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I fattori che condizionano l’e ettiva applicazione delle leggi emanate sono molti:
• presenza o assenza della domanda di istruzione, legata a condizioni sociali ed economiche
del territorio;
• inadeguata preparazione maestri;
• carenza edi ci scolastici;
• insu cienza strumenti didattici.
Toccherà alla Legge Casati mettere insieme i tassello di questo mosaico complesso.
La riforma scolastica di Maria Teresa d’Austria e Giuseppe II. Voluta nella seconda metà del ‘700. Si sviluppa attraverso
l’emanazione di provvedimenti pragmatici ed una serie di azioni rilevanti:
• Dichiarazione imperiale volta a dichiarare l’istruzione quale interesse dello Stato;
• Riforma dei libri elementari;
• inchiesta sullo stato delle scuole milanesi;
• piano organico per istituzione scuole elementari e preparatorie, scuole d’arti professionali e
studi secondari.
Mira a:
• de nire sistema capillare di scuole;
• introdurre obbligo scolastico;
• sancire gratuità scuole;
• attribuire maggiore importanza a educazione religiosa necessaria per formare il buon
cristiano ed il buon cittadino;
• quali care maestri/e, attraverso corsi di metodo
• utilizzare clero per sopperire a di coltà economiche dei comuni.
Questi principi, sebbene non sempre capaci di tramutarsi in realtà (es. obbligo scolastico),
insieme alle politiche attuate dai napoleonidi (-> scuola = mezzo indispensabile per formazione
giacobino repubblicano), forti cano l’istruzione di base rendendola una realtà consolidata e
di usa.
Il governo restaurato, riferendosi alla scuola popolare austriaca, nel 1818 emana il Regolamento
per le Scuole Elementari nel Regno Lombardo-Veneto (reso e ettivo nel 1821):
• istituzione di scuole “ovunque si tiene un libro parrocchiale”;
• gratuità e obbligatorietà “per tutti i fanciulli/e 6-12 anni”;
• in caso di contravvenzione, multa “per ogni mese di mancanza”.
Uno dei principali problemi che il governo è chiamato a risolvere è la formazione pedagogica dei
maestri. La questione trova una soluzione (formale) con l’annessione alle scuole elementari
superiori di una cattedra di metodica e catechistica. Gli aspiranti maestri devono superare con
lode gli studi delle terze e quarte classi, seguire un corso (dai 3 ai 6 mesi), svolgere un tirocinio e
sostenere un esame di idoneità. La formazione si poggia anche su corsi di metodica (3 mesi) e
sulla pubblicazione di testi speci ci.
Ci sono, inoltre, sia il problema della formazione delle maestre, sia quello del trattamento
economico dei maestri.
L’insu cienza delle iniziative pubbliche indirizzate alle fanciulle consente una oritura di iniziative
private legate all’operato di congregazioni religiose.
• I licei, la cui costituzione si basa in gran parte sul Regolamento organico del 1807, sono
ristrutturati in base alla risoluzione sovrana del novembre 1816 e modellati sulle facoltà
loso che esistenti.
• Una nuova normativa dell’aprile 1833 disciplina i licei-convitti la cui direzione è a data ad un
provveditore. La durata del corso, dal 1825, passa da 3 a 2 anni.
• Il corso ginnasiale si compone di 4 classi di grammatica, a cui seguono altre 2 classi di
umanità. L’insegnamento si basa maggiormente sullo studio del latino e del greco, su metodi
grammaticali e stilistici e su esercitazioni pesanti. Il governo austriaco, nel 1849, amplia il
programma di lingua e letteratura italiana e quello di scienza esatte e naturali. Grande
importanza è attribuita allo studio della religione. Gli esami sono mensili e semestrali. La
politica ginnasiale austriaca non può considerasi, nel suo complesso, tanto positiva quanto
quella rivolta alle scuole elementari. Sulle capacità degli insegnanti sono in molti a sollevare
dubbi.
• Nell’arco di tempo fra Restaurazione e 1820-1 si registra un orire di iniziative private tese alla
fondazione di scuole i mutuo insegnamento. Sono scuole basate sulla metodologia descritta per
la prima volta nel 1803 in Inghilterra da Joseph Lancaster. Queste sono messe in crisi dal
riordino delle scuole governative e successivamente stroncate dal governo austriaco.
• Appoggiati dall’autorità di Giandomenico Romagnosi, sovvenzionati da nobiltà/borghesia/clero,
gli asili si di ondono con rapidità.
• L’istruzione non statale vanta una lunga tradizione sia attraverso collegi, retti soprattutto da
ordini religiosi, sia attraverso istituti, frutto di iniziative personali. Questa consuetudine è
regolata dal 1819 dal Regolamento degli istituti privati, che esorta i giovani che intendono
istruirsi privatamente a rivolgersi ad insegnanti regolarmente approvati dal Governo, a prestare
massima cura all’insegnamento religioso ed ad adottare stessi libri utilizzati nelle scuole
pubbliche. Con il Regolamento in breve tempo le scuole private sono messe nella condizione di
chiudere o di rinunciare ad ogni velleità d’indipendenza.
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Nell’ordinamento scolastico l’elemento ecclesiastico occupa, nel campo dell’istruzione, un ruolo
preminente. In questo periodo però il potere civile si serve di quello religioso, in tutti i rami
dell’istruzione, per legittimare il suo dominio.
Dopo i moti del 1821, il governo sabaudo, con l’intento di garantire un’istruzione minima ai ceti
popolari, intesa come strumento di controllo sociale, interviene nel campo della scuola pubblica
emanando nel luglio 1822 le Regie Patenti con un annesso Regolamento degli studi.
Il Regolamento riordina il sistema scolastico ed impone, riguardo all’istruzione elementare,
l’obbligo di istituire “in tutte le città una scuola per istruire i fanciulli nella lettura, scrittura, dottrina
cristiana e negli elementi di lingua italiana e dell’aritmetica, col titolo di Scuola comunale”.
Inoltre:
• sono dettati i criteri per l’accertamento dell’idoneità dei maestri;
• si dichiara la gratuità dell’insegnamento elementare;
• è limitata l’autorità delle amministrazioni comunali.
Le nuove norme però non stabiliscono sanzioni per i comuni inadempienti né prevedono la
concessione di fondi per quelle amministrazioni in condizioni di ristrettezze economiche; inoltre,
non rivolgono attenzione nei confronti degli insegnanti, del loro trattamento economico e della
loro formazione.
Il Regolamento accontentavi liberali, obbligando i comuni ad istituire, a proprie spese, scuole
elementari in tutti i borghi.
Nel 1826, le Regie Patenti disciplinano in maniera rigida l’insegnamento privato, consentito ai
“parroci nelle rispettive Parrocchie”.
Anche il movimento in favore degli asili infantili si sviluppa in Piemonte, però con maggiore
lentezza rispetto al Lombardo-Veneto. L’interesse degli aristocratici per l’educazione del popolo è
prevalentemente legato a motivazioni d’ordine sociale, economico, politico e religioso.
Un’impronta propriamente educativa si deve all’in uenza di Ferrante Aporti ed al nuovo indirizzo
che prende la politica piemontese dalla ne degli anni ’30.
La politica liberale di Carlo Alberto ed il favore della pubblica opinione niscono per determinare
una rapida di usione degli asili aportiani in tutto il Piemonte.
L’opera dei privati singoli ed associati è ancheggiata anche da alcuni periodici di carattere
educativo, tra cui il foglio periodico Letture popolari ed il giornale d’educazione e d’istruzione
elementare L’educatore Primario.
Un miglioramento delle condizioni scolastiche, sia riguardo alla preparazione degli insegnanti sia
riguardo ai sussidi, si deve alla fondazione nel 1844 di una Scuola superiore di metodo, presso
l’Università di Torino. Da questa scuola escono una serie di libri di testo di rilevante importanza
per l’istruzione elementare.
Accanto a tale scuola, nalizzata a formare i professori di metodo, a partire dal 1845 si attivano
anche le scuole provinciali di metodo, destinate alla preparazione dei maestri, nelle quali si
tengono corsi della durata di 3 mesi.
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La nomina a Magistrato della Riforma del marchese Al eri segna il sopravvento delle idee liberali
nel campo dell’insegnamento e l’assunzione, da parte del governo, di maggiori responsabilità.
Nel giugno 1847, si presenta al Parlamento subalpino u progetto di legge che fa dipende la
pubblica istruzione dalla Direzione generale del Ministero Segretario di Stato incaricato. Il
progetto, che distingue le scuole maschili in 3 gradi, stabilisce che nelle scuole elementari “si
danno l’istruzione e l’educazione necessarie a tutti i cittadini indistintamente”.
Le Regie Patenti del novembre 1847 istituiscono la Regia Segreteria di Stato per l’istruzione
pubblica, con la funzione di “promuovere il progresso del sapere, provvedere in ogni parte
all’amministrazione degli Instituti e stabilimenti appartenenti all’insegnamento ed alla pubblica
educazione”.
➡ La pubblica istruzione ottiene un proprio rappresentante in seno al Consiglio di Conferenza e di
conseguenza una propria autonomia funzionale.
Nell’ottobre 1848, Carlo Alberto emana un decreto con cui riorganizza la pubblica istruzione degli
Stati Sardi. Si tratta della LEGGE BONCOMPAGNI, presentata alla Camera mentre il Regno è
impegnato nella prima guerra d’indipendenza, attraverso la quale l’insegnamento passa
de nitivamente dalla tutela del clero alla sorveglianza ed alle dipende dell’autorità civile.
Il nuovo assetto accentra allo Stato il controllo della pubblica istruzione, prevede una progressiva
laicizzazione delle scuole, abolisce i privilegi degli ordini religiosi riguardo all’insegnamento e
qualsiasi ingerenza scolastica degli ecclesiastici sulla scuola. La Legge non sottende un
orientamento antireligioso, concedendo spazi all’iniziativa privata e all’associazionismo.
La legge, che mira ad organizzare in maniera più razionale la scuola pubblica, istituisce in ogni
capoluogo di provincia, per la gestione delle scuole elementari e delle secondarie, i Consigli
provinciali.
Il nuovo sistema, che ria erma l’obbligatorietà e la gratuità dell’istruzione primaria, prevede:
• le scuole elementari, divise in:
• inferiori ➡ catechismo, leggere, scrivere, primi elementi di aritmetica, principi della lingua
italiana
• superiori ➡ grammatica e “componimenti italiani”, “ulteriori sviluppi” dell’aritmetica, i
primi elementi di geometria, delle scienze naturali, della storia e della geogra a;
• le scuole post-elementari, divise in:
• speciali ➡ preparano all’esercizio di quelle professione per cui non è necessaria
un’istruzione a livello universitario
• secondarie ➡ lingue antiche e lingue straniere, elementi della loso a e della scienza;
funzione di preparare i giovani agli studi universitari.
Una legge approvata nell’ottobre 1848, rivolta al grado secondario, istituisce in alcuni convitti un
corso speciale destinato ai giovani che non intendono dedicarsi agli studi classici e, al posto dei
soppressi collegi tenuti dai Gesuiti, collegi-convitti i quali comprendono i corsi di grammatica (3
anni), retorica (2 anni), loso a (2 anni) ed un corso elementare diviso in 4 anni che, essendo
collegato ai collegi, assume un carattere elitario. Inoltre, la disposizione stabilisce, per le scuole
elementari, il principio della rotazione degli insegnanti.
L’opera riformatrice del Boncompagni è considerata insu ciente da molti intellettuali del tempo.
Le critiche riguardano varie questioni, tra cui:
❌ mancata istituzione di scuole medie non fondate sul latino e rivolte alla preparazione per
l’esercizio delle professioni tecniche e dei mestieri;
❌ insu cienze provvedimenti riguardanti la preparazione dei maestri e le scuole di metodo;
❌ problema dell’educazione femminile;
❌ mancata a ermazione dei principi dell’obbligatorietà dell’istruzione elementare e della
gratuità della scuola elementare pubblica.
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Alla Legge Boncompagni seguono altri provvedimenti:
• legge sull’amministrazione dei comuni -> iscrive tra le spese obbligatorie quelle per
l’istruzione elementare per ambo i sessi;
• regio decreto -> norme precise per la gestione dei convitti nazionali;
• Regolamento che ordina scuole secondarie in conformità ai principi esposti dalla Legge
Boncompagni;
• Istruzioni Provvisorie per le scuole primarie per gli adulti (marzo 1849). Sono rivolte ai
comuni ed alle associazioni provate, che intendono istituire scuole quotidiane serali e scuole
feriali diurne a favore degli adulti. Suddividono le scuole primarie in:
• elementari ➡ dottrina cristiana e storia sacra; lettura e scrittura; principi lingua italiana,
aritmetica, pesi e misure;
• superiori ➡ religione; grammatica italiana; nozioni diritto costituzionale, codice civile,
geogra a e storia patria; principi economia domestica e rurale, d’igiene pubblica e privata;
aritmetica applicata ad agricoltura e commercio; principi geometria applicata e scienze
naturali.
Tuttavia, la Statistica dell’istruzione primaria negli Stati Sardi del 1850 mostra che le scuole
per gli adulti sono sono ancora una realtà di usa.
Nel 1819 il ministro decreta la limitazione ed il controllo delle scuole private: chi intende aprire o
continuare a tenere un istituto privato è tenuto ad ottenere l’autorizzazione del Ministero che,
dopo gli opportuni accertamenti, stabilisce, caso per caso, a quale insegnamento il richiedente
può essere abilitato.
Il decreto resta in vigore no al dicembre 1825, anno in cui il Duca ordina la chiusura di tutte le
scuole private e vieta il proseguimento degli studi nelle scuole pubbliche degli allievi provenienti
da istituti privati.
Nel 1820, il ministro stabilisce qualche regola generale legata al funzionamento della scuola,
senza a rontare questioni rilevanti.
Nel novembre 1829 sono dettate nuove regole riguardanti la nomina degli insegnanti di umane
lettere: il ministro prescrive le gli aspiranti speci ci esami volti a valutare la moralità e la
preparazione.
Dopo la fuga di Francesco IV il governo provvisorio, che elabora una legge volta al riordino delle
scuole di ogni grado ed istituisce una Prefettura di pubblica istruzione, emana anche alcuni
provvedimenti con i quali revoca le norme che vietano agli ebrei di frequentare le scuole
pubbliche.
