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I Promessi Sposi

Riassunto Capitolo 1
“Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non
interrotte di monti, tutto a seni e golfi…”: ecco il famosissimo incipit
dei Promessi Sposi. Alessandro Manzoni ha deciso di cominciare il suo
capolavoro letterario con una descrizione minuziosa del territorio in cui
prendono vita la maggior parte delle vicissitudini raccontate.
Lo scrittore ci presenta, come se fosse una fotografia o un dipinto, la
conformazione geografica di questo ramo del lago con i suoi monti, “ l’uno
detto di San Martino, l’altro, con voce lombarda, il Resegone“, i “tre grossi
torrenti“, e ci dice che Lecco “ai tempi in cui accadero i fatti…era anche un
castello“, dove alloggiava una “stabile guarnigione di soldati spagnoli“.
Lecco era “un gran borgo al giorno d’oggi…che si incammina a diventare
città“.

Manzoni ha iniziato la stesura del romanzo nel 1821 e lo ambienta


storicamente nel 1600, per l’esattezza tutti inizia la “sera del giorno 7
novembre dell’anno 1628” quando Don Abbondio, di ritorno verso casa,
incontra i Bravi presso il tabernacolo.

Era evidente che questi personaggi stessero aspettando qualcuno e Don


Abbondio, continuando a tenere il breviario tra la mani, “fu assalito a un
tratto da mille pensieri“, cominciò a vivere momenti di “incertezza…così
penosi per lui“, che lo indussero ad accelerare il passo e quando si trovo
davanti ai Bravi questi “due galantuomini” gli chiesero se il curato avesse
l’intenzione l’indomani di “maritar Renzo Tramaglino e Lucia Mondella” e
gli intimarono “questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai” e
salutarono Don Abbondio portando le riverenze del loro padrone Don
Rodrigo.
Don Abbondio tentò di giustificarsi in qualche modo, in maniera tremolante,
con la “voce mansueta e gentile“, tentando in qualche modo di dissuadere i
Bravi, ma l’incalzare dei due e il sentire il nome dell'”illustrissimo signor
Don Rodrigo” lo rese prontamente servile e “disposto… disposto sempre
all’ubbidienza“.

I Bravi se ne andarono e Don Abbondio riprese la strada per giungere a


casa, dove lo aspettava Perpetua, la sua serva, che nel mentre stava
apparecchiando la tavola per la cena. Perpetua si accorse subito che “ era
accaduto qualche cosa di straordinario davvero“, perché Don Abbondio
aveva lo “sguardo così adombrato, con un viso così stravolto“. Così
cominciò ad incalzarlo di domande, tanto che il buon curato alla fine “ aveva
forse tanta voglia di scaricarsi del suo doloroso segreto, quanta ne avesse
Perpetua di conoscerlo” e le “raccontò il miserabile caso” facendosi giurare
che avrebbe taciuto.

I Promessi Sposi
Riassunto Capitolo 2
Dopo la minaccia ricevuta dai Bravi, come indicato nel riassunto del
capitolo 1 dei Promessi Sposi, Don Abbondio trascorre una notte agitata,
“spesa in consulte angosciose“. Alla fine decise che doveva solo prendere
tempo con “quel ragazzone“, che la “sua antica esperienza” gli avrebbe dato
“gran vantaggio sur un giovinetto ignorante!“.

E fu così che all’indomani Renzo Tramaglino si presenta al curato “con una


cert’aria di festa e nello stesso tempo di braveria“, per prendere accordi
sull’ora per celebrare il matrimonio. Le nozze si sarebbero dovuto celebrare
lo stesso giorno, ma Don Abbondio dice che ci sono “degli imbrogli” e poi
adduce come scusa le “formalità” necessarie per “fare un matrimonio in
regola” e proferisce parole in latino per impressionare il giovane. Dice che
deve effettuare altre ricerche e chiede a Renzo di pazientare “ qualche
giorno“, aggiungendo che “in quindici giorni…” espleterà le formalità
richieste.

