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APPUNTI DI STORIA DELL’ASIA ORIENTALE CONTEMPORANEA

IL NORD-EST ASIATICO
Area di concentrazione di potere politico (1), economico (2), e militare (3) mondiali.

1. Dal punto di vista politico,

‣ La regione coinvolge tre dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ossia la Russia,
la Cina e gli USA.

2. Dal punto di vista economico,

‣ La regione ospita quelle che a parità di potere d’acquisto sono le tre maggiori economie mondiali, ossia
USA, Cina e Giappone.

‣ Comprende le tre maggiori economie asiatiche, Giappone, Cina e Corea del Sud. Nel 2000 questi tre paesi
rappresentavano da soli circa il 25% del prodotto interno lordo (PIL) mondiale.

‣ Il NEA ospita i quattro maggiori detentori di riserve di valuta estera al mondo: Giappone, Cina, Taiwan e
Corea del Sud.

‣ Il Giappone da solo è il secondo maggior contributore nanziario dell’ONU e delle sue istituzioni
specializzate.

NB Crescita e sviluppo economico cinese estremamente rapidi e consistenti.

‣ I paesi del NEA cooperano dal punto di vista economico a livello regionale, come risposta coordinata al
fenomeno di globalizzazione—dall’alto, e dal basso relativamente ad un fenomeno di progressiva
localizzazione (che si accompagna ad una ricerca dell’identità statale propria)—che tutela i propri interessi
comuni.

3. Dal punto di vista militare,

‣ La regione ospita le tre superpotenze nucleari al mondo, protette dal regime discriminatorio del Trattato di
Non Proliferazione Nucleare—vale a dire Russia, USA e Cina—uno Stato semi-nucleare—la Corea del Nord
—e tre Stati dotati di armi nucleari (cd. “threshold nuclear weapons states”)—il Giappone, la Corea del Sud,
e Taiwan.

‣ Gli USA dispiegano l’80% delle 100’000 truppe impiegate nella regione, soprattutto in SK e Giappone.

NB Crescita e sviluppo militare cinese.

‣ La regione è teatro di diversi con itti di con ne territoriale—Cina-Russia, Cina-Corea del Nord, Cina-
Tajikistan)—e marittimo—Cina-Giappone (isole Diaoyu/Senkaku), Russia-Giappone (le isole Curili, cd.
territori settentrionali), Giappone-Corea del Sud (isole Takeshima/Tokdo), Corea del Nord-Corea del Sud
(sulla linea di demarcazione settentrionale del Mar Giallo/Occidentale), e Cina-Vietnam/Taiwan/Filippine/
Malesia/Brunei (circa la rivendicazione delle isole Spratly), esacerbato dall’entrata in vigore dell’UNCLOS nel
1994 a regolare l’estensione delle Zone Economiche Esclusive proclamate dagli attori nella regione del Mar
Cinese Meridionale.

‣ Questione Corea del Nord, più e cientemente comprensibile attraverso l’analisi dell’evoluzione delle
relazioni inter-coreane. Queste sono caratterizzate da un elemento interno di ricerca di legittimità dei
rispettivi regimi (problema della successione al potere), di ricerca di una propria identità nazionale—rilevante
nella misura in cui lo stabilire e mantenere un’identità nazionale coesa nel lungo periodo è indizio di stabilità
interna e scelte di politica estera relativamente più prevedibili di quelli di uno Stato senza una chiara
proiezione identitaria sulla propria popolazione—invariabilmente in uenzata dal confronto con la minaccia
reale o percepita posta dalla controparte a livello bilaterale, e dai dilemmi di sicurezza internazionali
speculari dati dal rapporto con le grandi potenze (USA, Cina, Russia, Giappone) con cui le due coree si
trovano a fare i conti.
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PENISOLA COREANA
La penisola coreana occupa una posizione geogra ca strategica importantissima, come punto di contatto fra
potenze continentali (Cina e Russia) e marittime (Giappone e USA). Il territorio della penisola è delimitato dal ume
Yalu, che segna il con ne con la Cina, e dal ume Tumen che la separa invece dalla Russia.

Dal punto di vista cinese, la penisola coreana ha rappresentato un “cordon sanitaire”/ un freno all’espansionismo
coloniale giapponese.
Per la Russia, la Corea era punto di interesse strategico di politica estera, soprattutto per quanto riguarda la ricerca di
un porto libero di ghiacci sul Paci co.
Il Giappone vedeva la penisola come punto di accesso al continente relativamente alle proprie mire espansionistiche,
ma di contro anche come possibile veicolo di ritorsione militare. Rappresentava inoltre una fonte di risorse agricole
funzionali allo sviluppo militare e industriale giapponese.
Gli USA la penisola costituiva un canale/punto di apertura verso la Cina, e in seguito un paese di prima linea del blocco
anti-comunista nel contesto della Guerra Fredda.

Questa posizione rappresenta una limitazione ma allo stesso tempo anche un’opportunità. Se è vero che la
penisola nel corso della sua storia si è trovata teatro di scontri diretti e indiretti tra grandi potenze (tuttora le
relazioni inter-coreane stesse sono in uenzate dai rapporti fra USA, Cina, Giappone e Russia), è anche vero che
in virtù di questa posizione strategica ha potuto godere di un rapporto speciale di sicurezza militare con gli Stati
Uniti.

La penisola coreana e la sua condizione relativamente alle grandi potenza vengono spesso descritte con l’espressione
un “a shrimp among whales”, tale per cui “In a ght between whales, the shrimp's back gets broken."
Questa concezione delle relazioni internazionali non si è più dimostrata suf ciente a descrivere la situazione regionale e
locale almeno a partire dagli anni ’80 (Samuel S. Kim, ch. 1).

È caso emblematico della necessità caratteristica delle cosiddette medie potenze di dovere intrattenere buoni
rapporti con i partner più potenti in funzione della propria sicurezza e difesa, cercando nel contempo di
mantenere una propria autonomia e di partecipare attivamente e a livello paritario con gli altri attori della
governance internazionale.

La Corea del Sud ha rappresentato un modello esemplare all’interno del contesto del Sud-Est Asiatico e
soprattutto nei confronti dei paesi in via di sviluppo, passando da una condizione di estrema povertà al
rappresentare la decima economia globale—venendo identi cata come uno dei paesi NICs e come una delle
quattro “Tigri asiatiche”—e dall’autoritarismo alla democrazia (NDC, Newly Democratised Country). Attualmente
gioca un ruolo come fulcro di un sistema hub and spokes della regione del Nord-Est Asiatico.

Sul piano internazionale la Corea del Sud si è ritagliata uno spazio di azione autonoma in alcuni ambiti,
distinguendosi come Stato nel campo della transizione energetica (green growth), degli aiuti allo sviluppo ODA -
“Overseas Development Assistance”, all’interno delle Nazioni Unite e per quanto riguarda le operazioni di peace
keeping.
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COREA DEL SUD

COLONIZZAZIONE

• Fino al 1800 la Corea unita è Stato tributario inserito nel sistema sinocentrico regionale.

• Trattati ineguali ed apertura forzata della Cina, della Corea e Giappone nei confronti delle potenze occidentali.

• La dinastia Choseon (Choson/Joseon) è l’ultima a regnare su tutta la penisola, per una durata complessiva al
potere di 518 anni. La Corea è sempre stata contesa come terreno di conquista e teatro di competizione tra
grandi potenze. Rappresenta una via di accesso alla Cina, da parte del Giappone, e al Paci co, per la Russia.

• 1894-1895 scoppia la prima guerra sino-giapponese che si conclude con la vittoria del Giappone e il Trattato di
Shimonoseki, con il quale la Cina rinuncia ad ogni rivendicazione sulla penisola coreana riconoscendone
l’indipendenza.

• 1902 è sancita l’alleanza tra il Giappone e il Regno Unito. Il trattato riconosce gli interessi giapponesi sulla
Corea di tipo politico, commerciale e industriale.

• 1904-1905 guerra russo-giapponese che si conclude con la vittoria del Giappone e il Trattato di Portsmouth
(mediato da Theodore Roosevelt), con il quale la Russia riconosce la Corea e la Manciuria come parte della
sfera di in uenza giapponese.

• 1905 con il Memorandum di Taft-Katsura (Taft-Katsura Agreement) tra USA e Giappone, Washington
acconsente all’assoggettamento della Corea da parte del Giappone, a patto che il Giappone riconosca a sua
volta la necessità/legittimità del protettorato statunitense delle Filippine.

• 1905 il Trattato di Eulsa priva la Corea della propria sovranità diplomatica/personalità giuridica. La Corea
diventa protettorato giapponese.

• 1907 viene rmato il primo trattato di annessione tra Giappone e Corea.

• 1910 rmato il secondo trattato di annessione nippo-coreano che dà inizio al dominio coloniale giapponese
sulla penisola, che dura no al 15 Agosto 1945.

NB Il trattato di Eulsa e i due trattati di annessione forzata vengono riconosciuti come nulli e invalidi con
il trattato di normalizzazione dei rapporti tra Corea del Sud e Giappone del 1965.

All’art. 2: “Si conferma che ogni trattato o accordo siglato tra l'Impero del Giappone e l'Impero di Corea il o
prima del 22 agosto 1910 sono già nulli ed invalidi.”

A causa dell’ambiguità del testo giapponese, il Giappone interpreta il trattato di annessione come nullo solo dal
momento della rma del trattato del 1965, mentre le due coree a ermano la nullità del trattato a partire dal 1945 con
la resa del Giappone. L’interpretazione coreana è supportata dalla versione del testo inglese, che è stata scelta come
quella di riferimento dal punto di vista giuridico in caso di controversia.

• Il periodo di colonizzazione è caratterizzato da un tentativo di estirpare l’identità coreana per assimilare la


penisola nella sfera di in uenza giapponese. La lingua coreana viene proibita, le autorità governanti erano
giapponesi, i burocrati erano scelti dall’autorità coloniale, ecc.

• Il 1 Marzo 1919 il movimento indipendentista coreano organizza delle proteste a Seul, Pyongyang (e altre città)
per la liberazione dal regime coloniale giapponese. Le dimostrazioni hanno preso il nome di “Movimento del 1
Marzo” o “dimostrazioni di Manse”.

NB Non si formò un unico movimento indipendentista coeso, prevalse una moltitudine di schieramenti politici
dalle ideologie di erenti, anche dopo la ne del periodo coloniale.

• Furono queste dimostrazioni a motivare l’istituzione, sempre nel 1919, di un Governo coreano provvisorio (KPG)
a Shanghai, che si occupava di organizzare la resistenza anti-giapponese. Il KPG è considerato il predecessore
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u ciale del governo sudcoreano vigente.

DIVISIONE

• Il futuro post-coloniale della penisola viene deciso “dall’alto” da USA e dalla Russia, e non attraverso la
manifestazione dell’autodeterminazione del popolo coreano.

• La divisione della penisola viene progettata a partire 1943, con la Dichiarazione del Cairo, che prevedeva un
regime transitorio di amministrazione duciaria (trusteeship) sotto proposta statunitense del presidente Truman,
prima del ritorno all’indipendenza. La proposta si basa sulla concezione paternalistica degli alleati nei confronti
della capacità auto-governativa del popolo coreano.

• Agosto 1945, la resa del Giappone è imminente. Per prevenire un insediamento sovietico su tutto il territorio
della penisola, il presidente Truman incarica nella notte tra il 10 e 11 di Agosto due marines americani
(Bonesteel e Rusk) di formulare un piano per la divisione della penisola in aree in cui stanziare le truppe dei
rispettivi eserciti, da presentare a Stalin.

“Bonesteel and I retired to an adjacent room late at night and studied intently a map of the Korean peninsula. Working in
haste and under great pressure, we had a formidable task: to pick a zone for the American occupation. Neither Tic nor I was
a Korea expert, but it seemed to us that Seoul, the capital, should be in the American sector.”

-Dean Rusk, 1990

Prendendo come punto di riferimento il 38° parallelo, si trova una soluzione che divide la penisola in due aree di
dimensione quasi equivalente, e che mantiene la capitale Seoul nella zona di in uenza americana.

• La Corea viene quindi divisa già a partire dal 1945 in aree di spartizione militare, in maniera completamente
arbitraria, senza tenere in considerazione ulteriori motivi storici, culturali o geogra ci. La soluzione, seppur
intesa da URSS e USA come temporanea in questo momento storico, ignora le “immediate aspettative di
autogoverno” dei coreani.

• Sia nel Nord che nel Sud nascono dei comitati popolari. Erano eterogenei dal punto di vista politico, composti
da socialisti, nazionalisti, ex-membri della resistenza anti-giapponese e del governo provvisorio coreano istituito
a Shanghai nel 1919, ecc.

• A Sud viene istituito l’army military government statunitense (USAMGIK - United States Army Military
Government in Korea), ossia l’amministrazione americana di tipo militare come quella nata in Giappone nel
primo dopoguerra, e che priva il popolo coreano dell’autonomia in ambito della ricostruzione politica ed
economica post-bellica. I nazionalisti reclamavano il proprio diritto ad autogovernarsi.

• A Nord le forze sovietiche collaborano inizialmente con il comitato popolare locale guidato da Cho Mansik, un
nazionalista contrario ad un’amministrazione sovietica della parte settentrionale del paese. Successivamente
Mosca decide di sostenere la gura di Kim Il Sung, il capostipite della famiglia Kim attualmente al potere in
Corea del Nord. Aveva combattuto nella guerriglia anti-giapponese tra le la dell’armata rossa, ed essendo un
comunista convinto, era considerato come un individuo a dabile e facilmente controllabile dalla leadership
sovietica.

• Nel 1947 nessuna delle due potenze aveva interesse a rimanere a lungo nella penisola, né a mantenerla divisa in
zone di occupazione (contesto pre-guerra fredda). Una commissione dell’ONU avrebbe dovuto sovrintendere a
delle elezioni libere da tenersi in tutto il paese per dare vita ad un governo uni cato coreano.

• Con l’inizio delle guerra fredda l’URSS si oppone a questo progetto. Le elezioni “libere” si svolgono solamente
nel Sud della penisola.

• Il 15 Agosto 1948 è proclamata la nascita della Repubblica di Corea o Corea del Sud. Il primo Presidente
eletto è Yi Syngman, un fervente anti-comunista, nazionalista, istruito negli USA ed ex-esponente del governo
provvisorio anti-giapponese istituito a Shanghai nel 1919.
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• A Nord, in risposta, Kim Il Sung si pone come Primo Ministro alla guida di un governo comunista lo-sovietico. Il
9 Settembre 1948 nasce la Repubblica Democratica Popolare di Corea o Corea del Nord.

• La divisione della penisola è u cialmente formalizzata attraverso l’istituzione di due unità statuali di erenti e
distinte. Entrambi i leader politici percepivano la divisione come prettamente temporanea, ed erano uniti dalla
volontà di riuni care il paese senza l’intervento di potenze esterne. Essendo però rappresentanti di regimi
politici opposti, l’unica via possibile attraverso la quale portare alla riuni cazione era quella dell’intervento
militare.

GUERRA DI COREA

La guerra è da intendere come con itto strati cato su 3 diversi livelli: tra USA, Nazioni Unite e URSS, tra
Corea del Nord e Corea del Sud, e a livello di scontri inter-coreani sia nel Nord che nel Sud fra cittadini
della stessa entità statuale ma di a liazione politico-ideologica opposta.

• 1948-1950 scontri armati lungo il con ne del 38° parallelo.

• 25 Giugno 1950 le truppe sovietiche attraversano il con ne e invadono la Corea del Sud.
URSS e RPC forniscono assistenza tecnica a Kim Il Sung, che prometteva una guerra breve e
rassicurava del fatto che gli USA non sarebbero intervenuti a sostegno della Corea del Sud. Contava
anche sul sostegno popolare della fazione socialista sud-coreana.

• A causa della netta e schiacciante superiorità militare del Nord, l’avanzata si e ettuò in tempi
rapidissimi (in 3 giorni le truppe raggiungevano Seoul). Pusan è l’ultima roccaforte del Sud.

• Washington risponde immediatamente. Il 27 Giugno MacArthur è incaricato di predisporre la contro-


risposta militare.

• Nel Luglio 1950, le Nazioni Unite coordinano la creazione di un comando militare uni cato di 55 paesi
sotto la guida statunitense a sostegno della Corea del Sud. L’Italia invia ospedali da campo e gruppi
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della croce rossa.

Il Comando militare uni cato è un organo sussidiario dell’ONU, lo United Nations Command (UNC). Le Risoluzioni del
Consiglio di Sicurezza 83 e 84 conferivano l’autorità agli Stati membri di ripristinare la pace nella penisola coreana e
designavano gli Stati Uniti come leader dell’UNC. Durante la guerra, i paesi hanno contribuito inviando truppe militari o
unità mediche a sostegno della Corea del Sud sotto la bandiera ONU.

“Today, UNC continues its unbroken commitment to secure a lasting peace on the Korean Peninsula by enforcing the Armistice
Agreement, facilitating diplomacy with North Korea, and serving as the integrator for multinational forces during crisis or con ict.”
- UNC of cial website

• MacArthur sbarca a Inchon il 15 Settembre 1950, cogliendo il Nord di sorpresa. Riesce a liberare il Sud
con una manovra militare a “tenaglia” e a varcare il con ne del 38° parallelo.

• A causa dell’avvicinarsi degli statunitensi al con ne con la Cina, il 10 Ottobre 1950 delle truppe di
volontari cinesi intervengono in Corea a sostegno del Nord. Fra questi volontari c’è anche il glio di
Mao Zedong, che diventa simbolo emblematico dello sforzo cinese in Corea contro l’imperialismo
americano.

• Nel Novembre, la situazione si è già invertita.

• Nel 1951 la situazione sul campo è tornata ad una di stallo corrispondente allo status quo ante-bellum.
Le trattative di pace tra i nordcoreani, i cinesi e il Comando militare congiunto ONU iniziano nel Luglio,
e comprendono la creazione di una linea di demarcazione tra le due Coree, l’ideazione di una zona
smilitarizzata, la nomina di una commissione per l’armistizio militare, ecc. Ciò che ostacola più di tutto
le trattative è la questione del rimpatrio dei prigionieri di guerra.

➽ Gli Stati Uniti insistevano sul “rimpatrio volontario” dei POW cinesi, ossia sulla base della volontà dei prigionieri stessi.
Questo concetto apparentemente umanitario era inaccettabile per la parte cinese e violava la Convenzione di Ginevra
appena rmata sul trattamento dei prigionieri di guerra. Secondo alcuni studi come quelli condotti da David Cheng Chang,
la vera ragione della politica statunitense era il desiderio di una vittoria propagandistica sulla RPC. La maggior parte dei
14.000 prigionieri di guerra cinesi che alla ne decisero di andare a Taiwan lo fecero a seguito di un programma americano
di “reindottrinamento/sfruttamento” nei campi che fu violentemente ra orzato da un gruppo ristretto di prigionieri
anticomunisti e interpreti nazionalisti provenienti da Taiwan.

Il rimpatrio dei prigionieri di guerra assume così i contorni di una guerra psicologica nei campi di prigionia. L’opposizione di
alcuni dei ‘volontari’ cinesi a ritornare nella RPC, dove avrebbero potuto essere puniti per i loro trascorsi nazionalisti si
prestava perfettamente alla strategia propagandistica degli Stati Uniti, oltre che al raggiungimento dell’obiettivo di umiliare
il regime cinese. Quando la RPC capisce quanto fosse esiguo il numero dei prigionieri disposti a fare ritorno in patria, le
trattative si fermano nuovamente e il con itto si trascina ancora per due anni. Alla ne della guerra di Corea solo un terzo
dei circa 20.000 prigionieri cinesi fa ritorno nella Cina comunista; i restanti due terzi (oltre 14.300 prigionieri) scelgono
Taiwan e ciò rappresenta un signi cativo colpo per il regime di Mao in termini di propaganda.

Yi Syngman stesso alla vigilia della rma dell’armistizio che pose ne alla guerra rilasciò—in maniera totalmente unilaterale
—25.000 prigionieri di guerra nordcoreani anti-comunisti che non avevano dato il proprio consenso ad essere rimpatriati,
causando ulteriori ritardi nei negoziati.

• Nel corso delle trattative del 1951 MacArthur è sostituito da Matthew Ridgway, senza però
raggiungere un compromesso diplomatico.

• L’armistizio è rmato il 27 Luglio 1953 a Panmunjom. Ai negoziati partecipano le delegazioni dell’ONU,


russe e statunitensi, della Corea del Nord e dell’armata di volontari cinesi. La Corea del Sud non
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partecipa ai negoziati, e Yi Syngman ri uta di rmare, per non legittimare la divisone forzata della
penisola imposta dagli stranieri. L’acquiescenza del presidente Yi venne ottenuta anche attraverso la
negoziazione del Trattato di sicurezza con gli USA, rmato nell’Ottobre dello stesso anno.

• Ad oggi, nel 2024, la Corea del Sud non ha mai rmato un trattato di pace u ciale valido dal punto di
vista del diritto internazionale (opponibile sul piano internazionale). Formalmente, le due Coree sono
ancora in guerra tra di loro.

• Il dopo guerra delle due Coree è caratterizzato da percorsi di sviluppo politico, militare, ideologico ed
economico totalmente antitetici. A Nord quello comunista, a Sud quello nazionalista alleato degli USA.

Ulteriori conseguenze della Guerra di Corea:

‣ USA: la guerra di Corea agisce come catalizzatore per il quadruplicamento del budget per la difesa, per la
proliferazione dei trattati bilaterali di sicurezza e mutua difesa con Giappone (1951), Corea del Sud (1954), Taiwan
(1954-55), Vietnam del Sud, Filippine (1946) e Thailandia, e per la formazione di un organizzazione multilaterale di difesa
collettiva di retorica anticomunista secondo la dottrina Truman, la SEATO (South East Asia Treaty Organization), attiva
dal 1955 (carta istitutiva rmata nel 1954 a Manila) al 1977. Cristallizza identità, retorica e cultura strategica di USA e
URSS durante la guerra fredda.

‣ La Cina ottiene di partecipare ai negoziati per l’armistizio di Panmunjom come partner egalitario, riacquistando
credibilità e prestigio a livello internazionale.

‣ Il Giappone trae dalla guerra i massimi bene ci economici e politici. Diventa la base logistica di riferimento per gli
USA e centro di produzione per il materiale bellico, riacquista la sua completa sovranità, negozia il Trattato di mutua
difesa con gli USA, e con l’emergere della dinamica della guerra fredda, evita di assumersi la piena responsabilità del
proprio passato imperialista (es. elezione come Primo Ministro di Kishi Nobosuke nel 1957).
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COREA DEL SUD

• Gli anni successivi alla guerra di Corea, no ad almeno il 1988, sono caratterizzati dal susseguirsi di
regimi di carattere autoritario anticomunista, nalizzato a ricostruzione e sviluppo economico,
inframmezzati da due brevi giunture democratiche nel 1960 e 1979.

• Regimi autoritari

‣ Yi Syngman (1948-1960)

‣ Park Chung-hee (1961-1979)

‣ Chun Doo-hwan (1979-1987)

• Governi democratici

‣ Roh Tae-woo (1988-1993)

‣ Kim Young-sam (1993-1998)

‣ Kim Dae-jung (1998-2003)

‣ Roh Moo-hyun (2003-2008)

‣ Lee Myung-bak (2008-2013)

‣ Park Geun-hye (2013-2017)

‣ Moon Jae-in (2017-2022)

‣ Yoon Suk Yeol (2022 -)


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✴ YI SYNGMAN (1948-1960) — LA PRIMA REPUBBLICA

• Eletto presidente nel 1948 con le prime elezioni libere indirette attraverso l’Assemblea
Nazionale. Candidato ideale strumentale agli interessi statunitensi.

• Nel 1948 entra in vigore la Legge di Sicurezza Nazionale - NSL (National Security Law)
come principale strumento normativo nalizzato alla repressione dell’opposizione e
sollevazioni sociali, soprattutto di carattere comunista antigovernativo.

NB Questa stessa legge non è mai stata abrogata ed è tuttora in vigore.

• Nel 1949 l’insurrezione di Jeju contro il governo lo-statunitense viene repressa nel sangue
da parte dell’esercito sudcoreano (cd. Massacro di Jeju), senza alcun intervento da parte
degli USA.

NB Il primo ministro in carica nel periodo 1948-1950 era Chang Myon.

• Nel 1952 Yi impone un emendamento costituzionale che prevede elezioni popolari dirette
(non aveva la maggioranza di seggi in Assemblea, controllata dall’opposizione), e nel 1954
un ulteriore emendamento che elimina il limite dei due mandati consecutivi.

• Viene rieletto nel 1952 e nel 1956 direttamente dal popolo. Le elezioni sono caratterizzate
da brogli elettorali.

• Il 1 Ottobre 1953 il ministro degli esteri dell’amministrazione Yi rma il Trattato di mutua


sicurezza con gli Stati Uniti, tuttora in vigore. Il Trattato venne negoziato per ottenere
l’acquiescenza del presidente Yi alla rma dell’Armistizio di Panmunjom ed impedire che il
Sud venisse inglobato dal Nord comunista. In parte, l’alleanza fu funzionale per mantenere il
controllo su Yi e la sua volontà continuare ad attaccare il Nord con il ne di riuni care le due
coree.

• Yi Syngman si ripresenta come candidato alle elezioni del 1960, e viene rieletto il 15 Marzo.

• Gli studenti si fanno depositari della lotta democratica e guidano le proteste popolari nel
periodo tra Marzo e Aprile. La rivolta studentesca (cosiddetta Rivoluzione d’Aprile) viene
repressa con brutalità, ma porta alle dimissioni del presidente Yi il 21 Aprile 1960.

• Per evitare il linciaggio, Yi Syngman si rifugia in esilio, trascorso alle Hawaii con la moglie
Francesca no alla sua morte nel 1965.

✴ PRIMA GIUNTURA DEMOCRATICA (1960-1961) — LA SECONDA REPUBBLICA

• Tra l’Agosto del 1960 e il Maggio 1961 si forma un governo parlamentare—l’unico della
storia della Corea del Sud—sotto il Primo Ministro Chang Myon. Il presidente era Yun
Posun.

• Il governo formula l’esperienza porta a confusione e malcontento, soprattutto date le riserve


dimostrate nei confronti degli studenti.
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✴ PARK CHUNG-HEE (1961-1979) - LA TERZA E QUARTA REPUBBLICA

• Nel 1961 il generale Park Chung-hee guida un colpo di stato, imponendo il governo di una
giunta militare.

• POLITICA INTERNA

‣ L’obiettivo primario del regime di Park è quello di garantire l’ordine e stabilità sociali—
attraverso la violenta repressione dell’opposizione, l’eliminazione della società civile, e la
manipolazione delle istituzioni—e avviare un processo di sviluppo economico (la Corea del Sud
si identi cava come la terza economia più povera al mondo alla ne della guerra di Corea)
strategico coerente con il piano generale di interdipendenza economica su modello capitalista
liberista mondiale promosso dagli USA.

La Corea del Sud si propone come “Stato autoritario sviluppista” (Authoritarian Developmental
State): caratterizzato da un’economia di tipo piani cato centralizzato secondo piani quinquennali e
da un modello di crescita economica legata alla produzione industriale orientata all’esportazione
(export-led growth). La crescita dipenderà in futuro soprattutto dall’accesso ai mercati
statunitense e giapponese.

Il sistema si propone, criticamente, come autoritario e anti-comunista, subordinando ogni


questione relativa ai sindacati, diritti dei lavoratori e libertà civili e politiche alla modernizzazione
del paese, alla crescita e allo sviluppo economico. Non si propone però come regime autoritario,
nel senso che vengono comunque ammessi degli spazi—seppur limitati—per critiche, dissenso, e
proteste da parte della popolazione.

Il governo individua delle aziende private nei settori strategici—soprattutto dell’industria pesante e
della cantieristica navale—che si impegna a tutelare rispetto la competizione interna ed esterna.

In questo periodo nascono le CHAEBOL (corrispettivo coreano delle zaibatsu giapponesi):


conglomerati industriali (come Hyundai, Samsung, ecc.) che godono di sistemi di protezione,
sussidi, incentivi scali e facilitazione di accesso al credito attraverso l’operato di grandi gruppi
bancari. Le chaebol rappresentano i pilastri su cui si reggerà lo sviluppo economico del paese.

I risultati sono immediati, in bravissimo tempo il tasso di crescita economica raggiunge e si


stabilizza attorno all’8%. Insieme a Taiwan e Giappone, la Corea del Sud in meno di trent’anni
assume il soprannome di “Tigre asiatica”.

La crescita, accompagnata a stabilità e miglioramento delle condizioni di vita, crea consenso e


legittima il regime per quanto riguarda la fascia della popolazione della classe media, che poteva
recepire i bene ci dello sviluppo economico. Continuano le proteste studentesche.

‣ 1961 e 1962: vengono istituiti l’Economic Planning Board (Consiglio di Piani cazione Economica) e la
Korean Central Intelligence Agency (KCIA), i servizi segreti coreani.

Nel 1962 l’Economic Planning Board emana il primo piano quinquennale.

‣ 1961 e 1962: vengono istituiti l’Economic Planning Board (Consiglio di Piani cazione Economica) e la
Korean Central Intelligence Agency (KCIA), i servizi segreti coreani.

Nel 1962 viene emanato il primo piano quinquennale.

‣ Sono indette le elezioni parlamentari nel 1963, né libere né trasparenti, vinte da Park, al ne di
dotare il regime di una nta legittimità popolare.

Inizia formalmente un primo regime “civile”, comunque solo di facciata.


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‣ Nel 1963 viene re-introdotta nella Costituzione la clausola del limite massimo di 2 mandati
presidenziali.

‣ Vince nuovamente alle elezioni del 1967. Viene promulgata, dopo un referendum nel 1969, una
riforma costituzionale che abroghi nuovamente il limite di mandato di modo da poter concorrere al
suo terzo mandato consecutivo.

‣ Alle elezioni 1971 vince con uno scarto ridottissimo, mentre l’opposizione si concentra attorno alla
gura di Kim Dae-jung come rappresentante del Nuovo Partito Democratico, che ottiene il 43%
dei voti.

Kim Dae-jung era un convinto sostenitore della democrazia e difensore dei diritti umani, accanito
oppositore prima del regime di Yi Syngman e poi del generale Park.

Dato il supporto crescente dimostrato nei confronti di gure di punta di lotta all’autoritarismo, la
maggiore richiesta dei sindacati di riconoscimento dei diritti dei lavoratori, la tensione e perdita di
consenso portata dalla essione economica, e le minacce esterne alla sicurezza del paese, Park
proclama nel 1972 un decreto di riforma costituzionale urgente, chiamato RIFORMA YUSIN,
letteralmente, “Rinnovamento”.

‣ La RIFORMA YUSIN prevedeva:

- L’elezione indiretta del presidente tramite un collegio nazionale, più facilmente controllabile
- L’abolizione del limite dei mandati di 6 anni ciascuno
- Lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale
- L’istituzione di un Governo di emergenza
- Il divieto di fondare nuovi gruppi o partiti politici (monopartitismo)
- La nomina di 1/3 dei deputati della nuova Assemblea Nazionale

‣ Di fatto, la riforma andava ad inaugurare un vero e proprio regime dittatoriale legalizzato. La


riforma inaugura la Quarta Repubblica, che termina nel 1981 con l’elezione formale di Chun Doo-
hwan come presidente.

‣ La società civile—includendo anche la classe media, la cui percezione del regime è a questo
punto mutata—risponde dando vita a nuovi gruppi di opposizione, ad associazioni nazionali non
violente di professionisti e professori (Chaeya), consolidando alleanze tra studenti, lavoratori e
gruppi religiosi, ecc.

Mentre l’opposizione politica si concentra attorno al Nuovo Partito Democratico guidato da Kim
Dae-jung e Kim Young-sam.

Le proteste si concentrano a Seoul, Pusan e Masan.

‣ La perdita di consenso causa una frattura interna al regime, tra Park e il capo della KCIA,
Kim Chae-gyu.
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• POLITICA ESTERA

‣ In uenzata soprattutto dall’alleanza con gli USA sancita con la rma del Trattato di sicurezza e
mutua difesa del 1954. L’alleanza comporta l’accesso al mercato americano e porta quindi
diversi vantaggi economici. La Corea del Sud riceve merci, armi e aiuti nanziari, e i suoi prodotti
entrano sul mercato statunitense attraverso canali privilegiati.

‣ Park non cerca lo scontro con gli USA ma cerca di ottenere per la Corea del Sud “un ruolo più
attivo di responsabilità sulle principali questioni internazionali”. All’interno dell’alleanza questa
intenzione si manifesta tramite un massiccio intervento militare in Vietnam a sostegno degli
USA.

La Corea del Sud invia circa 50’000 soldati in cambio di un contributo in valuta forte ($), per
assicurarsi una presenza militare statunitense costante nella penisola e per assicurarsi
l’approvazione statunitense del proprio regime autoritario. Il contingente coreano in Vietnam fu il
più numeroso dopo quello statunitense.

NB La questione della schiavitù sessuale imposta alle donne vietnamite è tutt’oggi ancora aperta.

‣ Nel 1964 Park avvia il processo di normalizzazione dei rapporti con il Giappone (alle proteste
della popolazione risponde imponendo la legge marziale), arrivando alla rma del Trattato di
normalizzazione dei rapporti tra Corea del Sud e Giappone nel 1965. Prima di questo momento i
due paesi non si riconoscevano reciprocamente.

