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IL CASO LETTONIA

IL CASO LETTONIA
di Mariarosaria Comunale*

A 5 anni dall’entrata dei paesi ex sovietici nell’Unione europea, le “piccole tigri


baltiche” si trovano ad affrontare una crisi diffusa e gravissima come quella scoppiata
nel 2008 che sta minando i risultati ottenuti fin ora e soprattutto allontana il
raggiungimento dei criteri per l’ingresso in Eurozona.
La crisi in questi paesi ha origine nella crescita molto elevata ma squilibrata
succeduta al crollo del gigante sovietico. Questi squilibri sono stati soprattutto: deficit
di conti correnti, alto debito pubblico e privato, alto tasso di inflazione.
I nuovi paesi dell’Ue non sono però un corpo omogeneo, infatti bisogna distinguere
tra i paesi dell’Europa centro-orientale più sviluppati (come Slovenia o Repubblica
Ceca), un gruppo formato da Bulgaria e Romania ed infine, appunto, i paesi baltici.
Tra questi ultimi, una situazione particolarmente grave è quella lettone, dove
nonostante aiuti e riforme le prospettive future sono tutt’altro che rosee.
Basta osservare il tasso di crescita del Pil lettone, che è passato da quasi 10 punti
percentuali per il 2007 ad un dato negativo preoccupante per il 2008 (-4,58%) e
previsto in ulteriore calo per il 2009 con un crollo di quasi 18 punti (1).
Intanto l’indice dei prezzi al consumo (HICP) per il paese ha registrato un segno
negativo (-1,4%) (2), e la produzione industriale nei primi 10 mesi del 2009 ha registrato
picchi negativi considerevoli (-24,2% a febbraio) e l’ultimo dato disponibile, riferito a
ottobre, parla di un calo del 13,5% (3).
Tornando alla crisi, questa ha colpito maggiormente le Repubbliche Baltiche, tra
cui la Lettonia, a causa del loro modello economico, maggiormente dipendente dall’ovest
soprattutto per quanto riguarda gli investimenti diretti esteri, che sono stati effettuati
principalmente nel settore bancario e immobiliare.
Inizialmente il sistema bancario baltico sembrava tra i meno colpiti rispetto a quelli
occidentali, in quanto meno sofisticato e privo di titoli tossici nei propri portafogli. Ma
invece questi paesi sono stati messi in seria crisi dalla loro dipendenza dalle banche
occidentali e dalla quantità di prestiti a famiglie e imprese in valuta straniera (euro ma
anche franchi svizzeri) che raggiunge la quota dell’86,3% in Lettonia (4).
EURASIA

La situazione più delicata riguarda infatti proprio quest’ultimo paese, i cui problemi

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CONTINENTI

potrebbero influire sui recuperi dell’intera regione del Mar Baltico colpendo anche la
Svezia, il cui sistema bancario è fortemente presente in quel mercato (vedi Swedbank
AB e Skandinaviska Enskilda Banken AB).
È invece meno correlato il sistema norvegese che, con delle politiche controcorrente
rispetto al comune sentire messe in pratica in passato, è uno dei pochi paesi che sta
risentendo relativamente della crisi.
Per dare una visione più chiara della situazione, basta osservare che il 40 per
cento della popolazione lettone è cliente della Swedbank AB che controlla un quarto
del mercato bancario del paese.
Per questi motivi la Banca Centrale Europea all’inizio del mese di giugno del 2009
ha prestato alla Banca Centrale Svedese l’equivalente di 3 miliardi di euro (in dollari
e sterline) per far aumentare le sue riserve di valuta estera in modo da consentire un
aiuto alle banche private se si ritenesse necessario.
Le stesse banche svedesi per arginare l’emorragia di capitali legata ai prestiti
“tossici” hanno però chiuso i rubinetti del credito verso i clienti, tra i quali sono stati
molto colpiti appunto i lettoni.
Ma la vulnerabilità lettone al credit crunch è stata accentuata da alcune situazioni,
che come abbiamo visto in precedenza, hanno colpito anche altri nuovi membri Ue:
una crescita del Pil a due cifre dall’ingresso in Ue, un enorme debito pubblico, un
altissimo deficit (al 25% del Pil lo scorso anno) e un rapido sviluppo del credito delle
banche al settore privato (95% del Pil nel 2008) e del debito estero (130 per cento del
Pil nel 2008).
Sommiamo a questa situazione un alto indice dei prezzi al consumo in questi anni
(non dissimile rispetto agli altri paesi nuovi entrati e principalmente dovuto al cd.
effetto Balassa-Samuelson (5) che ha portato il paese ad essere meno competitivo in
un contesto di cambi quasi-fissi.
Il 2 giugno scorso il tentativo delle autorità lettoni di vendere titoli del tesoro per
100 milioni di dollari (50 milioni di lat) è completamente fallito. L’asta è andata deserta
ed ha lasciato il paese in grande pericolo-svalutazione.
La notizia ha immediatamente innescato una reazione a catena colpendo tutte le
monete dei paesi Ue dell’Est: il fiorino ungherese è crollato dell’1,97 per cento contro
l’euro e del 2,85 per cento contro il dollaro; lo zloty polacco ha ceduto lo 0,75 per
cento contro l’euro e l’1,56 per cento contro il dollaro; la corona ceca è scesa dello
0,25 per cento contro l’euro e dell’1 per cento contro il dollaro.
La situazione lettone sembra di fatto simile a quella argentina nel 2000-2001: grave
recessione data da shock globali, crollo degli Ide in entrata (gli Ide non finanziari sono
diminuiti già nel 2008 del 9 per cento) (6) e un enorme deficit di bilancio aggravato da
un regime di tasso di cambio con l’euro molto più stringente di un normale ERM II,
con bande dell’1 per cento rispetto alla parità centrale.
Dal Survey online dell’Fmi dello scorso maggio (7 )si può capire la preoccupazione
del sistema internazionale per la recessione lettone.
EURASIA

I problemi relativi alla crisi erano stati evidenziati già nel dicembre 2008, quando

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