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nel cinema
Teoria Del Cinema
Universita degli Studi Roma Tre (UNIROMA3)
8 pag.
Capitolo 1
La realtà privata di suono risulta astratta, innaturale. Eliminando l’immagine e mantenendo il suono, la
percezione risulta reale ma incompleta. L’audiovisione – unione di suono e immagine – acquisisce il proprio
ritmo solo se le due componenti sono integrate in un unico prodotto. L’audiovisione è prodotto dell’unione
fra suono e immagine: non è soltanto somma fra i due ma apporta un valore aggiunto.
Valore aggiunto: valore espressivo e informativo di cui un suono arricchisce un’immagine data, sino a far
credere che quell’informazione o quell’espressione siano naturali e siano già contenute nell’immagine. Il
valore aggiunto funziona soprattutto grazie alla sincronizzazione di suono e immagine, che permette di
istituire una relazione immediata e necessaria fra qualcosa che si vede e qualcosa che si sente. Tutto ciò che
è sullo schermo assume tramite il suono una consistenza e una materialità – naturale – di cui non si può fare
a meno.
Il valore aggiunto è innanzitutto quello del testo all’immagine: il suono nel cinema è per prima cosa
verbocentrico. La voce intesa come supporto verbale (linguaggio) viene messa in evidenza e separata dagli
altri suoni. Il perfezionamento tecnologico si è concentrato sulla parola in modo che essa non sia fedele ma
piuttosto intellegibile e chiara. Il suono cinematografico è verbo centrico perché lo è anche l’essere umano.
La voce che accompagna l’immagine orienta, guida e struttura le modalità di visione e dunque la visione
stessa. Il valore aggiunto del testo sull’immagine influisce sulla strutturazione stessa dell’immagine
inquadrandola rigorosamente.
Il valore aggiunto è reciproco: se il suono rende l’immagine differente da come sarebbe senza di esso,
l’immagine fa sentire il suono diverso da come sarebbe se l’immagine non ci fosse. Il suono trasformato
dall’immagine che esso influenza riproietta infine su quest’ultima il prodotto delle loro reciproche influenze.
Ad esempio, uno stesso suono può, seconda del contesto drammatico e visivo, raccontare cose assai diverse,
perché lo spettatore cinematografico legge il film in relazione al criterio del sincronismo e della
verosimiglianza globale.
Il valore aggiunto all’immagine è anche identificato nella musica, la quale crea nel cinema una specifica
emozione, in rapporto alla scena mostrata, in due diversi modi:
• Tramite ritmo, tono, fraseggio, in relazione ai codici culturali di tristezza, gioia, emozione e
movimento: musica empatica;
• Musica indifferente alla situazione mostrata; l’effetto è di raddoppiare l’emozione che scaturisce
dall’immagine, l’emozione individuale dei personaggi e dello spettatore è raddoppiata proprio
perché ignorata: musica anempatica. Vi sono anche rumori anempatici.
• Musica di presenza: non hanno una risonanza emozionale precisa.
Capitolo 2
Vi sono tre differenti disposizioni di ascolto cinematografico, finalizzate a oggetti differenti:
• Ascolto causale: fornisce, a partire dalla sola analisi del suono, informazioni precise e sicure circa
l’origine della sua causa (visibile o invisibile che sia). L’ascolto causale è il più diffuso, ma anche il
più influenzabile ed ingannabile. L’ascolto causale ha tre livelli:
1. Riconosciamo la causa precisa e individuale, di solito grazie al contesto, tramite il quale
deduciamo naturalmente e logicamente quale sia la sorgente del suono.
2. Non riconosciamo la sorgente particolare del suono (non sappiamo quale sia l’oggetto, la
persona o l’animale in particolare che emette un determinato suono), ma riconosciamo la
categoria dal quale esso proviene, ovvero riconosciamo una natura di causa a partire da
determinati indizi soprattutto temporali.