Con la legge del febbraio 1831, il governo provvisorio decreta l’abolizione di alcuni licei-convitti
ed il riordino del ginnasio; la legge poi stabilisce la gratuità delle scuole primarie e secondarie,
introduce alcune restrizioni per le scuole private e rinvia ad un regolamento volto a garantire
uniformità di mesi alle scuole comunali della provincia e della capitale.
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É emanato un decreto ministeriale con cui si istituisce una scuola per la preparazione degli
insegnanti di belle lettere.
Del problema dell’istruzione sembra volersene occupare Francesco V, che nomina una
commissione con l’incarico di elaborare un piano generale relativo all’insegnamento pubblico. Il
successivo Regolamento conferma le norme precedenti d la centralità in tutte le scuole dello
studio della dottrina scolastica.
L’ordinamento scolastico sotto Maria Luigia prevede scuole distinte in superiori (o facoltative),
secondarie e primarie.
Le scuole secondarie sono divise nelle 5 classi della scolastica, mantenute da un consorzio di
comuni e regolare con programmi, orari, testi di studio e criteri disciplinari diversi.
La scuola elementare comprendere 3 classi. La sua situazione però non è soddisfacente:
scandente preparazione maestri, angustia locali, mancanza norme relative all’istruzione delle
giovanette. Questi fattori ed altri favoriscono il sorgere e l’a ermarsi di numerosi istituiti privati.
Menzione particolare merita l’introduzione del parmense del mutuo insegnamento (don Paolo
Gandol ).
Nell’ottobre 1831 viene pubblicato un nuovo Regolamento, che istituisce scuole primarie, “a
comodo dei comuni e mantenute a spese loro”, e scuole secondarie. Vi sono delle norme precise
su orari e programmi, in modo da impedire ai maestri libertà di movimento ed azione. Non a ronta
questioni rilevanti, come il ribella della formazione e preparazione degli insegnanti.
Accanto alle scuole, per iniziativa di provati, sorgono anche alcuni asili infantili.
A Parma di istituiscono anche le Case della Provvidenza, che accolgono ragazzi da 8 a 18 anni e
o rono loro la possibilità di imparare un mestiere e di essere istruiti nella meccanica, geogra a,
aritmetica e geometria.
Il Granduca, col sovrano Decreto del novembre 1845, nomina una Commissione per elaborare un
piano di riforma per l’insegnamento primario è secondario, che produce nel ‘46 un progetto ed
un’amministrazione e della cultura pedagogica dello Stato toscano alla vigilia del ‘48.
La fondazione di un Liceo statale a Firenze rompe il monopolio fatto dagli Scolopi e segna gli
inizi di un’istruzione di grande avvenire.
Leone XII, nel settembre 1824, emana la bolla Quod Divina Sapientia, che segna il ripristino della
Sacra Congregazione degli Studi.
La situazione di disordine dell’istruzione elementare spinge il papa a ricondurre l’istruzione ad un
sistema organico e il disordine è disciplinato dalle norme contenute dalla Costitutio de recta
ordinatione studiorum in dictione ecclesiastica ed attuate dal Regolamento elaborato dalla Sacra
Congregazione. I 27 titoli disciplinano l’intero comparto scolastico. Recepiva e trasferiva sul
versante scolastico i 2 principi di uniformità e centralizzazione. Contiene un esteso regolamento
universitario, o rendo solo alcune norme per le scuole primarie; mentre, non contiene
disposizione per gli istituti per la formazione di insegnanti e per le scuole secondarie. Sopprime in
tutto lo Stato le scuole di mutuo insegnamento.
Il nuovo ordinamento delle scuole elementari si limita solo a disciplinare le scuole tenute dai
privati; mentre lascia piena libertà alle scuole rette da Congregazioni religiose.
La Sacra Congregazione degli Studi, nel settembre 1825, pubblica il Regolamento delle scuole
private elementari, composto su 5 titoli. Il 1º titolo conferma l’obbligo dei maestri di munirsi della
licenza e le pene per i contravventori. Nel 2º titolo, che tratta il numero dei locali scolastici e
delle materie d’insegnamento, sono ripostate informazioni sui locali che devono essere ampi,
ben illuminati, lontani da bettole, corredati di banchi e dei sussidi necessari ed ornati con
l’immagine di Cristo e della Vergine.
Questo Regolamento, esteso anche alle scuole regionarie, è rilevante perché “estendendo anche
alle scuole tenute dai maestri ragionari il piano di studi prescritto per quelle elementari private,
tolse loro il tradizionale privilegio di impartire anche l’istruzione di tipo secondario no al ciclo
dell’umanità e della retorica”.
Sono previsti testi uniformi per la grammatica italiana, la prosodia e la retorica. Sono resi
obbligatori l’insegnamento della l’italiana e l’adozione del libro del Pallavinci.
Nella seconda metà degli anni ‘20, operano scuole parrocchiali (gratuite) e scuole ponti cie
(semi-gratuite; si impartiscono dottrina cristiana, primi rudimenti leggere, scrivere e calcolo, per le
bambine anche lavori donneschi).
Nell’aprile 1832, la Sacra Congregazione prende la decisione che tutti i maestri che non
professano buone massime, non operano con saggezza o di cui non si sospettano non sani
principi religiosi e politici devono essere sottoposti a tribunali ordinari, per essere sospesi o
destituiti.
Con Pio IX, la Sacra Congregazione dichiara di voler incrementare gli istituti rivolti al popolo, tra
cui le scuole notturne e gli asili infantili.
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Durante l’esperienza della Repubblica Romana è dichiarato il principio di potere l’istruzione sotto
il pieno controllo statale, pur a ermando di non voler abolire il ruolo moralizzatore della religione.
Dopo la caduta della Repubblica è abolito il Ministero della Pubblica Istruzione e reintegrata nei
suoi poteri la Sacra Congregazione degli Studi.
Nell’agosto 1815 è istituita per i domini peninsulari la Commissione di Pubblica Istruzione, che
viene incaricata di estendere le sue vedute sopra tutte le parti dell’istruzione e di vigilare le scuole
private.
Nel gennaio 1817 è istituita per i domini insulari la Suprema Commissione di Pubblica
Istruzione ed Educazione, da cui dipendono tutte le scuole primarie e secondarie, i collegi di
studi, i convitti, i conservatori ed i seminari.
Nel maggio 1816 è promulgato il Regolamento per le scuole primarie de’ fanciulli di Napoli e
del Regno che sancisce la gratuità e l’obbligatorietà dell’istruzione primaria attraverso
l’attivazione di scuole poste a carico delle amministrazioni comunali. Sono dettate indicazioni
volte ad ampliare il raggio d’azione della scuola pubblica, tra cui l’obbligo di munirsi della
“matricola di aver assistito alle scuole primarie, di saper leggere, scrivere, il Catechismo di
religione ed i Doveri sociali” per intraprendere un mestiere.
Lo Stato attribuisce al clero una posizione di assoluta centralità nella gestione della scuola
pubblica.
Per i domini insulari, la Commissione di Palermo emana, nel novembre 1818, i Regolamenti per
le scuole primarie, che prevedono l’attivazione in ogni comune di scuole “di leggere, e scrivere
correttamente, nell’aritmetica elementare, e nelle istruzioni morali del Catechismo di Religione, e
dei doveri sociali adottati dal Governo”.
Riguardo all’istruzione femminile, sono emanati, contestualmente ai provvedimenti del 1816 e ‘19,
speci ci regolamenti che ordinano l’apertura di scuole gratuite di leggere, scrivere, far di conto,
catechismo e arti donnesche.
In Sicilia, dalla seconda metà del XVIII sec., sono in funzione una rete di Collegi di Maria.
Nel dicembre 1816, è emanata la legge organica dell’amministrazione civile, che stabilisce, a
seconda della classe del comune, il tetto massimo degli onorari di maestri e maestre.
Nel maggio 1816 è emanato un decreto che disciplina il trattamento pensionistico di tutti i
dipendenti pubblici.
Tra il 1825 e il ‘30, dopo l’ascesa al trono di Francesco I (la cui politica è improntata a un rigido
autoritarismo e chiusa a novità e progresso), le iniziative legate a istruzione pubblica sono ridotte.
Le uniche iniziative di rilievo riguardano la Sicilia, dove nell’ottobre 1825 è pubblicato il Piano di
riforma per le Accademie e i Collegi dell’isola e nel giugno 1828 il Metodo e Corso scolastico da
osservarsi in tutte le scuole primarie, secondarie, pubbliche e private, che regola l’adozione dei
metodi normale e lancasteriano e fornisce indicazioni sui programmi e sui libri di testo da adottare
nelle scuole primarie e secondarie.
Agli inizia degli anni ‘40, il Presidente della Giunta di Pubblica Istruzione elabora il Progetto di
Riforme pel regolamento della pubblica istruzione, che concede ampio spazio all’iniziativa
privata e trasferisce il peso dell’istruzione pubblica alle province prevedendo l’attivazione di 3
gradi scolastici.
La proposta induce Ferdinando II ad emanare, nel gennaio 1843, un decreto che a da l’istruzione
primaria ai Vescovi autorizzati a scegliere, sospendere e rimuovere maestri/e e così formalizzando
il ritiro dello Stato dall’istruzione primaria.
L’istruzione primaria però continua a procedere senza modi che di rilievo, a data a maestri-
parroci. Il deserto incentiva l’iniziativa privata laica che si propone con realizzazioni di grande
rilievo dal punto di vista pedagogico e culturale.
Dopo la concessione della Costituzione, Ferdinando II, nel marzo 1848, istituisce a Napoli la
Commissione provvisoria di Pubblica Istruzione. Questa elabora un piano innovativo di riforma
della scuola primaria e secondaria, che però resta sul piano degli intenti.
Il Parlamento siciliano, le ‘48, approva lo Statuto Costituzionale del Regno di Sicilia nel quale è
a ermata la libertà dell’insegnamento e la gratuità della scuola pubblica.
Negli ultimi 10 anni di vita del Regno borbonico, si registrano buoni risultati con riguardo
all’istruzione secondaria. Diverse sono le realizzazioni scolastiche tecnico-professionali legate a
istituti agrari, a scuole di arti e mestieri, commerciali e nautiche. Sul versante dell’istruzione
primaria, vi sono diversi provvedimenti che mirano a migliorare vari aspetti della scuola pubblica,
la condizione dei/delle maestri/e ed a incentivare la frequenza scolastica.
Parlando di servizi educativi per la prima infanzia in Italia occorre sottolineare 3 punti.
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1. Non vi è traccia di alcun intervento “sistematico” no alla ne degli anni ‘60 e dei primi anni
‘70 del ‘900.
2. Per lungo tempo l’infanzia è stata pensata come “oggetto da accudire” (e non soggetto da
educare) -> intervento sociale a dato a soggetto politici che non appartenevano a
dimensione “scolastica”.
3. Le strutture per l’infanzia 0-3 e quelle 3-5 sono state per lungo tempo indipendenti tra loro e
non comunicanti l’una con l’altra.
Il percorso storico e culturale che ha portato le scuole dell’infanzia ad essere considerate vere e
proprie scuole può dirsi culturalmente e pedagogicamente concluso ai primi del ‘900, con la
Scuola materna delle sorelle Agazzi e la Casa dei bambini di Maria Montessori.
Gli asili nido diventano strutture educative solo a partire dai primi anni ‘70.
La nascita delle prime forme di asili nido ha motivazioni sociali: si sente la necessità di custodia
ed assistenza anche per l’infanzia sotto i e anni.
Il termine “asilo” cominciò ad essere utilizzato in Italia intorno agli anni ’30, per indicare
un’istituzione assistenziale ed educativa pensata per la “seconda infanzia” (3-6 anni).
Il primo “asilo di carità per l’infanzia” fu aperto a Cremona nel 1829 da Ferrante Aporti: gli asili
aportiani cercavano di preparare bambini/e all’istruzione elementare, curandone lo sviluppo sico,
intellettuale e morale e cercavano di valorizzare il gioco, a ancandola alle attività artigianali
(maschi) o all’economia domestica (femmine). Il modello degli asili aportiani si di use un po’
ovunque nella penisola.
La disattenzione politica alla scuola dell’infanzia è proverbiale nella legge Casati: in piena
espansione del sistema industriale, con il conseguente assorbimento di lavoratrici madri, non è
dedicata nemmeno una riga all’educazione dell’infanzia tra i 3 ed i 5 anni. La questione degli
“asili” fu però in parte recuperata dal Regolamento organico del Regno d’Italia sull’istruzione
elementare, in cui la preoccupazione principale sembra essere la “salubrità della sede”.
Gli “asili di educazione per l’infanzia”, tradizionalmente di impostazione cattolica, furono oggetto
di interesse anche da parte del controprogramma laico di istruzione promosso in area massonica
nei primi anni ’60 dell’800.
Nella prima metà degli anni ’60 iniziò a di ondersi il modello dello Kindergarden (o “giardino
dell’infanzia” froebeliano).
La ne dell’800 e il primo ‘900 sono un periodo molto fertile per l’innovazione pedagogica e
didattica nel campo dell’educazione infantile.
Negli anni ’90 le sorelle Agazzi aprirono la Scuola di Mompiano per la primissima infanzia, che
sviluppava una particolare attenzione per la musica, l’igiene, le occupazioni della vita domestica
ed il mutuo insegnamento. Elemento peculiare del “metodo Agazzi” era l’attenzione alla
spontaneità ed alla quotidianità, materializzata nell’utilizzo di oggetti reperibili nelle tasche dei
bambini come supporto alla pratica educativa.
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Nel 1907, Maria Montessori fondò la Casa dei bambini a Roma. Partendo dall’idea che il
bambino che approda alla scuola dell’infanzia è già un bambino “deviato” da abitudini familiari e
sociali poco funzionali allo sviluppo educativo, l’ambiente di apprendimento predisposto era
diretto alla “normalizzazione” dell’infanzia. L’ambiente della Casa, pur avendo le caratteristiche
di un luogo protetto e familiare a misura di bambino, era anche una sorta di “clinica didattica”.
Uscito dalla fase della “mente assorbente” (0-3 anni), al bambino e alla sua nuova “mente
matematica” (3-6 anni) andava o era al bambino la possibilità di operare una selezione sempre
più consapevole dei dati di esperienza accumulati nei primi anni di vita: questo era possibile
mediante materiali di apprendimento che agissero come “astrazioni generalizzate”. Il “materiale di
sviluppoӏ la precondizione del metodo educativo. I compiti che si richiedevano si combinavano
ad una serie di attività pratiche tipiche della vita quotidiana del bambino.
