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SEMINARI
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ROMANI DI CULTURA GRECA
X, 2 - 2007
Edizioni Quasar
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Questa pubblicazione è stampata con i contributi del Dipartimento di
Filologia greca e latina dell’Università di Roma «La Sapienza» e del
Dipartimento di Antichità e tradizione classica dell’Università di Roma
«Tor Vergata»
© Roma 2008, Edizioni Quasar di Severino Tognon srl, via Ajaccio 41-43,
I-00198 Roma; tel. 0684241993, fax 0685833591, email qn@edizioniquasar.it
ISSN 1129-5953
Finito di stampare nel mese di gennaio 2009 presso la Arti grafiche La Moderna, via di Tor Cervara 171 - Roma
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GIULIo CoLESANTI
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in positivo: l’ ajgaqov" in negativo: l’ ajgaqov"
~ non deve essere sleale verso l’amico [piv-
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~ deve possedere la virtù [ajrethv] e pratica-
re il bene (315-318, 465-466, 573-574, 789-792, sti~] (407-408, 529-530, 599-602, 1151-1152),
865-868), ~ non deve idarsi troppo (283-286),
~ deve essere retto (1025-1026) e spronare gli ~ non deve imbrogliare (1037-1038),
altri alla rettitudine (303-304), ~ non deve mancare di rispetto agli dèi [euj-
~ deve avere una vera buona fama (571-572, sevbeia] (1195-1196),
1104a-b), ~ non deve mancare di onorare il padre (271-
~ deve essere giusto [divkaio"] (465, 547-548, 278),
793-794, 1121), ~ non deve essere tracotante (153-154, 603-
~ deve essere leale e fedele verso l’amico 604, 605-606, 693-694, 833-836),
[pistov"] (vv. 73-74, 75-76, 77-78, 87-90, 95- ~ non deve aspirare all’impossibile (461-
96, 97-100, 113-114, 119-128, 323-328, 415-418, 462),
529-530, 869-872, 979-982, 1082c-f+1083-1084, ~ non deve biasimare né lodare il vicino, ma
1151-1152, 1164a-d, 1164e-h), avere misura in tutte le cose (611-614, 615-
~ deve possedere saggezza [sofov"] (789-792, 616),
933-938, 1159-1160, 1171-1176), ~ non deve parlare troppo (421-424),
~ deve essere rispettoso degli dèi e supplice ~ non deve essere precipitoso, ma rilessivo
verso di loro [eujsebhv"] (171-172, 1143-1144, (1049-1054),
1178a-b, 1195-1196), ~ non deve essere irascibile, ma controlllato
~ deve essere ricco [plouvsio"] (523-526, 649- (1223-1224),
652, 928), soprattutto secondo giustizia e onestà ~ non deve frequentare i kakoiv (305-308,
(197-208, 227-232, 466, 753-756), 1169-1170),
~ deve avere pudore (83-86, 635-636, 647- ~ non deve mescolare il proprio sangue con
648), quello di un kakov" in un matrimonio misto
~ deve essere rilessivo prima di parlare [eujgevneia] (193-196, 1109-1114),
(633-634), ~ non deve fare del bene ai kakoiv (955-956),
~ deve essere controllato e non irascibile ~ non deve essere come i kakoiv che ignorano
(365-366), la gratitudine (853-854, 957-958, 1038a-b).
~ deve saper sopportare le sofferenze senza
manifestare il male che lo opprime (441-446,
1029-1036, 1162a-f),
~ deve saper accettare il bene e il male che
danno gli dèi (555-560, 591-594, 657-666, 1029-
1036, 1178a-b),
~ deve essere pronto ad adattarsi a tutti
come un polipo (213-218, 309-312),
~ deve essere capace di cogliere l’attimo pro-
pizio nelle vicende umane (401-406),
~ deve saper serbare gratitudine a chi gli ha
fatto del bene (1095-1096, 1160b),
~ deve vendicarsi delle offese subite (363-
364, 1247-1248),
~ deve sapersi comportare con gli amici e i
nemici (869-872).
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o a cui si presentano anche semplici rilessioni. Gli insegnamento destinati a
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Cirno sono sostanzialmente identici a quelli prima citati.
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(Testo 2) Precetti (impliciti e espliciti) su come essere ajgaqov", rivolti a Cirno
in positivo: in negativo:
~ deve essere virtuoso (149-150), ~ non deve conseguire onori e successi in
~ deve praticare il bene (1027-1028), modo disonesto (27-38),
~ deve essere idato e fedele verso l’amico ~ non deve essere sleale verso l’amico (811-
(77-78, 91-92, 119-128, 323-328), 814),
~ deve idarsi di pochi uomini (75-76, 79- ~ non deve vantarsi (129-130),
82), ~ non deve ingannare un ospite o un suppli-
~ deve possedere saggezza (411-412, 895- ce (143-144),
896, 1171-1176), ~ non deve essere povero (173-178, 179-180,
~ deve essere circospetto (117-118), 181-182),
~ deve rispettare gli dèi (145, 329-330, 1179- ~ non deve arricchirsi in modo ingiusto
1182), (145-148),
~ deve avere pudore (409-410), ~ non deve essere tracotante (151-152, 541-
~ deve essere pronto ad adattarsi a tutti 542, 1103-1104),
come un polipo (1071-1074), ~ non deve mescolare il proprio sangue con
~ deve onorare il padre e la madre (131-132, quello di un kakov" in un matrimonio misto
821-822), (183-192, 1109-1114),
~ deve essere moderato e seguire il giusto ~ non deve frequentare i kakoiv (53-68),
mezzo (219-220, 331-332, 335-336), ~ non deve consigliarsi con un uomo kakov"
~ deve saper accettare il bene e il male che (69-72),
danno gli dèi (133-142, 319-322, 355-360), ~ non deve amare i kakoiv né far loro del bene
~ deve sapersi comportare con gli amici e i (101-112),
nemici (337-340), ~ non deve essere amico di un esule (333-
~ deve vendicarsi delle offese subite (361- 334),
362). ~ non deve imbrogliare (1037-1038),
~ non deve compiere azioni vergognose
(1177-1178).
