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Edmund Burke

Edmund Burke nasce il 1° gennaio 1729 a Dublino da una famiglia della media borghesia. Frequenta studi letterari,
storici e filosofici e a partire dal 1765 entra alla camera dei comuni nel partito dei Whig. Il pensiero di Whig è
strettamente collegato con gli avvenimenti principali del suo tempo, in particolare la rivoluzione inglese, americana e
francese, analizzati sulla base del rapporto storia-politica. Muore nel 1797 a Londra.

Il diritto all’autonomia e all’indipendenza delle Colonie americane: l’idea del Commonwealth


Riguardo la rivoluzione americana, Burke sostenne che il Parlamento inglese doveva prendere atto dell’impossibilità di
proseguire il processo di assoggettamento delle colonie alla madrepatria. I coloni avevano oramai costituito una
propria tradizione culturale e politica e non potevano più essere considerati sudditi inglesi: essi avevano il pieno diritto
di rendersi autonomi sia a livello politico che economico. Burke propose la trasformazione dell’Impero inglese in un
Commonwealth, una comunità di Stati indipendenti nei confronti dei quali l’Inghilterra avrebbe svolto solamente le
funzioni di guida, coordinamento e orientamento. Ragionamento analogo riguardò anche l’India. Burke smentì,
innanzitutto, la presunta inferiorità della civiltà indiana, la quale avrebbe legittimato il tirannico dominio inglese:
nessuna civiltà può dirsi oggettivamente superiore o inferiore ad un'altra, in quanto non esistono criteri formali di
superiorità o inferiorità. La civiltà indiana è solamente differente, in quanto avente sue peculiari lingue, religione,
costumi e tradizioni, i quali portano al modo d’essere della vita sociale e tali modi d’essere devono essere rispettati
concedendo anche all’India la propria indipendenza politica.

Corona e Parlamento: governo, partiti e opinione pubblica


Burke ritiene che la valutazione degli interessi in gioco in politica debba essere fatta alla luce di una considerazione
globale della situazione politica, sulla base dell’individuazione dei principi sui quali si fonda l’intero ordinamento
costituzionale inglese. Si tratta, perciò, di precisare il rapporto sussistente fra Corona, governo e Parlamento. La
mancata coerenza con i principi costituzionali inglesi porterebbe al danneggiamento degli interessi generali nazionali e
ad occuparsi esclusivamente di interessi settoriali e personalistici. Tale visione si esprime al meglio all’interno del
Discorso sulla mozione di conciliazione con le Colonie. In occasione del dibattito parlamentare, Burke sottolineò come
si cercò di svuotare la Camera dei comuni dei suoi poteri al fine di concentrarli sulla corona. Ciò avrebbe portato alla
commistione di due attività che sarebbero dovute rimanere separate: potere politico e potere amministrativo. Il rimo
si riferisce all’individuazione dei fini della collettività e dei mezzi adeguati a conseguirli, il secondo realizza i fini indicati
in sede politica. Secondo il filosofo, si era perso il senso dell’insieme, l’attenzione dei politici riguardava solamente i
singoli provvedimenti e il potere centrale si andava frantumando in tanti centri minori, ognuno preoccupato di tutelare
quegli interessi che lo avevano indotto ad entrare nella maggioranza. Burke individua due soluzioni: a) la
trasformazione dei partiti politici in associazioni di individui con comuni concezioni politiche, che, sulla base di esse,
propongono provvedimenti al fine di realizzare i principi che derivano dalle loro convinzioni; b) il riconoscimento
dell’importanza che l’opinione pubblica ha nella formulazione dell’agenda governativa in uno Stato costituzionale. Ciò
non significa che l’opinione pubblica possa predeterminare la volontà dei suoi rappresentanti o intaccare o
condizionare l’autonomia di giudizio e di decisione dei membri della Camera. In tal senso Burke è contrario al mandato
imperativo.