L’accordo viene raggiunto su spinta degli USA, considerando che entrambi Giappone e Corea del
Sud erano alleati formali di sicurezza con gli Stati Uniti e rientravano nello schieramento anti-
comunista, che doveva presentarsi come il più coeso possibile.

Alla rma del trattato la Corea riceve 800 milioni di dollari di indennizzo da parte degli USA (oltre
ad altri contributi dallo stesso Giappone), a sostegno della propria industrializzazione.

Al trattato non si accompagnano le scuse u ciali da parte giapponese. Inoltre, viene negata la
possibilità di richiedere in futuro ulteriori compensazioni economiche o risarcimenti.

La questione viene considerata così come chiusa, siccome la priorità del regime di Park rimane
quella dello sviluppo economico. I termini dell’accordo così conclusi contribuiscono a creare le
condizioni per le quali si svilupperanno nuove controversie tra i due paesi.

‣ Nel 1969 Nixon subentra alla Casa Bianca e proclama la Dottrina Nixon: prevedeva un
progressivo disimpegno statunitense in Vietnam, e in generale come garante della sicurezza e
difesa militare dei propri alleati (oltre alla Corea del Sud anche Iran, Taiwan, Cambodia).
Avrebbero concesso aiuti su richiesta solo in caso di attacchi nucleari, e non di attacchi
convenzionali.

Nel 1971 20.000 soldati americani lasciano la Corea del Sud.

Nel 1972 gli USA normalizzano i rapporti con la RPC (vertice Nixon-Mao).

Nel 1973 gli USA si ritirano dal Vietnam, e gradualmente da tutta l’Asia Orientale.

‣ L’amministrazione Carter, a partire dal 1976, comunicava l’intenzione di ritirare completamente la


propria presenza militare dalla Corea del Sud. Questo per 3 motivi principali:

- La Corea del Sud aveva ormai raggiunto un equilibrio dal pov dello sviluppo militare, pari
a quello della Corea del Nord.

NB La Corea del Nord si era trovata in una posizione di vantaggio, avendo ricevuto aiuti
militari, risorse industriali, e potendo godere di ampi giacimenti minerari.
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- L’RPC e l’Unione Sovietica condividevano l’obiettivo di mantenere la stabilità nella
penisola coreana, e quindi si sarebbero opposte ad un eventuale con itto o tentativo di
aggressione da parte della Corea del Nord.

- L’amministrazione non era intenzionata a rompere il legame di alleanza con la Corea del
Sud, ma solo a dividersi l’onere delle spese di difesa diventate insostenibili per gli USA.

NB Carter fa anche pressione sulla Corea del Sud per quanto riguarda il rispetto dei diritti
umani. L’intervento dell’amministrazione permette di salvare la vita di Kim Dae-jung nel 1973
dopo essere stato rapito dalla KCIA in Giappone.

Alla Corea del Sud è quindi richiesto in questo frangente di rendersi più indipendente dal pov della
sicurezza, sviluppando in autonomia una propria industria della difesa.

Park avvia un programma nucleare clandestino a scopi militari con risorse nazionali—sull’esempio
israeliano e francese—stringendo accordi con altri paesi (soprattutto Francia e Canada) per
ottenere la tecnologia necessaria e attirare personale coreano quali cato all’interno del paese.

Quando gli Stati Uniti vengono a conoscenza del programma, minacciano l’imposizione di
sanzioni e addirittura la rottura dell’alleanza. Park cede e abbandona il programma a favore della
produzione di energia nucleare a scopi esclusivamente civili.

NB La Corea del Sud non è mai stata dotata di armi nucleari proprie. Le sole armi nucleari
presenti su suolo coreano rientravano nel regime di deterrenza statunitense, e sono
state rimosse nel 1991.

RELAZIONI INTER-COREANE

ANNI 60

‣ La contrapposizione fra le due coree inizialmente e per almeno un decennio è fortissima. Park
Chung-hee segue la linea anticomunista della precedente amministrazione di Yi Syngman.

‣ “Construction rst, uni cation later”: Park mette in secondo piano l’obiettivo di riuni cazione a
favore del mantenimento dello status quo, per concentrarsi su sviluppo e crescita economica.

‣ La forte contrapposizione ideologica con il Nord costituisce uno strumento di legittimizzazione del
regime interno. Chi si oppone a Park è etichettato come un comunista che non agisce solo contro
di lui in quanto leader politico, ma a discapito di tutta la Corea del Sud.

Allo stesso modo il Nord di Kim Il-sung adotta la stessa strategia in maniera speculare. La Corea
del Sud è considerata come totalmente subordinata al controllo statunitense.

‣ Nel 1968 e poi nel 1974 un commando nordcoreano tenta di assassinare il presidente Park.

Come risultato le tensioni tra le due entità rimangono elevatissime per tutta la durata degli anni
sessanta.

ANNI 70

‣ In questo nuovo periodo le due coree competono tra di loro per l’accesso alle istituzioni
internazionali (vd. seggio unico in sede ONU, competendo per la ricerca del consenso nei
confronti soprattutto dei paesi africani).

‣ 1969: la proclamazione delle Dottrina Nixon e il ritiro dei 20’000 soldati statunitensi dalla Corea del
Sud aveva ricon gurato le relazioni coreano-americane e inter-coreane di modo che il Sud
risultava più propenso al dialogo per scongiurare il rischio di un eventuale attacco, non potendo
più contare sul sostegno incondizionato statunitense, e in uendo positivamente sulla disposizione
nordcoreana al dialogo.
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- 1972: primo vertice Nixon-Breznev, prima distensione USA-URSS.

- 1972: primo vertice Nixon-Mao a Pechino e riavvicinamento USA-RPC.

‣ Dal punto di vista interno invece si veri ca una momentanea convergenza di interessi:

- Il Sud si apre al dialogo—sempre con la riuni cazione come obiettivo ultimo—per placare
l’opposizione progressista e anti-autoritaria, che acquistava consenso popolare a causa del
rallentamento della crescita economica. L’apertura era solo di facciata.

- Il Nord si apre al dialogo perché la strategia—sempre orientata alla riuni cazione—adottata in


precedenza di militarizzazione del paese e di sostegno ad un’eventuale rivoluzione e
destituzione del regime di Park nel Sud si stava rivelando troppo costosa.

‣ Il 15 Agosto 1970 il Presidente Park tiene il discorso annuale in occasione del giorno della
liberazione.

‣ Per la prima volta, nel 1971, Kim Il-sung risponde al discorso di Park durante il proprio discorso
di benvenuto al principe Sihanouk di Cambogia.

‣ Nel 1971 si tengono i primi colloqui tra i comitati della Croce Rossa dei due paesi, e
successivamente i negoziati avvengono segretamente tra i servizi segreti sudcoreani di Lee Hu-
rak e il fratello minore di Kim Il-sung, Kim Yong-ju.

‣ Il 4 Luglio 1972 viene rmata la prima Dichiarazione Congiunta Nord-Sud (Joint Statement of
North and South). Si tratta di una mera dichiarazione di principi— rmata dai plenipotenziari e non
dai rispettivi capi di Stato, senza e cacia giuridica vincolante e con scarse conseguenze a livello
pratico—eppure rappresenta la prima istanza di dialogo inter-coreano dalla ne della Guerra di
Corea nel 1953, ed il passaggio simbolico da una situazione di contrapposizione assoluta ad una
di coesistenza competitiva.

La dichiarazione si compone di 7 punti, il cui obiettivo è quello di allentare le tensioni fra i due
paesi per accelerare il processo di riuni cazione. Nessuna delle due parti è ovviamente
disponibile ad essere “inglobata” dall’altra. La riuni cazione è vista come un qualcosa a cui
arrivare ciascuno alle proprie condizioni, e il riavvicinamento solo come una fase di transizione.

Il primo punto elenca i principi guida che questo il processo di riuni cazione dovrebbe rispettare:

- La riuni cazione deve avvenire in maniera indipendente dalle ingerenze straniere. Deve
essere decisa dai coreani, per i coreani.

- La riuni cazione deve avvenire in maniera paci ca.

- Deve promuovere l’unità nazionale coreana come gruppo etnico, che trascende i di erenti
sistemi ideologici e istituzionali.

Gli altri sei punti identi cano una serie di Con dence Building Measures (CBM), ossia una serie di
comportamenti virtuosi da seguire da entrambi i paesi di modo da instaurare un rapporto di ducia
reciproca funzionale alla riuni cazione.

La dichiarazione ha valore solo come opportunità di segnalazione di intenti rivolta all’interno delle
due coree, e agli altri attori del piano internazionale.

- Pyongyang strumentalizza la dichiarazione come una possibile leva per indurre la


smobilitazione delle truppe americane dal Sud—puntando a conquistare tutta la penisola.

- Per Seoul la dichiarazione rappresenta un diversivo per appaci care l’opposizione sul piano
interno, che premeva per una vera democratizzazione del paese.
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Siccome non si manifestano cambiamenti radicali in termini di ideologia o regime politico, dare
attuazione ai principi contenuti nella dichiarazione si rivela pressoché impossibile. La nestra di
dialogo si chiude perché dipendeva solamente da un contesto internazionale favorevole e da una
momentanea convergenza di interessi interni al lanciare certi tipi di messaggi sul piano interno ed
internazionale. Fu solo la presenza statunitense ad impedire alla Corea del Nord di invadere il
Sud.

✴ SECONDA GIUNTURA DEMOCRATICA

• Il 26 Ottobre 1979 il direttore della KCIA, Kim Chae-gyu, assassina Park Chung-hee e la
moglie.

✴ CHUN DOO-HWAN (1979-1987) - LA QUINTA REPUBBLICA

• La seconda giuntura democratica dura pochissimo.

• Subito prende il potere il generale Chun Doo-hwan con un colpo di Stato multilivello prima
interno all’esercito—che si era diviso in due fazioni, i “falchi” e le “colombe”—il 12
Dicembre 1979, e poi il 17 di Maggio 1980.

• Data l’esperienza del suo predecessore, assume immediatamente anche il controllo della
KCIA facendosi nominare capo dei servizi segreti nel 1980.

• Da subito si dimostra un feroce dittatore: eliminò immediatamente le fazioni militari in cui si


era diviso l’esercito, e reprime qualsiasi forma di opposizione politica e sociale.

Alle proteste studentesche contro il colpo di Stato risponde proclamando l’estensione della
legge marziale a tutto il paese, il 16 Maggio 1980, proibendo le attività pubbliche,
chiudendo le università e arrestando ogni suo oppositore politico.

• POLITICA INTERNA

‣ Come per Park, il governo si concentra principalmente sulla crescita economica promossa
attraverso lo sviluppo dell’industria manifatturiera orientata all’esportazione (export-lef growth).

‣ Il regime, come quello di Park, trova la sua legittimazione relativamente alla minaccia posta dalla
Corea del Nord, e dai bene ci portati dallo sviluppo economico.

‣ Gli anni Ottanta sono caratterizzati da manifestazioni di dissenso di studenti, lavoratori, e


organizzazioni religiose. Le proteste hanno l’obiettivo di promuovere la democratizzazione del
paese, la riuni cazione delle due coree, e assumono anche carattere anti-USA, identi cati come
complici del regime autoritario dittatoriale e come responsabili della divisione della penisola.

‣ Il regime può essere suddiviso in due periodi:

- 1980-1983 periodo di repressione, inaugurato con il massacro di Kwangju e caratterizzato


da un elevato numero di arresti e da leggi ad hoc per limitare le libertà civili.

Nel 1981 Chun è eletto presidente e viene inaugurata la Quinta Repubblica di Corea.
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Le manifestazioni contro il nuovo regime dittatoriale di Chun Doo-hwan si concentrano a
Kwangju, nel sud-ovest, da parte di studenti e della popolazione. La rivolta scoppia il 18 di
Maggio. Il 21 la popolazione e gli studenti riescono temporaneamente a mantenere il
controllo sulla città.

Il 27 Maggio Kwangju viene isolata, bloccando la fornitura di corrente elettrica e impedendo


l’accesso della stampa.

L’esercito reprime la rivolta. Si stima che durante il massacro di Kwangju siano stati uccisi
no ai 2300 civili. Le truppe americane sono state accusate di non essere intervenute a
sostegno della popolazione, e di essere state complici nel massacro.

Alla stampa interna e internazionale le manifestazioni anti-dittatoriali sono presentate come


un tentativo di insurrezione comunista.

- 1983-1987 periodo di decompressione. Il massacro, accompagnato ad un rallentamento


della crescita economica del paese, suscita un forte malcontento generale cui partecipa,
crucialmente, anche il ceto medio, soprattutto dal 1985.

Nel 1986 si tennero gli Asian Games e nel 1988 le Olimpiadi, entrambi a Seoul. Le proteste e
manifestazioni popolari, di use soprattutto nei centri urbani, diventano quindi oggetto di
massima attenzione mediatica interna e della comunità internazionale. La posizione di Chun
diventa progressivamente indifendibile.

Chun Doo-hwan si rende conto che la strategia della politica repressiva non è più e ciente
e, ducioso della solidità del proprio regime dal punto di vista sia della stabilità delle
istituzioni politiche che dei progressi ottenuti sul piano economico, fa numerose concessioni
all’opposizione, come la scarcerazione di molti detenuti politici.

Le concessioni non portano a risultati tangibili, anzi avevano solo ra orzato l’opposizione
attorno alle gure di Kim Young-sam e Kim Dae-jung, e al NKDP, il Nuovo Partito
Democratico Coreano.

- Il 18 Maggio del 1987 viene ritrovato il corpo di uno studente torturato dalla polizia.

Il 9 Giugno viene ucciso un altro studente durante una manifestazione, Lee Ha Yeol. La foto che lo
ritrae diventa simbolo delle proteste del 1987.

La mobilitazione sociale è tale che il 29 Giugno Roh Tae-woo—il braccio destro di Chun—è costretto
ad annunciare le elezioni presidenziali popolari e una serie di riforme a garantire le libertà
fondamentali.

‣ A Ottobre viene approvata la riforma della Costituzione tramite un referendum popolare. La riforma
impone tra le altre cose un mandato presidenziale di 5 anni non rinnovabile, per prevenire un
ritorno all’autoritarismo.

‣ Le elezioni presidenziali dirette si tengono nel Dicembre del 1987. L’opposizione si spacca a
causa di dissidi interni e non riesce a presentare un candidato unico.

- Kim Dae-jung - 25,6%


- Kim Young-sam - 27,7%
- Roh Tae-woo - 35,9%
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• POLITICA ESTERA

‣ Con la ne della prima distensione della Guerra Fredda, l’amministrazione Reagan torna ad
appoggiare Chun anche dal punto di vista militare—non intervenendo nemmeno in occasione del
massacro di Kwangju—al prezzo però di essere considerati sostenitori del regime autoritario dal
pov interno e di non aver contribuito alla democratizzazione del paese pur di mantenere stabilità
nella regione a causa delle dinamiche della Guerra Fredda. Nel 1980 fanno comunque pressione
per il rilascio di Kim Dae-jung, condannato a morte.

‣ Al Giappone vengono delegate maggiori responsabilità in Asia orientale da parte


dell’amministrazione Reagan.

Nel 1983 Chun ra orza i rapporti nippo-coreani, garantendosi un ingente prestito e una visita di
stato da parte del primo ministro Nakasone.

‣ Il regime di Chun migliora marginalmente le relazioni con Cina e URSS, gettando le basi per la
normalizzazione dei rapporti e della cosiddetta Nordpolitik nei confronti della Corea del Nord,
sviluppata soprattutto durante la presidenza del suo successore Roh Tae-woo.

Ad esempio, nel 1985 si tennero i primi ricongiungimenti familiari inter-coreani.

✴ ROH TAE-WOO (1987-1992) — LA SESTA REPUBBLICA

• Anche come ex-generale del regime autoritario, ed esponente conservatore, la sua elezione
dà inizio alla transizione coreana ad un regime democratico. Roh cerca prima di tutto di
limitare gli spazi del potere militare nella struttura amministrativa, imponendo una separazione
netta tra i due poteri.

• POLITICA ESTERA

‣ La ne della Guerra Fredda accelera il processo di democratizzazione e inserimento del paese sul
piano internazionale.

Grazie alla disponibilità di risorse economiche date dalla crescita e sviluppo della Corea,
l’obiettivo principale dell’amministrazione Roh è quello di ottenere prestigio e legittimità
internazionali, e migliorare l’immagine del paese tale da venire considerato non più come un
paese del Terzo Mondo, ma come media potenza.

‣ Le Olimpiadi del 1988 si tengono a Seoul, e contribuiscono a plasmare l’opinione pubblica


internazionale della Corea del Sud (e dei suoi prodotti, vd. Hyundai, Samsung, etc.).

‣ L’approccio adottato dall’amministrazione Roh è la cosiddetta NORDPOLITIK—prendendo


spunto dall'Ostpolitik implementata da Willy Brandt con i paesi dell’Est all’inizio degli anni
Settanta—che si appro tta della distensione tra blocchi portata dalla ne della Guerra Fredda per
aprire canali di comunicazione diplomatici, commerciali, culturali, ecc.

- La Corea del Sud istituisce relazioni u ciali con Mosca il 30 Settembre 1990. La
normalizzazione dei rapporti avvenne principalmente grazie alla diplomazia sportiva (vd.
Olimpiadi 1988), al ra orzamento dei legami commerciali e investimenti diretti reciproci.
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- Il 23 Agosto 1992 interrompe i rapporti con la Repubblica di Cina (Taiwan).

- Il 24 Agosto 1992 istituisce relazioni u ciali con Pechino.

- Per quanto riguarda il Giappone, in previsione del progressivo disimpegno degli USA dalla
regione e dato il programma nucleare nordcoreano, Roh promosse il dialogo relativo alla difesa.

• RELAZIONI INTER-COREANE

‣ Il clima internazionale è favorevole ad un riavvicinamento. In questa fase i rispettivi governi non si


riconoscono ancora reciprocamente, ed entrambi puntano a riuni care il paese. Ognuno dei due si
ritiene l’unico legittimo rappresentante del popolo coreano.

NB La Repubblica di Corea ritiene che la sua giurisdizione personale si estenda a tutto il popolo
coreano, del Nord e del Sud, di cui si pone come unico rappresentante.
La politica governativa sudcoreana ha conseguenze dirette sugli individui. Ad esempio, ai
cittadini della Corea del Nord che scappano dal paese attraverso la Russia o la Cina viene
attribuita automaticamente la cittadinanza sudcoreana.

‣ Dal 1989 riprendono i colloqui intergovernativi Nord-Sud—vale a dire tra i rispettivi primi
ministri.

‣ Nel Settembre 1991 entrambe la Corea del Sud e del Nord entrano a far parte dell’ONU,
assumendo due seggi distinti.

Nello stesso anno, gli Stati Uniti smantellano i armamenti nucleari nella penisola. Mossa che
venne percepita positivamente da Pyongyang.

‣ Nel 1992 vengono rmate la Dichiarazione Congiunta sulla denuclearizzazione della Penisola—
nonostante la Corea del Sud non disponesse di nucleare bellico, si tratta di breve documento di 6
punti in cui si prevedeva l’utilizzo dell’energia nucleare solo per scopi paci ci e la creazione di
organismi di controllo reciproco—e l’Accordo sulla creazione di subcommissioni per i colloqui di
alto livello fra Sud e Nord.

Il nome degli accordi, che fanno semplicemente riferimento alla penisola o a Nord e Sud (non a
Corea del Nord o del Sud), è pensato di modo da ottenere il consenso di entrambi i governi.

ll 19 Febbraio 1992 viene siglato l’Accordo sulla riconciliazione, non-aggressione e scambi e


cooperazione fra il Sud e il Nord o Basic North-South Agreement.

Il Basic Agreement è solo una dichiarazione di principi, che incorpora lo spirito e i tre principi della
Dichiarazione Congiunta del 1972.

E’ suddivisa in tre capitoli:

- 1. Riconciliazione Di stampo teorico, prevedono obiettivi nel lungo termine.

- 2. Non aggressione Detta delle misure più concrete e speci che per aprire canali
commerciali, portare all’interdipendenza economica, e relativi
- 3. Scambi e cooperazione all’implementazione dei diritti umanitari, toccando infatti la questione dei
ricongiungimenti familiari.

Prevedono anche l’istituzione di organismi di dialogo permanenti.

Queste misure sono infatti viste come i primi passi per stabilire un
rapporto basato sulla ducia reciproca, ed avrebbero aperto la strada ad
un ulteriore dialogo di tipo politico-militare.
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- L’Agreement condanna esplicitamente provocazioni ed ingerenze reciproche, e sancisce invece
come principi basilari del rapporto la negoziazione e la risoluzione paci ca delle controversie.

- L’articolo 5 del Basic Agreement sancisce l’impegno delle parti a trasformare l’armistizio del
1953 in un vero e proprio trattato di pace, con l’obiettivo ultimo di una riuni cazione paci ca.

- Sulla base di questi principi la Corea del Nord rinuncia a considerare la Corea del Sud come una
colonia statunitense da liberare.

‣ Sebbene vengano stipulati sotto ad un governo di tipo conservatore, la Dichiarazione sulla


denuclearizzazione, l’Accordo sulle subcommissioni, e il Basic Agreement rappresentano esempi
pratici dell’approccio di CONSTRUCTIVE ENGAGEMENT delle relazioni inter-coreane. Questa
posizione di natura conciliatoria punta al coinvolgere la Corea del Nord in un dialogo di tipo
paritario costruttivo.

Si contrappone all’approccio degli hawk, la cui posizione intransigente parte dal presupposto della
mala fede nordcoreana. Gli hawk non si dicono disposti a fare concessioni di alcun tipo al Nord
ntanto che il regime non rinunci all’arma nucleare.

Tradizionalmente la posizione hawk è adottata dai conservatori, eredi del regime autoritario;
mentre i democratici-progressisti si distinguono per il proprio approccio costruttivo, che li porta ad
intraprendere un rapporto con Pyongyang basato su un livello minimo di ducia e la concessione
di incentivi.

Il Basic Agreement appartiene al paradigma teorico del constructive engagement, ma è limitato da


un forte elemento di condizionalità. Gli incentivi alla Corea del Nord sono vincolati
all’adempimento degli obblighi predisposti.

Comunque il Basic Agreement rimase solo una dichiarazione di principi e non venne mai
implementato nella pratica, principalmente a causa dello scoppio della prima crisi nucleare
nordcoreana del 1994.

‣ La Nordpolitik puntava a sostenere non solo il dialogo inter-coreano, ma il dialogo fra la Corea del
Nord e le altre potenze come USA e il Giappone.

• POLITICA INTERNA

‣ La transizione democratica marca l’inizio del processo di divisione del panorama politico
nazionale tra progressisti e conservatori. Mantenere il consenso diventa uno degli obiettivi
principali delle amministrazioni da Roh in poi, perché il sostegno dell’opinione pubblica interna è
sempre più fondamentale all’implementazione della politica estera che il governo vuole
perseguire. Le questioni politiche più polarizzanti da Roh in avanti—soprattutto
dall’amministrazione di Kim Dae-jung—sono il rapporto con la Corea del Nord e la gestione
dell’alleanza con gli Stati Uniti.

‣ L’opposizione ha più canali politici di espressione paci ca—la Corea del Nord non può più contare
sull’opposizione violenta militante per destabilizzare il regime.

‣ L’opinione pubblica per più di una decade dall’inizio del processo di democratizzazione si
caratterizza per lo sviluppo di un forte sentimento anti-americano, relativo alla presenza militare
statunitense nella penisola (USFK - United States Forces Korea), al sostegno del regime
dittatoriale di Chun Doo-hwan, all’acquiescenza dimostrata in occasione del massacro di
Kwangju, e altri crimini commessi durante la guerra di Corea (vd. Nogunri).

‣ Nel 1990 il partito conservatore si fonde con il partito di Kim Young-sam—a formare il Partito
Democratico Liberale—per assicurarne la successione a Roh Tae-woo.
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✴ KIM YOUNG-SAM (1992-1997)

• Le elezioni del 1992 sono le prime democratiche de facto. Rappresentano la prima vera rottura
con il regime autoritario. Kim Young-sam è il primo presidente sudcoreano dal 1960 a non
avere un background militare. Dal 1961 si era distinto come gura di riferimento
dell’opposizione democratica e durante il regime di Chun Doo-hwan, come esponente del
movimento per i diritti umani e per la democratizzazione.

• Ciononostante, viene eletto come candidato del partito di governo conservatore della “Nuova
Corea”.

• POLITICA INTERNA

‣ L’obiettivo principale dell’amministrazione Kim è quello di eliminare gli elementi che possono
contrastare lo sviluppo della democrazia; in primis, introduce numerose riforme contro la
corruzione (portando alla condanna di Roh Tae-woo e di Chun Doo-hwa), promuove una
ristrutturazione nanziaria che prevede norme contro l’evasione e riciclaggio, cerca di rompere il
legame fra la classe dirigente e i grandi conglomerati industriali cheabol, e le banche statali (c.d.
Crony capitalism). Rimuove inoltre i militari ex-membri di governo del regime autoritario, e
aumenta la portata del controllo statale sulla KCIA.

• POLITICA ESTERA

‣ Kim de nisce la Corea come una “potenza regionale con interessi globali”. Il paese ha raggiunto
un livello di potere materiale ed economico tale da potersi a ermare sul piano internazionale
contribuendo al sistema di governance.

‣ L’obiettivo è quello di trasformare la Corea da una “nazione quasi avanzata” ad una “solida nazione
avanzata” (Seonjinguk), attraverso la politica della globalizzazione o politica Segyehwa.

La manifestazione concreta di questa politica è la partecipazione della Corea del Sud alle missioni
di peacekeeping dell’ONU, a partire dal 1993 in Somalia.

‣ Nel 1995 viene eletta come membro non permanente del Consiglio di Sicurezza.

‣ Nel 1996 ottiene l’accesso come membro dell’OCSE.

‣ Nel 1997 la Crisi Finanziaria Asiatica, anche detta Asian Finance Crisis (AFC) o anche IMF Crisis
colpisce duramente la regione dell’Asia Orientale.

La Corea è costretta a richiedere il più grande prestito di bail out mai elargito dal FMI, di 58,8
miliardi di dollari. L’AFC è particolarmente traumatica per la popolazione—le ripercussioni sono
gravissime, la crisi porta ad indebitamenti, disoccupazione, un aumento dei suicidi, ecc. la crisi è
percepita come la più grave dalla Guerra di Corea—e il richiedere stesso del prestito per salvare
l’economia coreana è percepito come un danno all’orgoglio nazionale.

• RELAZIONI INTERCOREANE

‣ Il Governo Kim trova di coltà a coordinarsi con l’amministrazione Clinton circa il dialogo inter-
coreano. Causa di tensione è soprattutto la prima crisi nucleare nordcoreana del 1994.

‣ Era previsto un primo summit storico inter-coreano tra Kim Young-sam e Kim Il-sung, che però
non avvenne a causa dell’improvvisa morte del leader nordcoreano.
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‣ Il presidente Kim si ri utò di esprimere le condoglianze u ciali, motivo per cui la Corea del Nord
cercò di marginalizzare la partecipazione sudcoreana alla realizzazione dei reattori ad acqua
prestabiliti dall’Agreed Framework. Tuttavia, al trapelare della notizia della carestia nel Nord, la
Corea del Sud prese l’iniziativa ed inviò aiuti per 150,000 tonnellate di grano nel 1996—primo
esempio di engagement nei confronti della DPRK.

✴ KIM DAE-JUNG (1997-2002)

• Le elezioni del Dicembre 1997 sono vinte per la prima volta dal partito di opposizione, i
democratici progressisti guidati da Kim Dae-jung.

Originario della regione merididionale di Cheolla, il suo principale bacino di sostegno per tutta la sua vita politica.

Nel 1957 aderisce al Partito Democratico e si distingue come oppositore dei regimi di Yi Syngman, e Park Chung-hee. Nel 1971 si
candida per la prima volta come presidente del Nuovo Partito Democratico ottenendo il 46% dei voti.

E’ bersaglio di numerosi tentativi di attentati alla sua vita.

Nel 1973, durante un periodo di esilio auto-imposto in Giappone, viene rapito dai servizi segreti della KCIA a causa della sua
opposizione dichiarata alla riforma Yusin. E’ solo la pressione internazionale, posta in primis dall’amministrazione Carter, a
salvargli la vita in quel frangente. In Corea viene condannato agli arresti domiciliari.

Nel 1980 viene accusato di aver instigato le manifestazioni di Kwangju e condannato a morte dall’amministrazione di Chun Doo-
hwan. Ancora una volta sono gli USA a fare pressione per commutare la sentenza.

Dal 1982 al 1985 vive un periodo di esilio negli USA. Ritorna in Corea per partecipare come candidato alle elezioni del 1987,
perdendo contro Roh Tae-woo. Si ricandida, perdendo, anche nel 1992.

Durante i lunghi periodi trascorsi in carcere, agli arresti domiciliari e in esilio negli US Kim acquisisce maggiore consapevolezza
a livello politico ed elabora risposte alle principali problematiche del Paese, fra queste la questione inter-coreana.

• POLITICA INTERNA

‣ L’amministrazione Kim deve per prima cosa farsi carico della ricostruzione del paese post-crisi, e
della restituzione del prestito all’FMI, nei soli due anni di tempo previsti.

• POLITICA ESTERA

‣ L’obiettivo dell’amministrazione di Kim Dae-jung—attraverso anche l’implementazione della


Sunshine Policy—è di promuovere e ra orzare cooperazione ed integrazione a livello regionale del
Nord-Est asiatico.

‣ USA: Se l’amministrazione Clinton è favorevole ad un approccio di engagement con la Corea del


Nord (vd. Agreed Framework del 1994), Bush Jr. Invece adotta un atteggiamento ostile e di
chiusura, che porta anche a un ra reddamento dei rapporti con la Corea del Sud. Ciononostante
l’alleanza militare di lunga durata tra i due paesi non viene mai messa in discussione, perché
rimangono invariati gli equilibri globali che la rendono una decisione strategicamente solida.

‣ Giappone: iniziale miglioramento con la visita e scuse del Primo Ministro Obuchi nel 1998 ma nel
2001 nuove tensioni portate dalla questione dei libri di testo revisionisti e dalla visita del premier
Koizumi al tempio di Yasukuni.
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• RELAZIONI INTER-COREANE

‣ Con l’opposizione al governo è nalmente possibile prendere in considerazione approcci


alternativi alle relazioni con il Nord.

‣ Negli anni Settanta Kim elabora una teoria politica di gestione paci ca della divisione
accompagnata ad un processo di riuni cazione progressiva per stadi di integrazione, che entra a
far parte del dibattito della società civile durante gli anni Ottanta e Novanta.

La teoria prevede una riuni cazione basata sui principi—già riconosciuti e generalmente accettati
nelle precedenti dichiarazioni—di indipendenza da ingerenze esterne, negoziazioni paci che, e di
democrazia—la riuni cazione sarebbe dovuta essere ottenuta attraverso consultazioni della
volontà popolare—articolata in tre stadi di confederazione, federazione composta da due
governi regionali autonomi e in ne stato unitario, centralizzato o costituito da due
amministrazioni regionali.

La confederazione è considerata il primo stadio raggiungibile in qualsiasi momento dato


su ciente consenso nazionale e volontà politica. Il punto di partenza che avrebbe consentito
l'avviare dei negoziati sarebbe dovuto essere il mutuo riconoscimento dei governi delle due
Coree.

‣ Queste idee si traducono nella politica u ciale di gestione delle relazioni inter-coreane
dell’amministrazione Kim, la cosiddetta SUNSHINE POLICY—facendo riferimento alla
favola di Esopo ai ni di invogliare la Corea del Nord ad uscire dal proprio isolamento
internazionale, coinvolgendola positivamente.

Fu presentata per la prima volta in occasione di un discorso di Kim Dae-jung all’Heritage


Foundation di Washington--un think tank conservatore statunitense fondato nel 1973--riguardo la
risoluzione della prima crisi nucleare nel 1994 (tenne lo stesso discorso anche alla SOAS di
Londra ;-;).

L’approccio sarebbe servito per “condurre la Corea del Nord lungo un sentiero verso la pace, le
riforme e lʼapertura attraverso la riconciliazione, lʼinterazione e la cooperazione con il Sud”. La
strategia avrebbe consentito di abbandonare una volta per tutte la logica della Guerra Fredda e
di arrivare alla stipulazione di un vero e proprio Trattato di Pace.

La politica si basa su tre principi politici:

- Intolleranza di eventuali provocazioni o minacce armate da parte del Nord.

- Viene abbandonata l’idea della riuni cazione tramite assorbimento di una parte dell’altra.

- Scambi e cooperazione attraverso la ripresa delle disposizioni del Basic Agreement del
1992.
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E su sei principi operativi di attuazione pratica:

1. O ensiva strategica: l’approccio è di tipo proattivo—ossia non solo reattivo e


condizionato al comportamento della Corea del Nord—sul lungo periodo. La Sunshine
Policy si fonda sulla teoria del constructive engagement che propone scambi e
cooperazione attiva.