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ma esplicitamente che ajgaqov" non si nasce, ma si diventa, appunto tramite la
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ricezione dell’insegnamento etico e la frequentazione degli ajgaqoiv/ejsqloiv; e il
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corpus precisa parimenti che un uomo può invece diventare kakov" se frequen-
ta i kakoiv/deiloiv e impara da loro il comportamento sbagliato.
Ecco in proposito quanto dice l’elegia 27-38, rivolta al giovane Cirno: «ti
consiglierò» – dice chi parla – «le cose che io stesso, da giovane, h o a p -
p r e s o (e[maqon) dagli ajgaqoiv;v ... non frequentare gli uomini kakoiv, ma tien-
ti sempre stretto agli ajgaqoiv; dagli ejsqloiv infatti i m p a r e r a i (maqhvseai)
cose valide (ejsqlav), se invece ti mischi ai kakoiv, perderai anche il senno che
ora possiedi. Sapendo ciò, frequenta gli ajgaqoiv ...». I vv. 1049-1050, rivolti a un
destinatario non meglio precisato, insistono anch’essi sull’importanza dell’in-
segnamento: «io, come un padre a un iglio, ti consiglierò cose valide (ejsqlav);
tu accoglile nell’animo e nel cuore». L’elegia 563-566, rivolta anch’essa a un
destinatario generico, precisa la stessa cosa: «quando sei invitato a un convito,
devi sedere vicino a un uomo ejsqlov" che conosce ogni sofivh. Ascoltalo, quan-
do dice qualcosa di saggio, p e r e s s e r n e a m m a e s t r a t o (o[fra
didacqh/'") e tornartene a casa con questo proitto».
L’elegia 305-308 afferma che «i kakoiv non sono nati completamente kakoiv dal
ventre materno, ma dopo aver stretto amicizia con uomini kakoiv h a n n o a p -
p r e s o (e[maqon) azioni vili (e[rga ... deilav) e parole empie e tracotanza, credendo
che quelli [scil. i kakoiv] dicano tutte cose vere». Ancora, l’elegia 1169-1170 precisa
che dalla frequentazione dei kakoiv (la kacetairivh) derivano cose cattive (kakav).
Nel corpus, inoltre, vi sono anche elegie che contengono insegnamenti etici
di tipo simposiale, sul corretto comportamento da osservare a simposio; an-
che questi possono essere presentati in modo esplicito o implicito, in positivo
o in negativo, ma si riducono a ben poche prescrizioni.
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in positivo o in negativo. Due soli di essi si riferiscono esplicitamente al gio-
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vane Cirno, mentre molti altri sono rivolti a un generico giovane per mezzo
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dell’apostrofe pai'3. In sostanza questi precetti affermano che il giovane deve
compiacere l’amante e rimanergli fedele.
In positivo: In negativo:
Cirno il pai''"
~ deve osservare la gratitudine in amore ~ non deve essere infedele e sleale verso
(237-254), l’amico-amante tradendolo e abbandonan-
~ deve soddisfare lo stimolo d’amore (1353- dolo (1243-1244, 1245-1246, 1257-1258, 1259-
1356); 1262, 1267-1270, 1271-1274, 1278a-b, 1283-
il pai''" 1284, 1295-1298, 1311-1318),
~ deve essere fedele verso l’amico-amante ~ non deve essere ingrato (1263-1266),
(1238a-b, 1239-1240), ~ non deve frequentare i deiloiv (1377-
~ deve saper godere del iore della giovinez- 1380).
za e ricambiare l’amico-amante (1299-1304,
1305-1310),
~ deve ricambiare l’amico-amante (1319-
1322, 1327-1334).
Dunque, moltissime elegie del corpus – ma non tutte – possiedono una va-
lenza e una inalità etico-paideutica, nel senso che trasmettono un messaggio
di insegnamento comportamentale o sul piano politico o su quello del ‘gala-
teo’ simposiale o su quello erotico. Quel che può risultare interessante, però, è
riconoscere il mittente e il destinatario di tale messaggio.
Fino a non molto tempo fa, nel campo degli studi classici si riteneva che le
elegie trasmesse sotto il nome di Teognide costituissero uno gnomologio com-
posto da moltissime poesie del poeta Teognide di Megara (che si autocita come
autore nei vv. 22-23) e da poche di altri autori (Tirteo, Mimnermo, Solone). Il
mittente delle poesie teognidee era dunque riconosciuto in Teognide, mentre il
destinatario era identiicato in Cirno, a cui si pensava che Teognide avesse indi-
rizzato tutte le proprie poesie, anche quelle in cui il giovane non era per niente
menzionato. Insomma, Teognide avrebbe trasfuso il distillato della sua saggez-
za di maestro nelle proprie elegie, redigendo un libro da far leggere all’allievo
Cirno per il suo ammaestramento; è un’interpretazione che risente, con evidenza,
dell’ambito culturale nel quale è nata: quello del Settecento e dell’ottocento4.
