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Quando si tratta di un “giudizio di valore” non è possibile che sia un “giudizio di fatto”.
I giudizi di valore sono soggettivi. Fra fatto e valore c’è una dicotomia e per capirla bisogna esplorarne un’altra:
quella fra analitico/sintetico.
● Analitico è un termine tecnico della filosofia ed è considerato come il nome della classe di verità che sono
“tautologie”, oppure vere in virtù del loro significato. Una verità analitica è: “tutti gli scapoli sono non sposati”. I
positivisti logici sostengono che la matematica è formata da verità analitiche.
● Sintentico era un termine usato da Kant per le verità non analitiche. Egli sosteneva che le verità matematiche
sono sia sintetiche che necessarie (a priori).
Gli avversari positivisti di Kant vogliono espandere la nozione di “analitico” a tutta la matematica (che per loro era
una materia legata alle nostre convenzioni linguistiche, opposte ai fatti). Per i positivisti entrambe le distinzioni
(fatto/valore e analitico/sintetico) opponevano ai fatti qualcos’altro:
La prima (fatto/valore) i fatti ai valori
La seconda (analitico/sintetico) I fatti alle tautologie (o verità analitiche).
A partire dalla critica di Quine nel 1951 alla dicotomia analitico/sintetico, essa è venuta meno.
Per Hume I concetti sono un tipo di idea e le idee sono “pittoriche”: si può rappresentare una questione di fatto
solo “rassomigliando” ad essa (in modo visivo, tattile,olfattivo ecc.).
Ma le idee hanno proprietà anche “non pittoriche” (associate a sentimenti,emozioni).
Inoltre, per Hume, non ci sono questioni di fatto relative al giusto e alla virtù.
Poiché i concetti etici spessi sono numerosissimi (generoso, elegante, abile, forte, maldestro, debole, volgare ecc.) ,
molti neopositivisti non hanno seguito la strada inaugurata da Hume, assegnando un significato meramente
emotivo, eliminandoli dal linguaggio della scienza e hanno provato a dare due soluzioni, comunque insoddisfacenti:
1) Ridurre i concetti etici spessi a meri concetti fattuali (gli esempi "scortese" e "crudele" dimostrano che ciò non è possibile)
Hare ci fa l’esempio di due ragazzi in classe: uno sputa a l’altro e questi gli dà un pugno.
L’insegnante commenta che il pugno è stato un gesto scortese, e il ragazzo che ha sputato, alla fine, ammette che
anche lo sputo lo è stato. Ma in questo esempio Hare non ammette che scortese possa avere un certo valore che poi
però viene superato da qualcos’altro. Perchè il pugno è scortese, ma in questo caso è giusto perchè il ragazzo se lo è
meritato. Quando invece Hare parla del termine “scortese” dice che questa azione è “motivante” per sua essenza.
Esistono quindi proprietà che sono in sè negative e termini morali che sono sia descrittivi, sia prescrittivi.
2) Scindere la componente descrittiva dalla componente "prescrittiva", altrettanto impossibile: qual è il "fatto
naturale" corrispondente a "crudele"? sarebbe procurare dolore in quanto il dolore è un fenomeno fisico?
spiegazione insoddisfacente: prima della scoperta dell'anestesia medici procuravano dolore, ma non per questo
erano crudeli. Oppure si immagini una persona che corrompe un giovane per non fargli mai sviluppare un
determinato talento. Il giovane non prova mai dolore fisico, ma il comportamento della persona è crudele.
Per comprendere un termine come "crudele" occorre identificarsi con un punto di vista valutativo, ossia occorre
poter condividere o non condividere determinate valutazioni.
Per esempio se dico: "è crudele fare sperimentazione scientifica sugli animali", questo enunciato non descrive
alcun fatto, esprime una valutazione che può essere compresa solo da chi condivide l'applicazione del termine
"crudele" alle condizioni di vita degli animali.
Per Mackie termini come “crudele”o “crimine” sono solo parole che descrivono fatti naturali.
Tentativi postpositivistici di recuperare la nozione humiana di fatto che oggi (come si è spiegato nel capitolo precedente) non è
più ciò che corrisponde a impressioni sensoriali.
Bernard Williams è un filosofo morale contemporaneo che ha cercato di mantenere una concezione fisicalista
della realtà (l'unica descrizione legittima della realtà è quella offerta dal linguaggio della fisica). : Il mondo com’è in realtà può essere
descritto, indipendentemente da qualsiasi osservatore, solo in termini scientifici.
Distingue una concezione "assoluta" della realtà (quindi indipendente da ogni soggetto) e una concezione vista da
una o da un'altra prospettiva. Tale distinzione sostituisce, ma è analoga alla dicotomia fatto/valore e prende il nome
di relativismo, in quanto ogni descrizione della realtà, non essendo assoluta (tale assolutezza può essere assunta
solo come meta ideale finale raggiungibile quando la scienza sarà giunta al suo termine), dipende sempre da "una
prospettiva locale".
