Email: kampowski@istitutogp2.it Ufficio: 06 698 95 539 Dopo la lezione le diapositive saranno disponibile qui: www.stephankampowski.com/corsi.html Introduzione alla teologia morale fondamentale Bibliografia • L. Melina, Morale tra crisi e rinnovamento, Ares, Milano 1993. (disponibile presso il centro stampa) • L. Melina – J. Noriega – J.J. Pérez-Soba, Camminare nella luce dell’amore. I fondamenti della morale cristiana, Cantagalli, Siena 2008. • S. Pinckaers, Les sources de la morale chrétienne, Editions du Cerf, Parigi 1985. (Italiano : Le fonti della morale cristiana, Ares, Milano 1992). • R. Spaemann, Grundbegriffe der Moral, Verlag C.H. Beck, Monaco di Baviera 1982. (Italiano: Concetti morali fondamentali, Piemme, Milano 1993). Introduzione alla teologia morale fondamentale Per l’esame sarà richiesta la lettura di: • L. Melina, Morale tra crisi e rinnovamento, Ares, Milano 1993. (disponibile presso il centro stampa) Schema delle lezioni: 1. La teologia morale: che cosa è? 2. Aspetti di metodo: le fonti della teologia morale 3. Il fondamento della morale cristiana e il dinamismo dell’agire 4. Gli atti umani, le virtù, i doni dello Spirito e le beatitudini 5. Legge naturale e legge di Cristo 6. Gli assoluti della morale in discussione 7. Libertà, opzione fondamentale e peccato 8. La coscienza morale cristiana e la sua formazione 9. Principi per la soluzione di casi difficili 10. Legge civile e legge morale 1. La teologia morale: che cosa è? • Che cosa è la teologia morale? • La morale è spesso concepita come scienza degli obblighi. • Immanuel Kant: “Che cosa devo fare?” • Spesso la moralità viene vista come campo di battaglia tra legge e libertà. 1. La teologia morale: che cosa è? • Una morale basata sull’obbligo comporta due pericoli: il minimalismo il tentativo di adattare la legge alle proprie capacità • L’accusa contro l’insegnamento della Chiesa: fa solo che la gente si sente male. • “Meglio cambiare l’insegnamento”. • Questi suggerimenti sono il frutto di una mentalità che vede la morale esclusivamente come l’ambito delle regole e delle norme. 1. La teologia morale: che cosa è? • E infatti, la dottrina morale della Chiesa sembra imporci tanti «NO». • No allo sesso casuale. • No all’omosessualità. • No al vivere insieme prima del matrimonio. • No alla contraccezione. • No alla pornografia. =>No al divertimento??? 1. La teologia morale: che cosa è? • Ma in verità si tratta di un grande SI. • E’ un sì alla verità della persona umana. • Si tratta di un sì alla vera libertà. • Si tratta di liberare i desideri che Dio stesso ha impiantato dentro il nostro cuore. 1. La teologia morale: che cosa è? • L’insegnamento morale della Chiesa fa parte di una visione integrale della persona umana, della sua natura e della sua chiamata. • La Chiesa non può cambiare i suoi insegnamenti come se fossero delle regole di traffico. 1. La teologia morale: che cosa è? • Esprimono piuttosto una verità sull’uomo, che corrisponde al disegno di Dio e che la Chiesa non può cambiare. • Non può neanche cambiare la legge della gravità. 1. La teologia morale: che cosa è? • E poi la morale non si occupa soltanto del peccato. • Esempio: analogia tra la vita e un buon matrimonio: non basta non tradire l’altro. • Non conta solo l’assenza del peccato (che è importante), ma anche la presenza dell’amore, della virtù, dell’amicizia. • Le cose più belle della vita, non siamo «obbligati» a compierli. ad es. l’amicizia è sempre gratuita. 1. La teologia morale: che cosa è? • La teologia morale ha a che fare con la nostra vocazione in Cristo: • Concilio Vaticano II, Optatam totius, Sulla formazione sacerdotale, n. 16: • “Si ponga speciale cura nel perfezionare la teologia morale in tale modo che la sua esposizione scientifica, maggiormente fondata sulla sacra Scrittura, illustri l’altezza della vocazione dei fedeli in Cristo e il loro obbligo di apportare frutto nella carità per la vita del mondo”. 1. La teologia morale: che cosa è? • La teologia morale ha a che fare con la domanda del senso della vita. • Giovanni Paolo II, Veritatis splendor: • Commenta sull’ incontro tra Gesù e il giovane ricco. 1. La teologia morale: che cosa è? • VS 7. “«Ed ecco un tale...». Nel giovane … possiamo riconoscere ogni uomo che, coscientemente o no, si avvicina a Cristo, Redentore dell'uomo, e gli pone la domanda morale. Per il giovane, prima che una domanda sulle regole da osservare, è una domanda di pienezza di significato per la vita. • E, in effetti, è questa l'aspirazione che sta al cuore di ogni decisione e di ogni azione umana, la segreta ricerca e l'intimo impulso che muove la libertà. • Questa domanda è ultimamente un appello al Bene assoluto che ci attrae e ci chiama a sé, è l'eco di una vocazione di Dio, origine e fine della vita dell'uomo”. 1. La teologia morale: che cosa è? • La domanda morale è la domanda sul senso della vita. • Quando ci poniamo la domanda morale, ci chiediamo non solo: “Che cosa devo fare?” Ma una domanda ancora più fondamentale: “Chi sono chiamato a diventare? Quale senso ha la mia vita? • La teologia morale è un sapere sistematico/la scienza del senso della vita. 1. La teologia morale: che cosa è? È necessaria una tale scienza? • C’è dentro ciascuno di noi una fame e una sete di significato, il desiderio che la nostra vita abbia senso. • Ogni nostro atto libero è spinto dal e indirizzato al bene o almeno a ciò che ci sembra bene. • La domanda fondamentale della morale è se quello, che ci sembra bene è anche bene in verità: la domanda sulla verità del bene. • Robert Spaemann: la morale è il tentativo di renderci conto su ciò che vogliamo in verità. 1. La teologia morale: che cosa è? Si può sbagliarsi su ciò che si vuole? • Esempio di Esaù e Giacobbe: il piatto di lenticchie
• Il nostro desiderio immediato può offuscare la
visione di ciò che vogliamo veramente. 1. La teologia morale: che cosa è? Si può sbagliarsi su ciò che si vuole? • L’esperienza della delusione con cose che abbiamo desiderate. • Come mai le cose “promettono” più che tengono? • Volevamo di più. • Maurice Blondel: la sproporzione tra la volontà volente (trascendentale) e la volontà voluta (categorica). • Nei nostri desideri e nelle nostre scelte siamo tesi non soltanto verso gli oggetti immediati, ma anche verso la felicità. 1. La teologia morale: che cosa è? • La felicità è ciò che volgiamo veramente. • Comunque, cosa è la felicità, e come raggiungerla? • La felicità = la vita buona • Ecco di nuovo, la domanda della morale: Qual è il senso della vita, come vivere bene, cosa vogliamo in verità? • Se ciò che dà senso alla vita e se ciò che noi vogliamo in verità è la felicità, la morale poi si deve chiedere: che cosa è la felicità, e come possiamo raggiungerla? (Cfr. S. Tommaso, Summa theologica, I-II). 1. La teologia morale: che cosa è? • Per sapere della felicità dell’uomo, dobbiamo sapere dell’uomo. • Ma l’uomo, chi è? • S. Agostino: “Quaestio mihi factus sum -- Io sono diventato un mistero a me stesso” (Confessioni X, 33, 50). 1. La teologia morale: che cosa è? • Abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio per sapere in fondo chi siamo: • Vaticano II, Gaudium et spes 22: “In realtà, solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. • Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro, e cioè di Cristo Signore. • Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione”. • La teologia morale è una scienza alla luce della rivelazione. 1. La teologia morale: che cosa è? • La rivelazione ci dice anche chiaramente dove sta la nostra felicità. • La nostra felicità è Dio e si trova in Dio. • S. Agostino: “Ci hai fatto per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te” (Confessioni I,1). 1. La teologia morale: che cosa è? • Ma come raggiungere al nostro fine ultimo, come raggiungere la felicità? • È attraverso i nostri atti, il nostro agire, aiutato dalla grazia divina, perché da soli non potremmo mai raggiungere Dio. • Se quindi la teologia morale è la scienza sul senso della vita, sulla nostra felicità in Dio e sulla via che ci porta lì, essa include i seguenti elementi: 1. La teologia morale: che cosa è? La teologia morale comporta: • uno studio degli atti umani, per mezzo dei quali noi ci muoviamo su questa strada verso la casa del Padre, • uno studio delle virtù, come disposizioni stabili che ci aiutano di compiere e di conoscere atti morali eccellenti, • uno studio della legge come guida sul cammino • uno studio della grazia, che ci permette di raggiungere un fine soprannaturale, Dio, che non potremmo mai raggiungere con le nostre forze naturali. 1. La teologia morale: che cosa è? La definizione di S. Pinckaers: • «La teologia morale è quella parte della teologia che studia gli atti umani per dirigerli al raggiungimento della felicità autentica e al fine ultimo della persona attraverso le virtù nella luce della rivelazione». • «La moralità è basata sull’attrazione a ciò che è vero e buono piuttosto che un orientamento ai comandamenti e agli obblighi». • «L’etica cristiana è divisa secondo le virtù, teologali e morali, che sono principi interiori dell’azione, ai quali si aggiungono le leggi particolari e la grazia, che nella loro origine sono principi esteriori». 2. Le fonti della teologia morale Le fonti della teologia morale sono due: 1) La rivelazione 2) La ragione umana nella sua dimensione pratica e morale Due presupposti: A. La rivelazione ha una rilevanza morale. B. Esiste un’esperienza morale originaria e irriducibile (l’esperienza del bene morale, come bene della persona). 2. Le fonti della teologia morale A. La rilevanza della rivelazione per la morale: • Discussione soprattutto in ambito protestante • L’accento sulla fede come causa della giustificazione • Le opere non avrebbero nessun significato salvifico, ma solo mondano. • Lutero: «Nessuno ci può separare da Cristo, anche se uccidessimo o commettessimo adulterio mille volte ogni giorno» (lettera 99, a Melanchton, 1521). • «Pecca fortiter sed crede fortius» (lettera 501, a Melanchton) 2. Le fonti della teologia morale A. La rilevanza della rivelazione per la morale: • Weltethos verso Heilsethos – l’ethos mondano verso l’ethos della salvezza • Opposizione tra vangelo e legge • Roger Mehl: “Il Vangelo non è una morale; esso appartiene ad un altro ordine di realtà. La questione che il Vangelo pone è quella della fede, non quella della morale” (R. Mehl, Morale cattolica e morale protestante, Torino 1973). • Ambito protestante: Basta l’annuncio del Vangelo. • Cade la possibilità di una teologia morale vera e propria. 2. Le fonti della teologia morale A. La rilevanza della rivelazione per la morale: • La visione cattolica: Il Vangelo ha un significato morale. • Il Vangelo è prima di tutto un annuncio di salvezza: l’annuncio del Regno. • Gesù dice: “Il tempo è compiuto, il Regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15). • L’irruzione del Regno di Dio è l’azione stessa di Dio che decide di intervenire. • Questo Regno che viene non elimina ma piuttosto sollecita una risposta dell’uomo. 2. Le fonti della teologia morale A. La rilevanza della rivelazione per la morale: • Gesù parla della conversione. Invita alle opere, che siano espressioni di una accoglienza del Regno di Dio. • “Non chi dice ‘Signore, Signore’, ma chi fa la volontà del Padre mio entrerà nel Regno dei Cieli” (Mt 7,21). • Le lettere di San Paolo: la dialettica tra kerygma e didache. • Il kerygma è il primo annuncio, la didache è l’insegnamento morale. 2. Le fonti della teologia morale A. La rilevanza della rivelazione per la morale: • Romani 6,17: Siate fedeli alla “forma di insegnamento (typos didache) alla quale siete stati consegnati”. • Per essere fedeli al Vangelo, bisogna essere fedeli a questa forma di insegnamento. • Questa forma di insegnamento è la catechesi morale che seguiva il kerygma • La didache è l’insegnamento pre-battesimale. • Cfr. James MacDonald, Kerygma and Didache, Cambridge University Press. 2. Le fonti della teologia morale B. L’esistenza di un’esperienza morale: • Esempio: Delitto e castigo di Dostoevskij • Raskolnikov fa un “esperimento” • Prova un sentimento di colpa che è profondo, che non si aspettava. • Scopre che gli atti che compie sono atti che cambiano la sua persona. 2. Le fonti della teologia morale B. L’esistenza di un’esperienza morale: • Scopre ciò che diceva già Gregorio Nisseno: «Noi siamo, in certo modo, i nostri stessi genitori, creandoci come vogliamo, e con la nostra scelta dandoci la forma che vogliamo» (Vita di Mosè). • I nostri atti ci trasformano. • Un atto non ha solo un valore transitivo ma ha anche un valore intransitivo. 2. Le fonti della teologia morale B. L’esistenza di un’esperienza morale: • L’atto non è solo un fare, ma è anche un agire. • Poiesis / facere vs. praxis / agere. • La tecnica prende la prospettiva per cui io, agendo, cambio le cose esterne a me. • La prospettiva dell’agire è la prospettiva delle conseguenze che l’attività ha su me stesso. 2. Le fonti della teologia morale B. L’esistenza di un’esperienza morale: • Socrate: “Sceglierei il subire ingiustizia piuttosto che il commetterla” (Platone, Gorgia 469c). • Giovenale, Satirae: «Considera il più grande dei crimini preferire la sopravvivenza all'onore e, per amore della vita fisica, perdere le ragioni del vivere». 2. Le fonti della teologia morale B. L’esistenza di un’esperienza morale: • Ci sono delle azioni che ci fanno perdere il senso del vivere. Questo è proprio al cuore dell’esperienza morale. • L’esperienza morale è l’esperienza dell’incontro con un bene, che mi interpella di rispettarlo e di amarlo. • In questo incontro percepisco le mie azioni come capaci di rendermi buono o cattivo. 