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Quaderni del Concilio - 1

Dicastero per l’Evangelizzazione.

Sezione per le questioni fondamentali dell’evangelizzazione nel mondo

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Elio Guerriero

Il Vaticano II

Storia e significato per la Chiesa

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I volumi di questa collana sono stati curati dal «Dicastero per l’Evangelizzazione. Sezione per le
questioni fondamentali dell’evangelizzazione nel mondo».

© 2022, by Dicastero per l’Evangelizzazione. Sezione per le questioni fondamentali


dell’evangelizzazione nel mondo

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CAPITOLO 1

STORIA

Tempi e luoghi

Nella prima metà del ventesimo secolo la Chiesa cattolica si presentava come una comunità
ben strutturata, presente nei due continenti occidentali: Europa e America. Negli altri continenti,
invece, in Africa, in Asia e in Oceania era presente con le missioni, piccole comunità di persone
convertite al cattolicesimo, dirette per lo più da religiosi venuti dall’Europa. Con il trascorrere dei
decenni, tuttavia, soprattutto dopo il secondo conflitto mondiale del 1939-1945, la situazione
cominciò ad evolvere sempre più rapidamente. Tra le conseguenze nefaste della guerra, infatti, ci fu
una rigida spaccatura del continente europeo in due parti: quella orientale sotto l’influsso della
Russia e dell’ideologia comunista; quella occidentale sotto l’influsso degli Stati Uniti e
dell’ideologia liberista. L’Italia, in particolare, venne a trovarsi in una situazione delicata. Uscita
sconfitta dalla guerra, si trovò sotto la protezione degli Stati Uniti. Aveva, al suo interno, tuttavia,
un partito comunista molto forte che guardava alla Russia con simpatia e aveva grande seguito nel
mondo operaio. In Africa, in Asia e in Oceania, invece, le antiche colonie chiedevano con forza
crescente l’indipendenza dagli antichi paesi coloniali. Anche i cattolici ivi residenti erano interessati
da questi rivolgimenti, quasi costretti ad uscire dal protezionismo degli ordini religiosi per diventare
adulti e darsi un nuovo ordinamento con il clero locale chiamato a sostituire i sacerdoti provenienti
dall’Europa. Le autorità ecclesiastiche erano consce di queste difficoltà; stentavano, tuttavia, ad
individuare il modo in cui far fronte a rivolgimenti sempre più consistenti. Il pontefice Pio XII, un
abile diplomatico, aveva guidato la Chiesa negli anni della guerra ispirandosi al principio della
neutralità. Dopo la guerra, invece, anche in seguito alle persecuzioni dei cattolici nei paesi sotto
l’influsso dell’Unione Sovietica, aveva condannato fortemente l’ideologia comunista e la lotta di
classe. Questa scelta favorì il distacco dalla Chiesa di quella che all’epoca veniva chiamata «la
massa operaia».
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Nel 1958, alla morte di Pio XII, i cardinali elessero come suo successore il patriarca di
Venezia Angelo Giuseppe Roncalli che prese il nome di Giovanni XXIII. La sua scelta era stata
favorita dall’età avanzata. I cardinali elettori, infatti, pensavano ad un papato di transizione dopo
quello del predecessore rimasto in carica poco meno di venti anni. Non era dello stesso avviso
l’eletto, che si sentiva chiamato dalla Provvidenza a guidare la Chiesa per venire incontro alle
donne e agli uomini del nostro tempo, per lenire le loro sofferenze. Subito dopo la sua elezione egli
pensò ad un Concilio ecumenico, una grande assemblea di prelati cattolici provenienti da tutti i
paesi nei quali la Chiesa era presente. Attraverso i cardinali e i vescovi tutti i cattolici del mondo
dovevano partecipare a quell’evento straordinario. Il futuro concilio, inoltre, non era chiamato a
risolvere i problemi interni della Chiesa, ma per apprendere a guardare agli uomini loro fratelli con
simpatia e partecipazione, per portare al mondo l’annuncio di Gesù che non era venuto per
condannare gli uomini bensì per portare loro un messaggio di salvezza. Dopo qualche mese
dall’elezione, il 25 gennaio del 1959 Giovanni XXIII annunciò la sua decisione di indire il Concilio
a un gruppo di cardinali riuniti nella basilica di San Paolo fuori le mura a Roma. All’epoca non vi
erano smartphone né i telefonini mentre la televisione era agli inizi, tuttavia la notizia fece
ugualmente il giro del mondo. La decisione del Papa era stata accolta piuttosto freddamente dai
cardinali; i fedeli, invece, reagirono generalmente con entusiasmo. Formalmente il mondo era in
pace, non mancavano tuttavia le tensioni nazionali e internazionali, anche in Occidente e in Italia vi
erano miseria e povertà. L’iniziativa del Pontefice era un segno di speranza, una prospettiva di pace
e di benessere per l’umanità. Presto iniziarono i preparativi per la grande assemblea, la cui data
d’inizio venne fissata per l’11 ottobre del 1962.

Nel frattempo bisognava stabilire gli argomenti da affrontare, preparare dei testi che
servissero ai padri conciliari come base delle loro discussioni, stabilire chi doveva partecipare alla
grande assemblea. Venne anche dato un nome al prossimo concilio che venne chiamato «Vaticano
II» in quanto succedeva al Vaticano I che si era ugualmente tenuto a Roma un secolo prima. Quali
membri aventi pieno diritto di partecipazione all’assemblea conciliare vennero nominati solamente i
vescovi cattolici di tutto il mondo che potevano essere accompagnati da un segretario o un
ecclesiastico di loro fiducia che doveva aiutarli a preparare i loro interventi. Vi erano poi degli
esperti, per lo più dei teologi, che vennero coinvolti tanto nella fase di preparazione dei testi quanto
nello svolgimento del Concilio. Non potevano votare, però ebbero un influsso decisivo sia nella
preparazione dei documenti che nella rielaborazione degli stessi in seguito alle richieste di
cambiamenti e di correzioni da parte dei vescovi. Vennero inoltre invitati, come osservatori, dei
rappresentanti delle comunità cristiane che nel corso dei secoli si erano separate dalla Chiesa

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cattolica: gli ortodossi, i protestanti, gli anglicani. A titolo di uditori vennero invitati anche dei laici.
Non avevano diritto di parola, se non invitati espressamente dal presidente dell’assemblea. Infine,
come uditrici, per la prima volta, vennero invitate anche delle donne. Laici e laiche poterono così
esercitare un certo influsso nella commissione per l’apostolato dei laici. Era, comunque, un inizio
che poneva termine a un’assenza durata secoli. Va ricordata la partecipazione dei vescovi cattolici
provenienti dalla zona di influenza della Russia, in particolare dall’Ucraina e dalla Polonia.
All’epoca la Russia e l’Occidente erano separati dalla cortina di ferro, una sorta di linea di
separazione che teneva rigorosamente distante il mondo assoggettato all’Unione Sovietica
dall’Occidente. Il Papa, tuttavia, avviò dei contatti che vennero ben accolti a Mosca. I vescovi
cattolici della Polonia e della Ucraina poterono così partecipare al Concilio, mentre il patriarcato
ortodosso di Mosca inviò degli osservatori. Era un successo nel quale pochi avevano osato sperare:
l’inizio di un disgelo che ebbe delle ripercussioni anche in ambito politico.

Il solenne inizio

Una settimana prima dell’inizio del Concilio, il Papa fece un pellegrinaggio a Loreto e ad
Assisi per invocare l’aiuto della Madonna e di san Francesco per il prossimo svolgimento del
Concilio. Il viaggio del Papa in treno era una grande novità per quel tempo. Alla partenza e
all’arrivo una folla di fedeli si strinse con grande affetto intorno al Papa buono che per tutti aveva
una parola di conforto, un invito ad aver fiducia nell’aiuto di Dio. Dopo il viaggio, il Papa si
concentrò per preparare il testo da leggere il giorno dell’apertura del grande evento. Secondo quanto
stabilito, il solenne inizio avvenne l’11 ottobre del 1962. L’immagine di apertura venne trasmessa
indiretta televisiva in tutto il mondo. Il rito ebbe inizio con una lunga processione di vescovi che,
vestiti in abiti solenni da cerimonia, partendo da piazza San Pietro entrarono nella basilica, dove
presero posto in una navata laterale. Per la prima volta si vedevano insieme vescovi dall’Europa,
dall’Asia, dall’Africa. I credenti ebbero l’impressione di toccare quasi con mano la cattolicità della
Chiesa, la sua presenza in ogni angolo del mondo. I non credenti, invece, erano stupiti
dall’immagine di forza che emanava da quella processione che sembrava non finire mai. Da ultimo
entrò il Papa che, in un contesto gioiosamente solenne, circondato da più di 2.000 vescovi, iniziò a

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leggere il discorso d’apertura: «La Madre Chiesa si rallegra perché, per un dono speciale della
Divina Provvidenza, è ormai sorto il giorno tanto desiderato nel quale qui, presso il sepolcro di San
Pietro, auspice la Vergine Madre di Dio, di cui oggi si celebra con gioia la dignità materna, inizia
solennemente il Concilio Ecumenico Vaticano II». Inoltre il Papa esortava i vescovi a parlare in
libertà avendo fiducia nell’aiuto di Dio e mirando non tanto alla definizione di nuove dottrine, bensì
a un cambiamento di atteggiamento: «La Chiesa si propone ora con opportuni aggiornamenti e con
la saggia organizzazione di mutua collaborazione di far sì che gli uomini, le famiglie, i popoli
volgano realmente l’animo alle cose celesti». Dopo tanta attesa finalmente il Concilio aveva inizio.

