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CAP 1

La (nuova) scoperta dell’America

Prima della rivoluzione, l’emigrazione italiana del Nord America erra un fenomeno numericamente
poco rilevante. Se più avanti numerosi viaggiatori erano spinti grazie alle nuove libertà civili
americane e, ancora in seguito, in cerca di un futuro, all’inizio si andava oltre Atlantico con uno
spirito molto avventuroso. Si sapeva che le condizioni sarebbero state durissime e, quindi quasi
per conseguenza, che il risultato sarebbe stato soddisfacente, con rapidi arricchimenti o
ritagliandosi una posizione privilegiata.
Sparse comunità di italiani sono comunque segnalate in vari punti degli Stati Uniti tra il 17 e il 18
secolo. (Toscani in Florida, piemontesi in Georgia)
Negli anni che precedono la rivoluzione diventa sempre più frequente incontrare italiani
provenienti soprattutto dal Nord Italia.
Rivoluzione americana L’aspetto più importante fu l’importazione di nuove idee sui progressi che
si andavano facendo in ogni campo nelle colonie americane, in particolare in Pennsylvania, dove
Benjamin Franklin incarnò lo spirito più autentico della rivoluzione con influenze illuministe come
curiosità scientifica e amore per la libertà. (Scoperta scientifica: parafulmine).
I primi viaggiatori italiani in America tra fine 700 e primo 800 furono attratti da clamorose novità
politico-istituzionali, dalla tecnologia, dalla possibilità di sperimentare e osservare direttamente sul
campo, grazie alla disponibilità della comunità scientifica locale, con la quale si infittivano rapporti
e scambi epistolari. Franklin era in corrispondenza con Gaetano Filangieri che arrivò a manifestargli
chiaramente il suo desiderio di stabilirsi in America, non solo per ragioni ideali, ma anche per il
desiderio impossibile da realizzare di sposare la donna di cui si è innamorato a causa della povertà
del filosofo.
Franklin gli suggerì di compiere passi opportuni per ottenere un incarico diplomatico in America,
ma la morte di Filangieri cancellò questi progetti.
FILIPPO MAZZEI (1730-1816)
Toscano di Poggio a Caiano. Agente diplomatico, pubblicista, mercante e scrittore. Fu uno degli
ispiratori della Dichiarazione Di Indipendenza nel 1776.
L’incontro con Franklin a Londra fu decisivo per la sua migrazione in Virginia.
Nonostante la brevità dei suoi soggiorni in America, ebbe modo di entrare nella realtà di quel
paese, sia come imprenditore (introducendo la cultura della vite, dell’olivo, del baco da seta) sia
come sostenitore del diritto di autodeterminazione delle colonie.
Il suo maggior contributo alla causa degli Stati Uniti su la composizione e pubblicazione dei 4
volumi di Recherches historiques et politiques sur les Etats-Unis de l’Amérique Septentrionale,
opera che aveva lo scopo di offrire un’informazione serena, con la confutazione di molti errori e
pregiudizi antiamericani ancora largamente diffusi in Europa.
Nell’opera è presente un contributo di Thomas Jefferson e John Adams. Secondo Adams la
principale ragione di questo accanimento da parte di tanti organi della stampa inglese, francese e
tedesca era da ricercarsi nel pericolo dell’emigrazione; Per questo motivo Mazzei nel 4° volume
delle ricerche inserì un capitolo sul problema migratorio che altro non era se non la traduzione di
“Information to Those Who Would Remove to America” di Franklin.
GIOVANNI GRASSI (1775-1849)
Presidente del George Town College di Washington, ammoniva nelle sue Notizie varie sullo stato
presente della Repubblica degli Stati Uniti che coloro ai quali venisse l’idea di emigrare in America
prendessero bene le dovute misure, e gli italiani in particolare tenessero conto del proverbio Chi
sta bene non si muova.
Il più alto omaggio reso dalla letteratura italiana del 700 alla nuova America fu senza dubbio il
poemetto “L’America Libera” di Vittorio Alfieri (cinque odi). Quest’opera la penosa contraddizione
inglese: quella di un popolo che, esemplare per la tenacia con cui aveva difeso in passato gli ideali
di libertà, sembra ora dimenticare la sua missione.
Gli inglesi sono spinti a muovere guerra oltre oceano solo per ragioni materiali, gli americani
invece difendono i loro ideali. Nella ode quarta si cantano le gesta del generale Washington,
indirizzata a Franklin, in cui Alfieri gli riconosce il ruolo fondamentale di “padre di libertà
nascente”.
L’Alfieri esalta l’aspetto più straordinario dell’avvenuta vittoria: una nazione appena nata, in
apparenza fragile e disarmata è riuscita a prevalere contro forze soverchianti.
Opere come “Storia della Guerra di Indipendenza degli Stati Uniti” di Carlo Botta, “Storia delle
Colonie Inglesi d’America" di Carlo Giuseppe Landonio e “Storia d’America” di Giuseppe
Compagnoni, da un lato colmano un vuoto nella nostra cultura, dall’altro contribuiscono a
sviluppare un dibattito che segnerà gran parte del Risorgimento.
LORENZO DA PONTE (1749-1838)
Da Ponte muore a New York nella sua casa di Spring Street, cioè nel cuore di un quartiere che
vedrà fiorire mezzo secolo più tardi la prima e la più celebre Little Italy della costa orientale. Era
poeta cesareo alla corte di Vienna, e autore dei libretti delle più celebri opere di Mozart. Era
scappato in America per sottrarsi ai creditori in Inghilterra. Scrisse diverse opere: Memorie (1819),
Discorso apologetico sull’Italia (1821), Storia della lingua e letteratura italiana a New York (1827) e
molte poesie.
Intanto l’America lo faceva suo, orientandone i comportamenti inducendolo a mettersi in gioco
come impresario, commerciante, manifatturiero, nel teatro, spingendolo a cercare di sfruttare a
fondo le proprie straordinarie risorse. Realizza il miracolo di un nuovo primato, uno dei più italiani,
quello della rivelazione all’America del teatro d’opera. Da Ponte riesce a mantenere la propria
identità culturale pur vivendo intensamente dentro il contesto americano.