2. Le fonti della teologia morale Le fonti stessi: La rivelazione • Dove sta la rivelazione? «Cristo è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione» (DV 2). «La Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di Dio affidato alla Chiesa» (DV 10). 2. Le fonti della teologia morale La rivelazione • La Sacra Scrittura è la parola di Dio scritta per ispirazione dello Spirito divino (DV 9). • La Sacra Tradizione trasmette integralmente la parola di Dio - affidata da Cristo Signore e dallo Spirito Santo agli apostoli - ai loro successori. (DV 9). • Il deposito della fede viene autenticamente e autorevolmente proposto dal Magistero. 2. Le fonti della teologia morale La Sacra Scrittura • Optatam totius n. 16: «Si ponga speciale cura nel perfezionare la teologia morale in tale mode che la sua esposizione scientifica, maggiormente fondata sulla sacra Scrittura, illustri l’altezza della vocazione dei fedeli in Cristo e il loro obbligo di apportare frutto nella carità per la vita del mondo». • I padri e i grandi scolastici vedevano un senso morale in tutta la Scrittura. • La Scrittura non ci dà solo delle norme ma una visione completa dell’uomo, del suo agire, e di come lo Spirito opera in noi. 2. Le fonti della teologia morale La Sacra Tradizione • La Sacra Scrittura è la testimonianza dell’evento di Cristo. • La Tradizione è la grande corrente di insegnamento e di interpretazione che ci comunica questo evento. • La Tradizione è presente 1. nei Padri della Chiesa 2. nei Dottori della Chiesa 3. nella testimonianza dei santi 4. nel sensus fidelium 2. Le fonti della teologia morale 1. I Padri della Chiesa • Quattro criteri per essere un padre della Chiesa: Ortodossia della dottrina Santità della vita Approvazione ecclesiale Antichità • L’ultimo padre della Chiesa orientale: S. Giovanni Damasceno († Gerusalemme 749) • L’ultimo padre della Chiesa occidentale: S. Isedoro di Sevila († 636). • Ci aiutano a interpretare la S. Scrittura, in quanto vicini alle sorgenti. 2. Le fonti della teologia morale 2. I dottori della Chiesa • pensatori che eccellono per due motivi: santità della vita eccellenza della dottrina, che ha dato un contributo originale alla Chiesa. 2. Le fonti della teologia morale 3. La testimonianza dei santi • Per la teologia morale sono importanti non solo le cose scritte. • Anche la santità vissuta è un locus theologicus, perché la loro vita è un’esegesi della rivelazione. • «Viva lectio est vita bonorum» (S. Gregorio Magno, Moralia in Job XXIV, VIII, 16). 2. Le fonti della teologia morale 4. Il sensus fidelium • La Chiesa come Popolo di Dio vive e sente in un certo modo. • Si parla di sensus fidelium, il modo di sentire e vivere dei fedeli (cfr. Lumen Gentium, nn. 12 e 25). • Non è opinione pubblica, né il parere dei sondaggi. • E’ l’espressione della fede vissuta, che è in consonanza con la Sacra Scrittura, con la Tradizione e con il Magistero. • Non è sensus fidelium il dissenso dal Magistero. 2. Le fonti della teologia morale 4. Il sensus fidelium • Vari autori (ad es. J. Mahoney e B. Häring) proponevano l’idea che l’insegnamento di Humanae vitae non avesse valore obbligatorio per i fedeli. • “Il senso dei fedeli ha rifiutato Humanae vitae”. • B. Häring in 1989 proponeva un referendum nella Chiesa per sapere come pensavano i fedeli. • Ma: Come si può sapere chi sono i fedeli e chi non sono i fedeli? • Il senso dei fedeli non è un mero fatto sociologico. • I sondaggi non sono una buona maniera per sapere il senso dei fedeli. 2. Le fonti della teologia morale 4. Il sensus fidelium • Cardinale John Henry Newman: On Consulting the Faithful in Matters of Doctrine. • I fedeli vengono consultati come uno consulta il suo orologio. • Il Papa e i vescovi, prima di una decisione dogmatica hanno l’obbligo di consultare il modo del sentire dei fedeli. • Lo fanno, discernendo chi sono veramente i fedeli. 2. Le fonti della teologia morale 4. Il sensus fidelium • Newman dà due esempi del sensus fidelium • La crisi ariana del 4° secolo. Ario insegnava che Cristo era solo un uomo, non era Dio. La posizione ariana fu assunta o sostenuta dall’Imperatore. S. Girolamo: “Ingernuit totus orbis et se esse arianum miratus est” – “Tutto il mondo gridò e si meravigliava di essere diventato ariano.” La maggioranza dei vescovi era ariana. 2. Le fonti della teologia morale 4. Il sensus fidelium • La crisi ariana La fede vera fu custodita dai monaci, soprattutto da S. Antonio Abate e poi dai grandi vescovi che hanno raccolto la sua eredità, soprattutto da S. Atanasio che ha scritto la Vita di S. Antonio. I monaci avevano prestigio diffuso tra la gente, per cui il senso dei fedeli aveva il meglio sopra lo sbaglio dei vescovi. La fede è stata preservata dal senso dei fedeli e la crisi fu risolta nel Concilio di Nicea (325): (Gesù è «generato non creato, della stessa sostanza del Padre») 2. Le fonti della teologia morale 4. Il sensus fidelium • Poi: l’Immacolata Concezione di Maria, definita da Pio IX in 1854. Newman: il senso dei fedeli ha prevenuto e preparato la definizione. Il senso dei fedeli è rilevante, ma deve essere inteso bene: deve avere come il suo intimo punto di verifica la fede. Si deve distinguere tra senso dei fedeli e opinione pubblica. 2. Le fonti della teologia morale 4. Il sensus fidelium • Il Concilio Vaticano II parla dell’infallibilità dei fedeli nel credere. • È una qualità della fede battesimale, che poi è espressa nella vita quotidiana, e che comporta anche un modo di sentire morale, un modo di vivere. • Il senso dei fedeli ha un significato sia diacronico che sincronico. 2. Le fonti della teologia morale 4. Il sensus fidelium • E’ vero che il giudizio di Paolo VI nel promulgare Humanae vitae era impopolare. • Paolo VI si esprimeva contrario al giudizio della maggioranza nella commissione consultativa • Ha guardato al senso dei fedeli: Quale era il sentire dei fedeli fino a quel punto al di là della commissione di esperti? • Sempre nella Chiesa c’è stato un sentire contrario alla contraccezione. • Paolo VI: una decisione contraria a questo modo di sentire sarebbe stata una rottura con la Tradizione. 2. Le fonti della teologia morale Il Magistero della Chiesa • Che cosa è il Magistero? • Il Magistero è l’ultima istanza autorevole che interpreta la rivelazione autenticamente, sia nell’aspetto della Sacra Scrittura, sia nella Tradizione. • Che cosa vuole dire interpretare “autenticamente”? • Significa: Interpretare la rivelazione nello stesso senso dell’autore della rivelazione. 2. Le fonti della teologia morale Il Magistero della Chiesa • Il Magistero ha un’autorità fondata sullo Spirito Santo, che, essendo l’autore della rivelazione, assiste il Magistero nella interpretazione. • “Chi ascolta voi, ascolta me” (Lc 10, 16). • Il Magistero non è fonte di rivelazione, ma istanza di interpretazione autentica. 2. Le fonti della teologia morale Il Magistero della Chiesa • Chi è il Magistero? Il Papa in quanto capo del collegio apostolico. I vescovi in comunione col Papa. => Rapporto reciproco (Lumen Gentium 25). 2. Le fonti della teologia morale Il Magistero della Chiesa • Su che cosa ci parla il Magistero? • Competenza in fides et mores • L’oggetto del magistero è la verità rivelata circa la fede e i costumi: fides credenda, moribus applicanda. 2. Le fonti della teologia morale Il Magistero della Chiesa • Gradi di autorità 1) Il Magistero ordinario del Papa ad es. le encicliche (cfr. Pio XII, Humani generis, n. 20). È un Magistero autentico che parla con dignità. Ai fedeli è chiesto il religioso ossequio e la presunzione della verità. 2. Le fonti della teologia morale 1) Il Magistero ordinario del Papa • Lumen gentium 25: “Questo assenso religioso della volontà e della intelligenza lo si deve in modo particolare prestare al magistero autentico del romano Pontefice, anche quando non parla «ex cathedra». • Ciò implica che il suo supremo magistero sia accettato con riverenza, e che con sincerità si aderisca alle sue affermazioni in conformità al pensiero e in conformità alla volontà di lui manifestatasi che si possono dedurre in particolare dal carattere dei documenti, o dall'insistenza nel proporre una certa dottrina, o dalla maniera di esprimersi.” 2. Le fonti della teologia morale 2) Il Magistero solenne • Il Magistero solenne ha valore di infallibilità riguardo alla fede e alla morale. • Qui il Magistero impegna in modo particolare il suo carisma di verità. • Ai fedeli è chiesto l’obbedienza della fede. 2. Le fonti della teologia morale 2) Il Magistero solenne • Sono due le forme del Magistero solenne: a) il Papa si esprime «ex cattedra» Il Papa, quando si esprime solennemente in materia di fede o di morale, gode della stessa infallibilità di cui il Signore Gesù ha dotato la Chiesa (Concilio Vaticano I) Finora il Papa ne ha fatto uso due volte: o Immacolata Concezione, Pio IX, 1854; o Assunzione, Pio XII, 1950. b) un Concilio Ecumenico I vescovi sono riuniti e in unione col Papa, e esprimono la volontà di definire una verità 2. Le fonti della teologia morale 3) Il Magistero ordinario universale • Si tratta di un insegnamento che non viene definito in un atto solenne, ma • che viene insegnato dal Papa e dai vescovi di tutto il mondo in unità morale sia diacronica che sincronica: in ogni tempo e in ogni luogo. • Anche esso ha valore di infallibilità. • Cost. Dei Filius, 3: «Quindi si devono credere con fede divina e cattolica tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio, scritta o trasmessa per tradizione, e che vengono proposte dalla Chiesa, o con solenne definizione, o con il magistero ordinario e universale, come divinamente ispirate, e pertanto da credersi». 2. Le fonti della teologia morale 3) Il Magistero ordinario universale • Lumen Gentium 25: “Quantunque i vescovi, presi a uno a uno, non godano della prerogativa dell'infallibilità, quando tuttavia, anche dispersi per il mondo, ma conservando il vincolo della comunione tra di loro e col successore di Pietro, si accordano per insegnare autenticamente che una dottrina concernente la fede e i costumi si impone in maniera assoluta, allora esprimono infallibilmente la dottrina di Cristo”. 2. Le fonti della teologia morale 3) Il Magistero ordinario universale • Alcune verità molto fondamentali non sono mai state definite. ad. es.: Dio esiste. • Perché non è mai stato definito? • Le definizioni sempre difendono delle verità minacciate da un attacco. • Senza attacco, non si sente il bisogno di definire. • Pur non essere mai state definite, queste verità appartengono al Magistero ordinario universale, e sono quindi infallibilmente insegnate, anche se non sono state solennemente definite. 2. Le fonti della teologia morale Il Dissenso • Charles Curran, Dissent in and for the Church. Theologians and Humanae vitae (1970). • Curran ha negato il valore obbligante del magistero ordinario, che si è espresso da parte del Santo Padre soprattutto nell’enciclica Humanae vitae di 1968. 2. Le fonti della teologia morale Il Dissenso • Le tesi di Charles Curran: 1. «Non ci sono insegnamenti infallibili nell’ambito della morale, perché non ci sono definizioni solenni». 2. «Se il magistero ordinario del Papa non è infallibile, allora è fallibile. Se è fallibile, io sono libero di dissentire». 3. «Gli insegnamenti del magistero valgono ciò che valgono gli argomenti avanzati». 4. «Il magistero ordinario non è vincolante delle coscienze dei fedeli». 2. Le fonti della teologia morale Come rispondere a Curran? 1. Non si può concentrare tutta la discussione circa il magistero sull’infallibilità. • L’infallibilità è solo la garanzia ultima. • Il Magistero ordinario è la forma più normale, dell’esprimersi dell’autorità dei pastori della Chiesa. • Il Magistero ordinario ha in sé una sua autorevolezza, anche quando non garantisce completamente l’irreformabilità delle formule in cui si esprime. • Se uno ci dicesse: “Io ti credo solo se mi giuri che non mi stai dicendo una bugia”, questo distruggerebbe qualsiasi rapporto. 2. Le fonti della teologia morale Come rispondere a Curran? 2. Non è vero che il Magistero non si sia mai espresso in forma solenne in materia morale. • Concilio di Trento: l’indissolubilità del matrimonio canonicamente celebrato (G. Grisez). 2. Le fonti della teologia morale Come rispondere a Curran? 3. Ci sono anche verità morali insegnati dal magistero ordinario universale: • Tutti i vescovi in unanimità tra di loro, nel corso di tutta la storia hanno sempre insegnato delle verità morali anche se non li hanno mai definite. • Ad es. «Non uccidere; non commettere adulterio» • Questo corso di insegnamento ha un valore infallibile, anche se l’infallibilità non è stata dichiarata o definita. 2. Le fonti della teologia morale Come rispondere a Curran? 4. Il magistero ordinario del Santo Padre è un Magistero che molto spesso si fa voce del Magistero ordinario universale. • Nelle encicliche il Papa talvolta parla con un’autorità che non è sola la sua propria ma che è l’autorità del Papa in quanto capo del collegio dei vescovi. • Nell’enciclica Evangelium vitae Giovanni Paolo II parla di tre argomenti, cioè: l’uccisione diretta di una persona innocente, l’aborto, e l’eutanasia. • In tutti e tre di questi casi cita esplicitamente Lumen gentium 25, dando voce al Magistero ordinario universale (EV nn. 57, 62, 64). 2. Le fonti della teologia morale Come rispondere a Curran? 