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L'INCONTRO DI DANTE CON FARINATA DEGLI UBERTI In questo Canto vengono descritti due epicurei, cio due materialisti

che non credevano nell'immortalit dell'anima: Farinata degli Uberti (morto nel 1264), di casato e partito ghibellino, e Cavalcante dei Cavalcanti (circa 1250 - circa 1280), di casato e partito guelfo, pur essendo imparentato con l'altro, poich il proprio figlio Guido aveva sposato la figlia Bice del capo ghibellino. Stranamente la descrizione dell'ambiente non mette in evidenza alcunch di orrido o di ripugnante o di mostruoso. Tutto sembra tranquillo. Dante anzi, che sta camminando per un sentiero insieme a Virgilio e che vede alla sua sinistra quelle strane tombe scoperte, si meraviglia dell'assenza di demoni: non c' nessuno che faccia la guardia ai condannati. Virgilio gli risponde che quello come un cimitero, dove i loculi resteranno aperti sino al Giorno del Giudizio, quando verranno richiusi sulle anime ricongiunte ai loro corpi. Dunque i coperchi non sono aperti perch da l deve uscire qualcuno, ma perch dovr entrare il corpo che avevano in vita, affinch il loro dolore aumenti d'intensit. Sembra non esserci neppure una vera legge del contrappasso. Le anime non fanno nulla di particolare. Vivono soltanto una condizione in cui sono obbligate a credere nel contrario di ci in cui credevano quand'erano sulla terra. Si sentono morte, impossibilitate a fare alcunch, pur essendo vive. Vivono come ibernate, ma nel fuoco, che le brucia senza consumarle, e si guardano reciprocamente (essendo le tombe dei contenitori collettivi). Vien quasi da pensare che Dante abbia cercato di evitare il pi possibile di punire con pene esemplari coloro che avevano commesso un semplice reato di opinione. In fondo quelle anime si trovavano l non perch avessero compiuto qualcosa di umanamente spregevole, quanto perch l'ideologia dominante condannava ogni forma di miscredenza. Se Dante fosse stato un credente fanatico o integrista (come p.es. lo erano i guelfi Neri), sapendo che in quel girone vi erano gli atei e i miscredenti, non avrebbe chiesto a Virgilio di parlare con loro, n, tanto meno, l'avrebbe fatto usando un tono cos rispettoso e parole cos gentili, che in genere nella Commedia vengono usate per ottenere qualcosa cui si tiene in modo particolare e che non si potrebbe ottenere diversamente. Sembra quindi che Dante voglia fare una bella figura al cospetto di questi dannati, i quali peraltro, quando lui li incontra, non mostrano alcunch di "eretico", essendo intenti a parlare con lui o di politica o di questioni personali, lontanissime dalla teologia. Si potrebbe addirittura pensare che Dante avesse gi capito che quando un cristiano smette di credere nell'immortalit dell'anima non pu pi essere definito "eretico" bens "ateo". Se l'anima non immortale e con la morte del corpo finisce tutto, il cristianesimo viene contestato alla radice, come ogni altra religione. Parlare di "eresia cristiana" sarebbe quanto meno improprio. In ogni caso qui Dante non vuol fare il teologo n il filosofo, come invece nel Canto successivo, che non a caso il pi arido di tutto l'Inferno. Non si mette a disquisire coi dannati sui motivi per cui si trovano l. Egli peraltro doveva saper bene che Epicuro non negava l'anima, ma solo la sua immortalit separata dal corpo; inoltre ammetteva l'infinit dell'universo. Ci sarebbe stato quindi di che discutere, e sarebbe stato interessante mostrare a questi epicureisti che proprio in nome dell'infinit dell'universo diventava necessario sostenere la validit della legge della perenne trasformazione della materia anche nei confronti dell'essere umano, per il quale quindi la morte non che un momento di passaggio da una condizione a un'altra. Una volta accettato questo, sarebbe apparso del tutto irrilevante credere o non credere nell'immortalit dell'anima. Se l'universo infinito, la composizione della materia risponde a leggi infinite, che possiamo comprendere, stando sul nostro pianeta, solo in misura limitata. Ma sarebbe troppo chiedere questo a Dante, che, avendo deciso di metterli all'inferno, ha gi fatto sue le tesi della teologia scolastica allora imperante. Sicch

quando incontra Farinata, l'unico tema che esplicitamente tratta quello politico, e indirettamente fa capire al lettore che aveva deciso di metterlo all'inferno non solo per non contraddire la versione ufficiale che vedeva in Farinata un miscredente (non dimentichiamo ch'egli, su questo tema, era stato processato e condannato dopo morto), ma anche per motivi pi che altro etici, cio umani, come vedremo dettagliatamente pi avanti. Qui in ogni caso non dobbiamo pensare che Dante accetti supinamente la disumanit della teologia scolastica. La condanna ch'egli infligge a questi epicurei ai nostri occhi appare sicuramente sproporzionata rispetto alla loro colpa, tuttavia egli si sforzer di mostrare il lato umano, sofferente, di questi condannati, anche perch deve stare attento a non prestare il fianco alle critiche di chi potrebbe dire che li aveva messi l in quanto avversari politici. *** E qui bisogna che apriamo una parentesi. Il Canto X impossibile capirlo se prima non si chiarisce, sul piano storico-politico, chi fosse una personalit di spicco come Farinata degli Uberti, che era morto un anno prima della nascita di Dante e che pertanto non poteva essere stato, come invece Filippo Argenti, un suo nemico personale. Farinata era stato il capo ghibellino pi importante di Firenze e Dante sapeva bene di non poterlo mettere all'inferno solo per questo. Sarebbe stato puerile, anche perch lo stesso Dante esiliato era diventato ghibellino, come ben attesta il suo interessamento per la discesa in Italia dell'imperatore Arrigo VII e anche il suo De Monarchia, un testo nettamente favorevole alla diarchia dei poteri istituzionali, senza poi tralasciare ch'egli mette all'inferno anche i guelfi di parte Nera e di parte Bianca, inclusi vari pontefici. Se avesse voluto guardare, obiettivamente, solo gli aspetti politici, avrebbe dovuto mettere Farinata quanto meno in purgatorio. In teoria Dante mette Farinata all'inferno perch questi, insieme alla moglie, aveva subto un processo post-mortem per eresia (1283): una di quelle assurdit medievali del cattolicesimo romano che qui Dante accetta senza discutere, proprio perch, temendo, in caso contrario, di passare egli stesso per eretico, non se la sente di contraddire un verdetto ufficiale. I processi per eresia (pare peraltro che Farinata fosse aderente a quella catara) servivano proprio per screditare politicamente gli avversari. Va detto tuttavia che nessuno a quel tempo avrebbe potuto governare una qualunque citt senza essere, almeno formalmente, "cattolico". Farinata era stato uno di quel leader ghibellini che mentre sul piano politico era formalmente cattolico (e favorevole alla separazione di chiesa e stato), sul piano filosofico era invece sostanzialmente ateo. Le due concezioni, nell'avanzata vita borghese della Firenze di allora, potevano tranquillamente coesistere, persino in ambienti ecclesiastici, e in ogni caso va tassativamente esclusa l'equazione di ghibellinismo=ateismo (come attesta appunto la presenza del guelfo Cavalcante in quel cerchio). Ci si pu comunque chiedere se Dante, che ama fare la parte dell'idealista, abbia messo Farinata all'inferno per un semplice reato di opinione o per l'ipocrisia di una doppiezza che lui considerava insostenibile. La cosa strana che in questo Canto non si parla affatto di questioni filosofiche o religiose ma solo di questioni storicopolitiche e, parlando di queste, Dante vi introduce degli aspetti che non c'entrano niente neppure con la politica, ma piuttosto con la morale umana. Ma se non avrebbe avuto senso mettere Farinata all'inferno solo perch avversario politico, e se il fatto d'averglielo messo solo perch condannato ufficialmente per eresia risulta del tutto irrilevante nel dialogo tra i due (tanto che si convinti che se Dante avesse potuto agire in piena autonomia l'avrebbe messo altrove), quali sono gli "aspetti umani" per cui lo mette nel sesto cerchio degli eresiarchi? E se sono davvero "umani", perch condannarlo per motivi ideologici?

