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LUCIANO COLIO

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MERCANTI DI NOTIZIE
I GIORNALI E LA CRISI

La conosci la storia di quelluomo che precipita da un palazzo di cinquanta piani, e a ogni piano si ripete: fin qui tutto bene, fin qui tutto bene, fin qui tutto bene Il problema non sta nella caduta, ma nellatterraggio (dal film L'odio di Mathieu Kassovitz )

Indice

1. Un settore in difficolt 2. La rete come capro espiatorio 3. Altre cause 4. Pubblicit e Stampa in Italia 5. Il pluralismo che non c' 6. Giornali italiani, fonti inaffidabili 7. Mafia e Informazione 8. Conclusioni

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1. UN SETTORE IN DIFFICOLTA'
Il 2009 sar ricordato come un anno difficile, segnato da una profonda e inarrestabile crisi economica e finanziaria, capace in pochi mesi e a livello globale di coinvolgere e indebolire la maggior parte dei settori industriali. Anche la stampa quotidiana in affanno: negli ultimi mesi sono calate le vendite, gli abbonamenti e soprattutto le inserzioni pubblicitarie ovvero le fonti economiche principali che un giornale ha per sopravvivere. Negli Stati Uniti ben sette gruppi sono in via fallimentare e trentamila posti di lavoro sono stati cancellati in soli due anni. Sono in difficolt persino giganti dellinformazione come il New York Times il quale, per far fronte ai debiti accumulati (circa un miliardo di dollari) ha accettato inserzioni pubblicitarie sulla prima pagina, considerata una volta un tempio inviolabile e, dato che non era sufficiente, ha dovuto anche vendere buona parte del suo grattacielo a Manhattan. Barack Obama, pur di salvare il salvabile, pensa ad interventi di sostegno da parte del governo federale ai giornali che accettino di trasformarsi in strutture no-profit, ma l'80% degli americani, secondo un sondaggio realizzato dalla Sacred Heart University, risulta assolutamente contrario ad uso di fondi pubblici. Anche John Sturm, il presidente della Newspaper Association of America, intervenendo davanti al Congresso, ha rilevato che esistono modi alternativi per aiutare il settore, fra cui una modifica dei sistemi di tassazione e interventi nel campo previdenziale. Intanto altri quotidiani per sopravvivere migrano in rete e abbandonano del tutto la carta stampata e i suoi costi. Recentemente il Seattle Post-Intelligencer, storico quotidiano americano della Hearst (il gruppo fondato dal magnate dei media che ispir Quarto Potere di Orson Welles), ha salutato i lettori con un numero commemorativo dai toni funebri. Vicino al nome della testata apparivano le date 1863-2009 come un vero necrologio. Eppure, nonostante i toni, il giornale ha evitato il fallimento totale e la scomparsa del proprio nome approdando in rete. In Francia invece Nicolas Sarkozy ha deciso di stanziare 600 milioni di euro in tre anni per aiutare i giornali ad uscire da una crisi che pu, parole sue, rivelarsi fatale. Inoltre, per evitare che i ragazzi perdano completamente interesse nella lettura dei quotidiani, ha deciso di regalare per un anno una copia a settimana di un giornale a scelta, a 200.000 giovani tra i 18 e i 24 anni. Stessa sorte, conti in rosso e tagli a pioggia, tocca pi o meno tutti i quotidiani italiani e nonostante 3

i finanziamenti pubblici, che qui di certo non mancano, rischiano la chiusura anche giornali storici come lUnit. RCS Media Group, editore del Corriere delle Sera e della Gazzetta dello Sport, tra i quotidiani pi venduti in Italia, chiude i primi nove mesi dell'anno con una perdita di 73,3 milioni di euro contro un utile di 20,3 di un anno prima. Il gruppo guidato da Antonello Perricone, scrive Sergio Bocconi sul Corriere del 12 novembre 2009, ha proseguito nellazione di riduzione dei costi con tagli per 130 milioni nel 2009. A soffrire in modo particolare, scrive Bocconi, ancora la pubblicit, calata del 27,2% oltre ad un fatturato diffusionale in calo dell11% .

