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INTRODUZIONE ALLA TEOLOGIA DEL POPOLO

annuncio • liberazione • dialogo

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Collana «Le Nuove Caravelle»
diretta da Tea Frigerio

1. Marcelo Barros, Il baule dello scriba


2. Antonio Agnelli, La logica del pane
3. Tea Frigerio, Sfida al patriarcato
4. Maria Soave Buscemi, Le tredici lune
5. Ada Prisco, Maria tra le fedi
6. Luigi Schiavo, Gesù. Dalla storia alla fede
7. Marcelo Barros, Il Vangelo che libera
8. Luis Antonio Gokim Tagle, Gente di Pasqua
9. Albert Nolan, Cristiani si diventa
10. Leonardo Boff, Al cuore del cristianesimo
11. John C. Sivalon, Il dono dell’incertezza
12. Stephen B. Bevans - Roger P. Schroeder, Dialogo profetico
13. Jacques Dupuis, Perché non sono eretico, a cura di
William R. Burrows
14. Enrique Ciro Bianchi, Introduzione alla teologia del
popolo

Le caravelle, protagoniste di scoperte, conquiste e colonizzazione,


globalizzarono merci, cultura, vita umana, religione. Le «nuove
caravelle» ritornano, alla terra da cui erano partite, con un dono:
la Bibbia, parola di Dio riletta con occhi nuovi, gli occhi della vita.

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ENRIQUE CIRO BIANCHI

INTRODUZIONE
ALLA TEOLOGIA
DEL POPOLO
Profilo spirituale e teologico
di Rafael Tello

Prefazione di Jorge Mario Bergoglio

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© 2012 Bianchi, Enrique Ciro

Titolo originale: Enrique Ciro Bianchi, Pobres en este mun-


do, ricos en la fe (Sant 2,5). La fe de los pobres de América La-
tina según Rafael Tello, Agape libros, Buenos Aires, 2012

Traduzione dallo spagnolo di GIUSEPPE ROMANO

Copertina di CALIBU

© EMI, 2015, per l’edizione italiana


Via di Corticella 179/4 – 40128 Bologna
Tel. 051/32.60.27 – 051/32.75.52
www.emi.it
sermis@emi.it

N.A. 3051
ISBN 978-88-307-2251-4

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A padre Tello

Colui che canta i poveri


non taccia nemmeno da morto:
ovunque, infatti, s’arresti
il canto di quel cristiano,
non manchi in quel luogo un
paesano
che lo faccia risuscitare.

(Atahualpa Yupanqui, El pajador perseguido)

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INDICE

Sigle e abbreviazioni .............................................................. Pag. 9


Prefazione di Jorge Mario Bergoglio .............................. » 11
Premessa all’edizione italiana ........................................ » 21

Introduzione generale ........................................................ » 25


Scopo e inquadramento dottrinale dell’opera . » 25
Metodo e struttura ................................................................... » 27
Alcune osservazioni preliminari .................................. » 30

PRIMA PARTE
I. Ritratto teologico di Rafael Tello ........................ » 37
Introduzione ................................................................................. » 37
Una teologia al servizio dell’evangelizzazione . » 38
La sua fedeltà alla Chiesa ................................................... » 50
La sua scelta preferenziale per i poveri ................... » 58
Conclusione .................................................................................. » 68

II. Due nozioni basilari della teologia


di Tello: evangelizzazione e cultura ...................... » 71
Introduzione ................................................................................. » 71
Contesto storico di questi scritti: la escuelita ..... » 73
Primo blocco: Evangelizzazione ...................................... » 75
Secondo blocco: Evangelizzazione e cultura.......... » 81
Conclusione .................................................................................. » 93

III. Il testo base: Il cristianesimo popolare


secondo le virtù teologali ..................................................... » 95
Introduzione ................................................................................. » 95
Contesto storico ........................................................................ » 96
Stile, linguaggio e fonti dello scritto ......................... » 97
Struttura dell’opera ................................................................. » 101
Alcune nozioni relative alla speranza
vissuta nel cristianesimo popolare ............................ » 105

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8 Indice

Alcune nozioni relative alla carità


vissuta nel cristianesimo popolare ............................ Pag. 109
La fede del popolo in altri scritti di Tello ............. » 120
Conclusione .................................................................................. » 122

SECONDA PARTE
Introduzione alla Seconda parte .............................. » 126

IV. La fede si vive in una cultura ............................... » 129


Introduzione ................................................................................. » 129
La grazia presuppone la cultura ................................... » 130
Trasmissione della cultura: il popolo
evangelizza il popolo ............................................................ » 151
Conclusione .................................................................................. » 159

V. L’atto di fede vissuto nella cornice


della cultura popolare ........................................................ » 163
Introduzione ................................................................................. » 163
Alcune nozioni riguardanti la fede
nella Somma teologica ........................................................ » 164
I tre aspetti dell’atto di fede ............................................. » 167
Credere Deo: l’adesione a Dio ......................................... » 172
Credere Deum: comprensione
di ciò che è rivelato ................................................................. » 176
Credere in Deum: tendere verso Dio .......................... » 200
Il posto della Vergine Maria
nella fede popolare ................................................................. » 216
Conclusione .................................................................................. » 224

VI. Punto di arrivo e strade aperte .......................... » 229


Punto di arrivo. Sguardo globale
alla strada percorsa .................................................................. » 229
Punti di partenza. Strade aperte ................................... » 239

Appendice. Opere note di Rafael Tello ................... » 245


Bibliografia .................................................................................... » 249

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SIGLE E ABBREVIAZIONI

a) Magistero

AG Concilio Vaticano II, Decreto sull’attività mis-


sionaria della Chiesa Ad gentes, 1965
ChD Concilio Vaticano II, Decreto Christus Dominus,
1965
CT Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Cate-
chesi tradendae, 1979
DA V Conferenza generale dell’Episcopato latinoa-
mericano, Documento di Aparecida, 2007
DP III Conferenza generale dell’Episcopato latinoa-
mericano, Documento di Puebla, 1979
DV Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica
Dei Verbum, 1965
FR Giovanni Paolo II, Enciclica Fides et ratio, 1998
GS Concilio Vaticano II, Costituzione Gaudium et
spes, 1965
LE Giovanni Paolo II, Enciclica Laborem exercens,
1981
LG Concilio Vaticano II, Costituzione Lumen gen-
tium, 1964
Med II Conferenza generale dell’Episcopato latinoa-
mericano, Documento di Medellín, 1969
NMI Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Novo mil-
lennio ineunte, 2001
RMA Giovanni Paolo II, Enciclica Redemptoris Mater,
1987
SRS Giovanni Paolo II, Enciclica Sollicitudo rei socia-
lis, 1987
UR Concilio Vaticano II, Decreto sull’ecumenismo
Unitatis redintegratio, 1964

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10 Sigle e abbreviazioni

b) Altre

Ceb Comunità ecclesiale di base


Coepal Commissione episcopale di pastorale
De ver Tommaso d’Aquino, Questiones disputatae. De
veritate
Ipla Istituto pastorale latinoamericano
Mstm Movimiento de sacerdotes para el Tercer Mundo
ST San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae (I,
I–II, II-II, III prima pars, prima secundae, secunda
secundae, tertia pars)
a. articolo
ad1 soluzione alla prima obiezione
arg. argomento
b. corpo
cfr. si confronti
lez. lezione
q. questione
s. seguente
Dz Denzinger-Schönmetzer, Enchiridion Symbolorum

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PREFAZIONE
di Jorge Mario Bergoglio*

La storia ha le sue ironie. Questa è la prima volta


che vengo alla Facoltà di Teologia (non mi sono lau-
reato qui). E vengo a presentare un libro sul pensiero
di un uomo che è stato allontanato da questa Facol-
tà. Cose della storia. Dio sa come raddrizzare i tor-
ti: quella stessa gerarchia che a un certo punto aveva
creduto opportuno allontanarlo, oggi dice che il suo
pensiero è valido. Più ancora, è stato fondamento del
lavoro evangelizzatore in Argentina. Voglio ringrazia-
re Dio per questo.
Il libro che oggi presentiamo ha, a mio parere, due
lineamenti preziosi che meritano di essere messi in
risalto. In primo luogo, ci aiuta a comprendere te-
ologicamente i modi propri con cui il nostro popo-
lo umile esprime la sua fede. Ma d’altra parte ci dà la
possibilità di entrare in contatto col pensiero di un
teologo che è stato tra i più fecondi della nostra Chie-
sa argentina, ma che non ha ancora ricevuto il rico-
noscimento sufficiente. A partire da queste due idee
voglio presentare alcune riflessioni.

1. La fede del nostro popolo umile

Anzitutto bisogna dire che la fede è sempre una


grazia, un regalo di Dio immeritato da parte nostra.
Dio effonde continuamente il suo amore su di noi ed
è questo a farci cristiani. Per dirla nel nostro dialet-
to locale lunfardo: Dio ci primerea, ci anticipa, ci anti-
cipa sempre, ci ama per primo, ci cerca per primo, ci
aspetta per primo. E questo è pura grazia. Come di-
ce la Scrittura: «In questo sta l’amore: non siamo sta-

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12 Prefazione

ti noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi» (1Gv


4,10). In questa cornice abita la fede, e in questa cor-
nice abita la fede del nostro popolo umile. È quell’a-
more a darci forza, speranza e gioia nella nostra vita
quotidiana. La fede è la nostra risposta a quell’amo-
re, è trovare un appoggio sicuro in Dio, è entrare in
comunione col mistero di un amore che ci supera e
ci avvolge. E Dio concede abbondantemente quella
grazia, e in modo speciale tra i poveri. La dà a tutti,
ma ai poveri in maniera speciale. Gesù stesso si mera-
viglia di questa predilezione divina quando dice: «Ti
rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, per-
ché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le
hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,35).
Sotto il profilo storico, il nostro continente lati-
noamericano è marcato da due realtà: la povertà e il
cristianesimo. Un continente con molti poveri e con
molti cristiani. Ciò fa sì che nelle nostre terre la fede
in Gesù Cristo assuma un colore speciale. Le proces-
sioni affollatissime, la fervida venerazione di imma-
gini religiose, il profondo amore per la Vergine Ma-
ria e tante altre manifestazioni di pietà popolare sono
una testimonianza eloquente. Il documento di Puebla
esprime questa consapevolezza dicendo che l’incarna-
zione del Vangelo in America ha prodotto una «ori-
ginalità storico-culturale» (cfr. DP 446). In cinque
secoli di storia, nel nostro continente è andato svilup-
pandosi un nuovo modo culturale di vivere il cristia-
nesimo, il cristianesimo ha trovato un nuovo volto.
Quando ci avviciniamo al nostro popolo con lo
sguardo del buon pastore, quando non veniamo per
giudicare ma per amare, troviamo che questo mo-
do culturale di esprimere la fede cristiana resta tutto-
ra vivo tra noi, specialmente nei nostri poveri. E que-
sto, fuori da qualsiasi idealismo sui poveri, fuori da
ogni pauperismo teologale. È un fatto. È una grande
ricchezza che Dio ci ha dato. Aparecida ha fatto un
passo avanti nel riconoscerla. Se prima si parlava di

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1. La fede del nostro popolo umile 13

religiosità popolare (il termine resta in uso), Paolo VI


fa un passo avanti e dice: sarebbe meglio chiamarla
pietà popolare. Aparecida fa un altro passo avanti e la
chiama spiritualità popolare.
In una prospettiva storica, se guardiamo a questi
cinque secoli di storia, vediamo che la spiritualità po-
polare è una strada originale lungo la quale lo Spiri-
to Santo ha condotto e continua a condurre milioni
di nostri fratelli. Non si tratta soltanto di manifesta-
zioni di religiosità popolare che dobbiamo tollerare,
si tratta di una vera spiritualità popolare che deve esse-
re rafforzata secondo le sue proprie vie. Dopo Apareci-
da non possiamo più trattare la pietà popolare come
la Cenerentola di casa. È singolare: nella redazione di
Aparecida, tre o quattro giorni prima della votazione
definitiva, il documento aveva ricevuto 2440 «modi»,
cioè emendamenti, che andavano risolti entro quei
giorni. E tuttavia il capitolo sulla spiritualità popola-
re ricevette soltanto due o tre osservazioni, ma stili-
stiche, secondarie. Venne rispettato esattamente così
com’era uscito dalla commissione in cui si era visto
rispecchiato tutto l’episcopato che era là presente.
Questo è un segno.
Non è la Cenerentola della casa. Non sono quelli
che non capiscono, quelli che non sanno. Mi dispia-
ce quando qualcuno dice: «Quelli dobbiamo educar-
li». Ci perseguita sempre il fantasma dell’Illumini-
smo, quel riduzionismo ideologico-nominalista che
ci porta a non rispettare la realtà concreta. E Dio ha
voluto parlarci tramite realtà concrete. La prima ere-
sia della Chiesa è la gnosi, che già l’apostolo Giovan-
ni critica e condanna. Anche al giorno d’oggi posso-
no darsi posizioni gnostiche davanti a questo fatto
della spiritualità o pietà popolare.
Sul tema pietà popolare negli ultimi tempi ci so-
no due pilastri insuperati, a cui bisogna ricorrere co-
me fonti: la Evangelii nuntiandi (che come esortazione
apostolica sull’evangelizzazione ancora non è stata

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14 Prefazione

superata nel suo insieme) e Aparecida. Occorre fare


riferimeno a quelle fonti.
Aparecida riprende e attualizza per la realtà del
nostro continente l’insegnamento di Paolo VI nella
Evangelii nuntiandi. Vi raccomando di leggere i punti
in cui tratta il tema, dal 258 al 265. Ciascuno di quei
passi merita di essere meditato con attenzione. Dice,
per esempio: «I nostri popoli si identificano partico-
larmente con il Cristo sofferente, lo guardano, gli ba-
ciano o gli toccano i piedi feriti, come a dire: questi
è colui “che mi ha amato e ha dato sé stesso per me”
(Gal 2,20). Molti di essi, colpiti, ignorati e depreda-
ti, non abbassano le braccia. Con la loro caratteristica
religiosità si aggrappano all’immenso amore che Dio
ha per loro e che li fa tornare consapevoli della pro-
pria dignità. Trovano anche la tenerezza e l’amore di
Dio nel volto di Maria. In lei vedono riflesso il mes-
saggio essenziale del Vangelo» (DA 265).
Inoltre: «La pietà popolare è una modalità
legittima di vivere la fede, un modo di sentirsi parte
della Chiesa e una forma dell’essere missionari;
in essa si sentono le vibrazioni più profonde della
profonda America. Essa è parte dell’“originalità stori-
co-culturale” dei poveri di questo continente, e frutto
di “una sintesi tra le culture [dei popoli originari] e la
fede cristiana”» (DA 264).
Un’ultima citazione, molto importante: «Non pos-
siamo svalutare la spiritualità popolare o considerarla
una modalità secondaria di vita cristiana, perché sa-
rebbe come dimenticare il primato dell’azione dello
Spirito e l’iniziativa gratuita dell’amore di Dio» (DA
263).
La pietà popolare è lo schiudersi della memo-
ria di un popolo. È essenzialmente deuteronomica.
Non possiamo comprenderla senza un inquadramen-
to deuteronomico. E quella memoria si schiude in di-
verse maniere. Monsignor Tavella, arcivescovo di Sal-
ta negli anni Quaranta, racconta un aneddoto. Entra

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1. La fede del nostro popolo umile 15

nella sua cattedrale e vede un indio che prega con


enorme concentrazione davanti al Signore dei Mira-
coli. Tavella recita il suo ufficio e l’indio se ne resta là,
tranquillo. Insomma, il vescovo si incuriosì e aspettò
per vedere che cosa sarebbe successo. Dovette aspet-
tare un bel po’ perché l’indio terminasse. Allora gli si
avvicinò. «La benedizione, padrecito», gli disse subi-
to l’indio. Monsignor Tavella gli domandò: «Lei che
cosa stava pregando?». «Il catechismo, padrecito», ri-
spose l’indio. Era il catechismo di san Toribio (secolo
XVI). La memoria di un popolo.
Un ricordo personale sulla pietà popolare. Per due
anni sono stato confessore nella residenza di Córd-
oba. La residenza della Compagnia a Córdoba si tro-
va in pieno centro, accanto all’università. Vi si con-
fessano gli studenti universitari, i professori e persone
dei quartieri popolari che quando vanno in centro ne
approfittano per confessarsi perché il prete del quar-
tiere non ha tempo per confessare alla domenica, vi-
sto che fa una messa dopo l’altra. E notavo che tra il
popolo c’erano persone che si confessavano «bene».
Non facevano perdere tempo. Dicevano quel che c’e-
ra da dire. Non dicevano mai qualcosa che non fos-
se peccato. Non si vantavano. Parlavano con molta
umiltà. Un giorno chiesi a uno di questi di dove fos-
se. Ed era di Traslasierra. La memoria catechetica di
don Brochero. Un popolo che si esprimeva bene nel
sacramento della riconciliazione (sono contento di
ricordare quell’episodio proprio oggi, il giorno in cui
a Roma è stato riconosciuto il miracolo del cura Bro-
chero, sicché se Dio vuole l’anno venturo lo vedre-
mo beato).1 La pietà popolare affluisce dalla memo-
1
Benedetto XVI ha effettivamente firmato, nel 2012, il decre-
to di beatificazione di José Gabriel del Rosario Brochero (1840-
1914), detto il «prete gaucho»; la celebrazione si è poi realizzata
il 14 settembre 2013 a Villa cura Brochero, in provincia di Córd-
oba, dove don Brochero era vissuto, alla presenza del delegato di
papa Francesco (NdT).

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16 Prefazione

ria di un popolo e – ripeto – dobbiamo interpretarla


in una cornice deuteronomica.
La Chiesa ha fatto un’opzione preferenziale per
i poveri e questo deve portarci a conoscere e ad ap-
prezzare le loro maniere culturali di vivere il Vangelo.
È bene – ed è necessario – che la teologia si occupi
della pietà popolare, è il «prezioso tesoro della Chie-
sa cattolica in America Latina» , ci ha detto Benedetto
XVI inaugurando la Conferenza di Aparecida.
Padre Tello offre un pensiero teologico solido del
quale possiamo valerci per apprezzare questa spiri-
tualità nelle sue vere dimensioni. È quanto fa il li-
bro che stiamo presentando. Ha il merito di offrire
una riflessione sull’articolazione tra la fede cristia-
na e le diverse culture. Padre Bianchi non si soffer-
ma tanto a descrivere le varie espressioni della spiri-
tualità popolare, ma cerca piuttosto una fondazione
teologica di quest’ultima. Il punto di partenza è pen-
sare all’uomo come a un essere sociale per natura.
Nessuno può vivere totalmente isolato, tutti gli atti
delle persone si danno in un ambiente storico che li
condiziona, l’operato concreto è contrassegnato dal-
la cultura in cui si svolge. Nella dinamica della storia
l’uomo crea la cultura e la cultura influisce sull’uo-
mo. Con parole di Giovanni Paolo II: «L’uomo è in-
sieme figlio e padre della cultura in cui è immerso»
(FR 71). In questo la fede non fa eccezione. La fede
si esprime sempre culturalmente. Il bambino l’im-
para dai genitori, dai maestri, dai catechisti, dall’am-
biente. Come dicevo all’inizio, la fede è soprattut-
to una grazia divina. Diciamo adesso che è anche
un atto umano, e pertanto un atto culturale. Perciò si
può parlare di un modo culturale di apprendere e di
esprimere la fede. Perciò si può dire, come dice Tel-
lo, che quanto i nostri poveri esprimono nella loro
pietà popolare sgorga da una fede vera, e che da que-
sta fede sgorga anche un atteggiamento cristiano da-
vanti alla vita.

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2. La memoria di padre Tello 17

Quando come Chiesa ci accostiamo ai poveri per


accompagnarli, constatiamo – al di là delle enormi
difficoltà quotidiane – che vivono con un senso tra-
scendente della vita. In qualche modo il consumismo
non li ha ancora ingabbiati. La vita mira a qualcosa
che va oltre questa vita. La vita dipende da Qualcuno
(con la maiuscola) e questa vita ha bisogno di essere
salvata. Tutto questo si trova nel più profondo della
nostra gente, anche se è incapace di formularlo in ter-
mini concettuali.
Il senso trascendente della vita che si vede nel cri-
stianesimo popolare è l’antitesi del secolarismo che
si diffonde nelle società moderne. È un punto chia-
ve. Se vo-lessimo parlare in termini antagonistico-ag-
gressivi, diremmo che la fede del nostro popolo è
uno schiaffo agli atteggiamenti secolarizzanti. Pertan-
to si può dire che la pietà popolare è una forza attiva-
mente evangelizzatrice che possiede nel suo interno
un efficace antidoto davanti all’avanzare del secolarismo.
Aparecida si esprime con parole simili: «La pietà po-
polare, […] nell’ambiente secolarizzato in cui vivono
i nostri popoli, continua a essere una grandiosa con-
fessione del Dio vivente che agisce nella storia, e un
canale di trasmissione della fede» (DA 264).
La Chiesa è chiamata ad accompagnare e a feconda-
re incessantemente questo modo di vivere la fede dei
suoi figli più umili. In questa spiritualità c’è un «ricco
potenziale di santità e di giustizia sociale» (DA 262) di
cui dobbiamo valerci per la Nuova Evangelizzazione.
Come direbbe lo stesso Tello: il cristianesimo popola-
re dev’essere rafforzato con una pastorale popolare.

2. La memoria di padre Tello

Ho conosciuto Tello quando avevo diciassette an-


ni. Nell’istituto Carmen Arriola de Marín. In un riti-
ro che diede per giovani. Ci andai con mio fratello.

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18 Prefazione

Tornammo insieme in treno. Discorremmo: avevamo


comprato dei libri e lui ci raccomandava quali leggere.
Quello fu il mio primo incontro con Tello. Più tardi,
il penultimo o terzultimo incontro avvenne un me-
se dopo che ero stato nominato arcivescovo di Bue-
nos Aires. Andai a trovarlo a casa sua. Conversammo
a lungo. Alla fine mi disse: «Quarracino mi ha ridato
le licenze, ma oralmente. Non ho il fogliettino. Perché
non me lo dai tu?». Ovviamente il giorno successivo
feci in modo che ricevesse la certificazione sottoscrit-
ta. Ho avuto la gioia interiore di compiere quell’atto
di riparazione firmando le licenze ministeriali di pa-
dre Tello. Ricordo molto bene quei due incontri.
Voglio rendere un atto di giustizia alla memoria di
padre Tello. È stato una persona ammirevole, un uo-
mo di Dio, inviato ad aprire strade. Nessuna perso-
na che apre strade nuove resta col corpo esente da ci-
catrici. Tello ha avuto le sue difficoltà, ha subito le
sue ferite, ma se le è fatte cicatrizzare da sua madre, la
santa Chiesa. Come ogni profeta, è stato incompreso
da molti del suo tempo. Sospettato, calunniato,
castigato, messo da parte, non è sfuggito al destino di
croce con cui Dio segna i grandi uomini della Chiesa.
Oggi, in questa Facoltà che tanto deve al suo ex
professore, voglio fare memoria grata della sua vita,
che è stata un dono di Dio alla nostra Chiesa. Tren-
tatré anni dopo il suo ritiro e a dieci anni dalla sua
morte, le sue tracce restano vive nei suoi discepoli e
fra di noi. Durante la sua vita pubblica ha dispensato
generosamente la luce della sua sapienza come pro-
fessore di questa Facoltà, perito teologico della Com-
missione episcolpale per la pastorale e animatore di
innumerevoli iniziative pastorali. Forse la più nota è
il pellegrinaggio giovanile a Luján, che prosegue tut-
tora ed è uno degli eventi più fecondi della vita della
nostra Chiesa.
Gli è toccato di vivere tempi difficili. Le agitazio-
ni degli anni Settanta furono una vera e propria pro-

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2. La memoria di padre Tello 19

va del fuoco per gli operatori della pastorale che lavo-


ravano nei settori popolari. In quel delicato contesto,
Tello cercò fedelmente strade per la liberazione in-
tegrale del nostro popolo portando fino in fondo la
novità evangelica senza cadere nei riduzionismi del-
le ideologie. Non lo riguardano le condanne né i so-
spetti delle due Istruzioni sulla teologia della libera-
zione emanate dalla Congregazione per la dottrina
della fede.
Oggi, con la prospettiva che ci dà la storia, possia-
mo dire senza alcun dubbio che la riflessione e la pa-
storale che animavano padre Tello intendevano ac-
compagnare l’azione liberatrice di Dio, evitando gli
estremi dell’attivismo secolarizzato-politicizzato da
un lato e della rassegnazione fatalistica dall’altro.
Cercava di scoprire l’azione salvatrice di Dio nel
popolo, e così ha aperto molte delle vie che oggi per-
corriamo nella nostra pastorale, e ha saputo farlo co-
niugando lo slancio profetico con l’adesione fer-
ma alla sana dottrina ecclesiale. Mi impressionava il
suo continuo ricorso, vera e propria intelaiatura del
suo pensiero, alla Somma teologica. In un’epoca in
cui la Somma teologica veniva messa da parte, in cui
chi diceva di insegnare basandosi sulla Somma teolo-
gica veniva guardato come una bestia antidiluviana,
lui manteneva constantemente con la Somma teologi-
ca come riferimento del suo pensiero. Comprendeva
più di chiunque altro la profondità e l’originalità di
san Tommaso d’Aquino, riflesso della verità evangeli-
ca, che è «più tagliente di ogni spada a doppio taglio»
(Eb 4,12). Tello è sempre stato un buon figlio della
Chiesa. Non ricordo di aver mai letto o ascoltato da
lui alcunché contro la Chiesa. La sentiva sua madre.
La sua eredità continuerà a mostrarci strade dello Spi-
rito per il compito sempre nuovo dell’evangelizzazio-
ne in cui siamo impegnati. Sarebbe stato un peccato
se come Chiesa avessimo perduto la possibilità di co-
noscere la teologia dell’evangelizzazione per l’Ame-

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20 Prefazione

rica Latina che padre Tello ha sviluppato. In questo


senso, il libro di padre Bianchi costituisce una gradita
novità, perché ci offre una via feconda per legarci al-
la sua proposta.
Voglio concludere ringraziando padre Bianchi per
questo lavoro, che è frutto di un teologo, di un figlio
fedele della Chiesa e di un pastore. Tre qualità che
gli appartengono. E voglio augurargli di continuare a
crescere in questa feconda sintesi di vita che, ne sono
certissimo, farà bene a tutti noi.

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PREMESSA ALL’EDIZIONE ITALIANA
di Enrique Ciro Bianchi

Di un lettore che abbia in mano l’edizione italia-


na di questo libro scritto in Argentina si può sup-
porre che ne sappia a priori almeno tre cose: che vi
si parla del pensiero di padre Rafael Tello, che que-
sti è stato uno degli iniziatori della teologia del popo-
lo, e che tutto ciò, in qualche modo, ha a che vedere
con papa Francesco. Il fatto che nella Evangelii gau-
dium la parola popolo sia il sostantivo più usato (do-
po Dio), e che in Argentina si parli di teologia del po-
polo potrebbe aver risvegliato la curiosità accademica
di più di una persona. D’altra parte si tratta di un
libro dedicato a un teologo «sospetto», e come tale
presentato dal cardinale Bergoglio in una conferen-
za – che trascriviamo in questo libro – in cui, oltre a
riabilitarlo, anticipava alcuni insegnamenti di Evan-
gelii gaudium.
Non è affatto facile presentare un profilo di padre
Tello a chi non conosce il contesto argentino e latino-
americano degli ultimi decenni. Se vogliamo offrire
qualche coordinata storica per collocare l’inizio della
sua riflessione, dobbiamo risalire agli anni Sessanta
e Settanta del secolo scorso. In quel periodo conflu-
irono due grandi forze storiche che nutrirono il suo
pensiero. Da un lato lo spirito di rinnovamento con-
ciliare, che si appellava alla creatività per applicare il
Vangelo alle situazioni concrete. Dall’altro quel feno-
meno di mobilitazione popolare – soprattutto tra i
giovani – suscitato dal peronismo nell’Argentina del
tempo. Si parlava dell’«ora dei popoli», il risveglio dei
popoli che cercano di essere protagonisti reali della
propria storia. Molti intellettuali si sentirono spinti a
prendervi parte. Chi nel peronismo scorgesse soltan-

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22 Premessa all’edizione italiana

to un populismo pre-democratico comprenderebbe


poco o niente di questi pensatori.
In quel contesto, un gruppo di teologi si ritrovò in-
sieme a far parte di una commissione creata dai ve-
scovi argentini per intraprendere il rinnovamento
pastorale richiesto dai nuovi tempi. Quella Commis-
sione episcopale di pastorale – Coepal – avrebbe fat-
to da incubatrice delle idee di un rinnovamento pa-
storale fondato su un’opzione per i poveri e sul ruolo
da protagonista del popolo. Vi si è generata una cor-
rente di pensiero che molti hanno considerato una
versione argentina della teologia della liberazione. È
stata chiamata in diversi modi. Oggi il più comune è
teologia del popolo.
Quando si parla di una corrente di pensiero si ope-
ra una generalizzazione a partire da alcune coinci-
denze basilari. Nel caso di padre Tello, crediamo che
il suo pensiero, sebbene sia innegabile la sua origi-
ne comune con altri cultori della teologia del popo-
lo e la loro convergenza su alcuni punti, pervenga a
una singolarità alla quale le classificazioni in vigo-
re non rendono giustizia. Padre Tello è l’iniziatore di
una comprensione originale del cristianesimo del po-
polo in America Latina. Il suo modo di fare teologia
era peculiare. Voleva evitare qualsiasi tipo di perso-
nalismo e affermava che conta soltanto cercare la pa-
storale che Dio vuole per l’America Latina, partendo
da una comprensione teologica del cristianesimo co-
me esso viene vissuto dal popolo. Ciò l’ha condotto
a sviluppare, riguardo alla diversificazione del cristia-
nesimo, una spiegazione che vale per la Chiesa uni-
versale ed è stata assunta da Evangelii gaudium in alcu-
ni punti, per esempio quando vi si ripete l’assioma la
grazia suppone la cultura (cfr EG 115).
L’attività di padre Tello non si limitava al pensiero
teologico. È stato un instancabile animatore di inizia-
tive pastorali, soprattutto con i giovani. Alcune per-
durano tuttora. Nel 1979 la sua «creatività pastorale»

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Premessa all’edizione italiana 23

gli arrecò problemi col suo arcivescovo ed egli decise


di ritirarsi dalla vita pubblica della Chiesa. Da allora
– fino alla sua morte, nel 2002 –, in pratica visse co-
me un eremita nel cuore di Buenos Aires. Ciò nono-
stante, anche dal suo ritiro continuò a incoraggiare il
lavoro di evangelizzazione tra i poveri e a cercare ma-
niere per fondarlo sotto il profilo teologico. Ha dedi-
cato la vita a promuovere quella che chiamava la pa-
storale popolare.
Ho avuto la grazia di conoscerlo poco prima che
morisse. A metterlo sulla mia strada è stata la chia-
mata a vivere il mio ministero sacerdotale al servizio
dei poveri, e la sua proposta di una pastorale popola-
re ha fornito un alveo fecondo a tale aspirazione del
mio spirito. Questo libro, che ha visto la luce in Ar-
gentina dieci anni dopo la morte di padre Tello, cerca
di presentare a grandi linee il suo pensiero e si foca-
lizza su uno dei suoi insegnamenti: la virtù teologa-
le della fede com’è vissuta nel cristianesimo popolare
latinoamericano.
Il cardinale Bergoglio accettò di scrivere la prefa-
zione e anche di presentare il libro alla facoltà di Te-
ologia. In quella sede disse che voleva «rendere un at-
to di giustizia alla memoria di padre Tello» e motivò
quell’intenzione dicendo che «come ogni profeta, è
stato incompreso da molti del suo tempo. Sospetta-
to, calunniato, castigato, messo da parte, non è sfug-
gito al destino di croce con cui Dio segna i grandi uo-
mini della Chiesa».
Offriamo ora questo libro al lettore di lingua ita-
liana con la speranza che questa riflessione teologica
nata alla fine del mondo sia un umile apporto per fe-
condare l’«improrogabile rinnovamento ecclesiale» al
quale papa Francesco ci chiama (EG 27).

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INTRODUZIONE GENERALE

Scopo e inquadramento dottrinale dell’opera

L’intenzione fondamentale di questo lavoro è cer-


care di comprendere teologicamente il modo in cui
gran parte dei poveri dell’America meridionale vive la
sua fede. Per riuscire a spiegare meglio tale aspetto,
tuttavia, bisogna tener presente la cornice dottrinale
in cui esso è inserito.
A questo fine diciamo che il Magistero latinoameri-
cano riconosce l’esistenza di un modo proprio di vive-
re la fede cristiana da parte dei poveri dell’America Lati-
na. Le diverse Conferenze episcopali si sono espresse in
questo senso. Puebla dice che il Vangelo, incarnandosi
nei nostri popoli, si è dato una «originalità storico-cul-
turale».1 In America Latina la fede cristiana ha trova-
to una nuova concretizzazione storica che può esse-
re chiamata «cattolicesimo popolare».2 La Conferenza
più recente, svoltasi ad Aparecida nel 2007, attribuisce
un grande valore a questo modo di vivere la fede cri-
stiana. Parla dell’esistenza di una vera spiritualità popo-
lare o mistica popolare. La descrive come una spiritualità
«incarnata nella cultura dei semplici».3 Tale spirituali-
tà è, per Aparecida, «un’espressione di sapienza sopran-
naturale»,4 vissuta dai poveri, che di solito posseggono
ben poca di quella che è nota come istruzione religio-
sa, e tuttavia «non per questo è meno spirituale, ma
lo è in modo diverso».5 Infatti – afferma Aparecida –,

1
DP 446.
2
DP 444.
3
DA 263.
4
Ibidem.
5
Ibidem.

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 25 10/03/15 11.12
26 Introduzione generale

«la sapienza dell’amore non dipende direttamente


dall’illuminazione della mente, ma dall’azione inter-
na della grazia».6 Avverte inoltre che simili espressioni
di fede, che abbondano tra i poveri, non vanno consi-
derate «una modalità secondaria di vita cristiana».7 Di-
sprezzare un simile modo di vivere la fede equivarreb-
be a «dimenticare il primato dell’azione dello Spirito e
l’iniziativa gratuita dell’amore di Dio».8
Anche Benedetto XVI ha avvalorato la pietà popo-
lare latinoamericana. Nell’inaugurare la Conferen-
za di Aparecida l’ha chiamata «il prezioso tesoro del-
la Chiesa cattolica in America Latina, e che essa deve
proteggere, promuovere e, quando fosse necessario,
anche purificare».9 Più di recente, nell’aprile 2011, ha
ripreso l’insegnamento espresso ad Aparecida su que-
sta spiritualità in cui «la fede si è fatta carne e san-
gue».10 Ha rimarcato che «merita il nostro amore»11 e
che «escluderla è del tutto sbagliato. Attraverso di es-
sa, la fede è entrata nel cuore degli uomini, è diventa-
ta parte dei loro sentimenti, delle loro abitudini, del
loro comune sentire e vivere».12

6
Ibidem.
7
Ibidem.
8
Ibidem. Benché la Conferenza di Aparecida si sia svolta cin-
que anni dopo la morte di Tello, quanti hanno lavorato alla re-
dazione di quel documento hanno riconosciuto che – su questo
punto – la riflessione del teologo argentino è servita di ispirazio-
ne (cfr. V. FERNÁNDEZ, Aparecida: guía para leer el documento y cróni-
ca diaria, San Pablo, Buenos Aires 2008, pp. 151 e 159). Per mag-
giori dati su questa dottrina di Aparecida, vedi E.C. BIANCHI, «El
tesoro escondido de Aparecida: la espiritualidad popular», in Teo-
logía, 100 (2009), 557-576.
9
BENEDETTO XVI, Discorso nella sessione inaugurale dei lavori del-
la V Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano e dei Caraibi,
13 maggio 2007, 1 (citato in DA 258).
10
BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti alla Plenaria della Ponti-
ficia Commissione per l’America Latina, 8 aprile 2011, 5.
11
Ibidem.
12
Ibidem.

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 26 10/03/15 11.12
Metodo e struttura 27

Pertanto possiamo dire che la spiritualità popola-


re ha assunto «carta di cittadinanza nella Chiesa».13
Dunque, davanti a un simile riconoscimento da par-
te del Magistero, tocca alla teologia approfondire la
conoscenza di questo modo di vivere la fede. È ne-
cessario che la Chiesa, mentre riconosce attraverso i
vescovi l’esistenza di tale modo peculiare di vivere la
fede, cerchi di comprendere – attraverso la propria ri-
flessione teologica – questa strada lungo la quale Dio
conduce milioni di latinoamericani. Tale è l’inten-
zione complessiva del presente lavoro: apportare un
piccolo contributo allo sforzo di conoscere la forma
concreta assunta dal cristianesimo incarnato nel no-
stro popolo latinoamericano.

Metodo e struttura

Nell’esposizione utilizzeremo un metodo che si


potrebbe definire «approfondimento a spirale». Pren-
deremo le mosse dall’ambito più generale, parlando
della vita e dell’opera dell’autore. Quindi affrontere-
mo alcuni dei suoi principali temi di riflessione e ap-
proderemo a uno studio dettagliato del tema relativo
alla virtù della fede.
In questo orizzonte, e al fine di stabilire un taglio
tematico che renda fattibile un lavoro di questo ti-
po, abbiamo scelto di studiare il modo in cui la fede

13
«Uno degli aspetti grandemente innovativi nella riflessio-
ne teologico-pastorale di Aparecida è stata la Pietà popolare, alla
quale è stata attribuita una “carta di cittadinanza” nella comunità
ecclesiale; è stata scoperta non come un lontano parente osserva-
to nei suoi difetti, bensì anzitutto nella bellezza della sua identi-
tà: umana e cristiana». Così M.A. ORDENES FERNÁNDEZ, «Piedad po-
pular a la luz de Aparecida. Un desafío para el ver, juzgar y actuar
pastoral», 2010, disponibile online in www.celam.org/Images/
img_noticias/doc14d9cc46816841_06042011_252pm.pdf (con-
sultato il 3.9.2014).

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28 Introduzione generale

viene vissuta nella cultura popolare così come Ra-


fael Tello lo propone in El cristianismo popular según
las virtudes teologales. In questo scritto breve e anco-
ra inedito, che adotteremo come testo base, egli pre-
senta gran parte delle sue intuizioni sulla spiritua-
lità popolare latinoamericana.14 Tuttavia sarà spesso
necessario integrare questo pensiero con altri scrit-
ti dell’autore.
Sicché il lavoro sarà suddiviso in due parti. Nella
prima (capitoli 1-3) cercheremo di presentare l’au-
tore e alcune delle sue proposte originali. La secon-
da (capitoli 4-5) seguirà un metodo sincronico, con
cui cercherà di spiegare i due nodi tematici attorno ai
quali si può articolare l’insegnamento di Tello sulla
fede vissuta nella cornice della cultura popolare.
Il capitolo I si propone di offrire un «ritratto te-
ologico di Rafael Tello». Siamo consapevoli che si
tratta di un teologo praticamente sconosciuto, e per-
tanto ci è parso necessario offrire al lettore una pre-
sentazione della sua vita e della sua opera che possa
fungere da cornice per inquadrarne e interpretarne
meglio la proposta. Nel capitolo II tratteremo di al-
cune nozioni come evangelizzazione e cultura, il cui
studio risulta indispensabile per comprendere le po-
sizioni dell’autore. Lo faremo a partire da due scrit-
ti che furono redatti a complemento del nostro testo
base. Quindi, a chiusura della prima parte di que-
sto lavoro, il capitolo III presenterà la struttura e le
grandi idee dell’opera El cristianismo popular según las
virtudes teologales. Contiamo che a quel punto il let-
tore si sia già fatto un buon panorama del pensie-

14
Sebbene al momento in cui questo libro andava in stam-
pa l’opera El cristianismo popular según las virtudes teologales fosse
tuttora inedita, è circolata una versione per uso privato della pri-
ma parte di tale scritto, che tratta della virtù della fede. Può esse-
re consultata (e scaricata) in http://es.scribd.com/doc/53346231/
Tello-El-cristianismo-popular-y-las-virtudes-teologales-la-FE
(consultato il 3.9.2014).

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 28 10/03/15 11.12
Metodo e struttura 29

ro di Tello e sia preparato per uno approfondimen-


to sullo specifico della fede vissuta nella spiritualità
popolare.
Come si preciserà nel capitolo III, dall’analisi della
sezione relativa alla fede del nostro testo base si può
dedurre che esistono due grandi nuclei tematici attor-
no a cui si può articolare una presentazione di que-
sti contenuti. Tale constatazione determina la struttu-
ra in due capitoli della seconda parte. Il capitolo IV
stabilirà il principio che la fede si vive sempre in una
cultura. È, in effetti, la base di tutta la successiva ar-
gomentazione. Il primo passo per comprendere teo-
logicamente il modo di vivere la fede che si dà nel-
la cultura popolare è assumere che la cultura di una
persona influisce fortemente sul modo in cui essa vi-
ve il cristianesimo. La fede non esiste se non in una
persona concreta, e questa si trova necessariamente
sotto l’influsso dell’ambiente storico in cui vive. Que-
sta virtù teologale è anzitutto una grazia divina, ma il
suo atto è un atto umano e come tale riceve l’influen-
za della cultura in cui avviene. Perciò diremo che la
fede è una quanto al suo oggetto – Dio stesso –, ma
il suo atto può esprimersi in forme diverse secondo la
cultura del soggetto.
Il capitolo V sarà il cuore di questo lavoro. In es-
so presenteremo la spiegazione che Tello propone
dell’atto di fede vissuto nella cornice della cultura po-
polare. Ormai assodato che la virtù della fede si vive
in ogni cultura con lineamenti propri, analizzeremo
l’atto di questa virtù a partire dalla triplice formula-
zione agostiniano-tomista (credere Deo, credere Deum,
credere in Deum). Frattanto andremo spiegando la
peculiarità della fede dei nostri poveri come espressa
tramite diversi accenti in ciascuno di questi tre aspet-
ti. Così vedremo, per esempio, come il fatto che il
popolo cerchi Dio più attraverso la devozione a Cri-
sto, a Maria e ai santi che non per la via della «for-
mazione religiosa» si possa spiegare dicendo che vive

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 29 10/03/15 11.12
30 Introduzione generale

la sua fede accentuando maggiormente l’aspetto di


tendenza a Dio (credere in Deum) che non l’aspetto
della conoscenza delle verità rivelate (credere Deum).
A modo di conclusione, infine, riprenderemo le
principali nozioni svolte e cercheremo di articolarle
in una presentazione che dia al lettore uno sguardo
globale sulla spiegazione che Tello fornisce della fede
dei nostri poveri.
Completa il lavoro un’appendice in cui offriamo
un elenco dettagliato degli scritti noti di Rafael Tel-
lo. Non sono molti e nemmeno facili da rintracciare,
perciò abbiamo ritenuto utile stilarne il catalogo.

Alcune osservazioni preliminari

Prima di addentrarci nei contenuti che intendiamo


presentare, riteniamo opportuno offrire alcune avver-
tenze.
a) Ce ne sono anzitutto due per il lettore che ar-
riva a questo libro attratto dalla ricchezza del cristia-
nesimo del nostro popolo, ma che forse non è avvez-
zo ad avere in mano un trattato di teologia. In primo
luogo desideriamo avvisarlo del fatto che se – inna-
morato della rosa – cercasse qui l’opera di un poeta
che descriva la bellezza del fiore, potrebbe restare de-
luso. Questo libro non intende proporre un catalogo
delle ricche manifestazioni della religiosità popolare
latinoamericana. Qui tratteremo dei fondamenti teolo-
gici della vita di fede del nostro popolo. In quest’ope-
ra il lettore troverà il lavoro paziente di un botanico
– anch’egli innamorato della rosa –, che studia qua-
li processi interni della pianta alimentano la fragran-
za dei fiori.
b) Sulla stessa linea, volendo predisporre l’atteg-
giamento giusto per affrontare un libro di teologia,
dobbiamo dire che questo lavoro è la seconda versio-

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Alcune osservazioni preliminari 31

ne di una tesi di laurea in teologia dogmatica.15 Tutta-


via la redazione è stata caratterizzata, fin dagli esordi,
dalla tensione tra la volontà di presentare seriamen-
te una speculazione teologica densa come quella di
Rafael Tello e il desiderio di comunicarla a quanti
– forse – non sono abituati a questo tipo di letture.
Potrebbe accadere, malgrado ciò, che lungo il percor-
so un lettore di questo tipo possa provare confusio-
ne per l’aridità di alcuni passaggi. Pensando a lui ab-
biamo messo un impegno particolare per esprimere i
contenuti essenziali di ogni capitolo, in modo fluido,
nelle rispettive conclusioni. Lo incoraggiamo a prose-
guire nella lettura nonostante qualche difficoltà e –
nel peggiore dei casi – gli consigliamo di saltare alle
conclusioni del capitolo piuttosto che abbandonare
la lettura.
c) Questa terza avvertenza riguarda la natura del
teologo studiato. Accedere a un pensiero come quel-
lo di Tello comporta alcune serie difficoltà. Oltre al
suo linguaggio – di cui a suo tempo parleremo, che
può risultare ostico al lettore moderno,16 si tratta di
un autore molto prolifico, le cui opere, però, in gran
parte non sono state ancora pubblicate. Alcune circo-
stanze della sua vita – che descriveremo nel capitolo
I – hanno fatto sì che la sua opera e la sua figura og-
gi siano praticamente sconosciute. A quasi dieci anni
dalla sua morte si può dire che si sia appena avviato
il processo di accoglienza della sua proposta teolo-
gica nell’ambito accademico. Di fatto, questo lavoro
è il primo ad affrontare in profondità un aspetto del
pensiero di Rafael Tello. D’altra parte, l’edizione dei

15
E.C. BIANCHI, Pobres en este mundo, ricos en la fe (Sant 2,5). La
fe vivida en el cristianismo popular latinoamericano en la obra «El cri-
stianismo popular según las virtudes teologales» de Rafael Tello, tesi di
licenza in Teologia diretta da Víctor Fernández, Facoltà di Teolo-
gia, Universidad Católica Argentina, Buenos Aires 2011.
16
Vedi infra, p. 93 e ss.

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32 Introduzione generale

suoi scritti inediti è agli inizi e i teologi che si sono


occupati della sua opera sono pochi.17
Abbiamo trovato soltanto tre autori che hanno
presentato aspetti del pensiero di Tello: Marcelo Gon-
zález, Víctor Fernández e Omar Albado. Il primo, nel
suo studio sulla riflessione teologica in Argentina, lo
presenta quando tratta del pensiero teologico degli
esperti della Coepal.18 Vi evidenzia Tello come uno
dei poli – accanto a Lucio Gera e a Justino O’Farrell
– dai quali sorge quella teologia che è stata poi chia-
mata «teologia del popolo» o «teologia della cultura».
González si avvale di scritti dell’epoca e della tradi-
zione orale raccolta in interviste fatte a protagonisti
di quei tempi.19
Víctor Fernández è il primo a offrirci articoli de-
dicati esclusivamente al pensiero del nostro autore.
A parte il materiale relativo alla Coepal, lo studia in
alcuni testi scritti durante il periodo di ostracismo e
intrattiene alcuni colloqui personali con lui. È l’uni-
co a lavorare con elementi presentati nel nostro testo
base.20

17
Gli scritti diffusi di questo autore sono scarsi, ma esiste una
gran massa di materiale inedito che a poco a poco sta venendo
alla luce. Se ne incarica la Fondazione Saracho, ideata dallo stes-
so Tello, che detiene i diritti d’autore della sua opera. Per l’elabo-
razione di questo lavoro ci siamo avvalsi della stretta collabora-
zione dei membri di quell’istituzione, che ci hanno fornito i testi
inediti necessari e tutto l’indispensabile aiuto.
18
Sulla Coepal (Commissione episcopale per la pastorale) ve-
di la nota 14 a p. 44 e la nota 3 a p. 232.
19
M. GONZÁLEZ, La reflexión teológica en la Argentina, 1962-2004:
apuntes para un mapa de sus relaciones y desafíos hacia el futuro, Uni-
versidad Católica de Córdoba, Córdoba 2005, pp. 83-94.
20
V. FERNÁNDEZ, «El “sensus populi”. La legitimidad de una teolo-
gía desde el pueblo», in Teología 72 (1998) 133-164; «Con los po-
bres hasta el fondo. El pensamiento teológico de Rafael Tello», in
Proyecto 36 (2000) 187-205; «El Padre Tello: una interpelación to-
davía no escuchada», in Vida pastoral 236 (2002) 34-40; «Textos de
Rafael Tello», in V.R. AZCUY - C.M. GALLI - M. GONZÁLEZ, Escritos Te-

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Alcune osservazioni preliminari 33

Il terzo autore, Omar Albado, è uno dei sacerdo-


ti con i quali Tello mantenne un contatto frequente
nell’ultima fase della sua vita. Spiegheremo successi-
vamente come il nostro teologo abbia trascorso più
di vent’anni ritirato dalla vita pubblica della Chiesa,
continuando tuttavia a incoraggiare alcuni presbite-
ri che volevano lavorare all’evangelizzazione dei più
poveri. A loro trasmetteva settimanalmente i suoi in-
segnamenti sulla pastorale popolare, e fu in questo
contesto che elaborò la maggior parte della sua opera
scritta. A partire da quell’esperienza e con questo ma-
teriale – ancora in massima parte inedito –, Albado ci
presenta i suoi articoli su Tello.21
Il presente lavoro vuole seguire queste orme. Da
una parte capitalizzando gli sguardi di questi teolo-
gi e l’esperienza personale di chi ha lavorato alla pre-
parazione dei pochi testi editati post mortem. Ma so-
prattutto traendo profitto da un altro versante, più
vitale, che è la conoscenza teologica assimilata do-
po aver preso parte ad alcune delle proposte pastorali
dell’autore e dopo le lunghe ore condivise con quanti

ológico-Pastorales de Lucio Gera. 1. Del preconcilio a la Conferencia de


Puebla (1956-1981), Agape, Buenos Aires 2006, pp. 481-487.
21
O. ALBADO, El carácter teologal de la pastoral popular en el p. Ra-
fael Tello, inedito, 2006; ID., «La condescendencia divina en la teo-
logía de la pastoral popular del padre Rafael Tello», in Vida pasto-
ral 281 (2010) 19-27; «Volverse al hombre concreto. Una aproxi-
mación a la cultura popular en la teología del padre Rafael Tel-
lo», in Vida pastoral 283 (2010) 4-11; «La teología afectiva como
modo de conocimiento del pueblo en la pastoral popular del pa-
dre Rafael Tello», in Vida pastoral 287 (2010) 24-28; «Algunas ca-
racterísticas de la teología afectiva según el padre Rafael Tello», in
Vida pastoral 288 (2010) 20-25; «El hombre hace cultura. Reflexio-
nes en torno a la distinción entre cultura subjetiva y cultura obje-
tiva en la teología de Rafael Tello», in Vida pastoral 296 (2011) 21-
26; «El hombre es dueño del sábado. La cultura subjetiva como
generadora de un estilo de vida en la teología de Rafael Tello», Vi-
da pastoral 299, (2011) 12-19; ««No le pongan el corazón a las ri-
quezas». La posición de Rafael Tello frente a la cultura moderna»,
in Vida pastoral 302, (2011) 4-10.

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34 Introduzione generale

gli sono stati vicini e hanno vissuto il loro ministero


sacerdotale profondamente influenzati dai suoi inse-
gnamenti. L’opera teologica di Tello è stata concepita
per fondare l’azione evangelizzatrice tra i poveri, ed
è a partire da quell’azione che la si può comprende-
re più compiutamente. Molte delle sue affermazioni
possono essere apprezzate nella loro reale dimensio-
ne se messe a confronto con la vita concreta del no-
stro popolo.
d) L’ultima avvertenza è per i lettori abituati ai te-
sti scientifici. Riconosciamo che ad alcuni il distac-
co critico rispetto all’autore studiato potrebbe appari-
re insufficiente. In questo caso, tuttavia, crediamo che
non si tratti di una pecca, ma piuttosto della peculia-
rità di un lavoro che si pone nella fase iniziale della
ricezione di un pensiero complesso. Tello viene let-
to con la benevolenza con cui il discepolo legge il maestro.
Il discepolo, benché non possa sottoscrivere la tota-
lità di quel che riceve, non è ancora in condizioni di
discernere se ciò sia dovuto a un limite della dottrina
trasmessa o avvenga perché, a questo stadio del suo
processo di apprendimento, ancora non l’ha interpre-
tata in tutta la sua ricchezza.22

22
San Tommaso insegna che uno dei modi imperfetti di cono-
scenza è quello del discepolo, perché questi assimila per prime (e
il maestro comunica per prime) le nozioni più facilmente com-
prensibili (vedi In Post An II,16[6]; R. TELLO, La Iglesia al servicio
del pueblo, inedito, 1992, n. 33).

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PRIMA PARTE

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014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 36 10/03/15 11.12
I
RITRATTO TEOLOGICO
DI RAFAEL TELLO

Introduzione

Come si è detto nell’Introduzione generale, questo la-


voro vuole presentare una spiegazione teologica del
modo in cui la fede cristiana viene vissuta dai popo-
li dell’America Latina, secondo gli insegnamenti di Ra-
fael Tello contenuti nel suo scritto El cristianismo popu-
lar según las virtudes teologales. Lo sforzo di accostarci
a un aspetto del pensiero di questo teologo è com-
plesso e affascinante come lo era la sua personalità.
Le testimonianze di quanti l’hanno conosciuto sono
accomunate dall’ammirazione suscitata dal suo sguar-
do acuto sulla realtà. Era un uomo saggio, che sapeva
pensare le cose della vita alla luce dell’amore e dell’a-
zione salvifica di Dio. Questa sapienza evangelica, che
ha attratto molti nel corso della sua vita, si può scor-
gere in maniera eminente nel suo pensiero teologico.
Quando si osserva una figura teologica come quella
di Tello, sono molti gli aspetti che si presentano nella
loro originalità. Come afferma uno studioso della ri-
flessione teologica in Argentina, «siamo davanti a uno
dei pensatori più originali, creativi e fecondi della nostra
tradizione teologica».1 La sua opera getta uno sguardo
teologico sulla realtà latinoamericana, coniugata con i
più ricchi elementi della tradizione della Chiesa.

1
M. GONZÁLEZ, La reflexión teológica en la Argentina, 1962-2004:
apuntes para un mapa de sus relaciones y desafíos hacia el futuro, Uni-
versidad Católica de Córdoba, Córdoba 2005, p. 84; il corsivo è
nostro.

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38 I. Ritratto teologico di Rafael Tello

Per presentarlo abbiamo scelto di descrivere tre


caratteristiche della sua figura di teologo e di pasto-
re. In questo contesto andremo anche ripassando al-
cuni avvenimenti che hanno inciso sulla sua vita e
che pertanto ci aiuteranno a collocarci nel contesto
storico ed ecclesiale della sua opera. In primo luo-
go proporremo quella che riteniamo una chiave in-
dispensabile per interpretare la sua opera: per lui te-
ologia e pastorale sono inseparabili, la sua intenzione è
animare una pastorale popolare per l’America Lati-
na ed è in funzione di questo scopo che egli svilup-
pa il suo pensiero. Il secondo aspetto che rimarche-
remo è la sua fedeltà alla Chiesa. Qualsiasi problema
possano avergli arrecato le sue posizioni teologiche e
le sue iniziative pastorali, egli ha sempre pensato nel-
la Chiesa e si è preoccupato di presentare la sua te-
ologia nell’alveo del Magistero e della ricca Tradizio-
ne ecclesiale. Infine, parleremo di uno dei suoi tratti
distintivi per eccellenza: la sua opzione per i poveri. Il
suo pensiero, anche quando apporta forti lineamenti
di originalità, si sviluppa nel contesto di questa scel-
ta preferenziale che la Chiesa latinoamericana com-
pie, e che egli fa propria e appoggia. Con profonda
sapienza, e con una buona dose di audacia evangeli-
ca, ha saputo schierarsi con la sua teologia «con i po-
veri, fino in fondo».2

Una teologia al servizio dell’evangelizzazione

«Una volta l’ho sentito in un corso che dava sul-


la pastorale. Per parlare di pastorale cominciò a par-

2
V. FERNÁNDEZ, «Con los pobres hasta el fondo. El pensamien-
to teológico de Rafael Tello», in V.R. AZCUY - C.M. GALLI - M. GON-
ZÁLEZ, Escritos Teológico-Pastorales de Lucio Gera. 1. Del preconcilio a
la Conferencia de Puebla (1956-1981), Agape, Buenos Aires 2006,
pp. 481-487.

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Una teologia al servizio dell’evangelizzazione 39

lare della fede: “Credere Deo, credere Deum, credere in


Deum”, a meraviglia!».3

Dobbiamo dire qualcosa della sua vita, dato che si


tratta di un teologo poco conosciuto e che ha trascorso
molti anni appartato dall’attività pubblica. Nel ripercor-
rere il suo itinerario personale vedremo che – dalle pri-
me notizie che abbiamo potuto rintracciare fino ai suoi
ultimi giorni – la sua vita è animata da un intenso zelo
apostolico e il suo pensiero si orienta sempre a collabo-
rare con l’opera evangelizzatrice della Chiesa.
Non si sa molto della fase precedente all’ingresso
in seminario. Parlava poco di sé e si può dire qual-
cosa soltanto a partire da alcune testimonianze di
familiari e amici di quei tempi. La sua era una fa-
miglia tradizionale e conservatrice del nordovest ar-
gentino. In linea paterna, suo nonno – Eugenio Tello
(1849-1924) – fu uno dei probiviri della generazio-
ne dell’Ottanta, venne eletto nel Senato nazionale e
quindi ricevette incarichi nei governi, successivamen-
te, di Jujuy, Río Negro e Chubut. Il suocero di Euge-
nio Tello, bisnonno di Rafael, era Teodoro Sánchez
de Bustamante (1778-1851), che fu deputato di Jujuy
al Congresso di Tucumán e affiancò Belgrano e Ron-
deau nella campagna in Alto Perù. Anche la famiglia
materna era profondamente radicata nella regione. Il
nonno materno – Joaquín Carrillo (1853-1933) – è
stato un noto storico di Jujuy4 ed era sposato con Ca-
rolina Echenique Altamira, la cui genealogia si può

3
Colloquio di padre Jorge Vernazza con padre Lorenzo Esteva,
17 gennaio 1990, cit. in J. VERNAZZA - R. RICCIARDELLI, Apuntes para
una biografía del padre Rafael Tello, inedito, p. 74.
4
Autore di Jujui. Provincia Federal Argentina. Apuntes de su histo-
ria civil (con muchos documentos), Buenos Aires 1877 (con Prologo
di B. Mitre). In un’occasione Tello cita quell’opera parlando degli
indios della zona di Jujuy. Cfr. R. TELLO, Ubicación histórica del cri-
stianismo popular, inedito, 1992, n. 227.

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40 I. Ritratto teologico di Rafael Tello

far risalire fino al fondatore della città di Córdoba,


Gerónimo Luis de Cabrera.
Il nostro teologo è nato a La Plata il 7 agosto 1917.
L’anno dopo la famiglia si trasferì a Buenos Aires.
Benché abbia trascorso l’infanzia in questa città, Ra-
fael passava lunghi periodi a casa del nonno mater-
no a Yala (Jujuy). Circa quei tempi abbiamo un ricor-
do della sorella:

Rafael se ne andava per i monti a cavallo, allora non


c’erano né ponti né strade, a cercare le persone che
vivevano nelle casupole più lontane per invitarle a
«scendere alle case» per il catechismo. Era lui a prepa-
rarlo e a insegnarlo. La messa si celebrava in casa per-
ché non c’era una cappella. Un padre francescano ci
andava in treno al sabato e ritornava in città la dome-
nica pomeriggio. Quando si faceva la missione, il pa-
dre di turno restava per tre giorni e di solito alla do-
menica, ultimo giorno, veniva il vescovo.5

Monsignor Iriarte,6 che conosceva Tello dall’infanzia


e la cui famiglia era amica dei Carrillo, sostiene a sua
volta che il nordovest argentino abbia influito notevol-
mente sulla personalità di Rafael: «Lui era molto, mol-
to jujeño: avevano una casa a Yala, vicino a Jujuy, lui era
molto abile nel prendere e andarsene a cavallo da solo,
montando l’animale con due staffe e senza sella».7
Se si hanno presenti questi aspetti della vita perso-
nale, non sembra azzardato il pensiero che abbia ac-
quisito la sua profonda conoscenza della formazione

5
Colloquio di Susana Tello con padre Jorge Vernazza,13 aprile
1989, cit. in VERNAZZA - RICCIARDELLI, Apuntes para una biografía…,
cit., p. 8.
6
Monsignor José Iriarte è stato il primo vescovo della dioce-
si di Reconquista (1957-1984), e quindi arcivescovo di Resisten-
cia (1984-1991).
7
Colloquio con monsignor José Iriarte, 22 marzo 1990, cit.
in VERNAZZA - RICCIARDELLI, Apuntes para una biografía…, cit., p. 74.