Il cattolico Dante condanna Farinata come eretico, poich, agendo questi inevitabilmente come politico "cattolico" (la laicit della politica una concezione post-medievale), non poteva non credere nell'immortalit dell'anima: la sua eresia era una forma di ateismo incompatibile con il suo ruolo istituzionale. Ma il guelfo Dante non pu condannarlo come "politico", sia perch sarebbe apparso fazioso, sia perch nel corso del proprio esilio egli stesso aveva capito che i ghibellini avevano ragione nei confronti della chiesa. Dante deve quindi dimostrare che l'idea d'averlo messo all'inferno per il reato "oggettivo" d'opinione era confermato dalla presenza di altri elementi "soggettivi", squisitamente umani, che rendevano per cos dire inevitabile quella condanna. In altre parole la colpa d'essere ateo si rifletteva sul suo modo umano d'interagire con le persone. Farinata deve dunque apparire disumano sul piano etico-personale, proprio perch Dante non ha un altro modo convincente per condannarlo all'inferno. Dante cio doveva cercare di dimostrare, quasi arrampicandosi sugli specchi, che la pena infernale (nel Canto peraltro ridotta al minimo) era stata comminata a Farinata per soddisfare esigenze che, sul piano formale, dovevano apparire anzitutto teologiche, anche se nella realt, quella per lui sostanziale, erano invece di tipo etico. Farinata viene messo all'inferno perch Dante lo considerava un politico con poca umanit. E i posteri purtroppo si son fatti di Farinata questa idea. Chiusa la parentesi, passiamo ad esaminare il testo. *** L'esordio dell'intervento di Farinata stilisticamente stupendo. Egli si sente indotto a uscire dal proprio loculo non solo perch Dante era originario come lui della Toscana, ma anche perch si esprime in un linguaggio "onesto"(v. 23), che qui vuol dire "rispettoso", "riguardoso". Dante fa parlare Farinata in una maniera particolarmente gentile nei suoi confronti e non senza una propria ammissione di colpa: "La tua favella ti dice nativo di quella nobile patria alla quale forse io fui troppo molesto"(vv. 25-27). Lo supplica quindi di fermarsi a parlare un po' con lui. La sua voce esce improvvisamente da un tumulo, senza le preoccupazioni pedagogiche di chi non vuole turbare in alcuna maniera il proprio interlocutore. Dante infatti se ne impaur e si accost a Virgilio, il quale per, vedendolo cos timoroso, lo prende quasi in giro, dicendogli di voltarsi verso il punto da cui la voce proveniva e non verso la parte opposta. Il poeta qui autoironico, anche se in questa maniera ha voluto farci capire due cose, anzitutto che Farinata non era un uomo dalle mezze misure ma un orgoglioso, uno che, pur uscendo dal basso, come in questo caso, guardava solo dall'alto. E poi che il luogo cimiteriale ed evidentemente molto silenzioso, aveva un che di tenebroso e di inquietante. Quando Farinata parla doveva esserci un gran silenzio, una gran solitudine: dobbiamo immaginarci Dante che cammina tra tombe scoperte, all'interno delle quali non era possibile scorgere nessuno. Lui e Virgilio stavano camminando per un sentiero e le tombe stavano alla loro sinistra. Rappresentare la paura conseguente al fatto che da una tomba era improvvisamente uscita una voce, soltanto con poche efficaci parole autoironiche, senza dire quasi altro dell'ambiente, solo un grande poeta poteva farlo. Qui sembra di assistere a una modernissima scena di un film horror o di un racconto di E. A. Poe. La descrizione che Dante fa del ghibellino (e solo alla fine del Canto verremo a sapere ch'egli s'era staccato da Virgilio, per cui questi non ebbe modo di ascoltare il dialogo tra i due) molto eloquente e in alcuni punti gli aggettivi sembrano pesati col bilancino. Egli s'era alzato dal loculo "com'avesse l'inferno a gran dispitto"(v 36), cio come se non gli importasse nulla soffrire pene indicibili.

Poi la domanda, che quello rivolge a Dante, "quasi sdegnoso"(v. 41), cio con tono altero, superbo: "Chi furono i tuoi antenati?"(v. 42). Qui la fierezza dell'aristocratico che parla, la consapevolezza di provenire da un casato illustre, l'alterigia nei confronti di chi non pu vantare pari dignit di sangue. Da quella tomba era emersa, fino alla cintola, la personificazione del razzismo. Qui il poeta stato davvero grande nel mettere in evidenza il contrasto tra la richiesta iniziale di Farinata, fatta con tutta la possibile etichetta signorile, questo atteggiamento cos altero, che difficilmente uno come Dante, pi vicino alla media borghesia, avrebbe potuto condividere. Gi da questa domanda si evince lo scontro politico tra una stantia etica nobiliare, proveniente dal possesso della terra, e una repubblica democratico-borghese sempre meno interessata alle origini aristocratiche del potere politico ed economico. Dante qui rappresenta la borghesia illuminata, di spirito democratico, economicamente in ascesa, tendenzialmente favorevole a un compromesso col papato. "Chi furono i tuoi antenati?" una domanda tristissima, del tutto fuori luogo in quel contesto, anche perch, se Farinata sentiva il bisogno di parlare con un fiorentino dall'eloquio "onesto", che importanza aveva conoscere le origini di lui, la sua provenienza sociale? Non era forse questo un modo di umiliarlo? Se Dante avesse avuto origini meschine o incerte, che avrebbe fatto Farinata? avrebbe rinunciato a dialogare con lui? lui che - come dir pi avanti - bramava sapere il motivo di quel pervicace odio guelfo che impediva ai suoi figli di ritornare in patria? Qui per la terza volta Dante costretto a usare una descrizione negativa di Farinata, atta a mettere in risalto la sua eccessiva fierezza: "ei lev le ciglia un poco in suso"(v. 45), cio lo guard, ancora una volta, con un certo orgoglio, come se volesse sfidarlo. D'altra parte se Dante non avesse esagerato in questa descrizione, che motivo avrebbe avuto di condannarlo in quel cerchio? Qui anzi deve stare attento a come si muove. Avendo deciso di mettere all'inferno un ghibellino cos in vista, rischia di attirarsi l'odio di chi combatte contro il papato: cosa che lui stesso, seppur da esule, stava facendo. Egli dunque deve dimostrare che la decisione di metterlo l era stata motivata non tanto dall'accusa pubblica di miscredenza, quanto dal fatto che Farinata era stato un aristocratico altero, un anti-democratico. Non a caso Farinata sembra voglia porsi come "avversario politico" del guelfo Dante e ora meno contento di parlare con lui. Viceversa, Dante ha acquisito sicurezza, risponde a tono, non si lascia impressionare n dagli argomenti superbi di quello, n dalle sue dichiarazioni e ricostruzioni storico-politiche. Dante tranquillo anche perch sa che se i ghibellini sconfissero i guelfi sia nel 1248 che nel 1260, questi seppero rientrare in citt ogni volta, sia nel 1251 che nel 1266, determinando la cacciata definitiva dei ghibellini, anche se poi questo porter a lotte intestine ancora pi tragiche, quelle tra guelfi Bianchi e guelfi Neri. L'ambigua personalit di Farinata, che qui Dante vuole dipingere, viene indicata anche dal fatto che mentre nell'invito iniziale a parlare con lui, egli s'era espresso in forma autocritica ("forse fui troppo molesto con Firenze"), ora invece appare chiaramente fiero d'esser stato duro coi guelfi, bench si giustifichi dicendo che a ci fu costretto a causa dell'opposizione tenace di loro (v. 46). Dante vuole legittimare a tutti i costi la scelta d'aver messo Farinata all'inferno, ma deve stare attento alle motivazioni che adduce, perch se usa soltanto quelle politiche verr accusato di partigianeria e se usa solo quelle religiose di superficialit: deve evitare la parzialit del soggettivismo partitico e l'arido schematismo della Scolastica. Al verso 54 veniamo improvvisamente a scoprire che le anime, in quelle tombe, giacevano orizzontali, poich l'altro abitante di quel loculo, Cavalcante de' Cavalcanti, si limita a mostrare la testa, il che fa supporre a Dante ch'egli si fosse messo in ginocchio. Dunque, poich Farinata era in piedi, l'altezza del loculo doveva

