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OSSI DI SEPPIA (1920 - 1927) (Ossi di seppia)

Forse un mattino andando in un’aria di vetro,


(Movimenti) arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il
I limoni [miracolo:
Non chiederci la parola che squadri da ogni il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
Ascoltami, i poeti laureati [lato di me, con un terrore di ubriaco.
si muovono soltanto fra le piante l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti. lo dichiari e risplenda come un croco Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di
Io, per me, amo le strade che riescono agli perduto in mezzo a un polveroso prato. [gitto
[erbosi alberi case colli per l’inganno consueto.
fossi dove in pozzanghere Ah l’uomo che se ne va sicuro, Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
mezzo seccate agguantano i ragazzi agli altri ed a se stesso amico, tra gli uomini che non si voltano, col mio
qualche sparuta anguilla: e l’ombra sua non cura che la canicola [segreto.
le viuzze che seguono i ciglioni, stampa sopra uno scalcinato muro!
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni. Non domandarci la formula che mondi possa ***
[aprirti,
Meglio se le gazzarre degli uccelli sì qualche storta sillaba e secca come un Cigola la carrucola del pozzo,
si spengono inghiottite dall’azzurro: ramo. l’acqua sale alla luce e vi si fonde.
più chiaro si ascolta il susurro Codesto solo oggi possiamo dirti, Trema un ricordo nel ricolmo secchio,
dei rami amici nell’aria che quasi non si ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. nel puro cerchio un’immagine ride.
[muove, Accosto il volto a evanescenti labbri:
e i sensi di quest’odore si deforma il passato, si fs vecchio,
che non sa staccarsi da terra *** appartiene ad un altro...
e piove in petto una dolcezza inquieta. Ah che già stride
Qui delle divertite passioni Meriggiare pallido e assorto la ruota, ti ridona all’atro fondo,
per miracolo tace la guerra, presso un rovente muro d’orto, visione, una distanza ci divide.
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte ascoltare tra i pruni e gli sterpi
di schiocchi di merli, frusci di serpi.
(Meriggi e ombre)
[ricchezza Nelle crepe del suolo o su la veccia
ed è l’odore dei limoni. spiar le file di rosse formiche L’agave su lo scoglio
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano Scirocco
Vedi, in questi silenzi in cui le cose a sommo di minuscole biche.
s’abbandonano e sembrano vicine O rabido ventare di scirocco
a tradire il loro ultimo segreto, Osservare tra i frondi il palpitare che l’arsiccio terreno gialloverde
talora ci si aspetta lontano di scaglie di mare bruci;
di scoprire uno sbaglio di Natura, mentre si levano tremuli scricchi e su nel cielo pieno
il punto morto del mondo, l’anello che non di cicale dai cavi picchi. di smorte luci
[tiene, trapassa qualche biocco
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta E andando nel sole che abbaglia di nuvola, e si perde.
nel mezzo di una verità. sentire con triste meraviglia Ore perplesse, brividi
Lo sguardo fruga d’intorno, com’è tutta la vita e il suo travaglio d’una vita che fugge
la mente indaga accorda disunisce in questo seguitare una muraglia come acqua tra le dita;
nel profumo che dilaga che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia. inafferrati eventi,
quando il giorno più languisce. luci-ombre, commovimenti
Sono i silenzi in cui si vede delle cose malferme della terra;
in ogni ombra umana che si allontana *** oh alide ali dell’aria
qualche disturbata Divinità. ora son io
Spesso il male di vivere ho incontrato: l’agave che s’abbarbica al crepaccio
Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo era il rivo strozzato che gorgoglia, dello scoglio
nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra era l’accartocciarsi della foglia e sfugge al mare da le braccia d’alghe
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase. riarsa, era il cavallo stramazzato. che spalanca ampie gole e abbranca rocce;
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta Bene non seppi, fuori del prodigio e nel fermento
il tedio dell’inverno sulle case, che schiude la divina Indifferenza: d’ogni essenza, coi miei racchiusi bocci
