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BREVE STORIA DI COME E’ STATO RITROVATO IL QUADRO.

Il prossimo 2 aprile ci sarà a Roma la conferenza stampa nella quale verranno presentati i risultati delle indagini
tecniche svolte sul dipinto presso l’Università Sant’Orsola di Napoli. Anticipiamo che i risultati confermano una
datazione del quadro ascrivibile tra il 1400 e il 1500.

Leonardo scriveva al rovescio, in forma speculare. E’ forse questo l’approccio più corretto per narrare in che modo il
dipinto ha deciso di riemergere dalle nebbie del passato: una specularità che lascia indistinte le funzioni del ricercatore
e dell’oggetto ricercato, riferendosi piuttosto ad un “ecosistema storico” adatto nel quale ricomparire. Non parleremo
infatti di “una ricerca che ritrova il quadro” ma del dipinto di un genio universale che “sceglie” il contesto più
consono nel quale rimanifestare la sua esistenza, lasciando dunque a Leonardo il ruolo che ha sempre occupato nella
storia, quello di ricercatore e di protagonista.
E poiché le manifestazioni di un genio sono tali per la sorpresa che suscitano, il suo ritorno non poteva che essere
imprevedibile, avvenire in un luogo inatteso, la Lucania, nel contesto di una ricerca i cui contorni sfumano nella
passione e nella irrefrenabile aspirazione di chi vuole comprendere le radici del proprio passato.
Nicola Barbatelli mosse i primi passi in Lucania nel 2004 seguendo la sua passione, quella della storia degli ordini
cavallereschi medievali. A condurlo sui sentieri lucani furono i primi risultati di una singolare ricerca che aveva preso
avvio nel 2002 in seguito alla visita che l’ambasciatore d’Irlanda in Italia, Cogan, fece in un piccolo paese della
Basilicata, Acerenza. Cogan aveva accettato l’invito di Raffaello Glinni, discendente di una antica famiglia gaelica
giunta ad Acerenza nel 1610 in fuga da un’Irlanda invasa dagli inglesi. L’occasione era data dalla preparazione di
convegni che l’ambasciata d’Irlanda stava organizzando proprio sul tema della “Fuga dei conti” del 1607. Ed ad
Acerenza ci fu la prima sorpresa, una cattedrale normanna simile a quelle che Cogan era abituato a vedere nelle sue
terre irlandesi. Cosa ci faceva quella cattedrale ad Acerenza? Ma non è tutto. Assieme a Raffaello Glinni e alla
delegazione irlandese era venuto anche Guglielmo Giovannelli Marconi, discendente di Guglielmo Marconi ed esperto
in storia degli ordini cavallereschi medievali. Fu lui a riferire di una singolare tradizione storica che sosteneva che il
primo gran maestro dell’Ordine dei Templari, Hugo de Pagani, fosse nato in un paese alle porte di Acerenza:
Forenza. Le domande dell’ambasciatore non trovarono una immediata risposta: quale era il significato dei simboli in
stile gaelico presenti sul portale della cattedrale? Da dove era nata quella strana leggenda del primo gran maestro dei
Templari, leggenda apparentemente così lontana da quanto la storia racconta a tal riguardo? Fu da tali domande che è
nata la ricerca sulle cui tracce si mise, due anni dopo, Nicola Barbatelli. Raffaello e Gianni Glinni, non soddisfatti
delle risposte fornite dalla storia nota, quella dei libri scolastici che sostiene che non vi è nulla da scoprire, che i
simboli sono semplici decorazioni con vaghi significati di monito, che la storia del gran maestro dei Templari Hugo de
Pagani nato a Forenza è una semplice leggenda popolare, si posero una semplice domanda: e se non fosse così? Se i
simboli avessero un significato, se la leggenda avesse un fondo di verità? Le conseguenze di questo punto di vista
furono straordinarie. Gianni Glinni, coadiuvato da una ricercatrice dell’Università di Shangai, ricostruì la
sorprendente regola geometrica tutta basata sulla sezione aurea con la quale fu dimensionata la Cattedrale di Acerenza
e cominciò a decodificare i simboli, di provenienza gaelica, partendo da antichi manoscritti del 1700 rinvenuti nella
biblioteca di famiglia. Nello stesso tempo un riesame critico della tesi sostenuta dagli storici riguardo all’origine
francese del primo gran maestro dei Templari Hugo de Pagani, cominciava a porre i primi dubbi, riaprendo le porte ad
una verità storica differente. La provenienza lucana non era da sottovalutare. Le argomentazioni, abbondanti e ricche
di prove, convinsero un brillante regista televisivo, Fabio Tamburini, a produrre due documentari. Durante le riprese
lo stesso Fabio Tamburini fu protagonista di una scoperta straordinaria: a Castelmezzano, nella chiesa madre intitolata
alla Stella Mattutina, esiste un quadro con una iscrizione che ha lasciato stupefatto lo stesso regista: la iscrizione