Come un podcast: Il discorso alla luna di Giovanni XXIII

Ho avuto il piacere di conoscere e per un certo tempo di collaborare con il cardinale Loris
Capovilla per la fondazione Giovanni XXIII a Bergamo. Al tempo del Concilio don Loris era
segretario di Giovanni XXIII e mi raccontò qualche particolare di quella storica giornata. La sera
dell’apertura del Vaticano II, il Papa era stanco per la grande celebrazione del mattino, per gli
incontri che ne erano seguiti. Di conseguenza decise di mettersi a letto presto, verso le nove di sera.
Il segretario era ancora presso di lui per augurare la buona notte, chiudere le luci e accostare le
tende. Proprio mentre svolgeva quest’ultimo compito, sentì che da piazza San Pietro si levava un
brusio di voci che andava progressivamente crescendo. Era una grande folla che, organizzata dai
giovani dell’Azione Cattolica, aveva formato una lunga processione. Recando fiaccole accese, la
folla si dirigeva verso il balcone dal quale era solito affacciarsi il Pontefice, per rendere omaggio al
Papa del Vaticano II. Sorpreso, il segretario avvisò il Papa che era piuttosto riottoso ad alzarsi. Il
segretario, però, lo sollecitò: non poteva deludere una folla così numerosa e ben disposta. Giovanni
XXIII allora si alzò, si rivestì e finalmente si affacciò alla finestra, mentre dalla piazza si levavano
grida di giubilo e di entusiasmo. Era una serata magnifica con una luna piena che proiettava sulla
terra una luce quasi di giorno. Il Papa prese allora la parola e improvvisò un discorso che divenne
giustamente famoso: «Cari figlioli, sento le vostre voci. La mia è una sola, ma riassume tutte le voci
del mondo; e qui di fatto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la luna si è affrettata
stasera – osservatela in alto – a guardare questo spettacolo […]. Noi chiudiamo una grande giornata
di pace… Sì, di pace: “Gloria a Dio, e pace agli uomini di buona volontà” […]. Tornando a casa,
troverete i bambini. Date loro una carezza e dite: “Questa è la carezza del Papa”. Troverete forse
qualche lacrima da asciugare. Abbiate per chi soffre una parola di conforto. Sappiano gli afflitti che
il Papa è con i suoi figli specie nelle ore della tristezza e dell’amarezza. E poi tutti insieme ci

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animiamo: cantando, sospirando, piangendo, ma sempre pieni di fiducia nel Cristo che ci aiuta e che
ci ascolta, continuare a riprendere il nostro cammino».

La prima sessione

Come già ricordato, i vescovi presenti a Roma per il Concilio furono più di 2.000. Non è
facile organizzare i lavori di una assemblea così numerosa. Una commissione centrale aveva
elaborato un regolamento che sostanzialmente rispecchiava quello del Vaticano I svoltosi a Roma
circa un secolo prima. Presto però si rivelarono i limiti di questo ordinamento che dovette essere più
volte corretto. Nella fase di preparazione erano state costituite delle commissioni generalmente
presiedute da un cardinale di curia con il compito di preparare i testi da sottoporre al dibattito
conciliare. Secondo l’ordinamento iniziale dapprima interveniva un vescovo incaricato di presentare
il documento in discussione. Quindi i padri conciliari potevano prenotare un intervento di 10 minuti,
un tempo limitato per consentire ai tanti presenti di intervenire. Quanti si erano prenotati venivano
chiamati al microfono da un consiglio di presidenza composto da 10 cardinali che si alternavano
nella conduzione dei lavori. Si doveva leggere l’intervento in latino, la lingua ufficiale, che molti
vescovi capivano a stento. Vi era infine una difficoltà di acustica. La navata di San Pietro nella
quale si svolgevano le riunioni era certamente una sede prestigiosa, l’acustica, tuttavia, non era
certo delle migliori. Quotidianamente, vi era spazio tra 10-15 interventi. Le commissioni
preparatorie avevano preparato circa 70 schemi per altrettanti documenti. Molti erano ripetitivi, altri
trattavano argomenti troppo particolari. Il Concilio correva il rischio di trasformarsi in una stanca
ripetizione di argomenti già noti.

Vi furono, tuttavia, due sedute che impressero una svolta positiva per il successivo
svolgimento del Concilio. In una delle prime sedute i vescovi furono chiamati a votare i membri
delle commissioni conciliari che dovevano rielaborare i testi già preparati. Venne distribuito un
elenco di nomi che sostanzialmente riproponeva i teologi romani che già avevano predisposto i
documenti stessi. I vescovi, tuttavia, rigettarono questo modo di procedere e ottennero di eleggere
degli esperti provenienti dall’intero mondo cattolico, soprattutto dai paesi del centro nord
dell’Europa. In un’altra seduta venne messo a votazione lo schema sulla divina rivelazione. Il

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documento preparato era piuttosto deludente. La maggioranza dei vescovi votò non solo per una
revisione, bensì per riscrivere totalmente il testo. Sembrava quasi un gesto di rivolta. Il Papa,
tuttavia, intervenne a favore della scelta dei vescovi. Un gesto significativo che diede coraggio ai
vescovi considerati progressisti. Al pari dei vescovi conservatori essi avevano libertà di parola e
possibilità di iniziativa. Passarono in questo modo i tre mesi della prima sessione conciliare tra
improvvise svolte e il monotono ascolto della presentazione dei documenti. Tra un intervento e
l’altro, tuttavia, era possibile accedere a due bar collocati uno all’interno della sacrestia, l’altro nella
navata destra della basilica. Speso i vescovi vi si rifugiavano per una meritata pausa, ma anche per
incontrarsi e conoscersi tra di loro. Questi due luoghi concepiti come momenti di ristoro si
rivelarono alla fine come luogo di incontro e di conoscenza tra i vescovi. Anche attraverso queste
brevi pause crebbe la comunione tra vescovi spesso di origine e di cultura molto diversi. Come
osservò il Papa stesso nella seduta conclusiva della prima sessione, l’8 dicembre del 1962, non c’era
da restare delusi. La prima sessione era stata un periodo di rodaggio che era servito per mettere a
punto un efficace metodo di lavorare. Nelle sessioni successive il Concilio poteva dare i frutti attesi
per la Chiesa cattolica, per i fratelli separati, per l’intera umanità.

La minaccia atomica e l’enciclica sulla pace di Giovanni XXIII

Nei primi giorni di svolgimento del Concilio accadde un evento internazionale che mise a
rischio la pace nel mondo. Alcuni aerei americani in ricognizione si accorsero che i russi stavano
installando dei missili sull’isola di Cuba governata da Fidel Castro, giunto al potere tramite una
rivoluzione di ispirazione comunista. Gli Stati Uniti si sentirono minacciati e intimarono ai russi di
ritirare i loro missili altrimenti sarebbero passati all’attacco. In un drammatico appello alla nazione
il presidente degli Stati Uniti, John Kennedy, dichiarò: «Non rischieremo prematuramente e senza
necessità una guerra nucleare mondiale dopo di cui anche i frutti della vittoria sarebbero cenere
sparsa sui nostri cadaveri; ma nemmeno indietreggeremo di fronte a un tale rischio». Nell’occasione
Papa Giovanni svolse una preziosa opera di rasserenamento culminata nel radiomessaggio del 25
ottobre del 1962 rivolgendosi non solo ai cattolici e ai cristiani, ma a tutti gli uomini di buona
volontà desiderosi della pace. L’intervento del Papa, accolto con favore presso le massime autorità
di entrambe le superpotenze, diede un apporto significativo per evitare un conflitto mondiale.

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Continuando nella politica di apertura anche verso l’Unione Sovietica all’inizio di marzo del 1963 il
Papa ricevette in Vaticano Alexis Adjubei genero del leader sovietico Nikita Sergeevič Chruščëv,
mentre nei mesi successivi pubblicò una lettera enciclica dedicata alla pace nel mondo. Era un
documento solenne che si rivolgeva non solo ai cattolici, ma a tutti gli uomini. Essa introduceva
inoltre la categoria dei segni dei tempi. La promozione economica e sociale delle classi lavoratrici,
l’ingresso delle donne nella vita pubblica non erano da osteggiare bensì modi della realizzazione del
regno di Dio sulla terra. Intervenendo poi più direttamente sull’argomento della pace, il Papa
denunciava la corsa agli armamenti. Nell’era dell’atomica, scriveva Giovanni XXIII, non si poteva
più parlare di guerra giusta. La pace era ormai un obbligo per la Chiesa e per il mondo. I cattolici
dovevano impegnarsi con tutti gli uomini per il mantenimento della pace. L’enciclica del Papa
venne accolta con grande favore in tutto il mondo. La guerra fredda e le rispettive ideologie
sembravano ormai vecchie e superate.

