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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO

DIPARTIMENTO DI STUDI UMANISTICI

Corso di laurea triennale in Lettere

TESI DI LAUREA

IL MITO DI EDIPO E LA TRADIZIONE FAVOLISTICA


POPOLARE

RELATORE: CANDIDATO:
Prof.ssa Paola Dolcetti Claudio Pennisi
Matricola n. 797552
CORRELATORE:
Prof. Tommaso Braccini

Anno Accademico 2016/2017


INDICE

0. Premessa.......................................................................................................................2
0.1 Folklore e mondo antico.........................................................................................3

0.2 Folklore e mito di Edipo.........................................................................................5

1. Cap. I: Edipo pretragico.............................................................................................8


1.1 La tradizione omerica.............................................................................................9
1.1.1 La morte di Edipo.......................................................................................11
1.1.2 I matrimoni di Edipo..................................................................................13
1.1.3 Gli ἂλγεα di Edipo......................................................................................14
1.1.4 Il parricidio.................................................................................................16
1.2 L'Edipodia e la Sfinge...........................................................................................18

1.3 La Tebaide e la cecità di Edipo.............................................................................21

1.4 La lirica di epoca arcaica......................................................................................25


1.4.1 Lo "Stesicoro di Lille"................................................................................25
1.4.2 Pindaro........................................................................................................28
1.4.3 Corinna di Tanagra.....................................................................................31

2. Cap. II: Edipo nella tradizione tragica....................................................................33


2.0 Premessa: Edipo e la tragedia...............................................................................34

2.1 Eschilo...................................................................................................................34

2.2 Euripide.................................................................................................................36

2.3 Sofocle – Edipo Re ..............................................................................................39


2.3.1. Il sapere di Edipo: contrasto fra umano e divino ......................................41
2.3.2 Edipo-ἄγος..................................................................................................43
2.4 Sofocle – Edipo a Colono.....................................................................................45

3. Cap. III: Edipo e il folklore.......................................................................................49


3.0 Alcuni cenni introduttivi .....................................................................................50

3.1 Profezia.................................................................................................................51

1
3.1.1 Tipi ATU 931, 933.....................................................................................53
3.2 Esposizione e mutilazione.....................................................................................55
3.2.1 Edipo lo zoppo: eroe, sapiente e tiranno ...................................................56
3.2.2 Tipi ATU 931 e 933...................................................................................59
3.3 Atto di valore e conquista della regalità: l'enigma della Sfinge............................62
3.3.1 L'indovinello ..............................................................................................64
3.3.2 La Sfinge....................................................................................................66
3.4 Parricidio e incesto ...............................................................................................70
3.4.1 Edipo eroe ctonio: conquista della terra e del potere.................................71
3.4.2 Tipi ATU 931 e 933...................................................................................74
3.5 Riconoscimento e conclusione dell'intreccio........................................................76
3.5.1 La scoperta della verità: la sparizione del corpo di Edipo ........................76
3.5.2 Edipo «interrato» nella tradizione latina classica e medievale .................79
3.5.3 Tipi ATU 931 e 933...................................................................................81
3.5.3.1 Penitenza, interramento e apoteosi: la leggenda cristiana ..................82
3.5.3.2 La leggenda di Giuda: personificazione del Male .............................86

Conclusioni.....................................................................................................................89

Bibliografia ....................................................................................................................95

Ringraziamenti.............................................................................................................109

2
§ Premessa

Il mito di Edipo è forse il più studiato della letteratura antica 1. Scopo della presente
ricerca è dimostrare in che modo esso sia suscettibile di essere studiato alla luce del
folklore, ovvero in base a quali elementi si possa parlare di un folk-tale di Edipo e come
uno studio comparato dell'antica leggenda tebana e delle sue supposte varianti folklo-
riche, medievali e moderne, possa fornire chiavi di lettura utili alla comprensione dello
stesso mito antico.
Tale impostazione presenta non pochi problemi di fondo. Ci limiteremo a sottoli-
nearne tre, che cercheremo di chiarire – o almeno di circoscrivere – in questa breve
introduzione: che cosa s'intenda per «folklore» , se si può parlare di folklore per il
mondo antico e, da ultimo, quali motivi folklorici possano essere rilevati nelle vicende
dell'eroe tebano.

§ 0.1 Folklore e mondo antico

Il termine «folklore», apparso per la prima volta nel 1846 ad opera dell'archeologo
inglese W. J. Thoms, è generalmente ricondotto alla sfera del sapere popolare: sarebbe
folklore l'insieme delle tradizioni orali antiche, «popolari» in quanto creazione collettiva
e non individuale. Il folklore nasce oralmente ed è trasmesso oralmente: è un sapere
antico, non ufficiale e non istituzionalizzato, tramandato spesso anonimamente, pensato
da e per il popolo2. Un sapere tradizionale, dunque, ampio, diversificato ed esteso a più
ambiti: racconti e leggende, canti, proverbi, credenze e superstizioni, farmacopea.3
Giacché la nostra conoscenza del mondo antico si basa su fonti scritte o dati mate-
riali (epigrafie, monumenti, etc.), appare evidente come gli studiosi, allo scopo di deli-
neare e studiare un folklore antico greco e romano, siano dovuti passare dentro e attra-
1 Per un quadro d'insieme sul mito di Edipo, cfr. GUIDORIZZI (2004). Per un breve riepilogo concer-
nente le diverse e numerose linee interpretative che gli studiosi hanno assunto nell'esegesi del mito, cfr.
MOREAU (2002).
2 La definizione di “folklore” è problematica. Per una breve e recente discussione terminologica rimando

a LELLI (2013: 110-113). Cfr. inoltre le definizioni di PROPP (1975: 144-148): “creazione degli strati
sociali inferiori di tutti i popoli”, “fenomeno della vita storica sociale e culturale dei popoli”; e ANDER-
SON (2006: 4): 'whatever is generated by folk' […] what we might call 'anonymously transmitted culture':
what is popular in the sense of being practiced or passed on by 'people', no more specifically defined […];
'anything that can be prefaced with they say' where they are purveyors of popular wisdom.”
3 Cfr. LELLI (2013: 112),

3
verso l a letteratura propriamente detta, che presenta un carattere strutturale distintivo
rispetto al folklore: l'opera letteraria, pur debitrice di un certo clima socio-culturale, è
una creazione individuale, ovvero ha (quasi) sempre un autore, laddove l'opera folklo-
rica, per essere intesa come tale, deve invece presentare i caratteri propri della creazione
popolare, collettiva e anonima. La questione assume tratti peculiari proprio nell'ambito
delle letterature antiche, e a questo riguardo il celebre folklorista Vladimir Propp ha
parlato di “folklore riflesso o rifratto”. Limitandoci alla Grecia antica, per esempio, il
carattere propriamente orale che segna la nascita della letteratura testimonierebbe della
sua isotopia con il folklore. In altre parole, sempre con Propp, “il folklore è il grembo da
cui la letteratura nasce. Il folklore è la preistoria della letteratura.”4
Dunque, studiando questo processo di “produzione folklorica” si dovrà tenere conto
non solo dei rapporti fra folklore e favolatori – ovvero quegli individui che, per gusti
personali o imposizioni esterne, hanno tramandato una storia, inserendo o rimuovendo
elementi narrativi dall'intreccio 5 – ma anche delle relazioni, a tratti ambigue, fra folklore
e letteratura. Quando ad esempio un autore attinge da un repertorio folklorico per un'o-
pera letteraria, a quel punto non possiamo più parlare di puro folklore, né tantomeno di
tradizione orale; anzi, in questo caso l'opera letteraria registra uno stadio del folklore,
che dunque potrà in qualche modo essere ricostruito, ma sempre tenendo conto della
letterarietà della testimonianza presa in esame.6
Ad ogni modo, un approccio 'folklorista' alla letteratura greca e romana ha prodotto
risultati interessanti. Pur tenendo a mente che la formulazione del termine «folklore» è
moderna, i dati raccolti hanno dimostrato che per Greci e Romani si può parlare di una
cultura non ufficializzata e di matrice popolare (composta di proverbi, usanze, racconti,
etc.), che gli stessi auctores antichi definiscono spesso con una terminologia peculiare e
talora denigratoria, allo scopo di sottolinearne la natura marginale, superstiziosa e
rustica, propria del vulgus e del δῆμος7. Una cultura eminentemente popolare, dunque,
che affonda le sue radici nella tradizione: a tal segno, parlare di un 'folklore greco e

4 Cfr. PROPP (1975: 159-160). Cfr. inoltre BETTINI (1989); BERTOLINI (1992).
5 Cfr. PROPP (1975: 150).
6 Cfr. BETTINI (1989); ANDERSON (2006: 17).
7 Sulle aree semantiche proprie delle testimonianze degli antichi su una 'cultura popolare' (uso dei verba

credendi, famiglia di vulgus e δῆμος, famiglia di rus e ἀγρός, etc.), cfr. LELLI (2013: 112-113). Lelli
segnala anche la dimensione 'femminile' peculiare di tanti racconti popolari greci e romani, che vedono
donne, vecchie e nutrici nel ruolo di narratrici. Cfr. a riguardo HANSEN (2002: 12-ss.).

4
romano' non sembra una forzatura.8
Se limitiamo poi il nostro campo d'indagine ai folk-tales o ai fairy-tales, ai
Märchen, possiamo trovare in numerosi miti e leggende dell'immaginario letterario
greco-romano corrispondenze e consonanze con fiabe, favole e racconti popolari antichi
e moderni, appartenenti alle tradizioni di diversi popoli e culture 9, o più in generale
motivi e tipi folklorici di natura magica o fantastica, di cui spesso abbiamo una prima
attestazione proprio grazie alla letteratura greca.10 Sono state individuate fiabe e favole
antiche11 – per citarne una: Amore e Psiche nelle Metamorfosi di Apuleio –, e parimenti
sono state evidenziate componenti folkloriche nei poemi omerici e nei racconti mitici:
l'episodio di Polifemo (Od., 9, 105-566), ad esempio, presenta i caratteri propri di un
Weltmärchen, di racconto folklorico universalmente attestato12.
D'altronde, il mito presenta tratti indiscutibilmente affini al racconto folklorico: è un
racconto tradizionale, prodotto e trasmesso oralmente, che fa parte della memoria collet-
tiva di un popolo. Il mito, come la fiaba o la favola, vive di varianti che operano a
livello diacronico e sincronico – diverse evoluzioni o versioni di una medesima storia,
che si susseguono nel tempo o coesistono nell'immaginario collettivo, e che instaurano
un rapporto d'influenza reciproca con un determinato assetto socio-culturale. Alcuni
studiosi, a tal segno, hanno proposto una classificazione che tenda a distinguere il mito
dal racconto folklorico sulla base della credenza religiosa, certa e incrollabile, che carat-
terizzerebbe il primo in opposizione al secondo: nel mito si ha fedeltà, nel folklore no.
Ma affrontare in maniera esaustiva tale questione, che oltretutto ha prodotto risultati sì
interessanti e però non dirimenti, esula dalla nostra ricerca.13

8 Cfr. HALLIDAY (1933); HANSEN (2002); ANDERSON (2006); LELLI (2014).


9 Sull'affinità e somiglianza di motivi e tipi folklorici presso popoli e culture diversi e lontani, nel tempo e
nello spazio, cfr. PROPP (1975: 148): “La somiglianza delle opere folkloriche non è che un caso partico-
lare di una regolarità storica che da identiche forme di produzione materiale porta a identici o affini isti-
tuti sociali e strumenti di produzione, e nel campo dell'ideologia alla affinità di forme e categorie del pen -
siero, di rappresentazioni religiose, di vita rituale, di lingue e di folklore. Tutto questo vive, si condiziona
a vicenda, muta, cresce e muore.”
10 Cfr. HANSEN (1983); BERTOLINI (1992: 62-ss.).; GRIFFITHS (1996); ANDERSON (2000); HAN-

SEN (2002).
11 Per un quadro d'insieme sulle fiabe e le favole nel mondo antico, e per un approccio tipologico alla

questione, cfr. BRACCINI (2015). Cfr. inoltre GATTO (2006: 60-63, 167-172).
12 Cfr. BERTOLINI (1992: 63-75).
13 Vi è oltretutto un problema terminologico: limitando il campo di ricerca alla sola letteratura greca, gli

studiosi hanno notato che il termine μῦθος indica ogni tipo di racconto, sia esso di natura mitica, leggen-
daria o popolare. Definire i confini fra i tre tipi di racconto può rivelarsi un'operazione perigliosa. Cfr. a
riguardo, EDMUNDS (1985: 3 n.3).

5
§ 0.2 Folklore e mito di Edipo

Il folk-tale di Edipo figura come Tipo 931 nell'indice internazionale dei tipi fiabe-
schi (ATU) compilato da H.-J. Uther14, all'interno della sezione dedicata ai Tales of
Fate (ATU 930-949), ovvero a quei tipi folklorici che ruotano attorno all'ineluttabilità
del fato:

A prophecy (dream) foretells that a certain newborn child will kill his father [M343] and
marry his mother [M344]. In order to avoid this fate, the child (Oedipus) is exposed
[M371.2].
The boy is rescued and reared by sheperds [R131] (he grows up at a strange king's court
[S354]). There he unwittingly kills his father [N323] (who was employed as a gardener)
whom he did not recognize. Upon the king's advice he marries the wife of the dead man and
learns later that she is his own mother [T412].

Il tipo è stato elaborato sulle consonanze rilevate tra il mito di Edipo e folk-tales
europei ed extra-europei15. Morale dei racconti è dimostrare l'ineluttabilità del fato
prescritto: le profezie trovano sempre compimento.16
Si noti che i motivi folklorici segnalati nella descrizione sovrastante – profezia su
parricidio e incesto, esposizione, educazione presso la corte di un re straniero, compi-
mento involontario dei crimini profetizzati – sono ovviamente varianti di motivi riscon-
trabili sotto altre forme. Ad esempio, nei racconti affini al mito di Edipo compare non
solo l'incesto con la madre, ma anche fra fratello e sorella e fra padre e figlia – ma
quest'ultimo si pone su un altro piano, giacché può rappresentare la causa dell'esposi-
zione in assenza della profezia: un bambino nato da un incesto è causa di vergogna e va
eliminato. Inoltre, alcuni motivi possono anche non comparire: per esempio, in molti
casi il parricidio non figura nel racconto, perché il padre del protagonista è morto, è
disperso, etc.

14 Cfr. UTHER (2004: 571-572).


15 Già COMPARETTI (1867) in un suo studio su Edipo nella mitologia comparata notò che il mito dell'e -
roe tebano poteva essere studiato in rapporto al folklore, e principalmente per tre elementi: l'esposizione
del bambino, la donna-principessa offerta in donativo e lo scioglimento di enigmi. Per uno studio generale
sui rapporti fra Edipo e il folklore, cfr. il già citato PROPP (1975). In EDMUNDS (1985) si può trovare
un ampio repertorio di racconti, leggende e fiabe suscettibili di essere collegate al tipo ATU 931. Per una
recensione del lavoro di Edmunds, cfr. BREMMER (1986).
16 Cfr. ANDERSON (2000: 68-69).

6
Dal tipo ATU 931 deriva un sotto-tipo, l'ATU 931A, cui pertengono, tra gli altri
racconti, le leggende cristiane di Giuda, S. Giuliano l'Ospitaliere e S. Albano, i cui tratti
vedremo in seguito.
Da ultimo, vi sono punti di contatto tra ATU 931 e ATU 933, “Gregory on the
Stone”17, modellato sulla leggenda medievale di S. Gregorio, in cui compare il motivo
dell'unione incestuosa [T415] che causa l'esposizione [S312.1], mentre il parricidio
risulta spesso assente.
In molti di questi racconti (specialmente nelle leggende cristiane medievali) la
seconda parte dell'intreccio, quella cioè successiva al riconoscimento fra madre e figlio,
è occupata dalla penitenza del protagonista, il quale, dopo l'espiazione dei suoi peccati,
viene perdonato e santificato. Ciò ha portato a supporre che nel folklore le vicende dell'E
dipo re e dell'Edipo a Colono si trovassero combinate in un solo intreccio18: le due
tragedie di Sofocle, e in particolare l'Edipo Re, sono infatti i principali testi su cui gli
studiosi si sono basati nella comparazione del mito di Edipo con racconti dalla struttura
analoga al fine di tracciare un tipo folklorico comune, il succitato tipo ATU 931.
Giacché rappresentano le sole opere letterarie, in cui Edipo figura come protagonista, a
essere sopravvissute per intero, le tragedie sofoclee sono di un'importanza capitale:
come vedremo nel corso della nostra trattazione, esse contengono – sottesi o de-poten-
ziati – quei motivi di natura folklorica che per primi hanno portato a un collegamento
tra Edipo e folklore.
Ma le vicende di Edipo trovano forma ben prima della versione che Sofocle e gli
altri tragici ne diedero nel V sec. a.C. Ricostruire, almeno a grandi linee, i diversi stadi
del mito legato all'eroe tebano costituisce dunque un punto di partenza imprenscindibile
se intendiamo successivamente esaminarlo con un approccio folklorico. Nei capp. I e II
tenteremo pertanto di fornire un quadro esauriente del mito di Edipo dalla tradizione
omerica alla tragedia ateniese di V sec., mentre nel cap. III cercheremo invece di chia-
rire i rapporti fra Edipo e il folklore, a livello intra-testuale (studio dei motivi folklorici
legati al suo personaggio) ed extra-testuale (rapporti fra il folk-tale di Edipo e la tradi-
zione favolistica popolare19).

17 Cfr. UTHER (2004: 573).


18 Cfr. ad esempio PROPP (1975).
19 Sulle difficoltà relative all'interpretazione delle leggende di stampo cristiano come opere di origine

dotta (scritta) oppure popolare (orale) torneremo nelle § Conclusioni.

7
CAPITOLO PRIMO
EDIPO PRETRAGICO

8
§ 1.1 La tradizione omerica

Nel libro XXIII dell'Iliade (vv. 677-680), in occasione dei giochi funebri in onore di
Patroclo, troviamo un primo riferimento a Edipo. La prima sfida, la corsa con i carri, è
già terminata: è ora il momento di un incontro di pugilato, al vincitore del quale andrà in
premio una mula, mentre al perdente sarà riservata una coppa a due anse, secondo le
offerte di Achille. Alla sfida lanciata da Epeo risponde solo Eurialo, cugino di Diomede,
già nominato nel Catalogo delle Navi quale terzo capo degli Argivi, dopo lo stesso Dio-
mede e Stenelo20:

Εὐρύαλος δέ οἱ οἶος ἀνίστατο ἰσόθεος φὼς


Μηκιστῆος υἱὸς Ταλαϊονίδαο ἄνακτος,
ὅς ποτε Θήβας δ' ἦλθε δεδουπότος Οἰδιπόδαο
ἐς τάφον· ἔνθα δὲ πάντας ἐνίκα Καδμείωνας.

Solo Eurialo gli si levò contro, mortale simile ai numi,


figlio di Mecisteo, il re Talaionide,
che un tempo venne in Tebe, d'Edipo caduto
al funerale; e vinse tutti i Cadmei21.

Edipo muore a Tebe e viene onorato dai suoi concittadini con solenni giochi
funebri22: in quell'occasione Mecisteo, padre di Eurialo, sbaraglia tutti i concorrenti dei
Cadmei, trionfando23. Il dato più importante che ricaviamo dal passo in questione è che
Edipo, secondo il cantore dell'agone, è morto a Tebe, e non in esilio o a Colono come
vuole la tradizione tragica. In secondo luogo, ci viene detto che l'eroe tebano, una volta
defunto, venne celebrato con un funerale almeno paragonabile a quello riservato al

20 L'incontro di pugilato vedrà come vincitore il carpentiere Epeo sul condottiero Eurialo. Sulle particola-
rità del combattimento fra Epeo ed Eurialo e in generale sul passo omerico qui citato (vv. 653-699), cfr.
RICHARDSON (1993: 241-245).
21 Trad. di R. Calzecchi Onesti.
22 Poco prima (23, 624-650) Nestore aveva ricordato altri funerali famosi: quelli di Amarinceo (v. 630),

durante i quali l'anziano eroe aveva potuto fare sfoggio delle sue virtù agonistiche, cfr. RICHARDSON
(1993: 237). Sugli agoni come uno dei «temi obbligati dell'epica» eroica, su quelli segnatamente funebri e
sulla poca celebrità che spesso ha l'eroe defunto, cfr. BRELICH (1958: 92-93), che cita anche i funerali di
Patroclo e Amarinceo.
23 La vicenda di Mecisteo rimanda a quella del fratello Tideo, padre di Diomede (4, 376-399): recatosi a

Tebe per un'ambasceria, egli aveva attaccato i sostenitori di Eteocle e ne aveva uccisi cinquantadue. Cfr.
RICHARDSON (1993: 243); BALDRY (1956: 26).

9
compianto Patroclo. Dell'Edipo reietto, maledetto e supplice dei tragici di età classica
qui sembra non esservi alcuna traccia. La medesima versione della leggenda è inoltre
seguita dal fr.192 M.-W., attribuito a Esiodo e forse facente parte del perduto Catalogo
delle Donne, ove si riferisce che Argeia, figlia di Adrasto e sposa di Polinice, si recò a
Tebe per partecipare ai funerali di Edipo.24
Edipo è menzionato direttamente anche nell'Odissea (11, 271-80) nella cosiddetta
Nekyia. Tra le varie eroine defunte, Odisseo vede anche Epicasta, madre di Edipo:

Μητέρα τ' Οἰδιπόδαο ἴδον, καλὴν Ἐπικάστην,


ἣ μέγα ἔργον ἔρεξεν ἀϊδρείῃσι νόοιο25
γημαμένη ᾧ υἷϊ· ὁ δ' ὃν πατέρ' ἐξεναρίξας
γῆμεν· ἄφαρ δ' ἀνάπυστα θεοὶ θέσαν ἀνθρώποισιν.
ἀλλ' ὁ μὲν ἐν Θήβῃ πολυηράτῳ ἄλγεα πάσχων
Καδμείων ἤνασσε θεῶν ὀλοὰς διὰ βουλάς·
ἡ δ' ἔβη εἰς Ἀΐδαο πυλάρταο κρατεροῖο,
ἁψαμένη βρόχον αἰπὺν ἀφ' ὑψηλοῖο μελάθρου
ᾧ ἄχεϊ σχομένη· τῷ δ' ἄλγεα κάλλιπ' ὀπίσσω
πολλὰ μάλ', ὅσσα τε μητρὸς ἐρινύες ἐκτελέουσι.

La madre d'Edipo vidi, la bella Epicàste,


che gran colpa commise con animo ignaro,
sposando il figlio; e lui, ucciso il padre,
la sposò: ed ecco noto che gli dèi resero il fatto fra gli uomini.
Pure Edipo nell'amabile Tebe, per quanto soffrendo,
regnò sui Cadmei, pei funesti piani dei numi.
Ma lei scese nell'Ade gagliardo dalle porte ben chiuse,
al tetto alto un laccio di morte attaccando,
vinta dal suo dolore: e a lui lasciò strazii,
e molti, quanti le Erinni d'una madre ne danno.26

Se l'Iliade già ci informava della morte di Edipo e dei suoi funerali a Tebe, ma
taceva sugli eventi concernenti la sua vita, il poeta della Nekyia compie l'operazione
24 CINGANO (2003: 70) crede che tra gli eroi che accompagnarono Argeia sia da identificare anche il già
menzionato Mecisteo.
25 L'espressione si trova, leggermente variata, anche in riferimento ai compagni di Odisseo ingannati da

Circe (10, 230: ἀϊδρείῃσι) e a coloro che si fanno ammaliare dalle Sirene (12, 41: ἀϊδρείῃ). Cfr. BONA
(1983: 96).
26 Trad. di R. Calzecchi Onesti.

10
opposta, situando in un solo verso (v. 273) incesto e parricidio. La tradizione omerica è
però piuttosto diversa da quella sofoclea, con la quale coincide su un solo punto: venuta
a conoscenza della verità, Epicasta (variante omerica di Giocasta) s'impicca, scatenando
le sue Erinni27 contro Edipo (vv. 277-279). Gli altri dati che possiamo inferire dai versi
succitati pertengono invece a un'altra versione della leggenda: parricidio e incesto sono
rivelati ai mortali dagli dèi (v. 274), non dall'indagine dell'Edipo τύραννος sofocleo, e
non si fa menzione della cecità dell'eroe né della Sfinge. Sopra ogni cosa, Edipo conti-
nua a regnare su Tebe e sui Cadmei (vv. 275-276) anche dopo la scoperta dei suoi cri-
mini: non viene dunque esiliato dalla città né tantomeno estromesso dal potere, nono-
stante il suo regno sia segnato da grandi dolori. È lecito supporre, dacché nel passo della
Nekyia non si alcuna fa menzione né di un esilio né di un allontanamento, che Edipo in
questa tradizione muoia a Tebe. Le modalità e il momento della sua morte risultano
invece meno chiare.

§ 1.1.1 La morte di Edipo

Il participio riferito a Edipo in Il. 23, 679, δεδουπότος, ha scatenato accese discus-
sioni tra gli interpreti fin dai tempi antichi. Gli scoliasti proposero tre interpretazioni
diverse: (i) δεδουπότος sarebbe equivalente a τεθνηκότος, indicando quindi la semplice
morte di Edipo; (ii) dacché il verbo δουπέω si riferirebbe a un suono cupo e grave, e in
particolare al tonfo di un corpo sul campo di battaglia e al tintinnio delle armi sul suolo,
qui δεδουπότος significherebbe “morto in battaglia”, donde i grandiosi funerali riservati
a Edipo, caduto in guerra come alcuni eroi omerici oggetto di celebrazioni post-mortem
(es. Patroclo); (iii) secondo una lettura parzialmente affine a quella appena citata, il
verbo indicherebbe sì un rumore, ma non confinato al campo di battaglia: è il corpo che
piomba a terra, cadendo, per cui Edipo sarebbe “morto cadendo”, cioè di una morte par-
ticolare, certo violenta, non naturale, e anzi forse ricercata di propria mano: Edipo
sarebbe morto precipitandosi dall'alto, cioè si sarebbe suicidato a causa del suo dolore. 28
La seconda interpretazione, già sostenuta da Aristarco, fu fatta propria, tra gli altri, da
27Il rapporto fra Edipo e le Erinni, divinità che entrano in azione ogniqualvolta si contravviene all'ordine
prestabilito, cioè alle norme vigenti all'interno del γένος o della comunità, è lungo e complesso: parte –
come abbiamo appena visto – dalla tradizione epica ed è reinterpretato (in direzioni opposte: o di amplifi-
cazione, o di ridimensionamento) prima dai lirici dell'età arcaica e poi dai tragici del V sec. Per un'analisi
recente di questo particolare tema, cfr. BRILLANTE (2014).

11
C. Robert che, sulla scorta dei vv. 161-165 delle Opere e i Giorni29 (in cui Tesiodo parla
di una guerra combattuta “per le greggi [μῆλα] di Edipo” 30) e della testimonianza di
Ferecide di Atene31 (“Da [Giocasta] nacquero Fràstore e Laònito, i quali perirono ad
opera dei Minii e di Ergìno”), ipotizzò che Edipo fosse morto a Tebe combattendo con-
tro i Minii di Orcomeno.32 Tale teoria, che pure ha trovato dei sostenitori, sembra però
fondata su un'interpretazione erronea. Innanzitutto, non vi sono tracce di battaglie o
guerre nei testi che pongono la morte di Edipo a Tebe 33 – particolare che è lecito pen-
sare il poeta della Nekyia non avrebbe potuto ignorare. In secondo luogo, un'analisi più
accurata di δεδουπότος ha rivelato che un mero raffronto di tale forma con le altre ricor-
renze di δουπέω nel testo omerico è insufficiente: la recenziorità di tale formazione par-
ticipiale e il significato dello stesso verbo δουπέω, non necessariamente connesso al
suono delle armi o a un evento guerresco, ma piuttosto specificato dal contesto del suo
utilizzo, hanno portato a concludere che δεδουπότος qui ha il senso generico di
“morto”34 senza alcuna connotazione violenta, né tantomeno bellica. Per lo stesso
motivo risulta priva di fondamento la teoria secondo la quale Edipo, a causa dei suoi
dolori o delle Erinni della madre, si sarebbe suicidato.35

28 Tale interpretazione potrebbe essere sorta in epoca tarda sulla scia di un'altra tradizione, che pone il
suicidio di Edipo immediatamente dopo la scoperta del suicidio di Giocasta: Edipo muore accecandosi da
solo (Soph. Ant. 53-54; Hyg. Fab. 67). Cfr. MASARACCHIA (1986: 531).
29 Hes. Op. 161-165: καὶ τοὺς μὲν πόλεμός τε κακὸς καὶ φύλοπις αἰνὴ | τοὺς μὲν ὑφ᾽ ἑπταπύλῳ Θήβῃ,

Καδμηίδι γαίῃ, | ὤλεσε μαρναμένους μήλων ἕνεκ᾽ Οἰδιπόδαο, | τοὺς δὲ καὶ ἐν νήεσσιν ὑπὲρ μέγα λαῖτμα
θαλάσσης | ἐς Τροίην ἀγαγὼν Ἑλένης ἕνεκ᾽ ἠυκόμοιο.
30 Per la teoria di Robert, cfr. ROBERT (1915). Secondo CINGANO (1993: 7-8) il termine μῆλα si riferi-

sce qui al patrimonio di Edipo. Il passo esiodeo andrebbe dunque interpretato in riferimento alla guerra
fra i figli di Edipo per la sua eredità, e cioè all'impresa dei Sette contro Tebe, alla guerra fra Argo e Tebe,
che lo stesso Esiodo sullo stesso piano della Guerra di Troia: come Elena è la ragione scatenante questa
guerra, Edipo è il motivo per cui si combatte a Tebe. Cfr. inoltre CINGANO (2003: 69), per un'ulteriore
prova a sostegno di tale tesi, da cogliere “nel nuovo frustulo esiodeo pubblicato di recente (Plit Palau
Rib. 21) che integra il testo precedente (=Hes. F. 193 M.-W.1-8)” e in cui “il termine κτῆνος equivale a
μῆλα in Op. 163”. Contra DE KOCK (1961: 8-11).
31 Schol. Eurip. Phoen. 53 = FgrHist 3 F95; cfr. CINGANO (1993: 9-10) che nega alcuna connessione.tra

il passio esiodeo e quello ferecideo, ma pure riconosce l'importanza di Ferecide nella ricostruzione della
Tebe micenea. A tal proposito BRILLANTE (1980: 334-336), il considera Edipo un personaggio storico-
religioso di epoca micenea. Non un eroe del folklore, dunque, ovvero non un personaggio immaginario:
anche secondo questa lettura Edipo muore in battaglia contro gli i Minii di Orcomeno.
32 Cfr. DE KOCK (1961: 8-11).
33 Cfr. VALGIGLIO (1963: 25); MASARACCHIA (1986: 530-531); CINGANO (1992: 7-11).
34 Cfr. MASARACCHIA (1986: 534-535) che considera “la recenziorità della formazione sul piano lin-

guistico è un argomento in favore dell'affievolirsi del senso originario” con un passaggio da «morire in
battaglia» a «morire» tout court. La medesima opinione in CINGANO (1993: 4-7), che nota anche nota
che il Libro XXIII dell'Iliade, in cui occorre la forma in questione, è considerato d'epoca tarda: tale dato si
accorderebbe alla presenza del recenziore δεδουπότος.

12
§ 1.1.2 I matrimoni di Edipo

Edipo muore dunque a Tebe, in un momento posteriore, e forse di molto, al suicidio


di Epicasta. Ci viene infatti detto che gli dèi rivelarono subito (ἄφαρ36) la verità sull'u-
nione di Epicasta ed Edipo, e di conseguenza anche sul parricidio: il suicidio della
madre avviene dunque in un momento precedente rispetto all'Edipo Re, elemento che ci
fa concludere che dalle nozze incestuose non può essere nato alcun figlio. Che Eteocle e
Polinice siano citati nell'epos omerico non rappresenta una contraddizione, ma ci fa anzi
concludere che essi dovevano essere figli di Edipo e un'altra donna, non della madre-
sposa Epicasta, morta suicida dopo poco tempo. A questo riguardo Pausania, basandosi
sulla perduta Edipodia, riporta che Eteocle, Polinice, Antigone e Ismene sono figli di
Eurigania, figlia di Iperfante 37, presumibilmente sposata da Edipo dopo il suicidio di
Epicasta. La medesima versione è riportata da Pisandro 38, che però al suicidio di Gioca-
sta e al successivo matrimonio di Edipo con Eurigane aggiunge anche il tema dell'au-
to-accecamento.
Ferecide di Atene afferma invece che Edipo ebbe non due ma tre mogli 39: Giocasta,
madre di Frastore e Laonito; Eurigania, madre dei quattro figli canonici; e Astimedusa,
figlia di Stenelo. Astimedusa compare solo in Ferecide e in Schol. Il. IV 376 – in cui
Edipo la sposa dopo aver ripudiato Giocasta. In generale, l'assenza di ulteriori attesta-
35 Cfr. VALGIGLIO (1964: 26-27) che traduce δεδουπότος come 'morto cadendo [in un abisso]'. Edipo,
sofferente, si suicida gettandosi dal Citerone al termine di un'ideale schema circolare: la sua fine è la
medesima toccata a Giocasta e alla Sfinge che, sconfitta da Edipo, si gettò o fu gettata nel precipizio di
una rupe. Citerone, dopo che egli ha pronunciato le sue maledizioni sui figli – come già Giocasta prima di
lui. Contra MASARACCHIA (1986: 531-534), secondo il quale la tradizione sul suicidio di Edipo è nato
sulla suggestione della pratica del barathron che in una fase antica prevedeva che il condannato, reo di
gravi colpe verso la polis, vi fosse gettato dentro vivo. Cfr. inoltre CINGANO (1993: 2), in cui l'autore
rifiuta recisamente anche una teoria avanzata da F.W. Schneidewin [Die Didaskalie der Sieben gegen
Theben, «Philologus», 3 (1848), 348-371], secondo cui Edipo sarebbe “caduto” sotto i colpi del fato: un
tale valore di δουπεῖν non è attestato da alcuna parte.
36 Di significato affine o a εὐθέως “subito” o a ἐξαίφνες “improvvisamente”. Il racconto omerico di Edipo

differisce notevolmente dalla versione tragica e inoltre Pausania (5.10-13) legge ἄφαρ come “subito, pre -
sto” basandosi su dati difficilmente controvertibili: cfr. infra. Per un riepilogo cfr. BALDRY (1956: 56).
Per ἄφαρ come “subito” cfr. DE KOCK (1961); MASARACCHIA (1986); CINGANO (2003); BRIL-
LANTE (2014).
37 Paus. IX 5, 11. Il Periegeta si basa anche su un dipinto di Onasia, conservato all'interno del tempio di

Atena Area a Platea (in Beozia) e raffigurante la battaglia finale tra Eteocle e Polinice, con la stessa Euri -
gania (?).
38 Schol. Eurip. Phoen. 1760 = FgrHist 16 F 10. Pisandro è molto probabilmente un mitografo di epoca

ellenistica che scrive su Edipo prendendo spunto da numerose fonti tragiche e mitografiche, e forse anche
dall'Edipodia. Le numerose incongruenze e aporie del testo riportato dallo scolio rivelerebbero la conta-
minazione delle fonti: cfr. VALGIGLIO (1963: 154-166); LLOYD-JONES (2002: 2-10); BRILLANTE
(2014: 15-16).