3 Questo vale per le elegie 1257-1258, 1259-1262, 1263-1266, 1271-1274, 1283-1284, 1295-1298,
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(Testo 5) Interpretazione tradizionale del corpus teognideo: gnomologio. Per quan-
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to riguarda le s o l e elegie di Teognide, vale questo schema:
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MITTENTE
Teognide → MESSAGGIo
le elegie di Teognide → DESTINATARIo
Cirno
5 È un’affermazione, oggi comunemente condivisa, fatta per la prima volta da Luigi Enrico
Rossi nel 1979 a oxford in un corso da lui tenuto (Greek Monodic Poetry and the Symposion, «Nellie
Wallace Lecturership»); vd. anche Rossi 1983.
6 Ad es. a chi reggeva più vino, a chi sapeva cavalcare meglio un otre o tenere in equilibrio un
vaso, a chi riusciva a colpire un bersaglio con le gocce di vino nel gioco del cottabo. Per gli ultimi
due aspetti vd. Lissarrague 1989, pp. 81-101.
7 È merito di Massimo Vetta aver evidenziato l’esistenza di coppie e catene simposiali nel cor-
pus teognideo; per esempi di coppie e catene vd. Vetta 1984, Colesanti 1998 e Colesanti 2001.
8 È un’interpretazione che ho avanzato in Colesanti 2001, pp. 491-494.
9 Ad alcuni membri dell’eteria ‘teognidea’ possiamo anche dare un nome: innanzitutto cono-
sciamo Teognide (v. 22), perché un aristocratico di tal nome si autocita come autore di alcuni versi;
ma conosciamo anche i nomi di altri aristocratici, a cui ci si rivolge esplicitamente come destina-
tari in varie elegie del corpus: Simonide (citato in occasione di tre elegie diverse, nei vv. 469, 667,
1349), onomacrito (503), Clearisto (citato nei vv. 511 e 514 nell’ambito della stessa elegia, e su cui
vd. infra), Democle (923), Academo (993), Timagora (1059), Demonatte (1085), forse un Cherone
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Insegnamenti, maestri e allievi del corpus teognideo 255
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aristocratici che componevano l’eteria che ha prodotto il corpus: è però anche
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l’unico di cui nel corpus è presente una composizione ‘irmata’, nella qua-
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le l’aristocratico si cita per nome come autore di alcuni versi (19-26, quelli
dell’elegia del ‘sigillo’): circostanza che devo averlo promosso, in un ambito
diverso da quella originario della sua eteria megarese, ad autore di tutti i
versi del corpus10.
Allora, non possiamo più accettare l’identiicazione di un unico mittente
nella persona di Teognide e di un unico destinatario nella persona di Cirno;
al contrario, dobbiamo ritenere che il mittente dell’intero corpus siano i vari
membri dell’eteria, che a turno recitavano nelle varie riunioni simposiali.
Ma naturalmente dobbiamo anche pensare che quando uno degli eJtai'roi
accennava, in un proprio intervento, a un comportamento di tipo politico o
simposiale, doveva rifarsi a un codice etico già accettato dall’eteria intera,
non poteva che esprimere idee e concetti già ampiamente condivisi dagli
altri eJtai'roi (se si fosse contrapposto a quanto gli altri pensavano e soste-
nevano, si sarebbe automaticamente escluso dall’eteria); e quando parlava
di eros o di altro, si rifaceva a una realtà condivisa e accettata anch’essa
dagli altri simposiasti. Quindi, poiché i vari interventi poetici dei singoli
eJtai'roi sono espressione di un universo di valori e di situazioni che è patri-
monio culturale dell’intera eteria, si può dire in ultima analisi che il mittente
dell’intero corpus è l’eteria teognidea, nelle speciiche persone dei suoi vari
membri.
Rintracciato dunque il mittente, dobbiamo ora identiicare chi sia il de-
stinatario delle elegie del corpus. Ma, se queste elegie sono destinate al sim-
posio, appare evidente che non solo sono state composte e recitate nel corso
di vari simposi dai vari membri dell’eteria teognidea, ma anche che sono
state destinate all’eteria teognidea medesima: quando un eJtai'ro" teogni-
deo si produceva in una performance simposiale, si rivolgeva ovviamente al
pubblico composto dai suoi pari, ovvero all’intera eteria di cui egli stesso
faceva parte.
Dunque l’eteria teognidea è al contempo sia mittente, nei suoi singoli
membri, sia destinatario, nella sua interezza, di tutte le elegie del corpus.
(691, ma invece del nome potrebbe trattarsi del participio caivrwn). In tutto si tratta di otto/nove
persone, ma dobbiamo presupporre l’esistenza anche di altri aristocratici appartenenti alla me-
desima eteria, i cui nomi si sono perduti per sempre. Naturalmente, tutti i membri dell’eteria,
nel corso delle varie riunioni, hanno ognuno creato e recitato elegie, di cui solo una piccola parte
deve poi essere stata annotata nel corpus.
10 È quanto già affermavo in Colesanti 2001, p. 492.