CAP 2
L’Ottocento prima della Grande Migrazione
Gli italiani approdano in America in corrispondenza dei casi legati alle lotte nazionali: i moti del
1820-21, del 31 e del 48-49 e 50.
All’esilio volontario si affianca quello messo in atto con deportazioni dagli stati italiani e
dell’Austria , o anche sotto forma di alternativa a pene detentive, e regolamentato mediante
trattati internazionali.
Intellettuali e non trovavano nello spirito risorgimentale uno speciale collante che si propone come
uno dei tratti più caratteristici della vicenda italoamericana: impeto rivoluzionario, sensibilità
sociale, che vedrà la partecipazione degli italoamericani alle vicende della sinistra americana, un
moto anarchico, libertario, socialista e operaista.
Le dimensioni molto limitate del fenomeno migratorio ,poco prima dell’Ottocento, favorirono un
movimento di simpatia nei confronti degli italiani, che si mantenne inalterato, pur tra alti e bassi,
fino all’occupazione di Roma nel 1870.
La diaspora degli eserciti napoleonici dopo la sconfitta di Waterloo interessò anche le Americhe, in
particolare New Orleans, dove nel 1850 si concentrava il maggior numero di italiani, tra cui
fuorusciti, negli Stati Uniti.
Nel 1835, un ex combattente dell’esercito napoleonico, il molisano Orazio de Atellis, fonda il primo
giornale italoamericano, il “Correo Atlantico”, in Messico. La sua storia si incrocia con quella di un
altro soldato, il piemontese Giuseppe Avezzana. In America dovrà adattarsi a ruoli molto diversi.
Incarnerà un’altra tipologia esistenziale caratteristica del risorgimento: quella di un uomo che
appartiene a due mondi separati, che non arriveranno a costituire un nuovo insieme, come
appunto nel caso degli italoamericani. L’America è la sua casa, il suo lavoro e la sua famiglia, ma
non appena gli eventi lo richiedano, egli tornerà a battersi in Italia.
Pochi tra i fuorusciti, pur continuando a interessarsi vivamente delle cose d’Italia, non impiegarono
molto tempo a vivere una vita in senso profondamente americano. La più tipica specializzazione
degli intellettuali italiani in America per tutta la prima metà dell’Ottocento fu l’insegnamento della
lingua italiana.
Arrivati in America in un periodo di crisi economica che si prolungherà fino a quasi la metà degli
anni 40, gli esuli dello Spielberg (carcere asburgico), nonostante l’aiuto di molte famiglie, non
avranno vita facile. Gran parte di loro si guadagnò da vivere con l’insegnamento, avendo sempre la
testa all’Italia, anche in letteratura. Altri avranno successo nelle professioni e nei commerci.
L’esigenza di affermarsi sul piano professionale fece scivolare in secondo piano il loro impegno
politico, infatti solo nel 6 giugno 1841 si costituì la Congrega centrale di New York della Giovine
Italia.
Ma ben presto i metodi e le idee di Mazzini vennero messe in discussione, anche dai più
americanizzati.
Qualsiasi fossero i motivi del disagio, l’America e la vita che vi si conduceva erano più forti dei
problemi delle ideologie rivoluzionarie europee. Antonio Caccia, un esule svizzero mazziniano farà
noto che quanto sarebbe migliore la vita sociale d’Europa se invece di cavalieri, baroni, principi,
cardinali e così via, ci fossero eguali cittadini, industri, trafficanti, indipendenti nel pensiero, e
governati da una legge di giustizia di tutti e per tutti, presieduta da capi elettivi.
Molto più di Mazzini, pareva ormai Garibaldi l’uomo giusto per le aspirazioni italiane.