Perché veniamo attratti dalla dicotomia fatto/valore?
La risposta di Putnam è che i positivisti e i filosofi come Williams non riescono a comprendere una nozione di
oggettività che non si fondi un qualche criterio assoluto. Non si può spiegare in termini assoluti come sia possibile
la conoscenza. Secondo Putnam (che accoglie l'insegnamento di Dewey) invece l'oggettività, intesa come
spiegazione razionale, si raggiunge attraverso un dibattito pubblico, democratico, fondato sulla tesi della fallibilità
della scienza e, in generale, dell’azione umana.
Nel 1967, Sen pubblica un saggio che ha come punto di partenza la posizione non cognitivista di Hare.
Il positivista logico R.M. Hare ha formulato una teoria etica denominata "prescrittivismo universale”, in base alla
quale che i giudizi etici siano universalizzabili è una verità logica, cioè analitica (quindi sempre vera).
Ciò significa che se "l'omicidio è ingiusto" è un giudizio etico, io devo necessariamente concordare sul fatto che è
ingiusto per chiunque commettere omicidio (ecco perchè la chiama “universale”). E la chiama “prescrittivismo”
perchè la componente di valore di un giudizio etico, viene espressa in maniera appropriata nel modo imperativo.
Un giudizio di valore, puramente prescrittivo (privo di qualsiasi componente descrittiva) comunica solo una
condivisione di un imperativo sottostante.
Così Sen commenta: per esempio, se dico "la pena capitale dovrebbe essere abolita" ciò comporta la mia
condivisione dell'imperativo "aboliamo la pena capitale".
Ma la connessione tra i due giudizi non è affatto così stretta come vedremo.
Inoltre Sen, accettando inizialmente la distinzione che Hare opera tra una componente prescrittiva e una
componente descrittiva dei termini di valore, distingue tra:
Giudizi prescrittivi (contenenti solo termini prescrittivi)
Giudizi valutativi (contenenti termini che hanno sia un significato prescrittivo sia un significato descrittivo).
Un "giudizio valutativo" comporta, oltre alla mia condivisione di un imperativo anche un contenuto descrittivo.
Per esempio, il giudizio "la pena capitale è barbara" potrebbe comportare non semplicemente la mia adesione
all'imperativo di prima ("aboliamo la pena capitale"), ma la mia intenzione di comunicare che la pena capitale
possiede delle caratteristiche che possono essere associate alla nozione di barbarie
I giudizi di valore implicano imperativi? In che senso o giudizi di calore implicano imperativi?
Anzitutto Putnam analizza il concetto di implicazione logica. : relazione fra enunciati, veri o falsi.
In base alla regola dell'implicazione , se p implica q, allora se p è vero, anche q è vero.
Ma i giudizi etici non sono né veri né falsi, quindi l'implicazione non può essere spiegata in questo modo.
Sen risolve il problema nel modo seguente:
L'enunciato "la pena capitale dovrebbe essere abolita" implica l'enunciato " aboliamo la pena capitale".
Chi acconsente al primo enunciato non può non acconsentire al secondo enunciato, se lo ha compreso e intende
veramente dire quel che già affermato nel primo enunciato. Hare sosteneva qualcosa di simile, ossia che i giudizi di
valore implicano imperativi perché a suo avviso i termini di valore sono "motivazionali", nel senso che chi
comprende il contenuto semantico di un termine che rappresenta un valore o disvalore intrinseco (per es. "valoroso"
o "crudele"), se parla sinceramente è disposto ad approvare o disapprovare quel contenuto.
Ma questa spiegazione è stata giustamente criticata, e Putnam d'accordo con tale critica:;
Apatia, debolezza, disperazione, distrazione, le persone possono non essere motivate a tale approvazione o
disapprovazione. Analoga critica si può fare con il ragionamento "prescrittivista" riportato da Sen.
Una persona può assentire al giudizio "la pena capitale dovrebbe essere abolita" senza che ciò implichi la sua reale
intenzione di impegnarsi a sostenere un atteggiamento che possa essere connesso con un enunciato del tipo
"aboliamo la pena capitale". Anche in questo caso per molte ragioni diverse: o perché il secondo enunciato ha un
senso diverso se pronunciato da un cittadino qualunque o da un politico, o per le ragioni sopra,apatia, indifferenza..
Ciò non priva tuttavia di significato o di sincerità il primo enunciato "la pena capitale dovrebbe essere abolita".
Posso asserire il primo ma non sentirmi obbligata a fare direttamente qualcosa per abolire la pena capitale.
Dunque secondo Putnam, il requisito motivazionale, in cui consiste il nucleo teorico del prescrittivismo, è
irragionevole ed egli ritiene che per questa ragione lo stesso Sen abbia superato il prescrittivismo.