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IL SEME DEL PIANGERE

DI GIORGIO CAPRONI
di Biancamaria Frabotta

Letteratura italiana Einaudi

In:
Letteratura Italiana Einaudi. Le Opere
Vol. IV.II, a cura di Alberto Asor Rosa,
Einaudi, Torino 1996

Letteratura italiana Einaudi

Sommario
1.

Lirrazionale sgomento: genesi e storia del Seme del piangere.

2.

La linea della vita.

3.

La sfida dellultimo esule: un tema sotterraneo.

13

4.

Bisogno di guida. Modelli e fonti di un Io solo.

15

5.

Lo scandalo dellusuale: o lo stile della vita.

17

6.

Nota bibliografica.

18

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1. Lirrazionale sgomento: genesi e storia del Seme del piangere.


Riecheggiando un famoso verso del Seme del piangere Giuseppe De Robertis immortal quel libro in una formula critica lapidaria ed estensibile a quasi tutta lopera di Caproni. Il segreto della meritata fama che tocc alla raccolta dedicata dal
poeta alla madre defunta, fu colto in un che di popolare e di sapiente insieme1.
Io parlo di segreto, ma gi questa parola, di ascendenza agostiniana e petrarchesca, un po deviante se applicata a un libro che, soprattutto nella sezione dei Versi livornesi, appare cos trasparente da risultare quasi allarmante. Tale la fragilit
fisiologica della sua natura, perfino metrica, che a trattarlo senza la dovuta delicatezza si rischia di mandarlo in pezzi. Eppure proprio l dove fluisce pi persuasiva la sua melodia comunicativa, il lettore intuisce uninsondabilit di fondo, la regola di un gioco sempre enigmatico, anche se accessibile a tutti. Raccontarne la
genesi e la storia significa anche accostarsi a questo segreto, ma non mi si fraintenda. Non si tratta di cogliere il poeta in contropiede, di smascherarne i trucchi,
sebbene Caproni, almeno fino alla svolta delle Stanze della funicolare, a suo modo
civettasse anche lui con la poetica delle finzioni cos diffusa nel gusto degli anni Trenta e Quaranta. La mia speranza, al contrario, proprio quella di non dover
tradire il testo nella sua letteralit di opera insieme sapiente e popolare.
Il seme del piangere2 celebra un sentimento archetipico, se vero che lamore
filiale si manifesta ovunque con la ricorrenza di una costante antropologica. Nelle prime poesie di Caproni la figura della madre assente, a meno che nella spensierata lavorante di Ballo a Fontanigorda e nei canti delle giovinette | chine sullago (Alla giovinezza, vv. 4-5, p. 40) non si voglia riconoscere una protorappresentazione di Annina Picchi, finissima sarta e ricamatrice. Dal momento che la plaquette del 19383 fu scritta per festeggiare le nozze con Rina Rettagliata, celebrate
proprio quellanno, non si andrebbe al di l di una reminiscenza puramente inconscia. Se lo paragoniamo a Come unallegoria4 del resto, la raccoltina con cui
Caproni esordisce due anni prima, Ballo a Fontanigorda non registra scarti stilistici di rilievo. Eppure il matrimonio era intervenuto a liberarlo di un peso. Prima di
conoscere Rina, Giorgio aveva disperatamente amato una giovane donna genovese, Olga Franzoni, precocemente rapita da una setticemia fulminante. Lo shock fu
1 AA.VV., Alcuni scritti sulla poesia di Caproni, in G. CAPRONI, Poesie 1932-1986, Milano 1989, pp. 785-88. La
citazione a p. 788 (cfr. la recensione di G. DE ROBERTIS, Il seme del piangere (1959), in ID., Altro Novecento, Firenze 1962, pp. 484-88). Questa raccolta ricalca quasi fedelmente la precedente edizione di G. CAPRONI, Tutte le
poesie, Milano 1983, che per non comprendeva Il conte di Kevenhller pubblicato nel 1986.
2 La prima edizione di Il seme del piangere apparve presso Garzanti, Milano 1959. Le citazioni sono tratte da ID.,
Poesie 1932-1986 cit.
3 ID., Ballo a Fontanigorda, Genova 1938.
4 ID., Come unallegoria, Genova 1936.

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Il seme del piangere di Giorgio Caproni - Biancamaria Frabotta

violento, tanto che Giorgio le dedica dimpeto la sua opera prima; poi sembr
quasi dimenticarla, ma inequivocabili sintomi sarebbero presto riaffiorati alla superficie di un temperamento gi di per s malinconico e propenso ad avvelenarsi
anche le pi innocenti gioie. In una poesia ormai ben lontana dal candore adolescenziale dei primi versi, Olga torner nelle vesti del fantasma persecutorio che
scuote i sonetti di Anniversario, scritti e pubblicati in piena guerra5.
La prima edizione di Cronistoria, con una funzione di spartiacque fra le sue due
parti, contiene un congedo in prosa dai genitori che nelle successive riedizioni dellopera sar soppresso, forse per un moto di pudore dellautore verso sentimenti
che riguardano anni tanto lontani. Infatti a rileggere col senno di poi quelle paginette si ha la sensazione di trovarsi di fronte a un vero e proprio grumo psicologico
che qui il poeta, sopraffatto dalluomo, non riesce ancora a domare letterariamente.
Al padre Attilio, Giorgio si rivolge con una confidenza virile, senza rossore, forte di un reciproco affetto che non suscita rimorsi, n pone condizioni. Attilio, che ama solo la musica e la matematica, non d alcun peso alle parole, tanto
meno a quelle della poesia e di fronte alla passione del figlio non sottilizza, n recrimina. La loro differenza sar la premessa di una dolce libert, la stessa goduta
sulle piane degli Archi a Livorno, dove fischiando e senza tristezza i due aspettavano che il giorno si allentasse per ritornare coi cacciatori di lepri6. Ben altra
musica risuona nel congedo dalla madre. I toni sono soffocati, penitenziali, quasi
sconnessi. Son poche frasi, ma rigurgitanti di sensi di colpa e di rimorsi. Madre e
figlio si assomigliano sin troppo e come nel parlatorio di un carcere duro le loro
immagini si riflettono nel vetro di unatavica interdizione. Non pu non colpire la
diversa ambientazione dei due colloqui. Il mondo col padre un mondo allaperto, allietato da una serena flnerie al riparo da qualsiasi pericolo reale. Come vuole la pi vieta tradizione simbolica invece il regno delle madri un interno, gi
quasi infero, minaccioso, non redento. Ancora fin nel bel mezzo dei Lamenti7. il
complesso parentale sostanzialmente lo stesso. Il figlio si sente solo, abbandonato. La mano del padre, ormai vecchio e infiacchito dalla guerra, non ha pi la
forza di una guida sicura, ma leco del suo tranquillo passo nella | sera degli Archi a Livorno (I lamenti, III, vv. 5-6, p. 123) non si ancora spenta. Come in
Cronistoria Livorno ancora la citt del padre, ma la struttura stessa del sonetto, cos contratta e intrigata, a gridare la verit di unangoscia altrimenti inesprimibile. Si tratti di Olga o della mater dolorosa, il lutto per lamore morto non
trova altra forma se non un canto chiuso.
5

ID., Cronistoria, Firenze 1943.


