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28 Pagina I
Collana
IMAGINES AGENTES
a cura di
Lina Bolzoni e Sonia Maffei
Coordinamento editoriale a cura di
Carlo Alberto Girotto
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ISBN 978-88-89254-07-3
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ANDREA TORRE
VEDERE VERSI
UN MANOSCRITTO DI EMBLEMI PETRARCHESCHI
(BALTIMORE, WALTERS ART MUSEUM, MS. W476)
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CONTENUTO
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2 MARIO PRAZ, Petrarca e gli emblematisti [1943], in ID., Ricerche anglo-italiane, Ro-
ma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1944, pp. 305-319, cit. a p. 309, dove conclude:
«Il Petrarca trasferisce a un testo profano, a un canzoniere le virtù dei sacri testi: an-
ch’egli parla per simboli e per parabole. [...] Parlar per immagini è stato sempre pro-
prio dei poeti: [...] circondare quel fatto di tutto un misterioso rituale arieggiante
quello della religione, ecco l’origine dell’emblematica petrarchesca».
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7 Cfr. LUCA CONTILE, Ragionamento sopra le imprese, Pavia, Bartoli, 1574, c. 11r:
«[...] Tuttavia l’autorità de’ scrittori italiani mi essorta ch’io citi il Petrarca il quale nel
sonetto che comincia O passi sparsi disse O sola insegna al gemino valore dinotando la
corona di lauro esser testimonianza chiarissima per meriti soldateschi e de scienze; pa-
rimenti il detto Poeta nel primo capitolo del trionfo della morte così canta: Era la lor
vittoriosa insegna, mostrando per essa la purità di Laura, la schiettezza e ’l valor de’ suoi
castissimi pensieri, con animo di mantenersi ella tale fin all’ultimo giorno di sua vita;
ma credo si possa dire che fusse più tosto impresa ch’insegna, essendo uno armellino
col collare d’oro e di topazio, significando la intenzione di così pudica e bella donna,
avendo ornato quel puro animaletto di due preziose cose cantate da Davide Re nel
salmo 118: O Signore i tuoi precetti sono sopra l’oro el topazio; né facendo questa compa-
razione con altre gioie, possiamo credere che la valuta dell’oro e del topazio sia sopra
tutti gli altri ricchissimi metalli e gemme; nel medesimo capitolo segue il Poeta e di-
ce: Quando vidi una insegna oscura e trista. La quale può ancora servire per impresa, es-
sendo fatta in foggia che rappresenta il fine di questa vita mortale, e con tutto ciò che
l’un nome si prenda per l’altro, è tutto nondimeno cagionato dal mal uso come al-
l’ultimo potrà conoscersi nel trattato della vera proprietà dell’Imprese. Canta medesi-
mamente il Petrarca nel capitolo della divinità in questa guisa: Vidi l’insegne di quel-
l’altra vita; la quale similmente scuopre la certezza della vita eterna, et è la croce be-
nedetta nello stendardo, in atto della santissima resurrezione. Scrive pure il Petrarca in
questo medesimo sentimento parlando ad Amore nella canzone Amor se voi ch’io torni
al giogo antico: E ripon le tue insegne nel bel volto; significando che quanto vittoriosamente
Amore s’acquistava era per la pudica e vera bellezza di Laura».
8 Sonetti Canzoni e Triomphi di M. FRANCESCO PETRARCA con la spositione di BER-
NARDINO DANIELLO da Lucca,Venezia, Pietro e Gianmaria Nicolini da Sabbio, 1549, c.
106r (corsivi miei).
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9 Una lectura in chiave emblematica del fragmentum 190 è presente in MARIA LUI-
SA DOGLIO, Il segretario, la cerva, i versi dipinti. Tre studi su sonetti del Petrarca, Alessandria,
Edizioni dell’Orso, 2006, pp. 19-38, in part. p. 32: «Nel giro della terzina l’immagine
della cerva si accampa come la figura (il corpo) di un’impresa dove il segno letterario
assorbe in sé il segno figurativo che produce direttamente, in modo autonomo, ma do-
ve sussiste il composto metaforico figura-motto che giustifica, una volta di più, la
straordinaria fortuna del Petrarca sia nella “fabrica” che nella trattatistica delle impre-
se fra Cinque e Seicento».
10 Mariani Canova riscontra un precedente iconografico dell’immagine nella
cerbiatta presente a c. 309r della Miscellanea Rothschild dell’Israel Museum (ms.
180/51), codice ebraico caratterizzato da un impianto illustrativo molto simile a quel-
lo dell’esemplare bresciano (GIORDANA MARIANI CANOVA, Antonio Grifo illustratore del
Petrarca Queriniano, in GIUSEPPE FRASSO-GIORDANA MARIANI CANOVA-ENNIO SAN-
DAL, Illustrazione libraria, filologia e esegesi petrarchesca tra Quattrocento e Cinquecento. Anto-
nio Grifo e l’incunabolo Queriniano, Padova, Antenore, 1990, pp. 145-200, in part. p. 169).
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Casi come questo costituiscono però una netta minoranza all’interno dell’incunabo-
lo, permanendo ancora troppo debole e implicita una strutturazione emblematica del-
l’immagine, e ancora troppo forte la relazione didascalica tra figura e parola. L’imma-
gine parla forse ancora troppo del testo, e ancora troppo poco col testo.
11 GIROLAMO RUSCELLI, Le imprese illustri,Venezia, De’ Franceschi, 1584, pp. 273-277.
12 NICOLÒ FRANCO, Il Petrarchista, Venezia, Giolito, 1539, cc. 20v-21r.
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13 Cfr. PAOLO GIOVIO, Ragionamento sopra i motti e disegni d’arme e d’amore che co-
munemente chiamano imprese. Con un discorso di Girolamo Ruscelli intorno allo stesso sogget-
to, Venezia, Ziletti, 1556, pp. 185-186: «Et il Petrarca dicono che solea usar alcuni su-
gelli non con arme ma a guisa d’imprese, sì come era quello ov’era intagliato un Lau-
ro, con questo verso che è nel suo Canzoniere, L’arbor gentil, che forte amai molt’anni. Et
un altro ov’era l’imagine di Madonna Laura, con quest’altro Quel sol che mi mostrava il
camin dritto. I quasi due egli usava doppo la morte di lei. E l’altro, nel quale era inta-
gliata l’imagine di lui stesso, che nudo sedeva a piè d’un lauro con una tempia appog-
giata sopra la mano destra, e sotto a quel medesimo braccio un’urna che versava ac-
qua di continuo, onde egli facea un lago d’attorno, et avea questo verso pur del suo
Canzoniere, In questo stato son donna per voi».
14 EMANUELE TESAURO, Il cannocchiale aristotelico, Torino, Zavatta, 1670, p. 245. Su
questo passo si sofferma EZIO RAIMONDI, Un esercizio petrarchesco del Tesauro, in Petrar-
ca e il petrarchismo, Atti del terzo congresso dell’A.I.S.L.L.I. (Aix-en-Provence e Mar-
siglia, 31 marzo - 5 aprile 1959), Bologna, Libreria Editrice Minerva, 1961, p. 280: «Se
poi gli emblemi petrarcheschi gli sembrano “semplicetti”, questo dipende dal fatto che
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la parola, così come la intende il Tesauro, deve portare alla luce quel tanto di capric-
cioso e di imprevisto che è proprio di una scoperta “arguta” del reale. L’importante è,
però, che il testo del Petrarca non contraddica al principio della squisitezza ingegno-
sa e non escluda la possibilità di una lettura barocca».
15 PRAZ, Petrarca e gli emblematisti, cit., p. 319: «Gl’inventori d’imprese del Cin-
quecento vedevano in Petrarca il loro Santo Padre, citavano i giochi di senso allegori-
ci da lui fatti sul nome di Laura, esaltavano il sonetto in cui la donna balenava dinan-
zi ai loro occhi assetati di fasto, splendida d’oro e di porpora, di bianco e d’azzurro, in
un’alata parafrasi della descrizione pliniana della fenice, “Questa fenice de l’aurata piu-
ma...”, citavano l’impresa (d’epoca posteriore al monumento) sulla tomba di Laura, fo-
glie d’alloro e una croce, col motto Victrix casta fides, e infine immaginavano che Pe-
trarca stesso avesse inventato tre imprese vere e proprie a cui avrebbe messo per mot-
ti tre versi del Canzoniere. Ma c’era bisogno di quest’ultima leggenda per confermare
al Petrarca il merito d’essere stato il primo emblematista?».
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quella del 1501), è ricordata soprattutto per il fatto che in essa compare per la prima
volta la cosiddetta Appendix Aldina che conoscerà grande fortuna nelle successive edi-
zioni (cfr. a proposito DOMENICO DE ROBERTIS, Editi e rari: studi sulla tradizione lette-
raria tra Tre e Cinquecento, Milano, Feltrinelli, 1978, pp. 27-49).
17 JOSEPH B. TRAPP, Petrarch’s Laura: The Portraiture of an Imaginary Beloved, «Journal
of the Warburg and Courtauld Institutes», LXIV (2001), pp. 55-192, in part. p. 88, nota
100. Sul Petrarca del calligrafo padovano Bartolomeo Sanvito si veda SILVIA MADDALO,
Sanvito e Petrarca. Scrittura e immagine nel codice Bodmer, Messina, Centro Interdipartimen-
tale di Studi Umanistici, 2002. Sull’illustrazione di altri esemplari aldini del Canzoniere
si ricorra invece a HELENE SZÈPE, The Book as Companion, the Author as Friend: Aldine oc-
tavos illuminated by Benedetto Bordon, «Word and Image», XI (1995), pp. 77-99.
18 Cfr. The Painted Page. Italian Renaissance Book Illumination 1450-1550, a cura di
JONATHAN J.G. ALEXANDER, London-Munich, Prestel, 1994, pp. 238-242, schede nn.
127, 129, 130; MARIA FRANCESCA SAFFIOTTI DALE, Raymond de Lodève, Vincent, in
Dizionario biografico dei miniatori italiani. Secoli IX-XVI, a cura di MILVIA BOLLATI, Mi-
lano, Sylvestre Bonnard Edizioni, 2004, pp. 899-902.
19 Anticipo qui alcune considerazioni generali sull’aldina di Chatsworth che ver-
ranno riprese ed esemplificate in modo più circostanziato nel corso del saggio di com-
mento. Questo esemplare illustrato sarà oggetto di uno studio monografico di prossi-
ma pubblicazione.
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Fig. II. Le cose volgari di Francesco Petrarca, Venezia, Aldo Manuzio, 1514, c. 86v.
Devonshire Collection, Chatsworth.
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22 HANS BELTING, Per una iconologia dello sguardo, in Cultura visuale. Paradigmi a con-
fronto, a cura di ROBERTA COGLITORE, Palermo, duepuntiedizioni, 2008, pp. 5-28, cit.
a p. 5. Si veda anche HANS BELTING, Image, Medium, Body: A New Approach to Iconology,
«Critical Inquiry», XXXI (2005), 2, pp. 302-319, in part. p. 302: «Images are neither
on the wall (or on the screen) nor in the head alone. They do not exist by themselves,
but they happen; they take place whether they are moving images (where this is so ob-
vious) or not. Thay happen via transmission and perception».
23 Cfr. DANIEL RUSSELL, Emblematic Structures in Renaissance French Culture,Toron-
to, University of Toronto Press, 1995, p. 7: «The emblematic image is a detachable, or-
namental image, but by the very fact that it can stand alone, detached from the deve-
lopment it is intended to support and illuminate, it is also indipendent from that de-
velopment, and provides an open field for the free association of the reader. It is no
longer held captive by this signifié, and as if absorbed by it».
24 Cfr. MEYER SHAPIRO, Parole e immagini. La lettera e il simbolo nell’illustrazione di un
testo, Parma, Pratiche, 1985 [I ed. ingl. 1973], p. 12: «Se gli studi iconografici sono di par-
ticolare interesse è proprio perché, indagando le trasmutazioni pittoriche di un singolo
testo nel corso del tempo, rivelano il mutare delle idee e dei modi di pensare».
25 Cfr. PETER M. DALY, Literature in the Light of the Emblem,Toronto,Toronto Uni-
versity Press, 1998, p. 205: «The emblem books provide an important cross-reference
for the meaning of motifs in poetry. The compilers of emblem-books were frequen-
tly poets themselves, and when that was not the case, they shared the same kind of
education and world-picture. The emblem-books indicate what educated readers
knew about nature, history, and mythology, and furthermore how they interpreted
this knowledge. [...] By comparing literature with emblem-books we may determine
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which words and objects were capable of visualization, and establish the basic mea-
nings associated with those objects, all of which can increase our understanding of six-
teenth and seventeenth-century literature».
26 Cfr. JOHN SHEARMAN, Arte e spettatore nel Rinascimento italiano. «Only con-
nect...», Milano, Jaca Book, 1995 [I ed. ingl. 1992], p. 78: «Non di rado si ripete che le
arti visive differiscono da quella letteraria in quanto non possono affrontare una se-
quenza di momenti, tranne che per mezzo di una narrazione multipla, ed è interes-
sante vedere se questa dichiarazione è proprio vera. La mia idea è che gli artisti del
tardo Rinascimento abbiano cominciato a descrivere una sequenza, o degli episodi
consecutivi, approfittando della familiarità dello spettatore con tipi d’immagini usate
d’abitudine nel momento successivo o precedente di una vicenda narrativa. Familia-
rità e aspettativa consentono, allora, di capire la ‘genealogia del momento’, la sequen-
za che vi è implicita anche se non viene illustrata».
27 Cfr. ÒLIVIA ROSENTHAL, Donner à voir: écritures de l’image dans l’art de poésie au
XVIe siècle, Paris, Honoré Champion, 1998, p. 13: «Car si le poème cherche à se don-
ner comme une image, s’il cherche à devenir un objet appréhendable par le sens de la
vue, il lui faut, pour ce faire, inventer ses modes de présentation. Le poète invente ain-
si des stratégies, “feintises” par lesquelles il fait comme si le texte était offert au regard,
comme si le texte était portrait, tableau ou monument. Se met donc en place ce qu’on
pourrait appeler des fictions du visuel».
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Fig. III. Imprese dell’Accademia della Crusca. Impresa di Baldassarre Suarez, il Mantenuto.
28 GIOVANNI POZZI, Imprese di Crusca [1985], in ID., Sull’orlo del visibile parlare, Mi-
lano, Adelphi, 1993, pp. 349-382, cit. a p. 349 e 355.
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30 Cfr. FREDI CHIAPPELLI, Studi sul linguaggio del Petrarca, Firenze, Olschki, 1971,
p. 31: «L’invenzione è sollecitata nell’idea di ritrovare in ogni orizzonte, e sulla più va-
ria gamma di apparenze, l’emblema, lo schema simbolico di un avvenimento che fu
così netto e decisivo da modificare appunto ogni orizzonte, ogni apparizione possibi-
le dell’esistenza».
31 SABRINA STROPPA, Francesco Petrarca. L’artista da vecchio, «Nuova informazione
bibliografica», VI (2009), pp. 633-660, in part. pp. 648-649: «La memoria è la facoltà
quasi unicamente e visibilmente attiva nelle rime, giacché per suo mezzo l’Io non so-
lo ripensa la visione, ma ritorna, letteralmente, nel giorno in cui essa avvenne, annul-
lando il tempo. Del resto, “piaga per allentar d’arco non sana”, ragiona con lucido spa-
vento l’amante alla fine del sonetto che pare presentare la visione più attuale e viva
dell’intero canzoniere, Erano i capei d’oro a l’aura sparsi (Rvf 90, con pronuncia segreta
del Nome di lei), e che invece è pur esso attualità e presenza di memoria, di quella
memoria che non è tanto, a questa altezza, dolente misura del tempo trascorso, ma
piuttosto annullamento d’esso in forza della permanenza della visione. Non incide sul-
la “piaga” inferta il fatto che ‘ora’ siano “scarsi” di ardore quegli occhi che ‘allora’ ne
sfavillavano; né importa che non sia più “tale” quel “vivo sole” veduto in quel giorno
lontano (vv. 4, 13): il tempo può modificare il volto della donna, ma non la profondità
di una ferita inferta una volta per sempre, e rinnovata non dalla quotidianità, ma dal-
la memoria […]».
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33 Per comodità chiamerò ‘imprese’ solo quelle denunciate come tali o quelle di
cui è dichiarato un possessore; in tutti gli altri casi si ricorrerà invece al termine ‘em-
blemi’, da cogliere però nell’accezione più estesa di ‘espressione simbolica’.
34 Cfr. JOSEPH B. TRAPP, The Iconography of Petrarch in the Age of Humanism, «Qua-
derni petrarcheschi», IX-X (1992-1993), pp. 1-74, in part. p. 26: «In general, the arti-
sts – such as the English miniaturist Nicholas Hilliard – do better with what is loo-
sely called Petrarchan imagery: of the lover in flames, tortured, constant and unconsu-
med, for example, like the indico lin of the emblem, which also derives from Petrar-
chan sources. Interesting in its own right, and reminiscent of the illustration of the
Brescia incunable (including its artistic quality), is a remarkable Italian sixteenth-cen-
tury Petrarchan emblem-book, in which a series of twenty images drawn from the
Canzoniere and the Trionfi, with a dozen or so others from the Ovid and the Psalms
are illustrated and moralized».
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36 Cfr. DUTSCHKE, Census of Petrarch Manuscripts in the United States, cit., p. 45:
«Binding, green parchment over paper boards, double gold fillet border on sides and
on spine: similar to the Archinto binding». L’ipotesi di Dutschke potrebbe implicare
l’appartenenza del volume alla biblioteca del conte Carlo Archinto di Milano (1669-
1732), ma nel codice non vi è traccia del monogramma «Archintea Laus» che di soli-
to marca i libri da lui posseduti.
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41 Il passo è tratto dalla Descrizione dell’Apparato delle Nozze di don Francesco dei
Medici e di Giovanna d’Austria presente nell’edizione giuntina delle Vite vasariane
(GIORGIO VASARI, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori nelle redazioni del
1550 e 1568, a cura di ROSANNA BETTARINI e PAOLA BAROCCHI, Firenze, S.p.e.s.,
1966-1967, vol. VI, p. 305, corsivi miei).
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Fig. VIII. ANONIMO, Impresa, Rocca Estense di San Martino in Rio (Reggio Emilia).
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42 ANTON FRANCESCO DONI, Lettera ad Agostino de’ Landi, in ID., Pitture del Do-
ni academico pellegrino, a cura di SONIA MAFFEI, Napoli, La stanza delle scritture, 2004,
p. 319 (corsivi miei). Si veda anche SONIA MAFFEI, «Iucundissimi emblemi di pitture». Le
imprese del Museo di Paolo Giovio a Como, in ‘Con parola brieve e con figura’. Emblemi e
imprese fra antico e moderno, Atti del Convegno di Pisa (9-11 dicembre 2004), a cura di
LINA BOLZONI e SILVIA VOLTERRANI, Pisa, Edizioni della Normale, 2008, pp. 135-184.
43 MASSIMILIANO ROSSI, Impresistica monumentale di Berardino Rota, in ‘Con parola brie-
ve e con figura’. Emblemi e imprese fra antico e moderno, cit., pp. 295-318, cit. a p. 297. Sul dia-
logo di Scipione Ammirato si vedano: ARMANDO MAGGI, Identità e impresa rinascimentale,
Ravenna, Longo, 1998, pp. 135-146; GUIDO ARBIZZONI, ‘Un nodo di parole e cose’. Storia e
fortuna delle imprese, Roma, Salerno, 2002, pp. 37-57; MAIKO FAVARO, Sulla concezione del-
l’impresa in Scipione Ammirato, «Italianistica», XXXVIII (2009), 2, pp. 285-298.
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44 Cfr. almeno KRISTEN LIPPINCOTT, “Un Gran Pelago”. The Impresa and the Me-
dal Reverse in Fifteenth-Century Italy, in Perspectives on the Renaissance Medal, a cura di
STEPHEN K. SCHER, New York, Garland, 2000, pp. 75-96.
45 Si sono consultati: GEORGE FRANCIS HILL, A Corpus of Italian Medals of the Re-
naissance before Cellini, London, British Museum Publications, 1930; ID., Medals of the
Renaissance, revised and enlarged by GRAHAM POLLARD, London, British Museum Pu-
blications, 1978; Monete e medaglie di Mantova e dei Gonzaga dal XII al XIX secolo. Stem-
mi imprese e motti gonzagheschi, a cura di GIANCARLO MALACARNE e RODOLFO SI-
GNORINI, Milano, Electa, 1996; GIUSEPPE TODERI-FIORENZA VANNEL, Le medaglie ita-
liane del XVI secolo, Firenze, Edizioni Polistampa, 1994, 5 voll.; PHILIP ATTWOOD, Ita-
lian Medals c. 1530-1600 in the British Collection, London, The British Museum Press,
2003.
46 TODERI-VANNEL, Le medaglie italiane del XVI secolo, cit., vol. I, p. 66, n. 115.
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47 TODERI-VANNEL, Le medaglie italiane del XVI secolo, cit., vol. II, p. 782, n. 2439.
48 Cfr. GIOVANNI FERRO, Teatro d’imprese, Venezia, Sarzina, 1623, p. 284: «Il Ro-
vescio è inseparabile dalla medaglia, così s’addimanda per istare a dietro dell’Imagine
di colui, i cui fatti e le cui azioni si sogliono per memoria del Rovescio dipingere».
49 Ad esempio, il Dialogo di Domenichi muove proprio dalla visione di una me-
daglia che portava nel recto il ritratto di Domenichi stesso e nel verso un’impresa, se-
condo una pratica assai comune fra i letterati dell’epoca: «Sogliono gli huomini litte-
rati anchora far delle Imprese, massimamente ne’ rovesci delle medaglie, per esprime-
re i concetti de gli animi loro» (LODOVICO DOMENICHI, Dialogo delle imprese,Venezia,
Giolito, 1562, p. 16).
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55 ELENA STRADA, “Suggelli ingegnosi”. Per un avvio d’indagine sullo ‘stile sentenzio-
so’ del Petrarca, «Atti e memorie dell’Accademia galileiana di scienze lettere ed arti in
Padova», CXV (2002-2003), parte III, pp. 371-401, cit. a p. 377. A questo proposito già
Mario Praz ricordava che «un altro impulso alla diffusione degli emblemi venne dalla
cristallizzazione della morale degli antichi in quelle sillogi di proverbi e di massime
(specialmente i Distici morali di Catone, gli Adagia di Erasmo, l’Antologia di Stobeo) che
godettero tanta voga nel Cinquecento» (PRAZ, Studi sul concettismo, cit., pp. 19-20).
56 Cfr. RUSSELL, Emblematic Structures in Renaissance French Culture, cit., p. 166:
«[...] the world of emblem is a world of allegorical fragments; it is a landscape clut-
tered with a debris of a collision of sign systems. Lacking the narrative framework of
a complete allegory, the structure of the early emblem picture provides no context to
guide the viewer’s understanding of the signs before him. The sense of the sign is then
initially polysemous because of its tacitly acknowledged place in more than one sign
system. So its intended meaning remains undecidable without some interpretative
text, and the picture, or even the surrounding emblems in the collection, generally
provide nothing to indicate within which sign system it should be considered».
57 Si veda ROSENTHAL, Donner à voir, cit., pp. 183-184: «Le texte de poésie pré-
sente ainsi au lecteur une composition, c’est-à-dire un ensemble composite pour le-
quel il faut, non seulement traverser le texte, mais s’arrêter dans cet espace segmenté
qui se présente comme une série, une galerie d’images à regarder. La vogue des devi-
ses (et dans une moindre mesure sans doute celle des emblèmes) vient confirmer cet-
te hypothèse (penser par images) et vient travailler le texte de poésie. Mais, penser les
images savantes comme des modèles pour l’expression poétique, ce n’est pas dire seu-
lement que la poésie se pense comme une expression figurée, comme une image, c’e-
st préciser encore la nature de cette image. L’image n’est pas un ensemble de figurants
immobiles et immutables qui nous regardent pour indiquer une vérité fixe et intan-
gible, elle est toujours cet espace en mouvement, qui tremble, se fissure, dans lequel
s’insinue le doute et l’inquiétude, et plus précisemént un doute et une inquiétude sur
le personnes (les lecteurs, les créateurs, les personnages représentés). Ce tremblement
de l’image définit son mode d’apparition. [...] Il n’y a pas d’image unitaire, il n’y a que
des images an morceaux, des images composites».
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ste ciò che in psicanalisi si designa come situazione feticistica. Per cui il feticcio non
è altro che uno dei termini di una struttura opposizionale che vede, all’altro estremo,
un termine del manque (di sottrazione di essere). È il simulacro di una pienezza par-
ziale, contrapposto al manque che segna una totalità, contrapposto a una totalità man-
cante di una qualche sua parte. Come ricorda Freud nel saggio sul feticismo: “Il fetic-
cio è un monumento alla memoria: alla memoria di questa parte assente, di cui il si-
mulacro restaura la presenza”».
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3 Il primo capitolo si distingue dai seguenti anche per morfologia artistica: «Nei
suoi Trionfi Petrarca rappresenta solo il primo trionfo come un trionfo antico. Gli altri
trionfi seguono ancora l’idea medievale della Psychomachia di Prudenzio, che implica la
vittoria di un’allegoria sull’altra. Questo è molto evidente nel secondo trionfo, in cui
la Pudicizia e il dio Amore combattono, e alla fine Pudicizia ne esce trionfante. [...] Il
dio Amore forma l’inizio di una serie, cioè è l’unica personificazione che, in base alla
composizione dell’opera letteraria, trionfa solo per se stessa. In quanto primo, ha biso-
gno di un attributo che lo fa diventare un trionfante: il carro antico. La conseguenza è
che i Trionfi del Petrarca implicano due significati della parola trionfo: uno antico e uno
medioevale» [ALEXANDRA ORTNER, I Trionfi del Petrarca: origine e sviluppo del tema nel-
l’arte fiorentina, «Rivista di storia della miniatura», IV (1999), pp. 81-96, cit. a p. 82].
