulia 55 - II figlio di Isabella, Giorgio

N. N. - Donna Giulia 53 - lui


+ +- La Corte 68 - Valdes o Flaminio
Z. - Re N, Signore 9 - volontà
B - Card. Caraffa 10 - deliberazione
RR - Vittoria Colonna 11 - nascitur

43 - Card, di Mantova 13 - opinione


48 - Card. Gonzaga, o D. Goniez 21 - risoluzione
Ae - Roma 66 - V. S.

000 - volontà N. B. Al 11.° 55 (bis e ter) doveva


ddd - vostra eccellenza seguire qualche segno speciale per di-

dddd - inquisitori stinguere le persone nominate.

Col Carnesecchi, oltre la cifra, Giulia usava lo stra-

tagemma di adoperare nello scrivere la terza persona per


far credere, in caso di scoperta delle lettere, che si trat-

tasse di altri i quali parlassero intorno a' rapporti tra il

protonotario e Giulia stessa. E da supporre che pure il

Carnesecchi seguisse lo stesso metodo ; ma le centinaia e


forse migliaia di lettere, spedite da lui a Giulia, non sap-
piamo dove sieno sepolte : quelle invece, o meglio una
parte di quelle di Giulia, ricevute dal Carnesecchi, furono
riprodotte nell'estratto del processo, più volte ricordato.

Il Carnesecclii (scrive Beniamino W'iffen nella prefazione alla

tracl<izione inglese dell' Alfabeto Cristiano ), il quale possedeva un' aba-


zia a Napoli, era là nel decembre 1540 e fu probabilmente col Valdes,
nelle sue ultime ore. Egli prese il posto di Valdes nella confidenza di
Giulia. Pare che essa fosse l' italiana principessa, alla quale egli più
tardi afferma d' aver raccomandato due insegnanti, i quali erano man-
dati ad aprire scuole nel suo territorio per l'istruzione de' fanciulli.

Quando, diventate le sue opinioni sospette, fu chiamato a Roma


nel 1546, Giulia Gonzaga fu interrogata intorno alla sua corrisjìon-
denza con lui.
CAPITOLO XVII 377

L'assoluzione riportata dal Carnesecchi, se a dissi-

pare le consei,^uenze di quell'istruttoria concorse Giulia,


prova con quanta accortezza abbia ella saputo condursi in

una faccenda si delicata. Ad ogni modo la corrispondenza


non cessò, ma divenne ancora più attiva; Carnesecchi rice-
veva perfino tre lettere la settimana da Giulia, come rile-
vasi dal processo del 1506. Queste lettere sono tutte poste-
riori al 1540.
La fine del Cardinal Polo contristò profondamente
(ìiulia e la ridusse col pensiero a meditare sulla morte
e sulla preparazione al nostro passaggio terrestre. In que-
ste meditazioni trovò chi largamente seppe com})renderla
e secondarla nella persona del Carnesecchi. Di tutto ciò
si ha ampio argomento in varie lettere di lui a lei. In
una lettera (redatta, al solito, in terza persona, [ler le

accennate cautele) della fine del 1558 il Carnesecchi le

scriveva:

Vengo ora a dolermi del dolore che mostra aver preso Donna
Giulia di cotale accidente, ma più ancora del rimedio, eh' Ella si

augura contro questa sua infermità e debolezza d' animo, che è di


ridursi a non voler più bene a ninno, il che io non approvo niente
per la parte mia e le dico liberamente che voglio più presto eh' ella
si doglia, pur che ami, che ella lasci di dolersi e d' amare insieme,
perchè altrimenti la cosa passerebbe con troppo mio pregiudizio.

In un'altra lettera del 7 gennaio 1559 cosi si esprime


li Carnesecchi:
È una bella cosa 1' amicizia, massime quando è nata da oneste
•cause e cresciuta e confermata cogli anni e col giudizio e all' ultimo
terminata in Dio, come si può veramente dire che sia quella eh' è tra
questi due, che Dio gli benedica e conceda lor grazia di poter vivere
e morire allegTamente insieme, confornae al santo desiderio che 1' un
e r altra mostra di tenerne, benché Carnesecchi dice non esser ben
resoluto se sia ufficio suo desiderare più presto partire da questo mondo
qualche tempo innanzi a Donna Giulia, non tanto per essere venuto
prima, che non può esserci molto grande intervallo da 1' uno e 1' al-
tro, quanto perchè considera che partendosi in un tempo medesimo,
non sai-ia buono a farle niun servizio, dove in quell' altro mondo spe-
reria pure di poterli almeno far animo, mediante 1' aiuto e favore
378 GIULIA GONZAGA

che Dio in quel punto desse a lui, servendo quasi di scorta per quel-
r orribil passaggio. Il che non sipuò negare che non proceda da un
pio e onorevole affetto verso 1' amico ma dubito bene eh' egli si per-
;

metta un poco troppo di sé stesso, e, come che si sia, torno a dire


che sono una rara coppia d' amici.

E finalmente il 19 novembre 1558, toccando della


notizia, poi smentita, della morte del Card. Polo, osserva
che se ciò fosse avvenuto, anch' egli e Giulia si sarebbero
rassegnati a morire, « perchè ci sarìa parso vergogna a
recusare di camminare per quella via, che fosse cammi-
nato un uomo tanto degno d' immortalità come quello ; né
avremmo potuto imaginarci che morte fosse cosa mala
se la
per sua natura, il sig. Iddio avesse permesso che avesse
dominio sopra di lui ed i pari suoi. Ora essendo così,
quanto maggiormente dovrebbe operare in noi questo
effetto il considerare che è morto Cristo e che morendo

ha trionfato della morte, avendola vinta e superata per


noi, di maniera che non ci può più nuocere, né è restato

in lei altro d' orribile che il nome e la faccia sola, che


è quasi una maschera da fare paura alli piccirilli e alle

femminelle, e molto più agli empii e infedeli, quali o non


credono che sia altra vita che questa, o credendolo, ten-
gono che debba essere in loro condannazione ».
Per le persecuzioni mosse da Paolo IV contro i no-
vatori, Giulia era vivamente eccitata a fuggire. Ma essa
non ne volle sapere. Scrisse di questa sua risoluzione
negativa al Carnesecchi il quale le inviò una lettera sul-
l'argomento il 21 maggio 1558, la qual lettera, poi seque-
strata, fu così da lui chiarita a' suoi giudici : « la signora
era determinata di non partirsi di Napoli, come per avventura
era consigliata di fare, per fuggire il pericolo d'essere
inquisita, dicendo non volersi muovere per imaginatione,
riuscendo più delle volte fallace, e tanto più essendo tra
loro diverse le nove, ch'ella havea circa il fatto suo e
in ultimo dice che sapeva la poca volontà che haveva il

papa verso di lei, concludendo che cosi sua Santità, come


>

CAPITOLO XVII 37',

il card. Carafa, havevano torto ad avere tale animu vci.so

di essa.... Non è dubbio che voleva intendere per conto


di religione, sapendo essere in mal predicamento apresso
sua Santità per la stretta amicizia e familiai-itii avuta col
Valdes ».

Giulia non volle fuggii'e, ma sovvenne di danaro due


suoi servitori, Ventura e Paolo Cola, perchè (nel dubbio
che non avessei'O, se arrestati, da compromettere altri per
poco accorgimento) si recassero all'estero. Però sconsi-
gliò da questo passo estremo il Carnesecchi. Pensava che
un tale atto l'avrebbe rovinato ed avrebbe tratto al sacri-

fìcio gli amici. Forse ebbe fiducia che le cautele u.sate


nelle lettere cifrate, l'intervento di autorevolissimi prelati,
la stessa sua coscienza nella bontà della causa, potessero
all' occorrenza scongiurare ogni pericolo. Certo è che il

Carnesecchi seguì ciecamente il suggerimento.


Non è possibile dare qui o il testo od il sunto delle
molte lettere che, in risposta a quelle di Giulia, inviava
il Carnesecchi. Ricorderò poche di esse, ove si parla pre-
cisamente di questo ultimo tema e si riferiscono notizie
interessanti sugli amici e sopra i notevoli avvenimenti del
tempo.
Con lettera del 25 febbraio 1559, il Carnesecchi faceva
conoscere :

che non era di manco momento e considerazione appresso di


lui per ritenerlo da questa banda il veder che Donna Giulia l'inten-
desse diversamente da lui, non facendo alcun dubbio che esso ancora
sia guidato e retto dallo spirito di Dio e che per conseguenza non sia
esser lassato errare in cosa di tanta importanza alla salute sua e di
altri. Il consiglio che ha dato V. S. alli parenti di D. Isabella, di riti-
rarsi colla figlia, mi è parso molto a proposito e conforme alla sua
solita prudenza.

In altra lettera del 18 marzo seguente, commemorava


il singolare beneficio, che aveva per mezzo suo ricevuto, della
santa dottrina e conversazione di Valdesio, che, se ben, secondo disse, lo
conosceva prima di essa D. lulia, non lo conosceva però in quel modo
380 GIULIA GONZAGA

che bisognava, né aria saputo da sé stesso cavarne quel frutto che cavò
poi mediante il credito, che dette alla relazione ed esperienza fattane
da lui. All'ultimo discese alla commemorazione di tante amorevoli ed
efficaci consolazioni, che aveva ricevute dalla detta Donna lulia da
poi che erano cominciati li suoi travagli, parte per avvertirlo in che
modo si dovesse reggere e governare in si fiera burrasca e parte per
esibirli tutto l'avere ed il potere svio.

Con altra lettera conferma la soddisfazione provata


di non aver seguito l'esempio di Galeazzo Caracciolo e

di Isabella Brisegna rifugiandosi all' estero

e ne rende grazie a Dio e a Donna lulia, quale dice spesso


esserli stata quasi come una stella, al cui lume ha drizzato il suo
corso in mezzo alle tenebre di questo cieco mondo, essendosi prima
con r esemplo suo guardato da molte cose inlicite ed inoneste, poi
liberato dalla superstiziosa e falsa religione ed in ultimo contenuto dentro
alli debiti termini, dove altrimenti sarei facilmente caduto in qualche

grave precipizio.

Alle quali parole più tardi faceva seguire questo


commento ;

Conveniamo insieme di questo equivoco cattolico, però che,


secondo il presupposto della signoi-a e mio, allora la religione cattolica

era la nostra, ed essendo cosi, non si può inserire che io tenessi la

religione cattolica per falsa o superstiziosa ; ma si bene quella che


universalmente si predicava e massime da frati più presto filosofi che
teologi, e più scolastici che scritturali e versati nella dottrina de' padri
antichi.

In una lettera del 24 giugno 1559, le diceva :

V. S. dovrà avere inteso i progressi del male del papa, e il giu-


dizio, che se ne faceva dagli intendenti : però non entrerò in dirne
altro se non che la conforto ad avere pazienza, confortandosi con
la speranza che all'incontro si può avere della salute e liberazione di
D. Bartolomeo e di Morone e della restituzione di Carnesecchi.

In altra lettera :

Del Friuli è un tempo che non si ha nuova alcuna e per gli

ultimi avvisi s' intese che stava bene e designava di venirsene in Italia,
ma eredo che sarà più savio in fatti che in parole. Se Morone sarà
CAPITOLO XVll :}Sl

liberato, come si spera, ed il Fulgioue non abbia yia pagato a chi


ilovea, voylio credere che per tenere in
non si lasciare
sia mano e
indurre da falso timore e minacce a far cosa che non convenga :

imperò importerebbe assai che li fosse fatto animo da Perez e da


ijualque altro, con prometterli di certo la vittoria.

Ina lettera da Venezia del 22 agosto 1559, colla


quale si ringrazia Iddio di averlo liberato da guai, fu
interpretata dagli inquisitori nel senso che Iddio lo avesse
liberato da papa Paolo IV, morto poco prima. Pieno d'umo-
rismo è il modo , col quale il Carnesecchi annunciava a
Giulia l'incendio dato al palazzo del Sant'Officio a Roma,
alla morte di quel papa.

Vostra Signoria ara inteso come la Santa inquisizione è morta di


quella morte istessa, di che era solita fare morire li altri, cioè di foco;
e certo è stato caso notabilissimo, dal quale pare che si possa fare
giudizio che alla divina clemenza non piaccia che queir ufficio si eser-

citi da mo avanti con tanta austei'ità e rigore, come si è fatto per il

passato.

Ma sopratutto la morte di Paolo IV era stata una


provvidenza per D. Giulia : lo ricorda lo stesso Carne.secchi
nella lettera inviatale il 9 settembre 1559:

io m' era rallegrato della partita del papa per tutti li rispetti e
pubblici e privati ; ma ora me ne rallegro maggiormente, avendo inteso
che se non partiva si tosto, aria dato la stretta ancora a Donna Giulia,
il che voglio credere sia stata cagione di farlo partire avanti che forse
non aria fatto per l' ordinario, cioè che Dio abbia così permesso per
salvare Donna Giulia, e, per amor suo, tutti gli amici e servitori suoi.

Le dà poi nuove dell'andamento del conclave, dal


quale sembrava che potessero uscire eletti o il cardinal
Morone od il card. Gonzaga, detto il cardinale di Mantova.

Il cardinale di Mantova è in tale considerazione che V. S. potrebbe


ancora essere parente d' im papa, onde io incomincio da ora ad inchi-

narmele e pregarla che si ricordi di me quando sarà nel regno suo,


benché io in verità non lo speri per due cause, l' una perchè io lo
desidero, e 1' altra perchè lui lo merita troppo !
,

382 GIULIA GONZAGA

In una lettera del 7 ottobre 1559 le riferiva un fatto


recente e curioso, cioè che due turchi

uomini di conto, erano andati nella moschea, eh' è la prin-


cipal chiesa di Costantinopoli e avevano cominciato a esclamare e pre-
dicare liberamente contro la leg-ge di Mahumet, dicendo essere un
inganno espresso del diavolo per sedurre i popoli, e come già tanto
tempo ha fatto, essendo Cristo crocifìsso vero figliolo di Dio e di

Madonna sempre vergine e redentore dell' umana generazione ; i quali


dico turchi, anzi veri apostoli ed evangelisti furono incontinente fatti

martiri dal popolo, essendo stati presi, lapidati ed arsi.

Il Carnesecchi ne ricavava l'auspicio che, converten-


dosi i musulmani e seguitando molti ebrei a convertirsi
come allora succedeva, si sarebbe finalmente raggiunta
r unità religiosa!
Una lettera a Giulia del 24 luglio 1560 annunziava
la morte del Friuli :

è morto il nostro da ben Friuli , eh" è quasi aver perso la

seconda volta quel divin Signore del card. Polo, per ciò che mentre
viveva r uno, non si poteva dire che fosse estinto l' altro in tutto, tanta
conformità e similitudine era tra quelli due veramente angelici e divini
spiriti. Questa morte è parsa tanto più acerba ed importuna a tutti
noi altri suoi amici, quanto che egli era, quanto alla sanità, ridotto
in miglior termine che fosse stato mai dopo la morte del cardinale.
E quanto al resto era in tanto credito ed estimazione appresso al papa
e a tutto il resto de la Corte, che si teneva per certo che arebbe
per ora avuto il vescovato di ^'erona vacato nuovamente, e fra non
molto tempo sarebbe anche stato cardinale, non ostante che egli non
avesse pelo adosso che avesse un minimo pensiero né dell' uno , né
dell' altro, essendo veramente privo d' ogni affetto di cupidità e d' am-
bizione....

Il sudetto è morto in Padova d' un catarro causatoli da certe


pilole, che li medici li avevano date più per cautela che per neces-
sità... Morse appunto quel giorno stesso che vacò il vescovato di Verona,
il quale S. S. aveva destinato in darli in ricompensa di quello di
Brescia, chePapa Paulo li avea tanto iniquamente tolto, come a eretico
e indegno di quel grado onde si può raccogliere che Dio abbia voluto
:

in un medesimo tempo restituirli l' onore e la dignità tolta a questo


suo diletto figlio, e liberarlo da quel peso, eh' egli sapeva che aborriva
tanto, reputandolo gravissimo sopra ogni altro.
,

CAPITOLO XVII 383

Il \')(yA arrivava e moriva in Moravia l'Ocliino (').

jNel cap. l'.).*^ il lettore vedrii una lettera che Giulia nei
1542 inviava a Don Ferrante Gonzaga per annunciare la

fuga d'Italia del famoso predicatore.


Altro avvenimento che precedette solo di pociii nie^i

lii fine di Giulia fu la morte di Pier Paolo \'ergerio,


avvenuta a Tubinga il 4 ottobre 1505, il quale, come
r Cellino, peregrinò lungamente all'estero per diffondere
le sue opinioni riformatrici della Chiesa.... e di sé stesso,
poiché era stato in passato ardito campione di quella!
Aveva studiato Ebbe a compagni Pier Martire
a Parigi.

Vei-migli, Flaminio, Bembo. Poi dimorò a Verona, Padova,


\'enezia e Roma, ove, per mezzo del fratello Aurelio, entrò
a servizio di Clemente VII. Dal successore Paolo III fu
mandato in Alemagna per confutare que' riformatori ,

da' quali invece attinse idee e convincimenti che però non


rivelò subito, tanto che, tornato, fu creato vescovo di Ca-
podistria. Passò le Alpi in occasione della dieta di Worms
(1540) e vi tenne un discorso sull'unità della Chiesa.
Parlò da cattolico: tuttavia cadde in sospetto. Nel 1549

(1) L'OcHiNo lasciò le seg-uenti opere:


Prediche predicata nd!' inclita città di Venezia del io39. Ivi 1541.

Altre edizioni furono fatte a Ginevra nel 1543 ed a Basilea nel 1562.
Serriion''s de file. Dialoghi sette, Venezia 1542. Diaìogi -Y.V.Y (in duos
litjvos divisi), Basilea, 1563. Z>e Purgatorio dialogus, Tiguri, 1555. Apologi,
ne' quali si scoprono li abusi, sciocchezze, superstizioni, errori, idolatrie et

einpietà della sinagoga del Papa, et specialmente de' suoi preti, monaci et

frati; Opera insieme utile et dilectevole , Ginevra 1554. V imagine del-

l' anticristo, trad. in francese e pubblicata nel 1545. Vn dialogo sulla

supremazia del Vescovo di Roma ecc. Commenti ad alcune epistole de' S. Apo-
stoli. Lettera al Nuzio per render ragione della sua fuga dall' Italia ecc.

Nell'edizione de" « dialoghi fatti dal reverendo Padre Frate B. O. y stam-


pata a Venezia dallo Zoppino il 1542, vi è un ritratto dell' Ochino, che
prega davanti il Crocifisso. Si vegga l' opera di Carlo Benrath :

Bernardino Ochino of Siena: a contrihution toward^s the history of th<'

Reformation, translated from the german hy Helen Zimmern , London


Nisbet, 1876.
384 GIULIA GONZAGA

si trovava a Basilea, seguito dalla scomunica papale e


nel 1553 presso il Duca di Vùrtemberg colla qualità di
Cancelliere.
Da Basilea scriveva, per ispiegare il suo apostolato :

« io veggo gli uomini ; ma non distintamente ; essimi pa-


iono tanti alberi che camminano ». — « In tre parti ho
pensato a darvi a leggere una sarà di quel i miei scritti :

tempo, nel quale io non aveva ancora bene aperti gli


occhi; —
l'altra del secondo quando la mano del Signore
mi toccò e mi diede le croce delle persecuzioni, e un poco
più mi svegliò —
la terza di questo tempo sarà, nel
;

quale io sono in un poco di riposo e sento che le cose


vanno migliorando ».

L' istinto di polemica e d' opposizione lo spinge a di-


sconoscere il senso ed il sentimento di pubblicazioni, che
inverosimili pel contenuto, ci destano tuttavia più affetto
che i libri pieni di verità. Così egli combatte acremente
quel libro bello, bellissimo de' Fioretti di San Francesco.
San Francesco, scrive il Vergerlo, comandò alle rondini
che tacessero, mentre che esso predicava, ed esse ubbi-
divano. Ed avendo veduto una gran quantità di uccelli,
esso disse a' compagni: « aspettatemi qua, ch'io andrò a
predicare alle mie sorelle, gli uccelli, e andò e predicò agli

uccelli ». Qui il Vergerlo scandelizzato esclama: « Oh Dio.


predicai-e agli uccelli ! la parola di Dio alle bestie ! Chi
udì mai la più enorme? » — Invece, francamente, in questo
caso è proprio da rimanere scandelizzati del poco spirito
del Vergerlo !

Altrove combatte il latino adoperato dalla Chiesa.


« Tutte queste parole si dovrebbero dire in volgare, ov-
vero, se si debbono dire non si debbono dire se
latine,
non a cui intende il latino e ammettere (al primo degli
ordini minori) questi soli, e questa è stata la intenzione
di quei, che in latino questa cerimonia hanno scritto». E
qui il Vergerlo mostra d' ignorare l' importanza religiosa,
politica d'una lingua universale tra gli associati in una
CAPITOLO XVII 385

stessa fede; e fa simili proposte il giorno dopo che l'uma-


nesimo, sopratutto pei* mezzo del latino, ha potuto dar
nuova vita alla cultura; le fa nel tempo che il latino di-

venta in Italia una specie di volgare e molti de' riforma-


tori, imitando la Chiesa, anzi esagerando la Chiesa, scri-
vono in latino per catechizzare le masse ! (')

Le peggiorate condizioni di salute di Giulia negli ul-


timi anni eccitavano doloroso interesse tra amici ed am-
miratori, che la confortavano di parole e di consigli. 11

vescovo di Salerno, poi Card. Seripando, l'invitava ripetu-


tamente a recarsi a Salerno, od a cambiare aria, trasfe-
rendosi almeno a Posilipo. Per vincere la ritrosia opposta
da Giulia ad abbandonare il convento di S. Francesco delle
Monache, il Seripando, scherzando, le diceva che nel concilio
di Trento avrebbe proposto e fatto accettare la proposta
che ne' monasteri non vi potessero stare che monache e
non altro che monache, per obbligarla così, con affettuosa
ironia, ad uscire più spesso.
Giulia, sentendosi aggravare, volle disporre delle sue
ultime volontà col seguente testamento che si conserva
nell'Archivio di Stato di Napoli.

Al nome di Dio Patre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.


Io Donna Giulia Gonzaga Colonna volendo testare et disponere

de robbe mie et ordinare quanto desidero si eseguisca dopo la mia


morte, in primis otfero et raccomando 1' anima mia al Signor Dio on-
nipotente et patre benignissimo, et a lesu Cristo suo figliuolo et mio
redentore se degni quella ricevere in vita eterna, et separata che sia
dal corpo mio ordino et voglio sia sepelito nella Ecclesia del Mona-
sterio di S. Francesco delle Monache, dove son stata molti anni et al

presente habito. Instituisco et foccio mio herede universale in tutti

miei beni l' 111. Vespasiano Gonzaga mio nepote, eccetto nelli infrascritti

(1) V. la biografia del Vergerlo compilata da C. H. Sixt: Petrus


Paulus Vergerius, Brunschweig, Sohn, 1885. II catalogo de' suoi scritti

fu dato dal Weller. La maggior parte possono consultare nella


di essi si
Biblioteca Nazionale di Firenze e sono notati nel catalogo della Guic-
ciardiniana, Firenze, 1887, p. 358: e nel suppl. pag. 58 e seg.

25
386 GIULIA GONZAGA

leyati e disposizioni, et annullando ogni altro testamento eh' io ha-


vessi fatto per tempo passato. Lasso ducati
il mille de moneta al Yen,
Monasterio, et Monache de San Francesco, dove al presente habito, et se
li paghino in quel modo et de quelle robbe che loro eligeranno. Lasso
a la Rev. Soi'e Caterina Strambone
matre del detto Monastero di

San Francesco, per suo habito ducati venticinque di moneta. Lasso a


Sore Aurelia Riccia Monacha in detto Monasterio ducati dieci di mo-
neta r anno sua vita durante tanto. Lasso a Sore Lucretia Longa,
Monacha in detto Monasterio, ducati vinti per una volta tanto. Lasso
a tutte r altre Monache di detto Monasterio di San Francesco dui
ducati di moneta per ciascuna per una volta tanto. Lasso a Sore Giu-
liana Sciabecha che sta in le Repentite ducati sei 1' anno durante la

soa vita tanto. Lasso al Magnifico Gio. Battista Peres di Napoli ducati
cento di moneta l' anno, durante la sua vita tanto. Lasso a I\L Federico
Zannichellis de Sabioneta ducati trecento di moneta. Lasso al Magnifico
Sertorio Pepe per aiuto di collocar le sue due figliuole ducati seicento
di moneta, cioè ducati trecento per ciascheduna, et li siano pagati subito.
Lasso Cintia mia schiava al detto Vespasiano mio herede, al qiiale or-
dino che la tenga in lo Stato suo di Lombardia, et inteso la verità
da quella di quanto io volea sapere da lei, la debbia maritare in quelle
bande, con darli ducento ducati di moneta in dote et farla libera e
franca. Lasso a Beatrice Pisana, figlia del Alagnifico Gio : Antonio Pisano
Medico ducati trecento di moneta, quale il patre ce li ponga in entrate,

e guadagnio per quanto se collocherà, e morendo detta Beatrice prima


che si collochi, siano et servino detti denari per l'altre figliuole del
detto Gio: Antonio. Lasso a Cassandra... figlia di M. Galieno... Medico,
ancora eh' io non la pigliai per maritarla, ducati ducento di moneta,
et uno letto comune fornito con lenzuola, coperta, et sproviero. Lasso
a Caterina Schiavona mia Creata ducati ducento di moneta , et uno
letto comune fornito con lenzuola, coperta e sproviero. Lasso alle due
Citelle lombarde Livia et Margarita, che già l'ho mandate in Lombardia,
ducati cento di moneta per ciaschuna, incluso quello che già hanno
havuto. Lasso a le Citelle che al presente serveno a la Cucina che
siano pagate di quanto hanno servito secondo le promesse che li son
state fatte, et di più dieci ducati di moneta per ciaschuna. Lasso a Ma-
dama Giulia,., donna di compagnia che sia pagata del suo salario, e

di più li lasso altri ducati cinquanta di moneta per una volta tanto.
Lasso a Lucretia Gnirfo che sia pagata del suo salario, et di più li

lasso ducati vinti moneta per una volta tanto. Lasso a Giovanni
di
Gnirfo di Salerno mio Creato ducati ducento di moneta. Lasso a Pi-
trillo eh' io ho fatto allevare in casa mia ducati mille di moneta. Et

morendo prima che sia de età da poter disponere, la mità di detti


ducati mille si diano al padre , e madre di esso Pitrillo ,
quali non
CAPITOLO XVll 387

ritrovandosi vivi sicomparteno alli parenti di esso Pitrillo, quale rico-


niaudo molto al mio herede. Lasso a Metello Semeone mio pay;jrio
ducati cento di moneta, et ad altri doi pai^-^d ducati cinquanta di mo-
neta per uno. Lasso al Kev. Don lierardino... che sta a lo Ospidal del

Incurabile lo usofrutto di ducati cento di moneta, sua vita durante


tanto, et dopo la sua morte siano detti ducati cento del detto hospidale.
Lasso a Granditia amica de Sor Francesca ducati dieci di moneta per
una sola volta. Lasso a la figlia più grande del giardenero de la

Sig.* Isabella Bonifacio a Capo di Monte ducati deci di moneta si

non ce li barò fatti pagare prima. Lasso al Rev. Don Pietro del Incu-
rabile ducati dieci di moneta per una volta tanto. Lasso a Lelio Cri-
stofani ducati trenta di moneta per una volta tanto. Lasso al Cappel-
lano che al presente mi serve ducati vinti di moneta per una volta,
ultra il salario che li compete. Lasso a madama Antonia... donna di
compagnia, che sia pagata del suo salario, et di più li lasso altri du-
cati vinti di moneta. Prego Vespasiano mio herede li sia raccomandato

Tiberio del Cagnino che per onor mio li dia alcuno trattenimento.
Al Magnifico Gio; Vincenzo Abbate ducati trenta per una gramaglia.
Lasso a M. Onorato Russo, fratello di Caterina Rossa già mia Creata
ducati trecento di moneta, cioè ducati cento per lui et ducati ducento
per li figli per conto de li servitii de Caterina predetta. Lasso all' herede
del Magnifico q. Donato Antonio Altomare Medico ducati cinquanta
di moneta. Lasso a Camilla Altomare figlia del detto Donato Antonio
ducati cinquanta di moneta. Lasso al Confessore, eh' è al pi-esente de
le Monache del detto Monasterio di San Francesco per uno abito du-
cati vinti di moneta per una volta tanto. Lasso che a tutti servitori

di casa mia se li facciano le spese per uno mese. Item ordino che
nisciuno mio servitore o servitrice possa essere astretto né costretta a
dar conto alcuno per via di lite e di Corte, ne' altramente, tanto di

denari, quanto de altre cose che havesse maniggiate, et li libero et ab-

solvo, et ordino che non siano molestati per conto alcuno. Item che
tutti i miei debiti et legati si paghino senza lite, e senza dilatione
alcima, e tutti servitori et servitrici pensionate siano pagati sino al-
l'ultimo giorno che haveranno servito ultra li legati che T bavero lassati.

Prego l' 111. Signora Donna Anna de Aragona, che faccia pregare nostro
Signor Iddio per me. Lasso all' Hospitale de la Nuntiata di Napoli du-
cati cinquanta di moneta per una volta tanto : all' Hospitale del Incu-
rabile altri ducati cinquanta, alle Convertite altri ducati cinquanta, al
Monte de la Carità altri ducati cinquanta. Lasso a la lUustriss. Si-
gnora Donna Isabella Colonna Principessa di Solmone ducati trecento
cinquanta di moneta per una volta tanto in loco di certo Calice e Pa-
tena, et certe perluccie, e bacil de argento, che pervennero da casa
soa in poter mio, che ponno importar detta somma. Lasso a la Rev.
'

388 GIULIA GONZAGA

Sore Lodovica Maura de Gonzaga mia sorella monacha in Mantua


scudi vinti d' oro 1' anno durante la sua vita da pagarseli terza per
terza. Lasso al Magnifico M. Marino Spinello Medico ducati cin-
quanta di moneta. Lasso al Magnifico Gio: Antonio Pisano Medico
altri ducati cinqiianta di moneta. Lasso all' herede di uno tale che fu
appiccato in Fallano, del nome può ricordare il Signor
del quale si

Scipione dell' moneta per una volta, et si usi


Offredo, ducati cento di
diligenza in trovar detto herede. Se mai si trovasse persona che mi
havesse ofi'esa-in qualsivoglia modo li perdono liberamente, et astringo

ilmio herede che non ne faccia risentimento alcuno, anzi ordino, et


stringo il detto mio herede, che non voglia far stratio né resentimento
alcuno con detta Cintia, da la quale non mi curo che intenda quello
che ho detto di sopra eh' io voleva sapere da lei, ma la faccia libera,

e franca et la mariti in quelle bande di Lombardia, come ho detto di


sopra. Faccio exequutore del presente mio Testamento 1' Eccel. Signor
Ascanio Caracciolo di Napoli, et lo Magnifico U. J. D. Gio: Vicenzo
Abbate di Napoli, a li quali do omnimoda potestà in forma am-
plissima ecc.

Giulia de Gonzaga Colonna

Il 19 aprile 1566 Giulia spirava in quel monastero


di San Francesco delle Monache tanto a lei caro, forse pre-
ferito appunto perchè consacrato al santo, che le illustri
donne del tempo e non si ingannavano — considera- —
vano esempio delle più elette virtù; pel che, a non far
perdere la memoria di queste , ormai spente per la vita

dissoluta de' frati minori , intesero con tutte le forze a


patrocinare i nuovi riformati, i cappuccini, i quali si

erano proposti di far rinverdire le migliori tradizioni del-

l' ordine.
Giulia aveva disposto, come si è visto, di essere sep-

pellita nella chiesa del monastero. Fu rispettata la sua


volontà? 0, eseguita subito, come io imagino, la salma
della dama più bella d' Italia fu tuttavia lasciata riposare
in pace in S. Francesco, quando dopo pochi mesi ebbe
luogo il famoso processo Carnesecchi ,
processo suggerito
dalle carte sequestrate nell' abitazione della defunta ?
CAPITOLO XVII 381)

La risposta non è facile e, data l' animosità di Pio V,


non si esagererà nel supporre che la salma sia stata tolta
dall' estrema dimora prescelta dalla Gonzaga.
Ad ogni modo io non ho perdonato a fatica per rin-
tracciare gli avanzi preziosi. Incaricai delle ricerche due
valorosi giovani, l'avv. Romolo Bianchi od il prof. Quirino
Bianchi ; ed ora accennerò brevemente i tentativi fatti e le
conclusioni che si sono potuto trarre dalle indagini compiute.
La Chiesa di S. Francesco delle Monache, come già
ho notato, corrisponde all' attuale chiesa della Rotonda.
presso S. Chiara. Si tentò di scoperchiare una prima fossa,
sulla quale vi era un marmo bianco senza alcuna iscri-

zione ; ma essendo stato impossibile a quattro facchini di


rimuoverlo, non si insistette nel tentativo, anche perchè
con altri mezzi riesci possibile di assicurarsi che quel
marmo era stato li collocato solo per far simmetria ad
un'altra fossa, posta a destra, e quindi non copriva alcuna
sepoltura. Fu alzato il marmo della fossa a destra per ve-
dere se si potesse accedere ad altri sotterranei, o se vi fosse
comunicazione con altre sepolture: nulla si rinvenne. Anzi
in questa fossa apparve uno scheletro che, a testimonianza
di un vecchio scaccino della chiesa, già presente all' inuma-
zione, è quello del parroco della chiesa e perciò non ri-
sponde all' iscrizione apposta al marmo che copre la se-
poltura. Tutto ciò è facilmente spiegabile quando si ricordi
che con vari decreti de' passati governi — seguito a in

pubbliche calamità e per ragioni igieniche — aperte nelle


chiese le molte fosse che contenevano scheletri, le ossa
vennero gittate alla rinfusa nel camposanto che in Napoli
una volta prendeva nome di Fontanelle. Ed infatti si co-
nosce per prove sicure che in molte chiese di quella città
si sono aperte da pochi anni le sepolture sia per una
ragione e sia per un' altra , senza però potervi rinvenire
gli scheletri , collocativi anteriormente all' emanazione di
detti decreti. Infine una terza tomba fu scoperchiata in
San Francesco ed il risultato confermò le previsioni negative.
390 GIULIA GONZAGA

Fu la salma di Giulia deposta nella fossa comune


delle Monache? E la fossa in qual punto della chiesa si

trovava ?
Alla prima domanda darei una risposta negativa con-
siderando che Giulia non fu. monaca e non poteva perciò

la salma trasportarsi nel sepolcreto comune. Questo poi


trovavasi nel mezzo del coro, abbastanza ampio e posto
dietro 1' altare maggiore, comunicante con la chiesa solo
per mezzo di una grande apertura coperta da inferriata,
dalla quale le monache ricevevano 1' eucaristia. Il sacer-
dote Raffaele Bara, antico prete della chiesa della Rotonda
e più che settuagenario, nell' affermare detta particolarità
ha anche ricordato alcune notevoli circostanze di fatto,
svoltesi sotto gli occhi di lui, che prese parte a tutti i
rivolgimenti, cui andò incontro la chiesa in quest' ultima
metà del secolo. Soppresso il Monastero, i privati, come
dichiarò anche Bara s' impossessarono de' luoghi adia-
il ,

centi, in modo che non rimase al clero che la sola chiesa.

Lo spazio occupato dal coro venne da' privati, quasi cin-


quant' anni addietro, convertito in una cantina. A tale scopo,
dinanzi al detto sac. Bara, i muratori 'discesero nel-
l'ampia fossa del sepolcreto comune delle suore e rotti i

lauti, confusero e portarono via le ossa. Dalla quantità


di ossa estratte, il Bara, allora diciassettenne, argomentò
che molte suore dovevano esservi state seppellite. Egli
aggiunse che tutti i documenti, tutte le carte esistenti nel
monastero furono ritirati e sono oggi custoditi dalla Curia
vescovile di Napoli. Dalle parole del Bara sembra logico
dedurre che se un sepolcreto comune delle monache esisteva
nel monastero, non poteva trovarsi in luogo più conve-
niente del coro, come si riscontra in tanti altri monasteri
di monache. Col cortese consenso del proprietario della
cantina, fu eseguita una visita nel sottosuolo di essa
per ispezionare minutamente il luogo colla speranza di

raccogliere qualche elemento atto a suffragare o meno


tali notizie. Si trovarono alzati alcuni archi, rifatte le
,

CAPITOLO XVII 391

pareti, senza vestigio di tombe nel muro; trasformato del


tutto il locale in i-ajiporto alle esigenze del mestiere!
E qui un'ultima noia... prosaica! Le ossa tolte dalla
fossa comune di sei)pelliniento delle suore furono vendute
da' fabbricatori a persone che se ne sei-virono per raffi-

nare lo zucchero !

L'annunzio della morte dell'illustre donna venne co-


municato il 25 aprile da Vespasiano, allora in Roma, al

Duca di Mantova, con queste parole :

è stata N. S. servito che la S. Donna Giulia Gonzaga,


mia zia, bassi cristianamente terminati i suoi giorni, chiamandola a
mig-lior vita e lasciando me percosso da gravissimo dolore

Due giorni dopo, con lettera ancora inedita, conservata


nell'Archivio di Stato di Mantova, il Vescovo Alfonso Ros-
setti scriveva al Duca di Ferrara :

è morta la S. Donna Julia Gonzaga, zia del rt. Vespa-


siano e lui resta erede di iiuattro o cinquemila scudi d' entrata et
anche di qualque denari contanti che si dice che aveva in Venezia, in
modo chel predetto Vespasiano, come muora la principessa sua madre,
hereditarà anche vm buon stado e si farà di questa manera una buona
entrata presso quella che tiene.

Ed infine Sertorio Pepe, nominato nel testamento di


Giulia, scrisse per il luttuoso avvenimento questo sonetto :

Quella che pari al mondo unqua non ebbe


Umana gloria e fu qualch' angel forse,
De la cui gran bellezza il grido corse
Tanto a le strane nazioni , e crebbe ;

Per cui di Liri già lo Scita bebbe


L' onda su '1 fiume, e 1' arco a prova torse
Chiara assai più che 1' Espero e che 1' Orse
Nova luce morendo, al Cielo accrebbe.
E lasciò gloria nel famoso asilo

D' onor qui sacra, perchè '1 tempo l'ale

Al suo corso mirabile non rompa.


Invide parche che troncaste il filo,

Di cui più bel non vide occhio mortale.


