Sei sulla pagina 1di 242

Introduzione alla teologia moral fondamentale

Prof. Stephan Kampowski


Email: kampowski@istitutogp2.it
Ufficio: 06 698 95 539
Dopo la lezione le diapositive saranno disponibile
qui:
www.stephankampowski.com/corsi.html
Introduzione alla teologia morale fondamentale
Bibliografia
• L. Melina, Morale tra crisi e rinnovamento, Ares, Milano
1993. (disponibile presso il centro stampa)
• L. Melina – J. Noriega – J.J. Pérez-Soba, Camminare
nella luce dell’amore. I fondamenti della morale cristiana,
Cantagalli, Siena 2008.
• S. Pinckaers, Les sources de la morale chrétienne, Editions
du Cerf, Parigi 1985. (Italiano : Le fonti della morale
cristiana, Ares, Milano 1992).
• R. Spaemann, Grundbegriffe der Moral, Verlag C.H.
Beck, Monaco di Baviera 1982. (Italiano: Concetti morali
fondamentali, Piemme, Milano 1993).
Introduzione alla teologia morale fondamentale
Per l’esame sarà richiesta la lettura di:
• L. Melina, Morale tra crisi e rinnovamento, Ares,
Milano 1993. (disponibile presso il centro
stampa)
Schema delle lezioni:
1. La teologia morale: che cosa è?
2. Aspetti di metodo: le fonti della teologia morale
3. Il fondamento della morale cristiana e il dinamismo
dell’agire
4. Gli atti umani, le virtù, i doni dello Spirito e le beatitudini
5. Legge naturale e legge di Cristo
6. Gli assoluti della morale in discussione
7. Libertà, opzione fondamentale e peccato
8. La coscienza morale cristiana e la sua formazione
9. Principi per la soluzione di casi difficili
10. Legge civile e legge morale
1. La teologia morale: che cosa è?
• Che cosa è la teologia morale?
• La morale è spesso concepita come scienza degli
obblighi.
• Immanuel Kant: “Che cosa devo fare?”
• Spesso la moralità
viene vista come
campo di battaglia
tra legge e libertà.
1. La teologia morale: che cosa è?
• Una morale basata sull’obbligo comporta due
pericoli:
il minimalismo
il tentativo di adattare la legge alle proprie
capacità
• L’accusa contro l’insegnamento della Chiesa: fa
solo che la gente si sente male.
• “Meglio cambiare l’insegnamento”.
• Questi suggerimenti sono il frutto di una mentalità
che vede la morale esclusivamente come l’ambito
delle regole e delle norme.
1. La teologia morale: che cosa è?
• E infatti, la dottrina morale
della Chiesa sembra imporci
tanti «NO».
• No allo sesso casuale.
• No all’omosessualità.
• No al vivere insieme prima
del matrimonio.
• No alla contraccezione.
• No alla pornografia.
=>No al divertimento???
1. La teologia morale: che cosa è?
• Ma in verità si tratta di un
grande SI.
• E’ un sì alla verità della
persona umana.
• Si tratta di un sì alla vera
libertà.
• Si tratta di liberare i desideri
che Dio stesso ha impiantato
dentro il nostro cuore.
1. La teologia morale: che cosa è?
• L’insegnamento morale della Chiesa fa parte di
una visione integrale della persona umana, della
sua natura e della sua chiamata.
• La Chiesa non può
cambiare i suoi
insegnamenti come se
fossero delle regole di
traffico.
1. La teologia morale: che cosa è?
• Esprimono piuttosto una verità sull’uomo, che
corrisponde al disegno di Dio e che la Chiesa
non può cambiare.
• Non può neanche
cambiare la legge
della gravità.
1. La teologia morale: che cosa è?
• E poi la morale non si occupa soltanto del
peccato.
• Esempio: analogia tra la vita e un buon
matrimonio: non basta non tradire l’altro.
• Non conta solo l’assenza del peccato (che è
importante), ma anche la presenza dell’amore,
della virtù, dell’amicizia.
• Le cose più belle della vita, non siamo
«obbligati» a compierli.
ad es. l’amicizia è sempre gratuita.
1. La teologia morale: che cosa è?
• La teologia morale ha a che fare con la nostra
vocazione in Cristo:
• Concilio Vaticano II, Optatam totius, Sulla
formazione sacerdotale, n. 16:
• “Si ponga speciale cura nel perfezionare la
teologia morale in tale modo che la sua
esposizione scientifica, maggiormente fondata
sulla sacra Scrittura, illustri l’altezza della vocazione
dei fedeli in Cristo e il loro obbligo di apportare
frutto nella carità per la vita del mondo”.
1. La teologia morale: che cosa è?
• La teologia morale ha a che fare con la
domanda del senso della vita.
• Giovanni Paolo II, Veritatis splendor:
• Commenta sull’
incontro tra
Gesù e il
giovane ricco.
1. La teologia morale: che cosa è?
• VS 7. “«Ed ecco un tale...». Nel giovane … possiamo
riconoscere ogni uomo che, coscientemente o no, si
avvicina a Cristo, Redentore dell'uomo, e gli pone la
domanda morale. Per il giovane, prima che una
domanda sulle regole da osservare, è una domanda
di pienezza di significato per la vita.
• E, in effetti, è questa l'aspirazione che sta al cuore di
ogni decisione e di ogni azione umana, la segreta
ricerca e l'intimo impulso che muove la libertà.
• Questa domanda è ultimamente un appello al Bene
assoluto che ci attrae e ci chiama a sé, è l'eco di una
vocazione di Dio, origine e fine della vita
dell'uomo”.
1. La teologia morale: che cosa è?
• La domanda morale è la domanda sul senso
della vita.
• Quando ci poniamo la domanda morale, ci
chiediamo non solo:
“Che cosa devo fare?”
Ma una domanda ancora più fondamentale:
“Chi sono chiamato a diventare? Quale senso
ha la mia vita?
• La teologia morale è un sapere sistematico/la
scienza del senso della vita.
1. La teologia morale: che cosa è?
È necessaria una tale scienza?
• C’è dentro ciascuno di noi una fame e una sete
di significato, il desiderio che la nostra vita abbia
senso.
• Ogni nostro atto libero è spinto dal e indirizzato
al bene o almeno a ciò che ci sembra bene.
• La domanda fondamentale della morale è se
quello, che ci sembra bene è anche bene in
verità: la domanda sulla verità del bene.
• Robert Spaemann: la morale è il tentativo di
renderci conto su ciò che vogliamo in verità.
1. La teologia morale: che cosa è?
Si può sbagliarsi su ciò che si vuole?
• Esempio di Esaù e Giacobbe:
il piatto di
lenticchie

• Il nostro desiderio immediato può offuscare la


visione di ciò che vogliamo veramente.
1. La teologia morale: che cosa è?
Si può sbagliarsi su ciò che si vuole?
• L’esperienza della delusione con cose che abbiamo
desiderate.
• Come mai le cose “promettono” più che tengono?
• Volevamo di più.
• Maurice Blondel: la sproporzione tra la volontà
volente (trascendentale) e la volontà voluta
(categorica).
• Nei nostri desideri e nelle nostre scelte siamo tesi
non soltanto verso gli oggetti immediati, ma anche
verso la felicità.
1. La teologia morale: che cosa è?
• La felicità è ciò che volgiamo veramente.
• Comunque, cosa è la felicità, e come
raggiungerla?
• La felicità = la vita buona
• Ecco di nuovo, la domanda della morale: Qual è
il senso della vita, come vivere bene, cosa
vogliamo in verità?
• Se ciò che dà senso alla vita e se ciò che noi
vogliamo in verità è la felicità, la morale poi si
deve chiedere: che cosa è la felicità, e come
possiamo raggiungerla? (Cfr. S. Tommaso,
Summa theologica, I-II).
1. La teologia morale: che cosa è?
• Per sapere della felicità dell’uomo,
dobbiamo sapere dell’uomo.
• Ma l’uomo, chi è?
• S. Agostino: “Quaestio
mihi factus sum -- Io
sono diventato un
mistero a me stesso”
(Confessioni X, 33, 50).
1. La teologia morale: che cosa è?
• Abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio per sapere in
fondo chi siamo:
• Vaticano II, Gaudium et spes 22: “In realtà, solamente
nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il
mistero dell'uomo.
• Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello
futuro, e cioè di Cristo Signore.
• Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il
mistero del Padre e del suo amore, svela anche
pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua
altissima vocazione”.
• La teologia morale è una scienza alla luce della
rivelazione.
1. La teologia morale: che cosa è?
• La rivelazione ci dice anche chiaramente
dove sta la nostra felicità.
• La nostra felicità è Dio e si trova in Dio.
• S. Agostino: “Ci hai fatto per te,
o Signore, e il nostro cuore è
inquieto finché non riposa in te”
(Confessioni I,1).
1. La teologia morale: che cosa è?
• Ma come raggiungere al nostro fine ultimo,
come raggiungere la felicità?
• È attraverso i nostri atti, il nostro agire,
aiutato dalla grazia divina, perché da soli
non potremmo mai raggiungere Dio.
• Se quindi la teologia morale è la scienza sul
senso della vita, sulla nostra felicità in Dio e
sulla via che ci porta lì, essa include i
seguenti elementi:
1. La teologia morale: che cosa è?
La teologia morale comporta:
• uno studio degli atti umani, per mezzo dei quali
noi ci muoviamo su questa strada verso la casa
del Padre,
• uno studio delle virtù, come disposizioni stabili
che ci aiutano di compiere e di conoscere atti
morali eccellenti,
• uno studio della legge come guida sul cammino
• uno studio della grazia, che ci permette di
raggiungere un fine soprannaturale, Dio, che
non potremmo mai raggiungere con le nostre
forze naturali.
1. La teologia morale: che cosa è?
La definizione di S. Pinckaers:
• «La teologia morale è quella parte della teologia che
studia gli atti umani per dirigerli al raggiungimento
della felicità autentica e al fine ultimo della persona
attraverso le virtù nella luce della rivelazione».
• «La moralità è basata sull’attrazione a ciò che è
vero e buono piuttosto che un orientamento ai
comandamenti e agli obblighi».
• «L’etica cristiana è divisa secondo le virtù, teologali
e morali, che sono principi interiori dell’azione, ai
quali si aggiungono le leggi particolari e la grazia,
che nella loro origine sono principi esteriori».
2. Le fonti della teologia morale
Le fonti della teologia morale sono due:
1) La rivelazione
2) La ragione umana nella sua dimensione pratica
e morale
Due presupposti:
A. La rivelazione ha una rilevanza morale.
B. Esiste un’esperienza morale originaria e
irriducibile (l’esperienza del bene morale,
come bene della persona).
2. Le fonti della teologia morale
A. La rilevanza della rivelazione per la morale:
• Discussione soprattutto in ambito protestante
• L’accento sulla fede come causa della
giustificazione
• Le opere non avrebbero nessun significato salvifico,
ma solo mondano.
• Lutero: «Nessuno ci può separare da Cristo, anche
se uccidessimo o commettessimo adulterio mille
volte ogni giorno» (lettera 99, a Melanchton, 1521).
• «Pecca fortiter sed crede fortius» (lettera 501, a
Melanchton)
2. Le fonti della teologia morale
A. La rilevanza della rivelazione per la morale:
• Weltethos verso Heilsethos – l’ethos mondano verso
l’ethos della salvezza
• Opposizione tra vangelo e legge
• Roger Mehl: “Il Vangelo non è una morale; esso
appartiene ad un altro ordine di realtà. La questione
che il Vangelo pone è quella della fede, non quella
della morale” (R. Mehl, Morale cattolica e morale protestante, Torino 1973).
• Ambito protestante: Basta l’annuncio del Vangelo.
• Cade la possibilità di una teologia morale vera e
propria.
2. Le fonti della teologia morale
A. La rilevanza della rivelazione per la morale:
• La visione cattolica: Il Vangelo ha un significato
morale.
• Il Vangelo è prima di tutto un annuncio di salvezza:
l’annuncio del Regno.
• Gesù dice: “Il tempo è compiuto, il Regno di Dio è
vicino, convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15).
• L’irruzione del Regno di Dio è l’azione stessa di
Dio che decide di intervenire.
• Questo Regno che viene non elimina ma piuttosto
sollecita una risposta dell’uomo.
2. Le fonti della teologia morale
A. La rilevanza della rivelazione per la morale:
• Gesù parla della conversione. Invita alle opere, che
siano espressioni di una accoglienza del Regno di
Dio.
• “Non chi dice ‘Signore, Signore’, ma chi fa la
volontà del Padre mio entrerà nel Regno dei Cieli”
(Mt 7,21).
• Le lettere di San Paolo: la dialettica tra kerygma e
didache.
• Il kerygma è il primo annuncio, la didache è
l’insegnamento morale.
2. Le fonti della teologia morale
A. La rilevanza della rivelazione per la morale:
• Romani 6,17: Siate fedeli alla “forma di
insegnamento (typos didache) alla quale siete stati
consegnati”.
• Per essere fedeli al Vangelo, bisogna essere fedeli a
questa forma di insegnamento.
• Questa forma di insegnamento è la catechesi morale
che seguiva il kerygma
• La didache è l’insegnamento pre-battesimale.
• Cfr. James MacDonald, Kerygma and Didache,
Cambridge University Press.
2. Le fonti della teologia morale
B. L’esistenza di un’esperienza morale:
• Esempio: Delitto e castigo di Dostoevskij
• Raskolnikov fa un “esperimento”
• Prova un sentimento di colpa che è
profondo, che non si aspettava.
• Scopre che gli atti che
compie sono atti che
cambiano la sua persona.
2. Le fonti della teologia morale
B. L’esistenza di un’esperienza morale:
• Scopre ciò che diceva già Gregorio Nisseno:
«Noi siamo, in certo modo, i nostri stessi
genitori, creandoci come vogliamo, e con la
nostra scelta dandoci la forma che vogliamo»
(Vita di Mosè).
• I nostri atti ci trasformano.
• Un atto non ha solo un valore transitivo ma ha
anche un valore intransitivo.
2. Le fonti della teologia morale
B. L’esistenza di un’esperienza morale:
• L’atto non è solo un fare, ma è anche un agire.
• Poiesis / facere vs. praxis / agere.
• La tecnica prende la prospettiva per cui io,
agendo, cambio le cose esterne a me.
• La prospettiva dell’agire è la prospettiva delle
conseguenze che l’attività ha su me stesso.
2. Le fonti della teologia morale
B. L’esistenza di un’esperienza morale:
• Socrate: “Sceglierei il subire ingiustizia piuttosto
che il commetterla” (Platone, Gorgia 469c).
• Giovenale, Satirae:
«Considera il più grande
dei crimini preferire la
sopravvivenza all'onore
e, per amore della vita
fisica, perdere le ragioni
del vivere».