4 Di questo scarto della visio trionfale verso un maggior investimento soggettivo
dell’io poetante rende conto CARLO VECCE, La “lunga pictura”: visione e rappresentazio-
ne nei Trionfi, in I Triumphi di Francesco Petrarca, cit., pp. 299-315, in part. pp. 307-308:
«L’ingresso di Laura nella storia non poteva essere marcato dal semplice “vidi”, che l’a-
vrebbe collocata sullo stesso piano prospettico delle altre figure: il suo corpo e la sua
anima si pongono “dallato”, in contiguità con il corpo e l’anima dell’amante, così co-
me “dallato” erano apparse le amanti accanto ai loro eroi. Da quel momento la loro
vicenda è strettamente congiunta: e Petrarca fa parte della stessa schiera che descrive,
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e partecipa dello stesso fatale andare. Non c’è forza per vedere altro, in questo capito-
lo (“Gli occhi dal suo bel viso non torcea, | come uom ch’è infermo”, vv. 106-107).
Il verbo che marca in anafora il finale del canto non è il “vedere”, ma la suprema con-
sapevolezza del “so”».
5 Cfr. l’Introduzione di Marco Ariani a Triumphus Cupidinis III, in FRANCESCO PE-
TRARCA, Triumphi, a cura di MARCO ARIANI, Milano, Mursia, 1988, p. 133: «Alla ca-
denza dell’elenco succede una scansione ancora esemplaristica, la segnatura minuzio-
sa, ossessiva, della scienza amorosa e dei suoi fenomeni paradossali, identificati nei lo-
ro figuranti oggettuali, sintomatici della fluctuatio degli “stati” e dei tempi, secondo uno
speciale andamento espositivo che conferma, per l’ennesima volta, la natura ostensiva
e sommatoria dei T.».
6 MARCO ARIANI, Introduzione, in PETRARCA, Triumphi, cit., p. 36.
7 Ibidem, p. 49.
8 Ibidem, p. 40.
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11 ARIANI, Introduzione, cit., pp. 16-17: «Del resto, è sintomatico che nonostante
l’impressionante compattezza e congruenza dell’esempio dantesco e l’immane sforzo
petrarchesco di adeguarvi una vena più portata alla “rima sparsa” che al continuum di
un grande organismo poematico, i Trionfi manchino proprio in quel costruttivismo a
cui più ansiosamente Petrarca puntava, per stare almeno alla pari di cotanto maestro
volgare [...]. Ma forse nessuno dei suoi testi si presenta così drammaticamente irrisol-
to come i Trionfi: è la sola, altra opera volgare accanto al Canzoniere, ma, incompiuta,
deve subire il confronto proprio con l’imperfettibilità di un’opera circolarmente
adempiuta, nonostante sia fatta solo di “rime sparse”».
12 Ibidem, p. 38.
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14 Cfr. OTTO VAN VEEN, Amoris Divini Emblemata, Antwerp, Nutl & Morsl, 1615,
p. 30: «Cum Dei Amore, amans anima de palma decertat. Bonum certamen certavi,
cursum consummavi, fidem servavi: in reliquo reposita est mihi corona iustitiae; non
solum autem mihi, sed & iis qui diligunt adventum eius». Su questa raccolta emble-
matica si vedano: ANNE BUSCHHOFF, Die Liebesemblematik des Otto van Veen. Die
Amourm Emblemata (1608) und die Amoris Divini Emblemata (1615), Bremen,
Hauschild, 2004; PETER BOOT, A Mirror to the Eyes of the Mind. Metaphor in Otto van
Veen’s Amoris Divini Emblemata, in Emblemata sacra. Rhétorique et herméneutique du dis-
cours sacré dans la littérature en images / The Rhetoric and Hermeneutics of Illustrated Sacred
Discourse. Actes du colloque international de l’Université Catholique de Louvain (27-
29 janvier 2005), a cura di RALPH DEKONINCK e AGNES GUIDERDONI-BRUSLÉ, Bre-
pols, Turnhout, 2007, pp. 291-303.
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15 Cfr. DENNIS DUTSCHKE, Triumphus Cupidinis III (“Era sì pieno il cor di meravi-
glie”), «Atti e memorie dell’accademia patavina di scienze, lettere ed arti», CIV (1991),
3, pp. 257-298, e in part. a p. 272, dove lo studioso conclude: «Il culmine è costituito
da un riepilogo, che parte dalla ripresentazione della figura e della forza di Amore (vv.
175-177), seguìta da un concentrato e progressivo susseguirsi degli effetti dell’amore
per gli amanti in generale e per il Petrarca in particolare, un amore che finisce fatal-
mente (ogni verso è introdotto dalla congiunzione e) in brevissimo riso e lunghi pianti,
per cui il poeta chiude con la riflessione filosofica “e qual è ’l mel temprato coll’as-
sentio”».
16 ARIANI, Introduzione, cit., p. 12.
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17 Ibidem, p. 19.
18 Ibidem, p. 73.
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19 Cfr. PAOLO CHERCHI, Verso la chiusura. Saggio sul “Canzoniere” di Petrarca, Bo-
logna, Il Mulino, 2008, in part. p. 64: «Ecco dunque, l’immagine del prato dove pare
che gli amici, come tutti gli uomini, si siano smarriti. La constatazione è a prima vi-
sta sorprendente perché una lunga tradizione associa lo smarrimento al bosco, alla fo-
resta, alla selva, dove cavalieri e peccatori in genere perdono la diritta via. Però nel pra-
to e non nel bosco late il serpente, emblema archetipico delle tentazioni mondane fin
da quando apparve tra le erbe del Paradiso terrestre; e per questo nel prato, nella pie-
na dolcezza dei beni terreni, ci si smarrisce senza averne la consapevolezza e quindi
senza erigere alcuna difesa. [...] Nel prato, invece, tutto sembra ovvio, chiaro, facil-
mente accessibile e senza pericolo: anche per questo la foresta favorisce la conoscen-
za delle proprie risorse morali (il coraggio e la giustizia nella lotta contro eventuali in-
giustizie) mentre la pianura e la dolcezza del prato assopiscono i sensi lusingandoli; e
poiché il prato non presenta alcuna sfida, esso può creare l’illusione di contenere il be-
ne più alto».
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20 LAMBERTO DONATI, L’influenza petrarchesca nella grafica del libro, «La Bibliofilia»,
LXXV (1973), 3, pp. 283-292, cit. a p. 285.
21 Sull’incunabolo queriniano (di cui nel 1995 è stata realizzata una riproduzio-
ne anastatica a cura di Ennio Sandal per l’editore Grafo di Brescia) si vedano: GIU-
SEPPE FRASSO, GIORDANA MARIANI CANOVA, ENNIO SANDAL, Illustrazione libraria, filo-
logia e esegesi petrarchesca tra Quattrocento e Cinquecento. Antonio Grifo e l’incunabolo Que-
riniano, Padova, Antenore, 1990; PIETRO GIBELLINI, Il Petrarca per immagini del Dilettan-
te Queriniano, «Annali Queriniani», I (2000), pp. 41-62; GIOVANNA ZAGANELLI, La sto-
ria del Petrarca e la favola del Grifo. Costruzioni narrative, «Annali Queriniani», III (2002),
pp. 85-129; FABIO COSSUTTA, Tra iconologia ed esegesi petrarchesca. Note sulla Laura Que-
riniana, «Humanitas», LIX (2004), 1, pp. 66-82.
22 Cfr. GIOVANNA ZAGANELLI, Narrare per immagini: il caso del Petrarca illustrato da
Antonio Grifo, «Atti e Memorie della Accademia Petrarca di Lettere, Arti e Scienze»,
n.s., LXVII-LXVIII (2005-2006), pp. 275-287.
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25 Ibidem, p. 134.
26 Così recita infatti la didascalia di commento all’immagine simbolica: «La sopra
depinta medaglia servirebbe a uno che volesse mutuamente far conoscere a la sua in-
namorata ch’egli conosce a più presso la perfidia del suo cuore, anchor ch’ella gli fac-
cia buona cera e gli mostra d’amarlo, servendosi d’un verso del Petrarca qua sopra
scritto».
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31 FERNANDO FIGURELLI, Note su dieci rime del Petrarca (nn. 14, 18, 22-24, 28, 29,
35, 37 e 39 del “Canzoniere”), «Studi petrarcheschi»,VI (1956), pp. 201-221, cit. a p. 203.
32 Cfr. ad esempio GABRIELE SIMEONI, Imprese eroiche et morali, Lyon, Guglielmo
Rouillio, 1574, pp. 186-187: «Un gentil’huomo amico mio mi ricercò di ritrovargli un’im-
presa d’amore, ond’io gli feci disegnare una farfalla intorno a una candela accesa con que-
ste parole, COSÌ TROPPO PIACER CONDVCE A MORTE, seguendo la natura di così semplice
animale, che i Greci dall’amar naturalmente il fuoco han chiamato pujauz, avvertendo che
’l senso di questa impresa può essere inteso doppiamente, conciò sia che appropriandolo
al corpo, ei non è dubbio alcuno (secondo Platone) che uno innamorato è morto in se
stesso, vivendo il suo pensiero (che è la propria vita dell’anima) intorno alla cosa amata.
Onde il detto filosofo soleva dire quand’ei trovava un innamorato, COLVI VIVE IN VN ALTRO
CORPO. Ma attribuendo moralmente questo amore all’anima, egli è certissimo che men-
tre che l’huom si diletta intorno a una bellezza corporale (figurata qui da me per lo splen-
dore della candela) dimenticando bene spesso il Creator per la creatura, e cadendo in qual-
che scandolo, vengono finalmente a perdere il corpo e l’anima. Il che accade ordinaria-
mente a certi ricchi sciocchi innamorati, che volendo parlar di amore non sanno in qual
parte del corpo eglino s’abbian la testa». Su questo motivo topico della produzione em-
blematico-impresistica si veda ARI WESSELING, Devices, Proverbs, Emblems. Hadrianus Junius’
Emblemata in the Light of Erasmus’ Adagia, in ‘Con parola brieve e con figura’. Emblemi e im-
prese fra antico e moderno, Atti del Convegno di Pisa (9-11 dicembre 2004), a cura di LINA
BOLZONI e SILVIA VOLTERRANI, Pisa, Edizioni della Normale, 2008, pp. 87-134.
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ing amid the flames of his passion); the hooked fish (the lover); the sun (the beloved);
so concrete in fact that they could later form the basis of love emblems, wich ex-
ploited them pictorially, and could be codified into dictionaries of epithets and pe-
riphrases [...]».
35 MARIO PRAZ, Studi sul concettismo, Firenze, Sansoni, 1946, p. 146.
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36 Cfr. CLARA ALBANI LIBERALI, Una tarsia del coro di S. Maria Maggiore a Bergamo:
il tema della fortuna e Lorenzo Lotto, «Artibus et Historiae», II (1981), 3, pp. 77-83; e
FRANCESCA CORTESI BOSCO, Il coro intarsiato di Lotto e Capoferri per Santa Maria Mag-
giore in Bergamo, Bergamo, Ed. Amilcare Pizzi, 1987.
37 CORTESI BOSCO, Il coro intarsiato di Lotto e Capoferri, cit., p. 422.
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Fig. 6. Bergamo, Santa Maria Maggiore, LORENZO LOTTO, Tarsia del coro: Absalon,
Cusai e Achitonfel in consiglio (coperto simbolico).
38 Ibidem, p. 423.
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39 Cfr. DIANA GALIS, Concealed Wisdom. Renaissance Hieroglyphic and Lorenzo Lot-
to’s Bergamo Intarsie, «The Art Bulletin», LXII (1980), 3, pp. 363-375, in part. p. 375:
«All of Lotto’s designs for coperti conceal yet reveal “sacred wisdom”. [...] They are sen-
tential and didactic, and their lessons have universal application, being the lessons of
history, philosophy, and theology. In particular, the lessons are those of biblical history
and of moral and theological commentary on it. The coperti are therefore functionally
hieroglyphic». Un caso morfologicamente e funzionalmente analogo è rappresentato
dal coro della basilica di Santa Giustina a Padova, per cui si rinvia ad ANDREA TOR-
RE, Forme e funzioni dell’immagine di memoria nel Cinquecento: due casi, «Intersezioni»,
XXIX (2009), 1, pp. 47-68.
40 CORTESI BOSCO, Il coro intarsiato di Lotto e Capoferri, cit., p. 422.
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tempo e da l’età men fresca» (RVF 55, 2), rischiando così di ca-
dere in un «secondo error» più grave nei suoi presupposti (per-
ché recidiva di un traviamento ben consapevole: «sia peggio»)
e più devastante nei suoi effetti (v. 10: «non pur qual fu, ma pa-
re a me che cresca») di quel «primo giovenile» (RVF 1, 3) da
cui scaturisce l’intero romanzo lirico.
Come ci conferma anche il breve testo di commento, l’il-
lustrazione del manoscritto di Baltimore coglie il nucleo con-
cettuale del componimento e lo esprime con icastica sintesi,
raffigurando un uomo seduto che ha invano tentato di spe-
gnere un focolare gettandovi sopra una pietra (tav. 5):
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44 Cfr. ARNALDO BRUNI, Petrarca dalla frequentazione al rifiuto del mito (RVF 51-
60), in Il Canzoniere. Lettura micro e macrotestuale, a cura di MICHELANGELO PICONE, Ra-
venna, Longo, 2007, pp. 141-160, in part. p. 147: «La contiguità rispetto a 54 eviden-
zia il carattere drammatico della ricaduta, esaltando l’andamento imprevedibile e mi-
sterioso dell’evento. La vischiosità del processo drena nel distico finale a rima baciata,
per giunta inclusiva, che affida al bisticcio di rimanti in rotta di collisione semantica
l’andamento avvolgente dell’interferenza».
45 PRAZ, Studi sul concettismo, cit., pp. 106-110.
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48 Un’analisi della morfologia della fabula di Adone vòlta a far emergere, per ogni
variazione (testuale e iconica), le specifiche strategie autoriali che concorrono alla ri-
definizione del personaggio mitologico come moderna figura di anti-eroe è proposta
in Variazioni su Adone. I. Favole lettere idilli (1532-1623), a cura di ANDREA TORRE,
Lucca, Maria Pacini Fazzi, 2009.
49 EMANUELE TESAURO, Il Memoriale, in ID., Panegirici et Ragionamenti,Venezia, G.F.
Valvasense, 1671, III, pp. 333-360, cit. a p. 355. Su questo testo e più in generale sulla
metaforica memoriale delle stigmate mi permetto di rinviare ad ANDREA TORRE, «Ri-
mirandolo coll’occhialino». Piaga, straforo, protratto, «Testo. Studi di teoria e storia della let-
teratura e della critica», LVIII (2009), pp. 35-56.
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53 Plato latinus II. Phaedo interprete Henrico Aristippo, 67c-d, a cura di LORENZO
MINIO-PALUELLO, London, The Warburg Institute, 1950, p. 18: «Mundificacio esse igi-
tur numquid non hoc contingit, quod dudum in sermone dicitur, separare quam
maxime a corpore animam et assuefacere ipsam secundum se ipsam ab undique ex
corpore colligique et coartari, et habitare iuxta quod possibile et in nunc presenti et
in deinceps solam secundum se ipsam, absolutam tamquam vinculis a corpore» [«Di
conseguenza la purificazione, come da tempo diciamo nel nostro discorso, non con-
siste nel separare il più possibile l’anima dal corpo e nell’abituarla a raccogliersi e a
concentrarsi sola in se stessa, a prescindere da ogni parte del corpo, e a dimorare, per
quanto è possibile, in presente e in futuro, sola in se stessa, quasi sciolta dalle catene del
corpo?»].
54 Phaedo interprete Henrico Aristippo, cit., 67d, p. 18: «Solvere vero ipsam, ut di-
cimus, affectant semper precipue et soli philosophantes recte, et meditacio ipsum
hoc est philosophorum, solucio et separacio anime a corpore; necne?» [«Ma scio-
glierla, come dicemmo, desiderano sempre e soltanto quelli che filosofano retta-
mente: questo è l’esercizio proprio dei filosofi, lo scioglimento e la separazione del-
l’anima dal corpo; o no?»].
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57 PETRARCA, Secretum, I, cit., pp. 118-120: «A. Quanto saranno dunque rari
quelli che saranno riusciti a spegnere tutti quei cattivi desideri: che non dico a spe-
gnerli, ma pur solo a numerarli sarebbe lungo! E quelli che avranno messo il loro
cuore sotto il freno della ragione! E quelli che potranno dire: “non ho più niente da
spartire con il corpo, ciò che si vede è solo marciume: aspiro a cose più belle!” [...]
È fatale, infatti, che l’animo quanto più si eleva al cielo per la sua propria nobiltà,
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tanto più sia gravato dal peso del corpo e dalle lusinghe terrene: così, mentre ora vo-
lete salire e ora volete restare in basso, tirati di qua e di là non riuscite a fare né una
cosa né l’altra. [...] A questa meta porta senza dubbio quella meditazione che ho ri-
cordato sin da principio, il pensiero continuo che dovrete morire». Cfr. a proposito
ZINTZEN, Il platonismo del Petrarca, cit., p. 107: «Che la filosofia sia distacco dal cor-
po, riflessione ascetica della morte, è idea che non proviene a Petrarca direttamente
dal Fedone; egli l’ha letta nelle Tusculanae di Cicerone e l’ha messa in bocca al suo
interlocutore Agostino. L’immagine del Fedro, che l’anima sia tirata in basso dal cor-
po, deve essere stata radicata nella tradizione medievale, così come il pensiero del-
l’ascesa dell’anima “propria nobilitate” gli è stato sicuramente trasmesso da Agosti-
no, che con ciò aveva fatto proprio un pensiero neoplatonico. Questo primo esem-
pio mostra come Petrarca, pur senza conoscere direttamente Platone, si colleghi tut-
tavia consapevolmente ad una tradizione che fa del pensiero platonico l’impalcatu-
ra fondamentale del proprio filosofare».
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58 Phaedo interprete Henrico Aristippo, 75d-e, cit., p. 30: «[...] il sapere, infatti, è con-
servare la scienza di qualcosa, dopo averla acquistata, e non perderla. Non chiamiamo
oblio, Simmia, la perdita di scienza? [...] Se invece, avendola acquistata prima di na-
scere, appena nati la perdiamo, ma poi, servendoci delle sensazioni, riacquistiamo quel-
le conoscenze di esse che un tempo e prima avevamo, ciò che chiamiamo apprende-
re non è riacquistare una scienza che già ci appartiene? E non è giusto chiamarlo re-
miniscenza?».
59 Phaedo interprete Henrico Aristippo, 81b, cit., p. 38. Nel manoscritto Par. lat. 6567
A, a margine di tale passo (f. 14v), compare la postilla, di probabile autografia petrar-
chesca, «De a[n]i[m]a im[mun]da».
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60 PETRARCA, Secretum, II, cit., p. 170: «A. [...] La celeste dottrina di Platone
non c’insegna altro che questo: l’anima deve essere tenuta lontana dalle voluttà del cor-
po e le immagini di queste vanno da essa erase, sì che possa salire pura e libera alla con-
templazione dei misteri della divinità, cui è legato il pensiero della propria mortalità. Sai
di che parlo: queste cose ti sono diventate familiari dai libri di Platone, sui quali
si dice che tu da qualche tempo ti sia concentrato. F. È vero, mi ci ero applicato
con alacre speranza e gran desiderio, ma la novità della lingua straniera e l’antici-
pata partenza del mio maestro hanno interrotto il mio proposito. Ma mi richiami
a teorie che conosco benissimo, sia dai tuoi scritti che da quello che ne dicono al-
tri platonici» (corsivi miei).
61 ZINTZEN, Il platonismo del Petrarca, cit., p. 98: «E, come gli scritti di Platone, mu-
ta rimase per Petrarca la letteratura greca; egli poté conoscerla solo in traduzioni e at-
traverso gli autori latini. Eppure è strano che nemmeno una volta Petrarca abbia trat-
to excerpta dalle traduzioni e che non ne abbia mai citato pezzi di una certa lunghez-
za. Ciò si spiega con il suo fondamentale atteggiamento nei confronti degli antichi au-
tori: li usa a consolidamento della sua visione del mondo essenzialmente cristiana,
piuttosto che per reali interessi filosofici. Tutto sommato il numero degli scritti plato-
nici noti si rivela più consistente di quelli realmente utilizzati, e Petrarca è sempre di-
peso dagli intermediari latini».
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margini del codice Par. lat. 2201 Petrarca evidenzia con la po-
stilla «Nota»:
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DE LAQUEO VENANTIUM
dispiego delle arma Cupidinis: cfr. RVF 72, 16-21; 86, 5-6;
105, 63) e con la seconda dominata invece da una correzio-
ne dell’immagine in senso spirituale, correzione funzionale
alla strutturazione di una storia di redenzione morale. In que-
sta accezione, il carcere torna ad essere quasi esclusivamente
quello che imprigiona l’anima; si vedano RVF 264, 7-8; 266,
9-11; 364, 12-14; ma soprattutto il passaggio iniziale del frag-
mentum 278 che potremmo cogliere come un’efficace dida-
scalia della nostra immagine: «Ne l’età sua piú bella e piú fio-
rita, | quando aver suol Amor in noi piú forza, | lasciando in
terra la terrena scorza, | è l’aura mia vital da me partita, | e
viva e bella e nuda al ciel salita»:
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Tav. 7
65 Cfr. GUIDO CAPOVILLA, I madrigali (LI, LIV, CVI, CXXI), «Atti e memorie del-
l’Accademia Patavina di scienze lettere ed arti», XCV (1982-1983), parte III, pp. 449-
484, p. 479: «Il madrigale LII, del resto, risulta essere il più compromesso dei quattro
con i requisiti del “genere” se, oltre all’impiego di una chiusa ad effetto (la percezio-
ne simultanea di ardore e gelo, frequente ossimoro sensoriale che trova esso pure la
prima occorrenza nel madrigale), vengono anche coniugati i due motivi della “ba-
gnante” e della “pastorella”, che rientrano senza dubbio fra le risoluzioni tematico-de-
scrittive più care alla madrigalistica settentrionale».
66 Per considerazioni generali sull’intertestualità dei madrigali all’interno del
Canzoniere cfr. sempre CAPOVILLA, I madrigali, cit., p. 477: «Ritorni di scrittura come
quelli sin qui osservati possono, beninteso, identificarsi con le peculiarità stesse del lin-
guaggio poetico petrarchesco, fatto esso com’è di segni densi e allusivi, di emblemi
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verbali ricorrenti, ossessivi, tali da creare agli occhi del lettore serie illimitate – e, ap-
punto, disorientanti, labirintiche – di rifrazioni lessicali e stilematiche, di tensioni te-
matiche e simbologiche. Eppure si sarà constatato come i quattro testi in esame in-
staurino una lista di rimandi “forti” non tanto con la massa dei sonetti, quanto con le
canzoni tra le più rilevanti, con una sestina, e con taluni passaggi dei Trionfi. Non sarà
allora un rapporto in certo senso privilegiato quello che i quattro fragmenta intratten-
gono col resto del liber? Non sarà cioè il sistematico rifluire, entro organismi istituzio-
nalmente più espansi ed impegnativi, di spunti tematico-formali in precedenza affida-
ti ad un modulo squisitamente “leggero” e breve? [...] Del resto a spiegare siffatte dif-
fuse parentele con testi di rango superiore contribuisce indirettamente la stessa volontà
di valorizzazione che si riconosce dietro l’ubicazione dei quattro pezzi: i primi due
oppositivamente correlati, sulla base della polarità peccato/redenzione che impronta
di sé l’intera materia del liber; e il CVI, col CXXI, a diretto preludio di sonetti d’an-
niversario, come per esaltare la fissità della situazione sentimentale di partenza».
67 CLAUDE F. MENESTRIER, L’art des emblemes, Paris, R. J. B. de la Caille, 1684, pp.
5-6. Sul fragmentum 23 si vedano almeno: BORTOLO MARTINELLI, Petrarca e il ventoso,
Bergamo, Minerva Italica, 1977, pp. 19-102; PIERRE BLANC, Une réécriture égotiste de la
mythologie: Pétrarque et la chanson des métamorphoses, «Cahiers d’Etudes Romanes», XIII
(1988), pp. 145-162; DENNIS DUTSCHKE, Francesco Petrarca Canzone XXIII from first to
final version, Ravenna, Longo, 1997; MARC FÖCKING, Petrarcas “Metamorphoses”: Philo-
logie versus Allegorische Verwendung in ‘Canzone 23’, «Germanisch-romanische Monats-
schrift», L (2000), pp. 271-297.
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68 Cfr. LUIGI VANOSSI, Petrarca e il mito di Atteone, «Romanische Zeitschrift für Li-
teraturgeschichte», X (1986), 1-2, pp. 3-20, in part. p. 3: «Nella struttura del Canzonie-
re il mito riveste una funzione fondamentale: allontanamento dell’esperienza autobio-
grafica in una sfera di verità intemporale, prodigiosa comunicazione tra la vicenda im-
memoriale antica e la profondità dell’esperienza lirica. Proprio il trasferimento del mi-
to dall’originaria sfera epico-narrativa a quella lirica del divenire del soggetto appare
come uno dei fatti più rivoluzionari del linguaggio petrarchesco, come una scintilla
prodigiosa da cui si produce un duplice effetto di rigenerazione. Da un lato la lirica
ne risulta mirabilmente potenziata, sollevata in una sfera di significazioni e implica-
zioni esistenziali e antropologiche nuove, con ostensione e assolutizzazione del senso
rispetto alle metafore tradizionali dell’amore cortese e stilnovistico. Dall’altro il mito
subisce a sua volta una vitalizzazione, trasferito sul versante della soggettività, dell’io li-
rico, investito delle energie profonde del soggetto».