Voi togliete a Natura ogni sua pompa !.
392 GIULIA GONZAGA

La condotta degli ultimi anni di Giulia era stata at-


tentamente spiata da un domenicano, già resosi celebre
per lo zelo straordinario spiegato, quale inquisitore, a
Como ed a Bergamo, ove processò il vescovo Soranzo, ed
infine in Roma, ove ottenne 1' ufficio di Commissario ge-
nerale del Sant' Officio. Paolo IV aveva nel 1557 ascritto
costui, fra Michele Ghislieri, tra' cardinali. Anche nella
nuova dignità dimostrò le antiche attitudini ed abitudini.
Il suo nome, o meglio il suo titolo quello di Cardi- —
nale Alessandrino —
suonò presto con terrore fra gli
eretici ed riformatori. Il Gregorovius. mirando la tomba
i

di lui a S. Maria Maggiore, da' soggetti trattati osservava

giustamente come ormai, col frate austero e zelantissimo,


si dovesse concepire la chiesa, cioè come ecclesia militans
et in sanguine haereticorum triumphans! Il Ghislieri si

propose non solo di vendicare le ferite dalla chiesa ; ma le

offese che, rivolte alla sua persona, suonavano indiretta ribel-


lione alla comunione cattolica. E ne volle più tardi dare
r esempio contro Nicolò Franco, nato a Benevento il 1505,
noto per la vita avventurosa trascorsa tra Napoli, Venezia,
Roma e Casal Monferrato (ove scrisse e dedicò a V. Co-
lonna il dialogo sulla bellezza), celebre sopratutto per le
insolenze in versi ed in prosa scambiate coll'Aretino, suo
non indegno amico, e poi rivale al punto, che un servitore
di costui, Ambrogio Eusebi, regalò una pugnalata in viso
al Franco. Di carattere irascibile scrisse un epigramma
contro il Ghislieri che ne aveva proibito alcuni
, scritti

veramente indecenti, e fu ricambiato con peggiore irasci-


bilità e prontezza. Il Ghislieri (già assunto alla cattedra
pontificia) fece seguire presto il castigo e, come scrive
Scipione Ammirato

in tempo che il Duca Cosimo si trovava in Koma per pren-


dere la corona del Granducato (prezzo del tradimento contro il Carne-
secclii, come si vedrà), il fece finalmente impiccare per la gola. Quando
r infelice A-ecchio con una barba lunga e canuta e d' aspetto anzi re-
verendo che no, si vide in sulla scala col capestro alla gola, come se
CAPITOLO XVII 3'J3

confessasse d' aver fallato, ma non siffattamente che tal pena n' avesse
a patire, disse in modo che fu da molti sentito.

Il Card. Alessandrino aveva i)reso molti ajtpunti .su

Giulia, sulle persone che si recavano da lei, e nudriva il

sospetto che un vivo carteggio ella avesse dovuto man-


tenere co' riformatori. Forse gli mancavano prove sicure,
altrimenti avrebbe già agito neUa sua qualità di inquisi-
tore generale, o forse qualche ritegno ebbe , trattandosi
di colpire una principessa tanto celebrata in rapporti ,

colla società più distinta d' una città, ove 1' azione degli
inquisitori non era sopportata con soverchia indulgenza.
Ma l'assunzione al pontificato rese naturalmente più facile
il comi)ito al vecchio inquisitore.
Il 10 decembre 1565 spirava Pio IV, a grande mira-
colo poco prima scampato da una pugnalata di Benedetto
Accolti, figlio del Card. Accolti. Ciò aveva obbligato il

pontefice a circondarsi, negli ultimi giorni, di una guardia


di cento archibugieri. L'Accolti che diceva d' aver avuto
il mandato dagli angeli, fu presto condannato a raggiun-
gerli. Egli, coi complici Antonio Canosa e Taddeo Man-
fredi, affrontò coraggiosamente 1' estremo supplizio.
Strascinati a coda di cavallo, dicono le scritture di S. Gio. De-
collato , in su certe ruote, andarono per tutta Roma, poi ritornaro
in Campidoglio, dove era stato fatto un palchetto di legname, et quivi

a uno per uno fu dato loro d" un mazzo su la testa, di poi furono
schannati et poi squartati, la sera poi all' hora solita fumo levati li

detti quarti.

Entrati i cardinali in Conclave fu messo innanzi il

nome del card. Alessandrino il quale riesci di vera di-

sdetta a' convenuti ,


perchè cessò di vivere entro il con-
clave il card. Gonzaga, e poco mancò che non lo fossero
i cardinali Nicolini e Ricci e poi il card. Pisani; e lo
stesso Card. Alessandrino fu proclamato papa il 7 gen-
naio 1566.
Nel saccheggio dato dal popolo, secondo le abitudini
del tempo, alle robe del nuovo pontefice, furono perdute
394 GIULIA GONZAGA

alcune casse : una era ripiena di appunti del cardinale


Alessandrino sopra le persone sospettate d' eretica pra-
vità. Figuriamoci come Sua Santità si sarà doluta di questa
perdita ! Si fecero ricerche speciali ; la cassa fu ritrovata
e gli appunti riescirono preziosi elementi per iniziare le
persecuzioni. Il pontefice scrisse al viceré di Napoli di

procedere ad un sequestro immediato di tutto ciò che si

trovava nel convento di S. Francesco, appartenente a


Giulia: — il che, colla scusa di tutelare gli interessi del
nipote Vespasiano, fu subito fatto eseguire dal A'icerè.
Averardo Serristori, Duca di Toscana,
Legato a Roma del
riferiva in un suo dispaccio del 16 maggio 1566 che si
erano rinvenute moltissime lettere di D. Giulia ed a' 23 e
30 dello stesso mese aggiungeva che di D. Giulia il Car-
nesecchi aveva parlato come di una santa (^).

Ed appunto col sussidio delle relazioni degli amba-


sciatori Serristori, Rabbi e Tiepolo possiamo attingere i

particolari del principio d' un triste dramma. Il Rabbi il

28 giugno 1566 scriveva:

Qui si è intesa la cattura di costà di Mons. Caruesecclia ....


essendosi trovate più lettere sue fra le scritture di D. lulia da Gon-
zaga, clie dovevano esser piene di questa mala semenza, le quali scrit-
ture avendo fatto S. S. portar qui, e vistole e fatte copiare quelle, che
le parvero suspette, le rimandava a Napoli in una cassa per il pro-
caccio e perchè quelli che sono in dolo in questa materia non potes-
sero negare, mandò dreto al procaccio ad aprire la cassa ( probabìliiiente

si dovè simulare un assalto di banditi al procaccio: fina astuzia di inqui-


sitore IJ et cavarne tutte le lettere originali di questi tali; e perchè
d. lulia aveva pratiche con molti Signori di questa corte e con altri

di fuori, si dubita che non ne sieno delli altri nella rete. Questo papa
per r occasione di queste scritture ha detto cJie se le liavesse viste irriuia

che lei fUS se morta, che P iLivrebbe abrusciata vira!!

(^) BoHEMER, le cento e dieci divine considerazioni di Gio. Valdes.


Halle, 1860, p. 575. Le Legazioni del Serristori furono stampate a
Firenze il 1853.
CAPITOLO XVII 305

E r ambasciiuoi-e veneto Paolo Tiepulo ni ilata 1:5 giu-


gno ISfiÒ:

" Hieri fu ijua condotto il niag-giordoino ( G. B. Pive: ) che fo


di d. lulia Gonzaga, mandato dal Vice re di Napoli al Papa, che lo
aveva richiesto per conto di religion et insieme con lui doi nitri per
la medesima causa di relig-ione. Fo donna giulia sorella di rodomonte
gonzaga signora celebre per la nobiltà, bellezza et ingegno suo, ma
notata appresso molti d' haver dato orrecchie a queste novità di reli-
gione et che ha tenuto appresso lei i scritti del Valdesio già solenne
heresiarca, seguendo in segreto le sue opinioni: però qui subito che
s' intese la morte sua che può esser già circa tre in quattro mesi,
richiese il Pontefice il \ìce Re di Napoli che facesse ogni opera per
haver le sue scritture nelle mani. Il Vice Re che compitamente ha
voluto satisfar S. S. in tutte le cose che è stato da lui richiesto et
specialmente in quelle di religion, mostrando in questo di muoversi
per interesse del Sig. Vespasian gonzaga restato herede di lei, fece
far inventario di tutte le robbe sue, et delle scritture anchora; le quali

scritture tutte si posero in una cassa ha poi man-


et si dice che le

date qua a sua S. la quale dopo ha rimandate a


haverle vedute le

Napoli et ha richiesto d' haver quest' homo, che ultimamente è giunto


nella mano : per rispetto dell' intelligenza che teniva con questa Sig.'"*

il Carnesecchi, si dice che è stato retento et che s' hanno ritrovato


certe sue lettere a lei, che le raccomandavano le scritture del Val-
desio ».

Ma r animo mite del Pontefice non si fermava qui. Un


dispaccio dell' ambasciatore al Duca di Firenze del 7 .set-

tembre 1567. diceva: «non ostante che si fosse detto e


creduto ancora da tutti che se il Carnesecchi si ravve-
deva delli suoi enormi e gravissimi errori, il papa facil-
mente gli avrebbe perdonata la vita, non ei'a però vero,
anzi S. S. il primo giorno, se non fusse stato per non
parere crudele, e forse ancora per respetto di V. E. lo

harehbe fatto ahrusciar vivo, tanto grave gli parve il

peccato suo! ».

Pietro Carnesecchi era di nobile prosapia fiorentina,


ben fondato nelle lettere greche e latine, facile parlatore,

buon poeta, favorito da' Medici in patria, in Francia e a


Roma. Giuliano de' Medici, suo amico, quando divenne Cle-
mente VII lo elesse protonotario e segretario, e gli conferì
396 GIULIA GONZAGA

badie e pensioni ecclesiastiche. Del 27 giugno 1531 abbiamo


una commendatizia per lui all' imperatore Carlo V come
civis florentinus summa fide et singulari modestia vir,
quem cimi suis meritis et deditissimo animo in me, timi
virtute et nobilitate ita amo, ut jolus non j^ossiwi, onde
gli fu perfino concesso il cognome di Aledici {^). Nel 1536 in

Napoli contrasse rapporti con Giovanni Valdes, coll'Ochino,


col Vermiglio, col Caracciolo, poi in Viterbo nel 1541
col vescovo Vittore Soranzo, col Vergerio, con Lattanzio,
Ragnone di Siena, seguace dell' Ochino, e con Luigi Friuli,
Vescovo, Apollonio Merenda, Baldassare Altieri , apostata
luterano e libraio, Ebbe dimestichezza con
Mino Celsi.
Vittoria Colonna, con Margherita di Savoia, con Renata di
Francia, con Lavinia della Rovere Orsini e con Giulia
Gonzaga, alla quale raccomandò due eretici (-).
Subì un processo nel 1546, un anno prima della
morte di Vittoria Colonna e riesci a farsi assolvere. Da
un altro processo lo salvò Caterina de' Medici, regina di
Francia; ed un terzo lo raggiunse nel 1557 e nel 1561.
Ma l'abilità del Carnesecchi, le molte aderenze di lui, stretto
da amicizia, o da rapporti cogli uomini più eminenti per
uffici pubblici e per posizione morale e colla maggior
parte de' letterati in voga, riuscirono a rendere vano ogni
tentativo.
Pio V, in possesso di varie centinaia di lettere del
Carnesecchi a Giulia Gonzaga, decise di avere nelle mani
il protonotario e di farlo condannare. Inviò il maestro di

palazzo al Duca Cosimo de' Medici, scongiurandolo a con-


segnargli il Carnesecchi. Questi stava a pranzo col Duca
il quale, vincendo ogni ripugnanza, fece incatenare e man-
dare r amico al papa.

Pio V giubilante scrisse al Duca una lettera di lode,


designandolo a modello de' principi cristiani. Quanto ai

(1) Cantù, Grli erefici in Italia, Torino, 1866. voi. 2.° p. 423.

(2) Id. pag-. 424.


CAPITOLO XVII 307

rimorsi pel vile tradimento, il pontetìce non mancò di

acquetarli, promettendogli di cambiare il titolo di Duca


in quello di Granduca, come poi fece !

Il Cantù parlando del processo, da lui esaminato, con-


tro il card. Morone, scrisse :

« il processo aperto noi scorremmo con quello stringimento di

cuore, che cag-iona il vedere anche allora tutte le sevizie e le arguzie


che, in questi giorni di terrore e d' eccezioni, si usano sia dai
denunziatori, sia da' giudici inquirenti. Questi rimuginarono attenta-
mente tutti i libri e le carte del cardinale - e coli' atroce finezza dei :

moderni ( poveri moderni messi in confronto co' padri inquisitori ) lo !

chiamavano a render ragione d' ogni periodo di lettere sue e d' altrui,
di note marginali, d' ogni ambiguità d' espressioni, benché in iscrit-

ture di dieci e più anni prima {^) ».

Ed io che ho dovuto leggere, e rileggere attenta-


mente il voluminoso estratto del processo Carnesecchi,
edito dal Manzoni, posso far quasi mie quelle impressioni,
poiché non troppo diverse ne ho ricavate dalla lettura
di quel documento. 11 Carnesecchi vi appare figura se-
condaria; il processo in verità si fa a molti morti, a
molti illustri morti : tra donne a Giulia Gonzaga, Vittoria
Colonna, Caterina Cibo, Isabella Brisegna: tra uomini ai
Cardinali Polo, Morone, Contarini, Sadoleto e confusa-
mente a prelati e laici: a Onorato TafFetti, Luigi Friuli,
Bartolomeo Spadafora, amico di Giulia Gonzaga e di A''it-
toria Colonna, già sfuggito dalle carceri dell' inquisizione,
per opera di popolo, morte di Paolo IV; a Marioalla
Galeota, Apollonio Merenda sacerdote calabrese (cappel-
lano del Card. Polo, chiuso varie volte in carcere, poi
esule a Ginevra); al vescovo veneto Centano, al vescovo
"\^ittore Soranzo, al vescovo di Modena Egidio Frascaro
ecc. ecc.

Alcune lettere di Giulia al Carnesecchi, inserte negli


atti processuali, sono state riprodotte sopra. Ma nuovi

(1) Id. loc. cit, p. 172.


398 GIULIA GONZAGA

elementi storico-biografici si deducono dalla lettura del


processo. Innanzi tutto si stabilisce chi sia 1' autore del
famoso libro : il Beneficio di Cristo, stampato a Venezia,
-del quale si tirarono quarantamila esemplari, poi tutti

distrutti per ordine dell' inquisizione. Una sola copia nasco-


sta per vari secoli e scoperta diversi anni addietro, potè
servire per la ristampa del celebre trattato. Il Carne-
secchi dichiarò che :

« . . . . il primo autore di questo libro fu un monaco negro di


S. Benedetto chiamato D. Benedetto da Mantova, il quale disse averlo
composto mentre stette nel Monastero della sua religione in Sicilia
presso il Monte Etna; il qual Benedetto, essendo amico di M. A. Fla-
minio, gli comunicò detto libro, pregandolo che lo volesse pulire ed
illustrare col suo bello stile, acciò fosse tanto più leggibile e dilette-
vole, e così il Flaminio, serbando intero il soggetto, lo riformò secondo
che parve a lui, dal quale io prima che da nessun altro 1' ebbi e come
io r approvai e tenni per buono, cosi ne detti copia anche a qualche
amico ».

Aggiungeva che una difesa del libro era stata prepa-


rata dal Flaminio.
Dal processo si ricava la notizia delle molte pratiche
iniziate o sollecitate da Giulia presso il Card. Seripando, e
presso il Card. Morone per far pubblicare le opere del
Card. Polo. Di costui scrive il Carnesecchi il 13 aprile
1555:

«... s' ha nuova che sua Signoria Reverendissima era per pas-
sare mare e per intervenire come legato all' abboccamento della pace
il

che si doveva tenere a un luogo, che è su li confini della Picardia,


intervenendovi per la parte del Re il Contestabile e Monsignor di
Lorena e per quella dell' imperatore il D' Alva e Monsignor d' Arras,
la qual pace seguendo come si spera, non essendo verisimile che quelli
principi usassino il mezzo di cosi onorati personaggi per darsi la baia
r un a r altro, si attribuirà in gran parte alla destrezza e prudenza
di quel da ben signore, come quello che sarà stato principale istru-
mento di Dio in cosi pia e santa impresa. È ben vero che li costerà
caro quest'onore, essendo quasi comune opinione che la sua lonta-
nanza da Roma gli abbia questa volta tolto il papato ».
CAPITOLO XVII 390

In altra lettera il Carnesecchi prega Giulia di sov-


venire di danaro lo Spadafora, sospettato di eresila. Il

27 aprile 1555 le sci'iveva:

« Non e' è cosa di momento, eccetto che il nostro reverendis-


simo Polo, per quanto s'intende per lettera di 14 dalla corte Cesarea,

si trovava ancora in Ing-bilterra ed era indisposto di catarro con un


poco di febbre . . . non posso pensare che Dio voglia privare il mondo
d' un cosi nobile e divino subietto senza aver prima fatto per mezzo
di esso qualche g'ran benefìcio al popolo cristiano, come spero che
sia per fare, conducendosi per mano sua questi principi alla pace «.

Con precedente lettera del 20 aprile 1555:

« il nostro reverendissimo d' Inghilterra deve a quest' ora essere


in sul luogo destinato all' abboccamento della pace. Piaccia al signore

Iddio concedergli grazia di concluderla alla gloria sua e beneficio uni-


versale della cristianità, il che succedendo, come mi giova sperare,
reputerà che ci sia stato fatto da Dio molto maggior favore die se
r avesse assunto al pontificato ».

Ed interpretando alcune parole di una sua lettera a


Giulia {costituto dell'ultimo di settembre 1566) diceva:

« . , . . ho chiamato il reverendissimo Cardinale d' Inghilterra

nostro come padrone mio ed affezionato di quella Signora per la opi-


nione concepita della rara bontà e opinione sua. Io non ho chiamato
nostro per conto di religione; ma per li rispetti detti di sopra ».

Perchè avete chiamata divina, domandano gli inqui-


sitori, Isabella di Binsegna? Ed il Carnesecchi « respon-
dit se vocasse adulatorio 'more neapolitano, quia erat
pulchra et gratiosa ». Affermava d'aver conosciuto, o
meglio d' essersi maggiormente stretto in amicizia col
Valdes nel 1540 a Napoli, tanto più che lo vedeva assai
stimato dal Flaminio e da Bernardino Ochino « che predi-
cava allora con ammirazione di ciascuno e faceva pro-
fessione di pigliare quasi il tema di molte sue prediche
dal Valdes, mediante una cordicella, che questi gli man-
dava la sera innanzi la mattina, che doveva predicare ».
II Carnesecchi dichiara d' aver avuto opinioni erro-
nee circa la religione per dilucida intervalla.
400 GIULIA CtO>'ZAGA

Crede che cominciasse fino da Napoli, nel 1540, a dubitare del


purgatorio e della confessione per opera specialmente del Flaminio, il

quale alligava un luogo di S. Agostino, sopra i salmi, ove pare che


dica che quaeri potest aa sit tertius lociis ; e che quanto alla confessione
non vi era argomento in favor nella santa scrittura, donde si potesse
concludere che fosse dg jure divino, quantunque la riteneva (badiamo
che questa opinione è manifestata innanzi a' giudici) cosa utile e buona.
Tali opinioni gli si confermarono colla lettura de' libri di Lutero e di
altri, tra quali un libro del Bucero sul vangelo di S. Marco, posse-
duto a Viterbo dal Cardinal Polo.

Lo stesso cardinale avrebbe mostrato a Carnesecchi


le istituzioni di Calvino. Certe conseguenze, che dovevano
trarsi dall' ammettere puramente e semplicemente che
Cristo avesse soddisfatto colla sua morte abbondantemente
per tutti cioè la mancata necessità del sacramento della
penitenza ecc. egli cominciò ad intravedere a Viterbo
nel 1541, trovandosi lì col Card. Polo insieme col Fla-
minio, e successivamente fece maggior progresso in quelle
opinioni con libri letti dal 1542 al 1545.
Aggiungerò qualche altro particolare intorno ai rap-
porti del Carnesecchi con Giulia. Innanzi tutto confessa
che, sospettato a Venezia, si astenne dal rifugiarsi fuori
d'Italia, per rispetto di lei. In altro costituto dichiara di
aver avuto « la medesima opinione ancora della signora
Giulia, di non avere mai negata la successione del Papa
neir apostolato di San Pietro, sì ])ene con autorità più
limitata di quella che le è attribuita universalmente sopra
laChiesa cattolica, interpretando il suo primato quod ad
ordinem potius quani ad dominatimi, intendendo per
ordine la precellenza » (p. 297),
Estraggo ora il punto più saliente relativo alle accuse
in materia religiosa mosse contro la Gonzaga.

Inferrogatus nonne ipse constihitiis videi ex presente processa dictarn


dominam luliam hereticam videri et apparere non solum ex erroneis opi-
nionibus Valdesii sed tum ex conipUcibus. Plerique heretici deprehensi simt
et ut tales vel ahjuraveriint, vel se purganmt, vel alias puniti smit, ahi
vero inquisiti, carcerati, vel detenfi ut vehenienter suspecti, ahi ad hereti-
ticos transfugerunt, ut Galeatius Caracciolus et domina Isabella Brisegna,
1

CAPITOMI XVII -10

et aia tuiii quia eadeui donuiia lidia cUleni doniiiia I.saliella cxistt'utt m
parfi/jtts haereticoruiii pecuìwts ministt'ahat, ner non eosdein dominani hu-
heìlam et (rnìeatiunt rupihat ut iierhiaiieret in risdeni jiartilius a/jud haerr-

ticoif tutn etidhi quia dirta domina lulia dimisit Venturain et Pauluiii

Colae suos faniiliares, qui trans/ugerunt ad hereticos de eiu.s et ipsius

constituti scientin, tuui denique quia dieta domina lulia non sohim i/npro-

òavit indicem librorum hereticoniìii sanrtae ronianae Inqui.sitioni.s-, et ettam


ratholìcam jidei cnn/esuionern fuctain ah iltustrissimo douiino i-ardinaìi Polo
in eiu-'s testamento, quininio et circa liaec adduxit ipsum consti tuturn in

snam sententiam, cuni tamen in eadem confessione dictus C'ardi nalis roii-

fiteretur Papam esse Christi Vicarium et Petri successorem, et ipsum sen-


tire et credere jv.xta fidem sanctae Romanae Ecdesiae, et sic dieta con-

fessio continehat omnia dogmatn Jidei, ne dum artirulum justificationi.s- ;

et postremo ex alii'i adductis et adducendis,


R'spondit: Se SS. VV. hanno addutti et coarcervati insieme tanti

inditii et argumenti di provare cbe quella signora sia stata beretica,


che io non basto pure a capirli con la memoria non cbe a purgarli et
diluirli come io desidererei potere fare, et per bonore et per salute del
anima di quella persona eh' io tanto amavo. Imperbò risponderò cosi
in confuso quel tanto che mi occorre per diffesa della verità, dicendo
prima non tenere cbe siano stati suoi complici, se non quelli che sono
stati inquisiti et carcerati et coìidemnati per l' articolo solo della giustifi-

cntione per la fede, secondo la prelibata dottrina di Valdfs, et cbe gl'altri


cbe sono stati o detenuti et castigati da questo sancto (Jtiicio, ovvero
se ne sono andati in paese di beretici siano bene stati amici o servi-
tori, ma non complici di essa signora, la quale se pure verso quelli
tali cbe sicome bo detto, in paesi di beretici, ha usato
sono retirati,

qualche obbligo cbe bumanamente bavesse con essi, et non per com-
plicità et conformità delle opinioni. Quanto poi al bavere lei improbato
r indice delli libri probibiti et poi la confessione catholica che fece
Inghilterra nel suo testamento, non accade eh' io respondi altrimente,
havendo risposto a 1' un et 1' altra obbiettione al suo logo proprio nelli
constituti di sopra, alli quali mi rimetto confidando nell' equità de' miei
illustrissimi signori giudici che non la condemneranno né per 1' uno
né per 1' altro capo per più heretica di quella eh' ella se fusse per conto
del articolo già tante volte repetito da me della giust'iflcafione per la fede,

con le circustanti". che teneva il prelibato Valdes.

Il 21 settembre 1567 in un'aula del convento della Mi-


nerva (oggi sala delle adunanze del Consiglio Superiore di
P. Istruzione) ove più tardi doveva pronunciarsi la sentenza
contro Galileo Galilei, fu dichiarato il Carnesecchi col-

26
.

402 GIULIA GONZAGA

pevole di 34 proposizioni « rispettivamente heretiche,


erronee, temerarie et scandalose ». Il testo della sentenza,
pubblicata prima dal Gibbings, può leggersi a pag. 552
dal citato volume di Miscellanea di storia italiana. La
1/^ proposizione è « la giustificazione per la fede senza
che vi abbiano parte l'opere nostre, secondo Luthero
heresiarca sopra l'epistola ad Galatas. »E un vero gioiello
quell'opere nostre, che nel fatto da quei quattro Torque-
mada allora si traducevano nel mandare a morte un uomo
per amore di Cristo, antitesi stridente alla morte subita
da Cristo per amore degli uomini ! Coli' ultima proposi-
zione si rinfacciava al Carnesecchi la credenza nel famoso
opuscolo del tempo.

a Et finalmente (altra motivazione ) hai creduto a tutti gli errori


et heresie contenuti nel detto libro del Beneficio dÀ Christo et alla falsa
dottrina et institutioni insegnateti dal detto Giovanni Valdesio tuo
maestro »

Col Carnesecchi fu pure condannato un frate di Civi-


dale, quale relapso.
Il Carnesecchi si avviò coraggiosamente alla morte.
« Andò, scrisse il Serristori, tutto attilato, con la camicia
bianca, con un par di guanti nuovi e una pezzuola bianca
in mano ». L'Ambasciatore toscano a Roma, in data 1 ot-
tobre 1567, così scriveva :

a Questa medesima mattina, a fare a punto del giorno quello


sfortunato del Carnesecchi, in compagnia di quel frate fu menato in

ponte, e lì decapitato l'uno e l'altro, e di poi, secondo il solito

di questo S. Ofììzio d' Inquisitione , abrusciato , e come scrissi il frate


si era risoluto tanto bene, e così ravvistosi e confessato i sua errori,

che se non ha finto , essendo morto con tanto spirito e con tanta
corapuntione che si debbe credere che idio 1' babbi raccolto nelle sue
s.'" braccia. Il Carnesecchi anchor eh' abbi mostra qualche penitentia
et babbi confessato bavere errato grandemente et con tutto che 1' uno
e r altro si confessasse e si comunicasse, a lui non è stato creso che
dicesse di cuore e da vero , havendo sempre dubitato del purgatorio
e dell' opere, se bene nell' ultime parole che disèe furono che confes-
sava la S. Madre ecclesia romana... la executione si fece cosi per
CAPITOLO XVII 403

tempo , non per respetto a lui , ma i)erche è stato concistoro , che i

Card, nel passare il ponte non vedessino cosi atroce spettacolo, ma


piovig-ginando e non abruciando le legna, tutti i Card, lo viddero ap-
piccato per li piedi, et ig-nudo come nacque, et ancora che fusse cosi
per tempo mi ci trovai per sentire se diceva qualque parola prima che
mettesse giù mostrò desiderio di voler parlare ma non
il collo , lui

fu lassato raccomandò a dio due volte che fu sentito nel


, solo si , ,

condursi non mostrò viltà, non per altro se non per ostentatione ilei
mondo e perchè andasse fuori voce che lui fosse morto con molta
constantia per la nuova religione, doppo che fu decapitato , il M."*" della

iustitia lo spogliò igniido' come nacque ,


poiché le spoglie e i vesti-
menti di ragione erano sua e lo strascinò per li piedi per condurlo al
palo dove fu abrusciato n.

Evidentemente qui l'Ambasciatore, da buon cortegiano,


scrive come si deve scrivere ad un padrone (autore di una
furfanteria) nel quale spera di non suscitare alcun tardo
rimorso solo col mettere innanzi il pensiero e la giustifi-
cazione che l'amico tradito se n'ò ito dritto dritto all'in-

ferno, avendo il condannato voluto, che « andasse fuori


la voce che lui fosse morto con molta constantia per
la nuova religione ».

Ma invece le scritture di S. Giovanni Decollato regi-


strano ben diversamente la cosa :

o Al nome di Dio e della vergine M.^ e di San Giovanbattista.


Essendo la n.'' Comp.* in torre de nona questo di primo d" ottobre
innanzi il giorno di 4 bore ci fu consegniato m, Pietro Carnesecchi
fiorentino e fra Giulio maresio di città di letona del ordine de frati
minori condennati alla morte si reseno in colpa delli loro peccati. Et
per quanto s' intese dal p. Pistoia scappuccino erano il di denanzi
confessati et comunicati, niostrorno segni di contvitione et dissero che
volevano morire volentieri nel grembo della s.*^ Chiesa Romana, si

riconciliorno , sentirno la sM messa , et di poi intorno a dodici bore


furono condotti in ponte et gli fu a tutti doi mozza la testa et poi
fumo abruciati per eretichi, stetteno con patientia, dio li perdoni li

loro peccati. M.'' Pietro ci dette il suo ferraiolo che se ne facessi del
bene per 1' anima sua. Et il frate ci dette un habito per portare a
S.t° Apostolo » (voi. 7." p. 78).

Circa tre anni dopo, per le stesse ragioni, veniva


mandato a morte Aonio Falsario , autore d' un poema
404 GIUIJA GONZAGA

sull'immortalità dell'anima ed autore, o creduto autore,


del Trattato del beneficio di Cristo il quale ad ogni modo
ebbe diverse ristampe precedute dal suo nome. Aveva dato
lezioni di lettere latine e greche e poi di filosofia a Siena e
fu amico del Berni e del Sadoleto. Passò più tardi ad
insegnare a Lucca ed a Milano. Quivi nel 1566, cioè quando
Pio V sali al pontificato, fu arrestato dall'inquisitore fra
Angelo da Cremona e mandato a Roma, ove rimase tre
anni chiuso nel carcere di Tordinona, ed infine venne con-
dannato a morte. Il Bonnet, nella biografia pubblicatane
a Parigi nel 1863 (p. 327) riporta alcune lettere del Paleario
al Sadoleto, ad Antonio' Filonardi, al Bembo, al Curione,
al Vettori , non che quelle scritte la mattina destinata
all'esecuzione capitale a' figli Lampridio e Fedro ed alla
moglie Manetta. Ad essa diceva :

« Non vorrei che tu pigliassi dispiacere del mio piacere ed a male


il mio bene. È venuta 1' ora eh' io passi da questa vita al mio signore
e padi'one e Dio. Io vi vo tanto allegramente alle nozze del Figliuolo
del gran Re, del che ho sempre pregato il mio signore che per sua
bontà e liberalità infinita mi conceda. Sicché mia consorte dilettis- ,

sima, confortati della volontà di Dio e del mio contento ed attendi


alla famigliola sbigottita , che resterà , ad allevarla e custodirla col
timore di Dio e ad esserle madre e padre. Io era già di settant' anni,

vecchio e disutile. Bisogna che i figli , con la virtù e col sudore , si

forniscano a vivere onoratamente. Dio padre ed il Signore nostro


Gesù Cristo e la comunione dello Spirito Santo sia con lo spirito
vostro ».

Le solite scritture di S. Giovanni Decollato accennano


al fine del dramma :

« Essendo stata chiamata la nostra compagnia Domenica notte


venendo il Lunedi giorno 3 di luglio 1570 in torre de nona donde ne
fu dato nelle mani condannato a morte per via di giustitia da li mi-
nistri dell' otfitio della S.'* Inquisitione m/ Aonio Paleari di veruli
abitante in Colle di Valdelsa, qual confesso e contrito domando per-
dono a Dio et alla sua gloriosa matre vergine maria et a tutta la
corte del cielo et disse voler morire da bon Christiane et creder tutto
quello che crede la S. Romana Chiesa, non fece testamento alcuno si
CAPITOLO XVII 4U5

non che ci dette le sottoscritte doi lettere scritte d(? sua mano pre-
gandoci le mandassimo alla moglie et figlioli sua a Colle di Valdelsa •«.

Con Aonio Paleario scomparve, por mano di carnefice,

il seguace più famoso della dottrina valdesiana. Ed ora,


rivolgendo il pensiero al passato per determinare l'essenza
e gli effetti di quella dottrina e rifuggendo dal ricordare
altri scempii ed altri errori, quale la conclusione?
In parte è stata accennata — chiamando tutto ciò
uno strano equivoco, una ingiustificata reazione; — ed in

parte è opportuno di illustrarla colle giuste parole di un


eminente nostro erudito, da poco rapito agli studi storici

ed alla scienza, della quale si mostrò insigne cultore.


« Non furono, scrisse Luigi Amabile, i seguaci della dottrina del
Valdes protestanti, o luterani, come Roma ed il volgo si compiacquero
di chiamarli: lo divennero parecchi, che prevenendo la jjersecuzione,
o perseguitati di fatto, ebbero a rifugiarsi in paesi d' eretici , mentre
molti di coloro che rimasero in patria, schiacciati, sicuramente ebbero
a divenire qualche cosa di peggio. Tutti, nel professare la nuova dot-
trina, non crederono menomamente potersi trascurare le buone opere
e nonle trascurarono, né abbandonarono i riti, nò dismisero l' uso

de' sacramenti, né vilipesero il papato; non furono ribelli, né si pro-


posero la ribellione alla chiesa costituita; e se può ammettersi che
taluni, nel tempo di calma, abbiano tenuta tale condotta per evitare
il rischio della persecuzione come nel tempo degli ultimi guai si
,

sieno mostrati ossequenti alla Chiesa per evitare l'atrocità dell' abbru-
ciamento in vita, adattandosi piuttosto ad una pena di morte meno
atroce, ciò non toglie che, considerati in massa, abbiano amato meglio
non separarsi dalla chiesa romana, aspirando a vederla emendata e
non demolita. Né io intendo pronunziare giudizi sulla condotta di
Roma: solamente non posso mancare di dire che oltre allo scempio
della carità, si ebbe lo sperpero d' un tesoro di fede, sperpero non
più riparato presso di noi, essendo rimasto nella generalità ciò che
tuttora si vede — o ditfuso il dubbio e l' indifferentismo, spesso con-
diti anche coli' ipocrisia — o diffusi moltissimi santi e innumerevoli
madonne (ne sorgono pur oggi sotto i nostri occhi e in quali maniere!);
un culto, non una religione : un culto senza un sentimento profondo
ed efficace dell' Essere supremo, un culto rutinario con molta devo-
zione rumorosa e non con altrettanta buona coscienza: lo stato di cose,
in alto ed in basso, che un nostro filosofo, perseguitato esso pure dal
Santo Officio, scolpi con quelle sue parole : ci serviamo di Dio e non
serviamo a Dio! ».
XVIII

Lettere di vari a Giulia (')

Lettere di Vittoria Colonna; - di Annibal Caro; - di Claudio Toloinei; -


di Bernardo Tasso ;
- del Card. Seripando ;
- di Giulio GosselUno ;
-

di Aurelio Vergerio; - del Card, di Burgos ; - di Nicolò Marco-


bruno; - di Pietro Carnesecchi.

I.

Vittoria Colonna a 0. Glonzai^a da Viterbo 8 dee] {^).

Illustrissiina signora raia — Sempre V. S. mi fece gratia: dalla


I)rima volta che la vidi in Fundi sa che non trovai cortesia se non in
lei, et hor mi ha dato molta consolatione a mandare tante et si buone
cose al signor Cardinale {^) et a quelli altri signori, perchè oltre che io
ne abbia partecipato per humanità di monsignor reverendissimo, me
ho un'altra maggior satisfattione, cioè che V. S. sia causa che com-
mensi a perdere una certa strana consuetudine che tiene di accettare

di malissima voglia ogni presente, perchè questa mattina messer Luigi


'Friuli me ha detto che ha preso le cose della S. V. con grandissimo
piacere, vedendo tanta affettione et charità , senza parere a Sua Signoria
di haverneli dato causa con altro che col continuo desiderio di hono-
rarla et compiacerli. Si che. Signora mia, io che sono a Sua Signoria
reverendissima della salute dell' anima e di quella del corpo obligata,
che r una per superstitione, l' altra per malgoverno era in pericolo,

(^) Nell'archivio Vaticano, nelle Lettere di Vescovi e prelati, voi. 7."

si conservano varie lettere dirette alla Gonzaga.


(') Mùi.LER e Ferrerò, Carteggio di V. Colonna. Torino, Loescher,
1889, p. 238.
(^) Si allude certamente al Card. Polo.
408 GIULIA GONZAGA

pensi y. S. se desidero posserlo servire, et non mi è stato mai con-


cesso sin qui, et hor spero clie sarà un poco più fiexibile a cosi rag-io-
nevol cose, et se la Signora absente può tanto con la sua Christiana
cortesia, hor che sarà se per gratia di Dio potesse esser qui? massime
che havendo io la mia consolazione di conferire con lei, anzi di im-
parare veramente quel che Dio per ottimi mezzi li ha comunicato,
non haveria sì gran necessità di loro, che mi bisogna desiderarli troppo,
non dico solo monsignor, che è occupatissimo, et lo ho per scusato,
ma il nostro ottimo spirito M. Flaminio non lo ho visto se non due
volte poi che venne, sì che, se non fusse M. Luigi Friuli et il signor
Carnesecchi, io starei male. Et certo saria conveniente che la Signora
revedesse un poco la sua patria in Lombardia, hor che della vera ce-

leste patria è si ben informata, che li potria giovare pur assai, et


passando di qui se potria fermare un par di mesi, dando a monsignor
occasione di mostrarli in effetto il desiderio che ha di satisfarli et ad
me di ricevere gratie da lei et pensando che tutti scrivano a V. S.
la ottima voluntà di monsignor verso lei, non ardirò di far questa
lettera più longa, che il piacer di scriverli mi ha trasportato pur troppo,
et li bacio la mano.
Ho inteso che V. S. ha mandato la espositione sopra San Paulo,
eh' era molto desiderata, et più da me, che n' ho più bisogno, però
più ne la ringrazio et più quando la vedrò, piacendo a Dio.

Anuibal Caro a G. Gonzaga Roma n fehbr. iooij (i).