Renzo è arrabbiato e dice che avrà “pazienza per una settimana” ed esce
per andare ad informare la sua “promessa” Lucia. Mentre cammina, mette
insieme tutte le stranezze ravvisate nel comportamento e nelle parole di
Don Abbondio, che gli fanno pensare ci sia “sotto un mistero diverso da
quello che Don Abbondio aveva voluto far credere“.

Appena fuori la casa del curato, Perpetua stava entrando nell’orto e Renzo
la chiama. Perpetua non riesce a tacere, nonostante il giuramento prestato
a Don Abbondio e si tradisce con le sue stesse parole, dicendo che non
conosce “i segreti” del suo “padrone“, che lei non può dire niente perché
non sa niente, aggiungendo che il suo padrone “non vuol far torto… lui non
ci ha colpa“. Incalzata da Renzo che le chiede chi ha colpa, Perpetua
aggiunge che “c’è bene a questo mondo de’ birboni, de’ prepotenti, degli
uomini senza timor di Dio…“.

Renzo vuole sapere chi siano questi prepotenti ma Perpetua entra nell’orto
e chiude l’uscio. Renzo invece si precipita da Don Abbondio chiedendogli –
“chi è quel prepotente?“. Inizia così un botta e risposta: domande da parte
di Renzo e mezze risposte da parte di Don Abbondio. Sono momenti
concitati, tanto che ad un certo punto Renzo mette mano anche al coltello
“che gli usciva dal taschino“. Renzo non gli dà tregua e gli dice – “ dunque
parli“. È così che finalmente il curato pronuncia “in fretta” il nome di Don
Rodrigo.

Renzo “tra la rabbia e la confusione” resta immobile “col capo basso” e poi
decide di andarsene. Cammina “a passi infuriati verso casa, senza aver
determinato quel che” deve fare. La sua mente è pervasa da brutte idee, “il
suo cuore” non batte “che per per l’omicidio”, vorrebbe “correre alla casa di
don Rodrigo, afferrarlo per il collo, e…“, vorrebbe “prendere il suo schioppo..
appiattarsi dietro una siepe” in attesa che comparisse “lo scellerato“, ma
appena pensa a Lucia il suo stato d’animo, agitato e in preda alla vendetta,
viene pervaso dai “migliori pensieri” e si ricorda “di Dio, della Madonna e de’
santi“. “… il pensiero di Lucia, quanti pensieri tirava seco!“.
Così si reca alla casa della sua amata, che si stava preparando per il
matrimonio e chiede ad una ragazza di chiamare Lucia e tirarla “in disparte”
perché doveva parlarle. Lucia esce “tutta attillata dalle mani della madre“,
Agnese, e va da Renzo, che la informa che il matrimonio è rimandato e le
racconta “la storia di quella mattina“. Lucia ascolta “con angoscia” e
quando ode il nome di don Rodrigo arrossisce e trema dicendo – “ fino a
questo segno!“, quindi congeda tutte le donne dicendo che “il signor curato
è ammalato; e oggi non si fa nulla“.
Qualche comare si reca all’uscio del curato per verificare che sia ammalato
davvero e Perpetua dalla finestra dice “un febbrone“.

I Promessi Sposi
Riassunto Capitolo 3
informate le comari che il matrimonio è rimandato – vedi riassunto capitolo
2 Promessi Sposi –
mentre Renzo informa Agnese dell’accaduto, Lucia entra nella stanza e
“con voce rotta dal pianto” racconta come nei giorni precedenti, di ritorno
dalla filanda, era stata avvicinata da donRodrigo che ha scommesso con
“quell’altro signore” – il conte Attilio – che lei sarebbe stata sua.

Lucia dice di aver informato subito di tutto “padre Cristoforo, in


confessione” e prosegue dicendo che il religioso le ha suggerito “d’affrettar
le nozze” e nel mentre di stare “rinchiusa” e poi le sue parole vengono
“troncate da un violento scoppio di pianto“. Renzo ha un moto di rabbia, ma
Lucia lo calma ed Agnese suggerisce una possibile soluzione: Renzo deve
recarsi dal “dottor Azzecca-garbugli“, uomo di legge, e raccontargli tutto,
ma non può farlo andando a mani vuote così gli suggerisce di portare con sé
quattro capponi.