Ibid., p. 74.
7 Il ciclo dei Lamenti sar pubblicato nella sezione Gli anni tedeschi, in ID., Il passaggio dEnea, Firenze 1956.
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Il seme del piangere di Giorgio Caproni - Biancamaria Frabotta

Nel 1960, appena un anno dopo Il seme del piangere, Caproni scrive per la
Fiera letteraria un elzeviro intitolato La motopompa8. Anna Picchi morta nel
1950 ed sepolta in Sicilia in un camposanto lambito dalle acque del Loreto, un
piccolo fiume delle Madonie. Accanto a lei giace unignota giovinetta del luogo,
morta ventenne. Una motopompa, esaltando con la sua monotona regolarit il silenzioso scorrere del fiume, suscita pensieri di eternit; favorisce libere associazioni e, come dal lago nero dellinconscio, estrae a forza acqua dal sottosuolo.
Giorgio si abbandona alla rverie di unautocitazione, Quale debole siepe fu lamore!, ultimo dei sonetti di Anniversario. Questa volta il poeta che si consente
ci che alluomo non sarebbe permesso e si trastulla nella bizzarra fantasia di
aver scritto quella canzone | umanamente chiusa (vv. 2-3, p. 114) non per Olga, ma per la sconosciuta fanciulla che il caso ha affiancato alla madre nelleterno riposo. Il gioco delle sovrapposizioni cos si complica di un nuovo elemento;
non pi solo Olga e Annina, ma, con la complicit di un volto mai visto e solo sognato, prende forma la fisionomia di una creatura tutta da inventare: unaltra
Annina, anchessa estranea alla memoria e imperscrutabile nel suo mistero di impossibile fidanzata, di madre non ancora madre. Solo per lei in realt la motopompa della poesia infaticabile lavora. Attraverso analoghe circumnavigazioni
Caproni torner a contemplare in Livorno il suo luogo originario, la sua citt madre che, come capita a tanti, coincide con la citt della madre. Anche Stanze della funicolare (il poemetto intendo e non il libro)9 sar una tappa di questa fantasia davvicinamento.
Fu lo stesso Caproni a suggerire, in unintervista del 1975, di leggere in chiave freudiana la metafora del tunnel da cui sbuca la funicolare del Righi10. La citt
di Genova, scoscesa e verticale, domina ancora incontrastata nella topografia
mentale di Caproni e le sue scenografie ampie e movimentate invitano a escursioni; brevi, ma pregnanti transiti simbolici. A Genova Caproni dedicher le sue
composizioni pi complesse e mature, da Le biciclette a Il passaggio dEnea, stanze edificate per documentare un personalissimo piano regolatore che sa assoggettare anche la metrica alla coscienza etica e civile. Caproni non fu certo un neorealista, n un fedele seguace dellengagement, o meglio ingabbiamento, secondo la
sua ironica traduzione della teoria sartriana, ma nella robusta impalcatura del suo
classicismo postbellico le pulsioni troppo veementi vengono non dico represse,
ma trattenute al fondo, piallate con rude perizia artigianale. Magari dai piani infe8

ID., Il Taccuino dello svagato. La motopompa, in La Fiera letteraria, 11 dicembre 1960.


Il poemetto comparve prima in ID., Stanze della funicolare, Roma 1952, e poi in ID., Il passaggio dEnea cit.
10 Cfr. Molti dottori nessun poeta nuovo. A colloquio con G. Caproni, a cura di J. Insana, in La Fiera letteraria, 19
gennaio 1975.
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riori dove sono state relegate, premono, si agitano, trapelano in alcuni tortuosi
cenni che solo coevi racconti, come Il gelo della mattina11 per esempio, renderanno espliciti, ma la ganga tiene e si rapprende in una mirabile costruzione sintattica che anche e soprattutto costrizione etica. Per avvistare i primi cedimenti bisogna arrivare al 50, al 52, quando, forse estenuato dalle fatiche del cantiere o
anche presago dellinevitabile logoramento del tpos genovese, un po per gioco,
un po sul serio Caproni cominci a scrivere cartoline in versi. Le imbucava alla
svelta, indirizzandole quasi sempre ad amici di giovent che si accontentavano di
una voce intonata alla sordina della nostalgia o, come lui amava dire, sul cantino del violino. Non si tratt di un ingenuo sfogo del privato vilipeso, dal momento che le cartoline finirono tutte, o quasi, nellappendice del Passaggio dEnea
del 1956 e preparano il lettore a una garbata, ma perentoria uscita da quella malinconica epopea. Il poeta fa finta di niente, ma alla chetichella pronuncia parole
pesanti come pietre, come la spietata antitesi fra Genova, citt fina e Roma enfasi e orina (A Tullio, vv. 5 e 13, p. 169), o, ancora peggio: Lascer cos Genova: | entrer nella tenebra (A Rosario, vv. 21-22, p. 170).
Nelle tenebre del regno delle madri Giorgio invece entrer prima ancora di
abbandonare la sua erta citt in salita che, dopo la bicicletta, il treno, il tram, la
funicolare, gli dona lebbrezza dellultimo viaggio genovese sullascensore di Castelletto. Scritta dopo aver appreso dai medici che la madre, gravemente ammalata, ha ormai i giorni contati, Lascensore chiude, violando di colpo una lunga reticenza, un libro tutto intento a cogliere nella catabasi di Enea il senso pi riposto della legge paterna. La vita finora tenuta a distanza, ora che ne minacciata
la stessa matrice originaria, travolge ogni esitazione e mette a nudo in tutta la sua
vulnerabilit il seme stesso della perdita e del lutto. Lascensore la prima epifania della madre-fidanzata e anche il primo testo di puro godimento fluidamente
narrativo eppure del tutto libero dal quotidiano ricatto della prosa. La voce che
la detta sempre in salita, ma la fatica non si avverte e nessuna stecca la incrina e
proprio perch racconta un sogno nellattimo stesso del risveglio, prima che la
realt vi aggiunga le sue inevitabili correzioni. Anzi la prepotenza del dolore e la
prodigiosa prossimit della morte fanno vacillare le ultime remore. Il Paradiso
non una promessa, come accade ai mortali, ma una certezza a portata di mano:
Quando mi sar deciso | dandarci, in paradiso | ci andr con lascensore | di
Castelletto (vv. 5-8, p. 175). Gi Sbarbaro aveva colto il fascino incantatorio di
quel luogo: A questo balcone spalancato su Genova si potrebbe, unora come
questa, aspettare lAmore12. La leggenda di Annina nasce in presenza di questo
11
12

G. CAPRONI, Il gelo della mattina, Caltanissetta 1952 (poi in ID., Il labirinto, Milano 1984).
C. SBARBARO, Lopera in versi e in prosa, Milano 1985, p. 307.