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69 Cfr. CAPOVILLA, I madrigali, cit., p. 455: «È inoltre da rilevare come tale stabi-
lizzazione tematica si accompagni a non meno specifiche modalità di organizzazione
del contenuto, per cui il procedere accelerato ed ellittico che è tipico del genere ten-
de a giovarsi della lineare semplicità di una tripartita struttura strofica, a fare tutt’uno
con l’istituzionale morfologia del metro, distribuendo l’introduzione e il suo sviluppo
narrativo o argomentativo sui terzetti (solitamente due), e riservando al cosiddetto ri-
tornello (per lo più in forma di distico a rima baciata) la pointe finale che, fatta di un
rapido aforisma, di una formula d’omaggio, di un ammiccamento ecc., fonda quel gu-
sto per la conclusione concettosa e rilevata, per la sigla arguta e brillante, che finirà per
costituire il solo e proverbiale contrassegno degli omonimi prodotti cinquecenteschi».
70 Peraltro l’acqua non è un elemento secondario, tanto per la storia generale
quanto per il singolo concettismo, poiché è la causa del gelo, di quel sintomo fisiolo-
gico che accomuna l’amata-causa della passione e l’amante-oggetto della passione. La
prima trema per il freddo dell’acqua; il secondo, ossimoricamente, per l’intensità del
fuoco amoroso.
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72 VITTORE BRANCA, Il narrar boccacciano per immagini dal tardo gotico al primo Ri-
nascimento, in Boccaccio visualizzato. Narrare per parole e per immagini fra Medioevo e Rina-
scimento, a cura di VITTORE BRANCA, Torino, Einaudi 1993, vol. I, pp. 3-37, cit. a p. 5;
ma sulla struttura compositiva delle illustrazioni si veda anche p. 8: «Le trasposizioni
dell’oggetto dal registro verbale a quello figurativo tendono però qui, secondo la poe-
tica della narrativa boccacciana giovanile, a fissare l’attenzione non tanto sull’uomo
quanto sull’azione, non tanto sulla caratterizzazione, si può dire esclusiva, della perso-
na (come sarà vent’anni dopo nell’autografo) quanto sulla narrazione, con un’ispira-
zione e una impostazione a sequenza analoga a quelle che saranno dei cassoni e delle
predelle e delle spalliere. Sono sequenze fitte ma fluide, che si basano su poche azioni
chiave con un’efficace sintesi visiva della narrazione e delle sue articolazioni, con un
deciso valore interpretativo».
73 Si veda a proposito, anche per più diffusi rinvii bibliografici, HELENA K. SZÉPE,
Desire in the Printed Dream of Poliphilo, «Art History», XIX (1996), 3 pp. 379-392, in
part. p. 386: «Giorgione may or may not have culled the motif of the sleeping nude
from the Poliphilo woodcuts. Perhaps more important than the appropriation of an iso-
lated motif is the unresolved suggestiveness of that image, as if a meditation on the re-
lationship of vision to desire, that also informs the Poliphilo as a whole. Furthermore,
Giorgione adapted the dream setting as a stimulus to identify erotic desire with long-
ing for an arcadian dream world».
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75 Cfr. ENRICO M. DAL POZZOLO, “Laura tra Polia e Berenice” di Lorenzo Lotto,
«Artibus et Historiae», XIII (1992), 25, pp. 103-127, in part. p. 111: «Da esse [le radio-
grafie della tavola] emerge che in un primo momento egli concepì la donna con il cor-
po più inclinato e con lo sguardo rivolto direttamente all’amorino. Poi invece la im-
maginò nell’atto di cogliere con il drappo i petali che scendevano dall’alto, in modo
non difforme dalla miniatura appena vista. Alla fine si decise ad atteggiarla in manie-
ra più composta ed elegante, più aderente forse, ad altre immagini che aveva innanzi».
Si veda anche la scheda di MARGARET BINOTTO in Lorenzo Lotto, Catalogo della mo-
stra di Roma (2 marzo - 12 giugno 2011), a cura di GIOVANNI CARLO FEDERICO VIL-
LA, Milano, Silvana Editoriale, 2011, pp. 266-269.
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Fig. 15. FRANCESCO PETRARCA, Canzoniere, Venezia, Vindelin da Spira, 1470, c. 22r.
Brescia, Biblioteca Queriniana, Inc. G.V.15.
76 Cfr. GIACOMO FILIPPO TOMASINI, Petrarcha Redivivus, Padova, Pasquati & Bor-
toli, 1635, p. 152.
77 COSSUTTA, Tra iconologia ed esegesi petrarchesca, cit., p. 67: «E, per cominciare, va
affrontato l’apparente viluppo delle sembianze “cangianti” di Madonna Laura, nel sen-
so che da c. 2r a c. 114v ci sembra, a una disamina semplice, neppur frettolosa, di in-
contrare almeno un paio (se basta) di fattezze femminili alquanto diverse tra loro, qua-
si che il ritrattista avesse cambiato modella, oppure che avesse lavorato di fantasia pri-
vilegiando i vestiari, oppure: che avesse in mente una continua metamorfosi, in linea
per altro con tanti luoghi della poesia petrarchesca?».
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Fig. 16. FRANCESCO PETRARCA, Canzoniere, Venezia, Vindelin da Spira, 1470, c. 9v.
Brescia, Biblioteca Queriniana, Inc. G.V.15.
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Fig. 18. FRANCESCO PETRARCA, Canzoniere, Venezia, Vindelin da Spira, 1470, c. 45v.
Brescia, Biblioteca Queriniana, Inc. G.V.15.
78 CAPOVILLA, I madrigali, cit., p. 474: «Sono ricorsi la cui compresenza non sem-
bra davvero liquidabile come semplice “effetto” dovuto all’elevato grado di omoge-
neità e stilizzazione proprio del dettato petrarchesco. Piuttosto, la loro concentrazione
fa pensare ad un particolare atteggiarsi del processo compositivo: una sorta di inerzia
metrico-semantica conseguente all’intensità del recupero immaginativo iniziale. Un
saggio di adesione al genere, esile e stilizzato, del madrigale risulta dunque tra i ne-
cessari presupposti di una cantio extensa in cui il gusto trecentesco per i soggetti idilli-
co-epifanici e per le ambientazioni naturalistiche tocca un vertice storico, pervenen-
do alla versione più rarefatta, e più prossima alla sensibilità romantico-moderna, che
di quel motivo topico abbia fornito il medioevo romanzo».
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79 COSSUTTA, Tra iconologia ed esegesi petrarchesca, cit., p. 66, e si veda anche a p. 75:
«Così, ogniqualvolta se ne presenti l’opportunità, il Ritrattista non manca di integra-
re la prima traduzione visiva dei versi con il sottil senso profondo, che si ricava dal re-
cupero e dalla rilettura dei particolari, per agire con sicurezza sui quali occorre avere
bene in testa l’intero corpus poetico volgare». Già in un suo precedente intervento Cos-
sutta aveva sottolineato che «le miniature sono concepite e strutturate in modo da le-
gare liriche e versi il più possibile, tanto all’interno del Canzoniere quanto nel rappor-
to tra Rime e Trionfi» (COSSUTTA, Il Maestro Queriniano interprete di Petrarca, cit., p. 447).
80 L’illustratore sembra dunque aver pienamente còlto l’intenzione autoriale che,
come ci conferma Laura Paolino, si è andata rafforzando durante l’opera di colloca-
zione degli sparsa fragmenta all’interno del liber: «In una precedente redazione del ma-
drigale questi versi, che descrivono la “pastorella” protagonista del testo “posta a ba-
gnar un leggiadretto velo, | ch’a l’aura il vago et biondo capel chiuda” suonavano in
modo diverso, e cioè: “fixa a bagnar el suo candido velo | ch’al sol e a l’aura el vago
capel chiuda.” [...] I filologi si sono chiesti, allora, perché Petrarca procedesse a questa
revisione, che, in effetti, poco o niente apporta all’eleganza dell’espressione e sicura-
mente niente al concetto espresso nel testo. A un’attenta analisi, però, risulta che il
cambiamento introdotto dalla variante interessa il versante simbolico-allusivo del ma-
drigale. Aggiungendo, infatti, l’aggettivo “biondo” per indicare il colore dei capelli del-
la “pastorella”, Petrarca conferiva alla protagonista del madrigale un tratto, cioè, che
permetteva a quel testo, non scritto per Laura, di entrare nel Canzoniere di Laura»
(LAURA PAOLINO, Ancora qualche nota sui madrigali di Petrarca (RVF 52, 54, 106, 121),
«Italianistica», XXX [2001], 2, pp. 307-323, cit. a pp. 308-309). D’altronde l’anonimo
miniatore-postillatore denuncia la propria volontà di incidere ermeneuticamente nel-
la presentazione dell’opus fin dalla carta iniziale dell’incunabolo, quella che sottolinea
la contiguità dei sonetti I e III (ossia quello che definisce come racconto la parabola
esemplare dell’amore del poeta, e quello che ricorda l’evento da cui essa è scaturita)
attraverso la loro inscrizione in un cartiglio elaborato a trompe l’oeil (secondo un mo-
tivo tipico della miniatura rinascimentale soprattutto padovana); cartiglio che con ogni
probabilità è lo stesso trasportato in ogni dove dagli uccelli-messaggeri che svolazza-
no nel paesaggio bucolico di sfondo (visualizzazione del concetto di “rime sparse” o
“vulgarium fragmenta” che ritorna costantemente nel corso del volume). L’annota-
zione visiva del Queriniano sembra dunque volerci presentare la confessio del perso-
naggio agens formalizzata in scrittura come un messaggio universale redatto dall’indi-
viduo auctor (figure queste allusivamente sintetizzate qui dal satiresco cantore silvanus);
e l’utilizzo del medesimo cartiglio incorniciato anche per il commento del miniatore
al Canzoniere dichiara senza imbarazzi quest’ultimo come un’esegesi d’autore (al con-
tempo iconica e testuale) che aspira a presentarsi su un piano decentrato ma ugual-
mente significativo rispetto al testo principale.
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81 Cfr. GIOVANNI TARDITI, Studi di poesia greca e latina, Milano, Vita & Pensiero,
1998, p. 36.
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huius insidias, inde vires illius, illinc Dei iudicium timidus expavescit, rote infixus vo-
lubili dicitur, que ideo plena serpentem fingitur, quia curis non solum assiduis, sed
etiam mordacibus agitatur». Cfr. a questo proposito DOMENICHELLI, Il mito di Issione,
cit., p. 131: «Irato, Zeus punì poi Issione condannandolo ad essere legato con serpi a
mo’ di croce di Sant’Andrea ad una ruota vorticante in perpetuo nel Tartaro. Prima di
procedere ricorderemo che la posizione di Issione dentro la ruota di fuoco è simme-
trica a quella dei vari reggenti la ruota del mondo, del tempo, della legge, dell’univer-
so e quante altre».
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84 GIOVANNI BONSIGNORI, Ovidio Metamorphoseos Vulgare, libro IV, cap. 25, ed. cri-
tica a cura di ERMINIA ARDISSINO, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 2001,
p. 235 (corsivo mio).
85 PICINELLI, Mondo simbolico, III, 17, cit., p. 80.
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87 BOCCACCIO, Genealogie deorum gentilium, IX, XXVII, 8, cit., p. 942: «“Illos scili-
cet radiis rotarum pendere districtos, qui nichil consilio previdentes, nichil ratione
moderantes, nichil virtutibus explicantes, seque et omnes actus suos fortune commic-
tentes, casibus fortuitis semper rotantur”».
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88 PETRARCA, Secretum, II, cit., pp. 192-193: «E perché tu veda bene quello
che ho ricavato non solo dai testi filosofici ma anche da quelli poetici, sappi che
in cuor mio ho spesso riflettuto che la furia dei venti nascosta in profonde caver-
ne, descritta da Virgilio, e i monti sovrastanti e il re seduto nella rocca che li tie-
ne a bada con il suo potere, possano significare l’ira e le impetuose passioni del-
l’animo [...]. Per contro, i monti e il re che vi domina, che significano se non la
rocca della testa e la ragione che vi abita? [...] E io, interpretando una per una le
parole, ho sentito quell’insofferenza, ho sentito il tumulto, ho sentito il fragore
delle tempeste, il sordo brontolío, il fremito: e tutto questo può essere riferito al-
l’ira. Ho sentito il re che siede nella rocca, ho sentito che tiene lo scettro, ho sen-
tito che impone il suo potere e l’esercita con catene e carcere: chi dubiterà che si
possa intendere la ragione?».
89 MARY CARRUTHERS, The Book of Memory. A Study of Memory in Medieval
Culture, Cambridge (Mass.), Cambridge University Press, 1990, p. 169: «The psy-
chology of the memory phantasm provides the rationale for the ethical value of
the reading method which Petrarch describes. A properly-made phantasm is both
a “likeness” (simulacrum) and one’s “gut-level response” to it (intentio), and it is an
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emotional process that causes change in the body. The insistently physical matrix
of the whole memorative process accounts for Petrarch’s slow, detailed refashion-
ing of Virgil’s description. The active agency of the reader, “discutiens”, “breaking
up” or “shattering” (one could even translate “deconstructing”) each single word
as he recreates the scene in his memory, is emphasized: “Ego autem audivi [...] au-
divi [...] audivi”. He re-hears, re-sees, re-feels, experiences and re-experiences. In
this way, Virgil’s words are embodied in Petrarch’s recollection as an experience of
tumult and calm that is more physiological (emotional, passionate) than “mental”,
in our sense».
90 FRANCESCO PETRARCA, De remediis utriusque fortune, II, praef., a cura di
CHRISTOPHE CARRAUD, Grenoble, Jérôme Millon, 2002, p. 550.
91 PETRARCA, De remediis utriusque fortune, I, praef., cit., p. 8: «E tacendo degli al-
tri pericoli da cui siamo circondati, quanto grande e continua è la battaglia che noi
abbiamo con la Fortuna? Contro la quale noi solo grazie alla Virtù possiamo risultare
vincitori, noi che però da questa Virtù ci siamo allontanati volontariamente; sicché so-
li, indeboliti e disarmati presumiamo di combattere alla pari contro questo implacabi-
le esercito, che come una cosa leggera ci leva in alto e ci getta a terra, come una ruota ci fa gi-
rare e si prende gioco di noi» (corsivi miei).
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92 Ecco alcuni passaggi: «Ita vero vicissitudo hec et conditio statuum humano-
rum variabilis atque inconstans est, ut iterabilis quoque sit semel et pluries, ne mireris
si vel arator ad militiam vel miles redeat ad aratrum. Ingens rerum mortalium rota est
et, quia tractus est longior, brevis hunc vita non percipit» (I, 16, 22); «Scilicet ut tua
navis fluctibus maris, sic animus vite curis explicitis portum attigit laborum ac terro-
rum. Sed non ita est, nunc maxime metuendum: nescis quod res hominum non stant.
Qui volubili in rota sedet altior, is proximus est ruine» (I, 90, 2); «Ubi queso? In hare-
nis ac fluctibus, an in vento, an in ipsa, ut perhibent, fortune rota? Quin tu, amice, ma-
le susceptam pone fiduciam. Nulla hic stabilis potentia, utque vel improprie exprimam
quod sentio, nulla potentia potens est» (I, 91, 20); «Proinde utcunque alios fortuna ro-
taverit, tu virtutis gubernaculum, si michi obsequi volueris, nec in pace, nec in bello,
nec in vita destitues, nec in morte» (II, 72, 2).
93 PETRARCA, De remediis utriusque fortune, I, 24, 10 (De choreis), cit., p. 126.
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99 FERRO, Teatro d’imprese, cit., pp. 201-202, dove afferma anche: «Crede il Pon-
tano che i nostri cedri sieno gli antichi pomi dell’Hesperidi col color dell’oro di Dio-
gene che impallidisce. [...] Il cedro dunque albero molto apprezzato et odorifero, ni-
mico a’ serpi si vede tra l’imprese de gli Affidati sotto nome di Augusto Bottigella Aca-
demico Aprico col motto SOLVM A SOLE, et è depinto con frutti e fiori. [...] Il Cedro
carico di frutti maturi e pesanti è d’Aduardo Simoni col motto QVOD SENSIM CREVE-
RINT; bella impresa ma rende ragione per esplicare uno assuefarsi a’ travagli, perché a
poco a poco gli vengono, o cosa altra tale, significando che l’accrescimento fatto così
a tempo non si sente né si vede. A Jacomo Altoviti diede il Percivallo il cedro carico
di neve, con le frondi e frutti in terra, e vi si leggeva QVANTE SPERANZE SE NE PORTA
IL VENTO, ma doveva dire la neve».
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Clarendon Press, 1998, pp. 109-138; DOUWE DRAAISMA, Metaphors of Memory. A His-
tory of Ideas about the Mind, Cambridge, Cambridge University Press, 2000; ALEIDA
ASSMANN, Ricordare. Forme e mutamenti della memoria culturale, Bologna, Il Mulino, 2002,
pp. 125-144 (I ed. ted. 1999); JÖRG J. BERNS, Gedächtnislehren und Gedächtniskunst in
Antike und Frühmittelalter, Tübingen, Max Niemeyer Verlag, 2003, pp. 523-597. Sulla
metaforica memoriale petrarchesca si rinvia anche ad ANDREA TORRE, Petrarcheschi se-
gni di memoria. Spie, postille, metafore, Pisa, Edizioni della Normale, 2007, pp. 209-302.
103 Per un’introduzione alla questione cfr. ANDREA TORRE, Corpo ferito, memoria aper-
ta, in Per violate forme. Rappresentazioni e linguaggi della violenza nella letteratura italiana, a cura
di FABRIZIO BONDI e NICOLA CATELLI, Lucca, Maria Pacini Fazzi, 2009, pp. 183-201.
104 Su questo aspetto della canzone si veda BORTOLO MARTINELLI, Memoria e sce-
na dell’amore nella canzone In quella parte dove Amor mi spona (RVF 127), «Italianisti-
ca», XXXIII (2004), 2, pp. 61-75, cit. a p. 71: «La menzione del liber cordis rivela tutta-
via come al fondo della concezione dell’operazione libraria presupposta dalla canzo-
ne si celi una profonda dicotomia: da un lato, abbiamo infatti l’indicazione relativa al-
l’istoria la quale è registrata in mezzo al cuore, e, in quanto essa è scritta, è da ricon-
durre senza equivoci all’archetipo del liber interiore; dall’altro, le rime, le diverse pièces
costituiscono il tessuto di un altro libro, per l’allestimento del quale il poeta confessa
di avere dei dubbi di natura organizzativa (ordo, dispositio). I due libri sono tra loro del
tutto equiparabili quanto alla materia: le rime hanno come contenuto la “doglia”;
l’“istoria”, scritta nel cuore, ha quale contenuto i “martiri”; ma quanto alla loro arti-
colazione e struttura devono essere considerati dissimili. I due libri non sono per nul-
la tra loro omologhi e sovrapponibili, giacché il liber cordis fa riferimento al poeta in
qualità di personaggio, vale a dire come ad un elemento capitale della materia, e in
qualità di fruitore-lettore (egli legge e rilegge ripetutamente la sua storia); mentre il
corpus delle ‘rime’ fa riferimento al poeta in qualità primaria di autore, oltre che di per-
sonaggio. Ed è propriamente a questo secondo livello che s’instaura il collegamento
con i processi relativi alla costituzione del liber fragmentorum».
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105 ADELIA NOFERI, Frammenti per i fragmenta di Petrarca, a cura di LUIGI TASSO-
NI, Roma, Bulzoni, 2001, pp. 175-196, in part. pp. 181-182: «In Dante l’area metafo-
rica del libro da “essemplare” (la canzone “E m’incresce di me”, il capitolo introdut-
tivo della Vita Nuova), di Amore che “ditta dentro”, del poeta “scriba”, corrisponde
esattamente all’area teorica del fondamento supremamente oggettivo della operazione
poetica: la dettatura di Amore, il libro già scritto, sia esso il libro della memoria o il li-
bro di Dio, costituiscono la garanzia assoluta sia del fondamento di verità, sia della cer-
tezza della storicizzazione, quindi della narratività. È nella autorità di colui che detta,
nella fedeltà dello scriba al dettato, nella esemplarità del libro già scritto da ri-scrive-
re, che si appoggiano in Dante non soltanto la inventio, ma anche la dispositio, secondo
una consecuzione logico-cronologica garantita in ogni punto dal “dittare” e dal “Li-
bro”, come esemplare itinerario attraverso tappe necessarie, in un ordine irreversibile.
Ma con Petrarca, e l’esordio di questa canzone indica esplicitamente il punto di crisi,
proprio quel fondamento viene meno. Il dettato di Amore è confuso (“sì confuso dit-
ta”), non genera certezza ma dubbio (“mi lascia in dubbio”), e viene sottratta in que-
sto modo ogni garanzia per la costruzione di una “storia”. Il dubbio non investe solo
un problema di dispositio, ma la possibilità appunto logico-cronologica, lineare e pro-
gressiva, di una “storia”». Si integri con le osservazioni, direi, più complementari che
oppositive di CLAUDIA BERRA, La canzone CXXVII nella storia dei «Fragmenta» petrar-
cheschi, «Giornale storico della letteratura italiana», CVIII (1991), 168, pp. 161-198, in
part. pp. 164-166.
106 Cfr. ancora BERRA, La canzone CXXVII nella storia dei «Fragmenta» petrarche-
schi, cit., p. 193: «[...] la violenza con cui l’immagine di Laura si presenta alla vista del
poeta (“et vix dimota in ictu oculi rursus aderat”) impedendogli ogni altra riflessione
(“nichil animo videre poterant”), l’insistenza sull’azione del “vedere” e sugli “occhi”
(“omnia ad oculos referebant”) e sulla molteplicità degli aspetti naturali, l’incapacità di
sottrarsi alla “luce” di Laura, “sparsa” in tanti luoghi (al contrario dell’unica vera luce
“nec distentam locis”) che preclude il tema lirico della visione della donna nella na-
tura all’ossessione sensuale caratteristica della poesia petrosa, ma volle anche avvicina-
re tale ossessione alla “pestis fantasmatum”, conseguenza negativa della passione nel-
l’interpretazione agostiniana. Se, dunque, le libere associazioni della canzone riprodu-
cono la fenomenologia sensoriale della “pestis fantasmatum”, la dispositio abnorme (la
pretesa mancanza di ordo) del componimento si configura, e si spiega compiutamen-
te, come l’effetto e il traslato letterario della confusio morum cui soggiace chi ama la
creatura invece del creatore, “ordine pervertito”».
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107 Cfr., anche per ulteriori indicazioni bibliografiche: FRANCO MANCINI, La fi-
gura in cuore fra cortesia e mistica. Dai Siciliani allo Stilnuovo, Napoli, Edizioni Scientifiche
Italiane, 1988; e MARIA LUISA MENEGHETTI, Il ritratto in cuore: peripezie di un tema me-
dievale tra il profano e il sacro, in Riscritture del testo medievale: dialogo tra culture e tradizio-
ni, a cura di MARIA GRAZIA CAMMAROTA, Bergamo, Bergamo University Press, 2005,
pp. 73-85.
108 Fra queste dobbiamo ricordare almeno l’immagine dell’ostensione del cuore
sulla fronte del poeta innamorato, espressione che configura il dominio del ricordo
dell’amata sulla memoria dell’amante come un’unica ed esaustiva scrittura della men-
te: «e ’l cor negli occhi e ne la fronte ò scritto» (RVF, 76, 11); «[...] le paure e gli ardi-
menti | del cor profondo ne la fronte legge» (147, 5-6); «Ma spesso ne la fronte il cor
si legge» (222, 12); «se ne la fronte ogni penser depinto» (224, 5). Come ha mostrato
l’ultima occorrenza, non solo di scrittura si dovrebbe parlare ma anche di pittura o di
scultura; e ciò vale soprattutto laddove il ricordo trascritto nei domìni dell’interiorità
non sia tanto il sentimento dell’amante quanto piuttosto la pervasiva imago memoriae
della persona amata: «per cui nel cor via più che ’n carta scrivo» (RVF, 105, 88); «Ma
’l bel viso leggiadro che depinto | porto nel petto, e veggio ove ch’io miri» (96, 5-7);
«Misero me, che volli | quando primier sì fiso | gli tenni nel bel viso | per iscolpir-
lo imaginando in parte | onde mai né per forza né per arte | mosso sarà, finch’i’ sia
dato in preda | a chi tutto diparte» (50, 63-9); «Tu deeras, votis quotiens precibusque
petitus, | mente tamen, memorique animo tua dulcis imago | certe aderat, semper-
que aderit, nec tempore sedes | deseret acceptas; sic illam pectore in alto. | Sculpsit
amor, fixamque adeo vetitamque moveri | maximus artificium vivoque adamante
peregit» (Epyst., II, 1, 75-80).
109 ERIC JAGER, The Book of the Heart, Chicago-London, University of Chicago
Press, 2000, p. 70. Sul codice newyorkese si vedano anche: SYLVIA HUOT, Visualization
and Memory: The Illustration of Troubadour Lyric in a Thirteenth-Century Manuscript, «Ges-
ta», XXXI (1992), 1, pp. 3-14; STEPHEN G. NICHOLS, “Art” and “Nature”: Looking for
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gine dà forma visibile all’idea del cuore come sede della me-
moria individuale, e soprattutto indica al lettore la destinazio-
ne ultima di tutte le illustrazioni che commentano visivamen-
te il manoscritto. Meditando su queste reali imagines agentes e
affidandole alla propria memoria, il lettore può infatti giunge-
re a una miglior comprensione dell’esperienza amorosa in ge-
nerale e del discorso lirico in particolare, nonché conservare
un più saldo e immediato ricordo delle poesie associate a tali
illustrazioni.