2. Le fonti della teologia morale
B. L’esistenza di un’esperienza morale:
• Ci sono delle azioni che ci fanno perdere il senso
del vivere. Questo è proprio al cuore
dell’esperienza morale.
• L’esperienza morale è l’esperienza dell’incontro
con un bene, che mi interpella di rispettarlo e di
amarlo.
• In questo incontro percepisco le mie azioni
come capaci di rendermi buono o cattivo.
2. Le fonti della teologia morale
Le fonti stessi:
La rivelazione
• Dove sta la rivelazione?
«Cristo è insieme il mediatore e la pienezza di
tutta intera la Rivelazione» (DV 2).
«La Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura
costituiscono un solo sacro deposito della
parola di Dio affidato alla Chiesa» (DV 10).
2. Le fonti della teologia morale
La rivelazione
• La Sacra Scrittura è la parola di Dio scritta per
ispirazione dello Spirito divino (DV 9).
• La Sacra Tradizione trasmette integralmente la
parola di Dio - affidata da Cristo Signore e dallo
Spirito Santo agli apostoli - ai loro successori.
(DV 9).
• Il deposito della fede viene autenticamente e
autorevolmente proposto dal Magistero.
2. Le fonti della teologia morale
La Sacra Scrittura
• Optatam totius n. 16: «Si ponga speciale cura nel
perfezionare la teologia morale in tale mode che la
sua esposizione scientifica, maggiormente fondata
sulla sacra Scrittura, illustri l’altezza della
vocazione dei fedeli in Cristo e il loro obbligo di
apportare frutto nella carità per la vita del mondo».
• I padri e i grandi scolastici vedevano un senso
morale in tutta la Scrittura.
• La Scrittura non ci dà solo delle norme ma una
visione completa dell’uomo, del suo agire, e di
come lo Spirito opera in noi.
2. Le fonti della teologia morale
La Sacra Tradizione
• La Sacra Scrittura è la testimonianza dell’evento di
Cristo.
• La Tradizione è la grande corrente di insegnamento
e di interpretazione che ci comunica questo evento.
• La Tradizione è presente
1. nei Padri della Chiesa
2. nei Dottori della Chiesa
3. nella testimonianza dei santi
4. nel sensus fidelium
2. Le fonti della teologia morale
1. I Padri della Chiesa
• Quattro criteri per essere un padre della Chiesa:
 Ortodossia della dottrina
 Santità della vita
 Approvazione ecclesiale
 Antichità
• L’ultimo padre della Chiesa orientale: S. Giovanni
Damasceno († Gerusalemme 749)
• L’ultimo padre della Chiesa occidentale: S. Isedoro
di Sevila († 636).
• Ci aiutano a interpretare la S. Scrittura, in quanto
vicini alle sorgenti.
2. Le fonti della teologia morale
2. I dottori della Chiesa
• pensatori che eccellono per due
motivi:
 santità della vita
 eccellenza della dottrina,
che ha dato un contributo
originale alla Chiesa.
2. Le fonti della teologia morale
3. La testimonianza dei santi
• Per la teologia morale sono
importanti non solo le cose
scritte.
• Anche la santità vissuta è
un locus theologicus, perché la
loro vita è un’esegesi della rivelazione.
• «Viva lectio est vita bonorum» (S. Gregorio
Magno, Moralia in Job XXIV, VIII, 16).
2. Le fonti della teologia morale
4. Il sensus fidelium
• La Chiesa come Popolo di Dio vive e sente in un
certo modo.
• Si parla di sensus fidelium, il modo di sentire e vivere
dei fedeli (cfr. Lumen Gentium, nn. 12 e 25).
• Non è opinione pubblica, né il parere dei sondaggi.
• E’ l’espressione della fede vissuta, che è in
consonanza con la Sacra Scrittura, con la
Tradizione e con il Magistero.
• Non è sensus fidelium il dissenso dal Magistero.
2. Le fonti della teologia morale
4. Il sensus fidelium
• Vari autori (ad es. J. Mahoney e B. Häring)
proponevano l’idea che l’insegnamento di Humanae
vitae non avesse valore obbligatorio per i fedeli.
• “Il senso dei fedeli ha rifiutato Humanae vitae”.
• B. Häring in 1989 proponeva un referendum nella
Chiesa per sapere come pensavano i fedeli.
• Ma: Come si può sapere chi sono i fedeli e chi non
sono i fedeli?
• Il senso dei fedeli non è un mero fatto sociologico.
• I sondaggi non sono una buona maniera per sapere
il senso dei fedeli.
2. Le fonti della teologia morale
4. Il sensus fidelium
• Cardinale John Henry Newman: On Consulting the
Faithful in Matters of Doctrine.
• I fedeli vengono consultati come
uno consulta il suo orologio.
• Il Papa e i vescovi, prima di
una decisione dogmatica hanno
l’obbligo di consultare il modo del
sentire dei fedeli.
• Lo fanno, discernendo chi sono veramente i fedeli.
2. Le fonti della teologia morale
4. Il sensus fidelium
• Newman dà due esempi del sensus fidelium
• La crisi ariana del 4° secolo.
Ario insegnava che Cristo era solo un uomo, non
era Dio.
La posizione ariana fu assunta o sostenuta
dall’Imperatore.
S. Girolamo: “Ingernuit totus orbis et se esse
arianum miratus est” – “Tutto il mondo gridò e si
meravigliava di essere diventato ariano.”
La maggioranza dei vescovi era ariana.
2. Le fonti della teologia morale
4. Il sensus fidelium
• La crisi ariana
La fede vera fu custodita dai monaci, soprattutto da S.
Antonio Abate e poi dai grandi vescovi che hanno
raccolto la sua eredità, soprattutto da S. Atanasio che
ha scritto la Vita di S. Antonio.
I monaci avevano prestigio diffuso tra la gente, per cui
il senso dei fedeli aveva il meglio sopra lo sbaglio dei
vescovi.
La fede è stata preservata dal senso dei fedeli e la crisi
fu risolta nel Concilio di Nicea (325): (Gesù è «generato
non creato, della stessa sostanza del Padre»)
2. Le fonti della teologia morale
4. Il sensus fidelium
• Poi: l’Immacolata Concezione di Maria, definita
da Pio IX in 1854.
Newman: il senso dei fedeli ha prevenuto e
preparato la definizione.
Il senso dei fedeli è rilevante, ma deve essere
inteso bene: deve avere come il suo intimo
punto di verifica la fede.
Si deve distinguere tra senso dei fedeli e
opinione pubblica.
2. Le fonti della teologia morale
4. Il sensus fidelium
• Il Concilio Vaticano II parla dell’infallibilità dei
fedeli nel credere.
• È una qualità della fede battesimale, che poi è
espressa nella vita quotidiana, e che comporta
anche un modo di sentire morale, un modo di
vivere.
• Il senso dei fedeli ha un significato sia diacronico
che sincronico.
2. Le fonti della teologia morale
4. Il sensus fidelium
• E’ vero che il giudizio di Paolo VI nel promulgare
Humanae vitae era impopolare.
• Paolo VI si esprimeva contrario al giudizio della
maggioranza nella commissione consultativa
• Ha guardato al senso dei fedeli: Quale era il sentire
dei fedeli fino a quel punto al di là della
commissione di esperti?
• Sempre nella Chiesa c’è stato un sentire contrario
alla contraccezione.
• Paolo VI: una decisione contraria a questo modo di
sentire sarebbe stata una rottura con la Tradizione.
2. Le fonti della teologia morale
Il Magistero della Chiesa
• Che cosa è il Magistero?
• Il Magistero è l’ultima istanza autorevole che
interpreta la rivelazione autenticamente, sia
nell’aspetto della Sacra Scrittura, sia nella
Tradizione.
• Che cosa vuole dire interpretare
“autenticamente”?
• Significa: Interpretare la rivelazione nello stesso
senso dell’autore della rivelazione.
2. Le fonti della teologia morale
Il Magistero della Chiesa
• Il Magistero ha un’autorità fondata sullo Spirito
Santo, che, essendo l’autore della rivelazione,
assiste il Magistero nella interpretazione.
• “Chi ascolta voi, ascolta me” (Lc 10, 16).
• Il Magistero non è fonte di rivelazione, ma istanza
di interpretazione autentica.
2. Le fonti della teologia morale
Il Magistero della Chiesa
• Chi è il Magistero?
Il Papa in quanto capo del collegio apostolico.
I vescovi in comunione col Papa.
=> Rapporto reciproco (Lumen Gentium 25).
2. Le fonti della teologia morale
Il Magistero della Chiesa
• Su che cosa ci parla il Magistero?
• Competenza in fides et mores
• L’oggetto del magistero è la verità rivelata circa
la fede e i costumi: fides credenda, moribus
applicanda.
2. Le fonti della teologia morale
Il Magistero della Chiesa
• Gradi di autorità
1) Il Magistero ordinario del Papa
ad es. le encicliche (cfr. Pio XII, Humani generis, n.
20).
È un Magistero autentico che parla con
dignità.
Ai fedeli è chiesto il religioso ossequio e la
presunzione della verità.
2. Le fonti della teologia morale
1) Il Magistero ordinario del Papa
• Lumen gentium 25: “Questo assenso religioso della
volontà e della intelligenza lo si deve in modo
particolare prestare al magistero autentico del romano
Pontefice, anche quando non parla «ex cathedra».
• Ciò implica che il suo supremo magistero sia accettato
con riverenza, e che con sincerità si aderisca alle sue
affermazioni in conformità al pensiero e in conformità
alla volontà di lui manifestatasi che si possono dedurre in
particolare dal
carattere dei documenti, o
dall'insistenza nel proporre una certa dottrina, o
dalla maniera di esprimersi.”
2. Le fonti della teologia morale
2) Il Magistero solenne
• Il Magistero solenne ha valore di infallibilità
riguardo alla fede e alla morale.
• Qui il Magistero impegna in modo particolare il
suo carisma di verità.
• Ai fedeli è chiesto l’obbedienza della fede.
2. Le fonti della teologia morale
2) Il Magistero solenne
• Sono due le forme del Magistero solenne:
a) il Papa si esprime «ex cattedra»
Il Papa, quando si esprime solennemente in materia
di fede o di morale, gode della stessa infallibilità di
cui il Signore Gesù ha dotato la Chiesa (Concilio
Vaticano I)
Finora il Papa ne ha fatto uso due volte:
o Immacolata Concezione, Pio IX, 1854;
o Assunzione, Pio XII, 1950.
b) un Concilio Ecumenico
I vescovi sono riuniti e in unione col Papa,
e esprimono la volontà di definire una verità
2. Le fonti della teologia morale
3) Il Magistero ordinario universale
• Si tratta di un insegnamento che non viene definito in
un atto solenne, ma
• che viene insegnato dal Papa e dai vescovi di tutto il
mondo in unità morale sia diacronica che sincronica: in
ogni tempo e in ogni luogo.
• Anche esso ha valore di infallibilità.
• Cost. Dei Filius, 3: «Quindi si devono credere con fede
divina e cattolica tutte quelle cose che sono contenute
nella parola di Dio, scritta o trasmessa per tradizione,
e che vengono proposte dalla Chiesa, o con solenne
definizione, o con il magistero ordinario e universale,
come divinamente ispirate, e pertanto da credersi».
2. Le fonti della teologia morale
3) Il Magistero ordinario universale
• Lumen Gentium 25: “Quantunque i vescovi, presi
a uno a uno, non godano della prerogativa
dell'infallibilità, quando tuttavia, anche dispersi
per il mondo, ma conservando il vincolo della
comunione tra di loro e col successore di Pietro,
si accordano per insegnare autenticamente che
una dottrina concernente la fede e i costumi si
impone in maniera assoluta, allora esprimono
infallibilmente la dottrina di Cristo”.
2. Le fonti della teologia morale
3) Il Magistero ordinario universale
• Alcune verità molto fondamentali non sono mai
state definite.
ad. es.: Dio esiste.
• Perché non è mai stato definito?
• Le definizioni sempre difendono delle verità
minacciate da un attacco.
• Senza attacco, non si sente il bisogno di definire.
• Pur non essere mai state definite, queste verità
appartengono al Magistero ordinario universale, e
sono quindi infallibilmente insegnate, anche se non
sono state solennemente definite.
2. Le fonti della teologia morale
Il Dissenso
• Charles Curran, Dissent in and for the Church.
Theologians and Humanae vitae (1970).
• Curran ha negato il valore obbligante del
magistero ordinario, che si è espresso da parte
del Santo Padre soprattutto nell’enciclica
Humanae vitae di 1968.
2. Le fonti della teologia morale
Il Dissenso
• Le tesi di Charles Curran:
1. «Non ci sono insegnamenti infallibili nell’ambito
della morale, perché non ci sono definizioni solenni».
2. «Se il magistero ordinario del Papa non è
infallibile, allora è fallibile. Se è fallibile, io sono
libero di dissentire».
3. «Gli insegnamenti del magistero valgono ciò che
valgono gli argomenti avanzati».
4. «Il magistero ordinario non è vincolante delle
coscienze dei fedeli».
2. Le fonti della teologia morale
Come rispondere a Curran?
1. Non si può concentrare tutta la discussione circa il
magistero sull’infallibilità.
• L’infallibilità è solo la garanzia ultima.
• Il Magistero ordinario è la forma più normale,
dell’esprimersi dell’autorità dei pastori della Chiesa.
• Il Magistero ordinario ha in sé una sua autorevolezza,
anche quando non garantisce completamente
l’irreformabilità delle formule in cui si esprime.
• Se uno ci dicesse: “Io ti credo solo se mi giuri che non
mi stai dicendo una bugia”, questo distruggerebbe
qualsiasi rapporto.
2. Le fonti della teologia morale
Come rispondere a Curran?
2. Non è vero che il Magistero non si sia mai
espresso in forma solenne in materia morale.
• Concilio di Trento: l’indissolubilità del
matrimonio canonicamente celebrato (G.
Grisez).
2. Le fonti della teologia morale
Come rispondere a Curran?
3. Ci sono anche verità morali insegnati dal
magistero ordinario universale:
• Tutti i vescovi in unanimità tra di loro, nel corso
di tutta la storia hanno sempre insegnato delle
verità morali anche se non li hanno mai definite.
• Ad es. «Non uccidere; non commettere adulterio»
• Questo corso di insegnamento ha un valore
infallibile, anche se l’infallibilità non è stata
dichiarata o definita.
2. Le fonti della teologia morale
Come rispondere a Curran?
4. Il magistero ordinario del Santo Padre è un
Magistero che molto spesso si fa voce del Magistero
ordinario universale.
• Nelle encicliche il Papa talvolta parla con un’autorità
che non è sola la sua propria ma che è l’autorità del
Papa in quanto capo del collegio dei vescovi.
• Nell’enciclica Evangelium vitae Giovanni Paolo II
parla di tre argomenti, cioè: l’uccisione diretta di una
persona innocente, l’aborto, e l’eutanasia.
