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ASSEMBLEA NAZIONALE DEI QUADRI E DELEGATI DELLA FP CGIL SALERNO 14 SETTEMBRE 2013

Sappiamo che non ci sono parole capaci di lenire, nemmeno per una frazione di secondo, il dolore che la morte di Paola Labriola ha provocato in ognuno di noi, nei suoi cari. Tanto pi perch la dedizione, il lavoro, la sua passione erano finalizzate proprio alla cura e al recupero di quel disagio materiale e morale che ha armato la mano dell'assassino. E' ancora solo il tempo del dolore, del rispetto che si deve a chi, come la sua famiglia, ha visto cambiare in un attimo una intera vita. Siamo confusi e immensamente tristi perch Paola , madre e moglie, era anche parte fondamentale della nostra idea di costruzione di una societ diversa , molto diversa da quella che si andata costruendo in questi anni. Quella idea, noi ne siamo pi che convinti, chiede risorse e sicurezze per le azioni del servizio pubblico. Quella idea chiede reti di protezione per lavori di frontiera, quali quello di Paola, e parte dalla convinzione che la solitudine vada sconfitta. Nella vita come nel lavoro. Per questa ragione noi sappiamo che continuare a difendere il lavoro di Paola , cos come quello di Daniela e Margherita, continuare a rivendicare le risorse e la sicurezza necessarie a mantenere le azioni pubbliche nei territori , avr per tutte e tutti noi, oggi a maggior ragione, anche il significato di ricordare per sempre il suo, il loro contributo e sar un modo per continuare ad averle vicino. E' per loro la nostra indignazione contro ogni forma di violenza, a loro rinnoviamo il nostro impegno, a Paola, Daniela e Margherita dedichiamo il nostro silenzio, i nostri pensieri.

Vi chiedo UN MINUTO DI RACCOGLIMENTO.

Il Paese che la destra ha riconsegnato dopo questo interminabile periodo di governo sicuramente peggiore per tutti, innegabilmente "pi" peggiore per le donne. La distruzione del nostro sistema di welfare, il definanziamento del servizio sanitario nazionale, la minore capacit di erogare prestazioni di assistenza per non autosufficienti e anziani ha parlato di noi e a noi, delle nostre giornate frenetiche passate fra un lavoro certificato (quello per il quale, forse, abbiamo un contratto regolare, pur con dimissioni in bianco gi firmate all'atto dell'assunzione) e quello familiare, di cura, di presa in carico dei nostri anziani, dei nostri genitori, dei nostri figli. Lo smantellamento della scuola pubblica, la distruzione di una idea "sociale" e collettiva delle scuole primarie parla di noi, delle difficolt di accesso a nidi comunali o al tempo pieno per i nostri figli, dei salti, spesso "mortali", che siamo costrette a fare per conciliare l'inconciliabile. Le restrizioni per l'utilizzo di forme di lavoro positivamente flessibili come il part-time, dice di noi, racconta di drammi e vicende familiari, di donne sempre pi piegate, incurvate sotto i colpi di un sistema che vuole espellerle dal mondo del lavoro. La scomparsa progressiva di funzioni pubbliche a sostegno della libert delle donne, quali ad esempio i consultori o i centri antiviolenza, narra di un isolamento sociale nel quale le destre hanno inteso ricacciare le donne, spesso, purtroppo, con la complicit di altre donne. Avete avuto modo di vedere alcuni dati fra i pi significativi nel documentario appena trasmesso. Ne aggiungo solo un paio che ci chiamano direttamente in causa. Nel 2009 le lavoratrici pubbliche in part-time erano 145.000, nel 2011 quel numero calato di circa settemila unit, mentre l'utilizzo del telelavoro nelle pubbliche amministrazioni per le donne cresciuto solo di 400 unit, passando da meno dell' 0,1% del totale delle lavoratrici a..meno dell'0,1% dello stesso totale (1.272 donne che telelavorano su un totale 1.784.000 !)