Tutta la vita della Casa era supervisionata da un nuovo tipo di insegnante, la cui prima
caratteristica doveva essere l’umiltà. La maestra organizzava l’ambiente di apprendimento,
mostrava al bambino il corretto uso del materiale, prendeva nota sul comportamento individuale.
Nel febbraio 1902, il ministro Nunzio Nasi emanò alcune circolari sui titoli di studio necessari per
insegnare nelle scuole della prima infanzia, distinguendo competenze e livelli tra Asilo infantile e
Giardino d’infanzia.
Con il governo Sonnino, il ministro Edoardo Daneo nel dicembre 1909 varò una circolare nella
quale si normava lo “statuto modello per l’istruzione di nuovi asili infantili”. Proseguì la sua
opera luigi Credaro: obbligo di vaccinazione, tutela dell’igiene e domande di sussidio per gli asili
infanzia (1912). Il Regio Decreto del gennaio 1914 ssava istruzione, programmi ed orari per gli
Asili infantili e i Giardini dell’infanzia.
Fu l’educatore milanese Giuseppe Sacchi ad avviare il progetto del Pio ricovero per bambini
lattanti nel 1850, anno che può essere considerato la vera e propria data di inizio delle istituzioni
assistenziali per la prima infanzia in Italia. Si trattava di strutture destinate principalmente alla
custodia della prole delle operaie impiegate stabilmente in manifatture e fabbriche della città. Fu
avviata in collaborazione con Laura Solera Mantegazza. L’impostazione della cura e le
metodiche di accudimento dei bambini erano allineate al meglio delle conoscenze igieniche ed
educative del tempo.
Seguendo il modello sacchiano, i presepi si di usero a macchia d’olio per tutta la seconda metà
dell’800, soprattutto nelle città dell’Italia settentrionale. Le principali utenti erano il ceto urbano
delle lavoratrici a domicilio e le salariate giornaliere occupate in maniera saltuaria.
Si ebbe una di usione degli asili aziendali: strutture organizzate all’interno delle fabbriche, al ne
di costudire i bambini delle dipendenti e per consentire l’allattamento con il minor dispendio di
tempo. Nacque nell’interesse economico dell’azienda.
Un’altra istituzione importante per la storia dell’asilo nido è la nascita dell’Istituto pro lattanti e
slattati (Matova, 1905), per opera del medico Ernesto Soncini, che impostò l’istituto all’insegna di
una rigorosa puericultura: il Memoriale del neonato (1908) costituì il primo modello di libretto
sanitario della storia della pediatria italiana. Da qui nacque una cultura dell’asilo nido come
presidio territoriale di base per i servizi socio-assistenziali per la maternità e l’infanzia.
Tra il 1905 e il 1924 vi è un consolidamento e un’espansione di tali iniziative.
La scuola materna
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Con un decreto del maggio 1923 si u cializzarono i Giardini d’Infanzia d’ispirazione froebeliana e
le Case dei bambini di ispirazione montessoriana, obbligando ogni istituto preposto alla
formazione delle future maestre di averne uno per le attività di tirocinio.
Con 3 Regi Decreti si normarono le adozioni dei libri di testo nelle scuole elementari e nelle
scuole popolari pubbliche e private, si riorganizzò la scuola elementare introducendo
l’obbligatorietà dell’istruzione religiosa e si classi carono i gradi dell’istruzione elementare.
Il 1º grado, detto “preparatorio”, era costituito dalla “scuola materna”, durava 3 anni (bambini
3-6 anni). Aveva un carattere ricreativo e si proponeva di disciplinare le prime manifestazioni del
carattere e dell’intelligenza del bambino. Con il Regio Decreto del 1923, si trasferirono
u cialmente la “vigliava e tutela” del settore al Ministero della Pubblica Istruzione e si stabilì che
le insegnanti avessero il titolo di “abilitazione all’insegnamento del grado preparatorio”.
Il modello pedagogico voluto da Gentile è messo in atto da Giuseppe Lombardo Radice era il
metodo Agazzi.
Il programma della scuola materna era “preparatorio” ai programmi di una scuola elementare
divisa in 2 gradi.
Il fascismo e la risposta ai bisogni sociali come costruzione del consenso: il ruolo dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia
Gli asili nido ebbero un grosso impulso con la nascita dell’OPERA NAZIONALE MATERNITÀ E
INFANZIA: organizzazione istituita con Regio Decreto del dicembre 1925 e de nitivamente normata
con Regio Decreto del dicembre 1934.
Aveva la nalità di sostegno alle madri lavoratrici a tutto tondo, principalmente rivolgendosi a
soggetti di classe povera.
Fu il primo grande organismo parastatale con lo scopo di promuovere iniziative assistenziali e
dare risposte “politiche” per la protezione e l’assistenza della maternità e dell’infanzia.
La legge attribuiva poi il compito di “provvedere alla protezione ed assistenza delle gestanti e
delle madri bisognose o abbandonate, dei bambini, lattanti e divezzi no al 5º anno di età,
appartenenti a famiglie bisognose che non possono prestar loro tutte le necessarie cure per un
razionale allevamento, dei fanciulli sicamente o psichicamente anormali e dei minori
materialmente o moralmente abbandonati”, oltre che di quello traviati o delinquenti no all’età di
18 anni compiuti.
Altri scopi erano la promozione di suole teorico-pratiche di puericultura, l’organizzazione (a livello
provinciale) della pro lassi antitubercolare dell’infanzia e la vigilanza sull’applicazione di ogni
disposizione legislativa e/o regolamentare in vigore per la protezione della maternità e
dell’infanzia.
ONMI è un complesso sistema di strutture destinate alla prima infanzia: consultorio per lattanti e
divezzi, dispensario, asilo per lattanti e divezzi, asilo-nido per lattanti e divezzi sino a 3 anni, asilo-
nido.
I servizi per l’infanzia dell’ONMI furono ispirati dal principio di garantire prima di tutto la salute
della donna incinta e puerpera in di coltà. Questa concezione permetteva di accedere ai servizi
solo alle madri “meritevoli”: ben disposte ad allattare e disposte a sottomettersi docilmente al
controllo dei propri comportamenti quotidiani e della propria moralità.
Dal momento in cui il bambino entrava nel nido, questi diventava quasi di esclusiva proprietà del
nido stesso e della sua organizzazione funzionale.
La struttura edilizia dei nidi prevedeva una rigida distribuzione degli spazi in 3 ambienti, ampi ed
impersonali m nei quali operava personale tutto vestito di bianco: refettorio, dormitorio e salire per
la ricreazione. Il modello si avvicinava a quello di tipo infermieristico.
La gamma dei bisogni infanti era limitata alle funzioni psico siologiche di base.
Conclusioni
La saldatura tra le due fasce di età 0-3 e 3-6 che si realizzò durante il periodo fascista fu un
e etto casuale della soluzione data a 2 problemi.
L’accudimento extra-familiare per la fascia 0-3 è concepito come una prestazione di tipo sociale
assistenziale, mentre quanto previsto per la fascia 3-6 è una preparazione alla vita scolastica.
Nel 1960 l’Unione Donne Italiane presentò una pionieristica proposta di legge per il passaggio
delle competenze dall’ONMI alle amministrazioni locali.
Nel 1965 venne promossa una proposta di legge di iniziativa popolare per l’istituzione di un
servizio nazionale di asili nido.
Nel 1968 CGIL, CISL e UIL presentarono una formale richiesta per l’istituzione di strutture che
favorissero la madre lavoratrice.
Nell’immediati dopoguerra, si assistette a una serie di iniziative dal basso di scuole materne
autogestite. Queste esperienze ebbero vita più o meno lunga.
L’attenzione politica alla scuola materna negli anni ‘50 fu sporadica ed episodica.
All’inizio del 1966, il governo Moro presentò una legge istitutiva della scuola materna statale, che
suscitò polemiche sia nella sinistra che temeva un’eccessiva ingerenza della Chiesa, sia degli
ambienti cattolici, che temevano un’eccessiva ingerenza statale. L’inviata mossa di porre la
ducia sul provvedimento fece cadere il governo nel gennaio 1966.
Si dovrà attendere no al ‘68 per l’entrata della scuola materna statale nel sistema scolastico
italiano.
Nel frattempo, a livello locale nacquero alcune esperienze che anticipavano il ruolo pubblico nel
settore dell’educazione dell’infanzia.
Nel novembre ‘63 si aprì la prima scuola comunale dell’infanzia denominata “Robinson”.
La svolta degli anni ‘60: la scuola materna statale e l’asilo nido comunale
La scuola materna statale
La scuola materna statale, una dei più importanti risultati del centrosinistra, fu attaccata con la
legge del marzo ‘68 n. 444, Ordinamento della scuola materna statale, con Luigi Gui.
Con l’aggettivo “statale” si intendeva per la prima volta nella storia del Paese il preciso dovere
dello Stato verso la prima infanzia.
La scuola ha per nalità l’educazione, lo sviluppo della personalità infantile e l’assistenza e la
preparazione alla frequenza dell’obbligo scolastico, in sintonia con l’educazione familiare.
L’iscrizione alla scuola rimaneva facoltativa, ma la frequenza diventava gratuita.
La scuola si rivolgeva a bambini/e dai 3 ai 6 anni, strutturata su un minimo di 3 sezioni, aperta 10
mesi all’anno. Per la prima volta nella storia dell’Italia unita, gli oneri per l’edilizia erano a carico
dello Stato e non degli Enti locali. Il personale era solo femminile, fornito di un diploma speci co.
Tutte le forme di istruzione pre-elementare per la fascia 3-6, in particolare i “Giardini dell’Infanzia”
o istituzioni simili, diventarono “scuole materne statali”.
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Gli Orientamenti della scuola materna statale arrivarono nel settembre ‘69. Sono centrali le
esigenze socio-a ettive del bambino, in un quadro di collaborazione e continuità tra scuola e
famiglia.
È garantita dallo Stato la libertà di insegnamento.
Identi cano le forme dell’opera educativa della scuola materna.
Dal punto di vista metodologico, sono raccomandate al tempo stesso l’individualizzazione e la
vita di gruppo, con particolare attenzione a quei bambini che manifestano una “situazione di
ri utati o isolati, o socialmente instabili”.
A concorrere all’a ermazione e alla nascita dell’asilo nido furono soggetti sociali e politici.
Le donne, che tramite le loro organizzazioni difendevano il lavoro extradomestico come momento
di emancipazione, rivendicavano l’istituzione di servizi sociali che rendessero questa istanza una
realtà.
I sindacati confederali che richiedevano riforme per implementare servizi allora non esistenti.
I partiti della sinistra.
Gli enti locali, che intendevano attivare rapporti più snelli e immediato tra pubblici poteri e
cittadini.
Gestione.
• Stato ➡ nanziamento
• Regioni ➡ coordinamento (con apposita normativa regionale)
• Comuni ➡ gestione
Aspetti positivi
✅ Legge riconosce infanzia come presenza “storica” e provvede a difenderla sia come parte della
famiglia, sia come gura “debole” della società di massa.
✅ Legge assicura pari opportunità formative a tutta l’infanzia.
✅ Legge pre gurava il decentramento amministrativo agli enti locali.
Aspetti negativi
❌ A 5 anni dall’entrata in vigore della legge, erano stati attivati solo il 10% dei nidi preventivati.
❌ Si assistette a una divaricazione tra Nord e Sud del Paese.
❌ L’asilo nido pubblico aveva alti costi di gestione.
❌ Ci fu in parte una burocratizzazione, che irrigidì il modello formativo originario.
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Dopo alcuni anni, sorgeva la necessità di un modello più elastico, quali cato come educativo, che
fosse al tempo stesso e ciente ed e cace.
Per comprendere l’importanza e l’innovazione delle leggi, devono essere tenuti in considerazione
alcuni mutamenti nella famiglia e una nuova sensibilità culturale e pedagogica.
Per quanto riguarda la famiglia, dalla metà degli anni ‘70 le dinamiche intrafamigliari cominciarono
a modi carsi. Si inaugurò un persistente processo di frammentazione dei nuclei famigliari, inteso
sia come restrizione dei membri sia come isolamento interfamigliare.
Per quanto riguarda la nuova sensibilità culturale, il nido andava trasformando andava
trasformando progressivamente in un luogo non solo tra bambini e bambine, ma anche tra
genitori ed educatori e tra le famiglie, in un continuo e pro cuo confronto sull’educazione della
prima infanzia. L’incontro tra famiglie tendeva ad essere funzionale al superamento del concetto
assistenzialistico di “custodia temporanea” ancora presente nella legge 1044.
Per far fronte a queste problematiche, le Regioni cercarono di implementare servizi che
incorporassero alcuni elementi di innovazione.
Per l’aggiornamento della scuola materna statale, il ministro Giovanni Galloni, nel febbraio 1988,
costituì una commissione che lavorò per 2 anni.
Gli Orientamenti per le attività educative nelle scuole materne statali, conosciuti come
“NUOVI ORIENTAMENTI”, furono varati mediante il D.M. del giugno 1991 dal ministro Riccardo
Misai.
Nella legge si preferì utilizzare la dizione “scuola dell’infanzia”, rispetto a “scuola materna”.
Era preservata un’autonomia educativa e didattica della scuola.
Ria ermavano la centralità del bambino, la non obbligatorietà della scelta scolastica in questa
fase, un curricolo propedeutico alla “continuità” del processo educativo, una personalizzazione
dei percorsi è una grande attenzione ai vari momenti educativi (non solo scolastici) nello sviluppo
cognitivo ed a ettivo dell’infanzia.
La scuola dell’infanzia diventava un’agenzia promotrice di “campi d’esperienza educativa”,
ciascuno dei quali era da considerasi articolato e articolabile secondo le dimensioni dello sviluppo
a ettivo ed emotivo, sociale, etico-morale e “di un corretto atteggiamento nei confronti della
religiosità e delle religioni e delle scelte dei non credenti”.
Delineavano un metodo fondato sulla valorizzazione del gioco, sull’esplorazione e la ricerca, sulla
vita di relazione, sulla mediazione didattica intenzionale, sull’osservazione-progettazione-veri ca e
sulla documentazione.
Si delinea una nuova gura di insegnante di scuola: un professionista dell’educazione formato a
livello universitario e in continuo aggiornamento, capace di collaborare con il team delle college e
di interagire con le famiglie, facendosi carico in modo maturo degli aspetti tecnico-gestionali del
ruolo.