essere pari a quella delle sue gambe. Ovviamente gi da questo Dante vuol farci capire che tra i due il pi umile era proprio Cavalcante. Non senza astuzia, peraltro, egli evita a Farinata di replicare subito sulla questione del rimpatrio, introducendo improvvisamente una figura, la cui presenza in quel cerchio resta poco comprensibile, almeno dalla lettura dei versi. Si ha l'impressione che Dante l'abbia messa l soltanto per mostrare che si pu essere eretici o atei anche in forme pi umane, ma con questo resta ancor meno spiegabile la scelta di mettere all'inferno personaggi del genere. Peraltro Cavalcante (morto prima del 1280) non era neppure ghibellino e aveva subto, dopo la battaglia di Montaperti, la distruzione di tutti i suoi beni. Dante poteva certamente averlo conosciuto, essendo il padre del suo amico pi caro, ma non poteva aver di lui un ricordo tale da indurlo a comminargli una pena cos grave. Qui si ha l'impressione che Dante abbia voluto far credere che il fatto d'aver messo Farinata all'inferno, tra gli atei, non era stato dettato da motivi politici, proprio perch nello stesso cerchio si trovava anche un guelfo. Solo che se si accetta l'idea che egli li abbia messi in quel cerchio per motivi unicamente ideologici, Dante rischia di passare per una persona incredibilmente superficiale. E' probabile invece che Dante abbia voluto mostrare, con questi due personaggi, due lati della politica attiva: quella irriducibile, ideologica, schematica, rappresentata da Farinata, e quella sensibile, tollerante, umanistica (ancorch, imperdonabilmente, epicurea) rappresentata da Cavalcante. Che anche Cavalcante fosse ateo fuor di dubbio, poich egli, nel suo dialogo con Dante, suppone che questi abbia potuto fare il viaggio per meriti propri, grazie al suo "ingegno"(v. 59), e non per virt divina, sicch si meraviglia di non vedere suo figlio Guido, che di Dante era amico caro, accanto a lui (non si dimentichi per che quando Cavalcante mor, Dante aveva appena 15 anni). Al che Dante gli risponde che essendo ateo anche Guido (secondo Boccaccio era seguace di idee averroistiche ed epicuree), non poteva in alcun modo seguirlo. Guido era stato un grande poeta e politicamente era un guelfo Bianco, come Dante, il quale per lo aveva espulso da Firenze nel 1300, insieme ad alcuni guelfi di parte Nera, onde ottenere la pacificazione delle fazioni opposte. Di l a poco, in esilio, Guido sarebbe morto. Qui Dante parla di lui al passato ("ebbe"), intendendo riferirsi non al fatto che fosse gi morto (nella scansione temporale del viaggio oltremondano, ambientato nel 1300, non poteva esserlo), ma al fatto che quando svolgeva la funzione dell'intellettuale aveva chiaramente manifestato idee ateistiche, sicch suo padre, pur non avendo motivo di crucciarsi sull'esistenza in vita del figlio Guido, non doveva comunque illudersi sul suo destino: prima o poi infatti l'avrebbe raggiunto nello stesso cerchio. Tuttavia Cavalcante capisce il contrario e cio che se Guido era gi morto e non era finito nello stesso cerchio, forse una speranza di salvezza per lui c'era. A un padre che vive gi all'inferno poteva importare meno che il figlio continuasse a vivere sulla terra, e molto di pi che vivesse in modo tale da non dover finire all'inferno dopo morto. La critica invece ha pensato ch'egli si fosse addolorato di non poter sapere da Dante s'era gi morto. Dante non gli aveva risposto subito semplicemente perch - come spiegher pi tardi a Farinata - non aveva capito bene la domanda, essendo convinto che i dannati conoscessero, almeno in parte, il futuro, come gi Ciacco gli aveva mostrato. Tuttavia la risposta che dar a Farinata pare poco convincente. Sarebbe meglio supporre ch'egli si sia rifiutato di rispondere a Cavalcante proprio perch non voleva esprimersi sul destino di suo figlio e del suo amico pi caro. Infatti la risposta che alla fine d del tutto irrilevante rispetto alla grandezza degli argomenti trattati in questo Canto. Ma c' dell'altro. Per quale ragione Dante usa, per descrivere Farinata, delle espressioni forti, che denunciano i difetti dell'umanit di lui, mentre per descrivere Cavalcante usa toni dimessi? Se l'uno meritava l'inferno per la sua alterigia, l'altro

per che cosa lo meritava? Non sembra che Dante stia usando molta parzialit mettendo all'inferno tutti gli atei, a prescindere dalla loro umanit. Va detto tuttavia che questo vuole essere il Canto di Farinata non di Cavalcante e Dante ha bisogno di dimostrare, anche servendosi della paterna sensibilit di Cavalcante, che Farinata si meritava l'inferno. Saranno poi stati i posteri - avr pensato il poeta, consapevole della propria grandezza - a perdonargli d'aver messo all'inferno un ateo come Cavalcante, la cui umanit, nel peggiore dei casi, avrebbe meritato il purgatorio. Che Farinata fosse altero, Dante lo ribadisce marcatamente anche adesso, ed la quarta volta. Infatti, vedendo il suo compagno di cella "ricadere supino"(v. 72), egli "non mut aspetto / n mosse collo, n pieg sua costa"(vv. 74-5). Anzi, come se nulla fosse, riprende il discorso nel punto dove era stato interrotto da Cavalcante, e pare faccia capire di non sapere che i ghibellini non sono pi riusciti a rientrare in Firenze. E se ne dispiace pi che non l'essere tormentato nella sua tomba. Eppure lui stesso profetizza a Dante, con spirito vendicativo, che l'attende un duro esilio. Quindi da presumere, altrimenti si finirebbe in un vicolo cieco, che il "se" del verso 77 ("Se i miei non hanno ben appresa l'arte del ritorno in patria") non vada inteso come un se dubitativo ma come se concessivo: "Il fatto che i miei non abbiano appresa...". E' una semplice costatazione di fatto. In realt quel che lui chiede a Dante e che non pu sapere ("perch il popolo fiorentino tanto crudele contro il mio casato in ogni legge che sancisce?") fa parte della libert di coscienza, cio non appartiene al mondo fenomenico. I dannati conoscono l'accadere degli eventi ma non le loro motivazioni, che appartengono al presente, sicch quando Farinata vuol sapere perch i guelfi detestino cos tanto gli Uberti, Dante costretto a rispondergli che la causa principale stava proprio nella battaglia di Montaperti, in cui si fece dei guelfi ampia strage. Al che quello ribatte dicendo cose per le quali al massimo avrebbe meritato il purgatorio, e cio che non era stato solo lui a infierire sul nemico sconfitto e purtuttavia era stato soprattutto con lui che i guelfi, tornati in auge, se l'erano presa. Peraltro dopo quella battaglia, quando i ghibellini volevano distruggere Firenze, lui fu il solo a opporvisi, dicendo che l'avrebbe difesa con le armi, e alla fine ebbe la meglio sui compagni di partito, anche se poi i fatti gli diedero torto, poich i guelfi cacciarono definitivamente i ghibellini dalla citt. Qui Farinata tenta di giustificarsi e Dante avrebbe fatto meglio a mettere all'inferno un ghibellino pi fanatico e intransigente, poich dal punto di vista politico si fa fatica a capire la collocazione di Farinata. Che senso ha far dire delle cose a un uomo che in fondo appare politicamente pentito e poi farlo stare all'inferno per un motivo d'opinione? A chi si rivolgeva Dante quando scriveva queste cose? E come pu augurare la "pace" (v. 94) agli Uberti, se poi costretto a metterli all'inferno in forza dell'accusa di ateismo, che veniva notoriamente usata a scopi politici? La parte finale del dialogo quanto mai contorta, non nel suo significato tecnico, che chiaro: i dannati vedono meglio le cose lontane che quelle vicine, quanto nel suo significato motivazionale: davvero Dante era interessato a conoscere una cosa del genere? oppure ha posto quel dubbio ("sembra che voi dannati prevediate le cose future e per il presente vi comportiate diversamente e sembra lo ignoriate", vv. 97-9) semplicemente per indurre Farinata ad avere con Cavalcante un rapporto pi umano, visto che, pur essendo nello stesso loculo, sembrava s'ignorassero completamente? Cio quella domanda ha una funzione teologica o pedagogica? Serve per capire un mistero, la cui utilit per i vivi era prossima allo zero, o per invogliare ad amarsi in un luogo in cui peraltro non era possibile farlo? L'ultima domanda che Dante pone a Farinata di pura curiosit e avrebbe fatto meglio a evitarla in quel frangente. Il fatto per ch'egli voleva dare l'ultima stoccata al superbo Farinata, ed la quinta. Quello infatti dice: "Qui con pi di mille giaccio / qua dentro 'l secondo Federico / e 'l Cardinale; e de li altri mi taccio"(vv.

118-120). Cio non val la pena parlarne, essendo ben poca cosa rispetto a questi due. Ma probabile che la domanda l'abbia posta anche per farsi dire che gli atei erano moltissimi (gi nel Trecento!) e che tra loro vi erano personaggi illustri come l'imperatore Federico II di Svevia e persino esponenti ecclesiastici come l'ambizioso cardinale Ottaviano degli Ubaldini, appartenente ad una illustre famiglia ghibellina, ma nemico di Federico II e di Manfredi. Ottaviano fu accusato d'aver tradito la causa della chiesa scendendo a patti con Manfredi; ebbe altres parte nella vittoria di Montaperti (1260), che port i ghibellini a dominare Firenze, con l'aiuto di Siena e dello stesso Manfredi. Veniva considerato notoriamente ateo. Non dimentichiamo che Dante, nel Convivio e nel De vulgari eloquentia, stimava sia Federico II che Manfredi (quest'ultimo, sebbene scomunicato, viene messo nel Canto III del Purgatorio). I critici han voluto vedere in quel "cardinale" il suddetto Ottaviano, ma, essendosi tenuto in astratto, Dante poteva anche voler indicare ai posteri che si pu essere atei anche in panni religiosi. Dunque che cos'era l'ateismo per l'Alighieri? Una semplice concezione della vita o un indizio di superbia? Quanto ha pesato in lui il condizionamento della Scolastica? Davvero solo i credenti possono essere idealisti? E quando Farinata decise che Firenze non doveva essere distrutta, in che veste l'aveva fatto? *** l dialogo finale di Virgilio e Dante ha un che di misterioso. Dante infatti preoccupato circa il suo destino e rivela alla sua guida le parole appena dettegli da Farinata. Virgilio gli dice di ricordarle, ma di considerare anche che quando vedr Beatrice sapr davvero quale sar il suo destino. Difficile capire cosa volesse dirci Dante, contrapponendo Beatrice a Farinata, in merito alla capacit d'interpretare gli eventi che hanno gli uomini. Probabilmente che il miglior modo d'interpretare gli eventi quello di collegarli a un ideale superiore. Non tutti i mali vengono per nuocere: forse questo il senso della frase di Virgilio. Cio anche se Farinata ha anticipato il fatto dell'esilio, non per in grado di individuarne gli sviluppi. Per i credenti vi la divina provvidenza che, in ultima istanza, spiega tutto, quella provvidenza che in fondo un invito a non disperare. Virgilio in sostanza gli fa capire che se anche non potr tornare a Firenze, non per questo la sua vita sar finita; anzi, avendo occasione di cimentarsi a livello letterario, sar possibile ch'egli diventi pi grande che non a fare il politico nella sua citt. Una concezione di vita, questa, che ritroveremo cinquecento anni dopo nei Promessi sposi e che in fono risaliva, in ambito cristiano, allo stesso Paolo di Tarso, secondo cui le disgrazie servono per mettere alla prova la virt umana, per cui le divisioni sono necessarie (1Cor 11,19). L'ultimo verso massimamente ironico e si ricollega all'inizio, quando Dante s'era aggrappato a Virgilio sentendo la voce tombale di Farinata. Doveva averci lavorato parecchio su questo Canto, poich incredibilmente elaborato e ben congeniato. Dopo 135 versi di suprema seriet, avendo a che fare con politici pi che motivati, Dante conclude dicendo che la valle sottostante quel cerchio emanava un lezzo insopportabile, i cui miasmi si facevano gi sentire. E' in queste cose incredibilmente realistiche che Dante d il meglio di s. Per il resto infatti il Canto, pur eccellente a un'analisi stilistica, resta piuttosto involuto a un'analisi politica. Se Dante voleva usare la teologia scolastica per dimostrare l'assurdit della tripartizione oltremondana, senza poterlo dire esplicitamente, possiamo comprenderlo, avendo egli scritto la Commedia, e in specie l'Inferno, in un momento drammatico della sua esistenza, quello dell'uomo esule perch politicamente sconfitto; sicch, in riferimento a questo specifico Canto, possiamo anche ipotizzare che se fosse dipeso da lui, non avrebbe messo Farinata