Su circa 300.000 unit di personale soggetto a turnazioni nella pubblica amministrazione (quelli, cio, che lavorano anche di pomeriggio e di notte) 180.000 sono lavoratrici, sono donne; mentre su 181.000 unit di personale soggetto a reperibilit, una di quelle condizioni che potrebbe favorire l'auspicata flessibilit nell'impiego femminile, le donne sono solo 70.000. Questi dati, insieme a quello relativo alla presenza femminile nei ruoli dirigenziali delle pubbliche amministrazioni (meno del 40%) dice a noi, alla Funzione Pubblica della Cgil prima di tutto, ma anche a cisl e uil, che le politiche rivendicative e contrattuali dei prossimi mesi devono provare a reinvertire queste tendenze. Dobbiamo tutti insieme riproporre al Governo il tema delle politiche di genere, con la determinazione che ci propria, con la convinzione che questo e deve tornare ad essere uno dei punti centrali di tutte le nostre politiche attive. Nel raccontare, sul mio blog, la Festa nazionale ho scelto di citare Celine in uno dei suoi capolavori: nel suo "viaggio al termine della notte" Celine afferma che "ci sono, per il povero a 'sto mondo due grandi modi di crepare; sia con l'indifferenza generale dei suoi simili in tempo di pace, sia con la passione omicida dei medesimi quando vien la guerra". Quando viene la guerra, quando la si evoca, quando si tenta di trasformarla semanticamente, accompagnandola ad aggettivi senza connessione alcuna con il significato stesso della parola "guerra", si passa dall'indifferenza generale verso la povera gente (irachena, afgana, libica o siriana nulla cambia) alla passione omicida nei confronti di quella stessa povera gente. Nessuna guerra inevitabile n necessaria. Nessuna guerra pu essere umanitaria, perch la guerra stessa uno dei crimini pi violenti contro l'umanit: la fa a brandelli, la lacera, ne uccide il futuro. Dell'umanit uccide la parte pi debole, non i nemici dichiarati: fa strage di civili, di donne, di anziani, di bambini. Uccide ognuno di noi. Da questa assemblea, dalla nostra Festa nazionale si leva oggi un solo grido: MAI PIU' GUERRE. Ed proprio per questo che critichiamo fortemente l'ambiguit del nostro Governo, la sua mancanza di coraggio in occasione dell'ultimo G20. Non tempo di nicchiare. Non e' questo il tema sul quale un Paese come il nostro, fondato sulla resistenza e sull'antifascismo, costruito sulle macerie di una guerra, pu permettersi ambivalenze. Il nostro Paese deve tornare ad affermare la sua contrariet ad ogni ipotesi di intervento armato e unilaterale, tanto in Siria quanto in ogni altro luogo del mondo. Il Governo Letta, non pu permettersi di stare in mezzo fra chi "giustifica" l'intervento armato e chi, in nome interessi diversi dalla pace dei popoli, ha scelto di opporsi oggi, ma non ieri e forse neppure domani. E' tempo di scelte chiare e coraggiose. Ed tempo di scelte chiare e coraggiose anche per tutto il resto. Perch, a me sembra, che sia proprio la mancanza di chiarezza e coraggio nelle scelte di governo del Paese uno dei punti sui quali continua a sostanziarsi una crisi senza fine.