2. LA RETE COME CAPRO ESPIATORIO


Che i giornali tradizionali fossero in crisi non lo si certo scoperto all'improvviso. Nel 2006 lEconomist dedica la sua copertina di agosto alla sua inchiesta intitolata Who killed the newspapers?. Secondo la blasonata rivista inglese, nei prossimi decenni la diffusione della carta stampata destinata a crollare sotto i colpi di internet e del disinteresse dei lettori. LEconomist pronostica persino la data di decesso, il 2046, anno in cui verr pubblicato l'ultimo numero dell'ultimo giornale. Per molti editori e giornalisti il web colpevole di regalare i contenuti e di abituare i lettori ad uno squallido uso gratuito dell'informazione. Rupert Murdoch considera i visitatori occasionali dei siti utenti poco appetibili: producono traffico ma non diventano lettori abituali. Murdoch sostiene che dieci anni fa gli editori commisero un mezzo suicidio quando accettarono la filosofia del tutto-gratis in rete e che dunque arrivato il momento di reagire. La rete continua quindi ad essere accusata di essere la diretta responsabile di tutti i mali in cui versa l'editoria, poca invece l'attenzione verso le colpe degli editori, colpevoli negli anni, come vedremo, di aver radicalmente trasformato il ruolo stesso dell'informazione. Secondo il giornalista e scrittore Luca De Biase, la malattia dei giornali non solo pubblicitaria o di modello economico ma prima di tutto antropologica: si rotto un rapporto di fiducia, una delega a informare stata ritirata, la funzione critica del giornalismo non pi visibile. Un modello professionale al tramonto, scrive De Biase sul suo blog1, e non riesce a cambiare sulle sue sole
1 http://blog.debiase.com/2006/08/25.html#a928

forze: tutto ci non estraneo alla crisi della forma democratica. Alla fine, De Biase pare rispondere al quesito proposto dallEconomist: chi ha ucciso i giornali? Chi pensa di possedere il pubblico come il feudatario possiede i servi della gleba. E chi pensa che il pubblico sia uno sciocco branco di guardoni, perditempo, interessati sono all'irrilevante. E chi pensa che i giornali siano business e non servizio. Non c' un assassino, ma un'associazione a delinquere.

3. ALTRE CAUSE
Che cosa cambiato profondamente nella stampa? cambiato l'editore che non pi un politico o un imprenditore, ma il mercato, e precisamente quel suo braccio armato che la pubblicit, la creatrice irresistibile di desideri e di consumi, la potentissima locomotiva che trascina il genere umano verso nuovi sprechi e forse nuove guerre. (Giorgio Bocca)2

Linizio della spirale della crisi dei quotidiani, secondo Peter Kann, Premio Pulitzer ed ex presidente di Dow Jones, precede Internet di alcuni decenni; parte quando gli editori hanno cominciato a basarsi sempre di pi come fonte di reddito primario sulla pubblicit, dando una caccia sempre pi serrata agli inserzionisti e puntando sempre di meno ad una adeguata valorizzazione del prodotto in se stesso. La pubblicit pagava e i quotidiani potevano cos anche non prestare attenzione a cali di vendite o di credibilit da parte dei lettori. Questo and avanti per alcuni decenni, fino al giorno in cui i giornali persero il loro monopolio pubblicitario e il rapporto con i lettori si incrin. In un articolo apparso recentemente su apogeonline3, Maurizio Boscarol riassume alcune interessanti idee di Clay Shirky sul giornalismo. Secondo Shirky, scrittore americano ed esperto di nuovi media, i giornali potevano fare inchieste grazie a condizioni storiche ormai superate: le aziende pagavano a caro prezzo le loro pubblicit perch in assenza di tv, radio e internet non vi erano altre alternative. Il servizio reso dalla stampa per non sempre all'altezza dei costi spesi per vendere, oltre a vedersi accostati ad articoli poco attinenti sul prodotto o servizio da reclamare c' sempre il rischio di essere smascherati da un'inchiesta sulle stesse pagine sulla quale si facevano
2 http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Come-cambiano-i-giornali/2034911 3 http://www.apogeonline.com/webzine/2009/09/30/il-futuro-dei-giornali-va-cercato-altrove

