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Il gioco degli
SCACCHI
Etimologia
La parola scacco deriva dall’espressione arabo-persiana
shâh mât che vuol dire “il re è morto”, ovvero scacco
matto, lo scopo del gioco degli scacchi. Si noti inoltre che
shâh era il nome del sovrano di Persia.
Origini
Varie teorie ma l'ipotesi più accreditata pone il luogo d'origine in India.
In particolare antichi poemi persiani descrivono un antico gioco da tavolo, lo Chatrang,
che sembra avere notevoli tratti in comune con il moderno gioco degli scacchi. Il gioco
persiano del Chatrang deriva da un gioco ancor più antico e di provenienza indiana, lo
Chaturanga (VI sec d.C.) ha i maggiori diritti di fregiarsi del titolo di progenitore
originale del moderno gioco degli scacchi, in quanto i giochi più antichi presentavano
solo alcuni tratti in comune con esso.
In ogni caso la diffusione del nuovo gioco fu relativamente rapida, anche grazie ai
mercanti ed ai carovanieri dell'epoca, ansiosi di portare nelle loro patrie ogni possibile
novità. Con il trascorrere del tempo il nome e le regole dell'originale Chaturanga
cambiarono in vari modi e secondo la regione di adozione:
-nel Borneo il gioco venne denominato Chatur
-nell'isola di Giava Chator e nella regione di Burma Chitareen.
-In Persia un po' alla volta cambiarono non solo il nome, prima Chatrang e poi
Shatranj, ma progressivamente anche le regole, che pertanto a piccoli passi si stavano
avvicinando a quelle moderne.
Diffusione del gioco
Nel VI Secolo il gioco si diffuse dall'India alla Persia e più tardi raggiunse i popoli Arabi.
Dagli arabi l’espansione proseguì verso nord, seguendo due direttrici: attraverso l’Oriente
bizantino, verso la Russia e la Scandinavia e attraverso la Spagna araba e probabilmente la
Sicilia in tutto l’Occidente europeo. Gli scacchi così raggiunsero l'Europa all'incirca nel X
Secolo. Inizialmente in Europa le regole non differivano dal gioco arabo, lo Shatranj. Però
nel corso dei secoli, la necessità di valorizzare il gioco comportò progressivamente
l’adozione di movimenti più veloci. Verso la fine del XV secolo in Italia o per altri in
Spagna, vengono fissate le regole moderne ovvero viene creata una variante che si
impone sugli altri sistemi di gioco.
Regole del gioco
Regole di base: Gli scacchi sono un gioco per due giocatori, uno utilizza i pezzi bianchi
e l’altro i neri. Ogni giocatore ha 16 pezzi per cominciare: un re, una regina, due torri,
due alfieri, due cavalli e otto pedoni.
Scopo del gioco:
Lo scopo del gioco é prendere il re dell’avversario. La cattura avviene una volta che il re
si trova sotto attacco, e non è più in grado di evitare di essere preso; si dice che è
‘scacco matto’ e la partita é finita.
Come si gioca?
Il gioco inizia quando il giocatore ‘bianco’ (ovvero quello che ha le pedine
chiare) muove per primo la sua pedina su una scacchiera da 64 caselle in una
griglia 8x8. Di seguito ogni giocatore muove a turni alterni le pedine; la
mossa non può essere saltata.
Un giocatore può catturare una delle pedine dell’avversario spostando una
delle sue sulla casella che contiene il pezzo dell’avversario che si vuole
prendere. A questo punto la pedina dell’avversario viene tolta dalla
scacchiera e resta fuori gioco per tutto il resto della partita.
Scacco
Se un re é minacciato di essere preso, ma ha ancora la possibilità di scappare, allora
si dice essere in scacco. Il giocatore non può muovere il proprio re mettendolo in
scacco, ed ogni volta che il re si trova in scacco deve parare con la mossa che segue
immediatamente (cioè muoversi subito verso un’altra casella non minacciata). Ci
sono tre modi in cui si può parare uno scacco:
- l’attenzione
- l’immaginazione
-SPORT < dal Latino “deportare”= uscire fuori porta, della propria casa o città.
-Attualmente SPORT < dall’Inglese che a sua volta è mutuato dal Francese “desport” =
svago, intrattenimento, ricreazione.
E’ stato molto discusso se considerare gli scacchi come uno sport. Non è sufficiente
infatti che essi siano da molto tempo riconosciuti come sport a tutti gli effetti dalle
federazioni ed enti sportivi nazionali (in Italia dal CONI) e dal CIO (Comitato Olimpico
Internazionale). Infatti questo non può essere un criterio oggettivo, dal momento che
tantissimi sport non sono riconosciuti da questi organismi. Nel contempo gli scacchi
sono giudicati dalla gente come un semplice gioco da tavolo.
Uno degli elementi secondo cui gli scacchi non sarebbero uno sport è l’assenza di
movimento fisico, poiché si gioca seduti in quasi completa immobilità. Tutti possono
osservare che l’unico intervento fisico è quello della mano che sposta i pezzi; talvolta
neppure quello: basti pensare ad alcuni portatori di handicap che devono comunicare
a voce le loro mosse, non potendole eseguire con le proprie mani.
Ma allora che sport sarebbero gli scacchi se non è richiesta nessuna agilità
fisica?
Sebastiano risponde provocatoriamente:
-ci sono sport dove il contributo fisico è di ben poco superiore a quello degli scacchisti.