riporta il Salmo 131: “Hic habitabo quoniam elegi ea, Stella Mattutina” con una data: 1117. La frase è esattamente
quella che è tenuto a recitare il gran maestro dei Templari al momento della sua investitura. La data, 1117, è di un
anno precedente alla data nella quale, secondo la storia, fu fondato a Gerusalemme l’ordine dei Cavalieri Templari. A
tale punto prendeva sempre più consistenza l’idea della esistenza di confraternite di costruttori di cattedrali di
ispirazione pitagorica, scese in Italia dal Nord Europa al seguito della conquista normanna. Confraternite di costruttori
e confraternite di cavalieri che potrebbero essere gli ispiratori dell’ordine dei Templari. Possibile tutto questo?
Seguendo questa ipotesi Nicola Barbatelli cominciò nel 2004 a ripercorrere gli antichi sentieri una volta percorsi dai
cavalieri dell’ordine a cui si onora di appartenere: quello dei Templari. La sua ricerca meticolosa, spinta da una
passione disinteressata, da un istinto innato e da una profonda conoscenza storica degli ordini cavallereschi, lo
condusse a Vaglio dove nella cappella di un cimitero rinvenne una statua lignea apparentemente senza significato. Si
trattava invece della statua di Bernardo di Chiaravalle, il protettore dell’ordine dei Templari, con una testa mozza
posta ai suoi piedi ed una singolare iscrizione sulla testa: un “quatre de chiffre”, tipico simbolo delle confraternite di
costruttori di cattedrali operanti tra il 1110 ed il 1400. Il significato di questo ritrovamento è eccezionale, infatti
collega per la prima volta in modo testimoniabile, i templari alle confraternite di costruttori di cattedrali ed alla
venerazione di una testa barbuta che nella storia è passata sotto il nome di “Baphomet”. Tutto questo è contenuto nella
statua lignea ritrovata in Lucania. Si trattava della prima traccia concreta della esistenza di queste confraternite. Ma di
quali confraternite si parla? Esistono testimonianze scritte e documentali della loro esistenza? A tal punto Nicola
Barbateli, Gianni e Raffaello Glinni e Guglielmo Giovannelli Marconi unirono gli sforzi, ed in questo contesto di
ricerca comparve per la prima volta, inaspettatamente, la figura di Leonardo da Vinci. La ricerca investiva la storia
delle famiglie nobili esistenti in Lucania dal 1110 al 1500. Una prima vicenda attirò l’attenzione. Si trattava della
fondazione di un ordine cavalleresco da parte di Renato d’Angiò: l’Ordine della Mezza Luna, fondato nel 1430 circa.
Era un ordine di ispirazione pitagorica che faceva riferimento agli antichi ordini cavallereschi medievali, quali i
Templari. A questo ordine aderirono Ludovico il Moro e Cosimo de’ Medici, ambedue protettori di Leonardo da
Vinci. Una seconda singolare scoperta fu la presenza ad Acerenza della famiglia fiorentina dei Segni, che secondo il
Vasari erano “amicissimi” di Leonardo. Un terzo singolare collegamento con Leonardo lo trovammo nella presenza
nel Sud Italia di Pirro Melzi, Gran Priore dell’Ordine dei Cavalieri di Malta per il Regno di Napoli nel 1586. Pirro era
un diretto discendente di Francesco Melzi, l’allievo che seguì Leonardo in Francia. Un’altra coincidenza la trovammo
nella presenza ad Irsina di Margherita Riario Sforza Nugent, anch’essa discendente per via materna degli Sforza di
Milano. In più venimmo a conoscenza di un viaggio che Leonardo aveva fatto nel Principato Citra, Vallo della
Lucania. Leonardo insomma entra in questa vicenda in modo del tutto inaspettato, come un incontro casuale in uno
scenario che si andava componendo da solo, un puzzle dove i pezzi trovano da soli il loro posto. In questo scenario
Nicola Barbatelli, la sera del 30 dicembre 2008 riconosce nei lineamenti di un volto ritratto in un antico dipinto
oscurato dalla polvere, i tratti di un volto noto: Leonardo? Possibile che sia proprio lui? Pulendo il retro del quadro
emerge una scritta: è al rovescio e c’è scritto “PINXIT MEA”.
Il dipinto fu subito sottoposto alla attenzione di un esperto di fama internazionale: il prof. Vezzosi, direttore del Meseo
Ideale da Vinci. Le prime indagini fatte, radiografia, lampada di Wood, confermarono la originalità del quadro.
L’approfondimento delle indagini spettrografiche e fisico-chimiche svolte all’Università Sant’ Orsola di Napoli sulle
vernici usate ha permesso di confermare la conformità con le vernici usate tra il 1400 ed il 1500 in Toscana. La prova
al carbonio 14 conferma una datazione del materiale organico riconducibile al 1400-1500. Ora sarà compito degli
esperti trarre le conclusioni. Una cosa è comunque certa: chiunque dipinse questo volto aveva dinnanzi a se Leonardo
da Vinci.

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