2. Dualismo/Reciprocità essibile: la Sunshine Policy consiste nel separare l’ambito


economico da quello politico. Se i governi precedenti accettavano di partecipare a
scambi economici o a garantire l’invio di aiuti umanitari solo a condizione che la Corea del
Nord adottasse certe linee politiche, l’amministrazione Kim agiva in base ad un minimo
livello di ducia reciproca, per fare in modo di evitare che la condotta politica della Corea
del Nord potesse mettere a repentaglio i risultati raggiunti sul piano economico-
commerciale. Nel lungo termine queste misure avrebbero consentito l’instaurarsi di un
rapporto di ducia ed interdipendenza tale da poter positivamente in uenzare anche il
piano politico.

La Corea del Sud non si espone totalmente, e dichiara la propria intolleranza rispetto la
minaccia armata. Tuttavia ammette che la risposta ad una condotta politica aggressiva da
parte del Nord non avrebbe comportato un’interruzione totale del dialogo fra le parti.

3. Dissuasione credibile: la politica di constructive engagement sarebbe stata


accompagnata dal perseguimento parallelo del ra orzamento della sicurezza sudcoreana,
attraverso un continuo aumento degli investimenti nella difesa e tramite l’alleanza con gli
USA (le truppe stanziate da Washington nel Sud della penisola).

4. Collaborazione internazionale: l’amministrazione Kim è la prima a proporre il


coinvolgimento di Russia e Giappone nei negoziati (che passano quindi dai 4 ai 6 attori
dei Six Party Talks), a spingere per una normalizzazione dei rapporti tra il Nord e USA e
Giappone, e a chiedere l’annullamento delle sanzioni e l’accesso del Nord alle istituzioni
internazionali multilaterali. La Corea del Sud propone anche l’istituzione di un regime di
cooperazione regionale nellʼAsia nordorientale sul tema della sicurezza.

5. Consenso interno: l’obiettivo è il cambiamento della percezione del Nord da parte della
popolazione sudcoreana. Sarebbe stato raggiunto attraverso una politica di gestione delle
relazioni il più possibile trasparente—in contrapposizione con la prassi autoritaria di
segretezza e strumentalizzazione della Corea del Nord per ottenere legittimazione.

6. Pseudo-uni cazione: l’obiettivo nel medio periodo era di ottenere un’uni cazione de facto
data dal libero scambio e circolazione di persone, beni e servizi, con meccanismi
funzionanti di controllo degli armamenti e ducia reciproca consolidata.

La Sunshine Policy è un esempio di constructive engagement perché gli incentivi e concessioni


he si presentano al regime nordcoreano non prevedono elementi di condizionalità. L’obiettivo è
incentivare l’interscambio economico-commerciale e gli aiuti umanitari a vantaggio della Corea
del Nord per indurre il paese, attraverso la percezione dei bene ci che potrebbe ottenere, a
riformare il proprio regime interno e a rompere il proprio isolamento internazionale. Tutto sempre
in maniera graduale sul lungo periodo. Chiaramente,

Siccome l’approccio era pensato per il lungo periodo, per poter sopravvivere sarebbe dovuto
essere adottato e portato avanti da entrambi gli schieramenti politici nel corso dei mandati (c.d.
approccio bipartisan).

La durata del mandato rappresenta un forte limite al perseguimento di ogni politica. Inoltre ogni
due anni in Corea con le elezioni dell’Assemblea Nazionale il presidente corre il rischio di
perdere la maggioranza in Assemblea (diventando quello che in gergo si chiama anatra zoppa o
lame duck).
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‣ La Sunshine Policy viene attuata attraverso il ra orzamento della cooperazione umanitaria,
soprattutto riguardo la questione dei ricongiungimenti familiari—divisi dalla ne della Guerra di
Corea—tramite l’assistenza umanitaria volontaria non più solo della Croce Rossa sudcoreana
(politica del canale unico) ma anche di altre ONG sudcoreane e internazionali.

‣ Si elaborano anche progetti di cooperazione a doppia partecipazione per dare vita ad opportunità
di guadagno per entrambe le Coree.

Ad esempio, la creazione—da parte della Hyundai, che ottiene la concessione direttamente da


Pyongyang—del sito turistico del Monte Kumgang nel 1998, un luogo considerato sacro per tutto
il popolo coreano.

Il fondatore della Hyundai era scappato dalla Corea del Nord con solo i 70 won su cienti a comprare una
mucca. Quando ha ottenuto la concessione, ha simbolicamente attraversato quello che adesso viene
chiamato il ponte delle mucche (cow bridge o cattle crossing), riportando in Corea del Nord una quantità di
mucche per ripagare i propri genitori.

‣ La risposta di Pyongyang alla S.P. rimane di chiusura, ma Kim Jong-il scrive una lettera sul
dialogo inter-coreano.

‣ 1999 la S.P. di engagement ha successo, ed evita ad esempio che la Corea del Nord compia il
test missilistico Taepodong II.

‣ Il PRIMO SUMMIT INTER COREANO del 13 GIUGNO 2000 a Pyongyang fu il massimo traguardo
raggiunto dalla Sunshine Policy.

I negoziati si svolgono prima grazie all’intermediazione del fondatore della Hyundai e poi sono
a dati al capo della KCIA, prima tramite un u cio di collegamento a Panmunjom e poi a Pechino.
Durante le trattative, la di coltà del negoziatore sudcoreano sta nel convincere l’alleato
americano. Infatti nonostante l’amministrazione Clinton fosse favorevole alla politica di
engagement, il focus sul nucleare rimaneva comunque importante.

Il summit è preceduto dal discorso del 9 Marzo tenuto da Kim Dae-jung a Berlino in cui parla di
voler avviare un dialogo inter-governativo.

‣ Il principale prodotto del summit è la Dichiarazione Congiunta del 15 Giugno 2000, per la prima
volta rmata da entrambi i leader delle due Coree.
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La Dichiarazione si articola in 5 punti, sempre relativi all’eventuale riuni cazione dei due paesi,
che deve essere caratterizzata da:

1. Indipendenza dalle ingerenze esterne

2. Una risoluzione paci ca, come per le altre formule di riuni cazione proposte

3. Risoluzione delle problematiche umanitarie

4. Ra orzamento degli scambi economici e commerciali

5. Canali di dialogo da mantenere aperti

L’e etto mediatico fu immediato e incisivo.

Kim Jong-il strumentalizzò il summit per ni propagandistici, per dimostrare al mondo sia il suo
fermo controllo sul Nord sia per migliorare la sua immagine sul piano internazionale; Kim Dae-jung
ottenne di aumentare il proprio consenso nel Sud e vinse il Premio Nobel per la pace.

‣ Il summit contribuisce ad un mutamento dei rapporti anche tra Corea del Nord e USA:
nell’Ottobre 2000 il secondo in comando nordcoreano si reca a Washington per consegnare una
lettera di Kim Jong-il, mentre Madeleine Albright—il segretario di Stato statunitense—visita
Pyongyang.

Ci si accorda per mantenere relazioni di tipo amichevole e stipulare un trattato di pace de nitivo.

Gli USA si impegnano a non de nire più la Corea del Nord come uno stato canaglia (Rogue State),
e ad aiutare il paese ad accedere alle risorse nanziarie delle istituzioni internazionali.

Da parte sua, la Corea del Nord rinuncia al terrorismo e al lancio di missili a lungo raggio.

‣ La Sunshine Policy non è esente da critiche emerse nel contesto socio-politico sudcoreano, poste
soprattutto dal partito conservatore Grand National Party sostenuto dai tre più importanti
quotidiani del paese.

Le pesanti critiche portano, a partire dal 2001, una perdita di consenso popolare relativo sia alla
Sunshine Policy che alla gura di Kim Dae-jung.

(vd. Tabella sotto).

‣ Nel Giugno 2001 una nave nordcoreana viola le acque territoriali della Corea del Sud.

‣ Nel 2002 una nave militare sudcoreana viene a ondata nel Mare Occidentale in seguito a uno
scontro. Muoiono 6 marinai del Sud e 13 del Nord.

‣ Nel 2002 il Presidente Bush Jr. Dimostra ostilità nei confronti della Corea del Nord in occasione
del suo discorso sullo Stato dell’Unione, citandola come parte del cosiddetto “asse del male”, e
causando ulteriori tensioni e risposte aggressive da parte di Pyongyang.

‣ Nel 2002/2003 la Corea del Nord decide di riattivare il proprio impianto nucleare di Yongbyon e
successivamente uscire dal Trattato di non proliferazione (TNP), accusando gli Stati Uniti di non
aver rispettato le clausole dellʼAgreed Framework.
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CRITICHE ALLA SUNSHINE POLICY RISPOSTE ALLE CRITICHE

1. Debolezza dell’approccio di engagement 1. Sebbene l’approccio possa risultare eccessivamente


vago e mutevole, questo è perché la Sunshine Policy è
La Sunshine Policy, soprattutto nella sua componente intesa come politica di lungo periodo, da perseguire
di Reciprocità essibile, non avrà un impatto su ciente anche in caso di ostacoli o tensioni momentanee.
sul governo nordcoreano, portando solo ad uno spreco
di risorse economiche del Sud. Lo spreco di risorse è ben più che compensato dai
guadagni portati dagli investimenti in Corea del Sud a
seguito dell’allentarsi delle tensioni nella penisola.

2. Indebolimento dell’apparato di difesa 2. In realtà le spese militari fra il 1998 e il 2003 si sono
mantenute in linea con quelle precedenti. Inoltre,
Kim Dae-jung è accusato di aver mal gestito la difesa e l’amministrazione Kim ha sempre risposto con fermezza
sicurezza nazionale. alle provocazioni nordcoreane.

3. L’approccio viene considerato troppo divisivo a livello 3. I dissensi riguardavano più l’attuazione della Sunshine
interno Policy che l’approccio in sé. Inoltre la divisione interna al
paese è stata esacerbata più che altro dall’opposizione
politica che ha strumentalizzato la Policy contro Kim
Dae-jung.

4. Indebolimento dell’alleanza con gli USA 4. L’alleanza strategica tra USA e Corea del Sud non è mai
stata messa in discussione, perché basata su
considerazioni strategiche di lungo periodo.

Il ra reddamento dei rapporti è da attribuire non alla


Sunshine Policy, bensì al passaggio all’amministrazione
Bush Jr., che adottava un approccio diverso nei confronti
della Corea del Nord.

5. La questione dei diritti umani 5. L’amministrazione Kim si è concentrata sulla promozione


dei ricongiungimenti familiari e sulla fornitura di aiuti
L’amministrazione Kim ignora la sistematica violazione alimentari.
dei diritti umani del regime nordcoreano, purché si
compiano progressi nel campo degli scambi Un controllo eccessivo su forniture e politiche relative ai
commerciali. diritti umani avrebbe portato ad una chiusura immediata
del canale di dialogo aperto con Pyongyang.
A Pyongyang viene infatti concesso un margine
discrezionale n troppo ampio circa l’uso dei fondi, che
non vengono redistribuiti a favore della popolazione ma
per ra orzare il proprio apparato militare.

6. Mancanza di trasparenza 6. La segretezza e l’accentramento del potere politico si


erano resi necessari per condurre le trattative per il
Gli obiettivi della Sunshine Policy sono perseguiti con summit.
troppa rapidità—di fatto la Corea non è pronta a dare
attuazione alla Policy—tramite un eccessivo Senza il trasferimento di denaro, Pyongyang non
accentramento del potere decisionale e avrebbe mai acconsentito al dialogo.
personalizzazione di Kim Dae-jung per scopi di politica
interna, per ottenere consenso popolare.

Nel 2002 emerge lo scandalo del Cash for summit.


Kim Dae-jung e alcuni suoi collaboratori sono accusati
di aver “comprato” la possibilità di organizzare il summit
del 2000 in cambio di una somma di 500 milioni di
dollari elargiti al governo della Corea del Nord
attraverso i canali della Hyundai Asan.
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REGIONALISMO NELLA POLITICA SUDCOREANA

I voti progressisti tendono a concentrarsi nel Sud e a Ovest del paese, mentre l’area di Busan e le province
sud-orientali sono tendenzialmente conservatrici.

✴ ROH MOO-HYUN (2002-2007)

• La vittoria del candidato del partito democratico dà il nome al periodo conosciuto come il
Decennio progressista.

• POLITICA INTERNA

‣ La campagna elettorale si era concentrata sul coinvolgimento dei giovani—la cosiddetta


generazione 386—e sull’utilizzo delle nuove tecnologie.

‣ Le problematiche che Roh deve a rontare sono la crescente disillusione della società nei
confronti delle istituzioni governative e il rinnovato sentimento anti-americano.

• POLITICA ESTERA

‣ L’amministrazione Rho promuove una serie di iniziative di cooperazione multilaterale in materia di


sicurezza, a nché la Corea del Sud assuma un ruolo più attivo nella regione e ra orzi i rapporti
politici con altre potenze regionali. Roh rivaluta la posizione storica sudcoreana in chiave positiva,
per trasformare limitazioni e svantaggi in opportunità, attraverso l’immagine di “a dolphin who
helps the whales get along while living in prosperity”.

‣ I Six Party Talks vengono proposti non solo come forum per risolvere la questione nucleare
nordcoreana ma come per le questioni più ampie di paci cazione della penisola e di cooperazione
a garantire la sicurezza nella regione dell’Asia nordorientale, relativamente alla quale la Corea del
Sud si propone di assumere un ruolo più centrale e indipendente dall’in uenza statunitense.

‣ Viene promosse l’iniziativa NACI - Northeast Asian Cooperation Initiative for Peace and Prosperity,
all’interno della quale la Corea del Sud avrebbe dovuto assumere tre ruoli:

- Bridge: ossia mediatore fra potenze marittime e terrestri. A questo proposito propone la
convocazione di un vertice trilaterale Cina - Corea - Giappone, che si concretizzerà solo con il suo
successore.
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- Hub: obiettivo ambizioso che si proponeva di porre la Corea del Sud in una posizione di centralità tra
il circolo degli attori regionali (spokes).

- Facilitator of regional cooperation

‣ Nel perseguire questa politica però la Corea del Sud non può mai permettersi di abbandonare
l’alleanza con gli USA. L’amministrazione Roh non mette mai in discussione l’importanza
dell’alleanza (vd. Sostegno agli USA in Iraq, rma dell’ accordo di libero scambio KORUS FTA nel
2007, ecc.).

‣ Giappone: tensioni causate soprattutto dalla disputa territoriale relativa l’isola di Dokdo/
Takeshima nel 2006, ma anche dalle controversie rimaste irrisolte che continuano ad in uenzare il
rapporto tra i due paesi (crimini commessi durante la colonizzazione, revisionismo dei libri di
testo, mancanza di scuse u ciali, visite a Yasukuni, ecc.). Le controversie danno origine ad una
marcata reazione nazionalista e anti-giapponese fra la popolazione coreana.

‣ Cina: riavvicinamento dato dal sostegno cinese alla politica conciliatoria verso la Corea del Nord e
distanziamento dagli USA. Diventa il maggior partner commerciale sudcoreano a partire dal 2004.
Fonte di tensione è stata la controversia circa il sito archeologico delle tombe di Goguryeo,
rivendicato sia dalla Cina che dalla Corea del Nord.

• RELAZIONI INTER-COREANE

‣ Promuove come successore della Sunshine Policy, la Politica inter-coreana di pace e


prosperità, che si inserisce in un più ampio quadro di iniziative di cooperazione multilaterale in
materia di sicurezza.

‣ L’amministrazione Roh deve fare i conti con le ripercussioni del Cash for Summit Scandal e con
l’atteggiamento adottato dall’amministrazione Bush Jr. estremamente intransigente (hawk volti al
realismo e pragmatismo) nei confronti della Corea del Nord.

‣ E’ protagonista del secondo summit inter-coreano e rma un’ulteriore Dichiarazione Congiunta.


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✴ LEE MYUNG-BAK (2007-2012)

• L’elezione del candidato conservatore pone ne al cosiddetto decennio progressista.

• POLITICA INTERNA

‣ La campagna elettorale di Lee rispetta le priorità dell'elettorato, concentrandosi sulla necessità di


un rinnovamento del sistema economico sudcoreano. La situazione economica infatti era
caratterizzata da una riduzione degli investimenti esteri, un aumento della disoccupazione, e un
calo dei tassi di crescita.

Lee Myung-bak si presentava come candidato ottimale, avendo già ricoperto le posizioni di
amministratore delegato della Hyundai Engineering and Construction e di sindaco di Seoul—città
amministrata con una forte cifra imprenditoriale.

‣ La percentuale di votanti alle elezioni fu la più bassa nella storia della Corea del Sud.

‣ La linea proposta è quella della Anything but Roh Policy.

• POLITICA ESTERA

‣ La prima priorità è quella di rinsaldare il rapporto di alleanza con gli USA, che era stata indebolita
dalle tensioni provocate dagli scontri tra l’amministrazione Bush Jr. e quelle di Kim Dae-jung e
Roh Moo-hyun. Ottiene la rati ca dell’accordo di libero scambio rmato da Roh, di partecipare ad
esercitazioni militari congiunte, e ai dialoghi interministeriali di difesa “2+2” aggiungendosi a USA,
Australia e Giappone.

‣ Il ri-consolidamento dei rapporti con gli USA e il cambiamento circa l’approccio da utilizzare nei
confronti della Corea del Nord avvengono tuttavia a discapito dei rapporti sudcoreani con la Cina.

‣ Il processo di Nation Branding incominciato a partire dagli anni Novanta raggiunge il suo apice.
L’amministrazione adotta la Global Korea Policy, per partecipare attivamente alla leadership
globale, a partire dalla governance nanziaria, per acquisire credibilità ed autonomia sul piano
internazionale—non più solo come alleato USA o nel suo ruolo di gestione delle questioni inter-
coreane, ma come entità a sé stante che può a ermarsi in altri ambiti internazionali.

La Corea del Sud viene infatti riconosciuta come economia avanzata di primo piano.
Nel Novembre 2010 la Corea del Sud è il primo Paese asiatico e non membro del G8 a ospitare
un summit dei leader del G20.

Sempre nel 2010 entra a far parte del Comitato di aiuti allo sviluppo dell’OCSE.

‣ La Corea assume quindi grande prestigio, ponendosi come modello di riferimento economico per
i paesi in via di sviluppo e politico per i paesi prossimi ad avviare una transizione democratica.

‣ Si è inoltre ritagliata spazi di azione autonoma in altri ambiti:

- Ospita il summit sulla Sicurezza Nucleare del 2012.

- È promotore della strategia Green Growth.


Vd. Global Green Institute, istituto specializzato in questioni ambientali e climatiche all’interno
dell’ONU.

- La KOICA - Korean International Cooperation Agency svolge un ruolo di rilievo per aiuti e sviluppo.
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• RELAZIONI INTER-COREANE

‣ L’amministrazione Lee adotta un approccio completamente opposto a quella del suo


predecessore, soprattutto per quanto riguarda le relazioni inter-coreane, dove si mostra
estremamente intransigente.

La partecipazione a scambi economico-commerciali è infatti condizionata all’abbandono del


nucleare da parte di Pyongyang.

Rintroduce quindi l’elemento di forte condizionalità e reattività, temporaneamente accantonato a


favore di un approccio di constructive engagement durante le amministrazioni precedenti.

✴ PARK GYUN-HYE (2012-2017)

• Inaugura il cosiddetto decennio conservatore.

• POLITICA ESTERA

‣ L’amministrazione Park riconosce il cosiddetto Asian Paradox come una delle maggiori s de della
propria politica estera. Il paradosso è costituito dal fatto che sebbene l’integrazione e
cooperazione economica regionale a partire dagli anni Novanta e durante gli anni Duemila si sia
sviluppata in maniera rapida e signi cativa, lo stesso progresso non è stato riscontrato in campo
diplomatico, che pone una base molto fragile e volatile ai rapporti di tipo economico.

- A causa dell’approccio pragmatico dell’amministrazione Lee, le relazioni intercoreane erano


notevolmente peggiorate. La Corea del Nord continuava a sviluppare il proprio programma
nucleare indipendentemente dall’applicazione del regime di sanzioni internazionale.

- Le controversie circa l’eredità storica del colonialismo giapponese in Corea, e la reticenza


nazionalista dimostrata dal governo Abe continuano ad ostacolare i rapporti fra i due paesi.

- Le crescenti tensioni tra USA e RPC portano la Corea del Sud a trovarsi in una posizione
rischiosa, legata da un lato agli USA dal loro rapporto di alleanza militare e dall’altro dalla Cina
attraverso un legame sempre più forte di interdipendenza economica.

‣ Sono tre le iniziative promosse dall’amministrazione Park a questo proposito:

- La Trustpolitik, nei confronti della Corea del Nord, per tentare di ristabilire un dialogo
intergovernativo, integrare il Nord nel sistema economico regionale e migliorare i rapporti con la
Cina. Seguendo la linea operativa conservatrice, la politica viene perseguita senza mai voler
compromettere le relazioni con gli USA.

La strategia tuttavia fallisce a causa delle crisi nucleari nordcoreane del 2013, e del 2016,
portando l’amministrazione ad adottare nuovamente una politica intransigente—a discapito delle
relazioni con la Cina.

- La NAPCI - Northeast Asia Peace and Cooperation Initiative, che promuoveva la cooperazione
regionale a livello politico. Tuttavia a causa della mancanza di iniziativa da parte di Cina e USA a
sostenere il progetto multilaterale sudcoreano, il progetto non porta che a scarsi risultati.

- L’Eurasia Initiative, che invece piani cava di coinvolgere anche l’Asia Centrale e l’Europa, allo
stesso modo non ha contribuito a portare a risultati concreti.
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✴ MOON JAE-IN (2017-2022)

• Progressista.

✴ YOON SUK-YEOL (2022- )

• Conservatore.
COREA DEL NORD

• Il potere è detenuto da e trasmesso all’interno di una sola famiglia, la linea dinastica del Monte
Paektu.

Per tutta la vita internazionale della Corea del Nord, la priorità fondamentale rimane la sopravvivenza
politica del regime dei Kim, che antepone la propria sopravvivenza come dinastia al potere a quella
dello stesso Stato coreano.

La seconda priorità invece è il mantenimento del sistema di tipo socialista, essenziale per mantenere
il controllo della popolazione e veicolo pratico dell’ideologia Juche.

La Juche è l’ideologia u ciale dello Stato nordcoreano, che promuove un ideale di autosu cienza e
indipendenza di stampo comunista anti-imperialista—poi sempre più nazionalista, perdendo i
riferimenti al marxismo-leninismo—pone enfasi sulla capacità reattiva e creativa dell’individuo, e si
accompagna al culto della personalità legato alla famiglia Kim.

• Il nucleare è lo strumento strategico che rappresenta una soluzione ai problemi di legittimità interna
ed estera al paese, e la relazione della famiglia Kim con il programma nucleare è la chiave di lettura
che permette di spiegare il comportamento aggressivo e provocatorio nordcoreano.

Il regime accetta di scendere a compromessi infatti solo nei casi in cui è la sopravvivenza politica
della dinastia a venire minacciata. Alle minacce esterne derivanti dal Security dilemma nordcoreano e
alle questioni relative la successione dinastica padre- glio corrispondono invece atteggiamenti di
chiara provocazione.

vd. atti terroristici corrispondenti alle purghe politiche del 1967-69 e alla nomina di Kim Jong-il come
successore al padre negli anni Ottanta, la belligeranza mostrata nei confronti delle critiche personali a Kim
Jong-il da parte statunitense, la volontà a prendere parte ai Six Party Talks in occasione dell'invio di F-117 e
F-15E in Corea del Sud da parte degli USA nel 2003-04-05-07 e della partecipazione dei due paesi ad esercizi
militari congiunti, e a collaborare nel caso in cui Washington si fosse dimostrato rispettoso della gura e
dignità di Kim Jong-il, etc.

In ogni caso è fondamentale tenere conto della percezione della leadership coreana delle minacce—
interne ed estere—alla sua sopravvivenza.

L’ideologia Juche in uenza la percezione delle minacce esterne incoraggiando l’assunzione di rischi
sul piano internazionale.
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• Il fondatore della dinastia Kim è Kim Il-sung, il candidato scelto dalla leadership sovietica dopo la
Seconda Guerra Mondiale come guida del paese. Kim Il-sung aveva combattuto nella guerriglia anti-
giapponese tra le la dell’armata rossa—esperienza durante la quale aveva imparato ad adottare
tattiche brusche e inaspettate—e aderiva fortemente all’ideologia comunista.

La Repubblica Democratica Popolare di Corea (Corea del Nord) nasce il 9 Settembre 1948 con Kim
Il-sung come Primo Ministro di un governo comunista lo-sovietico.

Dopo la Guerra di Corea, subisce l’impatto della destalinizzazione—che porta al formarsi di


un’opposizione che ri uta il nascente culto della personalità di Kim—ma riesce ad eliminare
sistematicamente i propri principali rivali politici, negli anni Cinquanta e Sessanta. Inoltre la caduta di
Lin Biao (comandante armate in Manciuria, ministro della difesa e vicesegretario del partito
comunista) potrebbe avere in uenzato la decisione di adottare la linea di successione padre- glio
come unica soluzione possibile.

La Guerra del Vietnam e la cooperazione trilaterale militare USA-Giappone-Corea del Sud sotto le
amministrazioni di Reagan, Nakasone e Chun Doo-hwan hanno contribuito ad in uenzare la
sensazione di insicurezza ed isolamento nordcoreani.

IL PROGRAMMA NUCLEARE AUTONOMO NORDCOREANO — CRISI NUCLEARI


(1994-2003-2017-…)

• Nel 1952 a causa del senso di insicurezza dato dalla minaccia atomica statunitense, il Nord inizia a
sviluppare l’energia nucleare a scopi civili. Ricevono a questi ni assistenza tecnica (expertise)
dall’URSS.
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• Nel 1967 viene attivato il reattore di ricerca di Yongbyon.

NB I reattori di ricerca sono reattori nucleari basati sulla ssione nucleare che servono
principalmente come fonte di neutroni, e non producono energia elettrica.

• Nel 1974 la Corea del Nord entra a far parte dell’AIEA - Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica
(IAEA - International Agency for Atomic Energy), senza rmare/rati care con essa ancora un Accordo
di Salvaguardia. Sul nire degli anni Settanta, il Nord sviluppa un interesse nei confronti dell’uso
dell’energia nucleare nalizzata alla produzione di armi.

• 1980 viene avviata la costruzione, e nel 1986 viene attivato il primo reattore a gra te nella centrale
di Yongbyon. Il Nord è stato in grado di costruire il reattore in maniera indipendente grazie
all’elevatissima concentrazione di risorse minerali presenti sul territorio.

• 1985 Pyongyang rma il Trattato di non proliferazione su pressione sovietica.

• Nei primi anni Novanta la Corea del Nord è in grado di completare l’intero ciclo di combustibile
nucleare con materiali prodotti nel sito di Yongbyon.

La produzione nucleare bellica nordcoreana è stata basata in una prima fase sull’arricchimento del
plutonio.

• Gli USA scoprono che il regime nordcoreano sta sviluppando un programma nucleare per scopi
militari attraverso immagini satellitari.

La strategia portata avanti durante la Guerra Fredda che cercava di isolare il regime Kim non era
quindi servita ad impedire la nuclearizzazione della Corea del Nord.

• Bush Sr. tenta di normalizzare il rapporti USA-DPRK, dichiarando che gli USA (e Mosca) avrebbero
smantellato tutte le loro armi nucleari nel mondo—comprese quelle in Corea del Sud, che non ne
aveva mai avute di proprie—entro il 19 Dicembre 1991.

NB Il 18 Dicembre 1991 viene rmata la Dichiarazione congiunta delle due Coree sulla
denuclearizzazione della penisola coreana.

La Corea del Nord dichiara che se gli USA avessero tenuto fede al loro impegno di
denuclearizzazione, avrebbe concesso agli ispettori dell’AIEA l’accesso alle proprie centrali nucleari.

• Nel 1992 Pyongyang rati ca l’Accordo di salvaguardia dell’IAEA, con cui accetta di sottoporsi ai
poteri ispettivi dell’Agenzia, ma allo stesso tempo continua il proprio programma nucleare a scopi
militari, clandestinamente.

• Nel 1992 gli ispettori AIEA rilevano durante un’ispezione a Yongbyon che la Corea del Nord aveva già
ri-processato il plutonio almeno in tre occasioni (1989/90/91), ma viene loro negato l’accesso agli
altri siti sospettati di produzione di energia nucleare per scopi militari.

• In risposta alle pretese dell’AIEA, nel Marzo 1993 Pyongyang minaccia di uscire dal TNP, con lo
scopo di ottenere un riconoscimento da parte degli USA con i quali avviare una relazione diplomatica
e riprendere il dialogo bilaterale.

La Corea del Nord ritira infatti la propria posizione a seguito di un incontro con diplomatici
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statunitensi a New York. Acconsente nuovamente a sottoporsi ad ispezioni dell’AIEA (cui però non è
consentito investigare sulle attività nucleari pregresse).

• Successivamente, i tecnici nordcoreani rimuovono barre di combustibile esausto dal reattore di


Yongbyon senza la supervisione dell’AIEA. Ciò contribuisce ad acuire la crisi perché lo stoccaggio
attuato dai nordcoreani avrebbe impedito de nitivamente qualsiasi ricostruzione storica delle
operazioni del reattore.

Le barre contenevano abbastanza plutonio arricchito da produrre 5-6 bombe.

Questa scoperta induce l’amministrazione Clinton a chiedere al CdS ONU l’imposizione di sanzioni
contro la Corea del Nord, per impedire la crescita dell’arsenale nordcoreano. Queste sanzioni sono
interpretate dal regime Kim come un “atto di guerra”.

Gli stessi USA considerano l’opzione dell’intervento militare, per radere al suolo la centrale di
Yongbyon ed impedire alla Corea del Nord di utilizzare il proprio materiale ssile (le barre di
combustibile) a scopi militari.

• La crisi viene disinnescata tramite una visita informale dell’ex-presidente Jimmy Carter, che si reca
personalmente a Pyongyang come interlocutore non-u ciale nel Giugno 1994.

• Il 21 Ottobre 1994 USA e Corea del Nord rati cano l’Accordo Quadro (Agreed Framework).

L’accordo prevedeva che la Corea del Nord smantellasse tutte le strutture nucleari di Yongbyon, di
fatto congelando il programma nucleare e ponendo le scorte nordcoreane sotto il controllo dell’AIEA.

In cambio avrebbe ricevuto dagli USA due reattori ad acqua leggera e 500 mila tonnellate di olio
combustibile, entro il 2003.

NB I reattori sarebbero stati forniti dalla KEDO - Korean Peninsula Energy Development Organization
Un consorzio statunitense, giapponese, e sudcoreano—cui successivamente partecipa anche
l’UE—formato per contribuire a dare esecuzione all’Accordo Quadro.

L’accordo avrebbe dovuto portare ad una graduale normalizzazione dei rapporti fra i due paesi.

• Nel frattempo, con l’improvvisa morte di Kim Il-sung, prende il potere il glio, Kim Jong-il.

La successione è preceduta da un lungo periodo di circa 20 anni di preparazione pratica e


consolidamento della propria reputazione all’interno della cerchia di militari e funzionari più vicina al
padre.

La sua ascesa è ostacolata da lotte interne per il potere, soprattutto nel corso degli anni Settanta
con la propria matrigna Kim Kyong-hui e lo zio, Jang Song-thaek.

Adotta la cosiddetta “Military First Policy” sulla base del fatto che è stata la pressione militare a
causare, nel corso del 20esimo secolo, la subordinazione del movimento socialista a danno delle
potenze imperialiste—ma soprattutto per garantire la sopravvivenza del proprio regime.

• La soluzione raggiunta con l’accordo del 1994 non è soddisfacente per nessuna delle parti. Per gli
USA perché la Corea del Nord tardava a consentire le ispezioni internazionali promesse, e per la
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Corea del Nord perché i reattori non sono costruiti nei tempi concordati.

Lo scetticismo statunitense nei confronti dell’Accordo Quadro trova espressione nel 1998 quando il
Congresso passa sotto il controllo repubblicano.

NB Il 13 Giugno 2000 si tiene il primo summit inter-coreano.

• Alla ne degli anni Novanta, Pyongyang avvia un nuovo programma nucleare clandestino a scopi
militari, questa volta basato sull’arricchimento dell’uranio—non esplicitamente vietato nell’accordo
del 1994.

Il programma viene realizzato—secondo dati raccolti dalla CIA—grazie ad ulteriori accordi con il
Pakistan, cui la Corea si impegna a fornire missili Nodong in cambio di centrifughe, più facili da
occultare. Al programma contribuì l'ingegnere Abdul Qadeer Khan, considerato il padre del
programma nucleare pakistano.

Per gli USA ciò rappresenta una violazione dello spirito dell’Accordo Quadro e degli impegni assunti
con la rati ca del TNP e nel 1992 con la Dichiarazione congiunta sulla denuclearizzazione—che tratta
anche dell’utilizzo dell’uranio.

• Nell’Ottobre 2002 gli USA annunciano che il regime Kim ha ammesso l’esistenza del programma
all’uranio durante i colloqui con l’Assistente Segretario di Stato, James Kelly. La Corea del Nord non
è più reputato un interlocutore a dabile.

• Se in un primo momento l’amministrazione Bush si era dimostrata favorevole ad un approccio più


aperto di dialogo ed engagement con Pyongyang, dopo l’11 Settembre Bush Jr. include apertamente
la Corea del Nord nel cosiddetto axis of evil.