Quando nel 30 luglio 1850 Garibaldi arriva a New York, trascorse i primi 15 giorni ad Hasting-on-
the-Hudson, poi 6 settimane a New York ed il resto a Staten Island con Antonio Meucci, inventore
del telefono. Ripartì il 28 aprile 1851.
In città andava poco; andava a caccia, giocava a bocce, faceva passeggiate e riceveva visite. Non
costò un penny alla città di New York, al contrario di altri ospiti. E la sua modestia non fece altro
che aumentare la simpatia di cui già godeva e la considerazione dell’opinione pubblica nei
confronti della causa italiana.
Alla spedizione dei Mille, nel 1860, avrebbero partecipato molti americani, sia come volontari, sia
come giornalisti. L’impresa fu seguita con grande interesse ma lo scoppio della guerra civile in
America sviò gran parte dell’attenzione dai casi d’Italia.
A New York fu creata una Italian Legion assorbita poi in una base multietnica detta Garibaldi
Guard. Nell’autunno del 1861 il presidente Lincoln voleva offrire proprio a Garibaldi il comando di
un’armata federale, e furono proprio 3 italiani ad ottenere il grado di generale.
Nel 1850, nel corso del conflitto, il piacentino GIOVANNI FRANCESCO SECCHI DE CASALI apriva a
New York “l’Eco d’Italia”, il primo giornale interamente italiano d’America destinato a diventare
un quotidiano negli anni 80, nel quale mantenne un atteggiamento leale nei confronti dell’Unione
ma non mancando di segnalare danni e violenze proprio ad opera di militari del Nord.
La divisione tra i vari gruppi italiani si riflesse nella stampa: L’”Esule Italiano” fu opposto all’ ”Eco
d’Italia” dai mazziniani; L’ ”Eco della Patria” era di stretta osservanza sabauda; “La Voce del
Popolo” che finì per assorbire “L’Eco d’Italia”; e poi nell’80 “La Scintilla Italiana” diventò il
quotidiano più importante della colonia.
Ma gli Stati Uniti non erano solo teatro di contrasti etnici, ma ancora luogo ideale dell’avventura.
CHARLIE ANGELO SIRINGO: un autentico cowboy di origine italiana, figlio di un siciliano emigrato
in Texas, fu autore del primo grande Best seller western. Pubblicò A Texas Cow Boy nel 1885,
racconto autobiografico di straordinarie avventure, tra cui quella della cattura del celebre bandito
Billy the Kid, riuscendo a venderne circa 1 milione di copie.
Ma se Siringo aveva partecipato alla cattura, a una suora genovese, Blandina Segale, capitò di
confessarlo, come narrò nel suo vivacissimo volume di memorie At the End of the Santa Fe Trail
(1932).
Si può dire che la maggior parte dei protagonisti italiani delle opere western fossero religiosi. I
gesuiti furono i più attivi ottenendo notevoli successi in campi come la diffusione di nuovi sistemi
colturali, introduzione di tecnologie, e generali miglioramenti delle condizioni di vita; Infatti furono
spesso proprio i missionari a convincere tribù riluttanti a trasferirsi, nel loro stesso interesse, verso
le nuove riserve individuate dal governo federale, sottraendosi così a un destino di estinzione di
fronte all’inarrestabile avanzata dei bianchi. I missionari esplorarono e praticamente scoprirono
vastissimi territori, ergendosi spesso a difensori delle popolazioni indiane, convertendo,
battezzando, costruendo chiese e progettando nuove città. Furono inoltre fondamentali nella
compilazione di numerosi lessici e vocabolari di idiomi indiani.
La prima istituzione scolastica creata da gesuiti italiani negli Stati Uniti fu il College, diventato poi
Università, di Santa Clara a San Francisco, California.

