Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
QUESTIONI DI METODO
PUNTO DI INIZIO
Non partiamo dalle teorie o dalle ideologie che tanti propongono: partiamo invece da noi
stessi. Poi saremo in grado di valutare le teorie elaborate da altri. Partire da noi stessi è
semplice: bisogna partire dall’esperienza, cercando di non ridurla in partenza a quello che
pensiamo, ma di considerarla in tutta la sua evidenza.
Per fare questo bisogna considerare il nostro io in azione: cioè in confronto con la realtà,
con i bisogni che e essa pone, con le persone incontrate… Un pigro non scopre nulla; un
uomo appassionato alla realtà si mette all’opera. E mettendosi in azione sente emergere
le esigenze fondamentali. E’ un impegno con la vita, in tutte le sue dimensioni e la sua
concretezza.
Spagnolo, Carbonero
L’impegno con la vita porta l’uomo anzitutto ad incontrare la storia da cui proviene e in cui
cammina: la tradizione, intesa non come folklore, ma come patrimonio di esperienze,
valori, ideali, in cui la realtà umana circostante ha identificato una risposta alla ricerca
umana. Chi non si confronta lealmente con questo patrimonio si preclude con orgoglio
insensato la possibilità di paragonarsi con il cammino umano che lo ha preceduto e
generato.
L’altro fattore che, oltre alla tradizione, emerge nell’esperienza dell’io in azione è il
presente. In ogni istante è sempre dato a noi ciò che siamo e quindi è sempre coglibile in
noi il misterioso duplice livello del nostro io: il livello materiale (misurabile, divisibile,
corruttibile) e il livello non-materiale (non misurabile-divisibile-corruttibile). E’ la profondità
affascinante dell’io.
Dylan, Blowing
Dalla, Cosa sarà
Trentino, La stradela
La domanda pone l’esigenza di una risposta esauriente: non bastano soluzioni parziali.
Nomadi, Io vagabondo
Chieffo, La collina
Socialista, La ferriera
Il tentativo di dare una risposta esauriente alla nostra domanda esistenziale ci mette di
fronte alla sproporzione che viviamo nei confronti della domanda: essa è più grande di
ogni nostra capacità di risposta…
La nostra sproporzione nei confronti della domanda non è provvisoria, non dipende dalla
limitatezza delle nostre conoscenze attuali: più la scienza procede e più si ingrandisce il
mistero. E’ una sproporzione strutturale.
Chopin, Notturno 1
Beethoven, Settima sinfonia, 2° tempo
G.Donizzetti, La favorita, 4° atto
Vanoni, Domani è un altro giorno
Guccini, Il tema
Gun’s and roses, Sweet child o’mine
New Trolls, Quella carezza della sera
Cori russi, Canta rondinella, canta
Cori russi, Non rimproveratemi
Popolare, Da quando sei partito
Mahalia Jakson, Sometimes I fell like a motherless child
La tristezza non toglie ma acuisce in noi la consapevolezza che all’origine del nostro io sta
una promessa. E la vita si connota come attesa operosa.
Tutto ciò è, consapevolemnte o meno, dentro ogni gesto che compiamo: è dimensione di
ogni gesto.
Per ciò stesso che un uomo vive pone questa domanda ed afferma l’esistenza di qualcosa
per cui valga la pena vivere. E se la struttura dell’uomo è questa domanda inesauribile,
occorre ammettere l’esistenza inevitabile di una risposta, anche se insondabile. L’uomo è
mendicanza di questa risposta.
CAPITOLO 2 – ATTEGGIAMENTI IRRAGIONEVOLI DI
FRONTE ALL’INTERROGATIVO ULTIMO
ATTEGGIAMENTI IRRAGIONEVOLI
L’uomo può prendere di fronte alla sua domanda ultima e decisiva alcuni atteggiamenti
irragionevoli che tendono o a negare la domanda stessa o a ridurla. Vediamone tre che
tentano di negare la domanda e tre che cercano di ridurla.
Negazione teoretica. Cerca di negare la realtà stessa della domanda, affrermando che
non ha alcun significato.
Negazione pratica. Si cerca di vivere in modo che la domanda non venga a galla,
cercando di costruirsi una indifferenza (atarassia) verso gli interrogativi della vita.