13
zioni, il motivo folklorico scandalistico legato alla sua figura (ella accusa Eteocle e Poli-
nice di averla sedotta: è il motivo della Moglie di Putifarre, che nell'indice dei motivi
folklorici stilato da Stith Thompson appare con il codice K211), nonché un'analisi eti-
mologica del suo nome, fanno supporre che Astimedusa sia un personaggio apparso in
epoca tarda.40
Secondo quando riportato da Epimenide41, invece, Edipo sposa solo Epicasta, e dal
loro matrimonio nascono i quattro figli, ma Epicasta qui non è la madre di Edipo: è
invero la seconda moglie di Laio, da lui sposata dopo la morte di Euriclea, madre di
Edipo; pertanto l'unione dei due, diversamente che in Omero e nel resto della tradizione,
non risulta incestuosa.42

§ 1.1.3 Gli ἂλγεα di Edipo

Dopo la morte di Epicasta, Edipo regna nel dolore. Il passo dell'Odissea menziona
gli ἂλγεα di Edipo due volte: subito dopo la scoperta dell'incesto e del parricidio (v.
275) e in un momento successivo, a causa delle Erinni materne (v. 279). Ma i patimenti
dell'eroe non possono essere associati alla sua morte, che quindi non può essere stata
causata, né direttamente né indirettamente, dalla Erinni di Giocasta. Sono anzi soffe-
renze, non meglio specificate, che Edipo deve aver scontato mentre era ancora in vita 43.
Epicasta non maledice Edipo invocando le sue Erinni su di lui: queste divinità, garanti
di un ordine naturale che non può essere trasgredito, agiscono spontaneamente, implaca-

39 Secondo GUIDORIZZI (2004: 65) possiamo cogliere qui “il tentativo, tipico dello spirito mitografico
arcaico, di dare un ordine a diverse tradizioni genealogiche per ricondurre a unità varianti lontane del
mito, fondendole tra loro secondo una linea cronologica. […] Queste genealogie fittizie erano un feno-
meno abituale in epoca arcaica: […] i clan nobiliari amavano riferirsi a un antenato eroico”. Così anche
CINGANO (2003: 71) che bolla il testo di Ferecide come “il tipico tentativo di conciliare per accumulo
versioni attinte da tradizioni diverse”.
40 Cfr. CINGANO (1993: 9-11). Secondo VALGIGLIO (1963: 40-43) il nome proprio deriverebbe dal

nome comune ἂστεως Μέδουσα “la regina della città”, in origine forse epiteto della stessa Epicasta,
regina sposata dall'eroe liberatore Edipo, o della Sfinge, παρθένος che dominava la città (ἂστυ) – non
mancano invero alcune tradizione secondo le quali la Sfinge non è un mostro ma una fanciulla. Diventata
personaggio, “alla fanciulla Astimedusa fu assegnato come padre Stenelo (Schol. Eurip. Phoen. 53), con-
fondendo questa ἂστεως Μέδουσα con la Μέδουσα figlia di Stenelo (Apoll. II 4, 5, 8).” Su quest'ultimo
punto si veda inoltre CINGANO (2003: 71).
41 Schol. Eurip. Phoen. 13 = FgrHist III B 457, fr. 13
42 Cfr. VALGIGLIO (1963: 166-167) secondo cui la versione di Epimenide sarebbe confermata anche a

livello etimologico “soprattutto nel suo primo elemento ἐπι- che dovrebbe indicare 'successone nel
tempo', sicché il termine potrebbe significare 'colei che è illustre (potente, da καίνυμαι) in seguito', cioè
dopo 'Euriclea', 'colei la cui gloria si era estesa ampiamente'.”

14
bili e impietose, invocate o meno, ogni volta che si infrange una norma all'interno del
γένος o della comunità. Esse intervengono conseguentemente alla morte violenta di
Giocasta, per ristabilire l'ordine violato nella famiglia dei Labdacidi 44. Gli ἂλγεα che le
Erinni abbattono sul colpevole Edipo, e che nelle tradizione successiva diventeranno
proverbiali, potrebbero essere genericamente definiti «tribolazioni dell'esistenza»:
secondo E. Cingano alluderebbero «più che a un danno fisico, alla triste sorte patita [da
Edipo] dopo la scoperta dell'incesto»45. Se è impossibile definire con maggior sicurezza
le sofferenze dell'eroe, possiamo però affermare (anche sulla scorta dello stesso testo
omerico) che esse non gli impediscono di seguitare a regnare su Tebe o di risposarsi: se
colpiscono Edipo, non ne intaccano tuttavia l'autorevolezza o la figura pubblica.
È bene sottolineare, a tal segno, che l'intervento delle Erinni ha natura personale e
privata. Esso è escluso da ogni legame sociale o da ogni partecipazione esterna: si
rivolge a un solo personaggio, non ha un valore collettivo. Le Erinni sono infatti
δαίμονες che operano in ambito individuale, che vedono e perseguono ogni colpa, che
hanno il proprio obiettivo nella singola persona colpevole: certo, agiscono per motiva-
zioni di ordine sociale (i rapporti interpersonali nel γένος o nella città), ma limitano
sempre la loro azione ad una sfera individuale, con una modalità affine, per certi versi,
alla maledizione (ἀρά).46
Non si può dunque immaginare che, a seguito della scoperta del parricidio e dell'in-
cesto, del successivo suicidio della madre e delle Erinni, l'Edipo omerico si trasformi in
43 Cfr. VALGIGLIO (1963: 18-22), in cui l'autore considera le due occorrenze di ἂλγεα come riferimenti
non solo a due momenti diversi, ma anche a due esperienze dolorose che differiscono l'una dall'altra. Cfr.
inoltre BONA (1983: 97-98); MASARACCHIA (1986: 536-537) secondo cui gli ἂλγεα di Edipo sono
scontati in vita, perché l'intervento delle Erinni non provoca necessariamente la morte. Sulla diversifica -
zione e la varietà delle funzioni delle Erinni, già in Omero, cfr. CINGANO (2003: 61, 70) per l'allusione
ai dolori di Edipo, πολυκηδέος Οἰδιπόδ[αο “Edipo dai molti dolori” in Hes. F.193 M.-W. 1-8 (v.4), e
BRILLANTE (2014: 27).
44 Cfr. BRILLANTE (2014: 14-15). La teoria esposta in VALGIGLIO (1963: 21-22), secondo la quale le

Erinni di Giocasta sarebbero da identificare con una maledizione, che comunemente prevede una pena di
contrappasso – ripresa anche per motivare il suicidio di Edipo (cfr. supra, n. 35) – risulta quindi inficiata
da questo dato di base: non ci sono elementi che possano farci concludere che “Epicasta sia morta impre-
cando contro Edipo”, ovvero che l'abbia maledetto scatenando contro di lui le sue Erinni. Tali divinità,
come abbiamo visto, agiscono anzi in piena autonomia, anche senza essere invocate, per ristabilire le
norme violate e sanzionare i comportamenti illeciti.
45 CINGANO (2003: 60-62, qui 62).
46 Sulla natura delle Erinni e sul valore del loro peculiare intervento, nonché sulle affinità che presentano

con la maledizione cfr. BRILLANTE (2014: 27-31, 36-37). I tratti comuni delle Erinni con la maledi-
zione erano già stati evidenziati da Valgiglio (cfr. supra n. 26) ma con una finalità erronea. L''analogia,
d'altronde, pare limitarsi agli effetti provocati dalle due modalità punitive, differenziate tra loro da altri
importanti elementi: figure divine legate alla sfera privata, le Erinni; atto linguistico soprannaturale, pre-
rogativa di personaggi autorevoli e di carattere pubblico, l'ἀρά.

15
un contaminato, in un ἄγος, un reietto da espellere dalla città affinché essa sia liberata
dal μίασμα che la pervade. Egli rimane sul trono, si risposa 47 con Eurigania – probabil-
mente in seguito a una purificazione successiva alla morte di Giocasta 48–, diventa padre
di Eteocle, Polinice, Antigone e Ismene, e infine muore dopo un lungo regno.

§ 1.1.4 Il parricidio

Rimane da considerare come e perché Edipo potesse conservare il trono dopo lo


smascheramento delle sue colpe. Se l'unione con Epicasta nella tradizione epica non
genera alcun figlio e dopo il suicidio della madre Edipo può finanche risposarsi, dob-
biamo inferirne che in Omero l'incesto risultava meno grave che nella tradizione tragica,
in cui i frutti dell'unione proibita, i quattro figli, rimarcavano l'abominio compiuto da
madre e figlio, rendendolo ancor più terribile. Ma l'Edipo pretragico è anche un parri-
cida. Nel passo della Nekyia l'azione parricida di Edipo è indicata dal participio
ἐξεναρίξας ed è rivelata dagli dèi49, ma pare meno grave dell'incesto e del suicidio di
Epicasta: vengono citate le Erinni materne, non quelle paterne. Tra gli ἂλγεα di Edipo
non possono dunque annoverarsi anche quelli dipendenti dall'uccisione del padre.
Il verbo ἐξεναρίξω, nelle sue occorrenze omeriche, significa “spogliare delle armi
[un nemico ucciso]”50 ma anche “uccidere”51. Qualche studioso ha pertanto intravisto,
sulla scorta del primo significato citato, la possibilità di situare il parricidio, in uno sta-
dio antico della leggenda, in un ambito guerresco52: Edipo avrebbe ucciso Laio nel corso
di un duello e si sarebbe poi impadronito delle sue armi. Lo scontro sul campo di batta-
glia chiarirebbe perché Edipo non subisce alcuna punizione per aver ucciso suo padre.
Le versioni seriori avrebbero poi rigettato questa versione quando il parricidio diventò

47 Cfr. CINGANO (2015:222) secondo cui il matrimonio con Eurigania ha lo scopo principale di fornire
una discendenza legittima, non macchiata d'incesto, a Edipo e al γένος dei Labdacidi. Cfr. inoltre BREM-
MER (1987:52) sulla mancanza di un termine, nei primi stadi dei linguaggi indo-europei per designare lo
status di vedovo: risposarsi, per un re vedovo, era d'obbligo.
48 Ferecide afferma che, morta Giocasta e trascorso un anno, Edipo si sposa con Eurigania. L'interpreta-

zione di questo intervallo di tempo come un periodo di purificazione risale a Jacoby e Deubner, ed è
ripresa in BRILLANTE (2014: 18).
49 VALGIGLIO (1963: 19) riconosce la rivelazione di entrambe le colpe di Edipo da parte degli dèi, ma

crede che Epicasta invochi le Erinni sia per l'uccisione di Laio sia per l'incesto. Contra cfr. supra, p.16.
50 Così in Il. 4, 488 (Aiace spoglia delle armi Simoesio) e 21, 183 (Achille spoglia delle armi Asteropeo).
51 Hom., Il. 6, 30.
52 Cfr. DELCOURT (1944: 70). Sul parricidio rituale ipotizzato dalla Delcourt, cfr. infra § 3.4.1.

16
una colpa troppo grave, un vero e proprio tabù.53 La versione del parricidio riportata da
Pisandro, in cui Edipo uccide il padre e si appropria della cintura, della spada e del
carro, per poi consegnare tutto al suo padre putativo Polibo, potrebbe trovare la sua ori-
gine proprio in questa interpretazione 54. Ma è possibile che sia occorso anche qui un
fenomeno di semplificazione semantica simile a quello già indicato per il verbo δουπέω
(cfr. supra § 1.1.1): dal significato originario, riferito all'uccisione del nemico e al
trionfo sul suo corpo caduto – con conseguente spoglio delle armi quali trofei di guerra
–, si sarebbe poi passati a un valore più semplice, indicante l'uccisione in generale. 55 La
recenziorità del XXIII libro dell'Odissea56 si accorderebbe con questo dato linguistico.
Dunque nella tradizione epica Edipo uccide Laio non su un campo di battaglia ma
altrove, presumibilmente già al crocicchio delle tre strade in Focide. 57 Non sa che
l'uomo da lui ucciso è suo padre e quando lo scopre, diversamente che nella tradizione
tragica, rimane sul trono. Ettore Cingano, a questo riguardo, ha proposto un'interpreta-
zione interessante. Nella Grecia pre-dracontiana e pre-statale la punizione per l'omicidio
non era regolata da un processo o da un sistema giudiziario, ma era anzi ancorata al
diritto di vendetta familiare, che doveva essere esercitato da un ἐμφύλιος ἀνήρ, un
parente di sangue, un membro maschile del γένος. Solitamente l'omicida poteva pagare
una compensazione ai parenti dell'ucciso oppure fuggire, andare in esilio. Se però l'omi-
cidio avveniva lontano dalla terra dell'ucciso, la vendetta logicamente non poteva avere
luogo: sarebbe appunto questo il caso di Laio, che inoltre avrebbe potuto trovare un
vendicatore proprio e solo nello stesso Edipo. D'altronde, con la scoperta del parricidio,
oltretutto involontario, risulta che Edipo è re di Tebe non solo perché l'ha liberata dalla
Sfinge, ma perché il trono gli appartiene di diritto come unico erede di Laio e unico suo
parente prossimo. Questa situazione paradossale può dare ragione della permanenza di
Edipo sul trono di Tebe, nonché della necessità di risposarsi, successivamente al suici-
dio di Epicasta, al fine di garantire ai Labdacidi una discendenza legittima.58

53 Cfr. GUIDORIZZI (2004: 69-70).


54 Cfr. VALGIGLIO (1963: 156, n. 93)
55 Cfr. VALGIGLIO (1963: 25, n. 31).
56 Cfr. supra, n. 34.
57 Cfr. CINGANO (2015: 216). Per il problema della σχιστὴ ὁδός (dove Laio colpisce Edipo) in Pisandro,

cfr. LLOYD-JONES (2002: 7-8); contra VALGIGLIO (1963: 155-157).


58 Cfr. CINGANO (2003: 64-66).

17
§ 1.2 L'Edipodia e la Sfinge

Si può accettare la medesima ricostruzione operata in riferimento alla tradizione


omerica per la perduta Edipodia59, che è citata da Pausania per corroborare la sua inter-
pretazione dell'ἄφαρ odissiaco.
Il poema era posto all'inizio del ciclo epico tebano, ma i pochi dati a nostra disposi-
zione non ci permettono di trarre conclusioni certe riguardo alla data e al luogo di com-
posizione, né di capire se fosse stato composto originariamente in Beozia. Sappiamo
però che era l'unico poema del ciclo tebano interamente incentrato su Tebe, e inoltre la
sua stessa denominazione rivela che in esso il protagonista assoluto era proprio Edipo.
Dato per certo che nell'Edipodia si narrasse del parricidio e dell'incesto, del suicidio di
Epicasta e della morte di Edipo a Tebe – tutti elementi confermati dai poemi omerici –,
nonché del secondo matrimonio di Edipo celebrato con Eurigania – secondo la testimo-
nianza di Pausania –, è anzi possibile congetturare il resto della trama, almeno nei suoi
estremi: è probabile che il poema cominciasse con l'esposizione di Edipo sul Citerone e
terminasse con i funerali celebrati in suo onore, oppure con la sua progressiva emargina-
zione dal potere (inferibile, forse, dai frammenti residui della Tebaide: cfr. infra, § 1.3),
o, in ultima istanza, con la storia della contesa fra Eteocle e Polinice e della spedizione
di Argo contro Tebe.60 L'unico frammento dell'Edipodia pervenutoci fornisce un dato
molto importante, perché menziona direttamente la Sfinge, ignorata invece dai poemi
omerici. Il testo del frammento è conservato da uno scolio alle Fenicie di Euripide61:

ἂναρπάζουσα δὲ μικροὺς καὶ μεγάλους κατήσθιεν, ἐν οἶς καὶ Αἲμονα τὸν Κρέοντος
παῖδα... οἱ τὴν Οἰδιποδίαν γράφοντες †οὐδεὶς οὔτω φεσὶ† περὶ τῆς Σφιγγός·

'ἀλλ'ἒτι καλλιστόν τε και ἰμεροέστατον ἂλλων


παῖδα φίλον Κρείοντος ἀμύμονος, Αἴμονα δῒον'.

59 Per un riepilogo generale sull'Edipodia cfr. CINGANO (2015). Qui mi baso sulla sua ricostruzione
(congetturale) della trama. Cfr. inoltre BIZZARRI (2014: 14-16).
60 Cfr. CINGANO (2015: 217-218). L'ultima ipotesi – più remota – troverebbe una giustificazione in Pau-

sania, nel passo già citato su Eurigania moglie di Edipo, laddove l'autore si riferisce anche al dipinto di
Onasia (cfr. supra, n.18), che raffigurerebbe una scena tratta dall'Edipodia: Eurigania guarda angosciata
Eteocle e Polinice che combattono fino all'ultimo sangue.
61 Schol. Euripid. Phoen. 1760 = PEG F 1 = F 1 D. = F 3 W.

18
[La Sfinge], dopo aver rapito grandi e piccoli, poi li divorava, e
tra questi anche Emone, figlio di Creonte... gli autori dell'Edipodia
dicono riguardo alla Sfinge:

'Ma [divorò] anche il più bello e desiderabile tra tutti,


l'amato figlio dell'eccellente Creonte, il nobile Emone.'62

È pertanto lo scoliasta a porre in collegamento il passo citato con la Sfinge, affer-


mando che in questo punto dell'Edipodia il mostro, fra le sue numerose vittime, ucci-
deva e divorava anche Emone63, figlio di Creonte.
La Sfinge è citata anche da Esiodo nella Teogonia (vv. 326-327)64: essa, insieme al
Leone di Nemea, è frutto di un incesto fra la donna-drago Echidna e suo figlio Ortro.
Degno di nota è che il poeta beota descriva la Sfinge come “rovina dei Cadmei”, ponen-
dola così in relazione diretta con Tebe: collegamento rimarcato anche dal termine con
cui indica il mostro, Φίξ, da collegare al monte Ficeo (Φικίον/Φίκειον ὂρος) sopra la
città.65 La variante Σφίγξ è successiva, probabilmente dovuta a un'etimologia popolare
dal verbo σφίγγω, “strangolare”; ma – lo dice anche lo scolio succitato – tale mostro
rapiva e divorava, non soffocava le sue vittime.66 Possiamo dunque aggiungere altri ele-
menti alla trama dell'Edipodia: la presenza della Sfinge, mostro che assediava Tebe e ne
divorava i giovani, e di Creonte, fratello di Giocasta, personaggio che probabilmente
assumeva il ruolo di reggente dopo la morte di Laio e offriva la mano della sorella,
ormai vedova, a colui che avrebbe sconfitto il mostro uccisore di suo figlio. 67 Si può
supporre che il poema continuasse poi con l'uccisione o il suicidio della Sfinge, il conse-
guente matrimonio di Edipo e Giocasta, la rivelazione della verità da parte degli dèi, il
suicidio di Giocasta e il secondo matrimonio di Edipo.
L'uccisione di Emone è ricordata anche da Apollodoro (Bibl. 3.5.8) e dal mitografo
Pisandro, secondo cui la Sfinge, originaria dell'Etiopia (regione mitica a Oriente della
Grecia) era stata inviata da Era per punire Laio, colpevole del rapimento e del suicidio

62 Traduzione mia.
63 Sulla presenza di Emone come coetaneo di Edipo e non di sua figlia Antigone – secondo una tradizione
diversa da quella tragica, cfr. CINGANO (2015: 219).
64 ἣ δ᾽ ἄρα Φῖκ᾽ ὀλοὴν τέκε Καδμείοισιν ὄλεθρον | Ὅρθῳ ὑποδμηθεῖσα Νεμειαῖόν τε λέοντα.
65 Cfr. DE KOCK (1961: 10).
66 Cfr. GUIDORIZZI (2004: 173-178).
67 Cfr. CINGANO (2015: 219-220).

19
del giovane Crisippo.68 Non vi è alcuna menzione della maledizione di Pelope contro
Laio e i Labdacidi in generale, ma particolare attenzione è riservata a Tiresia, che scon-
siglia Laio di recarsi a Delfi (è da immaginarsi un alterco tra i due), e alla stessa Era 69,
γαμοστόλος “protettrice dei matrimoni”, che secondo l'indovino dovrebbe essere ono-
rata dal re tebano per espiare la sua colpa.
Data la natura contraddittoria della testimonianza di Pisandro, è difficile valutare se
lo Schol. Phoen. 1760 sia da considerare una fonte attendibile per la ricostruzione dell'E-
dipodia.70 Se il mitografo attinge dal perduto poema tebano, sembra però chiaro che si
basi anche sulla tradizione posteriore, allo scopo primario di fornire le notizie più
importanti su alcuni particolari temi: la Sfinge 71, il parricidio, l'incesto e il successivo
riconoscimento, mentre si trova solo un accenno, in chiusura, al matrimonio con Euriga-
nia .
Sulla natura dello scontro fra Edipo e la Sfinge nell'Edipodia non si possono trarre
conclusioni certe: Pisandro accenna all'indovinello, ma lo scoliasta delle Fenicie,
quando cita l'Edipodia, non lo menziona minimamente, sottolineando invece la natura
violenta e assassina della Sfinge. Si è supposto dunque che lo scontro originario tra
Edipo e la Sfinge fosse di natura fisica, elemento modernizzato da Pisandro a causa
della contaminazione delle fonti da lui utilizzate (nella tradizione tragica l'indovinello
compare sempre); tale interpretazione sarebbe confermata da alcune testimonianze
vascolari. La caratterizzazione di Edipo quale eroe-σοφός e della Sfinge quale mostro
facitore di enigmi sarebbe dunque un'innovazione successiva, non originaria della tradi-

68 Per un buon riepilogo sulla figura di Laio, cfr. GUIDORIZZI (2004: 41-55), e inoltre EDMUNDS
(2006: 16).
69 LLOYD-JONES (2002: 10-14) ha ipotizzato che le sventure dei Labdacidi siano ascrivibili all''ira di

Era, dea particolarmente vendicatrice, che, offesa dal comportamento di Laio con Crisippo, avrebbe scate-
nato la Sfinge e generato il ciclo di sofferenze legato alla casata reale di Tebe. Edipodia e Tebaide sareb-
bero da collegare all'epica omerica per la centralità dell'ira divina. L'oracolo di Apollo che compare nella
tradizione tragica e che causa l'esposizione di Edipo sarebbe pertanto, di pari passo alla maledizione di
Pelope (sua variante), una conseguenza dell'ira di Era, poi passata sotto silenzio dai tragici in virtù della
sua radicata presenza nell'immaginario poetico e collettivo. Cfr. inoltre VALGIGLIO (1963: 157-159).
70 Cfr. CINGANO (2015: 216): “It is now commonly believed that the scholium, albeit containing very

small amounts of information which can be traced back to the Oedipodeia, rather consists in a multilaye-
red account compiled from several (tragic and mythographical) sources and assembled by a Hellenistic
mythographer named Pisander”. Per una diversa opinione, cfr. VALGIGLIO (1963:163); LLOYD-JO-
NES (2002 passim).
71 In Pisandro la Sfinge ha coda serpentina, mentre non sono citati i suoi attributi canonici: corpo di leone,

testa di donna, ali. Per la singolarità di questa notizia, cfr. VALGIGLIO (1963: 161).

20
zione epica72. Ma nell'iconografia attica (che offre le testimonianze vascolari più impor-
tanti per il mito di Edipo) il tema della Sfinge e dell'enigma è precedente (520/510 a.C.)
alla raffigurazione della sua sfida con Edipo (480 a.C.): prima il mostro pone l'indovi-
nello ai Tebani, riuniti in assemblea; poi Edipo e Tebani si alternano in qualità di sfi-
danti; e infine è solo dal 460 a.C. che comincia ad apparire unicamente Edipo. Il motivo
del combattimento col mostro appare invece solo a partire dal 450 a.C. (dunque la raffi-
gurazione dell'enigma lo precede di molto) e oltretutto appare anche non esclusivamente
legato alla figura di Edipo, ma piuttosto al mostro, se era già presente nei vasi raffigu-
ranti la Sfinge e la congregazione dei Tebani inviati a sfidarla 73. In conclusione, la teoria
sull'originarietà di un combattimento violento tra l'eroe e il mostro, sebbene non possa
essere completamente rigettata, poggia su un terreno puramente congetturale e pertanto
non può essere accettata.

§ 1.3 La Tebaide e la cecità di Edipo

Quando Pisandro narra del secondo matrimonio con Eurigania, inserisce nel rac-
conto anche il motivo dell'auto-accecamento di Edipo. Tale elemento sembra però di
origine tragica. Se Edipo seguita a regnare su Tebe, non si può immaginarlo cieco e,
oltretutto, nell'Odissea non si fa menzione della cecità di Edipo, particolare che di certo
l'autore non avrebbe potuto tralasciare. Annoverare il suo accecamento tra gli ἂλγεα
patiti dopo il suicidio di Giocasta è pertanto un'operazione alquanto forzata74.
72 Cfr. DE KOCK (1961: 11); LLOYD-JONES (2002: 5), che tuttavia esprime delle riserve [8]. La testi-
monianza della poetessa Corinna (cfr. infra § 1.4.3), secondo la quale Edipo uccide non solo la volpe
Teumessia ma anche la Sfinge, ha portato a pensare che nella tradizione beotica e arcaica il motivo origi -
nario fosse quello del combattimento col mostro. Per un compendio sulla questione cfr. EDMUNDS
(1985: 12-13); GUIDORIZZI (2004: 173-178); EDMUNDS (2006: 17-18). Per l'attribuzione all'Edipo-
dia di un nuovo frammento contenente l'enigma della Sfinge e sulla questione del combattimento in gene-
rale cfr. CINGANO (2015: 224-225).
73 Cfr. MORET (1986 passim). Lo studioso francese sottolinea come la Sfinge non possa essere conside-

rata soltanto un mostro divoratore: è anche un essere dall'intelligenza fuori dal comune e dal viso di una
beltà quasi perfetta: “è une vierge perspicace (sophe parthenos)”. Moret precisa anche che se accettiamo
l'esistenza di versioni personalizzate dei miti da parte dei poeti, dovremmo partire da questo presupposto
anche per i vasai e ipotizza che il tema del combattimento tra Edipo e la Sfinge sia una variante apportata
dagli artisti vasai, poi entrata nell'immaginario popolare e nella produzione letteraria, dacché combatti -
mento ed enigma sarebbero due motivi interscambiabili. Per miti tebani nell'iconografia cfr. inoltre
KRAUSKOPF (1986), per Edipo e la Sfinge in particolare pp. 294, 300: la produzione attica, se presenta
Edipo generalmente sotto una luce positiva, sembra essere caratterizzata da un malcelato sentimento anti-
-tebano (su Tebe come anti-Atene, pp. 292, 296). Tra le raffigurazioni segnate da questo pregiudizio di
fondo, anche le scene sui Tebani e la Sfinge.
74 Cfr. VALGIGLIO (1963: 20); CINGANO (2003: 61); BRILLANTE (2014: 24-25).

21
Sembra dunque affatto improbabile che in Omero e nell'Edipodia75 Edipo – coeren-
temente al personaggio che abbiamo ricostruito nelle pagine precedenti – potesse acce-
carsi da solo per il dolore76 o essere accecato da qualcun altro77.
Non si può affermare lo stesso, almeno non la medesima sicurezza, per quanto con-
cerne la figura di Edipo nella Tebaide, poema facente parte, insieme all'Edipodia, del
ciclo epico tebano. Al centro della trama vi erano la contesa fra Eteocle e Polinice, la
spedizione dei Sette contro Tebe e la morte dei due fratelli. Nella Tebaide78 Edipo com-
pare solo in due dei dodici frammenti conservati, rappresentato mentre scaglia due
maledizioni nei confronti dei figli: le maledizioni di Edipo diventano parte integrante
della sua figura anche in ambito tragico79, ma solo qui si precisa da cosa è scatenata l'ira
di Edipo.
Nel fr. PEG F 2 (=D.,W.)80 vediamo Edipo adirarsi perché Polinice gli serve del
vino in una coppa d'oro che è appartenuta al defunto Laio:

αὐτὰρ ὁ διογενὴς ἣρως ξανθός Πολυνείκης


πρῶτα μὲν Οἰδιπόδη καλὴν παρέθηκε τράπεζαν
ἀργυρέην Κάδμοιο θεόφρονος· αὐτὰρ ἒπειτα
χρύσεον ἒμπλησεν καλὸν δέπας ἡδέος οἲνου.
αὐτὰρ ὃ γ'ὡς φράσθη παρακείμενα πατρὸς ἐοῖο
τιμήεντα γέρα, μέγα οἰ κακὸν ἒμπεσε θυμῷ,
αἶψα δὲ παισὶν ἐοῖσιν ἐπ' ἀμφοτέροισιν ἐπαρὰς
ἀργαλέας ἠρᾶτο· θεὰν δ' οὐ λάνθαν' Έρινύν·
ὡς οὔ οἱ πατρώι ' ἐνηέι [ἐν] φιλότητι
δάσσαιντ', ἀμφοτέροισι δ' ἀεὶ πόλεμοί τε μάχαι τε

75 Per l'assenza della cecità nell'Edipodia cfr. VALGIGLIO (1963: 154); CINGANO (2015: 223-224);
contra LLOYD-JONES (2002: 9)
76 Edipo si acceca dopo il suicidio di Giocasta e muore per le ferite (Soph. Ant. 53-54; Hyg. Fab. 67),

oppure si acceca da solo con la di Giocasta e parte in esilio (Aesch. Sept. 783-84; Soph. OT 1268-70; Eur.
Phoen. 59-62, 327, 870, 1613-14). La prima tradizione, che vuole il suicidio di Edipo a causa del suo
auto-accecamento, sembra separata da quella che vorrebbe il suo suicidio causato da una caduta in un bur-
rone (cfr. supra n. 35).
77 Edipo diventa cieco in seguito alla maledizione lanciata da lui stesso contro l'assassino di Laio (schol.

Euripid. Phoen. 61), oppure viene accecato da Polibo a causa della profezia sul parricidio (schol. Euripid.
Phoen. 26), o dai servi di Laio (schol. Euripid. Phoen. 61 = Euripid. Oed. fr. 541N 2d ed.). Cfr.
EDMUNDS (1985: 15-16).
78 Per una datazione del poema cfr. BIZZARRI (2014: 11, n. 4).
79 In Eschilo (i suoi Sette a Tebe sono colmi di riferimenti all'ἀρά di Edipo, cfr. BIZZARRI 2014: 11, n.

6), in Sofocle (OC 421-430, 951-ss., 1373-1379) e in Euripide (Phoen. 68).


80 Seguiamo qui, come per il frammento seguente, l'edizione di M.L. West, Greek Epic Fragments from

the Seventh to the Fifth Centuries BC, Harvard University Press, 2003.

22
Ma il divino eroe, il fulvo Polinice,
prima a Edipo imbandì la bella tavola
d'argento di Cadmo dalla mente divina; poi
riempì la bella coppa d'oro di dolce vino.
Ma quando seppe che i beni preziosi di suo padre
erano utilizzati, grande male lo prese nel cuore,
e subito su entrambi i propri figli scagliò maledizioni
terribili, e alla dea Erinni non passò inosservato:
non avrebbero diviso i beni paterni in propizia concordia,
ma sempre per entrambi ci sarebbero state guerre e contese.81

Un secondo frammento82 presenta invece Eteocle e Polinice nell'atto di offrire a


Edipo il femore di una vittima sacrificale, e non la spalla – considerata il pezzo di carne
più pregiato e perciò riservato al personaggio più autorevole. Il comportamento dei figli,
percepito come ingiurioso e irriverente, scatena nuovamente l'ira di Edipo:

ἰσχίον ὡς ἐνόησε, χαμαὶ βάλε εἶπέ τε μῦθον·


ὤ μοι ἐγώ, παῖδες μὲγ' ὀνειδείοντες ἒπεμπψαν,
εῦκτο δὲ Δὶ Βασιλῆι καὶ ἂλλοις ἀθανάτοισι
χερσὶν ὐπ' ἀλλήλων καταβήμεναι Ἂιδος εἴσω.

Quando capì che era un femore, lo scagliò a terra e così parlò:


“Ahimè, i figli molto insultandomi mi mandarono...”.
Rivolse preghiere al sire Zeus e agli altri immortali,
che scendessero l'uno per mano dell'altro giù nell'Ade83.

Le maledizioni di Edipo sono due e sembrano quasi seguire una climax ascendente:
se nel primo caso egli invoca sui figli discordia e guerre nella divisione della sua ere-
dità, nella seconda occasione prega Zeus perché i due figli scendano nell'Ade ucciden-
dosi l'un l'altro. La reazione di Edipo sembra giustificata84 dallo stesso intervento delle
Erinni (fr. 2.8), dacché gli viene mostrata la coppa di Laio, contrariamente a quanto sta-
bilito, e la porzione di carne a lui servita non è affatto degna di un re: Eteocle e Polinice
vengono quindi meno al loro dovere di figli e le Erinni devono intervenire per sanzio-
81 Trad. di E. Bizzarri.
82 PEG F 3 (=D., W.).
83 Trad. di E. Bizzarri.

23
nare tale comportamento illecito. I due figli, scientemente o no, minano le prerogative di
Edipo quale re di Tebe e ne mettono in discussione γέρας e τιμή, due nozioni correlate
alla regalità e atte a indicare i vantaggi e i benefici di cui godevano i re, tra i quali vi era
anche il potere di disporre dei beni di famiglia (τιμήεντα γέρα). Nelle Fenicie euripidee
Edipo è detronizzato e rinchiuso nelle segrete del palazzo dai propri figli, e anche qui
Tiresia sottolinea (vv. 874-777) che l'eroe tebano ha perso il suo onore (τιμή) e le sue
prerogative reali (γέρας)85. Agli ἂλγεα patiti da Edipo in seguito al parricidio e all'ince-
sto si aggiungono quindi quelli provocati dal comportamento irrispettoso dei figli 86.
L'atteggiamento passivo di Edipo ha fatto supporre che nella Tebaide egli fosse già
estromesso dal potere regale, finanche allontanato dalle are sacrificali e forse già consi-
derato un essere impuro a causa dei suoi crimini, ma che pure rimanesse a Tebe 87.
Sarebbe proprio la sua condizione miserevole a permettere ai figli di oltraggiarlo in una
tale maniera, di sfidare così apertamente la sua autorità, ormai limitata meramente alla
sfera familiare. Anzi, in accordo a questa interpretazione, Edipo sarebbe anche cieco. Lo
confermerebbero i verbi utilizzati nei frammenti, quando si dice che l'eroe “seppe” (fr.
2.5: φράσθη) che erano stati utilizzati i beni preziosi del padre e “capì” (fr. 3.1: ἐνόησε)
che stringeva fra le mani un femore. La natura di questi verbi, secondo l'uso che se ne fa
nell'epica omerica, può ricollegarsi sia alla vista sia ad altri sensi, ma il più delle volte
indica genericamente la mera percezione degli oggetti88. Il confronto con un frammento
di un testo drammatico89 evidentemente modellato sulla scena del succitato fr. 3 sembra
confermare questa lettura, dacché qui Edipo è esplicitamente rappresentato come

84 Cfr. CINGANO (2003: 63-64). CINGANO (2004: 275) giustifica l'intervento delle Erinni affermando
che Edipo, con la sostituzione della porzione di carne, è stato privato dai suoi figli della parte a lui dovuta
(μοῖρα), privazione che pertiene dunque alla vigilanza delle Erinni, custodi della μοῖρα di ciascuno; cfr.
inoltre GUIDORIZZI (2004: 72-75). Contra DE KOCK (1961: 20), per il quale la reazione di Edipo è
esagerata; secondo VALGIGLIO (1963: 36) la reazione “sproporzionata” di Edipo alla “dimenticanza”
dei figli dipenderebbe dagli ἂλγεα da lui sofferti a causa delle Erinni materne, che lo hanno spinto ad uno
stato di facile irritabilità, “meschino e ignobile”. La probabile origine argiva del poema – suffragata dal-
l'invocazione del fr. 1 e dal fatto che la spedizione dei Sette (seppur fallimentare) è pure oggetto di cele -
brazione eroica, anche monumentale, ad Argo ma non a Tebe, cfr. CINGANO (2000: 144-147) – spieghe-
rebbe il particolare risalto dato a Polinice nel primo dei due frammenti citati supra: Polinice, che qui pare
essere il figlio maggiore, non vuole compiere alcun atto irrispettoso nei confronti del padre; ma è male -
detto insieme a Eteocle e costretto poi a fuggire ad Argo per muovere guerra a Tebe. D'altro canto, l'E -
dipo prigioniero, cieco e rancoroso, delle Fenicie di Euripide potrebbe trarre origine proprio dalla
Tebaide.
85 Cfr. CINGANO (2004: 278).
86 Cfr. CINGANO (2003: 63).
87 Cfr. DE KOCK (1961: 20). BRILLANTE (2014: 22-23)

24
cieco90. Dacché non solo è difficile immaginare un cieco su un trono regale, ma anche
un re che in totale cecità possa convolare a seconde nozze, si può presumere che nella
Tebaide Eteocle e Polinice fossero figli di Epicasta, che non vi fosse alcun matrimonio
con Eurigania e che Edipo, detronizzato, accecato e tormentato dalle Erinni materne,
fosse tanto esasperato dal comportamento dei figli da giungere alle sue irose maledi-
zioni: la presenza di questi elementi in un poema epico così famoso come la Tebaide ne
spiegherebbe il successo nella tradizione tragica successiva91.
Quanto è sicuro, in conclusione, è che l'ira di Edipo – motivo propriamente epico –
generava le vicende narrate nella Tebaide: la discordia fra Eteocle e Polinice, la spedi-
zione di Argo contro Tebe e la morte finale dei due fratelli92.