3. Seguiamo una storia causale di un certo suono (come si sviluppa).
Nel cinema l’ascolto causale è costantemente manipolato in particolare tramite l’uso della sincresi.
• Ascolto semantico: fa riferimento ad un codice o ad un linguaggio per interpretare un messaggio
(cerca di capire il significato). È un ascolto di tipo differenziale.
Capitolo 3
Agli inizi del cinema sonoro (1927), si pensava che il visivo e il sonoro fossero due catene parallele e
liberamente legate, senza dipendenza unilaterale. Si teorizzava dunque un contrappunto audiovisivo in cui le
due “voci” del sonoro e del visivo viaggiavano contemporaneamente e sincronicamente ma erano slegate e
indipendenti l’una dall’altra. Tutto sbagliato: il cinema tende ad escludere la possibilità di un simile
funzionamento contrappuntistico. Suono e immagine sono strettamente intrecciati e legati fra loro dai punti
di sincronizzazione.
Il contrappunto audiovisivo è presente quotidianamente in televisione, ma nessuno se ne accorge (eventi
sportivi: l’immagine segue una propria strada e il commento un’altra). Il contrappunto audiovisivo viene
notato solo se oppone l’immagine e il suono su un punto preciso, non di natura ma di significato; cioè
soltanto se esso pregiudica la natura del suono come quella dell’immagine poiché postula una certa
interpretazione lineare del senso dei suoni riducendo peraltro tale “senso” in generale ad una pura questione
di identificazione e di causa. Il contrappunto audiovisivo si nota se c’è una dissonanza audiovisiva, ovvero
uno scarto invertito della convenzione dell’accoppiamento suono-immagine.
La colonna audio non esiste: il film non ha necessariamente una totalità unitaria della componente sonora. Il
sonoro cioè non ha significato autonomo. I suoni senza immagine non formano un complesso dotato di unità
interna; inoltre, ogni elemento sonoro allaccia con gli elementi narrativi contenuti nell’immagine dei rapporti
verticali simultanei, diretti e pregnanti. I suoni reagiscono, ciascuno individualmente, con il campo visivo.
La colonna immagine invece esiste in quanto deve il proprio essere e la propria unità alla presenza di un
quadro, ovvero un luogo di immagini investito dallo spettatore.
Il montaggio del suono non ha creato un’unità specifica: i suoni, come le immagini cinematografiche, si
montano. Mentre il montaggio ha creato per l’immagine un’unità specifica (il piano, che è utile per
individuare una serie di punti di riferimento all’interno del film, che non è un’unità narrativa strutturale in sé,
ma è comunque un’unità oggettivamente definita e neutra), non abbiamo nulla di simile per il suono. Il
montaggio del suono nel cinema non ha creato un’unità specifica: non c’è un’unità del montaggio audio, le
giunte sonore non sono evidenti all’ascolto e non ci permettono di delimitare tra esse blocchi identificabili.
Il suono non può essere suddiviso in blocchi oggettivamente definiti perché:
• La colonna audio è formata da diversi strati realizzati e fissati indipendentemente che vengono
sovrapposti gli uni sugli altri: come individuare i tagli dei diversi strati?
• Il raccordo tra un frammento e l’altro può non essere udibile, e questa è una caratteristica
naturale del suono; ma vi possono anche essere tagli sonori assai bruschi e netti.
• Dunque, il suono non può essere suddiviso in unità di montaggio che si basino su unità di
percezione. Il segmento sonoro non si sintetizza nella percezione di una totalità particolare. È
la percezione sequenziale e temporale che domina nel suono, almeno al di là di una durata
brevissima.
• Non è possibile creare fra due segmenti sonori che si succedono un rapporto di natura astratta e
strutturale, come quelli che possono allacciarsi tra i piani visivi.