all'inferno, o comunque non l'avrebbe caratterizzato cos negativamente sul piano umano (tanto pi che personalmente non l'aveva mai conosciuto). S'egli invece ha voluto usare quella medesima teologia per vendicarsi dei suoi nemici politici, assegnando loro una condanna eterna (e in tal senso Farinata dovrebbe essere considerato la principale fonte di tutti i suoi guai, in quanto se non vi fosse stata la guerra civile tra guelfi e ghibellini, probabilmente non vi sarebbe neppure stata l'altra, tra guelfi Bianchi e Neri), allora dobbiamo dire che la grandezza di Dante come uomo non era di molto superiore a quella dei suoi nemici, e il fatto d'essere stato un grandissimo artista non sufficiente per riscattarlo. Se poi qui ci si vuole obiettare ch'egli ha soltanto usato la teologia scolastica in maniera neutrale, sforzandosi d'inserirla in una cornice pi umana, in cui s' voluto anzitutto esaltare un rapporto col peccatore pi che cercare di incasellarlo in un elenco sterminato di peccati, allora si dovrebbe avere il coraggio di sostenere, quando si commenta un'opera del genere, tra le pi significative di tutti i tempi, che la teologia scolastica era una incredibile mostruosit e che le tante incongruenze nel modo che ha Dante di valutare le persone si debbono far risalire al peso eccessivo ch'egli diede a questa teologia. Farinata lappellativo di Manente degli Uberti, di antica famiglia fiorentina di parte ghibellina, citato da Dante fra gli uomini degni del tempo passato, i Fiorentini cha ben far puoser li ngegni (Inferno VI, v. 81), cio una persona che us il cervello per fare del bene. Dante che, come noto, era guelfo, distinse il giudizio politico dalla grande stima per questuomo che salv Firenze da distruzione certa in occasione della dieta di Empoli (vedere il seguito in questo stesso capitolo). Pur condannandolo alle pene dellInferno per il peccato di essere non credente (Farinata si trova nel girone degli eretici), ci lasci scolpito di lui un meraviglioso ritratto (Inferno X, v. 22 e segg.). Inoltre non va dimenticato che Farinata una delle tre persone a cui Dante nell'Inferno si rivolge dandole del voi, segno questo di grande stima da parte del sommo poeta (gli altri due sono Cavalcante Cavalcanti e Brunetto Latini).

Farinata visse a Firenze nei primi decenni del XIII secolo, mentre la citt era tormentata da continue lotte fratricide tra guelfi e ghibellini. Gi nel 1239 Farinata si pose a capo della sua consorteria di parte ghibellina e svolse una parte di primo piano nella cacciata dei guelfi avvenuta nel 1248. Sempre nello stesso anno lImperatore Federico II invi a Firenze il figlio Federico, principe di Antiochia, per abbattere la potenza dei guelfi e mand poi 1600 cavalieri tedeschi a sostegno degli Uberti e della loro fazione; per cui i ghibellini, sia pure per breve tempo, poterono prendere nelle loro mani il potere e si fecero oppressori del popolo, scacciando i principali capi dei guelfi. Alla notizia della sconfitta e della prigionia del figlio di Federico, Enzo, i popolani, cio gli elementi borghesi, tolsero ai ghibellini il potere, e alla morte di Federico (dicembre 1250) insorti contro gli Uberti e i grandi che furono scacciati, richiamarono i fuorusciti guelfi costituendo un governo detto di "primo popolo". Contro il nuovo governo cospirarono i ghibellini daccordo con Manfredi; ma scoperta la congiura vi furono condanne a morte e la cacciata dalla citt delle principali famiglie ghibelline, come gli Uberti, che ripararono a Siena (1258).

Farinata si diede totalmente a preparare linsurrezione della sua fazione e ottenuto da Manfredi un rinforzo di 800 cavalieri tedeschi si venne alla battaglia di Montaperti (4 settembre 1260), ove si erse sopra a tutti il valore militare di Farinata, cosicch i guelfi furono annientati. Nella successiva dieta di Empoli, ove si riunirono i vincitori ghibellini per decidere la sorte degli esponenti guelfi e della citt di Firenze, Farinata dimostr il suo amor di patria insorgendo a viso aperto contro la proposta dei deputati di Pisa e di Siena, che avrebbero voluto distruggere la citt. La proposta cos cadde. Tornati i ghibellini a Firenze, ne uscirono i capi guelfi; ma dopo la battaglia di Benevento e la morte di Manfredi (26 febbraio 1266) la parte guelfa riprese il potere e i ghibellini furono scacciati senza mai pi tornare in citt. A Firenze, Farinata mor nel 1264, due anni prima della battaglia di Benevento che segn il definitivo tramonto della potenza sveva in Italia e il definitivo rientro dei guelfi a Firenze. Dopo la sconfitta dei ghibellini a Benevento, in cui perse la vita anche Manfredi, che delle speranze ghibelline era diventato il portabandiera, gli Uberti nel 1267 furono esiliati per la seconda volta. La morte di Farinata imped a questuomo di fargli vedere lo scempio che sarebbe stato perpetrato contro la sua famiglia solo qualche anno dopo. Le case degli Uberti furono incendiate e distrutte e per impedirne la ricostruzione sulla loro area si costru poi la piazza della Signoria. Intanto Carlo dAngi faceva decapitare Pietro, fratello di Farinata, caduto prigioniero a Benevento. Le ultime speranze degli Uberti di poter tornare a Firenze crollarono dopo il fallito tentativo di Corradino di far tornare in auge i ghibellini (agosto 1268); gli Uberti furono banditi unaltra volta in modo tale da non potere pi essere riammessi in citt e ad ogni successivo richiamo di esuli furono sempre esclusi. Essi, che si erano rifugiati ancora a Siena, dovettero di nuovo fuggire quando nel 1274 fu conclusa la pace fra i Senesi e i Fiorentini. Ancora due degli Uberti, Azzolino e Neracozzo, furono impiccati per ordine di Carlo dAngi e un terzo, Conticino, risparmiato per la sua giovane et e tenuto in prigionia, fece la stessa fine. Gli Uberti superstiti dovettero vagare in diverse parti dItalia; da questa dispersione ebbero origine nuove famiglie. Lapo, figlio di Farinata, venne nominato dallImperatore Enrico VII suo vicario in Mantova. Nel 1283, quindi diciannove anni dopo la sua morte, Farinata e sua moglie Adaleta furono accusati di eresia dallinquisitore lucchese Fra Salomone: le loro ossa, sepolte nella chiesa di S.Reparata (che oggi non esiste pi, sul luogo dove essa sorgeva fu poi eretto lattuale Duomo), furono riesumate e i loro beni confiscati agli eredi: limpressione su Dante, appena diciottenne, dovette essere fortissima e indelebile, anche a causa della grande personalit di Farinata. Fu a causa di questo accanimento perfino contro i morti della fazione opposta che Dante matur la convinzione che occorresse ricordare gli avversari politici anche per ci che di buono essi avevano fatto.

Prese cos corpo lidea in lui di rievocare il personaggio, poi glorificato nei versi del canto X dellInferno. Gli studiosi sono discordi nel valutare la fondatezza dellaccusa di eresia. Gli eretici contestavano la supremazia religiosa della chiesa di Roma, mentre i ghibellini ne contestavano lingerenza politica: la convergenza di finalit caus spesso una certa confusione, sicuramente alimentata dalla propaganda guelfa. Limportanza della figura di Farinata degli Uberti per la storia senese, pur essendo egli fiorentino, legata allospitalit che la citt gli dette in occasione della cacciata da Firenze che costui dovette subire in vita dopo la sconfitta della sua fazione. Inevitabilmente il suo ruolo legato alla riorganizzazione delle forze ghibelline avvenuto durante lesilio senese, protrattosi dal 1258 al 1260 e che port alla battaglia di Montaperti. La strategia di Farinata fu quella di infiltrare alcuni elementi di fede ghibellina allinterno delle truppe guelfe. Sua fu anche lidea di dare il segnale di attacco con il tradimento di Bocca degli Abati, di fede ghibellina, ma schierato nelle file dellesercito fiorentino, il quale tagli la mano al vessillifero Jacopo de Pazzi, che reggeva il gonfalone della cavalleria guelfa.