Il sig. D. Giorgio Marrich mi fa fede per una sua, che V. Signoria


Illustrissima tiene ancora memoria di me, cosa che mi è tanto di
maggior favore, quanto me ne reputo men degno, non conoscendo
che per mie qualità, né per servigi che 1' abbi fatti, né per lunghezza
di conversazione ne dovesse aver punto di ricordo, che a pena si può

dire che io la visitassi a Napoli, e tanti anni sono. E se ben con l' animo
io ho sempre continuato d' osservarla, di riverirla e d' ammirarla quanto
si conviene a signora di tanto merito, non ne ha veduti però segni
estrinsechi, per li quali io le potessi venire in quella considerazione in
che mi si dice che le sono. Di tutto dunque so grato alla molta uma-
nità ed amorevolezza sua. E come ne le sono infinitamente obbligato,
così le ne rendo infinite grazie. E supplicandola a non dimenticarsi di

(^) Caro, delle lettere familian. Venezia, Remondini, 1756, voi. I.'^

pag. 195.
CAPlToI.o XVIII 40n

questa sua buona volontà verso di me ed a valersi d' un ardentissimo


desiderio, eh' io tengo di servirla, riverentemente le bacio le mani.

Ili

Claudio Tolonieì a d. Gonzaga Ro»ìa 3 apr. ir,:ìo) (').

Non farò con voi altra scusa d' essere cosi poco otiicioso ne la

scrivervi e de l' indugiare inlino a tanto di' io desideri conseguir da


voi qualche grazia ])erché contìdatonii ne la vostra benignità, non penso
per questa mia negligenza esservi in grado di men vero servitore. L;i

cagione che mi spinge al presente scrivervi, è che, come già vi feci


intendere per M. Gandolfo, il Reverendiss. Card, de' Medici signor mio

fa grazia a M. Bonifacio amico e parente mio, del governo di Todi,


dopo il tempo di costui, che 1' ha ora. Ma per averglielo dato a vostra
istanzia, non vorrebbe contravenire in alcun modo al conto vostro,
ne', senza vostra buona grazia, vuol che questa concessione vada in-

nanzi. Per la qual cosa, quanto io posso, umilmente vi prego, che si


come benignamente risponde di ciò a M. Gandolfo, così vi degniate
di questa buona volontà scriver due soli versi al Card, certificandolo
come vi contentate che mi si non manco sti-
faccia questa grazia che
merò riceverla da voi che dal Cardinal signor mio. Di che mi terrò
con istretti modi obbligato e se mai mi verrà occasione di farvene
fede con le opere, m' ingegnerò con ogni stiidio di non lassarla per-
dere.

IV

Bernardo Tasso a Donna G. Gonzaga 'da Napoli^ (^).

Vorrei, IH. ma sig.* mia che piuttosto gli effetti fossero testimonio
a V. S. del desiderio, eh' io tengo di servirvi, che la molta cortesia di
M. Gandolfo perchè di quel modo e servirei a voi e sodisferei a l' animo
;

mio di questo né voi sentite commodo, né io piacere ma egli, che


: :

con forse più acuta vista vede il secreto dell' animo mio, vi fa phit-
tosto fede del desiderio, che de le operazioni. De l'haver raccomandato
al s. Principe le cose vostre e sollecitato M. Gio. Cola, niun obligo me

(1) Sette libri delle lettere di M. Claudio Toiomei ecc. Vinegia, Ga-
briel Giolito de' Ferrari, 1565, p. 141.

(-) Le lettere di M. Bernardo Tasso ecc. Venezia, Lucio Spineda,


1612, pag. 86.
410 GIULIA GONZAGA

ne dovete avere ;
perchè ne appo 1' uno avete bisogno di raccomanda-
zione , ne presso 1' altro di sollecitudine l' uno vi osserva e desidera
:

più r onore e 1' utile vostro che ogni suo particolar commodo e piacere :

r altro, si per li molti meriti vostri, come per sodisfare a la volontà


del suo Signore, niuna cosa più desidera che di servirvi. Ed eziandio
che la vecchiezza 1' abbia privato di quella viva luce de gli occhi, non
gli ha però tanto tolto di lume, che non veggia il sole. Obligo avrei
a V. S . m' aveste comandato cosa, dove col mio piccolo servizio
se
vi potessi giovare: ma sapendo che egli è specie di beatitudine avere
occasione di jìotervi servire, non m' avete di tanto bene degno giudicato.
Farò e con 1' uno e con 1' altro 1' ufficio che mi scrivete , non perchè
sia di mestieri: ma per aver cagione di parlar di voi, a cui di tutto
cuore desidererei d' essere raccomandato. E volesse Dio che le mie
preghiere potessero tanto di bene impetrarvi da la Fortuna, quanto
meritano le virtù vostre ; che sareste regina del mondo ; ma poi che
altro non possono, basciandovi la mano, farò fine.

Bernardo Tasso ,
Dedica a Giulia Gonzaga^.

Molte cose in queste mie fatiche sento avvenirmi, illustre et gra-


tiosa Signora, le quai di non poca contentezza mi sono ma quella, ;

eh' io sovra ogni altra maggiore stimo, è la grazia, che per questa
via mi pare appresso alquante valorose signore di poter acquistare, le
quali con molto fervore amando la virtù, spero che ancora in me deb-
bano quel desiderio amare che a seguir cosa mi sprona, tanto da loro
apprezzata e avuta cara, delle quali principalmente voi una siete che
ciò facendo tanto più ra' accrescete di favore, quanto che alle vostre
rare virtù è giunta quella divina bellezza che simil non credo eh' ad
altra il cielo donasse giammai. Né si poteva in più degno albergo che
del bellissimo corpo vostro chiudere anima sì purgata e gentile et bene
mostrò d' esservi veramente amica la natura quando con ogni sua in-
dustria adornò il vostro virtuoso ingegno di si perfette bellezze che
pur un minimo difetto scorger non si puote quindi nasce 1' ardente :

affetto che sprona ogni spirito gentile ad affaticarsi di far risonare il

vostro nome in ogni parte e inalzarvi per le vostre lodi infìno al cielo.
Ond' io desideroso cogli altri che gli altri meriti vostri per la mia
lingua si odano e con questi miei versi piacere altrui; conoscendo in
alcun' altra guisa non poter meglio le orecchia del mondo dilettare che
con la dolce memoria del nome vostro, ho voluto che queste mie
CAPITOLO XVIII 411

composizioni (') seco nella fronte lo rechino. E benché (luesto sia picciol

segno della grande atfezione e servitù, eh' io sono tenuto di portarvi,

non pertanto vorrei che vi cadesse nel pensiero che 1" animo mio fosse
tale: anzi di continuo mi doglio della fortuna che non abbia il mio

basso intelletto a iiuell' alto segno di perfezione innalzato, che meritano


le vostre virtù, acciocché io potessi onorarvi come ima delle più per-

fette donne, che possono col suo valore guidare la nostra età a (luel-
r antiqua gloria e restituirla ad ampi e pregiati onori.

VI

Il Card. Seripniido a I). (TÌnlìa iion/.aga Trento / fi dee. tr,(ji (-).

Io ben partii da Napoli, come con disegno d' operare


dissi a V. E.

quanto potea che preparandosi Monsignor di Sorrento fosse


il Concilio,
astretto a venirvi come persona, che, secondo il parer mio, era ed è
per giovar sempre a tutte 1' opre buone e sante. Ma per dir il vero
questa cosa m' era mezzo che passata dalla fantasia e non saprei dire
perchè. Intendendo poi che N. S. 1' avea chiamato per mandarlo qui e
che da Napoli si facevano tanto contromine acciò che non venisse e
che si usavano tante forze e tanti favori per impedir la sua venuta,
vuoisi mostrar di poter ancor io qualche cosa e che non bastavano le

forze napolitane a far tanto danno a questo concilio quanto sarebbe


stato r assenza d' un cosi raro e discreto prelato ; e cosi svegliatomi d'un
sonno mesi cominciai a procurare che per ogni modo venisse
di sei ;

poi tornai un' altra volta a pentirmi sapendo il dispiacere che avrebbe
lasciato a molti la partita sua e massime a V. E., ma non potei tor-
nare indrieto, perchè Mons. ili."" et R.™° di Mantua Signor mio es-
sendo informato o da me o da altri delle qualità di questo prelato,
sollecitava più ardentemente di me che fosse chiamato. È giunto con
r aiuto di Dio benedetto agli otto di questo un poco smarrito dal cam-
mino e ci ha consolato tutti, massime che il medesimo giorno giun-
sero tre de' principali prelati di Spagna, da' quali siamo assicurati del
venir degli altri et nessuna cosa ci tiene più sospesi che l' incertitu-
dine delle cose di Francia, delle quali però non ci diffidiamo anzi spe-
riamo che quanto più ha tardato Mons. ili.™" Legato a darce qualque

(^) Cioè: <x selva nella morte del sig. Luigi Gonzaga: — epita-
lamio nelle nozze del Duca di Mantova; — favola di Piramo e di Tisbe ».

{-) Lettera inedita, da me trascritta dalla Bibl. Nazionale di Napoli.


412 GIULIA GONZAGA

rag-guaglio dell' opera sua, tanto teniamo che sia per essere più frut-
tuosa perchè tutti i frutti di molta durata crescono et vengono tardi.

Con Monsignore di Sorrento per infiniti rispetti, de' quali il principale


è il comandamento di V. E. io avrò ogni cosa commune e già da
Roma prima che egli giungesse, si era avuto ordine del modo come
havea a trattarsi. E con questo resto, raccomandandomi alle orazioni
di V. E., pregando N. S. Dio che la conservi lieta e felice.

VII

Giulio Gossellino alla S. Giulia Gonzaga (M-

In proposito di questa sua causa ho a dirle che quel suo gentil-


uomo eh' ella teneva in Corte (Nicola Marcobruno) per sollecitarla, non
mancò mai di ricordarla all' eccellentissimo sig. Don Ferrando mio
Signore e a me e a chi bisognava; e per falta sua non si può dire
che abbi avuto quello successo. Può ben dirsi che se per opera d'uomo
avesse avuto a riuscir a miglior fine, sarebbe riescita per la sua, perchè
non li mancava né abilità, ne amorevolezza. Emmi parso di far questo
ufficio per questo Gentiluomo non per altro se non perchè mi par di
farlo per la verità.

MIl

Aurelio Yergerio alla S. Donna Giulia (*).

La cagion di questa mia è per dinotar a V. S. Illustrissima, come


per la gratia di io mi ritrovo ammalato di peggio che di febre
Dio
continua. La cagione veramente non si sa se non eh' io dò la colpa a
queir aere caldissimo di Fondi, dove come V. S. si potè avedere, co-
minciai a risentirmi e subito, eh' io fui partito, anch' io m' avidi che
io stava male e patientia. I medici vorrebbero eh' io m' andassi a risa-
nare a Pozzuolo, dicendo che quelle acque sarebbono ottime al mio

male, come se io avessi solamente il fegato acceso non altro, ma


e
non penso già far a lor modo, perchè io conosco questo mio male es-
sere incurabile e quasi fuor d' ogni speranza. Io giuro, per vita di V.
Sig. eh' io sto male, male e peggio starei, se non fosse, che stando
male, ho piacer di star male, si come ho avuto piacere grandissimo

(1) Dalla raccolta del Marcobruno.


(2) Lettere di XIII uomini illustri ecc. Venezia, Cornin da Trino
Monferrato, MDLXL pag. 606.
CAPITOLO XVIII 4\'ò

(li pigliar questo male. Io so che sani biasimata la mia presunzione


che io abbia avuto ardire di ammalarmi in Kondi, ma non posso più
di (luel eh' io posso. Iddio il sa, che ho fatto il debito mio per fujrir
questa malattia e so che con ragione potrò essere iscusato da tutto
il mondo, se non ho potuto reggere a quell'aria di Fondi, perche suole
essere pestifera a chiunque viva,massimamente a chi ha ardire di stare,
come ho fatto io, tutto il giorno a que' soli ardentissimi; ma patientia.
Il mio voler vedere e considerare troppo minutamente la bellezza di
(juel paese, anzi di tutto il mondo, mi ha condotto a questo. — Di Roma.

IX

Il Cardinal di Biirgos a 1). (ilinlia (Gonzaga Colonna (').

Io non mi stenderò con molte jjarole in raccomandare a V. S. Il-


lustrissima M. Nicola Marcobruno intorno a questo suo tanto ingiusto
quanto compassionevole frangente, massime havend' io veduto per le
sue lettere allo 111. Sig. Giuliano Cesarino, et alla Signora Giulia Co-
lonna Sua moglie, date sotto il di 10 di Giugno, et 20 d' Ottobre pas-
sati r amorevole et humanissima inclinatione sua di fargli benelicio,
come ricordevole et gratissima dell' antica et buona servitù di essa
M. Nicola, et di suo Padre verso il S. Federico Zio di V. S. et sig. Ca-
gnino suo fratello. Solamente le ricorderò, supplicandola insieme, che
per quello che si deve a gli honorati et veri vassalli, come è M. Nicola,
più che a gì' altri servitori ordinarij, all' innocenza sua, et ai prieghi
di questi Signori Illustrissimi, i quali amano questo Gentil' huomo, se
ne tengono ben serviti, e desiderano di profittargli in quanto possono :

et per quel che si deve alla carità di N. Sig. Dio, voglia vivamente
pigliar in se questa impresa d' aiutare questo Gentil' huomo, vassallo
et buon servitore delle S. \'. Illustrissime, presso il Reverendissimo
Sig. Cardinale di Mantova, talmente eh' ella il metta in gratia di
S. S. secondo che egli tanto affettuosamente desidera, o almeno ren-
derlo sicuro dall' alteratione , che per le false relationi de gli Emuli
detto Sig. Cardina l' ha contra di lui, come V. S. Illustrissima può, et
son certo che vorrà, per non mancare della solita bontà sua.
In che farà opera Christiana, e degna della grandezza et prudenza
di se stessa et obligarà singolarmente questi Signori, et me insieme,
promettendomi fermamente ch'ella non mancherà: et a V. S. Illu-
strissima bacio le mani etc.

(1) TtalV Epistolario del Manuzio.


414 GIULIA GONZAGA

N. Marcobrniio a I). G. Gonzag'a Bruxelles ì3 oft. tòH, (^).

Giunsi a questa Corte in Bruscelles alli 6 di questo ; e dopo


d' haver presentato le lettere al Signor Don Ferrando, S. Eccellenza
mi disse, che poi parlariamo in lungo, mi tenne tre dì prima, che se
ne potesse haver commodità, e di poi mi ascoltò per tre volte molto
bene, talmente che mi disse, che era informata; et mi commandò, ch'io
presentassi a Mons. di Granuela il voto con la relatione di Don Lopes.
Io risposi a sua Eccellenza, se era meglio presentarlo a sua Maestà,
poiché anche havevo lettere da darle, et da parlarle, mi replicò, eh' io

dovessi dar ogni cosa al detto Mons. di Granuela, e lasciarlo fare a


lui, perchè non accadeva dar impaccio all'Imperatore; Et cosi presa
l'occasione, che fu a 13 di questo (nel qual giorno S. Maestà stava
ritirata per un poco di catarro) in compagnia del signor Bracamonte
presentai a Mons. di Granuela la detta relatione et voto giuntamenre
con le lettei-e, che a sua Eccellenza erano dirette, et parimente quelle
di \. S. Illustrissima, et del Signor Viceré di Napoli, che andavano a
S. Maestà. Accettò ogni cosa con buona fronte, et mi disse che ve-
derla il tutto, et poi si trattarebbe col Consiglio, et con sua Maestà;
Et d' indi a tre di ritornai a sua Eccell. per intendere 1' espediente,
che sopra ciò si era preso, mi usò molte buone parole, dicendomi,
eh' io andassi a sollecitar il Consigliero Boisot, che egli haveva in

mano il tutto per vedere et riferire; et cosi ho sollecitato et sollecito


esso Signor Boisot. Ho poi dato memoriali al Signor Don Ferrando,
et al Sig. Don Francesco d' Este, acciochè 1' uno, et 1' altro voglia fa-
vorir l' ispeditione di questo negotio con Monsignor di Granuela, et
col Consigliero Boisot, coi quali m' hanno deto haver fatto l' ufficio, et

che hanno risposto che non mancheranno d' ispedirsene quanto


essi
più tosto Et perchè Mons. d'Aràs si ritrova bora in Inghilterra ra' è
;

parso bene di scrivere et mandar à S. Sig. Reverendissima le lettere,


che havevo da presentarle. Di quanto seguirà di mano in mano avi-
serò V. S. Illustrissima, alla quale con ogni riverenza bacio le mani,
che N. Signor Dio le conceda la prosperità che desidera.

(1) Dall'Epistolario del Manuzio. Del Marcobruno esiste, nella stessa

raccolta, un' altra lettera da Bruxelles in data 7 dee. 1544, che non
riproduco.
CAPITI»!. Il WIII 11")

XI

Pietro ranicsecclii a (Giulia (Joii/aga "min iò:ìh .

Il particolare che V. S. dice avere iuteso circa la morte del (or-


dinale (') cioè ch'ella fiisse se non in tutto, in gran parte causata
dal dolore di qiiella della Ueg-ina, è conforme a quello che si è detto

ancora qui e che è stato a quella scritto da me per la mia penultima.


Ma non credo però che sia del tutto vero, perchè avendo visto tanto
saggio della fortezza sua in tollerare prima V acerbissima morte della

madre e del fratello suo primogenito, ambedue decapitati, come debbe


sapere V. S. da quella fiera pessima di re Enrico, poi quella della Mar-
chesa di Pescara e del Flaminio, non meno amati da lui secondo lo
spiritoche gli altri due secondo la carne, non posso pensare eh' egli
non avesse con la medesima virtù sostenuto ancor questa (percossa),
e non fusse stato atterrato più dalla forza della malattia che dal dolore
preso per tali accidenti. Ma quando anche fusse altrimenti, direi clie
neir altri casi precedenti fusse stato degno di laude ed in questo di
compassione. Il sequestro che V. S. ha inteso che sia statx» fatto delle
sue robbe in Inghilterra fu fatto per ordine della Corte e camera reale :

ma fu poi revocato di volontà e comandamento della Regina, la quale,


come credo averli scritto, aveva dichiarato di volere che il Testamento
del Cardinale fusse in tutto e per tutto eseguito e che li fussero fatto
le esequie, secondo 1' uso della Corte romana. Né altro si è poi inteso
circa questa materia se non che il Priuli ha mandato qui alli suoi una
copia autentica del testamento, per pigliare il possesso di danari, che
sono in zecca, che sono circa 12 mila ducati, quali averà senza ninno
contrasto. E i^er quanto ho inteso dire da chi ha visto il detto testa-
mento, vi era fra li altri un legato, per il quale il Cardinale lascia al

Papa 6 ovvero 7 mila ducati, di quali S. S. reverendissima restava


creditrice, per conto della provisione della sua legazione. Ma quel che
importa più, una dichiarazione e quasi protestazione fatta da S. S.
vi è

reverendissima d' aver sempre tenuto il papa e particolarmente questo,


per vero successore di Pietro e Vicario di Cristo, e d' averlo sempre
riverito e obedito come tale, senza avere mai discrepato in cosa alcuna

(^) Il Cardinale Reginaldo Polo spirò in Inghilterra il 1558, sedici


ore dopo la morte della Regina. Questa lettera e le successive sono
estratte dal processo Carnesecchi, edito dal Manzoni. (V. Mùcellanea
di Storia italiana, Torino, Bocca, 1870, voi. X, pag. 276).
416 GIULIA GONZAGA

dalla volontà sua, ne' dall' opinione della romana chiesa ('); il che se
è cosi, come mi ha affermato uno chi 1' ha visto e come spero di chia-
rirmene tosto, avendo il promesso di mostrarmelo e
fratello del Friuli

darmene una copia, sarà un antidoto contro le calunnie e faLse impu-


tazioni date da' maligni a quel santissimo prelato, benché senza questa
confessione doveva bastare 1' innocenza della vita, accompag-nata di
tante oneste e virtuose azioni, a farlo tenere dal mondo quello che è
nel cospetto di Dio. Ma non più di questo.

XII

Pietro Carnesecclii a Gialla Gonzaga (I9 nov. 1S58).

Da poi che le scrissi la morte di Carlo V, s' è inteso che la regina


d' Inghilterra et il cardinale Polo sono stati per farli compagnia ; ma
per li ultimi avvisi s' intende che erano ambedoi megliorati di sorte,
che il conte di Feria che doveva per occasione di tale malattia pas-
sare in Inghilterra, era sopraseduto, et si credeva non fusse per an-

(^) Però 1 reverendi padri inquisitori mostrarono poco dopo al


Carnesecchi un' altra lettera, diretta dallo stesso Carnesecchi a Giulia
Gonzaga nel febbraio 1559, cosi redatta: « mi è piaciuto mirabilmente
che D. Giulia non abbia approvato la dichiarazione fatta da Inghilterra,
essendo invero stata superflua per non dire scandalosa, in quel tempo

massimamente. Carnesecchi, ancor che ne sentisse il medesimo che


Donna Giulia, non aveva voluto dir niente per modestia. Basta che è
una gran differenza dal fatto di Inghilterra a quello di Valdesio e che
si è verificato in ambedue quel verso la vita il fine, il dì loda la sera.

Orsù pur ringraziamo Iddio che la nostra fede non pende da uomini,
ne' è fondata in arena; ma sopra la viva pietra, sopra la quale hanno
fondata la sua similmente gli apostoli e i profeti e tutti gli altri eletti

e santi di Dio, al qual piaccia concederci grazia di vivere e morire


costantemente in essa a gloria sua ».

I giudici notano ne' loro costituti che Carnesecchi all'impensata


lettera ed alla esibizione del documento, esclamò : « il capitolo che segue
mi fa andare in sudore per 1' n' ho
affanno e per la confusione, che
preso, di chenon solo non sono per iscusarmi altrimenti; ma non mi
basta neanche 1' animo di trovare parole bastanti ad accusarmi quanto
merita una tanta colpa ».
È ovvio poi il notare che il Carnesecchi mette in terza persona
il nome suo e quello di Giulia pel caso che le lettere potessero an-
dare smarrite.
("AFlTOLci XVIII UT
dare altriniente. Se fusse morto quel divino Signore, credo che mi
sarei più facilmente accordato a morire anch' io di quel che spero per
ordinario et il medesimo mi persuado che sarebbe avvenuto a V. S.
Illustrissima, perchè ci saria parsa vergog-na a recusare di caminare
per quella via che fnsse caminato un huoiuo tanto degno d" immor-
talità come quello : né haremo potuto imaginarsi che se la morte fusse
cosa male per sua natura, il Signor Dio havesse permesso eh' 1' bavesse

dominio sopra di lui et i pari suoi. Hora, essendo cosi, quanto mag-
giormente dovrebbe operare in noi quest' efletto il consi<ierare che è
morto ("luùsto, et che morendo ha trionfato della morte, havendola
vinta et superata per noi, di maniera che non ci può più nuocere, né
li è restato in lei altro d' horribile che il nome et la faccia sola, che è
([uasi una maschera da fare paura ai piccirilli ed alle femminelle, et
molto più ancora alli impii et infìdeli, quali o non credono che sia
altra vita che questa, o credendolo, tengono che habbia a esser in
lor pernitre (pernicie?) o condenmatione. Ma a che jjroposito, dirà
\'. S. , sei tu entrato a ragionar di morte ? Perchè vorrei, ragionandone
spesso, adomesticarmi talmente con lei, che non ne havesse più paura,
uè per me, uè per li ben che quanto a me, quando io
miei amici,
examino bene me non trovo causa niuna perchè io debbe abhor-
stesso,
rire la morte, essendo sicuro che ella non mi può fare male nessuno,
anzi mi darà adito a conseguire un infinito bene, liberandomi fra tanto
da infiniti fastidii et travagli che porta seco questa vita, et sopratutto
dal peccare et ofi'endere Dio, che è propriamente la morte del anima,
la qual si deve reputare, come è in eff'etto senza comparitione (com-
parazione) niuna più grave et più acerba di quella del corpo.
Postscritta et sigillata ho havuto un' altra copia d' avisi, tra i quali
è la morte del mio dolcissimo patrone d' Inghilterra, che certo mi ha
ti'afitto il cuore, non ostante eh' io mi fusse già armato con l' imagi-
natione che eli' havesse a seguire dopo si longa et grave malatia.
Horsù pure prego Dio che mi conservi Donna Giulia, et se pur me
la vuol torre innanzi tempo, uà concedi almeno quella gratia che ha

concesso a Ingliilterra, cioè di potere seguitare anch' io la mia Re-


gina. Amen, amen.

XIII

Pietro Carnesecchi a G. Gonzaga ^^ dee. I008).

Verrò a dirli quello che doppo la mia ultima mi è venuto a no-


titia intorno alla morte del cardinal Polo, la qual trovo esser stata
sanctissima per ogni altro conto, se non in quanto pare che sia stata
accelerata dal dolore preso di quella deUa Regina, il che non pare che

27
418 GIULIA ONZAGA
correspondi all' opinione che s' haveva della cristiana pacientia et for-
tezza del animo di quel signore. Ma io per me credo che questa sia
una iiuaginatione nata dal poco intervallo di tempo che fu dal pas-
saggio dell' una a quello dell' altro, et che il puovero signor fusse
tanto afflitto et estenuato per la lunga infìrraitu .patita, che non ha-
vesse più spirito in corpo. Sua Signoria reverendissima ha lasciato suo
herede universale il signor Friuli, non ostante che havesse molti stretti
parenti, et che lui fusse al tutto forestiero in quelle parti, nel che ha
chiaramente dimostro quanto ella stimasse più la congiuntione del spi-
rito che quella della carne. Erasi in sin allhora trovato in casa circa
XII mila scudi tra denari ed argenti, et pareva cosa strana che non
si fosse trovata molta maggior summa, havendo sua Signoria reveren-
dissima exacto già parecchi anni le decime, et i primi frutti di quel
regno che importavano un mondo. Imperò s'havera qualche inditio che
la Regina se n' era servita nelle sue occurrentie. Trovasi ancora qui
un credito in sul monte della zecca di 9 o 10 mila scudi in nome del
sudetto Reverendissimo, quali conseguentemente appartengono al si-
gnor Friuli, et li venivano quasi di ragione hereditaria, perchè essendo
quelli che furon lasciati dalla marchesa di Fescara al Cardinale, pai-eva
conveniente che egli similmente lasciasse a qualcuno altro con l' istessa
carità che fu usata con lui, il qual però ha caricato tal heredità di
molti legati fatti a parenti et servitori, di maniera che s' è mostrato
grato et liberale universalmente con tutti , et quando pur havesse
mancato in parte alcuna, sono certo che la bontà del Friuli supplirà
liberalmente a ogni falta con esponere le proprie facoltà sue bisognando,
M. Donato s' è trovato ancor esso alla morte di sua Signoria reveren-
dissima, et se ne doverla tornare in Italia in compagnia del Friuli, se
però non restaranno di passare il mare per paura di inquisitori,
potendosi stare là sicurissimi. V. S. harà inteso 1' essequie fatte a Roma
a Carlo V couìe a Imperatore, et la bolla eh' era uscita contra quelli
che ambiscano il papato, privando i cardinali inquisiti della voce ac-
tiva et passiva nel conclave. Harà anche inteso l' electione fatta del
reverendissimo Alexandrino per presidente dell' inquisìtione, et sou
certo harà subito pensato a quel eh' è venuto in mente ancora a me,
dico che ciò sia stato fatto particularmente per conto di Morone : però
non mi estenderò in dirli altro intorno a ciò.

N. B. Queste lettere, come ho ricordato innanzi, sono


tolte dall' estratto del processo Carnesecchi. Citerò qui
cronologicamente alcune altre lettere di lui a Giulia, inse-

rite in quel documento; cioè lettera da \'enezia 21 mag-


i ,

CAPITdI.ii XVIII 41i)

gio 1558, pag. 'S.^1 \ ed 11 giugno 1558, i>.


238; - altra
senza data, p. 25V) - 18 giugno 155S da Venezia, p. 240 -

altra senza data. p. 253 - IH luglio 1558, p. 2 15 - 20 ago-


sto 1558. p. 246 - IT settembi-e 1558, p. 247 - 15 ottohi-e
1558 - 12 novembre 1558, p. 241) - 17 dicembre 1558,
p. 257 - 7 gennaio 1551), p. 271 - 14 gennaio 1559, p. 274
- alti-a senza data e conlenente molti pai'ticolai-i sul caiil.

Polo, p. 27() - 21 gennaio 1559 sul lu-ogetto abbandonato


di fuggire all' estero,p. 282 - altra senza data. p. 285 -

28 gennaio 1559, p. 287 - 4 febbraio 1559. p. 252 - 11


febbraio 1559 sulla ritrattazione del Polo, p. 294 - 25 feb-
braio 1559 sulla progettata fuga all'estero, p. 304 - 18
marzo 1559, p. 309 - 25 marzo 1559 intorno alla sentenza
che condanna Carnesecclii ad essere bruciato in effigie
p. 312 - 1 aprile 1559 sulhi fuga di Galeazzo Caracciolo e

di Isabella IJrisegna, p. 310 - 8 aprile 1559 sull' adden-

sarsi di pericoli contro Carnesecchi, p. 318 - altra senza


data di queir anno relativa alle incertezze di fuggire o
,

meno, p. 320 - 22 aprile 1559 sullo stesso tema, p. 322 -


29 aprile 1559 di risposta a'conforti mandatigli da Giulia,
p. 327 - 7 e 13 maggio 1559, p. 342 - 16 giugno 1559

sulla causa del card. Morone - 8 e 29 luglio 1559 sul


Morone e su D. Isabella Brisegna e Caracciolo, p. 357 -

2 settembre 1559 da Firenze, annunciante la liberazione


del Morone, p. 372 - 18 ottobre 1559 di risposta a tre
lettere di Giulia, pervenute contemporaneamente, p. 38
- diverse altre lettere che ometto di citare, tutte relative
all' andamento del conclave, alle predilezioni di Giulia sul-
r eligendo e intorno al risultato del conclave stesso, dai
quale, come si sa, riesci papa il Medici (Pio IV).
XIX

Carteggio di Oiiiliu.

Al Marchpse di Mantora, lettera /*. - Al Duca di Mantova, ì^, 4*, «*,

9^, /*\ i6-^, SO^, ù3\ — A Francesco Bucai iiìo, 3^ - Al Duca di


Ferrara. 5^ - A Don Ferrante Gonzaga, 6'', 7*, W, /5^, /7», 1S^, 19^,

^/*, »3*, 9ff*, 3*^ 3t- a 35, W^, 50"^ a 53^, 37'^ a 60^. - Alla

Marchesa di Mantova, 10^. - Al Card. Ennio Filonardo, 13'^ - Alla

Duchessa di Mantova, ^i*, 60^. - A Diana Cardona Gonzaga, «4^,

4.3=^, 47*. - A Cesare Gazzio, i7^. - A luigi Davila, 29^. - All' Im-
peratore Carlo V, 30^. - A M.r Giovanni.... 3i^. - A Pietro Antonio
Masserotto, 36^ a 4t^. - Alla Dttchessa d' Ariano, 4^^. - A Sabino
Calandra, 4ò'\ S'i^. - A Muzio Capilupi, 46'^\ - A Ippolito Capilupi,
Gl^, 74^. - A Vespasiano Gonzaga Colonna, 48^, 49^, 56"^, 75% 77^
a 79^. - Ad Arturo di Veura, 55*. - A Cesare Gonzaga, 62^, 63'"^,

68^, 69^, 75*. - All' arcivescovo di Salerno (v. Card. Seripando),


64^. - Al Card. Seripando, 65-^. - Al Vescovo di Fano, 67^. - A Ri-
merò Ranieri, 70*. 7/^, 75*. 76'\ - A ^livia Negra, */*.

Credo che col Gonzaga si po-


carteggio di Giulia
trebbero formai^e più volumi. Ciò si deduce facilmente
dall' estratto del processo Carnesecclii e le lettere debbono

essere custodite cogli atti regolari del processo. Alcune


lettere si conservano a Vienna, diverse alla Vaticana ed
altrove ne' carteggi di Vescovi e Prelati. Il Marini, Pre-
fetto nello scorso secolo degli archivi vaticani, ne comunicò
alcune all' Affò e si debbono trovare tra le carte del dotto
francescano.
La lettura delle molte lettere della Gonzaga pre-
senta straordinarie difficoltii. Sia la orpande fretta, sia la
422 GIULIA GONZAGA

nervosità, sia la velocità del pensiero, che contrasta colle


lungaggini della mano, sia il difetto di altri che con uguale
prontezza sappia cogliere il suo pensiero e tradurlo sulla
carta, accade sovente che 1' opera del segretario sia inter-

rotta assai presto e sostituita dall' intervento calligrafico

della dama ! Ho esaminato lettere lunghissime, ove non si

riscontrano che quattro o cinque righe del povero segreta-


rio ! Si vede che questi è spesso bruscamente licenziato anche
quando il periodo non finisce, finito in seguito da Giulia, la
quale poi continua a scrivere ed a scrivere lunghe facciate,,
premuta dalle molte cose che ha in animo di dire, dal

breve tempo che vuole impiegare e forse da altre cure,


alle quali deve consacrarsi ! Tipo curioso di donna ; ma
non singolare se si ricordano le sue vicende e la fenome-
nale sua attività!
Presento al lettore 75 lettere inedite e sei edite, le
qnali ho creduto di non dover omettere in questo volume.
Di molte altre, pure inedite, do un sunto, ordinandole cro-
nologicamente.

Al Marchese di Mantova 'Casalmaggiore 23 ottobre fSSOj. Ardi. G-onz.

Mantova.

Il.™° et Ex.™" Sig/ mio obi.™" Intendendo io che V. E."° S. ha


molto a piacere et si dilecta de cose di musica et max.*^ cose nove,
desideroso farli cosa grata, gli mando qui alligato tm mottetto quale
ha composto Mons."" Sebastiano Testa servitore del R.™° Mons.""* de
Mondovi mio cit. honorar.™", el quale mottetto anehora non è in mano
di persona....

II

Al Duca dì Mantova ( Casaluiaggiore S gennaio i5H ,. Ardi. G-onz.

Mantova.

Havendo avuto accepto 1' altro mottetto (}) qual mandai a V. 111. S.
mi son sforzata farne metere un altro inseme per far piacere ad quella....

(1) Non fu trovato unito a questa lettera inedita: fu certo tolto


dal Marchese.
CAPITOLO XIX ÌZ.i

III

A Fraiicost'O Kncaliuo Traett» loil . Bihl. Xu:. Firenze.

Mag-n. ^I. Francesco : la vostra de V et IX lio recepiita et aiichor iihe


sia stata un poco tarda, ne so restata molto contenta per haver intesa
la convalescentia del sig. mio fratello et altre buone nove. Ve prego
ad continuare finché starrite in Konia et mi farrite piacere intendere

dove se trovano lo S. Io. Frane, et S. Federico, et menne adviserite:


questa lettera che ve mando ponente con le altre che vanno in Lom-
bardia; et a voi me offero insemi col S. mio.

IV

Al Duca «lì Mantova Fondi iO ntfobre liìSl .Arch. Goiiz. ^funfova.

IH.""' et Ex.™° S.''^ occurrendo il procitano exibitore della pre-


sente venire ad visitare V. S. IH."'* per alcuni suoi negocij, et haven-
domi pregata volesse tenerlo racomandato con \. S. 111.™", per essere
lui stato servitore mio consorte fé. me. ho voluto con
del 111.™" S.'' ,

(luesta ricomandarlo a V. S. 111.™*, pregandola voglia dignarsi per amor


mio dimostrarseli favorevole, tanto più quanto è persona virtuosa et
excellente al giocho della balla, che me farà grafia mollo singulare, et
a V. S. 111.™'^ baso le mano et me ricomando.

Al Duca di Ferrara londi 12 Inolio /o:i2\ Modena, Est.

Ho visto quanto V. S. 111."^-'' mi scrive in comendatione de Gia-


chetto Farotìno il quale ancbor che la ragione mi spronasse ad odiare
sopra modo, attesa la causa si me ne ha donata in commetter
legitima
([uello homicidio avanti il mio cospetto; che non mi possette per allora
inferire magior dispiacere, sì per il poco rispetto corno per essersi
mosso ad quel atto si legero senza cagione alcuna la quale non tanto
lo hauesse douuto spinger ad quello ma fattolo penzar in toccar ad
quel fu morto un minimo pelo: pur essendo io sì desiderosa comò
sonno seruir V. S. 111."'-' ho preso per contento quanto se è degnata
comandarmi ma solo desideraria fusse questo merito grande comò 1' è
;

minimo acio mi fusse concesso posserli fare molto maggior seruitio


:

et per adesso con questa intentione ho ditto al 111, S**"" Cagnino mio :

fratello chel ditto vada ad star alli servitij del IH. S. Luisi sino ad
tanto che la parte resti di miglior manera accomodata : et a V. S. IH.™'"'
baso le mano la cui persona nostro Signore guarde corno desea; Da
Fundi ali Xij de Julio M.D.XXXij.
424 GIULIA GONZAGA

VI

A D. Ferrante Oouzaga <


Casteìforte IG seft. loSS). Modena Est.

Ill.mo S."" Accadendo de prossimo partir per Abruzzo a veder per


alcuni giorni quelle terre, non ho voluto restar che non l' intenda per
questa mia. acciò che occorrendole cosa alcuna comandarmi di la,

sappia V. s. dove poterlo fare e io mi ritrovo col solito desiderio di


servirla. E con questo resto basandole le mani insieme con la signora
consorte.

VII

A Don Ferrante Gonzaga (Fondi 3 givAjno i33oj (i).

Credo che V. S. avesse una lettera mia insieme con quella del
Villano, che portò un giovane, che veniva al servizio di V. S. dove
ella potè facilmente vedere come il Villano mi dava assai grassa parte
ne le cose del Testamento; ma o per aver meglio viste le scritture,
perchè si sia, mi dice al contrario, dicendo che li Feudi non si

ponno obbligar senza assenso impetrato prima la morte del sig. Vesjja.
fé : me : ovver che Donna Isabella avesse rilevato detto assenso. A la

prima dico, che credo, coni' io son certa, che il Signor mio non ci

pensò, perchè si vede chiaramente che mi volle lassar il tutto. Ma


quando altro non ci fosse, dimostra pur che lassando cinquemila ducati
da vivere alla figlia, pigliando il sig. Luis mio fratello, e che il resto
sia mia, voglia inferir che il resto de li frutti sieno miei. A dover
provar che Donna Isabella cercasse quella conferma da Sua Ma. io
non lo potria mostrar, salvo se in Corte di Sua Ma. non fusse, perché
le scritture di Fondi son perse, e quello Notaro morto. Si trova ben
una procura che fu fatta in Gaeta, ma non fu fatta per questo. Ma
io so, che quando il Signor mio fratello andò in Corte, portò una

procura di Donna Isabella. Ma, come si sia, io non cerco voler il suo
Stato, ma bene il modo d' intertenermi : e li miei Avvocati me ne
ponno esser boni testimoni, che quando nd dissero che mi competeva
molto, io sempre dissi, volermi accomodar col manco eh' io potessi,
come anche V. S. potrà vedere per un partito, che fra li altri ho
voluto fare con Donna Isabella. Ora sapendo che V. S. viene in Napoli
me ne sono molto allegrata, avendo visto con quanta affezione V. S.
è sempre venuta ne le cose mie. E sia certa eh' io tengo più fede in
lei che in persona del mondo. Per questo la prego quanto più posso
voglia tanto che sta in Napoli veder di far che queste cose mie si

(') Riprodotta dell'Affò: memorie di tre principesse ecc. p. 39.