Nell’agosto 1997 fu approvata la legge n. 285 denominata Disposizioni per la promozione dei
diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza (LEGGE TURCO).
La legge non era rivolta solo alla prima infanzia, ma anche all’adolescenza, con particolare
attenzione ai soggetti in di coltà.
La legge si proponeva, attraverso interventi innovativi, dei diritti di tutti i soggetti in età evolutiva.
La legge prospettava un metodo di lavoro innovativo, che richiedeva una collaborazione tra le
risorse esistenti del territorio.
La legge presenta 4 obiettivi principali:
• sceglieva itinerari di crescita, della formazione e della socializzazione delle persone come
luogo di prevenzione del disagio e di ra orzamento delle identità, di sviluppo del benessere e
della cultura, di misura dell’e cacia politica ed amministrativa nella gestione di spazi e tempi;
• concepiva le politiche per l’infanzia e l’adolescenza come tratto distintivo delle politiche
sociali;
• si richiedeva alle istituzioni, alla società civile e a tutte le organizzazioni non lucrative di
elaborare i Piani di intervento e non solo di realizzare le attività;
• si auspicava l’Inter ciò tra solidarietà sociale e compatibilità ambientale.
L’art. 5 individuava 2 modalità per la fascia 0-3:
• l’avvio di “servizi con caratteristiche educative, ludiche, culturali e di aggregazione sociale,
che prevedevano la presenza di genitori, familiari o adulti che quotidianamente si occupavano
della loro cura”;
• l’avvio di “servizi con caratteristiche educative e ludiche per l’assistenza a bambini da 18 mesi
a 3 anni per un tempo giornaliero non superiore a 5 ore privi di servizi di mensa e riposo
pomeridiano”.
Tentava di uni care nelle modalità, nell’organizzazione e nella gestione i servizi innovativi, che si
con guravano come luoghi di cura ed educazione dei bambini con orari più ridotti rispetto ai
servizi più tradizionali; di socializzazione, di gioco e di autonomia per i bambini stessi; di
aggregazione sociale e di confronto per le famiglie e per le altre gure che stanno intorno al
bambino; di sostegno alla genitorialità dove condividere ed elaborare risposte comuni ai problemi
che interessano l’esperienza di essere genitori.
All’interno della cornice Centri per i bambini e per le famiglie erano individuate 3 tipologie di
servizi:
• spazio-famiglia -> organizzato per genitori; orari essibili; programmazione attenta degli spazi;
• spazio bambini-bambine -> bambino protagonista; bambini dai 18 ai 36 mesi; occasioni di
attività, di gioco, di interazione e di condivisione con i pari; occasione positiva di prima
separazione sia per genitori sia per bambini; progetto educativo che rispecchia asilo nido;
• centro per le famiglie -> impegno a sostenere esperienze di genitorialità e vita quotidiana delle
famiglie; al centro intervento genitori.
Tre anni dopo, con il ministro Moratti - legge marzo 2003, n. 53 -, la scuola dell’infanzia “di durata
triennale, concorre all’educazione e allo sviluppo a ettivo, psicomotorio, cognitivo, morale,
religioso e sociale […], essa contribuisce alla formazione integrale dei/delle bambini/e, realizza la
continuità educativa con il complesso dei servizi all’infanzia e con la scuola primaria”.
Da questa legge derivano le Indicazioni Nazionali per i Piani Personalizzati delle Attività Educative
nelle scuole dell’Infanzia (Indicazioni Nazionali 2004). Propongono una scansione tra “obiettivi
generali” ed “obiettivi speci ci del processo formativo”. Per quanto riguarda gli obiettivi generali,
la “Scuola dell’Infanzia ra orza l’identità personale, l’autonomia e le competenze dei bambini.
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Raggiunge questi obiettivi collocandoli in un progetto di scuola articolato ed unitario, che
riconosce la priorità della famiglia e l’importanza del territorio di appartenenza”. Per quanto
riguarda gli obiettivi speci ci, essi sono utilizzati “per progettare Unità di Apprendimento che,
mediante apposite scelte di metodi e contenuti, trasformino le capacità personali di ciascun
bambino in competenze”. Sono strettamente collegati ai “campi di esperienza”.
Novità delle Indicazioni Nazionali 2004 è il Portfolio delle competenze individuali. Esso consiste
in: 1. una descrizione essenziale dei percorsi seguiti e dei progressi educativi raggiunti; 2. una
documentazione regolare e signi cativa di elaborati che o ra indicazioni di orientamento fondate
su risorse, modi e tempi dell’ apprendimento, interessi, attitudini e aspirazioni personali dei
bambini”. Il Portfolio sparì de nitivamente dalla normativa a partire dalle Indicazioni successive.
Il ministro Fioroni vara nel 2007 le nuove Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per
il primo ciclo d’istruzione (Indicazioni Nazionali 2007). La parte relativa alla scuola dell’infanzia fa
parte integrante delle Indicazioni. Nel ciclo di istruzione 3-14 anni l’apprendimento avviene
declinato attraverso “campi di esperienza” nella scuola dell’infanzia e nelle “aree di discipline”
nella scuola del primo ciclo di istruzione: le scuole, all’interno della loro autonomia didattica,
articolano i campi di esperienza al ne di favorire il percorso educativo. Vengono stabiliti i
“traguardi per lo sviluppo delle competenze” e gli “obiettivi di apprendimento”.
Le Indicazioni Nazionali 2012 di Profumo riprendono la struttura di quelle del 2007, mantenendo
il binomio fondamentale Traguardi per lo sviluppo delle competenze/Obiettivi di apprendimento.
I servizi educativi per l’infanzia e e scuole dell’infanzia niscono per costituire “la sede primaria dei
processi di cura, educazione ed istruzione per la completa attuazione delle nalità previste”.
La scuola elementare
Legge Casati (legge 3725 del novembre 1859)
Si tratta dell’intervento destinato ad avere e etti più duraturi nella de nizione del modero sistema
d’istruzione elementare nel Regno d’Italia, no all’Italia repubblicana.
Fu emanata nel novembre 1859 dal ministro Gabrio Casati.
In questa fase particolarmente rilevante per il Risorgimento nazionale - sia per l’annessione da
parte del Regno di Sardegna della Lombardia e di altri territori retti da governo lopiemontesi sia
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per l’attività preparatoria all’Impresa dei Mille - il tema dell’educazione degli italiani ebbe un
carattere ideologico e strategico. La scuola divenne uno delle leve più e caci per la
costruzione del carattere degli italiani e del loro risorgimento morale.
L’istruzione elementare era di 2 gradi, inferiore e superiore, ciascuno di 2 anni in 2 classi distinte.
Essa era data gratuitamente in tutti i comuni, i quali vi provvedevano, gratuitamente, in
proporzione delle loro facoltà e secondo i bisogni dei loro abitanti.
Erano gli enti locali a dirigere questo comparto della scuola pubblica.
Ad ogni comune doveva corrispondere una scuola nella quale sarebbe stata garantita l’istruzione
inferiore maschile e femminile in classi distinte.
Le scuole elementari di grado superiore dovevano garantirsi nei comuni di oltre 4.000 abitanti e
dove esistessero istituti d’istruzione pubblica che richiedevano, come requisito d’ammissione,
l’aver compiuto l’intero ciclo di studi base.
Un sistema di esami pubblici, con scadenza semestrale, garantiva la veri ca degli apprendimenti
sulle seguenti materie obbligatorie, nel corso inferiore: insegnamento religioso, lettura, scrittura,
aritmetica elementare, lingua italiana, nozioni elementari sul sistema metrico.
A queste si aggiungevano, nel grado superiore: regole della composizione, calligra a, tenuta dei
libri, geogra a elementare, esposizione dei fatti più notevoli della storia nazionale, cognizioni di
scienze siche e naturali applicabili principalmente agli usi ordinari della vita.
A fare da sfondo allo stato della scuola elementare nell’ultimo quarto dell’800 vi erano altre 2
questioni: la condizione economica dei maestri elementari e l’impiego dei minori in attività
lavorative nel settore primario e secondario.
La legge ssava i minimi stipendiali distinguendo tra scuole urbane e rurali, tra attività di docenza
nel corso elementare inferiore dai 6 ai 9 anni e quello superiore, tra insegnanti di sesso maschile e
femminile. Le retribuzioni degli insegnanti elementari erano però virtuali, dato che si riferivano ai
minimi indicati dalla legge, ma erano poi le amministrazioni comunali che pagavano, spesso
anche meno di quanto sato dal Ministero. Ogni comune interpretava a suo modo gli obblighi di
legge lasciando che fossero sindaci e consiglieri comunali a eleggere i maestri sulla base delle
convenienze ideologiche e economiche delle comunità locali.
Sul nire degli anni ‘80 dell’800, lo stato materiale delle scuole era misero. L’obbligo esercitato dai
6 ai 9 anni, senza che ci fossero forme di istruzione successiva, lasciava gli italiani monchi nella
loro formazione.
Il passaggio della scuola elementare allo Stato e un aumento di stipendio costituirono 2 temi
molto dibattuti nell’opinione pubblica italiana a ne secolo.
La connotazione esplicitamente laica della scuola negli anni che seguirono la riforma Coppino si
saldava ad un clima teso a costruire una nuova unità spirituale, nazionale e patriottica. Non erano
estranei a questi aspetti l’introduzione nella scuola elementare di 2 discipline come l’educazione
sica ed il lavoro manuale educativo.
Nel 1878 il ministro Francesco De Sanctis introdusse gli esercizi ginnici ssandone la durata a
mezz’ora al giorno. Il rinvigorimento del corpo era inteso in senso più ampio come educazione
all’ordine, alla disciplina, alla precisione e concisione di comando, all’obbedienza pronta e piena.
Con il ministro Baccelli fu ancor più orientato in senso militaresco, accentuandone la componente
di formazione civica, morale, nazionali della scuola popolare. L’esaltazione della disciplina
costituiva la premessa di una religione civile, quella per la patria.
Era ora di mettere mano ai programmi scolastici, rimasti invariati dagli anni ‘60 dell’800:
l’insegnamento oggettivo, il lavoro manuale educativo, il museo didattico. Di capitale importanza
erano lo studio e l’apprendimento della lingua italiana, per la preoccupazione di centralizzare ed
uni care, anche sul piano linguistico, la penisola.
Le conferenze pedagogiche negli anni ‘80 dell’800 e la riforma della scuola normale messa in atto
da De Sanctis insistevano sulla necessità che i maestri ponessero al centro dello loro didattica le
conoscenze reali.
Si deve al pedagogista Aristide Gabelli l’elaborazione più compiuta di questo indirizzo. Nei
programmi scolastici del 1888 ribadiva l’importanza di “avvezzare” la gente “a osservare i fatti, in
luogo di giudicarne senza esame […] e a trarre da tutto quello che cade sotto i sensi occasione di
esperienza e materia di ammaestramento, formando così quel prezioso strumento testa”.
Nelle Istruzioni generali si legge: “il maestro deve tener presente, che la scuola ha da servire 3 ni,
a dar vigore al corpo, penetrazione all’intelligenza e rettitudine all’animo”. Era quindi parte
dell’educazione degli italiani la cura del proprio corpo e della salute. Quanto all’educazione
intellettuale i programmi invitavano ad appendere per esperienza. Quando all’educazione morale
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il ne era di “formar gente retta, tranquilla, solida e seria”. Quanto alla rettitudine dell’animo, si
faceva leva sulle disposizione d’animo e sul contegno del maestro.
L’ispirazione positivisica, che portò molti frutti alla scuola elementare di ne secolo, doveva però
fare i conti con la triste condizione dei maestri. I temi che alimentarono il dibattito politico tra ne
secolo e primo decennio ‘900 furono: liberazione dalle angherie delle amministrazioni locali,
ampliamento della formazione e richiesta di nuovi criteri di reclutamento.
A questo si aggiungeva la richiesta di ampliare la durata dell’istruzione elementare. Inoltre,
cresceva la convinzione che una vera laicizzazione della scuola elementare e una sua
connotazione patriottica e nazionale sarebbe derivata solo dalla sua completa statalizzazione.
In un clima mutato, il ministro Guido Baccelli rmò i nuovi programmi. La ragione di questo
cambiamento derivavano sia dal “voler togliere il troppo ed il vano dai programmi precedenti” sia
dall’idea di voler imprimere alla scuola elementare “ gura e carattere proprio”.
La riforma dell’istruzione primaria portava avanti nella fase più conservatrice dell’età crispina è
ben racchiusa nella formula pronunciata dallo stesso Baccelli: “Istruire il popolo quanto basta
educarlo più che si può”.
Accese questioni si sollevarono sul nire del secolo anche sulla questione dell’insegnamento della
religione. Nel corso degli anni, tale materia era divenuta obbligatoria per i comuni, ma facoltativa
per gli scolari. Il ministro Baccelli chiariva che i comuni avrebbero continuato a provvedere
all’istruzione religiosa, se richiesta dai genitori, ma nelle ore ssare dal consiglio scolastico
provinciale e con i soli insegnanti di classe che fossero considerati idonei dallo stesso consiglio.
La proposta da un lato voleva mostrare la sensibilità del governo Crispi nei confronti delle autorità
religiose, dall’altro voleva contenere la capacità manifestata dal movimento cattolica di garantire
tale insegnamento.
Dal 1901 nacque e orì l’Unione Magistrale Nazionale. Il sodalizio era il risultato sia
dell’impegno di vivaci riviste scolastiche, bollettini magistrali e fogli associativi sia dell’azione
culturale e politica del deputato radicale Luigi Credaro.
L’UMN, espressione di quello che diverrà “partito della scuola”, diventò la principale
organizzazione di maestri in Italia e tra le più in uenti anche a livello europeo. Svolge un ruolo
di primaria importanza dall’età giolittiana all’avvento del fascismo. Grazie al suo lavoro, alcuni
provvedimenti legislativi imboccarono la strada della statalizzazione dell’istruzione elementare.
Nella legge Nasi (legge 45 del febbraio 1903) si a ermava che l’assunzione dei maestri potesse
avvenire solo tramite concorso e si spostava la supervisione delle procedure dal livello comunale
a quello provinciale.
Un provvedimento stabiliva l’obbligo della Direzione didattica nei comuni con popolazione non
inferiore a 10.000 abitanti o con almeno 20 classi. Per questa nuova funzione si istituirono corsi di
perfezionamento per i licenziati delle scuole normali per abilitarli alla carriera ispettiva, divenuto
poi vera e propria Scuola Pedagogica, di durata biennale, presso le università nel Regno, nelle
facoltà di Lettere e Filoso a.