Già nei giorni immediatamente successivi alla conclusione della prima sessione del Concilio
si era sparsa una notizia inquietante: il Papa era seriamente ammalato ed effettivamente nelle
apparizioni in pubblico sembrava sofferente. A un mese dalla pubblicazione dell’enciclica sulla
pace, che venne poi considerata come il testamento spirituale del Pontefice, le sue condizioni di
salute peggiorarono rapidamente. La morte avvenne la sera del 3 giugno 1963 con la piazza San
Pietro gremita di gente accorsa quasi per far compagnia al Papa morente. Ha scritto Giuseppe
Alberigo: «Quella morte è patrimonio dell’umanità nella singolare coincidenza di un giusto che era
ad un tempo Papa e maestro».

Come un podcast: L’acustica di san Pietro e il bar Jonas

Il sacerdote e storico Maurilio Guasco al tempo del Vaticano II era un giovane studente di
teologia a Roma e poté partecipare ad alcune sessioni del Concilio come assignator locorum. Aveva
cioè il compito di accompagnare ai loro posti i padri anziani e di aiutarli perle loro esigenze
pratiche. Ebbe dunque la possibilità di assistere ad alcune sedute del Vaticano II. A proposito
dell’acustica al Concilio ricordava che un giorno era seduto accanto ad alcuni vescovi latino-
americani. Mentre ascoltava il relatore di turno e prendeva degli appunti il vescovo seduto vicino a
lui gli chiese: «Che scrivi?». Egli rispose: «Prendo degli appunti su quanto dice il relatore».
Sorpreso, il vescovo si rivolse ai suoi vicini: «Questo non solo sente, ma capisce pure!». Continuava
poi Guasco: «Non c’era allora da stupirsi se molti di quei vescovi si davano appuntamento a quello

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che scherzosamente chiamavano il bar Jonas. Era il bar, ma anche il luogo di rifugio dove darsi
appuntamento per bere un caffè, per scambiarsi opinioni e informazioni sulle loro diocesi, sui
problemi che ciascuno doveva affrontare». Anche per queste imperfezioni iniziali il Concilio
divenne luogo di comunione e di amicizia.

L’elezione di Paolo VI e la seconda sessione del Concilio

La morte di Giovanni XXIII lasciò un vuoto profondo. Alcuni temevano per la ripresa del
Concilio; altri, soprattutto nella curia, desideravano porre fine a quella avventura ritenuta pericolosa
e lesiva dell’autorità del Papa e indirettamente della stessa curia. Dopo i funerali del Pontefice
defunto, i cardinali, riuniti in conclave, il 21 giugno del 1963 elessero il cardinale di Milano
Giovanni Battista Montini che prese il nome di Paolo VI. Il giorno successivo alla sua elezione egli
confermò la volontà di riprendere il Concilio. Aggiunse inoltre che la grande assemblea doveva
continuare nello spirito del suo predecessore. Poi stabilì la data della seconda sessione fissata al 29
settembre del 1963. Nella prima sessione i padri si erano espressi liberamente su una molteplicità di
temi. Nella seduta iniziale della seconda sessione il nuovo Papa propose ai vescovi una sorta di
programma. Il concilio doveva incoraggiare una migliore coscienza della Chiesa circa sé stessa,
favorire il suo rinnovamento, mirare al raggiungimento dell’unità dei cristiani e al dialogo con il
mondo contemporaneo. Divenne così evidente che i vescovi riformatori avrebbero avuto il sostegno
del Papa. Più del suo predecessore egli seguì attentamente i lavori conciliari e più volte intervenne
per superare l’ostruzionismo dei conservatori, ma anche le fughe in avanti di alcuni progressisti.
Sotto la sua guida, in ogni caso, il Concilio poté procedere in modo più spedito.

Come cambiamento pratico egli nominò quattro moderatori con il compito di dirigere i
lavori dell’assemblea e di informarlo sull’avanzamento dei lavori. I moderatori erano il cardinale
Krikor Bedros XV Agagianian, prefetto della congregazione di Propaganda Fide, il cardinale Léon-
Joseph Suenens, arcivescovo di Malines in Belgio, il cardinal Julius Augustus Döpfner di Monaco
di Baviera, il cardinale Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna. Essi svolsero un ruolo
importante sia per la guida dei lavori in aula sia come anello di congiungimento tra il Papa e i
vescovi. Paolo VI introdusse un’altra significativa novità: l’informazione per i giornalisti. L’assenza

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di qualsiasi comunicato per la stampa nella prima sessione aveva causato fughe di notizie più o
meno veraci, più o meno interessate. L’istituzione di un comunicato ufficiale sui temi affrontati
eliminava almeno in parte disinformazioni che provocavano disagi. Sotto la guida dei moderatori
nella seconda sessione venne esaminato soprattutto lo schema della costituzione Lumen Gentium,
uno dei grandi documenti conciliari che tratta della Chiesa, della comprensione che essa ha di sé
stessa, della sua funzione spirituale e della sua organizzazione. Vennero inoltre accettati i piccoli
cambiamenti apportati alla costituzione liturgica, già in gran parte discussa e approvata nella prima
sessione. Venne infine discusso un documento sull’ecumenismo che fu molto dibattuto. In ogni
caso il documento, secondo il patriarca melchita di Antiochia, Maximos IV Saigh, un padre
orientale che fece molti interventi a difesa dei cattolici di rito ortodosso, «fu un segno che si era
finalmente usciti da un periodo di sterile polemica che ha grandemente nuociuto alla nostra teologia
e alla nostra spiritualità».

Il 4 dicembre del 1963 la seconda sessione veniva chiusa da Paolo VI con un giudizio
lusinghiero. Alla fine del suo discorso, inoltre, il Papa fece un annuncio che suscitò scalpore ed
entusiasmo. Nel mese di gennaio del nuovo anno, il 1964, si sarebbe recato pellegrino in Palestina.
Da lì erano partiti San Pietro e San Paolo per giungere fino a Roma. Nessun successore di San
Pietro vi si era mai recato in precedenza. Lì il Papa voleva compiere un pellegrinaggio per
implorare l’aiuto di Gesù per il buon esito del Concilio, lì voleva compiere un gesto di ecumenismo
quasi a dare un segno visibile della nuova volontà della Chiesa cattolica di stringere rapporti fraterni
con i cristiani che nei secoli si erano distaccati da Roma.

Il viaggio di Paolo VI in Terra Santa

Come annunciato ai padri conciliari, il 4 gennaio del 1964 Paolo VI partiva per la Terra
Santa. Il viaggio era il primo frutto del Concilio e nello stesso tempo manifestava la volontà del
nuovo Papa di passare alla fase di applicazione dei desideri dei vescovi riuniti a Roma. Il viaggio
era di breve durata, voleva essere un ritorno alle origini cristiane, ai luoghi dove era nato, vissuto il
fondatore della religione cristiana e della Chiesa, ma anche il Signore che l’accompagna e guida nel
suo cammino. L’aereo del Papa atterrò ad Hamman, la capitale del regno di Ḥusayn ibn Ṭalāl,
Hussein di Giordania. L’accoglienza fu molto calorosa. Dopo aver salutato il re giordano, il Papa
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raggiunse in macchina Gerusalemme scortato da una flottiglia di elicotteri. Per strada si fermò
brevemente sulle sponde del fiume Giordano. Entrò a Gerusalemme per la porta di Damasco, quindi
si diresse verso la via dolorosa per raggiungere il monte Calvario.

Durante questo percorso la ressa della folla era tale che le guardie per qualche tempo persero
il controllo della situazione. Arrivato alla sesta stazione della via crucis, il Papa dovette attendere
quasi mezz’ora prima che la polizia riuscisse a liberare la strada. Giunto finalmente alla Chiesa del
Santo Sepolcro, celebrò la Messa; poi recitò una preghiera a Gesù, che era espressione della sua
spiritualità cristocentrica e nello stesso tempo esplicitava lo scopo del viaggio. Tra l’altro questa
preghiera, recitata in francese, diceva: «Signore Gesù, nostro Redentore e pastore, trasmetti a noi la
capacità d’amare, secondo la tua volontà, di modo che seguendo il tuo esempio e con la tua grazia,
noi amiamo te e tutti coloro che in te sono nostri fratelli». Il mattino seguente il Papa si recò in
Galilea per visitare Betlemme, Cafarnao, il monte delle beatitudini.