CAIMTOJ.O Xl\ 425

accomodino di (lualclie modo, che di tutto quello che farà V. S. sarò


io contentissima, e se bi.soj^'nera aver aiuto per via di Sua Ma. io

spero col mezzo di V. S. o de l' Illustrissimo ed eccellentissimo nostro


di accomodar le cose mie. E certo Signor io posso dir per certo non
aver altri per me, che Sua Eccellentiss. S. e V. S. E per non la fasti-
dir e perché Alfonso mio Servitore le parlerà, non le dico per tiuesta
mia altro, se non che le bacio le mani, e la supplico mi faccia inten-
dere il suo bene essere, con quello de la Sig". sua Consorte, e N. S.
l;i Illustr. persona di V. S. guardi come desia.

Vili

.VI Duca di Mantova yapoìi fi apr. L'isti . Arca. S'f. Manfora.

Essendo stata V. E.''-'' dal Signor Don Ferrante del successo di

Donna Isabella et particulare di ^'espasiano, Io penso serra restata


semita che sia in nostre mano acciochè si possa attendere a preser-
vare sotto la sua protectione secando e la speranza nostra. Et anchor-
chè da parte della matre se sia mandato a ricercare il contrario, che
in tanta impertinente dimanda, hauerra V. Ecc.''^ eletta quella parte
che più tocca a suo seruitio, et commandato che sia nostro. Con la

medesma speranza che mi fa trarre 1' alTectione mia et de tutta mia


casa uerso di essa, li racomando quanto più posso me, et le cose mie
che di qua sonno in qualche trauaglio per la estremità solo della
parte et la suplico sia contenta aiutarle et favorirle con tanto miglior
uolunta appresso de S. M.''^ quanto che siano juxte et honestissime,
che mi serra gratia da obligarmi mei per sempre al Ecc.^'' de
cori li

la quale et della 111.™^ S.""^ Duchessa baso le mani el N. S. le con-


serui et contenti di quella essaltatione che desidei-ano.

IX

Al Duca di Mantova 'Napoli, dal Monastero, o ott. 1636 . Ardi. Gonzaga


Mantova.

.... Procurando di bavere dal S."" mio Patre (luel che delle
mie dote me conviene, sto sperando più presto ne le gratie che V. Ex.'^
è solita formi che in altra diligentia che potessi fare, et essendo V. Ex.'*
patrone de Tutti, massime di me che le tengo segnalatiss."^ osservan-
tia non dubito che mirato non meno e la juxta satisfa-
et affettione,
ctione mia che a quel che mi porta la disgratia mia, interponerà la
autorità sua di manera che a quel che si debitamente ricerco, non se
426 GIULIA GONZAGA

darrà mezo de disordine alcuno. Le raccomando dunque quanto più


posso et me et queste mie cose, et per farmi questa come le altre
mercede, la suplico uoglia essere seruita prestarmi il fauor suo, si

come li serra più largamente in questo pregato a nome mio da Ms.''


Gandolfi presente ostensor che mi serra de gratia et obligation infi-
nita. Et con questo resto basanno le mani de V. Ex"^ insiemi con
quella della 111.'"^ 8.°''^ Duchessa la persona della quale N. S.°'" con-
serui al contento come meritano, et io che li sono serua desidero.

Alla Marchesa di Mantova [Napoli dal Monastero 3 ott. iS36 ,. Amlu


St. Maiìtova.

III.'""'- et £"^7."» SJ"" mia Osser.'^^

Io tengo tanta fede in V. Ex.''^ et in osseruantia et affectioiie

che tra tutti li mei. Io sì particularmente le porto che senza dubio


alcuno mi permetto in tutte le occurrentie mie della bona gratia sua,
massime essendo tanta che pò et sole ad ognuna che ricorre da essa,
valere, della quale oltre a tutti li altri rispetti, me assecurano le huma-
nissime dimostrationi usate uerso di me. Con questa medesma certezza
vi raccomando quanto piii posso a V. Ex*"* et me et le cose mie, che
desidero obtiner dal S""" mio Patre, et come tanto iuxte et honestis-
sime non dubito che saranno essi considerate da V. Ex"* come spero,
suplico dunque V. Ex''-'' uoglia esser contenta intender questi et quel
che de più m" accade circa certe mie gioie, et tanto ni luno come ni
r altro ponere I' autorità et fauor suo sicome le suplicara più larga-
mente a nome mio Ms."" Gandolfi presente ostensor che de tutti me
fassa singularissima gratia. Et con questo resto basanno le mani de
V. Ex''* quale N. 3.°'' c^nserui nel contento che graderà.

XI

Al Duca di 3Iantova (Napoli dal Monastero 29 raarzo 1337 ). Ardu


G-OHz. Mantova.

Io mando Ms."" Gandolfo presente a fare riverentia a V. Ex.'* da


mia parte et ricercare 1' autorità della persona sua in questa satisfa-
ctione del S."" mio Patre, la suplico voglia essere seruita di favorire il

negocio di quel modo che si parerà migliore, perchè io possa aiutarmi


in questa mia si urgente necessità ....
CAPITOLO XIX 427

XII

Al Duca (li Miiiilova Napoli S gin. /537 \ A/'ch. doiiz. Mantova.

Da M/ Gindolfo ho inteso il favore che V. E. fa alle cose mie


e non poteva altramente dalla grandezza sua, avendo visto
sperare
tante mercede che di continuo me ha fatte. Baso le mani de V. E.
Di questa come de tutte le altre la suplico uoglia continuarmi la gra-
tia sua mediante la quale non possa dubitar de nulla contrario. M.'' Gan-
dolfo le dirrà e certo di più di ([uanto mi ò noiiamente asserito di
qua et per non fastidirla resto di nono basando le mani di V. Ex.''^
insieme con q\iella della 111.™* S.|'* Duchessa.

XIII

.\1 Card. Kniiio Filonardo Uoma ; Xapoli, 8 giv.gdo iiiSi ). (')

^_mo .v.^""- Coni." Pati'c Ov-v.™"

Io non ho scritto in questi giorni a V. S. R.'"* essendo ni ritro-

vata assai più occupata in questa mia causa, quale Dio gratia è stata
pur espedita et in mio favore hanno condennata la Sig. D. Isabella a
pagarme ogni anno doimila e cinquecento ducati a terza per terza, e

altri mille tempo passato la ragione mia era


ducati adesso per il :

tale che in vero la doveva mandare più avanti ma mi contenta molto ;

più haver fatto conoscere al mondo la iustitia mia e la causa che mi


ha necessitata a qviesto termine che di aver ottemito poi non è poco ;

ad esser fuora di questo fastidio, cosi volesse Dio che fusseno finite

le altre, a le quali vado procurando di dar la miglior forma che possa


et del tutto sarà al solito avisata: per adesso la supplico a prender
questo placare di vedermi in parte de quiete e a comandarmi sempre
da figlia obedientissima che basa la mano di V. S. R.ma qual N. S.
contenti di quanto desidera.

XIV

A D. Ferrante Gonzaga m giugno 1337 . Mod"na, Est.

s.°'" mio oss. — La Sig. Marchesa de Bitonto


Ill.mo S. Fratello et
et iosemo ritrovata a parlare che saria stato bene accasai-e la si-
ce
gnora Donna Antonia de Cardona col Conte de Flisco, mio fratello
consobriuo, et havendo sopra di questo fatto molto discorso, adesso

(M Riprodotta dall' Affò.


428 GIULIA GONZAGA

che è venuto qui il s. Principe Doria, io gli ne ho parlato et le ha


piaciuto tanto che ne è restato con altrettanta intentione esso quanto
noi; il che ci ha tanto più riscaldate nel medesmo pensiero. Et ve-
nendo il sig. Principe ne avemo scritto io a la Signora M.^=* alla Si-
gnora Contessa che voglia pensare a quel che serra più espediente.
Stante questo io ho voluto con la presente darne ragione a v. s. IH. ma
come quella che mi par che habbia a deliberar tutti li casi nostri; et
la prego che voglia intervenir in questa negociacione danno il parer

circa quel che le parerà più servitio di questa signora. Et non haven-
dole di me a dir altro per adesso resto basando le mani di v. s. 111. ma
insieme con quelle della S.''=^ Principessa et la bocca delli figliuoli.

XV
À D. Ferrante Gonzaga {Napoli, tiltimo d' ott. i538 . Modena, Est.

Ill.mo 8.°'" Fratello et S.""" mio osser.™° — Una S.""^ amica mia mi
astringe a pregar V. S. 111. ma voglia concedere al presente Caiabaranos
una compagnia de infanteria ovvero qualche altro conveniente cargo
alla sua qualità, et per che io non posso mancar a questa tal S.""^ per
infiniti rispetti et non dubito che V. S. Ill.ma bavera per excusato
questo mio non posser far altrimenti che scriverli et supplicarla per
che me ricerca et io desidero scrivere, la prego voglia in quanto le

sia possibile compiacer huomo, che me ne


a questo farra gratia, et
resto basandoli le mani pregando n. s.""" Dio li mandi le bone feste,

et quanto desidera.

XVI

Al Duca di Mantova (Xap. 24 fehhr. ' io39]. Ardi. G-onz. Mantova.

111.™» et Ex."" S,"" mio oss.""" — Il dispiacere di V. Ex.'"» per la

morte di M.^ 111.™^ S.""^ gloria, che per la sua littera s' è degnata farme
scivere non tanto m' è stato partecipe come comanda, ma proprio per
infiniti rispetti, massime per la continua osservantia eh'
. io tengo a
tutti li soi successi, quali desidero che siano sempre prosperi et fe-
licissimi, nondimeno ancorché questo di presente debbia dolere, io lo
reputo de assai manco, consideranno quanto ce ha tassato, et si per
questo, come per essere anche caso naturale et non molto fuora dal
suo debito termine, non dubito che V. E.'^ lo haverrà accomodato con
la sua somma prudentia. Per tanto non mi extenderò molto in suppli-
camela, ma restarò pregando il S.*" Dio li piaccia ristorarla de molto
più in li figliuoli, stato, et quanto desidera, et nd conservi in la bona
CAPITOLO XIX rj'.>

gratia et servitio di V, Ex.'\ alla ([uale insieme con Vespnsiano mio


nepote et suo servo, baso le mani, simil."- alla ili.™" S."» duchessa, tor-
nando a pregare il medesimo S/ eh' insiemi li faccia sempre contenti.

Wll

\ I). Ferrante Gonzaga, ri 'ere di Sirilia (Napoli fo (jiu. ta.ìf/ .

Modend, Est.

Ill.mo S.""" fratello et S.""" mio osser.*"" — Il portator di questa


mia serra Lorenzo Villarosa di questa città, quale per alcune sue ad-
versità viene a star in questo regno, desideranno essere ricevuto et
parimente entrar a qualche servitio de v. s. Ill.ma et insieme col es-
sermi nominato per homo letterato et esperto, m' è fatto istantia de
persone che non posso uefutare che voglia raccomandarlo et procurar
eh' abbia qualche recapito, onde non possendo io come ho detto mancar
de scriverne, lo raccomando a v. s. Ill.ma e la prego eh' offrendose che
lo possa servir, voglia esaudirlo eh' a me ne farra gratia et con questo
resto basando le mani di V. S. Ill.ma quale N. S. dio contenti di
quanto desidera.

XVIII

A D. Ferrante Gonzaga Napoli 8 ag. toSO'. Modena, Est.

Ill.mo s.""" fratello et s.*"" mio oss.""". — Il s.""" cugino me scrive

eh' io mandi a V. S. Ill.ma 1' alligata lettera sua insieme con quelle
scritture accioch' veda a quanto s' è proceduto con in la sua querela
col fregoso e perchè circa di questo io non ho da dire altro se non
che li mando questo dispaccio et per addesso non ho tempo da scri-
vere altro, la prego a farmi scrivere subito la ricevuta ; et con questo
resto basando le mani di V. S, Ill.ma insieme con quelle della s.''^ Prin.^''''

et della s.'"-'' Duchessa et la bocca delli figlioli.

XIX

A D. Ferrante Gonzaga (Nap. 23 ay. iH39(. Bihl. Naz. Firenze.

Questi padri vengono da V. S. Ill.ma a dimandarle gratia di pos-


sere bavere qualque quantità de grano per sovenimento del monasterio
loro in Roma, et hancor che sia noto a quella la necessità che ne è
in detta città et sappia che in simil cose pie non sole mancare, ri-

cercata io ad ponervi la intercessione mia si per esserne ricercata,


come anche mossa da questo medesmo rispetto, li raccomando a V. S.
,

430 GIULIA GONZAGA

111. ma et la supplico che ia quanto sia possibile voglia dimostrarseli


benig-no : che oltre satisfaccia alla charità, alla quale semo tutti obligati
a me uè farrà gratia et con questo resto basaano le mani di \. S.
IH. ma quale n. s. dio contenti di quanto io desidero.

XX

Al Duca di xìlantovsi Napoli lì dee. lòSft . Arch. Cronz. Mantova.

111.""' et Ex.™''^ S.'' mio oss.™'\ — Questa mia serra per basar le mani

de S. \'. Ex.'^ et ricordai-li mia servitù, qual spero non habbia da


estimar meno in absentia che se fossi in presentia, et con questa fede
che ho sempre fermamente tenuta in essa, io li racomando il S."" mio

patre il donna Leonora mia sorella con tutte quesse cose


stato et
dessa, quali sotto la protectione sua non potranno in alcuno modo
patire, et perche so bene che non ha mancato mai al sangue suo, mi
persuado che non mancarà manco addesso, ma li prestarà tanto più
il favore et la gratia sua quanto più ne habbiamo bisogno. La sup-
plico amirare il tutto come sole tutti soi devoti et adherenti, et mas-
sime a quella giovine che più ne ha bisogno, quale con la gratia
sua non dubito haverrà partito che non serra meno differente da
quello che havemo avuto noi altre sorelle, et per eh' io resto confi-
datiss.^ in la bontà di V. Ex.''^ et in quella voluntà che ce ha sempre
tenuta, non le darrò più fastidio con questa ma resto basannoli le
mani, racomandanno alla sua bona gratia mi et Yesp."*^, et la supp.co
voglia dire alla 111."'^ S.""'^ Duchessa che tanbene li baso le mani, et
N. S. dio le conceda tutta quella exaltasione che desiderano.

XXI

A Don Ferrante Gonzaga Xap. 2 ìn!]I>o f:>40 . Bihl. Xaz. Firenze.

IH.™'' s.°'" Fratello et s."'' mio osser.™<' — Questa mia va in com-


pagnia del presente chiauiato Fedro de Villareal, qual secundo sonno
informato è homo de bonissima conditione et da essere commesso in
molti servitii, che si è essercitato et sino addesso ha servito il s."""

Don Sances de Alarcon per secretarlo, et da esso intenderà suo in-


tento : lo raccomando quanto più posso a V. S. 111.™-'' et la prego che
voglia exaudirlo in quanto le sia possibile faccennoli conoscer che la

intercession mia li ha giovato, secundo la speranza tengo a de recever


gratia da V. S. in tutte le occorrentie mie et delli amici miei; et con
questo resto basandoli le mani.
CAPITI >l,'t X.1X 1:5 1

WII

Al Card. Ercole e nlla Duchessa di Maiilova Xujioh 10 loijhu tnui .

.[/'••h. (ìoiì:. Mitiìfnra.

IH.™" et U.™" S/ et 111.™'» et Ex."'" S.""" mei oss.'"' — l'in delle

male nove eh' io havessi possuto per addesso liavere , è stata quella
me hanno le S. V. scritta della morte del 111.'"° S."" Duca S."» gloria,

si per r atTettione portava a S. Ex.'" come per doleniii in extreiim


veder le S. \'. tribnlate et travagliate, poi che vorrei vederle sempre
pia contente et felici, et dio sa qual me lui despiaciuto più, se questo
o il caso del s."" mio patre, ma poi che li desiderij del m\mdo non se
possono adempir mai, ne se pò contrastar con la volunta del s."" dio,
come a serva le senno, la supp.co a tolerar questa adversità con la
prudentia vogliono usar in tutti li casi della fortuna, et tener per
fermo che come pretendo haver tanta parte come loro in questa per-
dita, cosi mi persuado che abbino poche per.sone, che più desiderano

servirla di quello che faccio io, la quale insieme con Vesp. bacio la

mano di V. S. IH."" pregando N. S. Dio ricompensi in le persone loro


e dell' ill.™° S.'' Francesco successore tutta la parte di vita di quelli

che sono mancati.

XXIIl

A I). Ferrante 6>onzag:a /" luglio... forse i340j. Modena, Est. Aiitogr.

Ehi la litera de V. Excellentia de VI del pasato data de sotto la

muntagnia de Santo Gotardo. Presi piacere de intendere che V. Ex.


andava con salute et che haveva ricepute le litere mie benché tardi,
non so se e' è quella con la quale mandava certi amisi de Placito de
Sangro dal campo. Ora ho tardato tanto a scrivere per non poterli dir
cosa corta de la infermità de la S.""" principessa ne manco adesso ne
sto certa se ben sta meglio, perchè più volte che ha data e tolta la
speranza, pur sta or meglio et li medici ne sperano bene. De la

S." Donna HyiDpolita non so che dirme si non una infamia il vedere
et sentire quel che passa. Lei sta con li soi soceri et marito. V. Ex.
lo intenderà da altri che io confesso che son troppo sensibile in molte
cose e particularmente in questo fatto, per ciò non ne parlo voluntieri.
V. Ex. havrà saputo la cosa de Siena et ora che '1 duca de Fiorenza
ha fatto li fatti soi voi tratar la pace ; lui ha ragione perchè lui solo sa
far guerra et pace. S' io fussi signora de quelli che se penterano col
tempo, dico credo che sarei signora de li signori et di ciò basta.
S' è vero quel che se dice che '1 Duca se contenterà de la prima
capitulacione, il re ce havrà avanzato assai oltra de tanti migliara et
432 GIULIA GONZAGA

centenara de scudi liaver data ancoi' Sienna, e cossi va il mondo. Poi


de la inboscata et Scaramuzza che ferno francesi con li nostri che già
credevano che fussero li nimici de là de Fermo anzi dicevano che
r avevano sachegiata nel pasare, non s' è fatto altro et davero dicono
che Francesi erano già a Racanati basta che la Scaramuzza andò ben
fatta a li nostri e Vespasiano se trovò de li primi a quale poi che non
li toca nul' altra cosa bona non vorei che '1 se arisicasse sempre pur par
che in certo modo non se ne possa far altro, lui desidera che se fi-

nisca questo de qua corno già e par finito che francesi avanti che se
partissero volevano darli una mano a li nostri e già li era venuta fatta
la inboscata che li nostri se credevano che fussero lontani parechi
miglia. Or 1'andò bene et fumo presi parechi pregioni de importancia
fra quali è Monsignor de La Roccia che ha fatto de taglia otto miglia
scuti a tre o quattro cavalli legieri, ma Francesco del Harra con li-
cencia del signor Duca d'Alba 1' ha comprato da quelli tali cinquecento
'1 Duca venirà a Gaeta dove se vedrà con la mo-
ducati. Scrivevo che
glie, alcuni dicono che passerà più avanti. M'ero scordato dire che
se '1 socorso a li nostri de la Scaramuzza era presto che se rompeva
tutta quella gente eh' era una più che mezza vitoria. Se intende per
più vie che '1 papa vole che '1 cardinale de Ingliterra veng[h]i a Roma
e già comò saprà il Morone è in castello con alcuni altri eh' erano
tenuti per inreprensibili, papa chiamarà a poco a poco
dicono che '1

gli altri cardinali et che vorà serare il concilio de Trento et far un

sucesor suo dico eligerlo da mo. Non so se me credi una cossi fatta
cosa pur se vedono cose assai: V. Ex. atendi a star sana per veder
più cose. Donna Beatrice d'Avalos se ne andò ieri col marito per mare
fino a Salerno e poi per terra de lì a Potenza ; tutta Napoli ha pianto
la sua partita, il priore nostro è andato a compagniarla fino a Salerno.
Baso le mano de V. Ex. et prego Nostro Signore Dio che concedi a
V. Ex. ciò che desia e io li vorei vedere. V. Ex. havrà inteso quel che
passò nel dar del tosbn al conte de Santa Fiore et Antonio Doria, però
non lo replicherò. Io non vedo da molt' anni in qua Antonio Doria che
lui da che sucesse quel fatto tra il pover conte del Fiesco e Genelin
Doria lui volse mostrar meco il pater patria e fa tanto del grande che
'1non se pò sofrire. Se e' è proposito o no V. Ex. lo consideri. Credo
che '1 sia amico di fortuna et che per ciò compiacere a giudicio suo
ad altri a bon conto se debbe mostrar con V. Ex. de quel modo. Io
vedrò che N. N. ce lo faccia adimandar da R. R. Ho inteso quello che
V. Ex. dice de lo asegnamento e Dio perdoni al tesorero pur 1" ho in-
teso da poi, ma io cresi che V. Ex. lo dovesse mandar per scritto.
Ora come la Principessa stia meglio li dirò il parer mio con amore
ma non li voglio già far del maestro e N. : S. dia longa vita et felice
a V. Ex.
CAPITOLO XIX 433

XXIV

A 1). IUnnn Cardonn Gonzaga ;io dee. 1540 . Modena, Est. Autogr.

111. ma Sig.* figlia mia carissima et hon.™* — Per molto que li sia
detto scritto non
pò dire ne scrivere abastanza
si 1'
amor eh' io li

porto et per conseguente la satisfacione que ho de la salute sua, et


se a Dio piacerà li farò conoscere un di quanto 1' amo et desio servire
et per que ce il legame prima do la amicicia e poi de la stretezza del

parentato so que sera facil cosa quella credi avere e io a lei il reci-
proco amore e son certa que andrà ogni di avanzando que cossi in-
traviene quando le persone son grate et conoscono quel que li con-

viene e per quela letera de V. S. me arivata tardi, dico que sabato


tardi et bisoguia spedir a tempo non me alargherò in più si non que
dico que ho asai satisfacione del miglioramento de Vespasiano Dio sia
servito concederli la intera sanità et li lassa viver contenti per mol-
t' anni, et a me la faccia veder con comune contento. Et con tutto il

core me li raccomando et li ricordo de ricordar a Vespasiano que se


guardi da disordine.

XXV
Al Duca di Mantova? Xai)oU S luglio loir. Modena, Est.

Colantonio e Simone Ugo de Termine per quanto me hanno in-


formata poi di essere stati per lungo tempo carcei-ati per le imputa-
tione die le sonno state date, li officiali di quella terra li hanno ancor
condannati ad andar in esilio per cinque anni, parenno tanto più duro
a loro et alli parenti, quanto se reputano più presto innocenti che al-
trimenti di quel che le hanno imputato, et in ogni caso et essennone
da una S.'* de qui molto astretta, massime per interesse del patre de
questi homini vecchio che malamente potria viver senza loro, non posso
mancare, per questo li raccomando a V. R. e la prego che possennosi
con satisfat;tione de suo servitio, voglia restar contenta farle gratia
del esilio, et prestarli facultà de ripatriare che 1' bavero in luoco de
gÌQgma gi-atia, et con questo per addesso resto basanno le mani di
V. S. quale N. S.""" dio conservi et contenti come desidera.

XXVI

A D. Ferrante Gonzaga Napoli t'j luglio ISAI,. Modena, Est.

Bl.mo Sig. mio e fratello honor.™° — Una S.^ amica mia me


astringe a racomandar a V. S. 111. ma Vincenzo de Anna de Cefalu,
quale me dice se detiene in pregione per ordine suo per alcune im-

2S
434 GIULIA GONZAGA

putationi le sono state date non obstante lo indulto generale concesso


per S. M.tà a questo Regno, et in ogni modo chel sia il caso suo non
posseim" io mancare a questa S.''^ scrivo la presente, con la quale la
prego voglia ad istantia mia haverlo per raccomandato, et possennosi
fare con suo servitio, ordinare che sia liberato, et quanto V. S. farà
in suo beneficio, io lo riceverò per singularissima gratia da V. S. alla
quale resto basamio le mani, insieme con quelle della S.'"^ Principessa,
et la bocca delli figlioli, et N. 8.°'" li contenti tutti com'io desidero.

XXVll

A Cesare Gazzio (Napoli /? oft. 1342). Modena, Est.

Amico Carissimo. — Il rev. Agiulo scrive al M.^* di Terranova che


vogUa rispondergU di quelle sue entrate sole e si per esser tanto chia-
ramente debitore come per aver altre volte in questo medesmo par-
lato il sig. Don Ferrante, penso che senza ponervi difficoltà, né dila-
zione alcuna, compirà con quel signore : ma quando altra mente fosse,
io desidero che chi ce lo ha fatto fare delle altre volte, lo faccia ancor
questo. Scrivo al sig. Don Ferrando, pregandolo voglia provvedere che
con effetto il Cardinale sia pagato et le dico che voi ce lo ricorderete
e per esser cosa che molto tengo a cuore, prego voi che non sola-
mente lo ricordate al padrone; ma lo sollecitate di tal modo che se
abbia lo effetto. E a voi mi oft'ro ecc.

XXVIII

A Don Ferrante Gonzaga {Da Napoli 18 oft. fo49 (i).

Circa mo de fra Bernardino {^) io non potrei dir cosa di certo, si

perchè non ne tengo latere, come ancora perchè li giudici!, che si

faimo sopra di lui sono sì varii, che a me parerla impossibile rica-


varne cosa di certo, perchè ognuno parla secondo il gusto e le pro-
fisioni sue : e maxime in questa città, che credo tenga il principato
in giudicare variamente d' ogni cosa. Del giudicio mio, oltre eh' è
imperfetto, non saprei se ben volesse dir sopra ciò cosa di momento,
parendomi ohe sia bene a tenerse a quel che Cristo ce comanda, che
è di non giudicar, e maxime in le cose de religione me ne rimetto a

{^) Dagli Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia patria per


le Provincie dell'Emilia, N. S. voi. Ili, parte II, p. 17.

(2) Bernardino Ochino.


CAPITOLO XIX 4H5

chi tocca de bona voluntà; ma i)erchò ella non credi che resti per
non voler dir qualche cosa, comandandenielo \. S. dirò quello che ho
inteso, che lui ahi scritto alla Marchesa di Pescara e alcuni dicono al
Papa. Dicono che 1' abl)ia scritto a la d. sig-iiora che hii era jiartito

da Venecia, donde fu citato per comparire davanti il papa ;> che es-
sendo arrivato a Firenze fu c<msi<;liato a non venire, e se ben mi
ricorda nomina un D. Pietro Martir de 1' ordine de' canonici rej,'-olari

de Tremito, omo stimatissimo in ogni loco, dov' è stato, de scientia e


bona vita : dico che par che fra Bernardino accenna che questo fusse
uno di quelli che '1 consig-liasse, e dice che essendo certificato che
venendo in Roma era necessario passar per una delle due, o patir il
martirio o predicar contro la verità, e non essendo forte all'uno, né
volendo consentire all' altro, che s' era determinato di non venire.
Questo dicono che contiene la litera sua. Quel poi che V. S. mostra
desiderar d' intendere farò instantia con quella S.""^ d' averla, che tìn

mo non ce ho pensato, e per multo eh' io sia sempre stata devota de


fra Bernardino, come credo sieno state molte altre, non g-ià perchè
r abbi tenuto più di S. Pietro, ma si per bon christiano, non mi curo
andar cercando tanto in la, lasando questa cura, mo ho detto, a chi
tocca. Ben dirò a V. S. per certo che non ho potuto intendere la

causa perchè sia stato citato, ma da Roma sarà facil cosa a sapere.

XXIX

A Luigi Davìla '^dj). /-'i apr. /544J. Balla race. Marcobruno, p. 49.

Ricordandomi della virtù e human ita di ^^ 8. nata per g-iovare


altrui e avendo a mandare alla Corte di sua Maestà Ces. per impor-
tante neg-ozio di Vesi^asiano Gonzaga mio nipote, il presente Nicola
Marcobmno ; ho deliberato di scrivere alla S. \'. e prima eh' io chieg-ga

il suo favore, voglio purg-armi d' una sinistra imiiutatione, che intendo
essermi fatta dalla modestia del sig. Luigi Davila; — e questo è
che gli anni passati ricevessi un libro dell' Ethica d'Ai-istotile tradotta
in lingua volgare, e non habbia mai voluto né rispondere alle lettere,

ne' haver grato il dono mandatomi : che certo s' io fossi incorsa in
tale errore, o per superbia, o per ing-ratitudine, meriterei esserne ripresa
e notata da V. S. e da chi lo intendesse. Ma perchè con verità son
per natura aliena dell'uno e l'altro simile vitio e massime con \. S.

che ho sempre riverita e tenuta in quella stima che meritano i co-


stumi e parti sue singolari : la prego a non tenere tal opinione di me,
ma a credere che veramente in poter mio non veime mai tale libro ;

ma penso che fosse trabalzato in altre mani per poca dUigenza di


436 GIULIA GONZAGA

quello che lo portò e non mie proprie. Con tutto ciò


lo diede nelle

io voglio esserne tenuta a V. S. come se l' avessi ricevuto, e render-


g-liene gratie come quella che non curo d" obligarmi ogni dì più alla
bontà e cortesia sua ; Et perciò la supplico che appresso 1" altre obli-

gationi, eh' io le tengo, voglia porre ancor questa, di favorire le cose


di Vespasiano per causa tanto giusta, quanto è la ricuperatione della
Terra di Casalmaggiore concessa al sig. Lodovico Gonzaga suo Avo
e mio Padre, dalla felice memoria dell' imperatore Massimiliano, come
si dimostrerà per una relatione et voto del sig. Don Lope de doria,
che ultimamente in Milano di commissione di S. Maestà è proceduto
a conoscere tal causa, e inviar chiusa e sigillata detta relatione e voto,
che desidero sia esseguito, come meritano i servitii segnalati e la divo-
tione perpetua di detto sig. Lodovico Gonzaga verso Massimiliano, e

di Luigi padre di Vespasiano all'Imperatore X. Signore, che per esser


simile e di nome e di virtù a V. S. conviene che ella succeda in luogo
di suo padre ad aiutarlo, come esso et io speriamo, pregando N. S.
Dio che la conservi et prosperi felicissima come desia.

XXX

All' Imperatore Carlo Y (Napoli 5 nov. fo44;. Race. Marcobruno. p. 58>

Sono alcuni di. eh" io mandai a presentare a V. Maestà la relatione

et voto di Don Lopes de doria nella causa di Casalmaggiore ; — e


intorno a ciò con lettera mia humilissimamente supplicai Vostra Maestà,
che si degnasse mirare a' molti damii, che per tal conto Lodovico Gon-
zaga mio Padre ha patito e che per conseguente viene a patire Vespa-
siano Gonzaga pupillo e erede di detto mio Padre e che vostra
Maestà restasse servita e per ragione e per mercede ordinare che fosse
data la detta terra a questo povero pupUlo suo schiavo e vassallo Et :

per non fastidire V. Maestà, fu presentato il tutto in mano di Monsignor


di Granuela, come credo che le sarà stato riferto. Supplico di nuovo
la Maestà Vostra, che con la sua solita liberalità si degni far ben'ispe-
dire questo povero Figliuolo che la vita con quello che ha e questo
:

che Vostra Maestà gli darà, spenderà sempre volontieri in servitio suo
e del Principe, a i cui servitii è per vivere e morire, non meno fedel-
mente di quello che hanno fatto Lodovico mio Padre, e Luigi mio
fratello, Avo e Padre del detto Vespasiano, ne i servitii della santa
mem: di Massimiliano Imperatore e di V. Maestà, come più larga-
mente esporrà il presente Agente, cosi mi resto baciando humilmente
lemani e piedi a Vostra Maestà.
CAPITOLO XIX 437

XXXI

A M. Giovanili Xapoli li ujosfo lain . .Mndeiiii, Est.

Ma^.eo in.s Giuvjiiuii mio hoii. Io liu st'iiipn' linvvita ferina f»>d»*

in voi. che accascaiulo in chi farmi piacere non sarestivo mai per
mancare, et s5e mai mi acascò cosa che io desiderassi d' ottenere et
fame la prova, questa n' e una : lo scrivo al Sig". Don Ferrante una
lettera de raccomandacione in favore del conte Broccardo da Persico
g-entir uomo Cremonese, qiianto esser possa mio amicissimo. Et perchè
non vale havere il favore, se non e chi procuri et soliciti de haverlo
et d' usarlo alli tempi che le convengano d' usarlo però con questa :

mia ho preso seeurta de voi che per amor mio vogliate adoperarvi in
questa cosa da haverne piacere come se fusse cosa mia propria. Come
saria di raccomandar la Causa a quello che sarà comissario strettissi-
mamente, et a tre o quattro delli principali senatori in che più con-
fidate, et ad ogni altra persona che fosse bisogno parlarne, et secondo
ve ne sarà data intentione da chi solicitava per il predetto conte : poi
che havrete havuta don Ferrante, al quale non ho
la parola dal Sig.
voluto scriver ogni cosa minutamente, per non fastidirlo ma a voi :

dirò bene il tutto, a fine che accascandovi 1" occasione de parlarvi ne


sappiate render raggione corno informato del tutto. La cosa sta cosi
in effetto : un Mons.""" Passarino, come possessor dell' abbatia de S.*° Ip-
polito da Cremona, pretende dalli heredi del conte Francesco da Per-
sico, delli quali n' è uno il conte Broccardo. una certa quantità de
terre che dicono essere devolute, per non aver pagato li conti, qual
terre non solamente non furo mai del conte Francesco, ma neanche
si ritrovano in verun natura, que havendo esso Mons.°'" presa occa-
sione dalla absentia del conte Broccardo che habita al presente in Na-
poli, con una certa ombra che il prefato conte et un suo Cugino
falsa

possedono dette terre, non cessa molestarli et pare che in non so

quante cose, gli venga fatto se non torto espresso ;dmeno un estremo
rigore di giustizia, per havere detto Passarino ottenuto lettere de fa-
vore dal Sig. Duca di Fiorenza, or poi che il conte Broccardo è tale
che lo merita et per la ragion che tiene, et per amor mio vi astringo
a non mancare d" ajutarlo in tutto quello che per voi si potrà come
confida in voi, et altra eh" io ve ne restarò con obligo ve lo astrin-

gerete lui in cosa da non scordarsi mai. Io non dirò altro per ora se
non eh" io resto con desiderio d' intendere bone demonstracioni del-
l' animo vostro, in questa causa, et benché ho scritto al Sig. Don Fer-
rante per tal causa : Io voria però per amor mio voi ne pigliassi il

carico, et comò propria la racomandastivo : perchè d' ogni bona reu-


scita che abbia detta Causa la conoscierò in la maggior parte da voi.
438 GIULIA GONZAGA

Si che vi prego se mai causa fu respetata e favorita, faciale che


questa sia favoritissima, et più che respetata offerendomi al simile in
tutto quello eh' io mi possa adoperare per voi, et mi vi raccomando,
pregando N. S. vi guardi.
M. Io : mio, ve raccomando questa causa come fo quella de Casal

maggiore, et me vi ofero in tutto quello che posso farvi servicio a


vui et a la consorte vostra a la quale me racomandereti assai.

XXXII

A D. Ferrante Gonzaga (Napoli sis nov. io46). Modena, Est.

Per più vie ho inteso e da particolari persone della città di Siena,

V. s. aver piena autorità e ordine da S. M. di ridurla a miglior forma


di vivere, e in stato più politico .e a più sicuro servizio di S. M. che
adesso non è : e parmi che già V. S. abbi a questo effetto mandato
uomo apposta a quelle repubblica domandandoli guardia de 500 fanti
Spagnuoli e la remisione de la porta, che si trova fuori. Il che fin

mo non ha ottenuto, anzi mi dicono che quelli che adesso si trovino


al governo di quella città hanno mandato a S. M. un orator a sup-

plicarla eh' Ella sia servita. Non gravare quella repubblica di maggior
numero di soldati che di 150 italiani ed un governatore a elezion loro,
il quale altra volta tenne quel carico : le remission degli esuli non la
n legano : ma saria meglio negarla che concederla con quelle condi-
zioni, eh' io intendo : cioè che essi sieno rimessi nella lor patria con
quelle leggi però e capitoli, che piaceranno all' avversari loro : v. s.

vede quanto queste domande sieno ragionevoli e giuste, e come tanti

poveri gentiluomini possino con queste condizioni vivere sicuri nella


patria loro, e che S. M. non stia sempre dubbiosa di qualque nuova
e pericolosa alterazione, quando ella concede (che non credo) a quelli
tali quello che essi domandono. La citta di comò, è povera, ne' può

senza suo gran danno pagar tanta guardia ma sia come essi dicano or : :

non è meglio che i cittadini patino in qualque parte nella roba che nella
roba e nel sangue oltre a questo non ha questa città le sue entrate pub-
blice, dove si spendono ? Non è già onesto che i primati se le usurpino,
neanche se sperdino e si consumino in vacatarirC?), donde non ne viene
utilità nessuna alla città. Ora v. s. conoscerà bene li faziosi e gli in-

quieti perturbatori della pace e con esilio o con più grave castigo
potrà punirli e render a' buoni sicura la patria loro, che non doman-
dano se non giustizia universale e ugualità. Io son ben certo che v. s.

non ha bisogno di consiglio e vede che medicina sia necessaria per


guarir quella infermità, avendola altre volte curata : ne' io gli scrivo
per mostrarli quella eh" Ella debba operar : ma mossa da giusti prieghi
,

CAPITI •],(» XIX 4iUÌ

e da (jiK-sta duina mia di alcuni ffeiitiluomiid e donne do' quali ijui in

Napoli ho avuta e ho conosct'nza e pratica; e mi è parso eh»' essi

patino e stiano privati della patria loro contro o^-ni del)ito di {giu-

stizia; e tanto più che essi altro non cliieg-ycmo che {^--oder il suo,
con sicurezza della vita. Ho voluto non dar consig-lio a v. s. ma so-
lamente ricordarle la quiete di quella città e la salute de' buoni cosi :

presso S. M. ancora come ad oi^ni filtro a chi appartenesse la pace e


la tranquillità di essa, che veramente ella non è città da lasciarla viver

cosi corrottamente, ella vive, e io m' assicuro che v. s. ne avrà


com'
laude infinita, sempre usata riportare di tutte le imprese sue.
come è
In Milano deve trovarsi un Nicolò Spanocchi fra li fuorisciti di
Siena dove v. s. possa giovarli con qualque favore io avrò per grazia
:

che ella non g-li manchi, perchè intendo hii esser molto uomo dabbene:
N. S- esalti v. s. quanto essa desideri.