4. Il magistero ordinario del Santo Padre è un Magistero che molto spesso si fa voce del Magistero ordinario universale. • Un’enciclica ha il valore del magistero ordinario. • Però qui si fa voce del Magistero ordinario universale. • Il Papa aveva convocato un sinodo dei vescovi e aveva consultato i vescovi con una lettera prima di scrivere la sua enciclica. • Quindi, anche se l’insegnamento non è formalmente infallibile in quanto Magistero ordinario, è però infallibile in quanto basato sull’infallibilità del Magistero ordinario universale. 2. Le fonti della teologia morale • La posizione di Curran non è sostenibile per un teologo cattolico. • Essendo in dissenso con la Chiesa a lui è stata ritirata la missio canonica. • Quelli che ascoltano hanno il diritto di sapere che chi insegna la teologia è in accordo con la dottrina della Chiesa. • Se uno non insegna la dottrina della Chiesa, allora è come se lui tradisse gli interlocutori. 2. Le fonti della teologia morale • Il tema del dissenso è stato forte nel dibattito nella Chiesa in particolare riguardo a Humanae vitae. • Essendo un’enciclica, è magistero ordinario del Papa. • Ma riflette un insegnamento precedente e si fa voce di una grande tradizione della Chiesa. • Pio XI Casti Connubii (1930): «E poiché l’atto del coniugio è, di sua propria natura, diretto alla generazione della prole, coloro che nell’usarne lo rendono studiosamente incapace di questo effetto, operano contro natura, e compiono un’azione turpe e intrinsecamente disonesta». 2. Le fonti della teologia morale • Pio XII, Discorso alle ostetriche, 29 ottobre 1951: «Ogni attentato dei coniugi nel compimento dell'atto coniugale o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, attentato avente per scopo di privarlo della forza ad esso inerente e di impedire la procreazione di una nuova vita, è immorale». • «Questa prescrizione è in pieno vigore oggi come ieri, e tale sarà anche domani e sempre, perché non è un semplice precetto di diritto umano, ma l'espressione di una legge naturale e divina». • Poi questo insegnamento è stato confermato da tantissimi altri interventi dei papi (Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI). 2. Le fonti della teologia morale • Giovanni Paolo II (Congresso “HV 20 anni dopo”): L’insegnamento di Humanae vitae non è «una dottrina inventata dall’uomo […] Metterla in discussione, pertanto, equivale a rifiutare a Dio stesso l’obbedienza della nostra intelligenza». • Valutazione teologica: l’insegnamento del magistero ordinario in Humanae vitae è espressione del magistero ordinario universale. • Essendo espressione del magistero ordinario universale è infallibile. 2. Le fonti della teologia morale La ragione umana • La ragione trova la legge morale e interpreta l’esperienza morale • S. Paolo: «Quando i pagani, che non hanno la legge, per natura agiscono secondo la legge, essi, pur non avendo legge, sono legge a se stessi; essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono» (Romani 2, 14-15). • L’uomo trova in sé una legge non scritta interiore, universale, comune, accessibile alla ragione: la legge naturale. 2. Le fonti della teologia morale • C.S. Lewis, L’abolizione dell’uomo: parla del Tao, che è il modo cinese di parlare della legge naturale. • Lewis riporta gli elementi fondamentali della legge morale che trovano espressione nelle culture più diverse: dalla Cina, dall’Egitto, dalla Grecia. • “Onora il padre e la madre”, “non uccidere”, “non rubare”. • Tutte le grandi tradizioni morali e religiose dell’umanità, nei vari continenti e nelle diverse epoche, erano sempre sostanzialmente concordato su questi fondamenti di vita morale. • Essenzialmente la legge naturale trova espressione nei 10 comandamenti (S. Ireneo, S. Tommaso). 2. Le fonti della teologia morale L’uomo virtuoso conosce per connaturalità • L’esperienza morale illuminata dai principi della legge naturale diventa essa stessa una sorgente di interpretazione. • Aristotele: l’uomo virtuoso è la misura vivente della vita morale, perché a lui appare bene ciò che è bene in realtà. • La percezione della verità morale non è un fatto puramente di ragione, ma dipende dalle disposizioni affettive del soggetto. • Non si conosce la verità morale con la stessa facoltà con cui si conosce un teorema di matematica. • Lì basta l’intelligenza. 2. Le fonti della teologia morale L’uomo virtuoso conosce per connaturalità • Nella conoscenza della verità morale tutto il soggetto, con le sue disposizioni virtuose, è implicato. • Talvolta una persona che non ha studiato tanto ma che ha vissuto bene ha un giudizio morale più sicuro che una persona che è più intelligente e ha studiato bene ma che non ha vissuto bene. • L’intelligenza non è un ostacolo alla conoscenza morale, ma l’intelligenza deve essere accompagnata dalle virtù morali. 2. Le fonti della teologia morale Rapporto tra le scienze umane e la morale • Qual è il contributo che possono dare le scienze umane: la psicologia, la sociologia, la medicina, l’antropologia culturale, ecc.? • Caratteristica di queste scienze: applicano il metodo scientifico alla conoscenza dell’uomo. 2. Le fonti della teologia morale Rapporto tra le scienze umane e la morale • Cosa deve fare la teologia morale in rispetto a queste scienze? Deve rifiutarli o ignorali? Assumerli come criterio della moralità? Tra questi due atteggiamenti c’è quello di un’assunzione critica. 2. Le fonti della teologia morale • Le scienze umane possono dare molto ma non sono il criterio ultimo del bene e del male. • La teologia morale deve assumere queste scienze criticamente e inserirli all’interno della propria prospettiva. • Si deve tener presente che le scienze umane sono una modalità storica culturale di conoscenza dell’uomo. • Per approfondire: Alberto Strumia, Introduzione alla filosofia delle scienze Thomas Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche Hans Jonas, Organismo e libertà 2. Le fonti della teologia morale Il metodo scientifico • Le scienze umane nascono con l’applicazione del metodo scientifico all’uomo stesso. • Storicamente era Galileo Galilei ad introdurre questo metodo. • I principi fondamentali del metodo scientifico: a) quantità misurabili b) l’esperimento c) oggettività 2. Le fonti della teologia morale Il metodo scientifico a) Quantità misurabili • Galileo Galilei non si interessa più delle essenze e in ciò si distingue da Aristotele. • Ciò che conta per la nuova scienza non sono le qualità ma le quantità: Ciò che si può pesare, contare, quantificare • In quanto considera solo le quantità misurabili, il metodo scientifico tende ad essere riduttivo. • Cerca di ridurre le qualità alle quantità. • Come tale è legittimo introdurre un criterio per delimitare la ricerca. 2. Le fonti della teologia morale Il metodo scientifico a) Quantità misurabili • Un problema sorge quando si dimentica che la realtà è più grande di questo criterio. • Poi la scienza con il suo metodo scientifico diventa scientismo. • Le cose più belle e più profonde della vita non sono misurabili. • Come si può misurare l’amore? 2. Le fonti della teologia morale Il metodo scientifico b) L’esperimento • Per trovare le leggi della natura espresse in quantità misurabili il metodo scientifico fa uso dell’esperimento. • L’esperimento non equivale l’esperienza. • Si tratta di una prova costruita dallo scienziato per strappare dalla natura i suoi segreti. • «I segreti della natura si mostrano meglio sotto la pressione dell’arte, che secondo il loro corso naturale» (F. Bacone) • Qual è il segreto della natura? Le leggi matematiche che la costituiscono. 2. Le fonti della teologia morale c) Oggettività: prescinde dal soggetto • Si presenta come un metodo oggettivo, neutrale e universale. • L’esperimento deve essere ripetibile da qualsiasi persona in qualsiasi luogo. • Ma: è impossibile mettere tra parentesi il soggetto. • Anche nelle forme più neutrale delle ricerche scientifiche c’è sempre il soggetto che esprime i suoi desideri. • La ricerca è motivata. • Le risposte sono pre-giudicate già dalle domande. 2. Le fonti della teologia morale Il fascino della scienze moderna • Il fascino della scienza moderna sta nella sua efficacia pratica. • F. Bacone: scientia potestas est. • La scienza moderna non è solo un’impresa di conoscenza ma un progetto per trasformare il mondo. • La scienza e la tecnica oggi per forza vanno insieme. 2. Le fonti della teologia morale Il fascino della scienze moderna • Th. Hobbes: Conoscere una cosa vuol dire poter immaginare «quel che potremmo fare con essa quando la possedessimo». • La scienza moderna si accredita come promotore maggiore del progresso umano. • Sarebbe la scienza a rendere l’uomo felice e a migliorare la vita. 2. Le fonti della teologia morale Lo scientismo: • Si tratta di una deriva culturale con due caratteristiche principali: 1. Il positivismo: solo ciò che è misurabile è conoscibile. La scienza moderna diventa l’unico criterio di verità. 2. L’imperativo tecnologico: ciò che si può fare si deve fare per non fermare il progresso della scienza. Chiunque ponessi un limite alla sperimentazione è il nemico dell’umanità. 2. Le fonti della teologia morale Lo scientismo: • Giovanni Paolo II, Evangelium vitae n. 22: la natura come mater viene ridotta a materia e poi a materiale. • La natura è materiale di fronte all’arbitraria volontà umana di potere e di trasformazione. • Marc Jongen: “Der Mensch ist sein eigenes Experiment”. L’uomo è esperimento di se stesso. 2. Le fonti della teologia morale Rapporto tra scienze umane e antropologia • Quando la teologia morale si trova di fronte ad “un dato scientifico”, bisogna assumerlo criticamente, cioè • di criticarne i presupposti. • Poi deve assumere quel dato nella prospettiva di un’antropologia integrale. • Così diventa utilizzabile la conoscenza scientifica. 2. Le fonti della teologia morale Rapporto tra scienze umane e antropologia • Esempio: La psicologia ci dà una conoscenza realistica della nostra libertà. • Può essere che un’indagine psicologica ci dice: “il fatto è che 80% delle persone fanno questo o quello.” • Poi viene detto: “È normale che…” • Ma la normatività statistica non può mai diventare normatività etica. 2. Le fonti della teologia morale Rapporto tra scienze umane e antropologia • La normalità etica è come la normalità medica. • Se 80% degli uomini hanno un mal di testa, il medico non dà una pastiglia ai 20% che non ne soffrono, affinché anche loro lo avessero. • Cercherà invece di curare gli 80% che ce l’hanno. • Il medico ha della salute umana un concetto normativo e non statistico. 2. Le fonti della teologia morale Rapporto tra scienze umane e antropologia • La teologia morale non ha un concetto statistico di normalità e non può elevare la normalità statistica alla normatività etica. • La sociologia: guarda alle azioni umane come un comportamento che si svolge in un contesto sociale. • Scopre i condizionamenti sociali dell’agire. • È una cosa cui la teologia morale deve tener conto, ma criticamente. • L’antropologia teologica impara tanto dalle scienze umane: una visione realistica di che cosa è l’uomo concreto e della sua libertà. 2. Il metodo della teologia morale • Il metodo della teologia morale consiste in una circolarità ermeneutica tra la rivelazione e la ragione (esperienza, etica, scienza). • Da un lato, l’esperienza morale pone delle domande alla rivelazione. • Se uno non avesse un’esperienza morale non potrebbe percepire il bene e il male e non potrebbe neanche capire quello che la rivelazione gli dice. • Dall’altro lato, la rivelazione illumina l’esperienza morale con il suo significato fondamentale. • La rivelazione ha il primato ermeneutico. 3. I fondamenti della morale cristiana I. La felicità • S. Agostino, De moribus Ecclesiae catholicae, I, 3, 4: «Di certo tutti vogliamo vivere felici e nel genere umano non c’è nessuno che non dia il proprio assenso a questa proposizione, prima ancora che sia completamente formulata». • Non c’è un’azione umana che sfugga questa dinamica ricerca della felicità. • Ma che cosa è la felicità? Quali sono le vie per realizzare la felicità? Queste sono le domande fondamentali della morale. 3. I fondamenti della morale cristiana Gli obbiezioni di Kant Immanuel Kant, I fondamenti di una metafisica dei costumi a. La morale fondata sulla felicità sarebbe una morale soggettiva, soggettivistica. • Ognuno della felicità ha l’idea che gli pare. Tutto diventa soggettivo. b. Una morale basata sulla felicità è una morale egoistica. • Kant: chi cerca il proprio bene è interessato. • Il fondamento della morale perciò non è il bene ma il giusto. • È qui la grande differenza tra la morale classica e la morale moderna. 3. I fondamenti della morale cristiana Che cosa si può rispondere a Kant? Ad primum: soggettivismo • Non è vero che una morale basata sulla felicità sia necessariamente soggettivistica. • Dipende dal concetto di felicità • Władysław Tatarkiewicz (Analysis of Happiness, 1976): propone quattro concetti della felicità che noi riduciamo a due: L’idea di “soddisfazione soggettiva” o autorealizzazione soggettiva l’idea di eudaimonia or beatitudo. 3. I fondamenti della morale cristiana Che cosa si può rispondere a Kant? Ad primum: soggettivismo • L’eudaimonia/beatitudine: contiene non semplicemente un elemento soggettivo ma anche un elemento oggettivo. • S. Agostino, De Trinitate, XIII, 5, 8: «E’ beato colui che nello stesso tempo ha tutto ciò che vuole e non vuole nulla di male». • L’idea di felicità secondo la prospettiva classica contiene in sé un riferimento alla natura dell’uomo, come ad un dato oggettivo. 