Il dettaglio emblematico del legno di cedro vale da ulterio-
re, iperbolica intensificazione della già di per sé incancellabile
traccia mnestica rappresentata dall’imago viva di Laura, scolpitasi
nel «cor» del poeta in «quel sempre acerbo e onorato giorno».
Questa intensificazione non concerne però solo la potenza del
ricordo ma anche la sua natura. Pensiamo alla metamorfosi ve-
getale che sostanzia uno dei miti-guida del Canzoniere, quello
(Medieval) Principles of Order in Occitan Chansonnier N (Morgan 819), in The Whole Book.
Cultural Perspectives on the Medieval Miscellany, a cura di STEPHEN G. NICHOLS e
SIEGFRIED WENZEL, Ann Arbor, University of Michigan Press, 1996, pp. 83-123; LINA
BOLZONI, Il cuore di cristallo. Ragionamenti d’amore, poesia e ritratto nel Rinascimento, Tori-
no, Einaudi, 2010, pp. 308-325.
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Fig. 27. FRANCESCO PETRARCA, Canzoniere, Venezia, Vindelin da Spira, 1470, c. 65v.
Brescia, Biblioteca Queriniana, Inc. G.V.15.
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117 Nel far ciò, l’emblematista ripercorre di fatto la strada seguita da Petrarca nel-
la sua esperienza di riconversione della tradizione lirica. Come ricorda Rita Librandi,
commentando RVF 96, 5-6 («Ma ’l bel viso leggiadro che depinto | porto nel petto,
e veggio ove ch’io miri»), Petrarca «non si limita a contenere il “depinto” di madon-
na, ma prolunga gli effetti e i coinvolgimenti della visio sovrapponendo le sue fattez-
ze a tutta la realtà che lo circonda (veggio ove ch’io miri). L’amore per Laura non si su-
blima nella razionalità e non dà l’illusione della beatificazione, in grazia di un’espe-
rienza unica e miracolosa qual’era quella della Vita Nuova, è piuttosto accettato nella
sua doppia capacità di esaltare o di avvilire. In questo senso l’avventura dei RVF è mol-
to più realistica di quanto la medietas linguistica non lasci trasparire; [...]. Proprio da
questo contrasto di concretezza e rarefazione nasce probabilmente la possibilità di uni-
versalizzazione dell’esperienza amorosa del Canzoniere (del tutto opposta all’unicità
della “beatrice”) [...]» (RITA LIBRANDI, Dal cuore all’anima nella lirica di Dante e Petrar-
ca, in Capitoli per una storia del cuore, a cura di FRANCESCO BRUNI, Palermo, Sellerio,
1988, pp. 119-160, cit. a p. 149).
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blema dà corpo a uno dei più diffusi tópoi della cultura occi-
dentale, e a uno dei numerosi figuranti utilizzati, non solo da
Petrarca, per rappresentare il concetto di memoria. Viene pe-
raltro così a compiersi il dittico emblematico sulle metafore
della memoria avviato dall’espressione simbolica riportata nel-
la carta precedente del manoscritto di Baltimore.
Nello specifico il dettaglio del diamante incastonato nel
cuore rinvia al campo metaforico memoriale del deposito. Da
questo punto di vista, l’immagine complessiva diviene rap-
presentazione della memoria, intesa al contempo come fa-
coltà e come ricordo; ossia come un contenitore ove collo-
care le res memorandae (quello scrinium cordis o scrinium memo-
riae che evoca il dantesco Pier delle Vigne: «ove con salde ed
ingegnose chiavi»)118 e come un prezioso contenuto degno
di essere gelosamente custodito (il diamante inciso). Il ricor-
so all’immagine del diamante porta inoltre con sé – a quali-
ficare i concetti figurati – le qualità di inscalfibilità119 e tra-
sparenza: tanto il contenuto quanto il contenitore memoria-
li vengono pertanto presentati come durevoli in eterno, e
intrinsecamente sinceri. Al pari del ricordo dell’immagine
di Laura piangente, ricordo che Petrarca distilla proprio in
lagrime di cristallo (157, 14). Il motivo del diamante ricorre al-
tresì più volte nel Canzoniere. Nella sestina 30 esso parteci-
pa alla rappresentazione dell’immutabilità del destino dell’a-
mante, assediato eternamente da un simulacro mentale e
memoriale dell’amata (vv. 1, 5-6: «Giovene donna sotto un
verde lauro | Vidi [...] | mi piacquen sì ch’i’ l’ho dinanzi agli
occhi, | ed avrò sempre [...]») che conosce proprio nel det-
taglio del diamante il referente simbolico della glaciale per-
118 Bettarini imputa infatti alla stretta convergenza con Inferno XIII 58-60 la cor-
rezione della redazione presente nel codice degli abbozzi: «nel qual come colui che
tien le chiavi» (c. 5v), per cui vd. Lacrime e sangue, cit., p. 166. Restando sempre nel-
l’ambito di interferenze Dante-Petrarca e per una lettura del ciclo lacrimale condotta
in parallelo con la Vita Nuova si vedano: DOMENICO DE ROBERTIS, Storia della poesia
e poesia della propria storia nel XXII della “Vita Nuova”, «Studi danteschi», LI (1978), pp.
153-177; e NATASCIA TONELLI, «Piangea Madonna» (da Vita Nuova XXII a Rerum Vul-
garium Fragmenta CLV-CLVIII), «Studi danteschi», LVII (1985), pp. 29-48.
119 Con la memoria del passo ovidiano da Met. XV, 813-4: «invenies illic incisa
adamante perenni | fata tui generis».
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to dall’Amore, il cuore dove l’alloro si pianta, il fianco da dove escono i sospiri, gli oc-
chi da cui scorrono le dolci lacrime, il petto sul quale pesa il felice incarco; solo all’ulti-
mo momento il poeta lascia questa passività per prendere con tutto il corpo un ruo-
lo più attivo, sebbene sommesso, inchinandosi nella preghiera».
123 Sulla scorta di due saggi di JOACHIM KÜPPER (Schiffreise und Seelenflug. Zur
Refunktionalisierung christlicher Bilderwelten in Petrarcas Canzoniere, «Romanische For-
schungen», CV [1993], pp. 256-281; e Mundus imago Laurae. Petrarcas Sonett “per mezz’i
boschi” und die Modernitaet des Canzoniere, «Romanische Forschungen», CIV [1992], pp.
52-88), Manuela Boccignone ricorda che «il creato, da “vestigium Dei”, “signum” del-
la bellezza e bontà divina diventa “vestigium Laurae”, non conduce più al Creatore,
ma si fa segno di Laura, portata alla vetta della scala gerarchica dell’Essere. Petrarca è
cosciente di questa perversione, teologicamente molto grave, che si riflette anche in
altre immagini metaforiche di Laura che deformano strutture codificate, e perciò vin-
colanti, dell’allegoresi cristiana» (MANUELA BOCCIGNONE, Un albero piantato nel cuore,
«Lettere italiane», LII [2000], pp. 225-264, cit. a p. 229, n. 18).
124 La postilla testuale che accompagna la glossa visiva a fianco del fragmentum è
in tal senso esplicita: «Narra l’auctor a che modo amor puose nel petto suo la eterna
e continua memoria del nome de madonna Laura etc.» (edita in GIUSEPPE FRASSO,
Antonio Grifo postillatore dell’Incunabolo Queriniano G V 15, in FRASSO-MARIANI CA-
NOVA-SANDAL, Illustrazione libraria, filologia e esegesi petrarchesca tra Quattrocento e Cin-
quecento. Antonio Grifo e l’incunabolo Queriniano, cit., p. 119).
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Fig. 29. FRANCESCO PETRARCA, Canzoniere, Venezia, Vindelin da Spira, 1470, c. 86v.
Brescia, Biblioteca Queriniana, Inc. G.V.15.
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125 Cfr. PETRARCA, De remediis utriusque fortune, II, 75 (De discordia animi fluctuantis),
8, cit., p. 856: «Quid agendum igitur tibi sit vides. Fac quod Menennius ille, cuius paulo
ante memini: persuasit plebi ut subesse patriciis in animum induceret; quo impetrato, ur-
bem scissam in duas ad unitatem salubri consilio reduxit. Et tu coge, vel consilio, vel vi,
partes ignobiles parere nobilibus: tum demum, et non aliter, animi pacem spera; qua su-
blata, quid aliud quam vaga semper et propositi inscia et fluctuans et inconstans vita ho-
minum est, et ceca prorsus et misera? Multi ex hac vita abeunt, quam quid velint sciant».
126 RITTER SANTINI, Sorte e ragione: Petrarca in Europa, cit., p. 86.
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127 DÀMASO ALONSO, La poesia del Petrarca e il petrarchismo (Mondo estetico della plu-
ralità), «Studi petrarcheschi», VII (1961), pp. 73-120, cit. a p. 77.
128 Cfr. FEDERICO MENINNI, Il ritratto del sonetto e della canzone [1677], a cura di
CLIZIA CARMINATI, Lecce, Argo, 2002, vol. I, p. 101: «Questa figura [la correlazione], che
pure suol chiamarsi compartimento e distribuzione, è quando doppo aver detto mol-
te cose insieme, altre si soggiungono da attribuirsi a ciascheduna di loro separatamen-
te, e ciò fassi o nella fine o in tutto il sonetto». Tra gli esempi riportati, Meninni si sof-
ferma proprio sul sonetto petrarchesco 133, apprezzandone l’artificiosità («Osserva
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131 Cfr. ALONSO, La poesia del Petrarca e il petrarchismo, cit., p. 117: «La poesia del
Petrarca è caratterizzata da un gioco o cambiamento tra fluenza indivisa e fluenza
plurale [...]. Questo predominio della visione plurale del mondo della realtà o del-
l’immagine (che suscita conseguentemente un’idea di pluralità nella mente del let-
tore) doveva portare il Petrarca a non fermarsi nelle pluralità che potremmo chia-
mare statiche, ora di nomi, ora di aggettivi, ora di verbi. No: la considerazione plu-
rale del mondo lo portava facilmente, insensibilmente, alle pluralità costituite da in-
tere azioni: in questo tipo speciale, una pluralità è formata da tutti i soggetti delle
diverse azioni, un’altra da tutti i verbi, un’altra da tutti i complementi diretti, ecc.
Con le pluralità di azioni il Petrarca oltrepassa il limite oltre il quale comincia la
poesia correlativa. L’estetica di pluralità e l’estetica di correlazione sono fondamen-
talmente la stessa cosa: quello che viene espresso come plurale nelle pluralità, sono
nozioni; quello che viene espresso come plurale nelle correlazioni, sono giudizi e
azioni più o meno complesse».
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135 Su questa raccolta emblematica si veda, tra gli altri, il contributo di SEBASTÀN
LOPEZ, Lectura critica de la Amor Emblemata de Otto Vaenius, «Boletìn del Museo e Insti-
tuto Camón Aznar», XXI (1985), pp. 5-112.
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Fig. 37. FRANCESCO PETRARCA, Canzoniere, Venezia, Vindelin da Spira, 1470, c. 58r.
Brescia, Biblioteca Queriniana, Inc. G.V.15.
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Fig. 38. FRANCESCO PETRARCA, Canzoniere, Venezia, Vindelin da Spira, 1470, c. 33v.
Brescia, Biblioteca Queriniana, Inc. G.V.15.
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Fig. 40. FRANCESCO PETRARCA, Canzoniere, Venezia, Vindelin da Spira, 1470, c. 59v.
Brescia, Biblioteca Queriniana, Inc. G.V.15.
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139 ARESI, Imprese sacre, libro I, impresa XXXVIII, cit., pp. 140-156, cit. a p. 155.
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141 ANTON FRANCESCO DONI, Le imprese reali, Wellesley (Mass.), Wellesley Col-
lege Library, Plimpton Collection, ms. 897, cc. 7v-8r. Per una descrizione del codi-
ce si ricorra a GIORGIO MASI-CARLO ALBERTO GIROTTO, Le carte di Anton Francesco
Doni, «L’Ellisse. Studi storici di letteratura italiana», III (2008), pp. 171-218, in part.
p. 191. Su quest’opera e sull’intera, vasta produzione impresistica doniana si vedano:
ANNA PAOLA MULINACCI, Un «laberinto piacevole»: le ‘libere imprese’ di Anton Francesco
Doni, in «Una soma di libri». L’edizione delle opere di Anton Francesco Doni. Atti del se-
minario di Pisa (14 ottobre 2002), a cura di GIORGIO MASI, Firenze, Olschki, 2008,
pp. 167-235, in part. pp. 224-230; SONIA MAFFEI, Autografi con immagini: il caso di An-
ton Francesco Doni, in «Di mano propria». Gli autografi dei letterati italiani. Atti del con-
vegno internazionale di Forlì (24-27 novembre 2008), a cura di GUIDO BALDAS-
SARRI, MATTEO MOTOLESE, PAOLO PROCACCIOLI, EMILIO RUSSO, Roma, Salerno
Editore, 2010, pp. 379-422.
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142 PAOLO GIOVIO, Dialogo dell’imprese militari e amorose, Lione, Rouille, 1577, pp.
151-152 (corsivo mio).
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Fig. 44. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. Nuovi Acquisti 267,
ANTON FRANCESCO DONI, Nuova opinione circa alle imprese militari e amorose, c. 69v.
143 Per una descrizione del codice cfr. MASI-GIROTTO, Le carte di Anton Francesco
Doni, cit., pp. 186-187.
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Fig. 45. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. Nuovi Acquisti 267,
ANTON FRANCESCO DONI, Nuova opinione circa alle imprese militari e amorose, c. 70r.
146 Cfr. ANTON FRANCESCO DONI, I Mondi e gli Inferni, a cura di PATRIZIA PEL-
LIZZARI, Torino, Einaudi, 1994, pp. 44 e 276. Per un’analisi delle strutture emblemati-
che a matrice petrarchesca dei Mondi sopra le Medaglie si rinvia a: GIORGIO MASI,
«Quelle discordanze sì perfette». Anton Francesco Doni 1551-1553, «Atti e memorie del-
l’Accademia Toscana di Scienze e Lettere “La Colombaria”», n.s. XXXIX, LIII (1988),
pp. 9-112, in part. pp. 94-97; e GIOVANNA RIZZARELLI, «Se le parole si potessero scorge-
re». I Mondi di Doni tra Italia e Francia, Manziana,Vecchiarelli, 2007, in part. pp. 45-55.
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Fig. 46. Wellesley (Mass.), Wellesley College Library, Plimpton Collection, ms. 897,
ANTON FRANCESCO DONI, Le imprese reali, cc. 7v-8r.
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147 Imprese di Sovrani e di altri Personaggi delineate a penna l’anno MDLXXII e segg.,
Genova, Biblioteca Universitaria, ms. E.VII.16, cc. 237-238. Ritornerò su questo in-
teressante documento nel corso del commento all’ultimo emblema del manoscritto di
Baltimore.
148 Il motto CANDIDA CANDIDIS conta un posessore illustre in Claudia di Francia
(1499-1524), figlia di Luigi XII e prima moglie di Francesco I, che l’aveva scelto per
completare la “luna piena” della propria devise.
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149 Cfr. FEDERICA PICH, I poeti davanti al ritratto. Da Petrarca a Marino, Lucca, Ma-
ria Pacini Fazzi, 2010, p. 140: «[...] l’esortazione a guardare ha in sé il riconoscimento
di un’esperienza doppia e divisa («di là» / «e qui») e della disomogeneità tra una qua-
lità (bellezza) e una condizione (sudditanza e fedeltà). In assenza del ritratto, la sem-
bianza dell’amata può essere evocata nello specchio, oggetto ambiguo e magico, al
quale si attribuisce la facoltà di trattenere l’immagine di chi vi si riflette». Su Lysippus
si veda ULRICH PFISTERER, Lysippus und seine Freunde. Liebesgaben und Gedächtnis im
Rom der Renaissance – oder Das erste Jahrhundert der Medaille, Berlin, Akademie Verlag,
2009.
150 Per una lettura transdisciplinare di questa esperienza artistica si veda ora BOL-
ZONI, Il cuore di cristallo, cit., pp. 233-234: «Si tratta infatti di prodotti che si collocano
in una zona di confine, nel senso che sperimentano possibilità e limiti dei diversi co-
dici espressivi, fino a mettere in discussione le tradizionali opposizioni fra parole e im-
magini, fra la durata che la lettura richiede e l’immediatezza che la vista permette (o
sembra permettere), e dunque fra tempo e spazio. [...] La struttura del prodotto ri-
chiede infatti una ricezione in due tempi: il corpo dell’osservatore è messo in gioco,
perché deve compiere l’azione di guardare anche il retro del quadro, o di spostare il
coperchio, così da vedere, in sequenza, le due immagini e farle interagire fra loro. La
vecchia dottrina retorica dei sensi riposti, della necessità di non fernarsi alla superficie
del testo, ma di compiere un viaggio ulteriore, che faccia penetrare nelle midolla, al di
là della corteccia, trova così una versione singolare: la struttura doppia del quadro
prende quella dottrina alla lettera e le dà una consistenza materiale, coinvolgendo l’u-
tente in un percorso in due tempi, che poi può crescere su se stesso, nutrendosi di ana-
logie, di corrispondenze, di associazioni».
151 Di questa variante possiamo vedere un esemplare francese di metà Cinque-
cento riportato nel catalogo della mostra newyorkese Art and Love in Renaissance Italy,
a cura di ANDREA BAYER, New York-New Haven-London,Yale University Press-Me-
tropolitan Museum of Art, 2008, scheda 115, pp. 225-226.
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152 Lina Bolzoni ricorda alcuni passaggi del Libro di spese diverse di Lorenzo Lot-
to che testimoniano il ricorso a coperchi di specchio per celare/conservare immagini
di soggetto tanto profano quanto sacro (BOLZONI, Il cuore di cristallo, cit., p. 222).
153 Una ricostruzione della vicenda dei due sonetti di Castiglione e una loro let-
tura attraverso la macchina ottica che li conserva e li nasconde ci vengono offerte da
LINA BOLZONI, Lo specchio del ritratto fra Petrarca e Marino, in EAD., Poesia e ritratto nel
Rinascimento, testi a cura di FEDERICA PICH, Roma-Bari, Laterza, 2008, pp. 5-69, in
part. p. 58-63, cit. a p. 61.
154 FEDERICA PICH, Specchi, ritratti, sonetti: ellissi dell’immagine e memoria degli og-
getti nella lirica del Cinquecento, in La rappresentazione allo specchio.Testo letterario e testo pit-
torico, a cura di FRANCESCO CATTANI e DONATA MENEGHELLI, Roma, Meltemi, 2008,
pp. 87-102, cit. a p. 100.
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155 Cfr. BEATRICE RIMA, Lo specchio e il suo enigma. Vita di un tema intorno a Tasso
e Marino, Padova, Antenore, 1991, pp. 28-29: «La figura altamente simbolica dello spec-
chiamento, inteso come sdoppiamento nel son. 45 (vv. 3; 5-6; 10) e come identifica-
zione nel son. 46 (v. 11), conduce alla similitudine fra Laura che s’innamora di se stes-
sa e Narciso, dove lo straniamento le viene nel primo caso da parte dello specchio (45,
3: «colle non sue bellezze v’innamora») e nel secondo da parte di lei stessa (46, 11:
«veggendo in voi finir vostro desio»)». Sullo specchio, e il suo simbolismo, si veda an-
che JURGIS BALTRUŠAITIS, Lo specchio, Rivelazioni, inganni e science-fiction, Milano,
Adelphi, 2007 (I ed. fr. 1978). Sul valore metalinguistico del motivo iconografico cfr.
DANIEL RUSSELL, The Device and the Mirror, in ‘Con parola brieve e con figura’. Emblemi e
imprese fra antico e moderno, cit., pp. 5-28, in part. a p. 28: «The Mirror, in a certain re-
spect, is the perfect explanatory metaphor for the impresa. It expresses or reflects so-
mething of the self, the owner. It projects ideals and intentions; it is supposed to re-
flects the best in a person. But since an impresa can be changed depending on cir-
cumstances, it clearly reflects fragments of the self, like small, metonymic images in
Renaissance mirrors».
156 FURIO BRUGNOLO, Il «Desio che seco non s’accorda»: sintonie, rispecchiamenti e
fraintendimenti (RVF 41-50), in Il Canzoniere. Lettura micro e macrotestuale, cit., pp. 115-
140, cit. a p. 128 dove conclude: «Specularità, autoidentificazione, autoreferenzialità: un
vertiginoso gioco di specchi [...] che porta in definitiva non al compimento del desi-
derio, ma al suo isolamento e alla sua estenuazione».
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157 Si veda almeno JOHN FRECCERO, The Fig Tree and the Laurel: Petrarch’s Poetics,
«Diacritics», V (1975), 1, pp. 34-40, in part. pp. 34-35 e p. 37: «The two emblems, the
[Augustinian] fig tree and the laurel, may be said to stand respectively, as we shall see, for
different modes of signification: the allegorical and the autoriflexive. [...] We have seen
that the fig tree is an allegorical sign. It stands for a referential series of anterior texts
grounded in the Logos. It is at once unique, as the letter must be, and yet referential,
pointing to a truth beyond itself, a spiritual sense. While it is true that the being of the
letter cannot be doubted, its meaning transcends it in importance. As all signs point
ultimately to God, so it may be said that all books, for the Augustinian, are in some sen-
se copies of the God’s Book. [...] On the other hand, for the laurel to be truly unique,
it cannot mean anything: its referentiality must be neutralized if it is to remain the pro-
perty of its creator. Petrarch makes of it the emblem of the mirror relationship Laura-
lauro, which is to say, the poetic lady created by the poet, who in turn creates him as poet
laureate. This circularity forecloses all referentiality and in its self-contained dynamism
resembles the inner life of the Trinity as the Church fathers imagined it. One could scar-
cely suppose a greater autonomy.This poetic strategy corresponds, in the theological or-
der, to the sin of idolatry».
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Suggerito da Plinio (Nat. Hist. II, 56, 146 e XV, 135), Sve-
tonio (Tiberius LXIX)158 e Isidoro (Etymol. XVII, VII, 2-3), il
motivo è più volte sviluppato all’interno dei Fragmenta: cfr. al-
meno RVF 24, 1-2 («Se l’onorata fronde che prescrive | l’ira
del ciel, quando ’l gran Giove tona»); 29, 46-49 («[...] e come
in lauro foglia | conserva verde il pregio d’onestade, | ove non
spira folgore, né indegno | vento mai l’aggrave»); 60, 12-13
(«Né poeta ne colga mai, né Giove | la privilegi [...]»); 113, 5-
6 («Qui son securo; e vo’vi dir perch’io | non come soglio il
folgorar pavento»); 142, 12 («ma de la pianta più gradita in cie-
lo»). Esso è poi ripreso da Petrarca in altri luoghi della sua pro-
duzione letteraria.159 Frequente è anche l’impiego di tale con-
158 Nel codice Lat. fol. 337 della Staatsbibliothek di Berlino, accanto a questo
passaggio di Svetonio (f. 21 vb: «Tonitrua tamen expavescebat extra modum et turba-
tiore celo numquam non coronam lauream capite gestum, quod fulmine afflari nege-
tur id genus frondis») Petrarca ha riportato la postilla «Laurea» (cfr. GIUSEPPE BILLA-
NOVICH, Uno Svetonio del Petrarca, in ID., Petrarca e il primo umanesimo, Padova, Anteno-
re, 1996, pp. 251-261, cit. a p. 257).
159 Cfr. Coll. laur. 11, 19 [«Tertia et ultima harum proprietatum est quia, ut inter
omnes convenit, qui de naturis rerum scripserunt, arbor hec non fulminatur – ma-
gnum et insignem privilegium –; et hec quoque, ut, sicut incepimus, usque in finem
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procedamus, occultior cerimonie causa fuit ut arbor [...] quod est enim in rebus hu-
manis violentius fulmen quam temporis diuturnitas, omnia consumens et opera et res
mortalium et famam»]; Epyst. I, 10, 116-122 [«Tu michi fasciculum iubeas, pater in-
clite, ferri | Frondis apollinee, namque istos pulcra per agros | (Tam longinquus amans
hunc non terit ethera curru) | Laurea nulla viret, cuius iacuisse sub umbra | Dulce
sit, aut gremio caras abscondere frondes, | Aut ramum tenuisse manu, dum fulminat
ingens | Iupiter, et celo clipeum monstrasse furenti»]; Secr. III, 248 [«Si michi igitur
exprobrasses quod adversus fulminis fragorem timidior sim, quia id negare non pos-
sem (est enim hec michi non ultima causa lauri diligende quod arborem hanc non ful-
minari traditur), respondissem Augustum Cesarem eodem morbo laborasse]; Afr. 9,
117-119 («Preterea hanc frondem rapido non fulmine vexat | Iupiter ex cuntis, ta-
lemque meretur honorem | Laurus [...]»); Buc. Carm. 3, 77-79 («Te vates magnique
duces, te Jupiter altus | Diligit, ac iaculo refugit violare trisulco, | Quo ferit omne ne-
mus [...]»), e 10, 362-363 («Hanc, superum rapido dum fulmine rex quantit orbem, |
Liquerat intactam, solio veneratus ab alto»).