• In tutti e tre di questi casi cita esplicitamente Lumen
gentium 25, dando voce al Magistero ordinario
universale (EV nn. 57, 62, 64).
2. Le fonti della teologia morale
Come rispondere a Curran?
4. Il magistero ordinario del Santo Padre è un
Magistero che molto spesso si fa voce del Magistero
ordinario universale.
• Un’enciclica ha il valore del magistero ordinario.
• Però qui si fa voce del Magistero ordinario universale.
• Il Papa aveva convocato un sinodo dei vescovi e aveva
consultato i vescovi con una lettera prima di scrivere
la sua enciclica.
• Quindi, anche se l’insegnamento non è formalmente
infallibile in quanto Magistero ordinario, è però
infallibile in quanto basato sull’infallibilità del
Magistero ordinario universale.
2. Le fonti della teologia morale
• La posizione di Curran non è sostenibile per un
teologo cattolico.
• Essendo in dissenso con la Chiesa a lui è stata
ritirata la missio canonica.
• Quelli che ascoltano hanno il diritto di sapere
che chi insegna la teologia è in accordo con la
dottrina della Chiesa.
• Se uno non insegna la dottrina della Chiesa,
allora è come se lui tradisse gli interlocutori.
2. Le fonti della teologia morale
• Il tema del dissenso è stato forte nel dibattito nella
Chiesa in particolare riguardo a Humanae vitae.
• Essendo un’enciclica, è magistero ordinario del
Papa.
• Ma riflette un insegnamento precedente e si fa
voce di una grande tradizione della Chiesa.
• Pio XI Casti Connubii (1930): «E poiché l’atto del
coniugio è, di sua propria natura, diretto alla
generazione della prole, coloro che nell’usarne lo
rendono studiosamente incapace di questo effetto,
operano contro natura, e compiono un’azione
turpe e intrinsecamente disonesta».
2. Le fonti della teologia morale
• Pio XII, Discorso alle ostetriche, 29 ottobre 1951:
«Ogni attentato dei coniugi nel compimento dell'atto
coniugale o nello sviluppo delle sue conseguenze
naturali, attentato avente per scopo di privarlo della
forza ad esso inerente e di impedire la procreazione
di una nuova vita, è immorale».
• «Questa prescrizione è in pieno vigore oggi come
ieri, e tale sarà anche domani e sempre, perché non
è un semplice precetto di diritto umano, ma
l'espressione di una legge naturale e divina».
• Poi questo insegnamento è stato confermato da
tantissimi altri interventi dei papi (Paolo VI,
Giovanni Paolo II, Benedetto XVI).
2. Le fonti della teologia morale
• Giovanni Paolo II (Congresso “HV 20 anni
dopo”): L’insegnamento di Humanae vitae non è
«una dottrina inventata dall’uomo […] Metterla
in discussione, pertanto, equivale a rifiutare a
Dio stesso l’obbedienza della nostra
intelligenza».
• Valutazione teologica: l’insegnamento del
magistero ordinario in Humanae vitae è
espressione del magistero ordinario universale.
• Essendo espressione del magistero ordinario
universale è infallibile.
2. Le fonti della teologia morale
La ragione umana
• La ragione trova la legge morale e interpreta
l’esperienza morale
• S. Paolo: «Quando i pagani, che non hanno la legge,
per natura agiscono secondo la legge, essi, pur non
avendo legge, sono legge a se stessi; essi dimostrano
che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori
come risulta dalla testimonianza della loro
coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li
accusano ora li difendono» (Romani 2, 14-15).
• L’uomo trova in sé una legge non scritta interiore,
universale, comune, accessibile alla ragione: la legge
naturale.
2. Le fonti della teologia morale
• C.S. Lewis, L’abolizione dell’uomo: parla del Tao, che è
il modo cinese di parlare della legge naturale.
• Lewis riporta gli elementi fondamentali della legge
morale che trovano espressione nelle culture più
diverse: dalla Cina, dall’Egitto, dalla Grecia.
• “Onora il padre e la madre”, “non uccidere”, “non
rubare”.
• Tutte le grandi tradizioni morali e religiose
dell’umanità, nei vari continenti e nelle diverse
epoche, erano sempre sostanzialmente concordato su
questi fondamenti di vita morale.
• Essenzialmente la legge naturale trova espressione nei
10 comandamenti (S. Ireneo, S. Tommaso).
2. Le fonti della teologia morale
L’uomo virtuoso conosce per connaturalità
• L’esperienza morale illuminata dai principi della
legge naturale diventa essa stessa una sorgente di
interpretazione.
• Aristotele: l’uomo virtuoso è la misura vivente della
vita morale, perché a lui appare bene ciò che è bene in
realtà.
• La percezione della verità morale non è un fatto
puramente di ragione, ma dipende dalle disposizioni
affettive del soggetto.
• Non si conosce la verità morale con la stessa facoltà
con cui si conosce un teorema di matematica.
• Lì basta l’intelligenza.
2. Le fonti della teologia morale
L’uomo virtuoso conosce per connaturalità
• Nella conoscenza della verità morale tutto il
soggetto, con le sue disposizioni virtuose, è
implicato.
• Talvolta una persona che non ha studiato tanto
ma che ha vissuto bene ha un giudizio morale
più sicuro che una persona che è più intelligente
e ha studiato bene ma che non ha vissuto bene.
• L’intelligenza non è un ostacolo alla conoscenza
morale, ma l’intelligenza deve essere
accompagnata dalle virtù morali.
2. Le fonti della teologia morale
Rapporto tra le scienze umane e la morale
• Qual è il contributo che possono dare le scienze
umane:
la psicologia,
la sociologia, la medicina,
l’antropologia culturale, ecc.?
• Caratteristica di queste scienze: applicano il
metodo scientifico alla conoscenza dell’uomo.
2. Le fonti della teologia morale
Rapporto tra le scienze umane e la morale
• Cosa deve fare la teologia morale in rispetto a
queste scienze?
Deve rifiutarli o ignorali?
Assumerli come criterio della moralità?
Tra questi due atteggiamenti c’è quello di
un’assunzione critica.
2. Le fonti della teologia morale
• Le scienze umane possono dare molto ma non sono
il criterio ultimo del bene e del male.
• La teologia morale deve assumere queste scienze
criticamente e inserirli all’interno della propria
prospettiva.
• Si deve tener presente che le scienze umane sono
una modalità storica culturale di conoscenza
dell’uomo.
• Per approfondire:
Alberto Strumia, Introduzione alla filosofia delle scienze
Thomas Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche
Hans Jonas, Organismo e libertà
2. Le fonti della teologia morale
Il metodo scientifico
• Le scienze umane nascono con l’applicazione
del metodo scientifico all’uomo stesso.
• Storicamente era Galileo Galilei ad introdurre
questo metodo.
• I principi fondamentali del metodo
scientifico:
a) quantità misurabili
b) l’esperimento
c) oggettività
2. Le fonti della teologia morale
Il metodo scientifico
a) Quantità misurabili
• Galileo Galilei non si interessa più delle essenze e
in ciò si distingue da Aristotele.
• Ciò che conta per la nuova scienza non sono le
qualità ma le quantità:
Ciò che si può pesare, contare, quantificare
• In quanto considera solo le quantità misurabili, il
metodo scientifico tende ad essere riduttivo.
• Cerca di ridurre le qualità alle quantità.
• Come tale è legittimo introdurre un criterio per
delimitare la ricerca.
2. Le fonti della teologia morale
Il metodo scientifico
a) Quantità misurabili
• Un problema sorge quando si dimentica che
la realtà è più grande di questo criterio.
• Poi la scienza con il suo metodo scientifico
diventa scientismo.
• Le cose più belle e più profonde
della vita non sono misurabili.
• Come si può misurare l’amore?
2. Le fonti della teologia morale
Il metodo scientifico
b) L’esperimento
• Per trovare le leggi della natura espresse in quantità
misurabili il metodo scientifico fa uso
dell’esperimento.
• L’esperimento non equivale l’esperienza.
• Si tratta di una prova costruita dallo scienziato per
strappare dalla natura i suoi segreti.
• «I segreti della natura si mostrano meglio sotto la
pressione dell’arte, che secondo il loro corso naturale»
(F. Bacone)
• Qual è il segreto della natura? Le leggi matematiche
che la costituiscono.
2. Le fonti della teologia morale
c) Oggettività: prescinde dal soggetto
• Si presenta come un metodo oggettivo, neutrale e
universale.
• L’esperimento deve essere ripetibile da qualsiasi
persona in qualsiasi luogo.
• Ma: è impossibile mettere tra parentesi il soggetto.
• Anche nelle forme più neutrale delle ricerche
scientifiche c’è sempre il soggetto che esprime i
suoi desideri.
• La ricerca è motivata.
• Le risposte sono pre-giudicate già dalle domande.
2. Le fonti della teologia morale
Il fascino della scienze moderna
• Il fascino della scienza moderna sta nella sua
efficacia pratica.
• F. Bacone: scientia potestas est.
• La scienza moderna non è solo un’impresa di
conoscenza ma un progetto per trasformare il
mondo.
• La scienza e la tecnica oggi per forza vanno
insieme.
2. Le fonti della teologia morale
Il fascino della scienze moderna
• Th. Hobbes: Conoscere una cosa vuol dire poter
immaginare «quel che potremmo fare con essa
quando la possedessimo».
• La scienza moderna si accredita come
promotore maggiore del progresso umano.
• Sarebbe la scienza a rendere l’uomo felice e a
migliorare la vita.
2. Le fonti della teologia morale
Lo scientismo:
• Si tratta di una deriva culturale con due
caratteristiche principali:
1. Il positivismo: solo ciò che è misurabile è
conoscibile.
 La scienza moderna diventa l’unico criterio
di verità.
2. L’imperativo tecnologico: ciò che si può fare si
deve fare per non fermare il progresso della
scienza.
 Chiunque ponessi un limite alla
sperimentazione è il nemico dell’umanità.
2. Le fonti della teologia morale
Lo scientismo:
• Giovanni Paolo II, Evangelium vitae n. 22: la
natura come mater viene ridotta a materia e poi a
materiale.
• La natura è materiale di fronte all’arbitraria
volontà umana di potere e di trasformazione.
• Marc Jongen: “Der Mensch ist sein eigenes
Experiment”. L’uomo è esperimento di se stesso.
2. Le fonti della teologia morale
Rapporto tra scienze umane e antropologia
• Quando la teologia morale si trova di fronte
ad “un dato scientifico”, bisogna assumerlo
criticamente, cioè
• di criticarne i presupposti.
• Poi deve assumere quel dato nella
prospettiva di un’antropologia integrale.
• Così diventa utilizzabile la conoscenza
scientifica.
2. Le fonti della teologia morale
Rapporto tra scienze umane e antropologia
• Esempio: La psicologia ci dà una conoscenza
realistica della nostra libertà.
• Può essere che un’indagine psicologica ci dice:
“il fatto è che 80% delle persone fanno questo o
quello.”
• Poi viene detto: “È normale che…”
• Ma la normatività statistica non può mai
diventare normatività etica.
2. Le fonti della teologia morale
Rapporto tra scienze umane e antropologia
• La normalità etica è come la normalità medica.
• Se 80% degli uomini hanno un mal di testa, il
medico non dà una pastiglia ai 20% che non ne
soffrono, affinché anche loro lo avessero.
• Cercherà invece di curare gli 80% che ce
l’hanno.
• Il medico ha della salute
umana un concetto
normativo e non statistico.
2. Le fonti della teologia morale
Rapporto tra scienze umane e antropologia
• La teologia morale non ha un concetto statistico di
normalità e non può elevare la normalità statistica
alla normatività etica.
• La sociologia: guarda alle azioni umane come un
comportamento che si svolge in un contesto sociale.
• Scopre i condizionamenti sociali dell’agire.
• È una cosa cui la teologia morale deve tener conto,
ma criticamente.
• L’antropologia teologica impara tanto dalle scienze
umane: una visione realistica di che cosa è l’uomo
concreto e della sua libertà.
2. Il metodo della teologia morale
• Il metodo della teologia morale consiste in una
circolarità ermeneutica tra la rivelazione e la
ragione (esperienza, etica, scienza).
• Da un lato, l’esperienza morale pone delle
domande alla rivelazione.
• Se uno non avesse un’esperienza morale non
potrebbe percepire il bene e il male e non potrebbe
neanche capire quello che la rivelazione gli dice.
• Dall’altro lato, la rivelazione illumina l’esperienza
morale con il suo significato fondamentale.
• La rivelazione ha il primato ermeneutico.
3. I fondamenti della morale cristiana
I. La felicità
• S. Agostino, De moribus Ecclesiae
catholicae, I, 3, 4: «Di certo tutti vogliamo
vivere felici e nel genere umano non c’è
nessuno che non dia il proprio assenso a
questa proposizione, prima ancora che
sia completamente formulata».
• Non c’è un’azione umana che sfugga
questa dinamica ricerca della felicità.
• Ma che cosa è la felicità? Quali sono le
vie per realizzare la felicità? Queste sono
le domande fondamentali della morale.
3. I fondamenti della morale cristiana
Gli obbiezioni di Kant
Immanuel Kant, I fondamenti di una metafisica
dei costumi
a. La morale fondata sulla felicità sarebbe
una morale soggettiva, soggettivistica.
• Ognuno della felicità ha l’idea che gli pare. Tutto
diventa soggettivo.
b. Una morale basata sulla felicità è una morale egoistica.
• Kant: chi cerca il proprio bene è interessato.
• Il fondamento della morale perciò non è il bene ma il
giusto.
• È qui la grande differenza tra la morale classica e la
morale moderna.
3. I fondamenti della morale cristiana
Che cosa si può rispondere a Kant?
Ad primum: soggettivismo
• Non è vero che una morale basata sulla felicità sia
necessariamente soggettivistica.
• Dipende dal concetto di felicità
• Władysław Tatarkiewicz (Analysis of Happiness,
1976): propone quattro concetti della felicità che
noi riduciamo a due:
L’idea di “soddisfazione soggettiva” o
autorealizzazione soggettiva
l’idea di eudaimonia or beatitudo.
3. I fondamenti della morale cristiana
Che cosa si può rispondere a Kant?
Ad primum: soggettivismo
• L’eudaimonia/beatitudine: contiene non
semplicemente un elemento soggettivo ma anche un
elemento oggettivo.
• S. Agostino, De Trinitate, XIII, 5, 8: «E’ beato colui
che nello stesso tempo ha tutto ciò che vuole e non
vuole nulla di male».
• L’idea di felicità secondo la prospettiva classica
contiene in sé un riferimento alla natura dell’uomo,
come ad un dato oggettivo.
3. I fondamenti della morale cristiana
Che cosa si può rispondere a Kant?
Ad secundum: morale interessata / egoismo
• Quale è l’idea cristiana di felicità/beatitudo?
• La visione amante di Dio, la contemplazione di Dio
nell’amore.
• La felicità sta sempre nel rapporto con un altro/con
un Altro.