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Una teologia al servizio dell’evangelizzazione 41

del nostro popolo non soltanto attraverso lo studio,


ma anche nello stretto contatto con la popolazione
criolla e dalle sue radici di famiglia patrizia del nordo-
vest argentino.
Dopo gli studi secondari si iscrisse alla facoltà di
Legge dell’Università di Buenos Aires, da dove uscì
avvocato nel 1944, a ventisette anni. In quell’epoca
militò attivamente nell’Azione Cattolica, nella par-
rocchia di Santa Elena. Di quei tempi giovanili sua
sorella ricorda che «era molto riservato e molto in-
dipendente, in famiglia non si sapeva molto di lui;
quando entrò in seminario li informò nel momen-
to in cui ci andava».8 Entrò nel 1945 nel seminario
dell’arcidiocesi di Buenos Aires e fu ordinato sacer-
dote il 23 settembre 1950. Uno dei suoi compagni di
ordinazione, padre Lorenzo Esteva, ricorda l’impres-
sione che la sua personalità destava nel seminario:

Ho conosciuto Rafael Tello – ha detto il padre Este-


va – all’inizio dell’anno di seminario 1945. […]
Non appena entrai in contatto diretto con lui re-
stai sorpreso dalle sue qualità. […] Mi colpirono l’a-
cume del suo ingegno e la profondità delle sue os-
servazioni, intrise di amore e adesione alla dottrina
della Chiesa. […] Non è mai stato una persona for-
male, sapeva scherzare in allegria, ma la sua conver-
sazione non è mai stata superficiale o pettegola. I
compagni gli riconoscevano una tale autorità mora-
le da consultare, credo, più lui che non i loro diret-
tori spirituali, e, va detto, senza che egli lo provo-
casse in alcun modo. […] I temi preferiti delle sue
conversazioni erano la dottrina di san Tommaso e
di san Giovanni della Croce, e in ogni caso, in un
modo o nell’altro, dalle sue parole trasparivano un

8
Colloquio di Susana Tello con padre Jorge Vernazza,13 apri-
le 1989, cit. in ivi, p. 9.

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42 I. Ritratto teologico di Rafael Tello

grande zelo apostolico e un evidente amore per la


Chiesa.9

Lasciando da parte altri dati biografici, che per non


dilungarci esponiamo in nota,10 possiamo dire che do-

9
Colloquio di padre Jorge Vernazza con padre Lorenzo Esteva,
17 gennaio 1990, cit. in ivi, p. 9.
10
Ecco uno schematico profilo biografico: Rafael Adolfo Tel-
lo nacque a La Plata il 7 agosto 1917. Dal 1918 visse a Buenos Ai-
res, in via Blandengues (oggi Soldado de la Independencia), n.
1136. La sua famiglia era di Yala (Jujuy), dove nell’infanzia tra-
scorse lunghi periodi. Nel 1924 ricevette la prima comunione nel
Colegio de la Misericordia, in Avenida Cabildo 1333. Frequentò
le elementari in un istituto statale che si trovava in Avenida Fede-
rico Lacroze 2322. Quanto agli studi secondari, si svolsero nel-
la scuola Manuel Belgrano. Successivamente frequentò la facoltà
di Legge nell’Università di Buenos Aires, dove si laureò nel 1944,
a 27 anni, ottenendo il titolo di avvocato. In quel periodo col-
laborò con la gioventù di Azione Cattolica nella chiesa di San-
ta Elena. Entrò nel seminario dell’arcidiocesi di Buenos Aires nel
1945. Fu ordinato sacerdote il 23 settembre 1950.
Nel 1953 fu nominato Assistente della Gioventù dell’Azio-
ne Cattolica e andò ad abitare in un pensionato per giovani uni-
versitari. Nel 1958 fu designato professore della facoltà di Teo-
logia di Buenos Aires. Dal 1966 al 1973 svolse il ruolo di esper-
to della Coepal. In seguito a un incidente stradale, nel 1969, sco-
prì di avere un cancro all’intestino. Due anni dopo venne opera-
to e gli praticarono una colostomia che avrebbe mantenuto per
tutta la vita. In quel periodo assisteva i sacerdoti del Movimien-
to de sacerdotes para el Tercer mundo, e intervenne nel nuovo
orientamento assunto dal santuario di San Cayetano de Liniers.
Nel 1975 ispirò il primo Pellegrinaggio giovanile a Luján; in que-
gli anni incoraggiava il Movimiento Juvenil Evangelizador e con-
sigliava varie congregazioni di religiose.
Si ritirò dalla vita pubblica della Chiesa nel marzo del 1979.
In quegli anni mantenne contatti con sacerdoti interessati all’e-
vangelizzazione dei più poveri e ispirò la creazione dell’asso-
ciazione privata di fedeli «Santa María Estrella de la Evangeliza-
ción» (nota come la Cofradía de la Virgen), l’Associazione Negri-
to Manuel e la Fondazione Saracho. Dal 1984 fino a poco prima
di morire tenne riunioni settimanali – conosciute come la escueli-
ta – a casa sua con sacerdoti amici, per parlare di vari temi relativi
alla pastorale popolare. Nel settembre 2001 si trasferì a Luján con

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Una teologia al servizio dell’evangelizzazione 43

po la sua ordinazione sacerdotale si possono distingue-


re due fasi chiaramente delimitate. Il primo periodo è
caratterizzato da una rilevante azione nella Chiesa ar-
gentina, nel corso del quale fu – tra l’altro – professore
della facoltà di Teologia di Buenos Aires, esperto della
Coepal e ispiratore del Pellegrinaggio giovanile a Luján.
A questo subentrò un secondo periodo di reclusione e
nascondimento, nel quale continuò silenziosamente
a incoraggiare una pastorale popolare e sviluppò quasi
tutta la sua opera scritta. Il discrimine tra le due fasi è il
conflitto che lo vide opposto al suo arcivescovo, e che
lo portò a rinunciare all’insegnamento nella facoltà di
Teologia11 e a ritirarsi completamente dalla vita pubbli-
ca della Chiesa. Accadde nel marzo del 1979, e se consi-
deriamo che era stato ordinato sacerdote nel 1950 pos-
siamo parlare di una prima fase di ventott’anni di vita
pubblica, dal 1950 al 1979, e di una seconda fase di re-
clusione di ventitré anni, dal 1979 al 2002, anno della
sua morte.
Va chiarito che il volontario isolamento in cui tra-
scorse tutti quegli anni non era bidirezionale. Ben-
ché egli facesse tutto il possibile per evitare di influ-
ire sulla Chiesa, la Chiesa continuò a influire su di
lui. Da un lato respingeva ripetutamente i tentativi

l’intenzione di morire accanto alla Madonna, che si realizzò il 19


aprile 2002 (cfr. VERNAZZA - RICCIARDELLI, op. cit., pp. 6-7).
11
Il corposo fascicolo del professor Tello che si trova nella fa-
coltà di Teologia si conclude con una nota manoscritta dell’allora
decano, che dice laconicamente:
«1979.
Oggi, martedì 6 marzo, l’arcivescovo cardinale Aramburu mi ha
comunicato che il prof. sac. Rafael Tello gli ha presentato la rinuncia
all’incarico di professore associato della facoltà di Teologia.
Carmelo Giacquinta
N.B. Da notificare al Consiglio direttivo e al Consiglio accademico
nelle prossime sessioni».
Nonostante la raccomandazione finale, nel libro dei verbali
non risulta che di queste dimissioni si sia trattato né nel Consi-
glio direttivo né in quello accademico.

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44 I. Ritratto teologico di Rafael Tello

di contatto di quanti volevano chiedergli una parola


autorevole su qualche questione ecclesiastica. Mon-
signor Iriarte lo attesta dicendo: «Con Zaspe diceva-
mo molto spesso: “Che facciamo se ci muore Tello?”,
perché Tello era la risorsa per i problemi; non morì,
ma si “ostracizzò”. Con Zaspe abbiamo fatto enormi
sforzi per incontrarlo, gli abbiamo scritto una lette-
ra insieme, abbiamo mandato emissari e non ha mai
voluto riceverci».12 Ma dall’altro lato era a piena co-
noscenza di ciò che accadeva nella Chiesa, non me-
no che nella fase della sua vita pubblica. Raccontia-
mo un esempio per illustrare questo fatto: è sempre
stata sua caratteristica la capacità di lavoro e la rapi-
dità nell’assumere le linee del Magistero. Stupito di
questo, Mitchell, nel suo libro sugli inizi della Pere-
grinación Juvenil, racconta che nel gennaio del 1976
Tello già si riuniva con sacerdoti a studiare la Evange-
lii nuntiandi, promulgata l’8 dicembre 1975.13 Qual-
cosa di analogo succede nella sua fase di ostracismo:
nel gennaio 1993 comincia a distribuire uno scritto
intitolato La pastoral popular y Santo Domingo, appena
un mese dopo la pubblicazione del documento della
IV Conferenza dell’episcopato latinoamericano.
Se può essere individuato un filo conduttore che
percorre entrambe le fasi della sua vita, è la ricerca
di una pastorale popolare. Convinto che il modo in
cui i più poveri dell’America Latina vivono la fede cri-
stiana costituisce un cristianesimo valido, propone e
fonda azioni con cui la Chiesa può rendere più vivo
e operante tale cristianesimo. Tutte le sue iniziative
pastorali e le sue posizioni dottrinali confluiscono in
questa direzione.

12
Colloquio con monsignor José Iriarte, 22 marzo 1990, cit.
in VERNAZZA - RICCIARDELLI, Apuntes para una biografía…, cit., p. 76.
13
G. DOTRO - C. GALLI - M. MITCHELL, Seguimos caminando: apro-
ximación socio-histórica teológica y pastoral de la caminata juvenil a
Luján, Agape, Buenos Aires 2004, p. 69.

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Una teologia al servizio dell’evangelizzazione 45

In quanto esperto della Coepal14 partecipò attiva-


mente alla redazione del sesto documento della Di-
chiarazione di San Miguel15 intitolato «Pastoral po-
pular». Vi si propone una pastorale popolare intesa
come l’azione della Chiesa che cerca di evangelizza-
re il popolo a partire dal popolo stesso: l’azione pa-
storale dev’essere «orientata non soltanto verso il po-
polo, bensì a partire dal popolo stesso» (VI, 5). Per
questo è necessario assumere la cultura popolare e
le sue espressioni religiose. Il popolo viene anche ri-
conosciuto come «soggetto e agente della storia» (VI,
4), e immerso in un «processo storico che deriva da
profonde potenzialità evangeliche e racchiude molti
valori cristiani» (VI, 5.1). In questo quadro i vescovi,
«per essere fedeli al popolo», desiderano che la Chie-
sa accompagni il popolo, «incoraggiandolo, ascoltan-
dolo e aiutandolo a esprimersi e a organizzarsi» (VI,
5), mettendo in questo una particolare «sollecitudi-
ne per i poveri, intensificando l’attenzione per le zo-
ne meno sviluppate» (VI, 5.5). Evangelizzare a partire
dal popolo, vedere il popolo come soggetto della storia im-
merso in un processo storico, assumerne la cultura, op-
14
La Commissione episcopale di pastorale (Coepal) era diret-
ta dai vescovi Marengo, Zaspe e Angelelli. Tra gli esperti convoca-
ti figuravano, tra gli altri, Lucio Gera, Rafael Tello, Justino O’Far-
rell, Gerardo Farrell, Alberto Sily e Fernando Boasso. Per maggio-
ri informazioni sul lavoro della Coepal vedi S. POLITI, Teología del
pueblo: una propuesta argentina a la teología latinoamericana, 1967-
1975, Castañeda - Guadalupe, Buenos Aires 1992; GONZÁLEZ, La
reflexión teológica en la Argentina…, cit., pp. 61-106; F. BOASSO,
¿Qué es la pastoral popular?, Patria Grande, Buenos Aires 1974;
L. GERA, «San Miguel: una promesa escondida», in V.R. AZCUY -
J.C. CAAMAÑO - C.M. GALLI, Escritos Teológico-Pastorales de Lucio Ge-
ra. I. Del Preconcilio a la Conferencia de Puebla (1956-1981), Aga-
pe Libros - Facultad de Teología Uca, Buenos Aires 2007, pp. 271-
295. Vedi anche nota 3 a p. 232.
15
CONFERENZA EPISCOPALE ARGENTINA, Declaración del Episcopado Ar-
gentino sobre la adaptación a la realidad actual del país de las conclu-
siones de la II Conferencia General del Episcopado Latinoamericano,
Paulinas, Buenos Aires 1969.

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46 I. Ritratto teologico di Rafael Tello

tare per i poveri, e gran parte delle altre idee contenu-


te in questo documento sono quelle che poi il nostro
teologo svilupperà nel corso della sua vita.
Anche quando ispirò la Peregrinación juvenil a Luján
aspirava a un’azione evangelizzatrice della Chiesa per
il popolo. Secondo uno degli organizzatori, «padre
Tello vide che se la pastorale organizzata proponeva
un gesto religioso capace di toccare il cuore del popo-
lo, sarebbe stato recepito con forza, perché nel cuo-
re del popolo latinoamericano – e di quello argen-
tino che va a Luján – è inciso il gesto religioso del
pellegrinaggio».16
Un’analisi dettagliata dei suoi apporti alla vita pa-
storale della Chiesa trascende i limiti di questo lavoro,
ma – come abbiamo detto della sua azione alla Coe-
pal e agli inizi della Peregrinación juvenil – lo trovere-
mo sempre intento a spingere la Chiesa verso l’evan-
gelizzazione popolare. Così faceva quando consigliava
le Congregazioni femminili che cercavano di inserir-
si in ambienti popolari, quando accompagnava la vi-
ta di alcune Congregazioni di vita contemplativa, quan-
do consigliava i sacerdoti del Movimiento de sacerdotes
para el Tercer mundo de la capital federal, i preti villeros, i
sacerdoti della Cofradía de Luján, quando premeva per
l’ordinazione sacerdotale di ragazzi di cultura popola-
re, e quando scriveva ogni pagina di teologia.
La sua teologia era eminentemente pastorale. Ap-
pena due anni prima di morire, in una lettera a Víctor
Fernández, esprimeva l’importanza che nella sua vita
rivestiva la ricerca di una teologia pastorale che fosse pra-
tica e realista:
16
Testimonianza di Fernando Echevarría, cit. in DOTRO - GAL-
LI- MITCHELL, Seguimos caminando, cit., p. 44. Altre informazioni
sull’azione di Tello nei riguardi del Movimiento Juvenil Evangeli-
zador in O. CAMPANA, «“Sangre de mártires” en palabras de Rafael
Tello», in Vida pastoral 252 (2005); R. TELLO, «El Espíritu descen-
derá en las villas y en los campos… Dios da su Espíritu a los po-
bres», in Vida pastoral 254 (2005).

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Una teologia al servizio dell’evangelizzazione 47

Dobbiamo servire Dio «in spirito e verità»; servire


Dio, ecco che cosa è fondamentale, e lo facciamo nel-
la Chiesa, che è governata da uomini – «scelti dallo
Spirito Santo», ma uomini razionali – e per questo,
oltre all’azione e al senso missionario che riusciamo
a dare al nostro ministero, dobbiamo:
1. aiutare a formulare una teologia pastorale che sia
pratica e realista;
2. fare in modo che venga applicata nella massima
misura possibile.17

Tello fa teologia – scienza razionale – per aiutare la


Chiesa – condotta da uomini razionali – a servire Dio
«in spirito e verità». Continuando a leggere quella lette-
ra vediamo che a questa concezione della funzione del-
la teologia era in parte dovuta la sua nota riluttanza a
firmare i sui suoi scritti:18

Quanto al punto 1, mi pare necessario evitare i per-


sonalismi: una teologia legata a Tizio o a Caio (e an-
che una teologia identificata come «argentina» o le-
gata a fonti «argentine») […]
Rispetto al punto 2: credo che l’apparire del mio no-
me non aiuti, anzi al contrario. E questo per moti-
vi in massima parte veri, benché in parte anche im-
maginari.
Un’opposizione becera alla pubblicazione del mio
nome credo non avrebbe alcun fondamento giusto
né alcun vero diritto, ma legare certe posizioni teolo-
giche a me è sconveniente.19

17
Lettera a Víctor Fernández, datata 7 ottobre 2000.
18
Nel periodo in cui fu docente e svolse un’attività pubblica
si distingueva per non voler scrivere. In quella fase la sua teolo-
gia era soprattutto orale, gli piaceva definirsi un «semianalfabe-
ta», perché leggeva ma non scriveva.
19
Lettera a Víctor Fernández, datata 7 ottobre 2000.

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48 I. Ritratto teologico di Rafael Tello

Vuol evitare di cadere nei personalismi. Per lui la


teologia deve cercare di conoscere le vie di Dio per il
popolo dell’America Latina e deve aiutare la Chiesa a
mantenersi fedele a quei disegni divini. Sebbene que-
sto possa sembrare un presupposto di qualsiasi teolo-
gia sana, nel suo caso diventa una sorta di mistica che
ne avvolge tutta la riflessione teologica. Si può dire che
l’intenzionalità fondante della riflessione teologica di
Tello è comprendere come Dio si manifesti nella vita
del popolo latinoamericano in questi cinque secoli
di cristianesimo. Per dirla in parole semplici – che
prediligeva nelle conversazioni informali –, si tratta di
cercare la pastorale che Dio vuole per l’America Latina.20
In questa cornice, la sua teologia privilegia l’azio-
ne amorosa di Dio nella storia e l’unione con Lui
come fine della vita dell’uomo. Le sue spiegazioni
molte volte cominciavano con massime come: «Sia-
mo stati fatti per conoscere, amare e servire Dio in que-
sta vita e goderlo eternamente nell’altra»,21 o «Dobbia-
mo servire Dio, “in spirito e verità”».22 Sulla linea dei
grandi mistici – era un lettore assiduo di san Gio-
vanni della Croce –, per lui veniva al primo posto
l’unione con Dio, e a partire da questa unione cer-
cava di conoscerne la volontà. Di qui il posto centra-
le che nella sua riflessione occupavano le virtù teo-
logali, dato che per loro mezzo l’essere umano si uni-
sce a Dio. Godere del Creatore nella Patria è il fine
ultimo della vita dell’uomo e questi vi viene attratto
da Dio in questa vita terrena, dove già può anticipare
tale unione tramite le virtù teologali.
Questa priorità dell’azione della grazia divina non
porta la sua teologia a cadere in una «spiritualizzazio-
ne disincarnata» che dimentica l’incidenza sociale del
20
Cfr. O. ALBADO, El carácter teologal de la pastoral popular en el
p. Rafael Tello, inedito, 2006, p. 1.
21
R. TELLO, Ejercicios espirituales predicados por el padre Tello en
1955, inedito, p. 2.
22
Lettera a Víctor Fernández, datata 7 ottobre 2000.

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Una teologia al servizio dell’evangelizzazione 49

Vangelo. Al contrario, si occupa incessantemente della


dimensione sociale del messaggio di Cristo: e siccome
le sue conclusioni sono inquadrate in questa mistica
teologale, ne risultano aiutate a non fondarsi su alcu-
na ideologia umana, ma soltanto sul volere di Dio.
Per chi si avvicina a questo teologo, come andia-
mo scoprendo, binomi come vita e opera, pensiero e
azione, teologia e pastorale vanno intesi strettamente
uniti e in una costante interrelazione. Siamo davan-
ti a un pastore che fa teologia per accendere l’ope-
ra evangelizzatrice della Chiesa e davanti a un teolo-
go che pensa costantemente alla pastorale. L’azione
e il pensiero di Tello si svolgono incatenati secon-
do l’assioma medievale che dice operari sequitur esse.
Di fatto, pur essendo un teologo rinomato in ambi-
to accademico, egli è noto nella Chiesa argentina so-
prattutto per aver animato concrete iniziative pastora-
li. Cercava di fare in modo che la Chiesa conducesse
una pastorale popolare, e in funzione di questo ha
sviluppato una solida base dottrinale.
Ha in comune questo atteggiamento con un altro
grande teologo argentino, Lucio Gera, con il quale ha
condiviso anche lunghe ore di lavoro nella facoltà,
nella Coepal e in varie opere pastorali. Gera ne par-
la così:

Per l’azione pastorale, dunque, è richiesto un atto di


pensiero e riflessione, di razionalizzazione; o, per
dirla diversamente, un’interpretazione della realtà
che va fatta alla luce della fede e del Vangelo e utiliz-
zando gli attuali metodi scientifici.23

L’intima compenetrazione tra pensiero teologico e


azione pastorale attraversa tutta la figura di Tello. Per-

23
L. GERA, «La Iglesia y el mundo», in AZCUY - CAAMAÑO - GAL-
LI,
Escritos Teológico-Pastorales de Lucio Gera. I, cit., pp. 311-318, in
particolare 313.

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50 I. Ritratto teologico di Rafael Tello

ciò bisogna tener presente che una lettura meramente


«scientifica» della sua opera sarà sempre incompleta. In
effetti, egli ha presentato la quasi totalità della sua ope-
ra scritta non in ambito accademico, ma a un gruppo di
sacerdoti amici che avevano a cuore il lavoro di evange-
lizzazione con i poveri. Nella seconda fase della sua vita
ha scelto di non circondarsi di intellettuali, ma di pasto-
ri. Davanti a una personalità con queste caratteristiche,
crediamo che la sua opera teologica vada letta nel con-
testo della sua opera pastorale. I suoi scritti costituisco-
no un enorme sviluppo per una pastorale popolare pos-
sibile nell’America Latina. Per questo si comprenderanno
più compiutamente nella misura in cui si proverà a prati-
care la pastorale popolare che propongono. Questa è la di-
mensione nella quale intendiamo svolgere il presen-
te lavoro. Quantunque in esso venga offerta una lettura
scientifica di uno dei testi del nostro teologo, questo
scritto mantiene sullo sfondo vari anni di lavoro nelle
attività pastorali che egli proponeva e lunghe conversa-
zioni con coloro che lo hanno conosciuto e l’hanno se-
guito in molte delle sue iniziative.

La sua fedeltà alla Chiesa

Rafael Tello «è e vuol essere della Chiesa».24

Nonostante i suoi problemi con le autorità ecclesia-


stiche, dalla sua vita e dalla sua teologia traspaiono un
profondo amore per la Chiesa e un fervido desiderio di
unità. Numerose testimonianze attestano la sua since-
ra obbedienza come una delle caratteristiche della sua
personalità. Era solito raccontare di essere entrato in se-
minario perché gliel’aveva ordinato un vescovo. A quan-
to pare, verso il 1944, quando era un giovane avvocato
che partecipava attivamente all’Azione Cattolica, cova-

24
R. TELLO, «N.N.», inedito, 1994, n. 4.

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La sua fedeltà alla Chiesa 51

va l’idea di andarsene eremita sui monti. Ma il vescovo


non lo appoggiò e gli chiese in modo pressante che co-
sa stesse aspettando per entrare in seminario. Quel col-
loquio decise la sua vocazione.25
Quando era ormai un noto docente di teologia, la
sua sapienza e la sua prudenza aiutarono a risolve-
re alcune difficili tensioni interne alla Chiesa. L’allo-
ra vescovo di Reconquista racconta che «ci fu una cir-
costanza in cui il presbiterio corse un grave rischio di
spaccarsi. […] Nei tre o quattro giorni che trascorse-
ro rinchiusi nella casa di esercizi, fece disperati sforzi
cercando di farci pervenire a un’intesa […]. Direi che
era una sua passione quella della non-rottura, della
pace […]. Ci riuscì a metà».26
Impiegò la sua prudente sapienza al servizio
dell’unità della Chiesa anche quando insorsero se-
ri conflitti nel clero dell’arcidiocesi di Buenos Aires.
All’inizio degli anni Settanta il Movimento dei sacer-
doti per il Terzo mondo (Mstm) veniva messo in se-
ria discussione da molti preti e vescovi. In un tenta-
tivo di evitare una frattura nel presbiterio, vennero
organizzate riunioni nelle quali si dibattevano a fon-
do le diverse posizioni in conflitto.27 Malgrado le sue
manifeste simpatie per una delle parti28 e a causa del-

25
Testimonianza di suor María Marcenaro, madre abbades-
sa del Monastero trappista di Hinojo, nipote e figlioccia di padre
Tello, inedita.
26
VERNAZZA - RICCIARDELLI, Apuntes para una biografía…, cit., p. 75.
27
Si può leggere una cronaca di quanto accadde in quelle riu-
nioni in H. VERBITSKY, Historia política de la Iglesia Católica. Vigilia
de Armas. Tomo III. Del Cordobazo de 1969 al 23 de marzo de 1976,
Sudamericana, Buenos Aires 2009, p. 150 ss.
28
Padre Tello fu sempre molto vicino ai sacerdoti del Mstm
de Capital Federal. Tuttavia non ne fece mai parte (cfr. VERNAZ-
ZA - RICCIARDELLI, op. cit., p. 6). Della singolare distanza che Tello
manteneva nei riguardi del Mstm mi ha dato testimonianza il pa-
dre Ricciardelli in un colloquio informale che conservo assai vi-
vo nella memoria. Raccontava che Tello era stato suo professore
e che ne aveva un enorme rispetto. Quando nel 1967 il Manifie-

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52 I. Ritratto teologico di Rafael Tello

la sua lucidità e onestà intellettuale, al padre Tello fu


affidato il coordinamento dei dibattiti. Uno dei pro-
tagonisti di quei tempi ci racconta:

Sebbene non fosse un compito facile, padre Tello


seppe coordinare splendidamente quelle riunioni,
come ricordano bene i sacerdoti che vi hanno preso
parte. Ne diedero dimostrazione il grande numero di
sacerdoti partecipanti e la qualità dei dibattiti che na-
scevano tra loro. In una di quelle discussioni venne
organizzata una doppia esposizione a carico dei pre-
sbiteri Jorge Vernazza e Julio Meinvielle, che parlaro-
no, rispettivamente, a favore e contro il Mstm. È stato
molto significativo che il primo sacerdote che si alzò
alla fine delle due relazioni l’abbia fatto per dire: «Al-
lora non c’è tanta differenza!».29

Al di là delle testimonianze – peraltro innumerevo-


li – della sua condotta obbediente verso la Chiesa, è fa-
cile discernere lo stesso sentimento nei suoi scritti. Nel
1994 diffuse un breve appunto piuttosto particolare,
perché è l’unico in cui parla – senza nominarsi – di sé
stesso. È intitolato «N.N». e si compone di una serie di
affermazioni che orientano la vita di questo tale «N.N.».
Se leggiamo quelle poche pagine sostituendo Rafael Tel-
lo a «N.N.», avremo un’idea del suo atteggiamento ver-
so la Chiesa e della sua proposta di pastorale popolare.
Nella parte iniziale spiega – seguendo san Pao-
30
lo – che la Chiesa è un corpo con molte membra,
ciascuna delle quali ha doni, funzioni e attività di-

sto de los 18 obispos del Tercer Mundo venne tradotto e distribuito


tra vari sacerdoti per ottenerne le firme, fu lui stesso a portarlo al
suo ex professore. Tello lo lesse in silenzio, poi sollevò lo sguardo
e gli disse qualcosa del genere: «È un’ottima cosa, proprio ottima.
Ma non posso firmare perché sono analfabeta. Se fossi semianal-
fabeta potrei almeno firmare, ma sono analfabeta».
29
Ivi, p. 10.
30
Cfr. Rm 12,3-6; 1Cor 12,4-31.

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La sua fedeltà alla Chiesa 53

versi. Entro questo organismo, «N.N.» – Rafael Tello


– si considera uno degli organi più deboli e di mi-
nor conto. Ne consegue che «N.N.» non pretende che
«gli altri organi si pieghino ai suoi criteri di azione».31
Ma d’altra parte, «sapendo che a Dio è piaciuto dar-
gli una determinata e piccola funzione nel corpo che
è la Chiesa, si sforza umilmente di svolgerla bene».32
Queste due frasi dicono molto sull’atteggiamento
con cui insegnava. Ha sempre presentato le sue idee –
anche le più polemiche – con una profonda umiltà, e
non pretendeva che fossero prese come le uniche va-
lide o come se escludessero altre posizioni, ma sape-
va coniugare questa umiltà con la fermezza di chi si
sente chiamato a dire una verità e vuole farlo nel mi-
glior modo possibile.
Abbiamo detto e ripetuto che il luogo in cui que-
sto teologo viveva la propria vocazione teologica e
pastorale è sempre stato la Chiesa. In questo scrit-
to lo dice esplicitamente: «N.N. è e vuol essere della
Chiesa».33 L’aver dovuto trascorrere buona parte del-
la sua vita recluso per incomprensioni da parte delle
autorità ecclesiastiche non ha indotto la sua teologia
a disprezzare il ruolo della gerarchia della Chiesa. Se-
guendo i lineamenti conciliari intende la Chiesa co-
me popolo di Dio che comprende – essenzialmen-
te e necessariamente – la gerarchia. Nelle sue opere,
frequenti osservazioni mettono in risalto la neces-
sità dell’obbedienza alla Chiesa. Ha insegnato ripe-
tutamente che è Cristo a salvare, ed Egli convoca la
Chiesa a collaborare con la sua missione, e pertanto
l’unico modo per annunciare la salvezza al popolo si
dà nel mantenersi uniti alla Chiesa. In un appunto
che presenteremo nel prossimo capitolo, Evangeliza-

31
TELLO, «N.N.», cit., n. 3.
32
Ibidem.
33
Ivi, n. 4.

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54 I. Ritratto teologico di Rafael Tello

ción y cultura,34 quando tratta il tema della partecipa-


zione del presbitero all’evangelizzazione dice:

L’evangelizzazione è opera di Dio e di Cristo com-


pletata dalla Chiesa, e dentro di essa affidata all’au-
torità di Pietro, degli apostoli e dei loro successori.
Pertanto, chi voglia partecipare all’opera dell’evange-
lizzazione deve essere unito a Dio e alla sacra autori-
tà della Chiesa.35

In entrambe le fasi della sua vita è stato frequente il


contatto con sacerdoti che desideravano lavorare nell’e-
vangelizzazione dei più poveri. Costoro non sempre
trovavano la comprensione delle autorità, e su di loro
poteva aleggiare la tentazione di vedere nel popolo un
cristianesimo del tutto indipendente dalla Chiesa. A co-
storo insegnava con insistenza che se il presbitero «pre-
tende di realizzare un’opera di evangelizzazione senza
contare sull’approvazione, almeno tacita, della gerar-
chia, totalmente ai suoi margini o direttamente contro la
sua esplicita volontà, il suo sforzo sarà inutile»,36 tuttavia
chiariva immediatamente che la gerarchia non si ridu-
ceva a un solo uomo e che la volontà umana è sempre
complessa, sicché può non volere qualcosa che si vuole
sotto un altro aspetto.
Si mostra convinto della subordinazione che i teo-
logi devono ai vescovi anche nello scritto che abbia-
mo assunto come testo base:

La Chiesa crede ciò che fu rivelato agli apostoli e


null’altro (se formula verità nuove è soltanto perché
erano implicite in ciò che è già stato rivelato agli apo-
34
R. TELLO, Evangelización y cultura, inedito, 1996. Questo scrit-
to sarà utile per evidenziare il contesto letterario del nostro testo
base, dato che è l’appunto che lo precede immediatamente. Ne
tratteremo più a fondo nel capitolo II.
35
Ivi, n. 94.
36
Ivi, n. 96.

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La sua fedeltà alla Chiesa 55

stoli). È questa la ragione per cui il vescovo, anche


quando non sia il miglior teologo (e in moltissimi
casi nemmeno un teologo professionista), come suc-
cessore degli apostoli è custode della fede a essi affi-
data, al di sopra dei teologi.37

Da questo atteggiamento verso la Chiesa fluisce il


profondo rispetto di Tello per il Magistero e per la Tra-
dizione. Prima come professore, e poi nei suoi scritti,
dimostra di nutrirsi incessantemente – oltre che della
Sacra Scrittura – dei grandi classici della tradizione ec-
clesiastica come sant’Agostino e san Tommaso e di scrit-
tori mistici come san Giovanni della Croce e santa Tere-
sa di Gesù. È arcinota la sua predilezione per la teologia
di san Tommaso d’Aquino. Si può dire che la sua for-
ma mentis sia modellata sulle categorie di questo teo-
logo medievale. Il linguaggio preciso e astratto, lo stile
adottato in cui s’incontrano sempre obiezioni, soluzio-
ne e risposte alle obiezioni, e l’uso costante delle nozio-
ni scolastiche, attestano questo considerevole influsso.38
Egli stesso non esitava a definirsi tomista, sebbene val-
ga la pena di chiarire che si tratta di un tomismo sui ge-
neris. Non crede che essere tomisti sia soltanto raggiun-
gere la comprensione di un sistema chiuso oppure la
conoscenza della struttura e dei concetti del santo (an-
corché pure questo sia da farsi), bensì partecipare dello
spirito con il quale Tommaso cercava la conoscenza di
Dio e della realtà. Così lo spiegava in una lezione:

Per me essere tomista non consiste soltanto nel com-


prendere il sistema di san Tommaso. Essere tomista,
per me, possiede questi tre elementi fondamentali: 1.
San Tommaso vede le cose a partire da Dio. Vale a di-
37
R. TELLO, El cristianismo popular según las virtudes teologales: La
Fe, pubblicazione per l’uso interno della Cofradía de Luján (ver-
sione originale del 1991), 2006, n. 40.
38
Più avanti torneremo a trattare del linguaggio di questo au-
tore. Vedi infra, p. 93 e ss.

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56 I. Ritratto teologico di Rafael Tello

re, comprendeva Dio e, comprendendo Dio, vedeva


tutte le cose. Metteva Dio come centro. Essere tomi-
sta è aderire a Dio tramite la sapienza e tramite l’a-
more. Essere tomista è anzitutto essere santo, con la
sapienza di un santo. 2. Dopo, in secondo luogo, e
in dipendenza dall’adesione a Dio, san Tommaso
vedeva con forza angelica (lo chiamavano l’Angeli-
co, ma non nel senso di innocente); vale a dire, che
a partire da Dio vedeva l’insieme delle verità create,
e questo è il sistema tomista. 3. E in terzo luogo san
Tommaso faceva una sintesi tra la filosofia pagana e
la filosofia cristiana. Riassumendo, essere tomista ha
tre elementi: tendere con tutte le forze, con tutto l’a-
more, con tutta la sapienza verso Dio, la santità; poi
a partire da Dio avere una visione dell’insieme delle
cose create; e per terzo fare una sintesi della sapienza
pagana con il cristianesimo.39

Come spiega lui stesso, il suo tomismo consiste nel


riprodurre nella sua vita lo spirito che animava san
Tommaso: cercare Dio con tutte le forze, sulla base
dell’unione di amore con Dio guardare la realtà creata
e tentare una sintesi tra questa visione cristiana e la sa-
pienza pagana. Tommaso ha compiuto una sintesi tra la
filosofia pagana e quella cristiana. Tello, nonostante sia
molto critico verso la cultura moderna, riconosce che
quest’ultima è irreversibile e crede che la Chiesa debba
cercare una sintesi tra il pensiero cristiano e gli elemen-
ti di tale cultura. La sua proposta consiste nel cercare di
vedere la realtà a partire da Dio e – seguendo lo spirito
di san Tommaso – individuare una nuova formulazione
della dottrina cristiana.40
39
R. TELLO, trascrizione dalla registrazione della lezione del 30
novembre 2000, cit. in ALBADO, El carácter teologal de la pastoral po-
pular…, cit., p. 9.
40
Nella stessa lezione del 30 novembre 2000 è stato più preci-
so in risposta a una domanda su come fosse possibile fare sinte-
si tra il cristianesimo e una cultura che si basava su principi antie-

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La sua fedeltà alla Chiesa 57

Un simile legame con un teologo medievale e con


la Tradizione della Chiesa conferisce al suo pensiero
un tono talora paradossale. Chi ascolta per la prima
volta alcune delle sue posizioni originali può cadere
nella tentazione di annoverarlo tra i pensatori «pro-
gressisti». L’onnipresenza del povero nella sua opera,
il suo insistere sulla necessità del rinnovamento del-
le strutture ecclesiali e altri temi affini a quelli cari a
una certa teologia di taglio progressista contribuireb-
bero ad avallare un simile equivoco. D’altra parte, chi
nota nei suoi scritti l’uso ripetuto di categorie scola-
stiche e la sua costante preoccupazione di fondare
l’ortodossia delle sue impostazioni potrebbe catalo-
garlo come «conservatore». Questo, nonché mostrare
quanto siano antipatiche e inesatte le categorizzazio-
ni, ci dimostra che siamo davanti a una figura com-
plessa, con un pensiero solido e originale, che non
esita ad abbandonare le false sicurezze, che sa estrar-
re «dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (Mt
13,52) ed evidenziare la permanente attualità della
verità contenuta nella Tradizione della Chiesa. Cer-
ca risposte alle sfide attuali poste dalla nuova evan-
gelizzazione dell’America Latina, e per riuscirci si av-

vangelici: «Ciò che per il Concilio è importante è l’attività umana


[…]. La cultura è la maniera particolare che l’uomo ha per svol-
gere la sua attività. […]. La cultura moderna è un modo partico-
lare di concepire l’uomo, di guardare l’uomo, di guardare i valori
dell’uomo, di servirsi delle cose. È un modo particolare di valuta-
re le cose dell’uomo. Crea uno stile di vita che tende allo svilup-
po. Ma Dio ha due vie: la via della morte e la via dello sviluppo.
La cultura moderna promuoverà soltanto la via dello sviluppo.
L’uomo moderno lascia del tutto la via della morte, prende sol-
tanto la via dello sviluppo. Dunque una sintesi tra il cristianesi-
mo e la cultura moderna non è possibile. Una sintesi tra il cristia-
nesimo e l’attività umana, invece, è possibile. Il cristianesimo deve
tendere a cercare una sintesi tra il pensiero cristiano e l’attività uma-
na per lo sviluppo di tutto l’uomo. Ma non è possibile fare una sinte-
si con la cultura moderna, che è un modo particolare di concepi-
re l’attività umana» (corsivo nostro).

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58 I. Ritratto teologico di Rafael Tello

vale degli elementi della teologia più classica. Ma un


simile riferimento non ne fa un conservatore, dato che
non gli impedisce di presentare, su alcune questioni,
prospettive assolutamente originali e rivoluzionarie.41
Secondo la felice espressione di Marcelo González,
il nostro teologo ha un «pathos decostruttore dell’ov-
vio».42 Le sue argomentazioni – anche quando dimo-
stra puntigliosamente la propria ortodossia – mol-
te volte demoliscono un qualche ordine stabilito e al
tempo stesso aprono a un nuovo orizzonte di senso
carico di valori profondamente evangelici.

La sua scelta preferenziale per i poveri

All’amore per il povero non si può anteporre


nient’altro che l’amore per Cristo, dal quale deriva.43

Proseguendo l’argomentazione presentata in «N.N.»,


vediamo che, dopo essersi definito come un membro
del corpo della Chiesa, egli fonda la sua scelta preferen-
ziale per i poveri. Segue le orme della Chiesa latinoame-
ricana che compie questa scelta a Medellín e a Puebla.44
Tello non vede i poveri come soggetti isolati, ma piut-
tosto li intende in quanto costituiscono una parte es-
senziale di un popolo. Si può dire che opta per il popo-

41
Monsignor Iriarte, sull’originalità di Tello, attesta: «Tra le
persone che ho conosciuto Tello è un caso unico, non conosco
niente di simile: non soltanto la sua virtù, la sua intelligenza, ma
la sua originalità, era assolutamente originale» (conversazione
con monsignor José Iriarte, 22 marzo 1990, cit. in VERNAZZA - RIC-
CIARDELLI, Apuntes para una biografía…, cit., p. 76).
42
GONZÁLEZ, La reflexión teológica en la Argentina…, cit., p. 94.
43
R. TELLO, Anexo XVIII a Epístola apostólica sobre el jubileo del
año 2000, inedito, 1995, n. 219.
44
Dice DP 1134: «Con rinnovata speranza nella forza vivifi-
cante dello Spirito, riprendiamo la posizione della II Conferenza
generale (Medellín), che fece una chiara e profetica scelta prefe-
renziale e solidale a favore dei poveri».

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La sua scelta preferenziale per i poveri 59

lo, inteso come un soggetto collettivo – immerso in un


concreto processo storico e dotato di una propria cul-
tura – il cui cuore sono i poveri.45 Proprio Puebla rimar-
ca il ruolo determinante dei poveri nella conformazione
della cultura di un popolo, quando sceglie a favore del-
la cultura popolare e insegna che tale cultura si conserva
«in modo più vivo nei settori poveri con la capacità di
armonizzare meglio tutta la loro vita».46
Sceglie i poveri perché lo fa la Chiesa, ma in ag-
giunta presenta i motivi teologici che fondano una si-
mile opzione, argomenti che costituiscono un tema
comune nel contesto della sua intera opera. In questo
scritto si limita a enumerare alcuni dei motivi fon-
damentali in virtù dei quali la Chiesa deve esercitare
una forma speciale di carità verso i poveri:47

In questa scelta è in gioco la fedeltà della Chiesa a


Cristo; perché i poveri sono i prediletti di Dio; perché
a loro è concessa la sua prima misericordia; perché di
essi è il Regno; perché sono un segno messianico del-
la verità della missione di Gesù Cristo; perché Cristo
si è identificato in loro, e così via.48

Come si può osservare in questa semplice enumera-


zione, i motivi dell’opzione sono anzitutto teologici.
Non si tratta di motivi sociologici o politici, benché sia
chiaro che egli intenda come destinatari di questa carità
preferenziale i poveri socialmente considerati tali, e che
una simile preferenza ha conseguenze sulla vita politica
di una nazione. È Dio che ama a preferenza i poveri, e

45
TELLO, «N.N.», cit., n. 5.
46
DP 414.
47
Giovanni Paolo II insegna in SRS 42: «Desidero qui segna-
larne uno [lineamento caratteristico della dottrina sociale della
Chiesa]: l’opzione, o amore preferenziale per i poveri. È, questa,
una opzione, o una forma speciale di primato nell’esercizio della
carità cristiana, testimoniata da tutta la Tradizione della Chiesa».
48
TELLO, «N.N.», cit., nota 4.

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60 I. Ritratto teologico di Rafael Tello

tale amore fonda l’opzione che la Chiesa – e Tello insie-


me a essa – compie a loro favore.
La preferenza presenta due aspetti. Da un la-
to comporta che i poveri siano oggetto della miseri-
cordia dei cristiani, che la Chiesa – spinta dall’amo-
re preferenziale per i poveri – indirizzi a occuparsene
le sue migliori risorse. In questo senso la si presen-
ta in prevalenza, e la sua accettazione non provoca
particolari problemi, sebbene molte volte – come se-
gnala Aparecida – «corre il rischio di rimanere su un
piano teorico o meramente emotivo, senza incide-
re veramente sui nostri comportamenti e sulle nostre
decisioni».49
Ma tale opzione, che il Magistero invita a compie-
re, presenta un altro tratto che Rafael Tello reputa più
importante.50 Si tratta di accettare la centralità dei po-
veri così come la presenta il Vangelo. Di riconoscer-
li come veri costruttori del Regno. Dio è – dirà Gio-
vanni Paolo II – «il Dio di tutti, ma concede la sua
misericordia anzitutto ai diseredati di questo mon-
do».51 I poveri sono i primi a essere amati da Dio e
chiamati alla Chiesa. In questo modo, il nostro auto-
re «giunge al cuore di quel che significa optare per il po-
vero; infatti non si limita a invitare alla promozione
sociale dei poveri, né a promuovere un’opera di evan-
gelizzazione nei loro confronti».52 Così intesa, l’op-
zione per i poveri non consiste anzitutto nell’aiutarli,
bensì nell’accettare che attraverso di essi debba fon-
darsi e stabilirsi il regno di Dio. Nel commentare il
passo evangelico che dice: «quando offri un banchet-

49
DA 397.
50
R. TELLO, La nueva evangelización. Escritos teológicos pastorales,
Agape, Buenos Aires 2008, pp. 92-97.
51
GIOVANNI PAOLO II, Omelia nella santa messa per l’evangelizza-
zione dei popoli, Santo Domingo, 11 ottobre 1984, AAS 77 (1985),
354-361, 5.
52
FERNÁNDEZ, «Con los pobres hasta el fondo. El pensamiento
teológico de Rafael Tello» (abstract), cit., p. 6 (corsivo nostro).

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La sua scelta preferenziale per i poveri 61

to, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi» (Lc 14,13) si


domanda:

Ci rendiamo conto di come sarebbe questa riunio-


ne con simili commensali poveri, storpi, zoppi, cie-
chi eccetera? Proprio questo Cristo vuole per la sua
Chiesa. E lo vuole in fretta: «Esci subito per le piazze
e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli stor-
pi, i ciechi e gli zoppi» (Lc 14,21).53

Egli comprende che secondo la Scrittura la redenzio-


ne si dà a tutti attraverso i poveri: «La salvezza si opera
anzitutto a favore dei poveri e, di conseguenza, per tutti».54
Nell’opzione per i poveri, essenzialmente, va rico-
nosciuto il primato del povero nel piano della salvez-
za così come lo presenta la Bibbia:

La Chiesa è così. La Chiesa è la Sposa, il Corpo di


Cristo, ed è la Chiesa di Dio, ed è la Chiesa dei pove-
ri, in primo luogo, non esclusivamente, perché a essa
sono stati chiamati e per essa amati (e anche, in qual-
che modo, preferiti) per primi ma non esclusivamen-
te, come in molti modi attesta la Sacra Scrittura.55

A ciò va aggiunto che i poveri collaborano con la re-


denzione completando la passione di Cristo. Questi
non soltanto si è fatto uomo, si è fatto anche povero.
E nella condizione di povero ha compiuto la sua ope-
ra di misericordia, redenzione e liberazione. E ha volu-
to completare la sua missione nel tempo attraverso i po-
veri, che così sono resi cooperatori della salvezza. Così
come Dio ha voluto liberarci dal peccato e dalla mor-
te per mezzo del suo Figlio inchiodato a una croce, og-

53
TELLO, La nueva evangelización. Escritos teológicos pastorales, cit.,
p. 96.
54
Ibid., corsivo nostro.
55
Ivi, p. 41.

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62 I. Ritratto teologico di Rafael Tello

gi continua a spargere la sua salvezza attraverso altri fi-


gli confitti alla croce che sono i poveri. Guardandoli,
si può dire di loro ciò che Isaia profetava del Salvato-
re: «Disprezzati e reietti dagli uomini, uomini dei dolo-
ri che ben conoscono il patire, gente davanti alla quale
ci si copre la faccia; disprezzati […]; detenuti e giudica-
ti ingiustamente senza che alcuno si curi della loro sor-
te» (cfr. Is 52-53). Partecipano della croce di Cristo e nei
loro dolori conoscono il Cristo sofferente. Pur senza sa-
perlo – come il pagano Ciro che non sapeva di essere
stato scelto per liberare Israele56 –, con la loro vita pove-
ra e sofferta collaborano con la redenzione di Cristo.57
I poveri posseggono il senso teologico di aver par-
te nel cammino di Cristo; perciò Tello li considera
anzitutto una realtà teologica, e non primariamen-
te sociologica e politica. Il fatto che si tratti di poveri
concreti, di uomini e donne considerati poveri dalla
società, non impedisce che si possa guardare a lo-
ro con un criterio teologico piuttosto che sociologi-
co. Allo stesso modo, i malati che Gesù guariva erano
malati sotto un profilo medico, ma nessuno dice che
le guarigioni fossero un fatto medico.
Non si tratta – ovviamente – di una canonizzazio-
ne della povertà materiale. Essa è un male fisico, co-
me la croce, e sebbene Dio possa disporre entrambe
per ottenere un bene maggiore, all’uomo tocca com-
battere per elevarsi sopra queste sofferenze. La Chiesa
deve accompagnare questa lotta in molti modi, e uno
di essi è la ricerca per intensificare i doni propri del
cristianesimo popolare.58
Non bisogna pensare nemmeno che questo modo
d’intendere la centralità dei poveri nel disegno divi-
56
È l’esempio posto dal nostro autore in R. TELLO, Pobres y po-
breza hoy, pubblicazione per uso interno della Cofradía de Luján
(versione originale del 1991), 2006, n. 26.
57
Sulla cooperazione dei poveri alla salvezza, vedi ivi, nn.
8-16.
58
R. TELLO, Actitud ante la pobreza, inedito, 1992, n. 33.

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 62 10/03/15 11.12
La sua scelta preferenziale per i poveri 63

no escluda chi non è povero. Seguendo Puebla, che


insegna come l’opzione per i poveri «è il mezzo pri-
vilegiato, ma non esclusivo»,59 il nostro teologo in-
quadra tale opzione nella cornice di una pastorale
popolare che è per tutti: poveri e non poveri. Comun-
que è chiaro che nella frase preferenziale ma non esclu-
siva l’accento va messo sul primo termine e non sul
secondo. La materna sollecitudine della Chiesa deve
manifestarsi a tutti i suoi figli, ma ciò va salvaguar-
dato senza che ne resti diluita un’opzione reale per il
povero concreto:

La scelta per i poveri non deve essere esclusiva né


escludente. Ma, in quanto tale, deve essere nello stes-
so tempo anche preferenziale, e non solo secondo
l’azione di beneficenza esterna, ma anche e princi-
palmente secondo l’affetto, vale a dire la carità inter-
na, in virtù della quale «alcuni prossimi meritano di
essere amati più degli altri» (ST II-II q26, a6), da Dio
che ama anche preferenzialmente alcuni, il povero: la
Chiesa conosce molto bene il suo Cuore, perché Dio
stesso gliel’ha rivelato.60

Nei poveri la Chiesa ritrova il suo Fondatore, sicché


questa preferenza, «lungi dall’opporsi all’universalità
della missione, costituisce la via apostolica per eccellen-
za per realizzarla».61 Da questa prospettiva, «il percorso
apostolico principale per raggiungere tutti non parte da-
gli sviluppati e ricchi per diffondersi fino ai poveri attra-
verso la comunicazione di beni, ma piuttosto, al contra-
rio, si concentra su quegli assetati di dignità e di libertà
per abbracciare tutti a partire da loro».62

59
DP 1145.
60
R. TELLO, Nota (f): La opción por los pobres, inedito, 1990, nn.
20-21.
61
Ivi, n. 23.
62
Ivi, n. 24.

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 63 10/03/15 11.12
64 I. Ritratto teologico di Rafael Tello

Facendo l’esempio dell’amore che si manifesta at-


torno al letto di un malato, spiega con chiarezza co-
me si possano amare tutti mantenendo la preferenza
per il più debole:

Se si accudisce una persona cara malata, si possono


assistere e incoraggiare quanti se ne prendono cura,
ma non perché se ne prendono cura, bensì per sé stes-
si. La cura e il sostegno si concentrano sul malato e da
lì si diffondono sugli altri. Forse sarebbero amati an-
che se il malato non esistesse, ma siccome esiste e c’è
la sua circostanza, l’amore si accresce, si connota e si
sparge più abbondantemente sugli altri. Più o meno
lo stesso deve accadere con la preferenza per i poveri.63

Sebbene si tratti di un’opzione di tutta la Chiesa, ciò


non toglie che alcuni membri, «facendo propria l’opzio-
ne della Chiesa tutta, possano scegliere di lavorare su
parti non povere dell’insieme sociale».64 Anche in que-
sto caso, quale che sia la funzione apostolica di ciascu-
no, la preferenza per il povero deve caratterizzare la vita
pastorale della Chiesa. Tello sostiene che – paradossal-
mente – non si tratta di un’opzione opinabile. È come
l’opzione per Cristo: sebbene ogni persona la compia
nella propria libertà, si tratta di una scelta obbligatoria
per il cristiano.

Scegliere richiede libertà fisica e psicologica ma non


necessariamente libertà morale, ovvero non-obbli-
gatorietà morale; così l’essenziale della vita cristiana
è l’opzione per Cristo, che è un’opzione reale e ob-
bligatoria, la quale si rinnova – a volte in modo più
esplicito e solenne – in diverse circostanze, così co-
me l’opzione della Chiesa per i poveri è moralmen-

63
TELLO, La nueva evangelización. Escritos teológicos pastorales, cit.,
p. 40.
64
ID., Nota (f): La opción por los pobres, cit., n. 27.

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 64 10/03/15 11.12
La sua scelta preferenziale per i poveri 65

te obbligatoria, ed è vera opzione, rinnovata talora


esplicitamente.65

Come già abbiamo specificato, la riflessione sul pove-


ro attraversa tutta l’opera di Rafael Tello. In questo capito-
lo esploriamo soltanto alcuni punti che possono aiutar-
ci a comprendere la sua opzione personale per i poveri.
Allo scopo di non soffermarci eccessivamente, rin-
viamo a luoghi successivi la presentazione di altri ri-
svolti del suo pensiero sui poveri.66 Pur tuttavia, pri-
ma di chiudere questo punto proporremo un paio di
elementi che ci aiutino a situare il suo pensiero nel
contesto della teologia della liberazione.

Il pensiero di Tello nel quadro della teologia


della liberazione

Utilizzando una classificazione molto ampia, il ge-


suita argentino Juan Luis Scannone individua quattro
correnti all’interno della teologia della liberazione:
1. Teologia della prassi pastorale della Chiesa (per esem-
pio E. Pironio).
2. Teologia della prassi di gruppi rivoluzionari (per
esempio H. Assmann).

65
Ivi, n. 13.
66
Restano nella penna, per ragioni di spazio, alcuni aspetti di
ciò che per Tello significa l’opzione per i poveri. Come per esem-
pio il suo insegnamento sul fatto che l’opzione per i poveri non
si può mettere allo stesso livello dell’opzione per i giovani, poi-
ché la prima è un’opzione fondata sulla Rivelazione, la secon-
da un’opzione pastorale. Ciò potrebbe spiegare perché «l’opzio-
ne per la gioventù sia completamente passata sotto silenzio» (Li-
bertatis nuntius, VI, 6) dalla maggioranza dei teologi della libera-
zione (cfr. ivi, n. 39). Una sintesi di quanto è stato presentato in
questa sezione si può vedere in E.C. BIANCHI, «No anteponer nada
al amor del pobre sino el amor de Cristo, del cual deriva», in Vida
pastoral 295 (2011) 4-10.

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 65 10/03/15 11.12
66 I. Ritratto teologico di Rafael Tello

3. Teologia della prassi storica (per esempio G. Gutiérr-


ez, L. Boff).
4. Teologia della prassi dei popoli latinoamericani (per
esempio L. Gera).67
Sebbene possa apparire un poco artificiosa – come
lo stesso Scannone riconosce,68 questa categorizza-
zione è stata ampiamente accolta e resta utile tutt’og-
gi, poiché ci aiuta a percepire alcune delle linee-forza
sottostanti ai diversi autori. In ogni modo, conviene
ricordare che tale classificazione è valida soprattut-
to riguardo al modo in cui la teologia della liberazio-
ne compariva nel 1972, nel momento in cui apparve
il libro di Gustavo Gutiérrez Teología de la liberación.
Perspectivas. Lo stesso Scannone precisa come l’evolu-
zione storica delle varie correnti e dell’uso semanti-
co del sintagma «teologia della liberazione» abbia in-
dotto a riservare questa denominazione alla seconda
e alla terza corrente.69
Per contestualizzare il pensiero di Rafael Tello ci
interessa la quarta corrente, quella che fa teologia a
partire dalla prassi dei popoli latinoamericani. Essa ha co-
nosciuto i suoi esordi nella riflessione teologico-pa-
storale degli esperti della Coepal. Uno dei pionieri
della teologia della liberazione – Gustavo Gutiérrez
– la considera «una corrente con propri lineamen-
ti all’interno della teologia della liberazione».70 È sta-
ta anche chiamata teologia del popolo (Juan Luis Se-
gundo), teologia della pastorale popolare (Scannone) o
scuola argentina (Joaquín Alliende).71 Questa corrente
67
J.C. SCANNONE, Teología de la liberación y doctrina social de la
Iglesia, Cristiandad - Guadalupe, Madrid - Buenos Aires 1987, pp.
53-66.
68
Ivi, p. 54.
69
Ivi, p. 61.
70
G. GUTIÉRREZ, La fuerza histórica de los pobres, Sígueme, Sala-
manca 1982, p. 377; nota desunta da SCANNONE, Teología de la libe-
ración y doctrina social de la Iglesia, cit., p. 62.
71
J.C. SCANNONE, «Perspectivas eclesiológicas de la “teología del
pueblo” en la Argentina», in Christus 707 (1998) 38-44. Per mag-

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La sua scelta preferenziale per i poveri 67

all’inizio conta, tra gli altri, su intellettuali come Lu-


cio Gera, Gerardo Farrell, Fernando Boasso, Justino
O’Farrell e lo stesso Tello. Nel contesto della Coepal e
sulla base di una ricezione delle costituzioni concilia-
ri Gaudium et spes e Lumen gentium, e della riflessione
su categorie come cultura e popolo di Dio, questi pensa-
tori andarono elaborando una teologia che pone co-
me proprio cardine e come centro della prospettiva la
ricerca di una pastorale popolare. Dal punto di vista
metodologico – secondo Scannone – la corrente ar-
gentina è caratterizzata da quattro aspetti.

1) Non partire soltanto dalla prassi di gruppi orga-


nizzati di base bensì, in generale, dai popoli latinoame-
ricani nella cui sapienza e religione popolare è spesso
inculturato il popolo di Dio.
2) Impiegare di preferenza l’analisi storico-culturale co-
me mediazione per interpretare e giudicare la realtà
storica e sociale dei poveri alla luce della fede, e per
trasformarla.
3) Pertanto ricorrere all’uso strumentale di scienze uma-
ne più sintetiche ed ermeneutiche (come la storia, l’an-
tropologia culturale o le scienze della religione) […].
4) Fin dall’inizio questa proposta teologica ha cri-
ticato l’uso non sufficientemente critico, per la teologia,
di elementi desunti dalla strumentazione analitica mar-
xista, in quanto incompatibili con la comprensione
dell’uomo propria della fede e con le caratteristiche
peculiari dei nostri popoli. Da parte sua ha preferito
le categorie proprie della storia, della cultura e della
religiosità popolare sudamericane.72

giori dati su questa corrente teologica si veda, nella nota 14 a p.


44, la bibliografia già citata a proposito della Coepal.
72
J.C. SCANNONE, «Situación del método teológico en la pro-
blemática de América Latina», in Medellín 78 (1994) 255-283,
272 (corsivo nostro).

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 67 10/03/15 11.12
68 I. Ritratto teologico di Rafael Tello

Se accogliamo questa classificazione, che scorge quat-


tro correnti all’interno della teologia della liberazio-
ne, dovremo collocare il nostro autore sul versante ar-
gentino. In effetti non soltanto è stato un protagonista
principale degli inizi di questo spazio, ma la sua teolo-
gia successiva si è sviluppata entro i confini metodolo-
gici segnalati da Scannone. Di lui si può dire che guar-
da soprattutto alla vita dei popoli latinoamericani – con
la loro specifica sapienza e con la loro religiosità popo-
lare –, che usa l’analisi storico-culturale come mediazione
per conoscere il popolo, e che respinge l’utilizzo acriti-
co delle categorie marxiste per fare teologia, preferendo
quelle proprie della Bibbia, della storia e della teologia
scolastica.
Comunque non dobbiamo dimenticare che – co-
me abbiamo già evidenziato73 – Rafael Tello si ado-
perava per evitare i personalismi che sarebbero po-
tuti derivare da una teologia legata al suo nome o a
una scuola particolare. Molto probabilmente egli non
si sarebbe presentato come un teologo della «scuo-
la argentina» e tantomeno della «teologia della libe-
razione». Malgrado ciò, per comprendere meglio il
suo pensiero può esserci utile ricordare che esso si dà
nel contesto latinoamericano della teologia della li-
berazione, più precisamente in Argentina, dove sorge
una corrente teologica – che lo vede protagonista ne-
gli esordi – che cerca di fare teologia tramite la cultu-
ra del popolo latinoamericano.