160 GIOVAN BATTISTA PITTONI, Imprese nobili, et ingeniose di diuersi prencipi, et d’al-
tri personaggi illustri, Venezia, Porro, 1578, p. 24; CAMERARIUS, Symbolorum et emblema-
tum centuriae tres, cit., libro I, 35, cc. 45r-45v (INTACTA VIRTVS, con iconografia mini-
mamente variata che presenta un solo albero e fiumi che piovono a lato d’esso). Per
un’inquadratura critica del motivo nell’ambito della letteratura emblematica si veda
WILLIAM S. HECKSCHER, Andrea Alciati’s Laurel Tree and its Symbolic Traditions, «Emble-
matica», VI (1992), 2, pp. 207-218.
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167 Il Codice Orsini-Da Costa delle Rime e dei Trionfi di Francesco Petrarca integral-
mente riprodotto in fotoincisione e tricromia con ventisette miniature e otto tavole aureo-purpu-
ree più tre facsimili dei codici Vaticani 3195, 3196, 3197, a cura di DOMENICO CIAMPOLI,
Roma, Danesi, 1904. Per una puntuale ricostruzione della vicenda editoriale, nonché
una precisa descrizione del codice newyorkese, si ricorra a GEMMA GUERRINI, Fatti e
misfatti su un manoscritto dei Trionfi (New York, Morgan Library, ms. M.427), «Scrineum.
Saggi e materiali on line di scienze del documento e del libro medievale»,VII (2010),
accessibile al sito internet http://scrineum.unipv.it/rivista/7-2010/guerrini.pdf (url
consultato il 27 aprile 2012).
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168 FURIO BRUGNOLO, Il «Desio che seco non s’accorda»: sintonie, rispecchiamenti e
fraintendimenti (RVF 41-50), in Il Canzoniere. Lettura micro e macrotestuale, cit., pp. 115-
140, cit. a p. 130. Sulla connessione tra i quattro fragmenta insiste anche ROSANNA BET-
TARINI, Esperienze d’un commentatore petrarchesco, in Il commento ai testi. Atti del Semina-
rio di Ascona (2-9 ottobre 1989), a cura di OTTAVIO BESOMI e CARLO CARUSO, Ba-
sel, Birkhäuser Verlag, 1992, pp. 235-263, in part. pp. 237-244.
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menti non oscura però, anzi esalta, le opposizioni fra essi rinve-
nibili, a illustrare un preciso articolarsi della vicenda intorno a
una difficoltosa esperienza di visione. Quando Febo «ved’altrove»
vòlta «la sua cara amica», lascia la terra, il mare e tutti «noi» in balìa
dell’«aspre saette» di Giove e del «turbato» di Eolo. Non appena
però Laura sembra concedere «sue bellezze nove» al «bel guardo
d’Apollo», ogni elemento «par» rasserenarsi. Si tratta invece del
rinnovarsi di un’illusione, e il vano guardare del «figliuol di La-
tona» (che «avea già nove | volte guardato dal balcon sovrano», e
«cercando stanco» «non vide il viso») sfuma nuovamente in un
oscuramento cosmico («però l’aere ritenne il primo stato»). Per
evidenziare, contrastivamente, le peculiarità dell’espressione em-
blematica di Baltimore, possiamo prima mostrare come il com-
mento visivo dell’incunabolo queriniano G.V.15 scandisca con
precisione i momenti della narrazione.
A fianco del primo sonetto, sul margine esterno della carta, si
distende un’illustrazione che nel registro superiore mostra le con-
seguenze meteorologiche dell’assenza di Laura («or tona, or nevi-
ca e or piove») e, in quello inferiore,Vulcano che forgia le saette
infuocate di Giove. Nella continuazione del margine abbiamo la
traduzione visiva dei principali attori del fragmentum 42, ossia
Apollo-sole, Laura e il poeta-agens (raffigurato simbolicamente
come un libro rosso colpito da una freccia e abitato da un ser-
pente). Sul margine esterno della carta successiva, in perfetta cor-
rispondenza col blocco testuale del terzo componimento, l’ultima
illustrazione sintetizza l’esito della vicenda attraverso le immagini
dell’oscuramento del sole e del ritorno del maltempo che afflig-
ge il lauro (fig. 50). Comune ai tre quadri è un dettaglio iconico:
una finestra, che in due illustrazioni ospita Laura còlta a mezzo-
busto prima di profilo e poi frontalmente, e che nella terza resta
inesorabilmente vuota.169 Bucando prospetticamente la bidimen-
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ga qui peraltro una strategia illustrativa che caratterizza l’intera operazione cultura-
le di Grifo; cfr. a proposito GIOVANNA ZAGANELLI, Dal ‘Canzoniere’ del Petrarca al
Canzoniere di Antonio Grifo: percorsi metatestuali, Perugia, Guerra, 2000, p. 27: «Segna-
li di narrazione, in questo senso, sono presenti (o piuttosto individuabili) anche nel
flusso di continuità che il Grifo riesce a creare tra i componimenti, strutturando una
sorta di rete intertestuale attraverso procedimenti di diverso tipo: mediante la ripe-
tizione di elementi iconici significativi (i quali rinforzano i motivi tematici) e il lo-
ro posizionamento in luoghi testuali strategici. Ad esempio alla fine di un compo-
nimento e all’inizio del successivo, quasi a eliminare lo spazio bianco tra un com-
ponimento e l’altro; o ancora lateralmente, di fianco ai versi con il risultato di crea-
re (ciò accade frequentemente) una linea in cui l’occhio possa scorrere orizzontal-
mente passando dalla illustrazione al componimento in maniera quasi “naturalmen-
te” automatica».
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170 Lo stesso movimento si riscontra anche sul margine di carta 37v – a com-
mento visivo di RVF 86 (Io avrò sempre in odio la fenestra) – dove però il libro aperto è
bersagliato da una pioggia di frecce provenienti da una finestra con sfondo scuro (coe-
rente con la tonalità ‘negativa’ del sonetto illustrato).
171 Cfr. a questo proposito PHILIPPE HAMON, La letteratura, la linea, il punto, il pia-
no, in Cultura visuale. Paradigmi a confronto, a cura di ROBERTA COGLITORE, Palermo,
duepuntiedizioni, 2008, pp. 63-80, in part. p. 70: «L’inquadratura e la geometrizzazio-
ne di ciò che è inquadrato polarizzano e attirano l’attenzione del lettore sull’oggetto
descritto, creano un effetto di composizione logica (a beneficio dell’autore e della sua
padronanza dei sistemi descrittivi), mettono in rilievo il soggetto della visione (il per-
sonaggio che la prende in carico) come origine e mezzo di questa visione, attraverso
il lessico della geometria fanno riferimento indiretto alla pittura (plus-valore supple-
mentare) e organizzano, distribuendolo razionalmente, il reale rappresentato».
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Fig. 51. FRANCESCO PETRARCA, Canzoniere, Venezia, Vindelin da Spira, 1470, c. 41r.
Brescia, Biblioteca Queriniana, Inc. G.V.15.
172 Cfr. GIORGIO BERTONE, Lo sguardo escluso. L’idea di paesaggio nella letteratura oc-
cidentale, Novara, Interlinea, 2000, p. 140, n. 9: «Quanto alla finestra, essa poi acquista
pure valore autonomo: non più metafora degli occhi [...] , ma strumento essenziale per
guardare il mondo o per incorniciare, alla moderna, il ritratto di Madonna. Insomma
conquista di un criterio di divisione per cui la cornice riquadrata è parametro spazia-
le, ottico: e simbolo».
173 Esemplarmente indagato e illustrato in SABRINA STROPPA, Composizione di
luogo con donna che pensa. Lettura di Rvf 100, «Per leggere», VIII (2008), 14, pp. 5-24.
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174 La logica rappresentativa che presiede questo sistema simbolico è spiegata, per
quanto concerne il dettato petrarchesco, in STEFANO AGOSTI, Gli occhi le chiome. Per
una lettura psicoanalitica del Canzoniere di Petrarca, Milano, Feltrinelli, 1993, p. 12: «[...] la
rappresentazione della finestra vuota, in quanto elemento “vuoto” che si oppone a tut-
ti gli altri pieni del testo, corrisponde semplicemente alla designazione della mancan-
za simbolica, della mancanza allo stato puro. In altre parole, è la casella vuota (diciamo,
il jolly del mazzo di carte) che, in quanto tale e solo in quanto tale, può liberare i pro-
cessi di sostituzione di cui danno atto tutte le altre caselle. È il termine a quo che con-
sente la produzione di rappresentazioni che con la realtà esterna non hanno niente a
che fare, ma che hanno tutto a che fare con la realtà interna: la sola realtà del Sogget-
to, che condiziona l’altra e vi imprime il suo marchio, la sola realtà del Canzoniere».
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175 Cfr. CHIAPPELLI, Studi sul linguaggio del Petrarca, cit., p. 117: «Una delle più
istruttive nozioni che risultano dall’esame di queste varianti è che nel mondo poeti-
co petrarchesco non è Laura ad adattarsi passivamente alle diverse figure simboliche
nel processo inventivo, anche se nel prodotto finale esse corrispondono ad incarna-
zioni; il processo inventivo mostra che quel complesso di idee, sentimenti e immagi-
ni che è Laura infonde i suoi singoli caratteri reali alla fenice, al lauro, etc. dando loro
progressivamente forma e vita, ed evitando sempre l’espediente semplificatorio della
applicazione esornativa».
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179 Per il nostro specifico caso, tra le prime andrà sicuramente ricordato ORA-
ZIO, Carmina IV, 6, 9-11 («Ille, mordaci velut icta ferro | pinus aut impulsa cupres-
sus Euro, | procidit late [...]»), e tra le seconde almeno quelle rinvenibili nel codice
ginevrino Bodmer 130 (f. 107v) e nel berlinese Phillips 1926 (f. 21r, quest’ultimo
riprodotto nella fig. 52). A queste possiamo poi accostare anche l’impresa di «un ar-
bore di pino percosso, e spezzato dal fulmine» ricordata da Girolamo Ruscelli nel
quadro proprio di un discorso simbolico di tema amoroso e di memoria petrarche-
sca: «Onde si può congetturare che ritrovandosi lui forse altamente ingannato di
qualche sua principale speranza dalla sua Donna, riducesse con molta leggiadria a
forma d’impresa quello del Petrarca, Allor che fulminato e morto giacque | Il mio sperar,
che troppo alto montava. Ma perché poi non potendosi rimaner di farle servitù, par che
gli fusse detto da lei che egli male si ricordava della sentenza del divino Ariosto, Che
l’amar senza speme è sogno, e ciancia. Et che essendo del tutto morta la speranza in lui,
se gli conveniva d’uccider parimente il desiderio, egli in un tempo levò quest’altre
due vaghissime imprese [...]» (RUSCELLI, Le imprese illustri, cit., p. 454). Sull’interfe-
renza fra questi tre testi di Petrarca, còlta nel quadro complessivo della poetica pe-
trarchesca (e del suo inesauto dialogo umanistico coi classici), si ricorra a: MICHELE
FEO, Il sogno di Cerere e la morte del lauro petrarchesco, in Il Petrarca ad Arquà. Atti del
Convegno di studi nel VI Centenario (1370-1374), a cura di GIUSEPPE BILLANOVI-
CH e GIUSEPPE FRASSO, Padova, Antenore, 1975, pp. 117-148; e (anche per una ras-
segna della bibliografia critica) a MICHELANGELO PICONE, Morte e temporanea rinasci-
ta dei miti dell’eros (RVF 321-30), in Il Canzoniere. Lettura micro e macrotestuale, cit., pp.
701-723, in part. pp. 714-716. Sul fragmentum 318 si veda, nello specifico, ANTONIO
DANIELE, Lettura del sonetto petrarchesco «Al cader d’una pianta che si svelse», «Revue des
études italiennes», XXIX (1983), pp. 42-57.
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180 Cfr. SARA STURM-MADDOX, Petrarch’s Metamorphoses. Text and subtext in the
Rime sparse, Columbia, University of Missouri Press, 1985, p. 35: «If Laura dies, the
laurel of course remains; as it had been an eternal remainder of Apollo’s love for the
transformed nymph Daphne, so it continually recalls the Italian poet’s lost Laura. But
it acquires a new function. As a symbol in Petrarch’s classical source of poetic fame, it
receives in part 2 of the Rime a moralizing Christian interpretation that owes less to
Ovid than to his later commentators. In his allegorical transformation of the pagan
laurel into a Christian symbol of virtue, Petrarch followed the precedent of a rich me-
dieval exegetical tradition, of a proliferation of glosses, the story of a Daphne’s flight
from Apollo was a favored text, and prominent among the multiple interpretations of
her transformation into the laurel was that of exemplarity chastity: the laurel signifies
virginity in that it is ever live and redolent [...]».
181 Cfr. STURM-MADDOX, Petrarch’s Laurel, cit., pp. 25-26. Ma si vedano anche
GIUSEPPE MAZZOTTA, The “Canzoniere” and the Language of the Self, «Studies in Philo-
logy», LXXV (1978), pp. 271-296, e NANCY VICKERS, Scattered Woman and Scattered
Rhyme, «Critical Inquiry», VIII (1981), 2, pp. 265-279.
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Fig. 56. FRANCESCO PETRARCA, Canzoniere, Venezia, Vindelin da Spira, 1470, c. 102v.
Brescia, Biblioteca Queriniana, Inc. G.V.15.
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lisi, dal momento che nel suo dialogo con TC III, 129 propo-
ne la determinante correzione, il radicale cambio di prospetti-
va, rispetto all’immagine lì delineata. L’amante potrà finalmen-
te congiungersi all’oggetto del proprio desiderio solo se accet-
terà di sostituire l’intermediario del loro rapporto, solo se allo
scorticamento doloroso ma sterile di Amore preferirà lo scor-
poramento definitivo realizzato dal giorno ultimo e primo. E
ciò vale per il protagonista dei Triumphi (o per l’agens del Can-
zoniere), così come per tutti quegli «altri», già peraltro con-
templati dallo stesso Petrarca, che costituiscono i fruitori po-
tenziali di ogni elaborazione simbolica e moralistica della poe-
sia petrarchesca. Sotto questo differente punto di vista potreb-
be acquistare senso anche la dispositio del dittico impresistico di
Cuomo che inverte l’ordine dei versi trionfali. Solo lo svuota-
mento del corpo vegetale, il suo totale smembramento terre-
no (impresa 14), può infatti preluderne una rinascita spiritua-
le e consentirgli con rinnovato vigore di opporre i pur preca-
ri «ardir» e «forza» alla violenza delle passioni (impresa 40).
Ma è all’interpretazione del significato dell’emblema di
Baltimore che l’effettuata (e arbitraria) connessione tra TC III
127-129, RVF 278 e Cento imprese sembra inaspettatamente of-
frire un importante sostegno. E lo fa, una volta ampliato di
un’altra unità il lotto dei propri componenti. L’ascensione di
Laura è infatti ricordata, con pieno dispiegamento del sottote-
sto evangelico, anche nel sonetto 301. Solo per inciso, una cu-
riosità, anzi due. Al margine di questo fragmentum l’incunabo-
lo queriniano illustra l’avvenuta liberazione di Laura dal carce-
re terreno attraverso la scissione tra le componenti del suo
elettivo figurante vegetale: una pianta secca di alloro fa infatti
compagnia all’amante-libro in terra, mentre in cielo si staglia il
solito mazzo di foglie verdi (fig. 57). Il verso 8 «Ove Amor per
usanza ancor mi mena», icastica sintesi dell’intero testo, è inve-
ce adottato da Cuomo come motto dell’impresa 18 (fig. 58).
Ma torniamo al dettato petrarchesco. In questo sonetto di ri-
membranza Petrarca ripercorre con la mente tutti luoghi abi-
tualmente visitati dall’amata, riconoscendo in essi le vive trac-
ce della sua passata presenza («l’usate forme») e confrontando
queste tracce col doloroso svuotamento indotto in lui dalla di-
partita della donna. La sua esistenza – simile a quella di un con-
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Fig. 57. FRANCESCO PETRARCA, Canzoniere, Venezia, Vindelin da Spira, 1470, c. 108r.
Brescia, Biblioteca Queriniana, Inc. G.V.15.
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Tav. 15
182 Cfr. PICINELLI, Mondo simbolico, cit., III, 18, p. 80: «Sì come dunque il volto di
Medusa rendeva gli huomini stupidi, e gli cangiava in pietre, così la voluttà e bellezza
sensuale toglie ogni sentore così della virtù come della divozione, ed anco della ra-
gionevolezza, e lascia gli huomini quasi che disanimati».
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185 Cfr. NORBERT JONARD, I miti dell’Eros nel «Canzoniere» del Petrarca, «Lettere
italiane», XXXIV (1982), pp. 449-465, in part. pp. 455-456: «In tal modo, l’amante per-
de la sua qualità d’uomo per appartenere al regno minerale, cosa che gli permette di
sfuggire al dolore d’amare. È una soluzione di fuga di fronte all’angoscia che nasce dal-
l’alienazione amorosa. Così, si tratti della paura o del desiderio di essere pietrificato, è
sempre la stessa apprensione di fronte alla donna amata che sottende il mito meduseo,
la stessa manifestazione dell’Eros tendente al possesso nello stesso tempo in cui lo te-
me. Questa apparente contraddizione, legata alla figura di Medusa, può spiegarsi con
l’interpretazione che Freud dà del mito. Egli vede nella testa di Medusa ad un tempo
il simbolo della castrazione – da ciò lo spavento ch’essa provoca – e dell’erezione – e
quindi, la pietrificazione che permette di preservarsene. Immagine del desiderio, la
Medusa è dunque oggetto di sentimenti ambivalenti. Essa è nel contempo la donna
bramata e la donna temuta. Ne risulta una separazione tra il desiderio ed il godimen-
to: da un lato, c’è l’angoscia provocata dall’impossibilità di raggiungere il godimento
che contrasta sempre con la freddezza della donna amata; dall’altro, il rifugio contro
l’angoscia rappresentato dalla metamorfosi desiderabile».
186 Cfr. GORDON BRADEN, Petrarchan love and the continental Renaissance, New
Haven, Yale University Press, 1999, p. 24: «For the petrarchan lover is not merely the
frustrated lover but to a new degree the paralyzed lover, incapable not only of satisfy-
ing but even of acting on his desire. The mythic version of this impotence identifies
Laura with Medusa, whose mere visage is catastrophically debilitating».
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187 Cfr. KENELM FOSTER O.P., Beatrice o Medusa, Milano, Lampi di stampa, 2004
(I ed. ingl. 1962), p. 23: «Qui è Laura che è indicata; una Laura sotto un aspetto parti-
colare e, rispetto alla religione, sotto un aspetto pericoloso: l’aspetto della sua possibi-
lità di essere paragonata a Dio».
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Fig. 59. GILLES CORROZET, Hecatomgraphie, Paris, Denis Janot, 1540, p. 10.
188 Cfr. GILLES CORROZET, Hecatomgraphie, Paris, Denis Janot, 1540, pp. 10-11.
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Tav. 16
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191 Si cita il passaggio di Aresi secondo l’epitome che ne fornisce PICINELLI, Mon-
do simbolico, cit., V, 22, p. 172. Picinelli ricorda anche che: «Rapportano i Naturalisti
che mentre l’elefante dorme appoggiato all’albero, il dragone insidiosamente lo mor-
de; e suggendogli il sangue, l’astringe alla caduta, ed alla morte. Ma cadendo addosso
a quel mostro, col suo peso lo schiaccia, e l’uccide. A questo corpo d’impresa Barto-
lomeo Rossi soprascrisse VICTOREM VINCO, alludendo alla vittoria che Cristo, moren-
do, ottenne della morte e del demonio».
192 FERRO, Teatro d’imprese, cit., le citazioni riportate si trovano alle pp. 295-297.
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193 Il segno grafico può in un certo senso essere accostato alle maniculae che tro-
viamo nelle pagine dell’incunabolo queriniano G.V.15 a segnalare quasi sempre versi
di evidente spendibilità gnomica. Ovviamente nell’aldina di Chatsworth è ben più
evidente, anzi indiscutibile, il trait d’union che esso crea tra vignetta e verso.
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Fig. 62. Le cose volgari di Francesco Petrarca, Venezia, Aldo Manuzio, 1514, c. 6r.
Devonshire Collection, Chatsworth.
Fig. 63. Le cose volgari di Francesco Petrarca, Venezia, Aldo Manuzio, 1514, c. 4v.
Devonshire Collection, Chatsworth.
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CONSUMETUR NEQUITIA
Tav. 17
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194 Cfr. DENNIS DUTSCHKE, Census of Petrarch manuscripts in the United States,
Padova, Antenore, 1986, p. 47.
195 Diverse imprese accommodate a diuerse moralità, con versi che i loro significati dichia-
rano insieme con molte altre nella lingua italiana non piu tradotte. Tratte da gli Emblemi del-
l’ALCIATO, Lyon, Rouille, 1551, p. 102.
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CONSUMETUR NEQUITIA
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CONSUMETUR NEQUITIA
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199 FERRO, Teatro d’imprese, cit., p. 437. Sul concettismo si veda anche RUSCELLI,
Le imprese illustri, cit., pp. 277-278.
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CONSUMETUR NEQUITIA
200 GIULIO CESARE CAPACCIO, Trattato delle imprese, Napoli, Carlino e Pace, 1592,
II, cc. 12r-v.
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CONSUMETUR NEQUITIA
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Tav. 18
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203 Alla realizzazione della stampa zattiana del 1756 presiede un nutrito team di ar-
tisti: per i disegni preparatori, Francesco Fontebasso, Giovanni Battista Moretti, Gaetano
Zompini, Giovanni Magnini e Michelangelo Schiavoni; per le incisioni, oltre ai già ci-
tati Zompini e Magnini, anche Giovanni Cattini, Bartolomeo Crivellari, Giovanni Bat-
tista Brustolon e Giacomo Antonio Leonardis. Le tavole dei disegni e delle incisioni,
nonché le relative didascalie, sono state riproposte con puntuali analisi storico-artistiche
nel volume di GIACOMELLO-NODARI, Le Rime del Petrarca. Un’edizione illustrata del Set-
tecento, cit.: le illustrazioni e la didascalia del fragmentum 272 compaiono alla p. 161.
204 Si veda l’intensa e approfondita lectura di SABRINA STROPPA, «Quid vides?». La can-
zone delle visioni e Ugo di San Vittore, «Lettere italiane», LIX (2007), 2, pp. 153-186, in part.
pp. 160-161: «Se “vedere” appartiene alla sfera passiva della ricezione delle immagini dal-
l’esterno,“mirar” indica invece la fase attiva della phantasia che ‘guarda’ e rielabora, e “m’ap-
parve” apre alla subitanea irruzione di un oggetto nel campo visivo, che colpisce un’atten-
zione già segnata dalla stanchezza catturandola appieno. La “fenestra” del v. 1 si pone così
come medium necessario di quel vedere: è la cornice della visione, il mezzo con cui gli og-
getti rientrano di volta in volta in un “quadro” compositivo e percettivo. L’invenzione pe-
trarchesca avrà conseguenze incalcolabili per l’idea stessa di paesaggio nella lirica occiden-
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Fig. 70. Le Rime del Petrarca brevemente esposte per Lodovico Castelvetro,
Venezia, Zatta, 1756.
Fig. 71. FRANCESCO PETRARCA, Canzoniere, Venezia, Vindelin da Spira, 1470, c. 114r.
Brescia, Biblioteca Queriniana, Inc. G.V.15.
tale, o meglio di “paesaggio intellettuale”, la cui percezione è forgiata dalla disciplina degli
organi sensoriali: la vista non è organo solo recettivo, ma crea l’oggetto organizzandolo en-
tro la sua cornice. La linea che segna i confini della visione – il quadro, limitante e illimi-
tato, della “fenestra” a cui il poeta si affaccia – e anche quella che la fa, propriamente, esi-
stere». Su RVF 323 cfr. ovviamente anche: CHIAPPELLI, Studi sul linguaggio del Petrarca, cit.;
MARCO SANTAGATA, Il naufragio dei simboli (Rvf 323), «Cenobio», XLI (1992), pp. 133-151;
e BORTOLO MARTINELLI, Veduta con naufragio: Rerum Vulgarium Fragmenta CCCXXIII, 13-
24, «Italianistica», XXI (1992), 2-3, pp. 511-535.
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207 Cfr. LUTZ S. MALKE, La metafora della nave nella poesia e nelle arti figurative ro-
manze. Da Petrarca a Magritte, «Atti e Memorie della Accademia Petrarca di Lettere, Ar-
ti e Scienze», LXVII-LXVIII (2005-2006), pp. 195-234, in part. a p. 205: «Le due fi-
gure dei fogli 14v e 15r illustrano rispettivamente una nave che procede nel mare cal-
mo a gonfie vele e, successivamente, la stessa nave, con i tre alberi spezzati e semi-
sommersa dalle acque in tempesta, mentre sta affondando. Le due situazioni vengono
efficacemente evidenziate dalle due diverse cornici ambientali che permettono un’e-
satta percezione dei due opposti agenti atmosferici». Del codice è stata realizzata un’e-
dizione anastatica corredata da saggi critici; per la nostra indagine è soprattutto inte-
ressante il contributo di ANNE-MARIE LECOQ, Le ms. Phill. 1926 et les emblèmes, in Le
six triumphes et les six visions Messire Francoys Petracque, Reichert Verlag, Wiesbaden,
1988, pp. 90-130.