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panorama senza confini e nel preciso momento in cui la luce nera del mare (v.
15) deflagra nelle candide luci (v. 26, p. 176) di un litorale che sembra gi
quello sprofondato nella intermittente memoria infantile. mito di Livorno appena oltre la soglia della coscienza e Caproni, affezionato simbolo pregnante della porta sempre socchiusa nellinterminabile fuga di corridoi della sua opera,
apre cos un varco alla disperazione afasica del lutto. Il passaggio dEnea si chiude con due anticipi del futuro Seme del piangere: Per mia madre, Anna Picchi e
Idem. La seconda poesia della coppia non una novit assoluta; con il titolo La
ricamatrice e insieme con un altro testo, Allantica, era stata pubblicata su una rivista di Parma13. Il primo a entusiasmarsi per le due canzoncine fu proprio Attilio Bertolucci naturalmente che da allora cominci una dolce pressione sullamico perch portasse a termine il suo nuovo libro, adattissimo alla collana di
poesia di Garzanti da lui diretta.
Se le informazioni che Caproni aggiunge nella Nota al vallecchiano Passaggio
dEnea sono attendibili, Per mia madre, Anna Picchi e Idem risalgono al 1954 e,
sempre seguendo le indicazioni del poeta che alla prima delle due canzonette assegner poi lonore di un titolo eponimo, possiamo legittimamente isolarle dal
contesto per rintracciarvi il nucleo generativo del Seme del piangere. una scelta carica di conseguenze, dal momento che in un breve giro di versi cruciali il lutto che il libro elaborer si sintetizza nella precisione di un ricordo circoscritto,
ma nitido:
Sperduto sul Voltone,
o nel buio dun portone,
che lacrime nel bambino
che, debole come un cerino,
tutto lintero giorno
aveva girato Livorno!

(vv. 3-8, p. 227).

Il piccolo Giorgio ha smarrito la madre nelle nebbie di un passato lontano, ma


non tanto da non ribalzar fuori, intatto e pungente al primo importuno colpo di
vento. Non c sentore di libert, n di avventura in questa esperienza. Langoscia
della perdita senza rimedio, come i bambini sanno benissimo perch l che il
Tempo si fa palpabile, materializzandosi in una distanza incolmabile. Senza pi
lantidoto delle immemori passeggiate col padre, mano nella mano, nel regolare
intervallo degli Archi cittadini, i Versi livornesi amplificheranno leco di quel primo singhiozzo nella sacca uterina di una citt-madre che si slabbra fino alla vastit in bianco e nero della piazza del Voltone ancora pi immensa nella percezio13

G. CAPRONI, Due canzoncine per mia madre: Allantica, La ricamatrice, in Il Raccoglitore, 5 luglio 1956.

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ne infantile. Proprio in questa poesia possiamo segnalare una delle pochissime varianti apportate nella tarda revisione delle Poesie del 1983. Nelledizione del 1959
il distico dapertura era lievemente diverso: Quanta Livorno dacqua | nera e di
panchina bianca14. In seguito Caproni operer una piccola inversione in sede
denjambement fra aggettivo e sostantivo e nel secondo verso modificher la punteggiatura: Quanta Livorno, nera | dacqua e di panchina bianca! (vv. 1-2, p.
227). Il ritocco minimo, ma sufficiente a trasformare uno schizzo impressionistico nella trasfigurazione di un sogno ad occhi aperti; la stampina ottocentesca, da
citt sparita, per intenderci, cede il posto alla ierofania di una citt dellanima. Livorno non poteva e non doveva essere altro che questo.
Non sappiamo, allo stato attuale delle ricerche, quando e come Caproni decise di ricorrere al supporto dantesco per il titolo del suo libro. Sono piccole curiosit, a volte non meramente filologiche, che forse lacquisizione di altri documenti, come diari o epistolari, potranno soddisfare. Per ora ci limitiamo a riferire un
cenno rapido e un po criptico che si legge in un articolo del 1957, a proposito de
Le ceneri di Gramsci. Pasolini un poeta che canta, ma che non vuole restare
incantato, quasi una sua Beatrice, ammonitolo a por gi il seme del piangere (il
proprio irrazionale sgomento) lo avesse esortato a non lasciarsi sopraffare dalla
voce delle sirene e a tender bene lorecchio alle altre15. Anche per merito di Pasolini, e il pi anziano amico glielo riconoscer volentieri, il canto chiuso del
suo recente passato fu violato e infine dissigillato. La libert del Seme del piangere, il suo irrazionale sgomento si fonda anche su questo indiretto debito. Ma allora come interpretare il sibillino monito di Beatrice? Quel suo piglio cos severo
e intimidatorio? A chi, o contro chi, o per conto di chi pronunciato?

2. La linea della vita.


In unintervista del 1965 Caproni confid di aver cominciato a nutrire un orrore
crescente per gli artifici concettuali e retorici che distraggono la poesia dalla linea
della vita16.
Forse solo dieci anni pi tardi, ossessionato come sar dallidea fissa della
reversibilit di una storia circolare, questo atto di fede gli sarebbe parso troppo
ottimista. La geometria del Seme del piangere infatti lineare, in ossequio alla
scansione cronologica della vita di Annina a Livorno. Il libro, sempre a detta del
suo autore, fu un fiore posto sulla tomba della madre; nacque spontaneamente da
14