C' infatti un tratto che accomuna i singoli giudizi che abbiamo ripetutamente espresso su ogni intervento del Governo Letta in tema di politiche economiche e sociali degli ultimi mesi: poco coraggio, troppa ambiguit, nessun atto di rottura. Poco coraggio quando si trattato di affrontare, con i decreti del "fare", l'emergenza sociale e occupazionale, ambiguit e ipocrisia quando si arrivati ad affrontare il lavoro pubblico. Questo Governo non sicuramente quello che avremmo voluto: mediazione, equilibrismo, larghe intese sono termini che non appartengono al nostro lessico; non nei termini sui quali si via via caratterizzata l'azione politica di questo esecutivo. Ma questo il Governo al quale, comunque, abbiamo affidato una pur flebile speranza, se non di cambiamento radicale, di differenziazione netta dalle pratiche dei governi passati. Devo dire, per, che anche abbassando l'asticella delle aspettative, anche tenendo conto di tutte le attenuanti generiche, in questo caso equivalenti alle aggravanti contestate, il nostro giudizio nei confronti dell'azione del Governo Letta finora critico. Si poteva fare molto, tanto di pi. Tanto di pi sull'occupazione e sulla povert, sulla lotta all'evasione e sulle politiche sociali. Si poteva fare di pi su welfare e protezione sociale. Si poteva fare e si deve fare di pi sul lavoro pubblico. Non e' che non riconosciamo il tentativo dell'esecutivo di prendere le distanze da una direttrice di marcia che, caratterizzando un quinquennio di politiche liberiste, ha inteso il lavoro pubblico come un nemico da abbattere, un cassa continua dal quale succhiare risorse. Lo riconosciamo, lo abbiamo dichiarato pubblicamente: il tentativo di dare risposte, pur parziali, spesso confuse e a volte anche sbagliate, alle emergenze che registriamo in settori nodali delle pubbliche amministrazioni c' stato: l'idea che temi come il funzionamento della Giustizia, della protezione civile, i vigili del fuoco, l'area dell'emergenza abbiano necessit di interventi straordinari, ad hoc, visibile, si registra anche nell'ultimo decreto 101, pur fra poche luci e tante ombre, una fra tutte la riforma della geografia giudiziaria che il Governo Letta non ha inteso sospendere. Cos come non possiamo non riconoscere che c' una netta differenza. sia nell'approccio che nel merito, fra le politiche scolastiche imposte dalla Gelmini e dai suoi emulatori e i contenuti del recente decreto sulla scuola del Governo Letta. Non si pu far finta di non vedere che c' qualcosa di diverso, di almeno utile alla scuola pubblica nell'ultimo intervento legislativo di qualche giorno fa. Ma ci che a questo esecutivo mancato e continua a mancare una visione di insieme sulle politiche pubbliche, su quelle del welfare, su quelle del lavoro e, in quella visione di insieme, un chiaro ed in equivoco elemento di novit. Ed l'ineluttabilit di questa assenza, di questa incapacit a rompere con il passato ci che pi di ogni altra cosa uccide la speranza nel cambiamento. Perch, e lo voglio dire con chiarezza, quella ricerca di una visione di insieme, di una alternativa vera alle politiche neoliberiste del recente passato, non nelle disponibilit del Presidente Letta. L'interminabile contraddittorio fra il Consiglio dei Ministri, fra il Ministro della Funzione Pubblica e il capo gruppo del Pdl, un certo Renato Brunetta, ogni qualvolta sul tavolo delle decisioni vengono affrontate questioni che attengono al lavoro pubblico l'ostacolo insormontabile a qualsiasi operazione di recupero dei danni prodotti.

