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GEOPOLITICA DELL’ENERGIA: L’ITALIA NELLO SCACCHIERE EURO-MEDITERRANEO

GEOPOLITICA DELL’ENERGIA:
L’ITALIA NELLO SCACCHIERE
EURO-MEDITERRANEO
di Dario Giardi *

La rilevanza strategica del tema energetico, all’interno delle politiche di sviluppo,


risulta oggi evidente: i delicati equilibri geopolitici appaiono, infatti, fortemente influenzati
dalle strategie e dalle dipendenze energetiche dei vari Paesi. L’inizio del XXI secolo
ha registrato notevoli incrementi della domanda energetica, soprattutto da parte dei
Paesi di recente industrializzazione che presentano le maggiori crescite percentuali
del prodotto interno lordo, quali Cina ed India. Parallelamente all’incremento della
richiesta di energia, si è rilevato un inasprimento delle tensioni sul mercato dei prodotti
raffinati ed un aumento indiscriminato del prezzo del greggio, che ha recentemente
superato sul mercato internazionale la soglia dei 120 dollari al barile e gli analisti
prevedono con molta probabilità che entro fine anno venga superata la soglia dei 200
dollari al barile.
In un contesto caratterizzato da stili di vita che presuppongono l’esistenza di sistemi
produttivi sempre più energivori, appare evidente che nessun progresso né sviluppo
può essere possibile senza energia. Le città, la vita economica e sociale, i cicli produttivi
sui quali si basa la nostra società utilizzano come input principale l’energia, che
rappresenta oggi il vero motore della crescita e deve essere considerata come il
principale fattore strutturale per garantire lo sviluppo, il progresso tecnologico e la
competitività dei Paesi in un mercato globale.
Se da un lato la ricerca dell’efficienza energetica e le innovazioni tecnologiche
hanno parzialmente frenato il fabbisogno energetico dei sistemi economici più moderni,
dall’altro lo sviluppo economico nei PVS estende orizzontalmente i punti di consumo
energetici. Tutti i Paesi grandi consumatori di energia, tra i quali sono ora compresi
anche Cina e India, continuano ad aumentare le loro importazioni di combustibili da un
sempre più ristretto gruppo di paesi produttori, alcuni dei quali politicamente instabili.
Conseguentemente è probabile che i mercati del petrolio diventino sempre meno
flessibili, con prezzi più instabili. Inoltre, il settore energetico continua a presentare
una crescita di emissioni di CO2 con possibili influenze sul clima globale.
Da quanto detto emerge che: uno dei principali problemi con cui l’umanità dovrà
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confrontarsi nel prossimo futuro è quello della questione energetica, in relazione sia

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alla disponibilità di energia sia ad un suo utilizzo rispettoso dell’ambiente.