Conclusione

Fin qui abbiamo tentato di offrire una presenta-


zione del nostro autore. Perciò abbiamo mostrato tre
aspetti della sua personalità teologica. Anzitutto ab-
biamo detto qualcosa sul modo in cui concepiva la
73
Vedi supra, p. 47.

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 68 10/03/15 11.12
Conclusione 69

teologia, evidenziando come la ritenesse al servizio


dell’evangelizzazione. Più specificamente, con la sua
teologia il nostro autore cerca la formulazione di una
dottrina che sostenga la prassi di una pastorale popo-
lare adeguata per l’America Latina. In secondo luo-
go, abbiamo detto che sia la sua vita sia la sua ope-
ra sono state attraversate da una profonda fedeltà alla
Chiesa. In tutti i suoi insegnamenti si può percepire
l’intenzione evidente di sottoporre la riflessione teo-
logica alla fede apostolica come criterio ultimo. An-
che quando la dimensione fortemente profetica delle
sue impostazioni teologiche gli arrecò incomprensio-
ni da parte di autorità ecclesiastiche, il suo pensiero
si è mantenuto sempre sinceramente nell’alveo della
Tradizione e nel quadro del Magistero della Chiesa. È
stato «un pensatore kenotico, una sorta di Giovanni
Battista teologico, un precursore che si eclissa».74 In-
fine, abbiamo esposto un aspetto che struttura la sua
intera proposta teologica: la sua opzione per i poveri.
Partendo dalla convinzione evangelica che Dio ama
preferenzialmente i poveri e dal fatto storico che in
America Latina vivono grandi folle di poveri che cre-
dono in Cristo, Tello riflette sulle loro vite conside-
randoli anzitutto una realtà teologica. Corona questa
terza sezione una sommaria contestualizzazione del-
la sua riflessione sui poveri nel contesto della teolo-
gia della liberazione.
Inoltre, abbiamo detto a più riprese che ci trovia-
mo davanti a un teologo di cui sono in gran parte
sconosciute la vita e l’opera: a tutt’oggi le fonti da cui
si possa apprendere qualcosa di lui sono ben poche.
A ciò si aggiunge il fatto che molte sue visioni sono
originali ed espresse secondo categorie che hanno
un preciso contenuto per l’autore, ma che al lettore
non abituato alla sua opera possono risultare equivo-
che e confuse. Per questo ci è parso necessario dilun-
74
GONZÁLEZ, La reflexión teológica en la Argentina…, cit., p. 84.

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 69 10/03/15 11.12
70 I. Ritratto teologico di Rafael Tello

garci in questa presentazione e completarla esponen-


do le idee centrali presenti nel nostro testo base e in
quelli che l’hanno immediatamente preceduto. Lo fa-
remo nei due capitoli che seguono. Il capitolo II pre-
senterà la dottrina dei testi Evangelización ed Evange-
lización y cultura, scritti poco prima di El cristianismo
popular según las virtudes teologales e che con questo te-
sto compongono un tutto in cui si integra pure un
quarto appunto, intitolato La fiesta. Nel capitolo III,
quindi, tratteremo globalmente del testo El cristiani-
smo popular según las virtudes teologales. Alla seconda
parte di questo lavoro – capitoli IV e V – viene affida-
to lo studio dettagliato dei principali nuclei tematici
che ci aiuteranno a comprendere la spiegazione teo-
logica che Tello propone della fede vissuta nel cristia-
nesimo popolare.

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 70 10/03/15 11.12
II
DUE NOZIONI BASILARI
DELLA TEOLOGIA DI TELLO:
EVANGELIZZAZIONE E CULTURA

Introduzione

Abbiamo già compiuto il primo passo per avvici-


narci a una spiegazione teologica di come la fede, se-
condo l’insegnamento di Tello nella sua opera El cri-
stianismo popular según las virtudes teologales, viene
vissuta nel cristianesimo popolare: abbiamo presen-
tato l’autore. Abbiamo detto che si tratta di un teo-
logo argentino che ha trascorso gran parte della sua
vita sottoposto a ostracismo e che cercava con la sua
teologia la formulazione di una pastorale popolare
adeguata all’America Latina. Nel contesto di una pro-
fonda fedeltà alla Chiesa, concepiva la pastorale po-
polare in continuità con la dottrina della Tradizione
e del Magistero, specie dell’ultimo Concilio. In que-
sto senso concordiamo con l’osservazione di Víctor
Fernández, il quale dice che il pensiero di Tello costi-
tuisce una delle «vette più feconde del rinnovamento
postconciliare in Argentina».1 La sua teologia assume
l’insegnamento biblico dell’amore preferenziale di
Dio per i poveri e lo sviluppa nel contesto della sto-
ria e del presente latinoamericano. Per questa via ri-
conosce l’esistenza di vita cristiana nei poveri del Sud
America, che è vissuta entro i contorni della loro par-
ticolare cultura – la cultura popolare – e che deve es-

1
V. FERNÁNDEZ, «El Padre Tello: una interpelación todavía no
escuchada», in Vida pastoral 236 (2002) 34.

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 71 10/03/15 11.12
72 II. Due nozioni basilari della teologia di Tello

sere accompagnata e costantemente fecondata dall’a-


zione pastorale della Chiesa.
Lo scritto El cristianismo popular según las virtudes te-
ologales presenta una spiegazione teologica del mo-
do in cui queste virtù vengono vissute nel nostro po-
polo. Il testo è stato preceduto da altri due appunti
con i quali si trova in intima connessione. Poiché si
tratta di materiale inedito, riteniamo opportuno of-
frire una presentazione generale di queste tre opere
prima di addentrarci nell’insegnamento riguardante
la fede. Tale presentazione avverrà in due momenti:
nel capitolo presente toccheremo ciò che riguarda gli
scritti antecedenti – Evangelización ed Evangelización y
cultura –, mentre nel capitolo III tratteremo del no-
stro testo base: El cristianismo popular según las virtu-
des teologales.
Nel contesto del presente capitolo spiegheremo
an-zitutto il contesto storico in cui furono prodotte
queste opere. Come vedremo, sono state scritte gra-
dualmente, e conoscere il processo può aiutarci a
comprenderle meglio. Ogni appunto veniva diffuso
in piccole dosi settimanali e a ciascuno erano allegati
alcuni fogli complementari. Perciò parliamo di bloc-
chi di testo. Presenteremo il primo blocco dell’anno
1996, che è caratterizzato da un appunto intitolato
Evangelización. Quindi vedremo il secondo blocco di
testi: Evangelización y cultura. Nel frattempo cerchere-
mo di rendere familiari al lettore varie posizioni ori-
ginali di Rafael Tello.
Porremo speciale attenzione alle nozioni di cultura
ed evangelizzazione, che ci aiuteranno a comprendere
la proposta di pastorale popolare che il nostro auto-
re elabora. In questi due gruppi di testi si propone
un percorso per l’evangelizzazione di tutta l’Argenti-
na (e, analogamente, dell’intera America Latina), che
si cerca di compiere attraverso l’evangelizzazione del-
la cultura. In ordine a ciò, prima Tello studia a fondo
la relazione tra evangelizzazione e cultura. Quindi,

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 72 10/03/15 11.12
Contesto storico di questi scritti: la escuelita 73

poggiando sulla concezione di cultura già presentata,


considera le tre culture che si possono vedere nel no-
stro Paese quando lo si osserva nell’ottica dell’evan-
gelizzazione: cultura moderna, cultura ecclesiale e cultu-
ra popolare.

Contesto storico di questi scritti: la escuelita

Per leggere gli scritti di Tello è assai convenien-


te conoscere il contesto generale nel quale sono stati
composti. Lui non li presentava come un’opera con-
clusa, come se avesse scritto un libro per il grande
pubblico.2 Dal 1984 fino a un paio di settimane pri-
ma di morire nel 2002, tutti i giovedì si riuniva a ca-
sa sua con un gruppo di sacerdoti amici con i quali
cercava di formulare in maniera teologica e di svilup-
pare dal punto di vista pratico una pastorale popo-
lare. La maggior parte di quei sacerdoti faceva parte
della Cofradía de Luján, una confraternita della qua-
le lo stesso Tello aveva ispirato la creazione e di cui,
con la sua sapienza teologica, ispirava e illuminava le
azioni. Chiamava quella riunione settimanale escueli-
ta, piccola scuola, e in quella occasione presentava i
suoi scritti.3

2
Di poche sue opere si può dire che fossero state pensate per
una larga diffusione fin dall’inizio. Erano quelle, soprattutto, nel-
le quali contava sulla collaborazione redazionale del suo ami-
co padre Jorge Vernazza (per esempio ¿El pueblo donde está?, La
nueva evangelización, Anexos a La nueva evangelización, Fundamen-
tos de una nueva evangelización).
3
La escuelita comincia nell’ottobre 1984, quando padre Tel-
lo convoca a una riunione padre Jorge Vernazza, padre José Do-
menighini e padre Rodolfo Ricciardelli per spiegare loro ciò che
scorgeva nel documento scritto da Giovanni Paolo II in occasione
dell’avvio della «novena d’anni» per la celebrazione del cinque-
centesimo anniversario dell’inizio dell’evangelizzazione dell’A-
merica Latina. Cfr. J. VERNAZZA - R. RICCIARDELLI, Apuntes para una
biografía del padre Rafael Tello, inedito, p. 19.

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 73 10/03/15 11.12
74 II. Due nozioni basilari della teologia di Tello

Oltre agli appunti che Tello predisponeva per gli


incontri, tra i partecipanti circolavano lunghe trascri-
zioni ricavate dalle registrazioni delle riunioni prece-
denti. Ciò che veniva detto nel corso di ogni escueli-
ta veniva interamente inciso su nastro, poi durante
la settimana lo si trascriveva a mano e la trascrizio-
ne, fotocopiata, veniva distribuita nell’incontro suc-
cessivo. In questo modo ogni partecipante del grup-
po concludeva l’anno con più di duecento pagine di
trascrizioni degli incontri, oltre agli appunti ricevu-
ti direttamente dall’autore. Dato che si tratta di una
spiegazione di prima mano, quel materiale è un com-
plemento indispensabile per interpretare adeguata-
mente i testi del nostro teologo.
Spesso gli scritti venivano redatti in varie tappe, un
mannello di pagine in ogni settimana, ed erano di-
stribuiti e discussi ogni giovedì. Ne risultava che nei
foglietti della settimana seguente a volte si tornasse a
trattare temi che non erano stati ben chiariti nell’in-
contro precedente. Ciò va tenuto presente per com-
prendere alcune ripetizioni, apparenti lacune, digres-
sioni inattese che s’incontrano negli scritti di Tello,
frutto di scambi durati vari mesi.4
Tale è il contesto che ha visto nascere il nostro
testo base, consegnato nel 1996, nel quadro di un
piano che Tello aveva proposto per quell’anno e che
si tradusse in quattro blocchi di testo: 1. Evangeliza-
ción (17 pagine, consegnate in aprile); 2. Evangeliza-
ción y cultura (40 pagine, maggio-luglio); 3. El cristia-
nismo popular según las virtudes teologales (73 pagine,
luglio-novembre), 4. La fiesta (16 pagine, dicembre).

4
Troviamo un esempio del clima in cui questi scritti erano
immersi nella nota preliminare a uno di essi, redatto poco pri-
ma del nostro testo base: «Avvertenza previa: Questa serie di note
è esclusivamente per uso interno. Le proposizioni assertive non
vanno prese come verità provate, ma soltanto come uno strumen-
to dialettico per la discussione» (R. TELLO, Nueva evangelización y
cristianismo popular, inedito, 1996).

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Primo blocco: Evangelizzazione 75

Oltre agli appunti che costituiscono il materiale di


quelli che chiamiamo blocchi, consegnò fogli aggiun-
tivi che riprendono e completano alcuni temi trattati
negli appunti principali.
Presenteremo ora brevemente il contenuto dei due
blocchi che precedono il nostro testo base. Crediamo
che in questo modo, quando tratteremo dello scrit-
to su cui ci concentreremo, il lettore si sarà già fami-
liarizzato con le categorie e le impostazioni generali
di Rafael Tello. Al momento, questo è il nostro uni-
co scopo. Siamo consapevoli del fatto che varie del-
le questioni proposte richiederebbero una spiega-
zione più ampia affinché chi le ascolta per la prima
volta possa accettarne la validità. Ma una fondazione
dettagliata di questi temi prolungherebbe indefinita-
mente il presente lavoro e ne sposterebbe il baricen-
tro, incentrato sullo studio della virtù teologale del-
la fede come essa è vissuta nel cristianesimo popolare
latinoamericano.
Il secondo blocco riformula e amplia molti dei te-
mi presentati nel primo. Nella nostra presentazio-
ne abbiamo rispettato quelle ripetizioni, cercando di
accentuare in ogni caso gli apporti originali di ogni
testo.

Primo blocco: Evangelizzazione

Nel primo di questi scritti, Evangelización, vengo-


no proposte alcune questioni da tenere presenti per
pensare l’evangelizzazione dell’America Latina. Ci so-
no due parti ben delimitate. Nella prima (nn. 1-46)
si tratta dell’evangelizzazione nella cornice della chia-
mata a una nuova evangelizzazione che «continui e
completi l’opera dei primi evangelizzatori».5 La se-

5
GIOVANNI PAOLO II, Omelia nella Celebrazione della Parola a San-
to Domingo, 12 ottobre 1984.

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 75 10/03/15 11.12
76 II. Due nozioni basilari della teologia di Tello

conda parte (nn. 47-85) affronta il tema della nuova


evangelizzazione e della perfezione cristiana.
La prima parte comincia ponendo un principio
che è una costante nel pensiero di Rafael Tello: seb-
bene l’evangelizzazione sia la missione della Chie-
sa, in tale azione la causa prima e principale è Dio.
La Chiesa è causa necessaria ma insufficiente dell’e-
vangelizzazione (cfr. nn. 1-2). Essa deve rivolgersi al-
le persone concrete, affinché vivano cristianamente
in qualsiasi struttura sociale, ma deve anche rivolger-
si all’intera nazione, il che include la cultura e le sue
istituzioni (che influiscono sulla comunità e attraver-
so questa sui suoi membri) (cfr. nn. 3-8). «Cultura» si
intende nel senso di Gaudium et spes, come stile di vi-
ta o sistema di valori che vengono vissuti in un nu-
cleo sociale storico.6 Sicché una cultura, se offre ai
suoi membri un «ambiente» in cui l’esperienza della
fede sia un fatto abituale, li aiuterà a compiere atti di
fede nella loro vita quotidiana.7
L’evangelizzazione fa entrare in un ambito di sal-
vezza che è la Chiesa di Cristo. Ma ciò non signifi-
ca che necessariamente faccia entrare in una concre-
ta comunità ecclesiale. Tello fa l’esempio dell’eunuco
battezzato da Filippo che «proseguì la sua strada»
(cfr. At 8,36-39). Bisogna tener presente che una co-
munità ecclesiale – in quanto storica – ha una cultura
determinata che può essere diversa in luoghi diversi.
Può darsi che grazie all’evangelizzazione la fede ven-
ga accolta, ma vengano respinte le forme culturali a
cui essa giunge legata. Un fatto del genere spesso coz-
za con le idee dell’evangelizzatore. Tello propone co-
me esempio biblico di questi scontri l’episodio della
conversione e del battesimo del pagano Cornelio (At
10) e le spiegazioni che Pietro si vede obbligato a da-
re ai giudaizzanti (At 11,1-18) (cfr. nn. 9-10).

6
Cfr. GS 53.
7
Ne tratteremo più ampiamente nel capitolo IV.

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Primo blocco: Evangelizzazione 77

Il nostro autore sostiene che appunto questo sia


accaduto in America Latina con la prima evangelizza-
zione. L’indio accolse la fede portata dal conquistato-
re, ma respinse le forme culturali di questi. Si generò
così una nuova cultura, la cultura popolare, in cui il va-
lore basilare, fondamentale, venne assunto dalla fe-
de cristiana annunciata nella nuova evangelizzazione:
Dio e la vita eterna attraverso Gesù Cristo. I valori e i
conseguenti modi di agire che si strutturano attorno
a questo valore basilare e completano la cultura ven-
nero presi soprattutto dalle culture precolombiane e
in parte dalla cultura ecclesiale (importata dalla Spa-
gna; cfr. n. 28).
In questo modo, e in relazione con la nuova evan-
gelizzazione, Tello presenta una convinzione che tor-
nerà continuamente nel suo insegnamento. Quando
guarda al popolo latinoamericano nella prospetti-
va dell’evangelizzazione, egli vede la presenza di tre
culture che interagiscono al suo interno: la cultura po-
polare, la cultura moderna e la cultura ecclesiale (cfr. n.
46). Esse si danno mescolate nelle persone concrete,
sebbene in singoli settori della società qualcuna sia
in posizione predominante. Nel corso della sua vi-
ta, Tello ha insegnato molto riguardo alle origini sto-
riche e ai caratteri essenziali di quelle culture. Per il
momento ci limitiamo a presentarle. Nel prossimo
paragrafo, quando affronteremo il secondo blocco di
testo, faremo qualche approfondimento.
Riguardo alla cultura popolare possiamo dire che es-
sa nasce con la prima evangelizzazione, quando l’in-
dio vede distrutto il suo ordine sociale e si trova ob-
bligato a ricostruire il proprio universo simbolico.
Per riuscirci prende la fede cristiana come valore fon-
damentale, atto con il quale nasce la cosiddetta cultu-
ra popolare (cfr. n. 28). In questo modo la prima evan-
gelizzazione non rimpiazza le culture autoctone con
una cultura cristiana importata dall’Europa; si genera
invece – come frutto dell’accettazione del Vangelo da

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78 II. Due nozioni basilari della teologia di Tello

parte degli indios – una nuova cultura, anch’essa cri-


stiana (cfr. n. 30). Il processo proseguirà nel meticcio
e nel creolo. Questa cultura popolare è una in ragione
dei suoi valori supremi, e molteplice per i diversi sti-
li che è capace di abbracciare (cfr. n. 29). È anche se-
colare o temporale, ancorché nel suo nucleo conten-
ga la fede cristiana che è soprannaturale. Dagli indios
convertiti non si formarono comunità ecclesiali, bensì
popoli cristiani (cfr. n. 31; 33). La prima evangelizza-
zione, quindi, trasformò la vita dell’uomo orientan-
dola verso Dio, mantenendo il suo carattere tempo-
rale, generando una nuova cultura e attraverso di essa
un nuovo popolo (cfr. n. 23).8
Siamo davanti a una delle formulazioni principa-
li di Tello: l’esistenza di un popolo nuovo che nasce
tra i poveri della Conquista, che vive la fede cristiana
secondo la propria cultura e la cui esistenza perdura
soprattutto nei poveri di oggi. In essi si danno in una
maniera più concentrata i valori propri della cultura
che caratterizza il popolo, ma partecipano del popo-
lo anche coloro i quali – pur non essendo poveri –
incarnano nella loro vita la cultura popolare. Come
8
Tello sostiene che in America Latina esiste un popolo temporale
che è cristiano. Il popolo è una comunità naturale, necessaria per
la vita degli esseri umani. Tuttavia esso può avere indirettamen-
te un fine e un valore supremo e soprannaturale. Non si tratta qui
del popolo di Dio, che è la Chiesa, ma piuttosto del popolo concre-
to esistente in America Latina che vive secondo la cultura popola-
re, e che va verso Dio attraverso quella cultura. È una delle intu-
izioni più significative del nostro teologo e meriterebbe uno stu-
dio più profondo per essere apprezzata compiutamente. Qui ci è
impossibile soffermarci sul tema. Per maggiori dati in proposito,
vedi R. TELLO, «Nota (e). Cultura y Pueblo», in ID., Pueblo y Cul-
tura I, Patria Grande, Buenos Aires 2011, pp. 178-220; Nota (g):
La pastoral popular, inedito, 1990; Nota (d): Pueblo secular, autón-
omo y cristiano, inedito, 1990; Pobres y pobreza hoy, pubblicazio-
ne per uso interno della Cofradía de Luján (versione originale del
1991), 2006; La Iglesia al servicio del pueblo, inedito, 1992; Pueblo,
historia y pastoral popular, inedito, 1994; Anexo XVIII a Epístola apo-
stólica sobre el jubileo del año 2000, inedito, 1995.

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Primo blocco: Evangelizzazione 79

vediamo, il nostro teologo utilizza la nozione di po-


polo in un senso storico-culturale. Questo popolo che
ha ricevuto la fede mediante il battesimo ha trovato i
suoi percorsi per viverla e ha delineato quello che ab-
biamo denominato un cristianesimo popolare.
La cultura ecclesiale è quella che si vive in una co-
munità ecclesiale storica. È quella delle persone unite
alla Chiesa visibile, che oltre alla fede cristiana pos-
siede i suoi valori e i suoi propri modi di fare le co-
se (per esempio il modo di organizzare l’anno litur-
gico, il culto pubblico o la ricezione dei sacramenti,
il modo di pregare e così via; cfr. n. 37). Nell’odierna
organizzazione della Chiesa, la gran parte delle for-
ze attive che si propongono esplicitamente una qual-
che forma di evangelizzazione vengono raggruppa-
te in alcune di queste comunità ecclesiali e cercano
di evangelizzare trasmettendo quelle determinate for-
me di cultura ecclesiale. Per Tello l’evangelizzazione
della cultura e – di conseguenza – della grande mag-
gioranza degli uomini del popolo dell’America Latina
non potrà essere raggiunta seguendo il percorso del-
la cultura ecclesiale. Ciò per varie ragioni, soprattutto
perché la cultura ecclesiale non è mai riuscita ad ab-
bracciare in sé la gran parte dei latinoamericani e per-
ché lavorare al riparo delle comunità ecclesiali per in-
fluire attraverso di esse su tutto il popolo è contrario
al modo usato dall’inizio dell’evangelizzazione ame-
ricana (in cui non si formarono comunità ecclesiali,
bensì popoli cristiani; cfr. n. 38).
Ciò che intendiamo come cultura moderna comin-
cia a prendere forma con l’apparizione della borghe-
sia nel Medioevo e, poi, con il Rinascimento. Si trat-
ta di una cultura umanista che guarda soprattutto alla
vita terrena. Si esprime culturalmente nel movimento
del cosiddetto Illuminismo. È una cultura che guar-
da all’uomo come una realtà universale e considera
la ragione uno strumento per dominare la natura e
il mondo. Si basa sulla conoscenza e persegue la ric-

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80 II. Due nozioni basilari della teologia di Tello

chezza, il potere e il benessere mondani (cfr. nn. 39-


40). Questa cultura moderna o illuminata ha prodotto
grandi frutti di sviluppo umano, soprattutto nei cam-
pi della scienza e della tecnologia. Nonostante tali
aspetti positivi, occorre riconoscere che essa è secola-
rista, dato che nell’essere umano scorge un fine mera-
mente temporale, individualista, perché ciascuno, con
il proprio sforzo personale, deve ricercare il proprio
benessere, ed elitista, poiché viene controllata da quei
pochi che sanno e possono (cfr. n. 42). Le subentra
la cultura postmoderna, che coincide con essa nei ca-
ratteri essenziali (cfr. n. 43). In ordine all’evangeliz-
zazione, va detto che è impossibile «incarnare» il Van-
gelo nella cultura moderna. Ciò per motivi intrinseci a
essa: si tratta di uno stile di vita essenzialmente seco-
larista, con una concezione antropologica in cui il fi-
ne dell’uomo è assolutamente immanente. Con essa
si può convivere e si può cercare di moderarla, e fi-
nanche assumere alcuni dei suoi strumenti che in sé
non sono né buoni né cattivi, ma non sembra offri-
re un percorso fecondo per annunciare il Vangelo alle
grandi folle dei latinoamericani (cfr. n. 44).
La seconda parte di questi appunti (cfr. nn. 47-
85), intitolata Nueva evangelización y perfección cristia-
na, presenta la perfezione propria del cristianesimo
che sorge dalla cultura popolare. La nuova evange-
lizzazione deve tendere alla perfezione evangelica, e
una cosa viene detta più o meno perfetta a seconda
della relazione più o meno prossima con un termi-
ne finale. Nel cristianesimo il fine è la vita con Dio.
In questo senso è più perfetto chi è più unito a Dio,
quale che sia la modalità di cristianesimo che ab-
bia praticato, e questo non c’è alcuno al mondo che
possa saperlo (cfr. n. 51). La stessa cosa può dirsi a
proposito della preparazione ultima per presentarsi
al giudizio di Dio, dal momento che la perseveranza
finale non può essere meritata de condigno (cfr. n. 52).
La Chiesa deve principalmente orientare le persone

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Secondo blocco: Evangelizzazione e cultura 81

alla salvezza, e a tal fine deve considerare che questa


è sempre un dono gratuito di Dio, e che presuppone
la natura e la cultura. La natura, che è una, ha però
profonde differenze accidentali; la cultura si diversifi-
ca nello spazio e nel tempo (cfr. n. 55).
Dopo aver considerato la perfezione propria del
cristianesimo visto sotto l’aspetto del fine, l’autore
lo considera a partire dai mezzi. Fra di essi enumera
i sacramenti (cfr. nn. 57-58), le virtù (nn. 59-78) e i
consigli evangelici (nn. 79-82).
Conclude che dalla considerazione dei mezzi e dei
fini principali del cristianesimo si può dire che il cri-
stianesimo popolare è un modo pieno e perfetto di pratica-
re la vita cristiana. Ma ciò non significa che nelle sue
pratiche non si debba ricercare, come in qualsiasi for-
ma di cristianesimo, un miglioramento costante (cfr.
n. 83).

Secondo blocco: Evangelizzazione e cultura

In questo secondo blocco, consegnato fra maggio


e giugno del 1966, includiamo l’appunto Evangeliza-
ción y cultura (29 pagine) insieme ai più brevi Cuader-
nillo complementario n. 1 (8 pagine) e Mezcla de cultu-
ras (3 pagine).
Affinché la Chiesa possa compiere l’evangelizza-
zione che si propone nel primo blocco, essa deve es-
sere adeguata alla cultura delle persone concrete.
Per questo, adesso, Tello analizza come la cultura in-
fluenzi ciascun uomo che abita nelle nostre terre. Nel
farlo ripete e approfondisce molte delle affermazio-
ni del primo blocco. Si potrebbe dire che questo se-
condo blocco sia una riformulazione ampliata del
primo.
Con la sua azione quotidiana l’essere umano si or-
ganizza in un determinato stile esistenziale e, attor-
no a un sistema di valori, va creando una cultura. Ma

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82 II. Due nozioni basilari della teologia di Tello

è altrettanto vero che egli, a sua volta, nasce in un de-


terminato ambiente storico che ne condiziona l’agi-
re. Agisce sotto l’influsso di una cultura. Ciò accade
non una volta soltanto nella creazione della comuni-
tà, ma piuttosto in un divenire permanente finché la
comunità esiste: questa si trova pertanto sottoposta a
un processo di cambiamento continuo. Così intesa,
la cultura non è qualcosa di statico, ormai consegna-
to a ogni gruppo umano e in grado di determinar-
lo per sempre (nel modo in cui lo presentano alcu-
ne tesi che possono apparire essenzialiste). Per Tello
la cultura è una realtà dinamica, che l’uomo continua
incessantemente a ricreare nel proprio divenire stori-
co. Inoltre, la cultura viene vissuta in un nucleo sto-
rico concreto. Perciò in risposta a diverse situazioni
storiche e sociali apparirà una «pluralità di culture».9
Per questa via l’essere umano è padre e figlio del-
la cultura.10 Essa va evangelizzata perché è una real-
tà sociale che aiuta le persone – membri della società
– ad agire in una certa maniera; in definitiva, è qual-
cosa che influisce decisivamente sulla vita degli uo-
mini. Lo sguardo che le rivolgiamo si pone nell’ottica
dell’evangelizzazione; consideriamo le varie culture
che si danno nel nostro ambiente non per fare uno
studio sociologico, bensì per cercare le vie migliori
per evangelizzare i soggetti concreti che vivono sotto
il loro influsso (cfr. 9). Sotto questa prospettiva, dato
che è «un diverso modo di far uso delle cose»,11 essa
va giudicata come un’azione umana: ovvero va giudi-
cata principalmente dai suoi fini. Sicché il giudizio de-
finitivo va formulato sul fine ultimo, al quale tutto va
ordinato. Ci saranno anche fini intermedi e azioni che
sono soltanto mezzi che si soppesano rispetto ai fini

9
Cfr. GS 53. Sulla nozione di cultura ci soffermeremo nel ca-
pitolo IV.
10
Cfr. FR 71.
11
GS 53.

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Secondo blocco: Evangelizzazione e cultura 83

(cfr. n. 14). Sotto questa luce vengono considerate, a


questo punto, le tre culture principali che influenza-
no l’uomo argentino: la cultura popolare, la cultura mo-
derna e la cultura ecclesiale.
Ora l’autore si sofferma più a lungo che nel primo
blocco sulla spiegazione di queste tre culture. Quan-
do presenta la cultura moderna (cfr. nn. 49-81), ne ri-
passa le origini storiche risalendo all’apparizione del-
la borghesia nell’epoca medievale. È là che prende le
mosse quella che sarà la quintessenza della sua dina-
mica: l’accumulo di ricchezza e di potere. Ciò si af-
ferma con la creazione degli Stati atlantici (inglese e
olandese) e trova con l’Illuminismo la propria for-
mulazione filosofica: si tratta di cercare la felicità in
questo secolo (secolarismo), assumendo la ragio-
ne strumentale come fattore principale del progresso
umano. La dimensione politica viene plasmata con
la Costituzione degli Stati Uniti (1787) e con la Ri-
voluzione francese (1789), dalle quali nasce lo Sta-
to moderno. Le sue caratteristiche notevoli sono tre:
a) i diritti vengono dichiarati universali, ma non tut-
ti hanno possibilità reali di esercitarli; b) sebbene i
poveri siano più numerosi dei ricchi, si ritiene che la
consapevolezza appartenga a questi ultimi e si assicu-
rano meccanismi affinché tali minoranze non possa-
no essere spogliate del potere;12 c) si tende a univer-
salizzare i principi della cultura occidentale.

12
Ricordiamo che Tello in questo appunto presenta soltanto
una serrata sintesi delle origini storiche della cultura moderna. In
altre circostanze ha svolto e fondato più ampiamente affermazio-
ni polemiche come questa. Lo fa, per esempio, in un testo in cui
ci offre un’antologia di citazioni estratte da uno scritto di James
Madison, uno dei redattori della Costituzione statunitense. Madi-
son vi proponeva esplicitamente che la Costituzione contenesse
meccanismi che allontanassero le maggioranze povere dalle deci-
sioni politiche per assicurare il governo di una maggioranza quali-
ficata: «Un aumento della popolazione accrescerà necessariamen-
te la proporzione di quanti dovranno subire le avversità della vi-
ta desiderando in segreto una ripartizione migliore delle sue be-

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84 II. Due nozioni basilari della teologia di Tello

Tello non nega gli straordinari benefici che la cul-


tura moderna offre allo sviluppo umano. Ma consi-
dera che essi non debbano condurre ad accettarla
acriticamente. Per giudicarla concretamente propo-
ne di separare i suoi fini dai suoi strumenti. Per que-
sta via, rispetto ai fini, comprende che la cultura
moderna:

Si forma a partire dall’uomo e dal mondo sottomes-


si al peccato dal peccato originale che rompe l’ordine
naturale stabilito da Dio, per cui non stupisce che sia
intrinsecamente contrassegnata da tre caratteristiche
moralmente cattive: è secolarista, vale a dire si preoc-
cupa principalmente delle cose di questo mondo; è
elitista e individualista, poiché si incentra sulla regione
strumentale (scientifico-tecnica); è reale, ovvero dà al-
le cose il primato sulle persone. (n. 58)

Questi tre principi essenziali sono i suoi fini, e poi-


ché sono moralmente cattivi la rendono incompatibile
con il messaggio evangelico. È ciò a rendere impossibile
l’evangelizzazione della cultura moderna. Se si riuscisse
a infondere in questa cultura i principi evangelici come
fondanti, non sarebbe più la stessa cultura, ma un’«al-
tra». Ciò non toglie che abbia strumenti, come la scienza
e la tecnica, che sono buoni e possono essere impiegati
per il bene. In questo senso, Tello sostiene che la cultu-

nedizioni. È possibile che con il tempo costoro superino quanti


si trovano in un’agiata posizione economica. Secondo le leggi del
suffragio, il potere passerà nelle mani dei derelitti. In questo Pae-
se non si è ancora verificato alcun tentativo di distribuire le terre,
ma sono già apparsi sintomi di uno spirito perturbatore, a quan-
to sappiamo, in alcune regioni, che ci ammoniscono sul perico-
lo futuro. E come possiamo difendercene basandoci sui principi
repubblicani? Come possiamo prevenire il pericolo in tutti i casi
in ci vi siano coalizioni interessate a opprimere la minoranza che
dobbiamo difendere?» (R.H.S. CROSSMAN, Biografía del Estado mo-
derno, Fondo de Cultura Económica, México 19913, p. 116. La ci-
tazione è in TELLO, «Pueblo», in ID., Pueblo y Cultura I, cit., n. 107).

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Secondo blocco: Evangelizzazione e cultura 85

ra moderna è suscettibile soltanto di un’evangelizzazio-


ne parziale.13
Per tutte queste ragioni la cultura moderna non
sembra un veicolo adeguato per portare il Vangelo al-
la grande maggioranza di uomini e donne che vivono
in America Latina. Occorre cercare un percorso attra-
verso le altre culture: quella ecclesiale e quella popola-
re. Entrambe contengono un intrinseco riferimento a
Cristo e al Vangelo, che le rende a priori adatte all’e-
vangelizzazione (cfr. n. 81).
Passa quindi a trattare della cultura ecclesiale (nn.
82-135), ripetendo e riformulando molto di quan-
13
L’analisi compiuta da Tello della cultura moderna – e il giu-
dizio che ne deriva – è un tema complesso e merita un trattamen-
to che nel presente lavoro non ci è possibile riservargli. La sua pro-
posta per evangelizzare questa cultura include sempre una tensione
teologica, pastorale e culturale impossibile da evitare. Da una par-
te, il fatto che la ritenga animata da principi antievangelici non si-
gnifica che l’evangelizzatore debba «ignorarla». Sebbene ci si possa-
no attendere soltanto risultati parziali, «possono essere formalmen-
te evangelizzati molti campi di attività umana in cui essa si può
svolgere in modo retto (il lavoro, la famiglia, lo svago, lo sport, la
salute eccetera); molte opere compiute con mezzi moderni (radio,
cinema, tivù, quelli che si è soliti chiamare genericamente mezzi di
comunicazione sociale, e così via); molte associazioni, specialmen-
te quelle dette di bene comune; e molti propositi di solidarietà e di
beneficenza che abbondano nella società moderna. E così mille al-
tre cose che aprono un campo di evangelizzazione e di apostola-
to praticamente inesauribile» (n. 77). Inoltre, come dicevamo nel-
la nota 40 a p. 55 e s., Tello dichiarava poco prima di morire che in
campo dottrinale tentava – analogamente a quanto fece san Tom-
maso con la cultura pagana – di fare una sintesi con la cultura mo-
derna cercando di assumere gli elementi buoni del pensiero mo-
derno e di vedere in che modo si potessero armonizzare – o correg-
gere – nella prospettiva della dottrina cristiana. Per uno studio sul
pensiero di Tello riguardo alla cultura moderna – oltre ai testi trat-
tati in questo capitolo – vedi R. TELLO, «Cultura ilustrada y cultura
popular», in ID., Pueblo y Cultura I; Cristianismo popular y cultura mo-
derna, inedito, 1997; Cuadernillo complementario n. 2. Sobre cultura
moderna, inedito, 1997; Anexo 4. La modernidad. Cultura moderna,
inedito, 1998; Misión de la Iglesia: evangelizar al hombre…, inedito,
1999; La obra de la Salvación. Qué pastoral hoy, inedito, 2000.

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86 II. Due nozioni basilari della teologia di Tello

to aveva detto nel primo blocco. Aggiunge una spie-


gazione dell’influenza che la cultura moderna esercita
su di essa. Rimarca tre punti in cui le due si mescola-
no appannando la forza evangelizzatrice della cultura
ecclesiale: a) la cultura ecclesiale spinge a vivere nella
società religiosamente e con onestà, e anche a progre-
dirvi, ma la società è intrisa di cultura moderna, dun-
que, per andare avanti l’uomo deve adeguarvisi (n.
114); b) i fini ultimi di una cultura che determina la
vita di una società possono essere cambiati soltanto
da un’azione sociale di carattere collettivo, e la cultu-
ra ecclesiale non la incoraggia, anzi la scoraggia (cfr.
n. 116); c) la cultura ecclesiale occidentale, così come
quella moderna, è ispirata all’umanesimo greco-roma-
no e privilegia la ragione, per questo la cultura moder-
na ha potuto esercitare un’influenza così grande sulla
concezione antropologica della cultura ecclesiale.
Da questi condizionamenti deriva che la cultu-
ra ecclesiale non può agire efficacemente per evange-
lizzare la cultura moderna. Potrà cogliere soltanto ri-
sultati parziali facendo sì che alcune persone operino
bene, ma pur sempre entro un ordine antievangelico
come quello offerto dalla modernità. Potrà anche or-
ganizzare in modo evangelico una comunità ridotta.
Ma è inefficace per evangelizzare la cultura moderna
che dà un’impronta profonda alla nostra cultura na-
zionale, e perciò non risulta adeguata quando si trat-
ta di evangelizzare il Paese.
A questa incapacità derivante dalla sua compro-
missione con la cultura moderna si aggiungono i mo-
tivi storici che Tello ha presentato nel primo blocco e
che ora sviluppa più ampiamente. La Chiesa giunse
in America sotto il regime del Patronato, in virtù del
quale il papa concedeva ai re il diritto di colonizza-
re le Indie con l’incarico di convertire i loro abitanti
al cristianesimo. La Corona cercava di formare popoli
che la riconoscessero e la Chiesa collaborava con es-
sa. Come risultato di questo – ritiene Tello – bisogna

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Secondo blocco: Evangelizzazione e cultura 87

riconoscere un fatto: il cristianesimo non è arrivato


nelle nostre terre attraverso una Chiesa che cercava di
organizzare comunità ecclesiali, ma piuttosto si andò
formando nella creazione di popoli cristiani. Per que-
sto, un’azione che cerchi di evangelizzare tutti pun-
tando a farli integrare in un qualche tipo di comunità
ecclesiale – come propone l’attuale cultura ecclesia-
le – è contraria al movimento storico compiuto dalla
prima evangelizzazione e che si basò sulla formazio-
ne di popoli cristiani (cfr. n. 135).
Lo scritto a cui ci stiamo riferendo, Evangelización y
cultura, si conclude con un’ampia presentazione del-
la cultura popolare (nn. 136-181). Quest’ultima parte
prende le mosse fondando la possibilità di conosce-
re tale cultura. La si conosce anzitutto per via di «sa-
pienza», di conoscenza sapida. Svolge qui un’idea di
Puebla, la quale afferma trattarsi di una conoscenza
che avviene «per la connaturale capacità di compren-
sione affettiva che dà l’amore».14
Quindi tratta dell’origine storica di questa cultura.
Essa nasce dal contatto tra la fede cristiana e le culture
indigene precolombiane. Nella prima evangelizzazio-
ne, gli indios adottano l’essenziale della fede: un Dio,
un mediatore (che è anche uomo: Gesù Cristo) e la
vita con Dio come fine della vita terrena. Nasce così
una cultura meticcia, che permette di vivere la vita cri-
stiana nelle loro comunità naturali (cfr. n. 139). Que-
sta cultura, vissuta dai poveri e dagli oppressi nel nuo-
vo ordine sociale instaurato dalla conquista, svolse
la funzione di mezzo per integrarsi nella società do-
minante (all’ultimo posto), ma funse anche da mez-
zo per resistere al dominatore, per sopravvivere e af-
fermarsi come uomini (cfr. n. 142). Tello riprende qui
un pensiero dello scrittore messicano Octavio Paz:

14
DP 397. Come diremo più avanti, il nostro autore ha appro-
fondito questa intuizione assumendo la dottrina di san Tomma-
so sulla conoscenza per connaturalità (cfr. infra, p. 201).

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88 II. Due nozioni basilari della teologia di Tello

«Grazie alla fede cattolica gli indi, in condizione di


orfani […], trovano un posto nel mondo. Questa
possibilità di appartenere a un ordine vivo, fosse pu-
re alla base della piramide sociale, fu spietatamente
negata ai nativi dai protestanti della Nuova Inghil-
terra. Spesso si dimentica che appartenere alla fede
cattolica significava trovare una collocazione nell’U-
niverso. […] l’indigeno [si trovava] in una solitudine
tanto completa quanto difficile da immaginare per
un uomo moderno. Il cattolicesimo […] ridà senso
alla loro presenza sulla terra, ne alimenta le speran-
ze e giustifica la loro vita e la loro morte (Octavio
Paz)» (n. 148).15

A partire da quei primi poveri, nel corso della sto-


ria, la cultura popolare va crescendo e trasformandosi.
In questo modo accoglie sempre nuovi gruppi di pove-
ri e di emarginati. I primi sono stati gli indios, quin-
di gli spagnoli poveri e i neri, poi i creoli e più di re-
cente gli immigrati poveri. C’è sempre stata, in America
Latina, una parte della comunità che si sente sfruttata
e oppressa, e perciò «si unisce al popolo povero, ne
adotta i punti di vista, la cultura e la solidarietà, sicché
questi settori del popolo povero, in cui quei valori si
conservano in modo più vivo e articolato, sono come il
cuore del popolo, inteso in senso più ampio» (n. 143).
Benché questa dinamica intrinseca della cultura
popolare faccia sì che essa si diversifichi in moltepli-
ci manifestazioni culturali, il suo nucleo non cambia.
Anche quando esso si esprime nei modi più svariati,
nelle diverse comunità di poveri resta viva una cultu-
ra che «mantiene intatta la propria essenza perché la
vita – la sua vita – ha un valore basato su Dio, su Cri-
sto e sul destino eterno» (n. 144). L’uomo vive per la

15
L’origine della citazione è in O. PAZ, El laberinto de la sole-
dad, ed. it. Il labirinto della solitudine, in ID., Le opere, Utet, Torino
1995, p. 170.

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Secondo blocco: Evangelizzazione e cultura 89

vita eterna, e ciò unifica la cultura. In questo senso,


e comunque riconoscendo gli svariati stili di vita che
essa abbraccia, possiamo dire che «la cultura popo-
lare del nostro Paese considerata nella sua espressione
attuale è la stessa di quella considerata storicamente
nelle sue origini» (n. 145, corsivo originale).
Questa affermazione richiede qualche ulteriore
spiegazione, e il testo la offre quando considera ciò
che definisce il nucleo etico-mitico della cultura, che
non cambia se non nei secoli. Prende l’espressione da
Enrique Dussel,16 per il quale:

Qualsiasi civiltà ha un senso, anche quando questo


senso fosse diffuso, inconscio e difficile da rintraccia-
re. Tutto quel sistema si organizza attorno a un nucleo
etico-mitico che struttura i contenuti ultimi intenzio-
nali di un gruppo e che può essere scoperto tramite
l’ermeneutica dei miti fondamentali della comunità.17

Si tratta del cuore stesso della cultura, che è etico per-


ché riferito al senso stesso della vita, e al tempo stesso
è mitico per la forza sovrarazionale con cui si afferma.
Si tratta del modo in cui gli uomini danno un senso al-
le loro vite e comprende i valori supremi a partire dai
quali viene articolata tutta la scala dei valori. Sostan-
zialmente nel nostro popolo tale nucleo, originatosi
nel XVI secolo, si è mantenuto fino ad oggi, a volte in
16
Così si deduce da R. TELLO, Ubicación histórica del cristianismo
popular, inedito, 1992, n. 143. Questa categoria è stata introdot-
ta da Paul Ricoeur: «Mi sembra che se si vuole raggiungere il nu-
cleo centrale occorre penetrare fino a quella cortina di immagini
e di simboli che costituiscono le rappresentazioni basilari di un
popolo […]. Le immagini e i simboli costituiscono ciò che po-
tremmo chiamare il sogno a occhi aperti di un gruppo storico. In
questo senso parlo del nucleo etico-mitico che costituisce il fon-
do culturale di un popolo» (P. RICOEUR, Historia y verdad, Encuen-
tro, Madrid 1990, pp. 258-259).
17
E. DUSSEL, Hipótesis para una historia de la Iglesia en América
Latina, Estela, Barcelona 1967, p. 28.

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90 II. Due nozioni basilari della teologia di Tello

modo vivo ed evidente, altre volte come assopito (cfr.


n. 153).
Tello sostiene che nella cultura popolare quel nu-
cleo mitico è l’aspirazione al rispetto della dignità
dell’uomo, di tutti gli uomini (cfr. n. 154). Il messaggio
evangelico insegna che siamo tutti figli di Dio, e que-
sto pieno universalismo proclamato dalla fede è cala-
to a fondo in un popolo povero e sofferente. Da qui
promana una spinta verso il riconoscimento della di-
gnità di ogni essere umano. Ciò fa sì che la cultura
popolare sia personalista, poiché dà preminenza alle
persone sulle cose (cfr. n. 164).
In questo nucleo risiede la convinzione che l’esse-
re umano abbia una dignità preponderante, la quale
afferma che la vita si conclude non in questo mondo,
ma in Dio. L’uomo è stato messo al mondo affinché
vivendo in esso vada verso Dio:

L’uomo ha una dignità preponderante perché è desti-


nato a dirigersi liberamente verso qualcosa di Asso-
luto e di Eterno. Nel nostro popolo, esplicitamente
cristiano, ciò significa che l’uomo, vivente tra le cre-
ature di questo mondo dove Dio l’ha messo affinché
viva usando di esse, tramite questa vita deve andare ver-
so Dio. (N. 157, corsivo originale)

Tuttavia, nella cultura popolare non avviene un du-


plice movimento: uno verso Dio e un altro – subordina-
to al primo – verso le cose terrene, ma piuttosto un solo
movimento verso le cose di questo mondo, e attraverso
di esse verso Dio (cfr. n. 160).
Ciò distingue la cultura popolare da quella eccle-
siale e da quella moderna. Da quella ecclesiale in
quanto quest’ultima suole proclamare l’abnegazio-
ne nell’uso delle cose del mondo, mentre la cultura
popolare attribuisce loro un grande valore. La diffe-
renzia anche dalla cultura moderna – sostiene Tello –
perché quest’ultima è secolarista, in essa conta sol-

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Secondo blocco: Evangelizzazione e cultura 91

tanto questa vita; invece la cultura popolare dà molto


peso alla vita di questo secolo, ma sentendo che essa
conduce verso la vita in Dio.
La cultura popolare è cristiana, ha un intrinseco ri-
ferimento a Cristo. Si può dire che «il suo elemento
formatore determinante, specificante, è il cristianesi-
mo popolare» (n. 151, corsivo originale). Non un cri-
stianesimo generico, senza determinazioni culturali,
che non esiste a questo mondo, bensì il cristianesimo
popolare, che è stato riconosciuto dal Magistero come
vero cristianesimo.18 Da questo punto di vista, la cul-
tura popolare è un tutto e il cristianesimo popolare
ne è una parte, ma una parte formale. Come dire l’a-
nima della cultura popolare. Su questo punto l’auto-
re previene le tipiche obiezioni che potrebbero venire
da uno sguardo esclusivamente sociologico sulla reli-
gione del popolo, che la consideri un mero acciden-
te. Chiarisce che la teologia studia la cultura popolare
nella prospettiva del cristianesimo popolare come da-
to soprannaturale e rivelato, mentre le scienze uma-
ne lo studiano in quanto dato di fatto e naturalmente
verificabile (cfr. n. 152).
Due tratti basilari differenziano il cristianesimo po-
polare da quello ecclesiale. In primo luogo, quest’ul-
timo tende a essere vissuto in comunità ecclesia-
li, mentre il primo riunisce i cristiani in un popolo.
In accordo con la propria cultura popolare, il popolo
costruisce un modo proprio di vivere la vita cristiana
che va differenziandosi dal modo proposto dalle co-
munità ecclesiali. Fa questo senza perdere il proprio
carattere di popolo secolare o temporale. L’altra diffe-
renza sta nel fatto che la spiritualità delle comunità
ecclesiali mette spesso Dio in contrasto con il mondo,
e da ciò derivano alcuni atteggiamenti religiosi. Inve-
ce la spiritualità popolare vede Dio in connessione e

18
Su questo tema si rivedano i riferimenti nell’Introduzione
generale (vedi supra, nota 8 p. 26).

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92 II. Due nozioni basilari della teologia di Tello

in continuità con le cose di questa vita, e da questo


sbocciano altri atteggiamenti religiosi diversi da quelli
propri della cultura ecclesiale (cfr. n. 177).
Quanto abbiamo detto fin qui fonda l’afferma-
zione che se si vuole un’azione evangelizzatrice che
raggiunga le grandi maggioranze del nostro Pae-
se, una via da cui è lecito attendersi buoni risultati è
quella di rafforzare il cristianesimo vissuto nella cul-
tura popolare.

Conclusione

Per concludere, ricapitoliamo le idee centrali che


abbiamo presentato fin qui.
In Cristo, Dio offre la sua salvezza all’umanità. Seb-
bene questa salvezza sia un’azione divina, la Chiesa
ha la missione specifica di annunciarla a tutti i popo-
li. Inoltre, ogni popolo vive secondo uno stile di vi-
ta determinato, secondo una cultura. Ciò fa sì che la
missione evangelizzatrice non debba ignorare l’im-
portanza che la cultura riveste nella vita delle persone.
La cultura influisce profondamente sui membri di una
comunità costituendo un ambiente vitale, che può fa-
vorire nelle persone un determinato modo di agire.
Una strada adeguata per ricercare l’evangelizza-
zione di un Paese sembra quella di evangelizzarne la
cultura, di mirare a far sì che lo stile di vita dei suoi
membri dia occasioni per vivere la fede, la speranza e
la carità cristiane. A questo fine la prima cosa da far-
si è conoscere in base a quale cultura vivono. In con-
seguenza di uno studio storico e del suo sguardo
acuto di pastore, Tello sostiene che in Argentina – e
analogamente in America Latina – si danno tre cultu-
re strettamente amalgamate fra loro: cultura moderna,
cultura popolare e cultura ecclesiale. Egli le studia una
per una e ne analizza l’adeguatezza a farsi veicoli del
Vangelo per le grandi maggioranze.

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Conclusione 93

Su questa base dirà che la cultura moderna na-


sce nel tramonto del Medioevo, ha la sua espressio-
ne dottrinale nell’Illuminismo e conosce la sua tra-
duzione politica nella Rivoluzione francese e nella
Costituzione degli Stati Uniti. Essa propone la felici-
tà all’uomo in questo mondo facendo a meno di una
vita eterna, e promuove l’accumulo di ricchezze come
mezzo per raggiungerla. Benché per suo mezzo l’u-
manità abbia conquistato significativi progressi, es-
sa è contrassegnata da caratteristiche moralmente ne-
gative. È, come abbiamo detto, secolarista, inoltre vi
prevalgono quanti sanno e possono, sicché è elitista
e individualista. Si aggiunga che essa privilegia le cose
e le istituzioni rispetto alle persone (organizza la so-
cietà in base a un ordine reale anziché personale). Ciò
fa sì che – per le sue intrinseche caratteristiche – sia
impossibile evangelizzarla pienamente. Tello sostie-
ne che in questo caso l’evangelizzazione potrà essere
tutt’al più parziale. Pertanto pare inadeguata a evan-
gelizzare le grandi maggioranze.
La cultura ecclesiale è quella propria di quanti sono
vicini alle istituzioni della Chiesa. È una cultura cri-
stiana, sicché è adatta all’evangelizzazione. Tuttavia il
nostro autore non ritiene che attraverso di essa si pos-
sano raggiungere ed evangelizzare le grandi maggio-
ranze del nostro Paese. Ciò per vari motivi, due dei
quali spiccano in particolare. Da una parte, i compro-
messi della cultura ecclesiale nei confronti di quella
moderna: non mira a cambiare le caratteristiche an-
tievangeliche di questa, ma soltanto a mitigarne gli
effetti. A ciò si aggiunge una ragione storica: in Ame-
rica Latina il cristianesimo non si è generato attraver-
so comunità ecclesiali, ma piuttosto si sono formati
popoli cristiani. Pertanto, un’azione volta a far sì che
tutti vivano la loro fede con un riferimento immedia-
to a un’istituzione ecclesiale (parrocchia, comunità di
base, movimento e via dicendo) non sembra destina-
ta a raggiungere la maggior parte del popolo.

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94 II. Due nozioni basilari della teologia di Tello

Infine c’è la cultura popolare, che predomina tra i


poveri – che in America Latina sono la maggioranza
– e nasce con la prima evangelizzazione. Questa cul-
tura, che è cristiana, si genera come frutto dell’accet-
tazione del Vangelo da parte degli indios e dal suc-
cessivo meticciato, e – pur con variegate espressioni
– nei suoi tratti più profondi si è mantenuta per cin-
que secoli. Essa afferma il proprio valore supremo
nel riconoscimento della dignità umana e ritiene che
l’uomo sia stato messo al mondo affinché, vivendo in
esso, vada verso Dio. Sa che la vita si conclude nell’e-
ternità, ma dà ugualmente molta importanza alla vita
in questo mondo. Per Tello la fede cristiana è un va-
lore essenziale di questa cultura, al punto che il cri-
stianesimo popolare è l’anima della cultura popola-
re. Ciò la rende adatta all’evangelizzazione. La Chiesa
può intraprendere azioni per ravvivare tale cristiane-
simo popolare; percorrerebbe così una via da cui ci si
possono attendere frutti abbondanti in ordine a un’e-
vangelizzazione delle grandi maggioranze dell’Ameri-
ca Latina.

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 94 10/03/15 11.12
III
IL TESTO BASE:
IL CRISTIANESIMO POPOLARE
SECONDO LE VIRTÙ TEOLOGALI

Introduzione

I testi presentati nel capitolo precedente – Evangeli-


zación ed Evangelización y cultura – ci conducono a un
punto in cui si rende opportuno parlare del cristiane-
simo popolare. Si è detto che per evangelizzare il Pae-
se è necessario evangelizzare la cultura e che, delle tre
culture che si danno nella nostra popolazione, la più
adatta a farlo è la cultura popolare. L’anima di questa
è il cristianesimo popolare, un modo proprio di vive-
re la fede cristiana che si trova «conservata in modo
più vivo nei settori poveri con la capacità di armoniz-
zare meglio tutta la loro vita».1 Perciò – secondo Tello
– il rafforzamento del cristianesimo popolare si pre-
senta come la via più adeguata per l’evangelizzazione
in Argentina.
Ciò ci pone davanti alla necessità di conoscere il
cristianesimo popolare. Il nostro autore ne ha trattato
in diverse occasioni. In El cristianismo popular según las
virtudes teologales lo descrive guardando a un aspetto
essenziale della vita cristiana: il modo di vivere le vir-
tù teologali.
In questo capitolo ci proponiamo di offrire una
presentazione generale del testo. Lo faremo in cinque
tappe. In primo luogo parleremo del contesto storico
in cui è stato prodotto. Quindi analizzeremo lo stile
e il linguaggio, e presenteremo la struttura dello scrit-
1
DP 414.

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 95 10/03/15 11.12
96 III. Il testo base: Il cristianesimo popolare…

to. Infine svilupperemo le idee centrali del testo sul-


la speranza e sulla carità. Lo studio dei nuclei temati-
ci riferiti alla fede costituisce il cuore di questo libro
e dunque non verrà svolto nel presente capitolo, ma
nella seconda parte.
Prima della conclusione presenteremo una som-
maria contestualizzazione del tema della fede del po-
polo nel resto dell’opera del nostro autore.

Contesto storico

Come abbiamo chiarito nel capitolo preceden-


te, questo scritto è stato sviluppato nella cornice del-
la escuelita in cui Tello, negli anni del suo ostracismo,
esponeva le sue idee ad alcuni sacerdoti amici.2 In
quelle riunioni settimanali – dal 1984 fino a pochi
giorni prima di morire nel 2002 – soleva distribuire
alcuni appunti su temi relativi alla pastorale popola-
re. La maggior parte delle volte lo faceva per tappe,
consegnando ogni settimana poche pagine che nel
susseguirsi dei mesi costituivano – nel migliore dei
casi – un’opera completa.
Il testo di cui ci occupiamo è uno di questi casi di
produzione graduale. È stato sviluppato in sei conse-
gne nell’arco di tre mesi. La prima parte sono state 16
pagine diffuse il 18 luglio 1996 e, sebbene portasse il
titolo El cristianismo según las virtudes teologales, trat-
tava soltanto delle virtù in generale e della virtù del-
la Fede. La seconda venne presentata il mese successi-
vo ed erano 10 pagine che trattavano della Speranza.
Quel che riguarda la Carità fu messo a conoscenza in
quattro parti. Il 22 agosto 1996 furono consegnate 11
pagine che parlavano della Caridad en general, il 5 set-
tembre successivo fu il turno di 13 pagine dedicate a
La Caridad en nuestro pueblo, il 24 ottobre, con il tito-
2
Vedi supra, p. 71 e s.

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Stile, linguaggio e fonti dello scritto 97

lo di Aspectos comunitarios, vennero date altre 11 pagi-


ne e infine, il 22 novembre, Tello distribuì 13 pagine
intitolate Resumen y aspectos pastorales.