• La felicità è incontro, apertura, estasi.
• È uscendo da sé, che uno si trova.
• Il desiderio di felicità muove tutte le nostre azioni e
ci mostra che noi non bastiamo a noi stessi, ma che
abbiamo bisogno dell’altro.
3. I fondamenti della morale cristiana
II. Amore, desiderio e azione
• Maurice Blondel, Azione: La nostra volontà, quando
tende al suo compimento nell’azione, desidera
qualcosa di più grande di quello che la nostra
ragione può immaginare.
• Ogni nostra azione è il tentativo di raggiungere
quella felicità.
• E’ un tentativo sempre fallito, perché noi non
possiamo dare un oggetto adeguato al nostro volere.
• L’unica soluzione è aspettare che qualcun altro ci
dia un oggetto adeguato al nostro volere.
3. I fondamenti della morale cristiana
• «Sidera» in latino significa stelle.
• «De-siderare»: togliere lo sguardo dalle stelle, ma nello
stesso tempo segretamente continuare a cercarle.
• Il desiderio è l’inquietudine della volontà umana che
cerca in mezzo delle cose finite le cose infinite.
• Dal punto di vista teologico la risposta è
soprannaturale.
• Desideriamo qualcosa che va oltre le capacità della
nostra natura.
• Desideriamo di vedere Dio: desiderium naturale
videndi Deum (S. Tommaso, Summa contra gentiles, III,
25-50, Summa theologica, I, 12).
3. I fondamenti della morale cristiana
• Si tratta di un desiderio che supera le capacità
della nostra natura.
• Il nostro desiderio più grande è forse senza
risposta? Forse la nostra vita è assurda?
• S. Tommaso: Dio ci ha dato la libertà con la
quale noi possiamo consegnarci ad un amico che
può per noi raggiungere ciò che da soli non
potremmo mai raggiungere.
3. I fondamenti della morale cristiana
• Summa theologica, I-II, 5, 5, ad 1: «La natura non ha
manchevolezze con l'uomo, per non averlo fornito di armi
e di vesti come gli altri animali, poiché gli ha concesso la
ragione e le mani per acquistare codeste cose.
• Allo stesso modo non è manchevole per non avergli
accordato un mezzo per raggiungere la beatitudine;
perché questo era impossibile.
• Ma gli ha donato il libero arbitrio con il quale può
volgersi a Dio, che lo farà beato.
• "Infatti", dice Aristotele, "quello che possiamo mediante
gli amici in qualche modo lo possiamo da noi stessi».
• Il ponte tra il desiderio naturale di vedere Dio e il fine che
è Dio è dato dalla nostra libertà che si affida a Cristo
come amico.
3. I fondamenti della morale cristiana
• Alla radice della nostra azione sta un bene che
desideriamo.
• S. Tommaso: Amor precedit desiderium: l’amore sta
prima del desiderio.
• Tommaso: Quando noi ci progettiamo verso quello
che ci manca, lo facciamo perché in qualche modo ci
è già stato dato.
• Ogni azione nasce da un amore, che è la passione più
fondamentale dell’uomo.
• Non ci potrebbe essere nessun desiderio se non a
partire da una certa esperienza del bene.
3. I fondamenti della morale cristiana
• S. Tommaso parte dall’unione affettiva che tende
all’unione reale.
• L’amore è l’unione affettiva.
• Tutto questo è un livello che non è scelto ma che
accade.
• Porto dentro di me l’immagine di colui o colei
che mi ha colpito.
3. I fondamenti della morale cristiana
• L’amare (come atto) è un movimento che porta
da questa unione affettiva all’unione reale.
• Il dinamismo dell’amore va dalla presenza
dell’amato all’incontro con l’amato e quindi alla
comunione con l’amato che comporta la gioia.
• S. Tommaso: Sth I-II, 28,6: “Ogni agente,
qualunque esso sia, compie qualsiasi atto per un
qualche amore.”
4. Gli atti umani
La distinzione tra atto umano e atto dell’uomo:
• Un atto umano (actus humanus) è un atto che
compiamo liberamente e consapevolmente.
• Un atto dell’uomo (actus hominis) è ciò che
facciamo senza coinvolgimento della nostra
volontà e inconsapevolmente.
• Ogni atto umano è un atto morale, cioè, è
moralmente significativo.
4. Gli atti umani
Importanza degli atti umani
• La loro importanza sta nel loro carattere di auto-
determinazione.
• S. Gregorio Nisseno: «Noi siamo …, in certo modo, i
nostri stessi genitori, creandoci come vogliamo, e con
la nostra scelta dandoci la forma che vogliamo».
• Con i miei atti determino il mio essere.
• Per questo è importante che miei atti siano
“ordinabile” al bene ultimo, a Dio, in cui trovo la
mia felicità.
• Dio è il bene supremo e solo atti buoni si possono
ordinare a lui.
4. Gli atti umani
Importanza degli atti umani
• Giovanni Paolo, Veritatis splendor, n. 72:
• «La moralità degli atti è definita dal rapporto della
libertà dell'uomo col bene autentico. …
• L'agire è moralmente buono quando le scelte della
libertà sono conformi al vero bene dell'uomo ed
esprimono così l'ordinazione volontaria della persona
verso il suo fine ultimo, cioè Dio stesso: il bene supremo
nel quale l'uomo trova la sua piena e perfetta felicità».
• Con i miei atti liberi sempre mi metto in rapporto col
bene e così prendo anche posizione nei confronti di Dio,
il Bene Supremo.
4. Gli atti umani
Le fonti della moralità degli atti umani
1. L’oggetto
2. il fine / l’intenzione
3. le circostanze
• Perché un atto sia buono, tutti e tre devono essere
buoni; perché un atto sia cattivo, basta che uno di
questi aspetti dell’atto sia cattivo.
• Pseudo-Dionigi l’Areopagita: «Bonum ex integra
causa, malum ex quocumque defectu».
4. Gli atti umani
Le circostanze
• Ad esempio: chi, che cosa, dove, con quale mezzo,
come, quando
L’intenzione
• Le intenzioni cattive distruggono la bontà di ogni
atto.
• Le intenzioni buoni non possono rendere buono un
atto in sé cattivo.
• Ma quando parliamo dell’atto-in-sé, siamo già
arrivati alla discussione dell’oggetto dell’atto.
4. Gli atti umani
L’oggetto morale nella “manualistica”:
• La manualistica pensava dell’oggetto prima di tutto
come l’atto fisico, che si vede dall’esterno.
• D. Prümmer: La moralità di un atto è una qualità
estrinseca che deriva dal paragone dell’atto con la legge.
• Una persona che prende una pistola e spara ad un’altra.
• Che cosa sta facendo?
• E’ omicidio?
• O un atto di legittima difesa?
4. Gli atti umani
L’oggetto morale nella “manualistica”:
• La legittima difesa viene intesa da questo tipo di
morale come un’eccezione al “non-uccidere”.
• Una morale della legge guarda l’atto umano
dall’esterno del soggetto che agisce, lo paragona
con la legge.
• Un tale modo di guardare all’atto umano
necessita una teoria delle eccezioni.
4. Gli atti umani
• Ma è vera questa prospettiva?
• Due atti, che dal di fuori sembrano eguali,
possono essere totalmente diversi.
• Alzare la mano:
uno studente chiede la parola
S. Massimiliano Kolbe offre la sua vita
• Ciò che facciamo non può essere descritto
solo in termini dell’atto esterno.
• Ma non può neanche essere descritto in
termini dell’intenzione ulteriore.
4. Gli atti umani
Una concezione adeguata dell’oggetto morale ci viene
proposta dall’enciclica Veritatis splendor, n. 78:
• «La moralità dell'atto umano dipende anzitutto e
fondamentalmente dall'oggetto ragionevolmente scelto dalla
volontà deliberata, […]
• Per poter cogliere l'oggetto di un atto che lo specifica
moralmente occorre quindi collocarsi nella prospettiva
della persona che agisce.
• Infatti, l'oggetto dell'atto del volere è un
comportamento liberamente scelto». [continua…]
4. Gli atti umani
Veritatis splendor, n. 78:
• «Per oggetto di un determinato atto morale non si
può, dunque, intendere un processo o un evento di
ordine solamente fisico, da valutare in quanto
provoca un determinato stato di cose nel mondo
esteriore».
Agire non vuol dire semplicemente produrre degli
effetti nel mondo esteriore.
L’oggetto non è semplicemente l’atto esterno.
• Esso è «il fine prossimo di una scelta deliberata, che
determina l'atto del volere della persona che agisce».
4. Gli atti umani
S. Tommaso, Summa theologica, I-II, 19, 3:
• «La bontà della volontà dipende dall’oggetto».
• «L’oggetto viene proposto alla volontà dalla ragione.
• Infatti la volontà ha come suo oggetto proporzionato
il bene intellettualmente conosciuto».
• La volontà è l’appetito razionale.
• Il suo oggetto è il bene appreso dalla ragione.
• Appartiene alla ragione di ordinare.
• Si ordina in vista di un fine.
• Ecco per cui l’oggetto è «il fine prossimo di una scelta
deliberata»
4. Gli atti umani
Esempio:
• Signor Schmidt è il capo di
un’impresa di costruzione con
100 impiegati.
• Si trova in difficoltà economiche.
• Il Signor Schmidt va da un’ufficiale, riempie un
assegno di 10 000 euro e glielo dà.
• Poco dopo riceve l’incarico di
costruire un nuovo edificio
pubblico.
• Che cosa ha fatto?
4. Gli atti umani
1. Egli ha scritto il suo nome su un foglio di carta.
• Non è l’oggetto ma la materia circa
quam/ l’actus externus
• Si tratta di un “che cosa” che non
contiene nessun “perché”.
• Non scegliamo mai un atto solo sotto
questa descrizione.
• L’atto esterno è un’astrazione.
• L’oggetto è proposto alla volontà dalla ragione.
• La ragione ordina verso un fine, il «fine prossimo»,
senza il quale l’atto rimane inintelligibile.
4. Gli atti umani
1. Egli ha scritto il suo nome su un foglio di carta.
• Firmiamo un assegno, indichiamo
che siamo autori di un testo…
• Ma mai semplicemente scriviamo
il nostro nome su un foglio di carta.
• Similarmente, nessuno ha mai
semplicemente «rapporti sessuali».
• Non è mai questo il modo in cui la
ragione presenta alla volontà l’oggetto della scelta.
• Si coglie se si è sposato con questa persona o meno
– un dato essenziale che viene colto dalla ragione.
4. Gli atti umani
2. Il Sig. Schmidt ha salvato 100 posti di lavoro.
• Non si tratta dell’oggetto, ma
piuttosto del fine remoto, del-
l’intenzione ulteriore/del finis operantis
• Si tratta di un “perché” che
non contiene più un “che cosa”.
• «Salvare 100 posti di lavoro» si può
realizzare in diversi modi.
• Si può fare diverse cose e non salvare nessun
posto di lavoro.
4. Gli atti umani
2. Il Sig. Schmidt ha salvato 100 posti di lavoro.
• Si può salvare dei posti di lavoro senza
andare da un ufficiale.
• Si può andare da un ufficiale, dargli un
assegno e non salvare nessun posto di lavoro.
• L’oggetto morale è l’oggetto di una scelta
deliberata, cioè, necessariamente qualcosa
che possiamo scegliere.
• Non si può scegliere di salvare 100 posti di
lavoro, ma si può soltanto desiderarlo.
• Per arrivarci occorre che si faccia qualcosa: e
questo «qualcosa» è l’oggetto dell’atto.
4. Gli atti umani
3. Il Sig. Schmidt ha corrotto un ufficiale pubblico.
• E’ questo l’oggetto del suo atto.
• E’ il fine prossimo di ciò che sta facendo, il fine
operis.
• Si tratta di un «che» che contiene anche un
«perché».
• E’ questo che può essere l’oggetto di una scelta
deliberata.
• Il bene colto dalla ragione è l’oggetto dell’atto.
• «Corrompere un ufficiale pubblico» – è questo
come la ragione presenta ciò che sta facendo il Sig.
Schmidt alla sua volontà.
4. Gli atti umani
3. Il Sig. Schmidt ha corrotto un ufficiale
pubblico.
• La ragione ordina verso un fine.
• L’oggetto dell’atto non è mai una cosa ma
una scelta specificata da un fine particolare.
• M. Rhonheimer: L’oggetto della scelta di
rubare un cavallo non è il cavallo, ma l’atto di
rubarlo.
5. Le virtù
Le virtù come principi dei nostri atti
• Nella nostra situazione storica ci troviamo
fragili nel compiere il bene.
• Lo facciamo con difficoltà, con instabilità, con
tristezza.
• Le virtù sono dei modi di essere delle nostre
facoltà, che ci preparano a compire gli atti
buoni.
• Ci permettono di compiere gli atti buoni con
facilità, con stabilità, e con gioia.
5. Le virtù
• Etimologicamente, la parola “virtù” significa
«forza» e indica la perfezione di un potere.
la “virtù” di essere un corridore veloce
le virtù intellettuali: la scienza
• Le virtù artistiche o intellettuali perfezionano solo
certi aspetti dell’essere umano.
• Le virtù che perfezionano l’essere umano in
quanto essere umano sono le virtù morali.
• S. Tommaso li definisce, citando S. Agostino,
come “qualità buone dell’anima, che ci
permettono di vivere giustamente e delle quale
nessuno può fare un uso cattivo” (Sth I-II, 55,4).
5. Le virtù
• Le virtù sono delle modificazioni del nostro essere,
una seconda natura.
• Sono delle disposizioni stabili che perfezionano le
facoltà dell’anima.
• Nella terminologia scolastica queste disposizioni
attivi vengono chiamate con il nome di habitus.
• Habitus ≠ “abitudine”
• S. Pinckaers: La virtù è un habitus simile alla
capacità di parlare una lingua o
alla capacità di suonare uno
strumento musicale.
• Una virtù è una qualità
acquistata o infusa dell’anima.
5. Le virtù
• Quando agiamo virtuosamente siamo
pienamente presenti a noi stessi nell’agire.
• Le virtù non riducono la nostra spontaneità o la
nostra libertà, ma piuttosto la aumentano.
• Ci fanno vedere il bene più chiaramente e ci
aiutano a compirlo più facilmente.
• R. Spaemann: le virtù ci rendono più liberi
perché ci aiutano a fare ciò che vogliamo
veramente.
5. Le virtù
• La virtù non toglie la necessità della scelta, ma ci
stimola di scegliere bene.
• La virtù è un habitus electivus (Tommaso
d’Aquino, In Ethic. 382, lib. 3, lect. 1): una
disposizione stabile a scegliere bene.
• La virtù non ci dice quale atto faremo; dobbiamo
essere creativi nella virtù.
• Un atto giusto non sarà sempre lo stesso.
• La giustizia ci predispone a scegliere
giustamente, non predispone l’oggetto della
scelta.