pubblicit, sempre che il giornale risulti abbastanza forte e indipendente da poterselo permettere. Problema quest'ultimo che non interessa agli inserzionisti italiani, abituati da anni a non vedersi coinvolti n da inchieste, n da articoli polemici, detentori di un potere cos grande che va ad incidere direttamente sui contenuti.

4. PUBBLICITA' E STAMPA IN ITALIA


Ne L'informazione Alternativa (EMI, 2002) Carlo Gubitosa fa risalire al 1998 l'anno in cui i quotidiani italiani modificano il loro rapporto con i lettori, trasformandosi da beni di utilit sociale a beni di utilit economica. Per Gubitosa l'indice di questa trasformazione stata la percentuale dei ricavi editoriali legati all'attivit pubblicitaria che nel 1998, aumentando del 12% circa rispetto all'anno precedente, hanno raggiunto il 50,05% dei ricavi totali, superando per la prima volta i ricavi da vendita delle copie che nello stesso anno sono diminuiti del 7% circa. Senza che ce ne rendessimo conto, scrive Gubitosa, il valore principale dei nostri quotidiani diventata la loro capacit di attrarre e indirizzare i consumi attraverso la pubblicit: una caratteristica che di fatto ha rimpiazzato il valore informativo e sociale che ancora oggi ci ostiniamo a voler attribuire alla stampa quotidiana. A conferma di questi dati, Gubitosa cita il caso della privatizzazione di Finmeccanica: da Liberazione ad Avvenire, dal Manifesto alla Stampa, scrive il giornalista tarantino, tutti hanno dato la loro unanime benedizione alla privatizzazione di Finmeccanica, senza che nessuno abbia sollevato la bench minima morale su questa raccolta di capitali privati effettuati da uno dei colossi europei dell'industria delle armi, coinvolto su pi fronti nell'esportazione di materiale bellico verso paesi repressivi o in conflitto. Il mercato editoriale, denuncia Gubitosa, appare talmente disastrato da accettare ad occhi chiusi qualsiasi introito pubblicitario, anche se proviene dal pi grande mercante di armi del paese. In questo caso difficile distinguere tra causa ed effetto. Non ben chiaro, si chiede, se la natura dei giornali sia diventata prevalentemente pubblicitaria a causa di una crisi dell'editoria o se la crisi di cui sopra non altro che un effetto di questo spostamento dal baricentro giornalistico verso gli introiti pubblicitari. L'unico dato certo, prosegue Gubitosa, che se nel breve periodo gli introiti pubblicitari percepiti da aziende simili a Finmeccanica possono rappresentare una boccata d'aria per un quotidiano, nel lungo periodo la mancanza di differenziazione tra i vari quotidiani e l'appoggio pubblicitario ad aziende lontane dalle posizioni di una testata possono allontanare irrimediabilmente i lettori da un mezzo di informazione in cui non si riconosco pi. 6