CAP.3

La letteratura di Little Italy


Ben presto i giornali diventarono la sede privilegiata della produzione letteraria italoamericana.
“L’Eco d’Italia” (NY) fu il più produttivo fino al 1880, quando l’emigrazione verso gli Stati Uniti
divenne un vero e proprio esodo. Fino alle soglie della Prima Guerra Mondiale milioni di Italiani si
riversarono negli Stati Uniti, tanto è vero che NY si poteva considerare la seconda città italiana più
popolosa dopo Napoli.
Gli italiani della prima generazione scelsero di stabilirsi in quartieri etnici nei quali poter condurre
un’esistenza più riparata e solidale, secondo abitudini che riproducevano quelle del mondo di
provenienza. Nacquero così le “Little Italies” grandi ghetti nei quali si sviluppò quella particolare
cultura che condiziona tutto il primo periodo della vicenda italoamericana; mondi che non sono
più Italia ma che non sono ancora veramente America, in cui si elabora un patrimonio provvisorio
destinato a sbiadire col passare delle generazioni. Infatti già la seconda generazione tenderà a
spogliarsene, così come ad abbandonare la lingua italiana.
La prima Little Italy fu quella del Lower East Side di Manhattan a cui si aggiunsero quelle di East
Harlem, Brooklyn, Queens. Bronx e tutte le città dell’Unione.
Tra i più vistosi fenomeni produttivi delle Little Italies fu quello di una fiorente stampa etnica. Negli
Stati Uniti nacquero giornali di varia periodicità, scritti in italiano e rivolti ad un pubblico la cui
prima lingua era l’italiano, o ancora più spesso qualche dialetto italiano.
Nel 1880 usciva a NYY il primo numero del quotidiano “Il progresso italo-americano”.
Nel 1881 “L’Eco” divenne quotidiano. 1909 il “Il Giornale Italiano”. Nel 1902 fu fondato “Il Corriere
d’America”. Altri quotidiani nacquero a Boston, Chicago e soprattutto a San Francisco.
Nel 1909 di conteranno negli Stati Uniti ben 11 quotidiani italiani più oltre un centinaio di testate
con altra periodicità, per lo più settimanale.
Sulle pagine di numerosi fogli politici, come “Il Proletario” o “La parola del Popolo” (sinistra
radicale), che iniziò a svilupparsi una letteratura italoamericana di prima generazione fatta di
componimenti poetici, bozzetti, scene comiche, drammatiche novelle o romanzi.

Pasquale Seneca Beneventano, docente all’Università della Pennsylvania a Philadelphia. Scrisse


un piccolo romanzo umoristico “Il Presidente Scoppetta La Società della Madonna della Pace”. È
una divertente satira dei coloniali, con la loro ossessione per l’esibizione, con tanto di uniforme e
sciabola militare in occasione delle parate festive o del “picchinicco” annuale dell’immaginaria
società, creato sul modello di tante tipicissime e reali istituzioni dell’Italia d’America del tempo.

CAP.4
Dall’italiano all’inglese
Nel dicembre 1941 l’Italia di Mussolini dichiara guerra agli Stati Uniti e, automaticamente i cittadini
italiani presenti sul suolo americano diventano “enemy aliens”, mentre per la componente
italoamericana, cioè gli italiano che hanno acquisito la cittadinanza statunitense, si pone un
urgente e radicale cambio di prospettiva, con la necessità per molti di loro di andare a combattere
in Europa e proprio su suolo italiano, affermando nel modo più convinto la propria fedeltà al paese
di adozione.
La letteratura e il giornalismo in lingua italiana continueranno ad esistere, ma in maniera residuale.
Già prima del 1941 non pochi autori italoamericani avevano scelto di esprimersi direttamente in
inglese, nel tentativo, talvolta riuscito, di trovare un pubblico più vasto di quello rappresentato dal
vecchio bacino delle Little Italies.