ID., Il seme del piangere, ed. 1959 cit., p. 55. E cfr. inoltre ID., Il passaggio dEnea cit., p. 187.
ID., Le ceneri di Gramsci, in La Fiera letteraria, 21 luglio 1957.
16 Cfr. ID., Il mestiere di poeta, a cura di F. Camon, Milano 1965 (poi Milano 1982).
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qualche vecchia foto, da scarni racconti casalinghi e non avrebbe mai potuto tollerare limpaccio di una ossatura troppo pesante, troppo arzigogolata. La sua
struttura, magra e agile, lo dimostra, ma sulle tombe i fiori marciscono precocemente e con loro leffimera durata della piet che ha ispirato lomaggio. Il Seme
del piangere un fiore ancora oggi fragrante. forse nellesilit della sua costruzione il segreto della sua vitalit? A rileggerlo tutto dun fiato (e difficile resistere alla tentazione di ricominciare ogni volta da capo) ci si accorge che la protagonista della sua minuta epopea provinciale, Annina, non invecchia mai, O vive, perennemente giovane e splendente, o muore e con lei si inabissa nelle tenebre ogni
stessa consistenza dellessere che in Annina, come anche in Livorno, si manifesta
copiosamente. Caproni ne ben consapevole quando scrive:
Ora io di Livorno ho una immagine che appartiene alla geografia e alla mitologia della
mia infanzia. Ed perci del tutto inutile il dirmi che Livorno quasi totalmente a pezzi, io sapendo bene che la mia Livorno nessun bombardiere pu averla toccata, cio che
esister sempre, finch esisto io, questa citt malata di spazio nella mia mente17.

Lassenza di confini, il senso tutto mentale dellillimitato, ammalano Livorno,


ma la preservano dalla storia ad essa sempre esiziale, cos come il tempo, se rinchiuso nel recinto soggettivo del ricordo, ucciderebbe anche Annina. Il poeta
vuole salvare entrambi dalla fine e allora dovr fare a meno di un fine, inventando
una struttura insieme a-topica e a-temporale. Si pongono cos le basi di un libro
veramente utopico, in cui la realt e il principio del piacere non si intralciano, ma
miracolosamente si sorreggono a vicenda. Annina un personaggio inventato dal
vero, se mi si passa il paradosso. , come ogni inventio poetica che sopravvive alla sua occasione, memoria senza ricordi e la narratio, nonostante la ovviet del
raccontino in versi, gi in s binaria e asimmetrica nella sua sbilenca regola di
trama e di sogno. Dopo i troppi bombardamenti che hanno dissestato la struttura
della lirica moderna si avverte qui qualcosa di meno coartante di un progetto restaurativo, ma neppure la passiva obbedienza a una fantasticheria puramente privata. Certo, si pu citare Proust, come fa Ugo Dotti nel suo bel saggio sul contemporaneo Caproni, abbandonandosi a riflessioni collaterali che solo in apparenza possono essere scambiate per divagazioni18. vero: Caproni gi nel 1951 ha
licenziato la sua traduzione di Le temps retrouv19 e anche noi, alla ricerca di una
genesi pi intima, siamo responsabili di aver aperto la porta a ogni possibile epifania, reale o solo supposta. Ma sentiamo insieme che Caproni non scrive per incoraggiare la supplenza del soggetto deficitario nel tempo dei ricordi involontari,
17

ID., Io genovese di Livorno, in LItalia socialista, 22 febbraio 1948.


Cfr. U. DOTTI, Giorgio Caproni, in Belfagor, XXXIII (1978), 6, pp. 681-96.
19 Cfr. M. PROUST, Le temps retrouv, 1927 (trad. it. di G. Caproni, Il tempo ritrovato, Torino 1951).
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bens, al contrario, inventa leggiadre scenografie per rimediare alla sofferenza delle incoercibili memorie. In Cronistoria il talento poetico era biasimato come una
perversa tendenza del lato materno del carattere. Ora la femminea inclinazione a
sostituire la tetra realt con i suoi luminosi fantasmi invocata a risanare la vita
distrutta, come il farmaco sullorganismo malato, purch sia somministrato con
costanza e a piccole dosi, perch non risulti letale: insomma in strofe elementari e
semplificate al massimo, in rime chiare e in -are. Siamo agli antipodi del regime
stilistico di Proust. Proprio sgominando gli artifici della ridondanza, gli effetti
della pinguedine sintattica intrinseci alla bulimia della prosa proustiana, la linea
della vita ripagher i sacrifici di una dieta cos ascetica e una dieta sortisce i suoi
effetti solo se sostenuta da una ferma volont. Il primo gesto dei Versi livornesi
(Perchio...: ...perchio, che nella notte abito solo, v. 1, p. 195), tuttaltro che
involontario, nel suo sommesso rimando a Cavalcanti, signore di queste regioni
dellAnima ai suoi tempi almeno meno diroccate e franose. Se veramente desidera la resurrezione di Annina e di Livorno, il poeta dovr essere disposto, a missione ultimata, a perdere anche la sua Anima, a congedarla da s per sempre. Cos il
seme del piangere trover quasi senza sforzo il ritmo fisiologico delle coppie di
rime baciate o alterne che pi di altre rievocano il gioco infantile della sparizione
allo specchio, il freudiano fort-da. Il viaggio dellIo solo, cos tanto pi scabro
del suo prototipo romantico, procede con moto sinusoidale dritto verso il cuore,
ma dalla mente che parte. La piena emotiva dei Versi livornesi non potrebbe mai
sfociare nella sua lapidaria finale Iscrizione: la rima in cuore e amore (v. 4, p.
232; lectio facilior di uninsospettabile fonte dantesca, Inferno III, 132; XX, 6),
senza quel pianto che [...] bagna la mente (Perchio..., v. 8, p. 195).
Nella linea della vita lIo rinuncia alle sue pretese, alla sua sovranit ed lAnima che, ricordando e raccontando, restituisce alla madre morta il corpo snello
di Annina. La struttura stessa del libro ne risentir; non basta il ricorso alle facolt
razionali di solito mobilitate a questo fine. Il miracolo di unAnima che racconta
non si attua senza lausilio della preghiera. Fra le due parentesi della Preghiera,
la prima e lultima, senza arroganza dialogano lIo, troppo empirico ed egoista
per alzare la voce e lAnima, sulla cui consistenza ontologica sarebbe sacrilego addirittura indagare. Qui si innesta la funzionalit del titolo dantesco, ribadito dallesergo purgatoriale e dal severo monito di Beatrice che, contro lirrazionale
sgomento dellIo, innalza la gradazione alcoolica del distillato emotivo dei versi
perch essi siano degni del paradiso che li attende. Infatti Beatrice non dialoga,
non attende risposte e fra i suoi toni sublimi e il balbo parlare dellIo si intrufola
unanima minuscola e antropomorfica che fuma sigarette e rapida vola sulle ruote
di una bicicletta. A lei si devono gli innegabili effetti narrativi e ne sono subito
coinvolti i tempi del discorso che, come poi le rime, si alterneranno fra i cauti otLetteratura italiana Einaudi