Stile, linguaggio e fonti dello scritto

Lo stile di questo scritto è intimamente connesso


con il suo stesso processo di redazione. Come abbia-
mo detto, si tratta di un appunto prodotto per gradi
e presentato alle riunioni settimanali che padre Tello
teneva con altri sacerdoti interessati alla pastorale po-
polare. Il fatto che sia stato composto per tappe e che
ogni parte sia stata discussa prima che venisse scritta
quella successiva fa sì che lo scritto contenga alcune
ripetizioni tese a chiarire questioni apertesi nel corso
della discussione.
L’intenzione prevalente di quelle riunioni era pa-
storale: quanti vi assistevano non cercavano – co-
me sarebbe accaduto in ambito accademico – di co-
noscere la «teologia di padre Tello», ma piuttosto – a
partire dal contatto con il popolo povero – volevano
scoprire percorsi per esercitare una pastorale popo-
lare. Ciò conferisce al testo – e in generale a tutte le
opere di questo teologo – un tono peculiare in cui la
precisione scolastica si coniuga con lo sguardo pasto-
rale. Per quanto molte delle nozioni presentate sia-
no astratte, esse si risolvono sempre in punti concreti
di applicazione pastorale. È una teologia che contem-
pla il popolo concreto e la sua esperienza della fede
e cerca di spiegarla – soprattutto – con gli strumenti
propri del tomismo.
Da questo intento nasce un linguaggio che talo-
ra è descrittivo e talora diventa preciso e astratto, con
qualche latinismo e abbondanza di categorie scola-
stiche. Tello guarda la realtà attraverso la lente dell’i-
lemorfismo aristotelico-tomista. Per questa ragione
a volte potrebbe risultare eccessivamente denso per

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 97 10/03/15 11.12
98 III. Il testo base: Il cristianesimo popolare…

il lettore moderno, avvezzo ad altri stili teologici. A


questa difficoltà si aggiunge il fatto che attualmen-
te non sempre viene riservata una buona accoglien-
za a molte delle categorie tomiste che il nostro autore
usa con frequenza. Nozioni che abbondano in que-
sto scritto, come: fine (35 volte), principio (29 volte),
causa (6 volte), oggetto (33 volte), sostanza (4 volte),
forma/formale (18 volte) e natura (17 volte) risultano
sospettabili di contenere in sé il germe dell’essenzia-
lismo in cui a volte sono caduti coloro che le hanno
maneggiate. Se non si riesce a sospendere – qualora
lo si coltivi – questo pregiudizio, difficilmente si po-
tranno fare passi avanti nella conoscenza del pensie-
ro di Tello.
Tello è consapevole di questa differenza metodo-
logica rispetto ad alcune impostazioni moderne. Tut-
tavia conserva la propria preferenza per l’analisi ari-
stotelico-tomista perché ritiene che essa consenta di
cogliere gli aspetti più profondi della realtà. Così af-
ferma in un altro scritto, in cui prima di presentare
la nozione di popolo chiarisce il tipo di analisi che
utilizza:

Si segue l’analisi aristotelico-tomista che anche Gau-


dium et spes sembra aver presente. Ma non come una
costruzione aprioristica della ragione ragionante,
bensì come un’elaborazione razionale di dati estrat-
ti dalla realtà, che permette di cogliere più profon-
damente e nei suoi tratti essenziali la realtà dei fatti.
Coscienti al tempo stesso che è un metodo molto di-
verso da altri più moderni (tuttavia né più profondi
né più veri) propri di visioni storiche, sociologiche,
economiciste o altre cosiddette in generale positive
(che spesso sono positiviste).3

3
R. TELLO, «Pueblo», in ID., Pueblo y Cultura I, Patria Grande,
Buenos Aires 2011, n. 11.

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Stile, linguaggio e fonti dello scritto 99

Non disprezza il valore degli studi sociologici moder-


ni, ma sostiene a più riprese che essi non riescono a co-
gliere il popolo in tutta la sua profondità. Per esempio,
in un’altra circostanza ha affermato:

Il nostro popolo dura da secoli, ed è necessario com-


prenderlo nella sua vita secolare e anche nel sen-
so del suo percorso. Perciò non basta un metodo me-
ramente descrittivo o sociologico che lo colga nel suo
momento attuale. Sembrano insufficienti anche i me-
todi creati all’estero, così come quelli che prendono
come parametro lo «sviluppo moderno», per le ragio-
ni che poi si addurranno: è necessario utilizzare altri
modi, e molto brevemente qualcosa è stato detto al-
trove. Fondamentalmente sono modi per «simpatia»
(cfr. DP 397) e altri «storici».4

Un’altra caratteristica che è dato di cogliere in questo


scritto riguarda la struttura delle riflessioni, spesso ana-
logamente ancorata allo schema a domanda-e-rispo-
sta della quaestio medievale. Presenta una domanda, ag-
giunge una o varie obiezioni e quindi replica con una
spiegazione che di solito apporta un argomento di au-
torità e un altro di soluzione teologica. Ciò conferisce
all’opera un certo tono apologetico, a sua volta rafforza-
to da un altro elemento che potremmo descrivere come
un’intenzione trasversale dell’autore. Egli, in tutta l’ope-
ra, sta tentando di dimostrare che il modo di vivere la fede
dei più poveri dell’America Latina è un vero cristianesimo.
È conscio del fatto che molti non accettano questa af-
fermazione e s’impegna a fondarla teologicamente e a
mostrare che la sua visione si trova in continuità con la
più sana tradizione della Chiesa. Per questo abbondano
le citazioni del Denzinger, del Concilio Vaticano II, del

4
R. TELLO, «Nota (e). Cultura y Pueblo», in ID., Pueblo y Cultu-
ra I, cit., n. 52-53, corsivo nostro.

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100 III. Il testo base: Il cristianesimo popolare…

Magistero di Giovanni Paolo II e – ovviamente – di san


Tommaso.
Quanto all’uso della Sacra Scrittura, vediamo che
sebbene non si soffermi in esegesi dettagliate, ripren-
de apporti della teologia biblica postconciliare. An-
che se negli scritti di Tello non è frequente trovare un
dialogo con teologi contemporanei, i biblisti costitu-
iscono una notevole eccezione. Non cade nella «ten-
tazione di considerare la Bibbia una riserva di dicta
probantia»,5 ma ricorre all’interpretazione degli spe-
cialisti per leggere i testi biblici in un contesto ade-
guato. Per esempio, in questo scritto cita un’opera
di Mateos e Barreto per spiegare il senso giovanneo
della parola mondo,6 e un’opera di von Rad per pre-
sentare la spiritualità sapienziale propria del libro
dell’Ecclesiaste.7
Infine, diciamo che a volte il suo scritto presenta
tratti mistici. La proposta generale dell’autore si fo-
calizza più sull’azione divina che sull’azione umana.
Ha sempre presente che è Dio a causare la salvezza e
che il fine dell’uomo è la vita eterna. Le virtù teolo-
gali orientano la storia umana verso Dio, aprono la
vita della persona umana alla trascendenza e le per-
mettono di entrare in comunione con la divinità. L’o-
rientamento escatologico della storia è continuamen-
te presente nell’opera del nostro autore e conferisce
alla sua redazione un tono particolare.

5
PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L’interpretazione della Bibbia nel-
la Chiesa, III, D, 4.
6
J. MATEOS - J. BARRETO, El evangelio de Juan: análisis lingüistico y
comentario exegético, Ediciones Cristiandad, Madrid 19792 (ed. it.
Il Vangelo di Giovanni. Analisi linguistica e commento esegetico, Cit-
tadella, Assisi 2000), cit. in R. TELLO, «La caridad», in ID., El cristia-
nismo popular según las virtudes teologales, inedito, 1996, n. 90.
7
G. VON RAD, Sabiduría en Israel: Proverbios, Job, Eclesiastés, Ecle-
siástico, Sabiduría, Cristiandad, Madrid, 1985 (ed. it. La sapienza in
Israele, Marietti, Casale Monferrato 1975), cit. in R. TELLO, «La ca-
ridad», cit., n. 76.

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Struttura dell’opera 101

Struttura dell’opera

1. Struttura della sezione relativa alla fede

Lo scritto si articola in tre parti, ciascuna corri-


spondente a una virtù teologale. Così come i testi
trattati nel capitolo precedente – e come l’autore è so-
lito fare nella maggior parte delle sue opere –, i para-
grafi sono numerati. Qualche volta uno stesso nume-
ro comprende un gruppo di paragrafi.8
La sezione relativa alla fede, che apre il testo, ha
un’introduzione che si può anche intendere come
preambolo di tutta l’opera, e che tratta delle virtù te-
ologali in generale (nn. 1-27). Propone la relazione
che esiste tra esse e la cultura (nn. 1-5) e in che modo
il peccato incide su di esse (nn. 5-27).
Quindi comincia a parlare più specificamente del-
la fede. Spiega che la fede si vive sempre nell’ambi-
to di un modo culturale determinato e che sarebbe
sbagliato supporre che il cristianesimo si possa vive-
re soltanto in un modo unico, ovvero così come lo
vive una Chiesa particolare determinata (nn. 28-35).
Quindi presenta alcuni presupposti teologici di cui
è opportuno tener conto (nn. 36-42) per poi adden-
trarsi in una delle considerazioni centrali della sua
proposta: l’analisi dell’atto di fede (nn. 43-72). Qui
presenta i tre aspetti di questo atto secondo la dot-
trina di san Tommaso – che segue sant’Agostino –
in ST II-II q2, a2: credere Deo, credere Deum e credere
in Deum. Nel farlo, espone i diversi accenti che ca-
ratterizzano questi tre aspetti nella vita della cultura
popolare.
8
La maggior parte delle volte che citiamo testi di Tello fac-
ciamo riferimento a questa numerazione che lui stesso ha appo-
sto ai suoi scritti. Lo facciamo scrivendo «n.» prima del numero
di paragrafo. Quando non facciamo così è perché si tratta di un
testo che l’autore non ha numerato per paragrafi. In questi casi
trascriviamo il numero di pagina dell’appunto originale.

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102 III. Il testo base: Il cristianesimo popolare…

Da qui in avanti l’autore si dedica a rispondere a


tre obiezioni frequenti contro la fede vissuta nel cri-
stianesimo popolare. In primo luogo tratta ciò che at-
tiene al grado d’intellezione richiesto dall’atto di fede
(nn. 73-90). Quindi riflette sulla necessità che il cre-
dente ha di conoscere la Parola di Dio e come questo
avvenga nella cultura popolare (nn. 91-102). Infine
cerca di rispondere a quanti scorgono una difficoltà
teologica nel modo – a loro dire eccessivo – in cui i
poveri venerano la Madre di Dio (nn. 103-111).9
Per raggiungere l’obiettivo di questo libro, cioè
presentare l’insegnamento contenuto nella prima se-
zione del nostro testo base, dobbiamo sottoporre ta-
le sezione a un’analisi più profonda. Nel farlo, trovia-
mo che ci sono due grandi nodi attorno ai quali si
può articolare la proposta dell’autore sulla fede del
popolo. Essi ci indicano la strada da percorrere nella
seconda parte del nostro lavoro:
a) In primo luogo, come caposaldo di ogni succes-
siva riflessione, viene presentato il fatto che il modo
di vivere la fede dipende fortemente dalla cultura di
un popolo. Questa virtù teologale è anzitutto un do-
no divino, ma comporta anche un elemento umano
che – poiché l’uomo è un essere sociale – è profonda-
mente influenzato dall’ambiente vitale in cui la fede
si sviluppa. L’unica fede della Chiesa viene vissuta se-
condo diversi modi culturali e non per questo smar-
risce la sua unità. Si può dire che la cultura diversifi-
ca il modo di vivere l’unica fede della Chiesa. È ciò rende
possibile che si parli di un cristianesimo popolare va-
lido. Il capitolo IV parlerà dell’influenza che la cultu-
ra esercita sul modo di vivere la fede cristiana.
9
Questa sezione conclusiva del testo base (nn. 73-111) è una
copia quasi identica di una sezione dello scritto La pastoral popu-
lar y Santo Domingo (nn. 393-422), composto tre anni prima. L’u-
nica differenza sta nel fatto che la prima opera si soffermava un
poco di più sul tema relativo alla Madonna (nn. 423-431). Cfr. R.
TELLO, La pastoral popular y Santo Domingo, inedito, 1993.

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Struttura dell’opera 103

b) Soltanto su questa base è possibile erigere l’e-


dificio argomentativo che seguirà, nel quale l’auto-
re spiega l’atto di fede secondo la dottrina agostinia-
no-tomista dei tre aspetti e riflette sui vari accenti con
cui ciascuna di queste dimensioni viene vissuta nella
cultura popolare. Qui ci troviamo nel cuore della te-
si del nostro teologo: a partire dalla formulazione dei
tre credere, egli coniuga tutti gli elementi del suo in-
segnamento sulla fede vissuta nella cultura popolare.
Ne tratteremo ampiamente nel capitolo V che verrà
completato da una presentazione del posto che la fe-
de del popolo attribuisce alla Vergine Maria.

2. Struttura della sezione relativa alla speranza

La seconda parte dell’opera tratta della speranza


(nn. 112-160). In primo luogo ne offre una presen-
tazione generale, designandola come una virtù con
la quale speriamo da Dio che ci conceda la vita eter-
na (nn. 112-117). Immediatamente dopo pone il tema
dell’opzione fondamentale e della sua relazione con la
speranza (nn. 113-123), approdando ad alcune rifles-
sioni sulla relazione tra la speranza e la carità (nn. 124-
131). Quindi spiega che la speranza teologale, anche
quando va distinta da altri tipi di attese, può sperare
beni temporali (nn. 132-139). Infine, l’autore – utiliz-
zando gli elementi già presentati – spiega come la spe-
ranza teologale si dà nel nostro popolo (nn. 140-160).

3. Struttura della sezione relativa alla carità

La trattazione della carità è notevolmente più este-


sa di quella delle due virtù precedenti. L’appunto ori-
ginale ricomincia qui la numerazione dei paragrafi e,
se per trattare della fede e della speranza erano sta-
ti necessari 160 punti, ciò che riguarda la carità ne

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104 III. Il testo base: Il cristianesimo popolare…

comprende 250, ai quali si aggiungono alcune pagi-


ne di riassunti e sinossi parziali. Si presenta in due
parti chiaramente delimitate. Nella prima tratta no-
zioni generali della carità seguendo la dottrina di san
Tommaso (nn. 1-67) e nella seconda applica questi
concetti alla carità vissuta nel cristianesimo popola-
re, considerando soprattutto gli aspetti di questa dot-
trina che spiegano pratiche comuni nel nostro popo-
lo cristiano (nn. 68-205).
La prima parte (nn. 1-67) comincia presentan-
do la carità come una virtù soprannaturale (nn. 1-4).
Su questa base, la considera in primo luogo in rela-
zione al suo oggetto: Dio e in Lui l’uomo (nn. 5-27),
per poi passare a considerarla secondo il soggetto (nn.
28-52). Per farlo, tratta quattro aspetti riguardanti il
soggetto che pratica la carità: il modo di conoscere
Dio (nn. 30-31), il bene che si ama (nn. 32-39), l’in-
tensità (nn. 40-47) e la frequenza degli atti di carità
(nn. 48-52). Quindi si occupa della relazione dell’at-
to di carità con il resto degli atti della vita dell’uomo
(nn. 53-58). Questa prima parte sulle nozioni gene-
rali della carità si conclude con la trattazione della re-
lazione tra la carità e il peccato (nn. 60-66).
Nella seconda parte (nn. 68-205) l’autore presenta
alcune peculiarità possedute dalla carità vissuta nel no-
stro popolo. Lo fa dapprima collocandole nel contesto
della Rivelazione (nn. 73-96), per poi considerare al-
cuni aspetti personali (nn. 97-116) e comunitari (nn.
117-181) della carità, così come il popolo la vive sto-
ricamente. Infine presenta un riassunto degli elemen-
ti dottrinali insegnati, accostando a ciascuno un breve
commento pastorale (nn. 182-205). Tutto questo pre-
occupandosi specialmente di ciò che si prospetta più
utile per la pratica reale della pastorale della Chiesa.
Dopo avere presentato per linee generali la struttu-
ra del testo, passiamo adesso a spiegare brevemente
gli insegnamenti centrali riguardo alla speranza e al-
la carità.

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Alcune nozioni relative alla speranza… 105

Alcune nozioni relative alla speranza


vissuta nel cristianesimo popolare

La felicità piena della persona umana sta nell’u-


nione con Dio. Ma raggiungere questa comunione è
qualcosa di sproporzionato alle possibilità dell’esse-
re umano: non possiamo ottenerla con le nostre sole
forze. Qui interviene la speranza, con la quale speria-
mo in Dio che ci dia la vita eterna. Questa speranza è
una virtù infusa da Dio, che ci fa tendere verso la fe-
licità piena e che «non poggia sulla grazia (santificante)
posseduta, ma sull’onnipotenza e sulla misericordia divi-
ne» (n. 115).
Ma l’uomo oltre a sperare in Dio spera negli al-
tri uomini, e anche quando spera in Dio, da lui non
spera soltanto la vita eterna. Seguendo san Tommaso
d’Aquino, il nostro autore rimarca che, tramite la spe-
ranza teologale, il cristiano

– spera principalmente in Dio, ma può anche seconda-


riamente e strumentalmente sperare negli uomini (i
quali, volenti o nolenti, servono Dio);
– spera la vita eterna, ma secondariamente e in ordine
a essa può anche sperare cose temporali, benché il fat-
to di non ottenerle non comporti il fallimento della
speranza prima e principale;
– spera per sé stesso, ma può anche estendere la sua spe-
ranza a coloro che sono uniti a lui, a quanti gli sono
prossimi in comunione e, in questo senso, la perso-
na può sperare per la comunità del popolo. (N. 117)

Dopo aver offerto una presentazione generale del-


la virtù della speranza (nn. 112-117), l’autore pone il te-
ma dell’opzione fondamentale e della sua relazione con
la speranza. Per lui, «la speranza (non la carità) costituisce
il principio dell’opzione fondamentale dei cristiani e con ciò
contribuisce a una certa “spiritualità” del nostro popolo»
(n. 118). Per opzione fondamentale intende il fatto che

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106 III. Il testo base: Il cristianesimo popolare…

il cristiano orienti la sua vita a Dio al di là di qualche at-


to discorde rispetto alla legge divina che non ne cambia
l’orientamento basilare. Questo – sostiene l’autore – è
qualcosa di molto diffuso tra il nostro popolo, e riguar-
da la speranza. Sostiene che «sembra assai probabile che
si possa dire che tramite la fede come tendenza in Deum,
perfezionata dalla speranza (che poggia sulla fede), si dà
una vera opzione fondamentale fermissima e salvifica
(com’è salvifica la speranza informe)» (n. 120).10
Un altro tema trattato è la relazione tra la spe-
ranza e la carità (nn. 124-131). Come le altre virtù,
la speranza si rende viva attraverso la carità. Ma se-
condo la propria natura essa è separabile dalla cari-
tà, sicché il peccato contro la carità lascia sussistere la
speranza (imperfetta e non in stato di virtù). Se accet-
tiamo il fatto che nell’uomo del nostro popolo si dia
un’opzione fondamentale che gli fa sapere che il sen-
so ultimo della vita è Dio e che questa è ancorata al-
la speranza, dobbiamo riconoscere che il peccatore –
quando perde la carità – non perde questa opzione
fondamentale (cfr. n. 125).
La speranza teologale può sperare beni temporali
(cfr. nn. 132-139). Comunque essa va distinta da altri
tipi di speranze o di aspettative che non sono la virtù
teologale della speranza. Per esempio, non è una virtù
teologale «la speranza umana che tende a ottenere un
bene futuro, arduo, vale a dire difficoltoso da acquisi-
re, ma possibile (cfr. ST I-II q40, a1)» (n. 134). La spe-
ranza teologale «mira principalmente alla vita eterna
e ai beni di questa terra sempre in ordine a quella, sic-
ché Dio può non dare i beni temporali o, tramite la
speranza, darli in quanto convenienti a essa» (n. 136).
In questo modo, si può sperare da Dio la vita eterna e i
beni temporali in ordine a essa. A ciò si aggiunge che si

10
Sul valore salvifico della fede e della speranza informi, vedi
infra, pp.195 e ss.

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Alcune nozioni relative alla speranza… 107

può sperare da Dio e dalla creatura, in quanto questa


è strumento di Dio (per esempio i santi).
Conviene chiarire che quando diciamo che l’uo-
mo del popolo spera da Dio la vita eterna non stiamo
pensando che ciò costituisca un atteggiamento rifles-
so costante. Ciò che vogliamo esprimere è che questi
sa – in un modo sapienziale – che la vita è di Dio, che
siamo di Dio e che a Lui torneremo. Di questa con-
vinzione, in qualche modo, sono intrisi gli atteggia-
menti quotidiani del popolo. Facciamo un esempio:
nella preghiera dei poveri occupa un luogo rilevante
l’invocazione per i propri cari defunti. Questo sempli-
ce fatto mostra che per loro la vita con Dio in cielo è
una realtà creduta e sperata. Più teologicamente, Tello
lo spiegherà dicendo che la speranza di salvezza eter-
na ha sul cristiano popolare una influenza virtuale.

Chi va in un luogo, per esempio a Roma, non è ne-


cessario che pensi a Roma a ogni passo, basta che es-
sa conservi la sua influenza virtuale, cosa che può ac-
cadere anche se in ogni tappa vi fossero altri obiettivi
attualmente influenti. Così nel cristianesimo popola-
re la felicità eterna ha sempre un’influenza virtuale,
anche se nei vari momenti della vita temporale pos-
sono esserci altri obiettivi attuali, che in quanto tali
occupano il campo della coscienza; l’ordine genetico,
storico, cronologico, diverso dall’ordine della digni-
tà, secondo il quale ciò che è temporale può essere
prioritario rispetto a ciò che è eterno. In modo analo-
go si spiega che si può sperare da Dio e dalla creatu-
ra, in quanto è strumento di Dio. (N. 139)

D’altra parte l’autore – utilizzando gli elementi già


presentati – spiega come si dà la speranza teologale nel
nostro popolo (nn. 140-160). La speranza continua e
perfeziona il movimento verso Dio che sorge dalla fede.
Per tramite di quest’ultima, l’uomo del popolo vive la
vita su questa terra per Dio, che incontra nella vita stes-

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108 III. Il testo base: Il cristianesimo popolare…

sa. Ciò fonda tutta una spiritualità che Rafael Tello defi-
nisce nei termini seguenti:

L’uomo tende verso Dio, non negando il mondo, e


nemmeno mediatizzandolo – cioè assumendolo sol-
tanto in quanto mezzo per andare verso Dio o per
servirlo –, ma piuttosto riconoscendo le strade divine.
Vivendo qui nel mondo temporale, sapendo che poi
vivrà in quello eterno secondo la volontà di Dio e sa-
pendo che adesso deve vivere qua e dopo là, spera la
vita eterna e la spera soltanto da Dio, e insieme spera
cose di questo mondo di cui avrà bisogno. E le spera
anche dagli uomini. (N. 148)

L’autore presenta qui una delle sue intuizioni più ori-


ginali e – in questo caso – la fonda nella speranza: il po-
polo va verso Dio attraverso le vicissitudini della sua vita or-
dinaria. Come aveva spiegato nei precedenti blocchi, la
prima evangelizzazione ha dato alla luce un nuovo mo-
do culturale di vivere la fede cristiana che oggi soprav-
vive tra i più poveri dell’America Latina e che non tro-
va Dio negando il mondo e nemmeno vivendolo come
mero mezzo per arrivare a Lui, bensì incontra Dio vi-
vendo nel mondo e sperando cose mondane. Se apprez-
za le realtà temporali non è perché sia secolarista (nel
senso di negare il fine soprannaturale dell’essere uma-
no), ma perché spera con speranza teologale – che sorge
dalla fede anche quando entrambe possono essere im-
perfette – ciò che è necessario per vivere in questa vita
sapendo che essa culmina nella vita eterna. Ciò potreb-
be spiegare anche la notevole libertà del creolo nei ri-
guardi dei beni materiali (cfr. n. 152).11
11
Per ragioni di spazio non ci possiamo soffermare oltre su
questa feconda intuizione del nostro teologo. Aggiungiamo sol-
tanto un’ulteriore citazione in cui – trattando dell’origine storica
del cristianesimo popolare – spiegava in un altro modo la carat-
teristica della spiritualità popolare che trova Dio nella vita tem-
porale: «All’uomo spagnolo – evangelizzato quasi fin dagli esor-

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Alcune nozioni relative alla carità… 109

Tutto ciò che si è detto conduce ad affermare che


«il nostro popolo cristiano possiede vera speranza te-
ologale e che esercita e manifesta questa speranza in
molti atti che sembrerebbero umani. E quegli atti so-
no vie per conservarla e accrescerla: la pastorale deve
averlo ben presente» (n. 160).

Alcune nozioni relative alla carità


vissuta nel cristianesimo popolare

Nozioni generali

L’autore comincia questa sezione precisando che


tratterà della virtù soprannaturale della carità, che è in-
fusa da Dio e procura un’unione affettiva con Lui. Non
si riferisce adesso all’amore naturale per Dio o per gli
esseri umani, ma all’amore soprannaturale che perfe-
ziona l’amore naturale e ci fa partecipi dell’amore stes-
so di Dio. Non si riferisce nemmeno all’amore sopran-
naturale imperfetto inerente alla fede e alla speranza.
In primo luogo considera la carità in relazione al
suo oggetto: Dio e in Lui l’uomo (nn. 5-27). Rispet-

di della Chiesa apostolica – era d’aiuto sapere e guardare le co-


se rivelate come una realtà celestiale, come un mondo – un al-
tro mondo – del divino, che doveva guadagnarsi superando que-
sto mondo sensibile e temporale. Dunque percepiva facilmente
la contrapposizione tra il Regno celeste e questo mondo e, davan-
ti al fatto di cedere all’attrazione di quest’ultimo, appariva chia-
ramente la coscienza di peccato. Perciò nella conquista spagno-
la delle Indie la tensione tra la fede e il peccato raggiunse livelli
molto alti, anche a livello sociale e pubblico.
Nei nativi di queste terre la verità rivelata, sebbene ovviamen-
te riferita principalmente al mondo superiore, quello del divino,
appariva tuttavia sempre in relazione con la realtà temporale, di
questo mondo, in cui si svolge la vita attuale, costantemente in-
certa. Vale a dire che la realtà temporale, creata e condotta da Dio, era
vista come la strada voluta da Lui per giungere all’incontro con Lui»
(R. TELLO, Ubicación histórica del cristianismo popular, inedito, 1992,
nn. 496-497).

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110 III. Il testo base: Il cristianesimo popolare…

to a Dio, essa è amicizia tramite la quale speriamo


da Lui la comunicazione della sua vita che è la nostra
perfetta felicità. In quanto all’uomo, la carità richie-
de un’unione di affetto con il prossimo, dato che l’a-
more di Dio si estende a tutti senza escludere alcuno.
Questa carità, che è l’amore stesso di Dio, viene da
Lui perché «è stato riversato nei nostri cuori per mez-
zo dello Spirito Santo» (Rm 5,5). È un amore di ami-
cizia pieno e perfetto. Dio, permettendo all’uomo di
partecipare dell’amore divino, stabilisce un’amicizia,
che è amore reciproco e comporta una certa comuni-
cazione: Dio ci comunica la sua vita.
Questo amore raggiunge tutti gli uomini, perché
sono figli di Dio ed essi stessi sono amati da Dio.12
Dio è la ragione ultima dell’amore per il prossimo, e
l’atto con cui si ama Dio è della stessa specie dell’a-
more per il prossimo.13 È impossibile che l’uno si
dia senza l’altro: sono strettamente uniti e crescono
insieme. Sarebbe scorretto ritenere che l’essere uma-
no debba avere due amori: uno per Dio (vita con-
templativa) e l’altro per il prossimo (vita attiva). «C’è
un unico amore cristiano che si apre o si sdoppia in
amore per Dio e per il prossimo» (n. 19).
Ciò che abbiamo appena detto si può riassumere
nel seguente passaggio:

Pertanto per l’unione con Dio, vocazione di tutti gli


uomini esistenti, non basta l’amore naturale per gli
altri uomini, la filantropia, per quanto essa possa es-
sere generosa (salvo che si tratti di affetto implici-
to di una vera carità), e non basta l’amore giusto né
quello vero (com’è stato spiegato sopra).
Non basta nemmeno un amore di semplice benevo-
lenza – volere il bene per l’altro, anche disinteressata-

12
Cfr. ST II-II q44, a2.
13
Cfr. ST II-II, q25, a1.

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Alcune nozioni relative alla carità… 111

mente – e nemmeno la beneficenza, l’elemosina, né


l’«assistenza», né la «promozione».
Per giungere a Dio è richiesta la carità che è amore di
amicizia per Dio e in Lui per il prossimo, ed è cosa
necessaria. (N. 21)

Riguardo alla relazione tra amore per Dio e amore


per il prossimo si può aggiungere che nell’ordine della
dignità viene per primo l’amore di Dio. Ma, nell’ordi-
ne storico, l’esercizio dell’amore del prossimo – esisten-
te tramite l’amore di Dio – viene prima dell’amore per
Dio. A ciò si aggiunga che l’amore di Dio si perfeziona
tramite l’amore del prossimo.14 A questo riguardo Tello,
per spiegare il punto, si rifà a due passi evangelici: 1Gv
3,17 e Mt 25,31-46. La prima Lettera di Giovanni ci in-
segna che l’amore per il prossimo dà la prova dell’amo-
re per Dio: «Ma se uno ha ricchezze di questo mondo e,
vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio
cuore, come rimane in lui l’amore di Dio?» (1Gv 3,17).
La regola aurea della condotta umana, stabilita dai Van-
geli, è che dobbiamo trattare gli altri così come deside-
riamo esserne trattati (cfr. n. 24). Ciò trova la sua mas-
sima realizzazione in Cristo immedesimato nei poveri e
nei bisognosi (cfr. Mt 25,31-46). In questo passo evan-
gelico ci si mostra, inoltre, come non sia necessario che
l’amore del prossimo venga praticato con un riferimen-
to esplicito all’amore di Dio: «Signore, quando ti abbia-
mo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o as-
setato e ti abbiamo dato da bere?» (Mt 25,37; cfr. n. 26).
Un’altra tesi del testo consiste nella relazione tra
l’atto di carità e gli altri atti della vita dell’uomo (nn.
53-58). San Tommaso insegna che la carità impera,
cioè dirige tutti gli atti volontari, ed è questo a orien-
tarli verso Dio.
Questi atti conservano la propria specie, restano ciò
che sono (camminare, nutrirsi), ma vengono inseriti

14
Cfr. ST II-II q27, a8.

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112 III. Il testo base: Il cristianesimo popolare…

dalla carità nel movimento verso Dio e restano rivesti-


ti di carità. In tal modo l’atto assunto e la carità che lo
assume compongono una sola azione. La dottrina sul
comando imperativo della carità serve al nostro teolo-
go per rispondere a un’eventuale obiezione avversa al-
la sua posizione, ovvero che il popolo trova Dio non
soltanto negli atti «religiosi» della propria vita, bensì
negli atti della vita quotidiana. Ecco l’obiezione:

Ma questo presenta un’apparente difficoltà: gli atti


d’amore che hanno Dio per oggetto possono essere
atti di carità, mentre gli atti che hanno come ogget-
to qualche necessità della vita non sono atti di carità,
benché essi, se sono ordinati secondo la retta ragio-
ne, potranno essere atti di altre virtù. (N. 52)

All’obiezione Tello risponde così:

È vero, tuttavia diciamo che la difficoltà è apparente,


perché la carità può «imperare», dirigere, altri atti li-
beri umani, e in tal caso l’atto diretto e l’atto impe-
rante sono un solo e medesimo atto morale, di ca-
rità; al punto che san Tommaso afferma che tra essi
rimane soltanto una distinzione di ragione. (N. 52).

Subito dopo tratta di carità e peccato (nn. 60-66).


Il peccato mortale si oppone al fine ultimo dell’esse-
re umano che consiste nella vita felice con Dio. Perciò
qualsiasi peccato mortale distrugge la carità. Ci si sta ri-
ferendo, però, al peccato mortale vero e formale, e bi-
sogna essere cauti rispetto al giudizio su di esso. Esiste
una gran quantità di cause scusanti:

– Alcune relative principalmente al soggetto, sia es-


so di carattere sociale e collettivo oppure di caratte-
re personale: situazione di carenza o necessità di be-
ni o servizi (allacciarsi ai cavi della rete elettrica, per
esempio), o di «piaceri che siano medicine contro

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Alcune nozioni relative alla carità… 113

molti dolori e tristezze» (cfr. ST I-II q31, a5); ambien-


ti di vita (villas miseria); assenza di sicurezza o poli-
zia corrotta; proliferazione, fino a diventare comuni,
di certi mali (mancanza di lavoro, droga eccetera); si-
tuazione generale di ingiustizia, distruzione della fa-
miglia, esistenza nella persona di una doppia co-
scienza (fatto molto comune) e così via.
– Altre relative all’azione o al consenso nei confronti
di questa: consenso provocato con l’inganno, la pau-
ra della violenza; ignoranza del marasma di leggi, de-
creti, norme, disposizioni, editti, regolamenti; molte-
plicità e varietà di autorità; ignoranza delle leggi.
– Altre, infine, relative all’oggetto, la cui valutazione
può essere alterata o dalla cultura che ne giudica in
altro modo, o dall’ordine giuridico sociale vigente
che oggi, molto comunemente, è ingiusto o contrario
alla legge naturale, cosa che lo rende giuridicamente
invalido. (Nn. 62-64)

Tutto questo deve aiutarci nel momento di valutare


la presenza del peccato nella vita del popolo.
Spesso, benché vi sia abbondanza di trasgressio-
ni dell’ordine giuridico e morale, non ci troviamo da-
vanti a un peccato mortale vero e formale, e in defini-
tiva la carità non è stata distrutta.
D’altra parte, il peccato può essere veniale e non
toccare la carità, dato che questa è correlata al fine ul-
timo della vita dell’uomo, mentre il peccato veniale
è un certo disordine riguardo a quelle cose che mira-
no al fine. Pertanto, dall’abbondanza di peccato ve-
niale nel nostro popolo non si può dedurre, in esso,
la mancanza di carità (cfr. n. 66).
Per concludere la prima parte di ciò che attiene al-
la carità – intitolata Nociones generales –, l’autore spie-
ga che la carità è una questione anzitutto di Dio, e
che per Lui il tempo non ha lo stesso senso che per
noi che vi siamo assoggettati. Pertanto la carità va
giudicata secondo il termine finale di un processo.

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114 III. Il testo base: Il cristianesimo popolare…

Al di là della situazione in un punto intermedio


del percorso, occorre guardare alla situazione finale:
«Nel lungo cammino del popolo si danno situazio-
ni di grazia che vanno preparando lo stato di carità
permanente. E ciò accade rispetto alla grazia abitua-
le, e poi rispetto alla grazia della perseveranza finale»
(n. 67).

La carità vissuta nel cristianesimo popolare

La seconda parte di questa sezione (nn. 68-205)


presenta alcune peculiarità proprie della carità vis-
suta nel nostro popolo. Lo fa in primo luogo collo-
candole nel contesto della Rivelazione (nn. 73-96),
per poi considerare alcuni aspetti personali (nn. 97-
116) e comunitari (nn. 117-181) della carità così co-
me la vive storicamente il popolo. Infine, presenta un
riassunto degli elementi dottrinali insegnati, aggiun-
gendo a ciascuno un breve commento pastorale (nn.
182-205).
Tutto questo viene compiuto con un’attenzione
privilegiata a ciò che si prospetta più utile per la pra-
tica reale della pastorale della Chiesa.
Quanto alla Rivelazione, Tello ritiene che il modo
di vivere il cristianesimo – e di conseguenza la carità
– che si riscontra nel nostro popolo segua una linea
che la Scrittura presenta nella letteratura sapienziale e
che è poi assunta dai Vangeli:

La letteratura sapienziale dell’Antico Testamento si


riferisce in maniera immediata alla vita in questo
mondo, e questo aspetto verrà assunto in modo mol-
to particolare dal nostro popolo: infatti, la virtù, la
forza dei piccoli, di quanti sono poca cosa in questo
mondo, e sanno che le grandi cose non fanno per lo-
ro, li fa tendere alle piccole cose della vita, per la vi-
ta (cfr. san Tommaso, In Ethic. 4,8; ed. Marietti 738).

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Alcune nozioni relative alla carità… 115

Questo modo di essere cristiano e non-mondano


del nostro popolo forse risale all’insegnamento del-
lo Spirito Santo nell’Ecclesiaste. Ma bisogna avvertire
che il nostro popolo è stato formato dal Vangelo, tut-
tavia tutti i libri dell’Antico Testamento e anche l’Ec-
clesiaste sono una preparazione per il Vangelo, e que-
sto a sua volta illumina con il suo senso pieno tutti i
libri dell’Antico Testamento, che vengono così elevati
a manifestare aspetti e ricchezze nascosti del Vangelo.
Quando citiamo l’Ecclesiaste stiamo citando il Van-
gelo: il popolo ne coglie alcune ricchezze che noi ri-
conosciamo ed esprimiamo attraverso l’Ecclesiaste.
(Nn.78-79)

Per approfondire le radici rivelate di questo modo di


essere non-mondano e cristiano del popolo viene chia-
mata in causa la sapienza biblica (nn. 73-91). Seguendo
von Rad,15 Rafael Tello insegna che secondo la rivelazio-
ne veterotestamentaria ciò che è buono viene conosciu-
to da un’esperienza umana e comunitaria piuttosto che
dai precetti di una legge: «Il bene […] come un’espe-
rienza quotidiana, efficace, una realtà presente su cui
non vi era da discutere, come non si discute sulla luce o
sull’oscurità. […] È buono ciò che fa del bene; è cattivo
ciò che causa danni. Il bene o il male creano le situazio-
ni sociali».16 È questo modo di conoscere ciò che è buo-
no insegnato dall’Antico Testamento che il nostro popo-
lo possiede e vive.
Più precisamente, l’Ecclesiaste presenta verità che
poi i Vangeli assumeranno e che il popolo percepisce
a fondo:

Le percezioni che il popolo possiede della verità


evangelica e che l’Ecclesiaste annuncia si potrebbero
compendiare forse in quattro proposizioni:

15
VON RAD, La sapienza in Israele, cit.
16
Ivi, p. 78 (citato dal nostro autore al n. 76).

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116 III. Il testo base: Il cristianesimo popolare…

a) Dio crea l’uomo per sé, lo pone in questo mondo


(81);
b) tutto a questo mondo è vanità (82);
c) L’uomo deve vivere qua (84), per mangiare, be-
re, godere, questa è la sua parte, ma sapendo che Dio
gliene chiederà conto;
d) queste azioni non sono «mondane» ma «umane»
e il modo di rispondere a Dio rientra nella sapienza
(86). (N. 80)

Tello afferma che nel Nuovo Testamento risuona que-


sta dottrina insita nella letteratura sapienziale. Soprattut-
to in san Giovanni e in san Paolo. Quest’ultimo vede la
creazione «sottoposta alla caducità» (Rm 8,20). Nel Van-
gelo secondo Giovanni, il concetto di verità non è quel-
lo greco riferito alla conoscenza intellettuale, bensì «l’e-
sperienza di vita, in quanto realtà cosciente e in qualche
modo formulabile, costituisce per l’uomo la verità».17
Inoltre, una delle linee maestre della teologia gio-
vannea è il tema della Pasqua-Alleanza. Esso com-
prende un momento di esodo: il mondo è terra di
schiavitù e Gesù deve uscirne conducendo i suoi.

Affinché il progetto di Dio si compia, l’uomo deve cre-


dere in Cristo, uscire dalla schiavitù con Lui e vivere
con Lui. Un modo di vivere in Cristo è vivere la «pas-
sione». Vale a dire che, come Cristo nella sua condi-
zione di carne «mangiava e beveva», vivono questa vita
soggetti alla morte come realtà quotidiana che opera
già in essi, e per loro è totalmente valida la caratteriz-
zazione della vanità della vita fatta dall’Ecclesiaste.
Vivono morendo – così vivono i poveri di questo
mondo – e questa è la loro parte nel corso dei gior-
ni contati della loro vita che Dio concede loro (Qo
2,3; 5,18; 6,12), l’unica cosa buona è rallegrarsi e cer-

17
MATEOS - BARRETO, Il Vangelo di Giovanni…, cit., p. 20 (citato
dal nostro autore al n. 87).

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Alcune nozioni relative alla carità… 117

care il benessere, perché dopotutto il fatto che un uo-


mo mangi e beva e goda, non è altro che un dono di
Dio (Qo 3,12s.).
In loro Cristo prolunga nel tempo e completa la sua
Passione (così si vede la grande importanza che il
battesimo acquista per i poveri). (N. 88)

Il termine mondo qui non viene assunto come «tea-


tro della storia del genere umano»,18 ma come potere
nemico di Dio che tende a dominare l’uomo. Seguen-
do quanto insegnano Mateos e Barreto nelle voci «Ne-
mico», «Mondo» e «Popolo» dell’opera già citata, il no-
stro teologo spiega che in senso giovanneo a costituire
il mondo è «un gruppo umano che ha per principio ispi-
ratore il profitto, concretizzato nell’ambizione di ric-
chezze e di gloria umana. Questo principio si traduce in
un’ideologia che giustifica il dominio e lo sfruttamento
degli altri e si oggettiva in una struttura sociale (questo
ordine, l’ordine del mondo)» (n. 90).

In questo senso, il nostro popolo povero è non-mon-


dano e si sente aggredito dal mondo. Ciò potrebbe spie-
gare la distanza che spesso mantiene da alcune isti-
tuzioni e da alcuni rappresentanti della Chiesa che si
mostrano vicini al potere di questo mondo:

Il nostro popolo povero cristiano è non-mondano


[…]. Forse risiede anche qui la ragione per cui – pur
senza condannarli – «sente» alcuni sacerdoti e diri-
genti della Chiesa come potere di «questo mondo» e,
se non ne ha bisogno, se ne tiene lontano (se ne ha
bisogno a volte ricorre alla loro influenza sociale per
ottenere qualche bene di questa vita). (N. 91)

A coronamento della riflessione biblica viene posto


qualche breve punto in cui l’autore rimarca alcune re-

18
GS 2.

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 117 10/03/15 11.12
118 III. Il testo base: Il cristianesimo popolare…

lazioni tra la povertà e la carità vissuta (nn. 92-96). Ri-


badisce il valore evangelico della povertà, poiché Cristo
stesso si è fatto povero, ha chiesto povertà ai suoi segua-
ci e si è identificato a tal punto con i poveri da afferma-
re che chi avesse fatto del bene a qualche bisognoso sta-
va facendolo a lui.
Tello quindi tratta alcuni temi che si ricavano dal-
la ricerca della crescita della carità nel popolo. L’esse-
re umano è chiamato all’unione con il Sommo Bene,
che è Dio, ed essa si ottiene tramite la carità. L’azione
pastorale deve aiutare le persone a crescere nella cari-
tà per guadagnare l’unione. Poiché l’uomo è un esse-
re sociale, la crescita ha non soltanto una dimensione
personale (nn. 97-116), ma anche una dimensione
comunitaria (nn. 117-181).
Quanto alla carità personale, il nostro teologo
tratta anzitutto il tema del merito (nn. 100-104). È
Dio a determinare in che modo sarà data la grazia.
Ci sono due modi fondamentali: per pura misericor-
dia, vale a dire senza che vi sia prima stato alcunché
nell’uomo, oppure quando in precedenza vi sia stata
qualche opera buona, che può essere di carità o sen-
za carità. Ciò si comprende meglio se si pensa che
benché siamo soggetti al tempo e guardiamo il futu-
ro dal passato e dal presente, Dio invece vede tutto –
passato, presente e il termine di ciò che deve avveni-
re – simultaneamente, e ciò che egli principalmente
vuole è il termine. Ciò che precede il termine viene
voluto subordinatamente. Da qui l’importanza del-
la grazia della perseveranza finale nella vita di ogni
persona.
Il popolo crede profondamente che Dio dia la sua
grazia secondo la sua volontà e confida nella fedel-
tà e nella misericordia divina. Insieme a ciò relativiz-
za il valore dell’azione umana tesa a ricevere la gra-
zia. A differenza di quanto accade in altri ambienti,
per i poveri il pelagianesimo non è una tentazione
frequente.

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 118 10/03/15 11.12
Alcune nozioni relative alla carità… 119

Proseguendo nella dimensione personale della ca-


rità, ne tratta come amore di amicizia (nn. 105-108).
Si tratta di un amore di benevolenza reciproca tra di-
suguali, Dio e l’essere umano. Il popolo lo compren-
de e non vede tanto Dio come Essere trascendente,
bensì come Qualcuno vicino alla sua vita.
Bisogna anche considerare che questo amore di
amicizia non è incompatibile con il timore della pe-
na o timore servile (temuto in quanto danno del pro-
prio bene).19 Spesso il popolo ama Dio e teme le pene
che Egli potrebbe inviargli. Il fatto che il popolo tema
i castighi che Dio potrebbe inviare non significa che
sia privo di carità. Al tempo stesso, il superamento di
un tale timore servile è auspicabile, ma esso non si cu-
ra con «formazione intellettuale», bensì accrescendo
la carità che induce l’uomo a preoccuparsi meno di sé
stesso e a confidare maggiormente in Dio. E la carità a
cui il popolo è più incline è quella che si prende cura
delle necessità concrete degli altri. È quel tipo di azio-
ni che la pastorale deve favorire (cfr. n. 107).
A ciò si aggiunge il fatto che i membri del popo-
lo frequentemente amano molto animali e piante.
Un simile affetto può essere carità teologale; infatti in
virtù di questa si possono amare le creature irraziona-
li come beni che vogliamo per altri (o per noi).20
D’altra parte bisogna tener conto del fatto che la
carità richiede un’unione di affetto. Non è soltan-
to beneficenza: «Le organizzazioni per dare o distri-
buire beni caritativamente devono saper mantenere e
trasmettere il retto ordine: l’affetto o unione d’amore
viene prima del fatto di dare» (n. 112).
Infine, l’autore offre alcune interessanti applicazio-
ni della dottrina dell’imperio della carità, alla quale
abbiamo precedentemente accennato.21 Questa vir-

19
Cfr. ST II-II q19, a6.
20
Cfr. ST II-II q25, a3.
21
Vedi supra, p. 105 e ss.

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 119 10/03/15 11.12
120 III. Il testo base: Il cristianesimo popolare…

tù teologale prende qualsiasi atto volontario e lo con-


forma per l’unione con Dio, facendosi un unico at-
to morale con esso. Se pensiamo questo nella vita del
popolo, possiamo trarne molte conclusioni illumi-
nanti per l’azione pastorale. Il nostro teologo ne evi-
denzia alcune e ci invita a considerare:

a) Che la carità ha una enorme forza virtuale di di-


rezione che perdura finché [l’atto di carità] non sia
stato esplicitamente o implicitamente revocato, per
quanto remoto possa essere.
b) Che si applica agli atti di qualsiasi virtù, e le virtù
morali umane si determinano a partire dal bene co-
mune vero scelto da ogni popolo, sicché può accade-
re che ci siano atti davvero virtuosi che il sacerdote
non sappia riconoscere come tali.
c) Che si può applicare a tutti gli atti umani volontari
della vita, anche a quelli connaturali (amare i figli o
i genitori, per esempio) e a quelli facili (servire il vi-
cino, voler bene al tifoso della stessa squadra), anche
se in essi non c’è alcuna particolare difficoltà.
d) Che tra questi atti si annoverano tutti quelli che
comportano la convivenza e il servizio delle tante co-
munità in cui l’uomo è inserito.
3) E anche gli atti che mostrano uno «sviluppo» nella
vita (per esempio, avere la televisione). (N. 114).

La fede del popolo in altri scritti di Tello

Prima di concludere questo capitolo – che mo-


stra il contesto prossimo della sezione che seguirà nel
prossimo – ci pare conveniente avvertire che la que-
stione della fede del popolo è assai presente anche in
altri scritti del nostro autore. Come sapranno i letto-
ri che si sono già accostati all’opera di Tello, nel suo
pensiero questo tema è piuttosto ricorrente. Lo si può
vedere sia nelle testimonianze di chi l’ha ascoltato

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 120 10/03/15 11.12
La fede del popolo in altri scritti di Tello 121

nella fase pubblica della sua vita,22 sia scorrendo ciò


che ha scritto nel suo periodo di nascondimento.23
Nella sua costante intenzione di fondare l’azione
evangelizzatrice, Tello cerca di comprendere teologi-
camente come si vive la fede nel popolo, per trovare
i percorsi che possano rafforzarla. Più ancora, possia-
mo dire che la sua tesi riguardo l’esistenza di un ve-
ro cristianesimo vissuto in maniera peculiare dal po-
polo latinoamericano trova uno dei suoi fondamenti
nel considerare la fede come ciò che fa sì che una
persona sia cristiana. Per spiegare il cristianesimo po-
polare, va alla radice di ciò che significa essere cristia-
no e ribadisce che a definirlo è la fede.

Il cristianesimo nella sua forma propria e completa è


costituito dalla carità infusa, ma il suo principio è la
fede in Cristo, sicché si può dire in verità che chi cre-
de in Cristo – tanto più se è visibilmente incorporato
alla Chiesa mediante il battesimo – è cristiano, anche
se trovandosi in peccato grave non ha la carità, ovve-
ro il cristianesimo vivo (cfr. Dz 838).24

Deriva da qui l’interesse a presentare come il nostro


popolo vive la fede, che Tello manifesta nei suoi vari

22
Vedi la testimonianza di padre Lorenzo Esteva che abbiamo
citato a p. 38.
23
Oltre che nel nostro testo base, troviamo spiegazioni sulla
fede in R. TELLO, La nueva evangelización. Escritos teológicos pasto-
rales, Agape, Buenos Aires 2008, pp. 47-52; Fundamentos de una
Nueva Evangelización, inedito, 1988, nota 61; Nota (g): La pastoral
popular, inedito, 1990, nn. 408s; Ubicación histórica del cristianismo
popular, cit., nn. 519s; La fe de los más pobres, inedito, 1997; Breve
fundamentación de las peregrinaciones y misiones con la Virgen, pub-
blicazione per uso interno della Cofradía de Luján (versione ori-
ginale del 1999), 2004.
24
R. TELLO, El cristianismo popular según las virtudes teologales: La
Fe, pubblicazione per uso interno della Cofradía de Luján (ver-
sione originale del 1996), 2006, n. 7. Sul valore della fede non
informata dalla carità, vedi infra, p. 195 e ss.

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122 III. Il testo base: Il cristianesimo popolare…

scritti. Fra tutti abbiamo scelto El cristianismo popular se-


gún las virtudes teologales perché è il testo in cui ne trat-
ta più sistematicamente e in connessione diretta con le
altre due virtù teologali. Non abbiamo riscontrato dif-
ferenze sostanziali nel modo in cui questo tema viene
presentato nelle diverse circostanze. Vi è costante appli-
cazione delle nozioni del trattato sulla fede della Somma
teologica e della quaestio 14 del De veritate. Spiega il cri-
stianesimo popolare come il modo specifico in cui la fe-
de viene vissuta sotto l’influenza della cultura popola-
re e in cui si accentuano gli aspetti di adesione (credere
Deo) e di tensione verso Dio (credere in Deum), mentre
la conoscenza dell’oggetto materiale della fede (credere
Deum) si mantiene entro i limiti minimi accettabili.
In ogni modo, per questo studio ci rifaremo spe-
cialmente – oltre che al nostro testo base – a Ubica-
ción histórica del cristianismo popular, scritto nel 1992
(quattro anni prima del testo base). In esso Rafael Tel-
lo spiega le origini storiche del cristianesimo popola-
re e presenta la differenza che intercorre tra il modo
in cui gli spagnoli vivono la fede e il modo in cui la
vivono gli indios convertiti, come una disparità di ac-
centi nei momenti intrinseci dell’atto di tale virtù. Per-
tanto – come nel testo base – spiega dettagliatamente
la triplice formulazione dell’atto di fede e l’influenza
della cultura sull’espressione concreta di questa virtù
teologale. Ma in El cristianismo popular según las virtu-
des teologales queste idee vengono presentate in modo
più sintetico, sicché il ricorso a quel testo precedente
ci risulterà utile per esplicitare e identificare lo sfondo
dottrinale di alcune affermazioni.

Conclusione

Fin qui abbiamo presentato sommariamente il te-


sto che abbiamo scelto come base per il nostro stu-
dio. Vi si prospetta una descrizione del cristianesimo

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 122 10/03/15 11.12
Conclusione 123

popolare a partire dal modo in cui vengono vissute


le virtù teologali. Tello concentra il suo sguardo di te-
ologo e di pastore sulla vita del popolo latinoame-
ricano ed elabora – partendo dalla dottrina di san
Tommaso e in sintonia con il Magistero – una spie-
gazione di come questo popolo vive il cristianesimo.
Nel farlo, ha occasione di formulare in termini te-
ologici vari dei vertici più elevati della spiritualità po-
polare. Rispetto alla speranza, sostiene che la vita del
popolo è impregnata di una vera speranza teologale.
Grazie a essa si spera da Dio la vita eterna, ma si spe-
rano anche – da Dio e dagli uomini – cose per questa
vita. I poveri sperano tutto, la loro vita è intessuta di
speranza. Sicché essi, nella lotta quotidiana per vive-
re, nelle loro azioni quotidiane, vivono atti di speran-
za con i quali raggiungono Dio. Per procedere verso
Dio non scelgono la via della negazione del mondo.
Non potrebbero farlo, perché è il mondo stesso a re-
spingerli. Non hanno la tentazione di «servire due
padroni» (Mt 6,24), perché uno dei due li disprezza.
Per questo cercano e apprezzano le cose materiali di
cui hanno bisogno per vivere e, quando le hanno, le
prendono come ricevute dalle mani di Dio, agendo
con grande libertà nei loro confronti. Ciò fonda una
spiritualità che non separa il sacro dal profano, anzi ri-
conosce ciò che è divino incarnato nella temporalità
della vita quotidiana.
Abbiamo visto anche come nell’opinione di Tello
questo modo di vivere le virtù teologali si trovi in con-
tinuità con la spiritualità proposta dall’Ecclesiaste e in
qualche modo assunta nei Vangeli. Si tratta di un mo-
do di vivere non-mondano, che apprezza intensamen-
te la vita di questo mondo ma sa che essa è soggetta al-
la vanità. Il popolo trae felice godimento dalle piccole
cose della vita, come mangiare e bere, e per quanto le
sofferenze abbondino mantiene intatta la sua capaci-
tà di fare festa. Ha una sapienza di vita che l’aiuta a go-
dere di questa vita sapendo che Dio ne chiederà conto.

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 123 10/03/15 11.12
124 III. Il testo base: il cristianesimo popolare

Quanto al modo di vivere la virtù della fede, ab-


biamo incontrato due nuclei tematici che articola-
no la prospettiva dell’autore e attorno ai quali orga-
nizzeremo la seconda parte di questo libro. In primo
luogo abbiamo detto che la condizione di possibili-
tà dell’esistenza di un cristianesimo popolare è che
sia possibile vivere la fede in modo diverso in diversi
ambiti culturali. Quindi il primo passo per spiegare
questa fede sarà analizzare l’influsso che una cultura
può esercitare sul modo di viverla. Inoltre abbiamo
detto che il nucleo dell’argomentazione si svolge pre-
sentando l’analisi delle tre dimensioni dell’atto di fe-
de: credere Deo, credere Deum e credere in Deum. Qui
le caratteristiche peculiari della fede del popolo ven-
gono spiegate come diversi accenti di ciascuno de-
gli aspetti dell’atto di fede. A coronamento di questa
dottrina sulla fede vissuta nel cristianesimo popola-
re, troviamo l’argomentazione sul ruolo privilegiato
che la Vergine Maria ricopre nella spiritualità popo-
lare. Il popolo trova in Lei una via direttissima verso
Dio. Tello sostiene che attraverso questi cinque seco-
li di cristianesimo nelle nostre terre il popolo è anda-
to conoscendola profondamente e che questo rappre-
senta un tesoro originale per la Chiesa universale.
Siamo dunque sulla soglia della seconda parte di
questo lavoro. Quanto abbiamo fatto fin qui è servito
a esporre sommariamente le proposte globali dell’au-
tore e i principali temi di El cristianismo popular según
las virtudes teologales. Nella seconda parte approfondi-
remo i temi riguardanti la fede secondo i due cardini
che abbiamo incontrato in quel testo.

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SECONDA PARTE

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INTRODUZIONE
alla Seconda parte

L’obiettivo di questo libro è approfondire l’inse-


gnamento di Rafael Tello sul modo in cui si vive la
fede nel cristianesimo popolare latinoamericano. Ab-
biamo già completato la prima tappa, in cui ci pro-
ponevamo di rendere familiari al lettore alcune delle
tesi di questo originale teologo. Nel capitolo I abbia-
mo presentato a grandi linee le sue opzioni teologi-
che e storiche. Abbiamo coronato questo sforzo nei
due capitoli successivi, in cui abbiamo percorso gli
insegnamenti che egli propone in El cristianismo po-
pular según las virtudes teologales e in due scritti pre-
cedenti. In questo modo abbiamo già assodato che
ci troviamo davanti a un teologo argentino che, sul-
la scorta di una sincera fedeltà alla tradizione della
Chiesa, ci offre una spiegazione teologica sul modo
di vivere la fede cristiana che predomina tra i più po-
veri dell’America Latina.
È giunto il momento di addentrarci nell’insegna-
mento specifico del nostro testo base sulla virtù della
fede vissuta nel cristianesimo popolare. A questo fi-
ne prenderemo i due elementi centrali che abbiamo
trovato nello scritto e li svilupperemo in altrettanti
capitoli.
In primo luogo – nel capitolo 4 – cercheremo di
fondare teologicamente la validità di una fede vissu-
ta secondo il modo della cultura popolare latinoame-
ricana. La fede, come vedremo, così come essa si dà
in un uomo concreto, comporta sempre un elemen-
to culturale che le è provvisto dall’ambiente storico
in cui si sviluppa. È così che la cultura influenza ne-
cessariamente il modo di vivere la fede. Pertanto è lo-

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128 Introduzione alla Seconda parte

gico pensare che tra i nostri poveri questa virtù teolo-


gale si manifesti con tratti propri. D’altra parte ogni
cultura è dinamica e comporta un processo di tra-
smissione alle nuove generazioni. In questo processo
– insieme ad altri elementi culturali – viene trasmes-
sa la fede, sicché si può dire che il popolo evangelizza il
popolo.
Nel capitolo successivo presenteremo la parte più
speculativa del nostro testo base. Per dimostrare co-
me le espressioni di fede che i nostri poveri vivono
costituiscano un vero cristianesimo, il nostro teologo
analizza i tre aspetti dell’atto di fede (credere Deo, cre-
dere Deum, credere in Deum), e a partire da qui spiega
come tale virtù viene vissuta nella cornice della cultu-
ra popolare. Cercheremo di riportare e di approfon-
dire questo insegnamento così come lo presenta l’o-
pera che abbiamo scelto.
Concludendo il capitolo V, studieremo l’insegna-
mento di Tello riguardo al posto della Vergine nella
spiritualità popolare. Sul tema esistono molte obie-
zioni, secondo cui il popolo vivrebbe una fede «de-
formata» perché attribuisce una preminenza inade-
guata alla Madre del Signore. Tello invece non crede
che l’intenso affetto che i poveri riservano alla Ma-
donna sia inappropriato. Al contrario, considera che
essi, con un amore così intenso, stiano mostrando –
certo per grazia di Dio – una verità di fede molto im-
portante: la Vergine Maria è indissolubilmente unita a
Cristo.
Infine, a modo di conclusione, cercheremo di pre-
sentare in modo articolato le principali idee svilup-
pate nell’intero arco dell’opera.

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IV
LA FEDE SI VIVE IN UNA CULTURA

Il modo in cui i cristiani vivono la fede


è anch’esso permeato dalla cultura
dell’ambiente circostante.
(Giovanni Paolo II, Fides et ratio 71)

Introduzione

Gesù Cristo ha affidato alla Chiesa la missione di


evangelizzare. Da venti secoli essa annuncia la reden-
zione di Cristo a tutti i popoli della terra. Ma il Van-
gelo viene accolto tramite la fede, che è un dono di-
vino; soltanto se è mosso dalla grazia il cuore umano
può accettare questo Dio-amore che gli si rivela. La
fede è anzitutto un dono, frutto della condiscenden-
za divina che si fa incontro all’uomo.
Questo dono è stato sparso da Dio a piene mani
inoltre duemila anni di cristianesimo. Innumerevoli
quantità di popoli hanno ricevuto la grazia della fe-
de e l’hanno fatta fiorire nelle loro vite quotidiane
secondo i loro particolari modi culturali. Così è ac-
caduto anche nelle nostre terre, in cui a partire dal
dono della fede è nato un nuovo popolo con uno sti-
le esistenziale carico di valori evangelici.
In questo capitolo ci proponiamo di seguire alcu-
ni dei sentieri che questa relazione tra la grazia del-
la fede e la cultura popolare latinoamericana offre al-
la riflessione teologica. In primo luogo presenteremo,
basandoci sulla dottrina dell’ultimo Concilio che ci
mostra come la cultura sia intimamente unita alla na-
tura, la riformulazione che Tello esprime dell’assio-
ma scolastico la grazia presuppone la natura in la grazia
presuppone la cultura. La fede – pur restando l’unica fe-
de rivelata da Dio in Gesù Cristo – ha un elemento

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130 IV. La fede si vive in una cultura

culturale che fa sì che essa venga vissuta in modi di-


versi nelle diverse culture.
Quindi rifletteremo sul processo di trasmissio-
ne proprio della cultura popolare e dell’evangelizza-
zione che è implicito in questa dinamica, e che viene
brillantemente sintetizzato nel lemma il popolo evan-
gelizza il popolo.
Chiude il capitolo una breve conclusione nella
quale ricapitoleremo i vari elementi presentati.