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209 Cfr. MICHAEL BATH, Verse Form and Pictorial Space in Van der Noot’s Theatre
for Worldlings, in Word and Visual Imagination. Studies in the Interaction of English Litera-
ture and the Visual Arts, a cura di KARL J. HÖLTGEN, PETER M. DALY e WOLFGANG LOT-
TES, Erlangen, Erlangen Forschungen, 1988, pp. 73-105, in part. a p. 85: «Moreove, if
we are looking for a model for the type of space-coding for temporal sequence whi-
ch we have described in the Van der Noot illustrations, in which the succession of pa-
st and present events (in this case worldly glory followed by worldly vanity) is depic-
ted in the same frame, as foreground and background motifs, we have to look no
further than the illustrated Aesops. A good example would be the fable of the stag and
reflection, which tells how a stag grew exceedingly proud of its fine antlers when it
glimpsed them reflected in a fountain whilst drinking. [...] To read this picture accu-
rately, we need to realise that there are not two stags, but one, shown at different sta-
ges of a narrative which illustrates the sequence of hubris and peripeteia, or fable and
moral. The same is true of each of the Theatre illustrations [...]».
210 Cfr. The English Emblem Tradition, a cura di PETER M. DALY, Toronto-Buffa-
lo-London, University of Toronto Press, 1988, vol. I, pp. 8-13, per il nostro emblema
cfr. p. 9. Su quest’opera si veda anche il contributo recente di PAUL J. SMITH, Petrarch
Translated and Illustrated in Jan van der Noot’s Theatre, in Petrarch and his Readers in the
Renaissance, a cura di KARL A.E. ENENKEL e JAN PAPY, Leiden-Boston, Brill, 2006, pp.
289-326; a p. 318, sulla scorta di dettagli iconografici, lo studioso prende posizione sul
quadro genealogico dei vari cicli illustrativi: «On the basis of these facts it seems logi-
cal to suggest two hypotheses: either the Berlin manuscript was manufactured
between the Glasgow manuscript and the printed illustrations, or the Berlin manu-
script is posterior both to the Glasgow manuscript and the printed illustrations. In this
last case the painter of the Berlin manuscript had as a second model one of the prin-
ted versions of the Theatre, the first model, of course, being the Glasgow manuscript.
This last hypothesis seems the best [...]».
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213 Cfr. BARTUSCHAT, Il ritratto di Laura (RVF 76-80), cit., p. 210: «Come noto, le
nove sestine del Canzoniere si articolano in tre gruppi di tre componimenti. Le pri-
me tre (22, 30, 66) sono di stampo arnaldiano e dantesco, impregnate da una forte sen-
sualità e espressione di una disperata passione erotica; le tre sestine centrali (80, 142,
214) sono poesie d’ispirazione morale e penitenziale, mentre le tre ultime sestine (237,
239, e la doppia 332) costituiscono un ritorno alla prospettiva del primo gruppo (ri-
torno segnalato dalle numerose corrispondenze tra la 237 e la prima sestina 22). La se-
stina 80 apre quindi questo secondo ciclo di sestine che è di notevole importanza an-
che per la storia redazionale del Canzoniere poiché la sestina 142, racconto di una cri-
si spirituale, chiudeva la prima parte della redazione Correggio in cui precedeva im-
mediatamente la canz. 264».
214 GABRIELE FRASCA, La furia della sintassi. La sestina in Italia, Napoli, Bibliopo-
lis, 1992, in part. p. 279: «L’intera strutturazione logico-sintattica risente dello stravol-
gimento delle tematiche proprie della forma: qui Petrarca abbandona (ed è una mu-
tazione radicale) il primato ipotattico delle stanze dantesche, così come l’oscillazione
temporale all’interno del mondo commentato. Il trionfo dei tempi narrativi s’accom-
pagna alla decurtazione del futuro, cui si sostituiscono le forme verbali della preghie-
ra (4 presenti congiuntivi e addirittura, nel congedo, un imperativo)».
215 ANDREA PULEGA, Da Argo alla nave d’amore: contributo alla storia di una metafo-
ra, Firenze, La Nuova Italia, 1989, in part. p. 105; «Anche il solo esame della parola-ri-
ma vita ci consente di concludere che [...] un ampio arco semantico è stato percorso:
dal significato di “esistenza dell’uomo in generale” (oggettivazione, propria della I stro-
fa) a quello di amorosa vita come fatto positivo e negativo insieme del poeta (soggetti-
vizzazione, propria della II strofa); dalla sintagmatica referenzialità a Dio stesso (nella
III strofa) alla emblematizzazione della croce come insegna dell’altra vita (nella IV stro-
fa); dalla eticizzazione di poca vita della V strofa a quella di usata vita della VI che, en-
trambe, rappresentano la fondamentale autoaccusa petrarchesca in ordine alla propria
scarsa volontà, cioè alla propria abituale accidia».
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216 FRASCA, La furia della sintassi. La sestina in Italia, cit., p. 280: «All’interno del-
l’isotopia metaforica centrale (ESISTENZA TERRENA = CONDUZIONE DI UNA NAVE), si
può reperire per ogni parola-rima un significato privilegiato (che, naturalmente, non
è l’unico), così che legno vale ‘corpo’ (ed è dunque la fragilità della materia), vela indi-
ca le ‘spinte della volizione’ (il libero arbitrio, si potrebbe dire), scogli sono inevitabil-
mente i ‘peccati’ e porto la ‘retta conduzione dell’esistenza’, se non addirittura la ‘sal-
vezza eterna’». Alla nota 40 di p. 294 Frasca riporta alcune testimonianze della fortu-
na quattro-cinquecentesca di RVF 80 come modello di sestina morale, fra le quali va-
le almeno la pena di ricordare Crudele stella, anzi crudele arbitrio di Michelangelo, per la
quale cfr. ivi p. 343: «Le tematiche sono dunque debitrici, a ben vedere, dalle sestine
petrarchesche dichiaratamente ‘morali’: da un lato la fortunata allegoria del vano legno
(v. 6) è chiaramente desunta da Chi è fermato (dei cui relitti lessicali, a partire dalle stes-
se parole-rima legno e vela, la sestina è tutta intessuta; né andrà dimenticato dai vv. 13-
14 della sestina del Canzoniere, “chiuso gran tempo in questo cieco legno / errai”, so-
prattutto se si analizza la sua prima occorrenza al v. 5: “ond’io errando e vagabondan-
do andai”); [...]».
217 Questa è la didascalia di commento all’emblema 18: «La sopra scritta meda-
glia può servire a diversi suggetti: può dire ch’egli ha più favore che non vuole, ch’e-
gli ha più desio che forza, et altre cose che l’huomo se ne potrà accomodare, inferen-
do a un fine sopra scritto; il verso è tolto dal Petrarca».
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218 PETRARCA, Secretum, I, p. 114 («Fr. Consulte; neque enim aut pluribus res
egebat aut aliud quodlibet in pectus hoc profundius descendisset; eo presertim quia,
licet per maximis intervallis, quanta inter naufragum et portus tuta tenentem, inter-
que felicem et miserum esse solent, quale quale tamen inter procellas meas fluctua-
tionis tue vestigium recognosco»); e p. 132 («Fr. [...] Et ego, in mari magno sevoque
ac turbido iactatus, tremulam cimbam fatiscentemque et rimosam ventis obluctanti-
bus per tumidos fluctus ago. Hanc diu durare non posse certe scio nullamque spem
salutis superesse michi video, nisi miseratus Omnipotens prebeat ut gubernaculum
summa vi flectens antequam peream litus apprehendam, qui in pelago vixerim mo-
riturus in portu»).
219 DOMINIQUE DIANI, Canzoniere 132, «Révue des études italiennes», n.s.,
XVIII (1972), pp. 111-165, a p. 159: «Le port est de son côté un noyau fondamental
au même niveau que la barque et la mer; à l’antithèse port-navigation et port-tempê-
te qui inciterait à mettre porto au niveau des éléments secondaires tels que venti ou sco-
gli, s’ajoutent en effet des antithèses telles que port-chemin. Une image de ce type est
toujours, et dans les conxtes les plus divers, explicitée par Pétrarque (ici les aperta ver-
ba : saver-error), qu’il l’emploie pour signifier l’opposition entre amour et paix de l’âme,
entre vie du monde et asiles ou ailleurs désirés, entre luxure et continence».
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220 Cfr. MARIANNE SHAPIRO, Hieroglyph of Time. The Petrarchan Sestina, Min-
neapolis, University of Minesota Press, 1980, in part. pp. 212-213: «The policing of the
will would culminate in centrality and repose, yet the poem is motivated by the in-
flated sail of enamorment. Against the indexical “insegne di quell’altra vita” (strophe
IV) it describes an icon of desire. “L’aura soave”, metamorphosed to a violent wind,
causes both the body-ship’s deviation from its appointed course and the excess full-
ness that produces the poem. Now the verbal correlate of Laura is revealed as a trans-
forming agent, messenger between the members of Petrarch’s duality. [...] The parono-
masia on Laura’s name exists to revivify, metonymically, the ship-allegory. Laura’s in-
trusion into the store of texts internalized by Petrarch transforms the nautical dis-
course contextually, hence metonymically, refreshing the senescent connections of its
meaning».
221 Cfr. RAFFAELLA PELOSINI, Il sistema-sestine nel Canzoniere (e altre isotopie di
Laura), «Critica del testo», I (1998), 2, pp. 665-721, in part. pp. 697-699 e 702-703: «Tra
tutti, il contesto più utilizzato in cui compaia il lemma “vento” è quello della naviga-
zione, che, inserito in componimenti in cui prevalgono riflessioni gnomiche e mora-
li e privo di agganci espliciti con momenti della narrazione, è impiegato da Petrarca
come allegoria della vita, e principalmente, come si vedrà, della vita amorosa. [...]. È
dunque nella sestina 80, tutta ampiamente incentrata sull’allegoria della navigazione,
che, per la prima volta in questa analisi, il vento denota, in virtù delle precise corri-
spondenze descritte con la sestina 66, la donna amata, Laura, già d’altra parte evocata
al v. 7 della medesima sestina tramite l’isotopia dell’aura. [...] Questa schematica anali-
si dei significati assunti dal lemma “vento” nell’intero Libro petrarchesco porta innan-
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zitutto a concludere che in soli due luoghi – rispettivamente della sestina 66, v. 32 e
della sestina 80, v. 30, le cui relazioni stilistiche e lessicali d’altra parte sono state sopra
descritte, “vento” costituisce l’isotopia semantica del personaggio femminile del Can-
zoniere. In tutti gli altri casi, sebbene si verifichi un rapporto di contiguità con Laura,
non pare possibile instaurare una completa sovrapposizione semantica tra il “vento” e
la donna amata».
222 FULCO, Lezioni sul Canzoniere, cit., p. 203.
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223 ANDREA ALCIATI, Emblemata, Augsburg, Steyner, 1531, c. C5r-v (corsivi miei).
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224 FRANCESCO PETRARCA, Rerum senilium libri, IV, 3, 7, a cura di ELVIRA NOTA,
Paris, Les belles lettres, 2002, vol. II, p. 59: «Cum ad secundo Nonas Iunias anni huius
millesimi trecentesimi sexagesimi quarti, hora ferme diei sexta, forte ad fenestram sta-
rem maria alta prospectans, [...] subito longarum una navium, quas galeas vocant, ra-
mis circumfulta frondentibus portus ostia remis subit [...]».
225 STROPPA, «Quid vides?». La canzone delle visioni e Ugo di San Vittore, cit., p. 170.
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228 Per il ruolo non secondario giocato dalla fonte trionfale petrarchesca nella defi-
nizione di questo modello iconografico (utilizzato anche nell’emblema qui analizzato) si
veda BATTAGLIA RICCI, Immaginario trionfale, cit., pp. 259-263: «[...] nell’analisi iconografi-
ca occorre tener conto della vischiosità della tradizione e delle convenzioni proprie del lin-
guaggio figurato. [...] Si guardi, ad esempio, Cupido. Radicalmente remoto dall’immagi-
nario dell’Alighieri, che nella Vita Nova aveva raffigurato Amore come “un giovane vesti-
to di bianchissime vesti” non troppo dissimile dagli angeli del Vangelo della resurrezione,
Petrarca offre di Cupido un’immagine prossima a quella classica, ma con alcune interes-
santi oscillazioni, che rivelano come egli guardi la cultura letteraria e grafica dell’età che fu
sua. Per Francesco da Barberino, che rivendica la novità iconografica del suo Cupido,
Amore è rappresentato da un adolescente nudo, provvisto di ali, espressamente “non cie-
co”, e dotato di piedi di falcone. [...] la presenza nella tradizione manoscritta di una va-
riante significativa per TC III 179, che al verso che contiene il particolare più compro-
messo con la cultura coeva, le bende, appunto, sostituisce un anodino, ma ben petrarche-
sco “le speranze dubbiose, e ’l dolor certo”, autorizza il sospetto che le differenze si deb-
bano imputare ad un processo di progressiva messa a fuoco dell’iconografia d’Amore, con
recupero filologico dell’immagine classica e conseguente adeguamento di TC III 179 a TC
I 23-27». Battaglia Ricci fa ovviamente riferimento al classico ERWIN PANOFSKY, Cupido
cieco, in ID., Studi di iconologia. I temi umanistici nell’arte del Rinascimento,Torino, Einaudi, 1975
(I ed. ingl. 1939), pp. 134-183, in part. p. 152: «Verso la stessa epoca [nel medioevo, n.d.r.],
però, e forse anche un po’ prima, la cecità aveva cominciato a denotarsi mediante un sim-
bolo nuovo: la benda. Questo attributo appartiene alla medesima classe di altri motivi spe-
cificamente medievali come la Ruota della Fortuna, lo specchio della Prudenza o la Scala
della Filosofia, che differiscono dagli attributi delle personificazioni classiche in quanto
conferiscono forma visibile ad una metafora, anziché indicare una funzione».
229 ARIANI, Commento, cit., p. 85n.
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230 Su cui cfr. ABY WARBURG, La rinascita del paganesimo antico, Firenze, La Nuova
Italia, 1966 (I ed. ted. 1932), pp. 179-191; e CHARLES DEMPSEY, Inventing the Renaissan-
ce Putto, Chapel Hill & London, University of North Carolina Press, 2001, pp. 163-172.
231 ANDREA ALCIATI, Emblemata, embl. 110 (Anteros, id est, Amor Virtutis), Padova,
Tozzi, 1621, p. 457. Ma per un commento si ricorra anche all’edizione moderna: AL-
CIATO, Il libro degli Emblemi, cit., embl. 81, p. 427. Sulla figura di Anteros si vedano: RO-
BERT V. MERRIL, Eros und Anteros, «Speculum», XIX (1944), pp. 265-284; ANDREA COM-
BONI, Eros e Anteros nella poesia italiana del Rinascimento. Appunti per una ricerca, «Italique»,
III (2000), pp. 7-21; GUIDO ARBIZZONI, «Pictura gravium ostenduntur pondera rerum». Per le
immagini degli emblemi, «Letteratura & Arte», III (2005), pp. 125-139; e, anche per una più
dettagliata bibliografia, FRANCESCO LUCIOLI, «D’ogni cortese amor nimico vero». Della (s)for-
tuna di Anteros nel Rinascimento, «Lettere italiane», LXII (2010), 3, pp. 395-422.
232 Si ricorra ancora a PANOFSKY, Cupido cieco, cit., pp. 169-170: «Da questa si-
tuazione alquanto ingarbugliata emergono due fatti: in primo luogo (come poteva già
inferirsi dalle nostre citazioni da Lydgate, Chaucher e Petrarca) che nel quattordicesi-
270
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mo secolo la cecità di Cupido aveva un senso tanto preciso che la sua immagine po-
teva mutarsi da una personificazione dell’Amore Divino ad una personificazione del-
l’illecita Sensualità, e viceversa, semplicemente aggiungendo, o rimuovendo, la benda».
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Fig. 81. Le cose volgari di Francesco Petrarca, Venezia, Aldo Manuzio, 1514, c. 65v.
Devonshire Collection, Chatsworth.
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236 GIOVANNI BOCCACCIO, Rime, XXII, 1-9 e 22-25, a cura di VITTORE BRAN-
CA, in ID., Tutte le opere, vol. V/1, a cura di VITTORE BRANCA, Milano, Mondadori,
1967-1998, p. 42 (corsivi miei). Sulle fonti e la fortuna di questa formula si vedano
CHARLES DEMPSEY, Il ritratto dell’amore. La Primavera di Botticelli e la cultura umanistica
al tempo di Lorenzo il Magnifico, Napoli, La stanza delle scritture, 2007 (I ed. ingl. 1992),
pp. 189-190; e FRANCESCO LUCIOLI, «Amor vuol fede». Un motto nella Firenze lauren-
ziana, in «Tout est dit». Teoria, problemi, fenomeni della riscrittura, a cura di RENZO BRA-
GANTINI, Bulzoni, Roma, 2011, pp. 113-132.
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242 FERRO, Teatro d’imprese, cit., p. 607; per la specifica declinazione impresistica
di una “Ruota della Fortuna” Ferro ricorda che la «ruota segno della Fortuna tenuta
ferma da due mani, una di sotto l’altra di sopra, con le parole ADVERSIS ADVERSA SO-
LATIO, si legge sotto nome di Giulia Varana, moglie di Guidubaldo d’Urbino» (Ibidem,
p. 608).
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Fig. 88. FRANCESCO PETRARCA, Canzoniere, Venezia, Vindelin da Spira, 1470, c. 101v.
Brescia, Biblioteca Queriniana, Inc. G.V.15.
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250 L’espressione pascere è impiegata più volte nel Canzoniere, dove in prima
istanza non presiede alla topica costruzione metaforica che delinea la memoria come
un organo – il ventre – deputato alla formazione dei ricordi mediante la rielabora-
zione (masticazione) e l’assimilazione (digestione) dei dati sensoriali, quanto piuttosto
alla definizione dell’immagine del ricordo come cibo offerto all’anima. Già nel sonet-
to 193 il poeta, confessando di nutrire la propria memoria («mente») con la visione e
l’ascolto di Laura, riconosce la pervasività di tale ricordo che occupa ogni spazio del-
la mente e rassegna all’oblio i restanti aspetti della sua vita: «Pasco la mente d’un sì no-
bil cibo, | ch’ambrosia e nectar non invidio a Giove, | ché, sol mirando, oblio ne l’al-
ma piove | d’ogni altro dolce, e Lete al fondo bibo». Nel sonetto 305 vediamo inve-
ce Petrarca rivolgersi a un’angelicata Laura («Anima bella da quel nodo sciolta», v. 1)
e chiederle di fissare dal cielo lo sguardo verso «un che sol tra l’erbe e l’acque | di tua
memoria e di dolor si pasce» (vv. 10-11), ossia verso chi trae dalla proiezione imma-
ginaria di sé in un passato, tanto ideale quanto irrecuperabile, l’unico sostentamento
per la fragilità di un presente privo di sviluppi. Nella canzone 331 il concetto viene
riproposto in termini non molto differenti anche se la partizione della stanza sulla
scorta dei due fondamentali momenti della vita del poeta (prima e dopo la morte di
Laura) suggerisce il confronto fra due diverse condizioni della sua memoria e, come
risvolto formale, fra due versioni della metafora del pasto della memoria. Una dimen-
sione più marcatamente inventariale caratterizza infatti il nostro topos nell’espressione
«di memoria e di speme il cor pascendo», dove il cuore come un ventre accoglie vo-
racemente e quasi meccanicamente gli illusori fantasmi dell’errore amoroso di Petrar-
ca (cfr. anche RVF, 108, 6-8: «Un’imagine salda di diamante | che l’atto dolce non mi
stia davante | del qual ho la memoria e ’l cor sì pieno») e ne consente la continua,
perturbante rievocazione alla coscienza (come in TE, 138-139: «Amor mi die’ sì lun-
ga guerra | che la memoria anchora il cor accenna»). L’improvvisa notizia della mor-
te di Laura investe però con la sua lacerante onda d’urto anche l’immaginario mne-
monico del poeta, sottraendo alla sede degli affetti il suo «caro nutrimento» – così da
renderla «frale e digiuna» come un «corrier» affamato lungo il cammino (vv. 12-15) –
e volgendo il flusso ristoratore dei ricordi all’alimentazione della sfera del desiderio, di
quel «gran desir» che è sì l’immenso desiderio di rivedere l’amata ma anche l’altret-
tanto immenso desiderio di raccontarla dalla distanza – anche moralizzante – che
un’esperienza memoriale consente.
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nei testi latini quanto nelle scritture liriche volgari (cfr., oltre
al passo citato, almeno RVF 75, 1-2: «I begli occhi ond’i’ fui
percosso in guisa | ch’e’ medesmi porian saldar la piaga»).
Ripristinando il velo metaforico, dovremmo allora chie-
derci in che senso gli occhi – luogo in cui si «tempra il dolce
amaro, che n’ha offeso, | col dolce onor che d’amar quella hai
preso» (RVF 205, 6-7) – possano provocare «punture acerbis-
sime», ovvero scagliare lance che feriscono e al contempo sa-
nano. A questo punto, se ricollochiamo il motto dell’emblema
di Baltimore nel contesto originario del fragmentum 297, ve-
diamo che esso può anche, per aequivocatio, mettere in relazio-
ne l’immagine con il senso generale del componimento. Nel
sonetto si esprime infatti il contrasto tra le due “bellezze” di
Laura «per Morte [...] sparse e disgiunte» (v. 5). Si tratta, da una
parte, della bellezza spirituale ed eterna, ossia l’Onestà di Lau-
ra che dopo la morte ascende a gloriare di sé il cielo; e, dal-
l’altra parte, della bellezza corporale ed effimera che rimane
invece a ornare le membra, senza vita, della sepolta Laura.
Questa bellezza corporale sembra cristallizzarsi negli occhi
dell’amata che – finché fu viva Laura – come frecce ferirono
senza requie il poeta. Si veda anche solo il contiguo fragmentum
296 che, complice la struttura rimica (amaro:raro), collega effet-
to a causa: la piacevolmente insanabile ferita memoriale dell’io
lirico (vv. 3-4: «del dolce amaro | colpo») agli occhi dell’ama-
ta che hanno scoccato l’eternamente mortale saetta (vv. 7-8:
«quello aurato e raro | strale, onde morte piacque oltra nostro
uso»). Quelle stesse frecce ora, potremmo dire con lo sguardo
rivolto all’emblema statunitense, come cardi appuntiti che
spuntano dal suolo (cfr. RVF 297, 7, «l’altra sotterra»), conti-
nuano a incidere dolorosamente la memoria di Petrarca. La so-
vrapposizione delle dualità fin qui incontrate potrebbe dunque
aver suggerito l’immagine emblematica della coppia oppositi-
va api-cardo, complice l’ambiguità del termine «punte», tra-
dotto dalla dimensione metaforica di frecce amorose a quella
iperrealistica di punte spinose del cardo. Come le api riescono
a trarre miele dagli amari fiori del cardo, e come dalla morte
corporale di Laura nasce il suo celeste corpo glorioso, così l’a-
more riesce a generare la dolcezza nelle più amare passioni.
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251 Così commenta l’emblema XXII Mino Gabriele: «Il paradigmatico episodio
vuole alludere, infatti, all’importanza del mutuo soccorso sociale e della reciproca ami-
cizia: condizioni giuste che sole possono generare il bene comune.Viceversa il singo-
lo individuo, prigioniero dei suoi limiti, non può che rimanere arido, incapace di ‘ve-
dere’ e di ‘camminare’ verso una meta più nobile della propria umana miseria» (AL-
CIATO, Il libro degli Emblemi, cit., embl. XXII, p. 144).
252 Cfr. MARCO TULLIO CICERONE, Pro Ligario, XII, 35, a cura di MARCEL LOB,
Paris, Le belles lettres, 1968, p. 87: «Sed parum est me hoc meminisse, spero etiam te,
qui oblivisci nihil soles nisi iniurias – quam hoc est animi, quam etiam ingeni tui! –
te aliquid de huius illo quaestorio officio, etiam de aliis quibusdam quaestoribus re-
minescentem, recordari».
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253 Cfr. ARISTOTELE, Etica Nicomachea, IV, 3, 1124b, a cura di ARMANDO PLEBE,
Bari, Laterza 1983, p. 531: «I magnanimi poi appaiono ricordarsi di quelli a cui fece-
ro del bene e non di quelli da cui ne ricevettero; infatti chi riceve il bene è inferiore
a chi lo fa, mentre il magnanimo vuol essere superiore». Il passo era presente a Petrar-
ca che lo ricorda in De remediis, cit., I, 93, 8 (De beneficiis in multos collatis), p. 402: «R.
Aristotelica quedam magnanimitas fertur meminisse collati, accepti autem beneficii
oblivisci».
254 PETRARCA, Rerum senilium, cit., X, 1, 25 e 27 (a Sacramoro de Pommiers, 18
marzo 1367), vol. III, pp. 223-225: «Delle offese che tu gli recasti non dubitare che egli
vorrà dimenticarsi, purché tu riesca a dimenticarti delle tue pessime abitudini e delle
perverse inclinazioni. Egli cancellerà ogni memoria delle tue colpe, da te le manderà
più lontane di quanto sia lontano l’oriente dall’occidente, e purgandoti da ogni pec-
cato ne distruggerà il ricordo al punto che pur volendone cercare le tracce non ne tro-
verai alcuna».
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255 Cfr. PETRARCA, Rerum familiarium, cit., XXIII, 1, 14 (senza destinatario, 1361
ca.), p. 1187: «Itaque postquam nulli hominum loqui iuvat, ad Te, ultima et maxima
spes mortalium, preces verto. Si Tibi, creator omnium, beneficiis tuis parum memoriter usi
sumus, si supercilium altius forte quam decuit tanto et tam presenti divinitatis favore
sustulimus, et contrario vis ulcisci, rebus faciem muta» [«Perciò, non potendo volger-
mi ad alcun uomo, rivolgo le mie preghiere a Te, ultima e più grande speranza dei
mortali. Se dei tuoi benefici, o creatore del mondo, immemori abusammo, se osammo
per tanto e così largo favore alzare superbamente la testa, e Tu vuoi con sorte contra-
ria punirci, muta pure la nostra condizione», corsivi miei].