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tativi dellIo e la nostalgica ripresa degli imperfetti che prolungano il passato gi


morto nella semplice quanto capiente lingua della durata. Acquista primaria importanza la dispositio dei testi, ovvero il loro ultimo e immodificabile montaggio
in quel film in bianco e nero che Il seme del piangere. Non a caso nel volume del
1989 le varianti pi significative vanno a intaccare proprio lordine e la sequenza.
I Versi livornesi ruberanno al Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee20, dove annaspano come due naufraghi caduti dal ponte del Seme, gli alberati distici di Sulla strada di Lucca e le quartine del bellissimo Urlo: In cielo,
in mare, in terra | che urlo, scoppiata la guerra... (vv. 15-16, p. 213). Nella sua
versione definitiva questurlo, dove gli urrah per il fidanzamento di Annina si mescolano al grido dallarme delle sirene di guerra, prepara Ad portam inferi, piazzata al centro della raccolta, come un insidioso trabocchetto in cui inciampa lAnima nella sua travolgente corsa verso Annina. La precedono in realt, a far bene i
conti mai superflui in questioni strutturali, tredici canzonette di lode, intonate
senza n ombra n sospetto (p. 203) e subito dopo Eppure... cerca di riprendere quota, dopo il vuoto daria di Ad portam inferi, verso le sette canzonette conclusive, ancora aeree, ma gi intristite dalluggia del seme del piangere. Il passo
del viaggio dunque non discende dalle celesti armonie del Paradiso promesso, ma
resta zoppo, asimmetrico e lo slancio creaturale dellAnima non si riprende pi
dal rovinio sulla soglia di un Erebo virgilianamente e colpevolmente pagano. Il
cristiano ricorso al Purgatorio di Dante pu solo propagandare la sua funzione pedagogica e allegorica in un testo che la reminiscenza classica aveva sbilanciato verso pericolose latitudini infernali. Nonostante la gentile intercessione del parlato
e della finzione narrativa, il tempo ora quello sbarrato dallorologio rotto di
Annina. Il luogo, anzi i luoghi finora giulivi e irresponsabili dellkfrasis livornese, si inscrivono nel cerchio mortale della caccia tragica di Atteone che fugge inseguito dal cane del suo rimorso (v. 80, p. 216). Il programma della resurrezione sconvolto, la linea della vita, fratturata e sgomenta.
La seconda sezione del libro, Altri versi, titolo quanto mai generico e dimesso, dalla revisione senile esce ancora pi ridimensionato. Caproni, evidentemente preoccupato di non turbare troppo lunit tematica del libro elimina alcune
traduzioni-imitazioni: Destate come dinverno da Jacques Prvert, La chiamavano Lou e Le campane da Apollinaire e Arbol, arbol da Lorca. Anche Litania
scompare, il lungo rosario celebrante le lodi di Genova che verr spostato in coda al Passaggio dEnea, mentre unaltra esigua cartolina genovese, dedicata al
pittore ligure Rolando Monti, soppressa del tutto. Ci che resta una miscella20

G. CAPRONI, Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee, Milano 1965.

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nea di sentimenti postumi al congedo dallAnima pronunciato a chiare lettere e


senza pudore nellUltima preghiera: Dille chi ti ha mandato: | suo figlio, il suo
fidanzato. | Daltro non ti richiedo. | Poi, va pure in congedo (vv. 80-83, p.
231). Frastornato il poeta si guarda intorno e dentro e non incontra altro che sopravvissuti. Ecco il padre, in cui si riflette, come in uno specchio crudele, lo
squallore di una desolata simmetria (Treno). Ecco Rina, marginale e quotidiana e
la Pasqua cristiana o quella laica del primo maggio appaiono sbiadite parodie
della resurrezione di Annina (Due appunti). Anche Genova, ancora fino a ieri sovrana indisturbata, si sfalda in una stanca ritualit di maniera (Andando a scuola
e Divertimento). Fra tutti questi altri versi spicca solo, in funerea evidenza, la nera sagoma del becolino, lunga imbarcazione da carico un tempo in uso a Livorno. Il becolino varca gi laria pi mesta e opaca del Congedo del viaggiatore
cerimonioso. Come un nuovo Caronte (i mezzi di trasporto in Caproni non vanno quasi mai per acqua), unanima ormai debole (v. 46, p. 243) e un po equivoca conduce il suo prezioso carico di ricordi nella morta gora di un ultimo approdo. In un tempo incerto, in uno spazio amorfo (cfr. vv. 1-2, p. 242) la
profezia si consuma nellanafora dei pochi verbi (piangevo, sentivo) che intridono con monotona regolarit di pioggia lautunno del mito livornese di Caproni.
La voce si fa afona; il tono cantilenante; la sintassi sinuosa come una biscia. La
geografia infantile non rivive se non nel tempo mitico che ogni ritorno abolisce.
Chi, tornando, sfida il divieto, non trover che rovine e rottami. La prosopopea
del luogo nato ha solo due strade davanti a s: o visione, luminoso fantasma
della fantasia; o ripetizione, macabra e barocca. Nei Versi livornesi Livorno la
dimora del fantasma di Annina e risplende di luce riflessa. Il becolino la sua impura trasmutazione (v. 43, p. 243) in un buio porto di spettri, fra i quali vagola il replicante di quel bimbo che col suo pianto aveva dato vita alla docile regressione verso le origini di ci che gli adulti chiamano poesia, o vita e che Caproni aveva sposato in distici di nozze felici: Sii magra e sii poesia | se vuoi essere vita (vv. 12-13, p. 204). La sentenza pronunciata nel Becolino opposta, invece, e sanziona un divorzio: Piangevo senza saper dire | il seme del mio morire (vv. 53-54, p. 244). Il ritorno alle origini, inizialmente festoso, nasconde a valle laffluenza di un sentimento ben diverso.