La legge Orlando del luglio 1904 richiamava la necessità per i Comuni di “iscrivere in bilancio un
fondo per sovvenire gli iscritti appartenenti a famiglie povere sia con la refezione scolastica sia
con la distribuzione di indumenti, libri di testo e altro”.
A fronte dell’ ine cacia dei provvedimenti specie nelle aree rurali, l’orientamento dell’UMN virò a
sinistra, schierandosi con la posizione di chi chiedeva una scuola popolare, laica. Questo
comportò la fuoriuscita della componente cattolica dall’organizzazione e la nascita, nel 1906,
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dell’associazione magistrale “Niccolò Tommaseo”, favorevole a proseguire alcune rivendicazioni
tradizionali dei maestri cattolici.
L’avvento della Prima guerra mondiale avrebbe dato argomenti a chi incolpava la scuola di non
alimentare adeguatamente in senso di appartenenza alla nazione. L’istruzione degli italiani
necessitava di una conversione in senso patriottico. La scolarizzazione elementare aveva ormai
stretti legami con quella progettualità politica nazionalista che il fascismo seppe valorizzare.
Gentile aveva una visione d’insieme che faceva perno sul principio che le scuole, tenute dallo
Stato, dovessero essere “poche ma buone” e che la selezione fosse un compito strettamente
connesso con l’obbiettivo di formare una élite privilegiata vagliata con criteri meritocratici.
Lo Stato avrebbe perseguito un ideale aristocratico di cultura umanistica altamente scienti ca sia
attraverso l’istruzione classica sia attraverso l’esame di Stato (inteso come determinazione di
standard qualitativi).
Un ruolo di primo piano nel programma culturale di Gentile era riservato alla riforma dell’istruzione
magistrale che passava da essere garantita entro la scuola normale di tipo post-elementare ad un
istituto magistrale, di tipo secondario superiore, costituito da 4 di corso inferiore e successivi 3.
L’asse culturale era umanistico.
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La scuola elementare si divideva in grado inferiore, di 3 anni, e superiore, di altri 2. Le classi
oltre la quinta prendevano il nome di classi integrative e avviamento professionale.
Circa i contenuti dell’insegnamento, il robusto impianto teoretico era stato preceduto ed
accompagnati dalla sagace azione di GIUSEPPE LOMBARDO RADICE, che si fece portatore di una
nuova idea di didattica basata sulla possibilità di una rinascita nazionale a partire dalle capacità
soggettive dell’uomo di migliorasi. Tratti che si ritrovano negli ordinamenti e nei programmi del
1923 sono: centralità alla coltivazione dello spirito del bambini, la profonda intesa tra maestro
e scolaro, la ducia nella creatività soggettiva dell’ allievo, la cura dell’educazione estetica.
Negli anni successivi al ‘24, si misero in atto continui interventi di correzione dell’impianto
originario anche sulla base della trasformazione del governo da esecutivo di colazione a vera e
propria dittatura autoritaria, a partire dal ‘25.
Vero è che almeno i programmi e le prescrizioni didattiche di Lombardo Radice contengono il
meglio che l’idealismo pedagogico abbia espresso per l’educazione infantile. L’autore
incoraggiava gli insegnanti a rinnovare la loro cultura ricorrendo alle vive fonti della vera cultura
del popolo.
Ne derivava la prospettazione di una scuola serena, in cui allo studio si alternavano attività
ricreative.
Nel ‘29 la denominazione del Ministero della Pubblica Istruzione cambiò in Ministero
dell’Educazione Nazionale.
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Un provvedimento stabilì l’adozione obbligatoria nella scuola elementare del Libro Unico di
Stato. Il ne era quello di esercitare il controllo assoluto sugli aspetti sostanziali
dell’insegnamento. Il libro doveva a avere un alto pro lo didattico e tecnico, e sul piano dei
contenuti doveva educare gli studenti nella nuova atmosfera creata dal regime, dando loro la
consapevolezza dei doveri del cittadino fascista e di quello che l’Italia era stata nella storia, nelle
lettere, nelle scienze, nelle arti e di quello che sarebbe diventata in futuro.
Nel ‘29 vi è anche la conclusione dei trattati lateranensi con i quali si de nì il Concordato con la
Chiesa Cattolica. I Patti garantirono alla Chiesa il riconoscimento del cattolicesimo quale religione
di Stato. L’insegnamento della religione cattolica riceveva un’ulteriore autorevole approvazione è
una più solida cornice istituzionale.
Nel ‘38 furono emanati i Provvedimenti per la difesa nella razza nella scuola fascista, in forza
dei quali non sarebbero stati ammessi all’u cio di insegnante nelle scuole statali o parastatali
persone di razza ebraica e al contempo si negava agli alunni di razza ebraica di iscriversi alle
scuole. Vietati anche tutti i libri di autori ebraici. L’unica concessione da parte dello Stato fu la
possibilità di istituire “sezioni separate” di scuola elementare, laddove si fossero poteri raccogliere
ameno 10 alunni di “razza ebraica” e la possibilità per la comunità ebraica di gestire proprie
scuole.
Con il motto “La scuola italiana agli italiani”, Giuseppe Bottai annunciò una riforma che dava
avvio alla penetrazione di una cultura persecutoria e propagandistica a danno dei “diversi”.
Attraverso circolari ed interventi programmati, come la Carta della Scuola, il ministro Bottai volle,
da un lato, costruire una teoria del fascismo in grado di sostituirsi al gentilianesimo (non in grado
di rispondere alle attese di un moderno Stato totalitario), dall’altro, introdurre delle prassi che
rendessero la scuola realmente fascista nei contenuti, nei metodi e nella sua stessa articolazione.
Con la Carta della scuola si delineava un intervento che aveva il carattere di recupero dell’unità
loso ca dell’insegnamento con la restaurazione della disciplina nella scuola, ma anche quello di
una innovazione in grado di portare anche la suola sul “piano dell’Impero”.
La pedagogia del fascismo doveva essere totalitaria. Secondo Bottai, doveva intervenire sulla
formazione dell’individuo nella sua totalità. L’Umanesimo fascista di Gentile veniva reinterpretato
in forza della proposta di uni care i corsi inferiori di ginnasio, istituto magistrale e liceo scienti co
e dall’introduzione, n dalla scuola elementare, del lavoro (visto come strumento in grado di far
emergere le attitudini di ciascuno).
La riforma Bottai mirava a stabilire precise classi cazioni attraverso cui preparare degli uomini
capaci di a rontare i problemi concreti della ricerca scienti ca e della produzione.
L’istruzione pubblica diventò tutt’uno con la Gioventù Italiana del Littorio (GIL). Ne derivava un
servizio scolastico o erto dallo Stato, comprendente non solo la frequenza obbligatoria, ma
anche alle attività della GIL. Un libretto personale accompagnava gli alunni nel loro percorso di
studi, evidenziando il pro tto scolastico degli allievi e la loro preparazione politica e guerriera.
La scuola elencare, distinta in urbana e rurale, era divisa in 2 cicli: il primo (6-9 anni) dava una
prima concreta formazione del carattere; il secondo (9-11 anni) detto “Scuola del lavoro”, con
esercitazioni pratiche. La funzione selettiva della scuola era garantita dagli esami di licenza e
dall’articolazione del percorso post-elementare in scuola artigiana e scuola tecnico professionale
e scuola “unica”. Solo attraverso la media unica era possibile accedere a tutti gli studi secondari
superiori.
Nelle scuole si di usero nuovi moderni strumenti di propaganda, come la radio. Con l’Istituto
Luce anche il cinema raggiunse le aule scolastiche.
Nell’Italia del post 8/10/‘43 si assiste ad un complesso avvio di anno scolastico m in relazione al
grado di emancipazione dalla dittatura raggiunto nelle diverse regioni.
Nel sud, la stesura di un itinerario didattico alternativo a quello di regime avvenne soprattuto per
opera del Governo Militare Alleato: C.Washburne proponeva una scuola che doveva fondare “sul
libero sviluppo delle disposizioni e forze dei fanciulli” è una didattica che avrebbe dovuto favorire
l’iniziativa e l’operosità personale. Non mancava un richiamo alla solidarietà e alla responsabilità
“verso tutti gli uomini”.
Nel centro, la dura occupazione tedesca fede il tentativo di organizzazione una resistenza a livello
d’istruzione elementare.
Nel nord il quadro scolastico era a dato al controllo della Repubblica Sociale Italiana. C.A.Biggini
incoraggiò la revisione e il rinnovo dei libri di Stato per l’ordine elementare come uno degli
strumenti per “accelerare le tappe della rinascita”. I Programmi di Studio del ‘34 furono una
revisione dei Programmi del ‘23, che si presentarono sfoltiti. La sempli cazione dei programmi e
la progressiva scomparsa dei libri di Stato resero possibile lo svilupparsi del far uso, a scopo
didattico, di qualsiasi risorsa da parte degli insegnanti.
L’esperienza delle “repubbliche partigiane”. Nell’esperienza più compiuta, il territorio dovette porsi
direttamente di fronte al problema della scuola. Si tentò di stendere nuovi programmi di studio.
Una priorità fu quella di epurare e defascistizzare le strutture scolastiche, promuovere la
formazione democratica dei docenti, favorire la nascita dei sindacati dei docenti. Si voleva
creare una scuola umanistica, ma non nel senso di farne una scuola esclusivamente classica o
aristocratica, ma nel senso più largo della parola; una scuola socialista in senso lato e unica, non
quella già deformata della Carta della Scuola. Si iniziò l’opera di revisione dei testi scolastici e
della loro epurazione.
La culla all’interno della quale le idee di democrazia e partecipazione poterono essere messe in
pratica fu la “formazione partigiana”. Fu il luogo dove avvenne un’educazione alla vita civile
basata anche su una nuova “didattica” partecipativa ed inclusiva.
Il processo che portò all”approdo della scuola elementare italiana dal fascismo alla repubblica
attraverso gli anni della guerra di liberazione non fu lineare. Allontanare dall’amministrazione tutti
coloro che in passato erano risultati compromessi con il regime non fu un’impresa facile.
Dalla rinascita della vita democratica alla metà degli anni Cinquanta
A Liberazione avvenuta (2/6/‘46) si tennero le prime elezioni politiche a su ragio universale,
nelle quali poterono votare anche le donne. Da esse scaturì l’organo legislativo elettivo proposto
alla stesura di una Costituente per la Repubblica (Assemblea costituente). In questa sede si
ebbe il più alto momento di ri essione circa i nuovi indirizzi di politica scolastica dell’Italia
democratica.
L’art. 3 impegnava lo Stato, e la scuola, a rendere e ettivi, sul piano pratico, la “pari dignità
sociale” e l’ “uguaglianza” posti alla base della “Repubblica fondata sul lavoro”.
Nell’art. 34, ‘la scuola è aperta a tutti’ e ‘l’istruzione inferiore, impartita per almeno 8 anni, è
obbligatoria e gratuita’ si legano al principio secondo cui ‘l’arte e la scienza sono libere e libero
ne è l’insegnamento’ (art. 33). Nell’art. 33 si a erma che “la Repubblica detta le norme generali
sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”.
Nei governi centristi, retti da Alcide De Gasperi, il Ministero della Pubblica Istruzione fu a dato
sempre alla Democrazia Cristiana e, nello speci co, a Guido Gonella ( no al ‘51), a cui
succedette Antonio Segni.
Nell’aprile ‘47, G. insediò una commissione che promosse un’inchiesta. Intento di Gonella era
promuovere una sorta di costituente della scuola. Il ministro comprese la riprogettazione della
scuola necessitava del consenso di larga parte dell’opinione pubblica.
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Molto importante è l’attenzione che i governi a guida democristiana riservarono a maestri e
maestre: associazionismo (Aimc), circolazione di riviste di supporto all’azione didattica, sviluppo
di un’ampia editoria di settore.
Nel ‘47, G. varò un decreto volto a istituire la “scuola popolare”, al ne di combattere
l’analfabetismo e completare l’istruzione popolare per i giovani e gli adulti dai 12 anni in su. La
scuola popolare prevedeva 3 tipi di corsi: per analfabeti, per semianalfabeti e per sprovvisti di
licenza elementare.
G. stese un testo breve, approvato dal Consiglio dei Ministri nel giugno ‘51 (Norme generali
sull’Istruzione). Il progetto venne accantonato, senza arrivare in aula.
Nel ‘51, il ministro G. venne sostituito alla Pubblica Istruzione da Antonio Segni, che volle
dedicarsi ad un’azione di ordinaria amministrazione.
Tra il ‘48 e il ‘53 vennero messe in atto diverse misure relative alla lotta dell’analfabetismo, al
riordino amministrativo della scuola, all’istruzione popolare, all’educazione prescolastica e si
aggiornò la modalità di reclutamento degli insegnanti.
La Pubblica Istruzione dovette fare i conti con la duplice ricostruzione materiale (ripristinare
edi ci distrutti, riedi care stabili ed ampliarli) e spirituale (→ aprirsi a proposte pedagogiche
come l’attivismo). Nel dopoguerra, ebbero un’ampia di usione le opere di Dewey, grazie anche
alla mediazione di intellettuali come Lamberto Borghi. Un peso considerevole ebbe, nella
formazione ed animazione dei docenti elementari del dopoguerra, la casa editrice ‘La Scuola di
Brescia’ e la sua rivista Scuola Italiana Moderna.
La pedagogia d’ispirazione cattolica si muoveva cercando di superare sia lo statalismo etico di
matrice fascista sia il liberalismo borghese ed individualista, criticando anche le posizioni marxiste
e comuniste.
Il maestro elementare era un personaggio chiave del processo di socializzazione e lo resterà
almeno no a che il suo prestigio verrà messo in crisi dal di ondersi della televisione (anni ’60). I
cinque anni di istruzione obbligatoria erano l’unica occasione per entrare in contatto con un
sapere formale e strutturato. Il maestro e la maestra erano i principali veicoli per trasmettere
sapere e cultura. Essi incarnarono, specie dopo che venne consolidandosi il processo di
nazionalizzazione della scuola elementare, l’immagine stessa dell’autorità e dello Stato. I “ferri
del mestiere” del maestro elementare furono costituti da un’attività di aggiornamento e dalle
riviste magistrali (da cui si attingevano temi da svolgere, brani da dettare, esercizi di aritmetica,
attività scienti che, suggerimenti per aspetti didattici e pedagogici).