256 PETRARCA, Rerum familiarium, cit., XII, 16, 14-15 (a Giovanni Barilli e Nic-
colò Acciaiuoli, 1352), p. 758: «che se poi vi torni a mente qualche asprezza che i vo-
stri animi delicati male sopportano – e in una lunga amicizia soltanto per un caso e
non per deliberata prudenza è dato evitarle – cacciatele via dal fondo dell’animo vo-
stro. Queste sono le due cose che rendono eterne le amicizie e aggiungono gloria
grande alle anime nobili: la memoria dei benefici e l’oblio delle offese; l’una e l’altra
io esigo ora da voi, e se voi me la darete, sarò pago del mio voto e con fortuna o, co-
me dicono, col destro piede, avrò preso a scrivervi».
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Per quanto sia cosa risaputa che «la memoria delle offese ri-
sulti più salda e più tenacemente infissa nell’animo rispetto a
quella dei benefici»,257 un’amicizia prospera eternamente – ci
suggerisce Petrarca – solo se la qualità attribuita a Cesare si ar-
ricchisce del suo ideale completamento, ovvero proprio di
quella ‘memoria dei benefici’ così difficile da rinvenire ma che
cristianamente non può non dover accompagnare ogni anima
misericordiosa nella paziente sopportazione dei danni: «Acce-
dit quod damni tui memoria quotiens ante oculos mentis re-
dit, totiens divine liberalitatis admoneat, equissimus est; ingra-
tus enim est qui ablati memor, obliviscitur accepti»;258 e nella
generosa disponibilità all’offerta: «Ego autem nichil minus ho-
minis puto quam amoris aut beneficii oblivisci vicemque non
reddere cum possis»;259 tanto da divenire una delle categorie in
base alle quali formulare un giudizio morale su un individuo:
257 PETRARCA, De remediis, cit., I, 93, 10 (De beneficiis in multos collatis), p. 404: «R.
[...] Est autem, nescio quidem unde, firmior offensarum quam beneficiorum tena-
ciorque memoria: sepe singulis beneficiis aut nullos aut singulos amicos obliviosos et
tepidos, hostes autem tibi multos feceris, memores ac ferventes».
258 PETRARCA, Rerum familiarium, cit., IV, 12, 26 (a Giovanni Colonna, 5 gen-
naio 1342), p. 414: «Si aggiunga che quante volte davanti al tuo pensiero torna il ri-
cordo del danno sofferto, altrettante è giusto che ti ammonisca della divina bontà; poi-
ché è ingrato chi ricorda quel che gli è stato tolto e dimentica quel che ha ricevuto».
259 PETRARCA, Rerum familiarium, cit., XII, 3, 14 (a Zanobi da Strada, aprile
1352), p. 736: «Nulla più indegno dell’uomo io stimo del dimenticarsi dell’amore e del
benefizio e non rendere, quando è possibile, il contraccambio».
260 PETRARCA, Lettere disperse, cit., 6, 72-77 (a Gabrio Zamorei, 1344-45 ca.), p.
28: «Date tali premesse, che ne consegue se non che costei sia savia, casta, frugale e pu-
dica, memore dei benefici ricevuti, virtuosa, generosa sino alla liberalità, giustissima in
ogni sua azione e, in ragione di ciò, sdegnosa verso tutti gli altri uomini e di uno so-
lo, come è giusto, corrispondente l’amore con fedeltà purissima».
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261 FRANCESCO PETRARCA, De otio religioso, in ID., Opere latine, a cura di ANTO-
NIETTA BUFANO, con la collaborazione di BASILE ARACRI e CLARA KRAUS REGGIANI,
Torino, UTET, 1975, vol. II, p. 798: «Per concludere dunque su questo punto, allora si
affronta la morte in tutta tranquillità, quando la vita che è prossima alla fine può con-
solarsi non con i suoi propri meriti che, se vogliamo riconoscerlo, sono nulli, ma con
i meriti altrui, cioè del suo Creatore, con la misericordia, naturalmente, con la speran-
za del perdono e col ricordo degl’innumerevoli benefici ricevuti».
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262 CESARE RIPA, Iconologia, Venezia, Cristoforo Tomasini, 1645, pp. 392-393.
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265 ARESI, Imprese sacre, cit., II, libro IV, imp. CII, p. 1284. Si noti la ripresa del-
l’immagine del sigillo con cui Dante designa le stigmate di Francesco nell’XI del Pa-
radiso (vv. 106-108: «nel crudo sasso intra Tevero e Arno | da Cristo prese l’ultimo si-
gillo, | che le sue membra due anni portarno»); Dante è peraltro, insieme a Petrarca e
Tasso, l’autore più citato dall’Aresi nella sezione dell’Arte di predicar bene dedicata all’e-
locutio.
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267 Cfr. FRANCIS KLINGENDER, Animals in art and thought to the end of the Middle
Ages, a cura di EVELYN ANTAL e JOHN HARTHAN, London, Routledge & Kegan Paul,
1971, pp. 388-389.
268 Per una sintetica ricapitolazione delle possibili accezioni di lettura del sim-
bolo si ricorra, ad esempio, alla relativa voce dell’enciclopedico FERRO, Teatro d’impre-
se, cit., p. 540: «Conforme al taccato pelo ha fiato odoroso, e dall’aprir di bocca si sen-
te ella olire arabi odori; da cui gli altri allettati vanno alla volta di quella non veduta,
e nascosta, ch’esce poi dalle macchie, e ne fa strage, e quanto è male, che la voglia, e
la natura interna non si conformi al dosso indaniato, o a quella questo; ciò intese Fran-
cesco Lanci, formando di lei impresa, per donna crudele, in atto di ascondere il capo,
dicendo ALLICIT OMNES. Il Camerarius, ALLICIT VT PERIMAT, rende ragione della pro-
prietà esposta contra quello che vuole il Taegio. La stessa nel medesimo atto aveva Ber-
305
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nardo Tasso col dire PER ALLETTARMI; e con l’ALLICIT INTERIVS è di Monsignor Odet-
to Fussio, scrive il Capaccio; come altri voglia ch’ella fosse di Roberto Primo Conte
di Sicilia figliuolo di Guiscardo. Nel medesimo modo la figurò l’Aresi con l’OMNIA
TRAHAM, parole di San Giovanni dette da Christo della esaltazione della sua Croce, e
quivi applicate a un tal corpo rappresentante Christo, non già crocifisso, ma nascosto
nell’eucarestia, dove non solo nasconde il capo, ch’è la sua divinità, ma eziandio l’hu-
manità sua. Il Bargagli ne formò due l’una per ninfa finta, et era della pantera seguita
con vaghezza da più sorti d’animali, che diceano DALL’ODOR SVO RAPITI; l’altra per
donna animosa, e vi scrisse FEROCITATE, HAVD MORIBVS IMPAR».
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INSIDIATUR IN ABSCONDITO
269 Cfr. Libro della natura degli animali, XXI (Della natura de la pantera), in Bestia-
ri medievali, a cura di LUIGINA MORINI, Einaudi, Torino, 1996, p. 448. Si noti la sosti-
tuzione del drago col serpente, ancor più specifica personificazione del peccato origi-
nale per la religione cristiana.
270 CECCO D’ASCOLI, L’Acerba, cap. XLII, in Bestiari medievali, cit., p. 608.
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271 CAMERARIUS, Symbolorum et emblematum, cit., libro II, embl. 37, p. 46.
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INSIDIATUR IN ABSCONDITO
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INSIDIATUR IN ABSCONDITO
273 Cfr. DE FOURNIVAL, Li Bestiaires d’amours, cit., pp. 56-58: «Aussi com le bestes
ke puis k’eles ont une fois sentie au flair le panthere, ja puis ne le lairont, ains le sievent
de si a le mort por le douce alaine ki de lui ist».
274 DE FOURNIVAL, Li response du Bestiaire, cit., pp. 104-106.
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INSIDIATUR IN ABSCONDITO
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281 Sabrina Stroppa ne ricorda alcune a commento del sonetto 153, notando co-
me questo si «lega saldamente ai precedenti secondo la legge della reciprocità che go-
verna il Canzoniere: se la mente dell’amante in 150, 13 non riusciva a “rompere il
duol” rappreso come ghiaccio, qui il medesimo è detto di lei (v. 2); se il pianto della
donna era versato “dove mirando altri nol vede” (150, 11), qui è il non visibile cuore
di lui che deve trovare espressione verbale (v. 6)» (STROPPA, Commento, p. 282).
282 Il PETRARCHA con l’espositione di m. ALESSANDRO VELLUTELLO, Venezia, Ni-
colò Bevilacqua, 1563, p. 43v.
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283 Cfr. ANGELO ROMANÒ, Il sonetto CL delle “Rime” e l’interpunzione della prima
quartina del medesimo, «Lettere italiane», II (1950), 4, pp. 244-247, in part. p. 244: «Il so-
netto CL delle “Rime” è l’unico tra i componimenti petrarcheschi a fruire di un im-
pianto dialogico, l’unico cioè in cui il P. imposti la situazione in modi intelocutori, su
un’apparente struttura drammatica. Dico apparente, perché anche qui, come quasi sem-
pre altrove, gli elementi di una virtuale espressione contrappositiva finiscono per ricom-
porsi e fondersi nell’impasto di una effettiva progressione lirica: avremo non una dispu-
ta per giuoco di contrasti (in discendenza dagli archetipi provenzali come il descort e il
contrasto), ma la consueta conversazione articolata e assorta, di cui testimonio sintattico è
la composizione per membri aggiuntivi, e stilistico un lessico insolitamente familiare e
dimesso, proprio discorsivo». Sul dialogismo, esplicito o meno, di alcuni fragmenta pe-
trarcheschi (e sulla sua connessione col dialogismo del Secretum, sottolineata anche da
Romanò) si veda anche: ANDREA AFRIBO, Petrarca e i suoi doppi (RVF 81-89), in Il Can-
zoniere. Lettura micro e macrotestuale, cit., pp. 225-242, in part. a pp. 225-230. Sul valore se-
mantico e poetico di tale dialogismo, verificato sulla scorta di divisioni strutturali che si
riflettono in divisioni interne, riflette JAMES F. MCMENAMIN, Testimonianze di un’anima
divisa nel “Canzoniere” di Petrarca, «Studi di filologia italiana», LXIV (2006), pp. 33-49.
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Fig. 94. FRANCESCO PETRARCA, Canzoniere, Venezia, Vindelin da Spira, 1470, c. 64v.
Brescia, Biblioteca Queriniana, Inc. G.V.15.
284 STEFANO PRANDI, Ritorno a Laura: RVF 141-150, in Il Canzoniere. Lettura mi-
cro e macrotestuale, cit., pp. 335-360, cit. a p. 358.
285 PRAZ, Studi sul concettismo, cit., pp. 32-37.
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Solo così può esser letto, nel contesto della vulgata emble-
matica, come espressione paradigmatica dell’onnipotenza go-
duta da Amore su ogni elemento del reale. A sostegno di que-
sta ipotesi potrebbe essere invocata anche la netta elaborazio-
ne testuale che conosce il passaggio petrarchesco nel suo im-
piego come motto del medaglione (RVF 326, 1: «Or hai fatto
l’estremo di tua possa»); variante che per intensità rappresenta
un unicum all’interno del manoscritto.
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292 VAN VEEN, Amorum Emblemata, cit., p. 233, questo il testo poetico che ac-
compagna l’emblema: «Quamdiu funis erit, tamdiu flamma manebit, | Deficiente
etiam fomite flamma perit. | Crudelis sic verus Amor nisi morte peribit, | Qui potis
est vitam deficiente mori».
293 ALCIATI, Emblemata, cit., p. 168.
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294 PICONE, Morte e temporanea rinascita dei miti dell’eros (RVF 321-30), cit., pp.
707-708.
295 GIACOMELLO-NODARI, Le Rime del Petrarca. Un’edizione illustrata del Settecen-
to, cit., p. 189.
296 Ivi.
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Fig. 104. Le Rime del Petrarca brevemente esposte per Lodovico Castelvetro,
Venezia, Zatta, 1756.
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297 PICONE, Morte e temporanea rinascita dei miti dell’eros (RVF 321-30), cit., p. 703.
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304 DOMINIQUE DIANI, Canzoniere 132, «Revue des études italiennes», n.s., XVIII
(1972), pp. 111-165, p. 148: «Les phénomènes de l’objectivation du moi et de la pro-
gression dans la raprésentation symbolique (partiellement réalisée dans la démarche
généralisante proposée comme motivation secondaire) sont interdépendants et soli-
daires, et sont à nos yeux la vraie raison d’être du texte, achevé quand le double pro-
cessus est arrivé à son terme: la projection de l’auteur hors de soi dans une apaisante
image objet».
305 PICONE, Il sonetto CLXXXIX, cit., pp. 172-173: «Se dalle strutture del conte-
nuto di Passa la nave mia ci rivolgiamo ora alle strutture formali, ci rendiamo conto
che il sonetto sviluppa una ekphrasis o descriptio, non di una persona o di un oggetto,
bensì di una passione interiore colta in un punto conclusivo, se non del suo sviluppo
lineare, della sua fenomenicità. Petrarca cioè rappresenta la conclusione del suo iter
erotico con “una azione vissuta dalla fantasia”: prima con un’immagine mitica (il te-
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307 MARY B. HESSE, Modelli e analogie nella scienza, Milano, Feltrinelli, 1980, pp.
147-160, cit. a p. 151.
308 Nello specifico di questo passaggio Andrea Pulega sta commentando il sir-
ventese No puosc mudar di Bertran de Born, ma più oltre – in margine al fragmentum ge-
mello 189 – la correlazione metaforica bidirezionale viene letta proprio nel contesto
delle estreme fluctuationes animi petrarchesche: «Il Petrarca contempla dunque sé stesso
“navizzato”. Lo sdoppiamento non è che l’estrema trasfigurazione del dissidio petrar-
chesco, che si esprime come psicomachia. L’introspezione si condensa nell’invenzione
allegorica, forma suprema di oggettivazione noetica del conflitto interiore» (PULEGA,
Da Argo alla nave d’amore: contributo alla storia di una metafora, cit., pp. 71 e 107).
309 PETRARCA, Rerum familiarium, XIII, 4, 10-11, cit., p. 771: «quiescere poterat
Ulixes, nisi inexplebile desiderium multa noscendi cuntis illum litoribus terrisque rap-
taret». Cfr. CARLO VECCE, Il mito di Ulisse nelle «Familiari», in Motivi e forme delle «Fa-
miliari» di Francesco Petrarca, Atti del Convegno di Gargnano del Garda (2-5 ottobre
2002), a cura di CLAUDIA BERRA, Milano, Cisalpino, 2003, pp. 149-173.
310 ENRICO FENZI, Saggi petrarcheschi, Firenze, Cadmo, 2003, pp. 493-517, cit. a
p. 500.
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314 CLAUDIA BERRA, L’arte della similitudine nella canzone CXXXV dei R.V.F.,
«Giornale storico della letteratura italiana», CLXIII (1986), 522, pp. 161-199, in part.
p. 170: «non casualmente il termine “stranio” – al v. 2 della canzone – ne costituisce,
si può dire, la cifra: “strania” è la condizione dell’amante, “stranio” lo stile scelto a dar-
ne compiuta espressione».
315 SIMONA BARGETTO, Similitudo e dissimilitudo in RVF CXXXV, «Lettere italia-
ne», LI (1999), 4, pp. 617-648, in part. pp. 643-644: «La rottura dell’ordine è ciò che
manifesta il peccato; l’anima umana, allontanatasi da Dio, introduce in sé la divisione,
la disarmonia («in se ipsa tumultuantur»); la materia stessa, cioè, diventa riflesso del di-
sordine spirituale, ne vive in sé la contraddizione e il dolore. [...] L’innaturalità dei sei
mirabilia non è, però, solo espressione canonica degli effetti d’Amore sull’amante, ma
anche specchio del disordine spirituale che consegue l’errore: la regione della dissimi-
litudine è il luogo interiore dove tutto, essendo dissimile dalla sua origine, è anche per-
petuamente dissimile da se stesso, condannato alla mutevolezza e all’alterità [...]».
316 BERRA, L’arte della similitudine nella canzone CXXXV dei R.V.F., cit., pp.
180-181: «In questo quadro, tuttavia, l’oggetto fantastico non “rassembra” il prota-
gonista, ma la donna. [...] Si osservi infine che nel corso della stanza i due protago-
nisti dell’azione si alternano frequentemente nei ruoli sintattici di soggetto e ogget-
to; la struttura del periodo riproduce così il rapporto fra potere attrattivo e possibi-
lità di essere attratto che caratterizza tanto la coppia “minerale” quanto quella uma-
na: ciò suggerisce che il paragone non concerne solo Laura o il poeta, ma entram-
bi, considerati insieme nel destino che li unisce con forza fatale e invincibile». Se-
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condo Pierantonio Frare l’elaborazione della sintassi nel corso della canzone ha sì la
funzione di duplicare in Laura il sentimento di disorientamento interiore proprio
dell’io lirico, ma anche quello di rimarcare l’impossibile fusione tra i due protago-
nisti: «Ma il fatto che gli oggetti evocati siano paragonati alternativamente all’io poe-
tico e a Laura dichiara, anche dal punto di vista della sintassi narrativa, l’impossibi-
lità dell’unione: così che il componimento, anziché segnare una tappa di approfon-
dimento del processo identificatorio, ne rappresenta piuttosto una deviazione: i pa-
ragoni approdano a volontaristiche sovrapposizioni più che a una reale identifica-
zione tra l’amante e l’amata mediata dagli oggetti evocati» (PIERANTONIO FRARE,
Dalla contrapposizione alla identificazione: l’io e Laura nella canzone delle visioni, «Stru-
menti critici», XV (1991), 3, pp. 387-403, cit. a p. 399).
317 Un’interessante illustrazione miniata di RVF 323 è stata realizzata da Barto-
lomeo Sanvito quale antiporta della seconda sezione delle Rime trasmesseci in un co-
dice conservato presso la Biblioteca della Fondazione Bodmer a Ginevra-Cologny
(ms. it. 130, c. 116r). Ne possiamo vedere alcune riproduzioni in MADDALO, Sanvito e
Petrarca. Scrittura e immagine nel codice Bodmer, cit., pp. 80 e 101.
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318 Cfr. CHIAPPELLI, Studi sul linguaggio del Petrarca, cit., p. 172: «[...] secondo l’im-
postazione strutturale dell’episodio i fatti devono avere rilievo in quanto sono regi-
strati nell’intimo dell’osservatore, e devono apparire in questa loro realtà. Non deve es-
sere evidente nella loro successione il ritmo temporale oggettivo; ma il fatto che le
percezioni dell’osservatore devono forzare, una dopo l’altra, quel tanto d’inerzia che è
inscindibile dallo stato estatico, conferisce loro un ritmo soggettivo, di ritardi e di bru-
schi ricuperi».
319 Vd. FRARE, Dalla contrapposizione alla identificazione: l’io e Laura nella canzo-
ne delle visioni, cit., pp. 401-402: «Ora, la medesima situazione di ubiquità spaziale e
funzionale è ricoperta dall’io, il quale inizialmente si presenta come soggetto della
visione, esterno al quadro, ma nel corso del componimento diviene oggetto della
propria stessa visione: e anche proprio fisicamente, visto che nella strofe 4 si siede
accanto alla fontana che sta guardando: 43. Ivi m’assisi. [...] L’io, da esterno al qua-
dro, da soggetto della visione, diviene anche interno ad esso, si fa oggetto visto, il
che lo assimila alle figure di Laura fino ad allora evocate. Allo stesso ma comple-
mentare modo, Laura, qui nella specie della fenice, da oggetto della visione divie-
ne soggetto di essa, da elemento interno al quadro si sposta nella cornice che lo
contiene: ricopre, cioè la funzione fino allora assegnata all’io poetico, diventando
ad esso omologa».
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320 Cfr. PICONE, Il sonetto CLXXXIX, cit., p. 167: «Alla linearità consolante del-
la storia dantesca, che divide la vita in due metà, caratterizzate dalla caduta e dalla re-
denzione, con al centro la conversione, succede la puntualità angosciosa della storia
petrarchesca, che vede riunite in un indefinito punctum temporis tutte le possibili so-
luzioni esistenziali, da quella pessimistica del naufragio (che sembra vicino) all’altra
ottimistica del ritorno verso il porto (che sembra però essere scomparso dall’oriz-
zonte)».
321 Cfr. ESSLING-MÜNTZ, Pétrarque, cit., p. 81.
322 MALKE, La metafora della nave nella poesia e nelle arti figurative romanze, cit., p.
203: «Il naufragio del Petrarca è una delle metafore più adatte alla missione ‘bivalente’
di Laura che attrae e respinge, a seconda dei casi, il poeta. Questa missione è inoltre il-
lustrata dall’ancora di salvezza offerta dai rami dell’alloro – prima metaforizzazione di
Laura – che si erge su uno scoglio – seconda metaforizzazione di Laura».
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323 Oltre ovviamente alla Dama con l’ermellino di Leonardo, vorrei ricordare al-
meno: il Giovane cavaliere di Vittore Carpaccio (1500-1501, conservato al Museo Thys-
sen-Bornemisza di Madrid) che nell’angolo in basso a sinistra riporta non solo l’im-
magine di un ermellino dal manto candido ma accanto a lui anche un cartiglio col
medesimo motto che vediamo spesso associato a questo simbolo animale (MALO MO-
RI QVAM FOEDARI); e il busto marmoreo di Beatrice d’Aragona realizzato da France-
sco Laurana (1474-1475, conservato alla Frick Collection di New York), che sulla pie-
ga dell’abito riporta l’immagine di due ermellini (cfr. a questo proposito la scheda del-
l’opera realizzata per il catalogo Art and Love in Renaissance Italy, cit., scheda 119, pp.
256-259). Su questo motivo iconografico si veda anche STEFAN WEPPELMANN, Zum
Schulterblick des Hermelins – Ähnlichkeit im Portrait der italienischen Frührenaissance, in Ge-
sichter der Renaissance. Meisterwerke Portrait-Kunst, a cura di KEITH CHRISTIANSEN e STE-
FAN WEPPELMANN, Berlin, Hirmer, 2011, pp. 64-76.
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324 Si veda almeno CAMERARIUS, Symbolorum et emblematum, cit., libro II, embl.
81 (MORI MALO QVAM FOEDARI, Omnibus antistat recti mens conscia rebus: | Hoc bene emi
vita tu quoque crede decus), p. 89: «Sed Armellini proprietas fertur esse sane mira, quod
nimirum fame aut siti prius moriatur, aut a venatoribus sese capi ferat, quam luto aut
simili re immunda, quibus circumdata sit, suam pellem candidam et elegantem patia-
tur defoedari».
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325 GIOVIO, Dialogo dell’imprese militari e amorose, cit., p. 37. Cfr. inoltre FERRO,
Teatro d’imprese, cit., p. 102: «È segno il sudetto animaletto d’animo puro e casto, e
con la sua candidezza de’ costumi nobili e gentili; per la qual cosa forse appo i pre-
lati è in uso l’ornarsi d’una tal pelle, per la sincerità e purità de gli animi loro, e de’
corpi. Questo circondato di lettame col motto MALO MORI, o POTIVS MORI, QVAM
FOEDARI ».
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326 LUCA CONTILE, Ragionamento sopra la proprietà delle imprese con le particolari de-
gli Academici Affidati et con le interpretationi et croniche, Pavia, Bartoli, 1574, c. 11r (corsi-
vo mio).
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328 Per un’analisi iconologica del dipinto Susanna e i vegliardi si vedano AUGU-
STO GENTILI, Virtus e voluptas nell’opera di Lorenzo Lotto, in Lorenzo Lotto, a cura di PIE-
TRO ZAMPETTI, Atti del convegno internazionale di studi (Asolo, 18-21 settembre
1980), Treviso, Tipografia editrice trevigiana, 1981, pp. 415-424; e MAURICE BROCK,
La Suzanne de Lorenzo Lotto ou comment faire l’histoire, in Symboles de la Renaissance, Pa-
ris, Presses de l’École Normale Supérieure, 1990, pp. 35-64.
329 Cfr. PICINELLI, Mondo simbolico, cit.,V, 4, p. 148 (corsivo mio): «Se questo ani-
male è coperto di bianchissimo pelo, tiene altresì un animo tanto amatore della pu-
rità, che prima vuol morire che imbrattarsi di fangosa lordura; POTIVS MORI, QVAM
FOEDARI, impresa di Ferrante Re di Napoli, o come altri dicono di Alfonso XI Re di
Spagna, applicabile a Susanna ed altri di castità eccellente [...]».
330 CORTESI BOSCO, Il coro intarsiato di Lotto e Capoferri, cit., p. 333: «Il ramo di
palma sul quale l’ermellino serra le zampe anteriori è la palma della vittoria che nel-
la vita ultraterrena il martire consegue col sacrificio della vita per amore di Cristo:
l’uomo che nell’anelito divino giudica che sia meglio morire (pocius mori) che infran-
gere il vinculum castitatis si rende degno di essa».
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332 Così recita la didascalia nel suo complesso: «Questa medaglia ha più significati;
come l’huomo parlando di se stesso: “ecco la mia complesione”, cioè io son come l’ar-
melino che più tosto entra nel fuoco che nel fango; o si vero: “questa è la mia imagine”,
intendendo la pura et intiera vita de la sua donna; servendosi del verso del Petrarca».
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334 Cfr. KARLHEINZ STIERLE, Un manifesto del nuovo canto (RVF 120-129), in Il
Canzoniere. Lettura micro e macrotestuale, cit., pp. 295-312, cit. a p. 307.