5. Le virtù
• La virtù è un habitus che perfeziona le facoltà
dell’anima.
• Quali sono le facoltà dell’anima?
la ragione (l’oggetto: il vero)
la volontà (l’oggetto: il bene colto dalla ragione)
il potere irascibile (l’oggetto: il bene arduo)
il potere concupiscibile (l’oggetto: il bene
sensibile; i piaceri sensibili)
• Tutti e quattro i poteri sono aperti a essere
perfezionati “abitualmente”; possono essere
informati dalle virtù: le quattro virtù cardinali.
5. Le virtù
1. La prudenza è la perfezione della ragione pratica.
• E’ una virtù intellettuale, ma
intimamente collegata alle virtù
morali, perché è ordinata all’agire.
• Dispone la ragione pratica a discernere
in ogni circostanza il nostro vero bene
e a scegliere i mezzi adeguati per
compierlo.
• Discerne ciò che è da fare qui ed ora.
• S. Tommaso, Sth, II-II, 47, 2: La prudenza è la “recta
ratio agibilium”: la retta misura delle cose pertinenti
all’azione.
5. Le virtù
• Non si tratta della timidezza o paura.
• La prudenza è “l’auriga virtutum” - cocchiere delle
virtù (S. Bernardo di Chiaravalle): essa dirige le altre
virtù indicando la loro regola e misura.

• Tutte le virtù cardinali sono connesse nella


prudenza (S. Tommaso).
5. Le virtù
• E’ l’auriga che tiene le briglie del cavallo.
• Senza cavalli non si gira di nessuna parte.
• Ma “power without control is nothing”.
• La prudenza ha bisogno delle virtù morali perché esse
ci danno la connaturalità con il bene – ci danno la
“spinta” verso il bene.
Se uno non è virtuoso, non ragiona bene
moralmente.
• Le virtù morali hanno bisogno della prudenza perché
essa gli dà la loro direzione – l’intelligenza nel bene.
Senza la prudenza ci sono solo abitudini.
5. Le virtù
2. La giustizia è la perfezione della volontà.
• È la virtù morale che consiste nella
costante e ferma volontà di dare a
Dio e al prossimo ciò che è loro
dovuto.
5. Le virtù
3. La fortezza è la perfezione del nostro appetito
irascibile.
• Assicura la fermezza e la costanza
nella ricerca del bene e nell’evitare
il male.
• L’uomo coraggioso confronta
le difficoltà e i pericoli nel modo
giusto senza timidezza ma anche
senza avventatezza.
5. Le virtù
4. La temperanza è la perfezione dell’appetito
concupiscibile.
• La temperanza non implica la
soppressione del desiderio ma il
giusto ordinamento del desiderio.
• Integra il nostro appetito
concupiscibile nell’ordine della
ragione.
• Ci fa desiderare i piaceri onesti e ci fa
detestare i piaceri disonesti.
5. Le virtù
• S. Tommaso: «I poteri irascibile e concupiscibile non
obbediscono alla ragione ciecamente. Hanno il loro
proprio movimento, che qualche volta può andare
contro la ragione.»
• La ragione non li governa con un comando
dispotico, come l’anima governa il corpo, ma con un
comando politico, con il quale sono governati
uomini liberi, che hanno una volontà propria.
• Con questo comando politico è possibile integrare i
poteri irascibili e concupiscibili nell’ordine della
ragione:
• E’ qui che stanno le loro virtù.
5. Le virtù
La conoscenza per connaturalità
• Aristotele: “Il fine appare a ciascuno caso per
caso, tale quale ciascuno anche è” (EN III,5).
• Come qualcuno è, così il fine appare a lui.
• L’uomo virtuoso vedrà più chiaramente ciò che è
buono in una situazione particolare.
• Le virtù qualificano il nostro essere e per questo
hanno anche un impatto importante sulla nostra
conoscenza morale.
5. Le virtù
Le tre virtù teologali:
• Sono infuse dalla grazie.
• Rendono le facoltà dell'uomo idonee alla
partecipazione alla natura divina (2 Pietro 1, 3-4).
• Si riferiscono direttamente a Dio.
• Hanno come origine, causa ed oggetto Dio Uno
e Trino.
5. Le virtù
1. La fede:
• è la virtù teologale per la quale noi crediamo in
Dio e a tutto ciò che egli ci ha detto e rivelato, e
che la Santa Chiesa ci propone da credere,
perché egli è la verità. [cfr. CCC 1814]
• È la perfezione della nostra ragione.
5. Le virtù
2. La speranza:
• Il suo oggetto è duplice.
• Principalmente è Dio / la beatitudine eterna come
un bene futuro, arduo, ma possibile da ottenere.
• Secondariamente il suo oggetto è l’aiuto divino –
l’aiuto dell’Amico – che ci permette di raggiungere
questo fine.
• È la perfezione della volontà in quanto la volontà è
in movimento verso il suo fine, sperando di ottenere
il bene che è Dio.
• Cfr. Sth II-II, 17; CCC 1817-1818
5. Le virtù
3. La carità:
• Ci fa amare Dio sopra ogni cosa per se stesso, e il
nostro prossimo come noi stessi per amore di Dio.
• E’ la perfezione della nostra volontà in quanto c’è
già una certa unione spirituale tra Dio e l’uomo.
• E’ una certa di amicizia con Dio (S. Tommaso).
• E’ la forma delle virtù: anima e ispira il loro
esercizio, è sorgente e termine della loro pratica.
• La pratica della vita morale animata dalla carità dà
al cristiano la libertà spirituale dei figli di Dio.
• [CCC 1822; 1827; 1828]
6. Il merito e le beatitudini
Il merito
• Come gli atti umani si inseriscono nella prospettiva
teologica?
• Dobbiamo guardare allo scopo per il quale noi
siamo stati creati.
• Dal punto di vista oggettivo, il fine ultimo si chiama
finis cuius gratiae, cioè il fine cui si gode.
Dio è lo scopo della nostra vita.
• Dal punto di vista soggettivo, il fine ultimo si chiama
finis quo, cioè, l’atto umano con cui ci si unisce con
Dio.
L’atto beatifico è lo scopo della nostra vita.
6. Il merito e le beatitudini
Il merito
• STh I-II, 3, 1: «Il fine può indicare due cose.
L'oggetto che desideriamo conseguire: e così l'avaro
ha il suo fine nelle ricchezze. [finis cuius - oggettivo]
• Oppure il conseguimento stesso, il possesso, ovvero
l'uso o godimento dell'oggetto desiderato: e allora il
possesso delle ricchezze è il fine dell'avaro. [finis quo
- soggettivo]
• Fine ultimo dell'uomo nel primo senso è il bene
increato, cioè Dio …
• Invece nel secondo senso l'ultimo fine dell'uomo è
qualche cosa di creato esistente in lui, è cioè il
conseguimento, o fruizione dell'ultimo fine».
6. Il merito e le beatitudini
• Perché Dio mi ha creato? Perché io possa vederlo.
• “Questa è la vita eterna, che conoscano te, il solo
vero Dio” (Gv 17, 3).
• Nei termini biblici, conoscere non è semplicemente
conoscere con la testa. E’ unione. E’ amare.
• È un’unione che ha un aspetto razionale,
conoscitivo, e un aspetto affettivo.
• S. Tommaso: l’aspetto razionale ha un primato.
• Il primato dell’aspetto razionale impedisce che
l’aspetto affettivo, la soddisfazione soggettiva,
diventi la prima cosa.
6. Il merito e le beatitudini
• Il fine ultimo che è l’atto perfetto è la beatitudine.
• Questo atto perfetto non possiamo compierlo in
questa vita.
• “Nessuno può vedere Dio e vivere” (Esodo 33, 20).
• Ma possiamo prepararlo tramite gli atti della vita
terrena.
• La beatitudine è soprannaturale.
• Dio ci dona la capacità di meritare ciò che da soli
non potremmo mai ottenere.
• Un atto meritorio è un atto umano proporzionato
alla beatitudine eterna, al fine ultimo.
6. Il merito e le beatitudini
• Perché ci sia merito ci devono essere tre cose:
1. L’atto deve essere un atto umano,
2. deve essere un atto moralmente buono,
3. e deve essere un atto nella carità.
• Se ha questi tre elementi, allora è un atto che mi
prepara al fine ultimo.
• E’ un atto che anticipa il fine ultimo nella mia
vita, mi fa già godere Dio.
• Questo tipo di atti si chiamano le beatitudini.
6. Il merito e le beatitudini
Le beatitudini
• Le beatitudini sono gli atti umani compiuti nella
sequela di Cristo povero, mite, umile …
• Le beatitudini sono atti che ci fanno anticipare l’atto
perfetto – la beatitudine.
• Un’anticipazione misteriosa e paradossale: nella
persecuzione e nella sofferenza
• Le beatitudini sono quello che possiamo sperimentare
in questa vita della visione di Dio.
• Ci fanno pregustare la felicità eterna.
• Non c’è una separazione tra questa vita e l’altra.
• Nell’agire umano c’è un’anticipazione della gioia finale.
7. La legge naturale
La razionalità pratica
• conoscenza speculativa vs. conoscenza pratica
La razionalità pratica ha una sua originalità.
G.E.M. Anscombe (1919-2001), Intention
(1957)
Wolfgang Kluxen, Philosophische Ethik bei
Thomas von Aquin (1964)
7. La legge naturale
La razionalità pratica
• Un sillogismo speculativo:
1. Tutti gli uomini sono mortali.
2. Socrate è un uomo.
\ Socrate è mortale.
• Parte da una proposizione universale attraverso
un termine medio e arriva ad una conclusione
che è di carattere speculativo.
7. La legge naturale
Il sillogismo pratico è diverso.
1. Non si devono uccidere gli uomini.
2. Questo è omicidio.
\ Non posso fare questo atto che è
omicidio.
Oppure:
1. Occorre compiere atti di giustizia.
2. Questo è un atto di giustizia.
\ Compio questo atto di giustizia.
7. La legge naturale
• Aristotele: l’originalità del sillogismo pratico: la
conclusione non è un’idea ma un’azione.
• Come si può passare da un ragionamento ad
un’azione?
• Come si può passare da un’affermazione sull’essere
ad un’affermazione sul dover essere, o addirittura ad
un’azione?
• David Hume (1711-1776), A Treatise of Human
Nature e G. E. Moore, Principia Ethica (1873-1958)
hanno formulato la cosiddetta “naturalistic fallacy”.
• l’impossibilità di passare da un’affermazione
sull’essere ad un’affermazione sul dover essere
7. La legge naturale
• Come si può passare nel sillogismo pratico da una
premessa universale ad un’azione?
• Solo se già la premessa non è solamente speculativa
ma è già pratica.
• Aristotele: Il mero pensiero non muove nulla.
• L’inizio del ragionamento pratico non è una pura
ragione che coglie il bene solo come un’idea (sotto
l’aspetto dell’essere)
• L’inizio del ragionamento pratico è una ragione che
coglie il bene come un oggetto di un desiderio (sotto
l’aspetto dell’appetibilità).
• La ragione pratica è tutta animata da un desiderio.
7. La legge naturale
• La razionalità speculativa ha come scopo la conoscenza
speculativa.
• La razionalità pratica ha come scopo l’agire.
• La ragione pratica è associata al desiderio, per cui la
conoscenza morale non è mai una conoscenza che
dipenda solo dalla ragione.
• È una conoscenza che dipende dalla rettitudine del
desiderare.
• S. Tommaso: il criterio della verità speculativa è la
conformità dell’intelletto con la cosa, adaequatio re et
intellectus.
• Il criterio della verità pratica è la conformità dell’azione
con l’appetito retto, con ciò che voglio in verità, con il
bene autentico.
7. La legge naturale
Esempio
• Vado al supermercato con una lista di spesa:

• Una spia mi segue e osserva


ciò che sto comprando.
• Mi sbaglio: invece del shampoo compro
un bagno schiuma.
7. La legge naturale
Esempio
• C’è una differenza tra la mia lista e quella della
spia.
• Dal punto di vista speculativo vale ciò che ha
scritto la spia.
• Dal punto di vista pratico c’è uno sbaglio.
• Dov’è lo sbaglio dal punto di vista pratico?
• È nella lista o nell’azione che io ho fatto?
• È nell’azione.
7. La legge naturale
• Il criterio di verità dell’azione è il progetto che
avevo nell’azione: questa è la verità pratica.
• La verità speculativa è la corrispondenza del
pensiero con la cosa.
• La verità pratica è la corrispondenza del mio
agire con il mio progetto/desiderio autentico.
• Il criterio della verità pratica è la corrispondenza
dell’azione con il bene della persona di cui l’idea
è interiore.
• Questo ci porta al concetto di legge naturale.
7. La legge naturale
La legge naturale
• La legge naturale è l’ordine che la ragione fa
nelle azioni dell’uomo, disponendoli verso il fine
adeguato.
• La ragione da sola, anche senza la rivelazione,
può conoscere i criteri fondamentali del bene e
del male.
• Si tratta di una legge interiore, non scritta,
intima, universale, che è una legge della ragione,
e che esprime i principi fondamentali della
moralità.
7. La legge naturale
Due definizioni della legge naturale:
1. Una definizione filosofica:
• La legge naturale è l’ordine che la ragione fa nelle
azioni per dirigere le azioni al bene della persona.
• Il duplice significato della parola “ordine”:
una disposizione armonica e sapiente degli
elementi: “fare ordine”.
un comandamento
• Tommaso d’Aquino: “sapientis est ordinare”.
• L’uomo sapiente conosce il fine delle cose.
7. La legge naturale
• La legge naturale è l’ordine che fa la ragione
dell’uomo, indirizzando le nostre azioni verso il
fine per cui viviamo, verso il bene autentico della
persona.
• La legge naturale è qualcosa di razionale.
• La legge naturale è sapiente in quanto è un
ordine che la ragione fa a partire da un fine.
• L’idea di ordine legata alla sapienza è il
fondamento del comandamento.
7. La legge naturale
Guglielmo di Ockham (1285-1350) e il nominalismo
• «Bonum quia iussum, malum quia prohibitum» Una cosa
è bene perché viene comandata e male perché viene
proibita.
• Il comandamento sarebbe l’espressione di una volontà
arbitraria (volontarismo).
• Dio potrebbe cambiare tutto arbitrariamente – anche i
Dieci Comandamenti.
• S. Tommaso: «Iussum quia bonum, prohibitum quia
malum».
• Una cosa è comandata perché è bene e è proibita perché è
male.
• Il comandamento non è il fondamento della bontà ma
esprime una verità sul bene.
7. La legge naturale
• Il comandamento non è l’espressione della divina
volontà ma è l’espressione della divina sapienza.
• La bontà o la malizia delle azioni non è qualcosa di
estrinseco ma è qualcosa di intrinseco.
• Perché è bene rispettare i genitori?
• Perché quel atto di rispettare i genitori è in se stesso
corrispondente al bene della persona.