Il lavoro pubblico, il sistema dei servizi ai cittadini ha bisogno di superare l'insieme delle leggi di riforma che li hanno indeboliti, a volte distrutti. Ci necessiterebbe di un atto chiaro, di un progetto alternativo che dubito potr mai prendere piede, a situazione attuale. Ed emblematica anche la diatriba, il conflitto anche aspro che il Pdl ha inteso accendere sul tema dei precari. E' evidente come il decreto 101, sull'intera partita dei contratti a tempo determinato o comunque precari, sia il misero risultato di una trattativa al ribasso tra chi avrebbe voluto fare di pi (e le dichiarazioni trionfanti e anche un tantino menzognere del Governo lo dimostrano) e chi, come l'ex Ministro Brunetta, non avrebbe voluto assumere alcuna decisione a riguardo. Peccato che questa mal riuscita trattativa politica si sia consumata proprio sulla pelle delle 150.000 precarie e precari delle pubbliche amministrazioni. Evito in questa sede, lo sappiamo tutte e tutti, di sottolineare l'importanza, la necessit della loro presenza nel sistema dei servizi ai cittadini. Ci che invece voglio dichiarare con forza la nostra insoddisfazione per questo intervento pi che residuale sul tema del lavoro precario. Al Parlamento la responsabilit di recuperare i giusti termini di questa grande questione sindacale e sociale: il percorso che va individuato e che aiuteremo a ricercare con una precisa attivit unitaria, anche di mobilitazione e lotta, quello al cui orizzonte scritto la parola stabilizzazione. Non del 5%, sicuramente, ma di tutte quelle lavoratrici e lavoratori che, anche rispetto agli interventi passati, poi repentinamente cancellati dal Governo Berlusconi, hanno maturato il diritto ad essere considerati lavoratori in pianta stabile. Cos come, e vengo all'altro argomento di forte critica nei confronti del Governo, c' necessit di dare un segnale chiaro sul tema dei contratti collettivi nazionali di lavoro e della contrattazione. La recente proroga di un anno del blocco del rinnovo dei contratti di lavoro figlia, anch'essa dell'ambiguit politica che su certi temi ha continuato a caratterizzare il Governo. La questione salariale nel lavoro pubblico una emergenza. La perdita del potere di acquisto dei salari pubblici ha gi determinato, come ha ampiamente dimostrato anche l'Istat, l'entrata nella fascia di povert relativa di migliaia e migliaia di lavoratrici e lavoratori pubblici. 6, 7 a volte anche 8.000 euro di mancate entrate economiche negli ultimi quattro anni non possono continuare ad essere considerate come un semplice effetto delle politiche riduttive e restrittive che la Troika ha imposto al nostro Paese. Quella scelta va modificata, vanno assunte ben altre decisioni. Noi chiediamo, e lo faremo innanzitutto con la prossima presentazione delle piattaforme unitarie e con la mobilitazione che dispiegheremo a sostegno delle rivendicazioni, che si riapra al pi presto una vera trattativa contrattuale, normativa ed economica. Non ci sono mediazioni possibili, nessuna timidezza. Noi non ci rassegneremo al fatto che anche il 2014 sia l'ennesimo anno di blocco dei rinnovi contrattuali. Non intendiamo farlo e lo dimostreremo con i fatti, con le piattaforme, ma soprattutto con le iniziative e la mobilitazione.

Il lavoro pubblico ha bisogno di riconquistare pienamente il suo agire contrattuale, ha bisogno di riappropriarsi di una idea originale di contrattazione che lo metta in condizione di riconnettere il tema del lavoro e dei servizi a quello della qualit delle prestazioni erogate, il tema della partecipazione democratica dei cittadini alla stessa natura universalistica del nostro sistema di welfare. L'organizzazione del lavoro, lo dimostrano i fatti, la condizione senza la quale qualsiasi operazione che tende al miglioramento delle attivit pubbliche impensabile. La contrattazione delle nostre condizioni di lavoro l'unico strumento in grado di far ripartire un idea di servizio pubblico partecipato, condiviso, funzionale ed