Quindi ritornò a Gerusalemme dove nella sede della delegazione apostolica ricevette la
visita del capo degli ortodossi, il patriarca ecumenico Atenagora I. Era un altro evento storico. Il
Papa di Roma e il patriarca di Costantinopoli si erano scomunicati reciprocamente mille anni prima.
Ora i loro successori si incontravano, manifestavano reciprocamente fiducia e lealtà nel desiderio di
percorrere il cammino di Dio. Poi il Papa donò al patriarca un calice, segno di speranza e del
desiderio di poter un giorno celebrare insieme l’Eucaristia. Successivamente il capo della Chiesa
cattolica e quello della Chiesa ortodossa recitarono insieme il Padre Nostro rispettivamente in latino
e in greco. Terminava così una giornata storica e un incontro ecumenico che finalmente avviava un
cammino di rispetto e fraternità.

Come un podcast: Paolo VI travolto dalla folla sulla via per il Santo Sepolcro

Il viaggio di Paolo VI in Terra Santa ebbe uno straordinario accompagnamento di fedeli e


curiosi. Sulla via dolorosa che porta al Santo Sepolcro, dove venne deposto il corpo di Gesù dopo la
morte, la folla finì per travolgere completamente il servizio d’ordine. Raccontò mons. Pasquale
Macchi, già segretario del Papa, in un convegno di storici a Brescia: «Io era rimasto tagliato fuori
ed ero estremamente preoccupato per la salute del Papa ed anche perché avevo con me il discorso
che il Papa doveva pronunciare. Mentre vagavo interrogandomi sul da farsi, vidi un ufficiale della
polizia da me precedentemente incontrato in un meeting di preparazione del viaggio del Papa. A sua
volta cercava di farsi strada alla guida di una moto. Gli feci segno, mi riconobbe ed accostò. Poi,
anche se vestito in abiti da cerimonia, presi posto alla meglio dietro di lui e insieme facemmo

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slalom attraverso la folla. Giunsi alla basilica del Santo Sepolcro insieme con il Papa. Tirai un
respiro di sollievo e feci giusto a tempo a consegnargli il suo discorso».

La terza sessione

La seconda sessione del Vaticano II aveva raggiunto buoni risultati; tuttavia, sia le autorità
romane che alcuni vescovi stranieri erano seriamente preoccupati. Restavano ancora molti
documenti da esaminare. Il Concilio correva il rischio di protrarsi troppo nel tempo. Il Papa ne parlò
con alcuni cardinali di sua fiducia. Insieme, decisero di affidare al cardinal Döpfner, uno dei
moderatori, il compito di elaborare un piano per ridurre drasticamente i numerosi documenti che
restavano da esaminare, molti dei quali, tra l’altro, erano ripetitivi. Abbastanza celermente il
cardinale tedesco presentò un piano che venne accolto nelle linee generali. Alcuni vescovi
progressisti avevano il timore che questo fosse un espediente per mettere un freno alla libertà del
Concilio. Paolo VI, tuttavia, da una parte confermò la necessità di dover procedere più
speditamente, dall’altra assicurò di voler mettere mano alle riforme auspicate dai padri conciliari. In
questa linea le varie commissioni poterono concentrarsi sugli schemi rielaborati secondo il piano
Döpfner. I nuovi schemi vennero poi spediti ai vescovi che li ricevettero prima ancora di ritrovarsi a
Roma, per poterli studiare ed eventualmente preparare per tempo suggerimenti e correzioni.

La terza sessione iniziò il 14 settembre del 1964 con una grande novità in campo liturgico. Il
dibattito venne preceduto da una Messa celebrata dal Papa insieme con 24 padri conciliari. Nella
liturgia cattolica, dunque, la Messa non doveva essere celebrata solamente da un solo sacerdote, ma
poteva essere concelebrata, celebrata cioè da più sacerdoti riuniti intorno allo stesso altare. Era una
delle prime riforme in campo liturgico approvate dal Vaticano II. Seguendo gli schemi rielaborati
secondo il piano Döpfner, i principali documenti presentati nella terza sezione furono il testo
riscritto della futura costituzione sulla divina rivelazione che venne generalmente bene accolto.
L’ultima costituzione, quella della Chiesa nel mondo contemporaneo, diede, invece, adito a un
lungo dibattito. Alcuni padri le rimproveravano di avere una lettura prevalentemente sociologica.
Altri ritenevano che partisse da una considerazione troppo ottimistica del mondo contemporaneo.
Alla fine si decise di conservare lo schema, affidando ad alcuni periti di lingua tedesca, tra i quali il

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futuro Benedetto XVI, il compito di rendere il testo più aderente alla realtà, mostrando anche i limiti
oltre che i pregi dei mutamenti avvenuti nel tempo moderno.

Molto discusso fu lo schema sull’apostolato dei laici. I padri progressisti chiedevano un


maggior coinvolgimento dei laici sia nella stesura definitiva del documento che nella vita della
Chiesa. I conservatori insistevano sull’obbedienza che i laici devono alla gerarchia e sull’attività
pastorale dei singoli piuttosto che di gruppo dei laici. Alla fine ci si mise d’accordo nel rinviare
l’approvazione del testo alla quarta sessione coinvolgendo maggiormente nella revisione del testo i
laici presenti al Concilio. Altro argomento molto dibattuto fu quello della libertà religiosa.
L’episcopato americano era per il pieno riconoscimento della libertà religiosa ad ogni religione o
confessione religiosa presente nei vari paesi. La maggioranza dei vescovi d’Italia e Spagna, dove la
presenza cristiana era all’epoca largamente maggioritaria, insistevano per mantenere lo statuto della
religione di stato. Numericamente i vescovi favorevoli al pieno riconoscimento della libertà
religiosa ad ogni religione o confessione religiosa erano in maggioranza. Si decise, tuttavia, di
rivedere ancora il documento per favorire una maggioranza ancora più estesa.

Era così terminata anche la terza sessione. Il lavoro aveva fatto dei grandi passi in avanti.
Ormai si poteva seriamente pensare ad una sessione conclusiva. Già a gennaio del 1965 Paolo VI
annunciò la data della quarta sessione che doveva iniziare il 14 settembre di quello stesso anno.
Anticipò inoltre che quella era la sessione conclusiva del Vaticano II. Nei primi mesi dell’anno le
commissioni conciliari lavorarono alacremente. A metà giugno la segreteria generale poté inviare ai
vescovi i testi dei documenti rielaborati secondo le indicazioni ricevute.

La quarta sessione e la solenne conclusione del Concilio

All’apertura della quarta sessione, Paolo VI fece due annunci importanti. Accogliendo
l’invito che era venuto dal Concilio, egli istituiva il sinodo dei vescovi. Ad intervalli regolari alcuni
vescovi rappresentativi dell’episcopato mondiale erano invitati a riunirsi per dare al Papa un
contributo di consiglio e collaborazione. Era un modo per rendere operante la cooperazione dei
vescovi al governo universale della Chiesa. Nella precedente sessione il Papa era intervenuto
invitando la maggioranza conciliare dei vescovi progressisti a tenere in conto anche le ragioni della

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minoranza dei vescovi conservatori. Ora, tuttavia, manifestava chiaramente di voler proseguire con
le riforme richieste dalla maggioranza. L’altro annuncio del Papa riguardava la sua decisione di
accogliere l’invito rivoltogli dalla segreteria delle Nazioni Unite di visitare l’ONU in occasione del
ventesimo anniversario dalla sua fondazione. Era un segno dell’attenzione della Chiesa verso i
problemi del mondo quale era emersa dal Concilio.

I lavori dell’ultima sessione si possono dividere in due parti. Nella prima parte vennero
portate le ultime proposte di miglioramento dei testi già esaminati. Nella seconda vennero messi
definitivamente ai voti i testi rielaborati. In definitiva, l’assemblea dei padri conciliari approvò 4
costituzioni, 9 decreti e 4 dichiarazioni. Nella seduta del 7 dicembre 1965, vigilia della solenne
conclusione del Vaticano II, il Papa fece un altro annuncio di portata storica. Il vescovo di Roma e
il patriarca ecumenico, in seguito all’intenso lavoro del Segretariato per l’Unità dei Cristiani,
avevano deciso di cancellare la reciproca scomunica che le due Chiese si erano scambiate nel 1054.
Contemporaneamente mons. Johannes Willebrands, segretario dello stesso organismo, diede lettura
di una dichiarazione comune dei due capi della Chiesa cattolica e ortodossa. Quel testo diceva, tra
l’altro: «Papa Paolo VI e Atenagora I sono dispiaciuti delle parole offensive, dei rimproveri senza
fondamento, degli atteggiamenti riprovevoli che, da ambo le parti, accompagnarono i tristi eventi di
quel periodo (1054). Sono parimenti dispiaciuti e rimuovono dalla memoria e dall’interno della
Chiesa le sentenze di scomunica che fecero seguito a questi eventi, la cui memoria ha influito sulle
azioni fino ai nostri giorni ed hanno impedito relazioni più strette nella carità». Sempre in
contemporanea, alla presenza dei padri conciliari, il Papa affidava al metropolita Melitone,
rappresentante della Chiesa ortodossa al Vaticano II, il breve con il quale il Papa dichiarava nulla la
scomunica del 1054. Parimenti nella chiesa del Fanar a Istanbul il patriarca Atenagora affidava a un
rappresentante del Segretariato per l’Unione dei Cristiani il tomo con il quale il Patriarca toglieva la
scomunica alla Chiesa cattolica. Al concilio un applauso lungo, prolungato ed entusiasta
accompagnò l’abbraccio di pace tra il Papa e il metropolita Melitone. Non erano superate tutte le
difficoltà insorte nei secoli, si era tuttavia imboccata una strada nuova, una strada di fraternità.