• Perché è male uccidere una persona innocente?
• Perché quell’atto di uccidere è in se stesso
contraddittorio al bene della persona.
7. La legge naturale
2. Una definizione teologica della legge naturale:
• La legge naturale è la partecipazione di una creatura
razionale alla legge eterna di Dio.
• La legge eterna è la sapienza di Dio in quanto dispone
tutta la realtà, perché tutta la realtà raggiunga il suo
fine.
• Dio ha creato il mondo dinamicamente, teso verso il
suo fine.
• La sua provvidenza e sua sapienza dispone
diversamente le leggi che guidano il mondo verso il suo
fine.
• Le leggi del mondo fisico: ad es. la gravità
• Le leggi del mondo animale: ad es. gli istinti.
7. La legge naturale
• Quando Dio crea l’uomo, dispone che l’uomo
raggiunga il suo fine in modo diverso e più
eccellente:
non semplicemente attraverso le leggi fisiche
non semplicemente attraverso gli istinti
ma tramite la ragione:
• S. Tommaso: “La natura non ha manchevolezze con
l'uomo, per non averlo fornito di armi e di vesti
come gli altri animali, poiché gli ha concesso la
ragione e le mani per acquistare codeste cose” (STh
I-II, 5, 5, ad1).
• La Provvidenza divina ha disposto che l’uomo possa
essere provvidenza a se stesso (I-II, 91, 2).
7. La legge naturale
• La legge naturale è quel modo eccellente attraverso
cui la ragione umana partecipa nella ragione divina.
• Partecipa nella ragione divina in una maniera
eccellente perché partecipa conoscendo il fine e non
ciecamente, come gli animali.
• La legge naturale è tutt’altro che la legge della
natura o la legge positiva. La legge naturale è la
ragione umana.
• Leone XIII, Libertas praestantissimum (1888):
«Sovrana su tutto: tale è la legge naturale, scritta e
scolpita nell’anima di ogni uomo, poiché essa non è
altro che l’umana ragione che ci ordina di agire
rettamente e ci vieta di peccare».
7. La legge naturale
I principi della legge naturale (I-II 94, 2)
• La legge naturale è “naturale” in quanto appartiene alla
ragione che fa parte della natura umana.
• La ragione umana partecipa nella sapienza divina in
quanto Dio ci ha donato delle prime luci sul bene: i
principi della legge naturale.
• Dio ha inserito nell’uomo l’idea del bene.
• Ci sono delle tendenze della nostra ragione verso i beni
fondamentali della vita.
la vita stessa
il bene dell’unione sessuale
il bene della vita in società
il bene della conoscenza della verità su Dio.
7. La legge naturale
• Queste quattro fondamentali direzioni sono spontanee
nell’uomo.
• Sono gli inclinazioni fondamentali che chiamiamo
inclinazioni naturali.
• A partire di queste quattro inclinazioni naturali verso i
beni, la ragione umana fa la sua ordine e percepisce ciò
che è bene è ciò che è male.
• La synderesis: habitus/disposizione della razionalità
pratica di percepire i primi principi della legge naturale
(i beni fondamentali) e di giudicare il bene e il male.
• Viene chiamato anche: anamnesi: il ricordo del bene
• Il fondamento della synderesis è il primo principio della
ragione pratica: il bene va fatto, il male va evitato.
8. La legge nuova
La Legge Nuova e i comandamenti
• S. Tommaso d’Aquino, La Summa theologiae (I-
II, qq. 106-108): Che cosa è la legge nuova?
• La legge di Cristo, il Vangelo, è una legge scritta
esternamente o una legge scritta interiormente
nel cuore?
• È scritta in un libro o è scritta dentro del cuore?
8. La legge nuova
• Gioacchino da Fiore (*1130 + 1202): un abate
benedettino di Calabria.
• I suoi scritti furono condannati dal IV Concilio
Lateranense in 1215.
• Gioacchino parla delle tre età della storia della
salvezza:
l’età del Padre: l’Antico Testamento
l’età del Figlio: il Nuovo Testamento
l’età dello Spirito Santo: il nuovo Vangelo
annunziato nell’Apocalisse.
• L’età del Figlio, che è l’età dei segni visibili, dei
sacramenti, del Vangelo scritto, sarà superato.
8. La legge nuova
• Gioacchino da Fiore: prima dell’età dello Spirito
Santo verranno due testimoni.
• Poi sono venuti San Domenico e San Francesco.
• Fra Giovanni da Parma, superiore dei francescani,
ha cominciato a seguire la strada di Gioacchino da
Fiore.
• Diceva: l’ordine francescano non è semplicemente
una congregazione fra le altre, ma è la nuova
Chiesa: gli «Spirituali»
• Quando S. Bonaventura (1217-1274) diventa
superiore dei francescani mette in prigione Giovanni
da Parma.
8. La legge nuova
• Joseph Ratzinger: La teologia della Storia in S.
Bonaventura
• Henri de Lubac, La postérité spirituelle de Joachim de
Flore
• Gioacchino da Fiore: la legge nuova è una legge
tutta interiore.
• Alessandro di Hales (1185-1245), francescano e
collega di S. Tommaso a Parigi: La legge nuova del
Vangelo è una legge scritta. E’ il Vangelo scritto.
• Se fosse interiore, si ridurrebbe alla legge naturale.
8. La legge nuova
• Che cosa dice S. Tommaso?
• Nelle realtà composte, c’è qualcosa che è
principale e qualcosa che è secondario.
• Il corpo umano: la cosa principale è la testa,
perché la testa comanda tutto il corpo.
• Questo è “id quod est potissimum”.
• La cosa più decisiva della legga nuova è la grazia
dello Spirito Santo che ci è stata data mediante la
fede in Cristo.
8. La legge nuova
• Poi dice Tommaso: oltre alle cose principali ci sono
le cose secondarie.
• Perché ne abbiamo bisogno?
• Non abbiamo la pienezza dello Spirito, ma abbiamo
solo le sue primizie.
• Tutto lo Spirito è dato a Gesù, noi abbiamo solo i
primi frutti, per cui abbiamo bisogno ancora di cose
scritte, che ci aiutino a vivere il dono dello Spirito.
• La cosa principale è lo Spirito.
• Della legge nuova fanno parte anche precetti di
opere esteriore, perché “il Verbo si è fatto carne.”
8. La legge nuova
• Abbiamo ancora bisogno di un Vangelo scritto, di
autorità, di sacramenti, che finiranno alla fine del
mondo.
• Ma il senso profondo della morale cristiana non è la
morale che viene vissuta solo nella forma del
precetto.
• Non è soprattutto una legge. E’ Spirito Santo, ma ha
bisogno di leggi.
• Però le leggi devono essere poche nella vita cristiana
“affinché la vita concreta del cristiano non sia resa
troppo pesante” (Sth I-II, 107, 4).
• Le leggi sono al servizio dello Spirito.
9. Gli assoluti morali e il proporzionalismo
Che cosa sono gli assoluti morali?
• L’espressione “assoluto morale” indica il fatto che le
norme morali negative valgono sempre e senza
eccezioni (semper et pro semper).
• La norma morale è un giudizio che esprime una
valutazione su un certo tipo di azione: è buono o è
cattivo, si deve fare, si può fare, o non si deve fare.
• La norma morale che qualifica un atto come cattivo
dal suo oggetto mi dice che quell’atto e sempre
proibito, indipendentemente dall’intenzione e dalle
circostanze.
9. Gli assoluti morali e il proporzionalismo
• Joseph Fuchs S.J.: è impossibile valutare
moralmente un atto (per escluderlo)
indipendentemente dalla considerazione delle
intenzioni del soggetto o indipendentemente dalle
circostanze.
• Fuchs dice che non si possono esprimere norme
morali assoluti che abbiano un valore privo di
eccezioni.
• Dice: «Sì, esistono anche delle “norme morali
assolute”, ma queste norme morali assolute sono
tautologiche in quanto già coincidono con il
giudizio di coscienza».
9. Gli assoluti morali e il proporzionalismo
• Gli assoluti morali sarebbero tautologici perché
esprimerebbero nel soggetto della proposizione già il
contenuto morale negativo che si esplicita
nell’oggetto.
• Esempio: “assassinare è male” sarebbe un assoluto
morale.
• Già il concetto di assassino implicherebbe togliere la
vita in una maniera cattiva.
• Per cui l’affermazione “assassinare è male” non
avrebbe nessun valore istruttivo, ma solo un valore
parenetico, cioè ammonitivo.
• Veritatis Splendor n. 79 è stato introdotto proprio per
rispondere a lui.
9. Gli assoluti morali e il proporzionalismo
• Veritatis splendor 79:
• «È da respingere quindi la tesi, propria delle
teorie teleologiche e proporzionaliste, secondo
cui sarebbe impossibile qualificare come
moralmente cattiva secondo la sua specie – il suo
«oggetto» – la scelta deliberata di alcuni
comportamenti o atti determinati prescindendo
dall’intenzione per cui la scelta viene fatta o
dalla totalità delle conseguenze prevedibili di
quell’atto per tutte le persone interessate».
9. Gli assoluti morali e il proporzionalismo
Il proporzionalismo
• L’utilitarismo (Jeremy Bentham, † 1832 e John
Stuart Mill † 1873): è moralmente buono ciò che
utile.
• Il consequenzialismo: ritiene le norme morali siano
definite dal calcolo delle conseguenze.
• Il teleologismo: La norma morale deve considerare il
fine, ma non il fine ultimo, neanche i fini delle virtù,
ma lo scopo dell’agente (finis operantis).
• Max Weber († 1920) distingue tra «etica della
convinzione» e «etica della responsabilità».
9. Gli assoluti morali e il proporzionalismo
• Il proporzionalismo è il modo con cui tutte queste
teorie in fondo sono modi di dire la stessa cosa.
• Il proporzionalismo è una teoria etica che cerca
derivare la moralità di un azione dal calcolo
proporzionato dei beni e mali pre-morali che
seguono da tal azione.
• Il giudizio morale è possibile solo dopo
questa ponderazione dei beni
pre-morali.
• L’azione che produce più beni pre-morali sarebbe
quella moralmente dovuta.
• Presuppone che ogni azione umana produce effetti
buoni e cattivi.
9. Gli assoluti morali e il proporzionalismo
La critica del proporzionalismo
1. Bartholomew Kiely: Il proporzionalismo è
impraticabile
• Non si può prevedere tutte le conseguenze delle
proprie azioni.
• Non si può distinguere tra «conseguenze proprie»
e «conseguenze coincidenti»
• Spesso beni qualitativamente diversi sono
incommensurabili.
9. Gli assoluti morali e il proporzionalismo
2. John Finnis / Derek Parfit: il proporzionalismo è
inconsistente con se stesso nell’atto di proporlo come
teoria.
• Il proporzionalismo mina l’assolutezza della morale.
• Se le persone credessero al proporzionalismo e lo
seguissero, le conseguenze proporzionate per la
società sarebbero cattive.
• Per la società sarebbe meglio che le persone
credessero in una moralità assoluta.
Per ragioni proporzionalistiche, chi è convinto del
proporzionalismo dovrebbe sentirsi moralmente
obbligato di non parlarne a nessuno.
9. Gli assoluti morali e il proporzionalismo
3. Martin Rhonheimer: Il proporzionalismo
concepisce l’agire umano come un evento; sostituisce
l’agire con il fare
• Il proporzionalismo non riesce ad avere la
prospettiva della morale che è la prospettiva del
soggetto che attraverso i suoi atti compie se stesso,
diventa buono o diventa cattivo.
• Guardando solo alle conseguenze, non distingue tra
atto ed evento.
• Riduce l’agire morale al fare, al livello tecnico del
produrre certi effetti, trascurando l’effetto che l’agire
produce su chi lo sceglie.
9. Gli assoluti morali e il proporzionalismo
• Esempio della fioriera
9. Gli assoluti morali e il proporzionalismo
4. Robert Spaemann: Il proporzionalismo prende il
posto di Dio, è l’etica di Dio
• Il proporzionalismo si arroga il posto della divina
provvidenza:
• E’ la provvidenza divina che conduce tutte le cose
verso il loro fine.
• La divina provvidenza dal male può ritrarre il bene.
• «Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio» (Ro
8).
• Dio è responsabile del bene universale dell’universo.
• Il proporzionalismo pretende che siamo responsabile
noi di tutte le conseguenze delle nostre azioni e con
questo anche del bene del mondo intero.
9. Gli assoluti morali e il proporzionalismo
4. Robert Spaemann: Il proporzionalismo prende
il posto di Dio, è l’etica di Dio
• Ma chi è responsabile per tutto diventa
irresponsabile:
fanatismo (Lenin: a noi tutto è permesso)
rassegnazione («Non posso aiutare a tutti…»)
• Sulle nostre spalle non pesa il compito di fare
bene il mondo ma la grave responsabilità di fare
del bene nel mondo.
• Noi abbiamo una responsabilità finita/limitata.
9. Gli assoluti morali e il proporzionalismo
5. Giovanni Paolo II: In quanto mina il senso
dell’assoluto, il proporzionalismo ci togli il senso
della vita.
• Veritatis splendor mostra come il vertice della
morale è il martirio (nn. 90-94).
• Il martirio è un’azione nella quale per la
testimonianza a Dio, si perde la vita fisica.
• Giovenale: «Considera il più grande dei crimini
preferire la sopravvivenza all’onore e, per amore
della vita fisica, perdere le ragioni stessi del vivere»
(Satirae, VIII, 83-84).
9. Gli assoluti morali e il proporzionalismo
5. Giovanni Paolo II: In quanto mina il senso
dell’assoluto, il proporzionalismo ci togli il senso
della vita.
• Se non c’è una ragione per cui vale la pena di
dare la propria vita, non c’è neanche una ragione
per cui vale la pena di vivere.
• Se non abbiamo delle ragioni per dare la propria
vita, saremo gli schiavi della sopravvivenza
fisica.
• Possiamo essere ricattati.
• Le ragioni per morire devono essere assoluti.
• Nessuno né muore né vive per un’ipotesi.
10. Opzione fondamentale, libertà e peccato
Contesto:
• Problematiche di tipo pastorale relative al sacramento
della confessione
• Il Concilio di Trento richiede delle indicazioni precise
riguardo alla confessione: obbligo di confessare tutti i
singoli peccati mortali secondo specie e numero
• Concentrazione sui singoli atti
• Pericolo di una assenza di coinvolgimento personale
• 20° secolo: riflessione sul nesso tra persona e atti:
Cosa significano gli atti nel cammino di una persona?
• Un tipo di atteggiamento diverso: si è passato ad un
altro estremo: il pericolo che si confessano stati
d’animo, non si confessano più gli atti.
10. Opzione fondamentale, libertà e peccato
Una fenomenologia delle nostre scelte:
1. Piccole scelte di ogni giorno
2. Scelte progettuali nelle quali scegliamo una
direzione per la vita
3. Le motivazioni di fondo
• Qual è il motivo profondo della mia scelta? È
difficile comprendere.