Questo viene interpretato come una chiara manifestazione di ostilità e volontà statunitense di
attaccare la Corea. Pyongyang si percepisce come isolato sul piano internazionale.

• Il KEDO sospende le forniture di combustibile.

• Per gli USA l’unica possibilità di riavviare i negoziati è il “completo, veri cabile e irreversibile
smantellamento” (CVID) del programma nucleare nordcoreano.

Questa è rimasta la posizione u ciale statunitense almeno no all’amministrazione Biden.

• In risposta, nel Gennaio 2003 la Corea del Nord rimuove i sigilli, riavvia il reattore di Yongbyon ed
estrae una quantità di plutonio su ciente a produrre molteplici ordigni nucleari.

Inoltre, la DPRK esercita il proprio diritto di recesso dal TNP in quanto “seriamente minacciata
dalla politica ostile e pericolosa degli USA”

Proclama comunque che tornerebbe sui suoi passi se Washington onorasse gli obblighi dell’Accordo
quadro rmando un trattato di non aggressione.

Formalmente USA e Corea del Nord sono da sempre ed ancora oggi in guerra.

• Nell’Aprile 2003 vengono avviati i cosiddetti Six Party Talks tra Stati Uniti, Corea del Nord, Corea del
Sud, Cina, Russia e Giappone con l’obiettivo di convincere il regime nordcoreano a rinunciare al suo
programma di armamenti nucleari. I dialoghi continueranno almeno no al 2009.
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L’unico risultato si ottiene nel Settembre 2005, con una Dichiarazione congiunta che prevedeva che:

1. Pyongyang si impegnasse ad abbandonare il proprio programma nucleare, ad aderire


nuovamente al TNP, ad autorizzare le ispezioni dell’AIEA in cambio di assistenza
energetica, e ad avviare una graduale normalizzazione dei rapporti con USA e Giappone,
arrivando eventualmente alla negoziazione di un trattato di pace con gli USA.

2. Corea del Nord e USA avrebbero “coesistito in maniera paci ca”, soddisfacendo così la
necessità nordcoreana di ricevere limitate garanzie di sicurezza.

3. USA, Cina, Russia, Giappone, Corea del Sud esprimessero “rispetto” per il diritto della
Corea del Nord di sviluppare energia nucleare a scopo civile, e che si impegnassero a
discutere la sua richiesta di ricevere reattori ad acqua leggera “a tempo debito”.

• Sempre nel 2005, l’amministrazione Bush impone sanzioni al Banco Delta Asia di Macao per togliere
alla Nord Corea l’accesso alla valuta forte ottenuta per vie illegali. Il conto viene scongelato l’anno
seguente a seguito del primo test nucleare per promuovere i negoziati.

• Il 9 ottobre 2006 avviene il primo test nucleare nordcoreano (“per soddisfare l’esercito
nordcoreano”), cui il CdS risponde adottando una risoluzione che impone sanzioni multilaterali alla
DPRK.

NB Nel 2007 si tiene il secondo summit inter-coreano.

• Il 25 maggio 2009 Pyongyang conduce il secondo test nucleare, che pone ne ai negoziati dei Six
Party Talks. Gli USA comunque non hanno ricongelato i conti esteri nordcoreani o re-inserito il paese
nella lista di Stati sponsor del terrorismo se non una decade più tardi.

• Nel 2011, con la morte di Kim Jong-il, sale al potere Kim Jong-un—nonostante non sia il primogenito
di Kim Jong-il.

Il glio maggiore, Kim Jong-chol, risiede all’estero. La glia Kim Jong-yo è membro del politburo,
presidente dell’u cio di propaganda, e braccio destro del fratello Kim Jong-un.

• Kim Jong-un non ha avuto il tempo di consolidare la propria posizione all’interno del regime, a
di erenza di suo padre. Non ha esperienza militare né politica, e manca perciò di legittimazione e
alleati.

• La sopravvivenza di Kim Jong-un come leader si basa principalmente sul mantenere il controllo del
partito—soprattutto—e dell’esercito. Si renderebbe comunque necessaria una riforma economica
nalizzata al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione nel lungo periodo, che tuttavia
rimane di cile da attuare siccome gli elementi capitalistici introdotti nell’economia andrebbero ad
intaccare la sopravvivenza politica dei Kim.

• L’amministrazione Obama conclude il 29 Febbraio 2012 il Leap Day Agreement, che prevede che:

1. Pyongyang interrompa le attività di arricchimento dell’uranio e permetta il monitoraggio


internazionale dei suoi siti nucleari.
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2. Washington si impegni a fornire 240.000 tonnellate di aiuti alimentari, a patto che la Corea
del Nord si astenga dal lanciare ulteriori missili.

• Appena due settimane 1/2 più tardi la Corea del Nord annuncia che manderà un satellite in orbita,
e ettuando il lancio nel mese successivo. La tecnologia utilizzata sarebbe la stessa adoperata per il
lancio di un missile a lungo raggio. Sebbene ciò non costituisca una violazione del Leap Day
Agreement, gli USA sospendono l’aiuto alimentare promesso, mentre il Consiglio di Sicurezza Onu
approva la risoluzione 2087 per condannare il lancio.

• Il 12 Febbraio 2013 la Corea del Nord e ettua il suo terzo test nucleare.

• La strategia dell’amministrazione Obama è la cosiddetta “strategic patience”, che prevede


l’astensione da grandi iniziative diplomatiche (trattative, accordi, ecc.) in favore di un approccio sul
lungo periodo di insistenza dello strumento sanzionatorio. La strategia fu considerata deludente da
entrambi i sostenitori di politiche di engagement e della linea dura.

• Il 6 Gennaio 2016 la Corea del Nord e ettua il suo quarto test nucleare. Il regime annuncia che si è
trattato della detonazione di un ordigno a idrogeno, ma le rilevazioni internazionali sconfessano le
dichiarazioni della propaganda.

• Il 13 Settembre 2016 e ettua il suo quinto test nucleare.

• Nel 2017 si tiene il sesto e per ora ultimo test nucleare nordcoreano. Secondo le stime proposte dal
sico S. Hecker, al 2017 la Corea del Nord dispone di un totale di 25-30 bombe, con tasso di
produzione annuo di 6-7 ordigni.

NB Il programma nucleare, nonostante gli aiuti apportati da URSS e Pakistan, è da considerarsi


autonomo.

• L’amministrazione Trump a partire dal 2017 ha visto una escalation della tensione sulla penisola
coreana—alimentata dagli scambi di critiche e intimidazioni tra Kim Jong-un e il presidente
statunitense, dall’adozione di una linea di “massima pressione”, dall’intensi care del regime di
sanzioni multilaterali, dalle minacce di un attacco preventivo statunitense con il ne distruggere le
installazioni militari del regime e dal re-inserimento della Corea del Nord nella lista degli stati sponsor
del terrorismo, a nove anni di distanza dalla sua rimozione.

• Nel 2018 si tiene il primo vertice NK-USA a Singapore, proposto dallo stesso Kim Jong-un. Trump
ritorna subito ad un approccio di engagement.

• Nel Febbraio 2019 si tiene il secondo vertice tra la Corea del Nord e gli USA—ad Hanoi, in Vietnam
—che si conclude però senza raggiungere un accordo sulla denuclearizzazione.

• Nell’estate 2020 con la distruzione dell’u cio di collegamento inter-coreano (Liaison o ce) il dialogo
inter-coreano viene sospeso, e si raggiunge una situazione di stallo con gli USA circa la questione
del nucleare.

• Nel Gennaio 2021 si tiene l’ottavo Congresso del Partito dei lavoratori di Corea. Durante il Congresso
Kim dichiara di non essere più legato dall’impegno ad osservare la moratoria annunciata nel 2018, e
di essere in possesso di un “ultra modern tactical nuclear weapon”.
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• Tra Marzo e Settembre 2021, per mettere alla prova la tolleranza della comunità internazionale, la
Corea del Nord e ettua test missili balistici e cruise i quali, pur non violando le ‘linee rosse’ tracciate
dall’amministrazione Trump, non possono essere sottovalutati dal punto di vista tecnico (potenziale
testate nucleare, volano bassi per confondere il THAAD, mobilità, combustibile solido).

• Il siito di Yongbyon viene ulteriormente sviluppato tramite un ampliamento delle strutture per
arricchimento dell’uranio, e la rimessa in funzione del reattore 5MGW.

• Dal 20 Gennaio 2020 le misure anti-contagio relative al COVID hanno avuto un forte impatto negativo
sull’economia nordcoreana—più del regime di sanzioni multilaterali—causando insicurezza
alimentare all’interno del paese.

• Nel 2022, in occasione del 74° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Democratica
di Corea, l’Assemblea popolare suprema della Corea del Nord ha approvato una legge che regola la
politica dello Stato riguardo alle sue forze nucleari, espandendone signi cativamente le possibilità di
utilizzo.

RELAZIONI DELLA DPRK CON GLI ALTRI ATTORI REGIONALI

✴ CINA

• Nell’Ottobre 1950 i ‘volontari’ cinesi intervengono a sostegno di Pyongyang nella Guerra di Corea.

• Nel Luglio 1960 viene rmato il Trattato di cooperazione e mutua assistenza tra Cina e DPRK, tutt’ora
in vigore, rinnovato nel 2021.

• A detta di Mao, la Cina e Corea del Nord furono vicine come “labbra ai denti”. Tuttavia nel 1978,
Deng Xiaoping interrompe l’a nità ideologica e identitaria tra Cina e Corea del Nord.

• Negli anni Ottanta Kim Il-sung ri uta l’invito di Deng Xiaoping ad accettare le riforme economiche e i
meccanismi di mercato.

• A seguito del collasso dell’URSS, sebbene la Cina abbia mantenuto l’alleanza militare con
Pyongyang e abbia continuato a fornire assistenza economica alla Corea, il rapporto tra i due paesi è
caratterizzato da un certo grado di s ducia reciproca.

• Nel 1992 la Cina stabilisce relazioni diplomatiche u ciali con Seoul.

• La Cina ha rivestito un ruolo di mediatore nel contesto della ‘questione nordcoreana’ in particolare
incoraggiando e ospitando i Six Party Talks.

• Le continue provocazioni militari di Pyongyang, nella misura in cui mettono a repentaglio gli interessi
nazionali ed economici della Cina, hanno portato Pechino a votare a favore dell’adozione di tutte le
risoluzioni del Consiglio di Sicurezza Onu nei confronti della Corea del Nord.

• Con l’ascesa di Xi Jinping (2012/2013) l’inso erenza cinese verso la belligeranza nordcoreana è
sempre più evidente. La Cina è infatti il maggior partner commerciale della Corea del Nord.

NB Xi Jinping e Kim Jong-un si sono incontrati per la prima volta solo nel 2018!
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• Tuttavia la Cina ha comunque necessità di preservare la stabilità e lo status quo sulla penisola
coreana—e quindi della dinastia Kim—a vantaggio dei propri interessi interni. La Cina non dà rigida
attuazione alle sanzioni e si oppone sia a un intervento militare contro la Corea del Nord sia a un
proprio embargo sulla fornitura di greggio perché è nei suoi interessi il non fare collassare l’economia
nordcoreana. Inoltre il collasso del regime Kim comporterebbe la nuova presenza di rifugiati, delle
truppe americane e sudcoreane.

✴ URSS

• Il con ne tra i due paesi è lungo solo 19 km, delimitato dal ume Tumen.

• L’Unione Sovietica fu—insieme con la Cina—alleato storico della Corea del Nord durante la Guerra
Fredda.

• Il crollo dell’URSS ha avuto ripercussioni durissime per l’economia nordcoreana.

• Ad oggi, l’interesse russo in Corea del Nord è prevalentemente di carattere economico. Per questo
l’approccio russo si allinea con quello adottato dall’RPC: la Federazione Russa tende ad approvare
le sanzioni contro la Corea in sede di votazione di risoluzioni del CdS, per poi darne scarsa
implementazione.

• La Corea del Nord sostiene l’alleato russo nella guerra in Ucraina dal 2022.

✴ GIAPPONE

• I due paesi non intrattengono rapporti diplomatici u ciali a causa dell’eredità coloniale imperiale
giapponese sulla penisola coreana.

• Motivo di tensione tra i due paesi è anche la questione irrisolta dei cittadini giapponesi rapiti dai
servizi segreti nordcoreani tra ne anni Settanta e inizio anni Ottanta.

• L’amministrazione Abe appoggiava incondizionatamente la strategia intransigente


dell’amministrazione Trump di “massima pressione” statunitense nei confronti della Corea del Nord,
e ha strumentalizzato la minaccia nordcoreana per legittimare l’atteggiamento difensivo giapponese.
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LA FUNZIONE DELLA STRATEGIA NUCLEARE NORDCOREANA

• Il nucleare assume un ruolo fondamentale all’interno della politica interna ed estera nordcoreana.

La chiave interpretativa di questa strategia è la percezione nordcoreana del concetto di “minaccia”.


Essendo sempre stata prima priorità del regime è la sopravvivenza dello Stato e soprattutto quella
politica della dinastia Kim—la minaccia quindi di una perdita di potere è sempre rimasta la stessa—
non sono cambiati gli obiettivi e le richieste e ettuate dalla Corea del Nord.

Nonostante il comportamento del paese possa sembrare irrazionale, segue una propria logica
interna.

• Dal punto di vista interno:

‣ Il nucleare viene sviluppato a punto tale da poter essere considerato uno strumento irrinunciabile
al mantenimento del potere solo a partire dal governo di Kim Jong-il.

‣ Il successo militare che comporta lo sviluppo del programma nucleare è fonte di orgoglio,
prestigio, e legittimazione del regime. Il successo alimenta un patriottismo che incoraggia la
popolazione a sacri care il proprio tenore di vita a sostegno dei militari che difendono il paese,
legittimando le privazioni cui è sottoposto il popolo nordcoreano.

‣ Il deterrente nucleare serve a neutralizzare le minacce che possono insorgere nella DPRK, non a
livello di opinione pubblica o società civile—che non ha opportunità di esistere—ma internamente
al partito e, soprattutto, all’esercito.
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Questa strategia acquista particolare rilevanza con riferimento a Kim Jong-un il quale, non
possedendo né legami con il partito, né avendo ricoperto cariche militari, deve la sua legittimità e
credibilità nei confronti dell’esercito interamente dai propri successi militari. Kim Jong-un dirotta
così la stragrande maggioranza delle risorse allo sviluppo del programma nucleare.

• Dal punto di vista esterno:

‣ Il nucleare è utilizzato aggressivamente in risposta a politiche percepite come “ostili” nel senso
che ostacolano l’indipendenza-autosu cienza del paese e la sopravvivenza della dinastia Kim.

Il regime Kim è perfettamente consapevole che cedere sul nucleare comporta un rischio
inaccettabile che potrebbe portare alla caduta della dinastia, come ha avuto modo di osservare
dagli esempi dell’Iraq di Saddam Hussein o della Libia di Qadda .

‣ Dal 2011 soprattutto—quindi con l’ascesa al potere di Kim Jong-un che deve assolutamente
legittimare la propria posizione a livello interno ed esterno—si veri ca un escalation delle tensioni
nucleari data da un aumento di test, lanci di missili, ecc.

‣ Il nucleare contribuisce ad elevare il pro lo diplomatico della Corea del Nord, compensando la
sua mancanza di potere politico o di soft power.

In questo senso il deterrente nucleare è fondamentale a mantenere lo status quo. Kim Jong-un
necessita che la Corea del Nord venga riconosciuta sul piano internazionale come una una
nazione nuclearizzata (a tal proposito modi ca la costituzione nordcoreana nel 2012).

L’obiettivo dal 2017 è quello di creare delle testate nucleari di potenza tale da venire considerate
una minaccia credibile anche all’esterno.

La strategia adottata è quella del Rischio Calcolato o Brinkmanship: la Corea del Nord vuole
raggiungere una posizione tale da poter attaccare per prima, sopravvivere al contrattacco
straniero (statunitense o sudcoreano) e scagliare un secondo attacco. Questo per far desistere gli
alleati di USA e Corea del Sud a partecipare al con itto attaccando la DPRK.

‣ Strategicamente, il nucleare contribuisce ad incrinare i rapporti tra USA e Corea del Sud, la cui
protezione risulta un onere ancora più costoso.

CONSEGUENZE DELLA NUCLEARIZZAZIONE NORDCOREANA (SUE MI TERRY)

Il successo del programma nucleare nordcoreano potrebbe comportare:

- L’aumento di quegli atti de niti come reckless, attacchi convenzionali, trame di tipo terroristico, attacchi
cibernetici.

- La nuclearizzazione del Giappone e della Corea del Sud, che potrebbero perdere ducia nei confronti della
protezione dell’ombrello nucleare statunitense. Ciò causerebbe un e etto a catena di nuclearizzazione
dell’intera regione.

- La Corea del Nord potrebbe iniziare a vendere le proprie armi, materiali ed expertise ad enti sia statali che
nonstate actors.
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SUE MI TERRY’S RECIPE FOR NORTH-KOREA’S DOWNFALL

A pre-emptive military strike is a no-go! It’s unlikely one targeted airstrike could be enough to get rid of all of NK’s
nuclear power, since the weapons are reported to be hidden in covert facilities and easily moved around. The risk
for retaliation is too high!

Diplomacy will lead nowhere but towards temporary, non-committal results. Inspections will never be allowed.

The thing is, only a regime change could prompt the abandonment of the nuclear program, one that brings the
leadership to be more responsive towards its own people, but it can’t be US-led because…reasons.

SO! The regime has to be weakened through a bottom-up approach, starting with sanctions. China’s cooperation
here becomes indispensable, but the USA could also resume their precedent strategy and freeze NK’s foreign
bank accounts.

Three-way military cooperation with South Korea and Japan is highly encouraged! SK and Japan should therefor
be on good terms :)

More multilateral cooperation!! This time to counter and prevent proliferation of nuclear weapons, material and
expertise.

Now for the spice! Clandestine information operations are to be carried out inside North Korea, paired with a
renewed commitment from UN to investigate and sanction the human rights violations committed by the regime.

If all else fails you might like…a uni ed, democratic, pro-Western Korea! De nitely less scary to face, even if
nuclearized :D
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REPUBBLICA POPOLARE CINESE

POLITICA INTERNA—GUEST LECTURE FILIPPO FASULO


L’ascesa di Xi Jinping ha avuto importantissime ripercussioni sul ruolo del partito e dello Stato. Il partito ha
acquisito più potere sullo Stato, e all’interno del partito si è veri cato un fenomeno di progressiva centralizzazione
dei poteri e personalizzazione della leadership.

ASSETTO ISTITUZIONALE
1. GOVERNO

PRESIDENTE Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato.


VICE-P. Ha funzioni di rappresentanza.

COMITATO Eletto dal Congresso Nazionale del Popolo.


PERMANENTE Esercita le funzioni negli intervalli tra le sessioni plenarie annuali.

CONGRESSO Massimo organo legislativo, di tipo assembleare.


NAZIONALE DEL I rappresentanti sono eletti ogni 5 anni in via indiretta, attraverso un sistema piramidale
POPOLO di assemblee e comitati popolari provinciali, distrettuali e locali.
Si riunisce una volta l’anno. La sessione plenaria dura 2 settimane, nel mese di Marzo, in
concomitanza con la riunione della Conferenza politica consultiva del popolo cinese.
Elegge e supervisiona il Comitato Permanente, il Consiglio di Stato, la Commissione
Militare centrale, il presidente della Corte Suprema, il procuratore generale della
Repubblica, e ha il potere di revisionare la Costituzione.
Rappresenta nove partiti—il PCC in maggioranza, e otto partiti che costituiscono il
Fronte Unito—e gli indipendenti.

CONSIGLIO DI Potere esecutivo.


STATO A capo del Consiglio di Stato c’è il capo di governo, il Primo Ministro.
Le più importanti cariche dello Stato sono sempre state occupate da dirigenti del PCC.

COMMISSIONE La composizione è identica a quella della Commissione Militare Centrale del Partito.
MILITARE DELLA Il Presidente della Commissione è il capo dell’esercito.
REPUBBLICA Le due istituzioni si occupano collegialmente di prendere decisioni in campo militare, di
dirigere le Forze armate e di gestire la politica interna dell’esercito.

La Conferenza politica consultiva del popolo


CORTE SUPREMA
è un organo istituzionale che svolgeva la funzione
DEL POPOLO
di Parlamento prima della nascita della
Repubblica.
PROCURA Oggi rappresenta i partiti del Fronte Unito e ha
SUPREMA DEL funzione consultiva.
POPOLO
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2. PARTITO

SEGRETARIO
Il membro più importante del Comitato Permanente del Politburo.
GENERALE

COMITATO Gruppo ancora più ristretto di 7 membri, indicati in ordine gerarchico—e non alfabetico
PERMANENTE
DEL POLITBURO come il resto dei membri del Politburo.

POLITBURO Conta no ai 25 membri.

Supervisiona e controlla il partito.

COMITATO Organo esecutivo del partito.


CENTRALE Composto da cinque organi—Segretario generale, il Politburo, il Comitato Permanente,
il Segretariato e la Commissione Militare Centrale—e da svariati dipartimenti funzionali,
commissioni (LMGs), u ci di ricerca e due organi di stampa.
Si riunisce in sessione plenaria—detta plenum— sette volte ogni cinque anni.

Organo legislativo del partito.


CONGRESSO
Dal 1977, si riunisce ogni cinque anni. Ad ogni plenum del Congresso si elegge un

nuovo Comitato Centrale.

Il XX Congresso Nazionale si è tenuto nel 2022.

Da circa 35 anni, a partire dalla presidenza di Jiang Zeming, il leader di riferimento cinese è capo di Stato, del
partito, e dell’esercito. Xi Jingping ricopre infatti le cariche di Presidente della Repubblica, Presidente della
Commissione Militare della Repubblica e della Commissione Militare del Partito, e di Segretario Generale del
PCC.

NB Xi Jingping non è anche il capo di governo.

Sia le organizzazioni del partito, sia le organizzazioni statali si incontrano raramente in forma plenaria.
Il partito si riunisce in autunno, mentre lo Stato in primavera.
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I CONGRESSI DEL PARTITO

A partire dal 1956, dalla fondazione della RPC, i congressi del partito si sono sempre tenuti a Pechino. Nel primo
periodo di vita politica del partito—fondato il 1 Luglio 1921—i congressi erano tenuti invece a Shanghai, in quanto
città industrializzata, dove era possibile reclutare operai per il partito. Successivamente, con il colpo di Stato di
Chiang Kai-shek si svolsero a Wuhan, poi a Mosca, nello Yan’an e nella provincia dello Shaanxi con la ne della
Lunga Marcia.

Il partito subisce un cambiamento radicale in questo periodo: viene coinvolto in attività di guerriglia ed
intensi cando la propria presenza nelle campagne la leadership decide di adattare la teoria marxista alla
condizione cinese (processo di sinizzazione), passando da un partito proletario a uno contadino.

La cadenza dei congressi—tenuti al bisogno, irregolarmente, in assenza di una procedura istituzionalizzata—è


espressione della forte personalizzazione della politica cinese e del rapporto diretto del leader con le masse,
almeno no al 1976.

Con la morte di Mao la strategia del partito, in assenza di una gura di leader così altamente accentratrice e
personalizzabile, è di una graduale ricostruzione delle istituzioni politiche. Dal 1977 in poi infatti i congressi si
sono tenuti regolarmente ogni 5 anni.

L’Assemblea Nazionale del Popolo si riunisce in forma plenaria annualmente, quindi per cinque volte tra un
Congresso del Partito e l’altro, durante la prima settimana di Marzo, in concomitanza con la Conferenza Politica
Consultiva del Popolo.

Invece il Comitato Centrale si riunisce in forma plenaria sette volte tra un congresso e l’altro. Di solito il primo
plenum si tiene tra Ottobre e Novembre.
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3. ENTI LOCALI

La Repubblica Popolare Cinese è suddivisa in:

‣ 22 province (+1): Anhui, Fujian, Gansu, Guangdong, Guizhou, Hainan, Hebei, Heilongjiang, Henan, Hubei,
Hunan, Jiangsu, Jiangxi, Jilin, Liaoning, Qinghai, Shaanxi, Shandong, Shanxi, Sichuan, Yunnan, Zhejiang.

NB Taiwan è considerata la 23esima provincia della RPC, che però non viene amministrata direttamente.
Al Congresso Nazionale del Popolo vengono eletti simbolicamente anche i deputati di Taiwan, selezionati
all'interno di un corpus di taiwanesi che abitano il continente o di discendenti di taiwanesi.

‣ 4 municipalità: Beijing, Tianjin, Shanghai e Chongqing.


‣ 5 regioni autonome: Guangxi, Mongolia interna, Ningxia Hui, Xinjiang Uygur, Tibet.
‣ 2 regioni amministrative speciali: Hong Kong e Macao.
ASCESA AL POTERE DI XI JINPING

U cialmente la successione del potere è avvenuta attraverso cinque generazioni di leadership collettiva,
caratterizzate da un diverso frazionamento del potere:

1. Mao Zedong, no al 1976.

Il periodo Maoista vede una piena personalizzazione del potere. La morte di Mao è seguita da un periodo
caratterizzato dalla sovrapposizione di due gure,

2. Deng Xiaoping, 1978-1997

3. Jiang Zemin 1989-2002

La personalizzazione politica si riduce gradualmente no a giungere ad un picco dell’istituzionalizzazione con,

4. Hu Jintao 2002-2012

Hu Jintao rimane infatti in carica per un periodo di tempo de nito, limitato ai soli 10 anni. La portata del ruolo del
singolo leader è ridotta in favore della di usione del potere all’interno del partito.

Il premier del Consiglio di Stato sotto Hu Jintao fu Wen Jiabao. L’amministrazione dei due leader è detta
Amministrazione Hu-Wen, secondo cui Hu Jintao si sarebbe occupato delle questioni politiche, mentre Wen
Jiabao di quelle di natura economica.

L’ascesa al potere di Xi Jinping avviene quindi in un momento di elevata regolamentazione e istituzionalizzazione


politica. La sua successione infatti venne piani cata con cinque anni di anticipo, durante il Congresso del 2007,
secondo la regola consuetudinaria del criterio anagra co: venne infatti stabilito che solo due membri del Comitato
Permanente del Politburo avrebbero rispettato il criterio di anzianità a rimanere in carica per il periodo 2012-2022.

Secondo questa consuetudine i membri del Comitato Permanente di età pari o superiore ai 68 anni—al momento del
Congresso—sono tenuti a dimettersi dal proprio incarico, permettendo così un ricambio più frequente e una limitazione
del potere al vertice del Partito.

I due membri indicati durante il Congresso abili alla successione furono Xi Jinping e Li Keqiang, esponenti di due
diverse fazioni e rappresentanti di regioni ed interessi di erenti.

XI JINGPING LI KEQIANG

Fazione elitista. Fazione populista.

Curriculum familiare di alto pro lo. Capo della lega giovanile del partito.

Regioni più ricche della costa. Regioni centrali più povere.

Promozione dello sviluppo e della crescita economica. Focus sulla redistribuzione delle risorse economiche.

Capacità in ambito nanziario e degli a ari. Abilità di propaganda e organizzazione del partito.

Il meccanismo di successione avrebbe previsto un’azione congiunta e contestuale delle due gure alla guida del
partito, come era avvenuto per l’amministrazione Hu-Wen.

Xi Jinping avrebbe dovuto rappresentare una gura di compromesso fra le due fazioni—di condivisione del potere
fra i membri del politburo e leadership duale presidente-premier—invece passa in pochissimo tempo ad essere un
leader indiscusso, arrivando ad essere de nito come chairman of everything.
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La preoccupazione principale di Xi Jinping è la perdita del potere da parte del potere comunista (sulla linea di
quello sovietico).

Le dinamiche che avevano portato ad una progressiva di istituzionalizzazione e organizzazione del partito, e
quindi all’emergere della leadership dei tecnocrati cinesi tra gli anni Ottanta e Novanta sono quella della
democrazia intra-partitica—soprattutto la sua componente di competizione fra due fazioni—e della progressiva
separazione tra Stato e Partito. Il rapporto fra i due elementi si era evoluto di modo che il Partito non sovrastasse
il ruolo dello Stato, ma che lasciasse spazio di azione alle istituzioni governative e al mercato, de nendo solo le
politiche generali di fondo. Secondo Xi Jinping la tecnocrazia era stata accompagnata quindi da una perdita di
ideali e valori fondamentali, che può essere identi cata come una delle cause della corruzione dilagante che
caratterizzava il periodo.

Xi Jinping ri uta la separazione che si è venuta a creare tra il Partito e lo Stato. Lo Stato deve essere, secondo la
sua visione, subordinato all’azione del Partito che controlla ogni cosa “Nord-Sud-Est-Ovest”.

Se gli anni Ottanta/Novanta/Duemila erano stati caratterizzati dalla rule of law, dall’adesione a Organizzazioni
Internazionali (come il WTO nel 2001), e da un graduale ampliamento del ruolo statale e dell’amministrazione
pubblica in favore del mercato—ora tutto viene subordinato all’ideologia del Partito come teorizzata dallo stesso
Xi Jinping.

Se l’amministrazione sotto Deng Xiaoping—coerentemente con il fenomeno di ampliamento del ruolo dello Stato,
progressiva istituzionalizzazione e di usione del potere—aveva dato la precedenza alla competenza tecnica
relativamente l’elezione dei funzionari “esperti” della RPC—“non è importante di che colore sia il gatto, ma che
sappia prendere i topi”—rispetto quella ideologica, sotto la guida di Xi Jinping si veri ca un ritorno all’ideologia
“rossa”. Questa si di erenzia dall’ideologia rossa come intesa da Mao. L’elezione dei funzionari dipende infatti
non dalle competenze tecniche, ma dal livello di ducia riposta nei confronti di Xi Jinping in quanto leader.

Xi Jinping quindi si pone come obiettivo fondamentale, per assicurarsi la sopravvivenza del Partito, di restituire un
ruolo centrale al Partito sulla scena politica attraverso lo strumento ideologico, legato alla personalità carismatica
del leader.

‣ Centralizzazione del potere, per evitare competizione intra-partitica e assicurarsi continuità temporale per
perseguire i propri obiettivi di sviluppo. La progressiva, ma rapidissima, centralizzazione del potere da parte di
Xi Jinping avviene nel giro di un solo anno.

• Xi Jinping avvia il processo di centralizzazione alla prima utile occasione.

Il primo plenum del Comitato Centrale si tenne immediatamente dopo il Diciottesimo congresso, nel
Novembre 2012. Xi viene nominato Segretario in questa occasione, ma non ancora Presidente. Il plenum è
seguito da una prima fase di trasposizione del potere: Xi Jinping viene nominato Presidente della
Repubblica nel Marzo 2013, e Li Keqiang come premier.

In occasione del terzo plenum nel Novembre 2013 quindi, a successione completata, Xi Jinping ha
l’autorità di presentare per la prima volta la sua agenda politica per il quinquennio. Sfrutta quindi da subito
il meccanismo dei plenum per imprimere una svolta decisiva all’assetto politico centralizzando il potere
nelle sue mani.

• Il controllo del meccanismo delle LMG.

Il Governo rappresenta, di fatto, il braccio esecutivo del pensiero del partito. Dà esecuzione in particolare
alle iniziative politiche sviluppate all’interno delle LMG - Leading Small Groups, piccole commissioni
interne al partito che hanno delega di discutere riguardo speci ci argomenti. I verbali delle discussioni
delle LMG non sono resi pubblici, e quindi è estremamente di cile capire chi partecipi ai gruppi—si fanno
solo speculazioni.

Prima dell’ascesa di Xi Jinping ogni membro del Comitato Permanente del Politburo riceveva una delega
ed esercitava un potere quasi assoluto su una singola LMG di sua competenza. Il potere all’interno del
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partito durante il corso del mandato di Hu Jintao era quindi sempre più di uso, al punto che il partito
risultava ingovernabile, paralizzato a causa di una mancanza di coordinamento tra i singoli gruppi.

Xi Jingping si mise quindi a capo della maggior parte delle LMG—istituendo un LMG di coordinamento e
supervisione— e quindi dell’intero processo decisionale, incluso l’ambito economico che di norma
sarebbe dovuto essere competenza del capo di governo.

Con la delega del potere economico a Xi Jinping, di fatto Li Keqiang viene immediatamente escluso dalla
scena politica.

• Fin da subito lancia una fortissima campagna anti-corruzione su larga scale, con lo slogan “Catturiamo
le tigri e le mosche”—le tigri indicano le grandi gure di spicco corrotte, che possono essere anche
membri del comitato permanente ed altri funzionari di alto livello, mentre le mosche i piccoli funzionari.

In ognuna delle 31 unità amministrative di livello provinciale almeno un funzionario di livello pari o
superiore a vice-ministro ha perso il posto. Il ministro degli esteri, della difesa e della nanza vengono
arrestati e processati per corruzione.

La campagna si poneva l’obiettivo di rendere il sistema più e ciente, vincere le resistenze dei gruppi al
potere, ed assicurarsi un maggior controllo del meccanismo di governo, di fatto eliminando
sistematicamente i propri avversari a partire dal vertice del potere politico—e poi di conseguenza a
cascata all’interno di tutti gli altri organi subordinati—per sostituirli con membri più vicini alle proprie
posizioni.