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256 G. Colesanti
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(Testo 6) Interpretazione simposiale del corpus teognideo: manuale poetico di
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un’eteria megarese del VI sec. a. C. Per l ’ i n t e r o corpus vale questo schema:
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MITTENTE
→ →
DESTINATARIo
l’eteria nelle MESSAGGIo
l’eteria nella sua
persone dei singoli le elegie del corpus
interezza
membri
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Non possiamo che concluderne che quello paideutico non è il vero e uni-
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co scopo di queste elegie, e che la forma paideutica esplicita o implicita non
è altro che una mimèsi; in altre parole, se pure il messaggio è formalmente
di tipo paideutico, vista la coincidenza di mittente e destinatario la funzione
della lingua non può essere quella conativa, o quantomeno non si tratta prin-
cipalmente di essa.
Queste elegie facevano parte del momento poetico del simposio, e dun-
que appare ovvio che il loro scopo fondamentale fosse quello di fare poesia,
su soggetto politico oppure simposiale (che erano due dei tre temi possibili,
insieme a quello erotico); in altre parole, il loro scopo ultimo non era docere,
ma delectare11. Ciò è ancor più evidente per le elegie politiche, se consideria-
mo che la discussione politica non avveniva in occasione delle performances
poetiche, ma per l’appunto nel momento politico del simposio: il cosiddetto
bouleuvesqai para; povton, quando gli eJtai'roi, tra un giro di coppe e l’altro, af-
frontavano le questioni della città e prendevano le loro decisioni12. Far politica
non era lo scopo primario delle elegie etico-politiche: possiamo dire che con
queste elegie gli eJtai'roi, in effetti, non facevano politica nel vero senso del
termine, ma facevano anche politica, nel senso che tali elegie afiancavano la
discussione politica, anticipandola o ribadendola.
La funzione dominante della lingua è dunque quella poetica. Tuttavia la
scelta della forma paideutica ha una sua spiegazione in chiave antropologica:
in effetti, affermare e riaffermare in modo martellante in ogni riunione sim-
posiale come essere ajgaqov" o come comportarsi a simposio, e cioè ribadire
dei valori che erano già condivisi dall’eteria, doveva servire a rinfrescare ogni
volta quei valori, e a cementare continuamente l’eteria. L’insegnamento politi-
co e simposiale del corpus è quindi una sorta di autoinsegnamento funzionale
sul piano psicologico, che potremmo chiamare ‘riconfermativo’ e ‘autocele-
brativo’: ad ogni riunione, innanzitutto i membri del gruppo avevano una
conferma pratica e visiva del loro essere gruppo sulla base del fatto che l’ete-
ria era isicamente presente nel luogo della riunione, e dunque ogni eJtai'ro"
vedeva il gruppo e si vedeva come membro riconosciuto di esso; in secondo
luogo, attraverso la forma paideutica esplicita o implicita il gruppo si dava
delle conferme verbali su che cosa il gruppo era e che cosa rappresentava,
e in tal modo si autocelebrava, compattandosi sempre di più13. La funzione
conativa è dunque presente, anche se in subordine a quella poetica: la forma
11 In questo c’è accordo con lo scopo precipuo del simposio, che è appunto orientato al diletto
dei partecipanti: il simposio è una riunione dove deve regnare la letizia (vd. ad es. Xenoph. 1 W.).
12 Per questo vd. Plut. Symp. 7, 714a-c.
13 Per questo aspetto, già Vetta 1983, p. XVIII, affermava che «l’elegia aristocratica teognidea ...
non ha soltanto lo scopo di una parenesi reale (per i più giovani), ma quello di una celebrazione
e del riconoscimento continuato di precetti etici in cui il gruppo già si riconosce. In altre parole, è
una poesia che non si identiica in prima istanza con una funzione conativa».
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258 G. Colesanti
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paideutica non serve a insegnare cose ignote, ma a confermare gli eJtai'roi
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nella conoscenza di quello che già sanno, a convincerli a perseverare in quel
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determinato codice di comportamento14.
Proprio in quest’ottica della riconferma e dell’autocelebrazione deve al-
lora intendersi l’invito a frequentare gli ajgaqoiv (563-566) e a non mescolarsi
in alcun modo con i kakoiv (193-196, 305-308, 1109-1114, 1169-1170), e quin-
di anche la particolare importanza che il corpus riconosce all’insegnamento
(305-308, 1049-1050): solo la compagnia degli ajgaqoiv, con il continuo reciproco
insegnamento, con il costante autoindottrinamento psicologico, garantisce la
perpetua condivisione degli ideali degli ajgaqoiv, cioè di coloro che compon-
gono l’eteria teognidea, e quindi assicura la saldezza dell’eteria; invece, la
kacetairivh, la frequentazione dei kakoiv, cioè degli avversari dell’eteria teo-
gnidea, ingenera altri ideali nel singolo ajgaqov", spezza la sua condivisione di
valori con gli altri ajgaqoiv, e può portarlo ad aderire ad un’altra eteria: quella
dei detestati kakoiv.
Riguardo a quest’ultimo fatto dell’adesione a un’eteria rivale, giova ri-
cordare che le eterie della Grecia arcaica, per quanto tendesserro ognuna alla
massima coesione tra i propri membri nello spasimo della lotta contro le eterie
avverse, non erano però un circolo sempre chiuso e immutabile: se casi di fuo-
riuscite – basti pensare a Pittaco che abbandona l’eteria di Alceo – potevano e
dovevano esistere (e appunto contro di essi agiva la funzione riconfermativa e
autocelebrativa), conseguentemente potevano esserci casi di nuove entrate da
parte di esterni che prima afferivano ad altre eterie15; inoltre, ogni eteria dove-
va periodicamente rinnovarsi con l’immissione al proprio interno di fratelli e
igli, divenuti ormai adulti, dei vari membri del gruppo16.