La grazia presuppone la cultura

Nozione di cultura

Il Concilio Vaticano II insegna che la cultura è lo


«stile di vita comune» di un gruppo umano e ha la
sua origine nel «diverso modo di far uso delle cose,
di lavorare, di esprimersi, di praticare la religione e di
formare i costumi, di fare le leggi e creare gli istituti
giuridici, di sviluppare le scienze e le arti e di coltiva-
re il bello».1
La teologia latinoamericana, specie in Argentina,
accoglie con entusiasmo questa categoria conciliare
e l’applica per pensare la propria realtà. Ciò si riflet-
te particolarmente in Puebla, dove i vescovi assumo-
no il richiamo di Paolo VI ad affrontare il compito
dell’evangelizzazione della cultura2 e riformulano la
definizione offerta da Gaudium et spes per presentar-
la nel quadro della vita del popolo latinoamericano:

Con la parola cultura viene indicato il modo parti-


colare con cui, in un popolo, gli uomini coltivano i
propri rapporti con la natura, tra di loro e con Dio
(GS 53b), in modo da poter raggiungere «un livello

1
GS 53.
2
Cfr. EN 20.

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La grazia presuppone la cultura 131

di vita veramente e pienamente umano» (GS 53a). È


lo «stile di vita comune» (GS 53c) che caratterizza i
diversi popoli: perciò si parla di «pluralità di culture»
(GS 53c; cfr. EN 20).
Così intesa, la cultura abbraccia la totalità della vita
di un popolo: il complesso dei valori che lo animano
e dei disvalori che lo debilitano e che, essendo con-
divisi da tutti i membri, li riunisce in base a una stes-
sa «coscienza collettiva» (EN 18). La cultura abbrac-
cia pure le forme attraverso cui quei valori o disvalori
si esprimono e si configurano, cioè i costumi, la lin-
gua, le istituzioni e le strutture della convivenza so-
ciale, quando non sono impedite o represse dall’in-
tervento di altre culture dominanti.3

La categoria di cultura, così come Gaudium et spes la


presenta e Puebla la fa propria, nella proposta di Tel-
lo è un cardine: infatti per lui l’uso pastorale che di que-
sto concetto viene fatto è una «intuizione ricchissima del
Concilio, ovvero un fecondo orientamento dello Spirito
Santo per tutta la Chiesa contemporanea».4 Come abbia-
mo detto nei capitoli precedenti, il nostro autore artico-
la la sua proposta attorno al concetto di popolo concre-
tizzato nel popolo storico latinoamericano. Tanto è vero
che si può dire che «il suo maggiore sforzo di riflessione
si orienta al riconoscimento dell’esistenza di un popolo
con la sua propria cultura, che vive cristianamente».5
È la cultura a caratterizzare lo stile di vita di questo
popolo, a costituirne l’ambiente storico. Poiché si
tratta della cultura di un concreto soggetto storico,
non la considera una realtà oggettiva e astratta, bensì

3
DP 386-387.
4
R. TELLO, «Nota (e). Cultura y Pueblo», in ID., Pueblo y Cultu-
ra I, Patria Grande, Buenos Aires 2011, n. 13.
5
O. ALBADO, «Volverse al hombre concreto. Una aproxima-
ción a la cultura popular en la teología del padre Rafael Tello», in
Vida pastoral 283 (2010) 7.

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132 IV. La fede si vive in una cultura

un principio dell’attività umana che è costantemente


soggetto al divenire storico.
Tello distingue tra cultura oggettiva e cultura sog-
gettiva. La prima comprenderebbe ciò che l’uomo
produce ma rimane separato da lui, come per esem-
pio un’opera d’arte o tutti i simboli culturali che l’es-
sere umano produce nella sua convivenza. La cultura
oggettiva comprende anche le molteplici forme in cui
si esprime la religiosità popolare. D’altra parte, cultu-
ra soggettiva sarebbe la cultura che risiede nelle per-
sone concrete, nei loro valori, nel loro atteggiamento
verso l’esistenza. È questo aspetto più antropologico,
che considera la cultura come principio di operazio-
ne, a interessare Tello. A esso si riferisce, soprattutto,
quando parla di cultura.

La cultura tocca quello stesso uomo che è l’agente di


ogni opera o azione umana […]. La cultura è uno sti-
le di vita, un sistema di valori che implica un pecu-
liare modo di agire (cfr. GS 53). La possiamo suddi-
videre in oggettiva o soggettiva (per analogia con ciò
che il papa fa quando parla del lavoro, LE 6s.); quella
oggettiva si riferisce all’opera fatta dall’azione umana
che tuttavia perdura indipendentemente dall’azione,
quella soggettiva riguarda il soggetto agente dell’azio-
ne e a essa mira il concetto espresso più sopra; per
quanto trattando della cultura soggettiva ci si debba
spesso riferire anche a quella oggettiva, ma sempre
per determinare di più la prima.6

Nel capitolo II, presentando alcuni testi che defini-


scono il quadro letterario dello scritto che abbiamo
preso come base, abbiamo avuto l’opportunità di fa-
re riferimento all’uso che Tello predilige della nozio-
ne di cultura applicata alla nostra realtà latinoamerica-

6
R. TELLO, «Anexo XI. Cultura», in ID., Pueblo y Cultura I, cit., n. 2.

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La grazia presuppone la cultura 133

na.7 Per quanto attiene all’evangelizzazione, interessano


tre culture che oggi interagiscono nel popolo latinoa-
mericano: la cultura popolare (che predomina nella gran-
de maggioranza dei poveri), la cultura moderna (che si
dà in prevalenza nelle classi media e alta) e la cultura ec-
clesiale (che viene vissuta nell’ambito delle istituzioni
ecclesiali, parrocchie, movimenti e via dicendo). Tutte
e tre vengono da diversi percorsi storici e si presentano
mescolate nei vari soggetti del popolo. In questo lavoro
ci occuperemo particolarmente della cultura popolare e di
come essa caratterizzi il modo di vivere la fede – e le vir-
tù teologali in generale – di quanti vivono sotto la sua
influenza.

La cultura soggettiva come abito acquisito

L’essere umano, che è un essere sociale per natura,


agisce sempre sotto l’influsso della cultura in cui vi-
ve. Ne deriva i valori su cui edifica la sua vita e da es-
sa impara a mettersi in rapporto con Dio, con le cose
e con gli altri. Costruisce la cultura anche con le pro-
prie decisioni quotidiane e la trasmette alle genera-
zioni successive. L’enciclica Fides et ratio esprime così
questa realtà: «Ogni uomo è inserito in una cultura,
da essa dipende, su di essa influisce. Egli è insieme fi-
glio e padre della cultura in cui è immerso».8 L’influs-
so della cultura non giunge al punto di determinare la
libertà dell’uomo, tuttavia dobbiamo riconoscere che
ne condiziona l’agire.
Per spiegare il modo in cui la cultura – considera-
ta nel suo aspetto più antropologico o soggettivo –
7
Vedi supra, pp. 78 e ss., p. 75 e ss. Per approfondire questo te-
ma cfr. R. TELLO, Evangelización y cultura, inedito, 1996; La cultura
en el Concilio (Nota 2 de: El Pueblo), inedito, 1988; «Nota (e). Cul-
tura y Pueblo», cit.; «Cultura ilustrada y cultura popular», in ID.,
Pueblo y Cultura I, cit.; «Anexo XI. Cultura», cit.
8
FR 71.

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134 IV. La fede si vive in una cultura

influisce sull’operato delle persone, Tello ricorre alla


nozione di abito:

Con lo stesso obiettivo di illuminarne la considera-


zione con i fecondi apporti dell’analisi scolastica – e
in specie tomista –, si può equiparare questa cultu-
ra soggettiva con la dottrina degli abiti acquisiti, ma di
origine sociale, vale a dire di un individuo immerso
in un nucleo sociale storico dal quale prende il siste-
ma di valori e lo stile di vita.9

Seguendo il ragionamento, la cultura influisce sugli


esseri umani come lo fa un abito acquisito. L’ambiente
storico in cui ogni persona vive genera in lei abiti che la
dispongono a operare in una determinata maniera.
L’affermazione della cultura come abito nasce in
Tello dall’analisi che san Tommaso compie di que-
sta categoria. Per il Dottore comune un abito è una
disposizione principalmente spirituale del sogget-
to, che lo orienta più o meno immediatamente a
una certa attività.10 Nella Somma teologica insegna che
«principi intrinseci [degli atti umani] sono le poten-
ze e gli abiti».11 Delle potenze aveva già trattato nel-
la I Pars a proposito delle nature, perché le potenze
fluiscono immediatamente e necessariamente dal-
le nature. Invece gli abiti non ineriscono immediata-
mente alle nature; la loro origine è diversa da quella
delle potenze. Gli abiti «sono come il luogo imma-
nente a ogni uomo di tutte le influenze che questi su-
bisce: influenza su sé stesso tramite il sedimento che

9
TELLO, «Anexo XI. Cultura», in ID., Pueblo y Cultura I.
10
Il trattato generale sugli abiti si trova in ST I-II q49-q54.
Inoltre, sulla nozione di abito, G. LAFONT, Estructuras y método en
la Suma Teológica de Santo Tomás de Aquino, Rialp, Madrid 1964,
pp. 227-232; D. BASSO, Los principios internos de la actividad mo-
ral. Elementos de antropología filosófica, Centro de Investigaciones
en Ética Biomédica, Buenos Aires 1991, pp. 91-157.
11
ST I-II, q49, Proemio.

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La grazia presuppone la cultura 135

il nostro stesso operare lascia in noi; influenza dei


fatti. Degli altri, della razza, di Dio eccetera».12 Non
tutto ciò che un essere umano vive esercita su di lui
una vera influenza, ma ci sono fatti che lo «segnano»,
che lasciano traccia. È tutto ciò che modifica la nostra
personalità – e pertanto influisce sul nostro operare
– a costituire l’abito. Lafont lo definisce lo strumen-
to di assimilazione delle influenze esteriori: «Ciò che
è esteriore condiziona profondamente l’atto umano,
ma nella misura esatta in cui in qualche modo vie-
ne assimilato dalla personalità di ogni uomo; lo stru-
mento di questa assimilazione è l’abito».13
L’abito si trasforma in un principio di operazione
che fa sì che l’uomo realizzi determinati atti con na-
turalezza, con facilità, con prontezza, con piacere. È
una specie di seconda natura. Quando l’abito inclina
a porre un atto buono, che perfeziona la natura, sia-
mo davanti a una virtù. Secondo Aristotele, «la virtù
rende buono chi la possiede, e buona l’azione che egli
compie».14 Ricordiamo che si tratta di un principio spi-
rituale, che nasce dall’aver interiorizzato le influenze
esteriori, pertanto l’atto che ne deriva è un atto libero.
La nozione di abito è per san Tommaso – nella
Somma teologica – come «un principio di sintesi che gli
permette di personalizzare le molteplici influenze che
concorrono nell’attività umana».15 L’Angelico ha sfrut-
tato con fecondità il valore analogico di tale concetto
attraverso trasposizioni inaudite per l’aristotelismo, e
l’ha usato con grande ampiezza. Fra altre cose, sono
abiti: le virtù, la grazia, i doni dello Spirito Santo, la
legge naturale, lo stato morale di indurimento, il re-
taggio del peccato originale e la legge evangelica.16

12
LAFONT, Estructuras y método en la Suma Teológica…, cit., p. 228.
13
Ivi, p. 229.
14
ST I-II q56, a1, arg2.
15
LAFONT, Estructuras y método en la Suma Teológica…, cit., p. 231.
16
Cfr. ivi, p. 229.

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136 IV. La fede si vive in una cultura

Seguendo questo spirito, il nostro autore ricrea


la dottrina dell’abito intendendola non soltanto nel
suo aspetto personale, ma anche nella sua dimensio-
ne comunitaria, conferendo agli atti umani una den-
sità storico-sociale che culmina nella configurazione
di una determinata cultura. La distinzione è sottile,
ma di enorme importanza: infatti Tello sta mettendo
in evidenza che i modi culturali non vengono forma-
ti principalmente dalle pulsioni inconsce o dall’og-
gettività delle opere, bensì dall’uomo come sogget-
to spirituale, il quale genera liberamente condizioni
sociali che gli permettono di vivere in questo mon-
do. La cultura è, pertanto, un fatto storico, spiritua-
le e libero.
In questo modo Tello applica la nozione di abi-
to per spiegare l’incidenza della cultura sull’operare
umano. Questa – il sistema di valori che regolano la
vita di una comunità – funziona come un abito ac-
quisito dall’uomo, frutto dell’influenza del suo entou-
rage sociale, che lo dispone a porre un atto concorde
con i valori di quella cultura. Come abbiamo appena
spiegato, un abito acquisito facilita ma non obbliga ad
agire in una determinata maniera. Per questo la cul-
tura influisce decisivamente sulla libertà delle perso-
ne, ma non la determina.

La cultura si stabilisce come un uso, abitudine o abi-


to sociale, anche interiorizzato o fatto proprio dal
soggetto particolare o singolare che opera (associa-
zione o persona), ma questi resta libero, sicché può
agire correttamente in un caso particolare al di fuori
dell’abitudine culturale, o contro di essa. E anche nel
caso in cui un’azione del soggetto fosse direttamen-
te contraria all’abito stabilito dalla cultura, non per
questo esso sparirebbe; infatti un atto isolato non di-
strugge un abito fermamente stabilito.17

17
R. TELLO, Pueblo, historia y pastoral popular, inedito, 1994, n. 71.

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La grazia presuppone la cultura 137

Questo concetto aristotelico-tomista ci consente di


spiegare fruttuosamente la relazione tra fede e cultura,
poiché, da un lato, la cultura s’interiorizza nelle perso-
ne sotto la forma di abiti, e dall’altro la fede è un abi-
to, dato che ogni virtù è un abito operativo buono.18 Per
il nostro autore, «è evidente che la cultura influisce sulle
virtù, poiché entrambe guardano all’operare; le virtù a
operare bene ciò che è buono, la cultura al modo in cui
si opera, al modo in cui si fanno le cose (cfr. GS 53)».19

La fede è un dono divino e un atto umano

Rispetto alle virtù teologali, occorre considerare


che esse sono un dono divino, ma che posseggono
anche una componente umana. La persona umana è
chiamata a una beatitudine che trascende la sua na-
tura, e «l’uomo può raggiungerla con la sola potenza
di Dio, mediante una partecipazione della divinità».20
L’aiuto necessario per la salvezza è la grazia sopran-
naturale che orienta l’essere umano oltre l’orizzonte
naturale e gli permette di arrivare a Dio stesso.21 Le
18
Cfr. ST I-II q55, a3.
19
R. TELLO, Anexo XVIII a Epístola apostólica sobre el jubileo del
año 2000, inedito, 1995, n. 269.
20
ST I-II q62, a1.
21
Seguendo san Tommaso, Tello concepisce l’essere umano su
un doppio piano: quello naturale e quello soprannaturale. Per
san Tommaso l’essere umano è immagine di Dio, e ciò può verifi-
carsi secondo tre gradi: un primo grado naturale, e altri due di or-
dine soprannaturale: la grazia e la gloria. Non si tratta di due ordini
assolutamente separati: fra essi sussiste una continuità che è con-
ferita dalla chiamata di Dio alla beatitudine e dall’apertura che la
natura umana racchiude a essere elevata al soprannaturale. Per-
tanto si considera che qualcuno compia un atto naturale quan-
do questo è un atto proporzionato alla sua natura (sono di que-
sto tipo gli atti delle virtù acquisite). Un atto umano può esse-
re soprannaturale in due maniere: quanto al modo e quanto al-
la sostanza. Soprannaturale quanto al modo è l’atto che ha un og-
getto naturale ma che si raggiunge con un impulso soprannatu-

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 137 10/03/15 11.12
138 IV. La fede si vive in una cultura

virtù teologali sono una delle «forme diverse in cui


la grazia divina si esprime nella complessità dell’es-
sere umano».22 Ogni atto di fede, di speranza o di ca-
rità è mosso dalla grazia divina, la quale aiuta l’essere
umano a porre quell’atto che gli fa ottenere una certa
comunione con Dio. Sicché la grazia è anche un aiu-
to per l’operazione, un aiuto a bene operare. Nel caso
della fede, sarà «una illuminazione e un’attrazione di
Dio affinché l’uomo aderisca, risponda con un sì alla
sua Rivelazione».23
D’altra parte bisogna considerare che la fede – ol-
tre a essere dono della grazia – è un atto umano. La
grazia non annulla la necessità di un atto umano,
bensì lo presuppone e lo eleva. Non nega per nulla
la natura umana: «Infatti la grazia non distrugge la
natura, ma anzi la perfeziona».24 Come recita il noto
principio scolastico, la grazia presuppone la natura. Ma
la natura umana non esiste se non concretizzata nel-
le persone in carne e ossa, le quali non vivono mai in
assoluto isolamento. Un essere siffatto, «dice Aristo-
tele, sarebbe come un animale o come un dio (Pol.
I), ovvero, meno di un uomo o più di esso».25 Il Con-
cilio Vaticano II insegna che la stessa natura umana
richiede la vita in comunità: «La persona umana […]
di natura sua ha assolutamente bisogno d’una vita
sociale. […] La vita sociale non è qualcosa di ester-

rale (per esempio la restituzione miracolosa della vista). Invece è


soprannaturale quanto alla sostanza l’atto il cui oggetto oltrepassa
le facoltà della natura umana perché è di indole soprannaturale.
Questi atti provengono da un principio attivo soprannaturale che
Dio dà all’uomo tramite la grazia (per esempio virtù infuse e do-
ni dello Spirito Santo). Cfr. LAFONT, Estructuras y método en la Su-
ma Teológica…, cit., pp. 276-277; 287-300.
22
Suma de Teología. Tomo III, Bac, 44, nota a.
23
R. TELLO, El cristianismo popular según las virtudes teologales: La
Fe, pubblicazione per uso interno della Cofradía de Luján (versio-
ne originale del 1996), n. 36.
24
ST I q1, ad2.
25
R. TELLO, «Pueblo», in ID., Pueblo y Cultura I, cit., n. 6.

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La grazia presuppone la cultura 139

no all’uomo».26 Ogni essere umano è sempre riferito


a una comunità che ha un modo concreto e partico-
lare di vivere, di usare le cose e di servirsene, sicché
gli atti della sua libertà si danno nel quadro di una
cultura, che influisce inevitabilmente su di essi. Dirà
Giovanni Paolo II:

L’uomo non è fatto per vivere solo. Egli nasce e cre-


sce in una famiglia, per inserirsi più tardi con il suo
lavoro nella società. Fin dalla nascita, quindi, si tro-
va immerso in varie tradizioni, dalle quali riceve non
soltanto il linguaggio e la formazione culturale, ma
anche molteplici verità a cui, quasi istintivamente,
crede.27

Per quanto riguarda la fede, la risposta all’impul-


so divino avviene nel contesto di un ambiente storico
concreto, ovvero «nella preparazione [dell’atto di fede]
collaborano tanto la situazione “naturale” dell’uomo
con la sua educazione e con il suo ambiente, quanto
ciò che inculca il Dio che si fa incontro – come luce e
impulso – e ciò che l’uomo coopera con la sua libera
accettazione».28
Pertanto, dal momento che ogni persona non vive
la fede se non sotto l’influsso di una cultura determi-
nata, possiamo dire che l’atto di fede ha – oltre al do-
no divino – una componente culturale. Fondandosi
su Gaudium et spes, la quale dice che «natura e cultu-
ra sono quanto mai strettamente connesse»,29 l’assio-
ma la grazia presuppone la natura può essere riformula-
to come la grazia presuppone la cultura. O, con parole

26
GS 25. Questo punto della Gaudium et spes cita san Tomma-
so, I Ethic. Lez. 1.
27
FR 31.
28
S. PIÉ I NINOT, La Teología fundamental: dar razón de la esperan-
za (1Pe 3, 15), Secretariado Trinitario, Salamanca 20066, p. 203.
29
GS 53.

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140 IV. La fede si vive in una cultura

del nostro teologo, «la grazia presuppone la natura e


la cultura».30
Bisogna inoltre considerare che le virtù teologali
sono il principio della vita cristiana, visto che esse in-
formano le virtù morali da cui dipende tutto l’organi-
smo morale.

[Le virtù teologali] vengono esercitate dall’iniziativa


umana che opera condizionata dalla cultura popo-
lare, ne sono indirettamente impregnate e così colo-
rite misurano, regolano e informano tutto l’organi-
smo delle virtù morali. Ovvero delle forze operative
morali dell’uomo, determinando – secondo l’oggetto
proprio di ciascuna virtù – che cosa, come e in qual
misura qualcosa sia buono o cattivo, vale a dire, sia
un modo di agire conveniente o sconveniente per
quell’uomo concreto.31

In questo modo, se consideriamo che sono la fede, la


speranza e la carità, già colorite dalla cultura popolare,
che fondano l’operare cristiano, dobbiamo conclude-
re che non possiamo giudicare del tutto adeguatamen-
te sulla moralità degli atti se non conosciamo la cultura
in cui essi si sviluppano. «Quando si giudicano le azio-
ni delle persone bisogna tener presente la cultura della
comunità o del popolo in cui agiscono».32

La cultura impregna il modo in cui si vive la fede

Quanto detto in precedenza giustifica l’affermazio-


ne che la fede può essere vissuta in diversi modi se-

30
R. TELLO, Nota (d): Pueblo secular, autónomo y cristiano, inedi-
to, 1990.
31
TELLO, El cristianismo popular según las virtudes teologales: La
Fe, cit., n. 5.
32
Ivi, n. 24.

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La grazia presuppone la cultura 141

condo la cultura dei soggetti concreti che la professa-


no. Il Magistero pontificio lo esprime chiaramente:

Il modo in cui i cristiani vivono la fede è anch’esso


permeato dalla cultura dell’ambiente circostante e
contribuisce, a sua volta, a modellarne progressiva-
mente le caratteristiche.33

Pensare che esista un unico modo culturale di vivere


la fede cristiana equivarrebbe a restringere la ricchezza
della verità evangelica. Tello afferma che non possiamo
prendere il modo in cui una Chiesa particolare pratica
la fede e obbligare altre Chiese a imitarlo come se fosse
l’unico valido.34 Il cristianesimo non può essere vissu-
to secondo un unico modo culturale ma, come insegna
Giovanni Paolo II, «restando pienamente sé stesso, nella
totale fedeltà all’annuncio evangelico e alla tradizione
ecclesiale, esso porterà anche il volto delle tante culture
e dei tanti popoli in cui è accolto e radicato».35 Il Vange-
lo fiorisce in maniere diverse in ogni ambiente storico.
Dio dà la grazia per salvare e quella grazia implica – «si
adatta a» – la cultura di quel popolo. Tello applica que-
sto principio al caso del nostro popolo latinoamericano
nel seguente modo:

La Chiesa è depositaria della fede come essa è stata


rivelata da Dio in Gesù Cristo. Ma la fede poggia su
un soggetto naturale, è anche un atto umano. Pertan-
to nella fede, che è rivelata e soprannaturale, ci sarà
anche un «modo umano» di vivere e praticare questa
fede. Senza questo modo umano che può essere assai
vario, la fede non può esistere.

33
FR 71.
34
TELLO, El cristianismo popular según las virtudes teologales: La
Fe, cit., n. 32.
35
NMI 40.

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142 IV. La fede si vive in una cultura

La fede non esiste se non in un soggetto determina-


to, che possiede la propria cultura. La Chiesa catto-
lica latina vive e pratica la propria fede rivelata con
il suo proprio modo umano culturale. E quella stessa
fede rivelata, la Chiesa orientale la vive con il proprio
modo umano culturale. Anche la Chiesa primitiva ha
avuto il proprio modo umano, diverso da quello del-
la Chiesa attuale.
Il popolo latinoamericano ha ricevuto e possiede
la fede rivelata, vera ma assunta nel proprio modo
umano culturale.36

Come abbiamo notato nella prima parte di questo la-


voro, in America Latina, come frutto dell’annuncio del
Vangelo all’indio e del meticciato fra questi e lo spagno-
lo (al quale più tardi si sono aggregati i neri e quindi
i creoli poveri), nasce un popolo nuovo con una cultu-
ra nuova.37 Puebla descrive questo come una «origina-

36
TELLO, El cristianismo popular según las virtudes teologales: La
Fe, cit., nn. 28-30.
37
Non ci soffermiamo qui su considerazioni riguardo l’unità
o la molteplicità di culture in America Latina. Diciamo soltanto
che Tello afferma che esiste un’unità culturale e che ciò consente
di parlare di un popolo. Ricordiamo che il concetto di cultura ca-
ro a questo teologo fa riferimento ai valori più profondi del nu-
cleo etico-mitico di una comunità. Pertanto, guardando ai popo-
li latinoamericani – che nonostante la pluralità delle loro mani-
festazioni culturali hanno una radice storica comune – si può di-
re che sotto un certo aspetto tutti quei popoli formano un popolo.
Su questa linea, Aparecida dirà che «una e plurale, l’America La-
tina è la casa comune, la grande patria di alcuni popoli fratelli»
(DA 525) e che «non siamo […] una somma di popoli e di etnie
che si giustappongono» (ibidem). Per uno studio migliore riguar-
do all’unità culturale latinoamericana in Tello, cfr. TELLO, «Anexo
XI. Cultura», cit. Si vedano anche ID., Fundamentos de una Nueva
Evangelización, inedito, 1988; «Para ver la presencia del pueblo en
nuestro proceso histórico», in ID., Pueblo y Cultura I, cit., pp. 73-
119; «Nota (e). Cultura y Pueblo», cit.; «Pueblo», cit.; Pueblo, hi-
storia y pastoral popular.

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La grazia presuppone la cultura 143

lità storico-culturale»,38 e lo stesso Giovanni Paolo II,


nell’inaugurare la Conferenza di Santo Domingo, dice-
va che «nei popoli dell’America, Dio ha scelto un nuo-
vo popolo».39 Come già prima tanti popoli nella storia
del cristianesimo, questo popolo nuovo accoglie la fede
cristiana in modo tale da incarnarla nella propria cultu-
ra e da viverla secondo i modi culturali suoi propri. Come
frutto dell’incontro tra la grazia divina e la storia umana
è germogliata una cultura particolare che ha formato un
popolo cristiano.40

Gli uomini riuniti in gruppo, con il loro stile di vi-


ta e la loro scala di valori, danno luogo alla forma-
zione di una cultura, la quale configura il popolo, e
ricevendo quella cultura entrano a far parte di quel-
lo stesso popolo. La fede, la speranza e la carità, doni
gratuitamente ricevuti da Dio, contribuiscono gran-
demente alla formazione della cultura che configura
il popolo, da dove risulta un popolo cristiano.41

Questa maniera peculiare di vivere la fede che si dà


nella cultura popolare – e che si vede di preferenza nei
poveri42 – configura ciò che Aparecida chiamerà una ve-
ra spiritualità popolare.43

38
DP 446.
39
GIOVANNI PAOLO II, Apertura dei lavori della IV Conferenza ge-
nerale dell’episcopato latinoamericano, Santo Domingo, 12 ottobre
1992, 3.
40
Il concetto di popolo cristiano era già utilizzato nella Coepal
per evidenziare l’assunzione della fede da parte di un popolo sto-
rico. Cfr. C. GALLI, La encarnación del Pueblo de Dios en la Iglesia y
en la eclesiología latinoamericanas, Sedoi 125, Buenos Aires 1994,
nota 232, p. 99.
41
TELLO, Anexo XVIII a Epístola apostólica sobre el jubileo del año
2000, cit., n. 160.
42
Cfr. DP 414.
43
Cfr. DA 263. Come abbiamo detto nell’Introduzione, nota 8
a p. 26, su questo tema il Documento di Aparecida è chiaramen-
te influenzato dalla teologia del nostro autore. Per maggiori da-

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144 IV. La fede si vive in una cultura

Secondo Tello questo modo proprio di vivere il cri-


stianesimo che appare in America Latina si genera at-
traverso un processo di differenziazione attraverso cui il
popolo va distanziandosi dalle istituzioni della Chie-
sa, ma continua a vivere la fede che ha ricevuto nel
battesimo:

[Il processo di differenziazione] si dà originariamen-


te – nell’origine del popolo – come una certa presa
di distanza del popolo battezzato nei confronti del-
la Chiesa istituzione. È sostanzialmente il processo
di formazione di una religiosità e di una cultura cri-
stiana popolare che implica un profondissimo senso
della vocazione di Dio a vivere nel mondo.44

Il popolo nascente è un popolo dominato che – ben-


ché prenda la fede dalla Chiesa – non per questo non
la vede come parte del sistema dominante. Il peso del-
la Chiesa nella società coloniale era notevole: i poveri
di allora non potevano non percepirla come responsa-
bile – o, almeno, come legittimatrice – di parte dell’op-
pressione che li schiacciava. Nonostante ciò accettano la
fede che la Chiesa annuncia loro, ma vanno prendendo
una certa distanza da essa senza che ciò equivalga a una
rottura o a una separazione. In questo processo il nuovo
popolo trova un modo nuovo di vivere la fede che ha ri-
cevuto nel battesimo, e che perdura a tutt’oggi:

ti sui diversi termini che il Magistero latinoamericano utilizza per


denominare il modo di vivere la fede proprio della cultura popo-
lare, cfr. E.C. BIANCHI, «El tesoro escondido de Aparecida: la espiri-
tualidad popular», in http://dialnet.unirioja.es/servlet/ dcfichero_
articulo?codigo=3150032
44
R. TELLO, Anexo II a La Nueva Evangelización. La misión huma-
na, inedito, 1986, sommario. Nello stesso scritto dirà più avanti:
«Intendiamo adesso per Chiesa istituzione la gerarchia e tutta la
sua organizzazione, anche l’organizzazione religiosa para-gerar-
chica, quella cioè che prolunga l’azione della gerarchia, e la rete
di opere che ne dipendono» (ivi, p. 4).

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La grazia presuppone la cultura 145

Il popolo – di cultura cristiana (cfr. DP 412-413) –,


e il nostro uomo con esso, si riconosce appartenen-
te alla Chiesa cattolica, ma siccome questa è sempre
stata legata al «mondo» dei conquistatori, stabilisce
una certa distanza perché lui non vive in quel «mon-
do». Riceve ciò che essa elabora e trasmette ai cristia-
ni, ma molte volte non adempie ciò che essa deter-
mina, perché non si adatta al suo mondo reale. E ciò
non implica davvero, né l’uomo sente che implichi,
alcuna ribellione.45

Accettano la fede in quanto è un principio di dignità


e liberazione, ma la vivono secondo il loro proprio mo-
do culturale e da ciò segue che non assumono ciò che
considerano unito al sistema oppressore, sebbene ven-
ga insegnato dalla Chiesa. Ciò può gettare maggior lu-
ce per interpretare meglio alcune situazioni che si dan-
no nella vita del popolo, che si potrebbero vedere come
ribellione, poltroneria, ignoranza o semplicemente pec-
cato. Bisognerebbe vedere se in quei casi non si tratti di
una resistenza a cose – condotte, modelli, luoghi – che
esso scorge come proprie del settore sociale dei domina-
tori. Ne segue:

Che il popolo può respingere o non fare propri con-


dotte o modi di essere o luoghi che sembrino appar-
tenere alle autorità o agli ambienti dei dominato-
ri (per esempio non viene assunta la frequentazione
di certi luoghi o templi, l’esercizio del ministero sa-
cerdotale o certe forme della vita religiosa, l’adempi-
mento di certe pratiche religiose).
Che alcune cose presentate come virtuose possano
venire respinte o guardate con indifferenza, in quan-
to corrispondono al modo di vita e all’organizzazio-
ne sociale di quadri più elevati (fra cui la laboriosità

45
R. TELLO, Anexo I a La Nueva Evangelización. Volverse hacia el
hombre, inedito, 1986, pp. 30-31.

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146 IV. La fede si vive in una cultura

o la dedizione al lavoro, la virtù della giocosità relati-


va al gioco, la virtù della modestia nel vestire e nell’a-
gire, e così via, come queste tante altre).46

Questo processo di differenziazione avviene, storica-


mente, in maniera assai complessa. Tello non trascura
di studiarne le radici storiche; tuttavia qui non scendia-
mo in dettagli per non dilungarci a sproposito.47 Inol-
tre, conviene ricordare che per tradizione familiare egli
aveva bene in mente il processo di formazione del no-
stro popolo. Come si è detto nel capitolo I, in gioven-
tù trascorreva lunghi periodi a Yala (Jujuy) con i non-
ni materni. In quei luoghi attraversava le alture a cavallo
facendosi missionario tra i creoli del posto, avvicendan-
do i suoi familiari in una genealogia che risale ai tem-
pi della Conquista. Il nonno, Joaquín Carrillo, era stato
un pioniere della storia della regione e la nonna, Caro-
lina Echenique Altamira, proveniva da quegli Echenique
che discendevano dal fondatore di Córdoba, città di cui
costituivano la famiglia più importante nel XVII secolo.
Per quanto riguarda la maniera specifica di vivere
la fede – oggetto di questo studio –, che nasce da ta-
le processo di differenziazione, possiamo dire che la
differenza principale che il nostro teologo riscontra è
che in questo nuovo modo la fede viene vissuta co-
me «un principio di organizzazione sociale in questa vi-
ta, che si completa o si perfeziona nella salvezza eter-
na».48 Tello su questo punto propone una delle sue
acute intuizioni, affermando che il cristianesimo pro-
veniente dall’Europa aveva un forte lineamento sal-

46
TELLO, La nueva evangelización. Escritos teológicos pastorales,
Agape-Fundación Saracho, Buenos Aires 2008, pp. 58-59.
47
Per studiare il processo storico di formazione del cristiane-
simo popolare, cfr. TELLO, Ubicación histórica del cristianismo popu-
lar, inedito, 1992; La nueva evangelización. Escritos teológicos pasto-
rales, cit., pp. 26-65.
48
TELLO, El cristianismo popular según las virtudes teologales: La
Fe, cit., n. 30.

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 146 10/03/15 11.12
La grazia presuppone la cultura 147

vazionista, ma che qui il popolo prese la fede come


strutturante in questa vita terrena.

Qui si dà, forse, la differenza prima, la più profonda,


la più «radicale». Per la cultura di origine europea, e
spagnola, il cristianesimo era primariamente salva-
zionista; per la cultura indoamericana la religione è
immediatamente strutturante rispetto alla vita, alla
vita degli uomini, e soltanto mediatamente assume
un indirizzo salvazionista, perché la vita degli uomi-
ni ha bisogno di essere salvata.49

Possiamo dire che, a grandi linee, per Tello sussiste un


modo salvazionista di vivere la religione quando si guar-
da, primariamente, immediatamente (senza alcuna me-
diazione) alla salvezza eterna e a partire da lì vengono in-
terpretate le realtà terrene. L’uomo e la sua vita vengono
concepiti dal punto di vista della salvezza. Invece una re-
ligione strutturante la vita sarebbe quella che guarda im-
mediatamente non al fine ma alla vita dell’uomo. La
vita è un mistero che pone infiniti interrogativi e la reli-
gione aiuta a comprenderla, le dà un senso, la struttura.
Per esempio, davanti alla domanda «da dove veniamo?»,
è difficile trovare nella religione popolare qualcuno che
non risponda sulla scorta della religione cristiana, affer-
mando che ci ha creati Dio. Inoltre, l’uomo del popolo
scopre che la vita è imperfetta, che ha necessità di essere
salvata. La salvezza in questo caso appare mediatamente,
ciò a cui la religione guarda è la vita delle persone.50

49
TELLO, Anexo I a La Nueva Evangelización. Volverse hacia el
hombre, cit., nota 19, p. 52.
50
Affermare che il modo di vivere la religione del popolo guar-
da immediatamente alla vita temporale e dopo – mediatamente – si
occupa della salvezza, non è in contraddizione con ciò che dice-
vamo a proposito della speranza vissuta nel cristianesimo popola-
re (cfr. supra, p. 100 e ss.). Lì affermavamo che nell’uomo del po-
polo la speranza della salvezza eterna ha una influenza virtuale sui
suoi atti, ma chiarivamo che ciò non necessariamente si traduce in

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 147 10/03/15 11.12
148 IV. La fede si vive in una cultura

Con la conquista, gli indios subirono la distru-


zione del loro sistema di organizzazione sociale.
Nell’abbandono in cui la nuova situazione di domi-
nazione li relegava, andarono lentamente trovando
un nuovo ordine di vita nel quale fu assunta la fede
cristiana, ma non nel senso salvazionista con cui la
vivevano gli spagnoli, bensì per interpretare la vita da
un punto di vista nuovo apportato dalla fede. Sotto
questo aspetto si può dire che la fede è un principio di
organizzazione sociale:

La fede (predicata in quanto primariamente ordinata


alla salvezza individuale, ma probabilmente praticata
con un’azione missionaria di diverso segno) viene ac-
colta come un principio di organizzazione sociale in que-
sta vita, che si completa o perfeziona nella salvezza
eterna. E pertanto con un profondissimo senso del-
la vocazione cristiana in questo mondo, vale a dire
di vivere in questo mondo, con Dio, cercando di svolge-
re la vita in Lui.51

Come si ricava dal testo, il fatto che la fede sia princi-


pio di organizzazione sociale non significa che il popolo

atteggiamenti che mostrino esplicitamente questa influenza. Dice-


vamo anche che da ciò scaturisce una spiritualità che non vede il
mondo come un mezzo per andare verso Dio, bensì vive in questo
mondo e in esso incontra Dio. Qualcosa di simile si afferma ades-
so – in un’altra ottica – quando si dice che il popolo vive la religio-
ne come strutturante la vita. Il cristiano popolare «sa» (è parte del-
la sua sapienza) che Dio agisce nella storia. Dio è il padrone del-
la vita. Per questo, per rispondere alle grandi domande dell’esisten-
za umana ricorre a verità della fede cristiana e compone un modo
di vivere in cui il divino (Cristo, la Vergine, i santi) è presente nella
vita quotidiana. Come si può vedere, il tema della temporalità ri-
chiederebbe uno sviluppo che qui ci è precluso. Abbiamo menzio-
nato soltanto alcuni versanti correlati al tema di questo libro, nella
certezza che ci sono altre vette da esplorare.
51
TELLO, Anexo II a La Nueva Evangelización. La misión humana,
cit., p. 5 (la prima preghiera di questa citazione viene ripetuta te-
stualmente al n. 30 del nostro testo base, redatto dieci anni dopo).

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La grazia presuppone la cultura 149

viva in una cristianità analoga a quella del Medioevo. La


fede – in un Dio che si fa uomo, che soffre con noi e che
ci lascia una madre – aiuta il popolo soprattutto a orga-
nizzare la vita in questo mondo. Per esempio, la croce di
Cristo offre un prisma fecondo attraverso cui interpreta-
re la sofferenza quotidiana. «È un povero Cristo», dice il
nostro popolo di qualcuno che soffre. La fede cristiana
aiuta in questo caso a trovare un atteggiamento tale da
sopportare i dolori quotidiani. Non dobbiamo dimenti-
care che stiamo parlando del modo in cui pratica la reli-
gione una grande quantità di uomini e di donne segnati
dalle privazioni proprie della povertà e dell’emargina-
zione. Si tratta del cristianesimo di coloro che sono sta-
ti chiamati alla croce, ed è la fede nella croce a contras-
segnare il loro atteggiamento verso il dolore. Il nostro
autore esprime magistralmente la presenza salvifica del
sacrificio di Cristo nella spiritualità dei più poveri.

Dio chiama l’uomo a essere suo figlio e gli concede di


partecipare alla sua vita tramite le virtù teologali. Lo
Spirito di Dio, seguendo il modo proprio in cui viene
dispensata la salvezza, gli insegna, inviandolo ad agi-
re in conformità con Cristo crocifisso, con la co-cro-
cifissione. Fatto figlio e liberato muore ogni giorno, e
con la fede e il battesimo è unito alla Passione e Cro-
ce di Cristo. Per quanto possa non avere un rinnova-
mento puntuale, attuale e razionalmente consapevole
di questo. Nella sua quotidiana sofferenza crede, spe-
ra e ama Dio, incredibilmente senza ribellione inte-
riore anche quando impreca, e gli restano le forze per
essere solidale con gli ultimi, con i più attardati.
Un Dio nella croce, l’uomo amato e una donna da-
ta in madre. La fede, la speranza, l’amore e la dolce
unzione dello Spirito effuso. È questo che l’uomo del
popolo sa senza saperlo esprimere.52

52
TELLO, Anexo I a La Nueva Evangelización. Volverse hacia el
hombre, cit., pp. 35-36.

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150 IV. La fede si vive in una cultura

Possiamo vedere un altro esempio di come la fede


struttura la vita del popolo nell’esperienza che esso fa
del battesimo. È notevole come i poveri cerchino di ri-
cevere questo sacramento malgrado ogni difficoltà. Si
può pensare che vi trovino qualcosa di essenziale per le
loro vite. Secondo Tello essi scorgono nel battesimo un
sacramento che li rende pienamente uomini e pertanto
conferisce a tutti loro una radicale uguaglianza. L’uomo
del popolo nutre profondamente l’aspirazione a vedere
riconosciuta la propria dignità personale. Benché viva in
una situazione di oppressione, in un ordine in cui alcu-
ni sono più importanti di altri, il battesimo gli dà la cer-
tezza che nessuno – per quanto denaro possa possede-
re – conta più di lui davanti a Dio.53 Il battesimo è così
costituito come un elemento centrale per l’affermazio-
ne della dignità umana e come un saldissimo nucleo di
liberazione.
Per concludere questa sezione, vediamo come l’au-
tore esprime l’esperienza peculiare del battesimo nel
nostro popolo.

Per il popolo povero, il battesimo è propriamen-


te una umanizzazione. Il bambino battezzato abban-
dona lo stato di «animaletto» per farsi – in un modo
nuovo – uomo. Capace di trascendere i dolori del-
la vita, la povertà, le sofferenze, e appartenere a Dio.
Il battezzato viene unito a Cristo, partecipa della sua
«sorte», della sua Passione, Morte e Risurrezione, e
questa partecipazione è gratuita, senza alcuna fatica
da parte dell’uomo.
Il battezzato si identifica con Cristo principalmente
nei suoi dolori, abituali nel povero in cui in una ma-

53
Sembra intuirlo chiaramente Evita Perón quando dice: «Io
ammiro la religione che può far dire a un umile descamisado da-
vanti a un imperatore: “Io sono come Voi: un figlio di Dio!”» (E.
PERÓN, Mi mensaje; ed. it. Il mio messaggio, Fazi, Roma 1996, pp.
83-84).

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Trasmissione della cultura 151

niera misteriosa si completa la Passione (cfr. san Ci-


rillo nel venerdì dell’ottava di Pasqua).
Per mezzo del battesimo amministrato alla folla di
indios che popolavano queste terre americane, la
Chiesa ha dato ai più poveri un posto nel mondo, sia
pure alla base della piramide sociale (questo posto fu
negato ai nativi dai protestanti della Nuova Inghilter-
ra). È il battesimo ad aprire le porte affinché le folle
povere, deboli e ignoranti possano accedere a un po-
sto nella società.
Forse ciò spiega perché il battesimo sia – per la gen-
te del popolo – in primo luogo un valore strutturan-
te della vita che rende l’uomo veramente e pienamen-
te uomo e pertanto fondamentalmente tutti uguali,
con uguale dignità. E non è, come si è soliti concepi-
re il battesimo in circoli più illuminati, una spiritua-
lità che conferisce all’uomo la capacità di realizzare
azioni spirituali distaccate dalla materia, che supera-
no le possibilità del corpo. Indubbiamente, per com-
prendere tutto ciò a fondo, bisogna essere poveri, sof-
ferenti e in un vicolo cieco (oppressi) in questa vita.54

Trasmissione della cultura:


il popolo evangelizza il popolo

Aspetto dinamico della cultura ed evangelizzazione

Dal momento che la prospettiva in cui studiamo la


cultura è prevalentemente pastorale, non appena ab-
biamo riconosciuto che la fede può essere vissuta in
modo diverso a seconda della cultura in cui si incar-
na, ci si pone la questione su come questa fede possa
essere trasmessa e rafforzata.
Ogni cultura ha il suo modo proprio di trasmet-
tersi di generazione in generazione. Questo processo
54
R. TELLO, La sacramentalidad en el pueblo, inedito, p. 1.

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152 IV. La fede si vive in una cultura

è qualcosa di dinamico nel corso del quale la cultu-


ra viene perennemente ricreata. Lo si vede facilmen-
te se consideriamo la cultura oggettiva: il suo cam-
biamento costante si traduce nella creazione di nuovi
oggetti culturali e nello scarto di altri. Tuttavia alcu-
ni elementi della cultura cambiano molto lentamen-
te. Appartengono a questo tipo quelli che formano la
cultura soggettiva, considerata come l’atteggiamen-
to dell’uomo verso la vita, o come «nucleo “etico-mi-
tico” come base culturale di un popolo».55 Questi
aspetti non variano se non attraverso i secoli.

Ci sono elementi che variamo assai lentamente, per


esempio alcuni impiegati nell’alimentazione – il
mais, il mate – o nell’abitazione. Il tempo si misu-
ra in secoli; posseggono questo carattere le tenden-
ze profonde che riguardano il valore attribuito alla
comunità, la dignità della persona e così via. Ce ne
sono altre che variano più rapidamente, il tempo si
misura in decenni e si possono riferire anche a cam-
biamenti del contesto geografico: sparizione di mon-
tagne nel nordovest argentino; cambiamento del cor-
so di fiumi, per esempio il Pilcomayo, eccetera. Sono
di questo tipo le tendenze assunte o indotte da forti
personalità: Rosas, Irigoyen, Perón, Evita e via dicen-
do. E ne sono altre, in genere più visibili, che cambia-
no assai rapidamente, il loro tempo si conta in anni o
anche in mesi. Non è facile fare discernimento in una
simile molteplicità di movimenti e di ritmi.56

Oltre a questo aspetto dinamico della cultura, dob-


biamo considerare che essa si trova in un continuo pro-
cesso di trasmissione: le nuove generazioni vanno for-
mandosi nel contesto storico creato dalle precedenti, ne

55
P. RICOEUR, Historia y verdad, Encuetro, Madrid 1990, p. 259.
Sulla nozione di nucleo etico-mitico cfr. supra, p. 85 e ss.
56
TELLO, La cultura en el Concilio (Nota 2 de: El Pueblo), cit., p. 4.

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Trasmissione della cultura 153

ricevono elementi culturali che assumono e a cui maga-


ri danno un significato nuovo, oppure semplicemente li
scartano. Anche in questo processo si dà un’interrelazio-
ne tra le varie culture. La cultura popolare è qualcosa di
vivo e – come insegna Fides et ratio – la vitalità di una
cultura «è data dalla capacità di rimanere aperta all’ac-
coglienza del nuovo».57 Da una parte si afferma raffor-
zando i valori opposti a quelli illuministici. Ma va an-
che assumendo e facendo propri

certi strumenti e valori di ciò che è stata storicamente


la cultura illuminista, per esempio l’accettazione del-
la escuela sarmientina o, specialmente oggi, l’accetta-
zione della democrazia formale o dei diritti umani
formali. È fondamentale comprendere questo. La cul-
tura popolare non è una mera forma di conservazio-
ne del passato, bensì principio di nuovo sviluppo del
popolo.58

Uno degli elementi che appartengono alle tendenze


più profonde della cultura – quelle che si misurano in
secoli – è il modo di vivere la fede. Quando il popolo
trasmette la propria cultura, trasmette anche la fede cri-
stiana, e per questo si può dire che il popolo evangelizza il
popolo.
Lo stesso concetto è affermato chiaramente dal
Magistero latinoamericano. Per esempio, il Docu-
mento di Puebla insegna che «la religiosità popola-
re non solo è oggetto di evangelizzazione, ma è essa
stessa, in quanto contiene incarnata la parola di Dio,
una forma attiva con cui il popolo evangelizza continua-
mente sé stesso».59 Nel medesimo senso si esprimono i
vescovi riuniti nella V Conferenza di Aparecida quan-

57
Cfr. FR 71.
58
TELLO, La nueva evangelización. Escritos teológicos pastorales,
cit., 59.
59
DP 450, corsivo nostro.

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 153 10/03/15 11.12
154 IV. La fede si vive in una cultura

do sostengono che «la partecipazione ad altre mani-


festazioni della pietà popolare […] è in sé stessa un’a-
zione di evangelizzazione, attraverso la quale il popolo
cristiano si autoevangelizza e realizza la vocazione mis-
sionaria della Chiesa».60 Il nostro autore aggiunge
una precisazione:

È quella fede, che è la stessa fede della Chiesa, che


il popolo trasmette nel trasmettere la propria cultura.
Pertanto, come rimarca il Documento di Puebla, il
popolo evangelizza il popolo, sebbene rispetto ai con-
tenuti essenziali quella fede dipenda sempre dalla
Chiesa.61

L’osservazione dell’autore è interessante: il fatto che


il popolo viva il cristianesimo in un modo peculiare
non rende questa fede indipendente dalla Chiesa. Van-
no evitati due estremi. A un estremo, il pensiero che esi-
sta un’unica maniera culturale di vivere la fede cristiana,
e all’altro la presunzione che ogni ambiente culturale
possa vivere la propria fede in maniera completamente
svincolata dalla Chiesa.

Bisogna evitare due atteggiamenti estremi e noci-


vi. Uno: pretendere che il popolo abbia la sua fede
peculiare e che possa fare a meno della Chiesa. L’al-
tro: ritenere che l’unico modo valido di vivere la fe-
de rivelata sia quello proposto dalle forme culturali
proprie di una Chiesa particolare, sia essa latina od
orientale, europea o latinoamericana. La Chiesa è
una e universale quanto alla fede trasmessa da Cristo
agli apostoli. I modi umani culturali di ricevere e pra-
ticare quella fede sono molteplici e svariati.62

60
DA 264, corsivo nostro.
61
TELLO, El cristianismo popular según las virtudes teologales: La
Fe, cit., n. 31.
62
Ivi, n. 32.

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Trasmissione della cultura 155

Bernard Lonergan, nel suo libro Il metodo in teologia,


ci fornisce qualche lume sull’atteggiamento di cautela
che deve appartenere all’evangelizzatore. Sostiene che è
necessario uno spirito pluralista, che sappia riconoscere
la legittimità delle diverse tradizioni culturali e che sia
conscio di stare trasmettendo il Vangelo rivestito dell’a-
bito della propria cultura. Contrappone lo spirito plurali-
sta allo spirito classicista, concepito come l’atteggiamento
di chi vede la propria cultura come unica e normativa.
L’evangelizzatore deve cercare di conoscere la cultura di
colui al quale rivolge l’annuncio e cercare le vie che ren-
dano quella cultura un veicolo dei valori evangelici.

Nella misura in cui uno predica il Vangelo così come


è stato sviluppato entro la propria cultura, non predi-
ca solamente il Vangelo ma anche la propria cultura.
E nella misura in cui uno predica la propria cultura,
domanda agli altri non soltanto di accettare il Vange-
lo, ma predica anche di rinunciare alla loro cultura
per accettare la propria.
Ora un classicista riterrebbe perfettamente legittimo
imporre la sua cultura agli altri. Egli infatti concepi-
sce la cultura normativamente, e stima che la sua cul-
tura sia la norma. Conseguentemente, per lui predi-
care sia il Vangelo sia la sua propria cultura è recare
il duplice beneficio tanto della vera religione quanto
della vera cultura. Al contrario, il pluralista riconosce
una molteplicità di tradizioni culturali. In qualsiasi
tradizione egli vede la possibilità di diverse differen-
ziazioni della coscienza. Ma non considera suo com-
pito né di promuovere la differenziazione della co-
scienza né di domandare alla gente di rinunciare alla
propria cultura. Procede piuttosto dall’interno della
loro cultura e cerca le vie e i mezzi per fare di essa il
veicolo con cui comunicare il messaggio cristiano.63

63
B. LONERGAN, Il metodo in teologia, ed. it. Città Nuova, Roma
2001, pp. 392-393.

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156 IV. La fede si vive in una cultura

Rifacendoci al Magistero di Giovanni Paolo II, pos-


siamo dire che gli operatori della pastorale devono ri-
conoscere che l’accettazione del Vangeli da parte dei
membri di una determinata cultura non obbliga questi
ultimi a cambiare la loro identità culturale:

L’annuncio del Vangelo nelle diverse culture, men-


tre esige dai singoli destinatari l’adesione della fede,
non impedisce loro di conservare una propria iden-
tità culturale. Ciò non crea divisione alcuna, perché
il popolo dei battezzati si distingue per una univer-
salità che sa accogliere ogni cultura, favorendo il pro-
gresso di ciò che in essa vi è di implicito verso la sua
piena esplicazione nella verità.
Conseguenza di ciò è che una cultura non può mai
diventare criterio di giudizio e ancor meno crite-
rio ultimo di verità nei confronti della rivelazione di
Dio. Il Vangelo non è contrario a questa o a quella
cultura come se, incontrandosi con essa, volesse pri-
varla di ciò che le appartiene e la obbligasse ad as-
sumere forme estrinseche che non le sono conformi.64

Diciamo, dunque, che il modo in cui il popolo vive


la sua fede non si trova in nessuno di quei due estremi:
è una fede che non prescinde dalla Chiesa, né viene vis-
suta secondo modelli culturali importati.

Pastorale popolare in senso stretto

Tello va ancora più a fondo della questione e so-


stiene che nel modo in cui il popolo trasmette la sua
fede sono impliciti tre momenti di forze che per prati-
cità chiameremo semplicemente forze. Una forza cen-
trale e principale nella quale «il popolo evangelizza il
popolo» (1): è la stessa esperienza dei valori evangelici

64
FR 71.

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Trasmissione della cultura 157

nella cultura popolare a far sì che questi si diffonda-


no e si trasmettano tra i membri del popolo. Una se-
conda forza è quella in cui «la Chiesa evangelizza il po-
polo» (2): in effetti cronologicamente viene per prima
e si dà nell’azione evangelizzatrice della Chiesa; infi-
ne c’è una terza forza in cui «la Chiesa aiuta il popolo
nell’opera dell’evangelizzazione» (3): si tratta delle azio-
ni pastorali che la Chiesa svolge per accompagnare e
alimentare le forme di evangelizzazione proprie del
popolo.
Questo modo in cui il popolo trasmette la fede
(1ª forza) che ha ricevuto dalla Chiesa (2ª forza) e
che la Chiesa può rafforzare con azioni adeguate (3ª
forza) è ciò che Tello intende per pastorale popolare
in senso stretto.

Pastorale popolare in senso stretto sarà quella del po-


polo mosso dalla fede che amplia o prolunga l’azio-
ne della Chiesa.
Per questo si possono distinguere tre aree o meglio
«momenti» di forze che saranno: 1º e determinan-
te, il popolo che evangelizza il popolo (cfr. DP 396,
450, 1147); 2º la Chiesa che evangelizza il popo-
lo, affinché chi viene evangelizzato possa evangeliz-
zare; 3º la Chiesa che aiuta il popolo nell’opera di
evangelizzazione.65

Guardandola sotto una prospettiva cronologica, la


dinamica evangelizzatrice propria del cristianesimo po-
polare avviene nel modo seguente: il popolo nuovo si
forma con l’annuncio della fede cristiana, da parte del-
la Chiesa, a coloro che sono stati sottomessi attraverso
la conquista (2ª forza); costoro – attraverso la diffusio-
ne massiccia del battesimo – accolgono la fede, ma non
assumono gli elementi culturali che l’accompagnano
(si trattava della cultura del dominatore), ma piuttosto

65
R. TELLO, Nota (g): La pastoral popular, inedito, 1990, n. 128.

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158 IV. La fede si vive in una cultura

la vivono secondo la loro cultura, contrassegnata dal-


la povertà. Nel suo divenire storico, il popolo trasmet-
te la propria cultura e – come parte essenziale di questa
– trasmette la sua fede cristiana collaborando in questo
modo all’opera evangelizzatrice della Chiesa (1ª for-
za). Ad apportare una 3ª forza in questo processo inter-
vengono le azioni di pastorale popolare con cui la Chie-
sa feconda e accompagna la trasmissione della fede che
il popolo compie secondo i propri modi culturali. Tali
azioni devono essere coerenti con la cultura del popolo
e devono mirare a rendere il cristianesimo popolare più
vivo e operante.
Riconoscere che il popolo – comunità naturale –
coopera con l’evangelizzazione nulla toglie al fatto
che questa missione sia stata affidata alla Chiesa. An-
che la famiglia è una comunità naturale e la Chiesa
riconosce di cooperare con essa nella missione dell’e-
vangelizzazione. Considerando l’analogia esistente
tra il popolo cristiano e la famiglia cristiana, Tello af-
ferma che non esiste incongruenza nel dire che il po-
polo coopera con l’evangelizzazione della Chiesa.

Se guardiamo la famiglia cristiana, in essa c’è una


certa analogia con il popolo cristiano, fondata sulla
suddetta similitudine proporzionale. Essa è «la prima
comunità chiamata ad annunciare il Vangelo» (FC 2)
ai suoi figli, a muoverli a vivere la vita cristiana, ma
questo è compito proprio della Chiesa, affidatole da
Gesù Cristo. Sicché la famiglia cristiana, che deve far-
lo, lo fa sotto la dipendenza della Chiesa e in colla-
borazione con essa. In modo simile il popolo tra-
smette il Vangelo (il popolo evangelizza il popolo) e
insegna la vita cristiana ai suoi figli (che guida e so-
stiene anche nella vita temporale), ma lo fa in dipen-
denza della Chiesa e in collaborazione con essa.66

66
Ivi, n. 340.

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Conclusione 159

Vivendo secondo la propria cultura che è cristiana, il


popolo produce eventi realmente evangelizzatori. E ciò
non accade soltanto quando organizza attività religio-
se o quando trasmette sentimenti esplicitamente reli-
giosi come possono essere la sincera fiducia nella Vergi-
ne Maria Madre del Cielo o il riconoscimento del valore
salvifico del battesimo. Evangelizza anche quando tra-
smette alle nuove generazioni un atteggiamento di fe-
de verso la vita, quando vive le sofferenze tipiche della
povertà confidando in un Dio che dà la vita per viverla
al meglio possibile in questo mondo e pienamente nel
cielo. O quando avvengono alcune delle ricche espres-
sioni di fraternità che abbondano nel nostro popolo.67
Per questo Tello preferiva parlare di «cristianesimo
popolare» piuttosto che di «religiosità» o di «pietà
popolare». Quest’ultima espressione – quantunque il
Magistero latinoamericano in genere la impieghi per
riferirsi alla totalità della vita cristiana – si potrebbe
intendere come riferita soltanto agli atti propri della
virtù di religione. Quando invece si usa l’espressione
cristianesimo popolare, resta più evidente il riferimento
al modo di vivere la fede, la speranza e la carità, e in
fin dei conti tutto il resto delle virtù cristiane.68

Conclusione

Fin qui abbiamo presentato alcune riflessioni ri-


guardanti il condizionamento culturale che va sem-

67
Nel linguaggio un segno chiaro del fatto che le azioni di so-
lidarietà sono frequenti nel nostro popolo è l’uso che ha assunto
il termine gauchada (un favore fatto con lo stile dei «vecchi tem-
pi») per riferirsi a un aiuto disinteressato.
68
«La pietà o religiosità popolare guarda principalmente all’e-
sercizio della virtù di religione, mentre il cristianesimo popolare
guarda anzitutto e principalmente al modo in cui si vivono la fe-
de e la carità, e conseguentemente a tutte le virtù cristiane» (TEL-
LO, La nueva evangelización. Escritos teológicos pastorales, cit., p. 103).

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160 IV. La fede si vive in una cultura

pre connesso con l’esperienza della fede cristiana. Più


in particolare abbiamo concentrato lo sguardo sulla
fede vissuta nel contesto della cultura popolare lati-
noamericana.
Il dono della grazia non viene concesso secondo
uno schema razionale unico, ma piuttosto si adat-
ta alla cultura di coloro che Dio si accinge a salvare.
Questo incontro tra la grazia e gli uomini assume sue
peculiari caratteristiche in ogni gruppo umano e vie-
ne vissuto secondo propri modi culturali. In Ame-
rica Latina ciò ha dato origine a un modo specifico
di vivere la fede cristiana, che abbiamo denominato
cristianesimo popolare. È vero cristianesimo perché
possiede vera fede; e, sebbene sia la carità a costituire
il cristianesimo nella sua forma più compiuta, la fede
ne è principio.69
Così come si dice che la grazia presuppone la na-
tura, si può dire che la grazia presuppone la cultura.
In altre parole, la cultura diversifica il modo in cui si vi-
ve l’unica fede cristiana. La fede non cambia quanto al
suo oggetto – Dio stesso –, diverso è invece il modo
in cui si dà il suo atto. È facile riconoscere nella sto-
ria tale diversificazione: il cristianesimo si viveva in
una maniera nella Chiesa africana di sant’Agostino
(IV sec.) e in un altro veniva espresso dagli irlandesi
evangelizzati da san Patrizio (V sec.); con caratteristi-
che ancora differenti è stata vissuta la fede, nell’Euro-
pa medievale di san Tommaso (XIII sec.). Ma bisogna
altresì riconoscere queste diversificazioni al presente:
il cristianesimo può esprimersi con un volto in Cina,
diversamente in Europa e con altri modi culturali in
America Latina. Ciò non significa fare concessioni a
un qualche relativismo, perché si tratta dell’unica fe-
de della Chiesa. A variare è il modo in cui viene vis-
suta e si esprime.