Chieffo, Sarajevo
883, Senza averti qui
Alienazione. Si afferma che la risposta sarà conquistata in futuro dalle forze dell’uomo. Ma
per l’uomo concreto qui presente la risposta non c’è.
Perdita della libertà. Se l’uomo è ridotto alle sue componenti biologiche, è totalemente
schiavo del meccanismo biochimico universale che lo ha generato e che lo riassorbirà e
che si autoregola con i meccanismi del potere sociale. Solo se l’io dipende da qualcosa di
più grande di questo meccanismo è libero: solo la dipendenza da Dio assicura la libertà
dell’uomo.
Guccini, Farewell
Vasco Rossi, Liberi, liberi
Raf, Oggi un Dio non ho
PFM, Impressioni di settembre
Simon and Garfunkel, Sparrow
Irlandese, Only our rivers run free
Guantanamera
CAPITOLO 3 – ITINERARIO DEL SENSO RELIGIOSO
Lo stupore della presenza. Anzitutto noi siamo colpiti dall’esistenza della realtà: è una presenza,
un dato. E genera uno stupore e una attattiva.
La realtà come cosmo. La realtà non solo esiste, ma è ordinata, disposta secondo un disegno
complesso e razionale.
Beethoven, Sesta
Denver, Calypso
Denver, Dancing with the mountains
Trentino, A la matina
Realtà provvidenziale. Il mondo ci appare come una realtà che ci può essere favorevole,
strutturata in modo da rendere possibile e affascinante la nostra esistenza.
Queen, Miracle
L’io dipendente. L’evidenza più grande e profonda che percepisco in questo momento è che io
non mi faccio da me, non sto facendomi da me. Non mi do l’essere, non mi do la realtà che sono,
sono ‘dato’. Dipendo da ‘altro da me’, sono fatto da altro: io sono “tu-che-mi-fai”. E questo “Tu-che-
mi-fai” è quello che la tradizione religiosa chiama “Dio”. L’uomo cosciente di se fino in fondo si
imbatte in un Altro.
La legge del cuore. Dentro di me c’è una ‘legge’ che mi dice ‘questo è bene, questo è male’. E’ la
coscienza di qualcosa cui non si può rifiutare l’omaggio della ragione. E’ un fatto che si impone e
interpella la mia libertà. E’ come la voce di un ‘altro’.
Chieffo, La guerra
Analogia. La formula dell’itinerario al significato ultimo della realtà è quella di vivere sempre
intensamente il reale senza preclusioni, cioè senza rinnegare o dimenticare nulla. Contro la
mentalità positivista che tenta di soffocare l’impeto alla totalità del reale. Perché il reale è come
una analogia: è come una parola (logos) che rimanda più in là (ana).
La realtà funziona dunque come un segno: qualcosa di reale che rimanda ad un'altra realtà. Esso
è anche il metodo normale dei rapporti tra noi uomini.
Negare questo rimando ad altro o negare l’esistenza di ciò che esercita attraverso la realtà il
richiamo non sarebbe razionale. Non sarebbe umano affrontare la realtà del mondo arrestando la
capacità umana di addentrarsi alla ricerca d’altro (atteggiamento positivista).
La natura dell’impatto dell’uomo col reale è caratterizzata dunque dal presentimento o ricerca
d’altro. La documentazione sperimentale di questo fenomeno è data dal carattere esigenziale
della vita: l’esigenza di verità, di giustizia, di felicità, di amore…
Il mondo, in quanto segno, ‘dimostra’ qualcosa d’Altro, dimostra ‘Dio’, come un segno dimostra ciò
di cui è segno. L’uomo mai sperimenta un’esperienza di pienezza come di fronte ad un ‘tu’. Per
questo la parola più semplice e concreta per designare il mistero ultimo è proprio ‘Tu’. Il ‘tu’ è il
‘segno supremo’.
Ruggeri, Mistero
Chieffo, Canzone del Destino
I termini con cui la tradizione religiosa autentica ha parlato di Dio sono tutti termini cosiddetti
‘negativi’: in-finito, im-menso (non misurabile), in-effabile (non si può dire). Sono parole che non
definiscono quindi il Mistero, ma sono come aperture verso esso.
L’AVVENTURA DELL’INTERPRETAZIONE
Il raggiungimento del destino (cioè del Mistero) deve essere libero. Altrimenti non sarebbe umano.