Farinata Degli Uberti

Politico fiorentino Data di nascita non conosciuta - Morto nel 1264 Farinata lappellativo di Manente degli Uberti esponente di nobile famiglia fiorentina di parte ghibellina. Salv Firenze da distruzione certa in occasione della dieta di Empoli. Dante Alighieri, notoriamente di parte guelfa, distinse il giudizio politico dalla grande stima per lui, e lo cita nel 10 canto dellInferno. Visse in Firenze nei prime decenni del XIII secolo. Questo fu periodo tormentato da discordie interne tra sostenitori papali (Guelfi), e dell'imperatore (Ghibellini), di cui Farinata faceva parte. Gi nel 1239 Farinata fu capo della consorteria di parte ghibellina svolgendo un ruolo attivissimo contro la parte avversa. Grazie allappoggio dell'imperatore tedesco Federico II i Guelfi presero il potere in Firenze cacciando i principali capi Ghibellini dalla citt ( 1248). Nel dicembre 1250 alla morte dellimperatore Federico II i guelfi insorsero, richiamarono i fuorusciti e costituirono un governo detto di "primo popolo". Contro il nuovo governo guelfo cospirarono i ghibellini daccordo con Manfredi, ma la congiura fu scoperta. Vi furono condanne a morte e la cacciata dalla citt delle principali famiglie ghibelline tra cui quella degli Uberti, che ripararono a Siena. (1258). Farinata fu poi fra gli artefici della rivincita della sua fazione il 4 settembre 1260 nella battaglia di Montaperti , nella quale i guelfi furono sconfitti. I ghibellini si riunirono successivamente nella dieta di Empoli, e nelloccasione discussero la sorte da riservare agli esponenti guelfi e alla citt di Firenze. Pisani e Senesi avanzarono la proposta di distruggere Firenze; al che Farinata insorse a viso aperto, facendo ritirare la mozione e dimostrando il suo amor di Patria.

Mor nel 1264 a Firenze, due anni prima della battaglia di Benevento che segn il definitivo tramonto della potenza sveva in Italia, dei ghibellini in Firenze e il rientro dei Guelfi in citt. Nel 1283, diciannove anni dopo la morte, Farinata e sua moglie furono accusati di eresia dal prete inquisitore lucchese Fra Salomone. (Secondo la tesi del presunto rifiuto della supremazia religiosa della Chiesa, professato dai Ghibellini. In realt costoro ne rifiutavano lingerenza politica, volendo una divisione fra potere spirituale e temporale.) Le loro ossa, sepolte nella chiesa di Santa Reparata furono riesumate e i loro beni confiscati agli eredi.

FARINATA degli UBERTI Cerchio 6, La citt di Dite Eretici Farinata appellativo di Manente degli Uberti, di antica famiglia fiorentina di parte ghibellina, che Ciacco cita fra gli uomini degni del tempo passato (Inf. VI, 79), i Fiorentini "ch'a ben far puoser li 'ngegni". Farinata visse a Firenze nei primi decenni del XIII secolo, mentre la citt era tormentata da continue discordie. Gi nel 1239 era a capo della sua consorteria di parte ghibellina, e svolse una parte di primo piano nella cacciata dei guelfi nel 1248. Quando, in seguito alla morte di Federico II, i guelfi rientrarono in citt, si riaccesero i contrasti, e questa volta furono i ghibellini ad essere costretti all'esilio. Farinata si stabil a Siena e, riconosciuto come il pi autorevole capo di parte ghibellina, riorganizz le forze della sua parte. Con l'appoggio degli armati di Manfredi (Pg.), figlio di Federico II, Farinata fu uno dei principali artefici della vittoria di Montaperti, il 4 settembre 1260 e, nello stesso tempo, riusc a salvare Firenze dalla distruzione decretata dai ghibellini. A Firenze Farinata mor nel 1264, due anni prima della battaglia di Benevento che segn, insieme, il tramonto della potenza sveva in Italia ed il definitivo rientro dei guelfi a Firenze. Gli Uberti furono nuovamente esiliati, ma la vendetta non risparmi neppure i morti. Nel 1283 Farinata e sua moglie Adaleta furono accusati di eresia: le loro ossa, sepolte nella chiesa di S. Reparata, furono riesumate ed i loro beni furono confiscati agli eredi: l'impressione su Dante, appena diciottenne, dovette essere fortissima ed incancellabile anche a causa della grande personalit di Farinata. Gli studiosi sono discordi nel valutare la fondatezza dell'accusa di eresia. Certo che gli eretici contestavano la supremazia religiosa della chiesa di Roma, mentre i ghibellini ne contestavano l'ingerenza politica: la convergenza di finalit caus spesso una certa confusione, sicuramente alimentata dalla propaganda guelfa. Manente degli Uberti, meglio noto come Farinata degli Uberti per via dei suoi capelli biondo platino (Firenze, ... 11 novembre 1264), figlio di Jacopo degli Uberti, fu un nobile ghibellino, ovvero sostenitore dell'impero, appartenente a una tra le famiglie fiorentine pi antiche e importanti, citato da Dante nel VI canto dell'Inferno tra gli uomini degni del tempo passato (verso 79-84), ovvero i fiorentini cha ben far puoser li ngegni e nel canto X tra gli eretici.

Farinata visse a Firenze all'inizio del XIII secolo, una delle epoche pi difficili per la citt toscana, tormentata da discordie interne tra guelfi, i sostenitori papali, e ghibellini, di cui Farinata faceva parte. Dal 1239, Farinata a capo della consorteria di parte ghibellina, svolgendo un ruolo importantissimo nella cacciata dei guelfi avvenuta pochi anni dopo, nel 1248. Gli Uberti, come parte dell' lite ghibellina, furono poi esiliati. Anche dopo morti dovettero subire un'ulteriore vendetta da parte della fazione rivale dei guelfi: infatti nel 1283, 19 anni dopo la sua morte, i corpi di Farinata e sua moglie Adaleta subirono a Firenze un processo pubblico per l'accusa (postuma) di eresia. Per l'occasione i loro resti mortali, sepolti all'epoca nella chiesa fiorentina di Santa Reparata, vennero riesumati per la celebrazione del processo, conclusosi poi con la condanna. Quindi tutti i beni lasciati in eredit da Farinata vennero confiscati agli eredi. La fondatezza dell'accusa d'eresia non certa ancora oggi: l'accusa mossa alla fazione ghibellina di Firenze, per la quale vennero considerati eretici Farinata e sua moglie, in realt riguardava la contestazione della supremazia religiosa della Chiesa. Ma la fazione cui Farinata apparteneva ne contestava solamente l'ingerenza politica, reclamando una suddivisione tra potere spirituale e potere temporale. La confusione venne probabilmente aumentata dalla propaganda della fazione guelfa di Firenze, pronta a sfruttare a proprio vantaggio l'accusa d'eresia. Tuttavia alcuni studiosi sostengono che Farinata fosse vicino all'eresia catara. Gli Uberti, comunque, vennero esclusi da qualsiasi amnistia e l'odio dei guelfi fiorentini si focalizz su di loro. Infatti nel canto X dell'Inferno, Farinata collocato tra gli eretici epicurei che l'anima col corpo morta fanno (v.15), ovvero non credono nell'immortalit dell'anima. Tra lui e Dante, avversario politico, si svolge un colloquio al cui centro ricadono i temi della lotta politica e della famiglia (in particolare quello delle colpe dei padri che ricadono sui figli: un tema caro al poeta, che avrebbe potuto far revocare l'esilio ai figli maschi se avesse voluto far ritorno, umiliandosi e chiedendo perdono a Firenze). Dopo un alternarsi di battute cariche di tensione, Farinata pronuncia una profezia sull'esilio di Dante in cui facile leggere l'amarezza del poeta, gi esule da qualche anno: Ma non cinquanta volte fia raccesa la faccia della donna che qui regge, (la Luna) che tu saprai quanto quell'arte (il ritorno in patria) pesa. A Farinata degli Uberti, personaggio importante del suo tempo, Dante rese un grande omaggio, rendendolo una delle figure indimenticabili del suo Inferno e tratteggiandone una figura imponente e fiera, quasi omerica nel contrastare le avversit ("com'avesse l'inferno a gran dispitto "), tanto che la sua guida Virgilio lo esorta a non usare con lui parole volgari ma nobili ("conte"). ERESIA Dopo il sec. XII con laffermarsi sempre pi netto del potere del Papa in materia di fede, venne considerata eresia ogni e qualsiasi rifiuto di obbedienza alle decisioni pontificie, mentre sotto il concetto di eresia vennero anche ricondotte alcune deviazioni del retto modo di vivere del clero, come la simonia ed il nicolaismo, alcune pratiche contrarie ed opposte ai riti della Chiesa, come la magia, la stregoneria,lastrologia e lesercizio di attivit economiche condannate dalla Chiesa come lusura. Da un punto di vista storico non va dimenticato che leresia non si presenta mai come un fatto solamente ed unicamente religioso ma ha sempre varie e profonde implicazioni politiche, sociali ed economiche, le quali la condizionano e persino ne determinano la fisionomia, la durata nel tempo e lesistenza stessa.