Il Vaticano II si concluse il giorno successivo, 8 dicembre, in piazza San Pietro alla presenza
delle delegazioni di 81 governi e 9 organismi internazionali. Nella sua omelia il Papa invitò vescovi
e osservatori ad operare, ciascuno nel proprio ambito, al «rinnovamento di pensiero, di azione, di
costumi, di forza morale, di gioia e di speranza». Era stato questo lo scopo del Concilio. Ormai
bisognava passare alla seconda fase: quella dell’applicazione delle disposizioni conciliari.

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CAPITOLO 2

LE RIFORME PROMOSSE DAL VATICANO II

La riforma liturgica

Uno dei primi documenti approvati dal Concilio fu la costituzione liturgica che venne
generalmente bene accolta. Il documento, infatti, era stato preparato dal movimento liturgico nato in
Francia alla fine dell’Ottocento. Successivamente si era diffuso in Germania soprattutto per merito
di un teologo di origini italiane, Romano Guardini. Egli pubblicò un’opera, Lo spirito della liturgia,
che ebbe larga diffusione nei paesi di lingua tedesca. Successivamente molti sacerdoti e laici fecero
propri gli orientamenti del movimento liturgico. A sua voltala costituzione sulla liturgia faceva sue
molte delle proposte portate avanti dai liturgisti di modo che quando il solenne documento venne
presentato in aula fu accolto favorevolmente dalla grande maggioranza dei padri conciliari. Una
delle affermazioni centrali della Costituzione mirava a favorire la partecipazione attiva dei fedeli
alla liturgia, che è «fonte e culmine» della vita cristiana. Per raggiungere questa finalità, già nel
1964 Paolo VI aveva istituito un consiglio per mettere in pratica la costituzione sulla sacra liturgia.

La riforma liturgica richiese un lavoro lungo e complesso in seguito al quale vennero portati
dei cambiamenti rilevanti nella vita dei fedeli. Prima del concilio le Messe erano celebrate dai
sacerdoti in latino. Erano passati più di quattro secoli da quando l’utilizzo del latino nella
celebrazione della Messa era diventato un obbligo. Ora finalmente la Chiesa aveva deciso di
rivolgersi ai fedeli con la loro lingua. Dopo pochi anni dalla conclusione del Concilio, la Messa e la
grande maggioranza dei riti liturgici vennero celebrati nelle lingue parlate. In Italia la prima Messa
nella lingua dei fedeli venne celebrata da Paolo VI, il 7 marzo del 1965 nella parrocchia di
Ognissanti sull’Appia Nuova, a Roma. Bisognò attendere, tuttavia, il 30 novembre del 1969 perché
fosse pronto il nuovo rito per la celebrazione della Messa in italiano. Nell’occasione il Papa spiegò:
«Sia ben chiaro: nulla è mutato nella sostanza della nostra Messa tradizionale […]. Nel nuovo rito
troverete collocata in migliore chiarezza la relazione tra la liturgia della parola e la liturgia
propriamente eucaristica […]. Sappiate apprezzare come la Chiesa, mediante questo nuovo e
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diffuso linguaggio, desidera dare maggiore efficacia al suo messaggio liturgico». Il Concilio, però,
aveva raccomandato di non abolire del tutto il latino, ma di considerarlo come una lingua
particolarmente adatta a trasmettere la sacralità delle funzioni liturgiche. Questa raccomandazione
venne presto negletta.

Altro cambiamento significativo fu il progressivo abbandono delle messe solenni nelle quali
il coro aveva una funzione importante a trasmettere il senso della solennità e dello stare davanti a
Dio. Anche queste celebrazioni vennero presto abbandonate suscitando il rammarico di quanti
amavano il senso di solennità e di raccoglimento generato dalle grandi composizioni di Giovanni
Pierluigi da Palestrina, Johann Sebastian Bach, Wolfgang Amadeus Mozart. Altro cambiamento, in
questo caso di natura estetica, fu l’altare rivolto al popolo. In antecedenza il sacerdote celebrava la
Messa rivolto all’altare dando le spalle ai fedeli. In base alle nuove disposizioni molti altari vennero
modificati di modo che il sacerdote potesse avere i fedeli davanti a sé e dialogare con loro. In breve
i cambiamenti liturgici approvati quasi all’unanimità al Concilio furono quelli dove presto si
manifestò lo scontro tra i fautori di cambiamenti sempre più rapidi e improvvisati e i difensori
accaniti di tradizioni ormai superate. I primi si rifacevano non ai documenti conciliari, ma a un non
meglio definito spirito del Concilio, gli altri volevano ad ogni costo rimanere fedeli a tradizioni che
non erano più all’altezza dei tempi.

La riforma della curia romana

Una delle riforme più insistentemente richieste dai padri conciliari era quella della curia
romana, in particolare della congregazione all’epoca chiamata del Sant’Uffizio. Era una
congregazione che risaliva al concilio di Trento ed aveva come sua finalità specifica la
conservazione integrale della fede contro le eresie e gli eretici. Se la sua finalità era condivisibile,
non lo erano alcune modalità assunte nel corso dei secoli. Ad indicare un cambiamento
particolarmente significativo Paolo VI le cambiò anche il nome. Il Sant’Uffizio diveniva così la
Congregazione per la Dottrina della Fede. Più che per punire gli errori degli eretici essa veniva
incoraggiata a favorire la trasmissione di una visione integrale e bella della dottrina cattolica. Gli
studiosi invitati a far parte di questa congregazione non erano più degli impiegati a tempo
indeterminato provenienti per lo più dall’Italia, bensì dei teologi e studiosi rappresentativi

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dell’intero mondo cattolico. Essi rimanevano in carica per cinque anni; potevano poi essere
confermati, oppure riprendere le loro precedenti occupazioni.
Se il Sant’Uffizio usciva ridimensionato dalla riforma voluta da Paolo VI, la Segretaria di
Stato ne usciva, invece, notevolmente rafforzata. Essa era costituita da una sezione per gli affari
generali, con il compito di coordinare i vari organismi vaticani, e da una sezione per i rapporti con
gli stati. Questa sezione era deputata alla diplomazia vaticana. Il prefetto della Segreteria, chiamato
segretario di stato, veniva ad essere così il più stretto collaboratore del Papa. Paolo VI che, prima di
essere nominato arcivescovo di Milano, aveva a lungo lavorato alla Segreteria di Stato dava così
una struttura più organica agli organismi vaticani e ai loro compiti.

Le conferenze episcopali

Le conferenze episcopali risalgono alla seconda metà dell’Ottocento. Con l’affermazione


degli stati nazionali, i vescovi dei diversi paesi e delle diverse aree linguistiche avevano avvertito il
bisogno di incontrarsi per mettere a confronto le loro esperienze, per prendere iniziative comuni.
Con il Vaticano II, tuttavia, esse vengono ad acquisire una rilevanza decisamente più importante. La
costituzione sulla Chiesa, infatti, riconosceva ai vescovi non solo il governo delle diverse diocesi
nel mondo, ma attribuiva loro anche la responsabilità della diffusione del Vangelo nel mondo.
Diceva la costituzione dogmatica sulla Chiesa: «Come San Pietro e gli altri Apostoli costituiscono,
per volontà del Signore, un unico collegio apostolico, in pari modo il romano pontefice, successore
di Pietro, e i vescovi, successori degli Apostoli, sono uniti fra di loro» (LG 22). In altre parole, i
vescovi venivano chiamati a collaborare con il Papa nel governo della Chiesa universale. Da parte
loro le conferenze episcopali divenivano un corpo intermedio tra i singoli vescovi e il Papa. Esse
potevano prendere delle decisioni riguardanti l’esercizio della pastorale nel loro paese.