efficiente. L'idea che la legge sia uno strumento migliore della contrattazione ormai asfittica, priva di credibili argomentazioni. E' praticamente morta. Dobbiamo ora fare al pi presto il passo successivo: rimettere in circolo quell'idea di contrattazione sindacale e sociale la cui cancellazione, negli scorsi anni, ha concorso in maniera determinante al degrado materiale delle pubbliche amministrazioni. Abbiamo bisogno cio di riappropriarci dei valori posti a fondamento di quella democrazia nel lavoro che le leggi Brunetta e Monti hanno ripetutamente violentato, vilipeso. L'accordo sulla rappresentanza un primo grande passo verso la riconquista di quel principio. E, per quel che ci riguarda, quell'accordo ci offre un grande spazio per riaprire quella discussione per molti anni soffocata, negata, non riconosciuta in primo luogo dai governi. L'idea di rappresentanza che da quell'accordo promana interessa, proprio cos come rappresentata, l'insieme delle sofferenze di quel grande e variegato mondo dei settori privati che assicurano prestazioni pubbliche. Mezzo milione di lavoratrici e lavoratori ai quali, proprio sulla base di un sistema totalmente deregolato su diritti, democrazia e rappresentanza, ha visto degradare le propri condizioni di vita e di lavoro oltre i limiti del sopportabile, del consentito. Evito di soffermarmi, lo facciamo fin troppe volte tutti i giorni, sulle caratteristiche sostanzialmente amorali ed incivili di grandi pezzi della nostra imprenditoria privata, quella che il pi delle volte ama definirsi con un po' di ipocrisia privato sociale. A utili reinvestiti principalmente nelle attivit speculative, a patrimoni immobiliari sempre maggiori e a guadagni mai in flessione hanno corrisposto licenziamenti, casse integrazioni, abbassamento dei diritti del lavoro, regressioni salariali. Quell'accordo sulla rappresentanza getta per noi le basi, aggiungo io finalmente, per una grande operazione di ritorno alla legalit, al rispetto dei principi fondamentali del lavoro, ma, soprattutto, ci consegna l'opportunit, che dobbiamo saper cogliere fino in fondo, per riaprire una grande discussione, fra di noi, fra noi e quel particolare tipo di imprenditoria, fra noi quest'ultimi ed il Paese. Una discussione collettiva e responsabile su uno dei temi pi attuali e al contempo meno esplorati dell'ultimo decennio: il rapporto fra finanziamento pubblico ed erogatore privato di prestazioni pubbliche. Una grande discussione in seno ai nostri organismi dirigenti ci ha gi consegnato un grande obiettivo: quello di provare ad invertire quella tendenza che, soprattutto negli ultimi sei anni, ha divaricato ulteriormente il mondo del lavoro privato nei servizi pubblici. La nostra idea di democrazia e rappresentanza, unite a quelle sulla contrattazione, che deve essere inclusiva, sia rispetto alle tutele del lavoro sia rispetto alla partecipazione attiva dei

cittadini, possono rappresentare il vero elemento di novit nel rapporto con le controparti datoriali dei nostri settori privati. E' gi cominciato un percorso unitario di confronto con Anci e Regioni il cui obiettivo rimettere a regolarit, oserei dire a legalit l'intero sistema, garantire il rispetto dei contratti nazionale di lavoro, ampliare la sfera delle tutele siano esse soggettive che collettive. Peccato che anche su questo tema l'approccio del Governo sia risultato fin troppo timido, fin troppo attendista. La legge sulla rappresentanza e la democrazia nel mondo del lavoro non mai stata rappresentata dal Governo Letta come uno dei punti fondamentali del suo agire. Le rappresentanze sindacali unitarie sono e possono rappresentare un punto fermo dal quale ricominciare a camminare in direzione "ostinata e contraria" a quella intrapresa con quelle controriforme. Consideriamo fondamentale proprio per questo l'appuntamento per l'elezione delle RSU nei settori, pubblici e privati, dell'igiene ambientale che si terranno il 26 e 27 novembre: l'esercizio del diritto al voto