Il suono di un film non è tuttavia un flusso senza tagli: vi sono unità che vengono individuate in funzione di
criteri specifici in relazione ai differenti tipi di suoni sentiti. Ad esempio: il dialogo è divisibile in battute/
Logica interna del concatenamento audiovisivo: Concatenamento delle immagini e dei suoni concepito
per rispondere ad un processo organico flessibile di sviluppo, di variazione e di crescita che nasce dalla
situazione stessa. Essa privilegia dunque le modificazioni continue e progressive; non utilizza cesure brusche
se non quando la situazione lo richiede.
Logica esterna del concatenamento audiovisivo: Concatenamento di immagini e dei suoni che risente
degli effetti di discontinuità e di cesura in quanto interventi esterni al contenuto rappresentato. Il cinema
d’azione moderna gioca molto con la logica esterna.
Quadro: nel cinema si parla di immagine al singolare, mentre in un film sono presenti centinaia di
immagini; questo avviene perché esse si manifestano tutte su un unico luogo, il quadro, che è il loro
contenente che preesiste alle immagini. Esso è luogo di proiezione delimitato e visibile.
Invece, per quel che riguarda i suoni, non esiste un loro contenente sonoro preesistente, perché:
• Vi possono essere più suoni sovrapposti;
• I suoni possono avere diversi livelli di realtà (il quadro visivo si situa su un piano per volta).
I suoni si dispongono in rapporto al quadro visivo e al suo contenuto in due modi:
• In: fanno parte del campo visivo in quanto sincroni; la sorgente appare nell’immagine e
appartiene alla realtà che questa evoca;
• Fuori campo: Il suono è acusmatico rispetto a ciò che viene mostrato nel piano;
• Off: suono al di fuori del campo visivo. La sorgente non è soltanto assente dall’immagine, ma
anche non diegetica, ovvero situata in un altro tempo e in un altro luogo rispetto alla situazione
direttamente evocata (commento, musica).
Dunque il suono cinematografico dipende in tutto dall’immagine che accompagna, sia che sia in sia che sia
off: non esiste un luogo dei suoni, non esiste una colonna audio.
I suoni non sono soltanto in, off e fuori campo: vi sono dei punti intermedi e regioni ambigue. Bisogna allora
introdurre nuove categorie:
• Suono d’ambiente: avvolge una scena e abita il suo spazio senza sollevare la questione della
localizzazione e della visualizzazione della sorgente. I “suoni-territorio” servono a marcare un
luogo con la loro presenza continua e onnipresente;
• Suono interno: suono che corrisponde all’interno fisico e mentale del personaggio. Può essere
un suono interno oggettivo (fisiologico) o suono interno soggettivo (voce mentale);
• Suono on the air: suono che proviene da un medium o un oggetto presente sulla scena. Il
suono della musica on the air attraversa le zone in, off e fuori campo.
Le diverse zone del suono sono collegate le une alle altre. È la posizione della sorgente sonora che richiama
tali distinzioni.
Localizzazione del suono: il problema della localizzazione del suono è nella maggior parte dei casi
appiattito su quello della localizzazione della sorgente. Nel cinema monopista classico i suoni provengono
tutti dallo stesso punto dello schermo; ma non per questo i suoni vengono percepiti come provenienti dallo
schermo, ma attribuiti alla sorgente rappresentata. Nel cinema vi è una calamitazione spaziale del suono
tramite l’immagine. Nel cinema multi pista si hanno invece tentativi di spazializzazione realista del suono: si
creca di creare dei compromessi fra la localizzazione mentale e la localizzazione reale del suono.
Acusmatico: suono percepito senza vedere la causa originaria (radio, disco, telefono trasmettono suoni senza
mostrare il loro emittente: sono media acusmatici).
Visualizzato: suono percepito e accompagnato dalla visione della causa o sorgente.
Suono e sorgente del suono sono dal punto di vista spaziale due fenomeni distinti. La sorgente di un suono
può essere localizzata, mentre il suono, per sua natura, tende ad espandersi in tutto lo spazio disponibile.
Musica da buca: accompagna l’immagine da una posizione off, al di fuori dal tempo e dal luogo dell’azione.