Negli anni della rinascita della vita democratica mancò un disegno organico di riforma e la
politica fu caratterizzata da una serie più o meno minuta di provvedimenti come:
• approvazione della legge n. 326 dell’aprile ’53, che modi cava la scuola popolare del ’47 e le
modalità di lotta all’analfabetismo;
• legge n. 645 (’54) che costituì un primo tentativo di attuare il dettato costituzionale sul diritto
allo studio attraverso nanziamenti e stanziamento di borse di studio;
• legge delega 1181/’54 che garantiva l’autonomia dello stato giuridico del personale della
scuola rispetto ad altri pubblici impieghi.
Nel ’57 si procedette all’introduzione dei cicli didattici nella scuola elementare: 2+3.
Educazione femminile. Per la I e II classe, si leggeva: “Le bambine siano lasciate ai loro giochi
preferiti e vengano addestrate alle più semplici e più facili attività della casa”. Per il secondo ciclo:
“Il lavoro femminile sia tenuto nella più alta considerazione come uno degli elementi di formazione
spirituale della donna e per la sua grande in uenza morale e materiale nella vita domestica. Le
fanciulle saranno pertanto esercitate in graduali lavori più facili e più comuni di maglia, di cucito,
di rattoppo, di rammendo e di ricamo, con particolare riguardo alle esigenze più sentite ed alle
tradizioni dell’ambiente locale. Siano inoltre educate ai più facili lavori di pulizia, di abbellimento e
di buon governo della casa. Sarà curata anche la pratica dell’igiene e, possibilmente, delle più
elementari abilità nel cucinare”.
Anche l’istruzione elementare era in rapida trasformazione. Le classi dell’istruzione primaria erano
a ollate e gli studenti manifestavano una maggiore propensione alla prosecuzione degli studi.
L’universalizzazione della scuola dell’obbligo, e la conseguente trasformazione della scuola
secondaria in scuola di massa, avvenne anche in forza di un mutamento nel quadro politico,
con il passaggio dal centrismo al centrosinistra. A. Fanfani nel ‘62 istituì la scuola media
uni cata. Ad essa di a ancarono interventi per la nazionalizzazione delle industrie elettriche,
l’istituzione del cedolare d’acconto, l’aumento delle pensioni, il completamento di infrastrutture.
La gura del maestro, in quell’Italia che da contadina diviene industriale e terziaria, perde il suo
prestigio sociale. Questa scuola continuava a perpetrare la sua funzione riproduttiva e selettiva,
distribuendo gli alunni nelle classi in relazione alle famiglie di origine, alle provenienze
geogra che,….
La rivendicazione del tempo pieno e quella, parallela, dell’inclusione degli alunni con svantaggi
sici, ma anche sociali ed economici, costituì uno degli aspetti maggiormente dibattuto tra la ne
degli anni ‘60. Erano esigenze che scaturivano più che da motivazioni pedagogiche da ragioni
sociali, politiche e culturali.
L’istruzione secondaria
Il progetto libernazionale
La scuola secondaria classica, insieme all’Università, aveva nel testo della LEGGE CASATI (1859)
una preponderanza non solo quantitativa dal punto di vista di una classe dirigente per la quale
fare la nuove élite era premessa necessaria per fare i nuovi italiani. Nella scuola classica
casatiana il latino si collocava in posizione di netta prevalenza rispetto alle altre discipline: il dato
della prevalenza testimonia la volontà della sua strumentalizzazione ai ni dell’acquisizione della
lingua nazionale.
L’insieme dei quadri che si de nì coi progressivi aggiustamenti dei programmi del 1860 può
essere de nito un sistema medio di classicità.
L’art. 188 della legge Casati de niva così le nalità dell’istruzione secondaria: ammaestrare i
giovani in quegli studio mediante i quali si acquista una cultura letteraria e loso ca che apre
l’adito agli studi speci ci che menano al conseguimento dei gradi accademici nelle Università
dello Stato.
La consapevolezza dell’importanza dell’istruzione secondaria classica accomunava tutta l’élite
politico culturale del nuovo Regno e la vide impegnata sia in ambito editoriale che nell’alta
amministrazione.
La vicenda dei seminari mostra come, dopo un iniziale scontro, il compromesso fra il nuovo Stato
e la persistente società cattolica fosse legato oltre che alla cultura politica delle sue élite
all’intrecciarsi tra l’incapacità del primo di fondare e gestire in proprio in quantità e qualità
adeguata istituzioni educative.
In quella stessa stagione si consumò l’abolizione anche di diritto delle facoltà teologiche nelle
università statali, destinata ad avere conseguenze di lungo periodo sulle caratteristiche della
cultura del clero e sulla cultura italiana nel suo insieme.
Il reale di ondersi di sensibilità culturali di origine tedesca di ritardato dalla lentezza del costituirsi
di un nuovo ceto di insegnanti secondari formati nelle università del nuovo Stato secondo le
nuove sensibilità; solo la generazione che cominciò a insegnare negli anni ‘90 era abbastanza
omogeneamente fornita dei prescritti titoli.
La legge del 1866 sulle corporazioni religiose permise il trasferimento di molti edi ci a sede dei
licei statali.
L’insegnamento della storia letteraria come disciplina autonoma comprare in Italia con i
PROGRAMMI COPPINO (1867).
In questo contesto normativo la Storia della letteratura italiana del De Sanctis nasce come
testo per le scuole secondarie ed è la prima di una lunga serie che fonda un genere in cui vi è la
necessità di de nire una tradizione nazionale. Qui ai trovano insieme il disegno di fondare una
scienza nazionale ed il realismo della gradualità alimentato dalla consapevolezza di chi
proveniva da una delle zone più problematiche del nuovo regno.
Per l’eterogeneità della formazione dei docenti e per le caratteristiche del positivismo italiano si
può a ermare che ci siano stati manuali di loso a nell’età del positivismo.
L’inchiesta Scialoja sull’istruzione secondaria del 1873 testimonia le carenze e le eterogeneità e la
mancanza di una comune sensibilità di da verso le esigenze di riforma. Emerse la
consapevolezza della carenza di professori laureati alla quale si cercò di venire incontro col
regolamento generale della facoltà di lettere e loso a del 1875.
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Il Regolamento e i programmi per i ginnasi e i licei del regno del 1844 testimoniano il permanere di
una concezione retorica dell’insegnamento delle lingue classiche, mentre in tema di
insegnamento della lingua italiana cercava di tenere insieme il ruolo trasversale dell’italiano,
l’esigenza di scrivere in bello stile e la funzione civile nazionale dello studio della letteratura.
L’età della Sinistra storica vede la ricostruzione di una rete di scuole gesuitiche, ma anche di un
attivismo di nuove élite laicali che era comunque una forma di modernizzazione e di
integrazione.
La correzione liberdemocratica
L’età giolittiana costituisce per la scuola secondaria una stagione prevalentemente di passaggio.
Nel segmento secondario non si registra né un aumento della spesa né tanto meno una chiara
volontà politica.
La de nizione dello stato giuridico non ha nel caso degli insegnanti secondari il forte valore
periodizzante che si riscontra nel caso degli insegnanti elementari.
La Federazione Nazionale Insegnanti Scuole Medie (1902-G.Kirner) è un vivace luogo di dibattito
culturale.
L’elaborazione della pedagogia gentiliana fece alcune delle sue prime prove in relazioni a
questioni di politica scolastica e una delle sue opere principali fu un manuale per le scuole
normali.
Al concretismo de La Voce (Giuseppe Prezzolini e Giovanni Papini) sono estranei i problemi della
scuola secondaria non classò a così come la speci cità dei rapporti tra i vari segmenti del sistema
scolastico.
La realtà di usa degli insegnanti bene cia dell’impatto della prima generazione di insegnanti ben
formati almeno in senso culturale.
Il Liceo moderno, creato da Credaro nel 1911, rappresenta l’esito minimale del dibattito, ma è
testimonianza di un concreto impegno riformatore. Per lo storico odierno costituisce
un’anticipazione del successivo liceo scienti co e come quello a lungo variante ancillare del Liceo
per antonomasia.
Il consolidamento reazionario
L’esigenza di fermare la crescita della secondaria classica e la sua implicita relativa
democratizzazione è presente nel dibattito intorno alla cultura delle riviste del primo ‘900 ed ha
nel pensiero di Gentile una delle sue forme più alte e consapevoli. La riforma Gentile
rappresenta un signi cativo momento di convergenza tra liberalismo conservatore e richieste
cattoliche, nel contesto del governo Mussolini.
Nel campo dell’amministrazione scolastica netto era il ritorno ad una piramide gerarchizzata
(ministro-provveditore-preside) con la soppressione delle rappresentanze elettive dei docenti.
Anche il passaggio a provveditorati era uno strumento di tale verticalizzazione, seppur associata
una strumentale valorizzazione delle culture regionali e dei dialetti.
L’introduzione dell’esame di Stato rispondeva ad un’istanza elitista di quali cazione e limitazione
quantitativa del ruolo della scuola statale. L’esame era anche l’ultimo di una serie di sbarramenti
che avevano l’intenzione di creare un percorso ad ostacoli che frenasse la spinta dell’istruzione
secondaria.
Rilevante è l’esclusione delle donne dall’insegnamento di alcune discipline.
L’asse culturale di Gentile non era quello letterario, ma quello storico- loso co. Netto era il
privilegiamento dell’istruzione classica con programmi basati su un insegnamento storico-
letterario delle lingue sia antiche che moderne.
Altra caratteristica è la presenza di cattedre multidisciplinari.
Aspetto rilevante della riforma è la rinnovata valorizzazione dell’istituto del concorso della
cattedra.
Il Concordato del 1929 con la Chiesa cattolica cambia in parte in quadro non solo perché apre
qualche maggiore spazio alla scuola non statale cattolica, ma soprattutto perché estende la
religione no al liceo.
Gli anni ‘30 vedono, con le cosiddette ‘pari cazioni, un consolidamento dello status delle scuole
cattoliche, principalmente nel settore dell’istruzione magistrale, grazie al ruolo dell’editoria
scolastica, con presenze quali cate come quelle delle SEI e dell’Editrice La Scuola.
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Il min. De Vecchi vede nel ‘35 l’introduzione dell’insegnamento della cultura militare nelle scuole
secondarie.
I Programmi del ‘36 prescrivevano nelle Avvertenze generali al programma di storia una
nalizzazione in chiave di educazione politica nazionale.
Dell’ampio programma contenuto nella Carta della scuola (‘39) venne attuato, con la legge del ‘40,
solo quello relativo alla media inferiore, grazie soprattutto all’opera amministrativa di N.Padellaro,
che portò a una maggiore scolarizzazione in quella fascia d’età e a una qualche speci ca
ri essione pedagogico-politica. Era rilevante l’attenzione alle questioni della formazione
professionale e dell’orientamento e alle questioni connesse al signi cato culturale e politico
del lavoro.
La democratizzazione grigia
Nella lunga stagione della “prima repubblica”, la scuola secondaria liceale subisce le minori
modi che di ordinamento. La Costituzione del ‘47 non prevede indicazioni speci che in tema di
istruzione secondaria.
Nel settore della scuola secondaria liceale si sviluppa a partire dagli anni ‘50 l’onda del
cambiamento senza riforma, di cui sono dimensioni quali canti il superamento del gap di
genere e un aumento degli ordini di grandezza. Si può constatare il decollo della realtà del liceo
scienti co che diventa progressivamente il curricolo liceale più di uso.
Almeno per tutti gli anni ‘50 si può parlare di una compiuta egemonia democristiana in chiave di
un cattolicesimo libernazionale sui licei.
L’istruzione dell’insegnamento dell’educazione civica è il frutto di un processo che può essere
individuato nelle iniziative dell’Unione Cattolica Insegnanti Medi.
Aldo Moro fu consapevole che tanto il consolidamento delle istituzioni democratiche quanto
l’importante fase di sviluppo economico che l’Italia attraversava richiedevano una sottolineatura
del ruolo educativo della scuola. La soluzione da lui adottata nel ‘58 per de nire la nuova
disciplina scolastica sommava la conoscenza di norme e principi, dunque obbiettivi cognitivi, e
opzione trasversale, dunque obbiettivi comportamentali ed etico-civili.
La scuola media unica del ‘62 è frutto della progettualità del cattolicesimo politico, e i programmi
del ‘63 sono in parte rilevante opera di personalità che erano cresciute nel e con l’UCIIM - tra le
quali spicca A.Agazzi con la sua formula di trasformare la scuola media in scuola di tutti e per
ciascuno. L’equilibrio tra secondarietà e completamento dell’obbligo è reso complesso da scelte
normative quali le discipline opzionali e le classi di erenziali.
La scuola di ne anni ‘60 prevedeva implicitamente un tempo ed un sostegno di cui gli scolarizzati
di prima generazione non disponevano. A questo si aggiungeva la consapevolezza
dell’inadeguatezza della formazione iniziale e dell’aggiornamento dei docenti.
La crisi di crescita del ‘68 provocò risposte politiche parziali riferite solo alla parte terminale del
sistema, quali l’esame di maturità e l’accesso agli studi universitari.
Risale al ‘69 la riforma dell’esame di maturità, insieme alla liberizzazione degli accessi agli studi
universitari.
Dal Convegno di Frascati (‘70) emerge la proposta dell’unitarietà della secondaria riformata dal
quale scaturì una serie di proposte di legge mai andate in porto che hanno portato a parlare di
“non decisione politica” o “cambiamento senza riforma”.
La seconda ondata del ciclo della democratizzazione è data dalla legge dell’agosto ‘77 n. 517 con
l’abolizione degli esami di riparazione delle scuole medie inferiori e l’inserimento dei disabili, e dal
Dm del febbraio ‘79 che prevedeva l’abolizione del l’agino come disciplina nella secondaria di 2º
grado nel contesto di nuovi programmi che vedevano anche un’in uenza della didattica
linguistica.
Nello stesso contesto politico, la riforma della secondaria superiore non andava in porto, in
mancanza di una cultura sindacal-associativa e accademico-pedagogica egemone che riuscisse
a fare sintesi. Un insieme di fattori sociali e organizzativi che non permettono di a ermare che la
scuola media sia una realtà omogenea.
Ultimo prodotto di tale stagione sono i cosiddetti programmi Brocca del ’91.
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L’incerta “seconda repubblica”
La vicenda scolastica della “seconda repubblica” è segnata da una serie di riforme annunciate e
progettate, anche se solo in parte attuate, non solo per l’alternarsi di governi di centrosinistra e di
centrodestra.