XXXIII

A Ferrante Gonzaga Xnpoìt iu geni). iò47 . Modena, Est. autogr.

Il desastro accascato in Genova m'é sommamente doluto si per


la perdita di due giovani valorosi come per aver perso partico-
larmente mio fratello e mio amico ;
— ma poiché la cosa è irrime-
diabile et il povero Conte ha fatto sì aspra penitenza dell' error suo
desidero grandemente che la pena andasse a paro col peccato et
che queUi . che son restati come giovani et manco culpati et alcuni
di loro senza nulla culpa, come è il fratello chiamato Scipione questa
allo studio fosse in quella consideracione che 1' equità et anche giu-
stizia comporta; e sperando che V. S. sia meglio atto a.... appresso
di S. M. et altri a chi bisognasse , ho voluto con questa mia suppli-
carla quanto più strettamente posso che voglia con quel buon modo
che EUa saprà pigliare le proteccione di quella cosa che è pur no-
bile et degna d' essere aiutata da un par suo : poiché ben conside-
rato non sono cose nuove questi successi in quella città. Il zio carnale
chiamato leronimo fu anche lui morto, e Dio perdoni a chi li ha spenti,
seppur lo sono stati e anche al principe Doria, che essendo stato
avvisato da Y. S. non provvedesse de modo che la cosa non andasse
più avanti, almanco in provedere la città di modo che levasse il disegno
a quel giovane che saria stato facil cosa. Alcuni vogliono ancora eh '1

fosse stato iritato di alcune cose, ma come si sia la cosa è seguita e s' io
non mi gabbo questi suoi fratelli restati son degni d' esser considerati
massime da V. S. al giudizio della quale e bontà li raccomando quanto
più strettamente posso. Et se mi vorrà far grazia di rispondere a ciò,
conforme al desiderio et speranza mia, io lo tenero a grandissima grazia
e lo tenero segreto.
440 GIULIA GONZAGA

XXXIV

A D. Ferrante Gonzaga ;'// giù. '1547 . Modena. Est. antogr.

111.™° et Ex.™° Sig-. mio obser.™° — Questa mia serva solo per
basarli con essa la mano persuadendomi que delle cose di qua V. S.

sia ben rag-uag-liata, or se sta quieti ma non senza suspetti e mai lio

desiderato tanto1' essere fora de qua come fo ora. Dio ce prò vedi que

certo e un pecato veder questa cita.


Per la Sig.^ Duquessa scrissi a V. S. et li dissi quel que me
pareva del Sig. Fabricio e s' io non fussi in ciò tenuta suspetta direi
qualche cosa di più ma dirò solo que Dio aiuti quella figliola que
certo merita ogni bene e io pregherò per lei.

Per il Signor conte Brocardo scrissi pur suplicandole a far quelli

favori et gracie que sole a le persone tale et in tutto quello que


V. S. farà per lui truerò io per gracia et con questo farò fine poi que
la mia testa non comporta longo scrivere per la vertigine que già
m' è cominciato comò 1' altro amie, baso le mano de V. S. et de la
mia Sig.'^ Pr.'^^ et de li Sig.""' figli et prego N. S. gli concedi longa
et felice vita, comò chi l' ama desia, et la casa de Gonzaga ha
bisognio.

XXXV
A D. Ferrante Gonzaga (Ischia lì ag. 4347J. Modena, Est. autogr.

111.'"° Sig. mio et fratello obser.™° — Son molti di que non ho


intesa nova de V. S. et desiderando saperne scrivo questa con tanta
più volunta quanto que a questo di mi fu detto que la S.""* D.*^^ era

stata a sai male, ma non essendosi poi continuato l' aviso che non
sarà andato il male inanti. N. S. sia servito que sia cossi. Io sto in

Ischia da vinti di in qua poi que a tutti quelli que me amavano è

parso cosi, e certo considerato il periculo que stava Napoli, et


in
esser batuta de continuo da S.'° Ermo, e il monasterio donde io stava
la sua parte, non ho posuto farve altro poi que sua
Ex non me volse dar stancia in S.'° Ermo e le terre de fori alcime
erano de tanto mal aere que voler morire voluntario
et altre non erano sicure per li tanti furusiti que andavano in volta.

Il periculo poi della cita d' essere saquegiata. V. S. credi que non è
stata in dui deta e certo la cita se portata meravigliosamente, ma
più presto si pò dir que Dio 1' ha voluta riguardare le ruine successe
in parte di essa. V. S. l' intenderà da altri, in fine il rigore al giu-
dicio mio non è bono in tutti tempi e se ben non tempo par que
causi rispetto et observantia al fine comò cosa violenta non pò du-
CAPITOLO XIX 441

rare, or io son qua e io con ìiIcuik' doiiiu' sto in castello e ^-li altri

mei in una casa de la terni, » la S/" niarquesa me fa ixtun carezze

et per lei non è restato de volermi far o^rni eomodita, ma io non


havendo bisog-nio me parsa asai la stancia per me. Spero partirmi
presto per ([iie la cita liave ubedito, corno sempre lia oferto a oyiii
ordine de sua maestà, anzi più de quello que «-li era concesso e cosi
per que stia quiete dico quanto al jìoter tornar og-niuno (lue vole que
del resto io non me intrico, et per haver per il passato scritto e forsi
tropo iinportiuiata V. S. circa il casanìento de U. Hippolita non dirò
altro non que questo yiovane me contenta in o^iii cosa siiimiia-
se
mente più. N. S. le faccia ben risolvere se pur non e riso-
e og"ni di
luta que io non ne ho inteso cosa di certo, a la S. DiKiuessa non
scrivo poi che non ha risj)osto a le mie. basoli ben le mano con
quelle de V. S. et de la mia Sig-. Pr.*'^ et de tutti li suoi fig-li et
nora, quali X. S. contenti conio V. S. desia.
iP. S.J Racomando et ricordo a V. S. le cose del Sig".

maurique massime ora que intendo que vaca il g-ovemo de Alessan-


dria. Le cose de Napoli vanno ])vu" travag-liate non so que sera. Io

penso poter tornar fra X di.

XXXVI

À Pietro Antonio ilasscrotto fXapoH la giugno f548,'. Modena. Est.

Ho inteso quanto mi scriveti nella vostra di XXI de mag-g-io, et


perchè già tante volte vi ho voler mio
fatto intender quale fusse il

circa al compera delle possessioni di Bozolo et della


maneg-g-io della
vendita di quella di Redigo, non mi accade replicarlo più remeten-
domi a quanto havreti visto per 1' altre mie mi piace haver inteso :

che la figlia del Signor Cagnino Bo Xre sii comodata con la figlia :

del 8.°'" duca di Ferrara, poiché quel altro partito non ha havuto
effetto "S'espasiano ha fatto far li conti al S.*"" Salazar del suo ma-
:

neggio dal di che partirne di Lombardia che fu alli 4 de novembre


del XLV sin a setembre del XL\'II. Et perchè mi scrive eh' io con-
fronti li soi conti con li vostri libri, parlo quanto allo introyto, mi ha
mandato copia de detti conti, qual vi mando a fine che vediate se si
confrontano o no, a ciò che confrontandosi gli possa far la confir-

macione della quietanza che gli ha fatto Vespasiano secondo eh' io

serò consultata qua, perhò vi dico che alla receputa di questa non
debbiate manchar de veder detti conti, et del tutto darme notitia,
rimandandomi la medema copia del conto eh' io mando a vui et che ;

il 8.°'' Salazar ha mandato a me, qual mi serbarò per mia giustifica-

cione: et non mi occorre altro dico che attendiate a star sano et N. S.


vi conservi. Al piacer vostro ecc.
442 GIULIA GONZAGA

XXXVII

A Pietro iutonio Masserotto ;NapoU ìl ag. fo48j. Modena, Est.

M.co Pe Antonio mio carissimo. Alla vostra di XIX


: del passata
non mi occorre che rispondervi più particolarmente da quello che
avrete inteso a bocca da m. Gio. Vincencio abate, col quale credo che
a quest' ora avrete trattato a lungo cosi sopra il fatto della vendita
della possessione di Rodig-o come sopra altri particolari che haveva da
conferir con voi : per quanto alli cento scudi che sono parte della
terza di pasqua passata, quali dicete voler rimeter in Milano, come
con altra mia vi haveva imposto, poi che m. Giovanni Vincenzo si
trova in quelle parti vi dico che dobiate g-irar in man sua non sola
li cento scuti, ma ancora tutta la terza, diffalcando quello che avrete
speso a- mio conto sopra detta terza e de questo ne darete il conta
a lui, perchè tale è la volontà mia. M' è dispiaciuto assai aver inteso
che la fig-lia del S. Cagnino Bo. mr. se sia qduta in Ferrara, senza

aver avuto ferma conclusione dello star suo et che vada vagando or
per questa casa, maggior vituperio del
ora per quella ; mi par il

mondo et me ne mi fusse lecito


corucierei con ragione col conte se :

perchè se da principio avesse inteso che questa pratica non fusse


stata per riescire, tengo lettere da mons.°^ Carnesecchi che tutte due
queste figlie si sarieno comodate in quella corte de Pranza, l' una
con m.^ Margarita, 1' altra con la prima figlia del re ; ma poi che la
sorte soa voi così, reducetela subito in Parma in compagnia de quel-
r altra sin tanto che se ordinerà altro de tutte due. State sano.

XXXVIII

A. Pietro Antonio Masserotto (Napoli 30 seft. I548j. Modena, Est.

Mag.co Petro Antonio mio car.™° — Sono molti di eh" io non ha


avuto vostre lettere : credo che 1" infermità vostra avrà causato che
non avrete scritto : mi sarà caro intender che siate risanato. E perchè
ora mi occorre il biso^-no di valermi d" alcuna quantità di dinari in
Milano, vi prego quanto posso e astringo vogliate fare ogni sforzo
che la terza, che mi compete del fitto della mia possessione per il

termine di natale prossimo, che viene, se anticipi e se fosse possibile


alla mano di m. Gio. Vincenzio
ricevuta di questa la facciate girar in
abbate, quando non ce fusse ordine da poter aver tutta la somma
e

così subito, almanco procurate d' aver la maggior parte e fatecela


avere col più presto che si può, che me ne farete tanto piacere sin-

cero quanto di cosa eh' io potessi al presente desiderar da vui. —


State sano.
CAPITO!,») XIX 443

WXIX
A Pietro Antonio Masserotto (Xapoli io ott. ir.is . Mo'lnui, Est.

Mag-.co Petro .Antonio carissimo. — VcriM in (incili' jìiirti appor-

tator di questa Gio. Antonio Marchetto e per essere stato suo j)adre

sempre servitore della casa nostra, ho voluto raccomandarvelo che in


quello che gli potrete giovar gli vogliate far ogni piacere, che a me
ne farete ancor servizio. E per avervi scritto i)iù a longo in altra mia
che esso vi darà, non mi accade dirvi altro. — State sano.

XL

A Pietro Antonio Masserotto senza ilnta . Modena, Est.

Mag.co Pietrantonio mio carissimo. — Sin adesso non ho risposta


alla vostra del XVI d" apr. ricevuta questi di passati si per ritrovarmi
a pigliar V acqua de' bagni per le mie vertigini, si perché fra pochi
di m. Giovanni Innocentio abate si ha da ritrovar da quelle bande e

da lui potrete intendere la resolucione cosi circa al fatto della ven-


dita della possessione di Rodigo come anche circa a molte altre cose
che ricercano provisione :ma solamente dirò eh" io sto ammirata che
essendo passato il termine di q\iasi due mesi dalla terza di pascha
che mi si fìtto della mia possessione, non m' abbiate anchor
deve del
fatto motto alcuno che ordine ci sia de pagarla perciò vi dico che :

alla ricevuta di questa facciate opera che la metà della terza sii posta

in Milano in mano d' homo sicuro da potersi avere ad ogni mia re-
quisizione, facendomi girar 1' altra metà qua in Napoli per ipiella via

che più vi parrà commoda ed espediente, seguendo questa mia vo-


lontà senz' altra replica : poi e della ricevuta di questa e di quello
che avrete fatto circa ciò non mancherete subito darmene particolare
avviso —
(N. B. Qui segue un lungo ps. autografo).

XLI

A Pietro Antonio Masserotto (senza data). Modena, Est.

Mando dui cavalli che hanno da servir per Vespasiano, su le ga-


lere che portano anchor la S.'"'' Donna Isabella Manriquez che vene a
Piasenza, li cavalli hanno da star in casa del S.*"" Garci sin tanto che
intenderete altro da me che apresso vi aviserò quello che havrete a
fare, quello che acompagna li cavalli è Silvestro Stafieri. qual ha da
ritornar in qiia, e in caso che non haveste comodità di ritornar su le
444 GIULIA GONZAGA

medeme g-alere, come credo che bavera, vi dico che non debbiate
manchar d' acomodarlo de tanti dinari quanti li bastarano a ritornar
a Napoli a piedi et non più, che tal è la volontà mia. State sano et
N. S. vi conservi. Da Napoli il dì X lug-lio del XL Vili, (mano propria.) —
Vili sapeti che la S. Domia Isabella è la più cara amica eh' io habi,
per questo non mancate de farli tutti gli servicii che serano posibili
et li oferireti ogni cosa e la visitareti come facessivo a me propria.
Al piacer vostro ecc.

XLII

Alla Duchessa d' Ariano (1 dee. Iai9). Modena., Est. autogr.

111.™=* Signora mia et comò figlia hon.'"^ — Me trovo due letere


de V. S. r una de X de ottobre e 1' altra de XX de novembro ambe
due piene de amorevolezza et cortesia. Io mia esser
ho assai caro S.'"^

amata da vui perchè io 1' amo de core et desidero sumamente che


acadi occasione in che li possa mostrar parte de questa mia afecione
vorei vederla e presto se a Dio piacesse che fusse con satisfacion de
tutti vorei servirla se potessi in alcuna cosa con comandarmi talvolta
satisfarà a uno de li detti desideri! e giontamente mostrerà che me
ama comò me scrive e io per quello che amo lei mi credo che V. S.

se senti de la partita de la S. Donna Isabella lo credo perchè quella


signora è de le rare che se trovano tra ogni sorte de virtù e valere
e di questo non me inganna 1' amore che li porto che 1' è cosi comò
credo che V. S. conosca molto bene poiché 1' ama tanto e certo io so
per letera de la S. D. Isabella eh' ella ama V. S. a par d' ogni altra
cosa amata sempre m' ha scritto de le rare condicioni de V. S. de
e

che io ne ho preso gran contento et me li sono aficionata sempre


più. Baso le mani de V. S. de quello che me scrive de Madonna ho-
norata et oltra gli altri rispetti che la moverano ad amarla et haverla
cara sera 1' uno per satisfar a me. Amatela S.''^ mia che de le Domie
cossi fatte se ne trovano poche e certo io non ne conosco de la qua-
lità sua e pur n' ho praticate asai per star in compagma d' una regina.

Quando s' afrontano simil persone se vogliono tener care honorarle et


tratarle de modo che li cresca 1' animo de servire. Ascoltala V. S. che
da non potrà haver si non ottimi consiglii e non pensi che io 1' a-
lei

vessi proposta se non conosesse in lei molto più di quel ch'io saprei
de virtù e bontà et sapere. So che lei è venuta ancor per amor mio
a servirla costi V. S. ancor per amor mio Tabi più cara oltra gli altri
respetti. Di me li dico che son stata trista alcuni di e forsi se causò
del haver pianto ne la morte de la Signora Marchesa de Bitonte mia
eia, e la mia testa se resente d' ogni piciol cosa. Y. S. atendi a con-
CAPITOLO XIX 445

servarse et aduniiirse ogiii di più di quelli belli costumi e tnitamenti


che conveiig-ono a una sua para questo so che in certo modo è scu-
sato sapendo quanto sia inclinata de sua natura a le virtù ma io dico
come amorevole queste parole so che le pigliera conio de amorevo-
lissima matre et comò tale me li racomando de core et preyo Dio
che la faccia et conservi felice per niolf anni.

XLIII

A I). Dinn.1 Cardoua Gonzaga ^?V niarzo tSòO). Modena, Est. autog.

m.'"^ S." Figlia mia Cariss.'' et hon." — Con la vostra letera et


con quello che ho inteso dal capitanio Chiapino ho presa gran conso-
lacione de saper che V. S. sta sana et che sta contenta de suo marito ;

e sàpia de certo che imo de U magiori desideri! eh' io habia in que-


sta Titta è de intendere che se amano insieme con Vespasiano, et me
contenterò sempre che tutto quello che per obligo o per. voluntà
^'espasiano devesse portare a me, che lo acreschi a quello che deve
portar a lei, perchè, S/* figlia mia, in questo consiste la vera con-
tentezza de le cose de questo mondo in che il marito et moglie se
amano et siano conformi de voluntà perchè con questo ogni cosa
andrà bene et viverano quieti et contenti. De la S.* D. Isabella non
so che dirle poiché credo che ^'. S. 1' ama tanto che non e' è biso-
gnio de le mie persuasioni, tutta volta \. S. saprà eh" ella è 1' aiùma
mia et che quello eh' ella farà per lei lo ponerò io a mio conto. Me
par de dir ancora a V. S. che deva far gran conto de Messer Joaimi
Vincencio che oltra a essere amico mio tanto confidato, è persona
che sa e vale, fidato, amorevole et V. S. et Vespasiano ne havrano
sempre de bisogno in molte cose, ma fra 1' altre ne le cose de Casal-
magiore et del contato de Rigioli V. S. con Vespasiano lo incaparano
che gli abada (?) da servire, se ben bisognerrà a le volte riveder de
qua e in Cicilia le cose de li soi nepoti. Scrivo al detto Ms. Io. Vi-
cencio che parli con V. S.li potrà dar fede e cossi a la S. Donna
non me occorendo altro la prego ad avisarme s' è
Isabella vostra et
gravida o quando lo sera: et non acade oferirmele poi che sa che li
son matre et come tale me li racomando et prego Dio che la faccia
et conservi felice per molt" anni con suo marito.

XLIV
A D. Ferrante Gonzaga Napoli o off. I55t). Modena, Est.

111.™° ecc. et fratello oss. — Il s. Antonio Patigno r. consigliero,


molto amico mio m' ha pregato eh' io volessi scriver questa a V. E.
in raccomandacion di Don Giovan Agoretti suo cognato, quale per
446 GIULIA GONZAGA

quanto mi dice ha determinato esercitarsi nella guerra in servicio di

S. M. in quelle parti di Lombardia col favore e grazia di V. E. : e


sapendo le parti eli' io tengo seco, non lia voluto che venga senza
questa mia che serva in recomandar il Don Giovanni quanto so e
posso e per farla che per amor mio voglia mostrargli ancor più di
quel che suole per bontà sua ad altri gentiluomini di guerra, polche
viene con tanta buona volontà a esporsi a ogni pericolo de la vita in
servizio di S. M. sotto 1' ombra de V. E. quale prego gli sia favore-
vole in ciò che gli occorra e lei ne resti servita che a me ne farà
gracia e favor segnalato, desiderando io sommamente compiacer al

s. Patigno in ciò che fusse in facoltà mia di poter far per lui genti-

luomo che lo merita per ogni rispetto ; e per ciò desidero che questo
suo cognato senta in effetto mie raccomandacioni non essere
le state

vane presso V. E. ma avergli non mediocramente giovato ecc.

XLV
A Sabino Calandra, Mantova (Napoli 19 marzo 456^) Ardi. Cronzaga
Mantova.

.... Ho havuta la sua di 25 del pas.*° con quelle de 1' Ecc.''^

de Madamma, alla quale non ho scritto tanto tempo fa per la longa


infìrmità di febre et volta de testa che me ha travagliato forsi quatro

mesi continui, nel qual tempo non ho possuto complire con chi do-
veva, vetandomelo gli medici per la sorte del infermità in che mi tro-
vava .... Hora Dio grafia sto meglio.

XLVI

A Muzio Capilupi (Napoli i'J luglio /53^J. Modena, Est.

Mag.co Muzio carissimo. — Per mano di Vincenzo Bozzolo ebbi


la vostra del 3 del presente, quale mi è stata gratissima per avere
inteso buona nuova della Sig.'-'^ D. Diana e m' è piaciuto che Vespa-
siano vi adoperi in cose onorevoli e d' importanza, per il che voi tanto
più siete obbligato e v' avete ad ingegnare vedendo l' animo buono
del padrone di corrispondere alla opinione che tiene di voi; e guar-
darvi sopratutto che non s' abbia poter dire con verità quello di voi
che altre volte s' è detto e al presente si dice degli altri che in prin-
cipio sono paruti fedeli e diligenti servitori e poi a lungo andare sono
riesciti il contrario ; il che non credo abbi ad intervenirvi ;
— che
penso seguirete ogni di più realmente e con amore il che se farete ;

sarà utile a voi ed onore et io ne sentirò piacere grandissimo, e tanto


;
CAPITOLO XIX 447

più depciidendo voi servitort- ili \ cspiisiano d;i me, il che farà clu?

Ofjrni volta arò ))uon odore de la vostra aniniinistrazione, mi sarà di

somma soddisfazione. Attendete dumine a servire allejj;Tamente -e datemi


spesso aviso del benessere di \'espasiano, della sif^nora D. Diana e di
tutta la casa e di voi stesso ed attendete alla sanit;i.

\LVII

A Donna Diana C'ardona («on/atia X^poU u aj, /ss*,. Modena, Ks/.

jl
ma s<io-nora nepute e lìylia on.'"'' — La di \'. S. del 22 del pas-
sato in risposta ad una mia mi è stato oltremodo grata, alla quale
non mi occorre dir altro se non che ho preso piacere grandissimo
intendere che Ella stia bene e si conservi. La ringrazio della diligen-
tia promette di far usare nelle lettere, che io scriverò di qui in avanti

alla sig. D. Isabella in Piacenza, il che mi sarà grato, e La prego


ancora che oltre il buon recapito farà loro avere che voglia far avver-
titi li suoi che le mandino per jìersone fidate e che non aljbino ad
essere aperte. Mi dispiace intendere che sia nata certa differenza tra
alcuni particolari di Mantova e il Comune di Rodigo; e se io sapessi
la qualità delle cose e come fossino passate , mi sarei ingegnata di
fare alcuna opera buona per far nascere qualque accordo. E però sarà
v. s. contenta commettere ad alcuno de' suoi che mi diano partico-
larmente avviso d' ogni cosa. Esorto v. s. che voglia governarsi in
questa cosa colla sua solita prudenza e voglia cercare ogni via di
smorzare queste controversie e raddolcire gli animi adesso che la cosa
è fresca. Io scrivo adesso una mia sopBa questa materia a Madama di
Mantova et al rev. Cardinale, ma come abbia questa informazione et
che sappia meglio quello m' abbia a dire, non mancherò di fare uflBci

più gagliardi. Et attenda v. s. a conservarsi sana, che Dio le doni


quanto desidera.

XLVIII

À Vespasiano Gonzaga 'Napoli 2S dee. too2). Modena, Est.

Ill.mo nepote e figlio carissimo. — Sotto una mia del 3 decem-


bre al Masserotto indirizzai a voi altre lettere, venute di Sicilia del
Ratzale, e non perchè mi sentiva indisposta da certi
vi scrissi allora

dolori di fianco. Adesso mando queste altre pur del detto e vi dò


vi

avviso come è già quattro mesi non sto niente bene, perchè oltre
certi dolori di fianchi che mi vennero li giorni passati e poi febbre
con vertigine, mi sopraggiimsero 1' altra sera certe doglie di stomaco
448 GIULIA GONZAGA

e di corpo grandissimo ; e per ancora non sto libera in tutto, e però


sarò breve con questa e solo vi dirò che desidero intendere nuova
del benesser vostro e della signora Donna Diana, e con far fine a voi
e a Lei mi raccomando che il S. Dio nella sua grazia vi conservi.

XLIX

A Yespasìano Colonna (Napoli 24 marzo i533j. 3Iodena, Est.

lU.mo nepote et figlio car.™° Questa mia servirà per mandarvi le

incluse venute di Lombardia datemi dall' agente qua del s. Don Fer-
rante et appreso per dirvi che ho preso piacere d' aver inteso da Paolo
Colle che siete venuto pel viaggio bene et siete arrivato in Fondi a sal-
vamento. Intesi anche dal detto come avevi animo di dare una volta a
Napoli et pensava che saresti venuto ad alloggiare qua in la casa
eh' io tengo. Io gli riscrissi che vi dovesse visitar per parte mia e che
col desiderio aspettavo di vedervi e di più gli dissi che m' avvisasse
della certezza se era per venir ad alloggiare con me e quando : — e
questo lo scrissi per poter aver tempo di farmi accomodare di forni-
menti per mettere in ordine due camere per la persona vostra, perchè
io non ne tengo. Mi risponde ora Paolo che la S.""^ vostra madre
verrà alloggiata qua in sua casa, che se così è farete bene a satisfarla
et consolarla sì di questo come d' altro, il che vi consiglio facciate e

con questo fo fine et il s. Dio sia con voi et vi faccia quello che ia
vi vorrei vedere. {Segue un jìs.J.

A D. Fei'rante Gonxaga (25 marzo 1553). Modena, Est. autogr.

Per vitta de la E. anima mia que li tengo asai più.


V. et de 1'

pietà que non a me de mei de quali non vorei parlare per


li travaglii
non accrescerli fastidio que vorei esser parte per levarli quelli que
tiene, non que altro, e per non tornar a dir de questo continuerò e
dico che la verità de le cose mie per queUo che io posso compren-
:

dere, e per la pratica et scritti de Valdese cosa de XIIII anni ]


rino-
vata ora per quel che posso intendere per opra del viceré que Dio le
perdoni questa come credo ha di bisognio que li siano perdonati ancor
de r altre. Il per que dia pur ancora que sia parte per il poco que
amava V. E. Et an die parte per 1' odio que portava a la marquesa
del Vasto de qual io era amica et sono perchè 1' era de natura que
voleva esser temuto adorato et inteso per discrezione se ben poi ancora
rAIMTOI.O XIX 44V>

ili tutto questo non se faceva niente volendo jjoi aneor.i (jue se fa-
cesse il schiavo a la mofrlie con ricevere of^-ni di mille all'ronti come
ne \H) fiir fede quelli che l'ano provato, si che le cause son queste)
\nn jìcr dir tutto e' è S.'° lacobo que se pensa far yran cose et Napoli
qiie ha il cervello cossi fatto: or intorno a questo io vo pensando qua
li strani modi que si teiifi-ono in quel tribunale de inquisi/ione sono
tali que og-nuno per ussirne dice non quel que sanno, ma (juello clie

se imag-inano et que a lor pare ({ue ayradi a quei sever."" sopra detti

et erano ministri attissimi a persuadere, e può essere que alcuni de


quei tali habiano detto de aver parlato meco d' alcuna cosa, o que
habiano preso le mei parole a sinistro senso et habiano detto alcuaia
cosa que invero non so | ne posso sapere si per c^ua trattano le cose
cossi fatte con molto silentio et sì ancora per que avendo io la mente
bona- non posso comprendere que possi essere, e se ben io alle volte

ho parlato de cose de religione ò stato per intenderle ma non per


deviar mai da quello que la chiesa catolica tiene, ma in questi casi
dicono que ogni ombra e assai de li scritti de Valdese io, se pur
:

loro ne tengono mala opinione, dico que se loro anno mala opinione
que li devevano o deveno proibire, que essendo poi proil)iti io sarò
ubidiente se bene non li tengo manco adesso. Lor non mancano de
far et dir alcune cose contra di me, come è a dire che a ogniuno gli
va per la domandano di me et se dicono que habiano par-
mano li

lato de conto de religione meco li proibiscono que non ce vengano


più, ma credo che son si pochi che non arivarono a tre, que di ciò
abia mai parlato de cose cossi fatte et il parlar è stato con bona
mente et anchi cose comune non intendendo io più que tanto, ma
fossi alfine se contenterano de tener queste coselle come se deve, poi
que non ce cosa que sia ne io possi considerare que importe que
cossi ano fatto que Monsig.°'" d' Otranto | a chi hanno tenuto tanto
tempo for di proposito, fastidito già non ostante la malignità d'alciuio
ne uscito con tanto honore quanto meritava la sua ragione, si que
S."'" mio non saprei que dirvi più del detto, poi eh' io non so altro
di questo ne meno questo si non per imaginacione et certi rescontri
or ecco detto ciò que so per havermelo comandato Y. E. che certo
non voleva dir tanto sapendo li soi fastidii. Kaso le mano de V. E. de
le litere quale bisognando me ne favorirò, et se bisognierà manderò
copie come se ne havessero da far alcun' altre se ben fin mo non se
de veder que vogliono dir 1
in sustancia non se amiri se non le dico
più que tanto que davero io non intendo ne so più que tanto et di
questo basta per mo, que poi un di ne intenderà più longo conto dico
quando io intenderò meglio. De la S.""* Donna Ippolita Dio sa quel
que ne sento que vorrei poter servire in questa sua risolu-
et quel
tione. Conosco quello che ^'. E. dice que non ce ne sono de partiti

29
450 GIULIA GONZAGA

in Italia, et que forsi quella S.'"^ non sia atta ad aspettare de le occa-

sioni : e questo non per que non la giudichi de tal valore que de
facile lei aspetasse voluntieri il tempo, ma me imagino que ce sono
de le cose, come in tutte le cose |
de questo mal mondo sogliono
essere le quale se sentono et non se possono ne vogliono dire ma :

credami V. E. que sempre in una persona concoreno tante gran parte


corno sono in la S. D. Hippolita, e fra le principale que tiene in tanta
stima quella Divina qualità de la onestà, que bisog-nia tolerarli alcuna
cosella come tanto giovane e valorosa que rare volte a compagnia con
condicione molle et afeminata, de modo que S/ mio bisognia tempe-
rare con tanta gracie un non so que que poi il tempo 1" acomoda. Io

parlo a la tentoni e più per imaginacione che per scienzia. Ben vedo
che queste cure et pensieri travagliano talvolta più le mente de li
grandi que magior importanza per le mano e forsi que
cose de
star sempre contrastando et sul tavogliero V onore la vita et forsi
ancor in parte V anima e non solo con li inimici scoperti ma con
chi lo deve amare et con li inimici occulti. Io comprendo assai più
che non so dire e tanto più me doglio que se li agionge travag-li

domestici, ma que ce da fare altro si non con forte animo tolerar le


cose a far quer que se pò: et nel resto non voler forzar le cose poi
che sono le cose sue ancor sugette corno le altre a li impedimenti
que aporta il mondo et li soi intrighi, m' ho lasata trasportar dal de-
siderio et afìicione que teng-o a le cose sue per venire a dire que se
Y. E. farà con la Sig\ D. Hippolita quel que potrà pur que non la

pongi volimtariamente in loco que evidentemente se conosca quella


ce habi da star mal contenta que succedi di poi quel que si ^iiole
Y. E. non si deve pigliarsene tanta ansia poi que ogni di se vede que
non basta li nostri avedimenti ad poter frastornar le cose. Io 8.°"" mio
farò come me comanda intertenirò la pratica fin que ^'. E. sia con
la SJ^ Pr.ssa pasqua in poi la ubiderò in tutto quel que vorà
j, fai-

comandarmi ben comò già gli ho detto questo matrimonio non


\
se
me piace ne credo che habi tanta entrata come dicono se ben questo
de r entrata non me farla curare per que sempre sarà que basterà ma
r altre cose non le posso aconzare pur pò essere que io sia tropo
scrupolosa o tropo amorevole de quei nostri Sig.'"' de Mantua certo
non ho osato mai parlarne et ho sempre giudicato et detto in questo
caso che ^'. E. non era per milli reg-ni non que altro per far cosa
que a lor dispiacesse e sa eh' io non ce n" ho mai scritto, et credo
ahi ancor compreso il per que, ma quando fussi stata presente come
non lo sono non havrei taciuto quel que me oecoreva si con quei |

ministri de Mantua corno con Y. E. ma non se pò far con letera, e


tale volte se da col scrivere suspicione con chi ne tanto fori comò
credo esser io : e tenghi per certo ogniuno que ben pò essere que
CAPITOLO XIX 451

per ig-iioraiiza orri ma non ;,'-ià per vulnntu facessi uftìcio con chi si

sia de mal" arte tanto più con (juci de casa mia (lue sono dopo Dio
le persone a chi sono più inclinata de amare et servire, questo non
dico ad altro efetto sì non jìer dir (jue a bona et in presencia se ponno
dir cose que in carta non sariano prese per il verso, e tornando al
])rop()sito dico que se bene e benissimo que ^'. E. asecuri (piei S/'
de Mantua conio conviene non per ciò dirò «lue se deva itrecijiitar

Donna Hippulita et se V. E. me responde que sa da fare et (^ue per-


dendosi questo non ce ne sono poi deg-li altri a questo non so rispon-
dere, non conoscendo se persona que fusse tale que se ben havesse
manco roba potesse con la persona esser più meritevole corno saria
dire il secimdo g-enito de Ferrara et se il fig-lio del conte di Potenza
facesse bona riuscita que non lo so ma dico questo in caso q\ie col
aspetare alcuna cong-iuntura per la S.'" D. Hippolita questo de Sti-
gliano per esser solo non volesse aspettare troppo longfamente che al
fine non ce fo tanta diferencia se ben questo | de Stig-liano e più rico
et solo, ma questo sia dett(j per ancora, corno si dice de respetto,
quel P." de Piemonte me andarla per la fantasia, ma no ogniuno
tiene la sorte corno Don Petro de Toledo de far la fìg-lia duchessa de
Fiorenza, beato lui nel cospetto de quegli omini per que le morto de
settanta cinque anni senza liaver mai vista cosa gli dispiacesse, ma
sempre le cose ci sono andate conforme a la sua voluntà, e bon per
lui se di la salderà poi bene il suo conto, e poi que semo a questo
proposito dirò pure que desidero intendere se \. E. veniria qua in
questo loco e non dico questo per que 1
1' osasse desiderare non sa-
pendo il meglio et veder questo regnio minato que chi viene dico
personag-gio non so come potrà non parere tristo ministro al patrone
essendosi al verde, o ver non finisca et dia la estrema oncione a que-
sto regnio finendo de minarlo : ma se sua M.^ volesse credere la
mina de questo regnio et pensar de difenderlo bisogniando con dinari
soi proprii, se potria desiderare da me que non intendo più che tanto.
Se giudica quelle cose de Siena habiano a tener la pratica de vicire
qua più longa et cossi qua ogni dì se fa un vicirè.... chi Trento chi
Flamengo chi Ioa. de ^'ega ma Io: de "S'ega non deveria acetarlo se |

ben sua M.tà. ce lo desse se vero que siano molti dì prima que '1
vicirè morisse que lui mandò a cercar licencia a sua Ma. dicendo
que '1 conosceva non poterlo servire in quel regnio, poi que 1' era tal-
mente minato que a un bisognio non e' era modo de difenderlo se :

questo è così la medesima causa lo farà non voler quest' altro se già
sua Ma. non volesse rimediarce come ho detto, ma li aficcionati di
"\'.
E. dicono que venendo qua lei et tenendosi li modi debiti que
non ogni sorte de persone se arichissero con quel che se da per la
defensione de questo regnio, que le cose passariano meglio or veda :
452 GIULIA GONZAGA

V. E. quanto ho detto et dico ancora che il star lì de Carlo de San-


gro da suspetto et ho inteso che gli hano data non so que comodità
da riscatar non so que pegnio o pegni soi, farò fine supplicandola me
perdoni de sì longa filateria poi que la mia non pò tener manco
litera

logo N. S. que pò scoprire a V. E. in ogni cosa quel que li sia me-


glio et li dia quella bona fortuna che io li vorrei vedere, et li baso
le mano, dicendoli que la ubedirò in ogni cosa comò devo et desi-
dero far sempre de la lite del antifato se farà per me in servicio della
Sig.^ Donna Ippolita ciò que poterò con tanta voluntà come lo farìa

Y. E. Il Maria m'à detto ogi de pigliare |


per avocato il Bozato (?) cogniato
del minadois m' è parso benissimo, ma non credo que sia bene dirU
que se piglia per questa lite sola per que se ne afrontariano e mas-
sime que perderiano li partiti de 1' altra parte et a V. E. costa tanto
poco que non deve mirare ma pigliarselo per avocato poi que non ne
tiene si no uno, e questo e gentil giovane et ce concoreno molte
cose qne senz' altro rispetto que del servicio de ^^ E. dico que me
par benissimo, et per que ancora li scrivirà lui io non darò tanto da
legere a V. E. Vespasiano sta in Fundi coUa matre venera qua poi de
pasqua et summamente | me piace que egli contenti in alcuna cosa a
Y. E. a qual de novo baso le mano.

LI

A ;)on Ferrante fTOiizag.a 24 apr. 1353,. Modena, Est.

De le cose que han detto et dicono di me se ce fosse rispetto


o cariti e non malignità credo que di ragione deveriano mirar più a
la vita mia que a la imaginatione di altri. Que per altro non posso
parlare imaginatione et ben sa Y. E. que ogni occasione
a chi le va cercando serve; ma poi que Dio sa il vero, non me ne
crucio tanto |
se ben non se pò far de non dolersi

LII

A D. Ferrante Gonzaga ^'yapoH, 28 sett. loi9\ Modena, Est.

Li maestri et gubernator' del hospitale delli incurabili di questa


citam' hanno pregata eh' io volesse supplicar Y. Ex.'''^ d' una gracia
d' ima citella che se trovano haver' maritata in un To-
per discarico
masino Magno da Bellano sopra il lago de Como, qual hanno inteso
che tiene un altra moglie in ditta terra per nome Genevra et per
ciò è stato condamiato alla galera per cinque anni, et volendo gli
CAPITOLO XIX 4i)\i

detti mastri far la separacione de questo non l('',''itinio matrimonio,

hanno havuto reeorso al vicario episcopale de questa cita, qual dice


non poterlo far de ra^none se non ha fede ampia et autentica dal go-
vernator o podestà de detta terra, che la Genevra prima mog'lie sia
viva et che al presente sta in Bellano pi>rchè il Tomasino ha ben con-
fessato detta Genevra esser sua mo^'-lie ma che è stata morta e perciò
è bisog-no bavere informacione autentica de la verità del fatto, acciò
che si possi poi provveder de g-iustitia alla indemnità di questa povera
giovane; pertanto ho voluto con questa mia supplicar V. Ex."" mi
faccia gracia commetter 'al governator di detta terra o vero altro of-
ficiale che ce sia che pigili ampia informacione. se la ditta Genevra
è viva. quanto tempo è eh' è morta, et del tutto ne faccia far un
atto pubblico, qual conio V. Ex.*'* havrà mi farà ancor gracia man-
darlo con la prima comodità, si per esser questa opera tanto pia, corno
anche per farne gratia particolare a me, et che la giustitia habbia il

suo loco. Et con questo mani de \'. Ex.*"* con


fine resto basando le

pregar N. S. guardi et la fiiccia felice i)er molf anni.


