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L’IMPORTANZA DELLA RUSSIA PER L’ITALIA

L’IMPORTANZA DELLA RUSSIA


PER L’ITALIA
di Daniele Scalea *

Dieci secoli d’indifferenza

Nel 1472 il gran principe Ivan III di Mosca, futuro gosudar’ (sovrano) di tutta la
Russia, sposò una principessa bizantina, Sofia (già Zoe) Paleologa, nipote di Costantino
XI, ultimo imperatore romano d’Oriente caduto diciannove anni prima sulle mura di
Costantinopoli assaltata dai Turchi. Per l’occasione, Ivan III adottò l’aquila bicipite
bizantina ed il cerimoniale di corte imperiale, nonché il titolo di zar (car’ secondo la
corrente traslitterazione) – ossia “cesare”, retaggio dei primordi imperiali di Roma
tramandatosi di successione in successione fino all’epilogo del 1453. Non sorprende
che negli stessi anni si diffondessero in Russia la leggenda della discendenza dei
principi moscoviti dagl’imperatori romani e la dottrina della “Terza Roma” - Mosca
appunto – successore dell’originale e della Seconda Roma bizantina1.
Secondo la leggenda Ottaviano Augusto avrebbe, in tarda età, spartito fra i parenti
l’Impero (all’epoca in cui tale storia fu ideata era normale considerare lo Stato proprietà
del sovrano, sicché tale concezione veniva trasposta anche all’epoca classica) ponendo
un suo fratello, di nome Prus, a capo delle rive della Vistola. Da Prus sarebbe disceso,
dopo quattordici generazioni, Rjurik, il vichingo iniziatore della dinastia rjurikide cui
apparteneva Ivan III. La dottrina della Terza Roma, nata nel XV secolo, avrebbe
però trovato una compiuta formulazione solo cinque anni dopo la morte di Ivan III il
Grande, quando nel 1510 l’abate Filofej scrisse allo zar Basilio III una lettera contenente
la celebre frase: «Due Rome sono cadute, ma la terza è in piedi e non ve ne sarà una
quarta»2.
Pochi anni dopo il suo matrimonio con Sofia, Ivan III inviò un proprio agente a
Venezia, con lo scopo d’invitare a Mosca architetti ed altri luminari italiani: tra coloro
che accettarono v’erano Aristotile Fieravanti, Aloisio da Milano, Marco Ruffo e Pietro
Antonio Solario. Fieravanti costruì in pochi anni la Cattedrale dell’Annunciazione.
Ruffo, Solario ed altri architetti italiani misero mano al Cremlino, edificandovi il Palazzo
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delle Faccette e varie torri. Si trattava solo di un’avanguardia, poiché l’apporto italiano
all’architettura russa fu costante per secoli. Su questo tema esistono eccellenti

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DOSSARIO

monografie3, qui ci limiteremo a citare pochi altri esempi, come Bartolomeo Francesco
Rastrelli (1700-1771), autore del Palazzo d’Inverno, dell’Istituto Smol’nyi a San
Pietroburgo e del Palazzo di Carskoe Selo (oggi Puškin), e Giacomo Quarenghi (1744-
1817), cui si deve il Teatro dell’Hermitage (San Pietroburgo).
Malgrado tali significative relazioni culturali – a dire il vero piuttosto unidirezionali
– per molti secoli quelle politiche non furono altrettanto notevoli, se si eccettuano i
rapporti tra la Roma papale e la Mosca ortodossa, di tenore precipuamente religioso
e non certo idilliaci. Il perché dell’assenza di rapporti politici tra Russia e Italia per
circa un millennio è facilmente individuabile.
Dal IX secolo all’anno mille la Rus’ di Kiev è uno Stato di collegamento sulla rotta
fluviale nord-sud che collega il Baltico al Mar Nero, e non a guarda a ovest. Nel
medesimo periodo, il Regno d’Italia d’origine longobarda-carolingia è in piena crisi
istituzionale, ed anche a sud il controllo bizantino scricchiola pesantemente lasciando
spazio a tentativi secessionisti: non c’è spazio per guardare all’estero, se non per il
timore d’invasioni. Dal XIII secolo all’età di Ivan III i principati russi sono posti sotto
il tallone dell’Orda d’Oro mongola, e dunque orientati verso est; nello stesso periodo
in Italia il fallimento dei tentativi egemonici imperiali portano ad un’estrema
disintegrazione politica, soprattutto nel centro-nord del paese: la politica “estera” dei
potentati italiani si rivolge principalmente alle città vicine, al massimo alle leghe nazionali
di guelfi e ghibellini ed alle potenze vicine che possono intervenirvi militarmente. Quando
la Moscovia si sottrae al controllo mongolo e riunifica i territori della Rus’ di Kiev,
assurgendo finalmente al rango d’importante paese europeo, in Italia la calata di
Carlo VIII inaugura i secoli bui in cui la penisola è campo di battaglia e terra di
conquista per le grandi potenze straniere. Nei mille anni che vanno dalla nascita della
Rus’ all’età napoleonica, quella della Russia è la storia d’una potenza in ascesa e
quella dell’Italia d’una potenza in declino, ma nemmeno Mosca ha in quel periodo la
forza per proiettarsi al di fuori del ristretto ambito regionale. Così, mentre l’Italia si
concentra sulle lotte intestine, il Cremlino bada alla riunificazione russa non oltre
l’Ucraìna e la Bielorussia, sfogando il suo espansionismo soprattutto verso est,
nell’esaltante galoppata siberiana dei Cosacchi tra ‘500 e ‘600. In tali condizioni, le
due storie nazionali non possono incontrarsi, ma tutt’al più scambiarsi i fuggevoli
sguardi culturali che abbiamo in precedenza sommariamente descritto.