Il richiamo al discorso comparativo europeo e globale appare spesso non molto più che un
espediente retorico.
Durante il primo governo Prodi, il Ministero Berlinguer lasciò come principale eredità duratura in
ambito scolastico la riforma della formazione iniziale dei docenti elementari, che vide al tempo
stesso la ne dell’istituto magistrale ma anche la costituzione della rete dei corsi di laurea in
Scienze della formazione primaria.
L’autonomia scolastica, che non solo il ciclo secondario, si scontra nei licei con una minore
consuetudine dei docenti a lavorare insieme e ha anche un rivolto istituzionale nel debole status
dei dipartimenti disciplinari.
La formazione degli insegnati secondari veniva articolata con un ulteriore segmento post-terziario
di specializzazione: la Scuola di Specializzazione per l’insegnamento Secondario, poi modi cata
con percorsi di diverse caratteristiche e durata.
Gli esperti di Berlinguer si rilevarono incapaci di fare sintesi tra i diversi interessi in gioco e nirono
in alcuni casi per generare problemi ancora oggi ingarbugliati.
La legge del marzo 2000 n. 62, Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e
all’istruzione, attuò la previsione costituzionale dell’istituto della parità, pur limitandosi agli aspetti
giuridici, con l’importante a ermazione di principio secondo cui le scuole paritarie fanno parte del
sistema nazionale d’istruzione, mentre gli aspetti economici furono in larga parte delegati a
legislazioni regionali in tema di diritto allo studio. La multiforme area delle scuole cattoliche vide
un passaggio progressivo dalle congregazioni storiche alle cooperative.
Il governo Berlusconi, con il min. Moratti, vide la collaborazione di un importante gruppo di esperti
che, in nome di un ritorno allo spirito della Costituzione, prendeva fortemente le distanze dalla
asserita, non meno della costituzione formale, frutto del pluridecennale impegno di larga parte dei
cattolici.
Sempre alle politiche dei governi succedutisi dalla metà degli anni ‘90 in poi è da ricollegarsi il
processa che va sotto il nome complessivo di “autonomia scolastica” - avviato con la legge del
marzo ‘97 n. 59 - che ha generato un intreccio tra l’ispirazione costituzionale, il principio di
sussidiarietà derivante dalle “norme generali” di cui parla l’art. 33 della Costituzione e le istanze di
riforma amministrativa legate al discorso di politica educativa connesso al “new public
management”. La legge costituzionale dell’ottobre 2001 n. 3 ha modi cato il dettato dell’art. 117,
stabilendo che lo Stato ha legislazione esclusiva in materia di norme generali sull’istruzione,
mentre è materia di legislazione concorrente tra Stato e Regioni l’istruzione, salva l’autonomia
delle istituzioni scolastiche e con esclusione dell’istruzione e della formazione professionale. Da
quest’ultima disposizione si ricava il principio che l’istruzione e la formazione professionale siano
materia di legislazione regionale esclusiva, fatte salve le norme generali e l’autonomia delle
istituzioni scolastiche.
Il Ministero Gelmini appare caratterizzato da una politica si pesanti tagli che tolgono organicità e
consenso a un processo riformatore globale le cui dichiarate intenzioni di meritocrazia alludono a
una vaga ideologia manageriale. Nel complesso si può parlare di una riforma impermeata sul
bilancio.
Un processo di medio periodo è quello della comprensivizzazione orizzontatale di molte scuole
secondarie superiori, che ha portato alla formazione degli ISIS.
La legislatura 2013-18 è stata segnata dalla gura di M.Renzi e dal suo piglio decisionista, di cui
sono emblematici il Jobs Act e la legge 107/2015 (“La buona Scuola”). L’attenzione dell’opinione
pubblica si è prevalentemente centrata sull’immissione in ruolo di alcune decisioni di precari, ma
con complessivi che ne depotenziano lo stato giuridico. Altra problematica innovazione è
l’alternanza scuola-lavoro. Le vicende dell’attuazione di tale legge hanno messo in luce la
debolezza della gura del dirigente.
La spesa sul medio periodo appare stagnante e la situazione appare particolarmente grave per
l’istruzione secondaria e la ricerca. La dispersione scolastica alimenta tassi di scolarità
comparativamente modesti, mentre sono signi cative le percentuali di femminizzazione e
invecchiamento del corpo docente.
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L’istruzione normale e magistrale
Gli insegnanti al centro di un processo esemplare di modernizzazione
Il maestro elementare è un’invenzione ottocentesca. È agente ma anche frutto della
scolarizzazione di massa, che si intreccia strettamente con gli atri aspetti della modernizzazione
socioeconomica, demogra ca e culturale di ne secolo. Le società scolarizzate sono diverse da
quelle che le hanno precedute e l’istituzione che le innerva prende forma nell’arco di poche decine
di anni. Selezionare e formare i maestri diventa un a are di stato. I maestri sono missionari e
ambasciatori di una civiltà alfabetizzata.
L’investimento degli Stati in una scuola elementare aperta a tutti è senza precedenti.
Prima ancora di portare i bambini a scuola bisognava portare l’alfabeto all’interno del sistema
scolastico.
Nell’antico regime la capacità di leggere poteva essere acquisita in famiglia o in qualche scuola
più o meno formale tenuta dal prete o attraverso un mercato frammentato di maestri ambulanti o
gure femminili. Si imparava in età relativamente tarda. Si imparava a leggere e non
necessariamente a scrivere.
L’associazione lettura-scrittura in termini didattici si a ermò in stretta congiunzione con
un’evoluzione dei modelli calligra ci e a tecnologie più economiche ed ergonomiche.
Prima della modernizzazione scolastica erano considerate scuole vere e proprie quelle in cui si
accedeva già sapendo leggere e scrivere e possedendo i rudimenti del latino.
‘Dentro l’alfabeto, fuori il latino’: questa fu la manovra attraverso cui i riformatori di ispirazione
illuminista portarono avanti il progetto di una scuola popolare aperta a tutti.
Fonti e studi restituiscono un quadro in cui, tra ‘700 e ‘800, sono già di use istituzioni scolastiche.
Qui abbiamo il volto educativo di una modernità che predispone procedure standardizzate per
gestire grandi numeri di solari attraverso un articolato apparato amministrativo e l’interazione con
un vivace mercato editoriale.
A cavallo del ‘900 le scuole nuove la contesteranno in nome dell’individualizzazione.
Solo con l’a ermazione della scuola di massa, e con la nascita di un ceto di insegnanti con un
minimo di possibilità materiale e culturale di mobilitarsi, può prendere forma un movimento
internazionale e policentrico volto a superarla, come l’attivismo.
Per arrivare a questo punto ci vuole tutto l’800. Gli stati generano i maestri.
L’investimento pedagogico delle classi dirigenti fa degli insegnanti dei missionari laici, un po’
simili al popolo che devono elevare ma consacrati a una causa superiore.
L’università
Che cos’è l’università?
L’istituzione universitaria a onda le sue radici nelle corporazioni di studenti e di docenti emerse
in diverse città medievali per l’autogoverno delle comunità dedicate agli alti studi loso ci,
teorici, medici e giuridici e per la cura delle relazioni del personale studioso con il resto della
società e con il potere pubblico.
Elementi caratteristici
• unione dell’insegnamento con la ricerca scienti ca e la ri essione intellettuale originale;
• il riconoscimento da parte della società e del potere costituito come luogo adeguato allo
studio e al conseguimento di una formazione certi cabile, e quindi come istituto privilegiato
per l’avvio alle professioni di interesse pubblico per la loro complessità intellettuale;
• rivendicazione da parte atenei dell’autonomia culturale e di gestione;
• natura al contempo discontinua ed intrecciata delle istituzioni, sorte individualmente ma legate
da rapporti di scambio di conoscenze, di mobilità del personale docente e studente e di
continuo confronto emulativo è competitivo.
Se il rapporto tra alti studi e Chiesa cattolica era radicato n dal Medioevo, l’emergere dello Stato
moderno ha portato a un intervento sempre più evidente del potere politico nella fondazione degli
atenei, nel loro mantenimento economico, nel loro controllo della qualità della formazione
professionale e nella richiesta di percorsi d’istruzione adeguati al personale.
L’in uenza statale generò però problemi per l’autonomia degli atenei. La comunità degli
accademici rispose a tali cambiamenti ra orzando la comune identità professionale e
proteggendo le proprie attività dalle in uenze esterne. Una simile reazione ebbe dei contraccolpi e
negativi: curricoli e programmi nirono per cristallizzarsi attorno alla mappa del sapere emersa
nelle istituzioni universitarie del tardo Medioevo.
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A cavallo dell’800 iniziò un rinnovamento delle istituzioni universitarie nei maggiori Paesi. Gli studi
accademici divennero un importante strumento di selezione e di legittimazione delle classi
dirigenti degli stati-nazione. Grandi potenze e Paesi emergenti trovarono vantaggioso impegnarsi
nella costituzione di sistemi universitari nazionali coordinati ed e cienti.
L’Italia preunitaria
Il quadro della situazione riguardante l’istruzione femminile negli Stati pre-unitari è caratterizzato
da un clima di generale arretratezza, soprattutto a causa dei retaggi secolari e perduranti
pregiudizi. Il destino della donna le attribuisce un ruolo naturale da svolgere esclusivamente negli
spazi privati, con l’addestramento precoce e accurato della mano per imparare gesti destinati a
venir ripetuti all’in nito nel chiuso delle abitazioni. Si tratta di regole e abilità apprese attraverso
un’educazine di tipo informale tra le mura domestiche o in un convento, tramandate da
generazioni al femminile, in vista del matrimonio o della monacazione.
Il vento egualitaristico della Rivoluzione francese non portò grandi cambiamenti. Disciplinamento
interiore ed esteriore della donna caratterizzavano gli istituti laici di origine napoleonica, poi
trasformati negli educandati governativi dell’Italia postunitaria, dove una ragazza di famiglia agiata
poteva apprendere comportamenti consoni al su rango, oltre all’acquisizione di una cultura
ornamentale da esibire nei sbalordì e in qualche occasione mondana.
Il decreto 21/03/1810, applicato al Regno italico, stabiliva che l’insegnamento dell’alfabeto
doveva essere impartito anche nei conservatori e negli orfanotro , ma con esiti che ebbero
di coltà a trovare riscontro.
Con la Restaurazione, le condizioni sconfortanti del resto d’Italia, in merito soprattuto
all’istruzione femminile, trovarono una situazione meno drammatica nei territori che vennero
nuovamente sottoposti al dominio asburgico. Il regolamento del 1818 prevedeva l’obbligo
scolastico anche femminile.
Nella Lombardia austriaca, l’esigenza di alfabetizzazione rese necesaria dal 1840 l’organizzazione
dei primi corsi nalizzati alla preparazione delle maestre, nettamente distinti da quelli maschili,
anche a livello contenutistico.
Questi due provvedimenti contribuirono alla di usione del modello austriaco anche nel Regno di
Sardegna, con la L. BONCOMPAGNI (4/10/1848) e la L. LANZA (22/06/1857). Quest’ultima istituiva
scuole magistrali, a durata triennale, distinte in maschili e femminili.
A ridosso della promulgazione della L. CASATI (13/10/1859), il decreto emanato nel 1858 da
L.C.Farini per l’Emilia prevedeva “scuole secondarie anche per le fanciulle”m a di erenza della
legge dell’istruzione del futuro Stato italiano, che non avrebbe fatto alcun riferimento all’istruzione
femminile di tipo secondario.
Il periodo post-unitario
La scuola elementare
Con l’eguaglianza formale a livello scolastico, sancita dalla L. CASATI del 1859 si diede avvio ad
una signi cativa fase di passaggio da un’educazione fondata su pratiche informali ad un lento
processo di alfabetizzazione, che si realizzò in un contesto formalizzato come la scuola,
fondato quasi tutto sulla pagina scritta. Fu tuttavia un percorso lungo e pieno di ostacoli, a causa
del persistente divario tra nord e sud, tra città e campagna; in quelle realtà dove si facevano
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sentire più forti i perduranti pregiudizi e il pesante retroterra sociale, economico e culturale, si
trattò di un obbligo “sulla carta” per molte bambine.
In merito ai programmi di insegnamento, nel secondo biennio della scuola elementare, si
prevedevano a livello contenutistico alcune sostanziali di erenze tra maschi e femmine. Ma per il
maggior numero delle donne, la cultura intellettuale deve aver quasi unico ne la vita domestica e
l’acquisto delle cognizioni che si richiedono al buon governo della famiglia, della quale esse
devono formare l’aiuto e l’ornamento. Gli stessi manuali scolastici rimandavano a una precisa
suddivisione dei ruoli di genere.
Le maestre
Le scuole postelementari che videro a ermarsi una sempre maggiore e progressiva a uenza
femminile furono le scuole normali, destinate alla formazione professionale degli insegnanti
elementari. Anche la Scuola normale era distinta per generi. I programmi di studio, pressoché
analoghi, per i futuri maestri e le future maestre si di erenziavano in quanto per i primi era previsto
un corso elementare di agricoltura e le nozioni fondamentali sui diritti e doveri del cittadino,
sostituiti per le seconde dai lavori donneschi.
La presenza dei convitti, annessi alle scuole normali femminili, contribuiva a plasmare le allieve,
esercitando un rigido controllo e una severa sorveglianza. L’obbiettivo era formare una maestra
morigerata, in possesso di poche cognizioni chiare e semplici, in grado di trasmettere insieme
all’alfabeto alcune precise regole comportamentali.
La Scuola normale si a ermò come il percorso scolastico preferenziale per le glie della piccola
borghesia e delle famiglie operaie cittadine, un percorso obbligato per quelle giovani motivate ad
ottenere un titolo immediatamente spendibile.
Le maestre percepivamo uno stipendio inferiore in terzo rispetto ai colleghi maschi, è molto
spesso erano costrette a ricoprire le sedi più disagiate, dove, per la loro condizione di donne,
venivano spesso osteggiate dalla popolazione locale e non era infrequente che fossero vittime di
angherie ed ostilità. Le maestre di campagna percepivano uno stipendio nettamente inferiore
rispetto alle loro colleghe di città: la L. Casati aveva stabilito i minimi salariali degli stipendi annuali
che variavano sulla base delle classi cazioni della scuola, del grado, delle classi maschili e
femminili.