Renzo si reca presso lo studio dell’avvocato e lascia i capponi alla serva,


che lo fa accomodare nello studio dell’avvocato: “uno stanzone” con i
ritratti degli imperatori romani alle pareti, scaffali pieni di “libri vecchi e
polverosi” e un tavolo pieno di documenti. Il dottor Azzecca-garbugli
indossa la “toga ormai consunta” e chiede a Renzo “il fatto come sta” poi
inizia a leggere diversi testi, o meglio come dice egli stesso “ grida fresca“.
Renzo è attento e segue l’avvocato, quanto quest’ultimo gli chiede perché si
fosse “fatto tagliare il ciuffo“, scambiandolo per un bravo.
Renzo nega ovviamente ma l’avvocato non gli crede e gli dice di fidarsi di lui
altrimenti -“non facciam niente” ed lo incalza – “dovete nominarmi la
persona da cui avete avuto il mandato” – e ancora – “dovete dirmi chi sia
l’offeso…perché, vedete, a saper bene maneggiare le gride, nessuno è reo, e
nessuno è innocente. –
Nasce un tremendo “equivoco” tra i due, quando Renzo spiega bene il fatto,
fintanto che l’avvocato si infuria e lo spinge “con le mani verso l’uscio”
dicendogli di andarsene ed ordinando alla sua donna di restituire i capponi
al giovane.
Renzo riprende le “quattro povere bestie” e ritorna “al paese, a raccontare
alle donne il bel costrutto della sua spedizione“.

Nel mentre Lucia ed Agnese si consultano nuovamente sul da farsi e


decidono di chiedere aiuto a padre Cristoforo. In quel momento bussa
all’uscio fra Galdino, “un laico cercatore cappuccino“, in cerca di noci per
il convento di Pescarenico, dove vive lo stesso padre Cristoforo. La
bisaccia del frate è quasi vuota. Mentre Lucia va a prendere le noci, il frate
chiede ragioni del mancato matrimonio ad Agnese, ma prontamente Lucia
porta il discorso sulla carestia di noci e racconta un miracolo avvenuto in
un “convento di Romagna“.

Al termine del racconto Lucia ricompare “col grembiule così carico di


noci” , che lo regge “a fatica, tenendone le due cocche in alto, con le
braccia tese ed allungate“. Fra Galdino la ringrazia ampiamente e Lucia gli
chiede di informare padre Cristoforo di venire presto a casa loro perché loro
non possono andare alla chiesa ma hanno “una gran premura di parlargli“. Il
frate se ne torna al convento “un po’ più curvo e più contento, di quel che
fosse venuto“.

Manzoni ora, con un excursus, ci delinea brevemente la figura di padre


Cristoforo – “nessun si pensi che quel Cristoforo fosse un frate di dozzina,
una cosa da strapazzo. Era anzi un uomo di molta autorità, presso i suoi, e
in tutto il contorno” – dicendoci che è un uomo di molta autorità.

Renzo ritorna dalle donne e le informa del pessimo risultato dell’incontro


con l’Azzecca-garbugli, tanto che rivolgendosi ad Agnese dice – “Bel parere
che m’avete dato!” ed inizia un battibecco tra i due, calmato dall’intervento
di Lucia che annuncia la speranza “d’aver trovato un aiuto migliore“.
Renzo, con il suo carattere fumantino, dice che “se il padre…non (ci) trova
un ripiego” sarà lui stesso a trovarlo “in un modo o nell’altro“.
Le donne gli consigliano “la pace, la pazienza, la prudenza” e poi tutti si
accomiatano augurandosi “buona notte” e Renzo se ne va “col cuore in
tempesta, ripetendo sempre quelle strane parole: – a questo mondo c’è
giustizia, finalmente! –“.

I Promessi Sposi
Riassunto Capitolo 4
Renzo, Lucia ed Agnese si sono salutati la sera – vedi riassunto capitolo
3 Promessi Sposi – e le due donne aspettano che l’indomani arrivi da
loro padre Cristoforo.