Una delle vicende letterarie e umane più notevoli fu quella di un pastore abruzzese, Pascal
D’Angelo (1894-1932), il quale, munito di un’eroica forza di volontà, in America svolse umilissime
mansioni da “pick and shovel man” (uomo di pala e piccone) soprattutto nei cantieri per la
costruzione di linee ferroviarie, era riuscito da autodidatta a impadronirsi della nuova lingua, e
aveva cominciato a comporre poesie nelle baracche dei lavoratori che seguivano la posa dei binari.
Viene scoperto nel 1922 da Carl Van Doren, che pubblica alcuni dei versi di D’Angelo su “The
Nation”. Nel 1924, l’editore Macmillan decise di pubblicarne l’autobiografia, intitolata “Son of
Italy”, accolta da vivo interesse critico e destinata a diventare un piccolo caso letterario. Il libro,
che accoglie anche parti in versi, racconta l’odissea del poeta, il suo tenace sforzo per affermare la
propria creatività, le notti insonni passate a studiare il vocabolario inglese. L’America per lui aveva
rappresentato un peggioramento delle condizioni di vita, e la sua riscossa partì proprio dalla
riscoperta della sua alterità (non io, opposto di tradizionale) di montano abruzzese, capace di far
rivivere un mondo di antiche credenze e figure magiche. In questo senso, l’autobiografia di
D’Angelo non è una tipica storia di successo materiale (il poeta sarebbe morto poverissimo) ma
quasi un rifugio rispetto alla brutalità del mondo reale.

CAP.5
Classici della seconda generazione
La narrativa italoamericana degli anni Trenta si apre a ricche varianti stilistiche, ma la sua
principale fonte d’ispirazione la trova nella materia autobiografica familiare, e cioè nel cuore della
condizione immigrata.
Segnati dal fato di Sacco e Vanzetti, giustiziati nel 1927, che avrebbe prodotto conseguenze
letterarie, gli scrittori di questo decennio avvertono l’imminente fine del periodo “coloniale”, ed
essendo essi stessi italoamericani di seconda generazione, cioè cresciuti ed educati (se non anche
nati) in America, assumono come tema centrale l’integrazione, e quindi lo scontro fra vecchie e
nuove identità.
C’è una parte di loro che si sente in dovere di raccontare i loro genitori, parenti e amici che in
America fino ad allora hanno portato avanti un certo stile di vita italiano e coltivato gli usi di una
comunità etnicamente omogenea e distinta. Quei loro personaggi, spesso analfabeti, sono
comunque protagonisti emigranti coraggiosi di piccole-grandi epopee che meritano di essere
narrate.
Tante storie italoamericane, aiutate dall’interesse editoriale, approdano alla pubblicazione da
parte da case editrici nazionali e tutto questo contribuisce all’aggiornamento del vecchio mito del
melting pot in favore della ricchezza di un mosaico etnico.
Inoltre in questo periodo escono tante opere di “scrittori col trattino”, la cui radice non è solo
italiana : es. il filippino-americano Carlos Bulosan.
L’interesse per queste zone periferiche è accentuato dall’attenzione che Henry Louis Mencken, un
grande intellettuale, riserva agli scrittori di altra origine, e agli italoamericani in particolare, a cui
dedica spazi importanti sulla sua rivista “The American Mercury”.
Fino ad allora avevano prevalso le esperienze maturate nelle Little Italies; ora hanno voce scrittori
italoamericani anche negli angoli più atipici del paese. Così le costanti tematiche, nello iato che si
apre tra prima e seconda generazione, possono subire torsioni significative proprio per effetto di
variabili di tipo regionale.
Molto interessante fu l’attività di Anthony Turano (1893-1991), nato in Calabria emigra all’età di 11
anni per ricongiungersi al padre partito prima di lui. Si stabilì nel Nevada dove da autodidatta riuscì
a diventare avvocato. Consegna a Mencken e alla sua rivista un racconto, An Immigrant Father
(1932), che si può considerare tra i più belli dell’intera storia italoamericana.
La famiglia è il tema su cui si concentra la narrativa italoamericana di questi anni, con in primissimo
piano il punto di vista di chi ha vissuto personalmente l’esperienza dell’emigrazione, oscillando tra
tragedia e commedia.