69
Sulla fede come principio del cristianesimo cfr. supra, nota
142 (p. 115 e ss.).

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Conclusione 161

D’altra parte, vediamo che il popolo trasmette la


sua cultura nella sua vita. Siccome essa è carica di va-
lori evangelici, diciamo che il popolo evangelizza.
Siamo nel cuore della pastorale popolare in senso
stretto, così come Tello la intende. Il soggetto di que-
sta azione è fondamentalmente il popolo, che ha ri-
cevuto la fede dalla Chiesa, ma la trasmette con una
certa autonomia rispetto alle forme istituzionali pro-
poste dagli agenti pastorali più illuminati. Questa pa-
storale popolare svolta dal popolo – oggi seriamente
minacciata dalla cultura moderna – può essere aiuta-
ta da azioni pastorali della Chiesa tese a rendere più
dinamico il movimento evangelizzatore insito nel
popolo. Per esempio, il popolo latinoamericano ama
profondamente la Vergine Maria ed esprime questo
amore venerandone le immagini. Fa parte della sua
cultura e viene attualizzato – e trasmesso – ogni vol-
ta che qualcuno rivolge «uno sguardo profondo a
un’immagine amata di Maria».70 Nella misura in cui
gli operatori pastorali agevolano l’accesso del popolo
alle immagini religiose, stanno aiutando a sviluppar-
si questa dinamica evangelizzatrice propria del po-
polo. È il popolo a svolgere la pastorale popolare –
in senso stretto – amando la Madonna (1ª forza), un
amore che ha imparato e impara costantemente dalla
Chiesa (2ª forza) e che riceve l’impulso della Chiesa
quando essa dispone i mezzi per moltiplicare le im-
magini di Maria venerate dal popolo (3ª forza).

70
DA 261.

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014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 162 10/03/15 11.12
V
L’ATTO DI FEDE
VISSUTO NELLA CORNICE
DELLA CULTURA POPOLARE

Introduzione

Stiamo cercando di presentare la spiegazione teo-


logica che Rafael Tello ha formulato sul modo di vi-
vere la fede che è predominante tra i poveri dell’Ame-
rica Latina. Più specificamente, ci soffermiamo sulla
sua tesi riguardante la fede nell’opera El cristianismo
popular según las virtudes teologales, che – come abbia-
mo già detto – si può articolare attorno a due nuclei
principali. Abbiamo dedicato il precedente capitolo
al primo di essi, che abbiamo definito come il fonda-
mento della successiva argomentazione: si trattava di
fondare il fatto che la fede – pur mantenendosi l’u-
nica fede della Chiesa – possa essere vissuta secondo
modi culturali diversi.
È venuto il momento di affrontare il secondo nu-
cleo, in cui presenteremo la spiegazione che il nostro
autore apporta dell’atto di fede, così come esso si dà
nella spiritualità popolare. Assumendo la dottrina di
san Tommaso sulla fede e in particolare la sua for-
mulazione del triplice aspetto dell’atto di fede, egli
presenta il modo concreto e particolare in cui que-
sta virtù viene vissuta nell’ambito del cristianesimo
popolare.
Per raggiungere questo obiettivo proponiamo sei
tappe. In primo luogo offriremo alcune nozioni ge-
nerali che Tello riprende dal trattato sulla fede della
Somma teologica, che ci aiuteranno nelle spiegazioni
successive. Subito dopo ci soffermeremo sulla formu-

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164 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

lazione dell’atto di fede secondo i suoi tre aspetti: cre-


dere Deo, credere Deum e credere in Deum, cercando gli
elementi che possano aiutarci a comprendere la fe-
de del popolo. Chiude questa spiegazione lo studio
di un punto con cui Tello suggella la sezione dedica-
ta alla fede nel nostro testo base: una spiegazione te-
ologica del posto che la fede del popolo assegna alla
Vergine Maria.
Infine, in una sintetica conclusione ricapitoleremo
i principali concetti presentati e cercheremo di trarne
alcune conseguenze.

Alcune nozioni riguardanti la fede


nella Somma teologica

L’intera spiegazione della fede del popolo propo-


sta dall’autore ha come base la dottrina tomista su
questa virtù teologale. Per questo riteniamo oppor-
tuno premettere una breve introduzione con alcune
questioni sulla fede nella Somma teologica.
Per cominciare diciamo che si tratta di una virtù
teologale, poiché essa perfeziona l’uomo riguardo a
quegli atti con cui egli si ordina alla beatitudine so-
prannaturale, e ha per oggetto Dio e viene infusa da
Lui.1 L’atto di questa virtù raggiunge Dio, ci dà una
certa comunione con Lui e ci anticipa la comunione
piena che ci farà totalmente felici nel cielo.
Il luogo in cui san Tommaso ha trattato più siste-
maticamente della fede è la Somma teologica.2 Già die-
ci anni prima, nella questione 14 del De veritate, ave-
va proposto un trattato sulla fede. In quell’occasione
1
Cfr. ST I-II q62, a1.
2
San Tommaso sistematizza le sue riflessioni sulla fede in tre
luoghi: In Sent 3 d.23-25; De ver q14, a.1-12 e ST II-II q.1-16.
Inoltre tratta della fede in In Io c.4,6,7,11; In Hebr c.11,1; Quodl 1,
a.6; Quodl 6 a.2; Cont Gentes I, c.3-8; III, c.40, 118, 119, 152, 154;
In Boet de Trinit q.3, a.1, ad4.

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Alcune nozioni riguardanti la fede nella Somma teologica 165

cominciava con l’atto di credere e, dopo aver trattato


questa dimensione più antropologica, passava a con-
siderare l’oggetto della fede. Invece nella Somma teolo-
gica riformula tale struttura e prende le mosse dall’og-
getto della fede, che è Dio stesso. Con ciò vuole
mostrare che nella fede tutto parte da Dio e da Lui di-
pende, e che è Dio a suscitare la risposta dell’uomo.3
Pur senza dimenticare le relazioni fra le tre virtù
teologali, gli scolastici si preoccupavano di individua-
re ciò che ogni virtù possiede di specifico. Sicché san
Tommaso – per esprimere ciò che è proprio della fe-
de – sostiene che la fede è una conoscenza. Dunque
risiede nell’intelletto4 e il suo oggetto è Dio in quan-
to Veritas prima.5
L’oggetto della fede può essere considerato in un
duplice senso: come causa o ragione della fede (for-
male) e come mistero da credere (materiale). Credia-
mo a Dio (oggetto formale) che rivela sé stesso (og-
getto materiale).6 Ebbene, questa Veritas prima è in sé
stessa chiara e trasparente, ma si adatta al linguaggio
dell’uomo, che è complesso e discorsivo; pertanto la
si può esprimere in enunciati, sebbene la fede non si
si esaurisca in essi.7 Attraverso questi enunciati il cre-
dente coglie Dio: sono infatti la mediazione attra-
verso cui il credente può aderire a Dio che si rivela.8
Le verità di fede si pongono in ordine e al servizio di
questo incontro con la Verità prima.9

3
Cfr. Suma de Teología. Tomo III, Bac, 44, nota b.
4
Si tratta di una questione assai discussa ai tempi di san Tom-
maso. Questi è il primo ad affermare che l’intelletto speculativo è il
soggetto della fede (cfr. Suma de Teología. Tomo III, Bac, 77, nota c).
5
Cfr. ST II-II q1, a1.
6
Nei prossimi paragrafi ci soffermeremo sull’oggetto formale
parlando del credere Deo e sull’oggetto materiale in ciò che riguar-
da il credere Deum.
7
Cfr. ST II-II q1, a2.
8
Cfr. ST II-II q1, a2, ad2.
9
Cfr. ST II-II q1, a6, ad2.

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166 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

Ma la fede non è mera conoscenza: vi interviene


anche la volontà. Per comprenderlo dobbiamo te-
ner presente che l’oggetto formale della fede, la Veri-
tas prima, per san Tommaso è «il fine di tutti i nostri
desideri e di tutte le nostre azioni».10 Si tratta quindi
di una veritas affectiva, una verità amabile, appetibi-
le. Sebbene il soggetto della fede sia l’intelletto specu-
lativo, il suo atto viene da due principi attivi: intel-
letto e volontà. L’intelletto è illuminato dall’azione
interiore di Dio (lumen fidei), affinché esso assenti-
sca liberamente alla Verità divina,11 non per l’eviden-
za dell’oggetto ma con un atto della volontà.

[…] credere è un atto dell’intelletto in quanto vie-


ne mosso dalla volontà ad assentire: infatti codesto
atto deriva dalla volontà e dall’intelletto. […] Ora,
credere è direttamente un atto dell’intelletto, aven-
do per oggetto il vero, che propriamente appartiene
all’intelligenza.12

Sulla scorta di questa concezione dell’atto di fede


come l’azione sinergica di due potenze, san Tommaso
reinterpreta la formula agostiniana credere est cum assen-
sione cogitare. Credere è atto dell’intelletto che ha per og-
getto la verità, ma assentire è atto della volontà. La co-
gitazione non è, qui, il mero pensare, bensì significa un
atteggiamento di ricerca, è «un moto nell’atto di deli-
berare, non ancora illuminato dalla piena visione del-
la verità».13 D’altra parte, l’assenso di cui parla l’Aquinate
non è quello della gnoseologia aristotelica. Qui l’assen-
so possiede una fermezza che deriva non già dalla visio-
ne totale dell’oggetto, ma piuttosto da un impulso della

10
ST II-II q4, a2, ad3.
11
Cfr. ST II-II q1, a4, ad3.
12
ST II-II q4, a2.
13
ST II-II q2, a1.

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 166 10/03/15 11.12
I tre aspetti dell’atto di fede 167

volontà.14 Dunque la certezza non viene dall’evidenza,


come succede nel caso degli altri tipi di conoscenza. In
questo si distingue da tutte le altre attività intellettua-
li: semplice percezione, dubbio, sospetto, opinione e
scienza.15 La fede deve la propria certezza a un’opzione
libera compiuta dalla volontà mossa dalla grazia. Non
si tratta soltanto di sapere, bensì di donarsi, di aderire
personalmente a Dio. Credendo, l’uomo si consegna al-
la Verità.

I tre aspetti dell’atto di fede

Proseguendo nell’analisi dell’atto di fede, diciamo


che san Tommaso distingue in esso tre aspetti o di-
mensioni: credere Deo, credere Deum e credere in Deum.
Tale distinzione ha origine in sant’Agostino, sebbene
questi non la usi letteralmente allo stesso modo. Tut-
tavia Pietro Lombardo commenta un testo agostinia-
no che è divenuto un classico per lo studio dell’atto
di fede: «Credere illi (Deo) est credere vera esse quae lo-
quitur; credere illum (Deum), credere quia ipse est Deus;
credere in illum (in Deum), diligere illum».16
Questa formula è stata ampiamente commentata
dai teologi medievali e nel suo trattato sulla fede san
Tommaso le attribuisce un’importanza decisiva. L’as-
sume ripetute volte per spiegare l’atto di fede.17 Nel
commento al Vangelo di Giovanni ne troviamo la
versione più semplice:

14
Cfr. ST II-II q2, a1, ad 3; q2, a9.
15
Cfr. ST II-II q2, a1.
16
Sermo de Symbolo I: PL 40,1191. Commentato da PIETRO LOM-
BARDO in III Sent. d23, c2 (citazione ripresa da S. PIÉ-NINOT, La Te-
ología fundamental: dar razón de la esperanza [1Pe 3,15], Secretaria-
do Trinitario, Salamanca 20066, p. 188).
17
ST II-II q2, a2; In Sent. 3, d23, q2, a2; De ver q14, a7, ad7; In
Io c.6, lez. 3, n. 901; In Rom c.4, lez.1, n. 307.

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168 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

C’è differenza tra dire «credo Dio» [credo Deum] (do-


ve lo intendo come l’oggetto della fede) e dire «credo
a Dio» [credo Deo] (dove lo indico come colui che at-
testa), oppure «credo in Dio» [credo in Deum] (dove
lo indico come la destinazione del mio atto di fede).
Dio può essere considerato l’oggetto, il testimone e il
fine della fede, ma in modi diversi.18

Ciò che questa formula cerca di esprimere è la tripli-


ce relazione che si stabilisce, attraverso la fede, tra l’uo-
mo e Dio considerato come Realtà sovrana (il mistero
di Dio che va creduto: credere Deum); come la Ragione
suprema che lo illumina (il motivo per cui si crede: cre-
dere Deo), come il Bene perfetto che lo attrae (credere in
Deum).19 In questo modo si evidenzia il carattere perso-
nale della fede, che ci mette in relazione con un Dio che
si apre all’uomo, gli dice una parola d’amore e aspetta
da lui una risposta di donazione fiduciosa all’amore di-
vino. Ciò viene espresso chiaramente nell’Introduzione
del primo tomo dell’opera Mysterium salutis:

Fede in senso teologico significa quindi: credere Deo,


in quanto Dio è colui al quale crediamo nella sua te-
stimonianza ed in base alla sua testimonianza (aucto-
ritas Dei revelantis come oggetto formale della fede);
credere Deum, in quanto Dio in definitiva comuni-
ca sé stesso all’uomo, affinché lo crediamo (Dio co-
me obiectum materiale primarium della fede); credere in
Deum, in quanto l’uomo nell’atto della fede si rimet-
te totalmente a Dio e nella fede pienamente realizza-
ta si muove con fiducia ed amore verso Dio.20

18
Cfr. In Io c.6, lez. 3, n. 901.
19
Cfr. M. GELABERT BALLESTER, «Tratado de la fe. Introducción a
las cuestiones 1 a 16», in Suma de Teología, Tomo III, Parte II-II (a),
Bac, Madrid, 1995, 35-43, 40.
20
J. FEINER - M. LÖHREN (a cura di), ed. it. Mysterium salutis. Nuo-
vo corso di dogmatica come teologia della storia della salvezza. 1: I fon-

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 168 10/03/15 11.12
I tre aspetti dell’atto di fede 169

Nella Somma teologica san Tommaso coniuga l’intui-


zione agostiniana con le categorie aristoteliche di atto,
abito e oggetto. Per spiegare come Dio è l’oggetto, il te-
stimone e il fine della fede, analizza la relazione che si
dà tra un atto o abito e il suo oggetto. In II-II q2, a2 so-
stiene che l’oggetto della fede può essere considerato se-
condo tre modalità, e poiché l’atto di qualsiasi potenza
o abito dipende sempre dalla relazione di questa poten-
za o abito con il suo oggetto, avremo tre modalità o di-
mensioni dell’atto di fede.

Se si considera in rapporto all’intelletto, allora nel-


l’oggetto della fede possiamo distinguere due cose,
secondo le spiegazioni date [q1, a1]. La prima è l’og-
getto materiale della fede. E da questo lato si consi-
dera come atto di fede «credere Dio» [credere Deum]:
poiché, come sopra abbiamo detto, niente viene pro-
posto alla nostra fede, se non in quanto appartiene a
Dio. La seconda è la ragione formale dell’oggetto, la
quale costituisce come il motivo per cui si acconsente
a una data verità di fede. E da questo lato si considera
come atto di fede «credere a Dio» [credere Deo]: poi-
ché, come sopra abbiamo detto [q1, a1], oggetto for-
male della fede è la prima verità, alla quale l’uomo
deve aderire, per accettare in forza di essa le cose da
credere. Se invece si considera l’oggetto di fede sotto
un terzo aspetto, cioè in quanto dipende dall’intellet-
to dietro la mozione della volontà, allora si ha come
atto di fede il «credere in Dio» [credere in Deum]: ché
la verità prima considerata qual fine si riferisce alla
volontà.21

Questa distinzione si basa sul fatto che nell’atto di fe-


de l’intelletto e la volontà agiscono sinergicamente. Per-

damenti d’una dogmatica della storia della salvezza, Queriniana, Bre-


scia 1969, p. 11.
21
ST II-II q2, a2.

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170 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

ciò possiamo analizzare l’oggetto della fede tanto dalla


prospettiva dell’intelletto quanto da quella della volon-
tà che lo muove. Dalla parte dell’intelletto possiamo
considerare l’oggetto materiale: le verità riguardanti Dio
che vanno credute (credere Deum), e la ragione forma-
le dell’oggetto: il motivo per il quale crediamo (credere
Deo). Un terzo modo di considerare l’oggetto è analiz-
zare il movimento che la volontà produce sull’intelletto
per aderire a Dio (credere in Deum).
Viene qui a proposito il chiarimento che l’Aqui-
nate aggiunge appena conclusa questa spiegazione:
«Con queste tre cose non vengono indicati tre diversi
atti di fede, ma un identico atto nei suoi diversi rap-
porti con l’oggetto della fede».22 Si tratta pur sempre
di un unico atto di fede; esso tuttavia presenta tre di-
mensioni o movimenti interni che possono caratte-
rizzarsi in vario modo in ogni soggetto concreto.
Tello assume questa formulazione del triplice
aspetto dell’atto di fede e la utilizza per pensare la
fede del nostro popolo latinoamericano. Per il no-
stro teologo, nel cristianesimo popolare la fede vie-
ne vissuta accentuando gli aspetti che riguardano la
fiducia nell’autorità di Dio (credere Deo) e la tensione
verso Dio come Bene supremo dell’uomo (credere in
Deum); invece rimane un po’ in ombra la spiegazione
razionale delle verità rivelate (credere Deum).

L’atto di fede ha tre aspetti: adesione a Dio (crede-


re Deo); penetrazione di ciò che è rivelato (crede-
re Deum); movimento verso Dio (credere in Deum).
Formalmente, quello principale è il primo; finalmen-
te (come fine), è il terzo. Il nostro popolo li privilegia
entrambi (credere Deo e credere in Deum) rispetto al se-
condo (credere Deum); invece la moderna cultura ec-
clesiale dà maggiore importanza al secondo (si cerca
di penetrare discorsivamente nella Verità Rivelata, e di

22
ST II-II q2, a2, ad1.

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I tre aspetti dell’atto di fede 171

esprimerla), cosa che il popolo coglie in scarsa misura


in ragione del carattere stesso della sua cultura. [Que-
sto ha un’importanza fondamentale per determinare il
modo di una catechesi della fede che sia adeguata].23

Nella spiritualità popolare la fede viene vissuta con


accenti diversi rispetto alla cultura ecclesiale. Quest’ul-
tima spesso propone l’aumento della conoscenza del-
le verità rivelate come una via privilegiata per crescere
nella fede. Invece nella cultura popolare un siffatto tipo
di conoscenza non trova un grande sviluppo, ma piut-
tosto la fede viene vissuta come adesione a Dio, men-
tre delle verità rivelate si conoscono soltanto gli elemen-
ti basilari. Da questa diversità di accenti nascono due
modi di vivere la fede che si differenziano intrinsecamen-
te,24 sebbene entrambi assentiscano alla stessa fede rive-
lata.25 In uno scritto dedicato alle origini storiche del
cristianesimo popolare Tello precisa la differenza tra la

23
R. TELLO, El cristianismo popular según las virtudes teologales: La
Fe, pubblicazione per uso interno della Cofradía de Luján (ver-
sione originale del 1996), nn. 43-44.
24
Tello chiarisce il perché della sua affermazione che la dif-
ferenza degli atti di fede è intrinseca: «Forse conviene precisare la
definizione di “intrinseco”. Si può riferire all’“essenza” di qualco-
sa, ciò che la rende tale, o può riferirsi a un “soggetto” determina-
to. Così questo corpo, questa materia indicata, questa qualità di
bianco o di scuro, di grasso o di magro, di saggio o di ignorante,
di eretto o seduto, sono estrinseci all’uomo come essenza, ma in-
trinseci a quella persona concreta come soggetto. In questo sen-
so, almeno, si dice che la fede o l’atto di fede degli spagnoli e de-
gli indios hanno differenze “intrinseche”, e che esse sono comuni
agli atti di fede degli uni e degli altri» (R. TELLO, Ubicación histórica
del cristianismo popular, inedito, 1992, n. 514).
25
Quando san Tommaso si domanda se la fede degli antichi
sia uguale alla fede dei moderni, insegna che l’identità della fe-
de si mantiene nonostante si esprima diversamente nelle varie
epoche e culture: «L’oggetto della fede […] si moltiplica in diver-
si enunciati, però questa diversificazione non diversifica la fede»
(De ver q14, a12).

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172 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

fede come la vivevano gli spagnoli e la fede che viveva-


no gli indios convertiti:

Nell’atto di fede si danno questi tre aspetti, ma a se-


conda che si accentui uno o l’altro di questi aspetti o
movimenti, ne risulterà un atto in qualche modo di-
stinto, intrinsecamente.
Pertanto nell’atto di fede vero, sia dello spagnolo sia
dell’indio, si danno tutti e tre i movimenti.
Ma succede che tra gli spagnoli si evidenzia il secon-
do aspetto «credere Deum», ovvero quello della com-
prensione o enunciazione di quanto è stato rivelato,
e si bada di più a questo. Invece negli indios l’atto si
concentrava di più sul primo aspetto, «credere Deo»,
credere a Dio, senza entrare in particolari dettagli sul-
la cosa rivelata.
Tutto questo produceva una notevole differenziazio-
ne – che era intrinseca – dell’atto di fede degli uni e
degli altri, sebbene la fede, vale a dire la materia rive-
lata, fosse la stessa. E questa differenziazione era cau-
sa di un modo molto diverso di vivere la fede.26

La distinzione dei tre aspetti dell’atto di fede è un


punto chiave della proposta di Tello. Attraverso l’anali-
si di ciascuno di essi, egli ci offre man mano una spie-
gazione teologica della fede vissuta nel cristianesimo
popolare. Cercheremo ora di approfondire ciascuna di
queste tre dimensioni allo scopo di comprendere me-
glio la fede dei più poveri del nostro continente.

Credere Deo: l’adesione a Dio

Questo primo aspetto dell’atto di fede costituisce


il suo oggetto formale. Credere è credere a Dio, crede-

26
TELLO, Ubicación histórica del cristianismo popular, cit., nn.
520-521.

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Credere Deo: l’adesione a Dio 173

re nella rivelazione perché è Dio che rivela. Il creden-


te aderisce alle verità divine perché accetta l’autorità
di Dio, crede a Dio come testimone della verità rive-
lata. Sotto questo aspetto, la fede si mostra come fer-
ma adesione.
Più specificamente, questo aspetto rappresenta l’a-
desione intellettuale alle verità credute. Dicevamo che
nell’atto di fede agiscono sia la volontà (che muove
a credere) sia l’intelletto (che asserisce come vera la
proposizione da credere). Avviene allora un’adesione
che è propria dell’intelletto, rappresentata dal crede-
re Deo, e un’altra adesione che tocca alla volontà, che
appartiene al credere in Deum.
Rispetto al credere Deo, Tello rileva due note che ri-
sultano interessanti per il nostro studio. In primo
luogo spiega che questa dimensione dell’atto di fede
ci mostra che «soltanto Dio può causare la fede; cre-
dere è un dono, un regalo suo».27 Credere a Dio che
si rivela è possibile soltanto se Lui stesso infonde la
fede in noi. Affinché si dia la fede è necessario che ci
vengano proposte cose da credere e che prestiamo il
nostro assenso. Le verità da credere vengono da Dio,
poiché Egli le ha rivelate, e l’assenso che diamo a esse
proviene da un principio soprannaturale che Dio in-
fonde in noi, come spiega san Tommaso:

Perché l’uomo ha bisogno di Dio quale princi-


pio soprannaturale che lo muova interiormente,
dal momento che nell’aderire alle cose di fede vie-
ne elevato al di sopra della propria natura. Perciò la
fede rispetto all’adesione, che ne è l’atto principa-
le, viene da Dio che muove interiormente con la sua
grazia.28

27
TELLO, El cristianismo popular según las virtudes teologales: La
Fe, cit., n. 49.
28
ST II-II q6, a1, c.

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174 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

Credere è puro regalo di Dio. Affinché possiamo cre-


dere, Dio ci rende connaturali a Lui tramite la grazia. Per
credere non basta la volontà, e non sono sufficienti nep-
pure le ragioni di credibilità. La fede non può sorgere
dal nostro libero arbitrio. Per prestare l’assenso di fede
abbiamo bisogno che la volontà venga attratta da Dio.
Per questo Dio ci dà la virtù della fede, che è un abito
operativo fondato sull’abito entitativo della grazia.
Il secondo punto che vogliamo presentare riguar-
do a questa dimensione dell’atto di fede concerne la
conoscenza delle verità rivelate. Come abbiamo già
detto, la fede ha come oggetto la Verità prima e ri-
siede nell’intelletto. Dunque, affinché ci sia fede, de-
ve sempre esserci una verità rivelata sulla quale ricada
l’atto di fede. Per quanto la fede vissuta nella cultu-
ra popolare, obbedendo a una diversa accentuazione
dei suoi momenti intrinseci, possa essere differente
rispetto alla fede che si dà in un’altra cornice cultura-
le, d’altra parte per essere la stessa fe-de della Chiesa
deve riguardare la stessa materia rivelata.
Tello spiega che questo aspetto di adesione a Dio –
che il nostro popolo vive intensamente – richiede sol-
tanto una conoscenza delle verità fondamentali della
Rivelazione, perché in esse restano comprese le altre.
L’uomo può aderire fermamente a Dio avendo una co-
noscenza soltanto generica e intuitiva delle verità ri-
velate. Ciò non fa sì che l’atto di fede accentuato sul
credere Deo sia minore di uno in cui si conoscono le
verità di fede in maniera più esplicita. La fede è rispo-
sta di obbedienza a Dio e il suo valore risiede soprat-
tutto nell’intensità dell’adesione a Dio rivelante. Il gra-
do e la misura della fede sono dati più dalla fermezza
dell’adesione a Dio (credere Deo) che dall’esplicitazio-
ne razionale delle verità conosciute (credere Deum):

Come tale l’intensità dell’adesione non aumenta ne-


cessariamente per la maggiore conoscenza della ma-
teria rivelata, sicché, di suo e primariamente (per se,

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Credere Deum: comprensione di ciò che è rivelato 175

primo), abbia una fede semplicemente maggiore o


più valida chi aderisce più fermamente a Dio, rispet-
to a colui che conosca maggiormente le verità rivelate
in modo esplicito.29

Il nostro autore ritiene importante tenere presente


questo fatto per analizzare il cristianesimo popolare, da-
to che in esso il credere Deo e il credere in Deum vengono
più accentuati rispetto al credere Deum. Quando si de-
ve giudicare la presenza della fede nel nostro popolo, è
d’aiuto aver presente che la perfezione di questa non di-
pende dalla quantità di conoscenza in materia religiosa,
bensì dalla capacità di questa virtù di radicarsi in tutte le
dimensioni della vita di una persona.

Non c’è ragione per cui l’atto di fede che ha per og-
getto soltanto le verità fondamentali debba essere, in
quanto tale, minore dell’atto di fede che accetta espli-
citamente la Rivelazione integrale: infatti la sua qua-
lità maggiore o minore, per ciò che qui ci importa,
non dipende dalla materia che abbraccia, bensì dal-
la sua intensità, dal suo radicamento nell’anima, dal
fatto di comprendere tutta l’anima e la vita – del-
la quale l’anima è principio – in misura maggiore o
minore.
E ciò dipende più dal primo movimento – credere
Deo – che da questo secondo (credere Deum).
Sapere che l’intensità e la perfezione dell’atto di fe-
de in un certo senso non dipendono principalmen-
te dalla somma di verità conosciute è importante per
giudicare rettamente la prima evangelizzazione [e an-
che per dare una giusta valutazione rispetto alla nuo-
va evangelizzazione].30

29
TELLO, El cristianismo popular según las virtudes teologales: La
Fe, cit., n. 51.
30
TELLO, Ubicación histórica del cristianismo popular, cit., n. 526.

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176 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

Il tema della conoscenza necessaria per l’atto di fede


ci porta alla considerazione dell’oggetto materiale della
fede, che stiamo per trattare parlando del credere Deum.
Basti qui l’affermazione che la fede si perfeziona soprat-
tutto quando cresce nell’intensità dell’adesione a Dio,
e che è fede vera anche quella dell’uomo che si aggrap-
pa a Dio e conosce soltanto le verità fondamentali del-
la fede.

Credere Deum: comprensione di ciò che è rivelato

Ciò che si deve credere

Questa dimensione dell’atto di fede comprende


la relazione di questo con il suo oggetto materia-
le. Nell’oggetto di una virtù si possono considera-
re due cose. Da una parte ciò che propriamente e di
per sé (per se) è oggetto della virtù, come alla fortezza
appartiene di per sé sopportare il pericolo di morte.
Ma qualcosa può anche essere oggetto accidentale (per
accidens) di una virtù. Nel caso della fortezza, il fatto
che un uomo si armi o colpisca con la spada in una
guerra giusta, o faccia qualcosa di simile, appartiene
all’oggetto della fortezza, ma per accidens.31
Applicando questa distinzione alla virtù della fede,
san Tommaso sostiene che di per sé l’oggetto della fe-
de è ciò che rende l’uomo beato, ciò che «speriamo
di vedere nella patria».32 Perciò appartengono di per sé
alla fede quelle verità «che ci indirizzano direttamen-
te alla vita eterna: cioè le tre Persone divine, l’onnipo-
tenza di Dio, il mistero dell’incarnazione di Cristo, e
altre cose simili».33 In modo secondario, per accidens,
è oggetto della fede tutto ciò che è contenuto nel-

31
Cfr. ST II-II q2, a5, c.
32
ST II-II q1, a6, ad1.
33
Ibidem.

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Credere Deum: comprensione di ciò che è rivelato 177

la Sacra Scrittura. Affinché vi sia vera fede, l’uomo è


obbligato a credere esplicitamente alle prime verità.
Quanto a ciò che è accidentale, basta che creda impli-
citamente, o nella preparazione dell’anima.

L’oggetto essenziale della fede è quello che rende


l’uomo beato, come abbiamo detto sopra [q1, a6,
ad1]. Sono invece secondari e accidentali in rappor-
to ad esso tutte le verità che Dio ha insegnato, e che
sono certamente nella Scrittura: che Abramo, p. es.,
ebbe due figli, che David è figlio di Isai, e altre co-
se del genere. Rispetto quindi, ai dogmi fondamenta-
li, che sono gli articoli di fede, l’uomo è tenuto a cre-
derli esplicitamente, come è tenuto ad avere la fede.
Invece le altre verità di fede l’uomo non è tenuto a
crederle in maniera esplicita, ma solo implicitamen-
te: è tenuto, cioè, ad avere l’animo disposto a credere
quanto si contiene nella Scrittura.34

Credere qualcosa esplicitamente è aderirvi cosciente-


mente, con un atto positivo del pensiero. Invece credere
implicitamente è aderire a qualcosa che contiene le no-
zioni che si credono implicitamente, così come i princi-
pi universali contengono le conclusioni particolari. San
Tommaso lo spiega più chiaramente nel De veritate:

Si dice implicito in senso proprio ciò in cui sono


contenute molte cose come [se fossero] in una sola,
invece [si dice] esplicito ciò in cui ognuna di queste
cose è considerata in sé stessa […]. Perciò, colui che
conosce alcuni principi universali ha una conoscen-
za implicita di tutte le conclusioni particolari, inve-
ce chi pensa in atto le conclusioni, si dice che le co-
nosce esplicitamente. Per conseguenza, si dice anche
che noi crediamo esplicitamente alcune cose, quan-
do, nel pensarle in atto, aderiamo ad esse. Invece

34
ST II-II q2, a5, c.

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178 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

[crediamo] implicitamente, quando aderiamo ad al-


cune cose nelle quali queste sono contenute come in
principi universali.35

Su questa scorta, si può dire che c’è un nucleo di ve-


rità fondamentali che vanno credute in maniera e-
splicita, e che, nell’accettarle, si accettano implicitamen-
te tutte le altre verità di fede che sono germinalmente
contenute nelle prime. Tello sintetizza questa dottrina
tomista nel seguente modo: «Va creduto esplicitamen-
te tutto ciò che è “indispensabile per la salvezza” (ST II-
II q2, a6, ad1) e per ciò che riguarda i misteri di Cristo
“specialmente […] quelli che sono oggetto delle solen-
nità della Chiesa, e che vengono pubblicamente propo-
sti» (ST II-II q2, a7)».36

La Rivelazione si presenta articolata

D’altra parte possiamo considerare che la Rivela-


zione è una realtà articolata. Dio si rivela all’uomo e
gli parla nel modo umano. Poiché «l’intelletto uma-
no conosce […] in una certa composizione»,37 le ve-
rità rivelate sono suscettibili di essere organizzate in
enunciati. In questo senso san Tommaso afferma che
«l’oggetto della fede è qualche cosa di composto, co-
me lo sono gli enunciati».38 Essi hanno un ordine,
in modo che alcuni sono principi e altri sono conse-
guenze contenute implicitamente nei primi. Ciò si-
gnifica che quanto va creduto può essere suddiviso in
articoli39 – che vengono proposti nel Simbolo della

35
De ver q14, a11.
36
TELLO, El cristianismo popular según las virtudes teologales: La
Fe, cit., n. 55.
37
ST II-II q1, a2, c.
38
Ibidem.
39
Cfr. ST II-II, q1, a6.

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Credere Deum: comprensione di ciò che è rivelato 179

fede –,40 e che essi a loro volta possono essere ridotti


a realtà prime che vanno credute:

Tutti gli articoli sono impliciti in alcune prime veri-


tà di fede, tutto cioè si riduce a credere che Dio esi-
ste, e che provvede alla salvezza degli uomini, secon-
do l’insegnamento di san Paolo: «Chi si accosta a
Dio deve credere che egli esiste, e che è rimunerato-
re di quelli che lo cercano» [Eb 11,6]. Infatti nell’esse-
re divino sono incluse tutte le cose che crediamo esi-
stere eternamente in Dio, e nelle quali consisterà la
nostra beatitudine; e nella fede nella provvidenza so-
no inclusi tutti i mezzi di cui Dio si serve nel tem-
po per la salvezza degli uomini, e che preparano al-
la beatitudine.41

Come possiamo osservare, la Rivelazione si presenta


all’uomo articolata attorno ad alcuni primi credibili che
contengono implicitamente tutto ciò che si deve crede-
re. Per comprendere meglio come avvenga questa artico-
lazione, possiamo immaginare l’oggetto materiale della
fede come una successione di cerchi concentrici: al cen-
tro – la parte più concentrata – dovremmo mettere l’af-
fermazione che Dio esiste e opera per la salvezza dell’uma-
nità (cfr. Eb 11,6), in un secondo cerchio si troverebbero
gli articoli della fede compresi nel Credo, e nella parte
più ampia tutto ciò che è contenuto nella Sacra Scrittura
e nella Tradizione.
Quando analizza in che maniera l’atto di fede vis-
suto nel cristianesimo popolare si metta in relazione
con l’oggetto materiale della fede, Tello riprende un
insegnamento del II Concilio di Lima celebrato nel
1583. In quella circostanza venne formulata una Su-
ma de la fe católica che era l’enunciazione di quattro
verità della fede la cui conoscenza riguardava «quanti

40
ST II-II q1, a7, c.
41
ST II-II q1, a7, c.

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180 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

per malattia pericolosa si battezzano e anche i vecchi


e gli incolti che non sono capaci di catechismo più
ampio».42 Questa «Somma» di quanto è rivelato e ne-
cessario per la salvezza dice:

1. Di Dio. Che c’è un solo Dio, autore di tutte le cose.


Egli, dopo questa vita, dà gloria futura ai buoni che
lo servono e pena eterna ai cattivi che l’offendono.
2. Della Trinità. Che questo Dio è Padre, Figlio e Spi-
rito Santo, che sono tre persone e hanno uno stesso
essere. E, dunque, non sono tre dei ma uno solo.
3. Di Gesù Cristo. Che il vero Figlio di Dio si fece uo-
mo per noi, e questi è Gesù Cristo, il quale con la sua
morte e il suo sangue ci ha redenti dai nostri peccati,
ed è risuscitato e vive per sempre.
4. Della santa Chiesa. Che per essere salvo l’uomo de-
ve farsi cristiano, credendo in Gesù Cristo, pentendo-
si dei suoi peccati e ricevendo il santo battesimo, o,
se è già battezzato ed è tornato a peccare, confessan-
do le sue colpe al sacerdote. Sicché ricevendo i sacra-
menti e osservando la legge di Dio, sarà salvo.43

Nella rappresentazione concentrica dell’oggetto ma-


teriale della fede che proponevamo bisognerebbe pen-
sare queste quattro affermazioni come un circolo infe-

42
Questa citazione viene dalla premessa della Suma de la fe
católica. Il testo è stato ripreso da: J.G. DURÁN, Monumenta cateche-
tica hispanoamericana. (Siglos XVI-XVIII). Vol. II (S.XVI), Facultad
de Teología de la Pontificia Universidad Católica Argentina, Bue-
nos Aires 1990, p. 465.
43
Ivi, 466. Il Concilio di Lima compose anche un Catecismo
breve para rudos y ocupados. Si presenta in forma di domande e ri-
sposte che si basano sulle affermazioni della Suma de la fe católica.
Si aggiunge soltanto che «Gesù Cristo si è fatto uomo nel seno
della Vergine Maria ed è nato lasciandola Vergine» e che la Chiesa
è «la congregazione di tutti i fedeli cristiani che ha per Capo Gesù
Cristo, e il suo vicario sulla terra è il Papa santo di Roma». Altri
dati sull’uso che di questa dottrina fa il nostro teologo in TELLO,
Ubicación histórica del cristianismo popular, cit., nn. 523-525.

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Credere Deum: comprensione di ciò che è rivelato 181

riore a quello che rappresenta gli articoli del Credo. Per


il nostro teologo, è in questa orbita che generalmente
avviene la conoscenza intellettuale delle verità rivelate
nel cristianesimo popolare:

L’accoglienza per via intellettuale (molto diversa


dall’accoglienza per via affettiva, che si riferisce più
al credere in Deum) e la conseguente formulazione in
proposizioni deve abbracciare almeno tutto ciò che
è «indispensabile per la salvezza» (ST II-II q2, a6, ad1);
ma può avere una grande ampiezza: tutta la Rivela-
zione, vale a dire la Sacra Scrittura e la Tradizione, il
Credo, che è la sintesi di ciò che è stato rivelato, le
verità fondamentali che comprendono: l’esistenza di
Dio, la Trinità di persone, l’Incarnazione, Morte e Ri-
surrezione di Gesù, e si suole aggiungere la Chiesa
come strumento di salvezza (cfr. La suma de la fe ca-
tólica del III Concilio di Lima). Dentro questo cam-
po, con ampiezza maggiore o minore, si muove il cri-
stianesimo popolare.44

Conviene chiarire che con questa tesi l’autore non


sminuisce la ricchezza che può derivare dall’approfon-
dire la conoscenza delle verità di fede contenute nel cre-
dere Deum. La fede è ragionevole e può essere espressa
in enunciati. Giovanni Paolo II lo insegna chiaramente
nell’enciclica Fides et ratio: «La fede chiede che il suo og-
getto venga compreso con l’aiuto della ragione».45 Seb-
bene questa non basti a spiegare il mistero divino, ha la
capacità di scrutarlo. La fede non è ex ratione, tuttavia è
cum ratione.
Per questo, quantunque non si tratti della via pri-
vilegiata dal cristianesimo popolare, occorre ricono-
scere che la fede va perfezionandosi nella misura in

44
TELLO, El cristianismo popular según las virtudes teologales: La
Fe, cit., n. 47.
45
FR 42.

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182 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

cui approfondisce la conoscenza delle verità rivelate:


«Si può dire che la fede, anche di per sé ma seconda-
riamente (per se, secundo), cresce e si misura dal gra-
do di conoscenza esplicita di quanto è rivelato».46
Un tale perfezionamento è sempre auspicabile e so-
no un tesoro, per la Chiesa, gli uomini e le donne
dediti a sondare il mistero divino attraverso la teolo-
gia, e a trasmetterlo con la catechesi. In questo sen-
so il Concilio Vaticano II afferma che la fede si fa vi-
va attraverso la catechesi,47 per riferirsi alla diligente
cura che i vescovi devono dedicare alla formazione
catechetica.

La fede del popolo e la necessità


della conoscenza intellettuale

Ebbene, quando osserviamo che nel cristianesimo


popolare il grado di esplicitazione concettuale del-
le verità credute è assai scarso, quel che ci interessa
domandarci è se questa sia una carenza grave oppure
soltanto una peculiarità di questo modo culturale di
vivere la fede. Ci chiediamo: tutti noi cristiani siamo
ugualmente obbligati a percorrere la via della cono-
scenza intellettuale? Si tratta di verificare in che misu-
ra questa esplicitazione sia necessaria affinché si dia
vera fede.
Per rispondere a questa questione, il nostro auto-
re ricorre alla distinzione tomista tra maggiori e mino-
ri. I primi sarebbero soprattutto coloro che hanno la
responsabilità di educare nella fede e gli altri, piutto-
sto, la gente semplice del popolo. Basandosi su que-
46
TELLO, El cristianismo popular según las virtudes teologales: La
Fe, cit., n. 42.
47
Cfr. ChD 14. È l’interpretazione del nostro autore in R. TEL-
LO, Breve fundamentación de las peregrinaciones y misiones con la Vir-
gen, pubblicazione per uso interno della Cofradía de Luján (ver-
sione originale del 1999), 2004, p. 6.

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Credere Deum: comprensione di ciò che è rivelato 183

sto, nel De veritate san Tommaso spiega che questo ti-


po di perfezione non riguarda tutti ma è propria dei
maggiori:

Ma questa perfezione non è di tutti. Ecco perché nel-


la Chiesa sono istituiti dei gradi, affinché alcuni sia-
no preposti a istruire [gli altri] nella fede. Perciò, non
tutti sono tenuti a credere esplicitamente tutte quel-
le cose che fanno parte della fede, ma solo quelli che
sono istituiti maestri della fede, come sono i prela-
ti e coloro che hanno la cura delle anime. […] tut-
ti gli uomini di qualsiasi rango e ceto sono tenuti ad
avere una fede esplicita nella Trinità e nel Redento-
re. Tuttavia l’uomo qualunque non è tenuto a crede-
re esplicitamente tutte [le verità] riguardanti la Trini-
tà o il Redentore, ma [a ciò sono tenuti] soltanto i più
grandi.48

Su questa base tutti devono credere esplicitamen-


te in due grandi verità fondamentali della Rivelazio-
ne: il mistero della Trinità e quello di Cristo Redentore;
ma non tutti devono approfondirle dottrinalmente al-
lo stesso livello. Insieme ai maggiori, lo fa tutta la Chie-
sa; e per quanto riguarda i minori, «chi crede che è vera
la fede della Chiesa, con ciò crede quasi implicitamen-
te i singoli articoli che sono contenuti nella fede della
Chiesa».49
Siamo consapevoli del fatto che questa gradazio-
ne tra membri maggiori e membri minori può suona-
re sgradevole alla moderna coscienza egualitaria. Per
scongiurare tale rischio dobbiamo ricordare che la di-
visione non si compie secondo l’ordine della digni-
tà, come se i minori fossero meno importanti dei
maggiori agli occhi di Dio, o come se fossero cristia-
ni di seconda classe. Non si tratta di affibbiare agget-

48
De ver q14, a11.
49
Ibidem.

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184 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

tivi sprezzanti, ma di riconoscere strade diverse – con


diverse funzioni e responsabilità – attraverso le qua-
li Dio conduce i fedeli in seno al popolo di Dio, do-
ve «a ciascuno è data una manifestazione particolare
dello Spirito per il bene comune» (1Cor 12,7). Nel-
le conversazioni informali, quando si svincolava un
poco dal rigore tomista a cui si vedeva obbligato nei
suoi scritti, Tello ricorreva abitualmente, in un senso
analogo a queste espressioni, alla distinzione biblica
tra sapienti e piccoli (cfr. Mt 11,25).
Chiarito ciò, vediamo come il nostro autore uti-
lizza queste categorie. Nel nostro testo base non ap-
profondisce la questione: si limita soltanto a dire
– quando presenta il credere Deum – che «questo se-
condo aspetto della fede è più proprio dei maggiori e
in esso si spiega la fede dei minori (del popolo)».50 In
un’altra occasione spiega che la gradazione tra mag-
giori e minori è frutto della struttura piramidale della
fede della Chiesa:

Per istituzione di Cristo, la fede della Chiesa – di tut-


ti e singoli i membri della Chiesa – si fonda e si ri-
solve nella fede di Pietro (e a sua volta la fede di Pie-
tro si risolve nella conoscenza chiara ed evidente di
Cristo). Dunque la fede ha una struttura per così di-
re piramidale, e dato che tra i fedeli del Signore ce ne
sono alcuni che possono essere chiamati maggiori o
superiori (maiores) e altri inferiori o minori (minores),
per disposizione dello stesso Cristo la fede dei mino-
res si risolve nella fede dei maiores. Quali sono supe-
riori o maiores? Evangelicamente lo sono Pietro e gli
apostoli; si può intendere che lo siano anche i suc-
cessori degli apostoli (esistono anche altri criteri per
collocare in una o nell’altra categoria). Per questo la
fede dei minores, gli inferiori, i semplici fedeli (che

50
TELLO, El cristianismo popular según las virtudes teologales: La
Fe, cit., n. 52.

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Credere Deum: comprensione di ciò che è rivelato 185

possono essere anche minores socialmente perché si


pongono nei luoghi più bassi della società) si deve ri-
solvere nella fede dei maiores, i ministri sacri, i pasto-
ri (cfr. ST II-II q2, a6).51

Se le cose stanno così, la facile conclusione è che


dobbiamo contare tra i minori la grande quantità di uo-
mini e di donne dell’America Latina che vivono la lo-
ro fede cristiana secondo lo stile proprio della cultura
popolare. Costoro non crescono nella fede penetran-
do razionalmente le sottigliezze del discorso teologico.
A loro basta – quanto all’oggetto materiale – una fede
implicita nella fede dei maggiori (nella misura in cui la
fede di questi poggia sulla fede di Pietro). Devono, sì,
credere in modo esplicito in alcune cose che costituisco-
no ciò che chiamavamo il nucleo materiale della fede:
51
R. TELLO, Breve fundamentación de las peregrinaciones y misio-
nes con la Virgen, cit., p. 24. Un altro testo in cui tratta il tema in
modo assai simile è La Nueva Evangelización. Vi si domanda: «In
che misura è necessaria una spiegazione, ovvero un’esplicitazio-
ne? Non per tutti in misura uguale. I “maggiori” che devono inse-
gnare ad altri sono obbligati ad avere una conoscenza più piena.
I “minori”, i semplici (come è in genere la gente del nostro popo-
lo) no; hanno – e basta loro – una fede implicita (quanto all’og-
getto creduto) nella fede dei maggiori (in quanto essi in defini-
tiva credono nella fede di Pietro e degli apostoli) e quella fede
non assume toni teologici, che pure l’arricchirebbero (non è mo-
linista o antimolinista, non è rahneriana né neoscolastica, eccete-
ra), e tantomeno fa propri gli errori dei “maggiori”: per esempio,
se l’imperatore o il vescovo sono ariani, essa rimane sempre in-
fallibile e scevra da qualsiasi errore, come insegna san Tommaso.
Dunque la fede del popolo semplice è vera e va vista e accettata
come implicita nella fede dei maggiori e va colta la piramide ec-
clesiale secondo cui la fede dei “minori” si esplica nei maggiori.
Perché la Chiesa è essenzialmente così. E, tuttavia, è ben vero che
questa fede non spiegata, non sviluppata, non è affatto un idea-
le. È imperfetta, ma ha valore salvifico, che è un bene massimo,
ed è dono gratuito di Dio, che va ricevuto, riconosciuto e di cui
si deve essere grati» (R. TELLO, La nueva evangelización. Escritos te-
ológicos pastorales, Agape-Fundación Saracho, Buenos Aires 2008,
pp. 50-51).

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186 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

l’affermazione di Eb 11,6 che – per dirla con san Tom-


maso – può esprimersi come «tutto cioè si riduce a cre-
dere che Dio esiste, e che provvede alla salvezza degli
uomini».52
Questa conoscenza dei minori è piuttosto genera-
le, non è «una conoscenza propria e distinta, bensì
comune e per qualche verso confusa (che possiamo
concepire con una certa analogia con la maniera in
cui l’anima separata conosce le cose naturali, cfr. ST
I q89, a3 e a4), ma basta tuttavia per l’esercizio del-
la fede, per la pratica dell’amore e per la salvezza».53
Inoltre, la via della ragione strumentale non è l’unico
modo di acquisire questa conoscenza: l’uomo del po-
polo conosce molte cose per via simbolica e per quel-
la della conoscenza affettiva.54
Riguardo a questo modo di conoscere proprio dei
semplici il nostro autore rimarca tre note: è una co-
noscenza delle verità principali; si dà in modo gene-
rale; non considera espressamente le conseguenze
che da esse derivano:

Questa conoscenza generale, che è in qualche modo


confusa, lo è:
1) In quanto si riferisce agli «articoli generali» della
fede (per esempio, i quattro fondamentali del Con-
cilio di Lima) e non si estende alle verità dogmatiche
particolari che da essi derivano (per esempio che l’a-
nima è forma del corpo umano, Dz 481).
2) In quanto è enunciata «in maniera generica»55 (co-
me fa la Chiesa che la solennizza e la propone pub-

52
ST II-II q1, a7, c.
53
TELLO, Ubicación histórica del cristianismo popular, cit., n. 537.
54
Tello ritiene che la conoscenza affettiva o per connaturali-
tà sia più propria del credere in Deum (cfr. TELLO, El cristianismo po-
pular según las virtudes teologales: La Fe, cit., n. 47), come vedremo
più avanti in questo capitolo.
55
«Quelle cose che appartengono alla fede non sono proposte
a una persona qualunque in modo da doverle spiegare in manie-

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Credere Deum: comprensione di ciò che è rivelato 187

blicamente nelle sue feste, per esempio i misteri di


Natale e di Pasqua) e non richiede di essere esposta
in modo particolareggiato.
3) In quanto alle conseguenze che da essa derivano
che non sono espressamente conosciute (per esem-
pio non è necessario comprendere chiaramente che
la fede si appoggia sull’intelligenza e la perfeziona,
che il suo inizio non può che provenire da Dio, che è
un modo di partecipare della conoscenza di Dio, che
ha potere di giustificare davanti a Dio, che nella glo-
ria scompare, e via dicendo).56

Tutto ciò deve aiutarci a giudicare la fede del nostro


popolo. Accettando che questa conoscenza un po’ con-
fusa sia sufficiente affinché si dia la fede, possiamo dire
– parafrasando san Tommaso – che le persone che vivo-
no il cristianesimo popolare «non devono essere esa-
minate sui più minuti articoli di fede»,57 e «non si de-
ve loro imputare a colpa, se sono cadute in errore per
ignoranza».58 Inoltre dobbiamo prestare attenzione a
ciò che abbiamo definito come terza nota di questa co-
noscenza: il fatto che non si conoscono espressamen-
te tutte le conseguenze delle verità principali della fede.
Quando si crede qualcosa che ha forza di principio di
un’altra verità, quest’ultima verità viene creduta impli-
citamente, pur se chi fa l’atto di fede non la percepisca.
Questo è importante a proposito del cristianesimo po-
polare, infatti:

La fede cattolica del nostro popolo – e anche quel-


la degli indios – implicitamente può contenere molte
conseguenze (specialmente di comportamento uma-

ra particolareggiata, ma in maniera generica», scrive Tommaso in


De ver q14, a11.
56
TELLO, Ubicación histórica del cristianismo popular, cit., n. 540.
57
ST II-II q2, a6, ad2.
58
Ibidem.

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188 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

no) che non sono esplicitamente conosciute, e siccome


non lo sono è facile che vengano soppiantate da al-
tri giudizi o criteri provenienti da un’esperienza na-
turale largamente radicata, che è estranea alla fede. E
in questo non sono imputabili, infatti la loro stessa
«semplicità» impedisce loro di conoscere la connes-
sione logica necessaria tra la verità professata e il suo
contenuto implicito.59

Carattere oscuro della fede

L’obiezione che considera carente la fede del popo-


lo perché non ha la dovuta formazione intellettuale
può presentare un versante ancora più impervio:

Dio ci chiama alla partecipazione della sua divinità,


e pertanto anche alla partecipazione della luce della
sua intelligenza […]. Ma il nostro popolo che si dice
cristiano e battezzato non è in alcun modo caratteriz-
zato dalla sua intelligenza spirituale e nemmeno dal-
la sete di una conoscenza catechetica.
Anzi è il contrario: non sembra molto cristiano e si
può pensare che abbia una fede naturale, acquisita,
prodotto di cause storiche naturali, con alcuni ele-
menti della Rivelazione male assunti, sicché questa
fede sarebbe solo una «soglia» (CT 19) della vera fe-
de, che richiede «un’adesione globale a Gesù Cristo»,
implicante a sua volta la dovuta preparazione cate-
chetica (ibidem).60

Per rispondere a questa obiezione, Tello chiarisce in


primo luogo che la partecipazione all’intelligenza e al-
la sapienza divina a cui Dio ci chiama è una conoscenza

59
TELLO, Ubicación histórica del cristianismo popular, cit., n. 542.
60
ID., El cristianismo popular según las virtudes teologales: La Fe,
cit., nn. 73-75.

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Credere Deum: comprensione di ciò che è rivelato 189

data dallo Spirito e non una conoscenza acquisita con


uno sforzo umano, com’è quello catechetico. Quindi
afferma che tale partecipazione ha già avuto inizio me-
diante la Rivelazione e si dà in un duplice modo: «Pie-
no nella visione faccia a faccia della Patria, iniziale qui
nella fede».61
Ma la fede, per sua stessa natura, offre una cono-
scenza che è al tempo stesso certa e oscura. L’uomo
aderisce senza vedere chiaramente l’oggetto cono-
sciuto. La fede è luce che ci permette di vedere Dio e
oscurità che ce lo nasconde. Ciò fa sì che questa vir-
tù possa darsi con caratteristiche contrapposte: «Co-
me fede luminosa (specialmente grazie ai doni dello
Spirito Santo) o come fede oscura, che “fa procede-
re nel buio” (come ben dice san Giovanni della Cro-
ce)».62 Tello sostiene che nella fede dei poveri predo-
mina l’aspetto dell’oscurità:

Nel nostro popolo è presente quest’ultima caratteri-


stica (senza la forma di sperimentazione mistica).
Lo esprime bene un autore anonimo del IV seco-
lo nella seconda lettura dell’Ufficio delle letture del
venerdì della quarta settimana del tempo ordinario:
a volte il fedele «riceve doni speciali di intelligenza,
di sapienza ineffabile e di imperscrutabile cognizio-
ne dello Spirito. E così la grazia lo istruisce su cose
che né si possono spiegare con la lingua, né esprime-
re a parole. Altre volte invece egli si comporta come
un uomo qualunque. La grazia viene infusa in modi
diversi e in modi pure diversi guida l’anima, forman-
dola secondo la divina volontà».
Questa fede, che lascia vivere e agire il cristiano come
gli altri uomini, è tuttavia soprannaturale, partecipa-
zione della conoscenza divina, e poiché lascia vivere
come gli altri conferma, perfeziona ed eleva l’espe-

61
Ivi, n. 77.
62
Ivi, n. 78.

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190 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

rienza di un Dio che si dà a conoscere dai suoi bene-


fici, mandando «dal cielo piogge per stagioni ricche
di frutti e dandovi cibo in abbondanza per la letizia
dei vostri cuori» (At 14,17).63

Di conseguenza, la fede si può dare con una cono-


scenza intellettualmente lucida di alcuni aspetti dei mi-
steri divini o con una conoscenza un po’ confusa, ri-
vestita di immagini sensibili, sicché il credente crede
fermamente in Dio e nel Cielo e li mantiene come fine
ultimo della sua vita. Con parole del nostro autore:

Questa fede soprannaturale che, pur essendo parteci-


pazione della Verità divina, è tuttavia «oscura», orien-
ta, dà una direzione, a tutta la vita. Grazie a questa
fede l’uomo avanza in ultimo termine (come ultimo
fine) verso Dio, pienezza della luce dell’intelligenza,
perché la sua fede include nella sua essenza un movi-
mento verso Dio (se l’uomo, usando la propria liber-
tà, si allontana dal percorso, ciò avviene contro le ri-
chieste della fede).
A quella fede «oscura», che è principalmente crede-
re a Dio, aderire a Lui, e tendere verso di Lui anche
se non si hanno «luci» considerevoli per conoscerlo,
sembra riferirsi l’apostolo Giacomo quando dà per
assodato che i poveri sono ricchi nella fede (cfr. Gc
2,5), infatti essi non sono soliti distinguersi per l’al-
tezza o la varietà delle conoscenze, e tuttavia man-
tengono ferma adesione e tensione verso di Lui, e lo
stesso autore riconosce che la loro è una fede sopran-
naturale, dono di Dio.64

In sintesi diciamo che sebbene la fede dei poveri non


accentui il suo aspetto di conoscenza intellettuale, essa
si appoggia alla fede – più lucida – dei maggiori e vie-

63
Ivi, nn. 78-80.
64
Ivi, nn. 81-82.

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Credere Deum: comprensione di ciò che è rivelato 191

ne vissuta soprattutto come fede oscura, che conosce a


tentoni i misteri divini ma aderisce fermamente a Dio e
orienta la propria vita verso di Lui.

Quando all’affermazione della fede


si aggiungono affermazioni o negazioni erronee

Abbiamo dunque riconosciuto che l’atto di fede


può darsi nonostante la conoscenza sia un po’ con-
fusa. Possiamo domandarci anche che cosa acca-
de quando la conoscenza si dà – senza colpa da par-
te del credente – frammista con alcune affermazioni
o negazioni erronee. È il caso di chiarire che questo
succede sia nel cristianesimo popolare sia nei set-
tori più alti della società. La superstizione e l’errore
non sono patrimonio soltanto dei poveri. Malgrado
ciò, non possiamo negare che molte volte la fede del
popolo venga vissuta insieme a errori dottrinali. Per
questo ci interessa vedere che cosa accade alla virtù
della fede nel caso in cui le si aggiungano affermazio-
ni o negazioni erronee.
Tello sostiene che la fede può coesistere con erro-
ri. Fonda questa affermazione soprattutto sulla dot-
trina sulla fede del Concilio di Trento e del Concilio
Vaticano I. Entrambi rimarcano che la fede è un do-
no di Dio mediante il quale Egli ci attrae, e che sol-
tanto il peccato formale contro di essa può distrug-
gerla. Non la distrugge qualsiasi peccato grave, che
invece distrugge la carità. Quando la fede in una per-
sona si dà insieme alla carità, essa assume lo stato di
virtù; se mancasse la carità, non sarebbe più una vir-
tù perfetta, ma resterebbe un dono salvifico che con-
serva la sua virtualità di ordinarci a Dio. In ogni mo-
do – con o senza la carità – il fatto che alle verità di
fede si aggiungano – senza colpa soggettiva – affer-
mazioni o negazioni erronee non distrugge quel do-
no divino.