Sul far del mattino, “il sole non era ancor tutto apparso sull’orizzonte”,
padre Cristoforo esce “dal suo convento di Pescarenico, per salire alla
casetta dov’era aspettato“. Dopo una breve descrizione del borgo di
pescatori, Manzoni ci dipinge il quadro bucolico del paesaggio accarezzato
da “un venticello d’autunno” con le foglie del gelso appassite ed i tralci con
le “foglie rosseggianti a varie tinte” che brillavano, “la scena era lieta; ma
ogni figura d’uomo che vi apparisse, rattristava lo sguardo e il pensiero “.

Il narratore ci introduce il quadro della carestia imperante nel primo


Seicento: “s’incontravano mendichi laceri e macilenti“, alcuni lavoratori nei
campi van “gettando le lor semente, rade, con risparmio, e a malincuore,
come chi arrischia che troppe gli preme; altri” spingono “la vanga come a
stento, e rovesciano svogliatamente la zolla. La fanciulla scarna, tenendo
per la corda al pascolo la vaccherella magra stecchita” si china per rubarle
l’erba da dare in cibo alla famiglia.
Il frate cammina “già col tristo presentimento in cuore, d’andar a sentire
qualche sciagura“. Ma perché si è preso così tanto a cuore Lucia? Perché
corre subito da lei? E chi è padre Cristoforo? Manzoni ci dice che “bisogna
soddisfare a tutte queste domande” ed infatti in questo quarto capitolo
troviamo un lungo excursus sulla figura di padre Cristoforo. Come avverrà
nel decimo capitolo per la monaca di Monza, lo scrittore ci racconta la vera
storia del religioso, donandoci un profilo biografico ed al
contempo morale.

Inizia col descriverci l’aspetto fisico di padre Cristoforo: “ un uomo più vicino
ai sessanta che ai cinquant’anni“, con “due occhi incavati” che “talvolta
sfolgoravano, con vivacità repentina; come due cavalli bizzarri“. Il frate “non
era sempre stato così, né sempre era stato Cristoforo: il suo nome di
battesimo era Lodovico“, figlio unico di un mercante che negli ultimi anni
aveva fatto fortuna e si trovava “assai fornito di beni“, tanto da voler vivere
“da signore” e vergognandosi del passato da mercante. Voleva essere come
i nobili e così Lodovico è cresciuto imparando “abitudini signorili“, vivendo
tra agi ed opulenza, ma doveva “star sempre al di sotto” dei suoi compagni.
Però aveva un’indole “onesta” e “sentiva un orrore spontaneo e sincero per
l’angherie e per i soprusi”, tanto che “venne a costituirsi come un protettor
degli oppressi, un vendicatore de’ torti“, “più d’una volta gli era saltata la
fantasia di farsi frate“.

Ecco che Manzoni ci racconta l’episodio che cambia completamente la


vita a Lodovico, portandolo a divenire padre Cristoforo.
“Andava un giorno per una strada della sua città, seguito da due bravi, e
accompagnato da un tal Cristoforo“, quando vide “spuntar da lontano un
signor tale, arrogante e soverchiatore di professione, col quale non aveva
mai parlato in vita sua, ma che gli era cordiale nemico“. Lo sguardo ed il
comportamento di sfida tra i due, nessuno dei quali è intenzionato a cedere,
li porta “viso a viso“, ma il reciproco chiedere di fare luogo non trova esiti
positivi, tanto che i due metton mano alla spada e si avventano “l’uno
all’altro; i servitori delle due parti” si slanciano “alla difesa de’ loro
padroni“. Se Lodovico non è intenzionato ad uccidere, bensì a scansare i
colpi, il suo nemico “voleva la morte di lui, a ogni costo“.
Quando Cristoforo vede il suo padrone in pericolo, va “col pugnale addosso
al signore”, che di tutta risposta la passa con la spada. Vista questa scena
Lodovico, “come fuor di sè“, infila la sua spada “nel ventre del feritore“, il
quale cade “a terra moribondo, quasi a un punto col povero Cristoforo“.
Lodovico si trova solo “con que’ due funesti compagni ai piedi, in mezzo a
una folla“.
“Il fatto” è “accaduto vicino a una chiesa di cappuccini“, dove Lodovico,
ferito, viene portato dalla folla, che dice “è un uomo dabbene che ha
freddato un birbone superbo: l’ha fatto per sua difesa: c’è stato tirato per i
capelli“.