Nei secoli XII e XIII si manifestano fenomeni di eterodossia collocabili in una peculiare dialettica: da un lato, si assiste al moltiplicarsi di esperienze religiose in mille direzioni e, dall'altro, cresce l'intolleranza ecclesiastica verso ogni forma di autonomia, in concomitanza con una volont di inquadramento complessivo di ogni aspetto della vita degli uomini. La sintesi non fu sempre possibile, n sempre si realizz. Ne derivarono esclusioni, anche violente, e integrazioni proficue. Una parte prevalse, l'altra soccombette: storicamente vinti furono gli eretici, vincitori gli uomini di chiesa. La storia degli eretici letta qui in connessione con la storia delle gerarchie ecclesiastiche, tese alla elaborazione di una dottrina della salvezza razionalizzata e pacificata. Poich il conflitto fu tra individui e gruppi dalle idee e dai comportamenti diversi e antagonistici, il libro ruota intorno a figure-cardine individuali e collettive: da Pietro di Bruis a Dolcino di Novara attraverso valdesi, umiliati, catari, amalriciani, apostolici e "santi" eretici. Eresia catara e umilt francescana nella Firenze del Duecento Non c' purezza nel disprezzo della materia Fino al 1228, cio prima dell'arrivo di Pietro, vescovo cataro, a Firenze nel 1229, si ritiene che gli eretici in citt seguissero la corrente moderata del catarismo: le due entit divine del Bene e del Male non sono tra loro in contrapposizione assoluta e insanabile ab aeterno, perch la divinit una sola. Con il vescovo Pietro che poi abiurer di fronte al tribunale dell'Inquisizione, arriva a Firenze la corrente intransigente del catarismo, quella del dualismo assoluto, dove invece i princpi divini sono intesi come due: Dio e Satana, in inestinguibile lotta tra di loro; e la possibilit offerta all'uomo per salvarsi si trova solo in una vita totalmente ascetica e priva di bisogni materiali. Le lotte interne a Firenze e i capovolgimenti della sua politica consentono di avere notizie sulla presenza massiccia dell'eresia in citt. In altri centri, invece, gli eretici, conducono una vita sotterranea per non finire inquisiti, e di fatto sono invisibili. L'intensificarsi delle lotte tra l'imperatore e il papato allarg la cerchia dei seguaci dell'eresia catara a Firenze. Per smarcarsi da qualsiasi sudditanza anche spirituale nei confronti del papato, molti ghibellini si fecero catari: ne d prova una cronaca fiorentina del XIII secolo: " ghibellini s'appellarono parte dell'Imperio, avegnadio che' ghibellini fossero pubblici paterini", appunto catari o paterini, come venivano detti a Firenze. Veri scontri di piazza fra le due fazioni religiose e politiche contrapposte risultano dai resoconti dell'epoca. Un esempio la storia riportata nella Cronicatrecentesca di Donato Velluti - pubblicata nel 1914 da Isidoro Del Lungo e Guglielmo Volpi - nella quale vengono narrate le vicende del bisavolo dell'autore, Buonaccorso di Pietro: "Tutte le carni sue erano ricucite tante ferite avea avute in battaglie e zuffe. Fu grande combattitore contra paterini e eretici, quando di ci palesemente in Firenze si combatteva al tempo di Pietro martire". A Firenze la prima scomunica degli eretici arriva nel 1194. Ne autore il vescovo di Worms, legato di Enrico IV, ma le scomuniche imperiali vanno a intermittenza, soprattutto, quando non tornino a vantaggio dell'Imperatore. Nel 1233, Papa Gregorio IX si lamentava che Firenze non avesse inserito negli statuti cittadini norme contro gli eretici e nel 1235 lo stesso Papa a decidere di prendere in mano la situazione, ordinando ai frati predicatori di inquisire i fiorentini. Ma il tribunale dell'Inquisizione non avr vita facile a Firenze, per quanto l'eresia sia presente in tutti gli strati della societ, il suo successo e il suo potere dipendono dall'elevato numero di adepti che si concentra all'interno della classe dei mercanti e delle antiche casate, ovvero nella classe dirigente. Basti pensare che testimone importante dell'eresia a Firenze e, scomunicato dopo morto, fu lo stesso Farinata degli Uberti, il condottiero ghibellino che Dante mette

all'inferno, forse conoscendo la sua richiesta, in punto di morte, di ricevere il sacramento dei catari, il "Consolamentum". Il Consolamentum era il sacramento battesimale dei Catari. A differenza che nella corrente principale della Cristianit il Battesimo usato dalla maggior parte dei Catari non richiedeva la presenza dell'acqua, ma solamente le parole del rito, l'imposizione delle mani e il porre il libro del Vangelo attribuito a San Giovanni sopra il capo del battezzato. Secondo gli Albigesi e gli altri Catari, esso consisteva nello stesso tempo nel battesimo dello Spirito Santo, nel ricevimento di tutti i doni spirituali, nell'attribuzione del potere di legare e di sciogliere , nell' assoluzione per tutti i peccati commessi, nella rigenerazione battesimale, e nell' ordinazione sacerdotale. In particolare, il nome "catari" (oppure "albigesi", "patari" o "patarini" in Italia), fu usato per indicare un vasto movimento settario, considerato ereticale, che si diffuse tra l'undicesimo e tredicesimo secolo. Il movimento ebbe la sua massima radicalizzazione verso la met del dodicesimo secolo, grazie alla penetrazione in Mitteleuropa della setta balcanica dei Bogomilli. All'origine del movimento sta comunque una lettura pi rigorosa e pi letterale di alcuni passi del Nuovo Testamento. Per esempio, il rapporto tra Dio ed il demonio ed i principi dualistici che reggerebbero le attivit naturali. Tuttavia gli elementi pi distintivi del Catarismo furono il rifiuto dei sacramenti e del dogma dell'incarnazione divina, della realt dell'inferno e dei libri dell'Antico Testamento ad eccezione dei libri profetici. Sotto il profilo pi propriamente secolare, i Catari rifiutavano la propriet privata e l'impiego di ogni forma di violenza, compresa la guerra. I Catari attuarono anche una organizzazione ecclesiastica e, in ambito societario, una sorta di distinzione tra uomini "perfetti" (iniziati) e semplici devoti. Solo i primi avrebbero praticato con rigore l'imposizione dei precetti morali, anche mediante l'astensione dal matrimonio e dall'ingestione di particolari cibi e bevande. Il rifiuto dei sacramenti canonici, condusse i Catari alla pratica di un unico atto rituale, il "consolamentum", ovvero il battesimo spirituale impartito non con l'acqua, ma attraverso l'imposizione delle mani, ma che avrebbe dovuto essere dispensato soltanto in punto di morte. In territorio italiano, il movimento prese le mosse dalla predicazione del diacono Arialdo e ricevette notevole impulso quando un suo esponente, Anselmo da Baggio, fu eletto papa con il nome di Alessandro II. Particolare caratteristica dei Catari italiani fu il tentativo di realizzare un'esperienza religiosa fondata sulla vita comunitaria tra chierici e laici. Raggiunta la loro massima espansione, le comunit catare si trovarono di fronte alla sempre pi crescente e virulente ostilit della Chiesa di Roma. E' noto che nel 1209 papa Innocenzo III band contro loro una crociata, la quale dopo annosi scontri e massacri port alla quasi totale estinzione del movimento cataro. Alla crociata contro gli Albigesi parteciparono ufficialmente anche i Templari. Il gran maestro dell'Ordine di quel periodo, Armand de Prigord, mise a disposizione del comandante in capo crociato, Simone de Beaufort, un contingente di duecentottanta cavalieri provenienti dalla Linguadoca. Ma successivamente, pressato da incombenze militari in Medio Oriente per l'avanzata dei Mongoli, e necessitante della massima concentrazione di armati nei Luoghi Santi, l'Ordine Templare non potette partecipare alla seconda parte della spedizione contro Albi, quantunque avesse continuato a sostenere moralmente l'impegno e le operazioni dell'esercito ecclesiastico con contributi di denaro e con accorgimenti logistici. Questi avvenimenti storici sono sufficienti a dimostrare che tra i Templari e gli eretici Catari non vi fossero stati punti di contatto politico, n tanto meno somiglianze dottrinarie, come da qualche tempo qualche barzellettiere vuol fare

credere. Peraltro, anche i movimenti "patarini" italiani furono largamente combattuti dall'Ordine nell'Italia settentrionale. Un esempio fu il ruolo di "polizia militare", a fianco della Chiesa, svolto dai Templari contro i seguaci di frate Dolcino.