10. Opzione fondamentale, libertà e peccato
• Ci sono delle piccole scelte di tutti i giorni che
possono smentire le scelte progettuali ed essere
in contrasto con le mie motivazioni più
profonde.
• Sono livelli diversi in cui la mia libertà si
esercita, si attua, si realizza.
• Il tema dell’opzione fondamentale affronta il
problema della condizione trascendentale
(condizione di possibilità) dei miei atti liberi.
• Ci sono quattro forme di pensare l’opzione
fondamentale.
10. Opzione fondamentale, libertà e peccato
1. Il primo atto libero
• La prima scelta libera, la scelta libera più
importante, più fondamentale che una persona fa.
• Maurizio Flick – Zoltan Alzeghy, “L’opzione
fondamentale della vita morale e la grazia” in:
Gregorianum 1960: 593-619.
• Jacques Maritain, “La dialectique immanente du
premier acte de liberté”, in Raison et raisons, Egloff,
Paris 1947, 131-165.
• Riscoprono qualcosa che aveva già detto S.
Tommaso d’Aquino: Quando l’uomo arriva all’età
di ragione, la prima cosa che gli capita è deliberare
di se stesso.
10. Opzione fondamentale, libertà e peccato
1. Il primo atto libero
• S. Tommaso: «Infatti il primo oggetto che si presenta
a chi raggiunge la discrezione è di deliberare di se
stesso [de seipso cogitet], ordinando se medesimo e
le altre cose all’ultimo fine» (Sth I-II, 89, 6, ad 3).
• In questo atto uno non decide solo di quella piccola
cosa, ma decide in qualche modo della propria vita.
• Dirige la propria vita verso il proprio fine, sceglie
anche il suo fine ultimo. Dice “voglio essere così”.
• Il primo atto libero è l’atto in cui io accetto la grazia
o rifiuto la grazia.
10. Opzione fondamentale, libertà e peccato
1. Il primo atto libero
• Questo primo atto libero, nel quale si sceglie il fine della
vita, ha una forza particolare che orienta la vita in una
certa direzione. Tommaso la chiama virtus primae
intentionis.
• E’ un atto che dà una direzione alla vita.
• Questa forza della prima intenzione rimane.
• Sth. I-II, 1, 6, ad. 3: « Non è necessario che nell’agire o
nel desiderare qualsiasi cosa uno pensi sempre
all’ultimo fine: l’influsso della prima intenzione [virtus
primae intentionis] rivolta all’ultimo fine rimane nel
desiderio di qualsiasi cosa, anche se attualmente non si
pensa quel fine. Come non è necessario che il viandante
a ogni passo pensi al termine del viaggio».
10. Opzione fondamentale, libertà e peccato
1. Il primo atto libero
• Questa prima direzione può essere cambiata.
• Uno può compiere degli atti che cambiano la
direzione.
• Il primo atto è fondamentale ma non è l’unico atto.
• Piuttosto di parlare di “opzione fondamentale”
sarebbe meglio parlare di scelta fondamentale: La
prima scelta della vita.
• Se non è ritrattata da qualche altra scelta
fondamentale contraria, allora rimane con una forza
che orienta la vita.
10. Opzione fondamentale, libertà e peccato
2. Intenzione fondamentale
• Dietrich von Hildebrand, Moralia, parla di
un’intenzione fondamentale: Grundintention
• Non è una scelta ma una specie di intenzione.
• È l’atteggiamento con cui la libertà si rivolge
verso il fine: l’amore, gratitudine, voler essere
come Gesù.
• È difficile identificarla con un atto.
• È piuttosto il fondamento degli atti o la
condizione della possibilità degli atti che li
sostiene.
10. Opzione fondamentale, libertà e peccato
3. Opzione finale
• Ladislaus Boros, Mysterium mortis. L’uomo nella
decisione ultima, Queriniana, Brescia 1969)
• Gli atti che compiamo in questa vita sono sempre
atti condizionati da tanti fattori esterni.
• Sembra impossibile che un atto che io compio in
questa vita, solo per il fatto casuale di essere l’ultimo
atto, decida della mia sorte nei secoli dei secoli.
• Tra il momento della fine della vita terrena e
l’ingresso nella vita eterna viene ipotizzato un
istante nel quale l’uomo compie un’ultima scelta
della propria vita, con cui raccoglie tutta la propria
vita e di fronte a Dio dice o sì o non.
10. Opzione fondamentale, libertà e peccato
3. Opzione finale
• L’ultimo momento non è più un momento della vita
terrena, ma non è neanche ancora un momento
della vita eterna.
• In questo momento uno farebbe una scelta finale.
• In questa opzione finale si esprime tutta la propria
libertà.
• Sulpicio Severo (360-420): la morte di S. Martino di
Tours: un angelo e un diavolo si contestavano la sua
anima.
• Nell’ultimo momento tutta la vita ci passerebbe
davanti, tutto quello che abbiamo fatto.
10. Opzione fondamentale, libertà e peccato
4. Opzione fondamentale trascendentale
• Karl Rahner, Joseph Fuchs, et al. - di ispirazione
kantiana
• Postulano due tipi di libertà:
la libertà categoriale
la libertà trascendentale.
• La libertà categoriale è quella che sceglie le
singole cose
• Al fondo della libertà categoriale sta la libertà
trascendentale dove scelgo me stesso come un
tutto di fronte a Dio, anche se non conosco Dio.
10. Opzione fondamentale, libertà e peccato
4. Opzione fondamentale trascendentale
• Questa libertà trascendentale sarebbe atematica, non
posso averne una consapevolezza riflessiva.
• Se il soggetto fa di se stesso il tema della sua
riflessione, allora rimane sempre escluso dalla
consapevolezza riflessiva il soggetto che riflette su se
stesso.
• Non potrò mai essere riflessivamente cosciente della
opzione fondamentale che sto facendo di tutto me
stesso davanti a Dio.
• E’ un estremo punto che mi precede e che non posso
riflessivamente afferrare.
• L’opzione fondamentale non è una scelta.
10. Opzione fondamentale, libertà e peccato
4. Opzione fondamentale trascendentale
• L’opzione fondamentale non è qualcosa che si fa in
un momento particolare della vita
• Non si può sapere la propria opzione fondamentale.
• Ciò cui io sono riflessivamente cosciente sono le
scelte.
• Ma le scelte sarebbero poco decisive per la vita.
• Gli atti che si compie sarebbero solo sintomi
dell’opzione fondamentale.
• Ciò che sarebbe la cosa più importante - l’opzione
fondamentale trascendentale – è qualcosa di cui non
si è riflessivamente cosciente.
10. Opzione fondamentale, libertà e peccato
Il peccato
• Le teorie dell’opzione fondamentale hanno un
impatto forte sul discorso del peccato.
• Il Sinodo di Cartagine (ca. 418): la distinzione tra
peccato mortale e peccato veniale.
• Tre elementi formali del peccato mortale:
è un atto che rompe l’alleanza con Dio
fa perdere la grazia santificante, e
merita la pena eterna.
• Il peccato mortale è la morte della grazia.
• Nessuno può darsi la vita, ha bisogno di un
intervento esterno che lo riconcili con Dio.
10. Opzione fondamentale, libertà e peccato
• Questa riconciliazione avviene nella maniera
sacramentale nella confessione.
• Ci può essere una conversione dal peccato mortale
che avviene mediante lo Spirito Santo che provoca la
contrizione perfetta: il perfetto pentimento del peccato.
• In questo modo lo Spirito può condurre alla
riconciliazione con Dio anche prima della confessione.
• Ma questa contrizione perfetta porta sempre in sé
l’invocum sacramenti, cioè, è orientata al sacramento.
• Anche quando si ha questa contrizione perfetta
bisogna portarsi al sacramento:
• Il desiderio di confessarsi fa parte della contrizione
perfetta.
10. Opzione fondamentale, libertà e peccato
• I tre elementi materiali del peccato mortale sono
la materia grave
la piena avvertenza, e
il deliberato consenso
• La materia grave è definita dai comandamenti.
• Anche un atto che può essere grave per la sua
materia diventa lieve se il soggetto non era
pienamente libero o pienamente consapevole.
• Può anche darsi che ci sia la piena
consapevolezza e il deliberato consenso, ma che
manchi la materia grave.
10. Opzione fondamentale, libertà e peccato
Il peccato veniale
• Il peccato veniale è il peccato che non realizza
compiutamente la natura del peccato mortale, o
perché non è consapevole, o perché non è libero, o
perché la materia non era grave.
• Quindi il peccato veniale è un peccato che
non toglie la grazia di Dio, che
non merita una pena eterna, ma
merita una pena temporale.
• Questa pena temporale può essere smontata o
attraverso sofferenze e penitenze in questa vita, o nel
purgatorio.
10. Opzione fondamentale, libertà e peccato
Il peccato veniale
• Da dove è emersa la consapevolezza del peccato
veniale?
• 1 Gv 5,16: «Se uno vede il proprio fratello
commettere un peccato che non sia a morte,
preghi Dio, ed egli gli darà la vita».
• Il Sinodo di Cartagine (418) can. CXVI dice che
tutti i cristiani possono pregare il Padre nostro
senza dire bugie.
• Nel Padre Nostro preghiamo: «Rimetti a noi i
nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri
debitori».
10. Opzione fondamentale, libertà e peccato
Il peccato veniale
• Ma: uno giusto non ha peccato. Se ha peccati non
è giusto.
• Alcuni dicono: lo dice solo per l’umiltà
• Sinodo di Cartagine: il giusto non ha peccati
mortali, ma ci sono dei peccati veniali e quotidiani
che anche il giusto ha.
• Anzi la bibbia dice “Il giusto cade sette volte e si
rialza” (Prov. 24,16).
• Quindi esiste il peccato veniale ed esiste il peccato
mortale.
10. Opzione fondamentale, libertà e peccato
Il peccato veniale
• Il peccato mortale è la morte dell’anima; il peccato
veniale è una ferita.
• Dalle ferite si può ristabilirsi anche da solo
attraverso la penitenza.
• Per il peccato mortale ci deve essere una
confessione sacramentale.
10. Opzione fondamentale, libertà e peccato
Il peccato e l’opzione fondamentale
• Appaiano teorie che non accettano più la distinzione bi-
partita del peccato: veniale e mortale.
• Viene proposta una tri-partizione del peccato, adottata ad
es. da Bernard Häring.
• C’è il peccato mortale: l’opzione fondamentale negativa.
• C’è il peccato veniale.
• Poi viene introdotto l’idea di peccati in materia grave non
mortali.
• Atti compiuti con piena coscienza, con piena libertà, e in
materia grave e che tuttavia non sarebbero mortali e che
non mettano in discussione la mia opzione fondamentale
positiva.
10. Opzione fondamentale, libertà e peccato
Il peccato e l’opzione fondamentale
• Questa teoria mette in questione radicalmente il
sacramento della confessione, perché
ciò di cui sono cosciente, ciò che potrei
confessare, non è così importante perché è mai
un peccato mortale,
e ciò che dovrei confessare – l’unico peccato
mortale rimasto: l’opzione fondamentale
negativa – non posso confessare perché è mai
pienamente cosciente.
10. Opzione fondamentale, libertà e peccato
Il Magistero sull’opzione fondamentale
• Il Magistero della Chiesa ha parlato di queste
teorie soprattutto in tre documenti.
CDF, Persona humana (Dichiarazione sulla etica
sessuale, 1975),
Giovanni Paolo II, Reconciliatio et poenitentia
(Esortazione apostolica di 1984)
Giovanni Paolo II, Veritatis splendor (enciclica del
1993).
• Il Magistero ha ribadito la tradizione di Trento.
10. Opzione fondamentale, libertà e peccato
• Concilio di Trento: esistono peccati mortali
specificamente distinti dal peccato contro la fede.
• «Bisogna affermare che non solo con l’infedeltà, per cui
si perde la stessa fede, ma anche con qualsiasi altro
peccato mortale, sebbene non si perda la fede, si perde
però la grazia della giustificazione.
• Con ciò difendiamo l’insegnamento della legge divina,
che esclude dal regno di Dio non soltanto gli infedeli,
ma anche i fedeli impuri, adulteri, effeminati, sodomiti,
ladri, avari, ubriaconi, maledici, rapaci e tutti gli altri
che commettono peccati mortali, da cui con l’aiuto
della grazia potrebbero astenersi e a causa dei quali
vengono separati dalla grazia del Cristo» (Sess. VI,
Decr. giustificazione XV).
10. Opzione fondamentale, libertà e peccato
• Questi sono i peccati contro i comandamenti.
• Questi peccati è obbligatorio confessarsi.
• Un peccato mortale viene definito da questi tre
elementi:
piena coscienza,
deliberato consenso e
materia grave.
• Se ci sono questi tre elementi, è peccato mortale.
• Non posso pensare di un peccato grave non mortale.
• Ogni peccato grave che sia compiuto con piena
coscienza e deliberato consenso è anche un peccato
mortale.
10. Opzione fondamentale, libertà e peccato
La fede come scelta fondamentale nella S. Scrittura e nel
Magistero
• Per quanto riguarda l’opzione fondamentale, il
Magistero ha detto: esiste una scelta fondamentale.
• Troviamo nella Sacra Scrittura delle scelte
fondamentali.
• Deuteronomio 30, 19: “Ecco, io pongo davanti a te la vita
e il bene, la morte e il male, scegli dunque la vita”.
• Giosuè 24, 15: “Scegliete oggi chi volete servire, o gli dèi
che servirono i vostri padri di là dal fiume, o gli dèi degli
Amorei, nel cui paese voi abitate; quanto a me e alla
mia casa, serviremo il Signore”.
• Giovanni 6, 67: «Volete andarvene anche voi?».
10. Opzione fondamentale, libertà e peccato
La fede come scelta fondamentale nella S. Scrittura e
nel Magistero
• Veritatis splendor, n. 66: la scelta fondamentale del
cristiano è la fede:
“Non c'è dubbio che la dottrina morale cristiana, nelle
sue stesse radici bibliche, riconosce la specifica
importanza di una scelta fondamentale che qualifica la
vita morale e che impegna la libertà a livello radicale di
fronte a Dio. Si tratta della scelta della fede,
dell'obbedienza della fede”.
• La fede è un atto libero, consapevole, che risponde
ad una proposta, un intervento salvifico di Dio.
L’uomo lo riconosce e si affida a Dio.
10. Opzione fondamentale, libertà e peccato
La fede come scelta fondamentale nella S. Scrittura e nel
Magistero
• Dei Verbum 5: La fede è un atto libero dell’uomo, con il
quale “l’uomo si abbandona tutto a Dio liberamente,
prestando il pieno ossequio dell’intelletto e della
volontà” a Dio che si rivela.
• La fede è una risposta con questo atto di consenso. La
fede è la scelta fondamentale del cristiano.