In convento Lodovico medita e si risvegliano “più vivamente e più


distintamente i sentimenti ch’eran confusi e affollati nel suo animo: dolore
dell’amico, sgomento e rimorso del colpo che gli era uscito di mano e, nello
stesso tempo, un’angosciosa compassione dell’uomo che aveva ucciso “.
“Riflettendo quindi a’ casi suoi” sente “nascere più vivo che mai e serio quel
pensiero di farsi frate, che altre volte gli era passato per la mente “, gli
sembra che sia Dio stesso ad averlo messo su questa strada, mostrandogli
il segno del suo volere ed è così che Lodovico decide di vestire “l’abito di
cappuccino”. Lodovico comincia “una vita d’espiazione e di servizio” e a
“trent’anni” si ravvolge “nel sacco, e, dovendo, secondo l’uso, lasciare il suo
nome, e prenderne un altro” ne sceglie uno che gli rammenti sempre in ogni
momento la colpa da espiare e decide di chiamarsi fra Cristoforo.

Il desiderio di giustizia e la lotta ai soprusi da allora caratterizzano il modus


agendi di padre Cristoforo, con un carattere singolare: “tutto il suo
contegno, come l’aspetto” riflette “una lunga guerra, tra un’indole focosa,
risentita, e una volontà opposta, abitualmente vittoriosa, sempre all’erta, e
diretta da motivi e da ispirazioni superiori“.

Dopo questo lungo excursus relativo alla figura del religioso, il narratore ora
ci mostra padre Cristoforo all’uscio della casa di Lucia.
I Promessi Sposi
Riassunto Capitolo 5
Nel capitolo precedente abbiamo lasciato Padre Cristoforo all’uscio della
porta della casa di Lucia, vedi riassunto capitolo 4 dei Promessi Sposi.

E lo ritroviamo qui, “ritto sulla soglia” che mentre dà “un’occhiata alle


donne” capisce subito che “i suoi presentimenti non eran falsi” e chiede
ad Agnese di raccontargli quanto successo e rassicura Lucia, dicendole di
quietarsi. Mentre Agnese fa “la sua dolorosa relazione“, il frate diventa “di
mille colori e ora” alza “gli occhi al cielo, e ora” batte “i piedi“, ma rassicura
le due donne dicendo loro che Dio non le abbandonerà ed aggiunge -“ non vi
perdete d’animo: Egli v’assisterà: Egli vede tutto: Egli può servirsi anche
d’un uomo da nulla come son io“.

Padre Cristoforo quindi pensa a come “mettere un po’ di vergogna a don


Abbondio, e fargli sentire quanto manchi al suo dovere” ma poi decide che
la soluzione migliore sia quella “d’affrontar don Rodrigo stesso, tentar di
smoverlo dal suo infame proposito, con le preghiere, coi terrori dell’altra
vita, anche di questa, se fosse possibile“.
Mentre il frate sta “così meditando” compare sull’uscio Renzo, che si ferma
“sulla soglia, in silenzio“. Renzo è sempre mosso da propositi di vendetta,
ma Padre Cristoforo gli fa promettere che si lascerà guidare da lui e non
andrà a provare alcuno. Saluta i tre e si reca dapprima in convento dove
cena e quindi si mette in cammino verso il “palazzotto di don Rodrigo“, che
sorge “isolato, a somiglianza d’una bicocca sulla cima d’uno de’ poggi ” in un
logo poco “più in su del paesello degli sposi”. Ai piedi del poggio “un
mucchietto di casupole, (…) come la piccola capitale del suo piccol regno “.