Inferno - Canto decimo Il canto decimo dell'Inferno di Dante Alighieri si svolge nel sesto cerchio, la citt di Dite, ove sono puniti gli eretici; siamo all'alba del 9 aprile 1300 (Sabato Santo), o secondo altri commentatori del 26 marzo 1300.
Analisi del canto Gli epicurei - versi 1-21 Nel canto precedente l'arrivo del messo di Dio aveva aperto l'ingresso alla citt di Dite ai due viandanti, dietro il portone aperto dalla verga dell'angelo, si offriva un immaginario crudo al Poeta: una distesa di sepolcri, alcuni di questi dati alle fiamme e dai quali escono orribili lamenti. Dante ha gi intuito che qui vengono puniti coloro "che l'anima col corpo morta fanno." vv.15 , cio chi non crede nell'immortalit dell'anima (gli epicurei o gli atei). Anche se Virgilio nel canto precedente aveva parlato di tutte le eresie, qui si incontrano solo eretici epicurei e anche il contrapasso calibrato su di essi: poich non credettero nella vita ultraterrena, essi sono ora morti tra i morti; inoltre loro non possono vedere nel presente e nel passato ma vedono soltanto il futuro; questo lo si pu capire pi avanti quando Cavalte dei Cavalcanti chieder a Dante di suo figlio: Guido Cavalcante. Dante, passando tra le mura di Dite e le tombe scoperchiate domanda: La gente che per li sepolcri giace potrebbesi veder? Gi son levati tutt'i coperchi, e nessun guardia face. Dante generico, ma in realt egli desidera vedere un'anima in particolare, quella di Farinata degli Uberti, come gi espresso a Ciacco nel VI Canto. Virgilio coglie al volo l'allusione di Dante, ma intanto gli spiega come questi sepolcri verranno sigillati solo dopo il Giudizio Universale (probabilmente perch sar colmo il numero dei dannati da fare entrare) e dice che questa parte del cimitero dedicata agli epicurei; poi torna sulla domanda di Dante e gli dice che il suo desiderio sar presto esaudito, anche nella parte che non dice (cio di incontrare Farinata).

Farinata degli Uberti Appena terminate le parole del poeta si leva una voce improvvisa che chiede: "O toscano che vai vivo per la citt infuocata e che parli con tono onesto, fermati per piacere in questo luogo, poich il tuo accento fa capire che provieni da quella nobile patria verso la quale io fui forse troppo molesto" (parafrasi vv. 23-27). Dante si gira verso la tomba dalla quale uscito il suono, ma non si allontana da Virgilio, il quale allora lo sprona: Volgiti! Che fai? Vedi l Farinata che s' dritto: de la cintola in s tutto 'l vedrai Appare quindi questo spirito che si erge da una tomba, del quale Dante nota subito la fierezza insita nel dannato: schiena dritta e fronte alta come se avesse un gran disprezzo dell'Inferno ("com'avesse l'inferno a gran

dispitto"). L'incontro con un gran personaggio e Virgilio stesso raccomanda a Dante di usare parole "nobili" ("conte"): il dialogo sar infatti uno dei pi teatrali della Divina Commedia. Farinata degli Uberti fu il pi importante capo ghibellino a Firenze nel XIII secolo. Egli sconfisse i guelfi nel 1248 e, dopo la morte di Federico II di Svevia e il ritorno dei guelfi, fu costretto all'esilio. Riparato a Siena con altre famiglie ghibelline riorganizz le forze della propria fazione e, con l'appoggio di truppe di Manfredi di Sicilia, sconfisse duramente le forze guelfe nella battaglia di Montaperti (4 settembre 1260). I capi ghibellini allora si riunirono ad Empoli e venne deciso di radere al suolo Firenze: fu solo la ferma opposizione di Farinata a far bocciare l'iniziativa, cos egli torn trionfale in Firenze, e vi mor nel 1264. Solo due anni dopo, con la Battaglia di Benevento i guelfi si ripresero definitivamente Firenze, cacciando tutte le famiglie ghibelline. Molte rientrarono gradualmente ritrattando il proprio credo politico, ma solo gli Uberti subirono un crudissimo accanimento: condannato come eretico quasi venti anni dopo essere morto, le sue ossa vennero riesumate dalla chiesa di Santa reparata e gettate in Arno, mentre i suoi beni furono confiscati ai discendenti; due suoi figli vennero decapitati in piazza, un suo cugino venne ucciso a randellate, poi ancora vennero processati altri tre figli, due nipoti, la vedova Adaletta: tutti condannati al rogo. Dante era presente alla riesumazione, che doveva avergli fatto molta impressione. Farinata per Dante invece un magnanimo, uno spirito grande, nonostante i fatti ai quali ha assistito quando aveva sui diciotto anni. Fu solo grazie alla sua elegia di Farinata (pur se comunque dannato all'Inferno) che la sua memoria torn grande come in passato, tanto da venire poi inserito tra i fiorentini illustri, per esempio nelle statue che ornano il piazzale degli Uffizi. Dante prova grande rispetto per Farinata degli Uberti, anche se Farinata era suo rivale politico, rispetto derivante dal grande amore che Farinata prova per la nobil patria Firenze. Com'avesse l'inferno a gran dispitto, un verso famoso che ci fa capire che Farinata non soffra per la pena infernale cui sottoposto ma piuttosto per il fatto che i Fiorentini non l'abbiano riconosciuto come unica persona che salv Firenze dalla distruzione. Il ritratto che ne fa Dante orgoglioso e austero, a tratti superbo, anche se qua e l traspaiono i suoi limiti umani, i suoi rimpianti ( "forse fui troppo molesto"...). Dante apprezza Farinata perch nel suo lato virtuoso un suo modello: 1. Ha coraggio e coerenza politica; 2. un perseguitato politico come lui; 3. un ghibellino, e Dante si avviciner sempre di pi a questa ideologia, tanto che Ugo Foscolo lo chiam il "ghibellin fuggiasco"; 4. Farinata ama la sua citt prima di tutto e (lo dir poco dopo) fu l'unico che dopo la battaglia di Montaperto si ostin contro la distruzione della citt (anche Dante combattente con Enrico VII di Lussemburgo, da lui chiamato Arrigo, rifiut di prendere le armi contro la sua citt che veniva posta d'assedio). Quello che Dante non condivide tutto sul piano religioso e in parte su quello militare ( come se gli rimproverasse di "aver colorato l'Arbia di rosso", cio di aver fatto un massacro a Montaperti). Comunque il poeta

accenna continuamente a particolari fisici di Farinata che contribuiscono a farne anche un ritratto della levatura morale. Il dialogo vero e proprio inizia dal verso 42: Farinata guarda Dante un po' "sdegnoso" perch non lo riconosce (egli era nato un anno dopo la sua morte), e la sua prima domanda proprio: "Chi furono i tuoi antenati?". Dante gli risponde (senza tediare il lettore con la storia degli Alighieri), ed allora Farinata, alzando un po' le sopracciglia risponde che la famiglia di Dante (di guelfi) fu una fiera rivale sua, dei suoi avi e del suo partito ("Fieramente furo avversi / a me e a miei primi e a mia parte" , vv. 46-47), ma egli seppe farli espellere per due volte vincendoli (cacciata dei guelfi nel 1251 e nel 1267). Dante riprende subito a botta e risposta: " Se li hai cacciati, essi tornarono entrambe le volte, cosa che i vostri (i ghibellini) non seppero fare " (parafrasi vv. 49-51). Apparizione di Calvalcante de' Cavalcanti - vv. 52-72 Proprio quando Dante risponde garbatamente a Farinata ricordandogli che lui e i suoi alleati furono esiliati, compare improvvisamente sulla scena una figura nuova, quella di Cavalcante dei Cavalcanti padre di Guido Cavalcanti, uno dei rappresentanti di maggior spicco del Dolce Stil Novo e amico intimo di Dante. Egli guelfo, quindi Dante ci tiene a non generalizzare tutti i ghibellini come eretici, come facevano gli inquisitori senza scrupoli in tempo di persecuzione politica. Cavalcante emerge dall'avello unicamente con la testa (" credo che s'era in ginocchio levata" - v. 54 - scrive Dante), al contrario del fiero compagno di supplizio, e si guarda intorno, come per cercare qualcuno, e non trovandolo: piangendo disse: "Se per questo cieco carcere vai per altezza d'ingegno, mio figlio ov'? E perch non teco?" -vv.58-60 Cio Cavalcante chiede perch Dante ha avuto il privilegio del viaggio ultraterreno per meriti dell'ingegno e suo figlio Guido no. E Dante risponde nella terzina successiva: E io a lui: "Da me stesso non vegno: colui ch'attende l, per qui mi mena forse cui Guido vostro ebbe a disdegno" Cio dice che non da solo (c' Virgilio) e che comunque Guido sdegn forse una figura, indicata con il pronome "cui" che si riferisce (tesi universalmente riconosciuta dagli studiosi) a Beatrice. Chi intendesse Dante con quel "cui" non chiaro: la versione pi semplice che volesse dire che Guido non am la ragione, simboleggiata da Virgilio, ma non quadra nel senso generale; potrebbe significare Beatrice, la teologia, la donna che trasmut in "Amor Dei" l'amore che aveva acceso nel giovane Dante, che mosse Virgilio; o potrebbe significare Dio, il quale non mai nominato nell'Inferno, ma vi viene alluso solo con pronomi. Si nota dunque un motivo filosofico per cui Dante discorda da Cavalcanti.