Musica da schermo: proviene da una sorgente situata direttamente o indirettamente nel luogo e nel tempo
dell’azione.
Una musica inserita nell’azione può essere tanto commentativa quanto off. Vi sono casi misti e ambigui. La
musica da schermo è inserita in una musica da buca, staccandosi dall’azione o, nel caso inverso, quando una
musica da buca si riassorbe in una musica da schermo emessa da uno strumento localizzato.
La musica non è soggetta a barriere di tempo e spazio, contrariamente agli altri elementi visivi e sonori che
devono essere situati in rapporto alla realtà diegetica. Nonostante ciò, la musica non mette in discussione la
verità diegetica e non copre d’irrealtà la rappresentazione: fuori del tempo e fuori dello spazio, la musica
comunica con tutti i tempi e tutti gli spazi del film, ma lascia esistere questi ultimi separatamente e
distintamente. La musica consente di dilatare tempo e spazio (immobilizzazione e dilatazione del tempo).
Nel cinema monopista, il fuori campo del suono è un prodotto della visione combinata all’ascolto. Non è
altro che un rapporto fra ciò che si vede e ciò che si sente. Esso esige la presenza simultanea degli elementi.
Nel cinema multi pista si vuol far credere agli spettatori che la scena audiovisiva si prolunghi realmente nella
sala, al di fuori del quadro dello schermo (stereofonia).
Fuori campo attivo: il suono acusmatico porta lo spettatore a porsi delle domande sulla sorgente non
visibile del suono. Il suono crea un’attenzione e una curiosità, genera l’anticipazione da parte dello
spettatore.
Fuori campo passivo: il suono crea un ambiente che avvolge l’immagine e la stabilizza, senza creare il
desiderio di ricercare la sua sorgente (suoni-territorio, scenografia sonora).
Estensione dell’ambiente sonoro: spazio concreto che i suoni evocano e fanno sentire intorno al campo e
anche, all’interno del campo, intorno ai personaggi. L’estensione dell’ambiente non ha limiti reali, se non
quelli dell’universo. Sulla stessa immagine fissa e prolungata si può anche dilatare all’infinito il fuori campo
immaginato e suscitato dal suono. Ma pure, nel senso inverso, restringerlo. Il suono è suscettibile di creare
un fuori campo a estensione variabile. La stereofonia incoraggia il gioco dell’estensione.
Sospensione: un suono naturalmente implicato dalla situazione viene insidiosamente o improvvisamente
soppresso, creando una sensazione di mistero e vuoto. L’eliminazione del suono porta ad una
riconsiderazione dell’immagine
Punto di vista:
• Accezione spaziale: da dove vede lo spettatore:
• Accezione soggettiva: quale personaggio, nell’azione, si ritiene veda ciò che vede lo spettatore.
Punto di ascolto:
• Accezione spaziale: da dove sente lo spettatore, da quale punto dello spazio figurato sullo
schermo o nel suono;
• Accezione soggettiva: quale personaggio, a un dato momento dell’azione, si ritiene che senta
ciò che sente lo spettatore. È l’immagine che crea il punto d’ascolto soggettivo: ad esempio con
il primo piano del personaggio si fa sentire il suono come se fosse sentito dal personaggio
stesso o con le voci telefoniche.
Definizione sonora (comprensibile e chiaro): finezza e precisione della registrazione sonora nella resa dei
dettagli; è in funzione della sua larghezza della banda di frequenza e della sua ricchezza di dinamica
(importanza delle frequenze acute: più dettagli e informazioni, contribuiscono ad un effetto di presenza e
realismo). Nei moderni cinema, il suono è purificato, privo di riverbero, chiaro. Ciò non ha nulla a che fare
con il suono che sentiamo naturalmente nella realtà.
Fedeltà sonora (simile alla realtà): nozione rischiosa e fuorviante che dovrebbe supporre una comparazione
permanente tra l’originale e la sua riproduzione entrambi presenti. La nozione di alta fedeltà è puramente
commerciale e non corrisponde a nulla di preciso o verificabile.