Le tensioni familiari sono anche al centro del romanzo d’esordio di John Fante (1909-1982), Wait
Until Spring, Bandini (1938), in cui si narra una crisi coniugale della quale è testimone il piccolo
Arturo Bandini. Suo padre, muratore abruzzese emigrato nel Colorado, approfitta delle lunghe
pause invernali per stare lontano dalla famiglia e tradire la moglie con una fascinosa amante
americana. L’opera è tutta autobiografica, trattando il proprio vissuto familiare con grande
maestria, oscillando tra il registro patetico e quello grottesco. Anche in Italia il romanzo non passò
inosservato, ed Elio Vittorini lo accolse nella Medusa di Mondadori, e inserì Fante come ultimo
autore della sua celebre antologia Americana, promuovendolo così a una vera e propria
scommessa sul futuro della letteratura italoamericana. Ma in realtà Fante voleva esordire con un
altro romanzo, The Road to Los Angeles, scritto nel 1953, al suo tempo rifiutato dagli editori e
pubblicato poi postumo nel 1985, in cui c’è già il personaggio di Arturo Bandini, adolescente
inquieto, che vive con la madre e la sorella in California dopo la separazione dei genitori. La
tematica etnica qui è quasi “razziale” e lo stile è molto diverso da quello di WUSB: è decisamente
più sperimentale e nervoso. Il capolavoro di Fante sarà Ask the Dust (1939), la storia d’amore tra
Bandini, ormai giovane scrittore affamato di successo, e la bella cameriera messicana Camilla
Lopez. Un romanzo sensuale, visionario e violento che parla in maniera assolutamente originale
del problema dell’americanità. A questi due libri avrebbe fatto seguito, nel 1940, la prima raccolta
di racconti Dago Red, storie nelle quali Fante ritraeva in modo non convenzionale né pietistico la
quotidianità di una famiglia italoamericana (la sua).
Mencken pubblicò i suoi primi racconti sul “Mercury”.
Fante è sicuramente il più originale tra gli scrittori italoamericani di questa fase, e quello che
probabilmente oggi occuperebbe un posto di rilievo tra i grandi narratori del suo tempo se avesse
perseverato nella scrittura senza< farsi inghiottire come sceneggiatore da Hollywood.
La saga di Bandini si completa con Dreams from Bunker Hill (1982) dettato dall’autore ormai
gravemente ammalato e prossimo alla morte, alla moglie Joyce Smart.
Altri romanzi, non facenti parte del ciclo, fanno comunque riferimento all’esperienza
autobiografica di Fante, come Full of Life (1952) da cui fu pure tratto un film di notevole successo,
e The Brotherhood of the Grape (1977), entrambi incentrati sulla figura paterna, protagonista
assoluto, odiato e amatissimo, un tipico patriarca meridionale solito a dettare legge nella propria
famiglia e a pretendere che essa si conforma a una rispettabilità di cui egli, al contrario, si fa beffe.
Poco dopo l’esordio di Fante si verificò anche quello di un altro scrittore italoamericano di seconda
generazione, anch’egli di origini abruzzesi: Pietro Di Donato (1911-1992). Anche in Christ in
Concrete (1939) (Cristo fra i muratori), troviamo la trasfigurazione romanzesca di un evento
realmente accaduto: il padre di Di Donato era rimasto ucciso nel crollo di un edificio che egli stesso
stava costruendo, quando il figlio aveva solo 12 anni. Di Donato seppe comporre la sua storia con
una certa originalità che servì a rendere particolarmente “vera” una vicenda che era la stessa di
milioni di immigrati sottoposti allo sfruttamento, con una tensione tragica e intensa, e con una
presenza costante di una dimensione religiosa in continua frizione con altre energie di segno
opposto, mondane e peccaminose. Elementi che troviamo nelle opere successive meno fortunate,
e soprattutto nel gesto finale di Paul, il figlio, che distrugge il Crocifisso nell’icona di sua madre
ormai morente Annunziata che rimpiazza un Cristo morto, ossia il padre Geremio. La fortuna di
Christ in Concrete è segnata anche dalla riduzione cinematografica, oggi considerato un classico e
non solo un reperto etnico.