delle lavoratrici e dei lavoratori di quei settori sar una delle migliori risposte al Governo ed al Parlamento sul tema della democrazia, sul bisogno di rinnovarne i principi fondamentali, sulla necessit di partecipare e condividere, sulla esigenza di contrattare le proprie condizioni e, anche, per indicare una diversa direzione di marcia per le politiche ambientali dell'intero Paese. Un risultato positivo della Cgil, cosa del quale non abbiamo motivo di dubitare, aggiungerebbe significati ulteriori, fin troppo evidenti per essere spiegati. E fra gli elementi di giudizio critico che avanziamo al Governo c' anche quello che attiene al tema delle riforme istituzionali e dei conseguenti effetti sull'intero sistema del lavoro pubblico e dei servizi. Ci vuole molto a capire che c' bisogno di dare una vera e propria sterzata a quel percorso intrapreso dall'ex Presidente Monti, ha avuto la brillante intuizione di interpretare il tema delle riforme istituzionali n pi n meno, come ha interpretato il tema della spending review? Ci vuole molto a capire che, a fronte di un ventennio nel quale fra riforma del titolo quinto, federalismo leghista e crisi economica, l'intero sistema istituzionale ha necessit urgente di essere complessivamente riorganizzato? Gli interventi spot, contraddittori, confusi e reazionari sul tema delle Province stanno a rappresentare proprio questa miopia, quella mancanza di una visione di insieme, di come funzione nel complesso il sistema pubblico e di come si garantiscono diritti di cittadinanza, servizi, protezione sociale. Come si fa a non capire che la drammatica contraddizione che, negli ultimi anni, ha messo di fronte l'idea di federalismo (zoppo, aggiungiamo noi) a quella di una prepotente ritorno al centralismo finanziario non pu pi reggere? E questo vale per tutti i livelli istituzionali che garantiscono la tenuta della nostra Repubblica: vale per le funzioni centrali dello Stato, che vanno riorganizzati in nome e per conto di una vera idea di decentramento, amministrativo, decisionale e di relazione con i cittadini, cos come vale per le Regioni, strette fra finanziamenti nazionali e responsabilit esclusive nell'assicurare assistenza sanitaria e sociale ai cittadini; vale per i comuni, per i quali c' necessit di mettere in campo nuove idee di comunit allargate e vale, a maggior ragione, per le Province. E sulle Province intendo dire semplicemente che quel livello, che non pu sfuggire come gli altri a ipotesi di profonda riorganizzazione e cambiamento, va mantenuto.

Che la soluzione sia in una rinnovata idea di associazionismo fra enti ed istituzioni territoriali o nell'individuazioni di aree pi o meno vaste. Ma il mantenimento dell'insieme dei servizi, la responsabilit nell'esercizio di funzioni fondamentali come il lavoro, la scuola, la cura del territorio e i livelli occupazionali sono il limite invalicabile. Vanno ridefinite le funzioni fin qui garantite dalla Province, vanno rideterminati i rapporti che legano quelle funzioni all'intero sistema delle autonomie, vanno riorganizzate le attivit, provando ad offrire ai cittadini un grado maggiore di consapevolezza sui servizi offerti. Vanno, insomma, esperiti tutti i tentativi trasformare quel livello istituzionale in qualcosa di pi vicino ai cittadini, in una istituzione pi leggibile dagli stessi. Ma, e lo dico con nettezza, mantenendo fermi due principi. Qualunque ipotesi di riorganizzazione deve poter garantire sia il mantenimento delle prestazioni e dei servizi assicurati sia i livelli occupazionali delle lavoratrici e dei lavoratori. A maggior ragione in una situazione nella quale il Governo mostra tutti i limiti della sua azione proprio rispetto alla gestione della mobilit e dei processi di riduzione degli organici, conseguenza della dissennata scelta operata dal Governo Monti con il Decreto sulla Spending review. Le nostre proposte sono chiare e anche coraggiose: dal "Piano del lavoro" al documento "semplificare per rafforzare" non