§ 1.4 La lirica di epoca arcaica

§ 1.4.1 Lo “Stesicoro di Lille”

Un lungo frammento lirico (PMGF 222b93), ricostruito grazie ad alcuni papiri ritro-
vati a Lille nel 1976 e attribuito al poeta siceliota Stesicoro (donde la dicitura “Stesicoro
di Lille”), presenta una regina (v. 232 δῖα γυνὰ) nell'atto di invitare i suoi due figli
(v.211, 216, 233) ad accordarsi nella divisione dei beni paterni, sfuggendo così al

88 Per un significato legato alla pura percezione, che dunque testimonierebbe della cecità di Edipo, cfr.
BRILLANTE (ibidem); più cauto è CINGANO (2015: 223). Contra VALGIGLIO (1963: 32), secondo il
quale “gli epiteti indicanti bellezza, sui quali si insiste (καλὴν, ἀργυρέην, χρύσεον, καλὸν) nel giro di tre
versi, implicano l'interesse visivo di Edipo, al quale servono da riconoscimento degli oggetti stessi” e
inoltre i verbi in questione “furono presi come elementi di prova della cecità, ma con insufficiente fonda -
mento”, dato che entrambi – φράσθη, ἐνόησε – possono anche significare “vedere”.
89 Trag. Adesp. fr. 458 Kn.-Sn. = Schol. OC. 1375; cfr. BIZZARRI (2014: 13) “lo scambio avviene non

tra due diversi tagli della medesima carne, bensì tramite la sostituzione di un pezzo di carne di bue alla
carne dell'agnello sacrificato durante il rito”.
90 Ma cfr. CINGANO (2015: 224) “this detail might be a later conflation from tragedy, most of all from

Sophocles' Oedipus Tyrannus”.


91 Cfr. BRILLANTE (2014: 23). Contra VALGIGLIO (1963: 32), per il quale nella Tebaide Edipo è il

medesimo personaggio che compare in Omero e nell'Edipodia: re dotato di vista, risposatosi con Euriga-
nia dopo il suicidio di Epicasta-Giocasta e sepolto a Tebe con grandi onori. Le maledizioni da lui sca-
gliate contro i figli farebbero parte delle sciagure della casa di Cadmo, destinata a grandi dolori. L'assenza
di Edipo dal sacrificio non è qui considerata una prova inequivocabile della emarginazione di Edipo.
Così anche BALDRY (1958: 28).
92 Cfr. VALGIGLIO (1963: 36); CINGANO (2004: 278).
93 Cfr. M. Davies, Poetarum Melicorum Graecorum Fragmenta, I, Clarendon Press, 1991. Il seguito della

vicenda mitica è trattata da Stesicoro nell'Erifile ove si concentra particolarmente sul collare di Armonia,
che in Ellanico (cit. infra n. 98) faceva parte del tesoro regale.

25
destino mortifero assegnato loro dal fato e profetizzato poco prima anche dall'indovino
Tiresia. I due figli sono da individuare, con ogni probabilità, in Eteocle e Polinice; la
regina madre, per gran parte degli studiosi, in Giocasta 94, nonostante il nome della per-
sona loquens non compaia da alcuna parte.
La rhesis della sovrana è in polemica con Tiresia, il quale probabilmente aveva vati-
cinato che, come già annunciato dalle maledizioni di Edipo, Eteocle e Polinice dove-
vano combattersi per l'eredità del padre e morire l'uno per mano dell'altro. La madre
spera che Apollo non compia i vaticini del profeta e quando arriva a considerare l'even-
tualità opposta, cioè che tutto si avveri, invoca la morte su di sé (vv. 211-217):

αἰ δέ με παίδας ἰδέσθαι ὐπ'ἀλλάλοισι δαμέντας


μόρσιμόν ἐστιν, ἐπεκλώσαν δὲ Μοίρα[ι],
αὐτίκα μοι θανάτου τέλος στυγερο[ῖο] γέν[οιτο95,
πρὶν πόκα ταῦτ'ἐσιδεῖν
ἄλγεσ<σ>ι πολύστονα δακρυόεντα

94 Per un'identificazione della δῖα γυνὰ con Giocasta, cfr. GOSTOLI (1978) che nota come Giocasta
rimanga in vita, dopo la scoperta dell'incesto, solo nelle Fenicie di Euripide. La tradizione precedente,
ovvero l'Edipodia, presenta invece Eurigania (e non Epicasta-Giocasta, suicidatasi prima) ancora viva
durante la contesa dei figli; lo notava anche Pausania, cfr. supra. Che Stesicoro abbia qui inserito una
variante nella quale Giocasta, madre dei due (dunque frutto di un'unione incestuosa), occupava il posto di
Eurigania non risulta così improbabile: sarebbe in accordo con la tradizione innovatività di Stesicoro nel
suo rapporto con la materia mitica. Euripide avrebbe poi recuperato la versione stesicorea nelle Fenicie,
come già era avvenuto per la sua Elena, ispirata da un'altra innovazione di Stesicoro. Per la presunta deri-
vazione della Giocasta euripidea dallo Stesicoro di Lille cfr. da ultimo ERCOLES-FIORENTINI (2011);
ma, si noti, il momento dell'intervento di Giocasta presso i figli, nonostante le numerose corrispondenze,
è diverso: nelle Fenicie avviene quando l'accordo tra i due fratelli è già fallito e Polinice è arrivato con le
truppe argive, mentre in Stesicoro la situazione è anteriore, dacché i due fratelli stanno litigando per deci-
dere a chi debbano andare trono e beni paterni: cfr. CARLINI (1977: 67). Si noti, infine, che la presenza
di Giocasta quale madre di Eteocle e Polinice potrebbe accordarsi con l'ipotetica ricostruzione della
Tebaide proposta supra (§ 1.3): la novità stesicorea costituirebbe in questo caso solo nella sopravvivenza
della regina alla scoperta dell'incesto. UGOLINI (1990) sostiene più fermamente l'identificazione con
Giocasta sulla base di tre elementi, costituenti l'ἦθος della regina, che trarrebbero origine proprio dallo
Stesicoro di Lille e successivamente sarebbero stati ripresi dai tragici ateniesi: (i) la dedizione al ghenos,
che ella tenta, nonostante tutto, di conservare intatto e intero; (ii) la polemica anti-mantica [cfr. UGOLINI
(1991: 21-23); MACINNES (2007)] da ultimo fallimentare, perché il fato e le profezie non possono
essere eluse; (iii) il ricorso al sorteggio e al caso, che si configura in una sorta di casualità radicale con l'o -
biettivo di evitare il compiersi delle profezie. Inoltre, il riferimento della regina ai suoi “dolori” (v. 201)
passati si configurerebbe nella pena per l'incesto con Edipo, di cui i due figli in contesa sono il frutto
maledetto. Per un quadro generale della questione, complessivo anche dell'identificazione della δῖα γυνὰ
con Eurigania cfr. PITOTTO (2010: 279, n.7); BIZZARRI (2014: 17, n.22).
95 Il desiderio di morte qui espresso da Giocasta pertiene a un topos assai frequente nella poesia greca,

che Stesicoro recupera, attraverso stilemi formulari originari dell'epica omerica, per innovarlo e
ampliarlo. Ma qui il contesto è più drammatico che in Omero: sono i figli e la città a essere in pericolo e a
far desiderare la morte, non gli ospiti o le ancelle: tutto ha una coloritura più tragica. Cfr. VAGNONE
(1982).

26
παίδας ἐνὶ μεγάροις
θανόντας ἢ πόλιν ἁλοίσαν.

Ma se vedere i miei figli uccisi l'uno dall'altro


è mio destino, e le Moire lo filarono,
subito ci sia per me la fine della morte odiosa,
prima che giunga a vedere queste cose
per i dolori gonfie di lamenti e lacrime...:
i miei figli nella casa
morti o la città conquistata96.

Edipo non è menzionato ed è da supporre affatto assente in tale componimento: la


proposta formulata dalla regina madre le conferisce un ruolo di assoluta protagonista, e
sarebbe difficile immaginare che ella possa avocare a sé una tale funzione di governo
mentre il marito si trova ancora sul trono. Oltretutto, la contesa di Eteocle e Polinice
ruota attorno all'eredità del padre: altro elemento che gioca a favore dell'assenza di
Edipo e da cui possiamo inferire – anche sulla base dei successivi rifacimenti tragici –
che a questo stadio della vicenda Edipo fosse già morto o fosse stato esiliato da Tebe o,
cosa meno probabile, emarginato o rinchiuso. L'idea di un accordo fra Eteocle e Poli-
nice compare in molteplici versioni del mito (ma non in Eschilo e Sofocle) o proposto
dallo stesso Edipo97 o ricercato direttamente dai due fratelli, in due varianti: scelta
(offerta a Polinice dal fratello) fra il trono di Tebe o l'esilio col tesoro dei Cadmei 98;
oppure alternanza, di anno in anno, alla guida della città 99. La proposta conciliativa in
Stesicoro proviene invece dalla regina madre e presenta un tratto peculiare, d'eccezio-
nale novità: il ricorso al caso, all'estrazione a sorte (v. 223 κλαροπαληδὸν 100) per deci-
dere quale dei due fratelli debba restare a Tebe e quale invece debba recarsi in esilio
portando con sé il tesoro familiare. La proposta di un sorteggio è da inscrivere nella
volontà della regina di appellarsi all'imparzialità della casualità, del fato, col preciso

96 Trad. di A. Aloni.
97 Accio, Phoen. III Ribbeck; Hyg. Fab. 67; Ioh. Malalas 2, 0 62
98 Hellan., FGRHist 4F98= Schol. Eur. Phoen. 71; per il tesoro dei Cadmei cfr. supra n. 93.
99 Euripid. Phoen. 69-74; Apoll. Bibl. 3.6.1; Diod. Sic. 4.65; Stat. Theb. 1138-ss.
100 Cfr. PITOTTO (2010: 281-282): “l'avverbio […] rappresenta un hapax legomenon di conio stesico-

reo. L'espressione accosta il sostantivo κλῆρος alla radice del verbo πάλλω, di impiego comune nella
dizione arcaica proprio per descrivere lo scuotimento delle sorti nell'elmo: il contrassegno che sbalzava
fuori per primo consentiva di individuare la persona cui sarebbe toccato il compito o il premio in palio.”

27
intento di evitare che le profezie su Eteocle e Polinice possano avverarsi 101. I due gio-
vani obbediscono alla madre (v. 234: οἱ δ'[ἐ]πίθο[ντο), e anche Tiresia sembra convinto
dalla decisione dalla regina, ma è ragionevole pensare che la loro tragica fine, nono-
stante gli sforzi materni e la loro accondiscendenza, fosse qui soltanto rimandata.
Gli elementi inferibili dal testo stesicoreo, in conclusione, fanno supporre che la sua
trattazione originale delle vicende legate ai Cadmei, così diversa dalla leggenda arcaica
presente in Omero, Esiodo e nel ciclo epico tebano, abbia avuto un ruolo particolar-
mente significativo nell'immaginario narrativo e mitologico dei tragediografi ateniesi,
quando essi si trovarono a definire, poco più di un secolo dopo, la storia di Edipo e dei
suoi sciagurati discendenti102.

§ 1.4.2 Pindaro

Sempre sullo sfondo della lirica tardo-arcaica103, risulta di notevole interesse la testi-
monianza di Pindaro, non tanto per la quantità dei suoi riferimenti alla casa dei Labda-
cidi e a Edipo stesso, che sono invero piuttosto esigui 104, quanto per la novità degli ele-
menti da lui citati.
Nell'Olimpica II, composta nel 476 a.C. (insieme all'Ol. III) per celebrare la vittoria
di Terone d'Agrigento nella corsa delle quadrighe alla 76a Olimpiade, Pindaro attribui-
sce al suo committente un'origine eroica, cantando la discendenza degli Emmenidi da
Tersandro, figlio di Polinice e di Argeia 105. Ai vv. 35-38 Pindaro narra dello scontro fra
Edipo e Laio, all'origine delle alternate fortune e sventure dei Labdacidi. Questi versi

101 Cfr. UGOLINI (1990: 72-73) che nota come “solo nella Tebaide di Stazio si trovano riferimenti a un
sorteggio regolatore dell'accordo fra Eteocle e Polinice (Stat. Theb. 1. 164; 2. 309-10 e 428)”. L'autore
afferma inoltre che “scene di sorteggio non mancano nella tradizione dell'epos” ma, come già detto, il
caso del Papiro di Lille è specifico: qui si vuole, segnatamente, inficiare il compimento delle profezie. Da
ultimo, “è altresì possibile che Stesicoro avesse in mente procedure giuridiche storicamente utilizzate per
questioni di eredità (cioè un arbitrato con sorteggio)”. Su quest'ultimo punto, e più in particolare sulla
prassi dell'estrazione in ambito magnogreco e dunque sul riflesso del possibile pubblico di Stesicoro, cfr.
PITOTTO (2010 : 282-292).
102 Cfr. UGOLINI (1990: 57-58). Cfr. inoltre supra n.74.
103 Edipo compare in Ibico (PMGF S 222, 5-11) quale sofferente per antonomasia, insieme a Ino: i “cupi

dolori” dell'eroe tebano sono ormai proverbiali. Cfr. per un'analisi generale di questo passo BIZZARRI
(2014: 19-20).
104 Sull'esiguità dei riferimenti, in Pindaro, alle sventure dei Labdacidi cfr. in generale CINGANO (2000).

28
sono notevoli, perché per la prima volta si menziona l'oracolo di Delfi 106 in riferimento
alla vicenda di Edipo: il giovane, “figlio fatale” (μόριμος υἱός), compie l'antica profezia
pitica (ἐν δὲ Πυθῶνι χρησθὲν παλαίφατον τέλεσσεν), secondo la quale si sarebbe mac-
chiato di parricidio, uccidendo il proprio padre Laio ad un trivio. In seguito a questo
delitto, le Erinni di Laio si scagliano sul colpevole Edipo, provocando la morte dei suoi
due figli, Eteocle e Polinice. Non è possibile determinare con sicurezza quando e come
l'ideologia delfica entrò in contatto con la leggenda di Edipo, ma grazie alla testimo-
nianza pindarica possiamo affermare con una certa sicurezza che nel 476 a.C. (prima
cioè dei Sette contro Tebe, del 467 a.C.) essa era già penetrata nel tessuto mitico legato
a Edipo e ai Labdacidi107. L'immagine di una Erinni di Laio è pure inedita: come
abbiamo visto (cfr. supra § 1.1.3), la tradizione omerica menziona solo le Erinni
materne, mentre in Pindaro avviene piuttosto il contrario108.
D'altronde, Pindaro cita Edipo anche nella Pitica IV (v. 263), dedicata ad Arcesilao
di Cirene (vincitore alle Pitiche del 462 a.C.), lodandone in questo caso l'acuta intelli-
genza e dicendo al suo committente di riconoscere la sapienza di Edipo: γνῶθι νῦν τὰν
Οἰδιπόδα σοφίαν.
Edipo è dunque un σοφός, un sapiente, possessore di un arte o di una tecnica parti-
colare, legata alla sfera intellettuale. Tale caratterizzazione di Edipo diventerà focale
nell'Edipo Re109: la sua σοφία, il suo sapere logico, gli permette di indovinare l'enigma
della Sfinge e di liberare Tebe dal terribile mostro. A questo riguardo, il confronto con
un altro frammento pindarico (fr. 177 d M), di data ignota, in cui la Sfinge è definita una

105 CINGANO (2000: 151-152) suppone che la discendenza di Terone da Tersandro, e dunque da Poli-
nice, potrebbe spiegarsi alla luce della genealogia che vuole i figli di Edipo generati da Eurigania e non
dalla propria madre Giocasta, secondo la versione del mito da noi ricostruita per l' Edipodia. Non vi
sarebbe dunque alcuna macchia incestuosa nella prole di Edipo. O, ancora, sullo sfondo di quanto detto
dallo stesso Pindaro ai vv. 35-37 sull'alternanza della sorte – benigna o maligna – nella dinastia dei Lab-
dacidi, la menzione di Tersandro (illustre anche per stirpe di madre) troverebbe ragione nel fatto che egli,
a capo degli Epigoni, conquistò Tebe, vendicando così la memoria del padre.
106 Contatti fra il mito di Edipo e l'ideologia delfica possono già notarsi, secondo UGOLINI (1990: 70-

71), nella fallimentare polemica anti-mantica portata avanti dalla regina madre nello Stesicoro di Lille: il
significato morale del testo consisterebbe nell'affermare la veridicità degli oracoli e la vanità di qualsiasi
sforzo umano atto a fuggirli o ad impedirne il compimento.
107 Cfr. CINGANO (2000: 151). Sullo stesso passo cfr. GIANNINI (2000: 175-176). Sul rapporto fra

Delfi e il mito di Edipo cfr. DE KOCK (1961: 24).


108 Cfr. BRILLANTE (2014: 19).
109 Ma in Sofocle, come vedremo infra, la sapienza di Edipo è affatto particolare e risente del clima cultu-

rale e intellettuale che attraversava Atene negli ultimi decenni del V sec. a.C. Si tratta pertanto di un tipo
di σοφὶα che esula dal panorama culturale di Pindaro.

29
“vergine110 dalla mascelle feroci” che pone un enigma (αἴνιγμα παρθένοί ἐξ ἀγριᾶν
γνάθων), può gettare luce sulla natura della sapienza di Edipo in Pindaro. La Sfinge
veniva già citata nell'Edipodia, ma dell'enigma non si faceva alcuna menzione. Sulla
natura dello scontro con Edipo, se fisico o intellettuale, non si può dire molto 111, senon-
ché le testimonianze vascolari, di contro a quanto ipotizzato da alcuni studiosi, hanno
dimostrato che il motivo dell'enigma non è seriore rispetto a quello del combattimento
fisico, in cui Edipo uccide il mostro con una mazza 112. Pindaro ci rivela invece chiara-
mente che la Sfinge è un mostro che pone indovinelli e divora (o, più semplicemente,
uccide113) coloro che non vi trovano risposta. Il riferimento cursorio, nella Pitica IV, alla
σοφὶα di Edipo, quasi fosse ormai un tratto tradizionale e proverbiale 114 del personaggio,
e la menzione dell'enigma nel frammento citato sopra, ci fanno supporre che Pindaro
segua qui una versione del mito già affermata 115 in cui lo scontro fra Edipo e la Sfinge si
svolge su un piano puramente sapienziale: la Sfinge pone un enigma, Edipo lo risolve 116
e il mostro si suicida117.

110 Sulla Sfinge come fanciulla dalle caratteristiche mostruose, cfr. il breve riepilogo in BIZZARRI
(2014: 21).
111 Cfr. supra § 1.2.
112 Cfr. ibidem.
113 Cfr. CINGANO (2000: 151, n. 82).
114 Cfr. BIZZARRI (2014: 20, n. 36): “Il riferimento a Edipo […] è breve, di carattere proverbiale e fun -

zionale al contesto”.
115 Se già Eschilo (vincitore delle Grandi Dionisie con una tetralogia tebana – Laio, Edipo, Sette contro

Tebe e il dramma satiresco Sfinge – nel 467 a.C., cinque anni prima della Pitica IV) avesse caratterizzato
Edipo come un eroe σοφός, risolutore d'enigmi, non è dato saperlo, dacché l'Edipo è andato perduto.
Eppure pare probabile, perché se spostiamo la nostra attenzione alle testimonianze vascolari vediamo che
la Sfinge e l'enigma compaiono a partire dal 520/510 a.C. e la sfida sapienzale con Edipo, che gradata-
mente prende il sopravvento sulla raffigurazione del mostro attorniato dalla comunità tebana nell'atto di
indovinare l'enigma, principia ad apparire almeno dal 480 a.C: cfr. MORET (1986: passim). Tale lettura
riceve ulteriori conferme da un'hydria attica a figure rosse del 460 a.C., che ritrae una scena tratta appunto
dalla Sfinge di Eschilo, dove a tentare di risolvere l'enigma non è Edipo, ma un gruppo di satiri (cfr.
KRAUSKOPF 1986b: 331-332; GUDORIZZI 2004: 177); scena da cui possiamo inferire che in Eschilo
la Sfinge proponeva una sfida intellettuale, cui Edipo si sarà sottoposto con la sua caratteristica intelli-
genza.
116 Noteremo fin d'ora che la proposizione di un enigma e la sua risoluzione pertengono a una sapienza

oscura, tipicamente non umana, legata alla divinazione e dunque agli indovini. Edipo invece scioglie l'e-
nigma pur non essendo un μάντις, unicamente grazie alla sua γνώμη: la sua è una sapienza logica, segna-
tamente umana. Cfr. COMPARETTI (1867: 73)
117 Cfr. GIANNINI (2000: 176); CINGANO (2000: 150).

30
§ 1.4.3 Corinna di Tanagra

Un duello fisico tra Edipo e la Sfinge era forse raccontato dalla poetessa beotica
Corinna, originaria di Tanagra. Ma la figura di Corinna rimane enigmatica. I frammenti
conservati sono scarsi e di tradizione indiretta e tarda (posteriore al III sec. a.C.), e gli
aneddoti che la vogliono in certo modo legata a Pindaro, in qualità di maestra o rivale,
potrebbero derivare dalla comune origine beotica: alcuni studiosi hanno dunque propo-
sto una cronologia ellenistica di Corinna, secondo la quale la poetessa non sarebbe vis-
suta prima del III sec. a.C. Senonché, sembrano mancare elementi davvero probanti a
favore di questa tesi. Qui ci atterremo pertanto alla datazione tardo-arcaica di Corinna
quale risulta dalle fonti antiche118, che ci permette di porre la sua testimonianza in rap-
porto a quella di Pindaro, in un'epoca dunque anteriore alla nascita della tragedia.
È uno scolio alle Fenicie119 a informarci della trattazione da parte di Corinna del
mito di Edipo, che nell'opera della poetessa uccideva non solo la Sfinge, ma anche la
volpe Teumessia: ἀνελεῖν δὲ αὐτὸν οὐ μόνον τὴν Σφίγγα ἀλλὰ καὶ τὴν Τευμησίαν
ἀλώπεκα120.
Questo animale mitico è posto in collegamento a Edipo soltanto da Corinna.
Secondo le altre fonti antiche, infatti, a sconfiggere l'imprendibile volpe che devastava
la Beozia e Tebe fu chiamato l'attico Cefalo, proprietario del cane Lelapo, rapidissimo e
in grado di catturare qualsiasi preda. L'impasse generata dalle caratteristiche magiche di
inseguitore e inseguita fu risolta da Zeus con una metamorfosi: cane e volpe furono
mutati in pietra.
La variante introdotta da Corinna permette di vedere in Edipo un eroe civilizzatore
(come Eracle o Teseo), appartenente alla sfera fisica e destinato a liberare Tebe e i suoi
territori dai mostri che l'affliggevano, la Sfinge e la volpe, provenienti rispettivamente
dai monti Phikion e Teumesso – secondo il motivo epico del mostro devastatore ucciso

118 Come già affermato a riguardo da CINGANO (2000: 157, n. 104).


119 Schol. Euripid. Phoen. 26, 17 = PMG 672
120 Questa porzione di testo è preceduta da una frase che riporta una variante secondo la quale Edipo

avrebbe ucciso anche Giocasta: τινὲς δὲ καὶ τὴν μητέρα αὐτῶι φασιν ἀνη ιρῆσθαι. Cfr. CINGANO (2000:
157, n. 105): “in linea con la versione di Corinna, anche la prima frase dello scolio euripideo che ne tra-
manda il frammento, citando una fonte non specificata, è volta a trasformare Edipo in un omicida 'totale':
non solo parricida, ma anche matricida.”

31
da uno o più eroi chiamati all'impresa 121. L'attribuzione della sconfitta della volpe Teu-
messia a Edipo è forse il riflesso di una tradizione arcaica formatasi in Beozia, alterna-
tiva o coesistente (come nel caso presente) a quella della vittoria di Edipo sulla Sfinge,
poi ribadita da Corinna probabilmente anche allo scopo di contrastare la tradizione pre-
valente, che voleva Lelapo, un attico, vincitore della volpe122.

121 Cfr. CINGANO (2000: 157-158). Cfr. inoltre DE KOCK (1961: 11) che sfrutta la testimonianza di
Corinna quale conferma dell'originale caratterizzazione di Edipo quale eroe legato alla forza, che origina-
riamente ucciderebbe la Sfinge grazie alla sua possanza fisica – ma abbiamo visto, supra, che le testimo-
nianze vascolari, cui De Kock si appoggia in prima battuta, non permettono di confermare tale ipotesi.
Contra COMPARETTI (1867: 58-63), che ricollega la Τευμησσία ἀλώπηξ, astuta per antonomasia
(secondo il proverbio ἐπι τῶν πολλῇ πανουργίᾳ χρωμένων), alla sapienza di Edipo: la tradizionale astuzia
della volpe farebbe passare in secondo piano l'assenza dell'enigma. In questa vicenda, dunque, l'eroe
tebano avrebbe sfruttato la sua intelligenza per sconfiggere il mostro, figurando come “πανοῦργος o come
πολύμητις”.
122 Cfr. CINGANO (2000: 158-159), che nota anche come la versione di Corinna, meno elaborata di

quella in cui compare l'intervento di Zeus, potrebbe essere finanche cronologicamente anteriore a essa.
Cingano sottolinea a tal segno anche la natura folklorica della doppia uccisione di Edipo che, pacificato il
territorio, ottiene la mano della regina. Cfr. infra § 3.3.2.

32
CAPITOLO SECONDO
EDIPO NELLA TRADIZIONE TRAGICA

33
§ Premessa: Edipo e la tragedia

Nel capitolo precedente, sulla scorta della tradizione epica e della lirica tardo-ar-
caica, abbiamo ricostruito un personaggio che – almeno per quanto concerne la tradi-
zione omerica e, con molta probabilità, l'Edipodia – si presenta in maniera piuttosto
diversa dalla figura che di Edipo definirono i tre grandi tragici ateniesi del V sec. a.C. e
Sofocle in particolare. Non si vuole già qui affermare uno sviluppo segnatamente
diacronico del personaggio di Edipo, cioè che egli da eroe civilizzatore salvatore di
Tebe si sia esplicitamente trasformato, col volgere dei secoli, nel reietto cieco e abbat-
tuto, esiliato da Tebe in seguito ai suoi crimini: quasi che, poco a poco, siano intervenuti
nuovi elementi, nuovi nodi narrativi, affatto estranei alla tradizione passata e prima
magari assenti, suscettibili di modificare tanto profondamente la struttura della leggenda
che lo vede come protagonista. È anzi possibile che determinati sviluppi narrativi siano
stati tra loro equivalenti, che abbiano convissuto su un piano sincronico, varianti di una
stessa storia, tradizioni locali alternative tra loro, cui di volta in volta l'aedo o il cantore
potevano attingere per meglio adattare il proprio canto all'uditorio. Ma su questo tessuto
mitico nel V sec. a.C. interviene la tragedia attica con elementi nuovi e originali, e la
figura di Edipo assume valori diversi rispetto al passato. Scopo del presente capitolo è
appunto indagare (almeno brevemente) come la tragedia attica abbia interpretato, modi-
ficato e sviluppato, sulla base delle precedenti tradizioni poetiche, il mito di Edipo123.

§ 2.1 Eschilo

Eschilo trattò il mito dei Labdacidi nella tetralogia tebana che gli valse la vittoria
alle Grande Dionisie del 467 a.C., e che constava di tre tragedie: Laio, Edipo, Sette
contro Tebe, e un dramma satiresco, la Sfinge.
Grazie ai Sette, unica opera superstite di quelle dedicate alla casata reale di Tebe,
possiamo ricostruire, seppur a grandi linee, come doveva apparire il mito nella produ-
zione eschilea. È soprattutto un intervento del Coro (734-791) a informarci dei fatti pre-
123 Per una ricostruzione del “passaggio” del mito edipico dall'epica alla tragedia, cfr. VALGIGLIO
(1963: 166-171). Degna di nota è l'idea che la tradizione tragica, che vede in Giocasta la madre di Edipo e
dei quattro figli con lui generati, sia il risultato della fusione di due tradizioni precedenti: quella dell' epos,
con il matrimonio incestuoso seguito subito dopo dal suicidio di Giocasta, e quella testimoniata da Epi-
menide (FgrHist III B), che attribuisce i quattro figli a Giocasta ma la considera non madre bensì matri-
gna di Edipo (generato invece da Euriclea, prima moglie di Laio).

34
cedenti la discordia fra Eteocle e Polinice. Le sventure dei Labdacidi, che perdurano
fino alla terza generazione, originano dall'antica trasgressione (vv. 743-744:
παλαιγενῆ... παρβασίαν) di Laio alla profezia di Apollo pitico, probabilmente consultato
dal re dopo il ratto di Crisippo e la conseguente ira di Era:

θναίσκοντα γέν-
νας ἄτερ σώιζεν πόλιν

«salverai la città
se morrai senza prole»124

Laio non riesce a trattenersi e genera Edipo, il parricida (v. 752: πατροκτόνον
Οἰδιπόδαν), che poi si unisce a sua madre Giocasta, generando a sua volta Eteocle, Poli-
nice, Antigone e Ismene. Edipo appare già qui come vittima di un rovesciamento
tragico: da uomo ammirato dagli dèi e dai suoi concittadini, vincitore della Sfinge 125, la
scoperta dei suoi crimini lo fa precipitare nella sventura. Eschilo dice che Edipo, dispe-
rato, compie un doppio male (v.782: δίδυμα κάκ'ἐτέλεσεν): prima si acceca 126 e poi
maledice i figli con le seguenti parole:

καί σφε σιδαρονόμωι


διὰ χερί ποτε λαχεῖν
κτήματα.

«con mano che il ferro impugna


le ricchezze vi spartirete un giorno»127

124 Vv. 748-749. Trad. di Franco Ferrari.


125 Vv. 776-77.
126 Vv. 783-784: πατροφόνωι † χερì τῶν / κρεισσοτέκνων δ' ὀμμάτων † ἐπλάγχθη, “con la mano

patricida / le preziose luci dalle orbite staccò”. Ma come si vede, il testo è incerto.
127 Vv. 789-91. Se al v. 785 si legge ἀραιᾶς al posto di ἀρχαίας, l'espressione ἀραιᾶς.../ […] ἐπίκοτος

τροφᾶς, “irato per l'avaro nutrimento” è suscettibile di essere letta come un riferimento alla versione
riportata nella Tebaide, in cui la seconda maledizione di Edipo (foriera di morte) è scatenata proprio dal-
l'invio a Edipo non della spalla dell'animale sacrificato ma della coscia, porzione meno pregiata e dunque
più “avara”. Cfr. supra, pp. 15-18. SOMMERSTEIN (1989: 444-445) sostiene che il passo eschileo pre-
suppone un Edipo anziano, ritirato dal potere e irato con i figli poiché essi in qualche maniera sono venuti
meno al loro dovere di γηροτροφία. Contra BALDRY (1956: 31 n.1): la maledizione di Edipo sarebbe
conseguente al climax che pone la scoperta delle sue colpe e il suo auto-accecamento: Edipo maledice i
figli perché frutto, ignobile e insopportabile, del proprio incesto con Giocasta. Cfr. inoltre BRILLANTE
(2014: 26 n.1).

35
L'ἀρά di Edipo genera la discordia mortifera fra Eteocle e Polinice 128, che è appunto
il tema centrale dei Sette contro Tebe. Nei versi conclusivi dello stasimo il Coro teme,
dopo la maledizione del padre, l'intervento delle Erinni 129. Proprio riguardo a questo
punto, noteremo brevemente che, almeno secondo quanto possiamo inferire dal tratta-
mento del mito nei Sette, per Eschilo la vicenda dei Labdacidi si iscrive nel circuito
della maledizione ereditaria: ci viene detto chiaramente che il dolore dura per tre
generazioni, cioè investe Laio, suo figlio Edipo e i suoi nipoti fratricidi Eteocle e Polini-
ce. Nonostante i richiami (già nell'oracolo pitico a Laio) ai pericoli della città di Tebe
abbiano portato a supporre che nella tetralogia di Eschilo per la prima volta le vicende
dei Labdacidi avessero carattere propriamente pubblico, è più probabile vedere in tali
pericoli i meri effetti della lotta fra Eteocle e Polinice che, originatasi all'interno del
γένος, finisce per condizionare l'intera città130.
È quasi impossibile determinare se nelle tragedie perdute, il Laio e l'Edipo, Eschilo
seguisse la tradizione poi ripresa (e magari innovata) da Sofocle. Si può supporre che un
frammento del Laio131, dubbio però, e in cui compare il solo verbo *χυτρίζειν (da colle-
gare a χύτρα, “pentola”, “vaso”), possa riferirsi all'esposizione di Edipo bambino. Un
altro frammento (fr. 387A Snell), l'unico superstite dell'Edipo, colloca il fatale trivio in
cui Laio s'imbatte in Edipo non in Focide ma a Potnia, località situata a sud di Tebe,
sulla via che conduce dalla città al monte Citerone e a Platea: elemento originale che ha
portato alcuni studiosi a formulare la suggestiva ipotesi per cui Edipo, in Eschilo,
crescesse non a Corinto, bensì sullo stesso Citerone132.

§ 2.2 Euripide

Possiamo ricavare informazioni utili sulla trattazione del mito tebano in Euripide
nel prologo delle sue Fenicie (vv. 1-87), tragedia datata al 410/409 a.C.. L'esordio della
tragedia è affidato alla regina Giocasta, che in questa versione non si suicida dopo la

128 Sul possibile debito di Eschilo allo “Stesicoro di Lille” nell'elaborazione della discordia e del fallito
accordo dei due fratelli, cfr. THALMANN (1982).
129 Vv. 790-91.
130 Cfr. BRILLANTE (2014: 26).
131 Fr. 122 Snell.
132 Cfr. BIZZARRI (2014: 22-23).