A partire dalle crisi petrolifere degli anni settanta, il dibattito sulla sicurezza energetica
ha oramai raggiunto una certa maturità. Anzi, proprio la politica energetica è divenuta
fulcro della politica estera di ogni Paese nel quadro delle relazioni internazionali e
della strategia nazionale sullo scacchiere geopolitico. L’energia sembra destinata a
diventare un evento di squilibrio nelle relazioni internazionali. Anzi, sull’energia potrà
costituirsi un “casus belli” da autentica emergenza planetaria: una possibile III Guerra
Mondiale.
Una possibile Guerra Mondiale non nasce da un ipotetico scontro di civiltà. Semmai
lo scontro di civiltà altri non è che la ragione apparente. La vera causa è lo scontro
sulla “governance” dell’energia. Lo scontro di civiltà e quanto ne segue appaiono,
piuttosto, come meri effetti. Come mai il c.d. “scontro di civiltà” avviene proprio dove
si estraggono le materie prime che servono per creare energia? Dunque, l’energia
come sfondo per le relazioni internazionali da qui ai prossimi decenni. Da qui discende
una conseguenza davvero preoccupante, ossia dell’uso dell’energia come strumento
di geopolitica. L’energia serve e può servire come “weapon” per strutturare le relazioni
internazionali in funzione degli interessi strategici di un paese. Non c’è bisogno di
scatenare una guerra (antiquato strumento), ma basta che si faccia pesare il fatto su
chi possieda le materie prime. Così si sviluppano tutta una serie di ricatti, non tanto
velati, che diventano variabili indipendenti nella strutturazione delle relazioni
diplomatiche in vista di assetti di preminenza a livello regionale e/o planetario.
Durante la depressione degli anni trenta venne coniata l’espressione, “Quando
l’America starnutisce, il resto del mondo prende il raffreddore”. Oggi, in un mondo
sempre più interconnesso e interdipendente, la crescente domanda di energia “ha
scalato l’ordine del giorno” fino ad assurgere priorità evidente delle politiche mondiali.
Il mondo del XXI secolo è multipolare. Questo multipolarismo politico ha un
compagno importante, il multipolarismo energetico. Nel XX secolo ha dominato
incontrastato il petrolio: l’economia mondo di allora era controllata dalle grandi
compagnie petrolifere anglo-americane, il vero sistema nervoso e circolatorio del
capitalismo made in Usa. L’economia mondo del XXI secolo è caratterizzata da una
pluralità di fonti, il petrolio, il gas, il nucleare, le fonti rinnovabili. È dominata, cioè, da
un vero e proprio “multipolarismo energetico” che si riflette negli assetti economici e
geopolitici del pianeta e nelle strategie delle grandi potenze, con un dato di fondo
comune, il prezzo elevato di energia e materie prime strategiche: siamo di fronte a un
cambiamento epocale.
La continua crescita della popolazione mondiale e la naturale aspirazione dei Paesi
in via di sviluppo, a raggiungere standard economici e di qualità della vita vicini a quelli
dei Paesi industrializzati, sono le principali cause dell’incremento inarrestabile della
domanda di energia e del contemporaneo aumento delle emissioni di gas serra.
Ma l’energia ed il concetto di sicurezza energetica hanno assunto una valenza che
va ben al di là dell’ambito strettamente economico ed industriale. L’energia è diventata
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un’arma geopolitica e la sicurezza energetica è la priorità sulla quale tarare e sviluppare

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la politica estera e le relazioni internazionali. Sembra essere finita la politica “dei


muscoli e degli armamenti”, del deterrente nucleare che ha creato, negli anni della
guerra fredda e del mondo bipolare, un fragile equilibrio. Non c’è più la corsa allo
spazio per dimostrare la propria supremazia tecnologica e per acquisire prestigio sullo
scacchiere internazionale.
Il ruolo ora si gioca tutto sull’energia. L’ha capito prima di tutti Putin; iniziano a
capirlo anche gli Stati del Medio-Oriente e dell’Africa, più ricchi di combustibili fossili,
che vogliono preservare (aprendo al nucleare) per mantenerli come arma di ricatto e
peso politico.
Attorno al colosso energetico Gazprom, considerata da Putin “la leva possente
dell’influenza economica e politica della Russia nel mondo” è stata costruita la
sua politica estera russa ed il sistema di alleanze e relazioni diplomatiche.
Gli analisti di un think tank russo, l’Istituto per la strategia nazionale, hanno visto
in queste esternazioni l’annuncio di un radicale cambiamento della nuova geopolitica
russa rispetto alla dottrina «sovietico imperiale » fondata sulla potenza militare e sul
prioritario sviluppo del complesso militare industriale. La Russia, ormai, si appoggerà
sulle compagnie nazionali degli idrocarburi (Gazprom e Rosneft) per proiettare la sua
potenza in campo internazionale: i gasdotti si sostituiranno ai missili balistici.
Oggi Mosca sembra aver ripreso in mano il controllo delle dinamiche politiche
dell’Asia centrale e di quelle commerciali con l’Europa, grazie alla conduzione di una
diplomazia dell’energia calibrata, confermata dall’esito della crisi russo-ukraina del
gas. Mosca ha saputo riaffermarsi al centro di un sistema di relazioni energetiche
eurasiatiche, finalizzate al mantenimento della sua posizione commerciale in Europa.
L’importanza geopolitica della questione è eccezionale: la Russia sta lavorando per
creare le basi di un assetto non solo politico ma economico-energetico multipolare
non più governato dal polo angloamericano.
È una rivoluzione copernicana. Figlia diretta del progetto putiniano in patria: Putin
infatti aveva teorizzato, prima che praticato con la sua presidenza, una Russia che
ridiventava grande potenza grazie all’uso politico e strategico del gas e del petrolio.
Questo programma sta riuscendo: ora scopriamo che c’è una seconda fase, quella
dell’edificazione di un sistema mondiale dell’energia diverso da quello del mondo
Opec.
La sua nuova arma di pressione internazionale messa a punto negli anni da Putin
è stata proprio la leva energetica, da esercitare nei confronti di vicini riottosi e concorrenti
globali.
Nell’esercizio della propria « potenza energetica », la Russia, favorita dall’aumento
dei prezzi al barile, si trova – come i paesi consumatori, prevalentemente europei – in
una situazione d’interdipendenza. Da un lato, il 78% del petrolio e il 65% del gas
esportati dalla Russia sono assorbiti dall’Unione Europea ; dall’altro lato, l’Unione
Europea « dipende » dalla Russia per il 25% del proprio approvvigionamento di gas.
Si tratta, quindi, di una « dipendenza » reciproca e i Russi auspicano, da parte loro, un
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«partenariato strategico » di lungo periodo con l’Europa. Di fronte alle reticenze di