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192 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

La fede e il conseguente ordinamento alla vita eterna


non vengono distrutti da qualsiasi peccato, ma sol-
tanto precisamente dal peccato formale contro la stessa
fede (Concilio di Trento, s. VI, Dz 808, 838). Quan-
do l’uomo senza colpa soggettiva vi aggiunge cose er-
ronee, la fede, in quanto è dono di Dio, non smette
di essere forza di santificazione e di salvezza. Si spie-
gano così notevoli casi di santità che si danno fuori
della Chiesa cattolica; il fatto che la fede possa appa-
rire falsa sarà per ragioni estrinseche rispetto a essa.
Pertanto, se si aggiungono alla fede affermazioni o
negazioni erronee (benché molto gravi come il di-
sconoscimento della Trinità o della divinità di Gesù)
senza un tale peccato formale, la fede, dono salvifico
della grazia di Dio, conserva la propria virtualità di
ordinarci alla vita eterna «e l’atto suo proprio è opera ri-
guardante la salvezza» (Concilio Vaticano I, s. III, cap.
3, Dz 1791).65

Il nostro autore compara gli errori che possono veri-


ficarsi tra i cattolici con le differenze dottrinali esistenti
rispetto alle altre Chiese:

Può accadere che in questo sviluppo razionale l’uo-


mo aggiunga alla fede affermazioni o negazioni erro-
nee senza colpa soggettiva (come nel caso delle Chie-
se separate, o nella fede degli ebrei o musulmani e
anche con qualche frequenza tra di noi).66

Si basa sulla dottrina del Concilio Vaticano II, dato che


in qualche modo si può dire che questo concilio ricono-
sca l’esistenza della fede in quanti negano verità di fede
sostenute dalla Chiesa cattolica. Per esempio, Unitatis re-
dintegratio sostiene che nelle «comunità separate», quan-
tunque «abbiano delle carenze», vengono praticate «non

65
Ivi, nn. 59-61.
66
Ivi, n. 58.

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Credere Deum: comprensione di ciò che è rivelato 193

poche azioni sacre della religione cristiana», che possono


«produrre realmente la vita della grazia».67 Qualcosa di
analogo si potrebbe dire, in proporzione, della fede non
trinitaria degli ebrei e dei musulmani a partire dall’affer-
mazione di Giovanni Paolo II in Redemptor hominis 6:
«La ferma credenza dei seguaci delle religioni non cri-
stiane, effetto anch’essa dello Spirito di verità».68

La fede del popolo e la parola di Dio

Ci dedichiamo ora alla relazione tra la fede e la co-


noscenza della Parola di Dio. È un fatto che i poveri
vivono la loro fede senza dare grande importanza al-
la lettura e allo studio della Sacra Scrittura. Sebbene
in molte delle loro case si possa trovare una Bibbia,
la maggior parte delle volte la tengono per venerar-
la insieme ad altri oggetti religiosi, piuttosto che per
leggerla. Si potrebbe obiettare che questa è una ma-
nifestazione del fatto che ci troviamo davanti a una
fede carente, che disprezza la conoscenza della Paro-
la di Dio. Possiamo formulare questa obiezione con
parole del nostro autore, dicendo che non è vera fede
quella che respinge la Parola di Dio, poiché «la fede
soprannaturale ha per oggetto la Rivelazione che Dio
fa agli uomini, ma Dio compie la sua Rivelazione –
che culmina in Gesù Cristo – per mezzo della Parola,
pertanto necessariamente la fede si fonda e cresce tra-
mite la conoscenza della Parola di Dio».69
Per rispondere a questa obiezione, Tello ricorda
che l’espressione Parola di Dio si può impiegare in di-
versi sensi. In questo caso ne considera quattro: 1. Pa-

67
UR 3.
68
Della fede dei non cattolici il nostro autore tratta in R. TELLO,
Fundamentos de una Nueva Evangelización, inedito, 1988, nota 15.
69
TELLO, El cristianismo popular según las virtudes teologales: La
Fe, cit., n. 91.

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194 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

rola di Dio è il Verbo di Dio; 2. Parola di Dio è tutta


la Rivelazione; 3. Parola di Dio è tutta la Sacra Scrit-
tura; 4. Parola di Dio è «tutta quella predicata (di so-
lito in assemblea) nel nome di Dio».70
Se intendiamo la Parola di Dio nei primi due sen-
si – come Verbo di Dio e come la totalità della Rive-
lazione –, è corretto affermare che la fede necessaria-
mente si fonda e cresce tramite la conoscenza della
Parola di Dio. Ma i modi in cui questa conoscenza
si verifica sono molti e diversi e non si riducono alla
lettura della Sacra Scrittura. Perciò non si può affer-
mare una relazione di necessità tra la fede e la cono-
scenza della Parola di Dio se intendiamo quest’ulti-
ma nei due successivi sensi (come Sacra Scrittura e
come predicazione). Tello dirà che «più appropriata-
mente, tenendo in conto i primi tre sensi, si potreb-
be dire che la Rivelazione di Dio è oggetto della fede,
e la Parola soltanto in quanto è strumento della Rive-
lazione».71 D’altra parte, se ricordiamo quanto è stato
detto sul fatto che per i minori non era necessario cre-
dere esplicitamente molte delle verità di fede, possia-
mo affermare che quanto è necessario per la Chiesa
può non esserlo per qualche particolare individuo.72
Inoltre questa obiezione va intesa in un conte-
sto dove l’espressione «Parola di Dio» ha una carica
di significato discutibile. Tello – che si è sempre ca-
ratterizzato come un acuto osservatore della vita del-
la Chiesa – sostiene che nell’uso colloquiale in qual-
che misura è prevalso il senso protestante di «Parola
di Dio»:

Il protestantesimo (nella sua accezione più generale


di protesta contro dottrine di autorità ecclesiastiche
post-apostoliche, che include movimenti non lutera-

70
Ivi, n. 97.
71
Ivi, n. 98.
72
Cfr. ibidem.

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Credere Deum: comprensione di ciò che è rivelato 195

ni), in lotta contro istituzioni e autorità della Chie-


sa, ha affermato come Parola di Dio esclusivamen-
te quella che è contenuta in quelli che esso giudicava
Libri ispirati.
La Chiesa ha assunto, in maniera piuttosto genera-
lizzata, l’abitudine a usare anch’essa l’espressione
«Parola di Dio», ma non è riuscita a imporre e a dar-
le nell’uso comune il senso espresso anteriormente
(Verbo di Dio – Rivelazione). Al contrario, si è diffu-
so nel sentire comune il senso di «Parola di Dio» co-
me la parola scritta contenuta nelle Sacre Scritture, ed
è quel senso che oggi prevale comunemente.73

Quello che identifica la Parola di Dio con la Sacra


Scrittura è un riduzionismo in cui a volte cadiamo sen-
za accorgercene. Riguardo a ciò sono assai chiare le pa-
role di un prestigioso biblista, il cardinale A. Vanhoye,
che afferma:

Non si deve identificare la Parola di Dio con la Bib-


bia. Al tempo di san Paolo non c’era niente di scrit-
to del Nuovo Testamento. Ma san Paolo era consape-
vole di predicare la Parola di Dio, e si congratulava
con i Tessalonicesi perché avevano ricevuto il messag-
gio proclamato da lui non come discorso umano, ma
come Parola di Dio che opera in chi crede. La Parola
di Dio è una cosa viva, la Bibbia è un testo scritto. Ha
un’importanza speciale perché è un testo ispirato. Ma
la nostra fede non è una religione del Libro, non è la
religione biblica. La nostra fede è una religione del-
la Parola di Dio viva, accolta, che ci mette in relazio-
ne personale con Gesù Cristo, e, per mezzo di Cristo,
con Dio Padre.74
73
Ivi, nn. 99-100.
74
G. VALENTE, «La Parola di Dio: un sangue versato che par-
la», Intervista con il cardinale Albert Vanhoye, in 30 Giorni, giu-
gno-luglio 2008, www.30giorni.it/articoli_id_18472_l1.htm (con-
sultato il 3.10.2014).

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196 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

Su questa linea di non ridurre la Parola di Dio a un


libro, Tello spiega che dobbiamo intendere tale espres-
sione come se comprendesse tutti i quattro sensi prima
presentati, che non si escludono a vicenda:

Pertanto, quando si parla della Parola di Dio non bi-


sogna ridurre il problema, né esclusivamente né prin-
cipalmente, alla Sacra Scrittura. Si tratta principal-
mente della Parola incarnata, anche della Rivelazione
che l’ha preceduta e che acquista adesso tutto il suo
significato, dell’insegnamento apostolico trasmesso
per tradizione o per scritto, della sintesi o riassunto
di tutta la fede compiuto dalla Chiesa nei Simboli o
Credo, e del suo annuncio attraverso i secoli finché
Egli ritorni.75

La Parola di Dio comprende altri modi di giungere


all’essere umano, oltre alla Sacra Scrittura, sebbene sia-
no tutti connessi con essa e chiariti da essa. D’altra par-
te, a provocare la fede non è la Scrittura ma Dio, che dà
la sua grazia sempre «in concordanza con la Sacra Scrit-
tura, ma non sempre attraverso la sua lettura».76
Con ciò l’autore non intende svalutare la ricchezza
dei Libri sacri. Riconosce che essi sono la norma su-
prema della vita della Chiesa, che «costituiscono fer-
mezza di fede, alimento dell’anima, fonte limpida e
perenne della vita spirituale (DV 21)»77 e che il Con-
cilio Vaticano II ne raccomanda la lettura assidua.78
Ma ci previene da un riduzionismo che può condurci
– ci si passi l’espressione – a «divinizzare» la Bibbia.
La sua lettura e il suo studio sono sempre raccoman-
75
TELLO, Nota (g): La pastoral popular, inedito, 1990, n. 525
(uno stralcio di questo scritto è stato pubblicato nel 2005 con il
titolo Palabra de Dios e Imagen en la pastoral popular. I testi che ci-
tiamo si trovano anche lì).
76
Ivi, n. 537.
77
Ivi, n. 538.
78
Cfr. DV 25.

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Credere Deum: comprensione di ciò che è rivelato 197

dabili, ma non si possono presentare come assoluta-


mente necessari per tutti i fedeli. Questa visione è già
stata condannata e considerata «turbatrice della quie-
te delle anime» dal Magistero all’epoca del gianseni-
smo.79 Dobbiamo riconoscere che esistono altre stra-
de complementari per incontrare la Parola di Dio.
Riassumendo, possiamo dire che:

– La Sacra Scrittura è necessaria per la Chiesa poi-


ché è una norma suprema della sua fede, ed è il mez-
zo per alimentare e reggere tutta la religione cristia-
na (DV 21).
– Dev’essere l’anima della teologia e alimentare e da-
re frutto nel ministero della Parola (DV 24).
– La lettura non è assolutamente necessaria per i
semplici fedeli, come consta dalla condanna delle
proposizioni di Quesnel80 e del Sinodo di Pistoia; in-
fatti essi devono ricevere la dottrina della Scrittura at-
traverso la predicazione della Chiesa e le immagini,
che fanno parte a loro volta della Parola di Dio.81

Nel caso del nostro popolo bisogna anche considera-


re che questo non conosce tanto attraverso idee astratte
quanto attraverso realtà concrete. «Per questo coglie me-
glio, come essere e come norma, Dio, Cristo, la Vergine
e i santi, piuttosto che la Parola di Dio come espressio-
ne di idee che gli risultano astratte».82

79
Pio VI nel 1794 condanna come gianseniste le idee del Si-
nodo di Pistoia. Nella costituzione Auctorem Fidei dice: «La dot-
trina la quale asserisce che dalla lettura delle Sacre Scritture “non
iscusa se non la vera impotenza” […] è falsa, temeraria, turbatrice
della quiete delle anime, altra volta condannata in Quesnel [v.
1429 ss]» (Dz 1567).
80
Papa Clemente XI, con la bolla Unigenitus, nel 1713 con-
dannò 101 proposizioni del giansenista Quesnel.
81
TELLO, Nota (g): La pastoral popular, cit., n. 537.
82
ID., El cristianismo popular según las virtudes teologales: La Fe,
cit., n. 101.

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198 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

Conviene comunque chiarire che la maggior par-


te dei testi biblici non si esprime con ragionamenti
astratti, ma piuttosto con narrazioni e simboli. La dif-
ficoltà risiede nel fatto che nei poveri l’abitudine al-
la lettura non è frequente. A loro non risultano estra-
nee le storie bibliche, quanto invece la loro lettura.
Pertanto, le stesse verità contenute nella Sacra Scrittu-
ra li raggiungono più facilmente non tanto attraver-
so il contatto visivo con il testo scritto, bensì attra-
verso altre vie che possono essere immagini religiose,
preghiere tradizionali, novene, atti sacramentali (per
esempio presepi e vie crucis viventi), film, racconti
orali e via dicendo.
Tello ha dedicato uno speciale interesse a studia-
re il ruolo delle immagini religiose nell’evangelizza-
zione, e a promuoverne l’uso come una forma per
mantenersi nel solco dei primi evangelizzatori.83 Per-
ciò afferma che esse sono state uno dei grandi mez-
zi storici tramite i quali il nostro popolo ha ricevuto
la fede:

Un altro grande mezzo storico per presentare e far


conoscere la Parola di Dio è stata l’immagine. Il po-
polo coglie ciò che è spirituale in ciò che è sensibile.
E la Parola si è fatta carne per rendersi visibile e tan-
gibile. Vedendo nell’immagine sensibile, il popolo si
unisce alla Parola. E con questo mezzo assai più che
con altri (contra factum non est argumentum).84

83
Per uno studio più dettagliato cfr., tra gli altri, R. TELLO, Pala-
bra de Dios e Imagen en la pastoral popular, pubblicazione per uso
interno della Cofradía de Luján (versione originale del 1990),
2005; Breve fundamentación de las peregrinaciones y misiones con la
Virgen, cit.; Ubicación histórica del cristianismo popular, cit.; La nue-
va evangelización. Escritos teológicos pastorales, cit., pp. 52-54.
84
TELLO, Palabra de Dios e Imagen en la pastoral popular, cit., n.
19. A questo testo è apposta una nota a piè di pagina che dice:
«Il popolo non comprende intellettualmente, ma sensibilmente.
Soprattutto tramite la vista. La differenza immagine-parola, che

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Credere in Deum: tendere verso Dio 199

Esattamente come l’indio – e poi il meticcio e og-


gi il creolo –, i poveri conoscono le realtà spirituali di
preferenza per la via simbolica. Per questo risulta lo-
ro più facile «leggere» le verità della Scrittura nelle im-
magini religiose o negli atti sacramentali che non nel
testo scritto. Sicché l’immagine «dice» loro più di mil-
le parole. Lo sguardo a un crocifisso dice loro che Gesù
è morto per tutti e che il suo amore è più forte della
morte. Quando contemplano la bellezza di un’imma-
gine della Vergine, questa fa loro conoscere la provvi-
denza materna di Dio e fa loro pregustare la festa del
cielo. Se portano sul petto la medaglia di un santo, si
sentono rivestiti della sua protezione. In tal modo le
immagini religiose offrono un itinerario simbolico per
imparare le verità di fede che il nostro popolo percor-
re fecondamente.

Conclusione

Per concludere questa considerazione che riguar-


da la relazione tra l’atto di fede dell’uomo di cultu-
ra popolare e l’oggetto materiale della fede (credere
Deum), e procedere verso la fede come tendenza (cre-
dere in Deum), ricordiamo che la fede non cresce sol-
tanto per via di conoscenza; cresce soprattutto quan-
to più si radica in tutte le dimensioni dello spirito del
credente. Con parole di K. Rahner:

nell’era moderna è molto diffusa, è di radice protestante. Si ten-


de a contrapporle, ma filosoficamente non si distinguono molto.
La parola è il verbo, la somiglianza che si esprime attraverso una
parola. Cristo è immagine e parola. Si insiste sulla parola, e la fe-
de popolare si basa di più sull’immagine. E questo viene visto co-
me una carenza, ma non lo è. Infatti l’immagine custodisce sem-
pre una parola implicita (un crocifisso mi dice che Cristo è mor-
to per tutti). Al popolo l’immagine “dice” più della parola astrat-
ta. Una parrocchia che voglia essere popolare deve fondarsi più
sull’abbondanza di immagini che di parole».

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200 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

Ebbene, proprio questa autocomunicazione di Dio


può essere accolta soggettivamente in misura sem-
pre più completa. […] Non c’è solo una crescita
mediante la pluralità verbale dell’analisi […], ma an-
che mediante una sintesi silenziosa. Pertanto […] la
fede, oltre il credere Deum e il credere Deo, percepisce
con chiarezza anche il credere in Deum.85

Credere in Deum: tendere verso Dio

La terza dimensione dell’atto di fede considera il


movimento verso Dio prodotto da questa virtù teo-
logale. Si tratta dell’impulso che la volontà eserci-
ta sull’intelletto affinché accetti la rivelazione divi-
na, che è in sé oscura ed eccede la ragione naturale.
L’oggetto della fede in questo caso è visto sotto la ra-
gione di Bene supremo, come una Verità amabile.
Più precisamente, Ricardo Ferrara afferma che «il cre-
dere in Deum è quell’aspetto dell’atto di fede con il
quale si evidenzia l’adesione volontaria a Dio Verità
somma sotto la ragione di Fine: la decisione di orien-
tarmi a Dio Verità somma come al mio fine e valore
supremo».86
È tendere, donarsi a Dio in risposta a un’iniziativa
divina. Tello dirà che il credere in Deum «è attribuito
all’unzione dello Spirito Santo» e che esprime l’a-
spetto della fede attraverso cui lo spirito umano «si
apre alla speranza di raggiungere la Beatitudine con
l’aiuto di Dio stesso e si apre anche all’Amore al di

85
K. RAHNER, Considerazioni dogmatiche in margine alla pietà ec-
clesiale, in J. DANIÉLOU - H. VORGRIMLER (a cura di), Sentire Eccle-
siam. La coscienza della Chiesa come forza plasmatrice della pietà, ed.
it. vol. II, Edizioni Paoline, Roma 1964, p. 731.
86
R. FERRARA, «“Fidei infusio” y revelación en santo Tomás de
Aquino. Summa Theologiae, I-II q100, a4, ad1m», Teología 23/24
(1974) 24-32, 28.

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Credere in Deum: tendere verso Dio 201

sopra di tutte le cose per quel Dio che è la felicità


dell’uomo».87
Tramite il credere in Deum il credente si dona a Dio
prima di qualsiasi riflessione. Si tratta di «una certa
forma di giudizio pratico»88 che si produce davanti
all’oggetto della fede percepito come buono:

Nell’oggetto della fede non è necessario che tutto


passi al credente tramite la mediazione della rivela-
zione (credere Deo). C’è qualcosa di immediato, evi-
dente, «per se notum», nell’oggetto della fede per co-
lui che ha l’abito infuso di fede: credere in Deum. […]
nel credere in Deum questa evidenza pratica va riferita
a Dio Verità somma in quanto Fine. Si può formula-
re con questa proposizione: «Devo riporre il mio Fi-
ne ultimo in Dio Verità somma».89

Qui entra in gioco la dimensione affettiva dell’esse-


re umano. L’intelletto accetta una verità non perché la
conosca compiutamente, ma perché gli si presenta ama-
bile. La scolastica lo descriveva come un affetto che
muove a credere: pius credulitatis affectus.90 Ciò influi-
sce decisivamente sulla conoscenza che si ha dell’ogget-
to della fede. Si tratta di una Verità amata, pertanto si
ha di essa anche una conoscenza affettiva. L’amore ap-
porta un plus, permettendo in un certo senso una cono-
scenza più ricca, più gustosa, più intima dell’oggetto.
Tale amabilità dell’oggetto della fede provoca la devo-
zione e la fiducia nell’amato. Più avanti riprenderemo
questo concetto parlando della conoscenza affettiva o
per connaturalità.

87
TELLO, El cristianismo popular según las virtudes teologales: La
Fe, cit., n. 66.
88
FERRARA, art. cit., p. 30.
89
Ivi, pp. 29-30.
90
L’espressione risale al II Concilio di Orange (529). Cfr. Dz
178.

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202 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

Su questo punto vale la pena di ricordare che


quando parliamo del credere in Deum non ci riferia-
mo a un atto di fede diverso da quello del credere Deo
e del credere Deum: si tratta bensì di tre aspetti di uno
stesso atto che sono «reciprocamente coimplicati, in
una relazione di circolarità».91 Fra i tre aspetti, si può
dire che questo del movimento verso Dio è il princi-
pale perché «presuppone gli altri due e li supera sin-
tetizzandoli in sé».92 Tanto il credere Deo quanto il cre-
dere Deum si ordinano al credere in Deum: «L’atto di
fede propriamente detto secondo il suo aspetto for-
male (credere Deo) e secondo il suo aspetto materiale
(credere Deum) e la sua esplicitazione razionale, si or-
dinano in ultimo termine ad accrescere la fiducia e la
devozione (credere in Deum).93
Per il nostro autore il terzo aspetto è «quello che
dà la vera misura della fede»94 e in esso si manife-
sta gran parte delle ricchezze della fede dei poveri.
La fede del popolo vive accentuatamente questa di-
mensione di tensione verso Dio. Abbiamo detto che
essa provoca una conoscenza affettiva e che muo-
ve alla devozione e alla fiducia in Dio. Tutte queste
caratteristiche sono assai presenti nel cristianesimo
popolare. Nonostante la scarsa «istruzione religio-
sa», i poveri conoscono molto di Dio attraverso la
loro sapienza popolare. E nonostante le innumere-
voli sofferenze della vita, confidano in Cristo, nella
Vergine e nei santi, si «aggrappano» a loro ed espri-
mono loro incessantemente la propria devozione
attraverso le ricche manifestazioni della religiosità
popolare.

91
J.L. RUIZ DE LA PEÑA, El don de Dios: antropología teológica espe-
cial, Sal Terrae, Santander, 19912, p. 331.
92
Ibidem.
93
TELLO, El cristianismo popular según las virtudes teologales: La
Fe, cit., n. 67.
94
Ivi, n. 68.

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Credere in Deum: tendere verso Dio 203

Nell’esperienza della fede il cristianesimo popo-


lare privilegia gli aspetti di adesione (credere Deo) e
tendenza a Dio (credere in Deum), piuttosto che la co-
noscenza esplicita delle verità di fede (credere Deum).
Dunque, per comprendere – e giudicare adeguata-
mente – tale modo di vita cristiana occorre guardare
soprattutto a questi aspetti.

È questo terzo aspetto a dare la vera misura della


fede. E dev’essere il criterio principale per valutare
la fede del cristianesimo popolare. In questo senso,
considerata nella sua stessa essenza, la fede è maggio-
re in chi aderisce di più a Dio, e ciò dipende anzi-
tutto e principalmente dal dono di Dio (credere Deo).
Considerata dal punto di vista dell’esplicitazione del-
le verità rivelate (credere Deum) o della capacità ra-
zionale di comprenderle o esporle, è indubbiamen-
te maggiore la fede dei colti, di coloro che sanno, e
questa è una ricchezza del popolo di Dio.
Sicché è opportuno mettere in risalto il fatto che l’e-
splicitazione della fede e lo sviluppo razionale è una
strada molto ricca e valida per l’uomo, ed egli deve
cercare di accrescerla sempre. Ma non è l’unica. Anche
la fede degli «ignoranti» è vera e, benché macchiata
da errori, in quanto è un dono di Dio non è minor
forza di santificazione e di salvezza (e pertanto va ri-
spettata non imponendole un modo «razionale»).
La questione viene rispecchiata dallo stesso giudizio
magisteriale della Chiesa, che, da una parte, afferma
che la fede deve svilupparsi attraverso un’adeguata
catechesi, e dall’altra riconosce che la fede dei nostri
popoli latinoamericani è così forte che è durata attra-
verso i secoli nonostante le condizioni pastorali av-
verse in cui il popolo si è trovato e l’attacco insidioso
alle verità della fede.95

95
Ivi, nn. 68-72.

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204 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

La fede informe e il credere in Deum

Tello era un pensatore profondamente realista. Per


questo, nel momento in cui considerava teologica-
mente come presso i poveri fosse vissuta la fede cri-
stiana, non volle evitare di domandarsi che cosa acca-
da a questa virtù quando si presenta il peccato. Non
si può negare l’evidenza che in quello stesso popolo
del quale abbiamo detto che ha una fede molto ric-
ca si danno molte e scandalose situazioni di pecca-
to. Com’è possibile? La vera fede può coesistere con
il peccato?
La prima cosa da dire è che nel momento di giu-
dicare sulla presenza del peccato è opportuno esse-
re molto cauti. Non bisogna mai trascurare la consi-
derazione se l’azione che si crede peccaminosa non
sia condizionata da circostanze le quali portano a ri-
tenere che non ci si trovi davanti a una colpevolez-
za soggettiva. Ne abbiamo già accennato quando,
parlando della carità, trattavamo le cause scusan-
ti del peccato.96 A ciò si aggiunga che per giudicare
le azioni di una persona dobbiamo conoscere la
cultura in cui vive. Per questo non possiamo parlare
con piena cognizione del peccato nel popolo se non
facciamo uno sforzo previo per conoscere la cultura
popolare.
Dobbiamo comunque domandarci come il pecca-
to colpisca la fede del popolo. Il vero peccato, detto
peccato grave o mortale, è un’azione volontaria e co-
sciente che si oppone al fine ultimo dell’essere uma-
no, il quale risiede nella vita felice con Dio. Perciò
qualsiasi peccato mortale distrugge la carità. È que-
sta virtù a orientare la vita dell’uomo verso Dio come
suo Fine ultimo, è essa a far sì che tutte le azioni li-
bere si volgano a Dio e a conferire il loro carattere di
virtù a tutte le altre virtù. Si dice che «la carità è la for-
96
Cfr. supra, p. 107 e ss.

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Credere in Deum: tendere verso Dio 205

ma di tutte le virtù».97 Quando essa viene meno, non


sopravvivono vere virtù. Se guardiamo alle virtù teo-
logali, vediamo che quando si perde la carità, la fede
e la speranza non scompaiono, ma perdono la perfe-
zione propria di una virtù. Si parla in questo caso di
una fede informe o di una speranza informe.
Tello rimarca che tanto la fede quanto la speranza
informi restano una forza salvifica che agisce nel cuo-
re del credente e che – pur non essendo propriamen-
te virtù – non vanno sottovalutate.

La Chiesa nella sua azione pastorale spinge il popo-


lo a una maggiore unione con Dio, che si compie tra-
mite le virtù teologali e direttamente e immediata-
mente tramite la carità che unisce a Dio con amore
di amicizia, ma anche se questa non esistesse nella perso-
na, le altre due virtù rimanenti: a) realizzano una cer-
ta unione con Dio: b) contengono in qualche modo
l’azione dello Spirito Santo; c) possono avere inten-
sità maggiore rispetto a un’altra persona che posseg-
ga la carità.98

Fedele al proprio stile, fonda questa affermazione sul-


la dottrina di san Tommaso e con le citazioni del Ma-

97
De ver q14, q5, sed contra 3.
98
TELLO, El cristianismo popular según las virtudes teologales: La
Fe, cit., n. 13 (corsivo nostro). Sul valore della speranza, della fe-
de e delle altre virtù nel caso in cui esse si diano senza carità, di-
ceva in un’altra circostanza: «Davanti alle virtù imperfette si pos-
sono adottare, in linea generale, due atteggiamenti: respingerle e
mettere l’accento sulla necessità di acquisire le virtù e basta, po-
nendo tutto lo sforzo nell’insegnarle in teoria e in pratica; oppu-
re si può riconoscerne il valore (sempre relativo, parziale, è ve-
ro, ma pur sempre valore) e incoraggiarne l’esercizio, cooperare
con esse, aspettando e facendo in modo che possano giungere al-
la loro forma piena e perfetta. Il Concilio Vaticano II sembra pro-
pendere decisamente per questo secondo atteggiamento» (R. TEL-
LO, Anexo I a La Nueva Evangelización. Volverse hacia el hombre, ine-
dito, 1986, p. 44).

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206 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

gistero. In questo senso ricorda la dottrina di Trento e


del Concilio Vaticano I che già abbiamo riportato a pro-
posito delle affermazioni erronee coesistenti con la fe-
de. La prima insegna che la virtù della fede non viene
distrutta da qualsiasi peccato, ma soltanto da un pec-
cato formale contro la fede, e che non si può afferma-
re che chi ha perduto la carità non sia cristiano.99 Dal
canto suo, il Vaticano I afferma che «la fede, quindi, in
sé stessa, anche se non opera per mezzo della carità (cfr.
Gal 5, 6), è un dono di Dio, e l’atto suo proprio è opera
riguardante la salvezza».100
Nella Somma teologica san Tommaso sostiene che
«la fede informe è un dono di Dio».101 Ancorché sia
una fede che «non sia perfetta in senso assoluto come
virtù, ha però la perfezione essenziale alla fede».102 Se
si perde la carità, ma non si pecca formalmente con-
tro la fede, essa rimane nell’uomo in modo informe,
o «come virtù incipiente».103 Resta pur sempre dono
della grazia, che «inclina l’uomo a credere per un sen-
timento di bontà».104 La fede informe presta assenso
a Dio secondo un amore imperfetto della volontà, e
non secondo la perfezione della volontà che provie-
ne dalla carità.

Fede e speranza in qualche maniera possono esistere


senza la carità; ma non possono avere senza di essa
99
Dz 808: «Bisogna affermare che non solo con l’infedeltà,
per cui si perde la stessa fede, ma anche con qualsiasi altro pec-
cato mortale, sebbene non si perda la fede, si perde però la gra-
zia della giustificazione». Dz 838: «Se qualcuno afferma che, per-
duta la grazia con il peccato, si perde sempre insieme anche la fe-
de, o che la fede che rimane non è vera fede, in quanto non è vi-
va, o che colui che ha la fede senza la carità, non è cristiano: sia
anatema».
100
Dz 1791.
101
ST II-II q6, a2.
102
Ibidem.
103
Cfr. ST I-II q65, a4.
104
ST II-II q5, a2, ad2.

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Credere in Deum: tendere verso Dio 207

perfetta natura di virtù. Infatti, essendo atto proprio


della fede credere in Dio; e non essendo il credere
che dare l’assenso a qualcuno con la propria volon-
tà; se uno non vuole nel debito modo, il suo atto di
fede non potrà essere perfetto. Ma volere nel debito
modo dipende dalla carità, la quale rettifica il volere:
infatti, come nota sant’Agostino [nel libro IV De civ.
Dei], ogni moto retto della volontà deriva da un retto
amore. Perciò la fede può anche trovarsi senza la cari-
tà, ma (allora) non è una virtù perfetta: appunto co-
me la temperanza o la fortezza prive di prudenza. Lo
stesso si dica per la speranza.105

Nella fede informe si possono distinguere anche i tre


aspetti che trovavamo nella fede perfetta, poiché essi ri-
guardano la natura stessa della fede e non la sua perfe-
zione.106 Per questo Tello dirà:

Ogni atto di fede, anche senza carità, contiene ini-


zialmente un movimento verso Dio (credere in Deum)
e per ciò stesso lo stesso movimento conduce a cre-

105
ST I-II q65, a4.
106
San Tommaso afferma che «ciò che rende formata o viva
la fede non è parte essenziale della fede» (ST II-II q4, a4, ad2).
Qui si nota la differenza del suo pensiero rispetto a sant’Agosti-
no nel formulare l’atto di fede sotto tre aspetti. Mentre per Tom-
maso il credere in Deum sussiste nella fede informe, per Agosti-
no il credere in Deum è espressione della fede viva, va unito alla
speranza e alla carità, poiché «crede infatti in Cristo colui che ri-
pone la sua speranza in Cristo e ama Cristo» (Disc. 144,2). Inol-
tre sostiene che il credere in Deum è «credendo amarlo e diventa-
re suoi amici, credendo entrare nella sua intimità e incorporar-
si alle sue membra» (In Io. 29,6: PL 35:1631). San Tommaso, in-
vece, interpreta il credere in Deum come un movimento previo
della volontà che orienta il credere. È il «pius affectus credendi»,
il devoto desiderio di credere che appartiene alla natura della fe-
de, e che si dà anche nella fede informe. Più approfonditamente in
PIÉ-NINOT, La Teología fundamental: dar razón de la esperanza (1Pe
3,15), cit., p. 190.

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208 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

dergli (credere Deo) e a crederlo (credere Deum), e lo


stesso movimento porta a sperare il bene da Dio in
cui si è creduto (e ciò comporta amare Dio come un
bene per noi, vale a dire con un amore imperfetto
[ST II-II q 17, a8]).107

L’aspetto del movimento verso Dio (credere in Deum)


nella fede informe sarà un amore che non raggiunge la
perfezione a cui era destinato, in quanto non è comple-
tato dalla carità. Questo amore imperfetto – pur non es-
sendo in alcun modo ideale – ottiene una certa unione
con Dio. Quanti perdono la vita della grazia rimango-
no membra di Cristo – in modo imperfetto – «median-
te la fede informe, che unisce a Cristo in modo relativo
e non assoluto […]. Tuttavia costoro ricevono da Cristo
un certo atto vitale che è il credere».108
Per questo abbiamo detto che la fede imperfetta è
una realtà salvifica presente nello spirito umano che
non dobbiamo disprezzare, come non va trascura-
ta la fiammella che arde debolmente. Se questa fede
esiste è perché è infusa da Dio e implica un dinami-
smo mediante il quale Dio attira verso di sé il creden-
te. Inoltre la fede – anche quella informe – dispone
all’infusione della carità e ingenera il timore di Dio
e la fiducia.109 Nel trattato sulla fede – di ispirazio-
ne tomista110 – offerto dal volume collettaneo Myste-
rium salutis, questo potenziale viene magnificamente
espresso:

Anche la fede «morta», nella misura in cui è fede sal-


vifica, è libera, e non solo la fede viva, la fede che

107
TELLO, El cristianismo popular según las virtudes teologa-
les: La Fe, cit., n. 14.
108
ST III q8, a3, ad2.
109
Cfr. TELLO, El cristianismo popular según las virtudes teologales:
La Fe, cit., n. 15.
110
Cfr. GELABERT BALLESTER, «Tratado de la fe. Introducción a las
cuestiones 1 a 16», cit., p. 42.

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Credere in Deum: tendere verso Dio 209

opera mediante la carità. Ma anche questa fede mor-


ta non è senza influsso della carità. Vive infatti in es-
sa un tendere alla luce, alla vita, fuori dal deserto
della morte, una disponibilità all’accettazione della
salvezza. La fede e la speranza si radicano infatti nel
sacro fondamento della carità, il quale ha penetrato
la loro natura atemporale e nel deserto della morte
non vuole intorpidirsi nell’oscurità della malinconia
o della freddezza del cuore, ma è pronto a intendere
la chiamata divina alla salvezza.111

Un’altra questione da considerare è che sebbene il


movimento verso Dio proprio della fede (credere in
Deum) sia perfezionato dalla carità che unisce a Dio, ci
sono altre caratteristiche, come l’intensità dell’atto di fe-
de, che dipendono dal soggetto che lo esprime. Sicché il
nostro teologo afferma che «la tensione verso Dio può
essere più intensa (sia pure più imperfetta) in un uomo
che si trova in peccato grave che in un altro che si tro-
va in grazia santificante [la stessa cosa, in proporzione,
può dirsi del timore e della fiducia]».112
Ricordiamo, infine, che la fede informe – pur es-
sendo una forza di salvezza presente nello spirito
umano – non è affatto un ideale, non è un modo
desiderabile di vivere la fede. «La forma normale è
costituita dalla fede che opera nella carità (Gal 5,6),
in quanto la carità costituisce la forma perfetta del-
la volontà di credere, se questa sola è sufficiente a
dare alla fede più che un’esistenza precaria e abboz-
zata».113

111
J. FEINER - M. LÖHRER (a cura di), ed. it. Mysterium salutis. I
fondamenti d’una dogmatica della storia della salvezza (Parte II),
Queriniana, Brescia 1977, pp. 440-441.
112
TELLO, El cristianismo popular según las virtudes teologales: La
Fe, cit., n. 19.
113
FEINER - LÖHRER (a cura di), Mysterium Salutis…, cit., p. 441.

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210 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

Dal credere in Deum nasce una conoscenza affettiva

Tello – sulla scorta di san Tommaso114 – studia in


vari momenti che cosa sia la conoscenza affettiva o
per connaturalità.115 L’applica soprattutto in due sensi.
Da una parte, come abbiamo già detto, sostiene che
è proprio questa conoscenza sapida che può aiutarci

114
Si può dire che per san Tommaso vi siano due modi di ac-
cedere alla verità, due tipi di conoscenza. Uno è la conoscenza
speculativa e l’altro è la conoscenza affettiva (cfr. ST II-II q162, a3,
ad1). San Tommaso presenta la conoscenza affettiva come appar-
tenente «propriamente al dono della Sapienza» (ST I q64, a1).
Per esercitare la sapienza, al saggio tocca giudicare. E il suo giu-
dizio può avvenire in due modi secondo due forme di sapienza.
Una è la sapienza ottenuta dallo studio che fa giudicare secon-
do la ragione (in questo senso è sapienza la teologia speculativa).
Ma un’altra sapienza è quella che il saggio possiede nelle sue ten-
denze affettive, nei suoi abiti morali o teologali che lo mettono
in contatto con ciò su cui esprime il giudizio. Per riferirsi a que-
sto secondo modo di sapienza san Tommaso si vale dell’analogia
dell’uomo virtuoso che sa che cos’è la virtù perché vi tende. Per
esempio, spiega che l’uomo casto – anche quando ignori la scien-
za morale – sa che cos’è la castità perché vi è incline (cfr. ST II-
II q45, a2). Se lo si interroga sulla castità, egli risponderà non per
scienza ma per istinto, consultando la propria inclinazione, la pro-
pria connaturalità con la castità. Questo modo di conoscenza af-
fettiva può essere altrettanto vero, o ancora di più, che la cono-
scenza speculativa. Per approfondire la conoscenza per connatu-
ralità in san Tommaso, cfr. J. MARITAIN, Distinguere per unire. I gra-
di del sapere, ed. it. Morcelliana, Brescia 2012; F. FORCAT, Ubi humi-
litas, ibi sapientia. El conocimiento afectivo en la vida cristiana en la
Suma de Teología de Santo Tomás de Aquino, Dissertazione per la Li-
cenza in Teologia, direttore Lucio Gera, Facoltà di Teologia, Uni-
versidad Católica Argentina, Buenos Aires 2001.
115
Per approfondimenti sulla conoscenza per connaturalità
nel nostro autore, cfr. R. TELLO, La Iglesia al servicio del pueblo, ine-
dito, 1992; O. ALBADO, «La teología afectiva como modo de cono-
cimiento del pueblo en la pastoral popular del padre Rafael Tel-
lo», in Vida pastoral 287 (2010) 24-28; ID., «Algunas características
de la teología afectiva según el padre Rafael Tello», in Vida pasto-
ral 288 (2010) 20-25.

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Credere in Deum: tendere verso Dio 211

meglio a conoscere la cultura popolare.116 D’altra par-


te, afferma anche che questo è il modo di conoscere le
cose di Dio che predomina nell’uomo del popolo.
Non è possibile qui sviluppare uno studio minuzio-
so di questa dottrina. Ci limiteremo a presentare le ca-
ratteristiche che possono aiutarci a comprendere la re-
lazione tra tale conoscenza e il credere in Deum. Nel
nostro testo base, Tello si sofferma appena a enuncia-
re che la ricezione per via intellettuale è molto diver-
sa da quella per via affettiva, e che questa si riferisce
maggiormente al terzo aspetto dell’atto di fede.117 Tro-
viamo invece una trattazione più estesa del tema nel-
lo scritto La Iglesia al servicio del pueblo. Qui il nostro
autore espone come avviene la conoscenza affettiva
delle cose di Dio, che egli chiama anche teologia af-
fettiva.118 Dopo aver presentato i tre aspetti dell’atto di
fede, spiega che la teologia speculativa nasce dal crede-
re Deum e che dall’unione o dalla tendenza a Dio pro-
pria del credere in Deum sgorga la teologia affettiva:

Dalla fede nasce la teologia. La fede è costituita fon-


damentalmente dall’adesione a Dio. Lo sviluppo ra-
zionale del secondo aspetto, la comprensione di Dio e

116
Abbiamo già accennato a questo tema nel capitolo II, a p.
84 e ss.
117
TELLO, El cristianismo popular según las virtudes teologales: La
Fe, cit., n. 47.
118
Tello preferisce parlare di conoscenza affettiva piuttosto che
di teologia affettiva per far intendere che molte volte questa cono-
scenza non raggiunge il rango di scienza. Lo spiega per analogia
con la teologia speculativa, che offre anche forme che non sono
propriamente scientifiche: «Così come nella teologia speculativa
vi sono forme che non hanno il rango della scienza (la retorica,
la dialettica o topica), allo stesso modo nella conoscenza affetti-
va – così detta perché vi giocano un ruolo determinante l’amore,
la volontà o l’affetto – si danno alcune cose che non giungono al
rango di scienza, sicché preferiamo parlare di conoscenza affetti-
va piuttosto che di teologia affettiva» (TELLO, La Iglesia al servicio
del pueblo, cit., n. 38).

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212 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

la Rivelazione [credere Deum] genera la teologia specu-


lativa. La conoscenza che risulta dalla tendenza o unio-
ne con l’oggetto rivelato, che è un bene per il sogget-
to [credere in Deum], è costitutiva di quella che si può
chiamare teologia affettiva.119

Conviene chiarire che la conoscenza affettiva non è


chiamata così perché la volontà mossa dall’affetto aiu-
ti l’intelletto a incentrarsi di più sull’oggetto conosciu-
to. Piuttosto, si tratta della conoscenza che sorge dall’a-
more. L’oggetto di conoscenza è un oggetto amato e ciò
qualifica il tipo di conoscenza che si può averne.

La conoscenza affettiva, in quanto conoscenza, di-


pende dall’intelletto (e dai sensi che apportano il
«materiale»), ma la volontà da cui provengono l’a-
more o l’affetto vi ha la propria parte: l’oggetto si ri-
veste della condizione di amato […]. Vale a dire, ciò
che è conosciuto non è semplicemente un qualsiasi
oggetto bensì un oggetto-amato, che è conosciuto in
quanto tale; per questo nelle scuole si era soliti dire:
«amor transit in conditionem obiecti».
La condizione di oggetto amato non è una condizio-
ne secondaria che riguardi soltanto lievemente o che
sovrasti la conoscenza, al contrario è massimamente
importante e la trasforma radicalmente.120

Conoscenza affettiva è, per esempio, quella che una


madre ha di suo figlio. Lo ama e lo conosce nella pro-
spettiva di questo affetto. Nell’amarlo, quell’amore ri-
suona in lei e ridonda in una conoscenza maggiore. Se
il bambino ha un problema di salute, senz’altro la ma-
dre consulterà il pediatra, che lo conosce in un altro
modo. Ma questi a sua volta, per dare un giudizio scien-
tifico sui passi da seguire affinché il bambino ritrovi la

119
Ivi, n. 29.
120
Ivi, nn. 41-42.

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Credere in Deum: tendere verso Dio 213

salute, si appoggerà sulla conoscenza della madre che


gli descrive lo stato del bambino.
Nel caso del nostro popolo, questi vive la fede più
come dono che come conoscenza razionale di verità.
Pertanto in esso predomina la teologia affettiva. Svi-
luppa una sapienza popolare che vede Dio presen-
te nella vita e lo conosce a partire da questa presen-
za provvidente: «Nel cristianesimo popolare la fede è
la convinzione che Dio non è estraneo alla nostra vi-
ta, vi prende parte, e nelle profonde esperienze che la ri-
empiono si trova Lui».121
Negli ambiti ecclesiali, invece, viene praticata so-
prattutto la teologia speculativa, e nella pratica poche
volte viene riconosciuto quest’altro modo di conosce-
re proprio del popolo: «L’uomo del popolo conosce
la Chiesa con una specie di teologia affettiva, mentre
negli ambienti ecclesiastici dominanti, oggi, viene co-
munemente usata una teologia speculativa e, ciò che
non dovrebbe verificarsi, quest’ultima manifesta una
profonda incomprensione della prima».122 Tello af-
ferma che il fatto che nella Chiesa non si comprenda
che il popolo conosce in un modo diverso da quel-
lo speculativo «apre un enorme abisso»123 fra la Chie-
sa e il popolo. Non si tratta qui di due conoscenze
contraddittorie, bensì di due modi di conoscere «con
profonde differenze quanto ai centri d’interesse che si
hanno a cuore, e una profonda differenziazione nei
modi di operare».124 A modo di esempio, vediamo
come il nostro autore presenta le differenti enfatizza-
zioni che si danno tra il modo di percepire la Chiesa
che si manifesta nel popolo e quello che si dà negli
ambienti ecclesiali.

121
TELLO, El cristianismo popular según las virtudes teologales: La
Fe, cit., n. 34, corsivo nostro.
122
ID., La Iglesia al servicio del pueblo, cit., n. 30.
123
Ivi, n. 85.
124
Ivi, n. 86.

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214 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

Per quanto riguarda la Chiesa, in sintesi estrema po-


tremmo dire che la teologia speculativa, nei fatti, ha
presente soprattutto la Chiesa come società visibile;
che si dedica a studiarne la struttura e le varie classi
dei fedeli che la costituiscono; che si preoccupa par-
ticolarmente di mostrare come Cristo è il suo princi-
pio; che ha abbondante cura di come deve comportarsi
per svolgere la sua missione; e dato che è società per-
fetta, è attenta a considerare le leggi proprie che devo-
no reggerla.
Il nostro popolo mette l’accento su elementi com-
pletamente diversi: guarda la Chiesa come mistero o
luogo d’incontro dell’uomo con Dio; e se la Chie-
sa è in questo tempo popolo di Dio e realtà visibile,
considera in essa da una parte i suoi elementi di santi-
tà (il santo, l’immagine, il tempio, la «suorina», e via
dicendo) e dall’altra parte che è una cosa del popolo,
di cui il popolo ha bisogno e alla cui strutturazione
contribuisce; dato che la vita è di Dio e per Dio, Cri-
sto appare come fine; e per questo ci si dedica soprat-
tutto non all’azione pastorale (per esempio apostola-
to, formazione eccetera) bensì a ciò che per il popolo
fa, costruisce, costituisce la Chiesa: battesimo, carità e
devozione popolare per Cristo, per la Vergine e per i
santi. D’altro canto, se la Chiesa è una cosa del popo-
lo, in essa la vita viene governata da norme che insor-
gono dalle consuetudini e dalla cultura del popolo,
che peraltro accetta i comandamenti generali di Dio e
soprattutto quello dell’amore.125

Infine, applicando ciò che abbiamo detto a proposito


della fede informe, possiamo dire che la conoscenza af-
fettiva delle realtà soprannaturali può verificarsi anche in
chi possiede una fede senza carità. In realtà, la conoscen-
za affettiva piena «si ottiene grazie a un dono dello Spi-
rito Santo in senso stretto: la sapienza, che presuppone

125
Ivi, nn. 87-88.

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Credere in Deum: tendere verso Dio 215

sempre l’unione per carità».126 Questa virtù teologale ot-


tiene l’unione con Dio e «conduce a penetrare e a vivere
in lui (cfr. ST I-II q28, a2), e da ciò nasce la sapienza che
fa giudicare di tutto secondo il sentire divino (cfr. ST II-II
q45, a1) e questa è in tutta evidenza una conoscenza af-
fettiva».127 Tuttavia anche dalla fede senza carità può sor-
gere una conoscenza per connaturalità. Il nostro autore
afferma che il movimento del credere in Deum – nel caso
in cui non venga perfezionato con la carità – è un amore
imperfetto che produce una conoscenza affettiva.

La fede sempre, necessariamente, anche se non è ac-


compagnata dalla carità, include una tendenza, un
movimento verso Dio, vale a dire un amore (sebbe-
ne non sia un amore perfetto o di carità) e da questo
lato è fonte di una conoscenza amorosa o apprezza-
tiva, ed è quanto si produce anche nel nostro popolo
cristiano.128

Certamente questa conoscenza sarà imperfetta, com’è


imperfetta la fede senza carità. Ma sarà pur sempre un
valore che non va disprezzato.
Sono molte le conseguenze pastorali del ricono-
scimento di una maniera di conoscere Dio che nasce
dall’unione o dalla tensione verso di Lui e dall’affer-
mazione che è questo modo a predominare nel no-
stro popolo. Nel nostro testo base, Tello ne annota
una tra le principali:

[Il popolo] ha di Dio una conoscenza affettiva […]


la conoscenza del popolo si fonda e si approfondisce
nella conoscenza sensibile. Affinché conosca Dio oc-
corre mostrargli Cristo e la Vergine Maria.129
126
Ivi, n. 66.
127
Ivi, n. 77.
128
Ivi, n. 73.
129
R. TELLO, «La caridad», in El cristianismo popular según las vir-
tudes teologales, inedito, 1996, n. 199.

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216 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

Il posto della Vergine Maria nella fede popolare

Nella riflessione teologica sulla fede vissuta nella


cultura popolare non si può fare a meno di menzio-
nare la speciale relazione di amore che c’è tra i poveri
e la Vergine Maria. Chi desideri indagare la vita di
fede del popolo troverà, come un dato rilevante,
un’intensa devozione mariana. Rafael Tello ritiene
che «chi sia davvero povero o conviva con i poveri,
non potrà non constatare che la Vergine è nel cuo-
re della gente».130 Le espressioni di una tale presenza
nella vita del nostro popolo sono molteplici e ricchis-
sime: immagini, novene, rosari, altari familiari, l’uso
diffuso del nome Maria (o di invocazioni mariane)
come nome di battesimo, e così via. Nel nostro conti-
nente capita spesso, nei santuari o nelle edicole delle
città, di vedere persone che si fermano a contempla-
re con «uno sguardo profondo un’immagine amata
di Maria».131 Si può dire che – nella maggior parte dei
casi – nelle sue lotte quotidiane le persone del nostro
popolo si affidano sempre alla Madre celeste. In Lei
cercano conforto, speranza, forza per tirare avanti. Lei
tocca loro il cuore, chiama quegli uomini e donne, li
riunisce come fratelli e sorelle e dà loro la consola-
zione necessaria per le sofferenze della vita.
Tello ha meditato a fondo sul significato teologi-
co che la speciale presenza di Maria riveste nella spi-
ritualità popolare. Egli sostiene che questa spirituali-
tà nasce dalla convinzione che Dio esiste ed è nella
nostra vita (cfr. Eb 11,6) e che la vita è per Lui e da
Lui prende senso. Ma una simile formulazione riesce
del tutto astratta, dunque, così espresso, questo è un
concetto estraneo alla mentalità popolare. Per giun-
gere a Dio il popolo cerca mediazioni concrete e le

130
R. TELLO, «Algo más acerca del pueblo», in ID., Pueblo y Cul-
tura I, Patria Grande, Buenos Aires 2011, p. 2.
131
DA 261.

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Il posto della Vergine Maria nella fede popolare 217

trova nella Vergine. Lei è il segno visibile dell’amore


di Dio nelle loro vite. Attraverso la Vergine il popolo
vede che Dio esiste e si preoccupa di salvare (cfr. Eb
11,6). In un testo del 1989, Tello affermava la ricchez-
za di questa presenza mariana dicendo:

La Vergine Maria, come segno più sensibile, più vici-


no, più tenero di quella fede, raduna folle e le raffor-
za del loro sentirsi popolo, per questo è un elemento
primario per la loro lotta di liberazione. E questo in
tutti i popoli dell’America Latina. Abbiamo detto al-
tre volte che i poveri sono il cuore del popolo e ora
aggiungiamo che la Vergine è nel cuore del popolo.132

Nel nostro testo base l’autore non si sofferma sulla


pluralità di significati che la singolare relazione di amo-
re tra la Vergine e il popolo latinoamericano offre alla
riflessione teologica.133 Invece dedica otto paragrafi del-
la sezione relativa alla fede a spiegare una «difficoltà te-
ologica rispetto alla verità della fede del popolo [che]
si è soliti scorgere nel posto che in essa viene attribui-
to alla Vergine Maria».134 C’è chi crede che le intensis-
sime manifestazioni di affetto e devozione verso Maria
rappresentino una fede «deformata», la quale dà più va-
lore alla Madre di Dio che a Dio stesso. Come se nel-
la fede vissuta dal popolo ci fosse un’inadeguata premi-
132
TELLO, «Algo más acerca del pueblo», cit., p. 2.
133
Il nostro autore ha affrontato questo argomento in molti
testi. Il più specifico è: R. Tello, «María estrella de la evangeliza-
ción (EN 82)», in G. DOTRO - C. GALLI - M. MITCHELL, Seguimos ca-
minando: aproximación socio-histórica teológica y pastoral de la cami-
nata juvenil a Luján, Agape, Buenos Aires 2004, pp. 144-150. Per
vedere altri aspetti dell’insegnamento di Tello sul posto della Ver-
gine Maria nella spiritualità popolare, cfr. E.C. BIANCHI, «América
Latina, tierra de la Virgen», in Vida pastoral 286 (2010) 42-48;
«María en América: vida, dulzura y esperanza nuestra», in Vida
pastoral 289 (2010) 38-43.
134
TELLO, El cristianismo popular según las virtudes teologales: La Fe,
cit., n. 103.

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218 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

nenza mariana, che porta a rendere a Maria un culto di


idolatria. Il nostro autore formula l’obiezione nel modo
che segue:

La Vergine è soltanto uno strumento – certo, privile-


giato – della salvezza data da Dio e compiuta da Cri-
sto. Non bisogna sottovalutare l’azione mediatrice
della Vergine – va esaltata perché è un grande tesoro
che Dio ci ha dato –, ma non bisogna nemmeno so-
pravvalutarla assegnandole un rango che sembra toc-
care la stessa divinità.135

Tello non crede che tanto affetto del popolo per la


Vergine sia fuori posto. Piuttosto vede che il popolo,
con un amore tanto intenso, sta mostrando di percepi-
re – certamente per grazia di Dio – una importantissima
verità di fede: la Vergine Maria è indissolubilmente unita a
Cristo. Per il popolo non esiste Cristo da solo, e nemme-
no esiste la Madre separata dal Figlio. È un concetto or-
todosso sotto il profilo dottrinale, non sempre colto da
quanti ritengono che il popolo ami «eccessivamente» la
Vergine.
Tello ha spiegato a più riprese, dal punto di vista
teologico, come sia quell’unione indissolubile tra la
Madre e il Figlio. Per esempio, in uno scritto intitola-
to Amor al prójimo, diceva:

Sebbene sia vero che le persone di Gesù e della Vergi-


ne sono distintissime (infatti la prima è increata e la
seconda è creata), esse possiedono, in ragione della
Maternità divina, una relazione stretta, intima e in-
dissolubile, e la natura di Cristo (e il suo corpo, san-
gue, «spirito», razza, progenie, inserimento tra i figli
degli uomini, e così via) da Lei dipendono e Lei è in-
serita in un modo determinante ed essenziale nella
missione e nella funzione (salvifica, sacerdotale, re-

135
Ivi, n. 105.

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Il posto della Vergine Maria nella fede popolare 219

gale) che Gesù Cristo doveva svolgere: infatti non per


nulla è stata predestinata insieme a Gesù «nell’unico
e identico decreto dell’Incarnazione della Divina Sa-
pienza» (cfr. Ineffabilis Deus, Pio IX). Sicché possia-
mo dire che Gesù Cristo da solo, separato dalla Ver-
gine Maria, non esiste, e che quando parliamo di Lui
stiamo parlando di Lui e della Vergine. Comprende-
re rettamente questo è conoscere i pensieri di Dio
(cfr. 1Cor 2,10s.), porre la mente in Cristo (ibidem,
2,16).136

Il nostro teologo ritiene che per la tradizione del-


la Chiesa Cristo e Maria siano «uno». Ovviamente per
lui rimangono persone distintissime (una è creata e l’al-
tra è increata) e che in nessun modo tale unità debba
ritenersi un’unità ontologica (e tantomeno un’unio-
ne ipostatica). Tuttavia Cristo si è unito a tutti gli uo-
mini, che sono sue membra, è unum con la sua Chiesa
(cfr. Gv 17,21). In primo luogo, in maniera eminente, si
è unito alla Vergine Maria, la piena di grazia, che è stata
«adornata fin dal primo istante della sua concezione da-
gli splendori di una santità del tutto singolare».137
Nella spiegazione teologica che il nostro autore
fornisce sul modo in cui si dà questa unità tra Cristo e
sua Madre si possono riscontrare due tipi di argomen-
ti, alcuni poggiati sull’autorità del Magistero ecclesiale
e altri più speculativi. Come testimonianza della tra-
dizione egli cita la bolla Ineffabilis Deus, con cui Pio
IX dichiara il dogma dell’Immacolata Concezione nel
1854. Rileva che in questo documento il papa inse-
gna che Dio ha stabilito, «riferendole anche alle ori-
gini della Vergine, le stesse identiche parole impiegate
dalla Sacra Scrittura per parlare della Sapienza incre-
ata e per descriverne le origini eterne, perché entram-
be erano state preordinate nell’unico e identico decre-

136
R. TELLO, Amor al prójimo, inedito, 1994, n. 83.
137
LG 56.

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220 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

to dell’Incarnazione della Divina Sapienza».138 In una


conversazione intrattenuta nell’anno 2000, in cui
commentava questa bolla pontificia, diceva:

Ecco che cosa significa: quando Dio guarda Cristo e


determina che Cristo esista, nello stesso momento,
con lo stesso atto intellettuale con cui vede e deter-
mina Cristo, vede e determina la Vergine. (Ci sarebbe
molto da spiegare su questo). Cristo non esiste nel-
la mente di Dio, che è il modo principale di esistere,
senza la Vergine. Ciò che Cristo è, è secondo la con-
cezione di Dio. Tutto ciò che Cristo è, è ciò che Dio
ha concepito e ha voluto per Cristo. E Dio ha con-
cepito Cristo insieme a Maria. Per questo dico quel-
la formula: Cristo non esiste senza Maria. Non esiste
nella mente di Dio. Non esiste il concetto stesso di
Cristo Unto come Mediatore senza Maria.139

Dio stesso ha ideato Maria e l’ha voluta unita a Cristo


in modo strettissimo e indissolubile. Questa unione è
tanto singolare che fuori di essa non si può comprende-
re compiutamente il mistero del Verbo incarnato. Pen-
sare che l’uomo possa arrivare a Dio unendosi a un Cri-
sto isolato da Maria equivarrebbe a cadere in un falso
cristocentrismo. In questo senso, a Tello piaceva mettere
come esempio il motto appassionatamente mariano di
Giovanni Paolo II: «Il papa, del quale non si può mette-
re in discussione il cristocentrismo, nel suo stemma per-
sonale inscrive Totus tuus riferito alla Vergine Maria».140
Un secondo tipo di argomenti è più speculativo
ed è quello che troviamo in El cristianismo popular se-
gún las virtudes teologales. La chiave dell’argomenta-
zione risiede nell’intuizione che il popolo riconosce
138
PIO IX, Ineffabilis Deus, Pontificis Maximi Acta, Pars prima,
559.
139
R. TELLO, Trascrizione di un colloquio del 29 giugno 2000, inedito.
140
ID., Breve fundamentación de las peregrinaciones y misiones con
la Virgen, cit., p. 34.

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Il posto della Vergine Maria nella fede popolare 221

che la Vergine Maria – in virtù della sua stretta unio-


ne con suo Figlio – partecipa del carattere di fine del-
la vita dell’uomo che è propria di Cristo e così la ve-
nera, come un segno concreto della felicità eterna, o
– con un’espressione più popolare – come un pezzet-
to di cielo.
Vediamo la presentazione dell’autore nel nostro te-
sto base:

Dalla fede sappiamo che Dio, uno nella sua na-


tura e trino nelle persone, è il fine proprio della vi-
ta dell’uomo. Pertanto, lo sono non soltanto il Pa-
dre – principio senza principio – ma anche il Figlio
e lo Spirito Santo. Ma queste persone, che in quan-
to membri della Trinità sono fine, sono anche invia-
te per condurre gli uomini a Dio, e in quanto inviate
sono al tempo stesso mezzo.
Esse non vengono agli uomini se non tramite un le-
game liberamente assunto, ma irrevocabile e indi-
struttibile, e da allora in poi eterno, con la Vergine
Maria, Madre del Verbo e tempio della presenza del-
lo Spirito. Il Dio-con-noi è tale per mezzo della Vergi-
ne; Lei è così lo strumento e il mezzo per eccellenza
dell’unione con Dio.
E sebbene la relazione sia con le due persone divine
inviate, venendo adesso per ragioni di brevità soltan-
to alla relazione con il Figlio, dobbiamo dire che la
Vergine Maria resta costituita – ormai per l’eternità
– con una relazione di maternità, relazione non sol-
tanto con la natura umana di Cristo ma anche con la
persona divina del Figlio, come riconoscono la tradi-
zione, i Padri e tutta la Chiesa nel proclamarla Madre
di Dio.
Attraverso questa relazione che è reale e non soltan-
to di ragione – è realmente Madre di Dio, e non sol-
tanto chiamata tale –, la Vergine è realmente e indis-
solubilmente unita a una persona divina che è fine e
termine di tutto il processo della vita umana. E, inol-

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222 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

tre, vi è unita dalla grazia, che è partecipazione della


natura divina, in modo tale che più che unita è «uno»
con essa, come dice il Signore stesso nel Vangelo di
san Giovanni.
Per questo, poiché è in realtà Madre di una persona
divina e «uno» con essa – in quanto tale –, la Vergi-
ne partecipa del carattere di fine della vita umana.
E l’uomo non deve separare quel che Dio ha unito.
E così si compie ciò che il Concilio Vaticano II inse-
gna e che Giovanni Paolo II riprende nella Redempto-
ris Mater, che soltanto nel mistero di Cristo si chiari-
sce il mistero di Maria (cfr. RMA 4).141

Fedele al suo stile, Tello prende le mosse dalla con-


templazione dell’intimità trinitaria, e dell’uomo orien-
tato verso di essa per conquistare la beatitudine eterna.
Rimarca che tanto di Cristo quanto dello Spirito Santo
si può dire che sono termine della nostra salvezza, ma
sono anche mezzi, attori, autori della salvezza. Inoltre,
entrambi vengono agli uomini «tramite un legame li-
beramente assunto, ma irrevocabile e indistruttibile, e
da allora in poi eterno, con la Vergine Maria, Madre del
Verbo».142 Tanto è vero che la Chiesa venera Maria come
Madre di Dio stesso. La sua relazione di maternità non
si ferma alla natura umana di Cristo, ma tocca anche la
persona divina del Figlio. Questa relazione fa sì che Lei
sia realmente e profondamente unita a una persona divina
che è termine della nostra vita, che è la nostra stessa sal-
vezza. Per questo si può dire che Lei è partecipatamente
fine e mezzo della nostra salvezza.