36
scoperta dei crimini di Edipo, ma solo in seguito alla tragica morte dei figli 133. Nel corso
di un lungo lamento, ella traccia le sventure dei Labdacidi precedenti la discordia fra
Eteocle e Polinice. In questo riepilogo doloroso e affranto, ella cita anche la profezia
dell'oracolo di Delfi a Laio:

Ὦ Θήβαισιν εὐίπποις ἂναξ,


μὴ σπεῖτρε τέκνων ἄλοκα δαιμόνων Βίᾳ·
εἰ γὰρ τεκνώσεις παῖδ', ἀποτεκνεῖ σ' ὁ φύς,
καὶ πᾶς σὸς οἶκος βήσεται δι' αἴματος.

Re di Tebe dai bei cavalli,


non seminare contro la volontà divina il solco che genera figli:
se metterai al mondo un figlio, il nuovo nato ti ucciderà,
e tutta la tua casata incontrerà un destino di sangue 134.

Ma Laio contravviene al volere di Apollo e, in preda all'ubriachezza, genera un


figlio con Giocasta. Nel timore poi che la profezia possa avverarsi, affida il neonato a
dei pastori perché lo espongano sul Citerone; ma Edipo è tratto in salvo da alcuni guar-
diani di cavalli che lo consegnano alle cure di Polibo e sua moglie, i sovrani di Corinto, i
quali si prendono cura del bambino come fosse loro figlio135.
Giocasta espone sommariamente come e dove è avvenuto il parricidio: padre e figlio
s'incontrano “presso la Via Divisa della Focide” (v. 28: ἄμφω Φωκίδος σχιστῆς ὁδοῦ) e
Laio intima al giovane di farsi da parte: il figlio non obbedisce, ne sorge un litigio e
infine Edipo uccide, ignaro, il suo stesso padre. Consegna poi il carro di Laio al padre
putativo Polibo136, per dirigersi verso Tebe e qui casualmente imbattersi nella Sfinge
(“astuta vergine”) risolvendo l'indovinello e liberando la città. Degno di nota è che qui
Giocasta dica esplicitamente che la sua mano – la mano della regina vedova – è offerta
da Creonte all'uccisore del mostro:

Κρέων ἀδελφὸς τἀμὰ κερύσσει λέχη,


133 Abbiamo visto che per le Fenicie si è supposta (con argomenti convincenti) un'influenza dello “Stesi-
coro di Lille”. Per un breve riepilogo, cfr. supra. Per l'ipotesi di una derivazione, cfr. da ultimo ERCO-
LES, FIORENTINI (2011).
134 Vv. 17-20. Trad. di Enrico Medda.
135 Vv. 21-31.
136 Vv. 32-45.

37
ὅστις σοφῆς αἴνιγμα παρθένου μάθοι,
τούτῳ ξυνάψειν λέκτρα.

Mio fratello Creonte fece bandire la mia mano:


colui che fosse stato in grado di comprendere l''indovinello
[dell'astuta vergine
avrebbe diviso con me il talamo. 137

Edipo sconfigge il mostro e, con la mano di Giocasta, ottiene il trono di Tebe (v. 51:
τύραννος τῆσδε γῆς). Questo particolare ben si accorda con il motivo folklorico della
principessa offerta in sposa al salvatore [T68.1] e della conseguente conquista della
regalità da parte dell'eroe pretendente, segnatamente legato ai tipi fiabeschi affini al
racconto del Dragon-slayer (ATU 300): dell'originalità o meno di tale motivo all'interno
del folk-tale di Edipo discuteremo più avanti (cfr. infra § 3.3).
Ad ogni modo, Edipo, una volta scoperto l'incesto, si acceca con una spilla d'oro – e
qui la versione euripidea presenta una variante interessante: dopo il suo auto-acce-
camento, Edipo non muore né è costretto all'esilio, bensì è rinchiuso dentro casa per
volere dei figli. Insomma, Euripide qui traccia (o mutua, forse, dalla Tebaide: cfr. supra
§ 1.3) il profilo di un Edipo sofferente, inquietante e rancoroso, che a causa dei suoi
dolori138, con la mente sconvolta, maledice i figli a spartirsi la casa a fil di spada139.
I due fratelli, al fine di risolvere la contesa, raggiungono un accordo: avvicendarsi al
trono di anno in anno. Ma Eteocle viola il patto e Polinice si reca ad Argo per meditare
vendetta: la vicenda delle Fenicie si sviluppa proprio in questo spazio di tempo, con
Giocasta che, ottenuta una tregua fra i due figli, richiama Polinice in patria perché egli
raggiunga un compromesso col fratello Eteocle 140. Il tentativo è destinato a fallire come
in ogni altra versione del mito, dacché le sventure dei Labdacidi devono abbattersi su
tutti i membri della famiglia. Eteocle e Polinice si uccidono a vicenda, causando la
morte di Giocasta, suicidatasi sui loro cadaveri141, e l'esilio di Edipo e Antigone da parte

137 Vv. 47-49.


138 V. 60: ὁ πάντ' ἀνατλὰς Οἰδίπους παθήματα, “lo sventurato Edipo, l'uomo che ha patito ogni soffe -
renza”.
139 Vv. 66-68.
140 Vv. 69-87.
141 Abbiamo visto che Pausania riporta una tradizione legata all'Edipodia o alla Tebaide che forse poneva

la morte di Eurigania in maniera molto simile a quanto fatto da Euripide con Giocasta: la regina assiste
allo scontro fratricida dei figli.

38
di Creonte.

Euripide trattò la materia tebana anche in altri drammi che non ci sono pervenuti per
intero. Non menzionato affatto nei resti del Crisippo, Edipo è invece nominato in un
frammento dell'Antigone142 che sottolinea il ribaltamento della sua sorte, secondo lo
schema proverbiale dell'eroe tebano quale “sofferente” per antonomasia: da uomo
felice, una volta scoperti i suoi orrendi crimini, egli diviene il più misero dei mortali 143.
La trama dell'Edipo è parzialmente ricostruibile, e presenta alcuni caratteri innovativi
rispetto alla tradizione precedente144. Dai dati ricavati dai frammenti e dalla testimo-
nianza del bizantino Giovanni Malala145 si può inferire che nella tragedia figurassero
l'oracolo delfico violato da Laio146, la figura di Giocasta, l'accecamento di Edipo da
parte di alcuni servi del padre147 e l'agone sapienzale con la Sfinge148.

§ 2.3 Sofocle – Edipo Re

L'Edipo Re e l'Edipo a Colono sono le uniche tragedie in cui Edipo figura come
protagonista assoluto a esserci pervenute per intero. In esse cogliamo, sotto la veste
tragica e poetica di Sofocle (e pertanto attenuati, potremmo dire latenti) quasi tutti quei
motivi folklorici, quei nodi narrativi che si è supposto facessero parte di un originario
folk-tale incentrato sulla figura di Edipo. Si tratta di elementi funzionali al soggetto
tragico sofocleo (profezia, esposizione, etc.) e pure appena accennati nei drammi di
Sofocle; fanno, insomma, parte della fabula, ma sono secondari nell'intreccio della
tragedia, nel corso della quale sono spesso richiamati sulla scena – specialmente nel
caso dell'Edipo Re – grazie a un frequente ed efficace uso dell'analessi. Di tali motivi
folklorici ci occuperemo oltre, nel terzo capitolo.

142 Fr. 157. 158 Snell.


143 Sul probabile accostamento, nella perduta tragedia euripidea, delle vicende di Antigone a quelle del
padre, cfr. BIZZARRI (2014: 24-25).
144 Per un'analisi più approfondita, cfr. DI GREGORIO (1980).
145 Ioann. Malalas Chron. 2 p. 53, 12 Dindorf.
146 Fr. 539a Snell.
147 Cfr. supra n. 76.
148 Fr. 540a Snell.

39
Prima di procedere nella nostra breve analisi, ci pare opportuno formulare due
premesse. In primo luogo, la cronologia dell'Edipo Re è incerta: si suole datarne la
composizione e la messa in scena fra il 430 e il 420 a.C., e cioè nel periodo centrale
della produzione sofoclea. Inoltre, non s'intende qui dare conto, più o meno esaustiva-
mente, della struttura complessa e pregnante dell'Edipo Re: l'operazione esula dalla
nostra ricerca. Ci limiteremo piuttosto a indicare, con un'analisi cursoria, i principali
temi della tragedia e a sottolineare quegli elementi che più si accordano al tema da noi
approfondito.
Fulcro della vicenda è qui l'inchiesta di Edipo sull'uccisore di Laio, il cui omicidio
ha portato sulla città una terribile piaga, un λοιμός che diffonde sterilità e malattia.
Dopo aver interrogato, per tramite di Creonte, l'oracolo di Delfi sulle cause della scia-
gura, Edipo viene a conoscenza del responso di Apollo: la peste è stata causata dall'omi-
cidio di Laio e, finché esso non verrà vendicato ed espiato con l'espulsione dell'assas-
sino, la contaminazione (μίασμα) permarrà. Risulta dunque chiaro fin dal prologo che la
tragedia è costruita per contrasti149, dacché vi è una corrispondenza totale fra inquisitore
e inquisito: l'assassino di Laio è proprio Edipo. Il dramma sofocleo poggia su un'intela-
iatura di doppi sensi (anfibologie) e parallelismi che fanno partecipare lo spettatore del
tragico destino di Edipo. Ad esempio, il sacerdote di Zeus che in un μακαρισμός invoca
l'aiuto di Edipo per stornare la piaga dalla città e lo definisce salvatore di Tebe 150 perché
egli ha sconfitto la Sfinge, non sa, e con lui neppure lo stesso sovrano, che in realtà è
proprio Edipo il distruttore di Tebe, l'ignaro responsabile delle sventure che si stanno
abbattendo sulla città cadmea. O ancora, quando Edipo emana il suo bando contro
l'ignoto assassino151, per ironia tragica sta maledicendo proprio se stesso: è lui l'ἄγος a
cui nessuno dovrà accostarsi o parlare: è lui il colpevole e il reietto.
Noteremo poi di sfuggita che nell'Edipo Re l'azione prende avvio in una dimensione
segnatamente pubblica. La città è contaminata ed Edipo, in quanto sovrano, deve porvi
rimedio: le sue azioni, siano esse positive o negative, hanno sempre un effetto collettivo.
In Sofocle, Edipo non pare subire gli influssi della maledizione ereditaria né l'intervento
delle Erinni: la sua è una tragedia tutta individuale, non inserita nell'ambito del γένος – e
in questo contesto parricidio e incesto assumono uno statuto particolare. Quando infine
149 Come già notato in PERROTTA (1935: 222).
150 Vv. 14-57.
151 Vv. 216-275.

40
si trova di fronte alla responsabilità involontaria dei due crimini a causa dei quali la
città di Tebe è prostrata dal μίασμα, egli deve subire le conseguenze dell'ἀρά che lui
stesso ha lanciato contro l'uccisore del padre: il suo isolamento è volontario, così come
il suo accecamento. È accettando il suo destino sciagurato e “voluto dagli dei” (v. 1329)
che Edipo assurge alla statura tragica dell'eroe, che soffre ma pure accetta le conse-
guenze delle sue azioni, qualsiasi sia il prezzo da pagare.
Facendo un passo indietro, pare opportuno sottolineare che i contrasti che perva-
dono l'intera tragedia danno conto di un personaggio enigmatico e doppio, di una figura
ambigua e legata al mondo dell'apparenza 152. La verità sul μίασμα e sull'identità di
Edipo è nota fin dall'inizio agli dèi e all'indovino Tiresia, ma non agli uomini, e pertanto
neppure allo sciagurato Edipo: egli ne verrà a conoscenza, scoprirà se stesso, soltanto
alla fine della tragedia, e con esiti drammatici. Come già notava Aristotele, nell'Edipo
Re agnizione (ἀναγνώρισις) e rovesciamento (περιπέτεια) coincidono 153. Edipo scoprirà
di essere l'opposto di quanto credeva: non salvatore ma distruttore; non felice ma infe-
lice; non sapiente ma ignorante. L'ambiguità del suo carattere sta dunque alla base del
dramma154, e si manifesta nelle sue parole, nei suoi discorsi, nel suo nome, finanche
nella cognizione che ha di se stesso.

§ 2.3.1. Il sapere di Edipo: contrasto fra umano e divino

Merita qualche considerazione ulteriore la caratterizzazione di Edipo quale σοφός.


Egli figura quale eroe “sapiente” che ha sconfitto la Sfinge proprio grazie alla sua
intelligenza e ha conquistato così la mano di Giocasta e la regalità; eppure questa sua
σοφία appare illusoria, perché non gli permette di vedere la verità, riservata al mondo
degli dei e della divinazione. Il percorso che porta Edipo a conquistare la tragica consa-

152 Edipo «non sa» per quasi tutta la durata della dramma: è la sua tragedia a portarlo alla consapevolezza,
ovvero arriva alla verità attraverso il dolore. Cfr. DI BENEDETTO & MEDDA (1997: 364): “il tragico
consiste nel sapere, nel rendersi conto della sofferenza e del lutto, [nel] 'soffrire e però essere consapevoli
della propria sofferenza'.”
153 Aristot., Poetica 1452a 32-33
154 Cfr. VERNANT (1976b: 88-120). Contra DI BENEDETTO & MEDDA (1997: 359-365). Per un'in-

terpretazione anamorfica dell'Edipo Re cfr. MAIULLARI (2000: 47), secondo il quale le “ambiguità lin-
guistiche e [le] incoerenze logiche […] tendono a organizzarsi in maniera tale da lasciare intravedere un
altro testo” e finanche “una precisa coerenza globale di secondo livello, interna all'opera nel suo insieme,
definibile come 'coerenza dell'incoerenza', ma anche come 'coerenza anamorfica'.” Cfr. inoltre MAIUL-
LARI (1999).

41
pevolezza delle sue colpe mira non solo a dare contezza dell'illusorietà della felicità
umana (morale assoluta ribadita dal coro nei versi finali dell'esodo155) ma anche a
minare, smontare, le idee di potere e conoscenza rappresentate dal protagonista 156. In tal
senso, il personaggio di Edipo è da inquadrare nella crisi intellettuale che attraversa
Atene nel V sec. a.C.157
Il suo è un sapere laico e razionale, metodicamente organizzato, fondato
sull'ἐμπειρία: il lessico con cui si riferisce alla sua indagine e i momenti che scandi-
scono la sua ricerca si configurano in un'ἱστορία che va connessa «all’atmosfera della
cultura tecnica e profana del V secolo, la cultura dei fisici, degli storici, dei medici»158.
Edipo è dunque in possesso di una τέχνη che può gradatamente condurre all'εὕρεσις, ad
una scoperta finale sorretta da dimostrazioni logiche, e che si oppone all'ἀλήθεια, alla
verità rivelata, pertinente alle tradizionali forme di sapere, oracolari e divinatorie, esem-
plificate dalla figura di Tiresia. Tale sapere intellettualistico-razionalistico all'epoca di
Sofocle è appunto entrato in crisi 159 ed è a tal segno che il tragediografo rende paradig-
matiche le vicende di Edipo160: l'uomo da solo, senza il dio, non può ambire alla verità,
non può sopportarne il peso.
Il litigio fra Edipo e Tiresia (vv. 300-462)161 è pertanto funzionale alla definizione
del contrasto fra sapere laico e sapere religioso – un'opposizione che opera, di conse-
guenza, su un più ampio piano contrastivo umano/divino, apparente/reale. La reazione
iraconda di Edipo, che si fa beffe della falsa saggezza del cieco Tiresia162, e la conse-
guente collera dell'indovino, che accusa Edipo, sono due elementi che ben testimoniano
della distanza che separa i due personaggi: la natura peculiare del μάντις tebano – un

155 Vv. 1524-1530. Sull'esemplarità del personaggio di Edipo e su come le sue sciagure assurgano a
“paradigma” dell'infelicità umana, cfr. per un breve riepilogo DI BENEDETTO-MEDDA (1997: 343-
358, in pt. 351).
156 Cfr. DI BENEDETTO (1986: 299-311); e anche DI BENEDETTO-MEDDA (1997).
157 Cfr. ibidem.
158 Cfr. VEGETTI (1983: 24).
159 Cfr. DI BENEDETTO (1986: 303).
160 Sottolineiamo qui il carattere ambiguo, e dunque nascosto e rivelatore al tempo stesso, dell'indagine di

Edipo. Cfr. Cfr. VERNANT (1976b: 99): “Edipo conduce un'inchiesta, giudiziaria e scientifica insieme,
sottolineata dall'impiego ripetuto del verbo ζητεῖν. Ma l'investigatore è anche l'oggetto dell'inchiesta, […],
come l'esaminatore, l'inquirente è anche la risposta alla domanda. Edipo è lo scopritore e l'oggetto della
scoperta, colui stesso che è scoperto.”
161 Il litigio fra Tiresia e i sovrani di Tebe può essere considerato un topos, e più nello specifico una decli-

nazione tutta particolare del topos del litigo fra sovrano e indovino, cfr. UGOLINI (1991). Il ruolo di
mediatore sembra negato al Tiresia tragico, che va piuttosto a coincidere con la figura dell'oppositore al
sovrano: un personaggio di rottura che emana disagio e genera inquietudine.

42
personaggio potente, semi-divino e infallibile, e insieme quasi inerte, incapace di inter-
venire direttamente nelle vicende degli uomini, perché a essi fondamentalmente
estraneo – ne pregiudica la comunicazione con Edipo, scatenando il litigio.
D'altronde, il Tiresia tragico non è un semplice indovino ma piuttosto un saldo
rappresentante del santuario di Delfi e del culto di Apollo 163: da questo punto di vista,
l'ira di Edipo nei suoi confronti si configura come una polemica ostile e ingiuriosa nei
confronti del fato, degli oracoli e di Delfi, come un vano tentativo di negare la validità
delle profezie divine. Lo scontro tra Tiresia ed Edipo ha dunque un doppio scopo: (i)
dimostrare che la comunicazione fra dio e uomo agisce su piani diversi – e infatti
Tiresia rivela la verità a Edipo, ma quest'ultimo non è in grado di interpretare le parole
enigmatiche dell'indovino –; (ii) ribadire l'ineluttabilità del destino e la vanità di ogni
tentativo di opporsi ad esso164. In questa cornice, la polemica di Giocasta appare
finanche meno organizzata e più disperata di quella attuata dal figlio. La regina si
richiama alla τύχη (v.977) per sottolineare la futilità, l'insensatezza che pregiudica sia
gli oracoli sia ogni risoluzione umana a comprendere il futuro con chiarezza. Tutto è
governato dal caso, tutto è soggetto ai rovesciamenti della sorte: meglio dunque non
sapere. Nel suo irrazionalismo, Giocasta è contro ogni conoscenza, sia essa di natura
umana o divina165.

§ 2.3.2 Edipo-ἄγος

L'esodo dell'Edipo Re presenta Edipo, accecatosi dopo la scoperta del suicidio di


Giocasta, accettare il peso delle sue colpe supplicando Creonte, che ora regge il trono di
Tebe, di essere cacciato dalla città: egli è ora a tutti gli effetti un ἄγος, un reietto da iso-

162 Cfr. VEGETTI (1983: 25): agli occhi di Edipo, la mantica di Tiresia è un “falso sapere (336 ss.),
dedito non alla conoscenza ma al guadagno (kerdos, 388 ss.), perché la certezza non si desume dal volo
degli uccelli, ma dal lavoro della ragione (398). Del resto, la cecità e la sordità di Tiresia non sono per
Edipo un segno divino ma una vera e propria deprivazione sensoriale, una incapacità di aisthésis, che ine-
vitabilmente coinvolge anche il suo nous (371), secondo una connessione, si può dire, canonica dell’em-
pirismo: Tiresia è anche cieco nella techné (389).”
163 Per il “sapere” di Apollo nella tragedia, cfr. VEGETTI (1983: 33-35).
164 Cfr. UGOLINI (1991: 30-36).
165 Cfr. VEGETTI (1983: 30-31): “Giocasta usa dunque strumenti concettuali raffinati (la polemica razio-

nalistica contro gli oracoli, l’opposizione tychè/pronoia) che sono opposti fra loro ma convergono nell’u-
nico fine di occultare la verità, di proteggerla dalla penetrazione di qualsiasi sapere, umano o divino che
sia. In qualche modo, ella sa che la verità non deve venir conosciuta: ma le forme di questo suo sapere
non passano attraverso l’inchiesta dello sguardo e della parola.”

43
lare e allontanare. Nella descrizione del μίασμα che colpisce Tebe e nell'oracolo di
Apollo che afferma che il soggetto colpevole, scatenante la contaminazione, deve essere
espulso dalla città perché essa sia di nuovo purificata, si sono viste consonanze col
rituale greco del φαρμακός, simile a quello del capro espiatorio 166. Edipo, personaggio
ambiguo, è dunque τύραννος167 e φαρμακός allo stesso tempo. Il rovesciamento che
investe la sua figura (lo accennavamo prima) è pertanto totale: alla sua ascesa segue la
sua rovinosa caduta168.
Dall'ultimo confronto con Creonte, che nel corso della tragedia era stato insultato e
sospettato di congiurare contro la città proprio da Edipo, emerge chiaramente il nuovo
statuto del protagonista: cieco, maledetto, cosciente delle proprie ignominiose colpe e
totalmente in potere del cognato reggente, che ora viene definito “l'ottimo fra gli uomini
di fronte al più miserabile” (v. 1433: ἄριστος […] πρὸς κάκιστον ἄνδρ᾽ […]). In
chiusura, Creonte ordina a Edipo di rientrare nel palazzo: né la terra né la pioggia né la
luce del giorno possono sopportare il contatto con l'essere immondo che egli è
diventato.
Quando Edipo chiese di essere subito cacciato da Tebe, Creonte impone all'impuro,
a colui che ha consultato gli oracoli e ne è stato vittima, di attendere un'altra profezia, di
aspettare il responso degli dei (vv. 1435-1445):

OI: καὶ τοῦ με χρείας ὧδε λιπαρεῖς τυχεῖν;


OI: ῥῖψόν με γῆς ἐκ τῆσδ᾽ ὅσον τάχισθ᾽, ὅπου
θνητῶν φανοῦμαι μηδενὸς προσήγορος.
KR: ἔδρασ᾽ ἂν εὖ τοῦτ᾽ ἴσθ᾽ ἄν, εἰ μὴ τοῦ θεοῦ
πρώτιστ᾽ ἔχρῃζον ἐκμαθεῖν τί πρακτέαν.
OI: ἀλλ᾽ ἥ γ᾽ ἐκείνου πᾶσ᾽ ἐδηλώθη φάτις,
τὸν πατροφόντην, τὸν ἀσεβῆ μ᾽ ἀπολλύναι.
KR: οὕτως ἐλέχθη ταῦθ᾽: ὅμως δ᾽ ἵν᾽ ἕσταμεν
χρείας, ἄμεινον ἐκμαθεῖν τι δραστέον.

166 Per la pratica del φαρμακός in analogia a quella del capro espiatorio, cfr. BURKERT (1987: 85-123).
Per la problematica generale relativa a puro e impuro nella religione greca, cfr. VERNANT (1981: 115-
134). Infine, su Edipo φαρμακός cfr. soprattutto VERNANT (1976b: 102-120).
167 Per Edipo tiranno, cfr. infra § 3.2.1.
168 Il modello dell'ascesa e della caduta del re troverebbe un parallelo biblico. Secondo HODGE (2006) si

possono individuare consonanze narrative fra la vicenda dell'Edipo Re e la storia di Davide nel I e nel II
Libro di Samuele: “the stories are based on conventions of the rise and fall of a sacred king who restores
order to a violent and 'plagued' kingdom.”

44
OI: οὕτως ἄρ᾽ ἀνδρὸς ἀθλίου πεύσεσθ᾽ ὕπερ;
KR: καὶ γὰρ σὺ νῦν τἂν τῷ θεῷ πίστιν φέροις.

CR: Che cosa desideri? Perché mi supplichi con tanta insistenza?


ED: Cacciamo subito lontano da questa terra, in luoghi dove nessuno possa
più rivolgermi la parola.
CR: L'avrei già fatto, non ne dubitare, se prima non avessi voluto sapere dal
dio qual è il mio dovere.
ED: Ma il suo responso si è rivelato con tutta evidenza: sopprimere il parri-
cida, l'impuro, sopprimere me.
CR: È vero, così fu detto; e tuttavia, nella stretta in cui versiamo, è meglio
accertarci bene su quel che si deve fare.
ED: Dunque consulterete il dio per un simile sciagurato?
CR: Sì, perché ora anche tu presterai fede al dio169.

Ancora una volta viene ribadita l'importanza del sapere divino: quel che sarà di
Edipo, solo il dio, solo Apollo, lo sa.
L'Edipo Re si chiude dunque con Edipo che, seguito dalle figlie, rientra nel palazzo,
e il coro che, sottolineando la caduta di Edipo dalla serenità nell'abisso della sua condi-
zione, afferma l'assoluta precarietà dell'uomo, il quale mai dovrebbe dirsi felice prima
del “giorno fatale”170.

§ 2.4 Sofocle – Edipo a Colono

Sofocle riprese il personaggio di Edipo nell'Edipo a Colono, tragedia rappresentata


postuma, nel 401 o nel 405 a.C., per opera di suo nipote Sofocle il Giovane. La vicenda
di Edipo riprende qui da un punto diverso della storia: l'eroe tebano è ora un vecchio in
esilio, un mendicante aborrito da tutti per via della sua condizione di contaminato e la
cui unica compagna risiede nella figlia Antigone, che per amore del padre ha deciso di
condividerne lo sciagurato destino. Il suo peregrinare171 lo conduce infine al boschetto
sacro delle Eumenidi posto nel distretto attico di Colono, in cui, secondo quanto predet-

169 Trad. di F. Ferrari.


170 Vv. 1524-1530. Sulla fine dell'Edipo Re e sulle questioni a essa legate esiste un'ampia bibliografia cri-
tica. Pertanto, ci limiteremo qui a rimandare ai recenti lavori di BUDELMANN (2006), KOVACS (2009)
e SOMMERSTEIN (2011).

45
to da Apollo172, egli potrà infine terminare i suoi giorni. Dopo una prima resistenza degli
abitanti di Colono, terrorizzati dalla sua impurità, Edipo esprime la propria supplica a
Teseo, re di Atene, dicendogli di giungere in Attica non solo come supplice ma anche
come salvatore173: se gli saranno accordate ospitalità e protezione, il suo corpo, una vol-
ta che egli sarà morto, porterà protezione e salvezza alla regione. Il personaggio di Edi-
po subisce dunque un nuovo rovesciamento a opera del volere divino: l'esule inguarda-
bile e intoccabile è trasformato in uno strumento di difesa, in un eroe protettore 174. Il
reietto odiato dai Tebani offre ora σωτηρία agli Ateniesi175.
Teseo si mostra un sovrano giusto e generoso, e soprattutto rispettoso del volere
degli dèi: se Apollo ha indicato a Edipo il termine della sua vita nel bosco delle Eume-
nidi, così sia. La sua caratterizzazione rientra in uno schema più generale che prevede la
lode dell'Attica, e in particolare di Colono176, come terra generosa e ospitale.
D'altronde, l'intervento di Teseo è essenziale per contrastare Creonte, il quale vor-
rebbe che Edipo tornasse in patria dopo che un oracolo ha annunciato a Eteocle e Poli-
nice, in aspra contesa, che vincerà colui che riuscirà a guadagnarsi le spoglie del padre.
Al tentativo di Creonte, che arriva persino a rapire le figlie di Edipo, succede quello,
supplichevole, di Polinice, il quale è nuovamente maledetto dal padre 177. Nell'Edipo a
Colono gioca infatti un ruolo fondamentale l'opposizione fra la linea padre/figli e

171 Sulle consonanze linguistiche fra il peregrinare di Edipo e quello di Odisseo, che sarebbero frutto di
un sapiente gioco, da parte di Sofocle, di allusioni all'eroe omerico, cfr. DI BENEDETTO (1979a), che
termina il suo studio sottolineando come scopo finale di Sofocle sia qui dimostrare l'assoluta e irrimedia-
bile infelicità dell'uomo, motivo già sottolineato da PERROTTA (1935: 602-603). Ne citiamo la parte
finale: “C'è […] un complesso gioco di richiami che da Odisseo portano ad Edipo e dall'infelicità di
Edipo portando all'infelicità dell'uomo in generale […]. Della vicenda di Odisseo Sofocle “utilizza” in
questo contesto solo un aspetto, quello del suo andare errabondo, ponendo fuori campo il motivo del
ritorno in patria e della punizione dei proci e del ritrovamento della sua famiglia. [È] un discorso a
distanza, per cui il modello letterario attraverso un procedimento di selezione viene variato e trasposto in
un contesto diverso: […] l'affermazione, in termini che non lasciano margini di speranza, dell'assoluta
infelicità dell'uomo, una volta trascorsa l'incoscienza dell'infanzia.”
172 Vv. 84-110.
173 Su Edipo supplice e salvatore, cfr. BURIAN (1974).
174 Su Edipo come eroe protettore di Atene, cfr. EDMUNDS (1981); LARDINOIS (1992). Sul culto di

Edipo a Colono, per un breve riepilogo, cfr. RODIGHIERO (2007: 12-14).


175 Sulla figura di Edipo fra Atene e Tebe, e l'opposizione fra la città Atene e l'anti-città Tebe, cfr.

DONINI (1986); VIDAL-NAQUET (1991a); VIDAL-NAQUET (1991b); UGOLINI (1998).


176 Per l'elogio di Colono, demo natale di Sofocle, che il coro compie nel primo stasimo, cfr. vv. 668-719.

Sulla lode dell'Attica e sui modi nuovi e originali in cui Sofocle declina questo tema topico, cfr. DI
BENEDETTO (1979b: 936-ss.), che anche nell'idealizzazione del demo di Colono vede elementi di crisi,
proiettati in solitudine: “l'affermazione di questo senso della propria terra è fatto in modo da essere piutto-
sto il punto d'approdo di una crisi profonda, e senza la prospettiva di un discorso proiettato verso il futuro
che coinvolga Atene e gli abitanti dell'Attica.”

46
padre/figlie: segnata da astio e risentimento la prima; improntata sulla compartecipa-
zione al dolore e sull'affetto la seconda178.
Sarebbe errato vedere nello sviluppo della tragedia una riabilitazione morale di
Edipo, che d'altronde sulla scena appare spesso vendicativo, testardo ed egoista: è un
personaggio che ha acquisito una nuova consapevolezza di sé e che, soprattutto verso la
fine della tragedia, assume una saggezza particolare. Ma è anche una figura profonda-
mente sofferente: il dolore e la solitudine ne hanno acuito l'irritabilità e il senso di scon-
forto, e soprattutto non hanno portato Edipo a pentirsi delle sue colpe involontarie: non
appare pentito di un destino che, seguita a ripeterlo, ha più subito che compiuto 179. È lo
stesso Edipo, sfogandosi con i Colonei, a presentarsi come un uomo «odiato dagli
dèi»180 e fondamentalmente innocente (vv. 264-275):

[…] εἶτ᾽ ἐλαύνετε,


ὄνομα μόνον δείσαντες; οὐ γὰρ δὴ τό γε
σῶμ᾽ οὐδὲ τἄργα τἄμ᾽: ἐπεὶ τά γ᾽ ἔργα μου
πεπονθότ᾽ ἐστὶ μᾶλλον ἢ δεδρακότα,
εἴ σοι τὰ μητρὸς καὶ πατρὸς χρείη λέγειν,
ὧν οὕνεκ᾽ ἐκφοβεῖ με: τοῦτ᾽ ἐγὼ καλῶς
ἔξοιδα. καίτοι πῶς ἐγὼ κακὸς φύσιν,
ὅστις παθὼν μὲν ἀντέδρων, ὥστ᾽ εἰ φρονῶν
ἔπρασσον, οὐδ᾽ ἂν ὧδ᾽ ἐγιγνόμην κακός;
νῦν δ᾽ οὐδὲν εἰδὼς ἱκόμην ἵν᾽ ἱκόμην,
ὑφ᾽ ὧν δ᾽ ἔπασχον, εἰδότων ἀπωλλύμην.

[…] E poi mi cacciate solo

177 Cfr. BURIAN (1974: 416, 425): “Cursing and blessing, vengeance and protection, are simply two
ways at looking at the hero's power. Here daemonic vengeance is emphasized and the blind suppliant's
wrath offers a terrifying preview of the hero to be.” E inoltre: “He rejects the suppliant with the powers of
a prophet to foretell the future, and of a daimon to determine it. There could be no harsher demonstration
of the old man's new powers, no more effective prelude to the mysterious transfiguration that follows.”
Cfr. inoltre ROSENMEYER (1952).
178 Cfr. DE BENEDETTO (1979b: 922-ss.), che vede nella tragedia “la contrapposizione tra la linea

padre/figlie, vista come termine positivo, e la linea padre/figli, presentata come termine nettamente nega-
tivo” in riferimento a una crisi che colpisce γένος e figura del padre. De Benedetto sottolinea anche i con-
tatti fra l'Edipo a Colono e la produzione di Euripide: “si avverte la presenza di moduli espressivi che
richiamano le Fenicie di Euripide. E ancora una volta il modello euripideo è utilizzato per mettere in evi-
denza la crisi dei valori tradizionali del genos.”
179 Edipo è “colui che non agisce, ma è piuttosto agito”, cfr. BETTINI-BORGHINI (1979: 142).
180 Sul recupero sofocleo del sintagma del nemico degli dèi, dell'uomo odiato dagli dèi per Edipo, e sulle

convergenze su Edipo e Bupalo, cfr. CITTI (1983).

47
per paura del mio nome? Non è certo
il mio corpo, né quanto mi è successo
(quei fatti li ho subiti, non voluti,
se occorre ricordavi di mia madre
e mio padre) eppure mi temete
per questo, lo so bene. Ma poi come
posso essere malvagio di natura?
Resi solo le pene che patii.
E anche se avessi agito consciamente,
sarei stato malvagio? Neanche allora.
Non sapevo, e ora sono dove sono
ed è per colpa loro che ho sofferto:
mi hanno distrutto e loro, sì, sapevano.181

L'eroe-reietto non riceve pertanto un premio in seguito a una “penitenza”, ma piut-


tosto viene innalzato da quegli stessi dèi che l'hanno abbattuto 182: è una riabilitazione
che prescinde dai meriti o dalle colpe di Edipo, così come il suo destino di parricida e
incestuoso non è dipeso dalle sue scelte, positive o negative che fossero183. L'eroizza-
zione di Edipo non è un'apoteosi o una santificazione, ma piuttosto una purificazione
(una reintegrazione) rituale, materiale, fisica, lontana dall'intimo del personaggio184 e
che anzi ne ribadisce la profonda solitudine: la sua morte misteriosa, lontana da ogni
sguardo mortale (a parte quello di Teseo) vuole significare proprio questo, che solo la
morte, una morte “risolutrice”, può strapparci alla sofferenza propria della condizione
umana, e che tutto questo va affrontato con rassegnazione, in assoluta solitudine185.

181 Trad. di A. Rodighiero.


182 Cfr. FERRARI (1982: 16).
183Cfr. DI BENEDETTO (1979b: 956-957) che nota come la giustizia del dio nel favorire l'uomo qui con-

sista esclusivamente nel procurargli una buona morte: il principio dell'alternanza, secondo il quale la divi-
nità dona agli uomini successo e insuccesso, dolore e gioia qui viene dilatato, e segnatamente in un ottica
negativa: non c'è limite all'infelicità che gli dèi possono assegnare agli uomini.
184 Cfr. PERROTTA (1935: 560-564); FERRARI (1982: 19-20); SERRA (1998).
185 Cfr. ivi (596-615): secondo Perrotta, il miracolo della morte di Edipo è un'escatologia interrotta: non

c'è un (il) fine, ma solo la fine. Cfr. inoltre WALLACE (1979); SERRA (1998: 30): “Edipo non muore né
con noi come Socrate, né per noi come Cristo; egli muore solo e ci lascia soli, senza neppure la consola -
zione di un sepolcro visibile.”