L’Italia scopre la Russia

Nella lotta contro la Francia di Napoleone Bonaparte la Russia d’Alessandro I si


conquistò il ruolo di grande potenza europea. L’Italia non poteva più ignorarne
l’importanza, mentre Mosca poteva benissimo dar poco peso alla nostra ancora debole
e divisa penisola: ecco perché l’Italia cominciò a “scoprire” la Russia all’inizio
dell’Ottocento, ma ci volle ancora molto tempo perché fosse pienamente ricambiata.
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Come vedremo, si potrebbe sostenere che Mosca, ancora in periodo sovietico, non
avesse completamente scoperto l’Italia.

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Tale “scoperta”, per circa un secolo, non fu molto gradita agl’Italiani. La Russia,
in virtù del suo ruolo legittimista sancito dalla Santa Alleanza, fu costantemente ostile
al processo di riunificazione italiana – benché essa riscuotesse diffuse simpatie tra la
sua élite colta. Oltre cinquantamila italiani (per metà settentrionali e per metà
meridionali) presero parte alla grandiosa campagna napoleonica di Russia, per lo più
inseriti nel IV Corpo agli ordini del vicerè e figlio adottivo dell’Imperatore Eugène de
Beauharnais. Questi cinquantamila uomini subirono il tragico destino di quasi tutta la
Grande Armée, ma non prima d’essersi coperti di gloria a Borodino.
Nel 1849 i Russi concorsero alla sconfitta dei moti del Quarantotto invadendo
l’Ungheria di Kossuth; aiutandovi gli Asburgo, indirettamente ne favorirono l’azione
in Italia, anche se a dire la verità nella penisola, al tempo della campagna d’Ungheria,
la rivoluzione era già agonizzante.
Pochi anni dopo gli Asburgo, dando un formidabile sfoggio d’irriconoscenza, si
schierarono contro i Romanov nell’area balcanica. Ciò avrebbe potuto fare dell’Impero
Russo un possibile alleato del Risorgimento italiano, in virtù della comune inimicizia
per gli Austriaci, ma la distanza geografica, l’isolamento diplomatico di Mosca e la
scarna storia dei rapporti diplomatici tra i due paesi spinsero il Conte di Cavour a non
prendere neppure in considerazione quest’ipotesi, per volgersi invece decisamente
verso Londra e Parigi. Nel 1855, pur contro il parere dell’opinione pubblica e del suo
stesso Gabinetto, il Conte di Cavour scelse di rispondere positivamente alle richieste
delle due potenze occidentali, inviando reparti piemontesi a combattere in Crimea
contro la Russia e, dunque, a favore di Vienna che, seppur solo diplomaticamente,
appoggiava l’intervento. Anche se la Guerra di Crimea è generalmente descritta come
un “capolavoro diplomatico” del Conte di Cavour – che ottenne così di fare della
questione italiana un problema di politica internazionale, e non più d’ordine pubblico –
lo storico britannico Denis Mack Smith ha avanzato diversi dubbi, sostenendo che la
decisione dell’intervento era stata forzata da Vittorio Emanuele II e che al Congresso
di Parigi «i risultati furono deludenti», tanto che il Conte di Cavour sperò di «trovare
un alleato nella sconfitta Russia»4.
In realtà l’Italia continuò a guardare alle potenze occidentali, ed anzi dopo l’Unità
– quando gli appetiti del nostro paese si volsero verso i Balcani – la Russia divenne un
“competitore” politico. Lo stesso avvicinamento alla Germania derivò anche dalla
preoccupazione per il Dreikarserbund russo-tedesco-austriaco, potenzialmente in
grado di definire il destino dei Balcani tagliando fuori l’Italia5, e la nascita della Triplice
Alleanza coincise grosso modo colla crisi del Patto dei Tre Imperatori. In poche
parole, l’Italia entrò nel sistema d’alleanze austro-tedesche in sostituzione della
Russia.
Solo all’inizio del ‘900 l’Italia cominciò a scoprire la Russia con occhi nuovi, non
più guardandola come una lontana minaccia bensì come una potenziale amica.
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