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Verifica 1

Omaggio a Nièpce
Nièpce è il primo che ha ottenuto la registrazione di
un’immagine utilizzando una camera oscura (una scatola di
legno con un obiettivo davanti). Quello che poi vedremo
essere molto somigliante a quello che i pittori già da un
paio di secoli cominciavano ad usare per fare i disegni dei
bozzetti.
Nièpce, sperimentando, trova che c’è un materiale, bitume
di giudea, una resina chiara, catramosa, che secca ed
indurisce con la luce del sole. Cosi per primo riesce ad
ottenere un immagine non disegnata. Questo metodo
verrà presto abbandonato perchè richiedeva 8 ore di
esposizione.
Mulas gli dedica la prima verifica. Prende un foglio di carta
sensibile per stampare, quelli che si utilizzavano nella
camera oscura, prende una pellicola, un rullino senza
nessuna fotografia, un rullino non esposto ma sviluppato.
Appoggia questa pellicola tagliata ogni 6 fotogrammi una striscia accanto all’altra. Il quadrato bianco
che si vede intorno è dato dalla lastra di vetro che serviva per schiacciare bene i negativi sul foglio,
poi ci sono 5/10 secondi di esposizione, poi lo sviluppo ed il fissaggio.
Di solito si ottengono tutte le foto che ci sono sul negativo stampate. Ma Mulas realizza questo
lavoro con un rullino non esposto.
Omaggio a Nièpce, al primo che scopre un materiale sensibile alla luce. Ma in questo caso la
sensibilità si trova solo dalla cosa della pellicola. Solo la coda ha preso luce e mi dice che li c’è un
materiale che dove ha preso la luce è diventato tutto nero e quando lo vado a stampare diventa
tutto bianco.
Il sottotitolo di questa verifica è “36 occasioni perdute”. 36 occasioni perdute perchè è una pellicola
che poteva essere il supporto su cui fissare 36 scatti ma non ne è stato fatto neanche uno.
“La fotografia che ho intitolato Omaggio a Nièpce è il risultato di un riesame del mio lavoro di
fotografo che ho fatto alcuni anni fa. Ho dedicato a Nièpce questo primo lavoro, perché la prima cosa
con la quale mi sono trovato a fare i conti è stata proprio la pellicola, la superficie sensibile,
l'elemento cardine chiave di tutto il mio mestiere, che è poi il nucleo intorno al quale ha preso corpo
l'invenzione di Nièpce. Una verifica, che è prima di tutto un omaggio, un gesto di gratitudine, un dare
a Nièpce quello che è di Nièpce. Per una volta il mezzo, la superficie sensibile, diventa protagonista;
non rappresenta altro che se stesso. Siamo di fronte a un rullo vergine sviluppato; il pezzettino che è
rimasto fuori del caricatore ha preso luce indipendentemente dalla mia volontà, perché è il
pezzettino che prende 'sempre' luce quando si deve innestare la pellicola sulla macchina: è un fatto
fotografico puro. Prima ancora che il fotografo faccia qualsiasi operazione, già è avvenuta qualche
cosa. Oltre a questo pezzettino che prende luce all'inizio, ho voluto salvare anche il tratto finale,
quello che aggancia la pellicola al rocchetto. Un pezzettino che non si usa mai, che non viene mai alla
luce, che si butta via, eppure è fondamentale, è il punto dove finisce una sequenza fotografica.
Mettere l'accento su questo pezzetto vuol dire mettere l'accento sul momento in cui togli dalla
macchina la pellicola per portarla in laboratorio. Vuol dire chiudere. Anche questa è una presenza
fotografica, perché, essendoci ancora appiccicata della colla che fa corpo, la luce in quel punto non
passa. Potrei aggiungere che questo omaggio a Nièpce rappresenta trentasei occasioni perdute, anzi,
trentasei occasioni rifiutate, in un tempo in cui,come scrive Robert Frank riferendosi al
fotogiornalismo, l'aria è divenuta infetta per la puzza di fotografia.”

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