48
CAPITOLO TERZO
EDIPO E IL FOLKLORE

49
§ 3.0 Alcuni cenni introduttivi

Dopo aver analizzato la vicenda di Edipo nella tradizione tragica e pre-tragica,


segnalando talora quei motivi narrativi che più s'accordavano con l'impostazione di
fondo data alla nostra ricerca, procediamo ora a un'analisi folklorica del mito antico.
Come già accennato nella Premessa (cfr. § 0.1), la nostra attenzione verterà su quegli
elementi del mito che, in seguito a una comparazione con fiabe, favole e leggende
medievali e moderne, d'origine europea o extra-europea, hanno condotto alcuni studiosi
a individuare contatti più o meno evidenti tra Edipo e il folklore. Allo scopo di indagare
meglio la natura folklorica di tali elementi, li tratteremo gradatamente e separatamente,
cercando di studiare il significato che essi assumono nel mito di Edipo e nella tradizione
favolistica e leggendaria che a esso è stata correlata. Ci siamo pertanto riservati di
rimandare a questo capitolo lo studio di alcune caratteristiche peculiari del mito antico
(oracolo, indovinello, Sfinge, etc.) che sembrava più opportuno trattare in rapporto al
folklore. Il capitolo risulta quindi diviso in cinque sezioni, più o meno corrispondenti a
quelle parti del mito e a quei motivi folklorici che a noi sono sembrati più rilevanti: la
profezia (§ 3.1); l'esposizione e la mutilazione (§ 3.2); l'atto di valore, ovvero la sfida
con la Sfinge (§ 3.3); il parricidio e l'incesto (§ 3.4); il riconoscimento tra madre e
figlio, strettamente legato all'esaltazione (positiva o negativa) del protagonista, che
costituisce lo scioglimento dell'intreccio (§ 3.5). Tali motivi folklorici, combinati fra
loro e declinati in varianti, vanno a determinare l'intreccio dei tipi ATU 931 e 933 di cui
abbiamo già parlato al principio di questa ricerca. L’ampiezza del materiale folklorico
relativo ai suddetti tipi fiabeschi ci ha portato a selezionare e analizzare, ai fini del
nostro studio comparativo, solo alcune favole e leggende diffuse in varie zone d’Europa,
e specificatamente in area balcanica, lasciando da parte quei racconti di tradizione extra-
europea che pure sono suscettibili di essere collegati all’ipotetico folk-tale di Edipo186.

186 Per una serie di racconti extraeuropei legati ai tipi ATU 931 e 933, cfr. EDMUNDS (1985: 198-223).
Tra questi racconti merita una menziona speciale la leggenda birmana di Paul Tyiang: smarrito in un
bosco da bambino, una volta cresciuto egli ritrova la via di casa, dove un naga, un drago dalle sembianze
umane, ha già divorato i sei precedenti mariti della madre di Paul, la regina Kin Saw U. Ma il giovane
uccide il terribile naga e, dopo aver risolto un indovinello mortale posto proprio da Kin Saw U, la sposa.
Infine, la regina partorisce due gemelli nati ciechi che vengono abbandonati al corso del fiume. Cfr.
GRANT BROWN (1983); SPIRO (1983); EDMUNDS (1996). Secondo KRAPPE (1983: 128-129) que-
sta leggenda deriverebbe direttamente dal mito di Edipo, giunto in Birmania attraverso una mediazione
indiana.

50
§ 3.1 Profezia

Nei drammi sofoclei ed euripidei Edipo viene esposto da Laio sul monte Citerone187.
mentre fonti più tarde riportano una tradizione diversa ma equivalente: il bambino è
abbandonato alle acque del mare, dentro una cassa 188. Nelle Rane di Aristofane, Edipo è
esposto ἐν ὀστράκῳ189, “in una pentola di coccio” – e non è difficile qui cogliere l'ironia
del comico ateniese.
La pratica dell'esposizione di neonati vivi è attestata nei miti e nelle leggende di
area mediterranea sin dall'antichità190. Si trattava probabilmente di un'usanza primitiva,
di un infanticidio motivato da ragioni d'ordine pragmatico, quali ad esempio la limita-
zione del numero di nascite (in caso di bambini indesiderati) o l'eliminazione di infanti
deformi e per ciò stesso inabili al lavoro: entrata a far parte della vita della comunità, la
pratica dell'esposizione sarebbe poi passata, per riflesso, nel patrimonio folklorico,
mitico e leggendario, dei singoli popoli191.
Se guardiamo al motivo letterario dell'esposizione, le circostanze che possono
portare all'abbandono del neonato sono varie192: (i) un'unione vergognosa o almeno
sconveniente tra i genitori, ad esempio un incesto; (ii) la possibilità – segnalata da un
oracolo, da una profezia, da un sogno oppure semplicemente paventata – che il nasci-
turo (un nipote, un figlio ma anche uno sconosciuto) possa costituire una minaccia per il
potere del re; (iii) la paura di un massacro, che spinge i genitori a mettere in salvo il
proprio figlio193. Alla seconda categoria (ii) pertiene l'episodio di Edipo, abbandonato da

187 Soph., O.R., 1022-44, 1156-81; Euripid. Phoen. 25; ma anche Apollod. Bibl. III 5,7; Pausania, IX 2, 4.
Aristof., Ranae 1190. Per il fr. 122 del Laio eschileo in relazione all'esposizione di Edipo, cfr. supra: l'i-
potesi, che immagina una versione del mito non altrimenti attestata, sarebbe oltretutto in accordo con il
profilo del bambino-eletto delineato in BETTINI-BORGHINI (1979: passim).
188 Hyg., Fabulae 66; schol. Euripid. Phoen 26, 28.
189Aristoph, Ranae 1190. Per un brevissimo riepilogo su Edipo nella tradizione comica cfr. BIZZARRI

(2014: 28-29).
190 Cfr. REDFORD (1967): il motivo letterario del bambino esposto, di natura tanto divina quanto umano-

eroica, avrebbe avuto origine in Mesopotamia e da lì si sarebbe diffuso presso le culture vicine, tra cui
anche la civiltà greca.
191 Sembra che tale pratica fosse effettivamente diffusa tra i Greci, anche ad Atene. Solitamente i neonati

erano esposti dentro un vaso o una pentola (χύτρα). Non potendoci soffermare oltre su questo punto,
rimandiamo a CAMERON (1932). Per un riepilogo della terminologia afferente l'esposizione in Grecia,
cfr. HUYS (1989).
192 Cfr. REDFORD (1967: 211).
193 È il celeberrimo caso di Mosè, abbandonato alle acque del Nilo per sfuggire alla strage dei primogeniti

ebraici, ma anche di Gesù, messo in salvo dai genitori attraverso il deserto, seppur non abbandonato. Per
uno studio comparativo dei miti di Edipo e Mosè, cfr. MARSHALL (1989).

51
Laio perché secondo una profezia dell'oracolo di Delfi il bambino, una volta divenuto
adulto, lo avrebbe ucciso194. L'episodio è così raccontato da Giocasta nell'Edipo Re (vv.
711-714):

χρησμὸς γὰρ ἦλθε Λαΐῳ ποτ᾽, οὐκ ἐρῶ


Φοίβου γ᾽ ἄπ᾽ αὐτοῦ, τῶν δ᾽ ὑπηρετῶν ἄπο,
ὡς αὐτὸν ἕξοι μοῖρα πρὸς παιδὸς θανεῖν,
ὅστις γένοιτ᾽ ἐμοῦ τε κἀκείνου πάρα.

Un giorno fu predetto a Laio – non dirò


proprio da Febo, ma certo dai suoi ministri –
che era suo destino morire per mano del figlio
che fosse nato da me e da lui.195

Nel mondo antico, il motivo del bambino esposto in seguito a una profezia sfavore-
vole non è affatto limitato al caso di Edipo. Ne troviamo numerosi paralleli, non solo in
ambito greco: Ciro196, Gilgamesh, Telefo, Paride, Romolo e Remo, Eolo e Beoto, etc.
In tutti questi miti e leggende troviamo il medesimo schema: in seguito a una profe-
zia o a un oracolo in certo modo nefasti per il re, si ha l'esposizione del neonato nella
natura selvaggia (fiume, mare, montagna, ecc.197). Il destino dell'esposto è eccezionale: a
essere abbandonati sono quei bambini-eletti che, come Ciro e Romolo, una volta cre-
sciuti assurgono al grado di eroe fondatore o civilizzatore 198. Essi solitamente sono tratti
in salvo da animali domestici o selvatici, pastori e marinai, sacerdoti, re, regine e divini-
tà; e nella schiera di coloro che in seguito allevano e crescono il neonato troviamo al-
l'incirca i medesimi personaggi: spesso, anzi, le figure del salvatore e dell'educatore
coincidono [R131]199.

194 Per l'oracolo in Eschilo e Euripide, cfr. rispettivamente supra § 2.1 e § 2.2.
195 Trad. di Franco Ferrari. Abbiamo visto (cfr. supra § 1.4.2, § 2.1, § 2.2) , che l'oracolo di Delfi com-
pare in Pindaro (Ol. 2, 39-40), in Eschilo (Sette contro Tebe 17-20) ed Euripide (Fenicie 748-749). La
riporta anche Apollodoro (Bibl. III, 5, 7) e Igino (Miti 66). La natura peculiare dell'oracolo in Sofocle, che
pare non lasciare alcuno scampo né spazio di manovra a Laio, è sottolineata in DODDS (1966: 41).
196 La stretta somiglianza tra la vicenda di Edipo in Sofocle e quella di Ciro in Erodoto (I, 108-110) sono

stati brevemente riepilogati da BASSETT (1912). D'altronde, come vedremo (cfr. infra § 3.2.1), i paralleli
tra Sofocle ed Erodoto non si esauriscono qui.
197 La dislocazione dell'abbandono in uno spazio geografico legato all'acqua o alla terra è probabilmente

motivato da una variabile geografica: cfr. REDFORD (1967: 226-227).


198 Per lo studio di quest'affascinante «peripezia culturale», cfr. BETTINI-BORGHINI (1979).

52
§ 3.1.1 Tipi ATU 931, 933

Consideriamo ora la tradizione favolistica legata al tipo ATU 931. Il tipo folklorico
prevede una doppia profezia – parricidio (M343) e incesto con la madre (M344) – rive-
lata nel medesimo istante. Nell'Edipo Re, al contrario, l'oracolo si pronuncia sulle due
colpe in momenti diversi: prima della nascita di Edipo a Laio, e solo riguardo al parri-
cidio (cfr. supra), e in seguito a Edipo stesso, rivelandogli che si macchierà di parricidio
e incesto con la madre (vv. 778-793). Che la profezia sia rivelata, e in forma completa,
allo stesso protagonista del racconto costituisce un unicum: Edipo conosce il suo destino
e cerca di evitare che possa avverarsi, ma l'esito del suo tentativo è tragico.
È però possibile che in una fase precedente comparisse solo la prima profezia, come
d'altronde può far supporre il confronto con le altre fonti che ci hanno tramandato l'ora-
colo di Apollo a Laio200.
Nelle fiabe invece “la profezia è data (in forme assai varie) alla nascita o anche
prima della nascita del bambino subito in forma piena. La conoscono i genitori.” 201 La
profezia sul destino del nascituro202 (comunicata a uno o a entrambi i genitori) può
avvenire principalmente in due modi: grazie all'intervento di alcune creature magiche 203

199 Cfr. REDFORD (1967: 224-228). La figura del salvatore può corrispondere al personaggio dell'adiu-
vante formulato in BETTINI-BORGHINI (1979: 124-129, 136), nel suo studio sul bambino-eletto che è
anche eroe fondatore e civilizzatore. Personaggio che riporta alla vita (ma un tipo di vita diversa, spesso
legata al mondo selvaggio della natura) il bambino esposto, l'adiuvante può assumere anche la funzione
fondamentale del mediatore fra la cultura della città e la natura della selva. Adesso, dacché in molti di
questi miti l'adiuvante è un personaggio umano vicino al mondo naturale (pastore, guardiano di porci,
etc.) oppure un animale domestico o selvaggio, ma nondimeno sempre un personaggio posto ai margini
della cultura e pertanto a essa non totalmente estraneo, appare chiaro che questa funzione di mediazione
dipende proprio dalla sua posizione marginale, a metà fra cultura e natura: lo spazio della natura, determi -
nato dall'assenza di regole (in opposizione alla collettività umana, regolata), permette all'eroe, con l'aiuto
della figura mediatrice, di elaborare una nuova sintesi fra natura e cultura, di farsi, cioè, portatore di un
nuovo ordine, di nuove leggi.
200 Cfr. FONTENROSE (1983: 114) che reputa seriore l'oracolo (a Edipo) su parricidio e incesto.
201 Cfr. PROPP (1975: 64), che aggiunge: “Col fatto che lo stesso protagonista deve averne conoscenza,

Sofocle conferisce a tutto l'intreccio una portata tragica. [Altrimenti] si avrebbe una casualità fatale, come
di solito avviene nelle fiabe”.
202 A volte nell'intreccio il parricidio è assente: storia zingara di Janos, cfr. KARPATI (1983). In un rac-

conto ucraino compare persino il matricidio (M343.0.2): cfr. FRAZER (1983).


203 Cfr. EDMUNDS (1985: 24): si tratta quasi sempre di figure magiche o semi-divine dotate del dono

della preveggenza. Non mancano però, ma sono casi rari, personaggi ordinari: un artigiano, uno straniero,
un viandante.

53
(animali204, umane205 o extra-umane206) oppure in sogno207. La presenza di maghi,
streghe e indovini formulanti la profezia si accorderebbe con la ricostruzione secondo la
quale in un primo stadio del mito di Edipo precedente all'influsso di Delfi, era il μάντις
Tiresia a profetizzare a Laio che, a causa dell'offesa da lui perpetrata nei confronti di
Era con il ratto e lo stupro di Crisippo, la sua progenie era maledetta e dunque non
doveva generare figli: in questa profezia sarebbe appunto comparso il parricidio 208. A tal
segno, merita un accenno lo speciale statuto delle Μοῖραι nel folklore greco moderno.
Esse compaiono nel mito antico di Meleagro e in molti racconti neo-greci con la mede-
sima funzione209: sono spiriti del fato che appaiono al momento della nascita di un
bambino o pochi giorni dopo: in grado di predire il futuro del neonato, esse vanno lusin-
gate con delle offerte propiziatorie, pena la previsione di un fato oscuro e doloroso.
Qualcuno ha supposto che originariamente esse figurassero anche nel folk-tale di Edipo,
predicendo il parricidio dopo, e non prima, la nascita dell'eroe 210. È singolare notare che
in effetti le Moire compaiono in un racconto neo-greco del tipo 931 (“Potamete”): adira-
tesi per non aver ricevuto le tradizionali offerte a loro dovute, esse maledicono il
bambino, predicendo per lui un destino di miseria e solitudine, la morte dei nove fratelli
e del padre (ma, particolare importante, non per mano sua), e il suo matrimonio con la
madre211.
Vi è poi un racconto cipriota legato al tipo di Edipo che presenta una struttura
affatto originale. La favola in questione fu raccolta per la prima volta A. A. Sakellarios

204 In una versione di “Andrea di Creta”, due colombe. Cfr. KRAPPE (1983).
205 In una fiaba finlandese: due maghi. Cfr. FRAZER (1983).
206 In un racconto slavo: due vilas, maligni spiritelli del bosco: cfr. KRAUSS (1983). In un racconto alba-

nese, due fate del bosco: cfr. HASLUCK (1983).


207 Nella leggenda di Giuda (ATU 931A) la sua natura di parricida e incestuosa è quasi sempre rivelata in

sogno, e solitamente alla madre, anche se non mancano versioni in cui il sogno appare a entrambi i geni -
tori. Per una versione breve della Legenda Aurea, cfr. FRAZER (1983). In un'altra versione Giuda viene
esposto non in seguito ad una profezia ma a causa del massacro degli innocenti voluto da Erode: un'analo-
gia tragica fra Giuda e Gesù? Per uno studio approfondito sulla leggenda di Giuda, su cui ci baseremo
ampiamente più avanti, cfr. BAUM (1916). In KRAUSS (1983) a pronunciare la profezia sono due divi-
nità della foresta, che al parricidio e all'incesto aggiungono la predizione del tradimento di Giuda nei con -
fronti di Cristo e il suo ignominioso suicidio.
208 Cfr. ROBERT (1915: 69-70); EDMUNDS (1985: 14-15, 24); FONTENROSE (1978); FONTEN-

ROSE (1983).
209 Cfr. FONTENROSE (1983: 113-114).
210 Cfr. ibidem. L'intervento di Tiresia sarebbe sopraggiunto dopo, per poi essere obnubilato in seguito

all'influsso delfico.
211 Cfr. MEGAS (1983).

54
nel 1868212. Qui la profezia non è rivelata né al padre, né alla madre (assente), né alla
figlia protagonista del racconto – ecco un'altra eccezione: la protagonista è una femmina
–, ma anzi allo sposo di quest'ultima, grazie alla rivelazione di un fantasma che gli
consiglia di fuggire la fanciulla poiché essa, dopo essersi unita a suo padre, partorirà un
figlio e poi lo sposerà213.
Il tipo ATU 931A presenta, fra gli altri racconti, la leggenda di Sant'Albano, in cui
la profezia non compare e a motivare l'esposizione è un'unione incestuosa fra un re (o
un signore) e sua figlia; un bambino nato da un incesto, specialmente in ambito nobile o
regale, è una macchia incancellabile: per questo va ucciso. Le colpe di Albano non sono
profetizzate, ma una serie di vicissitudini lo portano prima a sposare involontariamente
sua madre e poi, in un accesso di rabbia e però consciamente, a uccidere entrambi i
genitori214. Se esaminiamo infine il tipo ATU 933, a causare l'esposizione è sempre un
incesto, ma tra fratello e sorella215.

§ 3.2 Esposizione e mutilazione

Il mito di Edipo presenta più varianti riguardo all'esposizione causata dalla profezia
[M371.2]: il bambino viene trovato sul monte Citerone da un pastore che lo consegna ai
sovrani di Corinto216 (o di Sicione217) oppure dallo stesso re Polibo durante una battuta
di caccia218. Secondo Igino, che riporta la versione del mito in cui Edipo è abbandonato

212 Kypriaká, II 311. Per una versione italiana, tradotta dal greco-cipriota ad opera di D. Comparetti, con
successiva analisi, cfr. D'ANCONA (1869: 115-129). Per una traduzione inglese, cfr. DAWKINS (1953:
390-393). Il racconto è citato in MEGAS (1983).
213 Il seguito non è meno interessante. Ricevuta la profezia, lo sposo lascia la fanciulla. Ma più tardi

accade la medesima cosa ad un altro uomo. Venuta finalmente a conoscenza della verità mediante alcuni
stratagemmi, la ragazza decide di uccidere il padre per evitare l'incesto, ma l'unione si realizza lo stesso,
dopo che per caso ella ha mangiato una mela dell'albero cresciuto sopra la tomba di suo padre. Quando
capisce cosa è successo, decide di liberarsi del bambino, accoltellandolo più volte e gettandolo in mare
chiuso dentro una cassa. Ma il suo destino si realizzerà: il bambino sarà salvato, crescerà e la prenderà per
sposa. Alla fine del racconto, dopo il riconoscimento, la fanciulla si suicida.
214 Quest'ultimo motivo compare anche nella leggenda di S. Giuliano l'Ospitaliere, dove però la profezia

compare in una variante particolare: giovane iracondo e violento, durante una battuta di caccia un cervo
gli predice che ucciderà i suoi genitori. I tentativi di evitare il compimento della profezia sono vani: scam-
biandoli per sua moglie e un amante, uccide i genitori mentre dormono nel suo letto. Dopo l'espiazione
dei suoi peccati,viene fatto santo.
215 Nella storia di Simone il Trovatello: cfr. KRAUSS (1983); o nella leggenda di S. Gregorio.
216 Soph., O.R. 1016-1026; Apollod., Bibl., III 5, 7; Euripid., Phoen., 28-31.
217 Pis., FgrHist 16 F 10; schol. Hom. Od. XI, 271.
218 II Mith. Vat., 230; schol. Stat. Teb. I, 64.

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in mare, è direttamente la regina di Corinto a trovare il bambino219. Abbiamo già accen-
nato alla natura mitica di questo motivo, del neonato abbandonato a morire che si salva
in quanto «eletto». L'esposizione è un'«uccisione indiretta» da cui il prescelto si salva
miracolosamente, spesso grazie all'intervento di una divinità 220. È la prima fase della
'carriera' dell'eroe fondatore-distruttore: la separazione dal gruppo di appartenenza e
l'abbandono nella natura selvaggia pongono le basi per la sua educazione eroica221.
Strettamente legato all'esposizione è il tema della mutilazione. Secondo diverse
versioni del mito, Edipo viene abbandonato con le caviglie forate 222, i piedi gonfi per le
fasce troppo strette223 o incastrati in un pezzo di legno cavo224. Dalla seconda variante
deriverebbe il nome eziologico di Edipo: “[l'uomo] dai piedi gonfi” (da οἶδος, “rigon-
fiamento”, e πούς, “piede”)225.

§ 3.2.1 Edipo lo zoppo: eroe, sapiente e tiranno

La mutilazione di Edipo è doppia, dacché colpisce i suoi piedi quando egli è ancora
in fasce e i suoi occhi dopo la scoperta dei suoi crimini. Le due imperfezioni fisiche
sono collegate fra loro226 e nella mitologia greca non compaiono solo nel caso di
Edipo227. Esse pertengono a quella nozione di eccesso o dismisura, di hybris, che carat-
terizza la dimensione eroica per i Greci: l'eroe è caratterizzato da una peculiare alterità,

219 Hyg., Fabulae 66. Qui la regina si chiama Peribea, così anche in Apollodoro. Ma ha anche altri nomi:
il più comune è Merope; in Ferecide si chiama Medusa; lo schol. Soph. O.T. 775 le dà il nome di Antio-
chide.
220 In questo motivo alcuni studiosi hanno voluto vedere una trasposizione delle ordalie di legittimazione,

pratica attestata non solo nel mito e nella leggenda: l'esposto è abbandonato alla divinità perché essa ne
decida il destino. Cfr. GUIDORIZZI (2004: 96-98). Cfr. inoltre BRILLANTE (1986: 87-88), che come
vedremo infra sottolinea il rapporto privilegiato di Edipo con la sfera ctonia: “la terra, che doveva pri-
varlo della vita, lo restituisce alla vita”.
221 Cfr. BETTINI-BORGHINI (1979); BRILLANTE (1991: 8-11): “L'educazione dell'eroe prevede una

prima fase di spostamento dal mondo della cultura (gruppo originario di appartenenza) a quello della
natura (esposizione del bambino, consegna a un educatore semiferino). Il fine da raggiungere può essere
generalmente indicato nella realizzazione di un nuovo equilibrio da instaurare fra i due termini.”
222 Soph, O.R 717-722, 1032-1035; Euripid, Phoen. 26; Apollodoro, III 5, 7; Hyg., Fabulae 66.
223 Schol. Euripid., Phoen. 26; Nic.Damasc, FgrHist 90 F 8.
224 Ioh. Antioch. FGH 4, 545.
225 Per l'etimologia del nome “Edipo”, cfr. infra § 3.3.1.
226 Cfr. BRELICH (1958: 244). Cfr. MAIULLARI (1998). Lo studioso ipotizza, dopo uno studio dei loci

dell'Edipo Re in cui si parla della ferita ai piedi e considerando il parallelo dell'auto-accecamento, che non
solo la sua cecità ma anche la sua zoppia siano frutto dell'utilizzo di una περόνη, “fibula, gancio, fibbia”.
Cfr. EDMUNDS (1986: 241): le spille o fibule feriscono gli occhi di Edipo in Sofocle, i suoi piedi nelle
Fenicie.
227 Cfr. BRELICH (1958: 244-ss.).

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da un'ambivalenza che lo pone a metà strada fra gli dèi e gli uomini; e tale statuto
speciale è testimoniato anche dalla mostruosità di alcune sue caratteristiche, come ad
esempio la zoppia o la cecità228, la polifagia e l'ipersessualità. Le deformità fisiche, d'al-
tronde, hanno un valore simbolico e pertanto rappresentano, per riflesso, una deformità
etica. Sono insomma indice di un'anormalità (Edipo è un essere eccezionale anche in
questo) che si riverbera in altre sfere del personaggio: in una deviazione etico-sessuale
(incesto con Giocasta) e, come vedremo tra poco, in un eccesso politico (tirannide).
Edipo non è davvero «zoppo», nonostante le cicatrici che porta sui piedi: il motivo della
zoppia, funzionale alla spiegazione del suo nome, agisce a livello simbolico, testimo-
niando delle diverse caratteristiche di Edipo229. La mutilazione impressa al suo corpo di
neonato è «un segno deformato della morte», perché non è una ferita che possa davvero
ucciderlo ma è il segno di una morte simbolica – l'esposizione – da cui il bambino,
grazie al suo statuto di eletto, assurge a nuova vita 230. Parimenti essa costituisce un
impedimento, un'operazione che intende bloccare e ostacolare un essere pericoloso
legandolo alla natura selvaggia231. La zoppia è legata alla lussuria e alla trasgressione
sessuale232, ad una natura selvaggia, alla πανουργία di chi, come Efesto e Melampo,
grazie a una menomazione fisica ottiene scaltrezza e intelligenza. In maniera simile alla
perdita della vista per indovini e poeti, lo zoppo, un menomato, può accedere spesso a
una forma superiore di intelligenza: in questo senso, il caso di Edipo, zoppo che risolve
l'enigma dei piedi, appare emblematico fin dall'etimologia del suo nome233.
D'altronde, – lo ribadiamo nuovamente – zoppia e cecità appaiono strettamente
collegate e a tratti anche equivalenti: nei miti legati a Licurgo e Anchise le due mutila-
zioni intrattengono un rapporto di vicendevolezza e in una variante del mito di Edipo

228 Cfr. MASSENZIO (1986).


229 Cfr. EDMUNDS (1986: 238-ss.).
230 Cfr. PROPP (1975: 103).
231 Cfr. BETTINI-BORGHINI (1986: 216-218), dove tale ragionamento è sviluppato a partire da una ver-

sione del mito nota grazie a Tommaso Magno (arg. Septem), cui il valore d'impedimento della mutila-
zione è intensificata dalla fissazione di anelli d'oro attraverso i fori praticati nei piedi di Edipo. “L'anello è
come un nodo o, meglio, un nodo inestricabile: è qualcosa che fissa, lega, impedisce.” Interessante anche
la successiva riflessione linguistica nel lessico greco e latino legato al termine “impedire”, e cioè letteral -
mente “bloccare per i piedi”, “trattenere”, “bloccare”. I piedi, dunque, non sono un luogo casuale.
232 Telefo, che uccide gli zii materni e quasi compie l'incesto con la madre, viene azzoppato. Sul mito di

Telefo, un vero e proprio Edipo «indebolito», cfr. infra, § 3.5.1.


233 Cfr. BETTINI-BORGHINI (1986: 218-225), qui p. 225: “Edipo lo zoppo è contemporaneamente colui

che sa risolvere l'enigma […] Nella logica del mito colui che ha i piedi gonfi è anche, realmente, colui
che sa.” Per l'indovinello e il suo valore per Edipo, anche a livello etimologico, cfr. infra. § 3.3.1.

57
l'eroe, come Orione e Orazio Coclite, le subisce insieme 234. Inoltre, l'idea dell'acceca-
mento legato alla trasgressione sessuale, mutuata dalla relazione tra occhi e genitali, è
comune nella tradizione antica (Fenice, Orione): auto-accecandosi, dunque, Edipo
simbolicamente si auto-castra.235

Abbiamo visto che lo zoppo è un individuo con caratteristiche extra-umane, un


personaggio di natura ambigua che è determinato, tra le altre cose, dall'eccesso nella
sfera sessuale e sapienzale. Questo discorso, così impostato, ci permette di capire come
nel corpo di Edipo si possano notare significati simbolici che si accordino al ruolo di
τύραννος236 assegnatogli nell'Edipo Re. Abbiamo infatti detto che la mostruosità di
Edipo è da leggersi anche nella sua conquista e gestione del potere: la sua vita è segnata
anche in questo da un'anomia assoluta e di fondo, che dà ragione della natura tragica del
suo personaggio237. Incesto, sfrenatezza, sospetto, pazzia sono i tratti eccessivi che carat-
terizzano Edipo come tiranno e che, oltre a rimarcare una polemica anti-tirannica topica
nella polis democratica, ne inseriscono il personaggio in quel senso di crisi, tipico del
clima culturale ateniese di fine V sec., che attraversa tutta la tragedia. Da questo punto
di vista, l'Edipo Re non è solo una tragedia sull'infelicità dell'uomo e sui limiti della sua
conoscenza, ma è anche una tragedia sul potere e sul suo significato 238. D'altronde,
Edipo è un tiranno ambiguo, e in questo, come è stato giustamente notato da più parti, il
suo personaggio richiama alla memoria la storia di un altro famoso tiranno, Periandro di
Corinto239. Ad un livello generale, non potendo soffermarci sulla questione in tale sede,
segnaliamo che la vicenda dei Labdacidi trova corrispondenza in quella dei Cipselidi (in
un rapporto Edipo/Cipselo-Periandro) sulla base di numerose analogie, più o meno

234 Cfr. BRELICH (1958: 247-248); EDMUNDS (1986: 240-241).


235 Cfr. DEVEREUX (1973: 63-ss.); GENTILI (1986: 121); soprattutto EDMUNDS (1986: 239-240), che
ipotizza una parallela relazione fra piedi e genitali.
236 Per uno studio dei forti contatti tra le figure di eroe e tiranno, cfr. CATENACCI (2012).
237 Cfr. GENTILI (1986); SERRA (1986: 282, 285), il quale sottolinea l'assolutezza incarnata dalla figura

del tiranno, che con “il coito con la madre – regresso nella propria matrice – , l'uccisione del padre e il
sostituirsi a lui nel grembo della madre, […] figure uroboriche della coincidenza della fine col principio,
[…] negazioni simboliche della nascita e della morte” rappresenta “un'antinomia irriducibile”, dacché
“l'uomo non è capace di assoluto”. Ecco dunque la tragicità che segna questa figura: il tiranno non è solo
soggetto assoluto ma anche vittima assoluta.
238 Cfr. SERRA (1986: 285-287); DI BENEDETTO (1986: 301), che individua una linea di smontaggio

delle strutture intellettuali di Edipo “concomitante e complementare” a una linea di smontaggio del
potere.
239 Erod. III, 92; V, 40-53. Ma anche: Diog. Laert. 1, 94; Parth. Nic. Resp. 9, 574ab

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evidenti: l'oracolo, l'esposizione, il salvataggio, il nome parlante, la tirannide e la
conquista del potere, l'omicidio di un familiare, il rapporto conflittuale con i figli maschi
(e viceversa amorevole con le figlie), ipersessualità, la zoppia, etc.240

Ritornando allo sviluppo della storia di Edipo, dopo il suo salvataggio egli viene
cresciuto a Corinto (o Sicione) come figlio putativo dei sovrani della città. Ma non pare
assurdo ipotizzare, secondo lo schema del bambino-eletto241, che in una variante locale e
meno nobile egli crescesse direttamente sul Citerone, dimensione altra rispetto alla città
e appartenente alla natura selvaggia242.
Edipo cresce dunque a corte [S354], ma poi ad un certo punto lascia Corinto in
seguito ad una frase pronunciata da un ubriaco ad un banchetto 243 o perché i suoi
coetanei, invidiosi del suo primeggiare tra di loro, gli rinfacciano di essere un
bastardo244, spingendolo così prima verso Delfi e poi, indirettamente, verso Tebe. L'in-
volontarietà di incesto e parricidio, tragica di per sé, si fa ancora più intensa in Sofocle:
dopo aver consultato l'oracolo, Edipo crede di conoscere il suo destino, e pertanto
sceglie di non tornare a Corinto: in tal modo, non potrà mai compiere gli orrendi crimini
profetizzati. Ma Edipo è un uomo che non sa: l'inconsapevolezza si fonde con l'igno-
ranza, e questo, sopra ogni altra cosa, rende Edipo uno sventurato245.

§ 3.2.2 Tipi ATU 931 e 933

Esaminando i racconti dei tipi ATU 931 e 933, notiamo che, anche su questo punto,
presentano una struttura narrativa assai affine al mito di Edipo. La profezia, qualsiasi sia
il modo in cui pervenga ai genitori, motiva sempre l'esposizione del neonato246, il quale
è spesso di umili origini, ma non sempre: Andrea di Creta proviene da una famiglia

240 Sulle analogie fra Labdacidi e Cipselidi, cfr. soprattutto VERNANT (1982); GENTILI (1986);
SERRA (1986). Per un breve studio sulle convergenze fra Edipo sofocleo e Periandro e Ciro (es. doppio
pastore per l'esposizione) erodotei, cfr. inoltre CATENACCI (1997).
241 Cfr. BETTINI-BORGHINI (1979).
242 Per questa ipotesi sull'Edipo di Eschilo, cfr. supra § 2.1, n. 54.
243 Soph. O.T. 779-784.
244 Hyg., Fabulae, 67; Apollod., III, 5, 7. Nelle Fenicie (v. 33) compaiono entrambi i motivi, sospetto e

dicerie.
245 È quella che Maurizio Bettini ha definito «isotopia dell'ignoranza». Cfr. BETTINI-BORGHINI (1979:

145-146).

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borghese, S. Albano e S. Gregorio sono di stirpe regale247.
Il bambino solitamente è esposto in mare (dentro una scatola, un'arca, un barile,
oppure sopra una tavola248): trovato e accudito da un animale 249, o più spesso da uomini
semplici quali pastori, pescatori o marinai250, o anche da sacerdoti, patriarchi251, sovrani
(in coppia o singolarmente)252, è poi educato da loro stessi oppure affidato alle cure di
altri personaggi253. L'educazione del giovane si interrompe bruscamente quando un
evento particolare – il carattere turbolento del giovane, un contrasto con un eventuale
fratellastro o altri coetanei, la stizza di un genitore adottivo, un moto dell'animo 254 – gli
fa dubitare della sua identità o scoprire la sua natura di trovatello, spingendolo ad
abbandonare il nucleo familiare e a tornare, del tutto casualmente, nella sua comunità
d'origine. Altre volte a rivelare la natura di trovatello è un oggetto, anche prezioso, che è
stato abbandonato con il bambino al momento dell'esposizione e che poi in un secondo
momento è trovato dal giovane oppure mostratogli dai suoi genitori adottivi: una lettera

246 Cfr. PROPP (1975: 105-119). L'autore, considerando che “il motivo del viaggio [in mare] deriva dal
motivo del viaggio dentro un pesce, […] cioè risale all''inghiottimento da parte del pesce” e prendendo
come esempio il racconto zulù di Sikulumi (a suo parere, espressione di uno stadio primitivo dell'intrec-
cio), in cui l'eroe è educato e aiutato da un animale della foresta, Propp traccia un'ideale evoluzione stori-
cistica del motivo: dall'inghiottimento si sarebbe passati all'educazione da parte della belva (fase matriar-
cale del potere), per approdare poi alla madre adottiva e più tardi, quando la società patriarcale era già
affermata, a entrambi i genitori adottivi. Sui limiti di questa impostazione storico-strutturale, cfr. BETTI-
NI-BORGHINI (1979: 122).
247 Cfr. PROPP (1975).
248 Una scatola nel racconto albanese collezionato da HASLUCK (1983). Un'arca per Janos, cfr. KAR-

PATI (1983). Un barile per S. Gregorio, nelle versioni riportate da PROPP (1975) e KRAPPE (1983).
Una tavola per Andrea di Creta, cfr. BAUM (1916), PROPP (1975), KRAPPE (1983).
249 Una capra in HASLUCK (1983). Il motivo dell'educazione presso un adiuvante animale compare sette

volte nei racconti collezionati da EDMUNDS (1983: 28).