3. La sfida dellultimo esule: un tema sotterraneo.


Il tema, o i temi di un libro di poesia, a seconda che esso sia concepito secondo
una struttura monocentrica o policentrica, coincidono con il senso stesso del libro, da non confondere con il suo significato. un messaggio complesso e unitario che difficilmente si pu sezionare in un sistema di concetti secondari, o peggio
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semplificare in una sorta di reductio ad unum incompatibile con la qualit polisemica del linguaggio poetico. Per Giovanni Raboni la poesia di Caproni vive attorno a tre temi: la citt, la madre, il viaggio, congiunti in una stretta compenetrazione dal tema dellesilio che ne costituisce il comun denominatore21. Al fondo dellininterrotta canzonetta scritta per gioco e con fuoco, prolifera un anello di
temi che nellopera si svela nel titolo dantesco e nella criptocitazione della famosa ballatetta dellesilio di Guido Cavalcanti. Lomaggio cos tributato ai due esuli
eccellenti della nostra tradizione poetica non certo un dotto correttivo alla banalit di un tema troppo consunto dalluso. Intanto la tradizione invocata agisce
come un fondamento bipolare, lirico ed estrosamente eretico, nel caso di Cavalcanti, narrativo e rigorosamente ortodosso in quello di Dante. Il punto sembra
ancora un altro per e riguarda il substrato utopico di una poesia che non si accontenta pi di disporsi come unallegoria, ma si prodiga per restituire al simbolismo contemporaneo almeno lombra, lalone fantasmatico che nellallegoria
premoderna corrispondeva tout court con una verit extraletteraria, una poesia
intesa come cosa creata. In questo senso i tre agenti della vicenda, lIo, lAnima
e Annina, viaggiano verso il loro futuro, inevitabile esilio col volto rivolto allindietro, verso loriginario statuto che ne certific la nascita in quanto persone e
non personaggi. Solo in un viaggio reale come quello auspicato dallammonizione
di Beatrice nel XXXI canto del Purgatorio, il Soggetto moderno, estenuato dalle
vicissitudini di una storia ormai annosa, pu mettersi da parte e lasciare in sua vece libera voce e volo a quellanima infantile e femminile cui la terra ha sempre
opposto una strenua guerra. Non a caso sempre Dante a ispirare questa rima
ricorrente in tutta lopera di Caproni. Il poeta, incurante della sua struggente
inattualit, prega perch il miracolo accada. La sua preghiera, allegorica e metaletteraria (nel senso che si leva al di l della letteratura) certo schietta, ma ben
consapevole che lerrore | pronto a stornare il cuore (vv. 9-10, p. 204). Dunque, coerentemente al titolo, la storia del Seme del piangere, il suo tema sotterraneo, una vicenda di purgazione che lultimo degli esuli rinnova contro lerrore
della poesia contemporanea: la sua vacua astrazione, la sua rinunciataria pochezza di ombra perduta fra le ombre. Solo il pentimento autentico, nutrendo di lacrime il seme della vita, restituir lesule a quella che, parafrasando un felice neologismo coniato da Contini per Zanzotto, dovremo chiamare la matria perduta,
la trepidante matrice capace di far tornare claire la camera oscura che da troppo
tempo ipnotizza lo sguardo malinconico dei poeti occidentali. Ed cos che un tema, fra tutti il pi comune, si trasforma in una sfida sapienziale.
21 Cfr. G. RABONI, Introduzione a G. CAPRONI, Lultimo borgo. Poesie (1932-1978), Milano 1980 (poi in
A.A.VV., Alcuni scritti sulla poesia di Caproni cit., pp. 793-98).

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4. Bisogno di guida. Modelli e fonti di un Io solo.


Il seme del piangere si chiude con una canzonetta, A Ferruccio Ulivi e con il sonetto La palla. I versi dedicati a Ulivi, lo stesso Caproni a rivelarcelo, sono i pi antichi del libro e nacquero allimprovviso per celebrare lincontro con Betocchi
a Firenze, poco dopo la morte di Annina. Siamo nel 1950. Firenze una citt di
lucore e proprio nella sua aria fina fina (vv. 10 e 1, p. 245), si stagliano, quasi
ad araldica clausola del libro, i nomi dei due poeti: E, acuti vetri o vere | sillabe,
a lungo tocchi | lunghia tua questo Giorgio | cui recasti Betocchi (vv. 13-16, p.
245). Nonostante per ragioni anagrafiche Caproni appartenga alla generazione
dellermetismo, quel movimento di pensiero e di poesia non lo coinvolse e non lo
convinse mai fino in fondo. A parte qualche iniziale debito con Gatto e De Libero, forse inconsapevolmente presi a modello di virtuosismo sintattico, il cromosoma delloscurit modernistica gli era del tutto estraneo. In Betocchi invece, nella
sua creaturale religiosit primitiva, Caproni riconobbe presto una affinit di temi
e di stili, una fraternit dintenti che gli permise di nutrirsi di quei succhi vitali,
senza incorrere nelle letali esalazioni dellangoscia dellinfluenza, pi acuta naturalmente nei confronti di coloro che incombevano con il loro ingombrante esempio sui poeti della terza generazione. Ungaretti e Montale erano ancora l fra loro,
vivi e vegeti maestri, e nessuno pot in realt evitare di attraversare la loro ombra;
neppure Caproni che rivolse ad entrambi omaggi tuttaltro che formali22. Verso
Saba Caproni mantenne invece una cauta reticenza e per la morte del poeta triestino si abbandon a una confessione di curiosa ambivalenza affettiva, se si fa caso alle date. Correva lanno di grazia 1957 e Il seme del piangere, forse quasi ultimato, avrebbe di l a poco dimostrato quanto fossero ancora vivi in Caproni gli
echi dellappassionato triangolo fra il malinconico poeta di Trieste e una donna, la
sua anima scissa e Lina la cucitrice:
Vi era (rimane) tra noi (Saba merita anche questo omaggio) un freudiano rapporto da
padre a figlio: una salutare antipatia e venerazione, che quanto pi ce lo allontana tanto
pi ci avvicina a lui, di modo che se da parte nostra, con le ragioni dellintelletto ci sarebbe difficile anteporlo a certi altri poeti del Novecento, con le ragioni del cuore lo abbracciamo senza averlo mai visto e riconosciuto appunto come si abbraccia il padre23.

Non solo Caproni preoccupato di fugare ogni sospetto di epigonismo puntualmente confermato da alcuni critici dopo la pubblicazione del Seme del pian22 Per quanto riguarda Ungaretti si veda G. CAPRONI, Il Taccuino del vecchio, in Forum italicum, VI (1972), 2,
pp. 244-46. Per Montale Caproni scrisse vari articoli, fra i quali da segnalare ID., Montale poeta vate, in Letteratura, XIV (1966), 79-81, pp. 267-69.
23 ID., Ora che U. Saba partito, in La Fiera letteraria, 15 settembre 1957.