abbiamo lasciato inesplorato nessun tema, non abbiamo permesso che lacune o omissioni di sorta attraversassero le nostre proposte sull'insieme dei temi di politica sindacale, a maggior ragione su quelli che interessano il lavoro pubblico. Il Governo Letta farebbe bene ad aprire una grande discussione con tutti gli attori sociali su come il nostro Paese intende proporsi negli assetti e nei fondamentali nei prossimi anni. Solo cos, io penso, il tema del funzionamento dello Stato pu tornare ad essere il nucleo culturale, etico e morale attorno al quale si pu ricostruire una idea di democrazia e di vivere collettivo alternativa a quella solitaria, egoistica e opportunista prefigurata ed in parte realizzata attraverso i libri bianco/verdi di Sacconi e le politiche neo liberiste di Berlusconi e Monti. Una grande discussione collettiva che provi a riconnettere i principi costituzionali repubblicani con il sentire del Paese; che provi, ad esempio, a far rivivere nei cittadini la stretta relazione fra modelli ed assetti istituzionali e il sistema dei servizi, fra la qualit della loro azione e quella della vita di ognuno di noi, fra il grado di protezione sociale che viene assicurato e l'idea stessa di una riforma complessiva dello Stato tarata sui bisogni, sulle aspettative. C' bisogno di rimettere in connessione, insomma, le pur interessanti discussioni che si ascoltano distrattamente da un Tg o che si leggono su un giornale, con la giornata dei cittadini, con il loro vivere quotidiano. Cosa altro stato, se ci riflettiamo un istante, quel grandissimo, straordinario, eccezionale movimento per i referendum sull'acqua pubblica e sui servizi pubblici locali se non la realizzazione e quell'intersezione fra quello del quale ho bisogno e quello che voglio fare per realizzarlo? Una magnifica esemplificazione di ci di cui abbiamo tutti bisogno, di quel che dobbiamo far riconquistare all'intero Paese, perch, e la cronaca recente lo dimostra ampiamente, quel processo di condivisione e partecipazione, attivato proprio su quel bisogno di riconoscere i bisogni, non si arresta facilmente. Quella spinta referendaria non stata capita solo dai nostri governanti, dall'ex presidente Monti, nello specifico, ma dai cittadini stata compresa alla radice.

Marted scorso abbiamo consegnato le firme italiane necessarie per la riuscita dell'Ice sull'acqua pubblica: ora il Parlamento europeo dovr pronunciarsi tenendo conto della grande richiesta dei cittadini europei di sottrarre alle logiche del mercato e del profitto la gestione idrica. Ampliare, quindi, con coraggio e determinazione, la sfera della partecipazione attiva dei cittadini alla organizzazione dei servizi pubblici la sfida che abbiamo di fronte. Non pi solo una rivendicazione che guarda e prova a rispondere al bisogno di connettere la qualit delle prestazioni, la qualit del lavoro che le garantisce, i tempi di attesa nell'erogazione dei servizi e, cosa per noi comunque fondamentale, un nuovo concetto di produttivit sul quale tornare ad investire politicamente, finanziariamente. Non si tratta pi solo di queste cose, tutte importantissime e tutte parti fondamentali delle nostre rivendicazioni. Si tratta di riscrivere i tratti fondamentali di un vivere in comunit dentro il quale il ruolo dei servizi pubblici, il sentire come propri quei servizi, diventi il punto di partenza di una rinnovata idea di democrazia. E per ultimo noi. La Cgil. Proprio per le cose che ho appena provato ad affermare, la nostra vita organizzativa e politica, le scelte che abbiamo di fronte, il congresso che ci apprestiamo ad aprire non possono che essere in coerenza, almeno per me, con ci per il quale abbiamo combattuto, lottato, manifestato. Non possono che essere in stretta relazione alle nostre politiche attive degli ultimi anni, a ci che abbiamo ripetutamente affermato e praticato su democrazia, rappresentanza, pluralismo. Innanzitutto dobbiamo saper interpretare con coraggio il Congresso come una