250 Un pastore in un racconto ucraino, cfr. FRAZER (1983). Alcuni pescatori per S. Gregorio.
251 Andrea di Creta, viene accolto in un convento di suore ma, cresciuto, ne stupra trecento. In un rac-

conto finlandese, cfr. FRAZER (1983), compaiono dei monaci. Simone il Trovatello, cfr. KRAUSS
(1983), è salvato e accolto da un patriarca di nome Sabbas.
252 Una coppia d'imperatori nel primo racconto riportato da KRAUSS (1983). Nella versione più comune

della leggenda di Giuda, il bambino, abbandonato in mare, è salvato dalla Regina di Scarioth che poi lo
adotta: cfr. BAUM (1916), PROPP (1975), KRAPPE (1983).
253 S. Albano è salvato da alcuni mendicanti che poi lo consegnano alle cure del Re d'Ungheria, cfr.

BAUM (1916); PROPP (1975); KRAPPE (1983).


254 Considerata l'ampiezza del materiale folklorico, faremo solo qualche esempio. Andrea di Creta è cac-

ciato dal convento dopo il suo stupro di massa. Giuda porta all'esasperazione la madre adottiva a causa
delle angherie del figlio adottivo nei confronti del fratellastro: la regina rivela dunque la sua origine a tro-
vatello a Giuda, che reagisce uccidendo il fratellastro e scappando. In altre versioni è immediatamente
cacciato dalla matrigna a causa del suo carattere. In BAUM (1915: 596) è riportata una variante di S. Gre-
gorio in cui accade la medesima cosa. Nei racconti finlandese e ucraino raccolti da FRAZER (1983),
quando il giovane è cresciut decide di lasciare la famiglia. In HASLUCK (1983), il giovane, convintosi di
essere di stirpe regale, prende le sue cose e se ne va.

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esplicativa o alcuni gioielli preziosi255.
Questo schema generale è ovviamente passibile di varianti. Ad esempio, l'esposi-
zione può essere legata all'acqua, ma non segnatamente al mare. In una versione della
leggenda, Giuda è lanciato da un ponte nelle acque di un fiume 256. Potamete viene ab-
bandonato sulla riva di un corso d'acqua ed è poi appunto il suo nome parlante (“figlio
del fiume”) a condurlo a un'indagine sulle sue origini 257. In alcuni racconti, il bambino è
abbandonato in un luogo terrestre258: Sant'Albano è esposto sul margine di una strada,
mentre in un racconto slavo259 la madre cuce insieme i talloni del neonato e poi lo ap-
pende per i piedi al ramo di un albero. Quest'ultimo particolare ci riporta al motivo della
mutilazione: anche in questi racconti e fiabe l'esposizione è talvolta accompagnata da
ferite rituali, non mortali e che però sono «segni della morte»260. Nel racconto slavo ap-
pena citato, è singolare che a essere feriti siano i piedi 261. Tale elemento nei racconti da
me consultati compare solo un'altra volta: in una versione latina della leggenda di
Giuda262. Ma, come vedremo anche più avanti, nel medievale Roman de Thèbes Edipo
subisce all'incirca il medesimo trattamento riservato al bambino nel racconto slavo: i
servi di Laio gli trafiggono i piedi, passano una corda attraverso i fori e poi lo appen-
dono al ramo di un albero, dove viene infine trovato da Polibo263.
Solitamente la mutilazione appare relegata alla parte superiore del corpo264 (petto265,

255 Una lettera in Janos (cfr. n. 248) e Simone il Trovatello (cfr. n. 251). Nella leggenda di S. Albano,
esposto insieme a oro e gioielli che rivelano fin da subito la sua origine regale, egli scopre di essere un
trovatello solo quando si è già sposato con la madre e il re-padre adottivo è sul letto di morte (cfr. n. 253).
Sugli oggetti preziosi che spesso sono abbandonati con il neonato, cfr. PROPP (1975: 102-104), il quale
afferma: “Si ha l'impressione che al bambino vengano fatti i preparativi non per la morte, ma per un lungo
viaggio.” Sul valore rituale e simbolico dell'esposizione come uccisione indiretta/rinascita del bambino-e-
letto, ovvero come prima tappa del suo destino eccezionale, cfr. supra, n. 221.
256 Cfr. KRAUSS (1983).
257 Cfr. MEGAS (1983).
258 Nei racconti presenti in EDMUNDS (1985) l'esposizione in terra compare nove volte.
259 Cfr. KRAUSS (1983).
260 Cfr. PROPP (1975: 103) La mutilazione compare in venticinque dei racconti collezionati da

EDMUNDS (1985: 28).


261 A riguardo KRAUSS (1983: 13) aggiunge: “The emperor and empress adopt the foundling through a

festive and symbolic action, drawing the child between the legs and then lifting him up. This custom can
still be found today amongst a large part of the Slavic peasant folk. The Greek loan word, mantulija
(manteuein, “to foretell, prophesy”) perhaps points to a Greek tradition.”
262 Cfr. BAUM (1916: 490-491): a seguito di una visione occorsagli in sogno, il padre espone Giuda sotto

un cespuglio, dopo avergli trafitto gli stinchi.


263 Cfr. EDMUNDS (1976: 143). Cfr. inoltre infra § 3.5.2.
264 Per il racconto cipriota di “Rosa”, cfr. supra, nn. 212-213.
265 Racconto finlandese, cfr. FRAZER (1983).

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pancia266, etc.).

§ 3.3 Atto di valore e conquista della regalità: l'enigma della Sfinge

Il motivo dell'enigma è propriamente folklorico e appare anche nella tradizione


'popolare' greca e romana267. Per riferirsi all'indovinello i Greci si servivano dei termini
γρῖφος o αἴνιγμα: gioco della parola dalla struttura apparentemente semplice ma invero
intricata e nascosta, l'enigma compare spesso in ambito simposiale come forma di diver-
timento sociale, prova d'arguzia, accanto ad altre forme di giochi intellettuali. Nei miti
invece può spesso assumere i connotati di una sfida mortale: è il caso di Omero che
muore perché incapace a risolvere l'enigma o della Sfinge che divora chiunque non sia
in grado di sciogliere il suo indovinello268.

In fiabe e racconti popolari troviamo frequentemente enigmi e indovinelli declinati


nelle maniere più disparate (motivi H530-H899), ma sempre con un tema di fondo: l'in-
telligenza. Chi pone o risolve l'enigma ha qualità intellettuali speciali. Gli enigmi sono
prove di saggezza.
Il facitore di enigmi (il re, la regina, un pretendente, una creatura soprannaturale,
etc.) spesso mette in palio un premio o una pena a seconda del superamento o del falli-
mento della prova: a questo riguardo, sono per noi particolarmente interessanti quei
racconti (ATU 851269) in cui l'eroe protagonista ottiene la mano della principessa propo-
nendole un indovinello (o più di uno) a cui ella non sa trovare una risposta [H551] 270. A
volte, in queste fiabe, la pena proposta in caso di fallimento è proprio la morte del
pretendente. In caso contrario, l'eroe ottiene moglie e trono, ossia l'accesso a una rega-
lità che pertiene alla sfera dell'esogamia: uno straniero sposa la figlia del re e diventa

266 Racconto ucraino, cfr. ibidem.


267 Per i motti arguti e intelligenti nel folklore antico, cfr. ANDERSON (2006: 91-115). Per gli enigmi in
pt. 101-103.
268 Cfr. LITCHFIELD (1996).
269 Cfr. UTHER (2004: 478-481).
270 Cfr. THOMPSON (1967: 220-227, in pt. 224). Cfr. inoltre BORGHINI (1990: 102): “In questo tipo di

racconto la fanciulla regale non riveste soltanto la funzione, che le è propria, di «oggetto della richiesta
(matrimoniale)» da parte dell'eroe; essa occupa altresì il «posto», assorbe in sé la funzione – o certe fun-
zioni – dell'antagonista. Essa si configura per es. come il «detentore» della prova difficile che l'eroe
dovrà superare; essa condanna alla morte la serie indefinita dei non-eroi: la schiera cioè dei pretendenti
che non riescono a superare la prova difficile.”

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l'erede al trono o direttamente il nuovo re. Il motivo dell'enigma in questo contesto
appare pertanto alternativo a quelle prove matrimoniali, segnatamente legate alla sfera
fisica e proposte dal padre, dalla fanciulla o da un terzo personaggio, che il corteggia-
tore deve superare per conquistare la sposa e il potere [motivi H310-H359]271.
È singolare che di questo modello narrativo la letteratura greca presenti un esempio
per così dire «bloccato» nel mito di Enomao e Ippodamia, in cui, almeno per una prima
fase del racconto, l'incesto fra padre e figlia impedisce alla trama di svilupparsi come
previsto. La prova matrimoniale cui Enomao sottopone i pretendenti della figlia (e
dunque gli aspiranti al trono), ovverosia la gara col cocchio [H331.5.2], non è solo una
prova mortale ma un vero e proprio omicidio, giacché Enomao non vuole né cedere la
figlia né rinunciare alla regalità ed è anche certo della sua vittoria: grazie alle giumente
regalategli da Ares, egli infatti sarà sempre più veloce dei suoi concorrenti. In tal senso,
le teste degli sfidanti sconfitti infisse su dei pali davanti al suo palazzo (H901.1) sono un
monito per i futuri pretendenti a desistere dall'impresa272. Tutto cambia quando entra in
scena Pelope, eroe positivo, che scioglie il nodo narrativo, sconfigge Enomao e, sposan-
done la figlia Ippodamia, conquista il trono di Pisa.
Se ora, alla luce di quanto esposto sopra, ci volgiamo al mito di Edipo, pare impos-
sibile non cogliere l'affinità del motivo folklorico della prova matrimoniale 273 – sia essa
intellettuale o fisica – con l'episodio della Sfinge [H541.1.1]: abbiamo una prova da
superare, la mano della della detentrice del potere posta in palio e la morte del preten-
dente in caso di fallimento274. Anzi, come vedremo fra poco, un'analisi folklorica della
sfida tra Edipo e la Sfinge si pone in un interessante rapporto di «analogia e contrappo-
sizione» con le fiabe rispondenti al tipo ATU 851, dacché in Edipo è la “principessa”
(anche la presenza della Sfinge è problematica) a porre l'indovinello [H540.2] 275e non
l'eroe: vi è dunque un rapporto d'inversione 276. Inoltre, possiamo tracciare un parallelo
271 Cfr. CHIARINI (1983: 271).
272 Cfr. THOMPSON (1967: 392).
273 Il «compito difficile» dell'eroe, cfr. PROPP (1966: 65-66).
274 Cfr. COMPARETTI (1867: 67-73). Lo studioso italiano fu tra i primi a notare i contatti fra il mito di

Edipo e il mondo del folklore. La sconfitta della Sfinge sarebbe parte integrante e originale del racconto:
le prodezze intellettuali di Edipo si configurerebbero come ἒδνα, doni nuziali per la conquista di una
donna: “è comunissima […] la pena di morte inflitta ai pretendenti che non riescono nell'impresa assunta.
Le prodezze […] consistono in prove di forza, di valore, di coraggio; […] ma non di rado in prove d'inge-
gno.”Cfr. inoltre PROPP (1975: 121-123).
275 Così come accade nella novella persiana di Turandot, in cui la principessa pone tre enigmi ai suoi pre -

tendenti.
276 Cfr. BORGHINI (1990).

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tra il mito di Edipo e quello di Enomao, poiché in entrambi l'incesto si qualifica come
ostacolo all'esogamia prevista dalla prova, seppure in modi diversi, giacché nel caso
dell'eroe tebano la coincidenza involontaria tra madre e sposa-regina 277 va a determinare
la tragicità dell'intreccio278
Della presenza della Sfinge nel mito di Edipo a partire dalla tradizione epica
abbiamo già parlato (cfr. supra § 1.2). Ripeteremo qui che nonostante alcuni studiosi
abbiano ipotizzato la recenziorità della gara sapienzale rispetto allo scontro fisico, non
esistono prove e dati certi che possano permetterci di affermarlo con sicurezza. Prima di
arrivare a definire meglio la funzione della Sfinge nel folk-tale di Edipo, ci sofferme-
remo su una breve analisi delle tradizioni relative all'enigma.

§ 3.3.1 L'indovinello

Nonostante nei Sette a Tebe di Eschilo, nell'Edipo Re di Sofocle e nelle Fenicie di


Euripide compaiano più allusioni all'enigma della Sfinge, esso non è mai citato per in-
tero. In uno dei frammenti dell'Edipo di Euripide279 troviamo invece il racconto della
sfida d'intelligenza fra Edipo e il mostro, con una descrizione dell'indovinello: si tratta
probabilmente del resoconto di un messaggero, piuttosto che dello stesso Edipo 280. Dato
lo stato molto lacunoso del frammento, ne riportiamo soltanto la traduzione dei vv. 4-
12:

«sibilando…
…un enigma, l’omic[ida fanciulla
pro]nunciando esa[m]et[ri…
…dotato] di voce, che ha senno…
…ha quattro piedi, poi] due e poi tre…

277 Cfr. BETTINI-BORGHINI (1979: 147): è l'«unione con la donna sbagliata» tipica del modello dell'e-
roe-distruttore. Per una discussione su Edipo «eroe-distruttore» vd. infra § 3.4.
278 Per i rapporti tra i due miti e una discussione sui temi di esogamia e incesto, cfr. CHIARINI (1983),

che analizza le due storie allo scopo di dimostrare come e quanto abbiano influito sulla Historia Apollonii
tegis Tyri, opera (forse) del III sec. d.C. L'anonimo autore dell'Historia sembra fondere in essa i due miti
greci: Apollonio seduce l'anonima figlia, che prima cerca di dissuadere il padre e poi si abbandona all'in-
cesto; poi, al fine di rendere difficoltosa la conquista della fanciulla da parte dei pretendenti, Apollonio li
sottopone a un enigma – fondendo in sé i caratteri di Enomao e della Sfinge: se lo sfidante lo indovinerà,
otterrà la mano della figlia; altrimenti verrà decapitato.
279 Fr. 540a Snell.
280 Cfr. MUNDA (2012: 121).

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…con tre poi…
…maschio e…
…o di nuovo…

…canto…»281

La versione del γρῖφος qui registrata, nonostante le lacune, sembra ricalcare la


medesima struttura di quello già noto, prima della scoperta del frammento euripideo in
questione (edito poi nel 1962), da varie fonti antiche. Lo troviamo in due varianti: una
più breve – contenuta nello Ps.-Apollodoro (Bibl. 3,5,8): τί ἐστιν ὃ μίαν ἔχον φωνὴν
τετράπουν καὶ δίπουν καὶ τρίπουν γίνεται; “che cos'è che, pur avendo una sola voce, ha
quattro, due e tre gambe?” – e una più lunga282, in cinque esametri, che si suppone sia la
versione più antica dell'indovinello283. Riportiamo tale variante qui di seguito:

ἔστι δίπουν ἐπὶ γῆς καὶ τετράπον, οὗ μία φωνή,


καὶ τρίπον, ἀλλάσσει δὲ φύσιν μόνον ὅσσ᾽ ἐπὶ γαῖαν
ἑρπετὰ γίνονται καὶ ἀν᾽ αἰθέρα καὶ κατὰ πόντον
ἀλλ᾽ ὁπόταν πλείστοισιν ἐρειδόμενον ποσὶ βαίνῃ,
ἔνθα τάχος γυίοισιν ἀφαυρότατον πέλει αὑτοῦ.

V'è un essere sulla terra che ha due e quattro piedi e una sola
[voce, e anche tre
piedi; e muta natura lui solo fra quante creature
in terra e nel cielo e sul mare crescono. Ma quando procede poggiando su più
piedi è allora che il suo corpo ha scarso vigore284.

La risposta è, ovviamente, «uomo». Sul valore di tale enigma in riferimento alle


vicende285 o al personaggio di Edipo286 sono state formulate più ipotesi. Ad esempio,
risponderebbe della natura ambigua del suo nome, Οἰδίπους, il quale può essere spie-
gato come “[l'uomo] dal piede gonfio” (da οἶδος, “rigonfiamento”, e πούς, “piede”), a
causa della mutilazione da lui subita, ma anche come “[l'uomo] che sa il piede”, dacché

281 Trad. di E. Bizzarri.


282 Riportata dall'argomento alle Fenicie, da Schol. Phoen. 50, da Anth. Pal. (14,64), da Schol. Lycophr.,
da Ateneo (10, 456b).
283 Cfr. MONDA (2012: 120).
284 Trad. di S. Monda.

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riesce a risolvere, ovvero conosce, l'enigma del piede (da οἶδα, “sapere”, e e πούς,
“piede”)287.
Pare che la gara d'astuzia fra l'eroe e la Sfinge occupasse un posto centrale nell'E-
dipo di Teodette (retore e drammaturgo del IV sec. a.C.), dove forse, secondo alcuni, la
sfida sapienzale prevedeva più di un indovinello288.

§ 3.3.2 La Sfinge

La sfida di Edipo con la Sfinge assume dunque un significato particolare se esami-


nata alla luce del folklore: è la prova mortale attraverso la quale il protagonista dei folk-
tales ottiene matrimonio e regalità, e parimenti costituisce l'atto periglioso con cui il
giovane eroe deve dimostrare il suo valore289. Che tale prova sia legata alla sfera fisica o
intellettuale pare indifferente, giacché le due opzioni sembrano alternative ed equiva-
lenti290: il significato è sempre il medesimo, dimostrare l'eccezionalità del protagonista.
Dobbiamo però notare che a porre l'indovinello non è qui né la regina Giocasta né il
re, (suo fratello Creonte), ma un terzo personaggio: la Sfinge, che oltretutto durante la

285 Per un parallelo fra l'enigma e l'oracolo, cfr. COMPARETTI (1867: 73): “La qualità di detto oscuro
(αἶνος) che caratterizza l'enimma è propria anche dell'oracolo che particolarmente nelle epoche più anti-
che è per sua natura αἰολόστομος, ἂσημος, δισκρίτως εἰρημένος, ed è quindi un vero enimma difficile ad
intendersi.” E inoltre GUIDORIZZI (2004: 149): “Enigma e oracolo postulano entrambi una dissimmetria
di comunicazione dato che pongono i due interlocutori su un piano diverso di comprensione, ma l'impac-
cio comunicativo è di segno opposto: nell'enigma chi propone la domanda pone l'interlocutore davanti
alla necessità di decifrare il significato nascosto dietro il velo metaforico della domanda. Quando si con-
sulta l'oracolo avviene il contrario: la domanda è chiara, la risposta ambigua, sfuggente.”.
286 Sul valore dell'enigma sull'uomo per Edipo, cfr. GUIDORIZZI (2004: 156-157): “Ciò che sfugge ad

Edipo è che l'enigma si riferisce sia all'uomo in generale sia proprio a lui, Edipo, nelle tre fasi della sua
storia: al bambino che fu esposto sul monte, all'adulto che diventa re e pensa di governare la sua vita, al
vecchio cieco che sarà nell'Edipo a Colono e che nell'Edipo Re è evocato dalle parole di Tiresia, il quale
nella sua preveggenza lo immagina già 'camminare a tentoni in terra d'altri, tastando la terra col bastone'
(v. 456). Come nell'enigma della Sfinge questi tre esseri sono in realtà la stessa creatura, così i tre perso-
naggi – il trovatello, il re, il mendicante – sono i tre aspetti della personalità di Edipo.”
287 L'ambiguità è sottolineata in VERNANT (1976b: 100-101). Per informazioni ulteriori sul nome di

Edipo, cfr. MAXWELL-STUART (1975); CALAME (1986).


288 Cfr. BIZZARRI (2014: 27) che sottolinea l'interesse per l'enigma dei retori del IV sec., il cui influsso

sui tragici coevi è ormai appurato. A interessarci sono i frr.. 4 e 18 Snell, ma è incerto se il secondo
facesse parte dell'Edipo. Secondo MONDA (2000) entrambi gli indovinelli esulerebbero dalla sfida fra
Edipo e la Sfinge: la tradizione di un solo enigma era troppo radicata perché Teodette potesse innovarla in
maniera tanto forte. È più probabile che i due indovinelli fossero formulati da Edipo nei confronti degli
altri personaggi in un gioco di allusività, dacché entrambi i γρῖφοι potrebbero essere letti in relazione alle
sue vicende personali.
289 Cfr. BRILLANTE (1991: 10, 26).
290 Sulla vicendevolezza di sfida sapienzale e scontro fisico nella rappresentazione vascolare di Edipo e

della Sfinge, cfr. MORET (1986), già citato supra § 1.2.

66
sua permanenza di fatto governa, tenendola sotto scacco, la città291. Il superamento della
prova da parte di Edipo, cui segue il suicidio del mostro sconfitto, va dunque posto in
collegamento a un altro motivo folklorico, l'uccisione del mostro da parte dell'eroe,
caratterizzante i racconti legati al tipo ATU 300 “The Dragon-slayer”. A tal segno,
notiamo che la poetessa beota Corinna292, probabilmente seguendo una variante folklo-
rica locale, attribuisce a Edipo non solo l'uccisione della Sfinge ma anche della volpe
Teumessia, che come il mostro alato tormenta Tebe e il territorio circostante, esigendo
un tributo di sangue dalla città293.

Ma la Sfinge è un mostro dalla natura ambigua, che fonde in sé tratti antropomorfi,


ornitomorfi e leontomorfi: è un mostro divoratore in possesso di una sapienza affatto
particolare, una figura che pertiene alla sfera della fascinazione e della sensualità, e al
contempo a quella della morte, della terra 294. Che il suo arrivo a Tebe sia attribuito, di
volta in volta, a una divinità diversa testimonia della sua polisemia simbolica. È inviata
a Tebe da Era295 per punire lo stupro di Crisippo da parte di Laio, e dunque in qualità di
persecutrice; da Ade296, e pertanto si qualifica una figura mortifera, legata al mondo
degli inferi; da Ares297, per punire l'originaria colpa di Cadmo, che aveva ucciso un'en-
tità serpentiforme cara al dio della guerra; da Dioniso298, che era stato in contrasto con
uno dei mitici sovrani tebani, Penteo. In ogni caso la Sfinge è sempre portatrice di
morte: il suo seducente canto, con un potere analogo a quello delle Sirene 299, attrae gli
uomini e li stringe in un abbraccio mortale. Nondimeno, l'aspetto mostruoso, simboleg-
giato soprattutto dalla sua parte leonina, la pone in diretto contatto con la natura
291 Cfr. COMPARETTI (1867: 72): “In alcuni racconti gli enimmi non trovansi proposti dalla donna ma
dal padre, o da un terzo qualunque di cui essa trovisi in potere.”
292 Cfr. supra § 1.4.3.
293 È di Apollodoro (II 4, 7) la notizia secondo la quale giovani Tebani erano periodicamente offerti in

pasto alla volpe Teumessia.


294 Per una ricostruzione delle valenze simboliche del corpo della Sfinge, cfr. BAGLIONI (2013: 541-

545), che pone l'accento anche sulla componente ofiomorfa del mostro, e cioè sulla possibilità che, a
causa della sua discendenza dalla donna-serpente Echidna, esso presentasse quei tratti legati alla sedu-
zione ipnotica, e pertanto alla sensualità, che caratterizzano la sfera simbolica dei serpenti. Per un breve
riepilogo sulla Sfinge tra folklore egizio e greco, cfr. SUHR (1970).
295 Schol. Euripid. Phoen. 1760. Sulla Sfinge persecutrice, in collegamenti alla sua caratterizzazione

come “cagna” (Soph. O.T. 391; Aeschyl. fr. 236 Radt), cfr. BETTINI & GUIDORIZZI (2004: 175).
296 Euripid. Phoen. 811; sulla Sfinge in ambito funerario cfr. BAGLIONI (2013: 548-549).
297 Schol. Euripid. Phoen. 1064.
298 Schol. Hes. Th. 386; schol. Euripid. Phoen. 1031.
299 Per un parallelo fra Sfinge e Sirene, cfr. BRILLANTE (1986: 85); BETTINI & GUIDORIZZI (2004:

76-ss.); BAGLIONI (2013: 543-545)

67
selvaggia: da questo punto di vista, possiamo vedere come la sua funzione potrebbe
risiedere proprio in quella mediazione fra natura e cultura, mondo ferino-mostruoso e
mondo umano, che è stata evidenziata da alcuni studiosi come un passaggio obbligato
nel modello culturale dell'eletto, cui si accorda la storia di Edipo300.
La Sfinge appare dunque legata alla sfera ctonia, cioè al mondo dei morti e alla
terra, e pertanto, secondo l'equivalenza fra madre e terra, alla figura della madre, ovvero
a Giocasta301. D'altronde, secondo alcuni studiosi, l'incesto di Edipo rappresenta una
presa di possesso del territorio, appunto la conquista della regalità 302. Le tradizioni che
presentano la Sfinge non come mostro ma come donna 303 sembrano confermare questo
dato, ponendola a tratti in diretto contatto con l'incesto di Edipo304.
Il confronto con il folklore ci dice che solitamente è la principessa stessa a porre
l'indovinello al pretendente. Può dunque darsi che in alcune varianti la Sfinge figurasse
come principessa-maga che offriva la sua mano ai pretendenti, minacciandoli di morte
in caso di fallimento: ipotesi che sembra avvalorata da alcune versioni del mito 305.
L'unione matrimoniale fra Edipo e la Sfinge è testimoniata da uno scolio alle Fenicie 306
e compare in un racconto neo-greco proveniente da Arakhova, in Focide 307. Poco sopra
abbiamo notato che nel mito di Edipo il tipo folklorico della «principessa che sa scio-
gliere gli indovinelli» (ATU 851) appare rovesciato, dacché il giovane non propone un

300 Cfr. BETTINI & BORGHINI (1979).


301 Queste corrispondenze, che noi notiamo di sfuggita, sono giustificate in BRILLANTE (1986: 82).
Cfr., per un approccio folklorico, BORGHINI (1990: 103): “La regina di Tebe è in qualche modo con -
nessa con la Sfinge: antagonista e oggetto della domanda-richiesta matrimoniale sembrano situarsi, e non
solo in questo caso, dalla stessa parte”.
302 Cfr. DELCOURT (1944: 132-ss.). Cfr. infra § 3.4.1.
303 La Sfinge può anche essere un'indovina (schol. Euripid. Phoen. 26; 45), una figlia bastarda di Laio

(schol. Euripid. Phoen. 26; 45). Alcuni hanno ritenuto tali varianti delle versioni razionalizzate del mito.
Lo è sicuramente la versione riportata in Paleph. De Incredib.6, in cui la Sfinge figura come amazzone
guerriera che con una serie di imprevedibili imboscate (“l'enigma”) tiene sotto scacco Tebe, finché Edipo,
un semplice corinzio, non la sconfigge, “risolvendo l'enigma”. Cfr. BAGLIONI (2013: 551).
304 Ma la stessa Sfinge è frutto di un incesto. Il suo contatto con Edipo potrebbe dunque essere motivato

dalla svalutazione dei rapporti di parentela e dal disfacimento del γένος che occupano tanto spazio nella
vicenda dell'eroe tebano. La stessa formulazione dell'enigma, che raffigura l'uomo singolo, estraneo al
γένος, avrebbe un valore particolare per Edipo. Cfr. BAGLIONI (2013: 552-553).
305 Cfr. BRILLANTE (1983: 83, 89-90), che riporta una versione nota da Pausania (IX 26) in cui la

Sfinge figura (di nuovo) come figlia di Laio: ella propone un indovinello che solo gli eredi legittimi di
Laio possono conoscere. Edipo riceve in sogno la soluzione dell'enigma e riesce a risolverlo. In questo,
secondo Brillante, sarebbe aiutato dallo statuto mantico della sua conoscenza: alla terra, cui Edipo è
legato in maniera particolare, appare infatti legata anche la sfera mantica, e oltretutto gli stessi sogni
“appaiono spesso associati alla terra”.
306 Schol. Euripid. Phoen. 26.
307 Cfr. EDMUNDS (1983: 151-152).

68
indovinello, ma lo risolve; e pure si ha il medesimo risultato: la conquista della fanciulla
regale. Ma cui funzioni narrative di «oggetto della ricerca (matrimoniale)» e «antago-
nista» qui sono però scisse in due personaggi: in Giocasta la prima, nella Sfinge la
seconda. Nel racconto di Arakhova, al contrario, le due funzioni coincidono nel perso-
naggio della regina che, seduta su una roccia a fianco della strada, pone tre indovinelli
(come in Teodette?) ai passanti, divorando chi non li indovina e sposando invece chi
riesce a risolverli: il principe protagonista riesce nell'impresa e alla fine della vicenda,
con molta probabilità (ma il racconto non lo dice), sposa la regina-divoratrice. La
conclusione della fiaba è totalmente positiva, diversamente che in Edipo: la fanciulla
sposata dall'eroe di Arakhova non è sua madre 308. Proprio per questo motivo, si noterà
che il racconto appena citato non pertiene né al tipo ATU 931 (“The Oedipus-tale”) né
all'affine tipo ATU 933 (“Gregory on the Stone”), dacché non vi figurano né il parri-
cidio né l'incesto. Anzi, uno studio della tradizione folklorica legata a Edipo309 ha
svelato che l'atto di valore grazie a cui il protagonista ottiene la sua sposa si concretizza
quasi sempre nella liberazione della città assediata in cui regna la madre, mentre l'ucci-
sione del mostro compare solo due volte e l'indovinello una sola310. Sulla base di questi
elementi e considerando la “confusione” delle diverse tradizioni relative all'invio del
mostro e alla sua funzione, L. Edmunds ha ipotizzato – ma tale teoria pare non tenere
conto di tutti i valori assunti dalla Sfinge – che l'episodio della Sfinge costituisca un'ag-
giunta secondaria all'interno del mito antico311.
308 Cfr. BORGHINI (1990: 102-104), per un'analisi del racconto di Arakhova in rapporto al mito di Edipo
classico e al tipo ATU 851.
309 Cfr. EDMUNDS (1985: 32-33).
310 Cfr. ibidem. L'uccisione compare nel racconto turco “Il figlio del Sultano” (che Edmunds riporta sotto

la sigla TK1), in cui il protagonista per ottenere regina e regno deve uccidere un lupo selvaggio (una deri -
vazione della volpe Teumessia?). Notiamo anche che in TK1 compare la piaga, la pestilenza: questo è un
caso unico fra i racconti pertinenti a questo tipo folklorico. Un racconto lettone invece (LA1) presenta una
struttura singolarmente simile al mito antico, specialmente nel parricidio, che avviene in una strada
stretta, e nella figura del mostro magico, per metà animale e per un'altra metà umano, che pone esatta-
mente il medesimo indovinello della Sfinge. Nonostante alcuni elementi provenienti dalla tradizione orale
lo rendano opera folklorica, il racconto pare quindi derivare (almeno indirettamente) dall'antica leggenda
di Edipo.
311Cfr. EDMUNDS (1983). L'episodio della Sfinge sarebbe stato aggiunto proprio grazie all'influenza dei

racconti del tipo 300 “The Dragon Slayer”, quando la storia di Edipo subì l'influsso modificatore di Delfi:
è appunto nelle vicinanze del centro oracolare che egli uccide il padre Laio. Dunque solo l'uccisione della
Sfinge lo riporta in relazione a Tebe, motivando inoltre il suo matrimonio con la madre. Edmunds dice
anche che dacché il motivo del monster-slaying è di natura fisica, “the riddling of the Sphinx is secondary
to the Sphinx' forthright destruction of her victims”, e potrebbe anche darsi che, oltre a caratterizzare
Edipo come eroe di intelligenza e a porlo in contrasto con Tiresia e il mondo divino, “the riddle to which
the answer is 'man' possesses some special significance in the Oedipus legend”, giacché Edipo è simbolo
dell'intelligenza umana e dei suoi limiti (su questo punto cfr. supra).

69
§ 3.4 Parricidio e incesto

Le profezie si compiono sempre. Come predetto dall'oracolo di Delfi, Edipo uccide suo
padre e sposa sua madre: non per sua volontà, ma perché questo è il suo destino312.
Edipo si qualifica dunque come «eroe distruttore», declinando in maniera originale lo
schema narrativo del bambino-eletto, che solitamente è un civilizzatore (Ciro) o un
fondatore (Romolo): in questo schema, l'eroe distruttore si ferma appunto alla fase del
disfacimento di una civiltà, senza avviarsi alla creazione di una nuova. La vicenda di
Edipo ha infatti il risultato di portare la peste su Tebe e di gettare sui figli, frutto di un'u-
nione maledetta, un destino di morte; non di avviare Tebe a un nuovo ordine contrario a
quello che lo voleva morto, cioè il potere precedente rappresentato da Laio. Edipo è
insomma un eroe distruttore, portatore di morte e sventura sugli altri e su se stesso; e in
questo, è stato notato, la sua storia è affine a quella di Paride 313. In entrambi i miti,
nonostante alcune differenze di base, la rovina è causata dall'unione dell'eroe con una
«donna sbagliata»: Giocasta per Edipo, Elena per Paride. La rovina della città e dell'eroe
stesso dipende proprio da un'unione che non dovrebbe avvenire perché segnata, anzi
macchiata dalla dismisura. Le due donne dovrebbero essere inaccessibili: Giocasta è la
madre di Edipo; Elena non solo non è troiana, ma è già sposata a un altro uomo,
Menelao. L'illiceità della scelta dell'eroe, consapevole nel mito di Paride, ma inconsape-
vole in quello di Edipo, è il fattore scatenante di tanta morte e distruzione: Troia viene
bruciata dai Greci; Tebe è sconvolta prima dalla peste e poi dalla guerra fra Eteocle e
Polinice314. L'incesto è la morte.
La presenza di parricidio e incesto nel mito di Edipo condusse S. Freud 315 alla

312 Una struttura simile ha il mito di Altemene. Quando Catreo visita Rodi allo scopo di trasferirgli il suo
potere, il figlio Altemene, che secondo una profezia avrebbe ucciso il padre e per questo si era esiliato a
Rodi, lo scambia per un pirata e lo uccide. Sulla sua fine per “inghiottimento” da parte della terra ritorne -
remo in seguito. Per l'episodio mitico, cfr. Apollodor. III, 2. Cfr. inoltre GUIDORIZZI (2004: 141-142).
313Cfr. BETTINI-BORGHINI (1979: 137-ss.), secondo il quale è naturale “che in questo tipo mitico

'decurtato' il momento della distruzione della vecchia civiltà, in quanto terminale, assuma un'enfasi parti-
colare (di qui la truculenza crudele della sventura di Edipo e della sua discendenza; o il lacrimevole esem -
pio di Troia). Ancora, l'assenza di uno sbocco di 'fondazione' sembra implicare che l'eroe resti coinvolto
lui stesso nella 'distruzione'.”
314 Sulle analogie e le differenze fra Edipo e Paride “eroi distruttori” cfr. BETTINI-BORGHINI (1979,

passim). Per l'unione con una donna sbagliata cfr. in pt. 141-150.
315 Una prima forma della teoria psicanalitica comparve ne L'interpretazione dei sogni (tit. origin. Die

Traumdeutung), saggio edito nel 1899. Da allora, per gli studiosi del mito di Edipo il confronto con la
teoria freudiana è stato quasi obbligato. Per una serie di studi sul complesso di Edipo e sulla sua presunta
ubiquità, di là delle varie coordinate culturali e geografiche, cfr. DUNDES-EDMUND (1983: passim).