A Cristo fu data dal padre la salvezza affinché Egli,


Dio-uomo, sia la salvezza stessa e affinché Egli la
compia. Ma con Cristo, e come «uno» con Lui, ha

141
ID., El cristianismo popular según las virtudes teologales: La Fe,
cit., nn. 106-110.
142
Ivi, n. 107.

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Il posto della Vergine Maria nella fede popolare 223

posto la Vergine affinché sia anch’essa parte della sal-


vezza e perché abbia parte nel suo compimento, Lei è
partecipatamente termine e mezzo.143

Nel suo grande amore per Maria, il nostro popolo


la vede accanto a Dio, «come parte del complesso divi-
no che dà senso ultimo alla vita dell’uomo».144 Inoltre,
la percepisce anche come «mezzo eccelso e singolare di
salvezza, poiché la madre non abbandona i suoi figli ed
è sempre con loro».145 È questa interpretazione della viva
devozione mariana dei più umili della nostra terra che
induce Tello ad affermare:

La posizione del nostro popolo nei confronti del-


la Vergine – che vede sempre accanto a quel Dio che
a ragione considera principio e fine o termine della
vita – è quindi pienamente ortodossa e in un certo
modo più vera di altre posizioni che a loro volta si
danno nella Chiesa e che praticamente considerano la
Vergine soltanto come un mezzo per la salvezza.146

Nelle sue devozioni mariane, il popolo conosce –


senza riuscire a formularla – ed esprime la saldissima
unità tra Cristo e Maria. Quel «Dio e la Vergine» sempre
sulle labbra dei poveri ne è un segno eloquente.
Per concludere questa sezione sul posto di Maria
nella spiritualità popolare aggiungeremo alcune os-
servazioni sulle immagini mariane a completamento
di quanto abbiamo detto in precedenza sulle imma-
gini religiose.147 Come abbiamo già detto, esse – spe-
cialmente quelle mariane – hanno svolto un ruolo
assai importante nell’evangelizzazione dell’America.
Per il popolo, la Vergine non è semplicemente Ma-
143
TELLO, Amor al prójimo, cit., n. 87.
144
Ivi, n. 89.
145
Ibidem.
146
Ibidem.
147
Cfr. supra, p. 190 e s.

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224 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

ria considerata in maniera universale. Il popolo rico-


nosce la Vergine nelle invocazioni concrete, legate al
suo processo storico e generalmente vincolate in mo-
do miracoloso a un luogo. Le immagini della Vergi-
ne entrano a far parte dell’identità storica di ogni po-
polazione. Pertanto Puebla insegna che dell’identità
latinoamericana «è simbolo luminosissimo il volto
meticcio di Maria di Guadalupe, che si erge all’inizio
dell’evangelizzazione».148
La devozione mariana è parte dello specifico dei
nostri popoli. Contemplando come essi esprimo-
no una tale devozione, si può dire che il popolo co-
glie istintivamente ciò che la Chiesa ha insegnato più
di milleduecento anni fa, che «l’onore reso all’im-
magine, infatti, passa a colui che essa rappresenta; e
chi adora l’immagine, adora la sostanza di chi in es-
sa è riprodotto».149 Non sembra eccessivo, davanti al-
le effusive manifestazioni d’amore per la Madre che
si possono apprezzare tra i poveri, pensare che tanto
affetto e tanta emozione sgorghino dal sentimento di
trovarsi proprio davanti alla Vergine in persona.

Conclusione

Riassumiamo ora brevemente i principali elemen-


ti di questo capitolo. Dio tende una mano salvatrice
all’uomo, e questi è invitato a rispondere confidan-
do in Lui e affidandoglisi. La risposta all’iniziativa
salvifica divina è la fede. Una risposta che trascen-
de la capacità umana: soltanto la grazia può render-
la possibile. Questo dialogo amoroso tra il Rivelatore
e il credente è proprio dello stato di pellegrini. Nel-
la gloria non sarà più necessario assentire a ciò che
non si vede: sarà tutto visione. Ma finché vive in que-

148
DP 446.
149
II Concilio di Nicea, svoltosi nel 787: Dz 302.

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Conclusione 225

sto mondo, l’essere umano è incessantemente invita-


to a donarsi a Dio con continui atti di fede. Sebbe-
ne dobbiamo riconoscere che ciascuno di questi atti è
un mistero della grazia operante nello spirito umano,
la teologia ci aiuta a dire che in essi si possono distin-
guere tre aspetti. Infatti, grazie alla fede riconosciamo
l’autorità di Dio, assentiamo a ciò che ci rivela e ci
doniamo fiduciosi a Lui: «Dio può essere considerato
come oggetto di fede, come testimone e come fine».150
Questi tre aspetti si possono formulare come credere
Deum, credere Deo e credere in Deum.
In questo capitolo abbiamo presentato, partendo
dalla formulazione agostiniano-tomista, la spiega-
zione che Rafael Tello ha elaborato riguardo a come
i poveri dell’America Latina vivono la fede. È il com-
pletamento di quanto abbiamo esposto nel capito-
lo precedente: gli atti di fede sono sempre influenza-
ti dalla cultura in cui il credente vive. Nel nostro caso
i poveri vivono secondo una cultura – l’abbiamo de-
finita popolare – che offre un ambiente propizio per
vivere atti di fede cristiana. Essi avvengono con una
propria accentuazione che assai spesso è diversa da
quella preferita dalla Chiesa nella propria pastorale
ordinaria. Il popolo tiene Dio molto presente nella
propria vita, sa che esiste e che si preoccupa della sal-
vezza (cfr. Eb 11,6), e – nonostante le innumerevoli
sofferenze che la povertà comporta – inspiegabilmen-
te confida in Dio e celebra la vita. Contemplando
questa spiritualità, Tello sostiene che essa privilegia
gli elementi connessi all’aggrapparsi a Dio (credere
Deo) e al donarsi a Lui (credere in Deum), i più deter-
minanti nell’atto di fede. La dimensione di conoscen-
za intellettuale della fede (credere Deum), invece, resta
in penombra. D’altra parte la cultura ecclesiale po-
ne l’accento soprattutto sulla formazione intellettua-
le (credere Deum) e non sempre ha presente che essa
150
San Tommaso, In Io c.6, lez.3, n. 901.

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226 V. L’atto di fede vissuto nella cornice della cultura popolare

va posta al servizio dell’adesione (credere Deo) e del-


la donazione di sé a Dio (credere in Deum). Questa
disparità di accenti molto spesso provoca frainten-
dimenti tra gli operatori pastorali e quanti vivono la
spiritualità popolare.
Va chiarito che con questa impostazione l’auto-
re non manca di riconoscere la ricchezza che può de-
rivare dall’approfondimento della conoscenza delle
verità di fede costituito dal credere Deum. Ma ciò che
è necessario per la Chiesa può non esserlo per tutti
i suoi membri. Come abbiamo dimostrato nel corso
di questo capitolo, ad alcuni credenti la fede impli-
cita è sufficiente in ciò che si riferisce alla conoscen-
za di molte verità di fede. Credono in ciò che crede la
Chiesa. L’affermazione di san Tommaso è nettissima:
«Chi crede che è vera la fede della Chiesa, con ciò cre-
de quasi implicitamente i singoli articoli che sono
contenuti nella fede della Chiesa».151 È la fede del sem-
plice, fiducioso nella tradizione ricevuta. Quando i
poveri dicono «sono cattolico» non stanno afferman-
do di osservare tutti i criteri di appartenenza che la
cultura ecclesiale richiede. Stanno invece riconoscen-
do che la loro fede crede in ciò che crede la Chiesa.
Tutto ciò che abbiamo finora proposto ci fornisce
molto materiale da considerare al momento di ricer-
care una catechesi adeguata a quanti vivono la spiri-
tualità popolare. Sono ottimi i tentativi di presentare
la dottrina in maniera che i poveri possano compren-
derla facilmente, soprattutto quelli che cercano di
sfruttare il potenziale di conoscenza simbolica rac-
chiuso nelle immagini religiose. Si tratta infatti di un
modo di guidarli sulla via del credere Deum. Bisogne-
rebbe affiancarvi strade sulle quali i poveri possano
intensificare la loro fiducia e dedizione a Dio.
A questo fine le radicate pratiche di religiosità po-
polare del popolo latinoamericano si mostrano mol-
151
De ver q14, a11.

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Conclusione 227

to propizie. I pellegrinaggi, le devozioni, le feste po-


polari, per citarne solo alcune, sono occasioni in cui
il popolo intensifica e accresce la sua vita di fede.
«La decisione di partire verso il santuario è, già, una
confessione di fede», dirà il Documento di Apareci-
da.152 Sarebbe lecito aspettarsi frutti fecondi dall’ap-
poggio esplicito della Chiesa a queste espressioni po-
polari, dato che il popolo tende a credere quelle cose
«che sono oggetto delle solennità della Chiesa, e che
vengono pubblicamente proposte».153 D’altra par-
te, questo tipo di pratiche sono massive, sia per con-
centrazione (per esempio i pellegrinaggi) sia per di-
spersione (per esempio la venerazione di immagini
religiose). Ciò le rende propizie per chi cerchi l’evan-
gelizzazione delle folle sterminate.
Particolarmente feconde risultano le azioni che fa-
voriscono l’incontro del popolo con la Vergine. Que-
sti la percepisce profondamente unita a Dio e pertan-
to «come parte del complesso divino che dà senso
ultimo alla vita dell’uomo».154 Ciò fa sì che la Madre
di Dio sia la via più diretta e concreta per la quale i
nostri poveri vanno verso Dio. Perciò, per essere fe-
deli alla missione di evangelizzare il nostro popolo,
sembrano utili tutti gli sforzi orientati a conoscere
quali sono le strade per cui fluisce questo amore così
speciale tra la Vergine e i suoi figli più poveri, che cu-
stodirà sempre nei suoi occhi come custodisce Juan
Diego riflesso nelle sue pupille.

152
DA 259.
153
Cfr. ST II-II q2, a7.
154
TELLO, Amor al prójimo, cit., n. 89.

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VI
PUNTO DI ARRIVO E STRADE APERTE

Punto di arrivo. Sguardo globale alla strada percorsa

Siamo arrivati alla fine del nostro percorso. È il


momento di ripassare le nozioni che possono aiutar-
ci a tenere uno sguardo globale sulla fede dei nostri
poveri, così come la spiega teologicamente Rafael Tel-
lo, e di farne tesoro. In poco più di duecento pagi-
ne ci siamo immersi in uno degli aspetti del pensie-
ro di questo teologo argentino, la cui opera rimane
in gran parte inedita. Malgrado in ambito accademi-
co non sia uno sconosciuto, il processo di recezione
della sua proposta teologica, così come l’ha concepita
nel suo periodo di occultamento, è appena agli inizi.
Avvicinarsi al nodo del pensiero di questo autore
non è facile. Non soltanto per la difficoltà di reperi-
re i suoi scritti, la cui diffusione era lui stesso a limi-
tare con pugno di ferro. Ci sono motivi di forma e di
fondo che possono scoraggiare chi s’interessi alla sua
opera. Per la maggior parte si tratta di testi intessuti a
partire da piccoli frammenti che è necessario mettere
in relazione tra loro. La sua proposta è globale e cer-
ca di guardare da Dio a tutto il popolo latinoamerica-
no. Per questo, senza il panorama generale della sua
architettura di pensiero, ogni frammento isolato è su-
scettibile di cattiva interpretazione, quando appro-
fondisce un aspetto particolare. Chi non abbia un’i-
dea del tutto, non potrà leggere adeguatamente una
parte. Una seconda difficoltà formale si può scorge-
re nel linguaggio di Tello. La sua precisione scolastica
obbliga l’interlocutore ad avere familiarità con alcuni
concetti del tomismo, a mantenere una qualche em-

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230 VI. Punto di arrivo e strade aperte

patia con essi e ad avere la pazienza richiesta per leg-


gere testi densi.
Ci sono altri scogli che abbiamo incontrato lungo
il percorso verso la proposta di questo teologo, circa
i quali vogliamo avvertire il lettore. In questo caso si
tratta di questioni più di fondo. Da un lato, diciamo
che i suoi testi non sono soltanto da leggere. Il suo
sguardo sul popolo non è quello di uno studioso che
cerca di sezionare il suo oggetto di studio per com-
prenderlo in forma chiara e distinta. Egli contem-
pla il popolo con un’intenzione patente: evangeliz-
zare, collaborare al processo di evangelizzazione che
dura già da cinque secoli. Pertanto il suo pensiero –
per quanto astratto possa apparire in certi momenti –
è orientato immediatamente all’azione pastorale. La
conoscenza che scaturisce da quest’ultima è un com-
plemento indispensabile per comprendere la propo-
sta teologica di Rafael Tello. Crediamo che sia neces-
sario accompagnare l’impegno per discernere i suoi
scritti con uno sforzo per paragonare le sue afferma-
zioni con la vita dei poveri concreti. Senza la sua pa-
storale, i suoi testi ci lasciano un’immagine ridotta
del pensiero di questo autore.
Un’altra difficoltà, non meno essenziale, che il let-
tore può trovare è quella che potremmo chiamare ra-
dicalità evangelica. Al nostro autore si attaglia la stes-
sa lagnanza che rivolgevano a Gesù: «Questa parola
è dura! Chi può ascoltarla?» (Gv 6,60). Tello non ha
timore di andare alla radice dell’ordine stabilito per
denunciarne i difetti. Distrugge false sicurezze e si ap-
poggia soltanto al proprio incondizionato amore per
Dio che ci chiama a partecipare alla sua vita divina.
Non è facile sopportare la vertigine di questa disce-
sa. Per esempio, analizza la cultura moderna e la tro-
va impastata di principi antievangelici. Studia la cul-
tura ecclesiale e scopre che è buona, ma, per la sua
struttura, è incapace di raggiungere le maggioranze.
E così di continuo. Chi accoglie queste affermazioni

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Punto di arrivo. Sguardo globale alla strada percorsa 231

come vere si vede obbligato a rivedere i propri giudizi


su una costellazione di questioni.
Nonostante queste difficoltà, crediamo che la ri-
flessione teologica di Rafael Tello ci offra una vet-
ta ricca e feconda da sfruttare in ordine a una nuova
evangelizzazione del nostro continente, che continui
ciò che è stato seminato nella prima evangelizzazio-
ne. Con un solido fondamento dottrinale, propone
una pastorale popolare pensata nella sua integrità per
l’America Latina e incentrata sui poveri, dai quali si
diffonde verso tutti.
In questo libro ci siamo a malapena affacciati su
uno dei suoi insegnamenti. Abbiamo presentato la
spiegazione teologica che egli dà del modo in cui
la fede viene vissuta nel cristianesimo popolare. Per
comprenderla abbiamo dovuto far precedere l’espo-
sizione di altri concetti. Fondamentalmente, il tema
della cultura. Se questa questione non fosse chiari-
ta, l’intera impalcatura successiva rimarrebbe fonda-
ta sulla sabbia. Tello – seguendo il Concilio – intende
la cultura come stile di vita. Non si tratta dell’atteg-
giamento di un individuo isolato, ma di un mo-
do di sostare davanti alle grandi questioni della vita
che riguardano la gran parte dei membri di una de-
terminata comunità storica. La cultura costituisce un
«ambiente» che influenza le persone al momento di
operare in una maniera piuttosto che in un’altra. Più
tecnicamente, Tello spiega che la cultura influisce su
ciascuno così come fanno gli abiti acquisiti. Inoltre,
ciò matura nella dinamica propria della storia. Ogni
comunità va ricreando di continuo la propria cultu-
ra, in cui ci sono valori più profondi che cambiano a
malapena e altri più superficiali che possono muta-
re in pochi anni. A ciò si aggiunge che i gruppi umani
non sono entità statiche e uniformi. I diversi popoli
s’incrociano nel loro divenire storico e i loro membri
ricevono l’influsso di varie culture. Così, per esempio,
l’Argentina si è andata formando attraverso varie cor-

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232 VI. Punto di arrivo e strade aperte

renti migratorie. Agli indios, agli spagnoli, ai neri e ai


creoli che lo abitavano fin dai tempi coloniali, si so-
no poi aggiunti gli europei che sono arrivati con l’im-
migrazione della fine del XIX secolo e della prima
metà del XX.
È per questo che in Argentina si può notare l’inte-
razione, a grandi linee, di due culture. Da una parte
la cultura popolare, che costituisce un atteggiamento
verso la vita risalente ai primi indios sottomessi che
accolsero il Vangelo e che perdura tuttora tra i no-
stri poveri. La seconda è la cultura moderna, che si ra-
dica nell’Illuminismo europeo e si fa notare soprat-
tutto nelle classi medie e alte del nostro Paese. Ma,
visto che stiamo analizzando il modo di favorire l’e-
sperienza della fede cristiana in un popolo concreto,
possiamo aggiungere una terza cultura, ovvero la cul-
tura ecclesiale. Essa rappresenta i modi culturali con i
quali la fede viene vissuta nel contesto delle istituzio-
ni ecclesiali (parrocchie, movimenti eccetera).
Tello analizza ciascuna di queste tre culture, al fi-
ne di comprendere in che misura possano costituire
un veicolo di trasmissione del Vangelo. Della cultura
moderna afferma la natura intrinsecamente antievan-
gelica. Lo sguardo che essa getta sulla vita prescinde
dalla trascendenza, il che la rende secolarista. Inoltre
mette al centro della vita dell’uomo l’accumulo di ric-
chezze e favorisce l’individualismo. Mentre il messag-
gio di Cristo chiama alla fraternità tra le persone, essa
produce una discriminazione strutturale e il disprez-
zo dei poveri. Lungo la storia si è resa capace di assi-
curare il dominio dei più potenti rispetto a chi ha di
meno. Se ne conclude che la cultura moderna non è
adatta a trasmettere i valori più profondi del Vange-
lo. Ciò non significa che una persona non possa vi-
vere valori evangelici nella cornice della cultura mo-
derna, ma che questa cultura – nella sua concreta
forma storica – è refrattaria alla trasmissione della fe-
de cristiana.

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Punto di arrivo. Sguardo globale alla strada percorsa 233

Un altro mezzo che potrebbe favorire l’espansione


del messaggio cristiano è la cultura ecclesiale. A prima
vista si presenta adeguata, dato che è essenzialmen-
te cristiana. Nonostante questo, il nostro autore affer-
ma che non sembra un tramite adatto a raggiungere
le grandi maggioranze dell’America Latina. Soprattut-
to per motivi storici: essa, infatti, non si trova nel sol-
co della prima evangelizzazione, nella quale non si
sono formate «comunità ecclesiali», bensì «popoli cri-
stiani». S’insegnò a vivere la fede nell’ampia cornice
di un popolo, piuttosto che intorno a una comuni-
tà ecclesiale. Inoltre questa cultura, nella sua attuale
forma espressiva, è scesa a compromessi con la cul-
tura moderna. Talora mette un accento eccessivo sul-
lo sforzo umano più che sulla grazia divina e dà un
peso esagerato al ruolo della ragione strumentale nel-
la vita delle persone. Ciò fa sì che proponga, per la
trasmissione del Vangelo, strade difficili da percorrere
per gran parte del nostro popolo.
La cultura popolare ha origine nell’incontro tra il
Vangelo e gli indios sottomessi dalla conquista. L’ar-
rivo degli europei in queste terre, con la loro sete di
oro, cambiò violentemente lo scenario in cui gli in-
dios vivevano. Costoro si videro obbligati a forgiar-
si un modo nuovo di situarsi davanti alla vita. For-
tunatamente giunsero anche missionari assetati di
anime, che portarono il messaggio di Cristo. In quel-
la situazione gli indios andarono ricostruendo il loro
stile di vita, assumendo le risposte cristiane alle gran-
di domande dell’esistenza umana. Ciò avvenne senza
che fosse assunta la cultura dei dominatori. In questo
modo andò generandosi un nuovo modo culturale –
una «originalità storico-culturale»,1 secondo Puebla e
Aparecida – che a gran parte delle situazioni esisten-
ziali risponde con valori evangelici. Ciò costituisce
un nuovo popolo a cui si sono man mano aggregati,
1
DP 446.

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234 VI. Punto di arrivo e strade aperte

nel corso di cinque secoli, i poveri di ogni tempo (in-


dios, neri, gauchos, immigrati, e via dicendo). Questa
cultura, questo modo di guardare alla vita e alla mor-
te che possiede nella propria radice la fede cristia-
na, si esprime soprattutto nel desiderio che la digni-
tà umana venga riconosciuta e in un atteggiamento
esistenziale che riconosce la presenza di Dio nella vi-
ta quotidiana e il destino eterno di questa. È un fatto
che in America Latina vivono milioni di poveri: è una
delle regioni più povere del mondo. E tuttavia si può
notare che quegli uomini, quelle donne, sono capaci
di sopportare con una buona dose di sapienza evan-
gelica buona parte delle sofferenze sovrumane che li
investono. Più ancora, malgrado tutti quegli immensi
dolori non perdono la capacità di fare festa. Per tutto
questo, per il fatto che questa cultura insegna a vivere
con un atteggiamento cristiano in mezzo alle difficol-
tà della miseria, Tello afferma che essa, così viva spe-
cialmente tra i poveri, si presenta come la via più fe-
conda per la nuova evangelizzazione del continente.
La cultura popolare ha trovato propri modi di vi-
vere la fede cristiana. Il Vangelo è soprattutto la grazia
dello Spirito Santo che ci rende partecipi della vita
divina. Si pone oltre qualsiasi cultura, non ha un’u-
nica maniera culturale per essere vissuto. È una gra-
zia che in ogni gruppo umano si esprime secondo la
sua propria cultura. Il cristianesimo, «restando pie-
namente sé stesso, nella totale fedeltà all’annuncio
evangelico e alla tradizione ecclesiale, esso porterà
anche il volto delle tante culture e dei tanti popoli in
cui è accolto e radicato».2 In America Latina il cristia-
nesimo ha assunto un volto nuovo. Si può dire che la
cultura popolare abbia dato forma a un vero cristiane-
simo popolare.
Questo cristianesimo popolare si è generato nel
corso di un processo di differenziazione attraverso il
2
NMI 40.

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Punto di arrivo. Sguardo globale alla strada percorsa 235

quale il nuovo popolo ha sì assunto la fede del con-


quistatore, ma senza adottare i modelli culturali in
cui veniva espressa. Nella misura in cui si veniva for-
mando la cultura popolare, i sottomessi trovavano
nuovi modi di vivere la fede annunciata dagli spa-
gnoli. Da qui nasce questo modo di vivere il cristia-
nesimo che si muove con una certa autonomia rispet-
to ad alcune forme istituzionali della Chiesa. L’uomo
del popolo, pur se riconosce l’autorità della Chiesa
sulle questioni di fede, non si sente toccato da tutte
le sue norme. Assume quanto gli pare importante per
vivere la fede, come per esempio il battesimo. Nel cri-
stianesimo popolare questo sacramento occupa un
luogo centrale, e l’alto apprezzamento che ne han-
no i poveri fa sì che lo cerchino insistentemente per
i loro figli. Secondo loro il battesimo ci rende di Dio
e pertanto veramente umani: finché non riceve que-
sto sacramento, una persona non è completa e pre-
parata alla vita. A ciò si aggiunge l’importanza che il
popolo attribuisce alla relazione del padrinato: il com-
padre, il padrino, diventa parte della famiglia. I padri-
ni sono, dal momento del battesimo, come fratelli –
tuttavia scelti – e restano impegnati ad aiutare nelle
difficoltà connesse con l’allevamento e l’educazione
del bambino. Sono altrettanti valori profondamente
evangelici che favoriscono la fraternità e la presenza
di Dio tra i poveri. L’importanza del battesimo è un
fatto profondamente radicato nella loro cultura. Per
questo cercano tutte le vie possibili per riceverlo dal-
la Chiesa, anche se non comprendono (e trascurano)
le condizioni che vengono loro poste per ottenerlo.
Accanto a questo esempio, osservando la vita del po-
polo, se ne potrebbero trovare molti altri che espri-
mono la realtà di una fede cristiana vissuta dai poveri
con una certa autonomia rispetto alle forme istituzio-
nali della cultura ecclesiale. Non che siano irrispetto-
si dell’autorità della Chiesa, ma non si sentono coin-
volti da tutte le sue normative.

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236 VI. Punto di arrivo e strade aperte

Questo modo di vivere il cristianesimo da parte


dei nostri poveri è stato studiato profondamente da
padre Tello. Nello scritto El cristianismo popular según
las virtudes teologales se ne occupa analizzando l’espe-
rienza vissuta di queste tre virtù. Nel nostro studio
abbiamo concentrato l’attenzione sulla virtù teologa-
le della fede, poiché essa è il principio della vita cri-
stiana. La fede non è una realtà astratta. Questa virtù
si dà sempre in un soggetto che la vive. È una perso-
na concreta che – mossa dalla grazia – risponde con
un sì a un Dio che le offre il suo amore. Perciò la fe-
de, oltre che un dono divino, è anche un atto umano.
E come tale subisce l’influsso della cultura del sogget-
to che la vive. L’uomo è un essere sociale per natura.
Tutti i suoi atti avvengono nel quadro di una cultura
determinata che li influenza in vari modi. L’atto di fe-
de non fa eccezione. La cultura colorisce, contrasse-
gna l’atto di fede vissuto da ogni persona. Si può dire
che la cultura diversifica il modo in cui si vive l’unica
fede cristiana. La fede non cambia quanto al suo og-
getto – Dio stesso –: a essere diverso è il modo in cui
avviene il suo atto.
Con la fede l’essere umano accetta la rivelazio-
ne di Dio e il suo invito a partecipare della vita di-
vina. Secondo la spiegazione tomista, tale virtù ri-
siede nell’intelletto, che viene mosso dalla volontà a
prendere per vera la promessa divina. Dio si presen-
ta come Verità amabile, come una verità che non è evi-
dente all’intelletto, ma muove la volontà ad accettar-
lo. In ogni atto di fede si dà un triplice movimento
attraverso cui si accetta Dio come testimone, miste-
ro da credere e fine della vita umana. Per questo san
Tommaso – seguendo sant’Agostino – riconosce che
in uno stesso atto di fede si danno tre aspetti: credere
Deo, attraverso cui credo a Dio come testimone; crede-
re Deum, che prende Dio come mistero da credere; e
credere in Deum che rappresenta l’aspetto del donarsi
a Dio come fine.

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Punto di arrivo. Sguardo globale alla strada percorsa 237

Ma l’atto di fede non è qualcosa di statico, rigi-


do, non conosce un solo modo di compimento. Co-
me abbiamo appena detto, la fede viene suscitata dal-
la grazia divina che presuppone la natura e – poiché
«natura e cultura sono quanto mai strettamente con-
nesse»3 – la cultura. In altre parole, la grazia della fe-
de verrà espressa secondo la cultura del soggetto che
la vive. L’atto di fede dei poveri, che vivono più imbe-
vuti di cultura popolare, ha caratteristiche diverse ri-
spetto all’atto di fede di chi è più segnato dalla cul-
tura moderna (o dalla cultura ecclesiale). Una simile
differenza tra l’atto di fede come viene espresso in
ogni cultura si può spiegare, dal punto di vista teolo-
gico, in vari modi. Nel nostro testo base Tello la pre-
senta come una differenza negli accenti con cui si vi-
ve ciascuno degli aspetti dell’atto di fede. Secondo lui
la cultura popolare favorisce un tipo di atto di fede
nel quale vengono accentuate l’adesione (credere Deo)
e la dedizione a Dio (credere in Deum), ma che quan-
to alla materia rivelata (credere Deum) conosce soltan-
to poco più che l’indispensabile. I poveri tendono a
vivere la fede più come una fiducia e un dono di sé a
Dio presente nella vita quotidiana, che come una co-
noscenza intellettuale delle verità rivelate.
Tello dedica particolare interesse a studiare fino a
che punto, affinché possa darsi un atto di fede valido,
sia necessario l’aspetto della conoscenza intellettuale
proprio della fede (credere Deum). La fatica che si as-
sume per chiarire la questione non viene spesa inva-
no: egli si domanda se i poveri abbiano vera fede, ed
è noto che molti contrastano questa ipotesi in base al
fatto che quanti vivono il cristianesimo popolare non
possiedono quella che si suole chiamare istruzione
religiosa. Conclude che nell’atto di fede, come lo pre-
senta san Tommaso, l’aspetto della conoscenza intel-
lettuale è il meno importante dei tre e per soddisfarlo
3
GS 53.

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238 VI. Punto di arrivo e strade aperte

basta una conoscenza generale delle principali verità


della fede (soprattutto che Dio esiste ed è provviden-
te, cfr. Eb 11,6), dato che se si crede in esse si crede
implicitamente in tutto ciò che crede la Chiesa. Cer-
tamente non si tratta di un ideale, ma l’imperfezione
riguarda un aspetto che non è quello che dà la reale
misura della fede. Il teologo che sa articolare concet-
tualmente la verità rivelata non ha più fede della vec-
chietta che abita sui monti della Catamarca, che non
sa né leggere né scrivere ma vive dedita a Dio e al ser-
vizio degli altri. Il valore dell’atto di fede si comprova
soprattutto nella sua intensità e nella sua capacità di
radicarsi in tutte le dimensioni dello spirito umano
per spingerlo alla carità.
Nel nostro popolo il cristianesimo popolare – per
dirla con parole di Paolo VI nella Evangelii nuntian-
di – «genera atteggiamenti interiori raramente osser-
vati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della
croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli al-
tri, devozione»,4 anche se d’altra parte può presenta-
re qualche carenza rispetto alla conoscenza esplicita
delle verità rivelate. La fede del popolo è molto ricca
di espressioni di devozione e fiducia in Dio. È ricca
anche di affetto: è notevole l’affetto che le persone
del popolo mostrano verso Gesù Cristo, i santi, e spe-
cialmente verso la Vergine Maria. Le pareti dei nostri
santuari ne sono mute testimoni.5 Queste espressioni
appartengono più al credere in Deum che considera la
dimensione affettiva dell’atto di fede, e che tra i po-
veri è fortemente vissuta. Questo modo di conoscere
del popolo – più simbolico e affettivo che razionale
– viene sintetizzato poeticamente da Tello con que-
ste parole: «Un Dio sulla croce, l’uomo amato e una
donna data in madre. La fede, la speranza, l’amore e

4
EN 48.
5
Cfr. DA 260.

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Punti di partenza. Strade aperte 239

l’unzione dolce dello Spirito effuso. Questo sa l’uo-


mo del popolo, senza saperlo dire».6
Merita un posto speciale la considerazione del po-
sto che il cristianesimo popolare attribuisce alla Ver-
gine Maria. Essa è diventata una via privilegiata sulla
quale i nostri poveri vanno a Dio. L’amore e la devo-
zione nei suoi confronti sono molto diffusi nelle no-
stre terre. E questo non è un fenomeno superficiale.
Nelle sue varie invocazioni, Maria è stata una prota-
gonista fondamentale del processo storico. Il popolo
la vede accanto a Dio, e da tale la prende come il se-
gno più concreto del suo amore. A Lei affida le sue
sofferenze, si sente suo figlio (come il discepolo ama-
to ai piedi della croce), in Lei trova un pezzetto di cielo
in terra e da Lei scaturisce la festa.

Punti di partenza. Strade aperte

Concludere un lavoro come questo è anche un


punto di partenza. Alla luce di quanto abbiamo pre-
sentato in queste pagine, davanti a noi si aprono
nuove strade. Abbiamo tentato di sfruttare «una del-
le vette più feconde del rinnovamento postconciliare
in Argentina»7 e i tesori che ne abbiamo ricavato ci
offrono una grande quantità di possibilità da esplo-
rare riguardo una nuova evangelizzazione dell’America
Latina.8
La proposta di Rafael Tello si mostra particolar-
mente adeguata a illuminare la missione convocata
da Giovanni Paolo II, visto che si radica da un lato
nella tradizione della Chiesa e dall’altro nelle radi-
6
R. TELLO, Anexo I a La Nueva Evangelización. Volverse hacia el
hombre, inedito, 1986, p. 36.
7
V. FERNÁNDEZ, «El Padre Tello: una interpelación todavía no
escuchada», in Vida pastoral 236 (2002) 34.
8
Cfr. p.e. E.C. BIANCHI, «El Sínodo sobre la Nueva Evangeliza-
ción y la Iglesia latinoamericana», in Vida pastoral 304 (2012) 8-14.

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240 VI. Punto di arrivo e strade aperte

ci storiche del nostro popolo. Egli ci offre una soli-


da spiegazione dottrinale della forma storica concreta
che la fede cristiana ha assunto tra i diseredati delle
nostre terre. Riconoscere – come fa Tello – che in es-
si pulsa un valido motivo per vivere il cristianesimo e
cercare il modo di renderlo più vivo e presente nelle
loro vite può costituire un valido punto di partenza
per cercare una nuova evangelizzazione che «continui
e completi l’opera dei primi evangelizzatori».9
Ciò offre nuovi orizzonti all’azione pastorale. Non
si tratta soltanto di favorire l’espressione della reli-
giosità popolare. Della fecondità di questo percor-
so abbiano parlato nella conclusione del capitolo V.
Ma in questo momento, ponendoci in una prospet-
tiva più ampia, possiamo dire che non è questa l’u-
nica cosa che è possibile fare. Il cristianesimo popo-
lare implica un atteggiamento cristiano davanti alle
grandi questioni di una vita segnata dalla povertà e
dalla sopraffazione: abbraccia molto più che la reli-
giosità popolare. La proposta del nostro autore invita
ad appoggiare e a rafforzare tutta la cultura popolare
– di cui il cristianesimo popolare è l’anima –, e non
soltanto le sue espressioni religiose. Lo prospettava-
mo nel capitolo IV, quando abbiamo trattato quella
che Tello denomina pastorale popolare in senso stretto.10
Parlavamo di tre forze intrecciate in questo proces-
so. La principale è l’evangelizzazione che il popolo
stesso compie nel trasmettere una cultura che porta
la fede cristiana nelle proprie radici (1ª forza). Tutta-
via, nonostante il popolo sia il protagonista di questa
azione, la Chiesa vi ricopre un ruolo indispensabi-
le. Cristo ha affidato a essa la missione di evangeliz-
zare, ed essa «evangelizza il popolo, affinché chi vie-

9
GIOVANNI PAOLO II, Omelia nella celebrazione della Parola a
Santo Domingo, 12 ottobre 1984, I.2.
10
Cfr. supra, pp. 151 e ss.

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Punti di partenza. Strade aperte 241

ne evangelizzato possa evangelizzare»11 (2ª forza). A


questo si aggiunge una terza possibile forza: la Chie-
sa che, comprendendo i modi propri in cui il cristia-
nesimo popolare vive la fede, cerca vie per sostene-
re la trasmissione del Vangelo così come essa avviene
nel popolo. Si tratta di azioni pastorali tese a sinto-
nizzarsi con i modi che il popolo ha per trasmette-
re un atteggiamento cristiano verso la vita. Da que-
sto appoggio da parte della Chiesa ci si può attendere
un grande potenziamento dell’evangelizzazione po-
polare, poiché il popolo tende sempre a riconoscer-
le autorità nelle cose di fede e tanto più quando ciò
che essa gli propone trova un’eco reale nella sua vita.
Questo aspetto della pastorale popolare, ancora ben
poco sfruttato, costituisce un vero e proprio invito al-
la creatività pastorale.

11
R. TELLO, Nota (g): La pastoral popular, inedito, 1990, n. 128.

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APPENDICE
OPERE NOTE DI RAFAEL TELLO

Questo catalogo vuole comprendere i testi più ac-


cessibili dell’autore. È diviso in due parti, secondo le
fasi in cui abbiamo distinto il suo operato. Numero-
si testimoni affermano che nella sua stagione docen-
te Tello ha redatto vari scritti che sono stati diffusi
senza la sua firma. Perciò nella prima parte, dopo le
opere pubblicate con il suo nome, abbiamo aggiun-
to alcuni titoli che gli sono attribuiti. L’enumerazio-
ne vorrebbe essere esaustiva, ma ciò non significa
che sia definitiva. Inoltre, nella seconda parte non
viene inclusa la grande quantità di materiale inedi-
to dell’autore. Esso è in corso di studio e di diffusio-
ne presso la fondazione Saracho, creata dallo stesso
Tello e che ne detiene i diritti d’autore degli scritti.
Alcuni dei testi che abbiamo usato in quest’opera si
possono ritrovare nella bibliografia conclusiva (cfr.
p. 237).

Fase pubblica

Opere firmate dall’autore

«La comunión de vida con Dios en la Iglesia (comen-


tario a LG V, VII y VIII)», Teología 8 (1966) 3-44.
Historia y liberación, relazione al corso organizzato dal
centro di studi «Justicia y paz» su Chiesa e libera-
zione, casa Nazaret, Buenos Aires, s.d.
Trascrizione dalla registrazione dell’omelia di Pentecoste del
1976. Pubblicata in O. CAMPANA, «“Sangre de márt-
ires” en palabras de Rafael Tello», in Vida pastoral
252 (2005); Versione online www.sanpablo. com.

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244 Appendice. Opere note di Rafael Tello

ar/vidapastoral/?seccion=articulos& id=158 [consul-


tato il 5.5.2010].1
Trascrizione dalla registrazione delle parole di apertu-
ra all’incontro di Pentecoste 1976. Pubblicata in R.
TELLO, «El Espíritu descenderá en las villas y en
los campos… Dios da su Espíritu a los pobres»,
in Vida pastoral 254 (2005); versione online www.
san-pablo.com.ar/vidapastoral/?seccion=articu-
los&id=181 [consultato il 5.5.2010].

Opere attribuite all’autore

Versione registrata del Segundo encuentro de reflexión y


diálogo sobre pastoral popular, La Rioja, 19712
Trascrizioni dalla registrazione degli incontri di esperti del-
la Coepal.3
1
Riprodotta anche in J. VERNAZZA - R. RICCIARDELLI, Apuntes para
una biografía del padre Rafael Tello, inedito, pp. 66-68.
2
Nella trascrizione dell’incontro si leggono, trascritti testual-
mente, i vari interventi di padre Tello.
3
Queste trascrizioni sono in corso di recupero e classificazio-
ne. Uno dei protagonisti di quegli incontri ci descrive l’origine di
questi testi: «Le riunioni hanno inizio già nel 1966 nella sede del
Movimiento per un mundo mejor, di cui il sacerdote Juan B. Ca-
pellaro era l’assistente. Successivamente la Conferenza episcopa-
le argentina costituisce la Commissione episcopale di pastorale
(Coepal), presieduta da mons. Manuel Marengo e composta da
mons. Juan José Iriarte, Vicente F. Zaspe ed Enrique Angelelli, con
i quali collaborava, in quanto segretario esecutivo, il sac. Gerardo
T. Farrell con la cooperazione della sig.na Chela Llorens. Mons.
Marengo riunisce un gruppo per lo studio e la riflessione pasto-
rale del quale fanno parte, tra altri, i sacerdoti Lucio Gera, Rafael
A. Tello, Carmelo Giaquinta, Justino O´Farrell, Guillermo Sáenz,
Domingo S. Castagna, Hugo Sirotti, i rev. P. Alberto Sily sj, Fer-
nando Boasso sj, le religiose María Ester Sastre rsc, Laura Renard
ap, Aída López dm e il sottoscritto. Da allora e fino alla fine del
1971 il gruppo svolge un fecondo lavoro di riflessione e di stu-
dio. I dialoghi delle giornate mensili – o quindicinali, quando
era richiesto – venivano registrati e quindi trascritti integralmen-
te dalla sig.na Chela Bassa; servizio efficace che favoriva il progre-

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 244 10/03/15 11.12
Fase pubblica 245

Bozze del libro Sacerdocio y justicia para el pueblo.4


«El pueblo de América Latina es una realidad cul-
tural», in M. FERRÉ - M. GONZÁLEZ - EQUIPO ARGENTI-
NO, Pueblo e Iglesia en América Latina, Paulinas, Bo-
gotá 1973, pp. 47-60.5
«Aportes» para el sexto encuentro nacional, 1973.6
El pueblo. ¿Dónde está?, pubblicazioni del Mstm, Cap.
Fed., 1975.7

dire della riflessione e contribuiva alla coesione del gruppo» (G.


RODRÍGUEZ MELGAREJO, «El don de una vida», in R. FERRARA - C. GAL-
LI, Presente y futuro de la teología en Argentina: Homenaje a Lucio Ge-
ra, Paulinas, Buenos Aires 1997, pp. 40-53, in particolare 47).
4
Nel quadro del sinodo del 1971 su La justicia en el mundo y el
sacerdocio ministerial, Tello, Gera e J. O’Farrell redassero questo li-
bro che non giunse mai alle stampe. Ne circolano alcune bozze.
Sembra che padre Tello fosse incaricato di redigere la parte sto-
rica. Dice Rodríguez Melgarejo, parlando di Gera: «Per la prepa-
razione di questo Sinodo (del 1971) lavorò lunghi mesi insieme
ai sacerdoti Justino O’Farrell e Rafael A. Tello scrivendo un sag-
gio intitolato Sacerdocio y justicia para el pueblo. Poche settimane
prima che andasse in stampa, gli autori chiesero alla casa editri-
ce di cancellarne la pubblicazione» (RODRÍGUEZ MELGAREJO, «El don
de una vida», cit., pp. 40-53, in particolare 49). Anche Vernazza
ci parla di questo libro: «Su questo tema [Sacerdozio e giustizia]
era stato sul punto di essere pubblicato un libro dall’editrice spa-
gnola Sígueme de España, ma, a causa del rifiuto di padre Tello a
figurare nella pubblicazione, all’ultimo momento si rese necessa-
ria una telefonata in Spagna per sospenderne l’edizione» (VERNAZ-
ZA - RICCIARDELLI, Apuntes para una biografía…, cit., p. 11).
5
Questo libro è frutto dell’incontro di teologi e pastoralisti
organizzato dall’Ipla e dal gruppo di pastorale argentino a Bue-
nos Aires.
6
Chi ha compilato la versione digitale che abbiamo potuto
consultare afferma: «Questo “Apporto” non firmato porta l’“im-
pronta” di padre Tello che accompagnò assai da vicino i sacerdo-
ti del Movimiento e che godeva del loro generale riconoscimen-
to» (cfr. Movimiento de Sacerdotes para el Tercer Mundo. Docu-
mentos para la memoria histórica, Documento n. 73 [cd-rom]).
7
Questo libro fu messo in vendita nel dicembre 1975 e nel
marzo 1976 l’editrice consegnò l’intera edizione a padre Vernazza
perché aveva ricevuto minacce. Lo stesso Vernazza spiega l’origine
di questo libro: «Un semplice fatto mostrava che i curas villeros era-

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246 Appendice. Opere note di Rafael Tello

«María estrella de la evangelización (EN 82)», in G.


DOTRO - C. GALLI - M. MITCHELL, Seguimos caminando:
aproximación socio-histórica teológica y pastoral de la
caminata juvenil a Luján, Agape, Buenos Aires 2004,
pp. 144-150.8

Fase di vita ritirata

Inediti divulgati9

La Nueva Evangelización, 1986.


Anexo I a la Nueva Evangelización. Volverse hacia el
hombre, 1986.
Anexo II a la Nueva Evangelización. La misión humana,
1986.

no disposti a proseguire la lotta di padre Carlos Mugica, le cui ul-


time parole erano state “Ora più che mai dobbiamo stare accanto al
popolo”. La sera del ritorno dal cimitero della Recoleta, dove aveva-
no lasciato i suoi resti mortali (11 maggio 1974), un vecchio pro-
fessore e amico che era stato sempre vicino al gruppo, consiglian-
dolo saggiamente, si offrì di orientarne i membri in un semina-
rio, riguardo a un tema che nelle loro preoccupazioni pastorali era
centrale e circa il quale i riferimenti erano tanto frequenti quanto
vaghi: il popolo. Prevedendo, probabilmente, che si avvicinavano
tempo di grande confusione e turbolenza – poco più di un me-
se dopo sarebbe morto il generale Perón, presidente della Repub-
blica – questo saggio maestro favoriva l’occasione di un nuovo in-
contro settimanale, in cui la riflessione e lo studio, oltre a riunir-
li e a incoraggiarli, dava loro chiarezza su un tema che sarebbe sta-
to il canale di tutte le loro attività. Le spiegazioni del Direttore del
seminario, con alcuni commenti sparsi – si era trattato in effetti di
qualcosa di più simile a un “corso” – e i contributi dei partecipan-
ti vennero raccolti e pubblicati diciotto mesi dopo con il titolo El
pueblo. ¿Dónde está?» (J. VERNAZZA, Para comprender una vida con los
pobres: los curas villeros, Guadalupe, Buenos Aires 1989, p. 53).
8 Una versione quasi identica di questo testo si trova in R. TEL-
LO, «María estrella de la evangelización», in VERNAZZA - RICCIARDELLI,
Apuntes para una biografía…, cit., pp. 42-47.
9
Riguardo a questi scritti padre Tello si è valso della collabo-
razione redazionale di padre Vernazza.

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Fase di vita ritirata 247

Fundamentos de una Nueva Evangelización I, II y III,


1988.

Pubblicati postumi

Breve fundamentación de las peregrinaciones y misiones


con la Virgen, pubblicazione per uso interno del-
la Cofradía de Luján (versione originale del 1999),
2004.
Iglesia y sectas, pubblicazione per uso interno della
Cofradía de Luján (versione originale del 1990),
2005.
Palabra de Dios e Imagen en la pastoral popular, pub-
blicazione per uso interno della Cofradía de Luján
(versione originale del 1990), 2005.
El cristianismo popular según las virtudes teologales: La
Fe, pubblicazione per uso interno della Cofradía
de Luján (versione originale del 1996), 2006.
Pobres y pobreza hoy, pubblicazione per uso inter-
no della Cofradía de Luján (versione originale del
1991), 2006.
La nueva evangelización. Escritos teológicos pastorales,
Agape (versione originale del 1986), Buenos Aires,
2008.
Pueblo y Cultura I, Patria grande, Buenos Aires 2011.10

10
Si tratta della raccolta di sette scritti inediti sui temi popolo e
cultura: 1. «Algo más acerca del pueblo», 1989; 2. «Pueblo», 1991;
3. «Para juzgar acerca del pueblo», 1989; 4. «Para ver la presencia
del pueblo en nuestro proceso histórico», 1989; 5. «Anexo XI
a Epístola apostólica sobre el jubileo del año 2000. Cultura»,
1995; 6. «Cultura ilustrada y cultura popular», 1991; 7. «Nota (e).
Cultura y pueblo», 1990. Cfr. Bibliografia A.1 7-12.

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BIBLIOGRAFIA

Opere di Rafael Tello


Testi editi
Breve fundamentación de las peregrinaciones y misiones con la Virgen,
pubblicazione per uso interno della Cofradía de Luján (versio-
ne originale del 1999), 2004.
«María estrella de la evangelización (EN 82)», in G. DOTRO - C.
GALLI - M. MITCHELL, Seguimos caminando: aproximación sociohi-
stórica teológica y pastoral de la caminata juvenil a Luján, Agape,
Buenos Aires 2004, pp. 144-150.
Palabra de Dios e Imagen en la pastoral popular, pubblicazione per
uso interno della Cofradía de Luján (versione originale del
1990), 2005.
El cristianismo popular según las virtudes teologales: La Fe, pubblica-
zione per uso interno della Cofradía de Luján (versione origi-
nale del 1996), 2006.
Pobres y pobreza hoy, pubblicazione per uso interno della Cofradía
de Luján (versione originale del 1991), 2006.
La nueva evangelización. Escritos teológicos pastorales, Agape - Fun-
dación Saracho, Buenos Aires 2008.
«Algo más acerca del pueblo», in R. TELLO, Pueblo y Cultura I, Pa-
tria Grande, Buenos Aires 2011, pp. 13-21.
«Anexo XI. Cultura», in ivi, pp. 123-145.
«Cultura ilustrada y cultura popular», in ivi, pp. 146-177.
«Nota (e). Cultura y Pueblo», in ivi, pp. 178-220.
«Para ver la presencia del pueblo en nuestro proceso histórico»,
in ivi, pp. 73-119.
«Pueblo», in ivi, pp. 22-60.

Testi inediti
Ejercicios espirituales predicados por el padre Tello en 1955, inedito.
La sacramentalidad en el pueblo, inedito.
«María estrella de la evangelización», in J. VERNAZZA - R. RICCIARDELLI,
Apuntes para una biografía del padre Rafael Tello, inedito, pp. 42-47.
Anexo I a La Nueva Evangelización. Volverse hacia el hombre, inedi-
to, 1986.
Anexo II a La Nueva Evangelización. La misión humana, inedito, 1986.
Fundamentos de una Nueva Evangelización, inedito, 1988.

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 249 10/03/15 11.12
250 Appendice. Opere note di Rafael Tello

La cultura en el Concilio (Nota 2 de: El Pueblo), inedito, 1988.


Nota (d): Pueblo secular, autónomo y cristiano, inedito, 1990.
Nota (f): La opción por los pobres, inedito, 1990.
Nota (g): La pastoral popular, inedito, 1990.
Actitud ante la pobreza, inedito, 1992.
La Iglesia al servicio del pueblo, inedito, 1992.
Ubicación histórica del cristianismo popular, inedito, 1992.
La pastoral popular y Santo Domingo, inedito, 1993.
Amor al prójimo, inedito, 1994.
«N.N.», inedito, 1994.
Pueblo, historia y pastoral popular, inedito, 1994.
Anexo XVIII a Epístola apostólica sobre el jubileo del año 2000, inedi-
to, 1995.
El cristianismo popular según las virtudes teologales, inedito, 1996.
Evangelización y cultura, inedito, 1996.
Nueva evangelización y cristianismo popular, inedito, 1996.
La fe de los más pobres, inedito, 1997.

Opere con riferimenti alla vita e al pensiero


di Rafael Tello
ALBADO, O., El carácter teologal de la pastoral popular en el p. Rafael
Tello, inedito, 2006.
—, «La condescendencia divina en la teología de la pastoral po-
pular del padre Rafael Tello», in Vida pastoral 281 (2010) 19-27.
—, «Volverse al hombre concreto. Una aproximación a la cultu-
ra popular en la teología del padre Rafael Tello», in Vida pasto-
ral 283 (2010) 4-11.
—, «La teología afectiva como modo de conocimiento del pueblo
en la pastoral popular del padre Rafael Tello», in Vida pastoral
287 (2010) 24-28.
—, «Algunas características de la teología afectiva según el padre
Rafael Tello», in Vida pastoral 288 (2010) 20-25.
—, «El hombre hace cultura. Reflexiones en torno a la distinción
entre cultura subjetiva y cultura objetiva en la teología de Rafa-
el Tello», in Vida pastoral 296 (2011) 21-26.
—, «El hombre es dueño del sábado. La cultura subjetiva como
generadora de un estilo de vida en la teología de Rafael Tello»,
in Vida pastoral 299 (2011) 12-19.
—, ««No le pongan el corazón a las riquezas». La posición de
Rafael Tello frente a la cultura moderna», in Vida pastoral 302
(2011) 4-10.
BIANCHI, E.C., «América Latina, tierra de la Virgen», in Vida pastoral
286 (2010) 42-48.

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 250 10/03/15 11.12
Altre opere consultate 251

—, «María en América: vida, dulzura y esperanza nuestra», in Vi-


da pastoral 289 (2010) 38-43.
—, «No anteponer nada al amor del pobre sino el amor de Cri-
sto, del cual deriva», in Vida pastoral 295 (2011) 4-10.
CAMPANA, O., «”Sangre de mártires” en palabras de Rafael Tello»,
in Vida pastoral 252 (2005)
COFRADÍA DE LUJÁN, Bautizar, ¿para qué? Una aproximación a algunos
aspectos del bautismo desde la historia latinoamericana y la teología
del padre Rafael Tello, pubblicazione per uso interno della Co-
fradía de Luján, 2007.
—, La Virgen y los pobres en América Latina. Reflexiones sobre el amor
entre la Virgen María y los pobres Latinoamérica desde la enseñanza
de Rafael Tello, pubblicazione per uso interno della Cofradía de
Luján, 2010.
DOTRO, G. - GALLI, C. - MITCHELL, M., Seguimos caminando: aproxi-
mación socio-histórica teológica y pastoral de la caminata juvenil a
Luján, Agape, Buenos Aires 2004.
FERNÁNDEZ, V., «El “sensus populi”. La legitimidad de una teología
desde el pueblo», in Teología 72 (1998) 133-164.
—, «Con los pobres hasta el fondo. El pensamiento teológico de
Rafael Tello», in Proyecto 36 (2000) 187-205.
—, «El Padre Tello: una interpelación todavía no escuchada», in
Vida pastoral 236 (2002) 34-40.
—, «Textos de Rafael Tello», in V.R. AZCUY - C.M. GALLI - M. GON-
ZÁLEZ, Escritos Teológico-Pastorales de Lucio Gera. 1. Del preconci-
lio a la Conferencia de Puebla (1956-1981), Agape, Buenos Aires
2006, pp. 481-487.
GONZÁLEZ, M., La reflexión teológica en la Argentina, 1962-2004:
apuntes para un mapa de sus relaciones y desafíos hacia el futuro,
Universidad Católica de Córdoba, Córdoba 2005.
VERNAZZA, J. - RICCIARDELLI, R., Apuntes para una biografía del padre
Rafael Tello, inedito.
VERNAZZA, J., Para comprender una vida con los pobres: los curas ville-
ros, Guadalupe, Buenos Aires 1989.

Altre opere consultate


Testi del Magistero
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tino sobre la adaptación a la realidad actual del país de las conclu-
siones de la II Conferencia General del Episcopado Latinoamericano,
Buenos Aires, Paulinas 1969.
GIOVANNI PAOLO II, Omelia durante la Messa per l’evangelizzazio-
ne dei popoli a Santo Domingo (11.10.1984), in www.vatican.va/

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252 Bibliografia

holy_father/john_paul_ii/homilies/1984/documents/hf_jp-ii_
hom_19841011_evangelizzazione-popoli_it.html [consultata il
7.10.2014].
—, Omelia durante la Celebrazione della Parola a Santo Domingo
(12.10.1984), in www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/ho-
milies/1984/documents/hf_jp-ii_hom_19841012_celebrazio-
ne-santo-domingo_it.html [consultata il 7.10.2014].
—, Discorso inaugurale della IV Conferenza Generale dell’Episcopa-
to Latinoamericano, Santo Domingo (12.10.1992), in www.va-
tican.va/holy_father/john_paul_ii/speeches/1992/october/
documents/hf_jp-ii_spe_19921012_iv-conferencia-latinoameri-
ca_it.html [consultata il 7.10.2014].
PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L’interpretazione della Bibbia nella
Chiesa, in www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/
pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_19930415_interpretazio-
ne_it.html [consultata il 7.10.2014]

Articoli

BIANCHI, E.C., «El Sínodo sobre la Nueva Evangelización y la Igle-


sia latinoamericana», in Vida pastoral 304 (2012) 8-14.
—, «El tesoro escondido de Aparecida: la espiritualidad popular»,
in Teología 100 (2009) 557-576.1
FERRARA, R., «“Fidei infusio” y revelación en santo Tomás de Aqui-
no. Summa Theologiae, I-II q100, a4, ad1m», in Teología
23/24 (1974) 24-32.
GELABERT BALLESTER, M., «Tratado de la fe. Introducción a las cue-
stiones 1 a 16», in Suma de Teología, Tomo III, Parte II-II (a),
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GERA, L., «Fe y cultura en el documento de Puebla», in Criterio 52
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—, «La Iglesia y el mundo», in V.R. AZCUY - J.C. CAAMAÑO - C.M.
GALLI, Escritos Teológico-Pastorales de Lucio Gera. I. Del Pre-
concilio a la Conferencia de Puebla (1956-1981), Agape Libros
- Facultad de Teología Uca, Buenos Aires 2007, pp. 311-318.
—, «La Providencia, como categoría necesaria para la compren-
sión del binomio fe-historia. Reflexiones a partir del documen-
to de Puebla», in V.R. AZCUY - J.C. CAAMAÑO - C.M. GALLI, Escri-
tos Teológico-Pastorales de Lucio Gera. II. De la Conferencia de
1
Nella versione stampata della rivista Teología questo articolo è ap-
parso con seri errori editoriali. Si raccomanda di consultare la versione
elettronica, in http://dialnet.unirioja.es/servlet/ dcfichero_articulo?codi-
go=3150032 [consultata il 7.10.2014].

014 Introduzione teologia popolo Bianchi FR EMI 2015 02.indd 252 10/03/15 11.12
Articoli 253

Puebla a nuestros días (1981-2007), Agape Libros - Facultad de


Teología Uca, Buenos Aires 2007, pp. 183-206.
—, «San Miguel: una promesa escondida», in ivi, pp. 271-295.
LABARGA GARCÍA, F., «La religiosidad popular», in J. SARANYANA, Teo-
logía en América Latina III: El siglo de las teologías latinoame-
ricanistas (1899-2001), Iberoamericana, Madrid 2002, pp. 393-
441.
ORDENES FERNÁNDEZ, M.A., Piedad popular a la luz de Aparecida. Un
desafío para el ver, juzgar y actuar pastoral, in www.celam.org/
Images/img_noticias/doc14d9cc46816841_06042011_252pm.
pdf [consultata il 25.5.2011].
RODRÍGUEZ MELGAREJO, G., «El don de una vida», in R. FERRARA - C.
GALLI, Presente y futuro de la teología en Argentina: Homenaje
a Lucio Gera, Paulinas, Buenos Aires 1997, pp. 40-53.
SCANNONE, J.C., «Diversas interpretaciones latinoamericanas del
Documento de Puebla», in Stromata 35 (1979) 195-215.
—, «Situación del método teológico en la problemática de
América Latina», in Medellín 78 (1994) 255-283.
—, «Perspectivas eclesiológicas de la “teología del pueblo” en la
Argentina», in Christus 707 (1998) 38-44.
—, «Influjo de “Gaudium et Spes” en la problemática de la evan-
gelización de la cultura en América Latina. Evangelización, li-
beración y cultura popular», in Stromata 40 (1984) 87-103.
VALENTE, G., «La Parola di Dio: un sangue versato che parla. Inter-
vista con Albert Vanhoye», in 30 Giorni, giugno-luglio (2008),
in www.30giorni.it/articoli_id_18472_l1.htm [consultata il
7.10.2014].

Libri

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tarios a la constitución «Gaudium et Spes» del Concilio Vaticano II.
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BASSO, D., Los principios internos de la actividad moral. Elemen-
tos de antropología filosófica, Centro de Investigaciones en Ética
Biomédica, Buenos Aires 1991.
BOASSO, F., ¿Qué es la pastoral popular?, Patria Grande, Buenos
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CONGAR, Y., La fe y la teología, Herder, Barcelona 1981.
CROSSMAN, R.H.S., Biografía del Estado moderno, Fondo de Cultura
Económica, México 19913.
DURÁN, J.G., Monumenta catechetica hispanoamericana. (Siglos
XVI-XVIII). Vol. II (S.XVI), Facultad de Teología de la Pontificia
Universidad Católica Argentina, Buenos Aires 1990.

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254 Bibliografia

DUSSEL, E., Hipótesis para una historia de la Iglesia en América Latina,


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FEINER, J. - LÖHRER, M. (a cura di), Mysterium salutis: nuovo corso di
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MARITAIN, J., Distinguere per unire. I gradi del sapere, ed. it. Morcel-
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