straordinaria occasione per parlare all'intero Paese, per parlare del Paese e delle sue prospettive, del suo futuro. Una occasione sulla quale dobbiamo chiamare a raccolta quel sentimento collettivo di solidariet, di comunione, di progresso e, aggiungo io, anche di indignazione che, la storia recente di questo paese lo afferma, se non orientato dentro una proficua discussione democratica e trasparente si trasforma in altro, diventa antipolitica, astensionismo, egoismo, rabbia. Io sono convinta che abbiamo tutti i numeri, la cifra giusta, affinch il nostro Congresso sia quel che tutti ci aspettiamo: la pi grande discussione politico/sindacale della pi grande organizzazione di rappresentanza del Paese. Dico, per, che dobbiamo stare attenti: abbiamo da evitare strade dissestate, rischi profondi: dobbiamo evitare in tutti i modi che, anche pur solo inconsapevolmente, quella discussione che vogliamo rivolgere al Paese si chiuda prima di iniziare, che ci si incammini verso una interlocuzione interna: che, insomma, invece di parlare al Paese alla fine si possa arrivare a parlare di noi a noi. Ecco, innanzitutto, il Congresso che abbiamo di fronte non deve cedere alla tentazione di interpretare questa grande occasione chiudendo in un dibattito sterile fra gruppi dirigenti: non questo ci di cui il Paese ha bisogno, n che la Cgil pu permettersi di fare. Abbiamo gi rischiato in passato di non essere pienamente compresi dal Paese al quale ci rivolgiamo in queste occasioni e non dobbiamo ripercorrere gli stessi errori: il passaggio entro il

quale si collocano le nostre assemblee congressuali uno fra i pi delicati per tutti coloro che rappresentiamo e non consente tentennamenti, ambiguit. Una grande interlocuzione, quindi, che deve riuscire a proporre ai cittadini, all'intera societ civile i termini di un progetto di miglioramento del nostro vivere comune, una piattaforma complessiva per riordinare il Paese dopo anni e anni di disastri e di mancate occasioni. Un rischio fra tutti, avverto come maggiore: quello di ripercorrere, magari con una qualche eleganza in pi, quel filone di ragionamento, quel solco culturalpolitico che guarda al plebiscito come la soluzione. Dobbiamo saper resistere proprio a quelle tentazioni popolare/populiste che abbiamo aspramente criticato nei partiti e sulle quali la politica ha mostrato e continua a mostrare il suo volto peggiore. Io vorrei un congresso che parli al paese, ma che sappia mantenere equilibrio e ragionevolezza nella gestione di una grandissima organizzazione di rappresentanza sociale come la Cgil. Vorrei, insomma, come nelle regole statutarie, un congresso degli iscritti, non altro. Io non vedo soluzioni diverse da quelle sulle quali abbiamo fondato e radicato la nostra centenaria esperienza. Penso, infine, e lo dico con chiarezza, che il pluralismo, in una organizzazione come la nostra, debba continuare ad essere considerata un valore irrinunciabile, uno dei punti fondamentali del nostro vivere la Cgil. Ho provato, abbiamo provato in questi tre anni e mezzo a praticare quotidianamente questa affermazione, convinti fino in fondo della sua assoluta verit. Ecco, io penso, mi auguro e lavorer per questo, che il prossimo congresso riesca a confermare, dopo oltre centodieci anni di storia, il valore di quella parola, di quel principio che, se agito con determinazione, permette ad ognuno di noi, sia pur con le sensibilit e le diversit che abbiamo, di interpretare la parola noi, in maniera sempre pi estensiva, sempre pi inclusiva. Perch quel sentire, quel nostro NOI contrapposto all'IO, che ci ha consentito di crescere e vivere in una organizzazione pluralista e democratica come la Cgil. E' quel NOI contrapposto agli IO che ci ha consentito e ci consentir di continuare a lavorare con passione e comunione di intenti per il solo grande obiettivo che tutti ci siamo dati: Il lavoro prima di tutto. Viva la Cgil, Viva la Funzione Pubblica.

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