70
formulazione del «complesso di Edipo». Nella vicenda dell'eroe greco troverebbe realiz-
zazione concreta un complesso psicanalitico che nei bambini agisce a livello inconscio
portandoli a nutrire una passione morbosa, di natura sessuale, nei confronti della madre,
e a provare gelosia e finanche odio verso il proprio padre, poiché quest'ultimo sarebbe
un rivale nella conquista dell'affetto materno. Ma tale teoria, secondo alcuni ellenisti,
pare non adattarsi alla perfezione al mito di Edipo, che dopotutto non sa chi sono i suoi
veri genitori e non può dunque provare pulsioni di alcun tipo, neppure latenti, nei loro
confronti316.

§ 3.4.1 Edipo eroe ctonio: conquista della terra e del potere

Quando Edipo uccide Laio, egli sconfigge un re: che questo sovrano sia poi suo
padre conferisce all'intreccio sfumature drammatiche profonde ed esiziali, ma questo
assunto di base – che Laio sia un re – permette di vedere nel parricidio di Edipo un regi-
cidio317. A questo riguardo, M. Delcourt ha ipotizzato che in un primo stadio del mito
quello di Edipo fosse un omicidio rituale: il vecchio re è ucciso dal giovane aspirante al
trono, che rimette così in moto la catena della fertilità bloccata 318. È all'incirca il mede-
simo schema ritualistico delineato da J. G. Frazer per l'episodio del re del bosco di
Nemi, nel Lazio: il vecchio re-sacerdote è ucciso da un uomo più giovane e forte che ne
assume poi il posto, rigenerando la vita del bosco sacro 319. Partendo quasi dalla mede-
sima teoria, V. Propp ha interpretato il parricidio di Edipo come un ibrido folklorico,
modello narrativo a metà fra modello matriarcale e modello patriarcale nato dallo
scontro tra due forme di trasmissione del potere: quella conflittuale suocero-genero (es.
Pelope), in cui l'aspirante al trono uccide il re e ne conquista il potere grazie alla figlia, e
quella non conflittuale padre-figlio, in cui il re, divenuto vecchio oppure morto, cede
316 Cfr. VERNANT (1976a: 64-87). Contra PADUANO (1994).
317 Sulle problematiche legate a parricidio e incesto in rapporto a Edipo (che si divide fra due città: la
natale Tebe e l'adottiva Corinto), e più in generale sui problemi interni alla dinastia dei Labdacidi legati
alla regalità e alla trasmissione del potere, cfr. LONGO (1983); PELLIZER (1986).
318 Cfr. DELCOURT (1944: 74-102). Un buon riepilogo della teoria della Delcourt si può trovare in GUI -

DORIZZI (2004: 61-63). Ma le versioni del mito non sembrano conservare tale omicidio rituale; neppure
la tradizione omerica che, singolarmente, sembra tacere sulle conseguenze del parricidio. Il participio
usato per definire l'azione parricida di Edipo nel passo odissiaco, ἐξεναρίξας, è stato talora ricollegato a
un ambito guerresco. Starebbe dunque a indicare un parricidio che è soprattutto regicidio, forse un'ucci-
sione rituale che vede il giovane figlio Edipo abbattere consapevolmente il vecchio padre Laio. Ma
abbiamo già visto che tale interpretazione del verbo sembra difficilmente sostenibile, cfr. supra § 1.2.1.
319 Cfr. FRAZER (1890: 1-23).

71
senza alcun ostilità il potere al proprio figlio. Per questo motivo Edipo ha il doppio
ruolo di usurpatore e figlio: è l'assassino del re ma anche il suo unico erede. Il parricidio
è insomma una derivazione del regicidio rituale320.
Secondo altri studiosi, il mito di Edipo presenta affinità singolari con la conflittua-
lità generata dalla successione regale in alcuni miti cosmogonici greci (come quello di
Zeus) e vicino-orientali, in cui appare anche il motivo della mutilazione ai piedi come
surrogato della castrazione, e cioè della privazione del potere 321. Riappare dunque il
tema dell'impedimento, del «bloccaggio» di un personaggio in una condizione di impo-
tenza: Tifeo, per salvaguardarsi da un'eventuale ribellione di Zeus, gli taglia i nervi delle
mani e dei piedi; dietro consiglio di Ea, il dio hittita Anu – che, a sua volta, aveva scon -
fitto il predecessore Kumarbi afferrandolo per i piedi e inghiottendo i suoi genitali, in un
mito che richiama molto da vicino la successione di Crono a Urano, castrato dal figlio –
sconfigge il gigante Ullikummi, che vuole vendicare il padre Kumarbi, mozzandogli i
piedi e così «bloccandolo», in modo da poterlo abbattere più facilmente.
Come abbiamo visto supra (cfr. § mutilazione) anche Edipo viene bloccato dal
padre Laio e neutralizzato, impedito, al fine di prevenire la profetizzata detronizzazione.
Ritornando al mito di Zeus e Tifone, noteremo che qui rientra anche il tema dell'ucci-
sione del mostro come prova per affermare la propria regalità: Hermes aiuta il padre
degli dèi a rientrare in possesso dei tendini, ovvero della mobilità, e quindi a sciogliersi
dall'impedimento di Tifeo, permettendogli di sconfiggere il mostro322.
D'altronde, se già l'esposizione e la mutilazione (e poi anche la sua morte, come
vedremo) ponevano Edipo in collegamento alla sfera ctonia, la teoria ritualistica avan-

320 Cfr. PROPP (1975: 92-98, 122-126). “Il figlio-erede, subentrato al genero-erede, si assume la funzione
dell'ostilità verso il padre e della sua uccisione”. Ma con l'avvento del sistema patriarcale, in cui un figlio
che uccide il padre per spodestarlo non può più essere un eroe ma solo uno scellerato, a motivare il parri-
cidio, ribaltamento del sistema, arriva la profezia, elemento divino: “L'uccisione consapevole [del genero]
è sostituita da quella inconsapevole [del figlio], e l'uccisione intenzionale e volontaria è sostituita dall'uc -
cisione voluta dagli dei”. Dal regicidio si passa al parricidio, e questa trasformazione porta con sé il dato
della profezia e dell'esposizione del bambino, allo scopo di conservare il trono. Propp nota anche come in
alcuni racconti si sia conservata una fase intermedia in cui a trasmettere il trono è ancora la figlia, con la
modifica però che il potere non passa al genero ma al nipote: è il caso di Acrisio e Perseo, Astiage e Ciro.
Qui abbiamo già la profezia e l'allontanamento del bambino, ma – continua Propp – “è caratteristico l'e-
roismo dell'ascesa al trono: nell'uccisione del nonno non c'è ancora alcun peccato.” Contra BETTINI-
BORGHINI (1979: 122).
321 Cfr. EDMUNDS (1983: 163): “One of these Near Eastern Myths, which concerns the city of Dunnu,

suggests the sort of narrative to which the Oedipus legend may be related. In the dynastic struggles of this
city, parricide and incest occur in successive generation.”
322 Cfr. EDMUNDS (1983: 164). Ma cfr. VERNANT (1976a: 72-77).

72
zata dalla Delcourt e la comparazione con i miti cosmogonici sembrano rimarcare il
legame di Edipo con la terra: in questi ultimi, poi, oltre al ruolo ricoperto dalla dea
primordiale della terra (Ea per gli Hittiti e i Babilonesi, Gea per i Greci), l'uso di meta-
fore agricole in riferimento alla castrazione del padre e all'unione con la madre
sembrano rilevare un'omologia fra incesto e autoctonia, un legame fra unione con la
figura materna e fecondità della terra323. Noteremo per inciso che già A. Brelich si
chiese se i termini del rapporto incestuoso per eroi e umani fossero derivati da modelli
divini324. D'altronde, l'uso di termini agricoli per descrivere l'incesto è attestato non solo
nell'Edipo Re325, ma anche nei Sette a Tebe (vv. 752-755): questa coloritura ctonia
dell'incesto faceva dunque tradizionalmente parte del mito di Edipo. Secondo la
Delcourt326, l'incesto di Edipo e Giocasta sarebbe una sorta di ierogamia che permette
all'eroe conquistatore di prendere possesso del suolo, cioè della regalità, e d'altronde
secondo un famoso passo di Artemidoro327, che sembra richiamare quando detto da
Giocasta nell'Edipo Re (vv. 981-982328) a proposito dei molti uomini che hanno sognato
di giacere con la propria madre, nel sogno «l'unione con la madre può essere segno di
vittoria, di conquista, (soprattutto di conquista del suolo, quindi di un regno e in genere
del potere) […]»329. Ma quando nel sogno la madre è sopra il figlio e lo cavalca, ecco
che allora l'incesto diventa simbolo di morte, perché la terra sta sopra solo ai morti330.
Quest'ambivalenza operante in ambito onirico trova un riflesso nell'ambiguità del
ruolo svolto dalla terra in ambito cosmogonico, di cui basterà dare un solo esempio: Gea
aiuta Crono a detronizzare Urano e offre il suo soccorso a Rea per salvare il piccolo
Zeus dal padre pedofago, ma contemporaneamente è madre dei Titani, dei Giganti e di
Tifeo, mostri che vanno tutti a minacciare l'ordine degli dèi. Da ultimo, noteremo
ancora una volta che l'ambivalenza vita/morte, generazione/disfacimento, potere/impo-
tenza, è caratteristica di Edipo e del rovesciamento totale della sua sorte331.
323 Cfr. EDMUNDS (1986: 243-ss.). In questi miti cosmogonici assumono particolare importanza i con-
flitti tra generazioni e la pratica dell'incesto, cfr. ADAMSON (1982); HARRIS (1992).
324 Cfr. BRELICH (1958: 288).
325 Vv. 260, 460, 1211, 1246, 1256-1257, 1405, 1485, 1497.
326 Cfr. DELCOURT (1944: 193, 209-ss.).
327 Artemid. Oneirokritikon (Il libro dei sogni), I 79. Sembra banale richiamare i contatti fra incesto e

tirannide, sottolineati da Platone in Repubblica, 9, 571c-d: cfr. a riguardo GENTILI (1986: 117) e in
generale supra.
328 πολλοὶ γὰρ ἤδη κἀν ὀνείρασιν βροτῶν / μητρὶ ξυνηυνάσθησαν […] .
329 Cfr. BRILLANTE (1986: 86-87).
330 Cfr. ibidem.
331 Cfr. ivi (1986: 89)

73
Propp invece l'incesto fra Edipo e Giocasta sempre sulla linea di un'interpretazione
strutturalista della fiaba, come già fatto per il parricidio-regicidio. Anche in questo
episodio si cela una contraddizione di fondo. Quando l'ostilità è ancora al genero, e cioè
il veicolo del potere rimane la donna (fase matrilineare), nella fiaba il padre per non
cedere il suo potere prende in sposa la figlia. Ma quando si comincia a entrare nella fase
patrilineare e a ricevere il potere è il figlio, si ha un altro paradosso che mira a far convi-
vere le due linee di trasmissione del potere: i due fratelli si sposano fra di loro. Secondo
Propp, dunque, Edipo si sarebbe dovuto sposare con la figlia del re, ovvero sua sorella,
non con la vedova del re, cioè sua madre. Ma lo studioso spiega questa eccezione addu-
cendo ad una perdita di valore, a seguito della decadenza della fase matrilineare, da
parte della figlia del re a favore della moglie del re: a essere regina, a detenere il potere,
non è più la figlia del precedente sovrano, sorella del nuovo, ma la moglie che il nuovo
re prende con sé332.

§ 3.4.2 Tipi ATU 931 e 933

Nella tradizione favolistica legata ai tipi ATU 931 e 933 il parricidio involontario è
necessario alla struttura narrativa perché è immediatamente precedente all'incesto:
permette al giovane protagonista di occupare il posto del padre, cioè di assumere su di
sé il ruolo lasciato vacante dalla sua morte, ovvero, in ultima istanza, di unirsi alla
madre.
Nella trattazione dei due crimini, i racconti del tipo ATU 931 generalmente seguono
uno schema piuttosto fisso333. Il giovane arriva nella casa o nella fattoria dei genitori,
ove viene assunto come guardiano del giardino, dell'orto, della vigna o del frutteto, col
compito di uccidere chiunque (a parte i proprietari) osi mettervi piede. Una sera, non
riconoscendo il padre perché non porta con sé il tradizionale segno di riconoscimento
(una torcia o qualsiasi altro segnale identificativo), il protagonista, scambiandolo per un
332 Cfr. PROPP (1975: 99-100, 125-126). Riguardo a un ipotetico matrimonio di Edipo con sua sorella,
aggiunge: “Effettivamente vi sono degli indizi che questa soluzione non sia interamente estranea al
popolo. Bernhard Schmidt, che ha raccolto le fiabe della Grecia contemporanea, comunica che gli sono
state raccontate fiabe in cui Edipo sposa la sorella. Purtroppo, egli non ha trascritto e pubblicato alcun
testo di questo tipo. Che nel sistema di questo intreccio, si postuli la sorella, è dimostrato nel modo
migliore dalla storia di Crono. Egli mutila e destituisce il padre Urano e sposa la propria sorella Rea.”
333 Così nella maggior parte dei racconti: si vedano i racconti ucraino e finlandese collezionati da FRA -

ZER (1983) e il tipo di Sant'Andrea, cfr. BAUM (1916: 597).

74
ladro, lo uccide [N323]. Dopo poco tempo la vedova (sua madre) si sposa con lui
[T412]. Se il protagonista è di natura malvagia, come Giuda, il motivo conosce una
variante: non è un guardiano, bensì un ladro. 334 Il giovane, ritornato a Gerusalemme
dopo l'allontanamento dal luogo d'adozione, incontra il governatore Pilato e si mette alle
sue dipendenze. Quando poi Pilato esprime il desiderio di avere una mela che ha visto
pendere da un albero appartenente a un frutteto privato, Giuda vi si reca e incontra il
padre proprio mentre sta rubando il frutto: ne nasce un litigio e Giuda uccide l'avver-
sario. In seguito a un dono di Pilato, riconoscente per i servigi di Giuda, egli sposa la
moglie del defunto, ovvero sua madre, ottenendo in dote anche la residenza e il frut-
teto335.
Ma esistono alcune eccezioni. In un racconto albanese il giovane arriva in un regno
straniero e, udito che vi è malcontento nei confronti del sovrano (il padre), si unisce
all'opposizione. Un giorno nota tre carri appena fuori città e visto che in uno di essi
scorge il sovrano tanto odiato, si dirige lì e uccide il rivale con una mazza. Allora
diventa re e sposa la regina vedova (la madre), da cui ha un figlio336.
Nel tipo ATU 933, come abbiamo già detto, il parricidio è quasi sempre assente 337.
Spesso quando Gregorio ritrova la madre, il padre risulta già morto oppure scomparso:
l'eroe protagonista salva la madre338, che governa sulla regione, dalle fastidiose richieste
matrimoniali di un signore vicino o da un esercito invasore. Dopo che il salvataggio è

334 Quella che riportiamo nel testo, di seguito, è la versione più comune della leggenda di Giuda. In altre
versioni egli si mette al servizio non di Pilato ma di Erode. I genitori hanno nomi diversi a seconda dell'e -
poca e della lingua: il padre è Reuben, Robel, Symon o Simeon; la madre Ciborea, Berenice, Liboria. In
alcune versioni greche medievali, cfr BAUM (1916: 522-527), Edipo è adottato prima da alcuni pastori e
poi dai suoi stessi genitori, che non sospettano della sua identità. Messosi al servizio di Pilato, dopo aver
ucciso il fratellastro in un litigio, si ripete la scena del giardino e del frutto, ma Giuda qui è consapevole
di uccidere se non il vero padre, almeno il padre adottivo. Sposa dunque la madre adottiva (la sua vera
madre) con la quale genera dei figli.
335 Nel racconto ebraico di Joshua bin Noun, “il figlio del pesce”, Joshua è il boia destinato ad applicare

la pena capitale su colui che, a sua insaputa, è suo padre: a lui vanno poi moglie, figli e proprietà dell'uc -
ciso. Non si hanno notizie certe su un rapporto fra il tipo di Joshua e quello di Giuda, ma il primo è sicu-
ramente un racconto più antico. Cfr. BAUM (1916: 602-604); EDMUNDS (1985: 68-69)
336 Cfr. HASLUCK (1983), che sottolinea le incoerenze presenti nella struttura del racconto: ad esempio,

all'inizio del racconto si dice che è figlio di un contadino, mentre più tardi figura come figlio di re.
337 Cfr. EDMUNDS (1985: 36).
338 EDMUNDS (1983: 158-159) ha ipotizzato che originariamente in questi racconti il parricidio, poi

rimosso, figurasse in una situazione guerresca: l'eroe arriva in un reame per conquistarlo, si scontra con
l'armata del padre e lo uccide in battaglia, poi sposa la madre – come nella leggenda di Nimrud. È d'uopo
segnalare che, tra le testimonianze addotte da Edmunds per formulare questa ipotesi, vi sono anche alcuni
cronici bizantini che riportano una versione razionalizzata del mito di Edipo, secondo il quale Laio, adi -
rato per il supporto guadagnato da Edipo nei Tebani grazie all'uccisione della Sfinge, avrebbe radunato un
armata contro il figlio, finendo poi ucciso in battaglia.

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compiuto, ella acconsente a sposare Gregorio339. In un racconto zingaro340, il protago-
nista Janos e sua madre si innamorano l'uno dell'altra e decidono di sposarsi. Nella
leggenda di Simeone il Trovatello341, il giovane arriva nella capitale e scopre che l'Impe-
ratrice non ha ancora sposato alcuno dei pretendenti. I nobili decidono allora di asse-
gnare al caso la decisione: l'imperatrice lancerà una mela e sposerà colui a cui piedi il
frutto si fermerà. Il prescelto, tra l'incredulità generale, è proprio Simeone.

§ 3.5 Riconoscimento e conclusione dell'intreccio

§ 3.5.1 La scoperta della verità: la sparizione del corpo di Edipo

Sugli effetti tragici del riconoscimento fra madre e figlio nella vicenda di Edipo
abbiamo già discusso. Nella ricostruzione dell'Edipo pre-tragico da noi operata (cfr.
supra cap. I) abbiamo notato che l'agnizione, almeno nella tradizione omerica (e forse
anche nell'Edipodia) avveniva in maniera sensibilmente diversa rispetto alle versioni
tragiche, almeno in due direzioni, tra loro inscindibili: nel tempo, perché la verità era
rivelata dagli dèi subito dopo l'unione con Giocasta, e negli effetti causati dalla scoperta,
dacché il riconoscimento da parte di Edipo dei propri crimini non generava il rovescia-
mento totale che invece investe la sua figura nell'Edipo Re. La dilatazione temporale
operata dai tragediografi ateniesi, forse sullo spunto di una tradizione precedente (e
alternativa a quella omerica), conferisce al mito un'impostazione segnatamente tragica:
le colpe di Edipo, che altrove non sono menzionate o non gli procurano altri dolori se
non quelli dipendenti dalle Erinni, sono qui gravissime e irrimediabili, e lo costringono
a vivere da reietto e maledetto.

Può essere interessante considerare ora il mito di Telefo, che è particolarmente


affine a quello di Edipo: in particolare, ne sembra una versione «indebolita»342. Tra i
vari elementi in comune (profezia, esposizione per mare o per terra, mutilazione ai
piedi, etc.) compaiono anche l'omicidio di un familiare (parricidio in Edipo, uccisione
degli zii materni in Telefo) e l'unione con la madre: ma laddove l'incesto fra Giocasta ed
339 Cfr. BAUM (1916: 596).
340 Cfr. KARPATI (1983). Così anche in una versione della leggenda di Giuda.
341 Cfr. KRAUSS (1983).
342 Cfr. BETTINI-BORGHINI (1979: 142).

76
Edipo trova compimento, quello tra Telefo e Auge è miracolosamente evitato, proprio
grazie a un riconoscimento tempestivo: la donna, che ha in odio il giovane, sta per ucci-
derlo nel talamo nuziale, quando un serpente, inviato da Eracle (padre di Telefo), fa sì
che i due si possano riconoscere343.
Nell'Edipo Re il riconoscimento avviene in seguito all'inchiesta di Edipo, ma è la
morte di Polibo, padre putativo dell'eroe, e il successivo arrivo del messaggero corinzio
a permettere il chiarimento della vicenda: quest'ultimo testimonia di aver ricevuto Edipo
dalle mani di un pastore tebano, il quale, interrogato, a sua volta afferma che il neonato
gli era stato consegnato da Giocasta perché venisse esposto. L'identità di Edipo appare
dunque tragicamente chiara: è il figlio di Laio e Giocasta, è un parricida e un ince-
stuoso. Ma esistono altre varianti: la verità è rivelata dagli dèi 344, oppure viene scoperta
da Giocasta grazie alle cicatrici sui piedi di Edipo345 o a seguito di ripetute domande al
giovane sposo sulla sue origini: Melibeo, l'uomo che ha cresciuto Edipo, conferma di
averlo trovato nella foresta, e Giocasta capisce che il bambino da lei esposto è proprio
Edipo346. In Igino, che riprende il tema euripideo del sacrificio di Meneceo, compaiono
la pestilenza, la morte di Polibo, la rivelazione da parte di Peribea (che qui è il nome
della regina di Corinto) della natura di trovatello di Edipo e il suo riconoscimento da
parte del pastore che l'aveva esposto, Menete, grazie alle cicatrici sui piedi 347. Possiamo
dunque notare che la mutilazione in alcuni casi assolve anche alla funzione di favorire il
riconoscimento del protagonista: il medesimo schema, come vedremo, si ripete in alcuni
racconti dei tipi ATU 931 e 933.
Pisandro348 riporta invece una versione del mito in cui Edipo, che dopo aver ucciso
Laio lo aveva privato di spada e cinturone, mostra poi questi oggetti, come fossero trofei
di guerra, a Giocasta. La regina capisce che è Edipo l'uccisore del marito Laio, ma a
rendere finalmente nota l'identità del giovane è la testimonianza di un allevatore di
cavalli di Sicione, che racconta come abbia trovato il neonato per poi consegnarlo alla
regina Merope. A riprova della sua testimonianza, mostra le fasce in cui il bambino è
stato avvolto e i punteruoli con cui gli sono stati perforati i piedi.

343 Diod. 4, 337; Hyg., fab. 100, 244


344 Hom., Od. XI, 271-280.
345 II Myth. Vat. 230.
346 Cedrenus 25C; Joh. Antioch. FHG 4 fr. 8; Malalas 061.
347 Hyg., Fabulae 67.
348 Schol. Eurip. Phoen. 1760 = FgrHist 16 F 10

77
Andando oltre il tema del riconoscimento, facciamo un riepilogo delle conseguenze
che esso comporta per i personaggi del mito. Abbiamo già visto che Giocasta si suicida
impiccandosi (in diversi momenti, a seconda della variante) oppure trafiggendosi con
una spada sopra il corpo dei figli morti, o ancora, è uccisa da Edipo 349. Nei precedenti
capitoli abbiamo parlato lungamente anche della morte dello stesso Edipo, che è varia-
mente declinata350: a Tebe, come re oppure prigioniero in un'oscura parte del palazzo; in
esilio; a Colono. Nella misteriosa morta che occorre all'eroe nell'Edipo a Colono
qualche studioso ha interpretato la sparizione del corpo di Edipo come un «inghiotti-
mento» da parte della terra. Il testo sofocleo, d'altronde, non sembra negarlo:

οὐ γάρ τις αὐτὸν οὔτε πυρφόρος θεοῦ


κεραυνὸς ἐξέπραξεν οὔτε ποντία
θύελλα κινηθεῖσα τῷ τότ᾽ ἐν χρόνῳ,
ἀλλ᾽ ἤ τις ἐκ θεῶν πομπὸς ἢ τὸ νερτέρων
εὔνουν διαστὰν γῆς ἀλύπητον βάθρον.

Non fu un lampo divino col suo fuoco


a prenderlo, o dal mare una tempesta
scoppiata allora; forse fu una guida
mandata dagli dei o benevolmente
si spalancò dal fondo della terra
l'abisso senza pena di chi è morto351.

Edipo scompare e dopo la sua morte il suo corpo eroico apporta protezione all'At-
tica da una zona liminare della regione, appunto il demo di Colono. Edipo viene dunque
accolto dalla terra, in accordo con la natura ctonia della sua nuova dimensione eroica:
assurge infatti al ruolo di eroe protettore, demone sotterraneo cui vanno tributati onori e
culti al fine di assicurarsi la sua protezione352.

349 Cfr. supra capp. I-II. Cfr. inoltre EDMUNDS (1985: 15).
350 Cfr. supra capp. I-II. Per un breve riepilogo, cfr. RODIGHIERO (2007: 7-20).
351 Trad. di A. Rodighiero.
352 Cfr. BRILLANTE (1986); GUIDORIZZI (2012: 63-64), che ricorda altri casi di scomparse misteriose

sotto la terra nel mondo greco: Cleomede, Anfiarao, Anfiloco. Anche Altamene, la cui vicenda è singolar-
mente affine a quella di Edipo (secondo una profezia è destinato a uccidere suo padre: il tentativo di
ingannare il fato è vano, cfr. supra), sparisce dentro una voragine della terra, divenendo un eroe ctonio.

78
§ 3.5.2 Edipo «interrato» nella tradizione latina classica e medievale

La letteratura latina, prima con Seneca 353 e poi con Stazio354, segue e innova la tradi-
zione, già euripidea e forse originaria della Tebaide ciclica, che vuole Edipo finire i
propri giorni a Tebe, rinchiuso in un nascondiglio buio e isolato: un luogo occultato in
cui lo sventurato protagonista termina lentamente la sua vita, di tra il disprezzo e il
dolore. È un Edipo che subisce un occultamento, ma da vivo – non dunque un eroe
ctonio.
Nel Medioevo cristiano è proprio quest'Edipo latino a essere recuperato, per tramite
di Stazio stesso ma soprattutto dell'introduzione al primo libro della sua Tebaide scritta
da Lattanzio Placido (V-VI secc. a.C.), in cui l'esegeta narrava la vita di Edipo 355. Nelle
Vitae medievali Edipo figura come un personaggio occultato dal mondo, vivo ma
rinchiuso in luogo oscuro e isolato: in domicilio subterraneo, in fossa, in caverna, in
spelunca terrae, in domo subterranea, etc.356
Prima di dedicarsi alla discordia fra Eteocle e Polinice, che costituisce il vero fulcro
del romanzo, il trovatore del Roman de Thèbes racconta la storia di Edipo in un'ampia
sezione introduttiva (vv. 1-513), nella quale compaiono quasi tutti gli elementi princi-
pali della vicenda (profezia, esposizione, etc.). Il romanzo in antico francese, la cui
composizione può essere congetturata attorno al 1150, sembra riprendere, con qualche
variazione, la medesima versione riportata dal Mitografo Vaticano II, per cui si è invece
ipotizzata una datazione risalente all'epoca carolingia357.
In questa versione in lingua d'oil figurano però esasperazioni patetiche del tutto
assenti nelle fonti antiche e nello stesso Mitografo Vaticano II 358. Ad esempio, la figura
di Giocasta appare notevolmente coinvolta a livello emotivo: protesta contro Laio

353 Sen., Phoen., v. 359, ove Edipo afferma: […] lateba rupis exesae cavo, “[...] starò nascosto nel cavo
di una roccia corrosa”.
354 Stat., Theb., v. 580, in cui si dice che Edipo, venuto a conoscenza dello scontro fra Eteocle e Polinice,

erupit tenebris saevoque in limine profert, “si lancia fuori dal suo oscuro nascondiglio”.
355 Per Edipo nel Medioevo e per una trattazione, piuttosto convincente, della derivazione da Stazio e Lat-

tanzio Placido dei romanzi in lingua d'oil sulla materia tebana e del Mitografo Vaticano II, cfr.
EDMUNDS (1976: 141-142). Secondo Edmunds, un indizio lampante di tale derivazione sarebbe da
ricercare nell'error coniunctivus compiuto da Lattanzio Placido, e poi confluito in tali opere medievale,
secondo il quale Polibo è Rex Phocidis, con un'evidente confusione fra luogo d'esposizione di Edipo
(appunto la Focide) e reame di Polibo. Per un riepilogo sul personaggio di Edipo tra latinità e Medioevo
cfr. inoltre EDMUNDS 2006 (57-79).
356 Cfr. RODIGHIERO (2007: 16), con gli opportuni rimandi bibliografici.
357 Cfr. BAUM (1916: 610-614); EDMUNDS (1976: 142); HAHN (1980: 226).

79
quando egli vuole esporre il bambino; consuma un lutto di quindici anni per la presunta
morte del figlioletto; non appena vede Edipo s'innamora perdutamente di lui, nonostante
il giovane le riveli, in segreto, che è stato proprio lui a uccidere Laio. Non è difficile
vedere in questo pathos talora esagerato talaltra minimizzato, quando non assente (dopo
un lamento iniziale, Giocasta – e con lei tutti gli altri personaggi – dimenticano l'ucciso
Laio), riflessi più o meno evidenti dell'ambiente cortese, soprattutto nell'amore tra dama
e cavaliere (Edipo è infatti esplicitamente definito chevalier). Inoltre, i tre servi incari-
cati da Laio di uccidere Edipo – oltre a rivelarsi poi funzionali al motivo del riconosci-
mento, insieme alle cicatrici impresse sui piedi del giovane – nel momento decisivo
hanno un moto di pietà che impedisce loro di portare a termine il cruento compito: il
sorriso del bambino li fa propendere per l'esposizione e la mutilazione 359: «esecutori
compassionevoli», danno al neonato una morte solo figurata, simbolica. Dopo la tragica
scoperta delle sue origini, ad ogni modo, Edipo si acceca e si rinchiude in una prigione
sotterranea fino alla fine dei suoi giorni (così anche nel Mitografo Vaticano II) e da qui
poi scaglia la sua maledizione nei confronti dei figli360.
Il personaggio di Edipo, oltre a figurare come protagonista nel Roman d'Edipus,
romanzo in prosa derivato dal Roman de Thèbes, composto probabilmente nel XIV sec.
e dato poi alle stampe due secoli dopo, compare anche in un planctus, un lamento latino
scritto da un autore ignoto probabilmente nel XII sec. 361 Il breve componimento consta
di ventuno quartine monorima, in cui Edipo, sul modello di altri lamenti medievali,
parla dei suoi peccati con toni affatto personali e patetici, e a tratti quasi lacrimosi: la
sua vicenda è interiorizzata e cristianizzata, il suo dramma esposto con viva consapevo-
lezza362. Ai vv. 74-76 si fa menzione della sua condizione di recluso 363, specificando che
Edipo si trova in una cisterna, termine che probabilmente ha il medesimo valore di

358 Cfr. ibidem; ivi (1976: 144-145). Secondo Edmunds [146], il parricidio, che qui non avviene a un cro-
cicchio ma durante una festa in onore di un dio (Edipo uccide Laio prendendo parte a una rissa nata a
causa di un litigio sul gioco del disco), potrebbe essere il risultato della fusione fra mito di Edipo e mito di
Perseo, in cui l'eroe uccide accidentalmente il nonno Acrisio proprio con un disco.
359 Sulla particolarità di quest'esposizione cfr. supra. Come ricorda anche EDMUNDS (1976: 145 n.21),

il bambino destinato a morire che, grazie al suo sorriso, spinge a compassione i suoi esecutori compare
anche nell'episodio di Cipselo, narrato in Erodoto III, 92.
360 Cfr. EDMUNDS (1976: 144).
361 Cfr. BAUM (1916: 610-614); EDMUNDS (1976: 148-149). Per un'analisi linguistica del lamento di

Edipo, cfr. HAHN (1980).


362 Cfr. HAHN (1980: 229-ss.).
363 In cisterne me clausi latebris. / Instar agens nenie funebris / In merore vexi ac tenebris.

80
sepulcrum364.
Come vedremo fra poco, al di là di queste testimonianze dirette sul personaggio di
Edipo, la sua vicenda potrebbe aver influenzato notevolmente numerose leggende
cristiane medievali, pertinenti ai tipi ATU 931 e 933, che se da una parte presentano la
caratterizzazione del protagonista quale peccatore che, redimendosi, diventa infine santo
o papa (Andrea di Creta, S. Gregorio), dall'altra lo vedono figurare come il peccatore
per antonomasia, Giuda Iscariota,365.

§ 3.5.3 Tipi ATU 931 e 933

Nei racconti legati ai tipi ATU 931 e 933 lo smascheramento del protagonista soli-
tamente avviene dopo un breve lasso di tempo, ma non mancano casi in cui l'incesto
porta a un'unione più lunga o addirittura alla nascita di bambini 366. Il finale della storia
può essere estremamente tragico, e dunque spingere il giovane uomo a uccidere la
madre e addirittura i figli, oppure risolversi in un semplice allontanamento fra madre e
figlio367.
Il riconoscimento è variamente motivato368: a favorirlo possono essere le cicatrici
che il bambino porta con sé a causa della mutilazione subita 369; alcuni oggetti di varia
natura esposti col bambino (vangeli, gioielli, denaro, etc,) o anche lettere e tavolette
contenenti la storia del trovatello370; l'involucro materiale (cassa, tavolo, barile, arca,
etc.) dentro il quale il neonato è stato abbandonato; la confessione dello stesso

364 Cfr. RODIGHIERO (2007: 16).


365 Cfr. COMPARETTI (1867: 89-90); D'ANCONA (1869); BAUM (1916); EDMUNDS (1976: 149-
155); EDMUNDS (1986).
366 Cfr. PROPP (1975: 127-128), che dice anche come nella fiaba tutto avvenga molto semplicemente e

nel giro di poche righe.


367 In due racconti finlandesi raccolti da EDMUNDS (1985: 37) madre e figlio continuano a vivere

insieme anche dopo il riconoscimento, ma come madre e figlio. Nel racconto zulù di Usikulumi l'unione
non viene abbandonata neppure dopo la scoperta della verità.
368 Cfr. PROPP (1975: 127-128). Nella collezione di EDMUNDS (ibidem) figurano due racconti in cui è

la pedofagia del protagonista a causare il riconoscimento.


369 Nei racconti ucraino e finlandese raccolti da FRAZER (1983). Il riconoscimento del giovane attra-

verso la cicatrice vi è anche nella leggenda di Andrea di Creta.


370 Nella storia zingara di Janos, cfr. KARPATI (1983), si tratta di una lettera scoperta dalla madre. Così

anche nel racconto slavo di Simeone il Trovatello, cfr. KRAUSS (1983). Nella versione della leggenda di
S. Gregorio riportata da BAUM (1916: 596) a causare il riconoscimento sono alcune tavolette che erano
state abbandonate col neonato.

81
giovane371 in seguito alle domande della madre-sposa 372; infine, l'intervento di un perso-
naggio terzo. Questi motivi possono trovarsi anche combinati tra loro 373 e si nota talora
una coincidenza fra l'oggetto che scatena l'allontanamento del giovane e quello che
permette alla madre di riconoscerlo.