La condizione più frequente dell’insegnante elementare era quella del nubilato: indispensabile
prerogativa per l’assunzione da parte dei Comuni, si richiedeva l’attestato di moralità; mentre si
prevedeva il licenziamento nel caso che la reputazione morale risultasse in qualche modo
compromessa.
Il numero di maestre si rivelò in constante crescita nell’ultimo trentennio dell’800.
Lo scarso prestigio di un lavoro meno remunerato rispetto a qualsiasi altra categoria del pubblico
impiego aveva favorito la fuga degli uomini verso altri tipi di professione. Molte amministrazioni,
soprattutto per motivi di bilancio, si videro costrette ad assumere preferibilmente le maestre
anche per l’insegnamento nelle classi superiori maschili.
Il Regolamento del 1895 comunque precisò come le maestre fossero da preferisti nel caso di
classi miste e potessero ottenere la nomina in scuole maschili inferiori e con deroghe da
richiedersi volta a volta anche in quelle maschili superiori.
L’attività scolastica delle maestre si rilevò cruciale, da un capo all’altro della penisola, per la
formazione degli italiani e delle italiane nell’Italia postunitaria.
Molte maestre promossero anche un vero e proprio rinnovamento educativo nell’ambito
dell’educazione prescolastica dell’infanzia.
Le professoresse
Sull’accesso alle donne all’università e all’insegnamento nella scuola secondaria, si era aperto un
dibattito nell’ultimo trentennio dell’800, che aveva trovato esito nel progetto di canalizzare la
richiesta di una cultura superiore da parte delle giovani negli Istituti Superiori Femminili del
Magistero. D’altra parte, il progressivo aumento del nº delle scuole normali femminili, a causa
della continua richiesta di maestre elementari, rendeva più opportuno a darvi l’insegnamento a
docenti donne per questioni di ordine morale.
Fu il min. F. De Sanctis a farsi interprete di tale esigenza: nel dicembre 1878 rmò il decreto per la
creazione di 2 Regi Istituti superiori femminili di Magistero (ISFM), a Roma e a Firenze, riservati
alle licenziate delle Scuole normali. Essi avevano il duplice compito di preparare future insegnanti
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di Lettere, Pedagogia e Lingue straniere delle Scuole complementari e normali femminili, al
tempo stesso di “dare a quelle signorine che vi aspirassero una cultura più copiosa e più
elevata di quella che possono ottenere dalle scuole elementari e dalle Scuole normali”.
Il decreto non ebbe vita facile, divenendo oggetto di un vivace confronto sulla stampa con forti
ripercussioni in Parlamento in merito all’opportunità di creare ex novo un istituto superiore
parallelo a un corso universitario, volto alla formazione esclusiva di docenti donne.
Il compito di convertire il decreto venne assunto da G.Baccelli, che ribadiva sostanzialmente la
nalità ambivalente dei due istituti.
In entrambi gli ISFM di Roma e Firenze, l’insegnamento consisteva in un approfondimento delle
diverse aree disciplinari, previste nel precedente percorso magistrale, ma con alcune importanti
novità, come l’inserimento delle lingue e letterature moderne. In linea con la cultura positivista del
tempo, anche le materie scienti che risultavano ben rappresentate e in perfetto equilibrio con
quelle di area umanistica.
Gentile, col decreto del marzo ‘23, li dotò di un’impostazione esclusivamente umanistica,
eliminando tutte le materie di area scienti ca, trasformandoli in istituti universitari, aperti ai maestri
diplomati.
I 2 ISMF registrarono un buon tasso d’iscrizioni.
Le di coltà d’inserimento delle docenti-donne nella scuola secondaria favorì la maggiore
frequenza femminile degli Istituti di Magistero, rispetto alle facoltà universitarie. Diverse diplómate
accompagnarono l’insegnamento presso le Scuole normali con la riscrittura di libri ad uso
scolastico, di romanzi e racconti per l’infanzia, di saggi e articoli.
Il fascismo
Giovanni Gentile con la sua riforma del ‘23 si fece interprete delle istanze relative ad una scuola
ad hoc per le donne, con la realizzazione di un liceo femminile. Si trattava di un liceo che non
o riva alcuno sbocco universitario e neppure il conseguimento di un diploma professionale. Ebbe
subito successo, tanto che si dovette giungere alla decisione di sopprimerlo nel ‘29. L’obiettivo di
Gentile era di contente l’a uenza delle donne all’insegnamento nella scuola elementare.
Per rendere più appetibile per i maschi la carriera magistrale, egli trasformò le Scuole normali in
Istituti Magistrali di durata quadriennale, dimezzando il numero delle sedi. Si trattava anche in
questo caso di una decisione atta a scoraggiare le aspiranti maestre a frequentarli.
Col R.D. del marzo ‘23, gli Istituti superiori di magistero femminile assunsero una connotazione
universitaria, di carattere esclusivamente umanistico, e furono aperti ai maestri diplomati.
Sulla base delle nuove normative, le classi femminili e le maschili del 1º ciclo, come le classi miste
presenti nelle zone rurali, vennero a date alle maestre, mentre il 2º ciclo maschile fu riservato ai
maestri, i quali mantenevano pure il diritto di insegnate nella classi maschili del 1º ciclo.
Le maestre dovevano morto spesso ricoprire posti nella realtà rurali e più disagiate. Il Regime
cercò in ogni modo di ostacolare le donne sposate a intraprendere la professione dell’insegnante.
La gura della maestra elementare, durante il Ventennio, godette di una scarsa considerazione,
pur trattandosi di una professione tollerata. Si tornò però all’ideale del passato, ovvero quello di
una donna che anche negli aspetti esteriori doveva assumere una connotazione di assolta
morigeratezza.
Le maestre furono impegnate anche a livello extrascolastico, con la fondazione dell’Opera
Nazionale Balilla (‘26), dovendo organizzare le attività delle bambine, inquadrate in Figlie della
lupa, Piccole italiane, Giovani italiane.
Il R.D. del dicembre ‘26 stabilì che le laureate venissero escluse dai concorsi a cattedre di lettere,
latino, greco, storia, loso a ed economia politica nei licei classici d scienti ci e dai concorsi a
cattedre di italiani e storia negli istituti tecnici. Esse furono pure escluse dal ruolo di preside.
Nel ‘28 si stabilì per le studentesse il pagamento delle doppie tasse per l’iscrizione alle scuole
secondarie e all’università, mentre l’anno dopo, nel ‘29, venne vietati alle giovani l’accesso alla
Scuola Normale Superiore di Pisa.
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La CARTA DELLA SCUOLA, presentata dal min. dell’educazione nazionale G.Bottai e approvata nel
febbraio ‘39, prevedeva che la donna venisse formata in un Istituto femminile triennale. Si
trattava di un documento programmatico che l’entrata in guerra dell’Italia impedì di trasformare il
legge.
Durante il con itto, si dovettero però abbandonare le misure più drastiche, prese in precedenza:
abrogazione del decreto sulla riduzione del personale femminile nel pubblico impiego ed
annullamento del provvedimento che aveva stabilito quali fossero gli impieghi adatti alle donne.
Già nel ‘32 esistevano gli istituti di Magistero professionale per la donna, poi trasformati in istituto
tecnico femminile.
Istruzione ed economia
Istruzione e sviluppo economico: uno sguardo generale
A partire dalla ne degli anni ‘60 si iniziò ad avvertire la ristrettezza dei tradizionali approcci alla
storia dell’educazione. L’attenzione degli studiosi si spostò sull’analisi delle relazioni tra struttura
sociale e sistema educativo.
Negli stessi anni uscì un lavoro destinato a diventare un punto di riferimento per i futuri studi
educativi: Istruzione e sviluppo di C.M.Cipolla (’69). Nel volume sono ssati i principali fattori
socioeconomici che in uenzarono lo sviluppo dei sistemi scolastici e dei processi di
alfabetizzazione nell’Occidente. Poco tempo dopo, un suo allievo ricostruì le dinamiche tra
sviluppo economico e sistema scolastico nell’Italia del XIX sec. con il volume Istruzione e sviluppo
economico in Italia nel XIX sec. (‘71).
Fattori socioeconomici capaci di incidere sul sistema educativo e sui livelli di alfabetismo
• Disponibilità di un surplus economico in grado di permettere ad una società di mantenere
inattive quote di popolazione per gli anni necessari alla loro istruzione. Lo scenario degli attuali
Paesi avanzati, caratterizzato da un accesso universale alla scuola secondaria e da una forte
quota di soggetti applicati all’istruzione superiore, sarebbe insostenibile senza il surplus
prodotto dall’automazione industriale. Se si guarda alle tempistiche della scolarizzazione di
massa europea, è facile osservare le relazioni tra investimenti nella pubblica istruzione e
incremento del surplus. (A CAPO) La pressione esercitata dalla domanda di maestranze in
grado di interfacciarsi con macchinari complessi e la di usione coeva di un liberalismo aperto
alle classi lavoratrici promosso dalle idee di Stuart Mill a portare gli Stati ad investire
nell’istruzione elementare di massa e a introdurre il principio dell’obbligo scolastico. (A CAPO)
L’accesso di massa all’istruzione secondaria superiore fu un fenomeno proprio dell’Europa
postbellica, promosso dalla ricostruzione industriale secondo i principi della catena di
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montaggio e, successivamente dell’automazione e dagli incrementi di surplus da essi
prodotti. A partire dagli anni ‘70, il crescente processo di terziarizzazione delle economie
occidentali ha prodotto una forte spinta all’ampliamento degli accessi post secondari, con
sensibili investimenti sull’istruzione superiore e universitaria.
• Costi. Essi non possono essere de niti entra una contabilità delle spese necessarie al
mantenimento dell’impianto educativo. Per questo motivo, è stato coniato il concetto di costo
opportunità: spese presenti materiali e immateriali (costo) che una società a ronta in vista di
bene ci futuri (opportunità). La sua percezione non è solo sociale, ma anche famigliare: le
scelte delle famiglie sull’educazione dei propri gli sono soggette alle pressioni del costo
opportunità. La percezione famigliare del costo opportunità è il termine ultimo nel determinare
i destini educativi di un individuo. È un fattore di rilievo nel determinare gli accessi ai diversi
gradi di istruzione, sia a livello collettivo sia nella loro strati cazione sociale.
• Fattori socioculturali e ideologici.
Come un solido sistema educativo non è una premessa necessaria ad attuare un processo di
sviluppo economico, così non è scontato che po sviluppo economico sia una condizione
necessaria alla costruzione di una solida o erta di istruzione. Per altro verso, è indubbio che,
senza l’apporto di un sistema educativo ine ciente, lo sviluppo economico risulterà e mero. Le
società che non sanno investire per tempo in istruzione sono condannate ad un inesorabile
declino.
I modelli regionali portano ulteriori complessità, nelle quali entrano rilevanti interferenze portate da
fattori demogra ci, culturali, ambientali, …:
• grado di urbanizzazione;
• distribuzione della ricchezza: più equa è la distribuzione più saranno facilitati gli accessi ai
vari gradi d’istruzione. Un fattore in grado di incidere con forza sulla domanda e sull’o erta
d’istruzione nelle società agricole è la distribuzione della proprietà fondiaria e la natura dei
patti agrari;
• fattori socioculturali: appartenenza di genere, appartenenza a minoranza linguistica.
La chiave di lettura
A rontare il tema del rapporto istruzione-sviluppo economico in Italia signi ca fare i conti con la
dicotomia Nord-Sud.
Germania e Italia sono due stati che realizzarono negli stessi anni il loro processo di uni cazione e
con strutture economiche simili. Altrettanto simili furono le modalità con cui si realizzò il processo
di industrializzazione dei due Paesi. In entrambi, il ruolo centrale fu giocato dallo Stato e dalle
banche di credito. Le similitudini sono però alterate dal ritardi italiano sulla Germania: se il decollo
industriale tedesco inizia pochi anni dopo il processo di uni cazione, il decollo industriale italiani
ritarda no all’aprirsi del ‘900 (età giolittiana). Il ritardo fu il frutto di una polarizzazione della classe
dirigente italiana: da una parte una borghesia manifatturiera dinamica ed aperta al cambiamento,
dall’altra parte una borghesia professionale e agraria tradizionalista e di erente verso le
trasformazioni.
Si possono individuare 4 cicli economici che investono l’Italia:
1. da Unità a 1899 -> predominio di politiche favorevoli alla borghesia agraria e professionale;
2. da 1899 a 1914 (età giolittiana) -> decollo industriale del Paesi all’interno del triangolo
Milano-Torino-Genova
3. avvento del fascismo (1922-45);
4. 1958-73: nuova fase di sviluppo industriale.
L’insegnamento religioso
La LEGGE CASATI (1859) ha posto le basi del sistema scolastico nazionale. In cima all’elenco
delle materie obbligatorie per la scuola dell’ordine elementare, essa poneva l’insegnamento
religiosos, in piena ottemperanza al carattere confessionale dello Statuto albertino. Tuttavia,
pur a fronte dell’assegnazione di una posizione privilegiata alla disciplina, i ministri della Pubblica
Istruzione espressi dai governi liberali chiamavano ad insegnare “religione” maestre/i, cioè
insegnanti non religiosi ma laici.
Pochi mesi dopo il varo della legge (1860), il Regolamento delle Scuole elementari prevedeva che
fossero “dispensati dallo studio delle materie religiose i fanciulli che non professano il culto
cattolico”.
La politica scolastica dei governi della Destra storica, per quanto rispettosa della componente
cattolica, appariva espressione di una cultura liberale là dove, accanto alla difesa della tradizione
apostolica romana, ne laicizzava l’insegnamento a dandolo ad insegnanti che non avevano
modo di formarsi adeguatamente, poiché nelle Scuole normali la disciplina religiosa non era
impartita.
La legge Casati rompeva una consuetudine presente in molti stati preunitari, cioè quella di
a dare la direzione delle scuole a parroci. Inoltre, essa allentava il legame tra educazione
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religiosa e formazione intellettuale, che era stato a fondamento della politica scolastica in
Europa nell’età dell’assolutismo.
La legge Casati ed i conseguenti programmi delle elementari erano emanati da una classe politica
che, mentre cercava di limitare l’in usso politico della Chiesa, era al tempo stesso consapevole
che un sistema scolastico ostile alla religione ben di cilmente avrebbe incontrato il consenso
delle famiglie.
All’inizio del decennio successivo, una circolare del 1870 (C.Correnti) trasformava la religione da
insegnamento “con eventuale richiesta di esonero” ad insegnamento “su richiesta”.