Giuseppe Altamore, autore di un libro-denuncia sui condizionamenti delle pubblicit sull'informazione, I Padroni delle notizie (Bruno Mondadori, 2006), descrive persino i mezzi che vengono utilizzati per compiere queste forme di ingerenza. Si va, dice Altamore, dal coinvolgimento di un giornalista in viaggi di lusso tutti spesati per convincerlo a parlare bene di un prodotto, al suggerimento di occuparsi di un particolare tema contemporaneamente all'uscita pubblicitaria. Per Altamore il limite etico ormai oltrepassato, le pressioni e i ricatti verso i redattori sono all'ordine del giorno; ma, sostiene Altamore, si pu ancora aprire una crepa nel muro di fortezza del potere mediatico, nelle mani dei padroni delle notizie. Innanzitutto, spiega Altamore, con la denuncia, fornendo ai lettori traditi gli strumenti per smascherare il gioco. Questo rischio la perdita d'indipendenza sacrificata al mercato stato sempre presente nella storia dell'informazione: gi Henry Luce, uno dei fondatori del Time, criticava i giornali gratuiti che vivono solo grazie alla pubblicit. Li considerava ripugnanti dal punto di vista morale e autolesionistici dal punto di vista economico. Per garantire un buon giornalismo, diceva, un giornale deve dare la priorit ai lettori, non agli inserzionisti. Il modello basato solo sulla pubblicit, invece, spinge a fare il contrario. Ed autolesionistico perch chi fa il giornale non si rende conto che la sua sopravvivenza dipende dai lettori, e non si prende abbastanza cura di loro.

5. IL PLURALISMO CHE NON C'


Un secondo motivo di questa crisi di fiducia ce lo d Maurizio Torrealta, giornalista, che in un suo articolo4 scrive: capire di chi la propriet del mezzo d'informazione del quale utilizzate le notizie la prima informazione che vi serve per capire su quali argomenti non potete aspettarvi una notizia imparziale. Le notizie sulla vera propriet dell'organo di informazione che state utilizzando, dice Torrealta, sono le notizie che non troverete mai su quell'organo di informazione. E' in poche parole il problema dell'alta concentrazione della propriet dei media tra cinque potenti gruppi quando fino al 1983 ve ne erano cinquanta che da soli, grazie allo sviluppo tecnologico e alla liberalizzazione dei mercati, controllano il 90% dell'informazione e della cultura made in USA, colossi come la News Corporation di Murdoch,
4 http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=560

Time Warner, Viacom, Bertlesman e Disney. Da circa vent'anni queste multinazionali si dividono il mercato, i loro consigli di amministrazione sono intrecciati l'uno con l'altro grazie alla partecipazione degli stessi membri in diversi consigli di amministrazione di altre societ. Spesso le stesse compagnie in competizione nel mercato interno, racconta Torrealta, sono alleate nelle avventure finanziarie all'estero, non si fanno quindi pi battaglie tra di loro ma si spartiscono il bottino. Il risultato che i prodotti finiscono tutti per assomigliarsi, dando vita ad una vera e propria omogenizzazione culturale. Questi cinque grandi gruppi mediatici, dichiara Torrealta, sono sostanzialmente troppo intrecciati tra di loro finanziariamente e soprattutto troppo simili nel loro modo di operare per farsi concorrenza: competeranno sicuramente nel caso che si affacci sul mercato una compagnia aggressiva che lascia sperare in un buon risultato, in questo caso s, faranno la guerra uno con l' altro per acquistarla, ma la guerra tra di loro non la fanno pi da tempo.

6. GIORNALI ITALIANI, FONTI INAFFIDABILI


Nell'agosto scorso Time Magazine pubblica un articolo a firma di Stephan Faris intitolato Italy's Newspapers: Untrusted Sources5 nella quale si accusano i media italiani di essere direttamente responsabili di quanto c' di sbagliato nella politica tricolore. L'Italia, scrive Faris, citando i dati della World Association of Newspapers , una nazione dove solo una persona su dieci compra un quotidiano e il primo ministro controlla le tv, agli italiani sembra non interessino le notizie ma, continua Faris, se il problema non fosse nell'appetito di notizie ma in quello che offre il men? Per Faris non cambiato molto da quando cinquant'anni fa il giornalista politico Enzo Forcella dichiar che i giornali italiani sono scritti solo per un migliaio di lettori: ministri, parlamentari, leader di partito, capi sindacali e industriali. Si molto parlato di Silvio Berlusconi che controlla la televisione italiana ma, fa notare Faris, anche la stampa scritta ha il suo conflitto di interessi. Giulio Sensi, giornalista e autore di Informazione, istruzioni per l'uso (Terredimezzo, 2009) parla di cinque sorelle che si dividono il mercato italiano: Rcs ha ricavi pari al il 21,3%, lEspresso il 18,6%, la Mondadori il 18,3%, Il Sole-24 Ore il 10%, Caltagirone il 4,9%. Questi cinque - secondo i dati del 2007 dellAutorit garante per le comunicazioni - hanno in mano il 73,1% di un fatturato che ammonta complessivamente, a 4,927 miliardi di euro. Rcs in mano ad una serie di azionisti che rappresentano, scrive Sensi, il gotha economico e finanziario italiano: dal salotto buono di Mediobanca, che ha la quota pi alta (il 14%) alla Fiat, da
5 http://www.time.com/time/magazine/article/0,9171,1917663,00.html