L’alleanza dei funzionari si rende particolarmente necessaria ad esercitare pieno controllo, in fase di
successione, del meccanismo di istituzione del ricambio del vertice, che risulterebbe altrimenti
compromessa a sfavore di Xi Jinping.

• Il Congresso dell’Ottobre 2017 marcava la metà del mandato di Xi Jinping. Il Partito non indica una gura
che abbia le caratteristiche—rispettando quindi il criterio anagra co—a succedere al Segretario del Partito
nel periodo 2022-2032. Il vincolo dell’età è stato facilmente superabile perché di natura consuetudinaria
interna al partito.

• Nel Marzo 2018 emenda la Costituzione per rimuovere il limite dei due mandati presidenziali.

NB Pur avendo eliminato il vincolo del numero dei mandati, non è corretto a ermare che Xi Jinping è
Presidente a vita, perché deve comunque venire rieletto.

‣ Anche dal punto di vista ideologico ha una chiara visione di sé stesso, del futuro del Partito e della
Repubblica, che esprime n dal primo momento ma in maniera progressivamente radicale ed esplicita per
aggirare e conquistare eventuali opposizioni.

• Nel 2012, in occasione della riunione del Politburo, la prima azione pubblica di Xi Jinping appena nominato
Segretario del Partito è quella di visitare la mostra permanente “La strada verso il ringiovanimento” al Museo
Nazionale della Cina.

Il “ringiovanimento” è inteso come ritorno a una condizione di massimo splendore e vigore, associato
principalmente al periodo storico antecedente alle guerre dell’oppio. Se Mao ha simbolicamente posto ne
al Secolo dell’umiliazione (1839-1949), è compito di Xi Jinping portare a compimento l’opera che comporta il
riportare la Cina alla sua precedente grandezza.

L’obiettivo è conosciuto retoricamente come “Il Sogno Cinese”, che è da realizzarsi in due fasi: una di
preparazione da completarsi entro il 2021—in corrispondenza del centenario della fondazione partito—e la
seguente, che porta a pieno compimento la realizzazione cinese entro il 2049— per il centenario della
fondazione della Repubblica.

Il richiamo nazionalista del “Sogno Cinese” è molto forte. È proprio la missione ideologica che Xi Jinping
utilizza per legittimare la centralità del partito e la centralizzazione del potere della leadership. L’appello al
nazionalismo gli consente inoltre di ottenere il consenso popolare, utile per la realizzazione dell’obiettivo che
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è destinata ad avvenire per forza di cose, data la sua portata e ambizione, nel lungo periodo—mantenere il
consenso popolare è più utile che ricercare il consenso all’interno del Partito.

• Nel 2017 Xi Jinping ha inserito una nuova formula nello Statuto del partito che elenca simbolicamente i
contributi ideologici di ciascuna generazione della leadership collettiva, in maniera estremamente
didascalica:

- Marxismo-leninismo

- Pensiero di Mao (I generazione)

- Teoria di Deng (II generazione)

- Le tre rappresentanze (III generazione)

- Lo sviluppo scienti co (IV generazione)

- Il pensiero di Xi Jinping del socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era (V generazione)

➽ La Cina di Xi Jinping propone un proprio modello politico—socialista sinizzato—e non ha intenzione


di adottare un sistema liberale-democratico. La “nuova era” individuata nella periodizzazione del
Partito viene fatta coincidere con l’ascesa al potere di Xi Jinping.

La formulazione didascalica è anch’essa rappresentativa dei periodi di forte personalizzazione


politica Mao e Deng vengono menzionati per nome—e di graduale istituzionalizzazione e di usione
del potere all’interno del Partito.

Di fatto Xi Jinping è riuscito ad inserirsi all’interno del Partito in maniera estremamente rapida—nel
giro di cinque anni—e paragonabile solo a quella di Mao.

NB Uno dei punti del pensiero ribadisce e conferma il principio di “Un Paese, Due Sistemi” e della
“Unica Cina”.

NB Il pensiero è declinato in molteplici campi: nella cultura, nella diplomazia, nelle arti, nello sport,
nell’economia, nell’ecologia, ecc.

• Nel 2021 il Comitato Centrale sotto Xi Jinping ha adottato la “Risoluzione del comitato centrale del partito
sui maggiori risultati e sull’esperienza storica del partito nell’ultimo secolo”.

Nell'intera storia del partito, ormai centennale, sono stati pubblicati solo tre di questi documenti:

- Nel 1945, la risoluzione venne adottata nel momento in cui Mao Zedong prese il controllo del Partito, ad
inaugurare simbolicamente la nascita della Repubblica Popolare Cinese (1921-1945).

- Nel 1981 da Deng Xiaoping, pochi anni dopo la morte di Mao e in occasione dell’avvio delle riforme
economiche (1945-1981).

- Nel 2021 Xi Jinping riscrive l’intera storia del Partito, in occasione del centenario.

La descrive come divisibile in quattro fasi distinte:

1. Dalla nascita del Partito alla fondazione della RPC, con Mao Zedong come leader
del Partito e padre della patria.

2. Dalla fondazione della RPC, no alle riforme del 1978 con leader Mao, padre dei
primi anni.

3. Deng Xiapoing e “gli altri” che arricchirono la Cina.


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4. La “nuova era”, a partire dal 2012 con Xi Jinping come gura centrale, che si pone
come obiettivo la piena modernizzazione della Cina entro il 2049, a cento anni dalla
nascita della Repubblica.

➽ Xi Jinping si pone nuovamente su di un piano storico ed ideologico pari o


addirittura superiore a quello di Mao, di completamento dell’opera cominciata dal
suo predecessore, secondo le proprie indicazioni.

Il premier in carica attualmente è molto debole e con scarsa capacità decisionale.

È di cile determinare se l’ascesa di Xi Jinping sia avvenuta contro il partito o per conto del partito. Non è chiaro
se abbia o meno contrattato con una parte del partito di modo da ottenere ampio margine per avviare la
centralizzazione politica, o se abbia sfruttato i meccanismi del potere di modo che andare contro di lui
signi casse andare contro il partito stesso.

Ad ogni modo gli obiettivi, la retorica e i temi ricorrenti della sua presidenza rimangono coerenti nel corso del
tempo (2012, 2017, 2021, ecc.).

POLITICA ESTERA DELLA CINA CONTEMPORANEA


LEGITTIMITÀ INTERNA DEL PARTITO COMUNISTA CINESE
La dicotomia Stato-Partito è fondamentale a capire gli interessi interni e i doveri del Partito nei confronti della
popolazione.

• Il 1 Ottobre 1949 Mao Zedong proclama la nascita della Repubblica Popolare Cinese durante il discorso in
Piazza Tiananmen.

Il Partito ha ottenuto il proprio mandato di governo sulla base della vittoria sostenuta e del ruolo direttivo
assunto durante la guerra civile e la Rivoluzione cinese. Questa è la fonte di legittimità fondamentale che ha
consentito al Partito di a ermarsi in un contesto de iure pluripartitico assumendo una posizione direzionale—il
sistema nella pratica quindi risulta di fatto monopartitico.

• Nel corso del tempo, la Cina ha compiuto una trasformazione dal punto di vista economico, coinvolgendo nuovi
attori all’interno della società che godono del benessere acquisito con lo sviluppo e crescita del paese.

Di conseguenza, la legittimità della leadership assunta dal Partito necessita di essere nuovamente giusti cata,
ribadita, ra orzata, di modo da includere le élite culturali ed economiche che non erano i principali destinatari
della politica maoista, e rappresentare tutta la società cinese nel suo complesso.

Jiang Zemin adotta quindi nel 2002—in occasione del XVI Congresso Nazionale del Partito Comunista Cinese—
la dottrina delle Tre Rappresentatività o Teoria delle Tre Rappresentanze, di cui viene approvato l’inserimento
anche all’interno della Costituzione del Partito Comunista Cinese.

"Il Partito comunista cinese è l'avanguardia sia della classe operaia sia del popolo cinese e delle (sue diverse)
nazionalità. Esso è il centro direttivo per la realizzazione del socialismo con caratteristiche cinesi e rappresenta le
esigenze di sviluppo delle forze produttive più avanzate, gli orientamenti della cultura più avanzata e gli interessi
fondamentali della larga maggioranza della popolazione"

I CINQUE PRINCIPI DI COESISTENZA PACIFICA

• Sebbene rappresentino i pilastri principali della politica estera cinese sin dagli anni Cinquanta, l’arte ce di
questi principi è considerato essere Zhou Enlai, primo ministro del Consiglio di Stato della Repubblica Popolare
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Cinese dal 1949 al 1976.

• Vennero sanciti u cialmente nel 1982 quando viene approvata l’attuale Costituzione cinese, come principi
fondamentali e imprescindibili alla formulazione di linee di politica estera per sviluppare relazioni con tutti i
paesi.

• I cinque principi:

1. Reciproco rispetto di sovranità e integrità territoriale -> i due core interests del PCC.

2. Non aggressione

3. Non ingerenza negli a ari interni

4. Uguaglianza e vantaggio reciproco

5. Coesistenza paci ca

• Questi principi garantiscono lo stabilirsi di relazioni u ciali—principalmente attraverso il canale relazionale


economico—con qualsiasi paese (a prescindere dal loro sistema politico che può essere democratico come non
esserlo dal rispetto dei diritti umani, ecc.) dato l’unico vincolo della reciprocità del rispetto di questi punti.

In particolare i cinque principi hanno dettato lo stabilirsi di relazioni con i PVS - Paesi in Via di Sviluppo—
soprattutto dell’Africa, dell’America Latina e del Sud-Est Asiatico.

LA GRAND STRATEGY CINESE

• Per Grand Strategy si intende un’iniziativa non solo economico-infrastrutturale, ma una combinazione di
strumenti politico-diplomatici, economici, e militari per assicurare gli interessi vitali di uno stato e consentirgli di
perseguire i propri obiettivi—in primis, quello minimo della sopravvivenza.

Non si tratta solo di un insieme di singole policies, ma di una vera e propria visione più ampia che tiene conto
nella sua progettazione anche della reazione della comunità internazionale alle iniziative implementate.

A Grand Strategy means “the combination of political-diplomatic, economic, and military means that a state
embraces to ensure its vital interests and pursue its goals—at minimum, its survival—in a potentially dangerous
world. Grand strategy is, then, distinguished in part by its broad scope as an overarching vision about a regime’s
top priorities and how they can be met by drawing on the various policy instruments at its disposal.”

“A strategy is not simply a collection of preferred policies; it is instead a vision informed by the recognition that
the state’s policies must be implemented in an international context of interdependent choice, a setting where
each state must anticipate the likely responses of others whose reactions can thwart or facilitate its efforts”
(Goldstein, 2020: 166).

La Grand Strategy cinese sottintende certi core interests—vale a dire le priorità fondamentali del PCC—in primis
la sicurezza e integrità territoriale della Repubblica Popolare Cinese. Goldstein analizza la Grand Strategy cinese
ponendo maggiore enfasi sulle reazioni della comunità internazionale, perché le dinamiche interne—altrettanto
importanti—che potrebbero contribuire a de nire la linea di politica estera cinese non sono facilmente
accessibili o conoscibili.

• Secondo Goldstein la Repubblica Popolare Cinese dal 1949 ha perseguito due principali Grand Strategy,
attraverso tre approcci distinti in base alla leadership.

1. Gestione delle minacce esistenziali, intese come l’integrità territoriale della Repubblica ma anche e
soprattutto come la sopravvivenza del regime.
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2. Riconquistare la posizione di Paese avanzato e grande potenza.

• La realizzazione di questi obiettivi principali è sempre stata legata agli interessi del Partito e quindi alla sicurezza
politica del regime. È fondamentale infatti per la leadership cinese che il PCC preservi il proprio ruolo di guida
del paese in un contesto non democratico, nella misura in cui/proprio perché ciò è funzionale al perseguire
l’impegno ideologico e sogno nazionalista condiviso della ricostruzione di una Cina prospera e potente, che
occupa la posizione di rilevanza sul piano internazionale “che le spetta”.

1. Gestione minacce esistenziali alla sopravvivenza del regime

1949-1989

La prima immediata necessità della neonata Repubblica Popolare Cinese è assicurare la


sopravvivenza di sé stessa in quanto Stato, e quindi soprattutto del proprio regime politico—vale a
dire, del Partito.

L’adozione della Grand Strategy coincide con la fondazione RPC e l’a ermarsi delle dinamiche della
Guerra Fredda. Le minacce esistenziali in questa prima fase sono di tipo militare, esterne,
rappresentate principalmente dagli USA e dall’URSS.

La RPC è un paese ancora povero e debole, e per garantire la sopravvivenza di nazione e regime,
Pechino è costretto a ricercare aiuto da altri attori.

‣ Mao stringe l’alleanza URSS-RPC, per ottenere assistenza militare ed economica.

‣ Nel 1969, a seguito della crisi sino-sovietica degli anni Sessanta, Mao ricerca un allineamento
con gli USA con lo scopo di ottenere assistenza militare.

Sotto Deng Xiaoping invece, a partire dal 1978—per evitare il ristagno economico derivante
dall'auto-isolamento imposto dalla politica maoista—il rapporto sino-statunitense viene
sviluppato per garantire anche cooperazione e di integrazione economica della Cina nel sistema
internazionale.

‣ La ne della Guerra Fredda in Asia nella primavera 1989 coincide con un riavvicinamento
all’Unione Sovietica.

1989-1992

Sebbene Pechino non sia più direttamente minacciata da potenze militari straniere, si trova ad
a rontare una nuova s da, questa volta interna e di natura politica, nei confronti della leadership
comunista cinese.

Questo periodo è caratterizzato da disordine sociale, proteste e manifestazioni studentesche pro-


democratiche che culminano il 4 giugno con la repressione militare del cosiddetto Massacro di
Piazza Tiananmen. La repressione venne condannata dalla comunità internazionale attraverso
l’imposizione di sanzioni, e fu solo nel 1992 che la Cina ritornò a partecipare pienamente agli a ari
internazionali acquisendo maggiori libertà di perseguire una nuova Grand Strategy.

2. Riconquistare la posizione di grande potenza avanzata - Il “Ringiovanimento” o il “Sogno Cinese”

1992-…

La Cina era diventata uno Stato dalle capacità economiche e militari sviluppate, che poteva fare
a damento sulla deterrenza nucleare asimmetrica—sebbene l’arsenale non-convenzionale tanto
quanto quello convenzionale cinese non fosse di dimensioni riguardevoli, svolgeva comunque
un’importante funzione di deterrenza e dissuasione (minaccia della possibilità di ritorsione).
Non deve più dipendere da alleanze internazionali.
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L’obiettivo quindi non è più la semplice sopravvivenza, ma il prosperare sotto la guida del Partito
Comunista Cinese.

Questa fase si articola anch’essa secondo tre approcci, distinti in base alla leadership.

‣ 1992-1995 “Lay low and join the existing order” - “Hide and bide”

Deng Xiaoping adotta un approccio caratterizzato da cautela, moderazione e dal mantenimento


di un basso pro lo sul piano internazionale, di modo di favorire l’accoglienza ed assimilazione
della Repubblica e soprattutto del regime nel sistema internazionale, con l’obiettivo ultimo di
sviluppare ulteriormente le capacità militari ed economiche cinesi, generare ricchezza, ed
aumentare il potere del regime e del Partito.

In questa fase le potenze occidentali acconsentono alla crescita e sviluppo della Cina e al suo
ingresso sulla scena internazionale perché la RPC non costituisce ancora un pericolo—non si
trova nella posizione di rivaleggiare con la comunità internazionale né dal punto di vista
economico né militare. I bene ci che potevano derivare dall’integrazione economica
internazionale cinese erano ampissimi ed incentivano le altre potenze a tollerare la politica estera
cinese.

Tuttavia nel corso degli anni Novanta la RPC adotta una politica estera che si pone in diretto
contrasto con l’approccio di Deng del “basso pro lo” per proteggere i core interests nazionali, in
occasione dell’aumento delle tensioni nel Mar Cinese Meridionale—che si ripropone poi nel
2008—e alla terza crisi dello stretto di Taiwan. In entrambi i casi, se l’agire cinese venne
percepito come difensivo dal punto di vista della leadership interna, la comunità internazionale
interpretò la condotta come di tipo o ensivo/aggressivo.

‣ 1996-2008 “Reassure and adapt to the existing order” - “Ascesa e sviluppo paci ci”

La leadership cinese costituita da Jiang Zemin e Hu Jintao ha acquisito più consapevolezza


della magnitudine del ruolo della Cina sul piano internazionale e delle reazioni che può di
conseguenza innescare da parte degli altri Stati.

Adottano quindi un approccio pro-attivo che punta alla rassicurazione delle potenze occidentali
minacciate dalla rapidissima ascesa cinese, di modo da non porre a rischio i core interests del
Partito. La Cina deve dimostrare di non voler ribaltare gli equilibri internazionali, riformare il
sistema, o di alterare in qualsiasi modo lo status quo, ma di volersi inserire ed adattare al sistema
già vigente (rule of law, meccanismi di mercato, partecipazione ad OIG, ecc.).

La Cina si propone quindi come attore responsabile e cooperativo sulla scena internazionale, per
convincere gli altri Stati dei bene ci condivisi che avrebbero ottenuto dall’ascesa cinese, a partire
da quelli legati al commercio, agli investimenti, quelli derivanti dal ruolo di stabilizzatore politico
regionale della Cina, del contributo apportato dalla Repubblica alla sicurezza internazionale
partecipando ai dialoghi e lotta contro il terrorismo, ma anche dal punto di vista della sicurezza
ambientale, della salute pubblica, della contro-proliferazione nucleare, ecc.

Dal 2008—forse volendo cogliere l’opportunità data dagli spostamenti degli equilibri
internazionali a favore cinese, avvenuti più velocemente del previsto—agisce di nuovo in maniera
incoerente con questa strategia assumendo un atteggiamento aggressivo relativamente i propri
avversari nel Mare Cinese Meridionale e Orientale.

La Cina aveva infatti superato la crisi nanziaria mondiale con relativa facilità rispetto alle altre
economie più avanzate. Gli investimenti vennero reindirizzati in quantità cospicue verso la
modernizzazione militare a scopo difensivo, almeno dal punto di vista interno, per proteggere
interessi militari territoriali di lunga data.
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L’ulteriore ra orzamento militare cinese e il crescente disimpegno statunitense dalla regione a
causa dei costi crescenti apportati dall’impegno bellico nel Medio Oriente e dalla recessione
globale portano gli attori regionali—Australia, Giappone, Filippine, Corea del Sud, Vietnam—a
voler ra orzare, in questa fase, i legami di sicurezza con gli USA.

L’amministrazione Obama risponde con il pivot to Asia, una strategia che si pone in netto
contrasto all’ascesa cinese proponendosi di ribadire l’importanza strategica della regione
dell’Asia-Paci co per gli USA, e il proprio ruolo di leader in ambito economico e di sicurezza
regionale.

‣ 2013-… “Shape the world for China’s rise” - “Reassurance, reform, and resistance”

Xi Jinping muta ulteriormente l’approccio strategico al perseguimento del “Sogno Cinese”.

La leadership è pienamente consapevole della propria presenza internazionale, tale da non


potere più mantenere un basso pro lo. Allo stesso modo, mancano i presupposti per convincere
gli altri attori internazionali delle intenzioni benevole della Cina (eventi 2009-2012), e l’ambiente
esterno si con gura come meno conciliatorio e molto più ostile all’agire cinese.

Laddove la cooperazione non sia possibile—comunque l’approccio preferibile, perché portatore


di vantaggi reciproci—la Cina è pronta quindi a fare a damento sulle proprie capacità
economiche e militari per difendere i propri interessi nazionali, e a contribuire alla riforma del
sistema istituzionale all’interno del quale opera per favorire la propria ascesa e vedervi
rispecchiati i propri interessi.

La Cina convoca un summit informale per rinsaldare i rapporti con l’amministrazione Obama,
lancia l’iniziativa per fondare l’AIIB (Asian Infrastructure Investment Bank)—complementare alle
altre istituzioni multilaterali come l’Asian Development Bank, per essere vista dagli altri attori
internazionali come un “responsible stakeholder”—assume un ruolo di maggiore rilevanza tra i
BRICs, nell’ambito della Shanghai Cooperation Organization, nel contesto della lotta al
cambiamento climatico—aderendo agli accordi di Parigi del 2015—propone la Grand Strategy
della Belt and Road Initiative—non a s dare l’ordine internazionale ma a migliorarlo—ma allo
stesso tempo investe in tutti i rami del PLA (People’s Liberation Army, l’esercito cinese),
annuncia di voler implementare una zona di identi cazione per la difesa area (Air Defense
Identi cation Zone - ADIZ), mantiene una posizione assertiva circa le dispute marittime del Mar
Cinese Meridionale e fortemente contraria all’indipendenza politica di Taiwan, e inaugura nuove
basi militari nei PVS e soprattutto nei paesi coinvolti nella BRI, come il Gibuti.

La volontà riformista era presente già da prima, ma è con Xi Jinping che diventa centrale nella
linea di politica estera cinese, perché è la sua amministrazione che dispone delle risorse
su cienti ad adottare questo approccio, e che fa i conti con le elevate aspettative ed esigenze
popolari e da parte della classe dirigente—deve convincere di essere all’altezza della situazione e
di saper sfruttare al meglio queste risorse.

La retorica internazionale ne è stata conseguentemente in uenzata, come è visibile ad esempio


dalle nuove National Security Strategy e National Defense Strategy dell’amministrazione Trump
che identi cano la Cina come stato “revisionista” che può porre una minaccia alla prosperità e
sicurezza statunitense. L’approccio statunitense è mutato in uno di decoupling—di ri-
localizzazione della produzione delle imprese statunitensi dei settori strategici al di fuori della
Cina.

La BRI viene criticata in quanto veicolo di una “debt-trap diplomacy”—di compromissione della
sovranità degli Stati partecipanti al progetto indebitati nei confronti della RPC. La BRI
costituirebbe uno strumento per realizzare le ambizioni geopolitiche della Cina e non un
contributo alla riforma dell’ordine economico internazionale in positivo anche nell’interesse del
Global South. La mancanza di trasparenza delle operazioni e accordi cinesi in merito non ha
contribuito a screditare queste accuse. Anche la risposta al COVID 19 ha contribuito a modellare
l’opinione pubblica internazionale in senso sfavorevole.
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PUBLIC DIPLOMACY CINESE

• L’analisi della public diplomacy cinese è utile a comprendere la percezione che la Cina ha di se stessa—ossia di
un attore il cui operato è principalmente frainteso— dell’ambiente internazionale—principalmente ostile—e di
come vorrebbe essere percepita dal mondo esterno—in quanto partner paci co, collaborativo, ed a dabile.

Inoltre, consente di illustrare non solo il passaggio al nuovo paradigma di public diplomacy—interattiva,
comunicativa, di usa, personalizzata, caratterizzata dall’operato di nonstate actors e dallo strumento digitale—
ma di come la diplomazia pubblica venga usata per perseguire e difendere i propri interessi nazionali.

• Il periodo immediatamente seguente al massacro di piazza Tiananmen no ad almeno il 1992 vede una
sospensione delle relazioni internazionali intraprese dalla RPC.

Ciononostante le attività diplomatiche non vengono totalmente interrotte: nel Gennaio 1991, quando la Cina era
ancora posta sotto embargo e target di sanzioni internazionali, il governo istituisce un information o ce—che in
realtà andava a sovrapporsi con il dipartimento centrale di propaganda del Partito—il cui compito era quello di
“spiegare la Cina agli stranieri”. Internamente al Partito, si comunica che il termine u ciale utilizzato non
sarebbe più stato “propaganda”, ma “pubblicità”.

• Già dagli anni Novanta, la tendenza cinese è stata quella di abbandonare la strategia della “propaganda
esterna”—di divagazione rigidamente controllata dal Partito, in essibile, non adattata ai paesi destinatari—in
favore di un approccio di “diplomazia pubblica” che prevedeva un’interazione più essibile, e credibile/
convincente.

La Cina ha abbracciato il concetto di "diplomazia pubblica con un entusiasmo raramente visto in altre parti del
mondo" (Rawnsley 2012). La Cina investe circa 10 miliardi di dollari all'anno nei suoi sforzi di diplomazia
pubblica (Shambaugh 2015).

• Hu Jintao fa uso del termine “soft power culturale” in occasione del XVII Congresso Nazionale del PCC
all’interno dell’Agenda Politica della RPC in vista delle Olimpiadi del 2008—che possono essere considerate
come punto di svolta per la politica estera cinese—e nel suo rapporto al XVIII Congresso Nazionale del PCC nel
Novembre 2012, come componente chiave del potere nazionale globale.

Propone come fonte principale del soft power nazionale la cultura tradizionale cinese.

L’obiettivo è quello di contrastare le narrazioni portate avanti dalle democrazie occidentali, di modo da
proteggere e promuovere i core interests nazionali. Questa fase è caratterizzata da una maggiore pluralità e
varietà di fonti cinesi ascoltate all’estero (controllo meno rigido della PD da parte del partito).

• Xi Jinping invece, coerentemente con la sua strategia di re-centralizzazione del Partito—sovrastante lo Stato—
di centralizzazione del potere all’interno del Partito e di rinnovata enfasi sulla componente ideologica, ritorna a
favorire la strategia della propaganda esterna. La propaganda prevede uno sforzo comune, nazionale, non solo
da parte dei mezzi u ciali statali, ma anche tramite l’operato di attori quasi-privati (e gli stessi netizen).
Le narrazioni strategiche promosse e la loro di usione però sono comunque strettamente controllate dal PCC,
che ha come priorità fondamentale quella di mantenere la sicurezza del regime.

L’obiettivo è quello duale di convincere gli attori internazionali della natura della RPC di partner cooperativo e
responsabile, andando a compensare del deterioramento della percezione del paese dato dalla sua rapida
ascesa ed acquisizione di hard power, tutto nell’interesse della protezione e promozione dei core interests.

NB La Public Diplomacy è concepita in maniera diversa dagli studiosi occidentali e cinesi. Secondo gli
occidentali, la PD sarebbe nalizzata in primis a ricercare una comprensione reciproca, una causa o
interesse che accomuna gli attori internazionali (dimensione normativa ed idealistica); dall'altra parte invece
per la RPC, il compito principale della PD è quello della tutela degli interessi nazionali del PCC attraverso la
promozione di un’immagine positiva della Cina. È l’immagine/percezione positiva del paese a generare
ducia e cooperazione—portando alla costituzione di nuove alleanze, crescita economica che a loro volta
contribuiscono ai core interests nazionali. Al contrario, un’immagine negativa provoca reazioni ostili,
danneggia l'economia e mina la sicurezza dello Stato.
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Quindi se per Hu Jintao la fonte principale del soft power cinese era rappresentato dalla cultura tradizionale, cui
attingere durante l’attuazione della Public Diplomacy, Xi Jinping evidenzia e promuove attivamente il modello
politico cinese come reale e possibile alternativa a quello occidentale perché garante di successo economico e
quindi con una rinnovata capacità attrattiva—almeno dal punto di vista di Pechino, e almeno no al 2020—e il
ruolo svolto dalla Cina nel contesto della governance globale. La Cina non si propone più come rule follower,
bensì come rule maker.

• L’immagine nazionale cinese cinese è gestita adottando due diversi approcci di Public Diplomacy:

- Proattivo:

La Cina si impegna a “spiegare” e presentare attivamente le modalità in cui contribuisce alla crescita
della società internazionale attraverso il proprio sviluppo paci co. La Cina come attore internazionale è
caratterizzato da forza, ricchezza e responsabilità politica.

- Reattivo:

Approccio impiegato nei confronti delle narrazioni promosse dagli altri attori—basato sull’assunto che
la Cina è incompresa dal mondo occidentale.

Le narrazioni possono essere riassunte nella China Threat Theory, che presenta la Cina come una
minaccia politica ed ideologica—a causa delle violazioni dei diritti umani—militare e strategica—data
dalla sua crescente spesa bellica e atteggiamento assertivo nei confronti degli altri attori regionali—e
anche economico-commerciale—soprattutto con riferimento al neocolonialismo cinese intrapreso sul
continente africano.

In questo contesto nascono iniziative come la BRI e la comunità dal futuro condiviso (Community with Shared
Future for Mankind).

• Public Diplomacy applicata ai casi della BRI e del COVID 2019.

‣ Belt and Road Initiative:

La BRI non è solo un progetto infrastrutturale. Rappresenta una piattaforma aperta ed inclusiva di
cooperazione internazionale vantaggiosa per tutti, un bene pubblico globale, e quindi un veicolo di
trasmissione di una determinata narrazione positiva dell’attore cinese.

In tal senso rientra anche nella Community with Shared Future for Mankind, o Comunità Umana dal Futuro
Condiviso, una visione più ampia di interconnessione e sforzo comune funzionale al progresso dell’intero
genere umano “come una famiglia armoniosa che deve crescere insieme”. La Comunità dal Destino
Condiviso è un obiettivo di politica estera incluso nella Costituzione della Repubblica del 2018 e del
Partito.

È un esempio di Grand Strategy perché onnicomprensiva delle dimensioni della politica, sicurezza,
economia, cultura e dell’ecologia.

Gli strumenti di promozione della BRI sono i media cinesi ed internazionali (vd. Accordi con agenzie
stampa dei paesi aderenti al progetto, come quello con l’ANSA in Italia), le comunità cinesi all’estero, e
l’iniziativa dell’Educational Silk Road, che prevede scambi linguistici e studenteschi.

‣ COVID 19:

La tutela della salute pubblica e quindi la risposta del regime alla pandemia costituisce fonte di legittimità
interna nei confronti della popolazione ed esterna nei confronti della comunità internazionale.

La prima fase della narrazione è stata positiva. Il governo cinese—attore principale di attuazione della PD
in questa fase—promuove la narrazione di una risposta “vigorosa e di successo”, ad un’epidemia
localizzata, nei confronti soprattutto della popolazione cinese—per distogliere l’attenzione da questioni
problematiche che avrebbero alimentato la rabbia popolare (medici inascoltati, ritardo nella di usione di
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informazioni e nella distribuzione dei presidi protettivi, ecc.).

All’aumento della frustrazione pubblica l’autorità cinese ammette che la prima risposta governativa era
stata lenta ed inadeguata. La responsabilità viene fatta ricadere sui funzionari locali di Wuhan e Hubei,
mentre il partito e la leadership sono dipinti come “eroi” alla guida di una “guerra popolare contro il virus”.
A seconda di ciò che conviene al Partito per non perdere la faccia, anche il trattamento dei medici varia.
La storia del primo medico che aveva segnalato l’infezione viene insabbiata, e successivamente i membri
del personale sanitario sono dipinti come “eroi del COVID”.

La seconda fase ha carattere reazionario e difensivo. La PD è rivolta al pubblico straniero per contrastare
la di usione e presa delle narrazioni del cosiddetto “virus cinese” promosso da Trump.
Da un lato, la Cina cerca di presentarsi come leader mondiale responsabile attraverso l’invio di dispositivi
sanitari come le mascherine (cd. Diplomazia delle mascherine) e personale medico ai paesi parte della
BRI, e la promessa di aiuti all’OMS per un ammontare di 2 miliardi di dollari (allo stesso tempo invece gli
USA si stavano ritirando dall’OIG).
La PD si concentra soprattutto sulla di usione di tre messaggi:

- La Cina ha fatto guadagnare tempo agli altri paesi attraverso la sua gestione dell’epidemia, ma la
comunità internazionale non ha sfruttato questo vantaggio e non si è preparata adeguatamente.

- La Cina si assume le proprie responsabilità sostenendo i paesi in lotta contro il COVID.

- La pandemia viene utilizzata come canale di promozione della BRI e della Comunità dal Destino
Condiviso, e quindi del modello politico e leadership del Partito cinese, in primo luogo di Xi Jinping.

D’altra parte invece risponde con la cosiddetta diplomazia del “guerriero lupo”, caratterizzata da una
comunicazione difensiva ed assertiva da parte di alcuni esponenti del corpo diplomatico cinese—online o
nelle ambasciate—a respingere le critiche estere. I cosiddetti Wolf Warriors sono stati successivamente
richiamati e depotenziati all’interno del Ministero degli A ari Esteri.

Negli ultimi anni sia le critiche alla gestione del COVID sia quelle nei confronti della BRI hanno avuto un
impatto devastante sull’immagine internazionale della Cina.

RISPOSTE CINESI ALL’INDO-PACIFICO

“Free and Open Indo Paci c” di Abe trova opposizione da parte cinese come framework potenzialmente divisivo
e polarizzante, con ittuale. Quando adottato insieme all’approccio pivot to Asia dell’amministrazione Obama, e
ancora di più quando abbracciato dall’amministrazione Trump in maniera esplicitamente anti-cinese, è stato
interpretato come una manovra nalizzata all’intrappolare la Cina ed ostacolarne l’ascesa prevista nella strategia
di “ringiovanimento”.

La RPC potrebbe in realtà giovare del cooptare della strategia del FOIP come opportunità economica, ed evitare
possibili con itti ideologici. L’attuale approccio di Xi Jinping di rinnovata importanza attribuita alla componente
ideologica nella centralizzazione del potere a favore del partito sullo Stato però ha contribuito ad in uenzare la
percezione del FOIP in senso negativo e quindi ha portato la RPC ad engage with the concept in maniera
difensiva.