In un’eteria, come ad esempio quella teognidea, potevano esistere allora
dei nuovi membri, ma non dobbiamo concluderne che fossero loro i veri ed
14 Leopoldo Gamberale, che ringrazio per il suo intervento, in sede di discussione mi ha ricor-
dato, come parallelo per l’aspetto riconfermativo e autocelebrativo, i riti delle riunioni masso-
niche: anche in questo caso il riunirsi periodicamente e l’osservare un preciso rituale servivano
senza dubbio a perpetuare il sentimento identitario e a mantenere i membri compatti nel perse-
guimento del comune obbiettivo.
15 Proprio il corpus teognideo (vv. 511-522) ci presenta probabilmente un caso di presenza a
simposio, e quindi di accoglimento nell’eteria, di un esterno, un certo Clearisto, che però non
era un transfuga da un’eteria rivale, ma doveva essere un ospite straniero di uno degli eJtai'roi
teognidei, di passaggio a Megara; si tratta in ogni caso di un esterno che entra nel gruppo, anche
se temporaneamente (sull’elegia per Clearisto vd. Vetta 1998).
16 È noto il caso di Alceo che non aveva partecipato all’abbattimento del tiranno mitilenese
Melancro, operata dai suoi fratelli e da Pittaco (Alc. 469 V.), evidentemente perché troppo giova-
ne: il che vuol dire che Pittaco e i fratelli di Alceo, a quell’epoca, appartenevano a un’eteria in cui
Alceo sarebbe entrato solo successivamente, una volta raggiunta l’età adulta (eteria da cui poi
Pittaco, dopo l’ingresso di Alceo, sarebbe fuoriuscito; e vd. inoltre fr. 350 V., in cui Alceo rivolge
un carme al proprio fratello Antimenida, per celebrarne il rientro a simposio e nell’eteria dopo
un’esperienza militare in oriente).
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Insegnamenti, maestri e allievi del corpus teognideo 259
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esclusivi destinatari dei precetti etici di tipo politico e simposiale: in realtà,
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questi nuovi membri erano già del tutto al corrente del codice comportamen-
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tale da seguire in politica e a simposio, ed era pertanto inutile istruirli. Infatti,
i fratelli e i igli dei vecchi membri avevano già da lungo tempo frequentato
il simposio quando erano pai'de" e svolgevano la funzione di coppieri17: in
tale veste avevano assistito alle riunioni senza parteciparvi, e ne avevano
assorbito il codice etico. I transfughi dalle altre eterie, invece, provenivano
da gruppi in cui l’etica politica e simposiale era di certo la stessa dell’ete-
ria di approdo18. Le eterie della Grecia arcaica non erano partiti moderni,
distinti da diverse ideologie: al contrario, tutte le eterie erano composte da
aristocratici, e dunque professavano tutte i medesimi, aristocratici valori;
e anche lo scopo era il medesimo per tutte le eterie: la conquista del potere
nella città. E proprio questo era l’unico elemento che induceva gli eJtai'roi
di un gruppo a marcare delle differenze tra loro e le eterie avversarie, anche
se tali differenze in realtà non esistevano. Gli eJtai'roi teognidei, ad esempio,
qualiicavano sé stessi come ajgaqoivv attribuendosi tutte le qualità positive,
mentre assegnavano ai nemici tutte le qualità negative chiamandoli kakoiv
(e non sappiamo se questi appartenessero a un’unica eteria avversaria o a
più eterie); ma di certo questi kakoivv megaresi, se appartenevano a un’unica
eteria, ritenevano di essere loro i soli ajgaqoivv, e riservavano la kakovth" ai
rivali teognidei19.
17 Vd. Sapph. 203 V.: Athen. 10. 425a ricorda che Larico, il più giovane dei tre fratelli di Saffo
(cf. fr. 252 V.), aveva servito come coppiere nel pritaneo di Mitilene, e schol. ad Il. 24. 234 dice che
era costume corrente che i nevoi eujgenei'" fungessero da coppieri.
18 Basti vedere Sol. 15 W., dove Solone opera una istinzione tra ajgaqoiv (lui e i suoi compagni:
vd. il “noi” di v. 2) e kakoivv (evidentemente gli avversari della sua eteria), sostenendo che molti
ajgaqoiv possono anche essere più poveri di molti kakoivv, ma che rispetto a loro possiedono la sag-
gezza, che è bene immutabile di contro alla ricchezza, bene transitorio. Non è senza signiicato
che proprio questi versi siano stati poi recitati da un eJtai'ro" teognideo in un simposio megarese e
quindi siano stati annotati nel corpus (vv. 315-318): questo prova che, da un’eteria ad un’altra e da
una città ad un’altra, i valori e i comportamenti delle diverse eterie erano sempre gli stessi.
19 Per questo motivo ritengo labili i tentativi, come ad es. quello di Peretti 1953, p. 3 s., di
vedere nella distinzione tra ajgaqoivv e kakoivv del corpus teognideo un rilesso della lotta di classe
nella Megara del VI sec. a. C., con gli ajgaqoivv che incarnerebbero la vecchia classe dirigente con-
servatrice di origine nobile, e i kakoivv che sarebbero il nuovo ceto emergente, di estrazione non
nobiliare (vd. vv. 55 s., 183-192, 193-196) e più ricco. In realtà, in una città come Megara che viveva
di commerci, gli aristocratici locali dovevano tutti praticarli senza riserve, se non altro per assicu-
rarsi le basi economiche per la conquista o il mantenimento del potere cittadino; per un parallelo
ateniese, si veda ancora il caso di Solone, che, pur sembrando disprezzare la ricchezza nel già
citato fr. 15 W., tuttavia non disdegnava affatto di praticare commerci in prima persona (Plut. Sol.