Pesenti (Italcementi) a Della Valle (Tods), da Ligresti (Fondiaria) a Tronchetti Provera, Passera, Lucchini e Benetton per finire a Rotelli, re delle cliniche private lombarde con la Papiniano Spa. La quota pi alta dellEspresso, gruppo editore di Repubblica, LEspresso e di tantissimi quotidiani locali, invece nelle mani di Carlo De Benedetti, patron della Cir, che, fa notare Sensi, ha enormi altri interessi nell'energia, nella sanit, nei trasporti e nella finanza. Il gruppo De Benedetti controlla il 54% della Sorgenia, societ attiva nel nuovo mercato libero dellelettricit e del gas; il 64% della Holding Sanit e Servizi, societ leader tra le residenze assistite e i centri di riabilitazione; si occupa quindi di ricambi per automobili con la Sogefi (fra i maggiori gruppi mondiali del settore) e di servizi finanziari grazie al possesso della Jupiter Finance e della Oakkwood, quest'ultima specializzata nella finanziamenti retail. Il 50,1% di Mondadori fa capo a Fininvest, societ del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, di cui, scrive Sensi, sono altrettanto note le attivit in svariati campi (immobiliare, servizi finanziari, assicurazioni, cinema e spettacolo, sport, grande distribuzione, internet, pubblicit, per citarne solo alcuni). Il Sole-24 Ore invece di propriet della principale lobby industriale del Paese, Confinustria, mentre le occupazioni principali del gruppo Caltagirone (editore de Il Messaggero, Il Gazzettino, Il Mattino e del free press Leggo) sono il cemento, le grandi opere, il settore immobiliare e quello finanziario. Della holding di famiglia, racconta Sensi, fanno parte Cementir, Vianini Lavori, Vianini Industria. Francesco Gaetano Caltagirone possiede inoltre rilevanti partecipazioni nel Monte dei Paschi di Siena, in Acea (utility) e in Grandi Stazioni, la societ del gruppo Ferrovie dello Stato che ha lo scopo di riqualificare, anche commercialmente, le tredici maggiori stazioni italiane.
Carta stampata: ricavi dei primi cinque gruppi (% sul totale)
2 0 0 6 Rcs Mediagroup Gruppo editoriale L'Espresso Arnoldo Mondadori Il Sole 24-Ore Caltagirone editore Altri Totale 21,1 18,6 19,4 8,8 4,9 27,2 100 2 0 0 7 21,3 18,6 18,3 10 4,9 26,9 100

creazione, acquisizione e gestione di societ per

Milioni di euro 5765 5740 Fonte: elaborazione Autorit per le garanzie nelle telecomunicazioni su dati aziendali

Il quadro dunque drammatico e confuso a livello d'indipendenza e di pluralismo, di certo c' che Berlusconi, proprietario sia di grandi network televisivi che di gruppi editoriali, ha oggi un potere 9