Forse la pi coerente quella che indichi Beatrice, poich in giovent sia il poeta che il suo amico Guido erano rimasti affascinati dall'amor che pregnava il dolce stilnovo, ma la morte aveva consacrato Beatrice ad un severo progetto di salvezza per Dante, e l'inattingibile oggetto del desiderio era divenuto strumento operativo della grazia. In questo modo gli itinerari intellettuali dei due amici si erano divaricati irreparabilmente. L'orizzonte speculativo del pensiero di Guido era rimasto improntato all'animismo fisico di Epicuro e all'"Aristotelismo radicale" degli averroisti per i quali l'amore, figlio dei sensi, era fonte di impulsi irrazionali e agonia del desiderio. Ma c' un punto nella risposta di Dante che sbigottisce Cavalcante, cio che il poeta usi un passato remoto "ebbe". Come? Dicesti elli ebbe? Non viv'elli ancora? vv. 67-68 Cavalcante pensa che il figlio sia morto (in realt all'epoca del viaggio immaginario, aprile 1300, egli era ancora vivo, sebbene mor alcuni mesi dopo, nell'agosto 1300) e visto che Dante esita nella risposta, ricade supino nel sepolcro e sparisce dalla scena per la disperazione. L'episodio di Cavalcante servito, oltre che per mostrare anche un guelfo tra gli eretici, anche per dare lo spunto alla spiegazione sulle capacit profetiche dei dannati che verranno spiegate pi avanti nel Canto. Ripresa del colloquio con Farinata e sua profezia - vv. 73-93 Ma quell' altro magnanimo, a cui posta restato m'era, non mut aspetto, n mosse collo, n pieg sua costa; [...] e disse [...] "Ma non cinquanta volte fia raccesa la faccia de la donna che qui regge, che tu saprai quanto quell' arte pesa." Ma quell'altro magnanimo, alla cui richiesta mi ero fermato, non cambi aspetto, ne mosse il capo, n pieg il busto; [...] e chiese [...] "Ma non si illuminer cinquanta volte la faccia della regina che qui impera, che tu conoscerai quanto pesa quell'arte" Nella completa assenza di coralit fra le anime dannate Farinata continua a parlare come se l'apparizione di Cavalcanti non fosse avvenuta, come volendo esprimere la sua superiorit. Quindi Farinata riprende esattamente da dove ha lasciato il discorso: "Se i miei ghibellini hanno imparato male l'arte di ritornare dopo essere cacciati, ci mi tormenta pi di questo letto infernale." (parafrasi vv. 77-78) Nella terzina successiva esposta la seconda profezia che anticipa l'evento dell'esilio a Dante personaggio, Farinata con i suoi poteri divinatori comuni ad ogni anima dell'eterna prigione, avverte che non saranno passati cinquanta pleniluni che anche l'Alighieri scoprir quanto dura l'arte di

tornare in patria. ("La faccia della regina che qui regge" sta per Proserpina, nel mito antico sposa di Plutone e figura della luna). Dante incassa in silenzio e Farinata nel frattempo prosegue chiedendo perch i fiorentini siano cos duri con gli Uberti, la sua famiglia. Dante risponde che dovuto al massacro di Montaperti, che "fece l'Arbia colorata in rosso" (v. 86). Farinata sospira addolorato, ma spiega che lui non fu l'unico responsabile della battaglia e che ci era causato da uno scopo ben preciso. Per sottolinea come invece lui solo fu il difensore di Firenze dalla distruzione, quando si propose di raderla al suolo dopo la consulta di Empoli tra il re Manfredi di Sicilia e i capi ghibellini. I limiti della preveggenza dei dannati - vv. 94-120 l colloquio politico tra Dante e Farinata si conclude, ma Dante non riuscito a farsi un'idea completa e precisa di Farinata perch non ha chiaro se egli veda nel presente come vede nel futuro. Ultimo passaggio fondamentale di questo canto quindi dovuto al fatto che pi volte Dante riceve profezie sul suo destino e sull'Italia dai dannati, ma ancora pi spesso si vedr chiedere dalle anime infernali cosa accade nel regno dei vivi. E Farinata cos risponde (vv.100-105): "Noi veggiam, come quel c'ha mala luce, le cose", disse, "che ne son lontano; cotanto ancor ne splende il sommo duce. Quando s'apprestano o son, tutto vano nostro intelletto; e s'altri non ci apporta, nulla sapem di vostro stato umano." "Noi, come chi ha la vista difettosa le cose" disse "vediamo finch sono nel futuro; in questo solo ancor risplende in noi la luce di Dio. Quando le cose si avvicinano o si compiono, vano il nostro intelletto; e se altro non ci informa, non sappiamo nulla delle vicende umane." Dato significativo che la capacit divinatoria dei dannati venga illustrata in questo canto, Farinata conclude il discorso avvertendo che quando sar venuto il regno di Dio, presente, futuro e passato coincideranno e tutta la coscienza dei dannati scomparir all'istante. interessante notare che questa capacit di preveggenza, valida per tutti i dannati (infatti ne danno prova Ciacco, goloso, Farinata, epicureo, e Vanni, ladro) deriva dal contrapasso di un peccato comune a tutti i dannati: l'aver pensato solo al presente, e mai alla vita nell'oltretomba, futura. Dante, risolta la questione sulla quale si stava scervellando quando Cavalcanti gli chiedeva della sorte del figlio, prega Farinata di avvertire il compagno di avello che Guido, ancora vivo, cammina sulla terra. Virgilio incalza per andare oltre e Dante pu solo fare un'ultima fugace domanda su chi siano gli altri spiriti nel sepolcro di Farinata. Egli risponde che ve ne sono

pi di mille, tra i quali Federico II, disincantato Imperatore noto anche tra i guelfi come l'Anticristo, e il Cardinale, cio Ottaviano degli Uberti, un uomo di chiesa che nella Chiesa credeva ben poco, secondo i cronisti antichi. Smarrimento di Dante - vv. 121-136 Farinata sparisce e Dante riprende il viaggio con Virgilio, ma turbato dalla profezia che ha sentito. Virgilio chiede spiegazioni e lo consola dicendo che deve s ricordare la profezia, ma quando sar davanti alla dolce luce (" al dolce raggio") di colei che tutto vede, cio di Beatrice, potr sapere tutto il corso della sua vita. I due poeti si allontanano dunque dalle mura e tagliano lungo il cerchio per un sentiero che scende fino all'orlo del cerchio seguente, dal quale si sente gi provenire un forte puzzo. La tradizione narra che i nomi di Guelfi e Ghibellini (in tedesco, Welfen u. Waiblingen) ebbero origine in Germania nella prima met del XII secolo. Secondo la comune opinione i due nomi furono i gridi di battaglia in uso tra i sostenitori della Casa di Baviera e della Casa dei duchi di Svevia (Hohenstaufen) dopo la morte dell'Imperatore Enrico V (1125), che non lasci eredi diretti. Risuonarono per la prima volta nella forma "Hye Welff!" e "Hye Waiblingen!" sotto le mura del castello di Weinsberg nella battaglia omonima, nei pressi dell'odierna citt di Heilbronn, dove i duchi di Baviera nel 1140 opposero resistenza, poi soccombendo, all'assedio di re Corrado III di Hohenstaufen. Molto probabilmente per l'uso di tali denominazioni in un'accezione pi squisitamente politica sorse qualche anno pi tardi, quando cio i due partiti, nati in Germania dalle lotte per la successione al trono, dopo la morte di Enrico V, vennero a contrapporsi come rappresentanti di due indirizzi politici antitetici.

Chi sono gli avversari? Sono due o pi persone che si oppongono. Sono due politici di schieramenti opposti, due sportivi in una finale, due programmi in prima serataOvunque ne troviamo uno. Ma avversario sinonimo di nemico? Letteralmente nemico vuol dire colui che nutre avversione verso qualcuno e cerca di danneggiarlo, mentre avversario solamente colui che si oppone.Quindi lavversario potrebbe anche essere il nostro migliore amico. Ci che lo rende tale la circostanza:una gara sportiva, unelezione insomma, una cosa passeggera! Ma come la mettiamo con il comportamento? Come possiamo imparare a rispettarlo? Semplice, andando tutti a lezione dal nostro Sommo Poeta! Divina Commedia, Inferno, Canto X, Girone degli eretici. Dante parla con Virgilio. Anche se siamo nel 1300 laccento toshano (leggi h aspirata) si sente. Farinata degli Uberti riconosce lidioma fiorentino. Lui il capo dei ghibellini, Dante guelfo. Entrambi accaniti sostenitori della propria parte. Niente pugni e parole grosse, solo rispetto reciproco. Dante descrive Farinata come Spirito Grande, emergono le sue virt( comavesse linferno

a gran dispitto). Ed grazie a questa interpretazione di Dante se in seguito la sua memoria fu riabilitata. I due si scambiano battute cariche di tensione, ma nessuno alza mai la voce, dice volgarit o si scaglia contro laltro. Purtroppo questo comportamento sepolto con Farinata nella citt di Dite. E non ha intenzione di uscire! Perch oggi si sentono solo litigi per nulla, persone che parlano sovrapponendo la loro voce alle altre per imporre il proprio pensiero, insulti gridati ad libitum e scorrettezze varie. Rispettare lavversario non un optional!!! Morale della favola: chi viene con me a prendere Dante e Farinata per fare un po di scuola di rispetto? E non solo ai politici o agli opinionisti dei talkshow!

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