3. I fondamenti della morale cristiana Che cosa si può rispondere a Kant? Ad secundum: morale interessata / egoismo • Quale è l’idea cristiana di felicità/beatitudo? • La visione amante di Dio, la contemplazione di Dio nell’amore. • La felicità sta sempre nel rapporto con un altro/con un Altro. • La felicità è incontro, apertura, estasi. • È uscendo da sé, che uno si trova. • Il desiderio di felicità muove tutte le nostre azioni e ci mostra che noi non bastiamo a noi stessi, ma che abbiamo bisogno dell’altro. 3. I fondamenti della morale cristiana II. Amore, desiderio e azione • Maurice Blondel, Azione: La nostra volontà, quando tende al suo compimento nell’azione, desidera qualcosa di più grande di quello che la nostra ragione può immaginare. • Ogni nostra azione è il tentativo di raggiungere quella felicità. • E’ un tentativo sempre fallito, perché noi non possiamo dare un oggetto adeguato al nostro volere. • L’unica soluzione è aspettare che qualcun altro ci dia un oggetto adeguato al nostro volere. 3. I fondamenti della morale cristiana • «Sidera» in latino significa stelle. • «De-siderare»: togliere lo sguardo dalle stelle, ma nello stesso tempo segretamente continuare a cercarle. • Il desiderio è l’inquietudine della volontà umana che cerca in mezzo delle cose finite le cose infinite. • Dal punto di vista teologico la risposta è soprannaturale. • Desideriamo qualcosa che va oltre le capacità della nostra natura. • Desideriamo di vedere Dio: desiderium naturale videndi Deum (S. Tommaso, Summa contra gentiles, III, 25-50, Summa theologica, I, 12). 3. I fondamenti della morale cristiana • Si tratta di un desiderio che supera le capacità della nostra natura. • Il nostro desiderio più grande è forse senza risposta? Forse la nostra vita è assurda? • S. Tommaso: Dio ci ha dato la libertà con la quale noi possiamo consegnarci ad un amico che può per noi raggiungere ciò che da soli non potremmo mai raggiungere. 3. I fondamenti della morale cristiana • Summa theologica, I-II, 5, 5, ad 1: «La natura non ha manchevolezze con l'uomo, per non averlo fornito di armi e di vesti come gli altri animali, poiché gli ha concesso la ragione e le mani per acquistare codeste cose. • Allo stesso modo non è manchevole per non avergli accordato un mezzo per raggiungere la beatitudine; perché questo era impossibile. • Ma gli ha donato il libero arbitrio con il quale può volgersi a Dio, che lo farà beato. • "Infatti", dice Aristotele, "quello che possiamo mediante gli amici in qualche modo lo possiamo da noi stessi». • Il ponte tra il desiderio naturale di vedere Dio e il fine che è Dio è dato dalla nostra libertà che si affida a Cristo come amico. 3. I fondamenti della morale cristiana • Alla radice della nostra azione sta un bene che desideriamo. • S. Tommaso: Amor precedit desiderium: l’amore sta prima del desiderio. • Tommaso: Quando noi ci progettiamo verso quello che ci manca, lo facciamo perché in qualche modo ci è già stato dato. • Ogni azione nasce da un amore, che è la passione più fondamentale dell’uomo. • Non ci potrebbe essere nessun desiderio se non a partire da una certa esperienza del bene. 3. I fondamenti della morale cristiana • S. Tommaso parte dall’unione affettiva che tende all’unione reale. • L’amore è l’unione affettiva. • Tutto questo è un livello che non è scelto ma che accade. • Porto dentro di me l’immagine di colui o colei che mi ha colpito. 3. I fondamenti della morale cristiana • L’amare (come atto) è un movimento che porta da questa unione affettiva all’unione reale. • Il dinamismo dell’amore va dalla presenza dell’amato all’incontro con l’amato e quindi alla comunione con l’amato che comporta la gioia. • S. Tommaso: Sth I-II, 28,6: “Ogni agente, qualunque esso sia, compie qualsiasi atto per un qualche amore.” 4. Gli atti umani La distinzione tra atto umano e atto dell’uomo: • Un atto umano (actus humanus) è un atto che compiamo liberamente e consapevolmente. • Un atto dell’uomo (actus hominis) è ciò che facciamo senza coinvolgimento della nostra volontà e inconsapevolmente. • Ogni atto umano è un atto morale, cioè, è moralmente significativo. 4. Gli atti umani Importanza degli atti umani • La loro importanza sta nel loro carattere di auto- determinazione. • S. Gregorio Nisseno: «Noi siamo …, in certo modo, i nostri stessi genitori, creandoci come vogliamo, e con la nostra scelta dandoci la forma che vogliamo». • Con i miei atti determino il mio essere. • Per questo è importante che miei atti siano “ordinabile” al bene ultimo, a Dio, in cui trovo la mia felicità. • Dio è il bene supremo e solo atti buoni si possono ordinare a lui. 4. Gli atti umani Importanza degli atti umani • Giovanni Paolo, Veritatis splendor, n. 72: • «La moralità degli atti è definita dal rapporto della libertà dell'uomo col bene autentico. … • L'agire è moralmente buono quando le scelte della libertà sono conformi al vero bene dell'uomo ed esprimono così l'ordinazione volontaria della persona verso il suo fine ultimo, cioè Dio stesso: il bene supremo nel quale l'uomo trova la sua piena e perfetta felicità». • Con i miei atti liberi sempre mi metto in rapporto col bene e così prendo anche posizione nei confronti di Dio, il Bene Supremo. 4. Gli atti umani Le fonti della moralità degli atti umani 1. L’oggetto 2. il fine / l’intenzione 3. le circostanze • Perché un atto sia buono, tutti e tre devono essere buoni; perché un atto sia cattivo, basta che uno di questi aspetti dell’atto sia cattivo. • Pseudo-Dionigi l’Areopagita: «Bonum ex integra causa, malum ex quocumque defectu». 4. Gli atti umani Le circostanze • Ad esempio: chi, che cosa, dove, con quale mezzo, come, quando L’intenzione • Le intenzioni cattive distruggono la bontà di ogni atto. • Le intenzioni buoni non possono rendere buono un atto in sé cattivo. • Ma quando parliamo dell’atto-in-sé, siamo già arrivati alla discussione dell’oggetto dell’atto. 4. Gli atti umani L’oggetto morale nella “manualistica”: • La manualistica pensava dell’oggetto prima di tutto come l’atto fisico, che si vede dall’esterno. • D. Prümmer: La moralità di un atto è una qualità estrinseca che deriva dal paragone dell’atto con la legge. • Una persona che prende una pistola e spara ad un’altra. • Che cosa sta facendo? • E’ omicidio? • O un atto di legittima difesa? 4. Gli atti umani L’oggetto morale nella “manualistica”: • La legittima difesa viene intesa da questo tipo di morale come un’eccezione al “non-uccidere”. • Una morale della legge guarda l’atto umano dall’esterno del soggetto che agisce, lo paragona con la legge. • Un tale modo di guardare all’atto umano necessita una teoria delle eccezioni. 4. Gli atti umani • Ma è vera questa prospettiva? • Due atti, che dal di fuori sembrano eguali, possono essere totalmente diversi. • Alzare la mano: uno studente chiede la parola S. Massimiliano Kolbe offre la sua vita • Ciò che facciamo non può essere descritto solo in termini dell’atto esterno. • Ma non può neanche essere descritto in termini dell’intenzione ulteriore. 4. Gli atti umani Una concezione adeguata dell’oggetto morale ci viene proposta dall’enciclica Veritatis splendor, n. 78: • «La moralità dell'atto umano dipende anzitutto e fondamentalmente dall'oggetto ragionevolmente scelto dalla volontà deliberata, […] • Per poter cogliere l'oggetto di un atto che lo specifica moralmente occorre quindi collocarsi nella prospettiva della persona che agisce. • Infatti, l'oggetto dell'atto del volere è un comportamento liberamente scelto». [continua…] 4. Gli atti umani Veritatis splendor, n. 78: • «Per oggetto di un determinato atto morale non si può, dunque, intendere un processo o un evento di ordine solamente fisico, da valutare in quanto provoca un determinato stato di cose nel mondo esteriore». Agire non vuol dire semplicemente produrre degli effetti nel mondo esteriore. L’oggetto non è semplicemente l’atto esterno. • Esso è «il fine prossimo di una scelta deliberata, che determina l'atto del volere della persona che agisce». 4. Gli atti umani S. Tommaso, Summa theologica, I-II, 19, 3: • «La bontà della volontà dipende dall’oggetto». • «L’oggetto viene proposto alla volontà dalla ragione. • Infatti la volontà ha come suo oggetto proporzionato il bene intellettualmente conosciuto». • La volontà è l’appetito razionale. • Il suo oggetto è il bene appreso dalla ragione. • Appartiene alla ragione di ordinare. • Si ordina in vista di un fine. • Ecco per cui l’oggetto è «il fine prossimo di una scelta deliberata» 4. Gli atti umani Esempio: • Signor Schmidt è il capo di un’impresa di costruzione con 100 impiegati. • Si trova in difficoltà economiche. • Il Signor Schmidt va da un’ufficiale, riempie un assegno di 10 000 euro e glielo dà. • Poco dopo riceve l’incarico di costruire un nuovo edificio pubblico. • Che cosa ha fatto? 4. Gli atti umani 1. Egli ha scritto il suo nome su un foglio di carta. • Non è l’oggetto ma la materia circa quam/ l’actus externus • Si tratta di un “che cosa” che non contiene nessun “perché”. • Non scegliamo mai un atto solo sotto questa descrizione. • L’atto esterno è un’astrazione. • L’oggetto è proposto alla volontà dalla ragione. • La ragione ordina verso un fine, il «fine prossimo», senza il quale l’atto rimane inintelligibile. 4. Gli atti umani 1. Egli ha scritto il suo nome su un foglio di carta. • Firmiamo un assegno, indichiamo che siamo autori di un testo… • Ma mai semplicemente scriviamo il nostro nome su un foglio di carta. • Similarmente, nessuno ha mai semplicemente «rapporti sessuali». • Non è mai questo il modo in cui la ragione presenta alla volontà l’oggetto della scelta. • Si coglie se si è sposato con questa persona o meno – un dato essenziale che viene colto dalla ragione. 4. Gli atti umani 2. Il Sig. Schmidt ha salvato 100 posti di lavoro. • Non si tratta dell’oggetto, ma piuttosto del fine remoto, del- l’intenzione ulteriore/del finis operantis • Si tratta di un “perché” che non contiene più un “che cosa”. • «Salvare 100 posti di lavoro» si può realizzare in diversi modi. • Si può fare diverse cose e non salvare nessun posto di lavoro. 4. Gli atti umani 2. Il Sig. Schmidt ha salvato 100 posti di lavoro. • Si può salvare dei posti di lavoro senza andare da un ufficiale. • Si può andare da un ufficiale, dargli un assegno e non salvare nessun posto di lavoro. • L’oggetto morale è l’oggetto di una scelta deliberata, cioè, necessariamente qualcosa che possiamo scegliere. • Non si può scegliere di salvare 100 posti di lavoro, ma si può soltanto desiderarlo. • Per arrivarci occorre che si faccia qualcosa: e questo «qualcosa» è l’oggetto dell’atto. 4. Gli atti umani 3. Il Sig. Schmidt ha corrotto un ufficiale pubblico. • E’ questo l’oggetto del suo atto. • E’ il fine prossimo di ciò che sta facendo, il fine operis. • Si tratta di un «che» che contiene anche un «perché». • E’ questo che può essere l’oggetto di una scelta deliberata. • Il bene colto dalla ragione è l’oggetto dell’atto. • «Corrompere un ufficiale pubblico» – è questo come la ragione presenta ciò che sta facendo il Sig. Schmidt alla sua volontà. 4. Gli atti umani 3. Il Sig. Schmidt ha corrotto un ufficiale pubblico. • La ragione ordina verso un fine. • L’oggetto dell’atto non è mai una cosa ma una scelta specificata da un fine particolare. • M. Rhonheimer: L’oggetto della scelta di rubare un cavallo non è il cavallo, ma l’atto di rubarlo. 5. Le virtù Le virtù come principi dei nostri atti • Nella nostra situazione storica ci troviamo fragili nel compiere il bene. • Lo facciamo con difficoltà, con instabilità, con tristezza. • Le virtù sono dei modi di essere delle nostre facoltà, che ci preparano a compire gli atti buoni. • Ci permettono di compiere gli atti buoni con facilità, con stabilità, e con gioia. 5. Le virtù • Etimologicamente, la parola “virtù” significa «forza» e indica la perfezione di un potere. la “virtù” di essere un corridore veloce le virtù intellettuali: la scienza • Le virtù artistiche o intellettuali perfezionano solo certi aspetti dell’essere umano. • Le virtù che perfezionano l’essere umano in quanto essere umano sono le virtù morali. • S. Tommaso li definisce, citando S. Agostino, come “qualità buone dell’anima, che ci permettono di vivere giustamente e delle quale nessuno può fare un uso cattivo” (Sth I-II, 55,4). 5. Le virtù • Le virtù sono delle modificazioni del nostro essere, una seconda natura. • Sono delle disposizioni stabili che perfezionano le facoltà dell’anima. • Nella terminologia scolastica queste disposizioni attivi vengono chiamate con il nome di habitus. • Habitus ≠ “abitudine” • S. Pinckaers: La virtù è un habitus simile alla capacità di parlare una lingua o alla capacità di suonare uno strumento musicale. • Una virtù è una qualità acquistata o infusa dell’anima. 5. Le virtù • Quando agiamo virtuosamente siamo pienamente presenti a noi stessi nell’agire. • Le virtù non riducono la nostra spontaneità o la nostra libertà, ma piuttosto la aumentano. • Ci fanno vedere il bene più chiaramente e ci aiutano a compirlo più facilmente. • R. Spaemann: le virtù ci rendono più liberi perché ci aiutano a fare ciò che vogliamo veramente. 5. Le virtù • La virtù non toglie la necessità della scelta, ma ci stimola di scegliere bene. • La virtù è un habitus electivus (Tommaso d’Aquino, In Ethic. 382, lib. 3, lect. 1): una disposizione stabile a scegliere bene. • La virtù non ci dice quale atto faremo; dobbiamo essere creativi nella virtù. • Un atto giusto non sarà sempre lo stesso. • La giustizia ci predispone a scegliere giustamente, non predispone l’oggetto della scelta. 5. Le virtù • La virtù è un habitus che perfeziona le facoltà dell’anima. • Quali sono le facoltà dell’anima? la ragione (l’oggetto: il vero) la volontà (l’oggetto: il bene colto dalla ragione) il potere irascibile (l’oggetto: il bene arduo) il potere concupiscibile (l’oggetto: il bene sensibile; i piaceri sensibili) • Tutti e quattro i poteri sono aperti a essere perfezionati “abitualmente”; possono essere informati dalle virtù: le quattro virtù cardinali. 5. Le virtù 1. La prudenza è la perfezione della ragione pratica. • E’ una virtù intellettuale, ma intimamente collegata alle virtù morali, perché è ordinata all’agire. • Dispone la ragione pratica a discernere in ogni circostanza il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per compierlo. • Discerne ciò che è da fare qui ed ora. • S. Tommaso, Sth, II-II, 47, 2: La prudenza è la “recta ratio agibilium”: la retta misura delle cose pertinenti all’azione. 5. Le virtù • Non si tratta della timidezza o paura. • La prudenza è “l’auriga virtutum” - cocchiere delle virtù (S. Bernardo di Chiaravalle): essa dirige le altre virtù indicando la loro regola e misura.