La descrizione di Manzoni del luogo e delle persone che vi abitano non è


felice, dicendo che si incontrano “omacci tarchiati e arcigni, con un gran
ciuffo arrovesciato sul capo, e chiuso in una reticella“, i famosi Bravi, e
anche tra i bambini che giocano per strada si vede “un non so che di
petulante e provocativo“.
Padre Cristoforo attraversa il villaggio e salendo per “una viuzza a
chioccola” si trova di fronte al palazzotto dova regna “un gran silenzio” e
dove “due bravi, sdraiati, ciascun sur una delle panche poste a destra e
sinistra” fanno la guardia al portone. Il padre si ferma ed aspetta, ma uno
dei bravi lo invita ad avvicinarsi ed entrare. Dopo aver attraversato “ due o
tre altri salotti oscuri” si trova “all’uscio della sala del convito” dal quale
proviene un “gran frastono confuso di forchette, di coltelli, di bicchieri, di
piatti, e sopra tutto di voci discordi” che cercano “a vicenda di
soverchiarsi”.
E di chi sono queste voci? Di don Rodrigo, che invita il padre ad entrare, e
dei suoi commensali: suo cugino, il conte Attilio, “il signor podestà” e
il dottor Azzecca-garbugli.

I Promessi Sposi
Riassunto Capitolo 6
Alla fine del capitolo 5, don Rodrigo dice a padre Cristoforo di essere “a’
suoi comandi” e lo conduce in un altra sala perché possano parlare,
vedi riassunto capitolo 5 Promessi Sposi.

“In che posso ubbidirla?” dice don Rodrigo, “piantandosi in piedi nel mezzo
della sala“. Ecco come inizia questo capitolo sesto del romanzo. Ci troviamo
di fronte al dialogo, che poi diventa discussione accesa tra i due
personaggi.

Padre Cristoforo cerca di trattenere tutte le parole non necessarie e “con


guardinga umiltà” dice di essere venuto a proporre “un atto di giustizia”
prega don Rodrigo “d’una carità“, di “restituire al diritto la sua forza“,
aggiungendo che “cert’uomini di mal affare” hanno fatto il nome di sua
signoria “per far paura a un povero curato, e impedirgli di compiere il suo
dovere, e per soverchiare due innocenti“.
Don Rodrigo si irrita e cerca di “volgere il discorso in contesa” ed aggiunge
che non ha bisogno di avere un predicatore in casa o qualcuno che viene
per fare la spia, per poi alla fine insinuare che padre Cristoforo sia
interessato a “qualche fanciulla“. Il frate, “al moversi di don Rodrigo“, gli si
pone davanti con le mani alzate, “come per supplicare e per trattenerlo” e
gli dice – “non voglia tener nell’angoscia e nel terrore una povera innocente ”
-.
Al sentire queste parole don Rodrigo suggerisce a padre Cristoforo di
consigliare la fanciulla di mettersi sotto la sua protezione, che “non le
mancherà più nulla“.

“A siffatta proposta, l’indignazione del frate, trattenuta a stento fin allora ”


trabocca e Alessandro Manzoni ci aggiunge una nota dicendo che “l’uomo
vecchio si trovò d’accordo col nuovo“, richiamando il passato del frate
(vedi riassunto capitolo 4 Promessi Sposi).
Padre Cristoforo davvero non ci vede più ed alza l’indice sinistro verso don
Rodrigo, “piantandogli in faccia due occhi infiammati” e dicendogli che
ormai non lo teme più e che ha -“compassione di questa casa: la
maledizione le sta sopra sospesa“, aggiunge perentorio – “sentite bene quel
ch’io vi prometto. Verrà un giorno…” .
Don Rodrigo, che “era fin allora rimasto tra la rabbia e la maraviglia,
attonito, non trovando parole“, quando sente questa “predizione” aggiunge
alla sua rabbia anche un “misterioso spavento“, quindi afferra “rapidamente
per aria quella mano minacciosa“ e “alzando la voce, per troncar quella
dell’infausto profeta” grida a padre Cristoforo di andarsene.