2. 1). Dunque il lamento sulla povertà dei membri di un’eteria, e l’astio verso i rivali che possono
anche essere più ricchi ma non possiedono la virtù, sembra solo un’esagerazione conseguente alla
contrapposizione tra eterie rivali. Per quanto poi riguarda la questione dell’ eujgevneia, vantare la
nobiltà dei membri della propria eteria doveva anche comportare, per il gioco delle opposizioni,
l’affermazione di mancanza di nobiltà nei membri dell’eteria rivale; si ricordi quanto dice Alceo
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In un’eteria greca arcaica, dunque, il fatto fondamentale non era solo l’af-
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fermazione degli ideali aristocratici (uguali per tutte le eterie), ma anche la
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compattezza intorno a questi ideali, ovvero la fedeltà all’eteria, essenziale per
la sopravvivenza dell’eteria stessa e per la conquista del potere cittadino.
Un buon parallelo sul piano politico ci è offerto da Solone, il quale in frr. 5,
10, 32, 33, 34, 36 e 37 W. ricorda il suo operato e difende le proprie scelte politi-
che (ad es. il riiuto di farsi tiranno, la seisachtheia, il riscatto di Ateniesi venduti
come schiavi). Anche se queste difese sono state originate da critiche generali
degli Ateniesi contro di lui (come dice Plut. Sol. 14. 9), e anche se Solone in
alcune sue poesie ha risposto alle critiche rivolgendosi al popolo e assumendo
esso come destinatario del suo discorso (come avviene per fr. 33 W. secondo
Plut. Sol. 15. 1), tuttavia dobbiamo sempre tener presente che Solone ha recitato
tutti questi versi in simposi celebrati dalla sua eteria20, quindi davanti ai propri
eJtai'roi21. Questi versi non servivano a prendere decisioni politiche (Solone
non presenta un proprio programma d’azione, ma ricorda quanto ha fatto),
né con essi Solone intendeva informare del proprio operato i suoi eJtai'roi o
giustiicarsi per esso con loro: non aveva bisogno di farlo di fronte ai propri
eJtai'roi, che ovviamente in precedenza dovevano aver iancheggiato le sue
iniziative e dunque le conoscevano benissimo, e le approvavano. Con questi
versi, invece, Solone voleva ricordare all’intero gruppo le importanti azioni
politiche compiute in passato da tutti gli eJtai'roi sotto la sua guida, allo sco-
po di celebrare orgogliosamente l’eteria attraverso la difesa celebrativa di sé
stesso, e di riconfermarla nella sua compattezza contro la minaccia dei gruppi
avversari, in periodi in cui Solone, e di conseguenza la sua eteria, erano esposti
a critiche generali che avrebbero potuto demotivare e disgregare il gruppo.
Un altro parallelo, sul piano del ‘galateo’ simposiale, ci è offerto ad esem-
pio da Anacr. 33. 7-11 Gent.: l’invito a non bere come gli Sciti in modo scom-
posto e senza regole, ma fra i bei canti. È un invito del tutto analogo ai precetti
simposiali del corpus teognideo che affermavano il valore della moderazione
nel bere, e che abbiamo già visto. È ovvio che, come l’esistenza di meccanismi
confermativi e autocelebrativi indica naturalmente che sussisteva in modo
concreto l’ipotesi di abbandono dell’eteria, così i continui inviti simposiali alla
moderazione nel bere sono la prova migliore del fatto che nei simposi arcaici
potevano esserci eccessi nel bere da parte degli eJtai'roi. Ma il fatto rilevante è
che, con questi precetti simposiali, si voleva anche dire che l’eteria era capace
sulla scarsa nobiltà di Pittaco dopo che questi aveva preso il potere (frr. 129. 13, 348. 1 V.): rilievi
che sicuramente Alceo non ha mai pensato di dover fare nei tempi in cui Pittaco era suo eJtai'ro".
20 Sulla simposialità di Solone vd. Tedeschi 1991; anche Noussia 2001, p. 354, ritiene che i versi
Foco, del quale nulla sappiamo, ma che può essere con buona probabilità un membro dell’eteria
soloniana, al quale Solone rivolge una considerazione sulla propria politica (secondo Masaracchia
1958, p. 338, sarebbe invece il capo della fazione avversa a Solone).
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Insegnamenti, maestri e allievi del corpus teognideo 261
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di autoregolamentarsi, che sapeva valutare e apprezzare il valore della mo-
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derazione, evidentemente a differenza delle eterie avversarie, incapaci di fare
altrettanto. Anche questi precetti e questi inviti, pertanto, sono confermativi
di un codice etico che l’intera eteria già conosce, e costituiscono una sorta di
autocelebrazione dell’eteria medesima.