La risposta iniziale di Xi Jinping a partire dal 2014 è stata quella di promuovere, in contrapposizione al FOIP,
l’iniziativa dell’Asian collective security, che prevede l’azione collettiva degli Stati asiatici—nel cui contesto
comunque la Cina svolgerebbe un ruolo di leader, escludendo la presenza statunitense e russa—basata sui
cosiddetti Asian Values, in contrapposizione ai valori occidentali della democrazia e dei diritti umani.
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RELAZIONI TRA IL SUD-EST ASIATICO E IL GIAPPONE E LA CINA
Dr. Bernard Z. Keo
b.keo@latrobe.edu.au

IL SUD-EST ASIATICO
Il Sud-Est asiatico è costituito da: Brunei, Cambodia, Timor Est, Indonesia, Laos, Malesia, Myanmar (Burma/
Birmania), Filippine, Singapore, Thailandia, e Vietnam.

L’Organizzazione Internazionale più importante del Sud-est asiatico è l’ASEAN - Association of South-East Asian
Nations—istituita nel 1967 a Bangkok, con sede a Giacarta—cui corrisponde un’area di libero scambio ed
integrazione economica, con un PIL complessivo di 3 trilioni di dollari. È caratterizzato da divisioni interne—circa
soprattutto l’atteggiamento nei confronti della Cina. Il Timor Leste non ne fa parte.

L’area è caratterizzata da una pluralità linguistica, religiosa, di regimi politici, modelli di sviluppo economico,
culturale tra paesi marittimi e continentali, ecc.

Il Sud-Est asiatico (SEA) è una concettualizzazione geogra ca relativamente recente: un primo utilizzo del termine
si registra a partire dal 1800, ma si di onde durante la Seconda Guerra Mondiale per motivi pratici di
amministrazione del territorio e piani cazione militare da parte degli Alleati. La concettualizzazione del SEA
attuale corrisponde a quella che ha acquisito popolarità accademica nel periodo post-bellico, soprattutto durante
gli anni Settanta, contemporaneamente ai processi di decolonizzazione ed indipendenza.

La de nizione di SEA è quindi cambiata nel tempo, e non ha sempre incluso gli stessi paesi. Ad esempio, durante
la WW2 veniva elencato tra i paesi del sud-est asiatico dagli alleati anche lo Sri Lanka.

Gli attori esterni hanno concepito i paesi del SEA asiatico come appartenenti a diverse realtà, che variano a
seconda del periodo storico e del punto di vista adottato:

- “Southern Seas”, soprattutto da parte della Cina, del Giappone e, marginalmente, della Corea.
- “The Land Below the Winds”, da parte del cali ato islamico.
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- “The Indic World”, che includeva il SEA nell’area di in uenza culturale indiana medievale.
- “The Malay World”, soprattutto dagli olandesi e potenze coloniali europee. La concettualizzazione pone
enfasi soprattutto sull’Indonesia, a causa dell’importantissimo commercio delle spezie.

Il SEA quindi ha sempre occupato una posizione di rilevanza—crocevia—per quanto riguarda lo scambio
commerciale e culturale, regionale ed internazionale. È fonte di numerose materia prime: legname, metalli, pietre
preziose, ecc.

LA CINA E IL SEA

Storicamente il SEA è appartenuto al sistema tributario cinese, il network globale di relazioni diplomatiche e
commerciali sempre esistito ma formalizzato durante la dinastia Ming (1368-1644) che poneva al proprio centro la
Cina, come hub culturale, civile, tecnologico, ecc. I paesi vicini intraprendevano missioni diplomatiche ed
inviavano tributi all’imperatore cinese in cambio del riconoscimento della propria legittimità dinastica (investiture,
sigillo imperiale, ecc.), sostegno economico, opportunità commerciali, trasmissione di tecnologia, ecc.

È stato alla base di un primo sistema economico-commerciale globale.

Nel corso della storia e no al ventesimo secolo, i paesi tributari—inclusa la comunità della diaspora cinese
emigrata nel SEA—hanno partecipato più o meno attivamente al sistema, a seconda della convenienza e per il
proprio tornaconto personale.

RIVOLUZIONE CINESE
Il PCC scon gge le forze coloniali giapponesi e nazionaliste del KMT. La rivoluzione cinese di stampo maoista—
diretta alle masse popolari contadine ed implementata attraverso l’utilizzo di tattiche di guerriglia—rappresentò un
modello da seguire per i movimenti insurrezionali anti-coloniali.

La rivoluzione venne “esportata” in quasi tutto il SEA durante gli anni Sessanta e Settanta—vale a dire nel periodo
tra la rottura tra RPC e URSS, e prima della normalizzazione dei rapporti tra la RPC e gli USA per stringere
alleanze con i partiti comunisti del SEA e con i paesi appartenenti al MNA—periodo durante il quale la Cina
sostiene, direttamente o indirettamente, i movimenti indipendentisti rivoluzionari in Vietnam, Laos, Cambogia,
Burma, Indonesia e Malesia.

La Cina sostenne direttamente il Partito Comunista del Vietnam (Vietnam del Nord/Repubblica Democratica del
Vietnam), il Partito Rivoluzionario del Popolo Lao contro il Regno del Laos, e il Partito Comunista di Kampuchea in
Cambogia—traevano tutti origine dal Partito Comunista Indocinese.

Il PCC sostenne il Partito Comunista di Burma e della Malesia—si trovano prove d’archivio a testimonianza del
fatto che il PCC diede l’ordine di avviare l’insurrezione comunista che corrispose all’Emergenza Malese
(1948-1960), e contribuì più direttamente alla seconda Emergenza Malese (1968-1989) tramite l’invio di
nanziamenti e materiali almeno no al 1974 quando la RPC normalizzò i rapporti con il regime malesiano in
carica. Nonostante della mancanza di evidenza storica del sostegno del PCC, viene attribuita una partecipazione
del PCC alla serie di eventi che precedono il 1965, la repressione del Partito Comunista Indonesiano e più ampia
genocidaria dei comunisti indonesiani.

SECONDA GUERRA D’INDOCINA O LA GUERRA DI VIETNAM (1955-1975)


La prima guerra d’Indocina si era conclusa con la scon tta francese nel 1954 e la suddivisione dell’Indocina in 4
nuovi Stati indipendenti, il Vietnam del Nord, Vietnam del Sud, la Cambogia e il Laos.

La seconda guerra d’Indocina è un con itto di portata molto ampia. L’RPC sostenne direttamente i tentativi di
riuni cazione del Vietnam del Nord, e partecipò alla guerra civile cambogiana e alla cosiddetta “Guerra Segreta”,
la guerra civile laotiana.

Nel contesto della guerra di Vietnam, la Cina—insieme all’URSS—ricoprì un ruolo di fornitore di artiglieria—
soprattutto contraeree—e soldati, concedendo ai membri dell’Esercito Popolare Vietnamita e ai Viet Cong di
ritirarsi oltre i con ni/basi cinesi per ricevere assistenza tecnica, addestramento, ed evadere i bombardamenti
statunitensi.
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In Cambogia, il PCC era strettamente legato al Partito Comunista di Kampuchea di stampo ideologico maoista, o
Khmer rossi. Fornisce aiuti allo sviluppo e nanziamenti ai Khmer rossi—secondo alcune stime, no al 90% dei
nanziamenti ricevuti dal PCK era di origine cinese—nel periodo precedente e successivo alla creazione della
Kampuchea democratica 1975, che continua a sostenere economicamente. La Cambogia era molto importante
per la Cina perché a sua volta aveva tagliato i rapporti con l’URSS.

Nel 1972, la normalizzazione dei rapporti tra USA e RPC causa il deterioramento delle relazioni tra la Cina e il
Vietnam, che culmina nella guerra Sino-Vietnamita del 1979. La Repubblica socialista del Vietnam aveva invaso la
Cambogia—il più stretto alleato cinese nella regione—per portare a termine una spedizione punitiva a deporre il
leader genocida dei Khmer rossi, Pol Pot. La rappresaglia cinese in Vietnam dura pressapoco un mese a causa
degli alti costi e perdite umane. In questo frangente, la Cina è alleata con il Giappone, gli USA e l’ASEAN contro il
Vietnam e l’URSS. Per 20 anni la spesa militare difensiva del Vietnam—in previsione di un potenziale attacco da
parte cinese, le cui truppe continuarono a rimanere stanziate al con ne con conseguenti scontri ed incursioni, ma
anche a mantenimento dell’occupazione vietnamita in Cambogia—rimane altissima, ostacolando lo sviluppo del
paese. Solo nel 1999 i due paesi siglano un trattato di delimitazione dei rispettivi con ni—lasciando in sospeso la
questione delle dispute territoriali marittime delle isole Spratly e Paracelso.

POLITICA DI “BUON VICINATO”


Il “ritiro strategico” e disimpegno statunitense alla ne della Guerra del Vietnam spinge la RPC e URSS—almeno
no al crollo e dissoluzione del 1991—a competere per colmare il power vacuum che si è venuto a creare nella
regione.

A partire dalla seconda metà degli anni Settanta la Cina adotta una politica estera di buon vicinato con i paesi lo-
occidentali capitalisti del SEA, ossia la Malesia, la Thailandia, e le Filippine, al ne di contenere il Vietnam—e
quindi l’URSS, che invece punta mantiene i propri rapporti con i paesi comunisti del SEA, il Vietnam e la
Cambogia.

Dopo la morte di Mao nel 1976 Deng Xiaoping riforma la politica estera dal punto di vista economico
promuovendo lo sviluppo economico e la partecipazione al commercio internazionale. La Cina diventa il
principale partner commerciale di molti Stati del SEA. La regione si distingue come motore principale della
crescita economica globale durante gli anni Ottanta e Novanta. Alla cooperazione economica si accompagna un
ulteriore consolidamento delle relazioni con il SEA, no alla piena normalizzazione dei rapporti nel corso degli anni
Novanta.

Nel 1991 l’RPC normalizza i rapporti con il Vietnam e Cambogia.

Nel 1990 il movimento democratico indonesiano depone il regime lo-statunitense di Suharto e normalizza i
rapporti con la RPC, portando di conseguenza anche alla normalizzazione dei rapporti tra la Cina e Singapore e
all'integrazione della Cina all’interno dell’ASEAN e delle iniziative dell’organizzazione.

La RPC è parte del ASEAN Regional Forum dal 1993, dal 1996 ha acquisito lo status di partner u ciale di dialogo (ASEAN
Dialogue Partner) e nel 2021 quello di Comprehensive strategic partner, dal 1997 è parte dell’ASEAN Plus Three insieme al
Giappone e alla Corea del Sud, ha rmato l’accordo che istituisce l’area di libero scambio con l’ASEAN—ASEAN-China Free
Trade Area—nel 2002; ASEAN-China Strategic Partnership (2003); nel 2005 entra a far parte dell’East Asia Summit insieme a
Giappone, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda, India e Russia; e dal 2010 dell’ASEAN Defence Ministers Meeting Plus.

MAR CINESE MERIDIONALE


Nel corso degli anni Ottanta la Cina espande le proprie rivendicazioni territoriali verso Sud—includendo le isole
Spratly e Paracelso—e le sue pretese di libertà e controllo di movimento oltre la cosiddetta linea dei 9 trattini o
Nine Dash Line, contestata da tutti gli altri Paesi coinvolti nelle dispute.

I territori rivendicati dalla Cina si sovrappongono alle EEZ - Zone Economiche Esclusive e mari territoriali di
Brunei, Malesia, Filippine e Vietnam. Il con itto ha subito uno sviluppo accelerato recente, a partire dagli anni 10
del 2000. La Cina ha installato basi militari sulle scogliere (reefs) e isole arti ciali, e ha trasferito personale
(People’s Liberation Army), veicoli ed equipaggiamento militare. Per ostacolare le Freedom of Navigation
Operations statunitensi (in collaborazione con il Giappone el’ASEAN stesso), la Cina ha autorizzato simili
operazioni da parte della Marina (PLAN - People’s Liberation Army’s Navy) e dell’Aviazione militate (PLAF -
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People’s Liberation Army’s Air Force). Il ciclo che di viene a creare è uno con ittuale di dimostrazione di assertività
seguita da rappresaglie. La Cina fa anche uso delle navi della guardia costiera e navi pescherecce civili per
intraprendere operazioni militari clandestine (cosiddetti little blue men).

“A NEW CHINESE WORLD ORDER”


La BRI è percepita dai paesi del SEA come una dimostrazione di soft power da parte di Xi Jinping.

Molti paesi del SEA hanno accettato i nanziamenti cinesi relativi alla BRI, senza però cooperare con la Cina—
negando l’accesso della RPC a giacimenti minerari fondamentali, ad altri luoghi strategici, ri utandosi di
legittimare le rivendicazioni territoriali cinesi nel Mar Meridionale, ecc.

“These self-proclaimed hegemons don't really possess the amount of power they consider themselves to have”
- Bernard Keo, 2023.

ASEAN
L'ASEAN non ha avuto una grande rilevanza regionale—a di erenza dell'UE, per esempio—rappresentando più
un'unione ideologica che economica. L’agire dell’organizzazione è ostacolato dal meccanismo del consenso,
siccome i paesi membri hanno interessi tra loro contrastanti e concorrenziali. L’ASEAN sta cercando di sviluppare
legami con l’UE, gli USA, con l'Australia soprattutto dal punto di vista difensivo—vd. patto AUKUS—il Giappone,
la Corea del Sud. nel tentativo di contenere il potere della Cina.

IL GIAPPONE E IL SEA
Interazione sotto forma di “in uenza” del Giappone sul SEA.

Karayuki-san - Ms. Gone Abroad


Donne e ragazze giapponesi tra cate e costrette alla prostituzione tra la ne del XIX e l'inizio del XX secolo, dalle
prefetture agricole più povere del Giappone verso l'Asia orientale, il sud-est asiatico, la Siberia, Manciuria, India
britannica, l’Australia e gli USA. Rappresentarono la prima forma di immigrazione giapponese nella regione e
attorno a loro si formarono le prime comunità commerciali della diaspora.

Queste comunità costituivano agenti informali di spionaggio e raccolta di intelligence per il governo giapponese in
contesto coloniale.

WW2 - LA SFERA DI CO-PROSPERITÀ DELLA GRANDE ASIA ORIENTALE


Con Sfera di co-prosperità della Grande Asia Orientale si intende il progetto—rivolto alle popolazioni dei paesi
asiatici occupati dal Giappone imperiale tra il 1931 il 1945—di unione economica e politica panasiatica,
autosu ciente, presieduta dal Giappone che ne avrebbe rappresentato il motore industriale manifatturiero. Da un
lato si poneva in antitesi al modello coloniale della superiorità europea, promuovendo un’ideologia di fratellanza e
cooperazione tra i popoli asiatici—“Asia for the Asiatics”, che porrà le basi ideologiche per i movimenti
nazionalisti indipendentisti nel periodo post-bellico—ma dall’altro il Giappone imperiale ne ricalcava il ruolo come
nuova potenza coloniale egemone regionale.

Il SEA diventa e ettivamente, nel periodo successivo alla WW2, la principale fonte di materie prime e risorse per
lo sviluppo industriale giapponese postbellico.

Il Giappone cooperò con i leader anti-coloniali promettendone l’indipendenza, fomentando lo sviluppo dei
movimenti nazionalisti nella regione—ad esempio, Aung San Suu Kyi e i Trenta Compagni di Burma, Sukarno e
Hatta in Indonesia, e Bao Dai in Vietnam (breve parentesi come leader prima del governo lostatunitense)—
comunque anche e soprattutto in chiave anti-giapponese, nei paesi occupati—la milizia popolare lippina anti-
giapponese o Hukbo ng Bayan Laban sa Hapon, l’esercito popolare anti-giapponese (MPAJA) della Malaya e
Singapore sostenuto dai britannici, e i Viet Minh in Vietnam con il sostegno degli US—come in quali non occupati
—l’Anti-Fascist People’s Freedom League (AFPFL) di Burma e il Movimento per la Thailandia libera (Seri Thai)
sostenuto dagli USA e UK.
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GUERRA FREDDA
I rapporti con il SEA vengono gradualmente normalizzati nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta—nel 1954
con Burma, nel 1956 con le Filippine, nel 1958 con l’Indonesia, nel 1959 con il Vietnam del Sud, nel 1965 con la
Corea del Sud; fornisce inoltre prestiti e sovvenzioni al Thailandia a partire dal 1955, alla Laos nel 1958 e
Cambogia dal 1959—attraverso il pagamento di riparazioni di guerra nei confronti dei paesi occupati, sotto
supervisione statunitense come da accordi presi tramite il Trattato di San Francisco del 1951, per un totale di 60
miliardi di yen giapponesi.

Il pagamento di risarcimenti e fornitura di aiuti era inteso—e presentato alla popolazione giapponese—come
precursore ad una forma più ampia di cooperazione economica regionale.

Il Giappone fu coinvolto in relazioni soprattutto con i paese anti-comunisti del SEA, e si impegnò a contenere la
di usione del comunismo nella regione di modo che non superasse i con ni di Cambogia, Vietnam e Laos.
Rappresentò la principale fonte di IDE, aiuti economici, assistenza allo sviluppo, e il partner commerciale
regionale più signi cativo.
Con l’ulteriore sviluppo delle economie del SEA, il Giappone si assicurò l'accesso ad una fornitura di materie
prime e nuovi mercati per sostenere il proprio sviluppo ed espansione industriale.

Nel 1967 nasce l’ASEAN.

Dagli anni Settanta, in particolare dal 1977, il Giappone inizia a rapportarsi con i paesi del SEA in maniera
egalitaria dal punto di vista economico—vale a dire ponendo un freno all’erogazione di aiuti—e politico secondo i
dettami della dottrina Fukuda.

“Fukuda declared Japan as “an equal partner” who would “walk hand-in-hand with ASEAN.” The word “equal” implied the fear of
Japanese economic dominance (“economic animal”) amongst ASEAN members – by being “an equal partner,” Japan would no longer seek
dominance in the Asian scene nor would it regard other Asian nations as inferior to itself.”

I valori principali della dottrina erano il paci smo—il GIappone ri utava un proprio ruolo di potenza militare
regionale— ducia e con denza reciproche, ed interdipendenza economica come partner egalitari nel contesto
dell’ASEAN. La dottrina Fukuda non solo puntava quindi a rassicurare i paesi ASEAN, ma rappresenta anche il
contributo giapponese a colmare il vuoto di potere creatosi attraverso il progressivo disimpegno statunitense
dalla regione, per prevenire un’egemonia cinese o sovietica.

Singapore, Thailandia, Indonesia e Malesia sono i maggiori bene ciari di questa transizione, che li porta a
sviluppare il proprio settore industriale e manifatturiero su modello giapponese di Stato sviluppista.

COOL JAPAN
Se storicamente l’approccio giapponese alle relazioni con l’estero è stato prettamente costituito dal canale
economico—a partire dalla cosiddetta dottrina Yoshida, 1948-1954—dagli anni Ottanta il Giappone sviluppa la
sua politica estera come articolazione del proprio soft power economico ma anche culturale, adottando un
proprio modello di nation branding.

Negli anni Novanta e Duemila, il SEA è particolarmente ricettivo all’idea di comprensiva di un “cool Japan”—
concettualizzato per trasmettere l’immagine di un paese amichevole, collaborativo, che “vuole risolvere i problemi
del mondo”. Il soft power viene articolato anche attraverso il primato giapponese d’esportazione di prodotti di
consumo elettronici, espressione di un legame di appartenenza al ceto medio e di aspirazione borghese di
partecipazione alla comunità internazionale, soprattutto nel SEA.

L’ascesa della Corea del Sud—la cosiddetta Hallyu Wave—ha portato alla progressiva perdita di quota di mercato
giapponese, anche per quanto riguarda i prodotti elettronici.

CINA—GIAPPONE NEL SEA


GIi anni Novanta sono considerati la “decade perduta” in Giappone a causa dello scoppio della bolla immobiliare
e della progressiva spirale de azionistica intrapresa dall'economia. La Cina ha superato il Giappone come
seconda economia mondiale.
I paesi del SEA hanno iniziato a stabilire e consolidato rapporti commerciali fra loro stessi e con la RPC. Il
Giappone continua comunque a mantenere una posizione di rilevanza assieme agli USA, soprattutto in termini
difensivi e di sicurezza—multilaterale in sede ASEAN, ASEAN + 3, ecc. e a livello bilaterale secondo la dottrina
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Abe— nalizzati a rassicurare gli attori regionali e a contenere l’ascesa militare della Cina—ma anche per quanto
riguarda gli aiuti allo sviluppo—soprattutto attraverso l’Asian Development Bank, a maggioranza giapponese—per
contrastare l’operato cinese nell’ambito dello sviluppo della BRI e quindi di a usso di nanziamenti cinesi nel
SEA. È nell’interesse di tutti gli attori regionali, a partire dallo stesso Giappone, che gli USA rimangano impegnati
nel SEA.

La Cina viene quindi controbilanciata dall’agire collettivo dell’ASEAN con Giappone, Corea del Sud, Australia,
Nuova Zelanda, India, ecc. Il SEA può contare sul multilateralismo—per questo si rende necessaria l’inclusione di
tutte le grandi e medie potenze regionali—ed interdipendenza economica per raggiungere un equilibrio di potere
che assicuri pace, stabilità e prevedibilità.

Cina e Giappone potrebbero collaborare allo sviluppo di una propria politica estera in funzione del mantenimento
della pace nella regione, attraverso ad esempio l’istituzione di un Peace-building Center nel SEA—grazie
all’esperienza acquisita attraverso la partecipazione ad operazioni ONU di peace keeping nel Timor Leste e
Cambogia—alla lotta contro la pirateria (vd. ReCAPP - Regional Cooperation Agreement on Combating Piracy
and Armed Robbery against Ships in Asia) e alla tutela dell’ambiente. Le forze giapponesi di autodifesa SDF - Self
Defense Force necessiterebbero dell’istituzione di un quadro giuridico per agire come peace monitoring actor al di
fuori della portata delle operazioni dell’ONU, che comprende per ora solo la partecipazione ad operazioni di
peace keeping, ad operazioni di assistenza umanitaria internazionale, e contro il terrorismo.
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GIAPPONE

Dr Giulia Garbagni - storia diplomazia giapponese post-wwii


giulia.garbagni@kcl.ac.uk

Nihon no Arikata
日本の在り方 Nihon no arikata = Japan’s ‘way of being’, raison d’etre
Le scelte strategiche intraprese dal Giappone nel periodo post-bellico possono essere interpretate come
appartenenti a tre framework principali.

PERIODO PRE-BELLICO
“A discourse by three drunkards on government”/Sansuijin Keirin Mondō di Nakae Chomin
Pubblicato nel 1887, durante l’era Meiji, quando il Giappone iniziò ad adottare un modello di governance
moderno su stile occidentale. È stato pubblicato in Italia a puntate su testate giornalistiche, poi raggruppate in un
unico testo.

Il testo è costituito essenzialmente da un dialogo condotto da tre protagonisti:

- Nankai sensei (南海先生) → Pragmatic ‘Small Japanism’


L’ospite e sostenitore della politica estera su modello di un “Piccolo Giapponismo Pragmatico”. Secondo
questo modello equilibrato il Giappone dovrebbe rinunciare alle dimostrazioni di forza militare—se non come
ultima risorsa—concentrandosi sulla cooperazione internazionale.

- Gentleman of Western Learning (洋学紳士 yogakushinshi) → Liberal internationalism ‘Great Japanism’


Idealista. Questa corrente di pensiero prevede che il Giappone abbandoni interamente la sua tradizione e la
stessa concezione di sé come paese asiatico, per seguire il modello europeo, ed astenersi completamente
dalla guerra.

- Mr. Champion (豪傑君) → Realist nationalism


Rappresenta l’approccio opposto a quello del Gentiluomo degli Studi Occidentali, secondo il quale il Giappone
dovrebbe concentrarsi interamente sull’imperialismo ed espansionismo militare.

Samuel identi ca, nel panorama ideologico del primo Giappone moderno di periodo Meiji, una sovrapposizione
tra il pensiero militarista e quello “asianista”.

Il pensiero politico militarista di Mr. Champion—esponente del Realismo Nazionalista—promuoveva lo sviluppo di


un esercito forte, per una nazione forte, che potesse difendere i propri interessi nazionali, che a partire dagli anni
Venti e Trenta includevano anche la Manciuria e la penisola coreana.

Il Liberalismo Internazionale (promosso dai cosiddetti Great Japan Liberals) del periodo antecedente la seconda
guerra mondiale—a di erenza da quello proposto dal Gentiluomo degli Studi Occidentali, paci sta ed idealista—
ha molto in comune con il Realismo Nazionalista: vedendo il Giappone come il leader naturale dei popoli asiatici,
condivide in un certo senso le stesse ambizioni internazionalistiche della posizione ideologica imperialista. La
di erenza sta nella propensione al collaborare con le potenze occidentali.

La corrente di pensiero rappresentata da Nankai sensei (Small Japan Liberal) invece era nettamente impopolare
nel periodo pre-bellico. Era esponente di un Razionalismo Economico: l’espansione imperiale rappresentava per
loro un investimento e talvolta un onere nanziario. Un'espansione eccessiva avrebbe potuto giocare a sfavore
del Giappone, favorendo i movimenti nazionalisti nel resto dell’Asia ed ostacolando la sicurezza giapponese.

IL DOPOGUERRA
Nel dopoguerra, la prominenza di queste tre correnti di pensiero muta completamente:

- L’ideologia Militarista viene completamente delegittimata. La guerra aveva portato solo devastazione e scon tta
—identi cata soprattutto con i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki.
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- Un pensiero paci sta ed idealista come quello del Grande Giappone Liberale non sarebbe potuto essere
implementato, a causa della brutalità del colonialismo giapponese in Asia.

- Un Giappone piccolo e pragmatico invece, poteva soddisfare le esigenze post-belliche di ricostruzione. Il


Giappone così con gurato sul piano internazionale sviluppava la propria politica estera attraverso gli scambi
commerciali e manteneva un basso pro lo.

Dopo il 1945, il testo “A discourse by three drunkards on government” riacquista popolarità negli studi accademici
che si propongono di de nire la posizione che il Giappone avrebbe dovuto occupare nel mondo dopo la Grande
Guerra.
Kōsaka Masataka (高坂正堯) è considerato il più importante studioso di relazioni internazionali del Giappone
post-bellico—equivalente ad Hand Morgenthau, fondatore del realismo classico—esponente della scuola di
pensiero Realista.

Nel suo libro “International politics and the search for peace”/Kokusai seiji - kyoufu to kibou (International politics,
hopes and fears) propone il ‘Sansuijin Keirin Mondō Dilemma’. Il dilemma che Masataka identi ca riguarda i due
metodi principali—ma completamente incompatibili—per ottenere la pace nella regione.

- “Peace without weapons”: come argomentata dal Gentiluomo degli Studi Occidentali. Questa via è
impraticabile a causa del consolidamento delle dinamiche della Guerra Fredda.

- “Peace through power”: come argomentata da Mr Champion, ma altrettanto impraticabile a causa della recente
e devastante esperienza bellica.

Nel dopoguerra, il Giappone ha dovuto cercare di bilanciare le sue aspirazioni di pace e prosperità con la propria
necessità oggettiva di potersi difendere in un contesto regionale molto ostile. Il Giappone era all’epoca l’unica
democrazia liberale in Asia orientale, circondata da Paesi comunisti, e da guerre di procura (del Vietnam, di
Corea, ecc.).

Il dilemma viene risolto tramite l’adozione della Dottrina Yoshida, da parte del primo ministro Yoshida Shigeru.
La dottrina si articolava in tre punti principali:

- Alleanza con gli USA


Il Giappone permise agli USA di istituire basi militari sul territorio, delegando in cambio la propria sicurezza e
difesa alle forze armate statunitensi. L’obbligo era unilaterale, degli USA nei confronti del Giappone
smilitarizzato, ed esplicitato nel Trattato di mutua sicurezza e difesa del 1951.

- Riarmo leggero
L’unico possibile alle condizioni poste dal trattato del 1951, per una minima autodifesa.

- “Centrismo economico”
Il budget che sarebbe normalmente stato indirizzato allo sforzo bellico/sviluppo militare venne invece utilizzato
per rivitalizzare l’economia. Il Giappone avrebbe dovuto acquisire il ruolo di potenza mercantile legata per forza
di cose a quella militare statunitense.

La dottrina—detta di Comprehensive Security—parte dai presupposti che la potenza militare non era più
su ciente o adeguata al garantire la sicurezza del Giappone, che necessitava di sviluppare una propria industria
civile e di inserirsi nella rete del commercio internazionale. Inoltre riusciva a mettere d’accordo i loni ideologici
della politica giapponese postbellica, dai paci sti ai liberali del grande Giappone, e persino alcuni esponenti del
militarismo che riconoscevano che dopo 1945 il Giappone sarebbe dovuto giungere ad un compromesso
pragmatico, ponendo come priorità la ricostruzione postbellica del paese.

Yoshida non elaborò questa strategia per il lungo termine, e nemmeno utilizzò per de nirla la parola “dottrina”. Il
termine “Dottrina Yoshida” fu coniato negli anni Settanta ed acquisì popolarità in campo accademico—incluso fra
studiosi come Kosaka Masataka. Il dibattito che si sviluppò negli anni Settanta e Ottanta riguardava la natura
della risposta strategica di Yoshida: poteva essere considerata un esempio di Grand Strategy, o solo un
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aggiustamento pragmatico che rispondeva alle preoccupazioni più immediate del periodo del dopoguerra?

IL SISTEMA 1955
Comunque la dottrina ebbe successo nel conciliare gli interessi dei due partiti democratici principali del Giappone
post-1945.

- Partito Liberale del Giappone - Japan Liberal party 日本自由党,


Il partito cui apparteneva Yoshida. Esponente della corrente del Conservatorismo Tradizionale (Mainstream
Conservatism 保守本流) che de niva la Nihon no arikata secondo i dettami della dottrina Yoshida.

- Partito “Democratico” del Giappone - Japan Democratic Party 日本民主党


Approccio alla governance di tipo dirigistico. I membri erano esponenti dell’Anti-mainstream Conservatism, ed
erano rappresentanti dell’ex-amministrazione giapponese imperiale della Manciuria degli anni Trenta (ad
esempio, Kishi Nobosuke, criminale di guerra di classe A e nonno di Shinzo Abe, o Hatoyama Ichirō).

Nel 1955 i due partiti si fusero istituendo il Partito Liberale Democratico (Liberal Democratic Party (LDP) 自由民主
党). La vita politica e operato del partito al governo è conosciuta come ‘Sistema 1955’, e caratterizzerà tutto il
periodo del dopoguerra—come la Democrazia Cristiana in Italia, con la di erenza che il LDP è tuttora attivo in
Giappone, e lo stesso PM ne è membro.

Il sistema elaborò l’identità del Giappone postbellico come Paese della Pace - Peace Nation (平和国家). La
dirigenza politica giapponese si è fatta portavoce sul piano internazionale dei pericoli del militarismo e della
guerra nucleare—soprattutto durante la Guerra Fredda—e promuove l’immagine del Giappone come paese
paci sta.
Il Giappone del dopoguerra è caratterizzato da:

- Stato sviluppista che comporta la gestione statale delle risorse industriali, e dei settori de niti come strategici
per lo sviluppo dell’economia nazionale. Contribuì in maniera fondamentale al miracolo economico giapponese
degli anni Cinquanta e Sessanta.

- Aid Great Power


Il Giappone si relaziona con le ex-colonie del SEA attraverso la conclusione di accordi di risarcimento/
riparazioni di guerra. Alle imprese private giapponesi è consentito quindi investire direttamente nelle ex-colonie
in guisa di aiuti u ciali allo sviluppo, implementando una serie di progetti infrastrutturali nel SEA (dighe, ponti,
autostrade, ecc.).

Negli anni Novanta, il Giappone si presenta come il maggiore fornitore di aiuti (aid donor) a livello mondiale.
Attualmente è l’unico a poter o rire un’alternativa allo sviluppo infrastrutturale promosso dalla BRI cinese.

- La partecipazione ad operazioni di peace building sponsorizzate dall’ONU, in particolare in Cambogia e Timor


Leste, Filippine, Afghanistan, e Sudan del Sud.

- Human Security - Sicurezza umanitaria


Una buzzword all’interno dell’ONU degli anni Novanta, che descriveva la centralità che dovevano assumere gli
individui, e non gli Stati, nel processo di de nizione di politiche all’interno del sistema internazionale.

Il Giappone si con gura nel dopoguerra come una media potenza, e attua una diplomazia tale di conseguenza,
che fa leva sul carattere della nazione di “buon cittadino internazionale”—che contribuisce al benessere della
comunità internazionale—come articolazione del proprio soft power.

Da un altro punto di vista però, soprattutto conservatore, la dottrina Yoshida contribuì a creare l’immagine di un
Giappone inteso come ‘Nazione semi-sovrana’ (Semi-sovereign nation 半主権国家), cui era concesso svilupparsi
senza poter però esercitare pieno controllo sul proprio territorio. Si è addirittura sviluppato un dibattito circa se si
possa e ettivamente considerare uno Stato sovrano.
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OKINAWA
Il Giappone ospita 80 basi militari, e 55mila truppe statunitensi. Le basi non sono distribuite uniformemente sul
territorio, ma si concentrano in maniera sproporzionata ad Okinawa—la prefettura costituisce circa l’1% del
territorio giapponese, ma ospita il 70% delle basi militari statunitensi.