• Tutte le virtù cardinali sono connesse nella
prudenza (S. Tommaso). 5. Le virtù • E’ l’auriga che tiene le briglie del cavallo. • Senza cavalli non si gira di nessuna parte. • Ma “power without control is nothing”. • La prudenza ha bisogno delle virtù morali perché esse ci danno la connaturalità con il bene – ci danno la “spinta” verso il bene. Se uno non è virtuoso, non ragiona bene moralmente. • Le virtù morali hanno bisogno della prudenza perché essa gli dà la loro direzione – l’intelligenza nel bene. Senza la prudenza ci sono solo abitudini. 5. Le virtù 2. La giustizia è la perfezione della volontà. • È la virtù morale che consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto. 5. Le virtù 3. La fortezza è la perfezione del nostro appetito irascibile. • Assicura la fermezza e la costanza nella ricerca del bene e nell’evitare il male. • L’uomo coraggioso confronta le difficoltà e i pericoli nel modo giusto senza timidezza ma anche senza avventatezza. 5. Le virtù 4. La temperanza è la perfezione dell’appetito concupiscibile. • La temperanza non implica la soppressione del desiderio ma il giusto ordinamento del desiderio. • Integra il nostro appetito concupiscibile nell’ordine della ragione. • Ci fa desiderare i piaceri onesti e ci fa detestare i piaceri disonesti. 5. Le virtù • S. Tommaso: «I poteri irascibile e concupiscibile non obbediscono alla ragione ciecamente. Hanno il loro proprio movimento, che qualche volta può andare contro la ragione.» • La ragione non li governa con un comando dispotico, come l’anima governa il corpo, ma con un comando politico, con il quale sono governati uomini liberi, che hanno una volontà propria. • Con questo comando politico è possibile integrare i poteri irascibili e concupiscibili nell’ordine della ragione: • E’ qui che stanno le loro virtù. 5. Le virtù La conoscenza per connaturalità • Aristotele: “Il fine appare a ciascuno caso per caso, tale quale ciascuno anche è” (EN III,5). • Come qualcuno è, così il fine appare a lui. • L’uomo virtuoso vedrà più chiaramente ciò che è buono in una situazione particolare. • Le virtù qualificano il nostro essere e per questo hanno anche un impatto importante sulla nostra conoscenza morale. 5. Le virtù Le tre virtù teologali: • Sono infuse dalla grazie. • Rendono le facoltà dell'uomo idonee alla partecipazione alla natura divina (2 Pietro 1, 3-4). • Si riferiscono direttamente a Dio. • Hanno come origine, causa ed oggetto Dio Uno e Trino. 5. Le virtù 1. La fede: • è la virtù teologale per la quale noi crediamo in Dio e a tutto ciò che egli ci ha detto e rivelato, e che la Santa Chiesa ci propone da credere, perché egli è la verità. [cfr. CCC 1814] • È la perfezione della nostra ragione. 5. Le virtù 2. La speranza: • Il suo oggetto è duplice. • Principalmente è Dio / la beatitudine eterna come un bene futuro, arduo, ma possibile da ottenere. • Secondariamente il suo oggetto è l’aiuto divino – l’aiuto dell’Amico – che ci permette di raggiungere questo fine. • È la perfezione della volontà in quanto la volontà è in movimento verso il suo fine, sperando di ottenere il bene che è Dio. • Cfr. Sth II-II, 17; CCC 1817-1818 5. Le virtù 3. La carità: • Ci fa amare Dio sopra ogni cosa per se stesso, e il nostro prossimo come noi stessi per amore di Dio. • E’ la perfezione della nostra volontà in quanto c’è già una certa unione spirituale tra Dio e l’uomo. • E’ una certa di amicizia con Dio (S. Tommaso). • E’ la forma delle virtù: anima e ispira il loro esercizio, è sorgente e termine della loro pratica. • La pratica della vita morale animata dalla carità dà al cristiano la libertà spirituale dei figli di Dio. • [CCC 1822; 1827; 1828] 6. Il merito e le beatitudini Il merito • Come gli atti umani si inseriscono nella prospettiva teologica? • Dobbiamo guardare allo scopo per il quale noi siamo stati creati. • Dal punto di vista oggettivo, il fine ultimo si chiama finis cuius gratiae, cioè il fine cui si gode. Dio è lo scopo della nostra vita. • Dal punto di vista soggettivo, il fine ultimo si chiama finis quo, cioè, l’atto umano con cui ci si unisce con Dio. L’atto beatifico è lo scopo della nostra vita. 6. Il merito e le beatitudini Il merito • STh I-II, 3, 1: «Il fine può indicare due cose. L'oggetto che desideriamo conseguire: e così l'avaro ha il suo fine nelle ricchezze. [finis cuius - oggettivo] • Oppure il conseguimento stesso, il possesso, ovvero l'uso o godimento dell'oggetto desiderato: e allora il possesso delle ricchezze è il fine dell'avaro. [finis quo - soggettivo] • Fine ultimo dell'uomo nel primo senso è il bene increato, cioè Dio … • Invece nel secondo senso l'ultimo fine dell'uomo è qualche cosa di creato esistente in lui, è cioè il conseguimento, o fruizione dell'ultimo fine». 6. Il merito e le beatitudini • Perché Dio mi ha creato? Perché io possa vederlo. • “Questa è la vita eterna, che conoscano te, il solo vero Dio” (Gv 17, 3). • Nei termini biblici, conoscere non è semplicemente conoscere con la testa. E’ unione. E’ amare. • È un’unione che ha un aspetto razionale, conoscitivo, e un aspetto affettivo. • S. Tommaso: l’aspetto razionale ha un primato. • Il primato dell’aspetto razionale impedisce che l’aspetto affettivo, la soddisfazione soggettiva, diventi la prima cosa. 6. Il merito e le beatitudini • Il fine ultimo che è l’atto perfetto è la beatitudine. • Questo atto perfetto non possiamo compierlo in questa vita. • “Nessuno può vedere Dio e vivere” (Esodo 33, 20). • Ma possiamo prepararlo tramite gli atti della vita terrena. • La beatitudine è soprannaturale. • Dio ci dona la capacità di meritare ciò che da soli non potremmo mai ottenere. • Un atto meritorio è un atto umano proporzionato alla beatitudine eterna, al fine ultimo. 6. Il merito e le beatitudini • Perché ci sia merito ci devono essere tre cose: 1. L’atto deve essere un atto umano, 2. deve essere un atto moralmente buono, 3. e deve essere un atto nella carità. • Se ha questi tre elementi, allora è un atto che mi prepara al fine ultimo. • E’ un atto che anticipa il fine ultimo nella mia vita, mi fa già godere Dio. • Questo tipo di atti si chiamano le beatitudini. 6. Il merito e le beatitudini Le beatitudini • Le beatitudini sono gli atti umani compiuti nella sequela di Cristo povero, mite, umile … • Le beatitudini sono atti che ci fanno anticipare l’atto perfetto – la beatitudine. • Un’anticipazione misteriosa e paradossale: nella persecuzione e nella sofferenza • Le beatitudini sono quello che possiamo sperimentare in questa vita della visione di Dio. • Ci fanno pregustare la felicità eterna. • Non c’è una separazione tra questa vita e l’altra. • Nell’agire umano c’è un’anticipazione della gioia finale. 7. La legge naturale La razionalità pratica • conoscenza speculativa vs. conoscenza pratica La razionalità pratica ha una sua originalità. G.E.M. Anscombe (1919-2001), Intention (1957) Wolfgang Kluxen, Philosophische Ethik bei Thomas von Aquin (1964) 7. La legge naturale La razionalità pratica • Un sillogismo speculativo: 1. Tutti gli uomini sono mortali. 2. Socrate è un uomo. \ Socrate è mortale. • Parte da una proposizione universale attraverso un termine medio e arriva ad una conclusione che è di carattere speculativo. 7. La legge naturale Il sillogismo pratico è diverso. 1. Non si devono uccidere gli uomini. 2. Questo è omicidio. \ Non posso fare questo atto che è omicidio. Oppure: 1. Occorre compiere atti di giustizia. 2. Questo è un atto di giustizia. \ Compio questo atto di giustizia. 7. La legge naturale • Aristotele: l’originalità del sillogismo pratico: la conclusione non è un’idea ma un’azione. • Come si può passare da un ragionamento ad un’azione? • Come si può passare da un’affermazione sull’essere ad un’affermazione sul dover essere, o addirittura ad un’azione? • David Hume (1711-1776), A Treatise of Human Nature e G. E. Moore, Principia Ethica (1873-1958) hanno formulato la cosiddetta “naturalistic fallacy”. • l’impossibilità di passare da un’affermazione sull’essere ad un’affermazione sul dover essere 7. La legge naturale • Come si può passare nel sillogismo pratico da una premessa universale ad un’azione? • Solo se già la premessa non è solamente speculativa ma è già pratica. • Aristotele: Il mero pensiero non muove nulla. • L’inizio del ragionamento pratico non è una pura ragione che coglie il bene solo come un’idea (sotto l’aspetto dell’essere) • L’inizio del ragionamento pratico è una ragione che coglie il bene come un oggetto di un desiderio (sotto l’aspetto dell’appetibilità). • La ragione pratica è tutta animata da un desiderio. 7. La legge naturale • La razionalità speculativa ha come scopo la conoscenza speculativa. • La razionalità pratica ha come scopo l’agire. • La ragione pratica è associata al desiderio, per cui la conoscenza morale non è mai una conoscenza che dipenda solo dalla ragione. • È una conoscenza che dipende dalla rettitudine del desiderare. • S. Tommaso: il criterio della verità speculativa è la conformità dell’intelletto con la cosa, adaequatio re et intellectus. • Il criterio della verità pratica è la conformità dell’azione con l’appetito retto, con ciò che voglio in verità, con il bene autentico. 7. La legge naturale Esempio • Vado al supermercato con una lista di spesa:
• Una spia mi segue e osserva
ciò che sto comprando. • Mi sbaglio: invece del shampoo compro un bagno schiuma. 7. La legge naturale Esempio • C’è una differenza tra la mia lista e quella della spia. • Dal punto di vista speculativo vale ciò che ha scritto la spia. • Dal punto di vista pratico c’è uno sbaglio. • Dov’è lo sbaglio dal punto di vista pratico? • È nella lista o nell’azione che io ho fatto? • È nell’azione. 7. La legge naturale • Il criterio di verità dell’azione è il progetto che avevo nell’azione: questa è la verità pratica. • La verità speculativa è la corrispondenza del pensiero con la cosa. • La verità pratica è la corrispondenza del mio agire con il mio progetto/desiderio autentico. • Il criterio della verità pratica è la corrispondenza dell’azione con il bene della persona di cui l’idea è interiore. • Questo ci porta al concetto di legge naturale. 7. La legge naturale La legge naturale • La legge naturale è l’ordine che la ragione fa nelle azioni dell’uomo, disponendoli verso il fine adeguato. • La ragione da sola, anche senza la rivelazione, può conoscere i criteri fondamentali del bene e del male. • Si tratta di una legge interiore, non scritta, intima, universale, che è una legge della ragione, e che esprime i principi fondamentali della moralità. 7. La legge naturale Due definizioni della legge naturale: 1. Una definizione filosofica: • La legge naturale è l’ordine che la ragione fa nelle azioni per dirigere le azioni al bene della persona. • Il duplice significato della parola “ordine”: una disposizione armonica e sapiente degli elementi: “fare ordine”. un comandamento • Tommaso d’Aquino: “sapientis est ordinare”. • L’uomo sapiente conosce il fine delle cose. 7. La legge naturale • La legge naturale è l’ordine che fa la ragione dell’uomo, indirizzando le nostre azioni verso il fine per cui viviamo, verso il bene autentico della persona. • La legge naturale è qualcosa di razionale. • La legge naturale è sapiente in quanto è un ordine che la ragione fa a partire da un fine. • L’idea di ordine legata alla sapienza è il fondamento del comandamento. 7. La legge naturale Guglielmo di Ockham (1285-1350) e il nominalismo • «Bonum quia iussum, malum quia prohibitum» Una cosa è bene perché viene comandata e male perché viene proibita. • Il comandamento sarebbe l’espressione di una volontà arbitraria (volontarismo). • Dio potrebbe cambiare tutto arbitrariamente – anche i Dieci Comandamenti. • S. Tommaso: «Iussum quia bonum, prohibitum quia malum». • Una cosa è comandata perché è bene e è proibita perché è male. • Il comandamento non è il fondamento della bontà ma esprime una verità sul bene. 7. La legge naturale • Il comandamento non è l’espressione della divina volontà ma è l’espressione della divina sapienza. • La bontà o la malizia delle azioni non è qualcosa di estrinseco ma è qualcosa di intrinseco. • Perché è bene rispettare i genitori? • Perché quel atto di rispettare i genitori è in se stesso corrispondente al bene della persona. • Perché è male uccidere una persona innocente? • Perché quell’atto di uccidere è in se stesso contraddittorio al bene della persona. 