Oggi la definizione viene considerata come prova di fedeltà, cosa non vera.
Un suono più definito, contenente più informazioni è suscettibile di comportare più indizi materializzanti e
favorisce un ascolto più vivo, spasmodico, rapido, pronto, in particolare tramite il susseguirsi di frequenze
acute e fenomeni agili che si trovano in quello zone.
Fotogenia e fonogenia: la fonogenia era una caratteristica della voce ed era considerata una qualità
essenziale per essere registrati dai mezzi dell’epoca (’20 – ‘30) che non erano in grado di registrare voci
troppo basse. Oggi non si usa più questo termine in quanto ci si è convinti che i mezzi di registrazione sonora
siano trasparenti. Si parla invece ancora di fotogenia: non si può catturare la realtà completamente, non si è
mai soddisfatti dei risultati. La convinzione che il suono registrato sia neutro, trasparente e puro forse vuole
anche indicare il fatto che l’ascolto mediato è diventata la condizione d’ascolto base, che si sostituisce
all’ascolto diretto: la realtà acustica mediata è diventata più reale della realtà.
Il sonoro cinematografico è un prodotto finemente ricostruito tramite scelte ed eliminazioni, in relazione a
ciò che esige il regista: è una costruzione.
Ciò che suona vero per lo spettatore e il suono vero sono due cose differenti. Per valutare la verità di un
suono facciamo di solito riferimento più ai codici maggiormente diffusi dai media piuttosto che alla nostra
diretta esperienza vissuta (soprattutto per riferirci ad esperienze che non possiamo aver vissuto: guerra o
paesaggi esotici). In verità, la realtà non ci mette nelle condizioni di ascoltare in sé i suoni che la
punteggiano.: il contesto influenza eccessivamente la loro percezione. La nostra esperienza reale e totale dei
suoni è un’esperienza mediata dai codici mediali.
Resa. Nel cinema il suono viene riconosciuto dallo spettatore come vero, efficace e adatto non se esso
riproduce il suono esatto della realtà ma se rende (traduce, esprime) le associazioni legate a quella causa.
Non si deve dunque ricercare lo stesso effetto della sorgente sonora reale quanto piuttosto tradurre un effetto,
una sensazione associata alla sorgente. Al rumore continua ad essere attribuita, nel senso comune, la capacità
di raccontare la causa da cui viene prodotto e di risvegliare le impressioni legate a quella causa.
Il suono ha effetti emotivi, è legato alla sfera emozionale. Il suono ha la capacità di dare una resa di
sensazioni non soltanto uditive ma anche fisiche e psichiche (richiama la sinestesia). Fenomeni complessi
che coinvolgono l’intero sistema sensoriale sono resi (e ridotti) nel cinema tramite il solo canale audiovisivo.
Il suono dunque non ha soltanto il compito di ricreare la realtà sonora dell’evento rappresentato, ma anche
quello di raccontare un afflusso di sensazioni composite.
Indizi sonori materializzanti: esercitano un’influenza sulla percezione stessa della scema mostrata e sul suo
senso. Essi rimandano alla materialità del suono: sorgente e come viene emesso o ottenuto. Nel contratto
audiovisivo, il calibrato dosaggio di indizi sonori materializzanti è un fondamentale mezzo di messa in
scena, di strutturazione e di drammatizzazione.
L’avvento del parlato nel cinema apporta una frattura che intacca aspetti
Economici
Tecnologici
Estetici
Anche con l’introduzione del sonoro, il cinema rimane ontologicamente legato all’immagine (necessità di un
quadro di proiezione). In contrapposizione a quest’idea, Ruttman, con Week-end del 1930, vuole fare un
cinema di soli suoni.
Lo schermo rimane il fuoco dell’attenzione: è lo schermo che continua a fare spettacolo, e ciò indica la
centralità dell’immagine. L’immagine è delimitata nello spazio, mentre il suono si espande. Il suono dà
valore all’immagine.