Dunque, gli insegnamenti politici e simposiali offerti di volta in volta dai
singoli eJtai'roi a tutta l’eteria hanno lo scopo di offrire conferme sull’essenza
dell’eteria e di celebrarla, marcando così una netta distinzione tra l’eteria e i
gruppi rivali, sui quali si riversa ogni commento negativo: i kakoiv non possie-
dono alcuna qualità aristocratica (il corpus lo afferma molte volte), ed è sottin-
teso che sono anche incapaci di godere dei piaceri del simposio. Non a caso, se
il corpus ammette, come abbiamo visto, che un ajgaqov" possa diventare kakov"
in seguito a insegnamenti sbagliati (alludendo il tal modo al caso concreto
di abbandono dell’eteria), al contrario nei vv. 429-438 si afferma che neppure
tramite l’insegnamento è possibile trasformare un kakov" in un ajgaqov", mentre
in v. 577 si dice che è più facile fare di un ajgaqov" un kakov" che di un kakov" un
ajgaqov"22. Questi due ultimi commenti indicano tutto l’odio e il disprezzo de-
gli eJtai'roi teognidei nei confronti dei loro avversari: se gli ajgaqoiv ammettono
che uno dell’eteria possa corrompersi e tradire l’alleanza passando dall’altra
parte, al contrario non ipotizzano neppure, data la profonda diversità tra loro
e gli altri, che uno dei nemici possa divenire uno di loro (fatto che invece do-
veva essere ben possibile, e del tutto tollerato all’occorrenza).
Analizziamo ora le elegie politiche rivolte a Cirno, e quelle erotiche indiriz-
zate sia a Cirno sia a un generico pai'" (testi 2 e 4). In questi due casi, il mittente
è sempre il singolo membro dell’eteria che di volta in volta recita a simposio,
cioè in altre parole si tratta dell’intera eteria; invece il destinatario è esplicita-
mente identiicato in un giovane: Cirno iglio di Polipao oppure il pai'".
All’apparenza, questo sembra essere un insegnamento vero e proprio, da
un vero maestro a un vero allievo: da un uomo, più anziano e quindi esperto,
a un giovane, che non può avere esperienza e pertanto deve essere educato. Il
corpus stesso precisa questo aspetto: nell’elegia 27-38, che già abbiamo citato,
un eJtai'ro" si rivolge a Cirno dicendo che gli darà i consigli che lui stesso, da
giovane, ha appreso dagli ajgaqoiv;v sempre a Cirno, in un’altra elegia (1353-
1356) viene diretto un esplicito precetto erotico; in tre elegie erotico-paideuti-
che, un eJtai'ro" invita un pai'" a prestargli ascolto e ad accettare i suoi consigli
(1235-1238, 1319-1322, 1351-1352; in quest’ultimo caso l’ eJtai'ro" si qualiica
come gevrwn).
Questo insegnamento rientra in realtà in quel particolare ruolo paideutico
dell’anziano che era elemento costitutivo del rapporto omoerotico tra ejra-
22 Sempre a proposito di insegnamento, si noti che in v. 578 abbiamo anche un caso di riiuto di
insegnamento: un eJtai'ro" dice a un altro eJtai'ro": mhv me divdask∆: ou[toi thlivko" eijmi; maqei'n.
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sthv" e ejrwvmeno", e che lo giustiicava: il più anziano insegna tutto della vita al
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più giovane dandogli precetti di vario tipo, quindi anche politici e erotici, per
farlo divenire migliore di quanto non sia23.
Ma, se anche vengono indicati questi giovani come precisi destinatari,
dobbiamo sempre considerare che queste elegie venivano di fatto recitate
nel simposio da un singolo simposiasta all’intera eteria, e pertanto il vero
destinatario, anche di queste elegie, era sempre e comunque l’eteria. D’altra
parte questi giovani, appunto perché giovani, non erano membri dell’eteria
e neppure partecipanti reali del simposio, e probabilmente erano anche as-
senti al momento dei vari interventi poetici: dunque non potevano essere
loro i destinatari delle elegie, non costituivano loro il vero pubblico di ascol-
tatori.
In effetti, è arduo ritenere che il giovane Cirno sia stato sempre effettiva-
mente presente a simposio, magari come coppiere, quando i vari simposiasti
si rivolgevano a lui nei loro interventi, e che quindi sia un destinatario vero e
concreto dei loro insegnamenti. Se così fosse, questo giovane, che ancora non
faceva parte dell’eteria teognidea perché appunto troppo giovane, avrebbe
avuto molto più risalto di qualsiasi altro membro effettivo dell’eteria, e que-
sto appare dificile da accettare, qualunque fosse l’importanza e il valore di
Cirno.
Del resto, non dobbiamo dimenticare che negli interventi simposiali, se
è frequente l’apostrofe a una persona effettivamente presente nell’occasione
concreta in cui il singolo intervento viene pronunciato, non è meno frequente
il caso di apostrofe in absentia, quando ci si rivolge, come se fossero presenti, a
persone per l’appunto assenti (dèi, nemici, l’intera cittadinanza, o addirittura
dei morti)24.
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Sapendo chi è Cirno, forse potremmo capire meglio il senso dell’apostrofe
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a lui rivolta; ma purtroppo noi non sappiamo chi sia questo iglio di Polipao:
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possiamo solo arguire che si tratta di un giovane aristocratico. D’altra parte,
l’apostrofe a Cirno è così estremamente diffusa nel corpus teognideo, da far
sospettare che si tratti di una convenzione degli eJtai'roi teognidei, e che quin-
di sia un’apostrofe in absentia. Forse questo Cirno era un giovane megarese
divenuto famoso per qualche motivo, magari anche in epoche precedenti, e i
membri dell’eteria teognidea lo hanno assunto come ideale e paradigmatico
destinatario di molti loro interventi, specialmente di quelli a sfondo politico-
paideutico.