Quindi la libertà deve giocare anche nella scoperta di esso. Allora vuol dire che riconoscere Dio è
un problema anche di libertà. E’ un problema di opzione: o vai di fronte alla realtà spalancato, con
gli occhi sgranati di un bambino, lealmente e allora abbracci tutta la sua presenza ospitandone
anche il senso; oppure ti metti di fronte alla realtà difendendoti, trincerandoti in misure preconcette.
Questa è la scelta profonda che operiamo quotidianamente di fronte ad ogni circostanza.
Il mondo è come una ‘parabola’: mentre svela, vela. La libertà si gioca nell’interpretazione del
segno. Chi non vuole vedere, può non vedere.
Chaikowskij, Sinfonia n.6
Cementano, Pregherò
Occorre educare all’atteggiamento giusto di fronte alla realtà, cioè a quello originale in cui la natura
formula l’uomo: l’attesa come domanda. Come curiosità e ricerca. La cosa più terribile è porsi di
fronte alla realtà negativamente o sospensivamente: non ci si muove più.
E’ qui che sorge l’esperienza del rischio. Il rischio non è un gesto o una azione che non abbia
ragioni adeguate. E’ piuttosto la percezione di una difficoltà della volontà: la fatica di aderire
all’essere riconosciuto dalla ragione. E’ come una spaccatura tra ragione e volontà-affettività.
Che cosa permette di superare l’esperienza del rischio? Non lo sforzo individuale esasperato, ma il
fenomeno comunitario: non sostituisce la libertà, ma le conferisce l’energia necessaria. La
comunità è la condizione perché il seme umano di il suo frutto.
Chieffo, Parsifal
Ma rimanere sospeso alla volontà di questo ignoto ‘signore’, che giunge a me attraverso le
circostanze, è una posizione vertiginosa per la ragione. Nasce come una impazienza nella
ragione stessa.
Come idolo l’uomo sceglie qualcosa che ‘capisce’ lui. La razza, il partito, il capo, in nome
del quale tutto è lecito.
Ma l’idolo non fa mai unità e totalità senza dimenticare o rinnegare qualcosa.
UNA IPOTESI ECCEZIONALE
San Tommaso d’Aquino dice che è necessaria per gli uomini una “divina rivelazione”. E
prima di lui Platone invocava “l’aiuto della rivelata parola di un dio”. All’estremo della
coscienza appassionata e sofferta dell’esistenza si sprigiona questo grido dell’umanità più
vera, come una implorazione, una mendicanza. E’ l’ipotesi della rivelazione.
Già il mondo è in se stesso, in quanto segno, una rivelazione del Mistero. Ma in senso
proprio “rivelazione” non è il termine di una interpretazione che l’uomo fa sulla realtà: si
tratta di un possibile fatto reale, un eventuale avvenimento storico. Un fatto per cui Dio
entra nella storia dell’uomo come un fattore interno alla storia, come una presenza dentro
la storia, che parla come parla un amico: “il punto d’intersezione del senza tempo col
tempo” (Eliot).
Una simile ipotesi prima di tutto è possibile. Negare la possibilità di questa ipotesi è
l’ultima estrema forma di idolatria, l’estremo tentativo che la ragione compie per imporre a
Dio una propria immagine di Lui. “A Dio nulla è impossibile” (Luca 1).
In secondo luogo questa ipotesi è estremamente conveniente. Perché si incontra con il
desiderio più autentico dell’uomo. Horkheimer: “Senza la rivelazione di un dio l’uomo non
riesce più a raccapezzarsi su se stesso”.
In terzo luogo ci sono due condizioni che questa ipotesi deve rispettare: deve essere una
parola comprensibileall’uomo; il risultato della rivelazione deve essere l’approfondimento
del Mistero come mistero, non deve essere una riduzione del mistero (sapere che Dio è
padre, come ha rivelato Cristo, è illuminante, ma nello stesso tempo rimane il mistero,
rimane più profondo: Dio è padre, ma è padre come nessun altro è padre. Il termine
rivelato porta il mistero più dentro di te).
L’impossibilità di una rivelazione è il dogma fondamentale del pensiero illuministico, il tabù
predicato da tutta la filosofia liberale e dai suoi eredi materialisti. Ma l’ipotesi della
rivelazione non può essere distrutta da alcun preconcetto. Occorre che nell’uomo rimanga
quell’apertura originale del cuore verso questo fatto possibile.