cos grande da compromettere questa gi delicata situazione e da convincere 300.000 persone a scendere in piazza per manifestare per la libert di stampa, come successo a Roma nello scorso ottobre. Anna Politkovskaja diceva che in Russia il 90% dei giornalisti ha una tessera politica e che se hai una tessera politica non sei un giornalista ma un portavoce. Gli italiani forse cominciano ad accorgersi dell'anomalia Berlusconi, mentre resta bassa l'indignazione verso i conflitti di interesse degli altri gruppi. Giulio Sensi mostra poi un altro aspetto, queste imprese editoriali sono tutte societ per azioni che godono di contributi pubblici ma stanno in piedi solo grazie alla pubblicit. L'industria dell'informazione, denuncia Sensi, sovvenzionata e condizionata dal motore delleconomia: la pubblicit il vero editore occulto. Come Gubitosa anche Sensi punta quindi lo sguardo verso la trasformazione dei quotidiani da beni di utilit sociale a beni di utilit economica. I ricavi pubblicitari superano oggi il 50% e sono diventati la principale fonte di entrata, pi grande, come si detto, della vendita delle copie. Grazie alla pubblicit e a un sistema di distribuzione irrazionale, prosegue Sensi, leditoria italiana diventata anche un inno allo spreco: in un anno pi di 57 milioni di copie finiscono al macero, e nessuno ne immune: la Repubblica ne getta in media 158.874 al giorno, il Corriere della Sera 160.432, Libero addirittura quasi la met di quelli che stampa 100.000 in media su 229.000 copie stampate. Questo succede, scrive Sensi, perch il ragionamento delleditore meglio essere presenti, tanto gli utili non si decidono sul mercato, ma con la pubblicit e con i finanziamenti pubblici. Negli ultimi anni, racconta Sensi, circa 700 milioni di euro allanno sono arrivati dallo Stato, tramite contributi diretti o indiretti, senza considerare i singoli contributi elargiti da ministeri ed enti locali. Soldi che restano nascosti fra le pieghe dei bilanci, ma si dirigono in buona parte a vantaggio dei grandi gruppi che hanno molte testate, alte tirature e ampi organici: societ per azioni finanziate dal pubblico. A rischio, per Sensi, restano solo le cooperative, testate minori e davvero indipendenti, che possono contare meno sugli introiti pubblicitari e che il governo Berlusconi ha prima escluso dai finanziamenti per poi fare un passo indietro e reinserirli ancora per un anno. Nonostante i pesanti condizionamenti in cui versa la stampa in Italia di bravi giornalisti e buoni giornali se ne trovano ancora e, sostiene Sensi, non poi cos automatico che i conflitti di interesse provochino concretamente clamorose distorsioni. A Sensi per restano delle domande: chi assicura, ad esempio, che il Corriere della Sera abbia un'informazione corretta e critica sull'economia 10

italiana, quando la quota maggiore delle sue azioni in mano alla banca d'affari pi importante d'Italia? E ancora: come pu essere attendibile a 360 gradi Il Sole-24 Ore di propriet degli industriali del nostro paese che hanno interessi chiari e definiti?

7. MAFIA E INFORMAZIONE
Come tutti i poteri anche quello criminale ha interessi nell'ostacolare una libera e indipendente informazione, in modo da proteggersi innanzitutto da pericolose fughe di notizie per rendere pi redditizi i propri affari. Il problema si presenta come una limitazione della libert di stampa e, denuncia il Rapporto Ossigeno della Fnsi6, come l'assoggettamento a una costituzione materiale pi debole, che tollera l'attivit giornalistica finch non mette a rischio gli affari mafiosi. Si fa spesso il grande errore di considerare la mafia un'entit isolata, lontana dagli altri poteri e con interessi molto diversi. Giornalisti come Ilaria Alpi, Lirio Abbate, Gianni Lannes e tanti altri, vivi e morti, ci hanno invece mostrato le connivenze che si vengono a creare tra il potere legale e quello criminale. La mafia pu anche essere descritta come un cane da guardia, non sempre fedele, in mano a poteri pi grandi e per questo molto pi pericolosa. Tra i cronisti c' chi per paura si autocensura e chi volontariamente si mette dalla parte dei boss; e poi per fortuna ci sono quelli che ancora resistono, chi non smette di puntare i riflettori dove c' solo buio. Famoso il caso di Roberto Saviano, scrittore napoletano e autore del romanzo Gomorra, costretto a vivere sotto scorta e a cambiare continuamente dimora, solo per aver raccontato con nomi e cognomi le attivit criminali della Camorra. Ma se Saviano riuscito a destare l'attenzione mondiale su di lui e la sua condizione tanti sono ancora quelli che rischiano ogni giorno di morire nell'indifferenza dei media e delle istituzioni. Saviano ha spesso sottolineato il ruolo che ha l'informazione quotidiana locale nel trasmettere anche un immaginario di tipo mafioso. Il linguaggio che spesso passa attraverso la comunicazione
6 http://www.fnsi.it/Osservatorio/3_Il_Rapporto_2009.pdf