Avevano, tuttavia, due limiti importanti. Da una parte dovevano rispettare l’autonomia dei
singoli vescovi nelle loro diocesi, dall’altra non potevano osteggiare le prerogative del vescovo di
Roma come garante dell’unità e dell’universalità della Chiesa. In Italia la conferenza episcopale
venne istituita con molto ritardo rispetto alle conferenze di altri paesi. La causa del ritardo era
dovuta tanto al numero particolarmente alto dei vescovi italiani quanto alla vicinanza con la Santa
Sede. Molti vescovi, infatti, erano abituati a dialogare con gli organismi vaticani e, attraverso di

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loro, con il Papa. Fu proprio Paolo VI a insistere nel 1964 perché la CEI uscisse finalmente dalla
fase iniziale. Essa doveva trasmettere gli insegnamenti del Concilio e contribuire all’unità dei fedeli
intorno alla Santa Sede.

Il sinodo dei vescovi

Il 15 settembre del 1965, prima giornata della quarta e ultima sessione del Vaticano II, Paolo
VI annunciava l’istituzione del sinodo dei vescovi. Alla base della decisione vi erano la felice
esperienza fatta durante il Vaticano II, la volontà di venire incontro al desiderio espresso da
numerosi padri e i benefici risultanti da una più stretta collaborazione della Santa Sede con i
vescovi. Nel corso del tempo, questa nuova forma di incontro tra i vescovi si è articolata in tre
forme: l’assemblea generale ordinaria che si confronta con i problemi generali della Chiesa, ma non
ha carattere di urgenza; l’assemblea generale straordinaria che è convocata per risolvere questioni
urgenti; l’assemblea speciale che riguarda alcune regioni particolari.

Il sinodo ha come primo compito quello di consigliare il Papa. Si tratta, dunque, di un


organismo consultivo anche se a conclusione dello stesso il Pontefice pubblica generalmente
un’esortazione apostolica nella quale tiene conto delle raccomandazioni formulate dai padri
sinodali. Il Vaticano II non si limita nell’istituzione di sinodi straordinari, ma favorisce la ripresa di
sinodi diocesani. Come il Papa ha bisogno del consiglio dei vescovi, successori degli Apostoli, così
i vescovi diocesani hanno bisogno del consiglio dei loro sacerdoti. Di qui la decisione che,
riprendendo un’antica prassi della Chiesa, istituisce dei sinodi diocesani. Come il sinodo dei
vescovi anche il sinodo diocesano è fondamentalmente un’istituzione clericale. Nel corso degli
anni, tuttavia, si è avvertita sempre più l’esigenza di coinvolgere in questi organismi anche dei laici.
Non sono mancate delle critiche rivolte tanto ai sinodi universali che a quelli diocesani spesso
accusati di essere clericali oppure di scarso ascolto nei confronti dei laici, in particolare delle donne.
Essi sono in ogni caso diventati una realtà importante nella vita della Chiesa.

Come un podcast: La sinodalità come caratteristica della Chiesa

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Durante il suo pontificato Papa Francesco ha rilanciato con forza la sinodalità come
caratteristica della vita della Chiesa in sintonia con l’insegnamento del Vaticano II. Sintetizzando, il
22 maggio del 2022 in un articolo per la rivista Communio egli ha scritto: «La sinodalità fa parte
dell’essenza della Chiesa e si realizza nell’incontro, nell’ascolto reciproco e nel discernimento.
Sono sostenuto dalla speranza che, nella comunità sinodale in cammino, che è la Chiesa, noi
potremo essere sempre più aperti e ricettivi all’azione di Dio trinitario e unico. Il Padre, infatti, “non
ci lascia mai soli nel nostro cammino; c’è suo Figlio che è sempre in cammino con noi; “nella forza
dello Spirito Santo”, noi sappiamo di essere guidati “nel cammino attraverso i tempi” (Preghiera
eucaristica per delle circostanze particolari).

Noi siamo sostenuti dal desiderio di una Chiesa spiritualmente rinnovata. Non vogliamo
rotture, ma un impulso spirituale. Vogliamo essere previdenti e attenti ai segni dei tempi, ben
sapendo che essi non devono essere confusi con lo spirito del tempo. Fare sinodo significa regolare
il proprio passo con quello del Verbo fattosi uomo, seguire le sue tracce ascoltando la sua parola
insieme con le parole degli altri».

La Commissione Teologica Internazionale

I teologi, pur non avendo diritto di voto, ebbero un grande ruolo nella preparazione e nello
svolgimento del Vaticano II. Nella fase di preparazione elaborarono i testi da sottoporre ai vescovi,
nei periodi di intervallo tra una sessione e l’altra apportarono le correzioni desiderate dai padri
conciliari, svolsero un grande lavoro per dare una forma anche stilisticamente bella ai documenti, in
particolare alle quattro costituzioni. Alla fine del Concilio, Papa e vescovi decisero che anche in
futuro essi avrebbero potuto collaborare alla stesura di documenti particolarmente significativi per
la vita della Chiesa. Già nella prima seduta della prima assemblea ordinaria del sinodo dei vescovi
questi chiesero dunque al Papa la collaborazione di alcuni teologi scelti per la loro competenza e per
la rappresentanza delle diverse scuole teologiche internazionali. Il Papa Paolo VI accolse questa
proposta e in data 11 aprile 1969 istituì una Commissione Teologica Internazionale. Il suo compito
era quello di aiutare la Santa Sede e precipuamente la Congregazione per la Dottrina della Fede
nell’esaminare le questioni dottrinali di maggior rilievo. Si voleva così superare il distacco che si

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era venuto a creare fra l’insegnamento della dottrina cattolica quale si veniva sviluppando nelle
diverse scuole teologiche e l’insegnamento del magistero, in particolare del papa. Lo stesso compito
doveva svolgere anche la Pontificia Commissione Biblica. Istituita all’inizio del XX secolo, essa
veniva ora annessa alla Congregazione per la Dottrina della Fede con il compito di approfondire la
nuova spiritualità biblica. Quest’ultima aveva ricevuto un grande impulso dal Vaticano II nella
costituzione sulla rivelazione, da alcuni studiosi ritenuta il documento più importante del Vaticano
II.

Proprio all’interno della Commissione Teologica Internazionale, tuttavia, si manifestarono


due orientamenti che avrebbero condizionato l’applicazione dei documenti conciliari nella vita della
Chiesa. Da una parte, vi erano dei teologi che desideravano procedere con fretta crescente e con
innovazioni sempre più profonde nella vita dei fedeli. Altri, invece, chiedevano una lettura più
approfondita dei testi conciliari e soprattutto maggiore rispetto della Tradizione che non poteva
essere rigettata in blocco. Il primo orientamento trovava espressione in una rivista chiamata
Concilium fondata già durante il Vaticano II i cui esponenti principali erano Karl Rahner e Hans
Küng. La tendenza più riflessiva prese forma proprio all’interno della Commissione Teologica
Internazionale ed ebbe come animatori i teologi Hans Urs von Balthasar, Henri de Lubac e Joseph
Ratzinger. Pur nella tensione tra i due orientamenti ambedue le scuole teologiche contribuirono
all’approfondimento dei testi conciliari e alla loro applicazione nella vita della Chiesa.

Le contestazioni dei progressisti e la rivolta dei conservatori

Come già ricordato, le prime manifestazioni di dissenso nel modo di applicare le riforme
conciliari si ebbero all’interno della Commissione Teologica Internazionale. Prima ancora di portare
a termine il loro mandato due teologi di lingua tedesca, il gesuita Karl Rahner e lo svizzero
Johannes Feiner, abbandonarono l’incarico, ritenendo che non vi fossero più le condizioni per far
parte di una istituzione troppo lenta nel mettere in pratica le riforme conciliari. In questa stessa linea
si erano mossi anche i teologi e gli stessi vescovi d’Olanda. Già nel 1966, il cardinale di Utrecht
Bernard Jan Alfrink, in qualità di presidente della conferenza episcopale dei Paesi Bassi, concesse il
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suo imprimatur a un Nuovo Catechismo che si ispirava al Vaticano II. Il catechismo presto
chiamato semplicemente ‘olandese’ esprimeva posizioni fortemente progressiste. Dopo appena un
mese e mezzo dalla sua presentazione, tuttavia, un gruppo di cattolici olandesi presentarono
autonomamente una petizione di denuncia al Papa: «In questa pubblicazione si dicono molte cose
che o sono completamente contrarie alla fede, o enunciano le verità della fede in modo ambiguo, in
modo che ognuno possa comprenderle a modo suo». La contestazione passava così dal tavolo dei
teologi a quello della vita della Chiesa. Il Papa Paolo VI rispose a suo modo cercando di preservare
l’unità della Chiesa. Egli affidò il compito a un gruppo di cardinali che a loro volta si avvalsero
dell’aiuto di alcuni teologi per dare una risposta. Questa prevedeva una serie di aggiunte e
chiarificazioni che dovevano essere allegate al catechismo che solo a queste condizioni poteva
essere utilizzato nell’insegnamento della dottrina cattolica.