Il Regno delle Ryūkyū fu annesso dal Giappone come prefettura di Okinawa nel 1879. In precedenza era legato
da un rapporto tributario sia alla Cina Qing che al Giappone Tokugawa. Nel 1945 Okinawa fu l’unico territorio
giapponese su cui si combatté sicamente.
Dopo il 1945 l’arcipelago rimase sotto diretto controllo degli USA no al 1952 e sotto amministrazione militare
autoritaria statunitense (occupazione) no al 1972, con conseguenze estremamente negative dal punto di vista
economico e sociale. Non prese infatti parte al fenomeno del miracolo economico post-bellico degli anni
Sessanta e Settanta orchestrato dalla dottrina Yoshida. Tuttora Okinawa rimane la prefettura più povera in
Giappone.

La data del 28 Aprile 1952—giorno in cui il Primo Ministro Yoshida Shigeru rmò il Trattato di San Francisco—è
ricordata ad Okinawa come kutsujoku no hi 屈辱の日, il ‘Giorno dell’umiliazione’ in cui Okinawa venne tagliata
fuori/separata dal resto del paese (Okinawa come 失地 shicchi o ‘Terra perduta’).
La restituzione di Okinawa divenne motivo di tensione tra USA e Giappone, e rimase un obiettivo molto
importante di politici ed attivisti nel corso degli anni Sessanta e Settanta. Hans Morgenthau si espresse sulla
questione in questo modo:

“[Okinawa] has almost become what Alsace-Lorraine was for France after 1871: the touchstone of the country’s
worth as a nation.”

La restituzione (沖縄返還 Okinawa Henkan) fu nalmente ottenuta paci camente nel Maggio del 1972 e negoziata
dal primo ministro Sato Eisaku—considerato il pieno successore di Yoshida—e dal Presidente Nixon tramite un
accordo concluso nel 1969 (1971 Okinawa Reversion Agreement 沖縄返還協定 - Okinawa Henkan Kyōtei). Gli
USA trovarono conveniente la restituzione al ne di non rischiare di compromettere l’alleanza difensiva con il
Giappone. La restituzione di Okinawa come prefettura amministrata totalmente dal governo centrale giapponese,
secondo Eisaku, sanciva de nitivamente la ne del dopoguerra.

Kosaka Masataka de nì la restituzione come ‘la prima iniziativa di politica estera degna di questo nome nel
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Giappone del dopoguerra’.

L’accordo prevedeva, u cialmente, la denuclearizzazione dell’arcipelago—‘Nuclear free, homeland level’ 核抜き


本土並み Kakunuki hondonami—ma fu segretamente negoziato un secondo accordo—‘Secret nuclear agreement’
核密約 Kakumitsuyaku—tra un inviato di Eisaku, Wakaizumi Kei, ed Henry Kissinger tra il 1967 e il 1969, che
prevedeva che in caso di emergenza gli USA avrebbero potuto reintrodurre armi nucleari ad Okinawa dopo averne
informato il primo ministro giapponese.

Il governo giapponese ha ammesso u cialmente l’esistenza di questo secondo accordo solo nel 2009—
nonostante lo stesso Wakaizumi avesse pubblicato un memoriale a descriverne le trattative, e il ritrovamento dei
relativi documenti in casa Sato dal glio dell’ex-premier.

Okinawa è un caso emblematico della rilevanza—anche emotiva—assunta dalle questioni territoriali


nell’immaginario politico giapponese.
Il ministro degli esteri Aichi Ki’ichi si esprimeva così a riguardo:

“... the return of Okinawa will lift the last excuse in our public mind for clinging to our inward-lookingness. With Okinawa – so
long a symbol of our defeat and impotence – back in our midst, our strength will have been made whole again, and we will be
ready for our responsibilities.”
—Foreign Minister Aichi Ki’ichi, ‘Japan’s Legacy and Destiny of Change’, Foreign A airs 48:1 (1969): 37.

Un documento di analisi politica redatto dal dipartimento di Stato statunitense nel 1968 delineava tre possibili
scenari che sarebbero potuti scaturire in seguito alla restituzione:

- Alpha Scenario: il Giappone avrebbe con uito solo una modesta quantità di risorse nel proprio sforzo militare ,
esclusivamente difensivo, limitato al territorio giapponese.

- Beta Scenario: il Giappone avrebbe sviluppato le capacità militari di partecipare ad operazioni internazionali di
peacekeeping sotto gli auspici dell’ONU e altre OIG.

-> e ettivamente l’approccio adottato dal Giappone negli anni Ottanta e Novanta.

- Gamma Scenario: il Giappone sarebbe diventato una grande potenza militare regionale. In quel caso, l’alleanza
con gli USA sarebbe potuta venire messa in discussione, vani cando lo scopo dell’accordo di restituzione,
negoziato appunto ai ni di mantenere l’alleanza.

POLITICA ESTERA DI SICUREZZA - PUNTI SALIENTI


Il Giappone degli ultimi anni si è decisamente allontanato dai dettami della dottrina Yoshida—lo scenario
ra gurato è una via di mezzo tra il Beta e Gamma previsti dagli USA nel 1968.

1987 - il Giappone aumenta i limiti di spesa per la difesa, superando l’1% del GDP (1.04%).

1992 - viene promulgata la Peace Keeping Operations Law, una

This was essentially a way for Japan to respond to the criticism of the rst gulf war between Kuwait and Iraq.
Japan didn’t really participate in any other way than by sending money to the U.S. and this was criticized as being
a check book diplomacy, it wasn’t enough, so after that very strong criticism Japan embraced this peacekeeping
identity even more strongly.

2007 - la Self-Defence Agency viene promossa a Ministero.

DOTTRINA ABE
La nuova dottrina a rimpiazzare quella Yoshida sarebbe la cosiddetta Dottrina Abe—dal Primo Ministro Shinzo
Abe, il più longevo nella storia giapponese dal 2012 al 2020, ucciso tragicamente durante la campagna elettorale
del 2022.
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La Dottrina Abe viene elaborata in maniera più conscia e deliberata di ideazione di una Grand Strategy, in
occasione del secondo mandato di Abe, dove si propone di abbandonare populismi e circondarsi di persone che
più che sostenerlo a livello ideologico, si distinguano per capacità-valori tecnico-amministrativi.

I dettami principali della dottrina Abe sono:


- il Giappone come ‘normal country’: in risposta alle critiche rivolte alla dottrina Yoshida che per forza di cose
con gurava il paese come solamente semi-sovrano. Il Giappone deve avere il potere di fare guerra, mantenere
un esercito, e delineare una propria politica estera autonoma svincolata da legami di alleanza.

- La creazione di un Consiglio di Sicurezza Nazionale (National Security Council) nel 2013. Il foro principale di
elaborazione di politiche di sicurezza nazionale e politica estera. L’istituzione di questo organo consentì di
centralizzare il potere decisionale a favore dell’u cio del Primo Ministro.

- La legalizzazione dell’intervento militare in funzione della Collective Self-Defence:


Anche grazie all’istituzione del CSN, Abe collabora con l’u cio legislativo del gabinetto—Cabinet Legislation
Bureau, l’organo di consulenza legale presso l'u cio del primo ministro che ha il compito di interpretare la
Costituzione—che interpreta la Costituzione di modo da permettere che il Giappone eserciti il proprio diritto
all’autodifesa prendendo parte ad operazioni di auto-difesa collettiva.
Vale a dire, il Giappone viene abilitato ad intervenire in difesa di altri paesi che subiscono un attacco militare (ad
esempio, nel caso Taiwan fosse invaso dalla Cina).

- La revisione dell’Articolo 9 della Costituzione del 1949, che prescrive la natura paci sta dello Stato giapponese.
Non ancora concretizzato, ma rimane un obiettivo dei conservatori anti-mainstream (in realtà progressivamente
sta diventando molto più mainstream).

- La quali ca del Giappone come ‘tier one nation’ (一等国 ittō koku). Secondo la dottrina Abe, il Giappone è
destinato a svolgere un ruolo di primo piano a livello internazionale.

L’EMOTIVITÀ COME PERNO DELLA CAMPAGNA ELETTORALE DI ABE


Abe durante la propria campagna elettorale al suo primo mandato 2007-2008 fa leva su un episodio con carica
emotiva particolarmente intensa e sentita sia da parte dell’opinione pubblica che nelle relazioni diplomatiche
giapponesi, ossia la questione dei rapimenti (拉致問題--rachi mondai) di cittadini giapponesi—si presume—ad
opera di agenti nordcoreani.

Si specula che i cittadini giapponesi siano stati rapiti a ni educativi—per insegnare il giapponese a cittadini
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nordcoreani ed addestrare future spie del regime—o di appropriazione identitaria, per permettere ad agenti
nordcoreani di circolare liberamente all’interno del Giappone.
Il caso più famoso fu quello di una bambina rapita a 13 anni, sulla spiaggia nella prefettura di Niigata.

Nel 2002 l’amministrazione Koisumi ottenne che ad alcuni dei cittadini rapiti venne concesso il rimpatrio
temporaneo. Quando questi stessi cittadini non ritornarono in Corea del Nord come da accordi, il dialogo
diplomatico tra Tokyo e Pyongyang si interruppe nuovamente.

La questione è importante, ed esempli cativa del difetto principale della dottrina Yoshida così come criticato dai
conservatori anti-mainstream, ossia della limitazione della sovranità giapponese ed incapacità di reagire in
autonomia di fronte a minacce esterne.

L’importanza delle questioni relative al territorio e alla sovranità nel pensiero politico giapponese si può ritrovare
anche nell’apertura del National Museum of Territory and Sovereignty a Tokyo nel Gennaio 2020, la cui funzione è
quella di educare i visitatori circa la “reale forma" del Giappone. L’esposizione si concentra su tutte le questioni di
dispute territoriali più importanti—i territori del Nord, le isole contestate alla Federazione Russa, alla Cina e alla
Corea del Sud.

DUE DIVERSE LINEE DI PENSIERO


Secondo Samuels può individuare una continuità ideologica nel pensiero politico giapponese che associa alla
territorialità—intesa non più come espansione ma de nizione dei con ni territoriali in funzione del mantenimento
della propria, piena, sovranità—una forte carica emotiva, esempli cato in politica estera dalla restituzione di
Okinawa del 1972, no all’obiettivo di ri-ottenere uno status di ‘normal country’—ma anche di primato e prestigio
internazionale—come previsto dalla dottrina Abe.

A questo si contrappone un’altra linea di pensiero che dà la priorità allo sviluppo tecnologico e di capitale—
sempre con l’obiettivo per il Giappone di diventare una nazione forte.

La determinazione del tipo di approccio—e la natura dualistica dello stesso—che il Giappone dovrebbe adottare
sul piano internazionale si con gura in maniera simile a quella del periodo Meiji e del dopoguerra, seppure in un
contesto completamente di erente.

Se l’ideale di un Piccolo Giappone (Nankai sensei) ha ispirato la dottrina Yoshida, Mr. Champion e il Gentiluomo
degli Studi Occidentali aspiravano ad un ruolo decisamente più rilevante e centrale per il Giappone in Asia, come
si propone la dottrina Abe, attraverso la concezione di una sicurezza collettiva e della necessità di sviluppare una
propria capacità militare autonoma. In questo frangente, è proprio lo status economico già raggiunto che
evidenzia ancora di più le mancanze del paese. La prosperità economica risulta quasi inutile in assenza di uno
strumento militare per far valere i propri interessi sul piano internazionale—in primo luogo, proteggendo i propri
cittadini.
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LA DIPLOMAZIA DEI VALORI DI ABE - VALUE-BASED FOREIGN POLICY
Promuove l’immagine del Giappone come la democrazia liberale più stabile e longeva dell’Asia—paladina dei
diritti umani e della democrazia nell’Indo-paci co, alleato irrinunciabile degli Stati Uniti—e il consolidamento di
relazioni diplomatiche basate su e con paesi che condividono la sua impostazione politica—India, Corea del Sud,
Taiwan, ecc.

FREE AND OPEN INDOPACIFIC


Strategia ideata proprio da Abe.

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L’INDO-PACIFICO
GLI USA E IL GIAPPONE
L’indo-paci co è una costruzione geogra ca immaginaria di ideazione giapponese e co-optata dagli USA, che
sono sempre stati presenti—in maniera più o meno intensa. Il controllo della regione era stato mantenuto—in
funzione soprattutto del contenimento dell’URSS, almeno no alla ne della guerra fredda—attraverso la
costituzione e il rinnovo di trattati bilaterali di mutua difesa.

Il sistema dei trattati di alleanza in Asia orientale si con gura come un sistema Hub and Spokes—stabilito dal
segretario di stato J.F. Dulles (1953-1959)—all’interno del quale gli USA rappresentano l’hub attorno al quale gli
alleati si concentrano come i raggi di una ruota (spokes).

• La presenza statunitense in Asia orientale negli anni Cinquanta fu dovuta principalmente ai con itti che ne
imponevano—perlomeno a detta statunitense—l’intervento militare: la Guerra di Corea (1950-1953) e le due
crisi dello stretto di Taiwan nel 1955 e 1958. La condotta interna autoritaria di Chiang-kai Shek e le sue
ambizioni nei confronti della riannessione del mainland vengono tollerate dall’alleato statunitense, che si
preoccupa di stabilire e mantenere misure di deterrenza nello stretto per scoraggiare un possibile attacco da
parte della RPC.

Inoltre, gli USA amministravano direttamente i territori su cui avevano stazionato basi militari navali, alle Hawaii,
a Wuhan, nelle Isole del Paci co.

• Durante gli anni Sessanta gli USA furono impegnati nella guerra del Vietnam—causata in origine dalle
rivendicazioni neocoloniali francesi che ebbero ripercussioni anche sulle amministrazioni territoriali statunitensi
nella regione. La guerra passò poi ad inserirsi nel più ampio con itto ideologico tra i fronti socialista e
democratico-liberale della Guerra Fredda.

• Gli anni Settanta costituirono un preludio al disimpegno statunitense, più coinvolto in altre aree del mondo. Gli
USA intrapresero importanti manovre diplomatiche per favorire la distensione con la RPC e l’URSS, e si
ritirarono dal Vietnam. La presenza statunitense in questo periodo si riconcentra nell’area del Medio Oriente.

• Nel corso degli anni Ottanta, dato il progressivo disimpegno americano, è Il Giappone ad a ermarsi come
potenza secondaria stabilizzatrice nella regione attraverso lo strumento dell’ODA, Overseas Development
Assistance, sotto forma di risorse nanziarie soprattutto nei confronti dei paesi del SEA, ma anche della RPC. I
paesi bene ciari possono concentrarsi sulla ricostruzione post-coloniale, lo sviluppo economico e quindi la
propria stabilizzazione politica.

In questo periodo lo sviluppo economico della RPC la porta a rappresentare un hub produttivo per le aziende
giapponesi che portano i propri capitali all’estero. Questi investimenti risultano particolarmente vantaggiosi
poiché avvengono contemporaneamente al fenomeno di apprezzamento dello yen giapponese.
Gli eventi di piazza Tian’anmen del Giugno dell’89 causano l’imposizione di sanzioni ed embarghi da parte della
comunità internazionale, ponendo un arresto agli investimenti.
Il Giappone adotta una politica ambigua nei confronti della Cina: non impone direttamente delle sanzioni
unilaterali, ma rma una dichiarazione di condanna in occasione del G7 di Parigi—solo come membro del G7,
non di sua spontanea volontà—accettando di sospendere i crediti di aiuto alla RPC per il periodo di un anno.

• Gli anni Novanta sono caratterizzati dalla terza crisi dello stretto di Taiwan del 1995-1996, dalla crisi nanziaria
asiatica del 1997, e dal riavvicinamento tra la Cina e gli USA dell’amministrazione Clinton, più conciliatoria e
favorevole a riconoscere la RPC come partner commerciale sul lungo periodo.

• Durante i primi anni Duemila le relazioni statunitensi con Pechino rimangono positive. Nel 2000 viene sancito lo
US-China Relations Act, che autorizzò l’estensione del trattamento non discriminatorio nei confronti della RPC
per intensi care i rapporti in senso favorevole allo sviluppo reciproco. In più vengono annullate le revisioni
annuali del Congresso statunitense al primo documento relativo alle relazioni commerciali fra USA e RPC, che
era sempre stato causa di ritardi e frustrazione.

La normalizzazione dei rapporti come facilitata dallo US-China Relations Act favorisce anche l’ingresso della
Cina nel WTO.

Nel 2004 nasce il QUAD: si tratta di un vertice quadrilaterale sulla sicurezza regionale tra Australia, Giappone,
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India e USA. L’iniziativa viene elaborata in un primo momento per coordinare le operazioni di salvataggio e
ricostruzione relative allo tsunami che dall’Oceano indiano aveva colpito l’Indonesia, senza una connotazione
anti-cinese. Tra il 2007 e il 2008, siccome avrebbe potuto essere interpretato anche come un’iniziativa di
contenimento della RPC, il vertice viene sospeso, temendo ritorsioni da parte della leadership cinese.

• I 2010’s invece sono caratterizzati da:

- Il secondo mandato dell’amministrazione Obama, che implementa la cosiddetta strategia del Pivot to Asia.

La necessità di un ritorno statunitense in questa regione viene descritta in un articolo di Hilary Clinton—l’allora
segretario di Stato degli USA—del 2011 su Foreign Policy. L’articolo sottolinea l’importanza del dialogo con la
Cina (sistema G2), senza compromettere le relazioni con altri attori chiave dell’area—i partner storici come il
Giappone—e instaurandone di nuove con paesi emergenti come i membri dell’ASEAN e l’India—che a sua
volta intraprendeva (a partire dagli anni Novanta) la propria Look East Policy, svolgendo un ruolo molto attivo
nel SEA in campo economico e per risolvere alcune controversie territoriali.

L’obiettivo del sistema del G2 era quello di “socializzare” la Cina per spingerla ad adottare le norme di
comportamento e i valori delle istituzioni internazionali create dagli USA nel periodo successivo alla Seconda
Guerra Mondiale (International law order), coinvolgerla nel sistema di mercato internazionale, con l’obiettivo
ultimo di convincerla ad apportare in futuro dei cambiamenti al proprio sistema politico.

La Cina di Hu Jintao fu infatti caratterizzata da un maggiore grado di libertà di espressione e di opposizione e


dissidenza, che venne progressivamente eliminato con l’ascesa ed elezione di Xi Jinping.

- L’amministrazione Trump, cui si associa il rilancio del QUAD nel 2017-2018. L’iniziativa assume i connotati di
una strategia di contenimento nei confronti di Pechino in maniera esplicitamente anticinese. La competizione
USA-RPC è presente in ogni ambito—a partire da e soprattutto in campo commerciale e tecnologico—e viene
quindi tenuta in considerazione all’interno di ogni iniziativa statunitense, assumendo carattere anticinese.

Nel 2018 l’amministrazione Trump annuncia u cialmente la strategia dell’Indo-Paci co. La nuova geogra a
proposta sottolinea l’importanza dell’Oceano Indiano nel panorama globale. Come strategia e linea
diplomatica viene interpretata diversamente dai vari attori del piano internazionale a seconda dei propri
interessi, e quindi adottata con scopi di erenti. Ad esempio, è stata adottata dall’Unione Europea come
approccio di delineazione di una politica estera comune—anche se solamente la Francia mantiene interessi
diretti nel Paci co.

MA

- È stato il Giappone a giocare ruolo fondamentale nell’area in quanto potenza intermedia e secondaria (vd.
Evelyn Goh). È stato Abe a fare uso per la prima volta della nuova concezione di costruzione geogra ca
dell’Indo-Paci co come “con uenza di due mari”, in occasione di una visita u ciale India durante il suo primo
mandato (2006-07), per legittimare la presenza del Giappone come partner dell’India dal punto di vista
economico e strategico.

“By Japan and India coming together in this way, this "broader Asia" will evolve into an immense network
spanning the entirety of the Paci c Ocean, incorporating the United States of America and Australia. Open and
transparent, this network will allow people, goods, capital, and knowledge to ow freely.

In addition, as maritime states, both India and Japan have vital interests in the security of sea lanes. It goes
without saying that the sea lanes to which I refer are the shipping routes that are the most critical for the world
economy.

The question of what Japan and India should do cooperatively in the area of security in the years to come is
one that the o cials in charge of diplomacy and defence in our countries must consider jointly. I would like to
put that before Prime Minister Singh for his consideration.” — Abe, 2007.

L’Indo-Paci co proposto da Abe si estende dalle sponde degli Stati Uniti e dell’Australia andando a creare
una grande area caratterizzata da apertura, trasparenza e dalla libera circolazione di persone, beni, capitali,
conoscenze, ecc.—il cosiddetto Free and Open Indopaci c.
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Il Giappone ha interesse, attraverso questa strategia, a ria ermarsi sul piano internazionale come un’entità
autonoma—rispetto le linee di politica estera statunitensi, senza mai però porsi in con itto con gli USA.

Questa necessità nasce a partire dalla crisi nanziaria del 1997, che colpisce proprietà e patrimonio nanziario
giapponesi all’estero, con gravi conseguenze sulla posizione di leadership economica giapponese a livello
globale e regionale. Il modello del sistema economico capitalista giapponese veniva messo in discussione,
mentre a confronto, la Cina aveva risposto molto meglio alla crisi.

La diplomazia giapponese—cosiddetta diplomazia del libretto degli assegni—incentrata sugli aiuti economici
allo sviluppo come portata avanti negli anni Ottanta e primi anni Novanta, venne fortemente criticata in quanto
serviva gli interessi espansionistici delle aziende giapponesi nel SEA che puntavano ad inserirsi all'interno
delle “catene del valore” globali, con uno scarso impatto dal punto di vista sociale e della sicurezza
umanitaria.

La diplomazia subisce una trasformazione sostanziale a partire dagli anni Duemila con il primo mandato di
Abe—e poi successivamente si consolida con il suo secondo mandato a partire dal 2012—come diplomazia
valoriale/dei valori. Il Giappone promuove un’immagine di sé stesso come difensore dello stato di diritto,
come potenza responsabile sul piano internazionale che non è più interessata solamente al proprio ritorno
economico, ecc. Non è elaborata come strategia anticinese.

- Il triennio democratico (2009-2012):


Alla guida del paese si pone non più il Liberal Democratic Party (LDP), bensì il DPJ - Democratic Party of
Japan. Il DPJ al governo a ronta un periodo molto di cile, contrassegnato dal terremoto, tsunami e crisi della
centrale nucleare di Fukushima del 2011. Nel 2010 la Cina supera il Giappone come seconda economia
globale, e il partito viene incolpato anche di quello.

- Il secondo mandato di Abe segna una cesura de nita con il triennio a guida del DPJ. Ristabilisce i presupposti
politico-valoriali del primo mandato, del QUAD e della strategia dell’Indo-Paci co, ma ponendo nuova enfasi
su aspetti puramente securitari—ri ettendo la percezione giapponese della minaccia costituita dall’ascesa
militare e dalla crescente assertività cinese, il cui ruolo e peso nella regione erano ormai cambiati. L’obiettivo
primario rimane comunque quello di creare uno spazio geogra co de nito dalla libertà di navigazione, da pace
e stabilità, ma a raggiungere questo obiettivo si rende necessario garantire ordine e sicurezza nel Paci co e
nell’Oceano Indiano.

“A mio avviso bisognerebbe mettere in atto una strategia in base alla quale l’Australia, l’India, il Giappone e lo
stato americano delle Hawaii dovrebbero unirsi nel tutelare il tratto di acque in comune che si estende, a forma
di diamante, dalla regione dell’Oceano Indiano alla parte occidentale del Paci co. Io sono pronto ad investire
al massimo le competenze del Giappone in questo sistema di sicurezza a forma di diamante.”—Abe, 2012.

Il ‘Diamante di sicurezza democratico’ prevedeva quindi la conclusione di accordi di cooperazione


quadrilaterale in ambito securitario con USA, Australia e India, le quattro maggiori democrazie regionali.
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IMPORTANZA GEOGRAFICA DELL’INDO-PACIFICO
L’80% del volume di commercio globale è trasportato via mare. Di questo, l’80% è costituito da petrolio, e il 60%
passa attraverso l’Indo-paci co. Vale a dire che circa 1/5 della fornitura energetica globale dipende da queste
rotte marittime. La tratta è caratterizzata dalla presenza di numerosi colli di bottiglia: il canale di Suez, lo stretto di
Malacca, lo stretto di Hormuz, di Bab el-Mandeb, ecc. Se uno dei colli di bottiglia fosse unilateralmente bloccato
da certi attori, potrebbero scoppiare delle gravi ostilità e la fornitura globale di energia essere interrotta.

La libera circolazione, la sicurezza e stabilità dell’Indo-paci co è una condizione necessaria alla prosperità
globale. È quindi nell’interesse della comunità internazionale, a partire dagli USA e UE, la partecipazione ad
operazioni anti-pirateria, soprattutto nello stretto di Hormuz.

DALL’ASIA-PACIFICO ALL’INDO-PACIFICO
La costruzione geogra ca dell’Asia-Paci co rispondeva agli interessi statunitensi, soprattutto, ma anche
giapponesi ed australiani nell’immediato dopoguerra. Ponendo enfasi sulla componente asiatica—assente nella
concezione tradizionale dell’ ‘area del Paci co’—si poteva giusti care la presenza statunitense (ma anche
australiana e neozelandese) proprio nell’area asiatica oltre che nel Paci co, per costruire il sistema di alleanze che
puntava alla risoluzione di certi con itti direttamente nel contesto asiatico.

Nel momento in cui il Giappone si trovò a controbilanciare il progressivo disimpegno statunitense dalla regione,
anche il concetto dell’area venne rielaborato di modo che da ricollegare i due Oceani—appunto Indiano e Paci co
—attraverso lo stretto di Malacca—cruciale in quanto maggiore canale commerciale dell’area.

Ogni paese attribuisce all’Indo-Paci co una valenza diversa:

‣ USA: insieme all’India, gli Stati Uniti vedono in questa riorganizzazione geogra ca uno strumento di coesione tra
le grandi democrazie della regione con il ne di contrastare/contenere l’espansionismo cinese.

‣ Giappone: condivide in parte gli interessi statunitensi ma il suo obiettivo è anche quello di avviare progetti
infrastrutturali, non solo in Asia orientale, ma anche in Africa e nel Medio Oriente. Questi progetti servono gli
scopi economici e di prestigio giapponesi—allo stesso tempo inoltre, comunque, rappresenterebbero
un’alternativa competitiva a quella cinese.

‣ Australia: ha interesse a promuovere la costruzione indo-paci ca in chiave di contenimento anticinese, a causa


del deterioramento delle proprie relazioni con la RPC.

‣ India: l’Indo-Paci co rappresenta un’estensione della ‘Look East policy’. L’India—nonostante le tensioni causate
dalle dispute territoriali con la RPC—adotta una visione e strategia di cooperazione e non di antagonismo, che
chiama ‘Security and Growth for all in the Region’ o SAGAR.

‣ ASEAN: approccio pragmatico, basato principalmente su quattro aspetti: la cooperazione marittima, la


connettività, lo sviluppo sostenibile e l’economia.
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FREE AND OPEN INDO-PACIFIC - FOIP
È un termine utilizzato da Giappone e USA per coordinare i propri sforzi nell’Indo-Paci co, siccome hanno
interessi convergenti, che però di eriscono nell’atteggiamento riguardo la Cina.

Il Giappone (2016) de nisce il FOIP come basato su uno speci co framework valoriale, che non prevede
necessariamente di opporsi a Pechino nel contesto dello sviluppo infrastrutturale o contenere l’ascesa della Cina
in senso più ampio.

Il segretario di Stato statunitense invece si è espresso nel 2017 facendo eco al Giappone, ribadendo l’importanza
della pace, sicurezza, libertà di navigazione e stato di diritto nella regione, però anche ponendo l’enfasi sulla
minaccia cinese agli interessi della comunità internazionale. I nanziamenti della BRI sono de niti esplicitamente
come esempio di un’economia predatoria.

QUADRILATERAL SECURITY DIALOGUE - QUAD


Rappresenta un forum strategico informale di dialogo generale su questioni di sicurezza, senza ni operativi
precisi, anche se promuove la strategia del FOIP.

I membri sono le principali democrazie marittime della regione—USA, Giappone, Australia ed India. USA e
Australia si contrappongo a India e Giappone circa l’atteggiamento assunto nei confronti della RPC—USA-AU
apertamente schierati contro la Cina, India e Giappone più improntati alla collaborazione.

Rimangono però esclusi dal QUAD i paesi dell’ASEAN, che in realtà sono quelli maggiormente esposti
all’assertività cinese come Malesia, Indonesia, Brunei e Filippine e che avrebbero interesse a partecipare a
dialoghi circa la propria sicurezza.
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BELT AND ROAD INITIATIVE - BRI (2013)

Dal punto di vista della politica estera l’obiettivo principale u ciale è quello di instaurare una comunità
interconnessa in ogni ambito di cooperazione: infrastrutture, coordinamento delle politiche, facilitazione del
commercio, integrazione nanziaria e relazioni ‘people 2 people’ nel turismo, cultura, assistenza sanitaria, ecc.

Lo sviluppo di questa iniziativa in ogni sua componente comporterebbe, secondo stime ADB, un fabbisogno di
circa 800 miliardi di dollari, di investimenti per la realizzazione e potenziamento di infrastrutture logistiche e rotte
commerciali (soprattutto ferrovie e porti). Le imprese cinesi a conduzione statale (State Owned Enterprises) hanno
investito in diversi porti di importanza strategica—Rotterdam nel 2016 e Kumport in Turchia nel 2015—ma hanno
anche acquisito nel corso degli anni i diritti operativi di porti importanti come il porto di Haifa in Israele (2015), il
Pireo in Grecia (2016) e di Gwadar in Pakistan (2013).

La BRI si sviluppa via terra con la Silk Road Economic Belt (SREB) e via mare con la Maritime Silk Road of the
21st Century (MSR).

I due principali strumenti nanziari della BRI sono:

- L’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), con sede a Pechino. È stata fondata da 57 membri—tra cui
Russia, India, Brasile, Australia, Corea del Sud, Germania, UK, Francia e Italia—ed è entrata in funzione nel
2016. Eroga investimenti allo sviluppo in generale, ma rappresenta comunque la principale di nanziamenti per
i paesi partner della BRI.

- Il Silk Road Fund: è un fondo di investimento statale del governo cinese istituito a Pechino nel 2014 con un
capitale di 40 miliardi di dollari, ed è gestito dalla People’s Bank of China.

La BRI è nalizzata invece dal punto di vista di politica interna cinese a:

- Bilanciare lo sviluppo economico/le disparità economiche tra province orientali più sviluppate e occidentali
interne cinesi—rimaste arretrate e che rappresentano potenziali minacce alla sicurezza—garantendo quindi la
stabilità politica necessaria al partito per realizzare i propri obiettivi economici fondamentali alla sopravvivenza
del regime.
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- Sostenere un nuovo modello di sviluppo e crescita economica basato su innovazione e consumi, il cosiddetto
New Normal (dal 2014)—per assicurare in primis la sopravvivenza del regime. Ciò signi ca modernizzare
l’industria cinese, ed alleviare attraverso l’esportazione l’eccesso della capacità produttiva cinese, porre enfasi
sulla qualità invece della quantità, ecc.

- Garantire e diversi care le forniture di energia.


Dal 2014 infatti la Cina è diventata il più grande importatore netto di petrolio mondiale, e dipende fortemente
dai paesi dell’Africa e del Medio Oriente. Circa l’80% delle sue importazioni petrolifere devono passare dallo
stretto di Malacca, occupando la Cina con la partecipazione ad operazioni anti-pirateria (Malacca Dilemma).

La Cina dipende eccessivamente dallo Stretto e dalle altre principali linee di comunicazione marittime (SLOC).

La BRI consentirebbe quindi di aggirare lo stretto di Malacca, includere i paesi africani, e allo stesso tempo di
implementare la strategia diplomatica del cosiddetto ‘ lo di perle’—vale a dire coltivare legami diplomatici
strategici nei paesi direttamente a acciati o coinvolti nelle SLOC—come Myanmar, Pakistan, Sri Lanka, e
Gibuti. I progetti infrastrutturali relativi alla fornitura energetica comprendono tra le altre cose un oleodotto tra
Cina e Myanmar, e la realizzazione di un canale che attraversi l’istmo di Kra, in Thailandia.

NB ll dilemma di Malacca comporta anche una risposta di tipo militare. La Cina si è impegnata a
modernizzare ed espandere la PLAN proprio per proteggere i propri interessi economici all’estero.

La BRI è in continua espansione dal punto di vista delle aree geogra che che va a toccare. È sempre più
globalizzata. Ad esempio, include tra le proprie iniziative quella di un nuovo passaggio economico attraverso
l’Artico verso l’Europa, ma anche, crucialmente, un’espansione a livello digitale che comprende lo spazio
cibernetico (la Digital Silk Road).

Allo stesso modo, non è più limitata al raggiungimento di obiettivi economici, ma pone enfasi anche ai problemi di
sicurezza. La BRI è usata come veicolo per l’apertura di basi militari cinesi all’estero nei paesi coinvolti, ad
esempio a Gibuti.