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gere. Le ragioni del cuore si accampano in favore di Saba, un poeta-padre dunque, uno schermo letterario su cui proiettare, con inconscia improntitudine, lamore per la libera melodia sentimentale di una tradizione ottocentesca. E ottocentesca potrebbe apparire la leggenda della livornese Annina, sposa felice di
Attilio nella figurativa festa di un paesaggio finalmente ricomposto dal figlio ormai pacificato. Ma Livorno, a differenza di Trieste, ha subito loltraggio di un
bombardamento, storico oltre che psichico e il cuore non basta a risanare le ferite. Occorre anche lausilio della mente e nessuno meglio di Betocchi, con la sua
sapienza allegorica velata di navet, con la sua fedelt a una toscanit primigenia, quando si forgiavano i miti angelici delle origini stesse dellitalianit poetica,
pu ora offrire a Caproni il suo fraterno soccorso. Attraverso la sua mediazione,
lesule Caproni, dimentico dei pi moderni commerci dellIo cos familiari a Saba che vi si aggira come un levantino, risalir la catena patrilineare della tradizione fino a Cavalcanti e a Dante, come in un grande esorcismo purificatorio.
Con loro si vola alto, oltre lincesto delle rime e del bel canto, verso il Paradiso
dove primo non fu il verbum, ma la luce. Con laiuto dei padri e non contro di loro agisce lAnima. Il tramite di questa sfida cos utopica nella sua inattualit appunto Betocchi. Pochi ricordano che il tema della caccia tragica, per esempio,
che gi affiora nel Seme del piangere e che nelle raccolte successive di Caproni
torner con linsistenza di una metafora ossessiva, lo si incontra per la prima volta in una prosa del 1953, La lepre24, in stretta connessione con alcuni versi di Betocchi, guarda caso, intitolati Alla mamma25. Nel 1956 Caproni recens le Poesie
di Betocchi con argomenti rivolti pi che altro a sottolineare unaffinit26. Il poeta toscano che, notiamolo di sfuggita, fu tra i primi a segnalare in Come unallegoria lavvento di un nuovo poeta, gli fornisce il pretesto per polemizzare contro
leccesso di simbolismo della lirica contemporanea che al culto dellindeterminato e della musica atonale ha infine sacrificato ogni razionale (o rivelata) verit
comune27. A questa rinuncia Betocchi non ci sta. Operaio del verso piuttosto
che intellettuale, egli va alla ricerca di una sostanza che sia cosa creata, oggetto da restituire a simboli ormai cos dimidiati e tautologici, da fomentate solo i risvolti ingannevoli di un processo mentale che dovrebbe rafforzare la conoscenza, non minarne i fondamenti. Cos Caproni intende la verit comune a
lui e a Betocchi, le vere sillabe di una poesia scritta per lintera comunit umana, non per la ristretta cerchia di una societ letteraria. In unottica rigorosa24

ID., La lepre, in LApprodo, II (1953), 3, pp. 7-9.


C. BETOCCHI, Tutte le poesie, Milano 1984, p. 284.
26 G. CAPRONI, Realt vince il simbolo nella poesia di Betocchi, in La Fiera letteraria, 23 dicembre 1956.
27 Ibid.
25

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mente cristiana, la teoria dellarte come rispecchiamento, senza questa premessa


metafisica, destinata a vacillare come un colosso poggiato su piedi dargilla. Caproni ne perfettamente al corrente. Il realismo non ha senso fuori di un sistema
coerentemente ontologico e la rima, avamposto della poesia, come la battezz
Betocchi28 o il veicolo di equivalenze matematicamente allegoriche, colonnato
su cui saldare larchitrave del tempio o fatuo, fragile ricettacolo dellartificio
simbolico. In Dante tutto si tiene perch la ragione si erge sulla verit rivelata.
Non ci sono equivoci e ogni atto di conoscenza anche atto di fede. Le ragioni
della mente inopinatamente si intrecciano di nuovo con quelle del cuore e se il
moto involontario di quel muscoletto, la fede appunto, non vuole pulsare allunisono con il resto, cosaltro potr fare il poeta onesto, di nuovo irrimediabilmente Io solo, se non inoltrarsi nellintrigo delle ipotesi e delle parentesi? Nel
labirinto delle false alternative fra verit razionali e verit rivelate? Fra il dannato Cavalcanti e il redento Dante? Fra gli acuti vetri e le vere sillabe? Caproni, coerentemente alla sua scelta di realt rischia di rimanere intrappolato nella
rete allegorica che si intessuta attorno allinsipienza di un ricordo infantile che,
non io si dimentichi, io ho posto a fondamento dellintera costruzione. Per rimediare alleccesso di sapienza solo unopposizione stilistica nitidamente popolare pu riequilibrare il gioco linguistico della creazione. E un gioco, o poco
pi, sembra infine labbrivio, quasi da filastrocca, dellipnotica versificazione di
queste canzonette.

5. Lo scandalo dellusuale: o lo stile della vita.


sul piano della lingua e dello stile che quella che un poeta come Mandel'stam,
alle prese con Dante, chiama linfantilit nativa della lingua italiana, ostenta tutta la sua sapienza. Il tono colloquiale, persuasivo, febbrile sceglie sempre lespressione pi semplice ed usuale. Gli artifici, a parte quello sovrano delle rime,
sono lasciati in disparte, se solo mettessero a repentaglio la libert del gioco ritmico. Lalfabetiere del Seme del piangere si vale quasi esclusivamente di vocali:
chiare o acute rincorse di assonanze, quando la rima vien meno; scarse allitterazioni; metafore rare come cammei. Assoluta invece la precisione del dettaglio
visivo e la vivacit toponomastica esalta ogni immagine nelleternit struggente
dei fotogrammi. una poesia che indossa la dignitosa eleganza dei poveri e
quando si inorgoglisce in una neoclassica leggiadria subito si stempera nel sermo
communis. Nessuno come Caproni esperto nellarte musicale delle variazioni al
28

ID., Diario della poesia e della rima, in ID., Tutte le poesie cit., p. 498.

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tema. La retorica del Seme non poi molto diversa da quella pi piena e ridondante dei libri precedenti. Resistono infatti le interiezioni e le interrogazioni retoriche, ma vengono alleggerite nel tono della sorpresa, popolare, ma mai popolaresco. Nel brusio collettivo, nel sussurro mattutino della citt laboriosa, mai
plumbea o nebbiosa, ma tutta invenzione, si odono le spezzature ritmiche e le
inarcature di sempre. Solo sono gi state sapientemente sdrammatizzate, adeguate al timbro di unaltra realt. Gli enjambement, pure frequenti, non obbediscono al sofisticato ossimoro di metro e sintassi tipico dei sonetti, per esempio,
ma si incontrano solo l dove la voce si impunta, si incanta sulla sua stessa pronuncia; resta per un attimo sospesa per continuare e riprendersi, quasi dopo un
impercettibile sospiro. A volte la voce talmente presa dallempito della lode
che non vuole indugiare; allora si ha limpressione, assai liberatoria, che il poeta
non si soffermi mai troppo, neppure per selezionare il lessico, per renderlo pi
appropriato. Si tratta di un effetto naturalmente messo a punto, ma mai illusionistico, mai allusivo. Anche le parentesi di ermetica memoria non hanno una
funzione preziosa, ma esprimono un abbassamento della voce, un pi arguto
ammiccare alla spontaneit del dettato. Sarebbe azzardato affermare che il poeta
usa le prime parole che gli vengono a tiro, ma certo acquistano sulla sua bocca (e
a bella posta uso un termine corporeo) unandatura cos spedita, come solo capita con esperienze native, colte per cos dire allo stato sorgente. Se insomma il Seme del piangere nasce da un luttuoso ricordo infantile, la felicit riafferma i suoi
vilipesi diritti proprio nellinvisibile trionfo dello stile, quando il duro tirocinio
dellapprendimento si confonde con il gioco della scoperta. Basterebbe osservare il lieto balletto dei verbi e dei sostantivi, ora goffamente ripetuti, ora favolosamente giustapposti o scambiati, ora baldanzosamente agganciati allaurea catenina delle rime, per cogliere, volta per tutte, lirripetibile dono del seme della vita
che si fa poesia.