Non vi erano, tuttavia, solamente le contestazioni dei progressisti a turbare la serenità dei
cattolici negli anni successivi al Vaticano II. Vi era una rivolta ancora più decisa da parte dei
conservatori nostalgici del vecchio rito e della lingua latina. Già nel giorno della prima celebrazione
della Messa in lingua italiana alcuni cardinali presero le distanze dal nuovo rito sostenendo che era
un distacco senza precedenti dalla tradizione cattolica. Del malessere dei tradizionalisti si fece
interprete il vescovo francese Marcel Lefebvre. Religioso della congregazione dello Spirito Santo,
fu nominato vescovo di Dakar in Senegal e poi di Tulle in Francia. Come tale partecipò al Vaticano
II distinguendosi nel gruppo dei conservatori. Dopo la conclusione del Concilio, però, respinse
progressivamente numerosi testi in precedenza approvati. Fondò poi un seminario ad Écône in
Svizzera nel quale i sacerdoti venivano formati secondo il metodo tradizionale. Anche la liturgia
veniva celebrata in latino seguendo rigorosamente il vecchio rito. Invano il Papa Paolo VI e il suo
successore Giovanni Paolo II cercarono di farlo desistere dalla sua iniziativa. Venne
definitivamente scomunicato nel 1988 quando ordinò quattro nuovi vescovi, compiendo così un atto
scismatico che lo poneva al di fuori della Chiesa cattolica. In seguito, tuttavia, numerosi suoi
seguaci rientrarono nella Chiesa cattolica.

Come un podcast: L’elezione di Giovanni Paolo II

Come già ricordato, il Vaticano II favorì la conoscenza tra i vescovi di tutto il mondo.
Questa opportunità portò, nel 1978, a una svolta del tutto inattesa. In quell’anno morì Paolo VI e gli
successe il patriarca di Venezia, Albino Luciani, che prese il nome di Giovanni Paolo I. Dopo un
mese di pontificato, tuttavia, il nuovo Papa morì improvvisamente per cui si dovette procedere a

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una nuova elezione. Nell’occasione, tuttavia, i cardinali italiani erano divisi tra progressisti e
conservatori. I cardinali tedeschi pensarono allora al cardinale di Cracovia, il polacco Karol Józef
Wojtyła. Poco conosciuto al grande pubblico, egli aveva partecipato assiduamente alle sedute del
Vaticano II e si era fatto apprezzare per la sua apertura e intelligenza. Aveva scritto un giorno il
padre de Lubac nelle sue memorie: «Oggi ho conosciuto un vescovo che bisognerebbe fare
assolutamente papa. Si chiama Karol Wojtyła». Fisico atletico, grande viaggiatore, il Papa polacco
si conquistò subito la simpatia dei romani, dei cattolici e anche di non credenti in tutto il mondo.

Secondo il giornalista Luigi Accattoli, che lo seguì in molti dei suoi numerosissimi viaggi
per il mondo, il suo lungo pontificato può essere sintetizzato con quattro motti, da lui pronunciati, a
lanciare le diverse fasi del suo pontificato. Il primo motto è quello pronunciato il 22 ottobre del
1978, giorno d’inizio del pontificato: «Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo». Esso caratterizzerà
gli anni iniziali del pontificato. Il secondo: «Guardare più ampiamente e andare al largo»,
annunciava il programma che verrà svolto precipuamente nel decennio dal 1985 al 1995. Il terzo:
«A nome della Chiesa io chiedo perdono», anticipava le richieste di perdono dei suoi successori
Benedetto XVI e Papa Francesco. L’ultimo: «Finché avrò vita io griderò: pace!», pronunciato già
nel nuovo millennio sembra quasi avere previsto i tempi difficili che stiamo ora vivendo.

Il Codice di Diritto Canonico e il Catechismo della Chiesa universale

Le riforme promosse dal Vaticano II non finirono con la morte di Paolo VI. Esse ebbero un
seguito anche nel pontificato di Giovanni Paolo II che, come ricordato, aveva partecipato
assiduamente al Concilio. Due documenti di straordinaria importanza per la vita della Chiesa
vennero pubblicati durante il pontificato del Papa polacco: il Codice di Diritto Canonico e il
Catechismo della Chiesa universale.

La necessità di una revisione dell’antico codice che conteneva la legislazione canonica


elaborata all’inizio del Novecento era stata già evidenziata da Giovanni XXIII. Divenne subito
chiaro, tuttavia, che non si poteva metter mano al nuovo codice prima di portare a compimento il
Concilio. Fu, dunque, elaborato negli anni successivi alla conclusione del Concilio e prende l’avvio
dallo spirito del Vaticano II nei cui documenti la Chiesa viene presentata come sacramento di

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salvezza e popolo di Dio. Il nuovo codice, perciò, non è soprattutto un elenco di manchevolezze e
punizioni, ma ha lo scopo di mettere ordine nella vita cristiana dando il primato all’amore, alla
grazia e ai carismi. Due anni dopo la pubblicazione del Codice di Diritto Canonico, ricorreva il
ventesimo anniversario dalla conclusione del Vaticano II.

A dare solennità a questo anniversario, Giovanni Paolo II convocò un sinodo straordinario,


nel corso del quale numerosi vescovi espressero il desiderio che venisse composto un Catechismo
universale della Chiesa cattolica. Negli anni precedenti diverse conferenze episcopali avevano
pubblicato un catechismo per i diversi paesi e le diverse lingue. Ora si sentiva il bisogno di un
catechismo che doveva servire come punto di riferimento per la Chiesa universale. Accogliendo
questo desiderio, il Papa istituì una commissione cardinalizia presieduta dal prefetto della
Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Joseph Ratzinger. A sua volta la commissione
cardinalizia nominò un gruppo composto da alcuni vescovi rappresentanti di aree linguistiche
diverse. Prima ancora che la commissione si mettesse al lavoro diversi esponenti dell’area
progressista fecero conoscere il loro scetticismo sulla possibilità di giungere a un catechismo
universale. Emergeva così la difficoltà di trovare una sintesi tra unità e pluralità, tra giusta
attenzione alle situazioni delle diverse chiese locali. Se era giusto, come avevano chiesto numerosi
padri al Concilio, tener conto delle peculiarità di ogni lingua e cultura, bisognava nello stesso tempo
preservare l’universalità dell’insegnamento cristiano, dell’unico Vangelo affidato agli Apostoli con
il compito di farlo conoscere a tutte le genti.

Un compito, che sembrava impossibile, venne invece portato a termine con buoni risultati in
un tempo relativamente breve. Nel 1992, infatti, Giovanni Paolo II approvava il testo elaborato dai
redattori e lo presentava alla Chiesa universale con le seguenti parole: il Catechismo della Chiesa
Cattolica «è ben articolato e rispondente alle indicazioni dei padri sinodali, rispecchia fedelmente
l’insegnamento del Vaticano II e si rivolge all’uomo di oggi con il messaggio cristiano nella sua
integrità e completezza». Anche i fedeli di ogni parte del mondo accolsero favorevolmente il nuovo
catechismo che ebbe larga diffusione in ogni parte del mondo.

Dopo la pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica il Codice di Diritto Canonico è
stato più volte rielaborato in alcune leggi e disposizioni per tener conto del catechismo e della
nuova sensibilità ecclesiale sostenuta da Papa Francesco. Fra l’altro si è cercato di coinvolgere i
laici e in modo particolare le donne negli ambiti nei quali vengono le prese le decisioni per la vita
della Chiesa.

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CONCLUSIONE

Giunti a conclusione di questo breve percorso attraverso la storia e le principali innovazioni


introdotte dal Vaticano II nella vita della Chiesa, ci possiamo chiedere: quale è stato il significato di
questo evento straordinario che, secondo Papa Francesco, ha delle conseguenze ancora rilevanti per
l’oggi? Vorrei introdurre questa considerazione conclusiva ricordando la frase di Paolo VI
nell’annunciare il cambiamento del rito nella celebrazione della Messa: «sia ben chiaro: nulla è
mutato nella sostanza della nostra Messa tradizionale». Questa premessa è valida per ogni altro
mutamento ritenuto necessario per annunciare il Vangelo agli uomini del terzo millennio. Detto
questo, tuttavia, i cambiamenti sono stati numerosi e rilevanti. In conclusione li sintetizziamo a
partire dalle quattro Costituzioni, i testi più importanti approvati dai padri che presero parte al
Vaticano II.

1 – La celebrazione della Messa e di altre preghiere liturgiche nelle lingue parlate e non più
in latino. Come spiega la costituzione liturgica questa innovazione venne ritenuta indispensabile per
favorire l’attiva partecipazione alla liturgia dei fedeli i quali non sono solamente degli spettatori,
bensì sono invitati alla mensa eucaristica, oppure a cantare le lodi del Signore nelle altre preghiere
liturgiche. Come ricordato, le tensioni più lancinanti negli anni successivi allo svolgimento del
Concilio si svilupparono in questo ambito. Da una parte, vi erano quanti volevano procedere al
cambiamento in tempi rapidi e apportando novità a volte prive di gusto e di attenzione al bello.
Dall’altra, vi erano i nostalgici della lingua latina che non se la sentivano di abbandonare un
patrimonio secolare, anche a costo di generare uno scisma, una dolorosa lacerazione nella Chiesa.
Con il trascorrere degli anni e con un certo riguardo verso i più moderati questo scisma si è in parte
ridotto.