335 Cfr. KARLHEINZ STIERLE, Paesaggi poetici del Petrarca, in Il paesaggio. Dalla per-
cezione alla descrizione, a cura di RENZO ZORZI,Venezia, Marsilio, 1999, pp. 121-137,
cit. a p. 134. Poco prima Stierle aveva definito con precisione la natura del movi-
mento di pensiero realizzato da Petrarca all’interno della propria esperienza poeti-
ca: «Il “pensare” che cos’è? Corrisponde al “cogitare” di Agostino come riflessione
personale e profonda. Ma questo modo della riflessione soggettiva ove si mescolano
memoria, immaginazione e emozione, ha anche radici medievali. [...] “Pensare” in
Petrarca è una riflessione solitaria nel paesaggio, ove percezione, ricordo, immagina-
zione entrano in una sintesi immaginaria. L’essere nel paesaggio è proprio questa
sintesi fra presenza e assenza, fra immagine e memoria, fra riflessione e percezione»
(ivi, p. 126).
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336 Cfr. la nota introduttiva di Sabrina Stroppa a questo fragmentum: «L’unica sta-
bilità offerta a un volto che segue l’infirma mobilità dell’anima, e dunque “in un esser
picciol tempo dura” (v. 11), è quella della fissità contemplativa, per la quale “la mente
vaga” si astrae da sé, tanto da poter “tener fiso” il pensiero (vv. 33-35) sull’imago di ma-
donna, disegnata “co la mente” nel primo sasso in cui lo sguardo si imbatte (vv. 28-29):
“Per quales formas ire solent oculi mei, per tales imagines ibat cor meum” (Conf. VII,
1, 2), L’”ombra” dei luoghi, in cui “adombrare” la bellezza di madonna con lo stilus del
pensiero (v. 58), offre dunque requie e visione: che è vista di Laura assente come se fos-
se presente e viva» (STROPPA, Commento, p. 248). Sulla funzione della memoria in que-
sta canzone petrarchesca si veda anche BART VAN DEN BOSSCHE, «Del qual ò la memoria
e ’l cor sì pieno»: memoria e fuga del tempo nel Canzoniere di Petrarca, «Rassegna europea
di letteratura italiana», XXVII-XXVIII (2006), pp. 95-106, in part. pp. 99-101.
337 Le rime del Petrarca brevemente esposte da Lodovico Castelvetro, Basilea, Pietro de
Sedabonis, 1582, pp. 252-253 (corsivi miei). Emilio Bigi accoglie con modifiche que-
sto schema, mostrandone il funzionamento attraverso il rilievo delle costanti temati-
che (organizzate nella sequenza «introduzione paesistica; analisi della fluctuatio fra stati
d’animo contrari; conclusione») e la constatazione che «a questa simmetria per così di-
re lineare o seriale si intrecciano altre simmetrie di carattere, invece, prevalentemente
circolare». Lo studioso mostra anche come gli elementi paesistici – i loci memoriae di
Castelvetro – siano quasi sempre messi in rilievo attraverso la ripetuta prolessi del sin-
tagma e della relativa che li indicano (cfr. BIGI, La Canzone CXXIX, cit., p. 534).
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338 AGOSTI, Gli occhi le chiome, cit., p. 64: «[...] proprio perché il Soggetto è ten-
denzialmente portato a riprodurre una medesima, unica situazione patemica di rap-
presentazione fantasmatica e di denegazione della stessa (nella dinamica euforia/disfo-
ria, con arresto sul secondo termine), la canzone in causa non comporterà [...] nessu-
na complessità d’ordine strutturale [...] il principio compositivo della canzone è sem-
plicemente quello dell’interazione, o della serialità, traduzione, sul piano delle forme,
della coazione a ripetere cui è sottoposto il Soggetto».
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339 Cfr. RUTH GANTERT, Canzoniere CXXIX: “Di pensier in pensier, di monte in
monte”, in Petrarca e i suoi lettori, a cura di VITTORIO CARATOZZOLO e GEORGES GÜN-
TERT, Ravenna, Longo, 2000, pp. 55-77, in part. pp. 70-71: «Così in un certo senso si
produce il processo contrario a quello dell’illusione: nel momento dell’estasi, l’io non
vedeva più il paesaggio reale, ma aveva davanti a sé la visione interiore della donna
amata – e vi trovava un sollievo alle sue pene, una seppur precaria euforia. Adesso in-
vece vede il paesaggio esterno, mentre si trova offuscata la realtà interna, il “cuore”. Se
prima l’io attribuiva i tratti dell’amata agli elementi naturali, ora ad assumere le carat-
teristiche della natura è lo spazio interiore: il fenomeno meteorologico della nebbia
viene usato metaforicamente per parlare dello stato interiore dell’io. [...] Se la com-
presenza delle due persone nello stesso spazio è impossibile, l’io si aggrappa all’idea di
una congiunzione spirituale, di un amore corrisposto – come se la disgiunzione tra
“questa” e “quella” parte potesse essere compensata da una congiunzione delle istan-
ze passionali, del poeta e della donna amata. Nell’immaginazione amorosa dell’io, l’a-
ria che separa gli spazi degli amanti diventa elemento di congiunzione, circolando in
modo reciproco tra donna e amante».
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340 JOHN SHEARMAN, Arte e spettatore nel Rinascimento italiano. «Only connect [...]»,
Milano, Jaca Book, 1995 (I ed. ingl. 1992), p. 120.
341 Cfr. a questo proposito il commento al passo, presente in MARCO MANTOVA
BENAVIDES, Annotationi brevissime, sovra le Rime di M. F. P. le quali contengono molte cose a
proposito di ragion civile, sendo stata la di lui prima professione, a beneficio de li studiosi, Pa-
dova, Lorenzo Pasquale, 1566, c. 66v: «Qui veder poi l’imagine mia sola, quasi dicat una
statua veder poi, un simulacro, un’ombra non huomo, sanza core, il quale è quello che
’l vivifica; perché innanzi aveva detto già Ivi è’l mio cor, e quella che’l m’invola, et alla can-
zona parla prosopopeiaque est, che possa ella veder l’imagine sua sola, et hyperbole che
un huomo sia sanza core».
342 Cfr. KARLHEINZ STIERLE, «Di collo in collo». La spazialità in Dante e Pe-
trarca, in Studi sul canone letterario del Trecento. Per Michelangelo Picone, a cura di
JOHANNES BARTUSCHAT e LUCIANO ROSSI, Ravenna, Longo, 2003, pp. 99-121, in
part. p. 119: «Dalla montagna più alta l’io vede il luogo lontano ove abita la sua
donna. È, questa, la situazione di una trasposizione immaginaria. L’io, divenuto
corpo senza anima, rimane nel qui, mentre il cuore si traspone in un ivi della feli-
cità, nel luogo in cui Laura e lauro vivono in una metamorfosi continua. Il luogo
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immaginario di questo ivi non è altro che il luogo della poesia stessa. Ivi è sempre
un luogo del desiderio: è luogo della memoria, del mondo delle idee in senso pla-
tonico, della poesia e, naturalmente, anche di un aldilà cristiano che, tuttavia, non
ha più una struttura precisa come in Dante, ma si presenta invece come il sogno,
tutto umano, di una realtà inaccessibile».
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30. Derelinquerunt me
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DERELINQUERUNT ME
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Fig. 110. GIOVANNI BATTISTA PITTONI, Imprese nobili et ingeniose di diversi principi,
Venezia, Porro, 1578, p. 14.
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DERELINQUERUNT ME
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Fig. 113. Le cose volgari di Francesco Petrarca, Venezia, Aldo Manuzio, 1514, c. 24r.
Devonshire Collection, Chatsworth.
neità del poeta a quella pace (condizione a sua volta ribadita nel-
la parte conclusiva di ogni stanza).350 Possiamo notare come la
scelta del motto cada su un verso che da una parte ben sintetiz-
za il nodo drammatico della singola lirica (nonché dell’intera
raccolta),351 e che dall’altra si distingue per un intrinseco tono
gnomico che gli infonde autonomia dal testo. Si tratta di un ver-
so al contempo puntuale e generico, e quindi il suo prelievo fa-
cilita la trasposizione di una vicenda individuale su un piano
esemplare di generale validità. La consapevolezza delle differen-
349 Cfr. vv. 1-2: «Ne la stagione che ’l ciel rapido inchina | verso occidente, e
che ’l dì nostro vola [...]»; vv. 15-16: «Come ’l sol volge le ’nfiammate rote | per dar
luogo a la notte, onde discende | dagli altissimi monti maggior l’ombra»; vv. 29-30:
«Quando vede ’l pastor calare i raggi | del gran pianeta al nido ov’egli alberga»; v. 46:
«perché s’attuffi in mezzo l’onde [...]».
350 Cfr. vv. 12-13: «Ma, lasso, ogni dolor che ’l dì m’adduce | cresce qualor s’in-
via»; vv. 25-28: «Ma chi vuol si rallegri ad ora ad ora | ch’i’ pur non ebbi ancor, non
dirò lieta | ma riposata un’ora, | né per volger di ciel né di pianeta»; vv. 39-40: «Ahi
crudo Amor, ma tu allor più | mi ’nforme a seguir d’una fera che mi strugge»; v. 52:
«fine non pongo al mio ostinato affanno».
351 Su questo fragmentum si vedano le lectures di GIANFRANCO FOLENA, Textus te-
stis. Lingua e cultura poetica delle origini, Torino, Bollati Boringhieri, 2001, pp. 290-312,
e di SIMONE ALBONICO, Per un commento a «Rvf» 50, Parte prima, «Stilistica e metrica
italiana», I (2001), pp. 3-30.
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Fig. 114. Le cose volgari di Francesco Petrarca, Venezia, Aldo Manuzio, 1514, c. 87v.
Devonshire Collection, Chatsworth.
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352 GIOVIO, Dialogo dell’imprese militari e amorose, cit., p. 29. Non diversamente si
esprime Paradin: «Nutrisco & extinguo. La Salemandre avec des flammes de feu, estoit la
Devise du feu noble & manifique Roy François, & aussi au paravant de Charles Con-
te d’Angoulesme son pere. Pline dit que telle beste par sa froidure esteint le feu
comme glace, autres disent qu’elle peut vivre en icelui: & la commune voix qu’elle
s’en paist.Tant y ha qu’il me souvient avoir vù une Medaille en bronze du dit feu Roy,
peint en jeune adolescent, au revers de laquelle estoit cette Devise de la Salemandre
enflammee, avec ce mot Italien: Nudrisco il buono, & spengo il reo. Et davantage out-
re tant de lieus & Palais Royaus, ou pour le jourdhui elle est enlevee, je l’ay vuë aus-
si en riche tapisserie à Fonteinebleau, acompagnee de tel Distique: Ursus atrox, Aqui-
laeque leves, & tortilis Anguis: | Cesserunt flammae iam Salamandrae tuae» (PARADIN, Devi-
ses heroiques et emblemes, cit., pp. 16-17).
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Fig. 116. Le Rime del Petrarca brevemente esposte per Lodovico Castelvetro,
Venezia, Zatta, 1756.
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357 ARESI, Imprese sacre, cit., libro IV, impresa XXXVII, p. 141. Sulla scorta di ta-
le concettismo, Ferro ne descrive un’applicazione configurata proprio come l’emble-
ma di Baltimore: «Ci è maschio e femina; questa è sterile se non viene ella piantata vi-
cino alla pianta maschio, che all’hora si mostra feconda; sopra che fu fatta impresa di
Hermete Stampa, dopo essere lui stato prelato, essendo creato marchese di Soncino, et
avendo preso moglie, figurò egli due palme, maschio e femina, dove prima aveva il pe-
licano, e diede loro motto MVTVA FAECVNDITAS» (FERRO, Teatro d’imprese, cit., p. 536).
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359 PICINELLI, Mondo simbolico, IX, 23, cit., p. 293. La “fecondazione” morale per
contiguità, qui postulata, viene inquadrata da Aresi nel contesto della relazione didat-
tico-pedagogica che per intercessione del predicatore lega i santi ai fedeli: «Finalmen-
te ci sono a guisa di scalini i santi co’ loro esempi, esortazioni, orazioni et aiuto, che
perciò diceva l’Apostolo Imitatores mei estote, sicut et ego Christi, e per mezzo del profe-
ta Osea l’istesso Dio, Propter hoc dolevi in Prophetis, et occidi eos in verbis oris mei, cioè per
dar esempio a voi, e per ridurvi alla buona strada, ho squadrato e tagliato i miei pro-
feti, e mandandoli a predicare sono stato occasione della loro morte. Che se i fiori di
palma maschio hanno virtù di fecondar la femina, gli esempi de’ giusti devono aver
forza di tòrre a noi la sterilità [...]».
360 Queso emblema non è corredato da un vero e proprio commento, poiché la
relativa didascalia si interrompe dopo la sola parola «Trovasi».
361 MICHELANGELO PICONE, La forza di Amore e il potere della poesia (RVF
231-40), in Il Canzoniere. Lettura micro e macrotestuale, cit., pp. 501-518, cit. alle pp.
502 e 517.
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362 Sulla funzione degli adynata in questa sestina e nell’intero Canzoniere si ve-
dano: JOSEPH G. FUCILLA, Petrarchism and the Modern Vogue of the Figure adunaton, «Zeit-
schrift für romanische Philologie», LXVI (1936), pp. 671-681; KATHARINA MAIER-
TROXLER, “In rete accolgo l’aura, e’n ghiaccio i fiori”: zur Adynata-Häufung in Petrarcas Se-
stine “Là ver’ l’aurora” (Canzoniere, CCXXXIX), «Romanische Forschungen», XCIII
(1981), 3-4, pp. 372-382.
363 Cfr. SHAPIRO, Hieroglyph of Time. The Petrarchan Sestina, cit., p. 88: «The ady-
naton, then, in its close relation to Petrarch’s sestina, denotes a substantial stoppage and
reverse movement of nature, whereas in the poem it furnishes end-stoppage for what
would otherwise be a perpetual linear movement of cycles. Time, in substance, is lin-
ear – in any poem and in the referential context of the Christian poet. Its movement
will, therefore, produce history and novelty. Wheter or not it appears in final position,
the adynaton predicts an end. In this respect it epitomizes Platonic desire superseded
by Christian reality. It would be a trivialization of the problem not to note that the
adynata bespeak a conspicuous absence of God».
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364 Suggestiva è a proposito la lettura di Stroppa: «Il ‘contagio’ del vulnus passa
dall’occhio destro all’occhio destro, come i vv. 9-10 con triplice iterazione simbolica-
mente sottolineano: non avviene dunque in modo speculare (nel senso, cioè, che per-
metteva ad Amore di aprire all’amante il lato sinistro con la mano destra in 228, 1-2),
né quindi per contatto o emanazione fisica, ma per trasmissione spirituale: simile a
quella per la quale, nell’iconografia, san Francesco riceve sul lato destro del petto la
medesima ferita aperta sul fianco destro del Cristo apparso in forma di serafino»
(STROPPA, Commento, cit., p. 379).
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365 PICONE, La forza di Amore e il potere della poesia (RVF 231-40), cit., p. 504.
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Tav. 34
366 MAURICE SCÉVE, Délie. Objet de plus haute vertu, LXXXVII, a cura di
FRANÇOIS CHARPENTIER, Paris, Gallimard, 1984, p. 100. Cfr. a proposito DOROTHY
GABE COLEMAN, An illustrated Love «Canzoniere». The Délie of Maurice Scève, Genève-
Paris, Slatkine, 1981, p. 22: «Emblem writers in the second half of the sixteenth cen-
tury used the same kind of picture but drew different morals from it: for example
Sambucus sees it as an object lesson in learning to tackle each task in its proper sea-
son. Hadrian Junius on the other hand uses it to illustrate his title “Sero detrectat onus,
qui subit”. Scève’s motto seems to have been suggested by a proverbial saying com-
mon in Italian poetry which has been given a slightly different twist by him».
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370 VAN VEEN, Amoris Divini Emblemata, cit., pp. 86-87. Nello stesso contesto te-
matico Claude Paradin ricorda che all’immagine di un giogo stillante olio e alla pa-
rola SVAVE (da Mt. 11, 30: «Iugum enim meum suave est») ricorre papa Leone X de’
Medici per esprimere in impresa tutta la propria compiaciuta obbedienza alla Chiesa:
«Putrescet iugum. Le Ioug pourrira par l’huile (dit Isaye, prophetisant la liberté spir-
ituelle) par l’avenement de Iesu Christ. [...] Car à ce Iubilé spirituelles [...] les serfs as-
savoir, les hommes vendus, par peché, sont deschargez de ce Ioug servile par Iesu
Christ: vray huile de misericordie, de joie, et de grace» (PARADIN, Devises heroiques et
emblemes, cit. pp. 146-147).
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371 Cfr., a proposito di quest’ultimo testo, STEFANO CARRAI, I primi testi autogra-
fi del Vaticano 3195 (RVF 190-200), in Il Canzoniere. Lettura micro e macrotestuale, cit.,
pp. 433-447, in part. p. 441: «Gli effetti del sentimento amoroso sono resi qui mediante
una breve serie di veri e propri supplizi: dal giogo al collo dell’innamorato privato del-
la propria libertà all’anima presa al laccio e legata al cuore che agghiaccia e al volto
che sbianca dalla paura. E soprattutto si tenga presente il parallelo fra la punizione di
Atlante impietrito dallo sguardo di Medusa e quella dell’amante cui gli occhi di Lau-
ra hanno il potere di trasformare in marmo il cuore e il viso».
372 CESARE SEGRE, I sonetti dell’aura, in ID., Notizie dalla crisi, cit., pp. 43-65, cit.
a p. 48. Sul ciclo dell’aura si vedano anche: ANGELO ROMANÒ, I sonetti dell’aura, «L’Ap-
prodo», II (1953), pp. 71-78; GIANFRANCO CONTINI, Prehistoire de l’“aura” de Pétrarque
(1957), in ID., Varianti e altra linguistica. Una raccolta di saggi (1938-1968), Torino, Ei-
naudi, 1970, pp. 193-199; BEATRICE SPAGGIARI, Il tema “west-östlicher” dell’aura, «Studi
medievali», s. II, XXVI (1985), pp. 185-291; GIUSEPPE CHIECCHI, “Itinerarium mentis ad
Lauram”. Ancora sui sonetti dell’aura, in Studi in onore di Vittorio Zaccaria in occasione del
settantesimo compleanno, a cura di MARCO PECORARO, Milano, Unicopli, 1987, pp. 89-
106; ANDREAS KABLITZ, Die Herrin des «Canzoniere» und ihre Homonyme, «Romanische
Forschungen», CI (1989), pp. 14-41; LUCIANO ROSSI, Per la storia dell’«Aura», «Lettere
italiane», XLII (1990), pp. 553-574; BEATRICE SPAGGIARI, Encore sur le theme de l’“au-
ra”, in Etudes de langue et de littérature médiévales offertes à Peter Ricketts, a cura di DOMI-
NIQUE BILLY e ANN BUCKLEY, Turnhout, Brepols, 2005, pp. 717-726.
396
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Fig. 121. FRANCESCO PETRARCA, Canzoniere, Venezia, Vindelin da Spira, 1470, c. 76r.
Brescia, Biblioteca Queriniana, Inc. G.V.15.
Fig. 122. Le Rime del Petrarca brevemente esposte per Lodovico Castelvetro,
Venezia, Zatta, 1756.
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Fig. 123. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, ms. Barb. Lat. 122,
VALERIO MASSIMO, Factorum et dictorum memorabilium, c. 1 (capolettera miniato).
374 Per cui cfr. ELENA PIERAZZO, Iconografia della «Zucca» del Doni: emblematica,
ekphrasis e variantistica, «Italianistica», XXVIII (1998), 3, pp. 403-425, in part. p. 421.
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380 DONI, Nuova opinione circa alle imprese militari e amorose, cit., c. n.n.
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381 Cfr. a questo proposito GIOVANNI POZZI, Imprese di Crusca (1985), in ID., Sul-
l’orlo del visibile parlare, Milano, Adelphi, 1993, pp. 349-382, in part. p. 368: «L’impresa
non è un genere letterario legato al libro. I trattati che ci conservano imprese sono
contenitori di relitti; l’impresa vera era, per la sua attuosità, destinata a un supporto che
in qualche modo la ostentasse in relazione a colui che ne era il destinatore: il suo cap-
pello, il suo vestito, la sua cintura, la sua armatura, l’atrio, la sala, la scala. Il supporto,
come per certe poesie visive, è parte integrante dell’espressione».
382 Testimonia l’efficacia del format ritrattistico promosso da Aretino, nonché ov-
viamente la salda fama dell’individuo effigiato, un aneddoto riportato da Raymond
Waddington: «Nel 1623, l’editore veneziano Alessandro de’ Vecchi pubblicò le Lettere
del signor Francesco Visdomini con una xilografia raffigurante Pietro Aretino sul fronte-
spizio. Visdomini era un ecclesiastico di Ferrara. [...] De’ Vecchi presumibilmente non
riteneva i compratori così interessati ai pii sentimenti dell’ecclesiastico da credere che
il ritratto in eleganti vesti antiche, impellicciato e con catena d’oro, fosse una rappre-
sentazione di Visdomini stesso; piuttosto riteneva che essi riconoscessero la celebre im-
magine e accettassero il ritratto per quello che era: un imprimatur, ossia l’assicurazione
che il prodotto fosse proprio un libro di lettere. E deve aver avuto ragione, perché riu-
sò la xilografia per il frontespizio dell’edizione del 1630» [RAYMOND B. WADDING-
TON, Il satiro di Aretino. Sessualità, satira e proiezione di sé nell’arte e nella letteratura del XVI
secolo, Roma, Salerno Editore, 2009 (I ed. ingl. 2004), pp. 119-120].
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388 PIETRO ARETINO, Lettere. Tomo II. Libro II, a cura di Paolo Procaccioli, Ro-
ma, Salerno Editrice, 1998, p. 368. Per l’ipotesi di questa fonte dell’iconografia della
medaglia di Alessandro Vittoria si rinvia a GENOVESE, La lettera oltre il genere, cit., p. 84.
Pur non citando la missiva aretiniana, anche Waddington riconosce la matrice biblica
dell’immagine del tributo: «L’immagine di Aretino evoca la figura di Mosè, il legisla-
tore dell’Antico Testamento, con tanto di tavole di pietra al suo ritorno dal Sinai; por-
ta la barba di foggia patriarcale e una ciocca di capelli ribelli suggerisce il Mosè “con
le corna”. Inoltre, Mosè è il più illustre modello veterotestamentario del Cristo, una
associazione probabilmente attivata dalle due figure sullo sfondo vestite di mantelli
arabi con cappuccio, il cui viaggio, come quello dei Magi a Betlemme, si indovina lun-
go» (WADDINGTON, Il satiro di Aretino, cit., pp. 157-158).
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Fig. 1. OTTO VAN VEEN, Amoris Divini Emblemata, Antwerp, Nutl &
Morsl, 1615, p. 30.
Fig. 2. CLAUDE PARADIN, Devises heroiques et emblemes, Paris, Millot,
1614, p. 89.
Fig. 3. CAMILLO CAMILLI, Imprese illustri di diversi, Venezia, Ziletti,
1586, II, 78 (Giulio Contarini), p. 79.
Fig. 4. Thronus Cupidinis, Amsterdam,Willem Ianszoon, 1620, emble-
ma 6.
Fig. 5. FRANCESCO PETRARCA, Canzoniere, Venezia, Vindelin da Spi-
ra, 1470, c. 5r [Brescia, Biblioteca Queriniana, Inc. G.V.15. © Su
concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. È fat-
to espresso divieto di ulteriore riproduzione o duplicazione con
qualsiasi mezzo].
Fig. 6. Bergamo, Santa Maria Maggiore, LORENZO LOTTO, Tarsia del
coro: Absalon, Cusai e Achitonfel in consiglio (coperto simbolico) [ripro-
duzione effettuata dal volume FRANCESCA CORTESI BOSCO, Il co-
ro intarsiato di Lotto e Capoferri per Santa Maria Maggiore in Berga-
mo, Bergamo, Ed. Amilcare Pizzi, 1987, p. 258].
Fig. 7. DANIEL DE LA FEUILLE, Devises et emblemes, Augsburg, Kronin-
ger und Goebels, 1697, p. 11.
Fig. 8. FRANCESCO PETRARCA, Canzoniere, Venezia, Vindelin da Spi-
ra, 1470, c. 24r [Brescia, Biblioteca Queriniana, Inc. G.V.15. © Su
concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. È fat-
to espresso divieto di ulteriore riproduzione o duplicazione con
qualsiasi mezzo].
Fig. 9. DANIEL HEINSIUS, Emblemata amatoria, Amsterdam, Boeckver-
cooper, 1608, emblema 21.
Fig. 10. JACOB CATS, Sinne-en minnebeelden, Leiden, Deyster, 1779,
emblema 14.
Fig. 11. PIETER CORNELISZ HOOFT, Emblemata amatoria, Amsterdam,
Willem Ianszoon, 1611, p. 67.
Fig. 12. PAOLO ARESI, Imprese sacre, Tortona, P.G. Calenzano e E.Vio-
la, 1630, V, impresa CXXXVIII, p. 362.
Fig. 13. Paris, Bibliothèque Nationale de France, ms. It. 482, GIO-
VANNI BOCCACCIO, Decameron, c. 102v [riproduzione effettuata
dal volume Boccaccio visualizzato. Narrare per parole e per immagini
fra Medioevo e Rinascimento, a cura di VITTORE BRANCA, Torino,
Einaudi 1993, I, p. 11, ill. 12].
Fig. 14. FRANCESCO COLONNA, Hypnerotomachia Poliphili, Venezia, Al-
do Manuzio, 1493 [riproduzione effettuata dall’edizione anastatica
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Finito di stampare
nel mese di ottobre 2012
presso Zaccaria srl
Napoli