6. Nota bibliografica.
La prima edizione del Seme del piangere fu pubblicata da Garzanti, Milano 1959.
Oggi si legge in Poesie 1932-1986, Milano 1989, pp. 191-247. Le numerose recensioni che seguirono alla sua pubblicazione sono elencate nella Bibliografia critica
curata da R. Venturelli in appendice al volume miscellaneo offerto al poeta dal
Comune di Genova in occasione del suo settantesimo compleanno: Genova a
Giorgio Caproni, a cura di G. Devoto e S. Verdino, Genova 1982. A queste indicazioni vanno aggiunte quelle reperibili nella Bibliografia, a tuttoggi la pi aggiornata, raccolta a completamento del volume di A. DEI, Giorgio Caproni, Milano 1992. Trascegliendo fra i contributi cosiddetti militanti vorrei segnalare
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quelli che, oltrepassando un valore puramente cronachistico, testimoniano limmediata fortuna critica del Seme del piangere. Sono certamente ancora oggi da
leggere: C. BETOCCHI, Livorno: un poeta e una madre, in Il popolo, 28 luglio
1959 (si veda anche ID., Sulla poesia di Giorgio Caproni. da Il seme del piangere
a Il muro della terra (1976), in ID., Confessioni minori, Firenze 1985); G. DE
ROBERTIS, Recensione al Seme del piangere, in La Nazione, 5 settembre 1959
(poi, rielaborato insieme ad altri articoli, in ID., Altro Novecento, Firenze 1962, e
in G. CAPRONI, Poesie 1932-1986 cit.); P. CITATI, Recensioni a Il seme del
piangere, in LIllustrazione italiana, n. 11 (1959), e in Il Punto, 14 novembre
1959; G. PAMPALONI, Giorgio Caproni quasi un poemetto, in LApprodo letterario, V (1959), n. 8 (si veda anche ID., Nota a G. CAPRONI, Tutte le poesie,
Milano 1983, pp. 627-32).
Della bibliografia caproniana, arricchitasi nel corso degli anni di numerosi
saggi, ritratti complessivi e monografie, che vanno infittendosi dopo la morte del
poeta, mi limito a segnalare un elenco essenziale dei contributi pi stimolanti relativi a Il seme del piangere: P. BIGONGIARI, Il lamento che il petto ti esplora
(1959), in ID., Poesia italiana del Novecento, Milano 1960, pp. 223-29; M. FORTI, Il Seme del piangere, in ID., Le proposte della poesia, Milano 1963, pp. 13740; G. BRBERI SQUAROTTI, Giorgio Caproni, in AA.VV., Letteratura italiana. I contemporanei, III, Milano 1969, pp. 699-714, in particolare pp. 700-4, e
ID., Giorgio Caproni, in Letteratura italiana. Il Novecento, diretta da G. Grana,
Milano 1979, IX, pp. 8449-63; S. RAMAT, Giorgio Caproni (1973), in Dizionario
critico della letteratura italiana, diretto da V. Branca, I, Torino 19862, pp. 506-9;
A. DOLFI, Caproni e lafasia del segno (1975), in ID., In libert di lettura, Roma
1990, pp. 57-69; cfr. anche ID., Il Singspiel di Caproni (1981), ibid., pp. 71-75,
e ID., Caproni, la cosa perduta e la malinconia, in AA.VV., Il mio nome sofferenza. Le forme e la rappresentazione del dolore, a cura di F. Rosa, Trento 1993, pp.
323-346; G. RABONI, Caproni al limite della salita, in Paragone, XXVIII
(1977), 334, pp. 112-16; cfr. anche ID., Introduzione a G. CAPRONI, Lultimo
borgo. Poesie (1932-1978), Milano 1980, pp. 5-13, poi in AA.VV., Alcuni scritti
sulla poesia di Caproni, in G. CAPRONI, Poesie 1932-1986 cit., pp. 793-98; P. V.
MENGALDO, Giorgio Caproni, in Poeti italiani del Novecento, a cura di P. V.
Mengaldo, Milano 1978, pp. 699-704; U. DOTTI, Giorgio Caproni, in Belfagor, XXXIII (1978), 6, pp. 681-96; A. GIRARDI, Metri di Giorgio Caproni
(1979), in ID., Cinque storie stilistiche, Genova 1987, pp. 99-134; V. SERENI,
Giorgio Caproni, in Poesia italiana del Novecento, diretta da P. Gelli e G. Lagorio,
Milano 1980, II, pp. 609-11; A. BARBUTO, Giorgio Caproni. Il destino dEnea,
Roma 1980, pp. 125-42; Genova a Giorgio Caproni, cit. (in questo volume si segnala il saggio di C. VITIELLO, Ritmo e linguaggio nel Seme del piangere di
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Caproni, pp. 121-29); L. TASSONI, Appunti sul canzoniere di Caproni, in Paragone, XIXXIII (1982), 392, pp. 72-76; G. L. BECCARIA Caproni, la poesia, e
oltre (1984), in AA.VV., Alcuni scritti sulla Poesia di Caproni cit., pp. 809-12; S.
VERDINO, Caproni, la rima, in Alfabeta, n. 72 (1985); M. MARCHI, Capoversi sul Seme del piangere (1985), in ID., Pietre di paragone, Firenze 1991, pp. 9097; L. SURDICH, Giorgio Caproni. Un ritratto, Genova 1990; A. DEI, Giorgio
Caproni cit.; W. CREMONTE, In margine ai Versi livornesi di Caproni, in
Lengua, n. 12 (1992), pp. 57-65; B. FRABOTTA, Giorgio Caproni Il poeta del
disincanto, Roma 1993.

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