2 – Chiese locali e chiesa universale. Volendo sintetizzare, si può dire che il Vaticano I si
era preoccupato principalmente dell’unità della Chiesa e del compito del garante di questa unità, il
papa. Il Vaticano II, invece, si è occupato soprattutto delle chiese locali, in particolare dei vescovi.
Essi non solo solamente degli esecutori degli ordini ricevuti dal papa, successore di San Pietro, ma
sono successori degli Apostoli e, per questo, a loro volta responsabili della diffusione del Vangelo
nel mondo. Da questa considerazione generale presero nuovo slancio le conferenze episcopali e
venne istituito il sinodo dei vescovi. A loro volta, nella loro diocesi i vescovi venivano invitati a
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collaborare con i loro sacerdoti, con i fedeli laici, uomini e donne, dal canto loro chiamati a
diffondere e testimoniare il Vangelo.

3 – La Parola di Dio. Nel 1900 lo studio della Sacra Scrittura fece grandi progressi sia tra
gli studiosi protestanti che tra i cattolici. Fu così possibile collocare meglio nel loro contesto storico
culturale i singoli libri della Bibbia; soprattutto venne approfondito il significato del messaggio
tanto dell’Antico che del Nuovo Testamento. Attraverso l’ascolto attento e devoto della Parola della
Bibbia risuona ancora la Parola di Dio. Per questo, all’inizio di ogni sessione conciliare la Bibbia
veniva portata in processione e collocata al centro dell’assemblea ei vescovi, come dice l’inizio
della costituzione sulla rivelazione, dichiararono di volersi porre in religioso ascolto della Parola di
Dio e di volerla proclamare con ferma fiducia. È questo anche il significato della processione che
introduce ogni Messa solenne. L’evangeliario viene portato in processione sull’altare e deposto sul
leggio dal quale i lettori proclameranno la Parola di Dio. Come i padri conciliari, dunque, i fedeli
sono invitati a porsi in ascolto religioso e devoto. Non solo. Essi sono invitati a leggere e meditare
la Parola di Dio anche in piccoli gruppi o in famiglia. Questa è stata una delle principali
acquisizioni introdotte dal Vaticano II. Anche i fedeli laici hanno così la possibilità di accostarsi alla
Parola di Dio, di meditarla e metterla in pratica.

4 – La Chiesa nel mondo contemporaneo. La parola d’ordine con la quale Papa Giovanni
XXIII aveva indetto il concilio era stata l’“aggiornamento”. Prima di passare a questa fase
applicativa, tuttavia, erano stati necessari gli approfondimenti appena ricordati. I padri avevano
dovuto accostarsi alla liturgia, culmine e sorgente della vita cristiana; avevano dovuto approfondire
la concezione chela Chiesa ha di sé stessa; avevano dovuto meditare sulla Parola di Dio, il modo
con il quale Dio si è rivelato nei secoli fino a giungere alla rivelazione definitiva in Gesù Cristo.
Solo a questo punto si poteva riflettere sull’aggiornamento, sul modo in cui annunciare agli uomini
del nostro tempo il Vangelo, l’annuncio di salvezza portato da Gesù. Alla finalità
dell’aggiornamento venne dedicata in particolare la costituzione sulla Chiesa nel mondo
contemporaneo. Riflettendo sulle tre Costituzioni appena ricordate una cosa era diventata chiara.
Non si trattava più di fuggire dal mondo, di ignorare le problematiche dei tempi moderni perché,
come ricordò il teologo Hans Urs von Balthasar, questo è il mondo per il quale il Figlio di Dio si è
incarnato, ha annunciato il Vangelo, è morto ed è risuscitato. La Chiesa, dunque, correggendo un
antico modo di guardare al mondo quasi con disprezzo e distacco, si poneva nei suoi confronti in
atteggiamento di simpatia e di rispetto. Di qui l’inizio della costituzione sulla Chiesa nel mondo
contemporaneo: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri
soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce

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dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore». La
Chiesa, dunque, non si considera più come una società a sé stante, in qualche modo avulsa dal
mondo, ma si pone al servizio, fa sue le speranze e le sofferenze degli uomini. Come aveva già
spiegato la costituzione sulla Chiesa, essa è santa per grazia di Dio ma anche peccatrice per le
manchevolezze dei suoi membri. Più volte dunque la Chiesa ha chiesto perdono per le colpe dei
suoi membri che hanno tradito la fiducia dei fedeli e degli uomini. Nello stesso tempo, tuttavia, è
necessario saper discernere: il peccato non può oscurare il bene fatto da tanti testimoni del Vangelo.
Soprattutto il peccato di servi infedeli non può offuscare la grazia di Dio che si è manifestata e
ancora è all’opera nella Chiesa fondata da Gesù e guidata dallo Spirito Santo, lo spirito d’amore.

Come un podcast: Henri de Lubac e la testimonianza cristiana

Il gesuita Henri de Lubac fu un teologo, un uomo di Chiesa, ma anche un testimone del suo
tempo. Durante l’occupazione tedesca della Francia egli pubblicò una rivista clandestina chiamata
Quaderni di testimonianza cristiana, nei quali metteva in guardia dall’antisemitismo dei nazisti.
Cercato dalle SS, riuscì a sfuggire alla cattura e si rifugiò in una vecchia canonica abbandonata
dove scrisse un’opera: Il Soprannaturale, che cambiava profondamente la visione cattolica della
teologia. Il mondo soprannaturale, Dio, è il desiderio più intimo dell’uomo. Liberamente Dio
accoglie questo desiderio, si rivela all’uomo nel suo amore, attraverso i sacramenti, e la Chiesa apre
la strada che conduce alla salvezza e alla vita eterna.

A lungo avversato dai conservatori per queste sue idee, de Lubac godette di giusta ma breve
considerazione ai tempi del Concilio. Fu anche nominato cardinale da Giovanni Paolo II. Presto,
però, venne messo da parte come un teologo ormai superato. Io lo conobbi avendo lavorato alla
pubblicazione delle sue opere in Italia. In uno degli ultimi incontri mi disse una frase che merita di
essere ricordata: «A volte si può, anzi si deve criticare la Chiesa. Lo si può fare, tuttavia, con le
lacrime agli occhi. Essa, infatti, è nostra madre, è la speranza di salvezza per i cristiani e il mondo
intero». Questa considerazione è tanto più importante quando la Chiesa è in difficoltà. Bisogna
ricordarsi allora che non è la prima volta che essa attraversa momenti difficili. Soprattutto bisogna
aver fiducia nell’aiuto di Gesù che promise ai discepoli di accompagnarli nel loro cammino fino alla
fine del mondo quando egli verrà ancora per aprire ai fedeli e agli uomini tutti la via che porta al
Padre, alla salvezza eterna.

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INDICE

Capitolo 1: Storia

Tempi e luoghi

Il solenne inizio

La prima sessione

La minaccia atomica e l’enciclica sulla pace di Giovanni XXIII

L’elezione di Paolo VI e la seconda sessione del Concilio

Il viaggio di Paolo VI in Terra Santa

La terza sessione

La quarta sessione e la solenne conclusione del Concilio

Capitolo 2: Le riforme promosse dal Vaticano II

La riforma liturgica

La riforma della curia romana

Le conferenze episcopali

Il sinodo dei vescovi

La Commissione Teologica Internazionale

Le contestazioni dei progressisti e la rivolta dei conservatori

Il Codice di Diritto Canonico e il Catechismo della Chiesa universale

Conclusione

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Quaderni del Concilio

1. Il concilio Vaticano II

Dei Verbum
2. La rivelazione come Parola di Dio
3. La Tradizione
4. L’ispirazione
5. La sacra Scrittura nella vita della Chiesa

Sacrosanctum Concilium
6. La liturgia nel mistero della Chiesa
7. La sacra Scrittura nella liturgia
8. Vivere la liturgia in Parrocchia
9. Il mistero eucaristico
10. La Liturgia delle Ore
11. I sacramenti
12. La Domenica
13. I tempi forti dell’Anno liturgico
14.La musica nella liturgia
15. La bellezza della liturgia

Lumen Gentium
16. Il mistero della Chiesa
17. Le immagini della Chiesa
18. Il popolo di Dio
19. La Chiesa è per l’evangelizzazione
20. Il Papa, i vescovi, i sacerdoti e i diaconi
21. I laici
22. Le persone consacrate
23. La santità come vocazione universale
24. La Chiesa pellegrina verso la pienezza
25. Maria la prima dei credenti

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Gaudium et Spes
26. La Chiesa nel mondo di oggi
27. Il grande tema del senso della vita
28. La società degli uomini
29. Autonomia e servizio
30. La famiglia
31. La cultura
32. L’economia e la finanza
33. La politica
34. Il dialogo come strumento
35. La pace

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