Per quanto riguarda il pai'", proprio la genericità dell’apostrofe fa pensare
che i simposiasti in genere non si rivolgessero a uno dei pai'de" coppieri (per
quanto questo sia possibile in alcuni casi), ma al tipico giovane incostante in
amore, cioè a un tipo di giovane, non a una persona realmente presente a sim-
posio: non a caso, tutti i precetti erotici teognidei insistono solo sulla fedeltà
in amore e sulla reciprocità amorosa25.
L’evanescenza di Cirno e del pai'" come reali recettori delle poesie a loro
pure esplicitamente rivolte, ci conferma che il vero destinatario era sempre e
comunque l’eteria26. Anche in questo caso, dunque, quello paideutico non è il
vero scopo di queste elegie, e la forma paideutica è una mimèsi, una inzione,
ancora più scoperta di quella analizzata prima.
Per le elegie politico-paideutiche rivolte a Cirno lo scopo era analogo a
quello delle elegie politico-paideutiche rivolte a riceventi non precisati: fare
poesia assumendo come argomento quello politico, e riconfermare i valori in
cui l’eteria credeva, a scopo autocelebrativo.
Per le elegie erotico-paideutiche rivolte a Cirno o al pai'", gli eJtai'roi teo-
gnidei non facevano altro che cantare all’intera eteria il lato amaro e terribile
dell’amore, quando si ama senza essere corrisposti o si viene traditi dall’aman-
te. In questo caso, sotto la maschera della funzione conativa, accanto a quella
poetica emerge in realtà la funzione emotiva (si tratta beninteso di emozioni
formalizzate, istituzionalizzate).
Tutto il discorso che abbiamo fatto vuole dunque mostrare che la forma
paideutica di molte elegie del corpus è in ogni caso una inzione. Nelle elegie
politiche e simposiali con destinatario o senza, si inge di insegnare qualcosa
a qualcuno, ma in realtà solo per ribadire i valori ampiamente condivisi da
25 Sul totale anonimato e sulla spersonalizzazione dei pai'de" destinatari delle elegie pederoti-
che del corpus teognideo vd. Vetta 1980, pp. XL, XLIII.
26 Vd. Vetta 1980, p. XXXIV: «È chiaro che il reale destinatario di queste elegie, nonostante
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tutti; nelle elegie a Cirno o al pai'", si simula il vero rapporto paideutico esi-
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stente tra ejrasthv" e ejrwvmeno", ma solo allo scopo o di ribadire ancora i valori
re
dell’eteria (nelle poesie politiche rivolte a Cirno), o di manifestare i propri
sentimenti (nelle poesie erotiche rivolte al pai'" o anche a Cirno).
(Testo 7)
TIPo DI INSEGNAMENTo
dall’ eJtai'ro" a un eJtai'ro" o dall’ ejrasthv"
all’eteria all’ ejrwvmeno"
riconferma dei va- elegie politiche e simposiali indi- elegie politiche
lori e autocelebra- rizzate a un destinatario generico o indirizzate a
SCoPo DELL’INSE- zione dell’eteria anche esplicitamente menzionato Cirno
GNAMENTo elegie erotiche
(oltre al fare poesia) sfogo dei propri indirizzate
-------------------------
sentimenti erotici a un pai'" o
anche a Cirno
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sconosciute (ce lo segnalano i vv. 1158-1159 delle Vespe di Aristofane); e nel mo-
to
mento poetico, in particolare, dall’ascoltare poesia gli eJtai'roi potevano impa-
re
rare poesia, poiché in effetti, sentendo la recitazione di un carme, un eJtai'ro"
poteva imprimerselo nella memoria, per poi riusarlo in un secondo momento:
è noto il caso di Solone che, in tarda età, impara una poesia di Saffo sentendola
recitare da un suo nipote appunto a simposio (Ael. fr. 187 Hercher). È quest’ul-
timo, dunque, l’unico e pratico insegnamento che la poesia lirico-simposiale
può esercitare: non tanto insegnare dei contenuti, quanto insegnare sé stessa.
E il corpus teognideo ci attesta anche questo aspetto: proprio la presenza nel
corpus di ‘dittograie’, ovvero di doppie redazioni con varianti di uno stesso
enunciato ma all’interno di coppie o catene simposiali diverse, indica che gli
eJtai'roi dovevano apprendere gli enunciati poetici degli altri per poi riusarli,
eventualmente variati, in un’altra occasione recitativa27.
In conclusione, se nel corpus teognideo esistono dei veri maestri, ovvero
delle persone che possiedono esperienza della vita e potrebbero trasmetterla
(i membri dell’eteria teognidea), non esistono però dei veri allievi per questa
esperienza: anche quelli esplicitamente presentati come tali (Cirno, il pai'"), in
realtà non lo sono. Di conseguenza, anche gli insegnamenti offerti dal corpus,
veri insegnamenti non sono: il loro scopo è tutt’altro che istruire. Il vero e
ultimo ine delle elegie etico-paideutiche del corpus, pertanto, deve essere lo
stesso delle altre elegie non paideutiche del corpus. E considerando che tutte
queste elegie costituiscono il momento poetico del simposio, che è una riu-
nione rivolta al diletto, questo ine doveva essere evidente in dall’inizio: per i
simposiasti non si trattava d’altro che di fare poesia, non si trattava d’altro che
di trarre diletto dal fare e dall’ascoltare poesia.
BIBLIoGRAFIA
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