La BRI viene criticata in quanto veicolo di una “debt-trap diplomacy”—di compromissione della sovranità degli
Stati partecipanti al progetto indebitati nei confronti della RPC (soprattutto lo Sri Lanka). La BRI costituirebbe
secondo la visione critica dell’iniziativa uno strumento per realizzare le ambizioni geopolitiche della Cina e non un
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contributo alla riforma dell’ordine economico internazionale in positivo anche nell’interesse del Global South. La
mancanza di trasparenza delle operazioni e accordi cinesi in merito non ha contribuito a screditare queste
accuse. Anzi, ha provocato contro-iniziative sempre più decise da parte dell’India e del Giappone, di denza e
competitività sempre più strutturale e sistemica da parte degli USA—che di conseguenza in uenza in maniera
negativa anche i rapporti con l’UE, ecc.

In parte il Presidente Xi Jinping ha risposto a questa necessità di trasparenza da parte degli investitori esteri, e
quindi promulga una nuova legge sugli investimenti esteri nel 2019.

ALTERNATIVA USA
Premessa: nel 2014 sono terminati i negoziati dell’accordo commerciale di Partenariato Trans-Paci co (Trans-
Paci c Partnership), cui presero parte Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malaysia, Messico, Nuova
Zelanda, Perù, Singapore, Stati Uniti, e Vietnam. Con l’amministrazione Trump gli USA si sono ritirati u cialmente
dal Trattato—che ad oggi non è ancora entrato in vigore.

L’amministrazione Biden invece, per incoraggiare una forma di cooperazione economica a guida statunitense, ha
elaborato una nuova strategia denominata Indo-Paci c Economic Framework for Prosperity.
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MILITARIZZAZIONE E SVILUPPO DELL’INDUSTRIA DELLA DIFESA
L’industria della difesa si sviluppa soprattutto attraverso la produzione ed esportazione di armi.

I ranking del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) dimostrano una crescita quasi ininterrotta
della spesa militare nell’Indo-Paci co dalla ne degli anni Ottanta.

Nel periodo 2016-2020, i maggiori esportatori sono: la Cina, Corea del Sud e l’Australia.
I maggiori importatori, sempre nello stesso periodo, sono invece: l’India, l’Australia e la Cina.

L’obiettivo principale dei paesi che investono nella spesa militare è quello di diventare più autonomi
nell’attuazione di politiche di difesa. I soli paesi autosu cienti sono la RPC, il Giappone, la Corea del Sud e
l’India.

L’autosu cienza militare viene perseguita per i seguenti motivi:

- Sicurezza: garantire un’adeguata difesa del proprio territorio, attraverso un corpo armato proprio e quindi
a dabile e più facilmente controllabile. Fare a damento alle importazioni militari signi ca essere vulnerabili a
coercizione.

Questa è la motivazione che prevale nei paesi dell’Asia Orientale.

- Stimolare lo sviluppo economico ed industriale generale.


Un esempio è il regime di Park Chung-hee in Corea del Sud. Lo nascita e crescita dei settori dell’industria
pesante, navale e cantieristica commerciale ha permesso in un secondo momento lo sviluppo dei settori
siderurgico, automobilistico, e bellico navale.

- L’investimento nell’industria militare contribuisce a sviluppare in un secondo momento anche quello


commerciale. Ad esempio in quasi tutti questi paesi lo sviluppo di programmi aerospaziali militari ha posto una
base per la produzione di aeromobili per il trasporto civile—‘Locomotiva tecnologica’.

- Tecno-nazionalismo
Il termine viene coniato nel 1987 da Robert B. Reich in un articolo per il The Atlantic.
Fa riferimento al fatto che l’autosu cienza militare non viene perseguita solo per garantire la sicurezza
nazionale—integrità territoriale, sicurezza della popolazione, ecc.—ma per raggiungere obiettivi più ambiziosi di
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prestigio nazionale, a nché il paese acquisisca un rango più elevato sul piano internazionale (vd. Bitzinger
2015).

CINA

• La volontà cinese di raggiungere un’autarchia negli armamenti risale al diciannovesimo secolo. La ricerca
dell’autonomia richiese in primo luogo di importare/apprendere le tecniche straniere occidentali di produzione.

• Deng Xiaoping attua delle modernizzazioni in 4 ambiti, l’agricoltura, l’industria, la scienza e tecnologia, e la
difesa militare—la modernizzazione e il raggiungimento di un’autosu cienza militare costituiva una necessità
particolarmente urgente a causa dell’embargo sulle armi imposto dagli USA e UE in risposta alle violente
repressioni governative come quella di Piazza Tiananmen.

• Xi Jinping si pone l’obiettivo—che dal 2014 è espressamente designato come parte della strategia nazionale—
di trasformare il PLA in un esercito di liberazione mondiale. Allo sforzo per il perseguimento degli obiettivi
militari, prioritari per il regime, partecipano anche i civili (fusione militare-civile, lo sforzo militare è uno sforzo
nazionale).

GIAPPONE

Nonostante il dibattito pubblico sia fortemente impegnato nelle questioni di


difesa e sicurezza—a partire dalla responsabilità storica del Giappone—il
paese si è progressivamente svincolato dal proprio divieto “virtuale” relativo
all’export di armi.

Il riarmo e re-militarizzazione giapponesi si articolano in tre fasi.

• 1945-1967

‣ Le forze di occupazione statunitensi si impegnano in un primo momento a


smantellare l’industria degli armamenti giapponese—con l’emergere delle
tensioni della Guerra Fredda e lo scoppio della Guerra di Corea però questo
obiettivo viene rivisto e lo smantellamento sospeso.

‣ Fin da subito, nonostante l’imposizione di una costituzione paci sta e del


divieto di mantenere un esercito, il governo giapponese fa in modo di
ripristinare l’apparato di difesa nazionale.

‣ Nel 1948 viene istituita la Guardia Costiera giapponese.

La copertina del Giugno 2016 di Sekai. ‣ Nel 1954 viene promulgata una legge che istituisce la Forze di Autodifesa
“Do you want to become a merchant Nazionale “per proteggere la pace e l’indipendenza” del paese e provvedere
nation of death?” al “mantenimento dell’ordine pubblico”.
La rivista ha parlato dei cambiamenti
‣ Il personale militare giapponese viene coinvolto direttamente negli a ari
apportati alla regolamentazione delle
internazionali già a partire dalla Guerra di Corea. Ad esempio, il personale
esportazioni di armi dall’amministrazione
Abe a partire dal 2012. della Guardia Costiera giapponese partecipa—segretamente—ad operazioni
di sminamento durante la Guerra di Corea.

‣ La Dottrina Yoshida prevedeva un contenimento della spesa militare in funzione del mantenimento di una
minima capacità di autodifesa, ma la priorità dell’amministrazione Yoshida rimaneva la ricostruzione, lo
sviluppo, e la crescita economica. La sicurezza del Giappone veniva delegata agli USA come previsto nel
Trattato di mutua sicurezza. La Dottrina si focalizza sullo sviluppo di buone relazioni diplomatiche per
favorire la crescita economica del paese, assicurandosi approvvigionamenti e sbocchi per le proprie merci
all’estero.

Per questo motivo tra gli anni Cinquanta e Sessanta l’export giapponese di armi è relativamente contenuto.
Esporta soprattutto armi leggere, per la maggior parte verso i paesi del SEA e alle truppe statunitensi
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stazionate nella regione.

‣ Le questioni del riarmo e dello sviluppo di un’industria autoctona di difesa rimangono estremamente
polarizzanti all’interno del Sistema 1955 e provocano delle spaccature interne al partito.

• 1967-2014:

‣ In questo periodo la politica restrittiva sulle export di armi viene progressivamente istituzionalizzata.

‣ Nel 1967 il primo ministro Satō Eisaku (1964-1972) proclama i tre principi di Satō—letteralmente i ‘Tre
principi sull’esportazione di armi’ o buki yushutsu san-gensoku—secondo i quali il Giappone non avrebbe
esportato armi ai paesi del blocco comunista, ai paesi soggetti ad embargo ONU, e ai paesi impegnati in
con itti internazionali.

‣ In seguito alla crisi petrolifera del 1973, i rappresentanti dell’industria della difesa fanno pressione per poter
esportare armi agli stati arabi in cambio di petrodollari.

‣ Nel 1976 il primo ministro Miki Takeo ribadisce che il Giappone si sarebbe attenuto ai 3 principi di Satō e in
più dichiara un divieto generalizzato—più che altro un “astensione”—all’esportazione di armi da parte del
Giappone, indipendentemente dal paese di destinazione.

‣ Il Giappone ha osservato questo divieto no all’Aprile 2014. Il SIPRI riporta che, coerentemente a queste
politiche, la quota giapponese nel mercato globale delle armi si è mantenuta inferiore allo 0,13%, per il
periodo che va dal 1981 al 2011.

‣ Questi vincoli avevano precluso opportunità di crescita all’industria di difesa giapponese, che era costretta a
produrre quasi esclusivamente per le forze di autodifesa nazionali.

Quello delle armi era un settore chiuso ed estremamente protetto. Alle società giapponesi, cui veniva negata
la partecipazione al commercio internazionale, venivano preclusi i vantaggi derivanti dalle economie di scala
e dalle partnership con aziende straniere che avrebbero consentito una condivisione del rischio d’impresa.
Competere a livello internazionale con aziende straniere avrebbe permesso all’industria di innovarsi ed
aumentare la propria e cienza abbassando i costi di produzione.

Inoltre, alla spesa per la difesa nazionale venne imposto un tetto massimo dell’1% del PIL. Le aziende
giapponesi producevano quindi per un solo acquirente—molto poco attivo—a costi di produzione elevati e
margini di pro tto estremamente ridotti.

A rimetterci maggiormente erano le piccole medie imprese specializzate in tecnologie di nicchia del settore,
che si occupavano di rifornire i grandi conglomerati—come Mitsubishi Heavy Industries e Kawasaki Heavy
Industries—all’interno di catene di produzione verticalmente integrate.

Nel corso degli anni Novanta quindi i rappresentanti della comunità industriale della difesa—attraverso
l’operato della federazione Keidanren - Japan Business Federation—cercano di sollecitare dei cambiamenti
sostanziali delle politiche relative alla produzione e all’export di armamenti di Satō e Takeo.

‣ 2009-2012

Il partito democratico DPJ al governo era interessato ad allentare il divieto sull’export tanto quanto l’LDP.
Infatti a lungo termine questo divieto avrebbe potuto causare un declino della capacità industriale
giapponese. Inoltre il Giappone si era impegnato a produrre, congiuntamente con gli USA, attrezzature di
difesa missilistica da dispiegare in Europa. Gli USA fanno molta pressione sul Giappone per evitare ritardi
nella produzione.

Nel Dicembre 2011 il primo ministro Yoshihiko Noda dichiara di autorizzare l’export di armamenti, purché
rappresenti un “contributo alla pace e cooperazione internazionale”—incluse le missioni internazionali di
pace, operazioni di soccorso e antiterroristiche—e quando si tratta di “sviluppo e produzione congiunta di
attrezzature per la difesa […] che contribuiscono alla sicurezza del Giappone”.
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‣ 2010-2014

- La strategia di sicurezza nazionale dell’amministrazione Abe del 2013 riconosce che si sono venute a
creare certe problematiche/s de in materia di sicurezza nazionale e che il contesto geo-strategico in cui è
collocato il Giappone si presenta come più complesso. L’export di armi per Abe rappresenta un mezzo
chiave per ra orzare la posizione del Giappone e portarlo a svolgere un ruolo più attivo sul piano
internazionale.

La linea di pensiero di Abe è un esempio di tecno-nazionalismo.

- Nell’Aprile del 2014 il governo LDP annulla u cialmente il divieto all’esportazione di armi e proclama i
nuovi “Tre principi sul trasferimento di attrezzature e tecnologie per la difesa”.

“Based on the Three Principles on Transfer of Defense Equipment and Technology, the Ministry of Defense and Self-
Defense Forces, in addition to contributing even more to peace contribution and international cooperation, will also
actively cooperate with Japan’s ally the United States and other countries in the area of defense equipment and
technologies, and more proactively advance the measures required to maintain regional peace and stability and
ensure Japan’s defense.” (MOD 2014)

La terminologia usata per indicare le armi—come attrezzature e tecnologie per la difesa—e il numero dei
principi che richiama le precedenti iniziative paci che sono scelte retoriche e ettuate per ridurre l’impatto
sull’opinione pubblica.

- L’esportazione rimane comunque vietata a se comporta una violazione di obblighi previsti da trattati
conclusi dal Giappone, se contraria a risoluzioni ONU, se verso paesi coinvolti in con itti o sotto sanzioni/
embargo internazionali da parte dell’ONU.

È permessa se promuove la partecipazione giapponese al mantenimento della pace e se promuove la


cooperazione internazionale.

- La vendita di armi viene utilizzata ancora una volta come strumento di politica estera. La strategia di Abe,
denominata ‘Pivot in Asia’, prevede di instaurare relazioni più strette in materia di sicurezza—che poi
possono essere consolidate anche in altri ambiti—con l’Australia, India, Filippine, Vietnam, Indonesia,
Tailandia, Malaysia, e l’Europa. Il Giappone così può guadagnare nuovi partner di dialogo in materia,
diversi dagli USA.

Ad esempio, il Giappone sta collaborando con l’Italia e il Regno Unito alla produzione di un nuovo modello
di caccia di sesta generazione.

- L’impulso maggiore allo sviluppo dell’industria della difesa è arrivato quindi dall’alto—e non direttamente
dalle aziende—a causa di esigenze strategiche di sicurezza portate dal cambiamento degli equilibri
geopolitici nella regione, l’aumento generale della spesa militare da parte di tutti gli attori coinvolti, e della
mancanza di competitività internazionale dell’industria della difesa giapponese.

Dal punto di vista delle teorie delle relazioni internazionali

Costruttivismo sociale: il perdurare del divieto dell’export sulle armi conferma la resilienza delle istituzioni antimilitariste del Paese
(Katzenstein 1996);

Realismo tradizionale e neoclassico: la progressiva deregolamentazione sull’export di armi segna la transizione del Giappone verso la
normalizzazione del suo status (Hughes 2017);

Costruttivismo (più recente): entrambe le tesi sono incomplete perché il Giappone si è mosso verso l’assunzione di un ruolo maggiore nelle
questioni di sicurezza e difesa nello scenario internazionale seppur sempre vincolato da norme e principi antimilitaristi (Oros 2017);

Prospettiva tecno-nazionalista: Da un lato, la tecnologia dual-use giapponese e l’industria della difesa hanno fornito al Giappone un certo
grado di autonomia nei confronti dell’alleato USA. Dall’altro lato, il Giappone ha rappresentato una base strategica in cui installare nuove
tecnologie di difesa americane (Green 1995; Hughes 2011).
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LE DISPUTE TERRITORIALI IN ASIA ORIENTALE
Se tra il 2000 e il 2012 i rapporti tra Cina e USA e Cina e SEA raggiungono un picco di positività, con l’ascesa di
Xi Jinping si ha un graduale ra reddamento nelle interazioni—coerentemente con la strategia della leadership
cinese di rinnovata assertività nella difesa dei propri interessi nazionali e una nuova volontà di riformare il sistema
internazionale in funzione dell’ascesa della RPC. La competizione strategica con gli USA si è gradualmente
estesa ad ogni ambito, non solo quello commerciale-tecnologico, ma militare, ideologico, ecc. e anche i rapporti
con l’UE sono deteriorati di conseguenza.

Xi Jinping continua—per quanto possibile—a voler rassicurare le altre potenze circa il ruolo crescente svolto dalla
Cina, per acquisire maggiore consenso internazionale. La RPC si propone come partner internazionale
‘responsabile’ in alcuni ambiti chiave di governance globale, implementa la diplomazia dei vaccini, collabora in
sede di discussione circa la lotta al cambiamento climatico, lancia l’iniziativa della BRI per richiamare esperienze
storiche di cooperazione economica reciprocamente vantaggiosa win-win (Via della Seta) ed emana la nuova
legge sugli investimenti del 2019 per accomodare le richieste delle aziende straniere di maggiore trasparenza.

Tuttavia, la condotta adottata nel Mar Cinese Meridionale e Orientale è costituita da atti unilaterali di aggressione
nei confronti dei paesi che hanno rivendicazioni territoriali nella regione, anche attraverso la realizzazione di
isolotti arti ciali su cui sviluppare basi militari. La militarizzazione crescente è accompagnata da dimostrazioni di
nazionalismo da parte cinese, e richieste al governo di adottare un approccio intransigente.

L’EREDITÀ IRRISOLTA DEL TRATTATO DI SAN FRANCISCO

Il Trattato di San Francisco è un trattato di pace rmato tra il Giappone e le potenze alleate dopo la
conclusione della seconda guerra mondiale. L'8 settembre 1951 si tenne una conferenza di pace a San
Francisco, negli Stati Uniti, e il trattato fu rmato dal Giappone e da altri quarantotto paesi. L'entrata in
vigore di questo trattato, il 28 aprile 1952, permise al Giappone di restaurare la propria sovranità
ponendo ne al protettorato statunitense sull’arcipelago.
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Il Trattato aveva anche lo scopo di determinare il futuro dei
territori colonizzati dal Giappone, e ha contribuito
signi cativamente a plasmare l’ordine internazionale
regionale nel dopoguerra.

All’articolo 2 il Giappone rinuncia u cialmente a tutti i suoi


diritti e rivendicazioni territoriali in Corea, Taiwan, delle isole
Pescadores, Curili, di Sachalin, del Paci co, dell’Antartico,
delle isole Spratly e Paracelso.

Il Trattato però non speci ca chi detenga e ettivamente la


sovranità di questi territori, che rimane indeterminata. In
particolare, non fa riferimento al trasferimento delle isole
Curili e di Sachalin meridionali alla Russia—negoziato in
occasione della Conferenza di Yalta del 1945—o alla
cessione di alcune delle isole Spratly dal Giappone alla
Malesia sempre nel 1945. Questa omissione è utilizzata
anche per rivendicare il diritto di autodeterminazione di
Taiwan da parte dei movimenti indipendentisti.

Il Trattato inoltre non si pronuncia circa le dispute territoriali


di Dokdo/Takeshima e delle isole Senkaku/Diaoyu, la
divisione della penisola coreana, e lo status del territorio di
Okinawa.

Alla negoziazione del Trattato non parteciparono


crucialmente i paesi maggiormente coinvolti, come la Cina,
Taiwan, Vietnam, Malesia, Filippine, e Brunei.

Le prime bozze del Trattato ri ettevano


gli accordi che erano stati raggiunti in
occasione delle varie conferenze, in
maniera molto dettagliata e e nello
spirito di cooperazione e convivenza
paci ca.

Senonché con lo scoppio della Guerra


di Corea e il consolidarsi delle
dinamiche della Guerra Fredda, la
strategia statunitense cambia di modo
da in uenzare i termini di pace e il
ruolo che il Giappone avrebbe dovuto
svolgere nella regione. Il testo nale del
Trattato rmato nel 1951 è quindi molto
diverso dalle versioni precedenti.

Il Giappone e le Filippine sarebbero rientrate all’interno del ‘perimetro difensivo’ impostato dal
Segretario di Stato statunitense Dean Acheson—tramite l’Acheson Declaration del 12 Gennaio 1950—
che con lo scoppio della Guerra di Corea si sarebbe esteso no al 38° parallelo ed oltre lo Stretto di
Taiwan e le isole Spratly e Paracelso, rimarcando la presenza statunitense nell’area con lo scopo di
prevenire una potenziale escalation dei con itti.
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MAR CINESE MERIDIONALE - MCM
Il MCM contiene più di 750 isolotti—di cui 48 occupati da forze militari vietnamite, cinesi, taiwanesi,
malesi e lippine. Vi si trovano ampi giacimenti di riserve di petrolio—23 miliardi di tonnellate/ no ai 130
miliardi di barili—e di gas—7,5 trilioni di metri cubi—e risorse ittiche—dal MCM proviene il 10% del
pescato totale mondiale. In più si trova in una posizione geogra ca strategica, fra lo stretto di Taiwan a
Nord e quello di Malacca a Sud—passano per il MCM più della metà del tra co mondiale di
superpetroliere e un terzo della otta mercantile globale.

I territori rivendicati sono le isole Paracelso—inclusa la Bombay Reef—le isole Spratly, la secca di
Scarborough, e l’isola Pratas.

Prima della seconda guerra mondiale i paesi che avevano pretese nel MCM erano la Cina, il Giappone, e
la Francia. I paesi decolonizzati nel dopoguerra estendono a loro le proprie rivendicazioni, contribuendo
a modi care le linee di frontiera nel corso della Guerra Fredda.

I paesi coinvolti attualmente sono la Cina, Taiwan, le Filippine, il Vietnam, Malesia, Brunei, ed
indirettamente il Giappone, l’India e gli USA, attraverso le freedom of navigation operations.

Il possesso di questi territori è fondamentale per poter espandere le proprie Zone Economiche Esclusive
come da UNCLOS—ottenendo quindi i diritti esclusivi di sfruttamento delle risorse dell’area—e per
costruire basi militari per poter limitare, all’occorrenza, l’accesso strategico al MCM e difendere le
proprie pretese territoriali.

RIVENDICAZIONI DELLA CINA


La RPC sostiene che la Cina sia stato il primo paese a scoprire e dare un nome alle isole del MCM o 南
海・ Mare del Sud (nanhai), a svilupparle ed utilizzarle. In particolare sostiene che la Cina abbia
esercitato giurisdizione politica sulle Spratly a partire dalla dinastia Yuan (1271-1368), e che pescatori
cinesi utilizzassero le isole durante il periodo della dinastia Ming (1368-1644).

La zona attualmente rivendicata dalla Cina è contrassegnata dalla cosiddetta ‘Linea a nove tratti’ o
Nine-dash line, che racchiude l’80% del MCM. In realtà la prima linea di demarcazione contava 11 tratti,
e fu tracciata per la prima volta dalla Repubblica di Cina nel 1947, prima della rivoluzione cinese.
U cialmente Taiwan quindi rivendica gli stessi territori della RPC.

La natura delle rivendicazioni


cinesi non è chiara—se si tratti
di pretese di sovranità piena
sul fondale, se reclami solo
diritti di pesca o navigazione.

Il territorio marittimo reclamato


dalla Cina va però a
sovrapporsi alle Zone
Economiche Esclusive (ZEE)
dichiarate dagli altri paesi del
SEA in conformità con
l’UNCLOS.

Secondo l’UNCLOS all’art. 13,


scogliere e a oramenti di
bassa marea non danno diritto
a un mare territoriale di 12
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miglia nautiche né a una ZEE; le rocce, intese come elementi permanentemente sopra l'acqua ma
incapaci di sostenere attività umane o economiche, hanno diritto ad avere un mare territoriale, ma non
una ZEE; le isole invece—in quanto adatte a condurre attività di sostentamento, e quindi, abitabili/
occupabili—hanno diritto ad un mare territoriale, ZEE, e all’istituzione di uno spazio aereo
sovrastante. L’UNCLOS non fa di erenza tra isole naturali e arti ciali.

Cina, Filippine e Vietnam mantengono piccoli avamposti civili nel MCM per legittimare le loro
rivendicazioni—e scoraggiare le azioni militari delle altre parti coinvolte. A partire dal 2013 la Cina ha
costruito strutture portuali, edi ci ad uso militare, piste di atterraggio, e nuovi isolotti arti ciali per
ra orzare le proprie pretese di sovranità, distruggendo diverse barriere coralline e provocando danni
all’ecosistema marino circostante. Nell’autunno del 2017 Pechino ha creato più di 3.200 acri di terreno.

Il controllo e ettivo delle isole Spratly è quindi frammentato.

La RPC si è scontrata in diverse occasioni


con il Vietnam—1974, 1988 e 2011—e le
Filippine—nel 1995.

Il Vietnam rivendica le isole perché


storicamente utilizzate dai propri pescatori,
e formalmente acquisite durante il periodo
coloniale sotto la Francia.

Le rivendicazioni territoriali della Malesia


includono alcune delle isole Spratly—le
stesse su cui anche il Vietnam ha pretesa territoriale.
La Malesia ha presentato reclamo presso la Commissione ONU per i limiti della piattaforma continentale
(Commission on the Limits of the Continental Shelf - CLCS) congiuntamente al Vietnam, nel 2009.

Il Brunei rivendica a sua volta parte delle Spratly—sempre attraverso il principio della piattaforma
continentale—che contende con la Malesia.
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Le pretese territoriali delle Filippine vanno a
sovrapporsi in parte a quelle cinesi, malesi,
vietnamite e del Brunei.

La zona delimitata dalla linea dei nove tratti si


sovrappone, inoltre, alle acque territoriali
indonesiane—l’Indonesia infatti esercita la
propria sovranità sull'arcipelago delle isole
Natuna. Non rivendica ulteriori territori nel
MCM.

Singapore non presenta nessun reclamo


territoriale, ma è nel suo interesse che
nessuna potenza regionale sia in grado di
controllare ed impedire unilateralmente
l’accesso al MCM, data la criticità delle rotte
marittime commerciali che l’attraversano.

L’ASEAN ha ottenuto di trattare con la RPC di


modo da prevenire potenziali con itti,
ottenendo la stesura della Dichiarazione
dell’ASEAN sul Mar Cinese Meridionale del
1992, della Dichiarazione ASEAN-Cina sulla
condotta delle parti nel MCM del 2002 (DOC),
e di Linee Guida per l’attuazione della DOC
nel 2011.

Gli USA invece sono intervenuti nella regione e ettuando le FONOP, o Freedom Of Navigation
Operations. Durante queste operazioni, le navi statunitensi e alleate attraversano la parte di MCM che la
Cina considera come proprie acque territoriali, e gli USA come acque internazionali—al ne di
contestare apertamente le rivendicazioni territoriali cinesi.

USA e RPC interpretano il principio di libertà di navigazione dell’UNCLOS in maniera di erente:

- Per gli USA, le navi militari sono libere di svolgere qualsiasi attività nelle ZEE e godono del diritto di
passaggio ino ensivo nel mare territoriale di uno Stato costiero;

- Secondo la Cina l’UNCLOS non consente alcun tipo di attività militare nelle ZEE e ritiene che il diritto
al passaggio in o ensivo in acque territoriali richieda comunque una preventiva approvazione da parte
dello Stato costiero.

NB Gli USA hanno rmato l’UNCLOS nel 1994, senza tuttavia mai rati care la Convenzione a causa
della ripetuta opposizione dei senatori ultra-conservatori che hanno più volte impedito che la rati ca
fosse discussa e votata al Senato. Secondo l’estrema destra, l’adesione all’UNCLOS cederebbe
parte della sovranità USA alle organizzazioni internazionali. L’ultima amministrazione a tentare di
ottenere l’approvazione dei due-terzi del Senato è stata quella di Obama, nel 2012, senza successo.

Nel 2016 la Corte Permanente di Arbitrato si è pronunciata all’unanimità circa la causa arbitrale avviata
nel 2013 contro la Cina dalle Filippine a causa dei diversi scontri con la marina cinese, concludendo che
le rivendicazioni cinesi basate sulla ‘linea dei nove tratti’ sono giuridicamente infondate e invalide ai
sensi del diritto internazionale. Ciononostante la Cina ha continuato a portare avanti i propri progetti di
costruzione e sviluppo militare nell’area, e ha invocato la nullità del lodo arbitrale—Pechino non lo
accetta né lo riconosce come vincolante.
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L’IMPORTANZA DI TAIWAN - LA STRATEGIA DELLA CATENA DI ISOLE
Come strategia, la cosiddetta Island Chain Strategy venne introdotta per la prima volta dagli USA
durante la guerra fredda in funzione del contenimento dell’URSS.
Per gli USA rappresenta una proiezione delle proprie forze armate in Asia orientale, mentre la Cina in
modo speculare considera il controllo della catena di isole come fondamentale alla propria sicurezza.

Per entrambi gli attori, Taiwan è essenziale al controllo della prima catena di isole e quindi delle
principali rotte marittime dell’Asia Orientale. Se la Cina potesse assumerne il controllo, potrebbe
rivaleggiare con gli USA come potenza militare marittima.

La prima catena parte dalle Isole Curili, passa per l’Arcipelago giapponese, Okinawa, Taiwan, la parte
settentrionale dell’arcipelago lippino, e arriva no alla penisola malese.

La seconda catena di isole è composta dalla restante parte di arcipelago giapponese e si estende no a
Guam e alla Micronesia-
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MAR CINESE ORIENTALE - MCO

LE ISOLE SENKAKU/DIAOYU
La disputa riguarda la sovrapposizione delle Zone Economiche Esclusive e delle Zone di Identi cazione
Aeree cinesi e giapponesi. Le isole Senkaku/Diaoyu si trovano all’interno dell’area contesa, a 330km
dalla Cina e a 170km da Okinawa—sono attualmente sotto amministrazione giapponese come parte
della prefettura di Okinawa.

Il Giappone esercita il controllo sulle isole—che sono completamente disabitate—a partire dal 1895,
sebbene le Senkaku non fossero menzionate nel Trattato di Shimonoseki. Non vengono citate nemmeno
nel Trattato di San Francisco, lasciandone la sovranità indeterminata. Sia la Cina che Taiwan ne hanno
rivendicato la proprietà.

Il Giappone insiste per determinare l’estensione della propria ZEE tracciandone il con ne lungo la linea
di mediana tra Cina e Giappone, mentre la Cina pretende di estendere la propria ZEE no alle 200 miglia
nautiche previste dall’UNCLOS.

Nel novembre del 2013 la Cina ha deciso di istituire unilateralmente una zona di identi cazione di difesa
aerea sopra le isole, che si sovrappone completamente a quella istituita dal Giappone nel 1968, e che
ingloberebbe anche parte dell’ADIZ sudcoreana.

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TAKESHIMA/DOKDO
Si tratta di due piccoli isolotti che si trovano all'incirca a metà strada tra Giappone—155 miglia nautiche
dalla costa—e Corea del Sud—134 miglia nautiche dalla terraferma—caratterizzati dalla presenza di
risorse ittiche e di possibili giacimenti di gas.

Attualmente sono amministrate da Seoul come parte della provincia di Kyeongsang settentrionale, sulla
base del Trattato di San Francisco del 1951—che non si esprime sull’appartenenza delle isole—e che
restituirebbe quindi implicitamente, secondo Seoul, le isole alla Corea del Sud.
Tokyo invece considera l’amministrazione formale sudcoreana come un’occupazione illegale e rivendica
la sovranità di Takeshima. I coreani si oppongono e vedono Dokdo come un simbolo dell'invasione
coloniale giapponese.

Nel 1952 Yi Syngman dichiara la Peace Line di delimitazione di sovranità marittima sudcoreana—poi
abolita—che comprendeva Dokdo. Nel 1954 la Corea del Sud vi costruì un faro.

L’accordo di normalizzazione dei rapporti con il Giappone del 1965 non fa riferimento alla questione.

Il Giappone annulla l'accordo di pesca rmato nel 1965 con la Corea del Sud durante la crisi nanziaria
asiatica del 1997.

Nel 2005 la prefettura di Shimane designa il "Giorno di Takeshima" innescando una dura reazione
sudcoreana.

ll presidente sudcoreano Lee Myung-bak ha visitato gli isolotti il 10 agosto 2012 (prima visita
presidenziale).

Il 21 agosto 2012 il Giappone ha proposto u cialmente di deferire la controversia alla Corte


Internazionale di Giustizia. La Corea del Sud ha ri utato la proposta del Giappone subito 9 giorni dopo,
il 30 di Agosto.
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IL NAZIONALISMO NELLE DISPUTE TERRITORIALI
Le controversie territoriali e marittime hanno contribuito a causare diverse espressioni di nazionalismo in
alcuni paesi asiatici.

CINA VS GIAPPONE
Nell’estate 2012 le autorità giapponesi hanno arrestato e deportato un gruppo di attivisti con sede a
Hong Kong che tentavano di sbarcare sulle isole Senkaku/Diaoyu, rivendicate sia dal Giappone sia dalla
Cina. In risposta agli arresti, la popolazione cinese è esplosa in proteste contro il Giappone. In seguito il
Giappone ha acquistato 3 degli isolotti contesi nel MCO da una famiglia privata giapponese,
nazionalizzando le isole e causando un’ulteriore ondata di proteste. Le proteste non sono state represse
dalla leadership cinese, anzi, si sono tenute nelle maggiori metropoli cinesi. Se ne può dedurre come
espressioni di forte nazionalismo siano quindi permesse o addirittura avallate dal governo della RPC—
coerentemente con gli obiettivi nazionali.

“Long gone are the days when the Chinese nation was subject to bullying and humiliation from others.
The Chinese government will not sit idly by watching its territorial sovereignty being infringed upon.”
(China’s Ministry of Foreign A airs, 2012)

VIETNAM VS CINA
La costruzione di una piattaforma petrolifera cinese nelle acque rivendicate dal Vietnam come parte
della propria ZEE hanno causato nel Maggio 2014 varie proteste anticinesi. Da manifestazioni di
nazionalismo inizialmente paci che, perché organizzate dai netizen vietnamiti principalmente su
Facebook, sono rapidamente sfociate nella violenza. I manifestanti hanno dato fuoco a centinaia di
aziende e fabbriche presumibilmente di proprietà cinese, incluso un sito di un'acciaieria taiwanese,
prima dell'intervento delle autorità vietnamite.
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