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alcuni Europei, la Russia tende però a diversificare la propria clientela, rivolgendosi


alla Cina, all’India ed all’Iran. I vari accordi stipulati con questi tre Paesi, le sempre
più strette interdipendenze tra loro rafforzano e consolidano una politica energetica
asiatica a tre vie che coinvolgerà sempre di più la Russia da un lato ed i tre Paesi
(Cina, India ed Iran) dall’altro.
Appare evidente come questa politica energetica influenzerà anche gli equilibri
geopolitici mondiali
Dal momento che sia la Cina che la Russia siedono nel consiglio di sicurezza
dell’Onu con potere di veto, appare quindi evidente che anche le votazioni dell’Onu
per eventuali sanzioni contro l’Iran potranno risentire di questa situazione.
Sanzioni a Paesi con problemi di democrazia o a rischio di integralismo religioso (e
quindi, secondo un’equazione americana, di terrorismo) saranno almeno alleggerite in
portata e durata dall’intervento cinese e russo in Consiglio.
Le cannucce cinesi ed indiane ma la stessa Russia, nell’esigenza di diversificare
le fonti energetiche, stanno stringendo accordi con l’Iran. Tale Paese, infatti, è il
secondo più grande produttore di greggio dopo l’Arabia saudita, ed è diventato difficile
evitare di fare affari con Teheran. Non a caso, la stessa Francia, l’Italia (principale
partner commerciale europeo con l’Iran) ed il Giappone hanno importanti accordi con
l’Iran.
In realtà, proprio la mancanza di una visione trans-atlantica della sicurezza
energetica ha contribuito al rafforzamento della Russia e della Cina nello spazio
eurasiatico, e non ha fornito gli incentivi necessari per una riforma politica nello spazio
post-sovietico. Un’azione congiunta dei paesi europei e di Washington tesa
all’integrazione della Russia e della Cina in un sistema internazionale di produzione,
commercializzazione e consumo di energia, dovrebbe porre le basi per la creazione di
strutture tese a regolare le tensioni che emergono da una crescente geo-politicizzazione
della politica energetica internazionale. Affinché una visione trans-atlantica relativa a
problematiche sulla sicurezza energetica internazionale possa emergere, occorrono
due grandi cambiamenti di rotta, nell’una quanto nell’altra sponda. Da parte americana,
si dovrebbe abbandonare l’unilateralismo abbracciato dalla Casa bianca con l’avvento
della leadership di George W. Bush e del suo entourage neo-conservatore. L’intervento
militare in Iraq rappresenta il culmine di questa politica americana, che ha contribuito
ad allargare il divario trans-atlantico ed il confronto su una serie di altre questioni,
dalla politica commerciale a quella aerospaziale, dalle relazioni con l’Iran a quelle con
l’America latina, per culminare nel rifiuto americano di ratificare il Protocollo di Kyoto.
Ma, se da una lato l’unilateralismo americano è da ascriversi al “momento unipolare”
generato dal cambiamento di amministrazione, la frammentazione europea in materia
di politica estera non ha contribuito a diminuire il divario trans-atlantico che si è
ripercosso, in particolare, anche sulla geopolitica dell’energia nella regione caspica.
Anche la reazione di Bruxelles è stata piuttosto attiva in seguito alla crisi russo-
ucraina, invocando in maniera costante la necessità di rimettere in discussione il Dialogo
EURASIA

energetico UE-Russia, ed incoraggiare la creazione di una vera politica energetica

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