CAP 6.
The (Black?) Magic of Italy
La grande curiosità internazionale nei confronti del fascismo condusse in Italia un numero notevole
di giornalisti e scrittori fra I quali non pochi erano di origini italiane. Si determinò in questo modo
un “ritorno” che era diverso dal già fitto turismo americano diretto nel nostro paese e affermatosi
fin dall’Ottocento, e che comportò uno sguardo più profondo sul paese delle proprie radici, nonché
un confronto, dagli esiti contraddittori, tra l’immagine dell’Italia com’era conservata nella memoria
dei vecchi emigranti e come effettivamente era. Inversamente, a molti dei corrispondenti
italoamericani nella Roma fascista risultava sempre più chiaro come il paese non riuscisse a capire
come fosse stato possibile diventare nemici di quell’America che per un enorme fetta di italiani era
il luogo in cui da decenni vivevano parenti e amici. Da qui una naturale simpatia destinata a
consolidarsi a guerra finita. Nasce così “the magic of Italy”, l’idea di un paese consacrato all’amore
e a uno stile di vita semplice e gioioso. Non a caso, proprio a ridosso di questa stagione, venne
compilato il primo sistematico repertorio di scrittori italoamericani (59) “Italian American Authors
and Their Contribution to American Literature”, ad opera di Olga Peragallo.
(italiani simpatici protagonisti di non pochi libri : Cornullo in “Devil By the Tail”(1954) esordio di
Rocco Fumento)
Nel frattempo, dai Beat in poi, si fanno prepotentemente strada nuove correnti più sperimentali
che negli anni Sessanta, sotto la spinta dei movimenti giovanili, esploderanno in un rinnovamento
della società e della cultura.
In questo tempo di trasformazioni si compie la maturazione di Mario Puzo (1920-1999). Anche se i
suoi romanzi furono apprezzati dalla critica e discretamente dal pubblico, non raggiunse molte
vendite. Così il suo editore gli chiese di mettersi a lavorare su qualcosa di più accattivante dal
punto di vista commerciale, sfruttando lo stereotipo negativo dell’italiano mafioso. Per questi
motivi nel 1969 Puzo pubblicò “The Godfather” destinato a diventare un bestseller mondiale,
soprattutto grazie al film e ai suoi due sequel. In realtà Puzo aveva pubblicamente già
precedentemente espresso la sua protesta contro l’indiscriminato uso di cliché mafiosi
continuamente applicati agli italiani; pertanto scrivere The Godfather non significò venir meno a
questo principio di giustizia: infatti Puzo, che tra l’altro nulla sapeva della mafia italoamericana se
non quello appreso lavorando per un editore di periodici pulp (produzione popolare eccessiva e
sensazionale), seppe anzi farsi beffe delle richieste banali del mercato, facendo modo che la voce
di Don Vito Corleone, il padrino, fosse in realtà quella di sua madre, della sua saggezza, spietatezza
e del suo incrollabile amore per la famiglia e per la vita.
La straordinaria novità sta nella sfida del raccontare gli italiani d’America accettandone gli aspetti
più allarmanti e negativi, riuscendo a scorgere il significato nascosto ma intellegibile da parte del
lettore del valore tradizionale italiano, capace di sopravvivere in America in virtù della sua grande
forza e tenacia. In questo modo Il Padrino arriva come una bomba in una società hippie che era
quella della fine anni Sessanta che aveva decretato la morte dell’istituzione familiare.

Ma secondo Gay Talese ( Honor Thy Father 1971) la mafia italoamericana non era poi molto
diversa da altre organizzazioni criminali dipendenti da altre ondate migratorie, come l’irlandese e
la latino-americana, circostanza, che egli sosteneva, suggeriva che la prima ragione della deriva
criminale “entica” si deve cercare nell’oppressione esercitata sulle minoranze. Teoria non del tutto
nuova, ma così accolta, scatenando un vivace dibattito: infatti, fin dai primi anni del Novecento, la
pubblicistica italoamericana aveva notato che l’ambiente americano aveva guastato l’elemento
italiano e che per questo motivo soprattutto le seconde generazioni, anche in forma di “difesa”,
erano più esposte al contagio criminale.

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