7. La legge naturale 2. Una definizione teologica della legge naturale: • La legge naturale è la partecipazione di una creatura razionale alla legge eterna di Dio. • La legge eterna è la sapienza di Dio in quanto dispone tutta la realtà, perché tutta la realtà raggiunga il suo fine. • Dio ha creato il mondo dinamicamente, teso verso il suo fine. • La sua provvidenza e sua sapienza dispone diversamente le leggi che guidano il mondo verso il suo fine. • Le leggi del mondo fisico: ad es. la gravità • Le leggi del mondo animale: ad es. gli istinti. 7. La legge naturale • Quando Dio crea l’uomo, dispone che l’uomo raggiunga il suo fine in modo diverso e più eccellente: non semplicemente attraverso le leggi fisiche non semplicemente attraverso gli istinti ma tramite la ragione: • S. Tommaso: “La natura non ha manchevolezze con l'uomo, per non averlo fornito di armi e di vesti come gli altri animali, poiché gli ha concesso la ragione e le mani per acquistare codeste cose” (STh I-II, 5, 5, ad1). • La Provvidenza divina ha disposto che l’uomo possa essere provvidenza a se stesso (I-II, 91, 2). 7. La legge naturale • La legge naturale è quel modo eccellente attraverso cui la ragione umana partecipa nella ragione divina. • Partecipa nella ragione divina in una maniera eccellente perché partecipa conoscendo il fine e non ciecamente, come gli animali. • La legge naturale è tutt’altro che la legge della natura o la legge positiva. La legge naturale è la ragione umana. • Leone XIII, Libertas praestantissimum (1888): «Sovrana su tutto: tale è la legge naturale, scritta e scolpita nell’anima di ogni uomo, poiché essa non è altro che l’umana ragione che ci ordina di agire rettamente e ci vieta di peccare». 7. La legge naturale I principi della legge naturale (I-II 94, 2) • La legge naturale è “naturale” in quanto appartiene alla ragione che fa parte della natura umana. • La ragione umana partecipa nella sapienza divina in quanto Dio ci ha donato delle prime luci sul bene: i principi della legge naturale. • Dio ha inserito nell’uomo l’idea del bene. • Ci sono delle tendenze della nostra ragione verso i beni fondamentali della vita. la vita stessa il bene dell’unione sessuale il bene della vita in società il bene della conoscenza della verità su Dio. 7. La legge naturale • Queste quattro fondamentali direzioni sono spontanee nell’uomo. • Sono gli inclinazioni fondamentali che chiamiamo inclinazioni naturali. • A partire di queste quattro inclinazioni naturali verso i beni, la ragione umana fa la sua ordine e percepisce ciò che è bene è ciò che è male. • La synderesis: habitus/disposizione della razionalità pratica di percepire i primi principi della legge naturale (i beni fondamentali) e di giudicare il bene e il male. • Viene chiamato anche: anamnesi: il ricordo del bene • Il fondamento della synderesis è il primo principio della ragione pratica: il bene va fatto, il male va evitato. 8. La legge nuova La Legge Nuova e i comandamenti • S. Tommaso d’Aquino, La Summa theologiae (I- II, qq. 106-108): Che cosa è la legge nuova? • La legge di Cristo, il Vangelo, è una legge scritta esternamente o una legge scritta interiormente nel cuore? • È scritta in un libro o è scritta dentro del cuore? 8. La legge nuova • Gioacchino da Fiore (*1130 + 1202): un abate benedettino di Calabria. • I suoi scritti furono condannati dal IV Concilio Lateranense in 1215. • Gioacchino parla delle tre età della storia della salvezza: l’età del Padre: l’Antico Testamento l’età del Figlio: il Nuovo Testamento l’età dello Spirito Santo: il nuovo Vangelo annunziato nell’Apocalisse. • L’età del Figlio, che è l’età dei segni visibili, dei sacramenti, del Vangelo scritto, sarà superato. 8. La legge nuova • Gioacchino da Fiore: prima dell’età dello Spirito Santo verranno due testimoni. • Poi sono venuti San Domenico e San Francesco. • Fra Giovanni da Parma, superiore dei francescani, ha cominciato a seguire la strada di Gioacchino da Fiore. • Diceva: l’ordine francescano non è semplicemente una congregazione fra le altre, ma è la nuova Chiesa: gli «Spirituali» • Quando S. Bonaventura (1217-1274) diventa superiore dei francescani mette in prigione Giovanni da Parma. 8. La legge nuova • Joseph Ratzinger: La teologia della Storia in S. Bonaventura • Henri de Lubac, La postérité spirituelle de Joachim de Flore • Gioacchino da Fiore: la legge nuova è una legge tutta interiore. • Alessandro di Hales (1185-1245), francescano e collega di S. Tommaso a Parigi: La legge nuova del Vangelo è una legge scritta. E’ il Vangelo scritto. • Se fosse interiore, si ridurrebbe alla legge naturale. 8. La legge nuova • Che cosa dice S. Tommaso? • Nelle realtà composte, c’è qualcosa che è principale e qualcosa che è secondario. • Il corpo umano: la cosa principale è la testa, perché la testa comanda tutto il corpo. • Questo è “id quod est potissimum”. • La cosa più decisiva della legga nuova è la grazia dello Spirito Santo che ci è stata data mediante la fede in Cristo. 8. La legge nuova • Poi dice Tommaso: oltre alle cose principali ci sono le cose secondarie. • Perché ne abbiamo bisogno? • Non abbiamo la pienezza dello Spirito, ma abbiamo solo le sue primizie. • Tutto lo Spirito è dato a Gesù, noi abbiamo solo i primi frutti, per cui abbiamo bisogno ancora di cose scritte, che ci aiutino a vivere il dono dello Spirito. • La cosa principale è lo Spirito. • Della legge nuova fanno parte anche precetti di opere esteriore, perché “il Verbo si è fatto carne.” 8. La legge nuova • Abbiamo ancora bisogno di un Vangelo scritto, di autorità, di sacramenti, che finiranno alla fine del mondo. • Ma il senso profondo della morale cristiana non è la morale che viene vissuta solo nella forma del precetto. • Non è soprattutto una legge. E’ Spirito Santo, ma ha bisogno di leggi. • Però le leggi devono essere poche nella vita cristiana “affinché la vita concreta del cristiano non sia resa troppo pesante” (Sth I-II, 107, 4). • Le leggi sono al servizio dello Spirito. 9. Gli assoluti morali e il proporzionalismo Che cosa sono gli assoluti morali? • L’espressione “assoluto morale” indica il fatto che le norme morali negative valgono sempre e senza eccezioni (semper et pro semper). • La norma morale è un giudizio che esprime una valutazione su un certo tipo di azione: è buono o è cattivo, si deve fare, si può fare, o non si deve fare. • La norma morale che qualifica un atto come cattivo dal suo oggetto mi dice che quell’atto e sempre proibito, indipendentemente dall’intenzione e dalle circostanze. 9. Gli assoluti morali e il proporzionalismo • Joseph Fuchs S.J.: è impossibile valutare moralmente un atto (per escluderlo) indipendentemente dalla considerazione delle intenzioni del soggetto o indipendentemente dalle circostanze. • Fuchs dice che non si possono esprimere norme morali assoluti che abbiano un valore privo di eccezioni. • Dice: «Sì, esistono anche delle “norme morali assolute”, ma queste norme morali assolute sono tautologiche in quanto già coincidono con il giudizio di coscienza». 9. Gli assoluti morali e il proporzionalismo • Gli assoluti morali sarebbero tautologici perché esprimerebbero nel soggetto della proposizione già il contenuto morale negativo che si esplicita nell’oggetto. • Esempio: “assassinare è male” sarebbe un assoluto morale. • Già il concetto di assassino implicherebbe togliere la vita in una maniera cattiva. • Per cui l’affermazione “assassinare è male” non avrebbe nessun valore istruttivo, ma solo un valore parenetico, cioè ammonitivo. • Veritatis Splendor n. 79 è stato introdotto proprio per rispondere a lui. 9. Gli assoluti morali e il proporzionalismo • Veritatis splendor 79: • «È da respingere quindi la tesi, propria delle teorie teleologiche e proporzionaliste, secondo cui sarebbe impossibile qualificare come moralmente cattiva secondo la sua specie – il suo «oggetto» – la scelta deliberata di alcuni comportamenti o atti determinati prescindendo dall’intenzione per cui la scelta viene fatta o dalla totalità delle conseguenze prevedibili di quell’atto per tutte le persone interessate». 9. Gli assoluti morali e il proporzionalismo Il proporzionalismo • L’utilitarismo (Jeremy Bentham, † 1832 e John Stuart Mill † 1873): è moralmente buono ciò che utile. • Il consequenzialismo: ritiene le norme morali siano definite dal calcolo delle conseguenze. • Il teleologismo: La norma morale deve considerare il fine, ma non il fine ultimo, neanche i fini delle virtù, ma lo scopo dell’agente (finis operantis). • Max Weber († 1920) distingue tra «etica della convinzione» e «etica della responsabilità». 9. Gli assoluti morali e il proporzionalismo • Il proporzionalismo è il modo con cui tutte queste teorie in fondo sono modi di dire la stessa cosa. • Il proporzionalismo è una teoria etica che cerca derivare la moralità di un azione dal calcolo proporzionato dei beni e mali pre-morali che seguono da tal azione. • Il giudizio morale è possibile solo dopo questa ponderazione dei beni pre-morali. • L’azione che produce più beni pre-morali sarebbe quella moralmente dovuta. • Presuppone che ogni azione umana produce effetti buoni e cattivi. 9. Gli assoluti morali e il proporzionalismo La critica del proporzionalismo 1. Bartholomew Kiely: Il proporzionalismo è impraticabile • Non si può prevedere tutte le conseguenze delle proprie azioni. • Non si può distinguere tra «conseguenze proprie» e «conseguenze coincidenti» • Spesso beni qualitativamente diversi sono incommensurabili. 9. Gli assoluti morali e il proporzionalismo 2. John Finnis / Derek Parfit: il proporzionalismo è inconsistente con se stesso nell’atto di proporlo come teoria. • Il proporzionalismo mina l’assolutezza della morale. • Se le persone credessero al proporzionalismo e lo seguissero, le conseguenze proporzionate per la società sarebbero cattive. • Per la società sarebbe meglio che le persone credessero in una moralità assoluta. Per ragioni proporzionalistiche, chi è convinto del proporzionalismo dovrebbe sentirsi moralmente obbligato di non parlarne a nessuno. 9. Gli assoluti morali e il proporzionalismo 3. Martin Rhonheimer: Il proporzionalismo concepisce l’agire umano come un evento; sostituisce l’agire con il fare • Il proporzionalismo non riesce ad avere la prospettiva della morale che è la prospettiva del soggetto che attraverso i suoi atti compie se stesso, diventa buono o diventa cattivo. • Guardando solo alle conseguenze, non distingue tra atto ed evento. • Riduce l’agire morale al fare, al livello tecnico del produrre certi effetti, trascurando l’effetto che l’agire produce su chi lo sceglie. 9. Gli assoluti morali e il proporzionalismo • Esempio della fioriera 9. Gli assoluti morali e il proporzionalismo 4. Robert Spaemann: Il proporzionalismo prende il posto di Dio, è l’etica di Dio • Il proporzionalismo si arroga il posto della divina provvidenza: • E’ la provvidenza divina che conduce tutte le cose verso il loro fine. • La divina provvidenza dal male può ritrarre il bene. • «Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio» (Ro 8). • Dio è responsabile del bene universale dell’universo. • Il proporzionalismo pretende che siamo responsabile noi di tutte le conseguenze delle nostre azioni e con questo anche del bene del mondo intero. 9. Gli assoluti morali e il proporzionalismo 4. Robert Spaemann: Il proporzionalismo prende il posto di Dio, è l’etica di Dio • Ma chi è responsabile per tutto diventa irresponsabile: fanatismo (Lenin: a noi tutto è permesso) rassegnazione («Non posso aiutare a tutti…») • Sulle nostre spalle non pesa il compito di fare bene il mondo ma la grave responsabilità di fare del bene nel mondo. • Noi abbiamo una responsabilità finita/limitata. 9. Gli assoluti morali e il proporzionalismo 5. Giovanni Paolo II: In quanto mina il senso dell’assoluto, il proporzionalismo ci togli il senso della vita. • Veritatis splendor mostra come il vertice della morale è il martirio (nn. 90-94). • Il martirio è un’azione nella quale per la testimonianza a Dio, si perde la vita fisica. • Giovenale: «Considera il più grande dei crimini preferire la sopravvivenza all’onore e, per amore della vita fisica, perdere le ragioni stessi del vivere» (Satirae, VIII, 83-84). 9. Gli assoluti morali e il proporzionalismo 5. Giovanni Paolo II: In quanto mina il senso dell’assoluto, il proporzionalismo ci togli il senso della vita. • Se non c’è una ragione per cui vale la pena di dare la propria vita, non c’è neanche una ragione per cui vale la pena di vivere. • Se non abbiamo delle ragioni per dare la propria vita, saremo gli schiavi della sopravvivenza fisica. • Possiamo essere ricattati. • Le ragioni per morire devono essere assoluti. • Nessuno né muore né vive per un’ipotesi. 10. Opzione fondamentale, libertà e peccato Contesto: • Problematiche di tipo pastorale relative al sacramento della confessione • Il Concilio di Trento richiede delle indicazioni precise riguardo alla confessione: obbligo di confessare tutti i singoli peccati mortali secondo specie e numero • Concentrazione sui singoli atti • Pericolo di una assenza di coinvolgimento personale • 20° secolo: riflessione sul nesso tra persona e atti: Cosa significano gli atti nel cammino di una persona? • Un tipo di atteggiamento diverso: si è passato ad un altro estremo: il pericolo che si confessano stati d’animo, non si confessano più gli atti. 10. Opzione fondamentale, libertà e peccato Una fenomenologia delle nostre scelte: 1. Piccole scelte di ogni giorno 2. Scelte progettuali nelle quali scegliamo una direzione per la vita 3. Le motivazioni di fondo • Qual è il motivo profondo della mia scelta? È difficile comprendere. 