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quotidiana, racconta Saviano in un suo appassionato monologo alla Rai7, diventa crudele come quando il Corriere di Caserta in riferimento ad un omicidio mafioso di un sindacalista intitola la sua prima pagina: giustiziato sindacalista, lasciando intendere che la Camorra ha il potere di emettere sentenze e farsi giustizia da sola. Ci sono, racconta Saviano, persino boss che riescono a parlare con l'esterno nonostante il carcere duro 41 bis. Come fanno? Scrivono lettere ai giornali locali, lettere che poi vengono subito pubblicate. E' successo con Francesco Schiavone, detto Sandokan, che in una lettera attacca i pentiti presentandosi come un onesto imprenditore. La risposta del direttore del giornale non si fa attendere e inizia addirittura con un signor Schiavone la ringrazio per la stima. Saviano si chiede allora come sia possibile che questo tipo di comunicazione possa avvenire cos tranquillamente senza alcuna indignazione, come si possa tollerare che messaggi del genere passino come informazioni. Di fronte a quest'altro titolo: Don Peppe Diana era un camorrista, Saviano prova paura. Si domanda angosciato come si possa parlare di un uomo ammazzato dalla camorra come di uno che andava a donne, che conservava armi del clan nemico e che era un camorrista. Questo, per Saviano, significa raggiungere un punto in cui facile infangare chiunque, senza pi alcun limite civile e morale. Immediatamente dopo l'esecuzione di don Diana, racconta Saviano, parte la tipica campagna diffamatoria caratterizzata da insulti e insinuazioni che accomuna ogni persona che decida di raccontare questo potere. Un titolo cos distrugge una figura, dice Saviano, perch se i giornali nazionali arrivano a raccontare l'eroe poi sono costretti a fermarsi quando alcuni quotidiani locali, che sono il racconto continuo di quella che la realt di quel territorio, trasmettono un'altra verit e, mentre sfumano i tempi del racconto, la vittima sparisce.

8. CONCLUSIONI
Ad essere in crisi, dunque, un'idea di giornalismo che non regge pi ovvero quella che fare informazione sia un business come un altro, senza alcun limite morale. Speculare sull'informazione
7 http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-2ff60b2d-3de7-4f98-8244-82004989bac5.html

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un'attivit che i vecchi tycoon non possono pi permettersi perch, a differenza di internet, radio e tv, il quotidiano si continua a pagare e se il servizio che offri non pi all'altezza delle aspettative si abbandona facilmente. Il lettore deve essere considerato attivo, non pi solo target per possibili campagne pubblicitarie o politiche, ma persona che ha il diritto di informarsi e talvolta informare a sua volta. Oggi un rapporto bidirezionale possibile, se i vecchi giornali riusciranno ad afferrare questo concetto essenziale potranno forse salvarsi ancora una volta, si diranno fin qui tutto bene mentre lo schianto si fa sempre pi vicino.

BIBLIOGRAFIA
AA.VV. (2009), Il Giornale di domani, su Internazionale n.785. Altamore,G. (2006), I padroni delle notizie, Bruno Mondadori. Gubitosa, C. (2002), La comunicazione alternativa. Dal sogno del villaggio globale al rischio del villaggio globalizzato, EMI. Sensi G. (2009), Informazione, istruzioni per l'uso, Terredimezzo.

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