(Autografo P.S. - Per esser questa opra pia non ho voluto lasar de...
.

e questa poveretta possi acasarsi essendo viva quel altra*: aspetto


la signora principessa a Marigliano donde andrò subito. Credo piglierà
alcuna fumarola poiché non è gravida: io certo vorei che se
curasse più longamente che non serano tre o quatro di : Dio li con-
cedi In intera sanità et a V. Ex.''^^ ciò che desia e non se scordi de

andar guardato perchè m' è stato detto eh' ella se ne descuida tropo,
basoli de novo le mano : in bona gracia sua me racomando.

LUI

A D. Ferrante Gonzaga 1 29 apr. ^SSS.. .Modena, Est. autogr.

et Ecc.™" Sig. mio obser.""^ — Non accade che V. E. se


111."'"

scusimeco del non scrivere ne di sua mano come me dice ne la sua


de XV, perchè troppo son certa della sua aficionata bontà e cortesia
verso me et che sempre me farà gratia, et so ancora li travagli! oltra
la poca sanità che questa me da più fastidio che alfine chi vive et
sano pò soportare le cose et sperarne bon fine, anzi la suplico che
non scriva di sua mano perchè li ne havrà più comodità e io la inten-

derò ancor meglio. Dio sa se li tengo compassione et massime in


alcune cose che so e forsi lei crede che non le sapia. Ma Signor mio
bisognia darsi bon animo et lassar che 1" ingrati passano per la pena
che Dio sol dar loro. Quando manco se credono la viva reacion (?)...

cossi fatta che se do^'-liono del male et non se contentano del bene
454 GIULIA GONZAGA

e corno non se pò esser cosi perfetto che basti ne è licito esser


cosi tristo comò conveniria dirò cosi : altro se passa per questi ponti
è beato chi ne sapesse,, volesse o potesse uscirne, che li dico il vero
che non perche io g-iudichi questo regnio cossi ruinato per lo so
bono ma per che in quel dì la entrasse un altro et provasse comò
se travaglia desiderarei che V. E. ce venisse se cossi però . . .

fusse il suo servicio, volesse dio che corno sento ogni suo fastidio
fussi atta a diminuirneli .... alcuno, ma poi non posso altro. Prego
dio che sia lui che lo acquieti et contenti. De le cose mie non so
se se stano. Como intenderò altro ne aviserò V. E. poi che
me lo comanda e me favorirò con tanta magior sicurtà quanto che
conosco che \. E. se trata meco cossi amorevolmente de la nostra S. D.

Hippolita, io la servirò sempre in ciò che potrò, e V. E. potrà avisare


quando li sera comodo. La Pr.^^^ di Stigliano fu a vedermi avantieri et
me pregò che io volessi aiutarla in questo negocio e almeno chiarirla,
perchè alcuni li dicevano che Y. E. non ce 1' averla data. Io dissi che
non sapeva tal cosa ne credeva che \. E. haveria data la baja' ad
alchuno et che quando ce tenera la volontà sera per farlo e non per
burlare, ma che fine suo non teneva in comisione de tratar tal cosa,
in fine disse che era venuta per pregarmi che le aiutasse et che li

facesse intendere la voluntà de V. E. e cossi se restò la cosa, comò


V. E. havrà parlato colla Signora Pr.^^ potrà rispondere la volontà sua
perchè mostrano ansia de casar suo figlio, dirò pur ancora eh' io dissi
io non so più che tanto -de questo negocio ma quando fusse e toccasse
a me de parlarne non vorrei che quella S.^ andasse a la ... de mio
marito, rispose che aveva ragione et que lei ancora voleva cossi. Qua
ho inteso et da bon loco che '1 Duca d' Alba habi detto che potria
essere che lui ce venesse, e par che voglia dire che se sua altezza
mostrarà haverlo caro, che lo acetera : Questo so eh' è stato scritto
da due bande e da chi è servitor del duca: Desidero che V. E. habi
cura de la sanità sua et lo deve fare per util proprio de casa sua et
de chi le vuol bene. Io per quella parte che me ne tocca che de
voluntà non ne cedo a persona ne la supplico quanto più posso. Io
ancora son stata posta in speranza che quei bagni me potriano sanare
de lo avertigine et anche del fianco. Dio l' incamini et a V. E. concedi
longH et felice vita com' io li desidero et li baso le mano. — P.S. El
Castelano de Mirano ha scritto qua la cosa del Duca d'Alba et dice
che '1 duca li mandò a dire che haveva voglia de vederlo et che ajidò
non so dove a trovarlo : un altro l' ha ancor scritto, e non so sei Duca
sia di molto amico di "N". E. qual straccierà questa post data poi che
non serve se non per avviso.
CAPITOLO XLX. 455

LIV

A lì. Ferrante Ooiiza^n i5 e iS giugiio ir,o:i . Mode, in, Hsf. mttogr.

Illiiio rt Ee.""' Sifiiur mio obs.""^ — Por uiiiiltr;! mia ho avisiito

V. E. (le que il casamento del lìylio del Pr."" de Stiti-liiino con la lìylia

del Pr." de Sulmona era a le strette, ora dico con qviesta cbe io lo

tengo per fatto poi che sono d'accordo del dote. E solo sta la co.sa

nel modo del pagamento che per non esserce molto deferencia credo che
se farà masime che me par che "1 pr.'' de Stigliano stia molto resentito
de non so qne lettera che va pnìjlicando il sig. lo : Donato de la Marca
et a me non è parso bene lo andarlo sossidiando, con ogniuno poi
che -a lui al giudicio mio doveva bastare haverne il favore et quel
Card.''' lo sapesse senza farve il bando che me ha detto più de diece
persone et alcuni che son afficionati a V. E. ce lo voluto dire seben
ce lo acenai per altra mia. Et uno di essi ma detto che "1 pr." de Sti-
gliano ha detto, vedeti se m'era data la baia per acomodar questi de
la Marca. Lo voluto scrivere acciò sapia il tutto. Io con ragione e
contra de essa son obligata ad amar li servitori de Y. E. : come fo in

vero ma molto più son obligata a la E. V. e vorei che se favorissero


de le gracie che li fa con quella modestia che conviene al decoro de
tal personaggio comò è la E. ^'. Poi non li giova a lor più che tanto
et fanno murmurar ... de lei et di ciò basta e creda che io li

parlerò sempre senza imlla sorte de passione for de quella in che


conoscerò il suo servicio et se ererò sarà per non haver più giudicio
che tanto in le cose. Or se altro non succede havremo la sposa qua
qual dicono che più presto bella che altrimenti, la dote intendo sia
quaranta tre miglia ducati li tre son de gioje et cose mobili, il resto
o se pagerano tutti in ima volta o almen trenta miglia subito che la
Principessa si tien in cassa de non so che partito che fece con Rava-
schieri de molte tratte che doveva bavere. Il sdegno del P.* già detto

ha impedito lo intertenimento ma tutto sa da credere sia per il meglio.


Ho presa gran satisfacione intendere che li bagni habi giovato alla

E. V. N. S. li concedi la piena sanità com'io li desidero et ogni feli-

cità possibile. Il Pisanello e fori parmi che '1 se senti assai obligato

ala E. ^'. e forsi saria a proposito che V. E. scrivesse che lui li farla

servicio in acomodar le cose fra la P.'^ di Sulmona et sue che desi-


dero assicurar .... et se al Pisanello la piglia per il |
verso credo
che riuscirà et resto con basarli le mano (ogi XXV de Giugnio 1553).

L" ultima lettera mia che ho scritto a la E. \'. è de X de questo


in la quale le acenava questo che ora le scrivo.
456 GIULIA. GONZAGA

Scritto fin qua me dice quello amico con chi parla il Pr. de Sti-
g-liano. Che lui intertenirà la ieratica con Sulmona fin a Setembre se
li davano parole dal canto de V. E. che farà li fati suoi. Se sarà cosi
V. E. havrà l' intento che saranno due mesi et alora se potrà risolvere
<ii cose sarà cosi perchè, io do poco credito a le sue parole, pur la
volontà che tiene de far quel casamento, potrà essere che lo faccia
osservar qiiello quel che dice. E si no, non si perderà se ben invero
non ce essendo altri et dando lui dodeci miglia scudi l' anno al figlio,

poi che Italia è si povera de partiti et quella signora non ne vuol


uscire. Io dico dodeci miglia perchè credo se li daria. V. E. me faccia
gratia stracciare questa non vadi per mani d'altri. Et a me
acciò
basterà dirmi che ha ricevuta la mia de XXV, con la post data de
XXVIII pur de Giugno, accio sappia al buon recapito et Dio ne faccia
sucedere il meglio (hoggi XX^'III da Giugno 1553).

Al Mag.° M/ Sabino (') 'Napoli IS ott. r66i,. Ardi. Gonz. Mantova.

Mag.° Sig.°''. — Lodato sia dio che pur se vene al fine de questo
matrimonio, Mes."" Sabino mio. et forsi lesser ritardato un poco più
se la fatto esser tanto più caro. Io ne sento un contento grande per
ogni respetto e più sagumentarà quando vedrò comò tengo per certo
che sarà che la S. d. Isabella contenta e non sia chi dica chio
ne sia

non son bona sanzare ben un poco flematica vorei veder


^'sensale ?J, se :

madamma Ex.™^ cossi alegra comò me dicono ma in cambio de questo


vedo la S.""* marchesa che non parla mai senza lacrime comò ne pò
far fede il S."" Marcello (2) et li dira il S."" ramondo che sarà il portator
de questa mia mandato da la S.""^ ^Marchesa Ex."^'"^ qual ha haute care
le sue salutacioni et ce le rende duplicatamente et dice che li tiene

obligo perche sa che ha desiderato questo suo cossi gran contento.


Di me non dirò perche sono et per obligo et per volunta dedicata ad
alegrarme for de lordinario dogni contento de quei miei S.""' 111."" et

vui S.'' Sabino mio sareti contento alegrarvene in mio nome con quelle

Ex.'* et con la sposa et cossi me alegro ancor seco et li desidero


S.'"^

og-ni contento et me li ofero et racomando comò a vero amico. Ebbi


le letere de Madama Ex.™^ et una de XXII de 7bre a le quale non

(1) È Sabino Calandra, Castellano e Segretario Ducale.


(2) e dalla Duchessa di
Marcello de Arezzo, Inviato dal Cardinale
Mantova a Napoli per partecipare la celebrazione delle nozze di Isa-
bella Gonzaga col Marchese di Pescara, Francesco Ferdinando.
CAPITOLO XIX 457

risposi perche hi S."""* marchesa pejisò mandar subito un fj^intilomo a


posta che se poi ritardato aspetando quello che se intese che mandava
la Kx.'"' de Madama qua ne ora se responde a quelle poi tiuerano
ligure de queste, ma ben posso dirvi che fumo causa della prima
allegrezza. N. S. ce aleg-ri sempre tutti con la sua S.'* g-racia. \'. S/
ramondo dira di più quel chio potrei dire et a lui me rimetto, dicendo
solo che me stato caro conoscere il S/ Marcello per oj,'-ni respetto.

LVI

\d Arturo di Venra, Sahioneta {Napoli 5 genn. ^5^:ì). .Uodena, Est.

M.° M. Arturo carissimo. — Per la vostra de XV del passato ho


inteso che sete tornato d' Ins-liilterra a salvamento che n'ho preso
assai piacere, e tanto più tornando secondo che per la vostra mi dite
bene spedito di quanto Mi sarà iratissimo inten-
eri ito a negoziare.
dere talvolta nuova dell' esser vostro, che le lettere vostre dovunque
sarete mi saranno sempre grate dove io possa giovarvi non resterò
di farlo. State sano, che dio ci guardi.

LVII

A Yespasiano Gonzag'a 'NajìoU 23 marzo -foos:. Bibì. Naz. Firenze.

Ill.mo Nipote et figlio car."^°. — Questa mattina hebbi la vostra


di IX di questo giontamente col plico, che mandate in Sicilia, al quale
s' è dato suìjito recapito com' era il vostro desiderio — ne' essendo
questo per altro fo fine pregandovi salute et racc."^' alla Si.""^ Donna
Diana.

LVIII

A D. Ferrante Gonzaga (5 luglio io56). Modena, Est. nutogr.

Ill.mo et E. S.mio obsev.'^". —


Ho avute più letere de V. E. de
aprile et di maggio
et ultimamente ne tengo due de maggio de li XXII,
per le prime intesi que la sua non passava bene et que perciò non la
continuaria, per 1" altra poi intesi que non ne si non quattro

o cinque di et que ce ha voluto asai et con remedii par farla gelare.


Or poi che V. E. ne sente presto utile que altrimenti pò sperare comò
li premetono li medici ogni di più utile. Que N. S. Dio sia servito di

concederli la integra sanità: Io son stata da XV dì in qua peggio del


solito con a li denti e febre. Ora sto della febre un poco meglio ma
458 GIULIA GONZAGA

il dolor de rene, et quelle mine triste par continuano et penso con


r ajuto de N. S. cominciar lunedi que saramio li otto di questo a
pigliar r aqua de Luca et avisarò V. E. comò me traterà. Questi di
adietro scrissi a V. E. de le cose da la Sig-/^ D. Hippolita, ora credo
che Monsignor d' Otranto Me doglio que se
1' avrà meglio informata.
ne parli così que loro per far que D. Hip-
publicamente, et è il bello
polita non senta la partita de M. Honorata li vogliono dar da inten-
dere che le ha publicate tutte queste cose que se dicono, ma il prin-
cipe non lo dirà già a me, que lui sa quel que so, li dissi avanti que
. . . Honorata venisse et sa ancora de donde lo seppi ma que simplicità
tanto grande de credersi loro tener secreto tante cose que non ce lor
parente ne servitore fino a li guatari parlano de la poca creanza et mala
natura et miseria de quella casa. Queste son cose anteviste in parte
et se li tempi et li travag-lii de V. E. V avessero comportato non se
dovevano mai li dui capi que il Duca et D. H\-polita stes-

sero apresso a la E. V. et queli dessero il vivere apartato, or


qua credo que non andrano primo in Basilicata ma a la rocca
que ben io so per istate ma non vanno stancia ma tutto e meglio
que Basilicata. Io non so vedere per que lo voluto intendere que modo
possi haver Donna Hippolita per riscotere quelli ori et credo che bi-
sognierà que V. E. se piglii lei le gioie, pur ho scritto a D. Hippolita
que respondi risoluto a V. E. Baso mani de Y. E. de quello que
le

promete fare per dar fine a le cose mie de quella jDossessione et lo


desidero per non haver que tratar con Vespasiano ne gente sue. Io

credo quella data a Milano al Duca d'Alba primo non


ben di- sarà se
cono de si. Qua non ve son altre nove le suspicioni qué tengono
questi ministri dicono loro delli andamenti del Papa. Io sto sempre
cosi trista que pochissime volte vo for di casa. Or Y. E. atendi a star
sana, et io li resto basando le mano, et desidero que N. S. li concedi
ogni felicità et baso le mano a la Signora Principessa que spero questa
mia li troverà in sieme.

LIX

A U. Ferrante Gfon/aga ,8 agosto /ss?,. Moi., Est. autogr.

So ben ([ue 13 (il Sig. Don Fer. Gonz.*) non fece cossi ma il h^
(minis. di S. A. in Napoli) in fano cossi et a questa nacione è
licito ogni cosa, voglio vedere de haverne una lista et mandarla a
V. E. se ben da ISIantua l'havrà forsi havuta. Dice N. N. (Donna Giulia)
que fra questi de 46 (D. d'Alva) se dice que 48 (Don Gomez) non
è tanto favorito dal 2 (Re), non so dove lo fondino, e già saprà che
46 (D. d'Alva) sta in dubio de andare -h-h(a la Corte). Cesare de la
CAPITOLO XIX 4')\)

Gata havra suplito ed io iioii sarò più loiiya. Il jiortator di iiiu'sta

sarà Io : .\ntonio Serene che in' ha fato intendere ([ue va drito a la


Corte, per via di \'enetia. Credo che (jiiesta havrà certo recapito.
V. E. ordini al Carena quo crini. Spesso giii scrissi tinella razza era

morta et (pie l'arcivescovato de Capna era vacato, (pie una Im'IIIs-

sima cosa, se ben il Card.''' de Sulinoneta se pretende essendo lui

tanto inimico pò stare (pie \'. K. 1' avesse dal Re e poi se potria
acordare facendose pace et (piel Car.'*-' se contenteria con poca cosa.
V. E. ce pensi per il Sig-. F'rancesco , et de le cose de (jua questo
g-entilomo ne li potrà dar conto, e io resto con basar le mano a \. E. :

et pre^'-o N. S. Dio clie concedi sanità et longa et felice vita a V. E.


— ( P. S. ) Or ora ho havuta lettera da M(jnsi<,mor Carnesecchi de
XVII de lulio i)er (piale me dice que l' imbasatore de Venecia ha
litere.de 4 del passato da \'arselès corno V. E. era arivata fino a li

XXVII de giu^io et que stava bene, voglio mandar 1" aviso a la

Sig.^ Pr.ssa pIjj, j^' aveva piacer grande.

LX
.V 1). Ferrante Gonzaga fM nov. 15^7). Modena, Est.

mio obs.""\ — Io non voglio lassar de dire a


Ill.mo et c.™° s.""'

V. E. (Roma) avisano comò d d d d (inquisitori) volevano


comò da 'Ae
chiamare a Ae (Roma) il Carnesecchi. N. N. (Donna Giulia) dice que
essendo cossi il vero i.c. potrà giovarli C. B. Caraffa perché comò sa
ddd. (V. E.) son cose per 00 (volontà) e non per aaaa (religione).

N. N. (Donna Giulia) vederà il vero e poi ne aviserà ddd (vostra ex-


ceUenza) et per aver scritto e si non dirò hora altro si non quel Duca
d'Alba passò et la Duquessa è venuta da Gaeta donde è stata in sin
que il marito. Baso le mano de V. E. et del S.""" Cesare et Andrea e
N. S. doni a V. E. sanità et contentezza.

LXI

A Ippolito Capiliipi :ì aprile 1558 . (')

Mag.co et R.<'° ms. Hip.'" mio hon.Non rispondo di mia mano —


a la ... vostra de XXII del passato per haverla ricevuta questa
li

mattina, che è domenica e mi trovo occupata ne gli uffici. Ho presa

(1) Debbo alla cortesia del Ch. G. B. Intra la pubblicazione di


questa lettera, trovata nell' Arch. Capilupi di Mantova.
460 GIULIA GONZAGA

molta satisfattione de gli avvisi, che mi date et de la giunta de la


gra p sa Ecc.™*^ et de la speranza de la salute sua, S' è vero quel che
mi scrivino di Roma, voi sarete presto dichiarato successore nel titolo
del Vescovato di Mons. 111.™° di Fano di buona memoria, di che
havrò quel piacere che deuo per molti deg-ni rispetti, e questo sarà
cag-ione eh' io cominci a sentir alleviamento del dolore, eh' ho preso
per la morte di quel S/^ Con la S/^ Marchesa del Vasto Ecc.™'^ farò
r ufficio, che desiderate, Voi a 1" incontro baserete in mio nome le
mani al R.™" Monsig*. nostro, ring-raziandolo per me della memoria
che tiene della servitù mia. E qui senza più me ve offero e racco-
mando pregandovi a tenermi in buona gratia di tutti quelli S.""' e
Sig." Ecc."'".
(E poi segue di suo pugno)
Già sapete s.*"" Hippolito che desidiro essere da dovero favorita
da Monsg."'' R.™° nostro, per ciò vi prego a tenermi in sua memoria,
che ne la nostra in ciò che posso farvi faccio.

LXII

A Vesp.isìauo Gonzaga {Napoli 30 genn. i559). Modena, Est.

111."^° nepote e come figlio c.'"° — Ho ricevuta la lettera vostra


dell' ultimo di decembre, la quale non essendo stata per altro fine che
per mandarmi le buone feste, non mi stenderò lungamente nello scri-

vere con questa occasione. Vi dirò solamente che m' è stata assai
cara l' amorevolezza, colla qiiale avete fatto quesf ufficio con me ;

e prego N. S. che come v' ha fatto vedere queste feste con salute,

così le piaccia farvene passare mille altre congionte con tutta quella
soddisfatione, che desiderate. M' è stata carissima anchora la nuova
che mi date del ben' essere vostro, facendovi intendere che anchor io
per gratia di Dio mi trovo assai bene. E senza più vi prego felice e
lunga vita ; e fo fine. — {Autografo) Desidero che que la Signora
Donna Diana stia bene et perciò prego voi a far quella se governi

e così sia detto vostro che per il mio


per la signora D. Ippohta :

Gonzaga qua meco et me dice que vi basa le mani et io ve prego


sta
que me date nuova spesso dell' esser vostro que Dio faccia que sia :

per molti anni felice: desidero che dicate al sig. Duca de Sessa che
li baso le mani.
CAPITOLO XIX 461

lAIIl

A Cesare Gonzaga Napoli n dee. /sco . Modena, Est.

111."'" S. come fifrlio oss.""' — Con 1' occasione che mi si presenta


con la venuta del s. Faìmtio Visconti non ho voluto lassar di visitar

V. s. 111.""" dandoli nuova del mio ben' essere. Cosi la supplico clie
comandi eh' io spesso veng-a avvisata de la salute sua essendo ciò
uno de' principali pensieri et desideri eh' io abbia per ordinario. Dal
sudetto s. Fabritio v. s. potrà intendere molti casi eh' io li ho confe-
riti perchè se ne doni conto a lei e fra 1' altro sarà il particolare de

le gioie ; dal qual peso io desidero essere liberata ; clie invero lo

tengo per peso, per il rispetto che le racconterà il s. Fabritio. Sarà


dunque bene che v. s. 111."'-'' facci procurare nuovi brevi et ordini di

S. B.'^ per li quali si doni termine di sodisfare i legati per quello


spazio di tempo che le piacerà dimandare ; et che le gioie non sieno
obligate per cagione di detti legati, come hora sono : et di più sarei
d' opinione che queste gioie starebbero assai bene in mano di CI. li.

Ravaschieri, che oltre la sicurfci del luogo della persona a cui si

consegnano, \. S. potrà aver delle commodità del suo banco, trovan-


dosi egli le gioie in suo potere ; e rimettendomi nel resto alla

relatione del s. Fabritio, La prego ogni suprema felicità e fo fine.

LXn'

All'Arcivescovo dì Salerno [Napoli -Ufehbr. loOi). Bibl. Naz. Nap.Aut.

Non ho risposto prima eh' adesso alla lettera di ^'. S. R.™" de' XXV
del passato, volendo insieme colla mia mandarvi ancho la risolutione

del sig. Cesare 111."'° sopra il negotio che da Lei m' era cosi calda-
mente raccomandato. Dogliomi che la risposta non sia venuta nel
modo che io desiderava per servitio di V. S. iscusandosi il sig. Cesare
per la maniera che potrà intendere dal sig. Marcello suo nipote, a cui
lio fatto leggere la lettera, perchè possa riferirne quanto contiene.
Ben le dico che quante volte Ella mi comanderà cosa che assoluta-
mente dependa da me conoscerà per gli effetti che la virtù e valor
suo si può promettere di me ogni buono et amorevole ufficio e eh' io
non solo spenderò volontieri le forze mie quali elle si sieno in tutto
quello che Le piacerà di adoperarle, ma mi recBerò a ventura di haver
occasione di servirla, richiedendo cosi il merito suo e l' affetione,

eh' io le porto. E senza più le prego felice e lunga vita.

ringratio V. S. de la bona nova che mi diede per la litera del

sig. placito de la legatione di Mons. 111.™° de Mantova.


462 GIULIA GONZAGA

LXV
Al Card. Seripando (ultimo difebhr. tsei}. Bihl. Naz. Nap. Autog.

V. S. R.™^ creda che non ce voleva manco gusto de quel eh' ho


preso de intendere prima e poi con la sua cortese et amorevole litera
la sua promocione : per adolcire 1' amaro che la tentacione de 1' am-
bicione me causava per vari rispetti quella può considerare et li

confesso volontieri questo pecato sì perchè me ne riprenda comò an-


córa perchè non è durato molto et me son volta a ring-raciar Dio
poiché da lui solo è venuta la sua eledone et comincio a sperare
eh' el se vorà ricordar de li soi et perciò li concederà long-a vita et
sanità acciò che veda adimpleta quella g-ià mi fece or promessa che :

se non posso amarlo oservarlo ne desiderare più de servirlo de quel


che fin qua ho fatto solo in el titulo me piace et piacerà far mutacione
e cossi dico che li son serva fig-lia et sorella et che baso le mano a
V. S. 111.™^ et R.™^ suplicandola ad amarmi et pregar Dio per me {}).

LXVI

Alla Duchessa di Mantova (^) 'Napoli IG apr. lo6l). Arch. &onz. Mantova.

Se mai per la propria comodità et interesse mi sono attristata de


la mia poca salute e de l' indispositione che mi tiene ordinariamente
travagliata, hora me ne doglio con tutto 1' affetto de 1' animo, perchè
per questa strada mi vien tolta 1' occasione di poter intervenire con
la presenza a servire 1' A. V. in questa sua venuta in Mantova et in
questa universale della famiglia Gonzaga, ma poiché non
allegrezza
posso emendar il difetto della natura, ne in altra guisa le posso far
fede de la mia molta osservanza et affettione verso di Lei, ho voluto
al mezo di questa mia e con la relationé del Mag.co mes."" Romano

Arsago presente, apportare far riverenza a 1' A. V. S.™* et rallegrarmi


sicome fo di tutto core del felice matrimonio concluso tra lei e '1

S/ Duca nostro Ecc.™°.

(1) Il Card. Girolamo Seripando risponde con lettera del 28 luglio


1561 parlandole specialmente della grande stima in cui l'ha il Car-

dinale di Mantova (Cod. XIII AA, p. 22).

(2) È la principessa Eleonora d' Austria, duchessa di Mantova,


sposa Duca Guglielmo. E al Duca Guglielmo Giulia scriveva:
del
« dogliomi in tanto eh' io mi trovi così grave d' anni e d' infermità

che non possa venir a servirla di presenza in questa occasione. »


CAPITOLO XIX 4l'ì'A

I.WU

.V Cesare Ooiizng:n ^Napoli ì:ì ott. inni . .]fo>h-na, Est.

111."'" S. come fig-lio obs.'"" — Mons. 1' Arcivescovo di Reggio è


molto amico mio e di molti anni e per la sua rara bontà è amato da
me qiiantu merita la virtù e il valore del Sopr. Mene ora in Roma e
con la sua occasione ho voluto visitar v. s. 111.'"" come mi detta la

sincera affezione che le devo e giustamente con così onorato mezzo


ho pensato di far intendere a V. S. quanto avemo discorso col pre-
detto Monsig. intorno a Y arcivescovado di Palermo per quel che può
toccare al Rev. Cardinal Gonzaga. Resterà servita ascoltarlo volontieri
e riconoscerlo come amico mio e come persona meritevole del favore

e gratia di V. S. e rimettendomi alle relatione, che le farà il sudetto


Mons. non mi stenderò più oltre che in pregarla (juanta felicità,

desidera.
Autografa. — Tre di sono que scrissi a ^'. S. 111."'^ per avisarla de la
vacimza de V Arcivescovado di Paleruìo. que essendo il Cardinale nostro
De Gonzaga nato in quel regno, e toccando questa volta a li nati

essendoce suggetto più considerabile di S. S....

LXVHI

Al Vescovo dì Fano, Ve»e:ia {Napoli So apr. lo62). (i)

La sua de i X mi è stata tanto piii cara, quanto da me era


manco aspettata, et più desiderata ; et in fatti voglio credere eh' ella

m" ami et tenga memoria di me in silentio, ma 1' opere esteiuori non


lo dimostrano, poiché ad anni intieri sta senza darmi nuova di lei.
Con tutto ciò mi acotento della sua comodità, et bavero per bene che
mi scriva quando torna più comodo. Del guadagno eh' ha fatto
le

d" mi mio ritratto non so quanto mi debba rallegrare, perciocché


io

essendo della bellezza che scrive, non deve essere d' naturale, oppure m.
Titiauo ha voluto mostrar la forza del siio ingegno formando una
doima compitamente bella, et come dovrebbe essere, non come io mi
sia stata. Pure mi piace che il ritratto sia in potere di V. S. poten-
domi facilmente succedere eh' ella per mezzo della pittura havrà me-
moria delle persone vere, et per F avvenire mi sarà più cortese delle
siie lettere. Intanto me le offero et raccomando con tutto 1' animo et

le prego ogni desiderato contento.

( 1) Trovata nell' Arch. Capiliqn di Mantova dall' Intra e cortese-


mente comunicatami per l' integrale pubblicazione.
464 GIULIA GONZAGA

LXIX

A D. Cesare Gonzug-a {Napoli 30 seti. f562). Bibl. Na2. Firenze.

Costretta da le preg-hiere di persona, alla quale non ho potuto


fare resistenza, raccomando a Y. S. 111.™^ con quel più vivo affetto,

che io posso. Prospero e Giovanni Pandolfi di Marig-liano, l' ujio

de' quali tirò una archibusata a Pier Luise Castaldo, della quale si

morì il dì seguente, e 1' altro fece spia et interveime al detto homi-


cidio. Hora havendo 1' uno e 1' altro remissione da la parte, deside-

rano haver g-ratia da Y. S. 111.™^ et dopo molti aimi che sono andati
fuggendo poter vivere alla lor patria. La supplico ad havergli per
raccomandati in tutto quello che si potrà senza pregiudicio ideila giu-
stizia. Il che riceverò ancor io a favor segnalato da lei, restandone

con obbligo etemo alla cortesia di Y. S. 111.™^ alla quale prego ogni
suprema felicità.

LXX

A D. Cosare Gonzaga {Napoli 5 dee. 1562). Modena, Est.

111.™° Signore come figlio oss.™" — Ho veduto per la lettera di

Y. S. ni.™'"^ de gli XI del passato le cagioni del silenzio eh' ella ha


usato con ad hora; le quali. ho tutte per buone et accetta-
me sino
bili, con molta obligatione eh' abbia voluto far con me il
restandole
detto complimento, il quale non era pimto necessario poiché io mi
contento sempre della sua comodità, e di quello che a lei torna più serv.»
Quanto al particolare de Pandolfi di Marigliano che gli furo da me racco-
mandati, Y. S. 111.™^ deve sapere che sono tal hora pregata da tali

persone che non posso mancar di compiacerle d" una lettera di racco-
mandazione. La quale desidero nondimeno eh' abbia tanta forza quanto
è per tornar comodo a Y. S. 111.™% e non pregiudichi a le consulte
ho per bene che prevagliano a tutte le mie
del suo Auditore, le quali
raccomandazioni, si come hamio fatto in questa dei sopradetti Pan-
1' auditore
dolfi, parendomi ben onesto che la giustizia con la quale

accompagna tutte le sue consulte, non debba esser ritardata dal favore
de le mie lettere. E col fine di questa baserò a ^^ S. 111.™'' le mani,
pregandole ogni suprema felicità, supplicandola a tener esercitata la

volontà eh' ho di farle servitio con comandarmi con ogni sicurtà e


confidenza.
CAPITOLO XIX 465

LXXI

A Rlniero Ranieri {2fì }faigi<> /r,/;:i). .Vu(feiirr, Kst. nufogr.

Ma^^lific'o Sip-nor. — (Questa sarà solo per dirli la rieopiita de la


sua de dui di questo poi che a le due de \'espasiano ho risposto et
detto a long-o ciò che c'era da dire e vorei che non se facesse poco
conto de 13 perchè se ben e' è una cosa che non contenta ce ne son
poi tante che deveno contentare che bisoj^miera chiuder gli occhi
masime se de 14 ce sarà poca speranza per le g-ran chimere che '1

patre tiene in testa. Li denari già gli avrà hauti ^'espasiano in Milano
et me piace che '1 vadi là et che ce vadi honoratamente et che stia
ben con tutti desidero che '1 Masalora complisca et che quei dinari
vadino in Venecia subito. Perchè me n' ho da finir qui me piace che
vili con tutta la casa vostra stian bene : salutareti tutti in mio nome
et a la S. Elena et a vui me racomando con tutto il core, et fate dar
recapito a queste per Vespasiano.

LXXII

.\ Rlniero Ranieri {Xapoli 8 ag. i:ifJ3). Modena, Est.

Ho veduto quanto mi dice in sua escusazlone per conto del silenzio


che ha tenuto con me tanto tempo,, e poiché Ella mi dice tante cose
et adduce tante ragioni in favor suo. Le accetterò anch'io per buone,
e voglio credere che non sarebbe mai tanto poco amorevole verso di
me che volesse essere sollecitata da altri a scrivermi, cosa che mi persuade
che farà sempre per sua elezione e per proprio decreto d' animo. Le
nuove, che mi scrive di Vespasiano mi sono state carissime sopra-
modo, massime quelle che toccano alla salute ; che del resto mi rimetto
a quello che piace a N. S. Come che non ho per vere le cose che si

dicono costì e per una non ho per autentica, quella che viene al par-
ticolare del marchese di Pescara, essendo molte ragioni in contrario,
che non mi curerò di scrivere altrimenti. All'Aldegatto scrivo diste-
samente nel mio negozio col Mazalora, onde non dirò altro, rimetten-
dovi a quanto scrivo adesso a M. Agostino. Intanto me la offero e
raccomando con tutto l'animo e saluto la Consorte e i figliuoli, a' quali,

prego ogni contento.

LXXIII

A Cesare Gonzaga {Napoli 22 ag. i563). Modena, Est.

LU.mo 8.°'" e come figlio oss.™° — Ho inteso per la via di V. S..

come novellamente la S."^* Principessa le ha partorito xin figlio maschio-


30
466 GIULIA GONZAGA

Di che ho sentita quella soddisfazione che sia possibile maggiore, come


quella che sono per partecipar sempre di tutti gli accidenti di casa
sua. Prego N. S. Iddio che le conservi questo et le doni degli altri,

che col valore e grandezza d'animo sieno propinqui al Sig. D. Fer-


rante eccellentissimo di felice memoria, siccome le sono per sangue
e per stretto modo di parentado. Bacio le mani di V. S. pregandole
ogni suprema felicità.

LXXIV

A Vespasiano Colonna {XapoU 28 nov. 1563). Bibl. Na:. Firciìze.

nimo nipote e figlio car.'"° — Anchora che con un'altra mia mi


ricordo havervi invitato a scrivermi et a darmi conto de l' esser e
disegni vostri, cosi circa 1" andare in Hispagna, come intomo a 1" altre

cose, che toccano il vostro particolare, nondimeno ho voluto secondar


l'ufficio con questa occasione, acciò vi disponiate a farlo tanto com-
plitament.*'^ e cosi spesso, come ricerca il vostro debito e '1 mio desi-
derio. E di più ho voluto ancho raccomandarvi il magnifico Annibale
Galeoto, nipote di suor Aurelia Riccia la quale sapete quanto io tenga
cara e con quanta atfetione è da me amata. Oltre che la madre del
sop.*° è molto amica mia e deve espettar da me ogni officio d'amo-
revolezza e di cortesia. Intendo che il sop.*° Galeoto s'intrattiene
appresso di voi, per il che ho giudicato esser debito mio farvi og-ni

instanza che lo tengate caro, ben visto e favorito. E perchè è fuor


di casa sua per occasione di briga come accade tra giovani di hoggidi,
desidero che mostriate ancho averne protetione con ricordarlo talhora
et avvertirlo di quelle cose, che per la giovanezza et poca esperienza
non può sapere. Il che mi sarà tanto caro quanto cosa che possiate
eseguire per sodisfation mia la quale so che desiderate tanto che
non mi è necessario astringervi- con più parole a quanto ho detto di
sopra. E non mi restando altro da dirvi, prego N. S. che vi contenti
sempre et vi consoli come desiderate.

LXXV
A Ippolito Gapilupi, Vescovo di Fano, Venezia (Napoli 29 ai))'. 1304)
(i).

V. S. ha tanta parte dell' alTettione et volontà mia, che si come


non deve dubitare eh' ella non sia per haver in ogni temilo quel luogo
nell'animo mio, che dal suo merito le è stato assegnato, così non è

(^) Trovata nell'Arch. Capilupì di Mantova dall' Intra e dal mede-


simo gentilmente comunicatami.
CAPITO L(J XIX. KiT

punto necessario chi- io vi faccia principal fuiidainciito sopra ia ser-


vitù, ch'ha teimta con Monsig-. i\\.'"° di Mantova felice memoria. 11
qual risi)etto veramente sarebbe bastante a dispormi ad amare quelle
persone, che mi liauessero offeso jiruvemente, non che V. S. della
quale so d' essere stimata ed amata sopramodo, ma essendo ella accom-
])ajrnnta et a1)ilitata dal proprio valore, non accade che ricorra ad ajuto
exstraordinario et forastiero, liavendo in se stessa tutte quelle cose, che
ponno acquistar la benevolentia di (luahiiupie ^ran persona^'-ji-io eli" Iiabl)ia

yiuditio ed electione in conoscere et tener cara la virtù, et le hono-


rate qualità di \. S. la qual sappia di potersi proiiiettcn' da me tutti

quelli aniorruoli uilìeii. clu' {tosso et so^'-lio prestare a" miei carissimi
amici: con v\\v mi parerà anelli' di nii;^lioriir(' la una conditione, perche
facendo altramente potrei cadere da quella opinione cortese, eh' ella
et Monsii^-. Carnesecchi teng-ono di me, della quale fo tanto caso
quanto del g-iudicio di tutto il resto deg-li huoniini; poiché se bene è
fallace, nasce tuttavia da affettione et da amore, che mi portano. Del
qual ingranno d'aiubedue io resto contentissimo, perchè da ciucilo ne
risulta a me cosi notabil g-uadag-no. Io non uog"lio per bora dar la

sentenza del primato, desiderando che in quest'atto di precedenza


ogTiimo si stia col parere et opinion propria; maxime che in tal caso
non accadrà sedere in pubblico, oue si liabbia da vedere chi ha l'onore
del primo luog"0, duve se Monsig-. Carnesecchi e V. S. vuole qualche
certezza del luog-o suo, sappia che chi mi porta mag-g-ior affetioni»,

tiene anche maggior grado appresso di me et si può premettere la


preminenza senza alcun dubljio. Et non mi restando altro da dirle, a
V. S. mi offero et raccomando coti tutto l'animo, pregandole sempre
contentezza.