Oppure ci sono momenti cruciali negli scacchi dove la rapidità di pensiero-azione è
sicuramente più spettacolare di molti sport dove il protagonista è solo passivamente
trasportato da un mezzo estraneo (uno slittino, un cavallo, una moto o una macchina di
formula 1).
-le pulsazioni cardiache nei momenti clou possono essere simili a quelle di molti sportivi
dell’atletica, della danza ritmica, dei tuffatori
-l’impegno competitivo e agonistico e la volontà di vincere sull’avversario è pari a
quello di qualsiasi lottatore, sia esso un pugile, uno schermidore, un campione di sumo
o di karate
-la resistenza allo sforzo di uno scacchista può essere paragonata a quella di un
marciatore, di un ciclista, o di un maratoneta, dal momento che può essere sotto
tensione in partite che durano 5 o più ore.
-la concentrazione richiesta allo scacchista non è certo inferiore a quella di un tennista
di professione, di un pattinatore artistico, di un saltatore in alto.
-certe capacità di calcolo richiedono una visualizzazione e una profondità simili a quelle
di un playmaker nel basket, o ad un regista del calcio, capaci di immaginare in anticipo
l’andamento di un’azione in campo.
Scacchi: sport della mente
I principianti: attivano la regione del cervello del lobo temporale mediale per
codificare nuove informazioni e analizzare le situazioni senza basarsi sull’esperienza di
partite precedenti.
I campioni: utilizzano la zona frontale parietale per memorizzare intere sequenze di una
partita.
Gli scacchi come strumento per la didattica della
matematica
Le relazioni tra matematica e scacchi sono ampiamente documentate.
Gli scacchi possono essere efficacemente utilizzati per l’introduzione di concetti
logici e matematici di diversa natura: la scacchiera rappresenta una
esemplificazione del piano cartesiano ed attraverso il movimento dei pezzi viene
introdotta l’equazione della retta e la relativa pendenza.
E' possibile inoltre sviluppare alcuni elementi di logica e il pensiero laterale
utilizzando il problema di scacchi:
il problema di scacchi è simile ad un problema matematico: alle considerazioni
precedenti, nella sostanza ancor valide, si aggiunge la coincidenza degli scopi (ora
in entrambi i casi c'è un problema da risolvere) e della fase di impostazione; la
formulazione del problema è univoca e rigorosa e occorre intraprendere il
ragionamento studiando le proprietà. In definitiva si direbbe che le qualità del
bravo scacchista sono le stesse caratterizzanti il buon matematico.
Gli scacchi come l’esperienza matematica
La partita a scacchi ha qualcosa in comune con l’esperienza dello studio matematico: nella
fase di apertura il giocatore utilizza le sue conoscenze teoriche,necessarie ad impostare
correttamente un particolare tipo di gioco; così come il matematico, affronta un problema
dapprima attingendo dal proprio sapere quei particolari strumenti che occorrono nello
specifico. Inquadrare nell'evolversi un'apertura è come sviscerare una questione matematica
nei suoi vari aspetti.
Nel centro partita la creatività e l'intuizione si fondono con le capacità logiche necessarie per
'vedere' una situazione in evoluzione, così come la scoperta matematica necessita di un
coinvolgimento totale delle diverse capacità umane allo scopo di trovare un collegamento
prima sconosciuto.
II finale è la parte metodica della partita; è l'unica fase completamente teorizzabile:nelle
varie circostanze si riesce a determinare il vincitore e in linea di principio il procedimento
che porta alla vittoria. E' così anche in matematica ove, giunti incerte situazioni o scritte
certe equazioni, si sa che il problema può essere portato a completa risoluzione utilizzando
tecniche note.
Un ulteriore elemento comune alle due discipline è il rapporto tra concretezza e
astrazione. La capacità di astrazione necessaria per poter ‘far bene’ matematica deve
essere opportunamente compenetrata nella fase didattica con l’esigenza di
concretezza, così come nel gioco degli scacchi vanno giustamente calibrate l'esigenza
di concretezza (spostare i pezzi sulla scacchiera) con la necessità di astrazione della
regola del ‘pezzo toccato, pezzo mosso’, che impone di saper ‘vedere’ la posizione in
evoluzione senza toccare i pezzi. Educare all'astrazione negli scacchi, dunque, è utile
per l'acquisizione dell'astrazione matematica, che rappresenta una tappa decisiva
nell'apprendimento in questo campo.
La complessità negli scacchi
“L'elemento che mi affascina maggiormente di
questo gioco è il fatto che a partire da regole
molto semplici, si possono originare scenari
imprevedibili dati dalla enorme quantità di
scelte possibili” (frase tratta da una tesi)
La complessità degli scacchi deriva soprattutto dall’ enorme quantità di possibili
combinazioni di gioco:
-esistono 400 combinazioni di prime mosse: 20 per il Bianco e 20 per il Nero (ma
solo 64 sono considerate combinazioni forti)
-si calcolano oltre 300 miliardi di modi per giocare le prime quattro mosse e 10^30
per giocare le prime dieci mosse
-il numero totale di possibili combinazioni posizionali è stimato in 10^120.
“Gli scacchi sono utili all'esercizio della facoltà di
pensare ed a quella dell'immaginazione, perchè
noi dobbiamo possedere un metodo elaborato
per raggiungere i nostri scopi dovunque
dobbiamo condurre la nostra ragione”
(Il filosofo Leibnitz)