Qui Manzoni, il narratore, ci mostra l’immagine di padre Cristoforo: “ritirata


placidamente la mano dagli artigli del gentiluomo, abbassò il capo, e rimase
immobile, come, al cader del vento, nel forte della burrasca, un albero
agitato ricompone naturalmente i suoi rami, e riceve la grandine come il ciel
la manda“, e ancora “chinò il capo, e se n’andò, lasciando don Rodrigo a
misurare, a passi infuriati, il campo di battaglia“.

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Mentre padre Cristoforo si allontana per andarsene vede “il vecchio
servitore ch’era venuto a riceverlo alla porta di strada“, che gli si accosta
“misteriosamente” e mettendo il dito alla bocca come dire al religioso di far
silenzio, lo porta in un “andito buio” e gli dice che lui ha sentito tutto e “sa
molte cose“, “qualcosa per aria c’è di sicuro” e dice che all’indomani
sarebbe andato al convento. Mentre fra Cristoforo se ne torna a casa “ tutto
infocato in volto, commosso e sottosopra” pensa – “ecco un filo,…, un filo
che la provvidenza mi mette nelle mani“.

Mentre padre Cristoforo era da don Rodrigo a casa di Lucia “erano stati
messi in campo e ventilati disegni” e il narratore informa il lettore. In questo
capitolo è molto presente la figura del narratore onnisciente nei Promessi
Sposi.

Lucia sta preparando la cena, Renzo è sul punto di andarsene


ed Agnese “tutta intenta, all’apparenza, all’aspo” dice ai “figliuoli” che si
impegna a toglierli dall’impiccio in cui si trovano, dicendo loro che ci vuole
“cuore e destrezza; e la cosa è facile“. Suggerisce loro di organizzare un
matrimonio a sorpresa, per il quale alla fine serve la presenza del curato e
di due testimoni, ma “non bisogna parlarne al padre Cristoforo, prima di far
la cosa“.
Lucia non è per nulla convinta di dice che “son imbrogli“, “non sono cose
lisce” e vuole sentire il parere del frate, ma la madre la rassicura dicendole
di lasciarsi guidare da chi ha più esperienza.
Renzo invece si attiva per trovare i due testimoni e “con un’aria
d’intelligenza” se ne va “in fretta“.

“Le tribolazioni aguzzano il cervello” ci dice il narratore ed è così che Renzo


va “alla casetta d’un certo Tonio“, che con la famiglia è prossimo a cenare
mangiando polenta, la quale però è “in ragion dell’annata, e non del numero
e della buona voglia de’ commensali“: ritorna il richiamo al periodo di
carestia.
Tonio è debitore per venticinque lire di don Abbondio per il campo che
quest’ultimo gli aveva affittato l’anno precedente. Renzo si propone di
saldare il suo debito se lui si offre come testimone per il suo matrimonio.
Tonio accetta subitamente. Ma serve un altro testimone e subito lo stesso
Tonio propone “quel sempliciotto” di suo fratello Gervaso.
A casa intanto Agnese continua “a persuadere la figliuola”, che invece si
oppone “a ogni ragione“. Risolta la situazione, Renzo torna dalle donne per
“render conto de’ concerti presi” e ci arriva “tutto trionfante“. Ma una volta
trovati i testimoni, il curato va colto di sorpresa, ma con lui c’è Perpetua
che va distratta: ci penserà Agnese.
Mentre Agnese e Renzo si accordano, Lucia rimane nella sua perplessità ed
aggiunge che “far questa cosa, come dite voi, bisogna andar avanti a furia
di sotterfugi, di bugie, di finzioni“, ma lei vuole andare “per la strada diritta,
col timor di Dio, all’altare” e poi “perché far misteri al padre Cristoforo?“.

E mentre i tre continuano con la “disputa”, si sente un “calpestio affrettato


di sandali, e un rumore di tonaca sbattuta”, che annunciano l’arrivo di padre
Cristoforo. Tutti si zittiscono ed Agnese sussurra “all’orecchio di Lucia: –
bada bene, ve’, di non dirgli nulla –“.

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