10. Opzione fondamentale, libertà e peccato • Ci sono delle piccole scelte di tutti i giorni che possono smentire le scelte progettuali ed essere in contrasto con le mie motivazioni più profonde. • Sono livelli diversi in cui la mia libertà si esercita, si attua, si realizza. • Il tema dell’opzione fondamentale affronta il problema della condizione trascendentale (condizione di possibilità) dei miei atti liberi. • Ci sono quattro forme di pensare l’opzione fondamentale. 10. Opzione fondamentale, libertà e peccato 1. Il primo atto libero • La prima scelta libera, la scelta libera più importante, più fondamentale che una persona fa. • Maurizio Flick – Zoltan Alzeghy, “L’opzione fondamentale della vita morale e la grazia” in: Gregorianum 1960: 593-619. • Jacques Maritain, “La dialectique immanente du premier acte de liberté”, in Raison et raisons, Egloff, Paris 1947, 131-165. • Riscoprono qualcosa che aveva già detto S. Tommaso d’Aquino: Quando l’uomo arriva all’età di ragione, la prima cosa che gli capita è deliberare di se stesso. 10. Opzione fondamentale, libertà e peccato 1. Il primo atto libero • S. Tommaso: «Infatti il primo oggetto che si presenta a chi raggiunge la discrezione è di deliberare di se stesso [de seipso cogitet], ordinando se medesimo e le altre cose all’ultimo fine» (Sth I-II, 89, 6, ad 3). • In questo atto uno non decide solo di quella piccola cosa, ma decide in qualche modo della propria vita. • Dirige la propria vita verso il proprio fine, sceglie anche il suo fine ultimo. Dice “voglio essere così”. • Il primo atto libero è l’atto in cui io accetto la grazia o rifiuto la grazia. 10. Opzione fondamentale, libertà e peccato 1. Il primo atto libero • Questo primo atto libero, nel quale si sceglie il fine della vita, ha una forza particolare che orienta la vita in una certa direzione. Tommaso la chiama virtus primae intentionis. • E’ un atto che dà una direzione alla vita. • Questa forza della prima intenzione rimane. • Sth. I-II, 1, 6, ad. 3: « Non è necessario che nell’agire o nel desiderare qualsiasi cosa uno pensi sempre all’ultimo fine: l’influsso della prima intenzione [virtus primae intentionis] rivolta all’ultimo fine rimane nel desiderio di qualsiasi cosa, anche se attualmente non si pensa quel fine. Come non è necessario che il viandante a ogni passo pensi al termine del viaggio». 10. Opzione fondamentale, libertà e peccato 1. Il primo atto libero • Questa prima direzione può essere cambiata. • Uno può compiere degli atti che cambiano la direzione. • Il primo atto è fondamentale ma non è l’unico atto. • Piuttosto di parlare di “opzione fondamentale” sarebbe meglio parlare di scelta fondamentale: La prima scelta della vita. • Se non è ritrattata da qualche altra scelta fondamentale contraria, allora rimane con una forza che orienta la vita. 10. Opzione fondamentale, libertà e peccato 2. Intenzione fondamentale • Dietrich von Hildebrand, Moralia, parla di un’intenzione fondamentale: Grundintention • Non è una scelta ma una specie di intenzione. • È l’atteggiamento con cui la libertà si rivolge verso il fine: l’amore, gratitudine, voler essere come Gesù. • È difficile identificarla con un atto. • È piuttosto il fondamento degli atti o la condizione della possibilità degli atti che li sostiene. 10. Opzione fondamentale, libertà e peccato 3. Opzione finale • Ladislaus Boros, Mysterium mortis. L’uomo nella decisione ultima, Queriniana, Brescia 1969) • Gli atti che compiamo in questa vita sono sempre atti condizionati da tanti fattori esterni. • Sembra impossibile che un atto che io compio in questa vita, solo per il fatto casuale di essere l’ultimo atto, decida della mia sorte nei secoli dei secoli. • Tra il momento della fine della vita terrena e l’ingresso nella vita eterna viene ipotizzato un istante nel quale l’uomo compie un’ultima scelta della propria vita, con cui raccoglie tutta la propria vita e di fronte a Dio dice o sì o non. 10. Opzione fondamentale, libertà e peccato 3. Opzione finale • L’ultimo momento non è più un momento della vita terrena, ma non è neanche ancora un momento della vita eterna. • In questo momento uno farebbe una scelta finale. • In questa opzione finale si esprime tutta la propria libertà. • Sulpicio Severo (360-420): la morte di S. Martino di Tours: un angelo e un diavolo si contestavano la sua anima. • Nell’ultimo momento tutta la vita ci passerebbe davanti, tutto quello che abbiamo fatto. 10. Opzione fondamentale, libertà e peccato 4. Opzione fondamentale trascendentale • Karl Rahner, Joseph Fuchs, et al. - di ispirazione kantiana • Postulano due tipi di libertà: la libertà categoriale la libertà trascendentale. • La libertà categoriale è quella che sceglie le singole cose • Al fondo della libertà categoriale sta la libertà trascendentale dove scelgo me stesso come un tutto di fronte a Dio, anche se non conosco Dio. 10. Opzione fondamentale, libertà e peccato 4. Opzione fondamentale trascendentale • Questa libertà trascendentale sarebbe atematica, non posso averne una consapevolezza riflessiva. • Se il soggetto fa di se stesso il tema della sua riflessione, allora rimane sempre escluso dalla consapevolezza riflessiva il soggetto che riflette su se stesso. • Non potrò mai essere riflessivamente cosciente della opzione fondamentale che sto facendo di tutto me stesso davanti a Dio. • E’ un estremo punto che mi precede e che non posso riflessivamente afferrare. • L’opzione fondamentale non è una scelta. 10. Opzione fondamentale, libertà e peccato 4. Opzione fondamentale trascendentale • L’opzione fondamentale non è qualcosa che si fa in un momento particolare della vita • Non si può sapere la propria opzione fondamentale. • Ciò cui io sono riflessivamente cosciente sono le scelte. • Ma le scelte sarebbero poco decisive per la vita. • Gli atti che si compie sarebbero solo sintomi dell’opzione fondamentale. • Ciò che sarebbe la cosa più importante - l’opzione fondamentale trascendentale – è qualcosa di cui non si è riflessivamente cosciente. 10. Opzione fondamentale, libertà e peccato Il peccato • Le teorie dell’opzione fondamentale hanno un impatto forte sul discorso del peccato. • Il Sinodo di Cartagine (ca. 418): la distinzione tra peccato mortale e peccato veniale. • Tre elementi formali del peccato mortale: è un atto che rompe l’alleanza con Dio fa perdere la grazia santificante, e merita la pena eterna. • Il peccato mortale è la morte della grazia. • Nessuno può darsi la vita, ha bisogno di un intervento esterno che lo riconcili con Dio. 10. Opzione fondamentale, libertà e peccato • Questa riconciliazione avviene nella maniera sacramentale nella confessione. • Ci può essere una conversione dal peccato mortale che avviene mediante lo Spirito Santo che provoca la contrizione perfetta: il perfetto pentimento del peccato. • In questo modo lo Spirito può condurre alla riconciliazione con Dio anche prima della confessione. • Ma questa contrizione perfetta porta sempre in sé l’invocum sacramenti, cioè, è orientata al sacramento. • Anche quando si ha questa contrizione perfetta bisogna portarsi al sacramento: • Il desiderio di confessarsi fa parte della contrizione perfetta. 10. Opzione fondamentale, libertà e peccato • I tre elementi materiali del peccato mortale sono la materia grave la piena avvertenza, e il deliberato consenso • La materia grave è definita dai comandamenti. • Anche un atto che può essere grave per la sua materia diventa lieve se il soggetto non era pienamente libero o pienamente consapevole. • Può anche darsi che ci sia la piena consapevolezza e il deliberato consenso, ma che manchi la materia grave. 10. Opzione fondamentale, libertà e peccato Il peccato veniale • Il peccato veniale è il peccato che non realizza compiutamente la natura del peccato mortale, o perché non è consapevole, o perché non è libero, o perché la materia non era grave. • Quindi il peccato veniale è un peccato che non toglie la grazia di Dio, che non merita una pena eterna, ma merita una pena temporale. • Questa pena temporale può essere smontata o attraverso sofferenze e penitenze in questa vita, o nel purgatorio. 10. Opzione fondamentale, libertà e peccato Il peccato veniale • Da dove è emersa la consapevolezza del peccato veniale? • 1 Gv 5,16: «Se uno vede il proprio fratello commettere un peccato che non sia a morte, preghi Dio, ed egli gli darà la vita». • Il Sinodo di Cartagine (418) can. CXVI dice che tutti i cristiani possono pregare il Padre nostro senza dire bugie. • Nel Padre Nostro preghiamo: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori». 10. Opzione fondamentale, libertà e peccato Il peccato veniale • Ma: uno giusto non ha peccato. Se ha peccati non è giusto. • Alcuni dicono: lo dice solo per l’umiltà • Sinodo di Cartagine: il giusto non ha peccati mortali, ma ci sono dei peccati veniali e quotidiani che anche il giusto ha. • Anzi la bibbia dice “Il giusto cade sette volte e si rialza” (Prov. 24,16). • Quindi esiste il peccato veniale ed esiste il peccato mortale. 10. Opzione fondamentale, libertà e peccato Il peccato veniale • Il peccato mortale è la morte dell’anima; il peccato veniale è una ferita. • Dalle ferite si può ristabilirsi anche da solo attraverso la penitenza. • Per il peccato mortale ci deve essere una confessione sacramentale. 10. Opzione fondamentale, libertà e peccato Il peccato e l’opzione fondamentale • Appaiano teorie che non accettano più la distinzione bi- partita del peccato: veniale e mortale. • Viene proposta una tri-partizione del peccato, adottata ad es. da Bernard Häring. • C’è il peccato mortale: l’opzione fondamentale negativa. • C’è il peccato veniale. • Poi viene introdotto l’idea di peccati in materia grave non mortali. • Atti compiuti con piena coscienza, con piena libertà, e in materia grave e che tuttavia non sarebbero mortali e che non mettano in discussione la mia opzione fondamentale positiva. 10. Opzione fondamentale, libertà e peccato Il peccato e l’opzione fondamentale • Questa teoria mette in questione radicalmente il sacramento della confessione, perché ciò di cui sono cosciente, ciò che potrei confessare, non è così importante perché è mai un peccato mortale, e ciò che dovrei confessare – l’unico peccato mortale rimasto: l’opzione fondamentale negativa – non posso confessare perché è mai pienamente cosciente. 10. Opzione fondamentale, libertà e peccato Il Magistero sull’opzione fondamentale • Il Magistero della Chiesa ha parlato di queste teorie soprattutto in tre documenti. CDF, Persona humana (Dichiarazione sulla etica sessuale, 1975), Giovanni Paolo II, Reconciliatio et poenitentia (Esortazione apostolica di 1984) Giovanni Paolo II, Veritatis splendor (enciclica del 1993). • Il Magistero ha ribadito la tradizione di Trento. 10. Opzione fondamentale, libertà e peccato • Concilio di Trento: esistono peccati mortali specificamente distinti dal peccato contro la fede. • «Bisogna affermare che non solo con l’infedeltà, per cui si perde la stessa fede, ma anche con qualsiasi altro peccato mortale, sebbene non si perda la fede, si perde però la grazia della giustificazione. • Con ciò difendiamo l’insegnamento della legge divina, che esclude dal regno di Dio non soltanto gli infedeli, ma anche i fedeli impuri, adulteri, effeminati, sodomiti, ladri, avari, ubriaconi, maledici, rapaci e tutti gli altri che commettono peccati mortali, da cui con l’aiuto della grazia potrebbero astenersi e a causa dei quali vengono separati dalla grazia del Cristo» (Sess. VI, Decr. giustificazione XV). 10. Opzione fondamentale, libertà e peccato • Questi sono i peccati contro i comandamenti. • Questi peccati è obbligatorio confessarsi. • Un peccato mortale viene definito da questi tre elementi: piena coscienza, deliberato consenso e materia grave. • Se ci sono questi tre elementi, è peccato mortale. • Non posso pensare di un peccato grave non mortale. • Ogni peccato grave che sia compiuto con piena coscienza e deliberato consenso è anche un peccato mortale. 10. Opzione fondamentale, libertà e peccato La fede come scelta fondamentale nella S. Scrittura e nel Magistero • Per quanto riguarda l’opzione fondamentale, il Magistero ha detto: esiste una scelta fondamentale. • Troviamo nella Sacra Scrittura delle scelte fondamentali. • Deuteronomio 30, 19: “Ecco, io pongo davanti a te la vita e il bene, la morte e il male, scegli dunque la vita”. • Giosuè 24, 15: “Scegliete oggi chi volete servire, o gli dèi che servirono i vostri padri di là dal fiume, o gli dèi degli Amorei, nel cui paese voi abitate; quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore”. • Giovanni 6, 67: «Volete andarvene anche voi?». 10. Opzione fondamentale, libertà e peccato La fede come scelta fondamentale nella S. Scrittura e nel Magistero • Veritatis splendor, n. 66: la scelta fondamentale del cristiano è la fede: “Non c'è dubbio che la dottrina morale cristiana, nelle sue stesse radici bibliche, riconosce la specifica importanza di una scelta fondamentale che qualifica la vita morale e che impegna la libertà a livello radicale di fronte a Dio. Si tratta della scelta della fede, dell'obbedienza della fede”. • La fede è un atto libero, consapevole, che risponde ad una proposta, un intervento salvifico di Dio. L’uomo lo riconosce e si affida a Dio. 10. Opzione fondamentale, libertà e peccato La fede come scelta fondamentale nella S. Scrittura e nel Magistero • Dei Verbum 5: La fede è un atto libero dell’uomo, con il quale “l’uomo si abbandona tutto a Dio liberamente, prestando il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà” a Dio che si rivela. • La fede è una risposta con questo atto di consenso. La fede è la scelta fondamentale del cristiano. • Ma è una scelta consapevole • Ed è una scelta che è viva se c’è la carità, perché senza la carità la fede è morta. • S. Giacomo: “Tu credi che c'è un solo Dio, e fai bene; anche i demoni lo credono e tremano” (Gc 2:19). 