LXXVI

A Riniero Ranieri (Napoli 28 gii'. /ìGS). Modciia, Est.

Con la sua del 23 ho veduto quanto mi dice nel particolare della


Mirandola, e per ogni rispetto sento grandissima soddisfatione che
quel luogo non sia per patire oltraggio, né forza da nemici; nel
che non poco si deve commendare la prudenza della sig.""^ Contessa,
la un tempo medesimo s" ha conservato lo stato e mostrato
quale in
al mondo che le donne sono atte a far bene ogni cosa contra l'opi-
nione di alcuni uomini che s' hanno fatto le leggi a lor modo. Desidero
intendere l'esito delle cose di Casale, così per l'interesse del S. Duca
ecc.™° come per quello che tocca a Vespasiano il quale ho caro clie
impieghi ogni opera ed industria sua in favore del predetto signore,
il quale in questa occasione deve essere servito da tutti. Piacerai inten-
468 GIULIA GONZAGA

dere anche cosi buoni particolari della sigj^ Donna Anna, la quale
non dubito che senta questa lontananza di Vespasiano con molto desi-
derio e risentimento di animo. Piaccia a N. S. di dare ad ambedue
lunga vita, acciò si possano g-odere con lor contento e soddisfatlon di
tutti noi che è quanto posso dir a V. S. alla quale mi raccomando di

tutto cuore : e cosi fo alla consorte e suo patre.

LXXVII

A Riniero Ranieri (senza data). 2Iodeita, Est. autogr.

Poco poi la vostra partita me son arivate le litere de Vespasiano


che scrive a vui 4 a me m' è parso mandarvele tutte acciò intendate
ciò che e' è e poiché a Vespasiano non par bona la mia de 48 e
vole che se tenti quello del marchese de 2513113115 [Massa] ve
mando una litera in credenza de 17153026193icg:1715 [card.] dico
che scrivo a quel signore che lui li parlerà in mio nome del negocio
de B. (card. Caraffa) de 18ZZZ6Z615 ZZZZZOZ1ZZZ6ZZ15 [Domia uiua]
potrà adonque voltar la negociacione de 48 in quel altro se ben son
de parere che 48 1' avria fatto et è meglio mostrar de confidarsi di
lui acciò che non faccia ufficio contrario e poi non se perderla niente
a intendere ciò che volevo dire e adesso è un altro tempo che non
ce son li disegni de 45 [card, di Mantova] e credo che 48 [card. Gon-
zaga] havrà forsi caro haver in che servire il parente pur lo potreti

lassar per ora e quando [e quando] sareti con Vespasiano dirli che '1

se contenti che 4 [D. Giulia] cavi il de Gonzaga


scritto fin qua me sono acorta che bisognia mandarvi la ciffra che
tengo con Vespasiano per poter intendere quella che lui me scrive e

cossi ve la mando comò fece quel gala[M]tomo al suo signore per


levarli la fatica ce la mandò discifrata se manda tenerla col medesimo
staflero che mando con questo. Et perchè intendereti il tutto con le

letere de Vespasiano non ve dico altro ve mando ancor una litera de


credenza per il cavaliere Gonzaga circa la negociacione de D. Cate-
rina che ve ne potrà parlar Monsignor Carnesecchi in mio nome et
chiarite Vespasiano che se se parlava con Gonzaga o con che
si sia altro tutto era in mio nome ve mando una letera per :

Vespasiano in risposta de queste sue ultime et ve la mando a


posta, la vedrete et poi darete quando sarete seco et li direte ;

di novo che '1 non se faccia inimici, massime quel amico. State
sano et avisatemi de 1' arivo vostro et me racomando a vui. Ogi do-
minica de palme potrete ancor rimandarmi le litere che scrive Ve-
spasiano a me poiché 1' avrete bene intese non lasate de tentar il
fatto de le tratte et non me remandate la cifra per il staflero ma da
CAPITOLO XIX 469

Konm. Poi se ben Ve.spasiiiiiu scrive mezzo soiindalizwto per la nui-


tac'ioiie che ha fatta 13 me pare che non ponendosi con li non se
deve lassar (U' tentar 13 perché non se ponno haver ìv cose a misura
pur corno havrete parhito con Vespasiano — (P. S.) Po-
tete aprir la litera che portate vui per il Cavaliere Gonzaya et veder
quella jjarte in che se gli vole parlare per il fatto del Si^'-nor Ercule
et informar il Carnesecchi sopra ciò de tutto ([Viel particulare
ricordateve che se dica ch'era pensiero de la de Donna
Hyppolita : dite a \'espasiani) die ])ensi a c:is:irsi et clu' l":ici-i;i conni
potrà se non comò vora.

LXXVIII

A Yespaisiano (Gonzaga Colonna (•/ noi: f.itìii). Modena. Est.

111.""^ nepote et tìglio cariss.° Credevo que non possi tardar ad arivar
alfonso con la Hjrlia se ^--ia non è yionto secondo la comodità che
bave havuta et il tempo a proposito et da lui intenderà de 1' esser
mio et de ciò che vorà sapere dele cose de qua. Ora vengo a rispon-
dere a una sua de dui de ottobre et m' è stato sommamente caro in-
tendere per essa que la mia S. D. Amia et D. Isabella stiano bene et
sopra tutto que vui ancora ve trovate sano et (Mio ?) ve conservi
tutti et ala mia S.'"'' Donna Amia dia un l)ello figlio maschio con sua
salute. Quanto ala morte de Hypolito me ne son doluta per esser
diseso e?) da tanti servitori dela casa nostra et havrei caro que la moglie
fusse gravida et facesse figliolo que vivesse in memoria deli soi patri

et avi, e fintanto que se vedrà 1' esito dela fìglianza dela moglie m" è
parso mandar ordine a M. Rainero aciò faccia inventariare le cose dela
eredità et deli frutti e mobili se cominciano a pagare i debiti que in
ogni evento sarà a proposito, e io non farò risolucione in caso que
toca a me si non col parer mio. Ho intese le nove di la. Di qua li

posso dire que 1 duca de Montalto s' è imbarcato et dito a me que


passerà con la moglie ad acompagniar la socera et sorella in Ispagnia.
Dice que con questa occasione baserà le mano al re e forsi ha qual-
que altro disegno, forsi, ma non lo so, per la cavaglieria legera de
qua que già il viciré li diede e andato con le gente a Gaeta et ha
portata la figlia femina e il maschio è restato in guardia de la S. Joanna
de Montalto moglie de Geronimo di Sangro. Con la cosa de Malta
finirno ancora le nove et quelli que vengono da la ne parlano tanto
variamente que non se pò scrivere basta que parte per il valor
:

de' soldati et parte per la pocagine deli turchi e' è restate quelle reli-
quie distrutte in modo que se li principi christiani non aiutano li

turchi per altra via havrano l' intento que Malta se abandoni. Io me
470 GIULIA GONZAGA

Sto sempre peggio e ancor sto a Capodimonte et resto con basar le


mano a la mia S. D. Anna 111.™'^ et a vui me racomando con tutto il

core et prego Dio que ve guardi et contenti. De mia matre non so


que dirmi se non que le cose sue a me non son nuove, ma que e' è
da fare certo. Io giudico que in ogni fantasia sua ella mostra in conto
mio di saper poco poi que in quello que non fa utile a se né ad altri

non far per chi deve. Or non ve ce rasimigliate vui, e Dio ve


faccia felice. — (P. S.) Intendo que 46 (Duca d' Alva) se dole que '1 Z.

(Re N. S.""*) se contentasse de quello que 1 B. (Card.' Caraffa) do-


mandò in Ostia et dice que l' è una infamia a concederlo de quel
modo, eri fui in palazo et domandai ala S.'"'' Ducessa se se faceva la

pace col papa et que io liavevo inteso que "1 papa se saria contentato
de quello que adimandò nel principio '1 papa mostrava me rispose que
desiderar que volendola di quel modo non se li poteva
la pace et
negar per il Duca poi que '1 re liaveva sottoscritta quella dimanda
del Card.' Caraffa sì que se tiene qiie sarà pace.

LXXIX

A Vespasiano Colonna {senza data). Modena Est. autogr.

l\\.^^'' nepote et figlio cariss.° — Con Messer Rainero ho haute


due litere vostre, r tma de XV de genaro che doveva portar Messer
Romano di Salso (?) e 1' altra de tre de fehraro che ha portata seco
lui : arivò qua giobia che andava a vedere la Marchesa de la Padulla
che sta malissimo et se tiene che non possi vivere dico che quel di
non li parlai ma ritornata in casa li parlai eh' era già de notte e poi
ritornato a parlarli de nouo ho inteso il tutto. E quanto a quel che
toca a r acasarni non so perchè habi a esser mia la colpa e la pena
poi che se ben a parole dite d' un modo nego che poi con li fatti
fate a un altro. Questo dico per che non volestivo che se atendesse
a quella che ora è nostra cogniata.. Et anchi senza proposito me scri-

vpstivo per due letere che per conto alcuno non pensasse a. 8. [a

donna Isabella d" Aragona]. Ma lasato questo a parte, eh' è giusto che
se compiaccia a vui il più che si pò, dico che concorro che 12 [Domia
Virginia] sia a vostro proposito tanto più che vui la conosete quanto;

a la de Spagnia non so se voran eh" eschi del suo paese senza grande
lor avantagio : e dico che 8 [donna Isabella d" Aragona] non posendosi
eflfetuar con 12 [donna Virginia] me piace per ogni cosa e masime
per quello che vui mostrate de desiderare, sopra ogni altra cosa, corno
so ve •
ho detto più volte, dico circa 1' onestà et ingiegnio : ma da
pochi dì in qua s' è fatta tanto grassa che dubito che vui non ve ne
CAPITOLA XIX 471

coiiteiit;irt'st(-'vo. l'erohé li;i jicr-so «^'nni piirtc «le l:i v;i<,'-[hjezz;i che te-

neva ma di questo per quanto posso pregarve ve prego che non ne


parlate : (pianto poi a pigUar per mezzo quel clie governa GÌ [voi
(Ure il viceré di Napoli] in tratar. 62. [col Duca d' Urbino] lo tengo
per vano, che non ce tiene, comò si dice, ne arte ne parte e se pur
se facesse che se tentasse a le prime repiiise corno seria dire non
voler per ora che se ne jìarli per il respetto che se deve havere al 50
et a 36 [con te et al Papa] o simil baie, (piesto non sana jjer repli-

carli et se guastarla senz' altro : m:i il mezzo de 45 [Cardinale di


Mantua] è il solo e bono a questo negocio ne me pare clie ve scan-
dalizate cossi facilmente, perché son d' ojànione che con un i)Oco di tempo
la cosa possi riussire e credo che ogni di più se farà piVi fatibile

poiché il giiidicio per 1" ordinario de le persone é si poco che Ijisognia


che r esperlencia 1" impari e se lor dico. 62 [il Duca d' Urbino] pensa
riserbar 12 [Domia ^irginia] a un altro 36 [Papa] per ([uel interesse
che par a loro ce sarano ancor a 1" incontro de V interesati che tra-
tarano col novo 36 [Papa], per contrario, e de le dificultà se scopri-
rano ogni donque che 53 [voi] voltasse tutto il suo
di più : vorei
pensiero con 45 [cardinale di Mantua] et che stesse bene con lui per
oo-ni rispetto e particularmente che questo che tanto importa, e. 45
[card, di M.] che sa de le cose a questo proposito non pare tanto
strano queUa fama che tiene 53 [voi] d" esser mal 9 [marito] e ben
bisognia che se muti verso : io son de opinione comò lio detto che
non se tenti qua questo, ma se atendi solo a 45 [card, di Mant.]. Non
ho ancor parlato a Mardones. li parlerò forsi lunedi circa 1' altro ne-
gocio de la secretezza de la quale posete star sicuro : ma ben ve dirò
che la cosa de 5. [Marcantonio Colonna] credo fosse finti va per scusa
de non haver a comparire se fusse stato chiamato da 36 [Papa], uè
se vide sopra ciò né utile né honore se non de parole ma non se
perde niente de i)arlarne che se non ce sarà altro se mostrarà il de-
siderio de 53 [voi] de servire : quanto a quel che toca a vostra matre
ho inteso quel che ho sempre creso ma non l)isognia romper seco.
Per quel che conviene a vui faccia lei quel che li pare ma s' ella ba-

vera giudicio comò ho creso eh' ella habi deverà far con vui almanco
quello che fa con gli altri se ben essendo vui il primo deveria far
più perchè voler contentarvi con dire che poi de la morte sua havreti
quel che non pò togliervi par strano, forsi se ravederà. Io ho ragio-
nato con Messer Rainero sopra ciò a longo : che tenti sopra le tratte
poiché lei n' è mal pagata e \'ui potrestivo haveme qualque cosa et
saria facile a vui che servite il re e lei se scomodaria poco : e ser-
virla che se intendesse che lei veda darve sei milia ducati l' anno
quanto ala reputacione dovendovi acasare. se de questo modo non
haveti da lei che li resta il stato 1' entrate de diece milia ducati de
472 GIULIA GONZAGA

pagamenti fiscali e tante industrie per aiutar gli altri o un altro


poiché "1 p:'= [principe] è tanto acomodato e l'ultimo sera prete non
so se ciònon basta che se possi dire, si non eh' ella non sa con gli
anni mutar natura et sarà bene che vui ve guardate de
: asimigliar-
veli poi che son condieioni poco amabili. Per Messer Raineri inten-
dereti poi più particularmente le cose, per ora basti questo. Io son
restata molto satisfatta de Messer Rainero e me piace che la signora
Elena habi cosi gentil gentilomo per marito e vui per servitore sarà
bene che li sapiate conossere et complire con sua moglie : la so-
rella monaca me scrive che nisunó la socorre, poiché seti obligato e
poseti con poco complire, non mancate che ve sarà honore et utile
et N. S. ve guardi et faccia contento, come desidero.

LXXX

A ( /i luglio s. a. ) Modena, Est. aiitogr.

111.™° S.'' mio et fratello hon. — In un medesmo tempo ho inteso


la morte del Signor mio patre et de la exceleneia del Signor duca
nostro et perchè sono cose che vengono principalmente da Dio e biso-
gnio contentarse con la voluntà sua. Or \. S. saprà corno ella ha de
dar il parer suo il qual aspetarò prima che espedeschi per Lombardia.
Il Signor mio patre in el suo testamento ha lasato me per tutrice et
governatrice et che non se me possi cercar conto io per la importan-
cia de la lite mia che stanno ora più imbarazate che mai non posso
andarvi e anche io mal volantieri piglierei questo asumpto ne manco
me contentarci che questo figliolo stesse di là per molti respetti et
maxime per li mali portamenti del Signor Carlo che per me non serei
contenta tìhe '1 ce andasse fin che non fusse di età. V. S. intende il
"1

tutto, parendo a lei io manderei una procura a Monsignor... nostro di


quella forma che parerà a lei aciò che piglia il carico perchè me dice
un mio eh' è venuto per le poste che il marchese
servitor del ^"asto
haveva mandato a dire che '1 voleva metere uno in quella fortezza o
ver che ce lo metesse il cardinale. In la fortezza ce stava mia sorella
e credo che a quesf ora 1' abia hauta il cardinale. Il signor Carlo era
venuto per entrarvi et lei il sarrò fori : parmi che '1 dica che il signor
Luis mio fratello li pigliò certi mobili et che "1 se voleva pagar, ma
se '1 pensasse che sua Ma:[està] donno il stato del patre al signor Luis
et che lui lo donò poi a li flglii non parleria de questo modo. Io

suplico a A'. S. voglia pigliar la protecion di questo figliolo et ordinar


le cose corno meglio li pare, che io seguirò il parer suo. \. S. vede
bene che non è soma da le mie spalle, e ora non e' è la scusa del
Duca: si che V. S. provedi come è oblig-ata. Questo mio ha causato
CAPITOLO XIX 41'A

che le litere che vengono a \'. S. sian tardate pt-relu- sucessc la morte
del sig-nor mio tre g-iorni poi de ciuella di sua excellentia : si che V. S.
non imputi questo al Cardinale et perché la posta voi partire io non
dico si non che li baso le mane con iiuelle de la Sitj'^nora principessa
et che ebi la h'tera di sua mano e \'. S. respondi presto perchè non
penso espedir piT Luniliardia senza saj)cr 1' ordiiH' chi' li jtar se habi
a tenere.

LXXXI

A Livia Xegra (do Napoli, 8 agosto . . .


.) (')

Con mio gran dispiacer ho risaputo esser venuto a voi xin scele-
rato- alchimista, il quale con false losinghe v' ha pervertito il cervello
e vi ha fatto entrare in umore che tramutar si possino le sostanze
delli elementi e di ramo farsi argento : e l' argento convertire in oro :

r è pur una ^ran cosa che questi furfanti, mendichi e pidocchiosi,


voglino arricchir ogn" uno. quasi che più molesta lor sia 1" altrui
povertà e miseria che la propria mendicità. L' è pur stolta la credenza
nostra ;
1' è pur infinita la cupidità de' mortali : ma che faremo noi se
ci havessimo a star perpetuamente ? noi ci stiamo a pigione per tre
giorni in questo miserabile mondo e mai non ci pare d' esser pieni.
Siamo veramente fatti simili all' idropici, quanto piii beviamo tanto
maggior sete ci nasce, poi che non ci ricordiamo d' esser mortali e di
havere a lasciare \in giorno a dietro ogni cosa: ignudi siam venuti
in questo ceco mondo e ignudi, o poco meno, converracci uscirne :

volete. Madonna una bella alchimia ? Thesau-


Livia, che io v' insegni

rizzate de" thesori in Cielo, dove ladri non rubbano, dove la ruginei

non consuma e dove la tignuola non rode e non mannuca quel che :

si acquista per mala via non è acqiiisto, ma 1' è perdita grande e dan-

noso guadagno sono le promesse de li alchimisti simili a quelle deUi


:

Astrologi li quali vantansi di sapere le cose future, e non saiuio ne


le presenti ne le passate e pur ardiscono di manifestar le cose celesti
come se del continuo presenti stessero al concilio d' Iddio : non mi so
veramente risolvere se la loro frode sia più brutta, o di pur la pazzia
nostra, credendoli come facciamo,
maggior scherno degna: tor- sia di
nate in voi, M. Livia, e se le facultà non correspondono alli appetiti
vostri, poneteli freno e cosi non vi accaderà far 1' alchimia.

(') Lettere di molte valorose donne, nelle quali chiaramente appare


non esser né di eloquenza né di dottrina alli uomini inferiori, ^'enezia,

Gabriel Giolito de Ferrari, MDXLVIII, carte 54.


474 GIULIA GONZAGA

Altre Lettere inedite di Giulia Ooiizai^a

ELENCO CRONOLOGICO

1533, g-ennaio 13, Fondi — Al Buca di Mantova — Lettera rig-uardante


la morte Gonzaga (Arch. st. Mantova).
di Luigi
1533, aprile 29, Fondi — Al Duca di Mantova Si rallegra per la —
partecipata nascita d' un tiglio (Arch. st. Mantova).
1533, novembre 20, Napoli —
A Don Ferrante G-oazaga Si rallegra —
della presa di Castelnuovo (Est.).
1536, agosto 25, Napoli — Al Duca di Ferrara — Intorno al far
esaminare in Ferrara « messer Agnilo Acetta, il quale è in-
formato di alcune cose pertinenti la causa mia ». (Arch. st.

Modena, Cane. Ducale).


1536, settembre 29, Napoli — Al Duca di Ferrara — Ringrazia per
la fede speditale di m. « Agnilo Accetta j> perchè possa con-
seguire di farlo esaminare in Ferrara piuttosto che in Bologna
(Arch. st. Modena).
1537, luglio 31, Napoli (da S. Francesco) — A Don Ferrante Gonzaga —
Fa alcuni accenni ad avvenimenti del tempo : parla con elogio
de' francesi (Est.).

1537, ottobre 25, Napoli (da S. Francesco) — A Don Ferrante Gonzaga


— Lettera di complimento (Est.).
1537, decembre 29 — A Don Ferrante Gonzaga — Presenta e racco-
manda il generale dei conventuali, bolognese, che si reca per
radunare il capitolo nel regno di Napoli. Alle parole scritte
dal Segretario aggiunge di suo pugno alcune altre frasi

commendatizie (Est.).

1538, gennaio 8, Napoli — A Don Ferrante Gonzaga — Raccomanda il

capitano Pietro Gaitano (Est.).


1538, giugno 10, Napoli — A Don Ferrante Gonzaga —
Raccomanda
Vincenzo Salerno di Palermo che aspira alla nomina di maestro
di piazza di quella città (Est.).

1539, febbraio 2, Napoli —


A Don Ferrante Gonzaga Raccomanda —
Ambrosio della Torre che desidera aver ufficio di Capitano
di Mazzara (Est.).

1539, lug'lio 4, Napoli —


A Don Ferranti' Gonzaga Parla d'affari. —
Annunzia che sta a S. Francesco delle Monache (Est.)
1539, settembre 15, Napoli — A Don Ferrante Gonzaga Lettera —
d' affari.
oAi'iroi.o \ix 475

1539, decembre 12, Napoli — Al Duca di Mantova — " Questa mia


serra per basar le mani ile V. E. et recordarli mia servitù
io li raccomando il siy. mio patre et Stato et donna Leonora

mia sorella. » (Ardi. st. Mantova).


1539, decembre 28, Napoli .1 —
Do» Ferrante (ronzaga Chiede no- —
tizie dopo che ò andato in Messina (Est.).

1540, aprile 27, Napoli —


A Don Ferrante Goiiza'ja Scrive che è morto —
in Lombardia Benedetto Galoppo che teneva in mano le cose
del padre in quella regione; dà istruzioni all'uopo (Est.).
1540, giugno 5, Napoli — Al Duca di Ferrara Raecoiuanda un —
gentiluomo suo amico che desidera servire il Rev. JJorgia
( Arch. st. Modena, Cane. Due).
1540, giugno 11, Napoli — Al Difa di Ferrara — Chiede grazia per
Pietro Viviano, mercante ferrarese, carcerato per causa di
certo delitto commesso (Arch. st. Modena, Cane. Ducale).
1540, luglio 10, Napoli — Al Card. Gonzaga e alla Duchessa di Man-
tova — Si conduole per la morte del Duca Federico « et Dio
sa qual me ha dispiaciuto più se questo, o il caso del s."" mio
patre » (Mantova, Arch. Gonz.).
1540, luglio 12, Napoli — .( Don Ferrante Gonzaga — Discorre delle
sue cause (Est.).

1540, settembre 6, Napoli — A Don Ferrante Gonzaga — Parla dei


suoi interessi e di quelli di Vespasiano (Est.).
1540, ottobre 15 — Al Card, ed alla S'ig/'^ Duchessa di Manioca
— Approva (juanto le fu scritto da loro « per la confirmatione
al commessai'iato d' Hostiano « dello stato del nipote Vespa-
siano. ( Arch. St. Mant(jva ).

1540, decembre 8, Napoli — A Don Ferrante Gonzaga — Parla della


famiglia di Don Ferrando e d'un progetto di matrimonio (Est.).

1542, ottobre 10, Napoli — A Don Ferrante Gonzaga — In questa lettera,


di sette pag. tutto di carattere di G. G. si parla di contro-
versie e di interessi relativi alla figliastra Isabella (Est.).
1543, giugno 2, Napoli — A Pietro Antonio Masserotto — Parla d'af-
fari (Est.).

1543, luglio 11, Napoli — .1 Don Ferrante Gonzaga — Raccomanda


interessi del nipote Vespasiano (Est.).
1544, febbraio 18, Napoli — A P. A. Masserotto — Lunga lettera rela-
tiva ad interessi ( Est. ).

1546, giugno 11. Napoli — A Don Ferrante Gonzaga — Lettera com-


mendatizia.
1546, giugno 25, (autografa) — A Pietrantonio Masserotto, /attor
generale di Vespasiano Gonzaga — Gli presenta e raccomanda
Iacopo Puzol capitano di fanteria spagnuola ( Est. ).
476 GIULIA GONZAGA

1546, novembre 4, Napoli — A Don Ferrante Q-onzaga — Gli racco-


manda G. B. Paravicino, dottore in legg-e, raccomandato già
a Giulia dai fratelli Girolamo e Francesco di Laudati da
Gaeta (Est.).
1547, gennaio 31, Napoli — A Don Ferrante G-onzaga — Gli racco-
manda Nicolò Gabina.
1547, febbraio 19, Napoli — A Don Ferrante Gonzaga — Raccomanda
G. B. Paravicino da Como già impiegato per opera di Giulia
presso il padre. Il Paravicino le era raccomandato da Gero-
nimo e Francesco di Sacerdoti di Gaeta ( Est. ).

1547, luglio 9, Napoli — A Don Ferrante Gonzaga — Parla degli im-


pedimenti che si frappongono al matrimonio di Ippolita Gon-
zaga (Est.).
1548, gennaio 1, Napoli — Al Duca di Ferrara — Lo prega di favorire

1). Francesco Pandone, al quale era stato fatto torto in un


duello, menti-e si trovava nello steccato ( Arch. 3t. Modena,
Cane. Ducale).
1548, gennaio 1, Napoli — A Don Ferrante Gonzaga — Gli raccomanda
la liberazione dal carcei'C di Francesco Pandone nipote della
Marchesa di Bitonto e figlio del Duca di Boiano (Est.).
1548, marzo 2, Napoli — A Pietro Aìit° Masserofto — Parla d'affari
(Est.).
1548, marzo 3, Napoli — A Pietrantonio Masserotfo — Lunga lettera

relativa ad interessi (Est.).


1548, luglio 13, Napoli — A Ferrante Gonzaga — Raccomanda calda-
mente Vespasiano, il quale è rimasto privo del padre ecc. (Est.).
1548, luglio 13, Napoli — A Pietrantonio Masserotto — Lettera di
affari (Est.).

1548, agosto 1, Napoli — A Pietrantonio Masserotto — Lettera di

affari (Est.).

1548, agosto 18, Napoli — A Pietrantonio Masserotto — Lettera di


affari (Est.).

1548, agosto 25, Napoli — A Pietrantonio Masserotto — Lettera di


affari (Est.).
1548, ottobre 6, Napoli — A Pietrantonio Masserotto — Lettera di
affari (Est.).

1548, ottobre 20, Napoli — A Pietrantonio Masserotto — Gli racco-


manda di accumulare più quantità di danaro che sia possibile

per la venuta di Vespasiano (Est.).


1548, novembre 17, Napoli. — A Pietrantonio Masserotto. — Lettera
d'affari (Est.).
1549, febbraio 11, Napoli. — A Giovannantonio Abati. — Lettera d'inte-

ressi (autografa di pag. 11) (Est.).


CAPITOLO XIX 477

1549, aprile 26, Napoli. — .1 Pietrantonio Mas.serotto. — Parla d'affari


e gli dà in proposito alcune istruzioni (Kst.).
1549, maggio 19, Napoli. — .i Don Ferrante Gonzaga. — l'aria della
principessa di Marigliano (Est.).
1549, giugno 17, Napoli. —A Don Ferrante Gon:iig(i. — Re])lica a' rin-
graziamenti di Don Ferrante e dà alcune notizie \iltime di
famiglia (di pag. 9. autografa) (Est.).
1549, luglio "20, Napoli. — .( Pietro Ant.° .Passerotto. — l'aria d'affari

(Estense).
1549, agosto 3, Napoli. — -1 Don Ferrante Gonza'ja. — Relativa ad una
commissione ricevuta (Est.).

1549, settembre 7, Napoli. — A Pietrantonio Masserotto. — Lettera


d'affari (Estense).
155U, marzo '29, Napoli. — A Vespasiano Gonza-ja. — Lettera fami-
liare (Est.).

1550, aprile 24. — A Don Ferrante Gonzaga. — Si lamenta di lettere


calunniose sulla sua condotta, delle quali alcune le erano per-
venute (Est.).

1551, aprile 8, Napoli. — .4 Vespasiano Gonzaga. — Si rallegra della


guarigione (Est.).
1551, settembre 6. Napoli. —A Sabino Calandra, castellano di Mantova.
— Gli accusa ricevuta della lettera del 28 p. p. riguardante
notizie datele intorno a Fabrizio Colonna (Arch. St. Mantova).
1551, novembre 20, Napoli. — .4 Don Ferrante Gonzaga. — Si com-
piace che siano state smentite alcune notizie relative a Don
Ferrante ed a Vespasiano (Est.).

1551, novembre 30, Napoli. — A Pietro Ant.° Masserotto. — Parla


d'affari (Est.).

1552, gennaio 29, Napoli. — .4 Muzio Capilupi. — Si rallegra di saperlo

giunto felicemente in Fondi e prega gli siano mandate spesso


notizie di Vespasiano (Est.).
1552, febbraio 25, Napoli. — A Ferrante Gi>nzaga. — Chiede notizie
della sua salute (Est.).

1552, aprile 10, Napoli. — A Ferrante Gonzaga. — Raccomanda l' armi-


gero Pietro Ortega, cui desidera sia data ima licenza (Est.).

1552, settembre 22, Napoli. — A Pietro Ant.° Masserotto. — Tratta di


affari relativi a Redigo ecc. (Est.).

1553, marzo 8. . . . —
A Don Ferrante Gonzaga. — Trasmissione di
Commissione data al Perez (Est.).
1553, aprile 12, Napoli. — A Vespasiano Colonna. — Lettera di racco-
mandazione (Est.).

1553, maggio 4. —A Don Ferrante Gonzaga. — (di sette pagine) (Est.).


478 GIULIA GONZAGA

1553, maggio 26, Napoli. — .-1 Don Ferrante Gonzaga. — Parla di


D.* Ippolita e di Capilupi (Est.).

1553, giugno 6. —A Don Ferrante Gonzaga. — (di nove pagine) (Est.).

1553, giugno 25, con la posdata del 28. — A Don Ferrante Gonzaga.
— (Estense).
1553, luglio 29, Napoli. — A Vespasiano Colonna. — Lettera d'affari
(Estense),
1 553, agosto 4, Napoli. — A Vespasiano Colonna. — Lettera d' affari

(Estense).
1553, settembre 23, Napoli. — A Vespasiano Gonzaga. — Gli manda
lettere del Ratzale, clie deve avergli già annunziato la morte
di Donna Beatrice, madre della signora D. Diana. Parla del
testamento della defunta e delle difficoltà che possono insor-
gere da quell'atto (Est.).

1553, ottobre 7, Napoli. — A Vespasiano Colonna. — Lo conforta a


servire amorevolmente il principe, secondo le sue promesse
(Estense).
1553, novembre 29, Napoli. —A Vespasiano Gonzaga. — Parla di alcune
somme esatte e gli trasmette diverse polizze di cambio (Est.).

1554, aprile 5, — Al
Duca di Mantova (tutta di mano di G. G.)
(?).

Lettera di complimento (Arch. St. Mantova).
1554, ottobre 18, (?). —
Al Duca di Mantora (autografa). Congra- —
tulazioni per nozze (Arch. St. Mantova).
1554, ottobre 18, Napoli. — A Sabino Calandra (autografa). — « Lodato
sia Dio pur se venuto al tlne a questo S."*" matrimonio, caro
Sabino mio ^ — E segue su questo argomento per tre fac-

ciate, tutte di suo pugno. Spera che D. Isabella ne sarà con-


tenta (Arch. St. Mantova).
1555, febbraio 16. — Al Duca di Mantova. — Lettera di complimento
(Arch. St. Mantova).
1555, febbraio 16. — Alla Duchessa di Mantova (autografa). — La rin-

grazia della cortese lettera ricevuta; le presenta messer Mar-


cello, di cui fa molti encomii, che saprà meglio esprimerle la
riconoscenza e darle notizie delle cose di qua « li dira delle
;> mie continue infirmita, quale oltra gli altri mali che me
» causano me impediscono anchora il poter pigliar il trauaglio
T> del camino che ho tanto desiderato per poter personalmente
" basar le mani di V. E. » (Arch. St. Mantova).
1555, febbraio 16, Napoli. — A Sabino Calandra (autografa). — Gli
presenta messer Marnilo : da lui « udrà notizie di qua »

(Arch. St. Mantova).


1555, febbraio 22, Napoli. — A Don Ferrante Gonzaga. — Lettera di
affari (Est.).
OAPlTUl.o MX i7'.)

1555, aprile 20, Napoli. — Alla Duchessa ili Mmitova (autografa). —


Scrive con ritardo per la sua inferuiità, profittando della venuta
del sig. Muoio (Ardi. St. Mantova).
1555, mag-gio 24. —
Al Duca di Ferrara. Ringrazia per favori— rice-

vuti. Accusa indisposizione che l'obbliga quasi sempre a letto

(Arch. St. Mantova).


1555, ottobre IS, Napoli. — Al Di'ca di .Utnifov/. — (ili manda G. ìi.

Perez, suo maggiordomo, per tratture d'un atVare che gli

raccomanda (Arcli. St, Mantova).


1555, ottobre 18, Napoli. — Alla duchessa di Mantova (sola Urina aut.).
— « Mandando io costi mio maggiordomo
inesser G. B. Perez
per alcuni miei negozii, l'ho imposto che in mio nome basi
mani di \. E. et gli dia conto particolarmente de l'esser
le

mio (Arch. St. Mantova).


1556, marzo 20, Napoli. —
Alla Duchessa di Mantova (sola tirma aut.).
— Ha ricevuto da m. Angelo .\lberto Canagnano la lettera
di V. E. e la ringrazia delle notizie e spera si sarà ristabilita.
« Io sto tuttavia trista e perciò sto aspettando la risolutione
di quelli medici di Mantua in veder se il pigliar 1' acqua de
bagni di Lucca sia per farmi giovamento o no » (Arch. St.
Mantova).
1556, giugno 22. — Alla Duchessa di Mantova. — Ha ricevuta la let-

tera portatale da Baldino, cui non ha potuto parlare « perchè


mi son trovata pigliando l'acqua di Lucca quale ho pigliata
otto uolte però non sento fino ad hoggi nessun euidente
utilità il che per auuentura e causato dal non essere passata
bene tuttovolta io rimetto in Dio la sanità et ogn' altra cosa
mia (Arch. St. Mantova).
1556, luglio 6, Napoli. — A Don Ferrante Gonzaga. — Si rallegra con
D. Ferrante : parla della gravidanza della Duchessa e annuncia
voci di guerra. Rimettesi per alcune commissioni al Perez.
(Estense).
1556, agosto 8, Napoli. — A Don Ferrante Gonzaga. — Richiede un
gentiluomo per la Signora Ippolita (Est.).

1556, novembre 10, Napoli — A Vespasiano Gonzaga — Raccomanda


Innocenzo, nipote di un Gian Vincenzo Abate (Est).
1556, decembre 6, Napoli — A Vespasiano Gonzaga — Lettera fami-
liare (Est).
1556, decembre 18, Napoli — A Don Ferrante Gonzaga — Si rallegra
per la prossima venuta della Duchessa (Est).
1556, decembre 16, Napoli — Alla Duchessa di Mantova — Ringrazia
della notizia datale « Io per gratia a \. S. sto assai bene
delli tanti miei mali che per 1"
addietro mi hanno tormentato
480 GIULIA GONZAGA

e spero in Dio star tuttavia meglio per servir sempre V. E. »

(Arch. St. Mantova).


1557, febbraio 14, Napoli — A Don Ferrante Gonzaga — Parla di una
sua visita ad Ippolita Gonzaga e della partenza di Vespa-
siano (Est).
1557, febbraio 15, Napoli — A Don Ferrante Gonzaga — Parla di
alcvme notizie che corrono sul duca di Firenze,
1557, marzo 21, —
A Don Ferrante Gonzaga Parla dell'at- —
tesa di lui a Cremano. Dice che Ascanio Coluna sta malìs-
simo e disperato da' medici (Est).
1557, settembre 6, Napoli — A Don Ferrante Gonzaga — Parla del
matrimonio del principe di Stigliano.

1557, novembre 6, Napoli — Alla Dwhessa di Mantova. (Autografo).


— Ha ricevuta la lettera : non ha risposto prima, dubitando del
recapito « per li tempi tumultuosi, per le guerre ». Ringrazia
delle notizie, « che sento assai meglio del solito, sebbene non
in tutto sana. Desidero oltremodo sapere se V. E. stia bene ».

(Arch. St. Mantova).


1557, novembre 13, Napoli — Alla Duchessa di Mantova — Lettera per
iscambio di cortesie (Arch. St. Mantova).
1558, febbraio 22 — Al Duca di Mantova — « Ho ricevuto da
messer Marcello d' Arezzo la lettera di V. E. che fece in suo
nome per 1' officio che si doveva aspettare ». Lettera di com-
plimento; (sola firma aut.) (Arch. St. Mantova).
1558, marzo 26, Napoli (?) — Ad Ippolito Capilupi —
Risponde ad una
lettera del 13 del dettomese ed anno. Si rallegra del suo
viaggio da Napoli a Guastalla, dove accompagna D. Isabella
di Capua, vedova di Don Ferrante Gonzaga ed il figlio Fran-
cesco (poi Card.). Si rallegra delle liete accoglienze che ebbero
a Pesaro da quei Signori, dove si fermarono 9 giorni. Ricorda
tutti i fratelli di Ippolito; gli chiede a chi debba indirizzarsi

a Roma per certe sue cose. Lettera afifettuosissima. ( Archivio


Capilupi in Mantova).
1558, decembre 28, Napoli — A Vespasiano Gonzaga — Avvertimenti
morali (Est).
1559, aprile 15, Napoli — Al Duca di Mantova — Gli raccomanda Don
Paulo, fratello di Messer Marcello d" Arezzo morto, affinchè
il testamento di questo abbia esecuzione. (Arch. St. Mantova).
1559, ottobre 13, Napoli — Al Duca di Mantova — Lo ringrazia dei

complimenti fatti a mezzo d' Annibale Piazza, suo creato.

(Arch. St. Mantova;.


1560, febbraio 29, Napoli — A Cesare Gonzaga — Lett. familiare (Estj.
CAPITOLO XIX 181

1560, agosto 16, Napoli — Al l'ani, di Maiitova — « Ho commesso


ni Ailleg-ato che chiami >iltiinameiite in gindicio il Liperaro
sopra i mi deve insieme con
mille senili che yli interessi di
molti mesi ». !^i raccomanda alla protezione del Card, per un
tale affare ( Ardi. St. Mantova ).

1560, agosto 16, — .1/ C'ird. di Muiifova — Sullo stesso affare.