la luce si fa avara - amara l’anima. era la statua nella sonnolenza che non sanno più esplodere oggi sento
Quando un giorno da un malchiuso portone del meriggio, e la nuvola, e il falco alto la mia immobilità come un tormento.
tra gli alberi di una corte [levato.
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità. ***
Incontro LE OCCASIONI (1928 - 1939) Lontano, ero con te quando tuo padre
entrò nell’ombra e ti lasciò il suo addio.
Tu non m’abbandonare mia tristezza a I. B. Che seppi fino allora? Il logorío
sulla strada di prima mi salvò solo per questo:
che urta il vento forano IL BALCONE
co’ suoi vortici caldi, e spare; cara che t’ignoravo e non dovevo: ai colpi
tristezza al soffio che si estenua: e a questo, Pareva facile giuoco d’oggi lo so, se di laggiù s’inflette
sospinta sulla rada mutare in nulla lo spazio un’ora e mi riporta Cumerlotti
dove l’ultime voci il giorno esala che m’era aperto, in un tedio o Anghébeni - tra scoppi di spolette
viaggia una nebbia, alta si fletta un’ala malcerto il certo tuo fuoco. e i lamenti e l’accorrer delle squadre.
di cormorano.
Ora a quel vuoto ho congiunto
La foce è allato del torrente, sterile ogni mio tardo motivo, ***
d’acque, vivo di pietre e di calcine; sull’arduo nulla si spunta
ma più foce di umani atti consunti, l’ansia di attenderti vivo.
d’impallidite vite tramontanti La speranza di pure rivederti
oltre il confine La vita che dà barlumi m’abbandonava:
che a cerchio ci rinchiude: visi emunti, è quella che sola tu scorgi.
mani scarne, cavalli in fila, ruote A lei ti sporgi da questa e mi chiesi se questo che mi chiude
stridule: vite no: vegetazioni finestra che non s’illumina. ogni senso di te, schermo d’immagini,
dell’altro mare che sovrasta il flutto. ha i segni della morte o dal passato
è in esso, ma distorto e fatto labile,
Si va sulla carraia di rappresa I un tuo barbaglio:
mota senza uno scarto,
simili ad incappati di corteo, (a Modena, tra i portici,
sotto la volta infranta ch’è discesa un servo gallonato trascinava
quasi a specchio delle vetrine, A LIUBA CHE PARTE due sciacalli al guinzaglio).
in un’aura che avvolge i nostri passi
fitta e uguaglia i sargassi Non il grillo ma il gatto
umani fluttuanti alle cortine del focolare ***
dei bambù mormoranti. or ti consiglia, spendido
lare della dispersa tua famiglia. Ecco il segno; s’innerva
Se mi lasci anche tu, tristezza, solo La casa che tu rechi sul muro che s’indora:
presagio vivo in questo nembo, sembra con te ravvolta, gabbia o cappelliera?, un frastaglio di palma
che attorno mi si effonda sovrasta i ciechi tempi come il flutto bruciato dai barbagli dell’aurora.
un ronzio qual di sfere quando un’ora arca leggera - e basta al tuo riscatto.
sta per scoccare; Il passo che proviene
e cado inerte nell’attesa spenta dalla serra sí lieve,
di chi non sa temere non è felpato dalla neve, è ancora
su questa proda che ha sorpresa l’onda tua vita, sangue tuo nelle mie vene.
lenta, che non appare. II
***
Forse riavrò un aspetto: nella luce MOTTETTI
radente un moto mi conduce accanto Il ramarro, se scocca
a una misera fronda che in un vaso Lo sai: debbo riperderti e non posso. sotto la grande fersa
s’alleva s’una porta di osteria. Come un tiro aggiustato mi sommuove dalle stoppie -
A lei tendo la mano, e farsi mia ogni opera, ogni grido e anche lo spiro
un’altra vita sento, ingombro d’una salino che straripa la vela, quando fiotta
forma che mi fu tolta; e quasi anelli dai moli e fa l’oscura primavera e s’inabissa al salto
alle dita non foglie mi si attorcono di Sottoripa. della rocca -
ma capelli.
Paese di ferrame e alberature il cannone di mezzodì
Poi più nulla. Oh sommersa!: tu dispari a selva nella polvere del vespro. più fioco del tuo cuore
qual sei venuta, e nulla so di te. Un ronzio lungo viene dall’aperto, e il cronometro se
La tua vita è ancor tua: tra i guizzi rari strazia com’unghia ai vetri. Cerco il segno scatta senza rumore -
dal giorno sparsa già. Prega per me smarrito, il pegno solo ch’ebbi in grazia ...
allora ch’io discenda altro cammino da te.
che una via di città, E l’inferno è certo. e poi? Luce di lampo
nell’aria persa, innanzi al brulichio invano può mutarvi in alcunché
dei vivi; ch’io ti senta accanto; ch’io di ricco e strano. Altro era il tuo stampo.
scenda senza viltà.
*** ***

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