10. Opzione fondamentale, libertà e peccato • La distinzione “mortale – veniale” è una distinzione teologica che fa riferimento alla situazione dell’uomo davanti a Dio. • Non ammette una posizione intermedia: o è mortale o è veniale. • La distinzione “grave – leggero” è una distinzione etica. • Questa distinzione riguarda non la situazione dell’uomo davanti a Dio ma riguarda la qualità degli atti in riferimento al compimento della persona. • Nella prospettiva etica tra leggero e grave c’è una serie infinita di sfumature. 11. La coscienza S. Paolo: syneidesis (suneidhsiv): cum-scienzia Quattro significati fondamentali : • significato parenetico (esortativo): “morale”: “Agite sempre secondo la coscienza” = “Agite sempre moralmente bene” • fenomeno psicologico: la consapevolezza di sé nell’agire, la capacità di auto presenza • giudizio intellettuale: un significato intellettuale: la coscienza è un giudizio sugli atti. • decisione: un significato volitivo: la profondità del soggetto che non solo conosce ma anche vuole e decide - il cuore (Antico Testamento). 11. La coscienza Accenno storico: • L’enfasi sulla coscienza sta soprattutto nell’epoca moderna • Aristotele non conosce questo termine. • Tommaso d’Aquino: ne parla nella De veritate, qq. 16-17 e nella Summa theologiae, dove dedica alla coscienza direttamente un solo articolo • La prudenza può fare meno della coscienza. Si può parlare della morale al limite anche senza il discorso sulla coscienza. • Il termine coscienza ha una polivalenza semantica - può essere sostituito da altri termini che almeno sono equivalenti. 11. La coscienza S. Agostino (354 – 430): l’interiorità come luogo di incontro con Dio: “Nell’interiorità umana abita la verità” (De Vera Religione, XXXIX, 72) • Tale verità ci chiama: la coscienza è la voce di Dio. • Due elementi centrali dell’idea agostiniana: il momento di interiorità. La coscienza parla dal di dentro dell’uomo. la coscienza si afferma con un’autorità che supera l’uomo. E’ la voce di Dio che ci chiama. 11. La coscienza Un problema con l’impostazione agostiniana: • Se la coscienza è la voce di Dio, come può sbagliarsi? • S. Tommaso d’Aquino (1225 –1274): distingue due livelli della coscienza: il livello della sinderesi il livello della coscienza (Sth I, 79, 13) • La sinderesi è un habitus, la capacità connaturale della razionalità pratica di cogliere i principi della legge naturale (Sth I-II, 94,1). • La sinderesi è infallibile. • La coscienza riguarda l’applicazione dei principi. • La coscienza è il giudizio della ragione pratica che applica i principi della legge naturale ad un atto concreto (Sth I-II, 19, 5). 11. La coscienza • Con la coscienza come giudizio si deve distinguere tra: coscienza antecedente, la coscienza concomitante, la coscienza successiva. • Il giudizio può sbagliare. Non sbaglia nei principi, ma può sbagliare nell’applicazione. • Questa distinzione salva l’autorità della coscienza. • La sinderesi è qualcosa di divino in noi, è voce di Dio, infallibile nei principi. • La coscienza come giudizio può sbagliare, è fallibile nell’applicazione. 11. La coscienza • S. Bonaventura (1221 –1274): la coscienza è l’araldo di Dio. • L’araldo proclama la legge del re. La coscienza proclama la legge di Dio. • L’araldo parla al nome del re. Bisogna obbedire al re. • L’araldo non è il re. Neanche la coscienza è Dio. • Bisogna vedere che l’araldo sia fedele. • La coscienza va obbedita. Andare contro la coscienza è sempre male. • Bisogna formare la coscienza, che sia trasparente alla volontà di Dio, perché l’applicazione può essere sbagliata. 11. La coscienza • S. Alfonso Maria de Liguori (1696-1787): “Duplex est regula actuum humanorum: una dicitur remota, altera proxima. Remota, sive materialis est lex divina, proxima vero, sive formalis, est conscientia” (Theologia moralis). • Due regole degli atti umani: La coscienza: la regola formale e prossima (ma non assoluta). La legge: la regola remota e materiale. • La coscienza è l’applicazione della legge. • La coscienza è il momento decisivo per l’interpretazione della legge, ma non è assoluta. • Deve obbedire alla legge che è un riferimento esterno. 11. La coscienza I sistemi morali / la casistica • I sistemi morali sono delle tecniche elaborate dalla casistica per avere una certezza sulla obbligatorietà di una legge. • La morale diventa il problema di come giudicare gli atti concreti. • C’è la legge e c’è la coscienza. • La legge è quello che dicono i moralisti, quello che dicono gli autorità, quello che dicono i libri. • La coscienza è la voce dentro di me. • Come faccio a capire se la legge mi obbliga o non? • Questo è un problema della casistica. 11. La coscienza I sistemi morali: 1. Il probabilismo (Bartolomeo di Medina, 1527-80): la coscienza può seguire una opinione probabile anche se c’è ne una più probabile. 2. Il probabiliorismo: la coscienza deve sempre seguire l’opinione più probabile. 3. Il rigorismo: si deve sempre seguire l’opinione più stretta. 4. Il lassismo: si può seguire qualsiasi opinione, basta che uno dei teologi l’abbia sostenuta. 5. l’equiprobabilismo (S. Alfonso Maria de Liguori): sta in mezzo tra probabilisti e i probabilioristi. • Si tratta delle regole per uscire dai dubbi di coscienza • Il Magistero alla fine del 17° secolo ha escluso sia il lassismo che il rigorismo. 11. La coscienza • La casistica: Blaise Pascal (1623 –1662): “Ecce patres qui tollunt peccata mundi” (Lettere provinciali) • Recente riscoperta della casistica: Albert R. Jonsen e Stephen Toulmin, Abuse of Casuistry; James Keenan e Thomas A. Shannon, The Context of Casuistry. • Il problema radicale: viene sostituita la verità con la certezza assoluta soggettiva sull’obbligo. • Per la casistica la regola non è una regola intrinseca interiore, ma una regola estrinseca. 11. La coscienza • John Henry Newman (1801 – 1890): la coscienza ha un riferimento intrinseco alla verità • Lascia la Chiesa Anglicana e aderisce alla Chiesa Cattolica • Lo spiega in termini di una fedeltà alla sua coscienza. • Apologia pro vita sua; Letter to the Duke of Norfolk. • Il primo ministro britannico, William Gladstone: “I cattolici non possono esseri subiti affidabili di sua maestà britannica”. • Non obbediscono alla loro coscienza ma al Papa, non hanno coscienza. • Newman : “Se fossi obbligato a introdurre la religione nei brindisi dopo un pranzo […] brinderò, se volete al Papa; tuttavia prima alla Coscienza, poi al Papa”. 11. La coscienza • Newman: “La coscienza è l’originario vicario di Cristo” • Newman: È’ a motivo della coscienza che obbedisco al Papa. • Quindi la coscienza ha un livello di autorevolezza superiore al Papa; è più obbligante di tutto. • Il Papa mai potrà dire qualcosa contro la coscienza. • Se il Papa dicesse qualcosa contro la coscienza sarebbe come quel uomo che sta seduto su un albero e sega il tronco sul quale sta seduto. • Il Papa è un aiuto alla mia coscienza, un’illuminazione della mia coscienza, ma non sostituisce la mia coscienza. 11. La coscienza • La coscienza non è la possibilità di fare ciò che ci pare. • Se la coscienza ha dei diritti, e perché prima ha dei doveri. • Il dovere primo della coscienza è di obbedire alla verità. • La coscienza non può prescindere dalla verità, anzi trae tutta la sua autorità dalla verità. 11. La coscienza • Newman: il problema non è quello della “legge – coscienza” ma quello della “verità – coscienza”. • La coscienza diventa il luogo più intimo, caro e prezioso che può esprimere la verità. • Tutto il resto diventa un aiuto alla coscienza • Newman mostra la necessità che la coscienza abbia anche un aiuto storico. 11. La coscienza • Il Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes no. 16 • La coscienza è “il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità” e mi chiama “a fare il bene e a fuggire il male”. • Questa coscienza che va sempre obbedita, ha sempre un valore sacro. • La coscienza non perde il suo valore anche se è erronea (invincibilmente erronea) • Tuttavia la coscienza ha bisogno di essere formata sulla base di una legge oggettiva che non dipende dall’uomo stesso. • La coscienza può sbagliare. • Bisogna formarsi la coscienza perché il giudizio della coscienza sia un giudizio vero. 11. La coscienza Come formare la coscienza? • S. Tommaso: La coscienza è un giudizio. • Formare le pre-disposizioni che permettono al soggetto di dare un giudizio vero: la scienza le virtù: le pre-disposizioni morali del carattere che permettono di essere trasparenti alla verità morale una comunità, la coscienza è la cosa più intima, ma nello stesso tempo mi rimanda ad una comunità. Cum- scentia – un sapere insieme. • S. Tommaso: una delle virtù più importanti connessi alla prudenza è la docilità (Sth I-II, 48,1). • Paul Wadell: la prima scelta morale è la scelta degli amici. 11. La coscienza Esistono vari condizione della coscienza 1. la coscienza vera: un giudizio che corrisponde alla verità. 2. la coscienza erronea. La coscienza erronea è quella che sbaglia. a. la coscienza invincibilmente erronea b. la coscienza colpevolmente erronea • Chi agisce con coscienza invincibilmente erronea non pecca. • Ma non è che faccia del bene. • Tommaso d’Aquino: non si possono ignorare senza colpa i principi fondamentali della legge naturale (Sth I-II, 94, 6). 11. La coscienza Esistono vari condizione della coscienza. 3. la coscienza dubbia: una coscienza che non riesce ad arrivare ad un giudizio certo. • Chi agisce con coscienza dubbia sempre pecca. • Esempio: l’amico e il cervo alla caccia • Chi agisce con coscienza dubbia manifesta la disponibilità della propria libertà a peccare. • Ma dalla coscienza dubbia si deve cercare di uscire attraverso l’illuminazione della verità. 11. La coscienza Esistono vari condizione della coscienza 4. la coscienza perplessa: la coscienza di chi pensa che con qualsiasi cosa che faccia sbaglia. • La coscienza perplessa è una coscienza certamente erronea. • Non ci può esserci una situazione in cui io sono costretto a peccare. Dal punto di vista teologico: Dio non può mettermi in una situazione senza via di uscita. Per un motivo filosofico: Per peccare devo essere libero di fare altrimenti. • Ha una sua rilevanza psicologica, perché uno realmente sente il peso di questa situazione. • Qualcuno con una coscienza perplessa deve cercare di essere aiutato psicologicamente di uscire da questa situazione. 11. La coscienza La coscienza cristiana • Il punto decisivo della coscienza cristiana è la fede: il riconoscimento che Gesù è la verità. • La coscienza morale cristiano è la partecipazione alla coscienza di Cristo. • Avviene nello Spirito Santo che crea in noi una connaturalità con Cristo: ci rende amici di Cristo. • Lo Spirito genera in noi le virtù teologali, fede, speranza, carità, che permettono di avere una sintonia con la sapienza divina. • Non si tratta semplicemente di un sapere, ma si tratta di un gustare. 11. La coscienza • La Chiesa è il luogo dove la coscienza morale cristiana viene formata, si sviluppa, viene sostenuta, è incoraggiata. • La coscienza morale cristiana non si pone di fronte alla Chiesa come la Chiesa fosse qualcosa di estraneo. • J. Ratzinger, Introduzione al Cristianesimo: l’io nuovo del battezzato ha superato il limite del proprio individualismo, si è aperto al noi ecclesiale. 11. La coscienza • Hans Urs von Balthasar: la coscienza morale cristiana supera la dialettica tra autonomia e eteronomia • Autonomia vuole dire: io sono legge a me stesso. • Eteronomia vuol dire: un altro è legge per me. • Kant: i cristiani sono ancora in una situazione di minorità, perché obbediscono alle autorità esterne. • Balthasar: medita sull’agonia di Gesù nel orto degli olivi. • “Padre, se è possibile passi da me questo calice, però non la mia ma la tua volontà sia fatta”. 11. La coscienza • Meditando su questo episodio S. Massimo il Confessore (580-662) ha difeso la volontà umana di Cristo. • Gesù è una persona divina che si incarna e ha due nature, una natura umana e una natura divina. • Nel 7° secolo veniva fuori il problema se Cristo aveva anche una volontà umana, oppure se aveva solo una volontà divina. • Ma senza volontà umana Gesù non sarebbe pienamente uomo. • La risposta di Massimo era: Gesù aveva anche una volontà umana. La volontà umana di Gesù si rivela proprio nell’orto degli olivi. • La volontà umana di Gesù aderisce alla volontà del Padre. 11. La coscienza • Balthasar: il mistero dell’obbedienza di Gesù al Padre, ci offre una risposta al problema di autonomia – eteronomia. • Per Gesù il Padre è eJterov ma non eJteron, cioè il Padre è un altro ma non un'altra cosa. • Non è esterno a lui come una cosa è esterna, ma è interno. • Nello Spirito mediante l’amore, Gesù abbraccia la volontà altra del Padre. • Che cosa significa essere amici? • È aderire alla volontà di un altro, è sentire più mia la volontà di un altro che la mia volontà. • “Sarete i miei amici se farete quello che io vi comando” (Gv 15:14). 11. La coscienza • L’amore è anche un sentimento, ma la realtà profonda dell’amore è unione delle volontà. (Cfr. Benedetto XVI, Deus Caritas Est, n. 17: “idem velle idem nolle”). • Nell’amore, cioè nello Spirito Santo che unisce il Figlio al Padre, la volontà del Padre è sentita da Gesù come altra ma come più sua della sua. • Non c’è autonomia, e non c’è eteronomia, ma c’è l’alterità nell’amore: una coscienza filiale. • Lo Spirito Santo fa sentire intimamente mia la volontà del Padre.