• Ma è una scelta consapevole
• Ed è una scelta che è viva se c’è la carità, perché senza
la carità la fede è morta.
• S. Giacomo: “Tu credi che c'è un solo Dio, e fai bene;
anche i demoni lo credono e tremano” (Gc 2:19).
10. Opzione fondamentale, libertà e peccato
• La distinzione “mortale – veniale” è una distinzione
teologica che fa riferimento alla situazione
dell’uomo davanti a Dio.
• Non ammette una posizione intermedia: o è mortale
o è veniale.
• La distinzione “grave – leggero” è una distinzione
etica.
• Questa distinzione riguarda non la situazione
dell’uomo davanti a Dio ma riguarda la qualità degli
atti in riferimento al compimento della persona.
• Nella prospettiva etica tra leggero e grave c’è una
serie infinita di sfumature.
11. La coscienza
S. Paolo: syneidesis (suneidhsiv): cum-scienzia
Quattro significati fondamentali :
• significato parenetico (esortativo): “morale”: “Agite
sempre secondo la coscienza” = “Agite sempre
moralmente bene”
• fenomeno psicologico: la consapevolezza di sé
nell’agire, la capacità di auto presenza
• giudizio intellettuale: un significato intellettuale: la
coscienza è un giudizio sugli atti.
• decisione: un significato volitivo: la profondità del
soggetto che non solo conosce ma anche vuole e
decide - il cuore (Antico Testamento).
11. La coscienza
Accenno storico:
• L’enfasi sulla coscienza sta soprattutto nell’epoca
moderna
• Aristotele non conosce questo termine.
• Tommaso d’Aquino: ne parla nella De veritate, qq. 16-17 e
nella Summa theologiae, dove dedica alla coscienza
direttamente un solo articolo
• La prudenza può fare meno della coscienza. Si può
parlare della morale al limite anche senza il discorso sulla
coscienza.
• Il termine coscienza ha una polivalenza semantica - può
essere sostituito da altri termini che almeno sono
equivalenti.
11. La coscienza
S. Agostino (354 – 430): l’interiorità come luogo
di incontro con Dio: “Nell’interiorità umana abita
la verità” (De Vera Religione, XXXIX, 72)
• Tale verità ci chiama: la coscienza è la voce di
Dio.
• Due elementi centrali dell’idea agostiniana:
il momento di interiorità. La coscienza parla
dal di dentro dell’uomo.
la coscienza si afferma con un’autorità che
supera l’uomo. E’ la voce di Dio che ci chiama.
11. La coscienza
Un problema con l’impostazione agostiniana:
• Se la coscienza è la voce di Dio, come può sbagliarsi?
• S. Tommaso d’Aquino (1225 –1274): distingue due livelli della
coscienza:
 il livello della sinderesi
 il livello della coscienza (Sth I, 79, 13)
• La sinderesi è un habitus, la capacità connaturale della
razionalità pratica di cogliere i principi della legge naturale
(Sth I-II, 94,1).
• La sinderesi è infallibile.
• La coscienza riguarda l’applicazione dei principi.
• La coscienza è il giudizio della ragione pratica che applica i
principi della legge naturale ad un atto concreto (Sth I-II, 19,
5).
11. La coscienza
• Con la coscienza come giudizio si deve distinguere
tra:
coscienza antecedente,
la coscienza concomitante,
la coscienza successiva.
• Il giudizio può sbagliare. Non sbaglia nei principi,
ma può sbagliare nell’applicazione.
• Questa distinzione salva l’autorità della coscienza.
• La sinderesi è qualcosa di divino in noi, è voce di
Dio, infallibile nei principi.
• La coscienza come giudizio può sbagliare, è fallibile
nell’applicazione.
11. La coscienza
• S. Bonaventura (1221 –1274): la coscienza è l’araldo
di Dio.
• L’araldo proclama la legge del re. La coscienza
proclama la legge di Dio.
• L’araldo parla al nome del re. Bisogna obbedire al re.
• L’araldo non è il re. Neanche la coscienza è Dio.
• Bisogna vedere che l’araldo sia fedele.
• La coscienza va obbedita. Andare contro la coscienza
è sempre male.
• Bisogna formare la coscienza, che sia trasparente alla
volontà di Dio, perché l’applicazione può essere
sbagliata.
11. La coscienza
• S. Alfonso Maria de Liguori (1696-1787): “Duplex est
regula actuum humanorum: una dicitur remota, altera
proxima. Remota, sive materialis est lex divina, proxima
vero, sive formalis, est conscientia” (Theologia moralis).
• Due regole degli atti umani:
La coscienza: la regola formale e prossima (ma non
assoluta).
La legge: la regola remota e materiale.
• La coscienza è l’applicazione della legge.
• La coscienza è il momento decisivo per
l’interpretazione della legge, ma non è assoluta.
• Deve obbedire alla legge che è un riferimento esterno.
11. La coscienza
I sistemi morali / la casistica
• I sistemi morali sono delle tecniche elaborate dalla
casistica per avere una certezza sulla obbligatorietà
di una legge.
• La morale diventa il problema di come giudicare gli
atti concreti.
• C’è la legge e c’è la coscienza.
• La legge è quello che dicono i moralisti, quello che
dicono gli autorità, quello che dicono i libri.
• La coscienza è la voce dentro di me.
• Come faccio a capire se la legge mi obbliga o non?
• Questo è un problema della casistica.
11. La coscienza
I sistemi morali:
1. Il probabilismo (Bartolomeo di Medina, 1527-80): la
coscienza può seguire una opinione probabile anche se c’è ne
una più probabile.
2. Il probabiliorismo: la coscienza deve sempre seguire
l’opinione più probabile.
3. Il rigorismo: si deve sempre seguire l’opinione più stretta.
4. Il lassismo: si può seguire qualsiasi opinione, basta che uno
dei teologi l’abbia sostenuta.
5. l’equiprobabilismo (S. Alfonso Maria de Liguori): sta in
mezzo tra probabilisti e i probabilioristi.
• Si tratta delle regole per uscire dai dubbi di coscienza
• Il Magistero alla fine del 17° secolo ha escluso sia il lassismo
che il rigorismo.
11. La coscienza
• La casistica: Blaise Pascal (1623 –1662): “Ecce
patres qui tollunt peccata mundi” (Lettere
provinciali)
• Recente riscoperta della casistica: Albert R.
Jonsen e Stephen Toulmin, Abuse of Casuistry;
James Keenan e Thomas A. Shannon, The
Context of Casuistry.
• Il problema radicale: viene sostituita la verità con
la certezza assoluta soggettiva sull’obbligo.
• Per la casistica la regola non è una regola
intrinseca interiore, ma una regola estrinseca.
11. La coscienza
• John Henry Newman (1801 – 1890): la coscienza ha un
riferimento intrinseco alla verità
• Lascia la Chiesa Anglicana e aderisce alla Chiesa
Cattolica
• Lo spiega in termini di una fedeltà alla sua coscienza.
• Apologia pro vita sua; Letter to the Duke of Norfolk.
• Il primo ministro britannico, William Gladstone: “I
cattolici non possono esseri subiti affidabili di sua maestà
britannica”.
• Non obbediscono alla loro coscienza ma al Papa, non
hanno coscienza.
• Newman : “Se fossi obbligato a introdurre la religione nei
brindisi dopo un pranzo […] brinderò, se volete al Papa;
tuttavia prima alla Coscienza, poi al Papa”.
11. La coscienza
• Newman: “La coscienza è l’originario vicario di
Cristo”
• Newman: È’ a motivo della coscienza che obbedisco
al Papa.
• Quindi la coscienza ha un livello di autorevolezza
superiore al Papa; è più obbligante di tutto.
• Il Papa mai potrà dire qualcosa contro la coscienza.
• Se il Papa dicesse qualcosa contro la coscienza
sarebbe come quel uomo che sta seduto su un albero e
sega il tronco sul quale sta seduto.
• Il Papa è un aiuto alla mia coscienza,
un’illuminazione della mia coscienza, ma non
sostituisce la mia coscienza.
11. La coscienza
• La coscienza non è la possibilità di fare ciò che ci
pare.
• Se la coscienza ha dei diritti, e perché prima ha dei
doveri.
• Il dovere primo della coscienza è di obbedire alla
verità.
• La coscienza non può prescindere dalla verità,
anzi trae tutta la sua autorità dalla verità.
11. La coscienza
• Newman: il problema non è quello della “legge –
coscienza” ma quello della “verità – coscienza”.
• La coscienza diventa il luogo più intimo, caro e
prezioso che può esprimere la verità.
• Tutto il resto diventa un aiuto alla coscienza
• Newman mostra la necessità che la coscienza
abbia anche un aiuto storico.
11. La coscienza
• Il Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes no. 16
• La coscienza è “il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo,
dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità” e mi
chiama “a fare il bene e a fuggire il male”.
• Questa coscienza che va sempre obbedita, ha sempre un valore
sacro.
• La coscienza non perde il suo valore anche se è erronea
(invincibilmente erronea)
• Tuttavia la coscienza ha bisogno di essere formata sulla base di
una legge oggettiva che non dipende dall’uomo stesso.
• La coscienza può sbagliare.
• Bisogna formarsi la coscienza perché il giudizio della
coscienza sia un giudizio vero.
11. La coscienza
Come formare la coscienza?
• S. Tommaso: La coscienza è un giudizio.
• Formare le pre-disposizioni che permettono al soggetto di
dare un giudizio vero:
la scienza
le virtù: le pre-disposizioni morali del carattere che
permettono di essere trasparenti alla verità morale
una comunità, la coscienza è la cosa più intima, ma
nello stesso tempo mi rimanda ad una comunità. Cum-
scentia – un sapere insieme.
• S. Tommaso: una delle virtù più importanti connessi alla
prudenza è la docilità (Sth I-II, 48,1).
• Paul Wadell: la prima scelta morale è la scelta degli amici.
11. La coscienza
Esistono vari condizione della coscienza
1. la coscienza vera: un giudizio che corrisponde alla verità.
2. la coscienza erronea. La coscienza erronea è quella che
sbaglia.
a. la coscienza invincibilmente erronea
b. la coscienza colpevolmente erronea
• Chi agisce con coscienza invincibilmente erronea non
pecca.
• Ma non è che faccia del bene.
• Tommaso d’Aquino: non si possono ignorare senza colpa
i principi fondamentali della legge naturale (Sth I-II, 94,
6).
11. La coscienza
Esistono vari condizione della coscienza.
3. la coscienza dubbia: una coscienza che non
riesce ad arrivare ad un giudizio certo.
• Chi agisce con coscienza dubbia sempre pecca.
• Esempio: l’amico e il cervo alla caccia
• Chi agisce con coscienza dubbia manifesta la
disponibilità della propria libertà a peccare.
• Ma dalla coscienza dubbia si deve cercare di
uscire attraverso l’illuminazione della verità.
11. La coscienza
Esistono vari condizione della coscienza
4. la coscienza perplessa: la coscienza di chi pensa che con
qualsiasi cosa che faccia sbaglia.
• La coscienza perplessa è una coscienza certamente erronea.
• Non ci può esserci una situazione in cui io sono costretto a
peccare.
Dal punto di vista teologico: Dio non può mettermi in
una situazione senza via di uscita.
Per un motivo filosofico: Per peccare devo essere
libero di fare altrimenti.
• Ha una sua rilevanza psicologica, perché uno realmente
sente il peso di questa situazione.
• Qualcuno con una coscienza perplessa deve cercare di essere
aiutato psicologicamente di uscire da questa situazione.
11. La coscienza
La coscienza cristiana
• Il punto decisivo della coscienza cristiana è la fede:
il riconoscimento che Gesù è la verità.
• La coscienza morale cristiano è la partecipazione
alla coscienza di Cristo.
• Avviene nello Spirito Santo che crea in noi una
connaturalità con Cristo: ci rende amici di Cristo.
• Lo Spirito genera in noi le virtù teologali, fede,
speranza, carità, che permettono di avere una
sintonia con la sapienza divina.
• Non si tratta semplicemente di un sapere, ma si
tratta di un gustare.
11. La coscienza
• La Chiesa è il luogo dove la coscienza
morale cristiana viene formata, si sviluppa,
viene sostenuta, è incoraggiata.
• La coscienza morale cristiana non si pone di
fronte alla Chiesa come la Chiesa fosse
qualcosa di estraneo.
• J. Ratzinger, Introduzione al Cristianesimo: l’io
nuovo del battezzato ha superato il limite del
proprio individualismo, si è aperto al noi
ecclesiale.
11. La coscienza
• Hans Urs von Balthasar: la coscienza morale
cristiana supera la dialettica tra autonomia e
eteronomia
• Autonomia vuole dire: io sono legge a me stesso.
• Eteronomia vuol dire: un altro è legge per me.
• Kant: i cristiani sono ancora in una situazione di
minorità, perché obbediscono alle autorità esterne.
• Balthasar: medita sull’agonia di Gesù nel orto degli
olivi.
• “Padre, se è possibile passi da me questo calice, però
non la mia ma la tua volontà sia fatta”.
11. La coscienza
• Meditando su questo episodio S. Massimo il Confessore
(580-662) ha difeso la volontà umana di Cristo.
• Gesù è una persona divina che si incarna e ha due nature,
una natura umana e una natura divina.
• Nel 7° secolo veniva fuori il problema se Cristo aveva
anche una volontà umana, oppure se aveva solo una
volontà divina.
• Ma senza volontà umana Gesù non sarebbe pienamente
uomo.
• La risposta di Massimo era: Gesù aveva anche una
volontà umana. La volontà umana di Gesù si rivela
proprio nell’orto degli olivi.
• La volontà umana di Gesù aderisce alla volontà del Padre.
11. La coscienza
• Balthasar: il mistero dell’obbedienza di Gesù al Padre, ci
offre una risposta al problema di autonomia – eteronomia.
• Per Gesù il Padre è eJterov ma non eJteron, cioè il Padre è
un altro ma non un'altra cosa.
• Non è esterno a lui come una cosa è esterna, ma è
interno.
• Nello Spirito mediante l’amore, Gesù abbraccia la volontà
altra del Padre.
• Che cosa significa essere amici?
• È aderire alla volontà di un altro, è sentire più mia la
volontà di un altro che la mia volontà.
• “Sarete i miei amici se farete quello che io vi comando”
(Gv 15:14).
11. La coscienza
• L’amore è anche un sentimento, ma la realtà
profonda dell’amore è unione delle volontà. (Cfr.
Benedetto XVI, Deus Caritas Est, n. 17: “idem
velle idem nolle”).
• Nell’amore, cioè nello Spirito Santo che unisce il
Figlio al Padre, la volontà del Padre è sentita da
Gesù come altra ma come più sua della sua.
• Non c’è autonomia, e non c’è eteronomia, ma
c’è l’alterità nell’amore: una coscienza filiale.
• Lo Spirito Santo fa sentire intimamente mia la
volontà del Padre.

Potrebbero piacerti anche