§ 3.5.3.1 Penitenza, interramento e apoteosi: la leggenda cristiana

Spesso il riconoscimento fra madre e figlio incestuosi [T412] spinge il giovane (o


talora entrambi i personaggi) a una penitenza, al termine della quale il giovane protago-
nista, vivo o morto, può venire esaltato in varie maniere come fulgido esempio di virtù
cristiana: diventa prete, vescovo, papa o santo374.
Nel suo studio su Edipo e il folklore375, V. Propp vede nella penitenza del peccatore
seguita dalla sua esaltazione cristiana una “seconda apoteosi”, laddove la “prima
apoteosi” consiste nell'ascesa del protagonista allo statuto regale grazie al parricidio,
all'atto di valore o più generalmente in seguito all'incesto che si qualifica nella conquista
della sposa-madre. Ciò accadrebbe anche all'Edipo sofocleo, le cui due apoteosi sono
indicate rispettivamente nella sconfitta della Sfinge e nell'eroizzazione a Colono.
Ma abbiamo già discusso del valore simbolico della morte nell'Edipo a Colono:
essa non può dare adito a ipotesi di santificazione ante litteram sulla base di imprecisati
(e assenti) segni di pentimento di Edipo, che seguita a pronunciarsi innocente finché ne
ha facoltà. L'eroe non è innalzato per meriti personali o per una rinnovata statura
morale, ma piuttosto perché tale è il volere degli dei. Il rovesciamento che lo investe è
dunque doppio: da re a reietto, e poi da emarginato a eroe protettore. Tuttavia, abbiamo
sottolineato che la miracolosa morte di Edipo, «inghiottito dalla terra», pertiene a una
sua eroizzazione che lo lega alla sfera ctonia. Nelle pagine precedenti, poi, abbiamo
anche accennato alla natura dell'Edipo latino, il quale appare sempre legato alla terra ma
in maniera diversa rispetto al personaggio sofocleo: è un inghiottimento che tocca a
371 È il caso di Potamete, cfr. MEGAS (1983), in cui però la storia si chiude, ed è un dato singolare, pro-
prio sulla scena del riconoscimento, senza dirci alcunché sul futuro dei due personaggi.
372 Nel racconto slavo collezionato da KRAUSS (1983). Alla fine della storia il giovane, in preda al

dolore, si allontana.
373 Nel racconto albanese trattato in HASLUCK (1983) il giovane re comincia a chiamare “madre” la pro-

pria sposa: si recano dunque insieme da un indovina, che rivela loro di essere imparentati. Ma lo smasche-
ramento vero e proprio avviene grazie ad una collana che la madre aveva posto attorno al collo del figlio
al momento dell'abbandono: in seguito a ciò, il giovane uccide la madre-sposa e il proprio bambino.
374 Cfr. EDMUNDS (1985: 37).
375 Cfr. PROPP (1975: 129-134)

82
Edipo mentre egli è ancora in vita, e che lo costringe a trascorrere dentro la terra, in uno
spazio buio, profondo e isolato (grotta, caverna, stanza, etc.), la restante parte della sua
esistenza. Inoltre, nel planctus del XII sec. Edipo appare pentito dei suoi peccati e peni-
tente: assume, insomma, una statura quasi cristiana.
L'esaltazione che tocca all'eroe di alcune fiabe e leggende è invece inscindibile dalla
morale cristiana: non c'è peccato, volontario o involontario, che possa condannare
l'uomo all'inferno se il suo pentimento è sincero ed egli si rifugia nella misericordia
divina. Vi è quindi l'idea cristiana del perdono, applicata ai crimini forse più gravi che
un individuo possa compiere: uccidere il padre dal cui seme è nato e giacere con la
madre che l'ha portato in grembo. Se il peccatore cerca la penitenza e il perdono di Dio,
egli potrà essere salvato e persino innalzato: e lo è per meriti personali, perché ha
conquistato con il suo sacrificio, attraverso il dolore, un'eccezionale statura morale376.
La penitenza, indicata da un rappresentante del clero377, è spesso connessa alla sfera
ctonia378: il protagonista deve scontare la sua prigionia in un pozzo, un sotterraneo, una
caverna o una cantina (Andrea di Creta)379, oppure rimanere incatenato a una roccia, una
torre o un castello su un'isola deserta (S. Gregorio) 380. Spesso il protagonista viene inca-
tenato e la chiave con cui sono state assicurate le sue catene è gettata in mare. Talora è
376 Notava la differenza fra innalzamento di Edipo e apoteosi dei santi cristiani già COMPARETTI (87-
88), che rimarcava in tal modo l'impossibile derivazione di tali leggende dal mito di Edipo. Sulla volonta-
rietà o involontarietà della colpa, facciamo un breve esempio: S. Giuliano si macchia di parricidio volon -
tario mentre Andrea di Creta lo compie inconsciamente, eppure entrambi vengono santificati. Secondo
BAUM (1916: 483-488), gli autori di tali racconti “did not recognize the difference between crimes that
are predestined by Fate, or are ignorantly committed, and those which are undertaken with malice pre -
pense.” Cfr. inoltre EDMUNDS (1975: 149).
377 Nei racconti ucraino e finlandese citati da FRAZER (1983) e nella versione più diffusa della leggenda

di Andrea di Creta, cfr. BAUM (1916: 597), il protagonista chiede a tre diversi rappresentanti del clero
come egli possa espiare i suoi peccati: non apprezzando quanto gli viene detto, uccide i primi due
sacerdoti, ma obbedisce infine al terzo.
378 Cfr. EDMUNDS (1985: 38); GUIDORIZZI (2012: 50-67). In un racconto ucraino (cfr. n. 347) la peni-

tenza è doppia e particolare: innanzitutto, il giovane deve piantare un ramo di melo su un monte e recar-
visi ogni giorno avanzando sulle ginocchia e con la bocca piena d'acqua; quando le mele saranno mature,
egli dovrà scuotere l'albero: se cadranno tutte, sarà perdonato. Ma quando dopo venticinque anni scuote
l'albero, sui rami rimangono due mele, e gli viene dunque assegnata un'altra penitenza: è rinchiuso in un
pozzo, ma la chiave è ritrovata solo dopo altri trent'anni. Giacché nel frattempo è già morto, quando il
miracolo è compiuto egli viene santificato.
379 Cfr. BAUM (1916: 597). Dopo che Andrea di Creta è stato incatenato al pavimento di un sotterraneo,

il lucchetto delle catene è conservato nel naso della madre e la chiave è gettata in mare: Andrea verrà libe-
rato quando la cantina si riempirà di terra. Dopo trent'anni di penitenza, la chiave viene ritrovata e la can -
tina è aperta: è ora piena di terra e Andrea viene trovato vivo, mentre completa il Megas Kanon. Viene
dunque ordinato vescovo di Creta e dopo la morte è santificato. Sulla natura eziologica della leggenda di
Andrea, che spiegherebbe l'origine del suo canone, cfr. EDMUNDS (1985: 37). Cfr. inoltre KRAPPE
(1983: 127). In altre versioni, Andrea, al momento della liberazione, è già morto: la santificazione è
immediata. Cfr. PROPP (1975: 88).

83
condannato a scavare un pozzo nella roccia381.
La penitenza può durare anni, anche decenni, ed è solitamente un miracolo a porvi
fine: un sogno382, un evento impossibile383, o più spesso il ritrovamento della chiave nel
ventre di un pesce384 – secondo una variante [N421] del motivo dell'anello di Policrate
[N211.1]. La volontà di Dio è dunque chiara: la punizione del peccatore è terminata. Si
corre pertanto da lui per liberarlo e cristianamente esaltarlo.
Forniamo qualche esempio di questo sviluppo finale. S. Gregorio diventa prima
Papa e poi santo385. In un racconto zingaro, il protagonista Janos 386 segue il medesimo
percorso di Gregorio. Così anche il protagonista di una favola siciliana, Crivòliu 387, e
Paolo di Cesarea, in una leggenda bulgara – ove però il protagonista non viene fatto
papa, ma solo perdonato insieme alla madre, e in maniera molto simile a quanto succede
nell'italiana Leggenda di Vergogna388. Nella leggenda medioevale di Simeone il Trova-
tello389, che pure presenta affinità con la leggenda di Gregorio (es. assenza del parri-
cidio), sembra trovare spazio anche il tipo di Andrea di Creta, che in alcune versioni
muore durante la prigionia. Simeone sconta infatti la sua prigionia in cella e al momento
380 Nella versione riportata da BAUM (1916: 596) S. Gregorio sconta un esilio di diciassette anni incate-
nato a una roccia isolata in mezzo al mare. Poi un giorno, rimasto vacante il trono di Pietro, un angelo
annuncia nomina Papa proprio Gregorio. Nel frattempo la chiave viene ritrovata. Gregorio è dunque libe-
rato e viene fatto papa, mentre sua madre (che qui è la contessa di Aquitania), recatasi un giorno a Roma
per confessarsi, riconosce il figlio nel nuovo Papa e decide di prendere i voti come suora. Secondo altre
versioni, in cui il padre compare, sono entrambi i genitori ad andare a Roma.
381 In un racconto finlandese (cfr. n. 347) la penitenza coinvolge madre e figlio: il giovane deve scavare

un pozzo nella roccia, mentre la madre, vicino a lui, deve sorreggere una pecora nera. Quando il figlio
troverà dell'acqua e la pecora diventera bianca, essi saranno liberati. Gli eventi miracolosi trovano compi-
mento quando il protagonista uccide, in un alterco, un uomo malvagio. È allora perdonato e può vivere in
pace.
382In alcune versioni della leggenda, S. Gregorio diventa Papa per acclamazione in seguito a un sogno

divino occorso al clero romano. Cfr. GUIDORIZZI (2012: 55).


383 Cfr. supra, n. 349.
384 Secondo PROPP (1975: 132) la chiave rappresenta simbolicamente l'eroe, che pertanto è di nuovo, ma

stavolta metaforicamente, gettato in mare e salvato. Questo testimonierebbe di un primo stadio del motivo
folklorico dell'esposizione, in cui l'eroe veniva inghiottito. A questo riguardo, sull'analogia chiave-perso-
naggio, EDMUNDS (1985: 38) nota che effettivamente in un racconto ebraico è l'eroe stesso a essere
inghiottito dal pesce e a essere poi trovato dal padre adottivo dentro il ventre dell'animale.
385 Cfr. supra, n. 351.
386 Cfr. KARPATI (1983).
387 Cfr. LO NIGRO (1957: 218-219), che riporta anche altre due varianti siciliane del tipo 933. Crivòliu,

che dopo il riconoscimento si è chiuso in una grotta in cui rimane permanentemente seduto per terra a
braccia conserte, dopo anni di penitenza viene infine scelto da una colomba che secondo i cardinali si
poserà su colui che diventerà il nuovo Papa. I genitori (che, segnaliamo, qui sono di umili origini) si
recano infine a Roma: qui il figlio li perdona e trascorre con loro il resto della sua vita. Per Gregorio, cfr.
supra, n. 351. Per Crivòliu, cfr. inoltre EDMUNDS (1985: 107-109).
388 Cfr. BAUM (1915: 599); EDMUNDS (1985: 109-116, 183-185). Per la leggenda di Vergogna, cfr.

D'ANCONA (1869).
389 Cfr. KRAUSS (1983).

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della liberazione (nove anni dopo) è rinvenuto morto con una candela accesa sulla sua
testa: i fedeli ne ottengono la santificazione. Nella leggenda di Andrea di Creta, invece,
il penitente è generalmente trovato ancora vivo: ordinato vescovo dell'isola greca, porta
a compimento il Megas Kanon e viene poi santificato dopo la morte390.
Il corpo del santo, dopo la sua dipartita, diventa ovviamente fonte di miracoli, come
viene tramandato da altre leggende agiografiche che esulano dai tipi ATU 931 e 933, e
in cui il santo o la santa, d'altronde, deve sempre superare la prova dell'interramento:
dopo la sua morte, nelle vicinanze della tomba principiano ad accadere miracoli e prodi-
gi che portano alla sua santificazione391. Ad esempio, nella Vita di San Giovanni nel
pozzo, leggenda meravigliosa sorta intorno al culto di un santo anatolico, il protagonista
rimane per dieci anni chiuso in un pozzo, resistendo ad ogni sorta di tentazione offerta-
gli dal demonio392. Negli apocrifi Atti di Paolo e Tecla si narra di Santa Tecla, un'asceta
amica di San Paolo, chiusasi in una grotta dell'Asia Minore e per settantadue anni ivi ri-
masta a compiere miracoli e guarigioni, fino al momento in cui, allo scopo di salvarla da
alcuni ragazzi che vorrebbero stuprarla, la terra non la inghiotte misteriosamente393.
Affatto particolare è infine il caso di Sant'Albano, che pertiene al tipo ATU 931A.
Sottolineando ancora una volta che in tale leggenda il bambino nasce da un incesto con-
sumato tra padre e figlia (rispettivamente nonno e madre di Albano), in essa è la madre
a riconoscere il figlio, grazie ad alcuni gioielli e ornamenti preziosi da lei abbandonati
insieme al neonato al momento dell'esposizione. La penitenza qui è assegnata a padre,
madre e figlio: essi devono camminare per sette anni dentro dei sacchi. Quando il tempo
previsto è ormai passato e i tre si trovano sulla via di casa, ecco che si smarriscono nel
deserto. Qui ha luogo un nuovo amplesso tra padre e figlia: in un accesso d'ira, Albano
li uccide. A causa della nuova colpa, egli deve compiere una seconda penitenza, che
dura fino alla morte. Quando il suo cadavere comincia a fare miracoli, si procede alla
sua santificazione394. L'ultima parte di tale leggenda è suscettibile di essere collegata alle
leggende di S. Giuliano l'Ospitaliere e Sant'Ursio, che sembrano fra loro strettamente

390 Cfr. supra, n. 350.


391 Cfr. GUIDORIZZI (2012: 64-67).
392 Cfr. ibidem; GUIDORIZZI (1983).
393 Cfr. GUIDORIZZI (2012: 24, 66-67)
394 Cfr. BAUM (1916: 599-600). Ma KRAPPE (1983: 126) riporta un'altra versione della leggenda, nella

quale in seguito al riconoscimento di Albano madre e figlio decidono di separarsi per terminare i propri
giorni in severa penitenza.

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connesse: sia Giuliano che Ursio provano a ingannare una profezia, da loro ricevuta
quando sono già quasi adulti, secondo la quale uccideranno il padre o entrambi i geni-
tori. Ma i loro tentativi sono vani: per un errore, Giuliano uccide padre e madre; Ursio il
padre, la moglie e il figlio. Nonostante i loro peccati, dopo una vita da penitenti, sono
infine santificati395.

§ 3.5.3.2 La leggenda di Giuda: personificazione del Male

Tra tutte le leggende cristiane medievali raccolte e studiate in comparazione al mito


di Edipo, è quella in cui l'apostolo traditore Giuda figura come protagonista a presentare
le affinità maggiori con la vicenda dell'eroe tebano. Le varie versioni della leggenda
sembrano ricalcare, in una prima parte del racconto, il modello dell'eroe-peccatore-peni-
tente esemplificato da S. Gregorio o Sant'Albano. La penitenza di Giuda, parricida e
incestuoso, dapprima pare sincera e lo porta a entrare nella cerchia degli apostoli di Cri-
sto, ma poi la storia subisce un ulteriore rovesciamento: come sappiamo, Giuda tradisce
Gesù, ricadendo nel peccato e causando la morte del figlio di Dio. Infine, si suicida 396.
Secondo la versione più comune, il riconoscimento avviene in seguito ad alcune
domande che lo stesso Giuda fa alla propria madre, ma esistono molte varianti del
motivo. Ad esempio, in alcuni manoscritti latini al momento dell'esposizione le sue tibie
vengono perforate: questa mutilazione è poi funzionale al riconoscimento, dacché –
come già per Edipo e per tanti personaggi del mondo favolistico – la madre scopre l'i-
dentità del figlio proprio grazie alle sue cicatrici.397
La leggenda sembra quasi riflettere l'idea paolina di una peccaminosità congenita
legata a una dannazione originale, che l'uomo è portato inevitabilmente a dover scon-
tare, di là della sua volontà personale: Giuda, come Edipo, non compie parricidio e ince-
sto volontariamente, ma questo non sembra fare alcuna differenza 398. Inoltre, risulta
chiaro che scopo della leggenda è non solo rappresentare in Giuda il traditore di Cristo,

395 Cfr. EDMUNDS (1976: 151 nn. 41-42). Come vediamo, che la colpa sia volontaria (Albano) o invo-
lontaria (Giuliano, Ursio) non sembra fare alcuna differenza: per questa tematica, cfr. supra n. 347.
396 Secondo una versione slava della leggenda, riportata da KRAUSS (1983), Giuda fa compie un'azione

malvagia anche da morto: dalle sue ossa germoglia la prima pianta di tabacco.
397 È il “Tipo A” delineato da BAUM (1916: 620). In queste versioni Giuda è esposto in una foresta, pro-

prio come Edipo. Il “Tipo A” racchiude in sé i manoscritti che contengono la versione della leggenda più
simili al mito greco.
398 Cfr. BAUM (1916: 483-484) che non si sbilancia in ipotesi riguardo a possibili credenze fatalistiche

nel Medioevo. Cfr. inoltre EDMUNDS (1976: 149). Cfr. supra n. 347.

86
ma anche l'anti-cristiano per eccellenza: colpevole di crimini indicibili e vergognosi, la
sua debolezza e malvagità non gli permettono di ottenere la misericordia divina. Per
questo egli è un dannato. Di manoscritto in manoscritto, vengono aggiunti o enfatizzati
particolari negativi, azioni malvagie che egli compie al solo scopo di generare male e
dolore: ad esempio, in alcune versioni greche Giuda uccide non il suo fratellastro (come
in alcuni testi latini) ma il suo vero fratello, e lo fa per avidità, perché non vuole divi-
dere il patrimonio del padre399. Il tipo di Giuda si pone quindi direttamente in opposi-
zione a quello di Gregorio: morale della leggenda non è affatto l'esaltazione del protago-
nista, ma piuttosto la sua diffamazione.
Le versioni della leggenda di Giuda sono innumerevoli400. Ne compaiono in quasi
ogni lingua europea: latino, greco, lingue neolatine, germaniche, baltiche, slave. I mano-
scritti più antichi sono in latino, ma uno studio comparato dei motivi presenti in tutte le
varianti note ha portato P. F. Baum (che, proprio basandosi sui testimoni latini, ha
datato la formulazione della leggenda almeno alla seconda metà del XI sec.), a ipotiz-
zare che sia una versione provenzale (da una Passion del XIV sec.) a conservare la
vicenda di Giuda nella sua struttura più elementare, la più vicina forse allo schema nar-
rativo che la leggenda, poi ampliata e modificata, seguiva in origine.401

399 Cfr. BAUM (1916: 523-524). In queste versioni Giuda viene adottato in tarda età dai suoi stessi geni-
tori, che naturalmente nulla sospettano sulla sua reale identità. Il fratricidio di Giuda, nota Baum, ricorda
molto da vicino l'episodio biblico di Caino e Abele.
400 Per questo motivo ci siamo limitati a segnalare di volta di volta gli elementi più interessanti e originali

prelevandoli solo da alcune versioni. Dare conto di tutte le diverse varianti sarebbe stata un'operazione
lunga, laboriosa e piuttosto ripetitiva, nonché pedante, dal momento che lo ha già fatto BAUM (1916),
ottenenendo in risultato un lavoro che, tra l'altro, è difficilmente migliorabile.
401Cfr. BAUM (1916: 515, 518, 615-617): gli elementi principali di questo proto-Giuda sarebbero l'e-

sposizione in seguito al massacro degli innocenti, il parricidio, l'incesto, il riconoscimento, il pentimento


di Giuda e il suo successivo tradimento ai danni di Gesù. Nelle pagine successive, Baum tenta poi di rico-
struire l'evoluzione della leggenda di Giuda attraverso le sue varie fasi. Di particolare interesse le sue teo -
rie sull'inserimento del fratricidio (p.623) e sulla creazione dell'isola di Scarioth (pp. 625-626),

87
88
§ Conclusioni

Possiamo affermare, in conclusione, di aver dimostrato a sufficienza la natura ine-


quivocabilmente folklorica di alcuni elementi presenti nel mito di Edipo. Abbiamo
anche visto come tali motivi folklorici trovino talora una consonanza apparentemente
straordinaria non solo con altri miti antichi ma pure con parte della tradizione favolistica
medievale e moderna. Resta da chiedersi, però, se si possa effettivamente parlare di
Edipo come un Märchen-hero, ovvero se la sua storia, oltre a presentare tratti eminente-
mente folklorici, abbia trovato origine nel folklore stesso o almeno sia esistita, parallela-
mente al mito e alla leggenda eroica, come folk-tale.
Lo studio delle fasi antiche del mito, da noi condotto nel cap. I, ha permesso di
ricostruire un Edipo piuttosto diverso da quello che la tragedia attica, e in particolare la
produzione sofoclea, hanno consegnato alla tradizione. D'altronde, lo stesso Edipo tra-
gico (per cui rimandiamo al cap. II) non può supporsi totalmente inventato dai tragedio-
grafi del V sec.: è piuttosto da loro innovato, re-inventato, e in modo peculiare, sulla
base di una tradizione che sembra alternativa a quella seguita dai poemi omerici e dall'E-
dipodia, e che presenta, una volta spogliata della sua struttura tragica, motivi folklorici
operanti a livello intra-testuale e profondamente pregnanti per il personaggio di Edipo.
Che questa tradizione concordasse almeno parzialmente con quella della Tebaide e
fosse passata attraverso Stesicoro, non si può affermare con sicurezza, ma pare lecito
supporlo. Inoltre, la testimonianza di Corinna di Tanagra ci consente di ipotizzare che
del racconto di Edipo esistessero non solo le versioni più famose e diffuse (ovvero
quelle che potremmo definire 'ufficiali' e che ci sono pervenute grazie alla letteratura),
ma anche altre varianti locali meno note ora perdute, che pure erano presenti e operanti
nell'immaginario collettivo: forse, nella tradizione di alcune comunità beotiche antiche,
Edipo non uccideva solo la Sfinge ma anche la temibile volpe Teumessia. È anzi possi-
bile che diverse versioni del mito, alcune più conosciute e altre meno conosciute, alcune
più complesse e altre più semplici, coesistessero a livello temporale e non fossero per-
tanto l'una anteriore o posteriore all'altra, ma semplicemente varianti sincroniche e
diverse di una medesima storia, ciascuna con un significato particolare. Se teniamo poi
conto dei confini piuttosto labili che separano la categoria narratologica di “mito” da
quella di “folklore”, e parimenti delle coincidenze profonde che si possono fra loro rile-

89
vare (cfr. § 0.1), non sembra assurdo ipotizzare, soprattutto alla luce delle forti conso-
nanze evidenziate in questa ricerca tra mito di Edipo e folklore, che una o più versioni
mitiche delle vicende di Edipo (magari la versione alla base dell'Edipo tragico) abbiano
tratto origine dal folklore, ovvero – più specificatamente – dal mondo della fiaba e della
favola: del racconto popolare a sfondo morale. La morale sottesa alla vicenda di Edipo,
cioè l'ineluttabilità del fato e la vanità di ogni tentativo umano di sfuggirgli, è stata
appunto interpretata da alcuni studiosi 402 come stigma dell'origine folklorica del rac-
conto di Edipo.
Questo senso morale troverebbe uno sviluppo narrativo nell'intreccio legato al
motivo folklorico dell'enfant fatal. Quando si viene miracolosamente a sapere (profezia)
che un bambino porterà sventura ai suoi genitori oppure a un re (più in generale: all'au-
torità), si decide di eliminare il neonato abbandonandolo in un bosco o in mare (un
luogo ostile alla vita umana) perché la profezia non possa avverarsi. Ma quanto
predetto, nonostante gli sforzi in senso contrario compiuti dai personaggi o l'involon-
tarietà delle loro azioni, dopo alcune peripezie narrative (che sono, in realtà, un oscuro
gioco del Fato) trova sempre compimento. Così, nell'indice internazionale dei folk-tales
stilato da H.-J. Uther il folk-tale di Edipo (ATU 931) è stato inserito, insieme all'affine
tipo ATU 933, tra quei tipi fiabeschi (930-949) che ruotano attorno al Fato e al ruolo –
talora benigno, talaltra maligno – che esso gioca nelle vicende umane.
Che il racconto di Edipo, almeno nella variante ripresa dai tragici, figurasse in tal
guisa nel folklore non è affatto improbabile: le consonanze rilevate tra Edipo, altri miti
antichi e la tradizione favolistica successiva potrebbero confermare tale ipotesi. D'al-
tronde, il Fato, positivo o negativo che sia, come nella tradizione mitica antica (origina-
riamente orale) così nella tradizione favolistica successiva risulta sempre ineludibile.
Infine, la struttura semplice ed elementare di tanti racconti legati a quello di Edipo
potrebbe essere spiegata adducendo l'esistenza, in vari luoghi e culture, di una tradizio-
ne popolare fondata sul modello del bambino-eletto parricida e/o incestuoso, che fin dai
tempi antichi sarebbe stata parallela a quella letteraria. Le fiabe legate al tipo di Edipo
testimonierebbero, insomma, dell'originale struttura seguita dal folk-tale di Edipo prima
del suo ingresso nella tragedia. Ad esempio, il motivo dell'esposizione originariamente
sarebbe figurato nella variante acquatica, conservata dalla tradizione popolare, mentre
402 Cfr. ad esempio MEGAS (1983: 141).

90
nell'Edipo Re ne appare una variante seriore, legata alla terra, probabilmente in funzione
della natura ctonia dell'eroe403.
Contrariamente a tale interpretazione, qualche studioso ha contestato e delegittimato
la ricostruzione di un supposto folk-tale antico, quale sarebbe quello di Edipo, sulla base
di una comparazione con materiale folklorico tanto posteriore. Si è anche obiettato che
se il mito ha avuto origine in un ambito collettivo, esso è stato poi modificato e rima-
neggiato prima da aedi e poeti, e poi da mitografi ed epitomisti: le diverse varianti an-
drebbero dunque analizzate non solo su un piano sincronico ma anche diacronico404.
Il corpus di leggende e racconti popolari affini al mito dell'eroe tebano, molto sem-
plicemente, deriverebbe dalla stessa storia di Edipo, racconto non folklorico ma let-
terario405 che avrebbe trovato ampia diffusione, in varie forme – nientemeno che
creazioni individuali di autori – , fin dall'antichità. Tali opere letterarie sarebbero poi pe-
netrate in qualche maniera nell'immaginario collettivo, finanche presso gli strati meno
abbienti e istruiti della popolazione. La sfumatura popolare dei racconti non sarebbe
dunque nient'altro che il riflesso di una successiva rielaborazione orale (secondo
strutture narrative semplici, tipiche della fiaba) di materiale originariamente letterario.
A questo riguardo, può essere utile analizzare brevemente la trama di un racconto
attestato nel nord dell'Epiro e in Albania 406. Una profezia rivela a un re che suo nipote lo
spodesterà dal trono. Il bambino viene dunque abbandonato in mare e poi trovato e cre-
sciuto da alcuni pastori. Anni dopo, arriva un mostro (Lubia) a tormentare il reame,
bloccando le acque e chiedendo, per essere placato, di mangiare la figlia del re – la
madre del bambino. Quando la fanciulla sta per essere divorata, giunge il giovane prota-
gonista che grazie al suo berretto magico riesce a sconfiggere il mostro. Ottenuta in
sposa la madre, durante il banchetto nuziale il giovane uccide accidentalmente il re-
nonno, divenendo re a sua volta.
Si noterà nel racconto una commistione dei tipi ATU 931 e 300 (per l'uccisione del
403 Cfr. EDMUNDS (1985: 38-46). In quest'interpretazione, risulta evidente il 'problema' costituito dalla
presenza della Sfinge nel mito di Edipo, dacché l'uccisione del mostro compare in soli altri due racconti
collegati al tipo ATU 931. Abbiamo già discusso la teoria di Edmunds a riguardo: dopo che sul mito
aveva agito l'influenza di Delfi, portando l'eroe lontano da Tebe e dunque da Giocasta, la Sfinge sarebbe
stata aggiunta proprio per motivare il matrimonio di Edipo con la madre. Cfr. supra § 3.3.3.
404 Cfr. BREMMER (1986).
405 Nega la natura di folk-tale a Edipo, con dati non sempre validi, KRAPPE (1983). Contra MEGAS

(1983).
406 Qui mi attengo alla versione albanese tradotta in italiano da COMPARETTI (1867: 83: 90). Per la ver -

sione neogreca, cfr. MEGAS (1983: 137).

91
mostro). Esso sembra una versione popolare – o 'popolarizzata' – del mito di Perseo, nel
quale allo stesso modo figurano profezia, esposizione, uccisione del mostro per salvare
la fanciulla (che però nel mito è Andromeda, e non sua madre Danae), berretto magico e
involontaria uccisione del nonno durante una festa (con un disco). Questo Perseo neo-
greco presenta però un carattere peculiare di Edipo: l'incesto con la madre. Ci sono
pertanto due soluzioni interpretative: la prima, che i miti di Edipo e Perseo, volgariz-
zatisi nel corso dei secoli, fossero stati fusi insieme dalla coscienza popolare in cui
erano penetrati; la seconda, che tale versione del mito di Perseo ne costituisse più sem-
plicemente un’antica variante folklorica, la quale comprendeva anche l'incesto407.
La problematica si ripresenta in modo evidente se analizziamo le straordinarie so-
miglianze che le leggende cristiane di Andrea di Creta, S. Gregorio e soprattutto Giuda
presentano col mito di Edipo. Tali leggende potrebbero trarre origine dal folklore: in tal
senso, le numerose analogie rilevate nella struttura dei racconti potrebbero essere acci-
dentali, dacché esse avrebbero potuto originarsi separatamente da materiale folklorico
comune a racconti più o meno simili (Paolo di Cesarea, Leggenda di Vergogna, etc.). Lo
studio di F. P. Baum sulla leggenda di Giuda, oltretutto, ha dimostrato che nel back-
ground culturale dell'Europa cristiana tra X e XII secolo – periodo in cui si suppone la
leggenda sia venuta alla luce (cfr. § 3.5.3.2) – l'incesto era un tema d'attualità, oggetto di
numerosi inasprimenti e sanzioni da parte della Chiesa: la coscienza popolare avrebbe
dunque potuto creare la leggenda di Giuda, il più grande peccatore di sempre, che qui è
anche parricida e incestuoso, al fine di scoraggiare comportamenti peccaminosi408.
Ma, d'altro canto, una derivazione diretta di tali leggende dal mito di Edipo ad opera
di alcuni chierici o monaci sembra possibile. Come abbiamo visto (cfr. § 3.5.2), durante
il Medioevo la storia di Edipo, nella sua declinazione latina (comprensiva della peniten-
za per «interramento» ) , era nota soprattutto grazie a Stazio e al suo commentatore
Lattanzio Placido. Il Roman de Thèbes, più antico persino dei primi manoscritti della
leggenda di Giuda, presentava il personaggio di Edipo recuperando alcuni dati tradizio-
nali del mito, per tramite – pare – di Lattanzio Placido. Tali motivi – esposizione, muti-

407 Secondo MEGAS (1983: 37) questo racconto, al pari di quello di “Potamete” e di “Rosa” (cfr. §
3.1.1), è una fiaba di tradizione popolare.
408Cfr. BAUM (1916: 602-604): “The legend of Judas could have originated among the people and exi-

sted among them in some comparatively simple form before it was taken up by the clergy and received a
place among Christian legends of the Church.”

92
lazione, parricidio, incesto, riconoscimento, penitenza, etc. – ricompaiono nel “Tipo
A”409 della leggenda di Giuda, che infatti presenza consonanze profonde con la vicenda
di Edipo. Non è assurdo immaginare che la lettura delle disgrazie e dei gravissimi crimi-
ni di Edipo abbia potuto condurre un anonimo uomo di chiesa a utilizzare questi
elementi negativi al fine di creare la figura di Giuda: un vero e proprio Anticristo,
novello Edipo che si macchia di parricidio e incesto, e che poi, perdonato e però malva-
gio per natura, pecca ancora, tradendo il suo benefattore Gesù Cristo 410. La ripresa quasi
pedissequa del mito di Edipo darebbe ragione delle profonde somiglianze tra tale versio-
ne della leggenda e racconto antico. Altre versioni della leggenda di Giuda segnalano
invece, nella struttura e nelle varianti dei motivi, un intervento popolare sulla materia
del racconto: è possibile dunque che la leggenda, nata come ripresa più o meno fedele
del mito di Edipo da parte di un chierico o più di uno, fosse poi entrata a far parte
dell'immaginario collettivo, mescolandosi ad altri motivi folklorici e man mano sempli-
ficandosi grazie all’intervento popolare.411

Dopo aver visto brevemente le problematiche legate all’origine orale o letteraria di


tali racconti – questione che, conviene ribadirlo, prescinde dall’uso di strutture e modi
narrativi orali –, possiamo tirare le fila del discorso. Motivi folklorici sono indubbia-
mente presenti nella tradizione antica di Edipo: tali motivi (ri)compaiono sorprendente-
mente anche in molti racconti medievali e moderni, per i quali si può supporre un’origi-
ne comune a quella di Edipo o, al contrario, una derivazione (indiretta e spesso filtrata
dall’oralità) dalla storia antica. Non possiamo affermare con sicurezza che Edipo sia
esistito come Märchen-hero. Ma una tradizione condivisa, esemplificata dai tipi ATU
931 e 933, come dicevamo, lascia supporre anche un’origine comune, e d'altronde i
motivi che compongono tali storie – Edipo e i suoi “analoghi” - hanno origine nel
folklore e sono comuni a numerosi popoli e culture. La teoria che immagina un folk-tale
di Edipo, nonostante le critiche mosse, resta pertanto plausibile. In conclusione, dunque,
sembra non si possa dare una risposta certa a tale questione.
Edipo nel folklore rimane, a tutt’oggi, un enigma senza soluzione.
409 Cfr. supra n. 397.
410 Cfr. BAUM (1916: 615-617): a motivare la composizione della leggenda sarebbe intervenuta una
disputa teologica sull'eresia di Giuda.
411 Cfr. EDMUNDS (1976: 150). Sui rapporti fra Andrea di Creta, Giuda e Gregorio cfr. in pt. pp. 151-

153.

93
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Ugolini, G., L'immagine di Atene e Tebe nell'"Edipo a Colono" di Sofocle, «Quaderni
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Vernant, J.-P., Ambiguità e rovesciamento: sulla struttura enigmatica dell'Edipo Re, in
Mito e tragedia nell'antica Grecia. La tragedia come fenomeno sociale estetico e psico-
logico, a cura di J.-P. Vernant e P. Vidal-Naquet., Torino, Einaudi, 1976, pp. 88-120

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VIDAL-NAQUET 1991a: Vidal-Naquet, P., Edipo ad Atene, in Mito e tragedia, due:


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VIDAL-NAQUET 1991b: Vidal-Naquet, P., Edipo tra due città: saggio sull'Edipo a
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Urbinati di Letteratura Classica», 3 (1979), pp. 39-52

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108
Ringraziamenti

Ringrazio innanzitutto la Prof.ssa Paola Dolcetti e il Prof. Tommaso Braccini, non


solo per il prezioso ausilio offertomi nella stesura di questa tesi, ma anche per la grande
disponibilità e il sincero interessamento dimostrati nei miei confronti.

Una menzione speciale va al Prof. Ioannis M. Konstantakos dell'Università Capodi-


striana e Nazionale di Atene. Il presente lavoro può essere considerato un ampliamento
di un breve saggio che scrissi per un seminario da lui organizzato nella prima metà del
2017 presso la Facoltà di Filologia Classica dell'università ateniese. Lo ringrazio per
l'indispensabile supporto ricevuto allora e per le sollecite informazioni che mi ha for-
nito, per corrispondenza, anche dopo il mio rientro dalla Grecia.

Ringrazio di cuore i miei genitori e i miei fratelli per il loro affetto, la loro pazienza
e la loro stima, che so essere sempre sicuri e sinceri e saldi, in ogni frangente o situa-
zione.
Ringrazio Domenico, a cui devo moltissimo, giacché senza di lui probabilmente
non mi sarei mai iscritto a questa Facoltà. Il suo supporto non è mai venuto meno. A lui
vanno il mio affetto e la mia gratitudine.
Ringrazio i miei amici, tutti, e in particolare Marco, che è amico sincero e compa-
gno di studi ormai da molti anni, ed Edoardo, per il suo solerte aiuto nel reperimento di
alcuni libri utili alla mia ricerca.

Infine ringrazio Adrianna, perché mi ha mostrato (e continua a mostrarmi) che


Wisława Szymborska aveva ragione quando diceva: Non c’è vita / che almeno per un
attimo / non sia stata immortale.

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