(Arch. St. Mantova).
1560, settembre 2 —
Al Duca di Mantova « Ho scritto a —
m. Riniero de Ranieri che debba convenire col Liperaro in
Mantova sopra suo credito ». Si raccomanda per 1' esecuzione.
(.\rch. St. Mantova).
1560, ottobre 8, Napoli — A Cesare Ironzaja — Si compiace che sia

giunto felicemente in Campobasso e si ripromette un' occa-


sione per rivederlo (Est).
1560, ottobre 24, Napoli. Ringrazia Cesare Gonzaga, perchè ha favo-
rito un gentiluomo di Salerno in relazione coli' Arcivescovo di
Salerno (Est).
1560, decembre 15, Napoli — ..4 Cesare G-oiizaga — Gli raccomanda
M. Antonio da Feltre perchè un figliuolo di costui ottenga
un beneficio ecclesiastico (Est).
156L febbraio 5, Napoli — A Cesare Gonzaga Manda sue nuove per —
mezzo del Tesoriere Gioia e fa cortesi profferte al Gonzaga.
Lo prega di raccomandarla a D. Leonardo de Cardenas e ai
signori Borromei. (Est.).
1561, aprile 16, Napoli — Alla principessa Eleonora d' Austria, Duchessa
di Mantova — " Se mai per la propria comodità et interesse
» mi sono lamentata de la mia poca salute e de l' inlisposi-
» tione che me tiene ordinariamente travagliata: bora me ne
» doglio con t.itto l'affetto de l'animo poiché per questa
» strada mi vien tolta 1' occasione di potere interuenire con
» la presenza è seruir 1' altezza V. in questa sua venuta in
» Mantova et in questa universale allegrezza della famiglia
n Gonzaga y. Per rimediar manda il M.° Messer Romano Ar-
sago presente apportatore a far riverenza e complimentar
pel matrimonio della Principessa Eleonora col Duca di Man-
tova (sola firma aut.). (Arch. St. Mantova).
1561, aprile 17, Napoli — Al Duca di Mantova — Lo ringrazia perla
partecipazione del concluso matrimonio con la figlia di S. M. Ce-
sarea. « Dogliomi intanto eh' io mi trovi cosi grave d' anni e
d' infermità che non posso reoarmi a servirla di presenza »,

(Arch. St. Mantova).


1561, decembre 20, Napoli — A Cesare Gonzaga — Presenta e raccomanda
r abate Brisegna « molto antico e caro amico mio ». (Est.).

31
482 GIULIA GONZAGA

1562, decembre 31, ... , — A Don Cesare G-onzaga — Presenta e rac-


comanda D. Fedro Monrique.
3563, aprile 24, Napoli — A Rlniero Ranieri — Dichiara di aver inteso
ciò che il Rinieri g-li ha riferito intorno al negoziato in Fondi
e ciò che intende fare all'uopo Vespasiano (Est.).
1563, ag-osto 30, Napoli — A Riniero Ranieri — Ringrazia lui e il

Muzio per le conclusioni che approva, e del negozio del


signor Maztalora. Sa che Vespasiano è stato malato quattro
giorni con febbri e si augura pronta guarigione (Est.).
1564, aprile 2, Napoli — A Riniero Ranieri — Lo ringrazia d'essersi
adoperato insieme cell'Aldegatti per por termine alla pratica

del Manerba, e spera che Vespasiano pigli moglie (Est.).


1565, febbraio 16, Napoli — A Cesare Gonzaga — Gli raccomanda
Ottavio Caraffa affinchè gli faccia ottenere remissione dalla
moglie di Cesare Passaro (Est.).

1565, marzo 30, Napoli — Al Duca di Mantova — Condoglianza per


la « morte di Monsignor 111.™° di Mantova suo fratello. Al
quale oltre che cosi ricercava la congiontione del sangue, io

portava particolare amore e volontà, per 1' opinione univer-


sale che si aveva del valore e merito di quel Signore »

(Arch. st. Mantova).


Ì565, giugno 3, Napoli — A Riniero Ranieri — Parla di \'espasiano
Gonzaga (Est.).

1565, ottobre 7, Napoli — A Riniero Pino — Ringrazia per alcune


notizie liete comunicatele (Est.).
1565, novembre 13, Napoli —A Cesare G-onzaga che gli aveva richiesto
delle gioie, dice di non poterlo fare per un divieto penale
e perchè le chiavi sono presso fra Paolo, compagno dell' ar-
civescovo tii Sorrento. Vorrebbe però che fossero tolte dal

Monastero, ove potrebbero correre pericolo, e depositate in


qualche Banco.
1565, decembre 15, Napoli — A Riniero Ranieri — Ha ricevuto notizie
della partenza di Vespasiano per Canara ed è in attesa di
notizie per parte di D. Anna (Est.).

1566, febbraio 23, Napoli — A Riniero Ranieri — Ha avuto buone


nuove di D. Isabellica e lo prega di significargli il suo parere
circa i livelli, che pretende da' Monerbi (Est.).

(senza indicazione di anno), luglio 25, Napoli (dal ^lon. di S. Frane.) —


A Don Ferrante Gonzaga — Presenta un Cardinale e parla di
affari (Est.).

.(idem), agosto 20, Napoli — A Ferrante Gonzaga — Lettera di com-


plimento (Est.).
INDICE Di: NOMI CITATI NKLL'OJ'KllAC)

Abbate Vincenzo, 387. 388. Aragona (d') Alfonso, 35; Anna,


Accolti Benedetto, 393. 213, 387: Giovanna, 181, 183 a
Alciati, 239. 188, 193, 196, 360; IsabeUa. 257;
Aleandri arcivescovo, 323. Maria, 181 a 183. 188 a 191, 193,
Alioni Laura, 265. 196; Tullia, 89, 90, 171, 172,
Allia (moglie di Matteo tessi- 217, 300.
tore), 247. Arcano (d') Mauro, 78.
Alg-eri Pomponio, 239. Arezzo (d') Carlo, 112, 115, 117.

Alois (d') Gio. Frane, detto Ca- Argoli Aless. Vescovo, 127.
serta, 285. 287, 288. Aubignè (d') Teod. Agrippa, 267.
Altieri Baldasarre. 239, 240, 396. Aurelia, suora nel mon. di S.
Altomare Camilla, 387, Francesco, 263.
Amante Errico. 19, 144. Austria (dell') Giustina, 265.
Amedeo III, 33: Amedeo VI, 34. Avalos Alfonso, March, del Vasto,
Amicle (città). 23, 24. V. Vasto; Costanza principessa di
Ang-elo (di) Franceschina, 265. Franca villa, 177, 182; Costanza
Ang-iò fd'). Vari di questa fa- A. Piccolormni, 260, 261, 334;
miglia, da 27 a 35. Ferrante Frane. Marchese di Pe-
Angaiissola Sofonisba, 163. scara, V. Pescara.
Anna (moglie di Pietro) eretica, Aversa (d') Matteo, 235.
265.
Apollonia Antonia. 265. Badia Card., 242, 243. 323. 325,
Appiani Beatrice, 9. 13, 14. 336.
Aquila (famiglia de' Conti dell'), Balbani Cesare, 267.
25. 38, 39. Balbiano (famiglia di), 12.

(') Non sono stati compresi i nomi che si leggono ne' due carteggi
(cap. 18." e 19.°).
484 GIULIA GONZAGA

Balzo (del) Antonia, 1, 4; Ugo, Brandeburgo (di) Barbara, 1.

249. Bressino (da) Franceschina. 257.


Bandelle, 68, 69, 82. Brisegno Isabella, 181, 195, 289,
Bandino Card. Ottavio, 295. 379, 380, 397, 399.
Bara Raffaele, 390. Broccoli A., 363.
Barbaro Chiara, 265. Brolao, 239.
Barbarossa ( corsaro ), 1 7, 73, Brunswich (Di) Ottone, 32.
121 a 124, 126 a 130,132 a 134, Bucchianico (M.^« di), 253, 254.
185. Bucero, 336, 348, 400.
Bartoli Bernardo, 265. Bucironia Francesca, 259.
Baschi (da) fra Matteo, 206. Bufalo (del) Battista, suora, 357,
Beltrana Porzia, 255. 358.
Bembo P., 90, 165, 243, 275, Buonarici Angelo, 239.
276, 313, 334, 339, 343, 383, 404. Burlamacchi , Famiglia , 240 ;

Benedetto IX, 39. Francesco, 240; Renata, 267.


Bernardina, suora nel mon. di Buzio (Molilo) Giovanni, 276,.

S. Francesco, 262. 277.


Berni F., 80, 96, 97, 309, 404.
Bertani, Card, di Fano, 242. Caetani, Famiglia, 10: Membri
Bertolotti A. Pref di essa, conti di Fondi, 25. 26, 28,

Bianchi Quirino, 361, 368, 389. 32, 34, 35, 39.


Romolo, 361, 368, 389. Cagnino (del) Tiberio, 387.

Blanes Lucrezia, 255. Calandrini Clara, 266; Laura,


Boccalino Emilio, 63. 266.
Bona, regina di Polonia, 163, Calia Roselli Diouora, 265,
175, 176, 180, 181, 195. Calino Muzio, 243.
Bonfadio I., 273. Calvino, 348, 400.
Bonghis (de) Bianco, 242. Campana Giulia, 171.
Bonifacio Vili, 25, 39; Boni- Campagnessa Elisabetta, 265.
facio IX, 34. Campodimele (comune), 17, 125.
Bonifacio (March. d'Oria), 199. Canosa Pietro, 393.
Boninsegna Tommaso, 243. Capece Porzia. 203.
Bono Geronimo, 243, 340. Capilupi Camillo, 218, 375; Ip-
Bonorio Lorenzo, 352 a 354, 366. polito. 145, 218, 224, 226, 375.
Borghini Selvaggia Maria, 204. Capua (di) Fabrizio, 279 ; Fran-
Borgo S. Sepolcro ( Giovanni cesca, 35: Isabella, 196: Pietro
Andrea da), 101, 103, 104, 106, Ant., 279.
109 a 118. Caracciolo Ascanio, 388; Ca-
Borri Maddalena, 265. milla, 263: Galeazzo, 266, 288, 380,
Borromeo Carlo (S.), 327. 396.
Bovio Laura. 173. Carafa Ant. duca di Mondra-
Bozzi (de' Valenti) Susanna, 258. gone. 160 a 162, 165, 166: Giam-
Bozzolo (di) Federico, 3. pietro, 296, 321 V. Paolo IV: Già-
INDICE DEI NOMI 485

nantonio, conte di Madilaloni. 12: 33; Cle.nente VII papa, 16, 41, 42
Isabella, 12, 13; Nipoti del papa, a 46, 51, 54, f.l, 64. 86 a 89, 92,
297. 108. 127, 227. 271. 272, 305 a 3o8,
Carandini Dallila, 2(J5. 326, 395.
Caravalo Claudio, 243. Coccopani l'aolo. 145.
Cardona (di) Diana, 18(5, 212, Codato Angela, 265.
213; MariM. 182, 19<5, 197, 258. Colle Bonifacio, 321.
Carueseechi l'ieti-o, 80, 190, 234, Colocci Angelo, <)1. 77, 78.
239, 243,273,280. 286, 289, 311, Colosini Milander Angela, 255 ;

337, 340 a 350. 373, 376 a 382, Lucrezia, 265.


394 a 403. Colonna Ascanio. 43, 57, 183.
Caro Annibale, 77, 78, 214 a 216. 187. 188, 193, 243, 337, 338. 340,
Carretto (del) Anna, 257. 352, 353, 354, 360 ; Caterina C.
Casablanca Domenico, 239. Gonzaga, 258, 306, 307 : Fabrizio,
Caserta Gio. Francesco. V. A- 10: Fabrizio C. duca di Taglia-
lois (d'). cozzo, 158 a ino, 164; Isabella
Castel Lucrezia, 266. C. Gonzaga, 9, 55, 56. 58 a 62,
Castelvetro I.ud., 242, 243, 265. 78, 135, 144, 149. 152 a 158, 196,
Castiglio (del) N'irg-inia, 255. 198, 207 a 209. 211, 387; Mar-
Castiglione Baldasarre, 271. 272, cantonio, 12, 124, 355; Pompeo,
285. 16, 41 a 43, 46, 93. 359; Prospero,
Castioni Croce Anna, 265, 10 a 13, 36, 37, 42, 124, 176;
Catalana Dionora, 255: Seve- Sciarra, 57, 58; Vespasiano, 9, 12
rina, 255. a 16, 39, 41. 43. 45. 55. 56, 67,
Caterina, suora nel mon. di San 70, 91, 129, 273, 275, 359; Vit-
Francesco, 262. toria, 80, 90. 172, 182, 183, 199,
Caterini Ambrogio, 287. 205, 214, 238, 240, 258 a 260, 265.
Ca\iriola (contessa), 257. 301, 30i, 310, 329 a 334. 336
Cavalcabò Desiderio, 200. a 370, 392, 396, 397. (N. H. Per
Celso. 240, 396. i viventi Fabrizio e Marcantonio
Contano vescovo, 397. Colonna v. pag. 353, 354, 358,
Ceri Maddalena, 259, 260. 368, 369 e 370).
Cervini Marcello, 333. Conca Laudomia, 255.
Cesano Gabriele, 96, 105. Consalvo di Cordova, 10, 11, 42.

Chini Maria, 265. Consigliero Paolo, 321.


Chizola (canonico), 243. Contarini Card. 243, 276, 286,
Cibo Caterina, 87, 89, 273, 275, 321, 323, 325, 331. 333. 334, 336,
303 a 311, 330, 397; Aranino, >308 ; 337, 33X. 343, 377; Maria. 265.
Giambattista Vescovo, 97; Inno- Contile Luca, 289.
cenzo Card., 97, 309; Lorenzo, 97. Cornelio Giacomo, 241.
Cico Giovanni, 3:-i6. Correggio Lucrezia, 258.
Cintia creata di Giulia, 386, 388. Corsa Lucrezia, 258.
Clemente VII antipapa, 22, 26, Cortese Card. 242, 323.
486 GIULIA GONZAGA

Coscia Covella, 186. Ferrara (da) Serafino, 264.


Costantini Itiona, 265. Festa Sebastiano, 5.

Crema (da) fra Battista, 239. Fiesclii Francesca, 3.

Cremona (da) fra Angelo, 404. Filippo (de), eretiche, 265.


Crescensi Persio, 208. Filonardi Ennio Card. 157.
Crescio, 240. Fiorentino Francesco, 360, 363,
Crispoldo Tullio, 286, 321. 370,
Cristofaui Lelio, 386. Firenzuola A. 309.
Cristofoli Antonia, 265. Flaminio Marcant. 80, 90, 243,
Curione Secondo Celio, 241, 289, 269, 270, 280, 285 a 288. 310, 311,
290, 312, 315, 317 a 320, 404. 337, 340, 341, 343, 344, 347, 348,
Cutigiies Violante, 255. 374, 379, 383, 398, 399, 400.
Florimonte Galeazzo, 286.
Dante da Castiglione, 86, 100. Florio (Tizzano) Benedetto, 262.
Cardani Elisabetta, 265. Fondana Giulia, 41.
Dathio Dachi Giuliano, 321. Fondi (città), "io, 12, 16, 18, 19 a
Davari, pref. , 4. 26, 28, 32, a 39, 41, 54, 60 a 63, 72,
Diodo Bertola, 258. 73, 77, 78, 80, 81, 83, 94, 99, 101,
Diodati famiglia, 240 ; Giovanni, 103, 113, 114, 123 a 125, 127 a
266; Pompeo, 266. 130, 134, 135, 138, 144, 149, 152.
Dionigi Bonifazio, chirurgo, 63. Fonseca Lavinia, 254, 255 Vir- ;

Dolcino (fra), 249. ginia, 255.


Dondini Girolamo, 234. Fontana B., 234, 301, 302, 303,
Dotto Caterina, 265. 330.
Durazzo (di) Maria, 27 ; Carlo III Fontana Lavinia, 163.
D, 34. Foscarini Maria, 265.
Fracano medico, 240, 243.
Este (d'j Anna, 313; Lucrezia, Franceschi (de) Francesca, 266.
257; Renata, 259, 266, 304, 313, Franco Nicolò, 392.
332, 396. Francsperg Giorgio, 46.
Frascaro Egidio, 397.
Falco, 81. Frati C. pref.
Falcone Sibilla, 255. Frattina Elena, 265.
Fannio da Faenza, 260. Fregoso Card., 243, 323.
Farfa (Abate di), 260.
Farnese Alessandro, 78 ; Otta- Gabaldino Antonio, 243.
via, 159, 210; Vittoria, 207. Gaeta (città), 24, 26, 37, 38, 81,

Farsetti Luigia, 266. 101,. 106, 128. 129.

Fascitelli Onorato, 28J. Galeota Mario, 286, 28S, 397.


Feliciangeli B., 301, 309. Galzerana Isabella, 251, 255.
Ferno (da) Jacopo, 249. Gambara Veronica, 68, 105, 108,
Ferrara (movimento riformista 190, 198, 204.
in), 242. Gargano (da) Gianberu., 288.
INDICE DEI NOMI 487

Gazuolo (città), 4. Gonzaga Giulia. Luogo ed


Gazuolo (da) Giulia, 6S. anno di nascita, 3. 4 ; Sua edu-
Gemma Aurora, 266. cazione, 4 ; Manda alcimi mottetti
Gennai-a Cornelia, 1.S6. al March, di Mantova, 5; Elogi
Gentili, -^39. della sua bellezza fatti dall' A-
Giannetto Guido, 243, 338. riosto, 5, dal Toscanella e dal Be-
Giberti, Datario, 2-^5. 288. 311. tussi, 6, da B. Tasso, 7, dal Por-
321, 323. rino, 8 ; Annunzio del matrimonio
Gilles, 251. 252. dato dall' ambasciatore del March,
Ginevra (città), 241. di Mantova, 15; Matrimonio, 39;
Ginevra (di) Roberto, V. Cle- Contemplata nel testamento di
mente VII antipapa. Vespasiano Colonna, 56 ; Agevola
Giovanna regina, 26 a 28, 32, 34. il matrimonio della figliastra Isa-
Giovio, 356, 361. bella col fratello Luigi, 56; Segue
Girardi Domenica, 266. il fratello nella guerra contro il

Gnirfo famiglia, 386. castello di Paliano, 57 ; È difesa


Golfarini Anna, 188. dal fratello contro Napoleone Or-
Golia Gemma, 217. sino, 61 ; Nominata nel testamento
Gonznga famig-lia, 1, 2, 14 ; liar- del fratello Luigi, 62 ; \'ersi in-
bara, 257; Cagnino, 60; Camilla 91 ; viatile da B. Tasso per la morte
Cesare, 159; Dorotea, 196: Eleo- del fratello, 63.
nora, 5 ; Elisabetta, 69 ; Ercole, 80, Carattere morale di (iiulia, 67;
165, 166, 331, 381 ; Federico, 15; Sua castità, 70; Giudizio in pro-
Ferrante, 60, 146, 158 a 160, 162, posito del capitano Chiappino, 71 :

167, 209, 210, 337, 375. 383; Leggenda dell' uccisione del ca-
Francesco, 62; Gianfrancesco, 1; meriere, 72 ; Aneddoto del Tosca-
Ippolita, sorella di Giulia, 5 ; Ippo- nella sulla sua pudicizia, 73 ; Versi
lita G. duchessa di Mondrag-one, a lei del Muzio e del Tolomei, 74 ;

158 a 162, 164 (ivi, 1^ riga legg. Motto ed impresa di Giulia, 75.
Ippolita invece di Eleonora), 165, Sua corte a Fondi, 77; Affetto
167, 289; Isabella, 257; Isabella pel suo Segretario Porrino, 78;
G. di Puviglio, 258; Isabella Co- Elogio fattone dal Valdes e dal
lonna, maritata a Luigi Gonzaga Porrino, 80 ; Il Falco le dedica il

e poi al Lannoi, V. Colonna ; Rimario, 81; Madrigali inviatile


Leonora, 332 ; Lucrezia, 160,257: da Margherita Pelletta Tizzoni per
Liidovica Maura, 388 ; Ludovico, mezzo del Bandello, 82 ; Tradu-
padre di Giulia, 1, 2, 15, 62, 152, zione del II libro dell' Eneide di
157; Luigi, detto il Rodomonte, I. De' Medici e dedica fatta a Giu-
53 a 64 ; Paola, 5 ; Pirro, 1 5, 54, lia, 84, 85 ; Ippolito De' Medici la
55, 57; Vespasiano, 61 a 63, 149, fa ritrarre da Sebastiano dal Piom-
154 a 157, 205 a 207, 209, 214, bo, 94 ; Giulia si reca ad Itri ad
385, 386, 391, 395. assistere il Card. De' Medici avve-
488 GIULIA GONZAGA

lenato, 103, 105; Tentativo di Camillo Capllupi, 218; Citata nel


ratto da parte di Barbarpssa, 123; processo Tizzano, 261 ; Interesse
F.ig-a di Giulia, 124; Versi del da lei dimostrato pel concilio di
Mazio per questo avvenimento ,
Trento, 273 ; Rapporti e carteggio
126; I turchi sono cacciati dal col Card. Seripando, 281 a 284:
Card. De' Medici, 127; Affresco Ra^iporti con Marcantonio Flami-
nella chiesa di S. Bartolomeo, ri- nio, 287; Protegge E. Spadafora,
cordante il fatto e quadro su questo 288 ; E a capo del movimento
soggetto del Catalano, 130; Inte- religioso a Napoli, 289 ; Stima per
resse addimostrato da Giulia per lei del Valdes che le dedica al-

la spedizione di Tunisi, 133; Si cuni scritti, 290, 291, 292; Il Ma-


reca a Napoli, 135, 149, 150; Ri- gno traduce 1' Alfabeto Cristiano e
tratti di Giulia, eseguiti da Seba- lo dedica a Giulia, 292, 293 ; Trat-
stiano dal Piombo e dal Tiziano, tatelli ascetici attribuibili forse a
137 e seg. ; Medaglie di Giulia, Giulia, 301 ; Giulia fa tenere alcune
142; Giulia ringrazia il Capilnpi conferenze a Napoli, 329; Anno-
pel ritratto fattole dal Tiziano, 1 45 ;
verata tra le novatrici dal Ben-
Stando in Napoli ottiene di poter rath e dal Giannone , 334 ; In
abitare nel convento di S. Fran- corrispondenza con Vittoria Co-
cesco delle Monache. 150; Que- lonna e col Flaminio a Viterbo.
stioni d' interessi e litigi colla fi- 337 ; Rapporti personali con Vit-
gliastra Isabella, 152; Risultato toria Colonna, secondo le deposi-

della causa, comunicato al Card. zioni del Carnesecchi, 342, 343 e


Filonardi, 1 57 ; E nominata tu- 344 ; Interpretaz. data dallo stesso
trice del nipote Vespasiano, 157; ad una lettera di V. Colonna a
^'
Assiste negli estremi Ippolita Gon- Giulia, 345; Uno sfogo di Pio
zaga, 164; Suo motto contro gli contro Giulia, 359 ; Sue abitazioni
alchimisti, 183; Nome dato al in Napoli, 372 ; Breve pontificio
March, del Vasto ed alla moglie, che le consente di dimorare nel
190; Suo motto contro i napole- convento di S. Francesco, 372 :

tani, 191 ; Stanze direttele da Sua visita ad Eleonora di Toledo,


Laura Terracina, 202; Sonetti del 372, 373 Progetto d' un matri-
:

Rota a Giulia, 203 Si consacra ; monio tra una nipote del Card.
all' educazione del nipote Vespa- Morone e Cesare Gonzaga, 373 ;

siano, 205, e si occupa vivamente Giudizio del Card. Mandruzzo su


degli interessi di lui, 206 ; Lo Giulia, 374 ; Attività straordinaria
avvia per la carriera delle armi, di Giulia ed influenze esercitate.
209 ; Il nipote dà il nome di Giulia Adotta un cifrario speciale, 375,
ad Tina strada di Sabbioneta, 212 ;
376 ed altre cautele nello scri-
Madrigale direttole da L. Cossola, vere al Carnesecchi, 376; Corri-
214, 215; Rapporti col Caro, 214, spondenza col medesimo. 376, 377 ;

215, 216; Versi a lei del Tolomei, Venuta in sospetto dell' inquisi-
216, 217: del Tansillo. 218 e di zione e consigliata a fuggire si ri-
. .

INDICE DEI N'tMi 489

fiuta, 378; Sconsig'lia Carnesecchi Guglielmina eretica. 248.


dalla fuga ed invia all' estero per Guirlanda Giulio, 239.
prudenza due servi, 379; Inte-
resse che le condizioni della sa- lacoma, abbadessa del mon. di
lute di Giulia eccita fra persone S. Francesco, 263.
autorevoli, 385; Testamento di Imperia, cortigiana, 1G8.
Giulia, 385 a 388: Sua morte, Intra G. 15. pref., 145. 212.
388; Ricerche sulla sua tomba, 218, 224.
389 a 391 ; Annunzio della morte Isabetta (Donna), 243.
dato da Vespasiano Gonzaga e Itri (città) 19, 24, 2*). 36, 99,
dal vesc. Ros>4etti e sonetto di 100 a 104,107, in, 115, 117, 127.
Sertorio Pepe pel luttuoso avve-
nimento, 391 ; Condotta di Giulia, Landò, 4, 68, 69, 78.
negli ultimi anni spiata dal Card. Lannoy o Lanoy o Lanoia Carlo.
Alessandrino, che prende molti 268; Filippo, 46, 47, 157, 207 a
appunti su' rapporti di lei co' no- 209, 307.
vatori. 392, 393; Sequestro delle Lascisio Paolo, 240.
sue carte ordinato da Pio V e Latino Giovenale, 321.
fatto eseguire dal \'iceré di Na- Laureto Giovanni, 262.
poli, 394; Arresto del suo mag- Lenola (citta), 17, 21, 72, 208.
giordomo Perez. — Processo de- Le )nardi Cornelia, 265.
rivatone contro Pietro Carnesecchi, Leone di Angiola, 255.
395 ; Frammenti di lettere del Lippomani Vescovo, 286, 321
Carnesecchi a Giulia, tolti dal- Loffredo Isabella. 263.
l' estratto del processo dell' inqui- Longa Lucrezia monaca, 386.
sizione, 398 e seg. — Brano spe- Longo Alberto, 242.
ciale relativo alle accuse in materia Lotto Ottaviano, 243.
religiosa mosse contro Giulia, 400, Lngeri Clara, 266.
401 ; Essenza ed effetti della dot- Luigi XIL 229.
trina valdesiana, seguita da Giulia, Luna (di) Isabella, 170.
405 ; Lettere di vari a Giulia, Lupetino Baldo, 239.
407 a 419; Carteggio inedito di Lutero, 324, 336, 348, 350, 400,
Giulia, 421 e seg. 401.
Gregorio XI, 3 1

Gribaldo, 239. Magno Marcant., 292, 293; Ce-


Grimani Gio., 239. lio, 292 ; Alessandro, 292.
Grunthler Andrea, 204, 314 a Maiella Carlo, 368.
317, 319. Mainfreda eretica, 248, 249.
Gualano Rainerio, 338, 339. Maio Gaetano, 36S.
Guardia (terra de' Valdesi), 250, Malaguzzi Valeri, pref.
252, 253. Malapocca Maria, 246.
Guarina Camilla, 251. Malvezzi Camilla, 257.
Guarino Francesco, 241. Mandella Caterina, 258.
490 GIULIA GONZAGA

Mandruzzo Card., 374. Morra (della) Isabella, 203, 204.


Manfredi Taddeo, 393. Mutina Bernardo, 338, 340.
Manfrone Gonzaga Lucrezia, 256. Muzio Giustinopolitano, 74, 82,
Manriquez o Marrique Isabella, 89, 126, 152, 173, 217, 240.
•216, 262, 334, 338.
Mantegna Alfonso, 200. Negrino Stefano, 241, 251, 252.
Mantova (da) fra Benedetto, 398. Nelli Plautina, 163.
Margherita contessa Palatina, 25. Nichesola Girolamo, 277.
Marinella Lucrezia, 204. Nifo Agostino, 184, 188.
Marino (battaglia di) 33. Notarianni, 20, 21.
Marratone Gemma, 247.
Martinengo Celso, 240. Ochino B., 231, 239, 240, 266,
Massa (Marchesane di), 97. 269, 270, 274, 275, 286, 293, 310,
Massimiliano imperatore, 229. 311, 333, 334, 337, 339,342.344,
Medici ( de' ) Alessandro, 86, 95 348, 383, 396, 399.
a 101, 104, 108, 113, 114, 118, Offredo (dell') Scipione,- 388.
119; Ippolito, 55, 56, 59, 70, 74, Orsino o Orsini Camillo 342;
75, 80, 84 a 118, 125, 127, 128, Cherubina 260 Clarice 307 Fran-
; ;

137, 141, 143, 223, 307: Loren- cesco 210; Girolamo 61, 62; Mad-
zino, 95, 108, 118, 119. dalena 260; Napoleone 46, 57, 61,
Melantone, 336, 348. 62, 64; Virginio 132.
Merenda Apollonio, 277, 396, 397. Orthega Caterina, 238.
Mignoz Sigismondo, 289.
Minadois Germano, 289. Padula (March, della) Maria,
Miniato (da) fra Tommaso, 243. 166, 196, 257.
Minturno (città), V. Traetto. Paglias Violante, 255.
Miranda Bartolomeo, 243. Paleario Aonio, 61, 403 a 405;
Molilo Gio. da Montalcino, 240, sua famiglia 404.
V. Buzio. Paliano ( Castello) 57 a 59, 187,
Molza, 61, 75, 76, 78, 80, 90, 358.
91, 94, 95, 99, 101 a 105, 113, Pallantieri Alessandro, 298.
114, 117, 138, 143, 215, 216,374. Pallavicini Card., 325.
Moncada Ugo, 43, 44, 46. Palmieri Card., 340.
Montesano Giulia, 246. Paolis (Paolo de) 243.
Monticelli, feudo della Gonzaga, Paolo III, 36, 78, 93, 98, 99,
144. 104, 117, 143, 150, 159,207, 224,
Morata Fulvia Olimpia, 241, 259, 242, 243. 311, 313, 323. 335.
260, 266, 289, 303 a 305, 312 a Paolo IV, 187, 188, 210, 211.
319; Peregrino, 312, 313. 243, 281, 288, 296 a 300, 323,
Morone Card., 240, 242, 273, 324, 326, 334, 381, 392.
325 a 327, 333, 335, 337 a 340, Parpaglia Vincenzo, 347.
342, ?43, 373, 380, 381, 397, 398. Pasquali Coni Ludovico, 241.
Moroni Alessandro, 360. Pasquali Gio. Luigi, 251, 252.
,
,.

INDICE DEI NOMI iOl

Paterno. 162. Pulce (di) Lamandina 247; Teo-


Pavesi Giulio, 278, dora ivi.

Pellegrina Geronima, 255.


Pellegrini Nog^rola Caterina Querini Card. 335.
203.
Pellegrino Giac, 123, 144; Ni- Rabbi ambasciatore, 394.
cola 63. Raggiante Isabella, 255; Laudo-
Pelletta Tizzoni Margherita, 8 1 mia ivi Laura ivi
; ;

Pepe Sartorio, 386, 391. Ramires \irginia, 255.


Popoli (de) Diamante, 266. Rangona Claudia, 258; Emilia
Perez G. B. mag-gfiordomo di 256; Lucrezia 257, 264.
Giulia, 381, 386, 395. Rangone Giulia, 259, 260: Lat-
Pergola Bart. 243. tanzio 240.
Pescara ( March, di ) Ferrante Rastallo Antonio, 63.
Frane. Avalos ÌS2. 326, 334,360, Renata d'Este, 242, 243, v. Està
a 366, 369. (d') Renata.
Petralbes Lavinia 255. Ricasoli G. B., 100, 106, 114,
Piccolomiui Alfonso, 260. 115.
Piggio Alberto, 336. Riccia Aurelia, 381.
Pirotta notaio, 351, 352. Riccio Paolo, 264.
Pisana Beatrice, 386. Ricetto Antonio, 239.
Pisano Ant. medico, 388. Robusti Marietta, 163.
Pitrillo , beneiicato da Giulia Rocca Maginolfì (Salvia di), 247.
386. Roma (sacco di), 47 a 51.
Pio II. 237; Pio IV 393: Pio V Romana Caterina. 268; Clelia
234. 239, 300, 327, 355. 359, 363, 188.
389, 392 a 397. Romano Lorenzo, 277.
Poggiola Lucrezia. 262. Rossa Laura. 255.
Polo R. Card., 238, 240, 243, Rossetti Alfonso, vese. 391.
263, 265, 273, 274, 276, 277, 288, Rossi (de) Properzia, 163.
311, 323, 325, 326, 333, 334 a 350, Rotterdam (di) Erasmo, 271,
352, 353, 377, 378, 382, 397, a 401. Rovere ( della ) Eleonora Gon-
Porrino Gandolfo 8, 64, 77 a 80, zaga, 331: Guidobaldo 307, 309;
95, 101, 134, 140, 154, 215, 216, Lavinia 259, 260, 314, 396.
375. Rullo Donato, 243, 2S8, 301.
Portella (località) 144. Russo Onorato, 387.
Prignano Bart. ( Urbano ^'I ) 30
a 33. Sabioneta (città), 212, 213.
Priuli Luigi 243, 265, 30 1, 337, Sadoleto Card., 90, 165, 242,
339, 340, 341, 343, 344, 347, 348, 243, 273, 321, 323, 339, 3j7, 404.
349, 380, 382, 396, 397. Salvia, 246.
Prudenza ( amica di V. Co- Salviati Card., 97.
lonna), 348. Sanfelice vescovo, 243, 277.
492 GIULIA GONZAGA

Sangro (di) Paolo 168; Pla- Stella Bart., 352.

cido 288. Strada (de) Isabella, 268.


Saimazzaro, 285. Strambone Cat., monaca, 386.
Sanseverino Gabella 12; Cate- Strozzi Piero, 100 a 113, 115.
rina 261; Dionora 182, 197; Isa- 117.
bella 181, ItU, 196. Suarda Bona, 257.
Saramita eretico, 249. Suriana. 247.
Savanales Isabella, 255.
Sauli, 301. Taffetti Onorato, 397.
Scannapeco Girolamo, 286. Tancredi Onorata, 165, 167,289.
ScaruiTa Virginia, 258. Tansillo, 163, 165, 167, 184,
Scauri ( castello di ) 34. 190, 191, 193, 194, 199, 200,218,
Scliiavoua Cat. creata di Giu- 281, 289, 361, 372.
lia, 386. Tasso Bernardo, 5, 7, 80, 163,
Scisma d' Occidente, 33. 196, 285, 289.
Scoto Enrico, 239: G. B. 240, Teodori Teodoro, 277.
243. 337, 340. Terracina (città), 18, 19, 26,
Scotta Isabella, 256. 114, 127, 129.
Sebastiano dal Piombo, 80, 94, Terracina Laura, 182, 197 a 202.
137, 138, 140 a 142, 144. 147. Tezel, 236.
Sega Francesco, 239. Thiene Gaetano, 321.
Semeone Metello, paggio di Giu- Tibaldeschi Card., 30, 31.
lia, 387. Tiepolo Paolo, 395.
Seripando Card., 243, 277 a 280, Tifferando da Perugia, 277.
284, 286, 288, 385, 398. Tiziano, 92, 145, 224.
Sermoneta (città), 32. Tizzano Lorenzo, 261 a 263.
Serristori Averardo, 394, 402.. Tizzoni Gio. Bart., 82; Ludo-
403. vico, 82.
Siena (da) Caterina, 222. Toledo (di) Eleonora, 372, 373.
Sisto (Valdesi in S.), 114, 115, Tolomei Claudio, 74, 79, 80, 94,
249, 252, 253. 216; Lattanzio, 286.
Socino Lelio, 239. Tolomei (de') Pia, 25.

Soranzo V., 80, 101, 239, 243, Tordi D., 358.


277, 352, 392, 396, 397. Torres Ferdinando, 286.
Spadafora Bartolomeo, 288, 349, Traetto (città), 10, 26, 32, 36 a
397, 398. 39 (ivi, penult. riga invece di Gaeta
Sperlonga (terra), 17, 18, 19, 24, legg. Traetto), 63, 80, 149.
36, 123, 128, 129. Tramontano Mich. Ang., 240.
Spilimbergo (di) Irene, 162, 163, Tremellio, 240.
197. Trento (da) Margherita, 249.
Spinello Marino, medico, 388. Trevigi (di) fra Angelo, 239.
Spinola Francesco, 239. Tridentino Card., 243.
Stanhope Ester, 247. Trivulzia Rangona Paola, 258.
, ,
.

INDICE DEI NOMI 403

Trivulzio Card., 331. Vergerio. 80, 239. 286, 332, 383


Tufo (del) Lucrezia, 161. a 385, 396.
Vermigli Pietro Martire , 240
Urbano VI, v. Frignano. 269. 270. 276. 283. 396.
Ussel Usceg-li Marco, 251. Verruti Migliorata o Altruda
246; Verde. 246.
Valdes Giovanni, 80, 146, 262. Vico varo (castello), 61 a 63.
263. 269 a 273, 276. 279, 280, 285 187. 188, 210.
a 296, 333, 345, 376, 379, 396, Vigevano (marchesana di), 258.
399, 40!, 402, 405. Vignes Gaspara. 255.
Valdo Pietro, 250. Villamarino Antonio, 243; Isa-
\'alpnte Susanna, 257. bella, 196. 258.
Valentino Bonifacio , 242 : Fi- Villautte Beatrice, 255; Lau-
lippo, 242. doniia, 25.").

Valerio ( fra ) inijuisitore, 252, Visconti P. E., 355. 356.


253. Vita Ottonello, 239.
Valois (di) Margherita, 332. Vitale Maria. 246.
Vallecorsa, fendo di Giulia, 125. Viterbo (città), 79, 263, 287,
Varaglia Goffredo, 241. 330. 333, 336, 337 e seg. 357.
Varano Alessandro, 307 : Cate- Vivero (de) Beatrice, 267; Leo-
rina (v. Cibo Caterina) ; Ercole nora, 267.
306, 307 ; G. B., 306 ; Gio. Maria, Volterra (da) fra .\ndrea, 243.
305. 306; Giulia, 87, 305, 307,
309; Mattia, 307, 309; Rodolfo, Zaccaria Laura, 255.
306, 307; Sigismondo, 305. Zanco Girolamo, 240.
Vasto (Marchese del), 132, 133, Zannichellis Federico, 386.
182, 188 a 190, 193, 195, 331. Zoglofo di Ferrara (.Margherita
Velasquez Giovanna, 268. moglie di), 247.
Venezia (da) Angelica, 265. Zuccarelli A., 366 a 368.
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DG Amante, Bruto
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.8 Fondi e il movimento
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