Riflessioni sulla Rivoluzione francese (1790)


Burke ritenne che il nuovo assetto politico francese fosse inconciliabile con quello inglese e che avrebbe finito per
ledere agli interessi di quest’ultimo. Egli confuta le tesi di chi sosteneva che la Rivoluzione francese non fosse altro che
la ripetizione di quella inglese: i principi alla base delle due erano diametralmente opposti. La rivoluzione inglese volle
difendere l’antico sistema costituzionale ampliando le garanzie che esso dava; la Rivoluzione francese volle ricostruire
Stato e società ex novo mediante ragione: la tradizione, fondata su timore e superstizione, doveva essere annientata
 Realtà = Ragione. La Rivoluzione del 1789 è, dunque, l’affermazione sul piano politico della filosofia illuministica, la
quale afferma il primato assoluto della ragione annientando il passato, fondato sull’autorità religiosa; ad essa devono
essere riportate leggi, istituzioni, costumi e tradizioni. La politica, tuttavia, è una scienza dell’esperienza e, in quanto
tale, non si può ritenere che un modello razionale a priori possa essere applicato alla realtà e dare i risultati previsti.
L’esperienza su cui è fondata la politica, data la sua complessità, deve essere quella di più individui e generazioni,
acquisita tramite istituzioni, leggi, costumi e tradizioni che contengono in sé la vera ragione politica, cioè quella che si è
venuta formando ed esprimendo mediante l’opera di tutti i partecipanti della società. La ragione sulla quale di basa la
politica, si identifica con la storia.
Il problema della continuità storica: passato, presente e futuro
Le istituzioni della società, proprio perché sono il risultato di una lunga esperienza storica, hanno in loro una precisa
ragion d’essere: contengono e attuano con la loro attività la ragione della storia. La società politica sussiste poiché
mantiene viva la continuità tra passato e presente: essa può essere aperta al futuro solamente se non rinnega il
passato. La costituzione, alla luce di queste considerazioni, deve essere concepita come l’espressione dell’esperienza
politica di un popolo attuatasi nella storia. Deve essere fondata su una tradizione storica, su principi, ideali e valori che
sussistono nel presente solamente perché approvati e legittimati dal costante comportamento delle generazioni
precedenti. L’unico vero titolo di legittimità di una costituzione è l’opino iuris convalidata da un lungo decorso del
tempo, che scaturisce dallo spirito generali di un popolo, di una nazione.

Il problema delle riforme


Burke ritiene, comunque, che l’ordine politico francese andasse riformato e per certi versi rinnovato. Le riforme e il
rinnovamento, però, devono essere attuati alla luce di una dialettica conservazione-innovazione: è necessario
conservare ciò che permette allo Stato e alla società di sussistere e va eliminato ciò che, alla luce dell’esperienza, ha
dato risultati negativi. La politica delle riforme ha, tuttavia, tempi di esecuzione molto lunghi: si tratta di combinare con
un sapiente e delicato “dosaggio” il vecchio e il nuovo.

La rivoluzione e il potere reale


I provvedimenti principali della Costituente francese riguardarono la materia economico-finanziaria: essi
delegittimarono le forme di proprietà feudale dell’antico regime espropriando la nobiltà e il clero (pilastri della società
politica francese prerivoluzionaria) dei loro beni. Tale espropriazione, tuttavia, non fu condotta a vantaggio del popolo
tutto, ma solamente dell’alta borghesia. In tal modo, afferma Burke, la Rivoluzione francese costituì l’affermazione
della preminenza totale dell’alta borghesia sulla società a scapito di tutte le altre classi sociali. Per questo il nuovo
ordine politico-sociale francese è descritto come oligarchico. L’alta borghesia ha distrutti gli ideali e i valori che
delimitavano il potere e ne temperavano l’uso; essa, perciò, può perseguire i propri interessi solamente attraverso l’uso
della forza. Tale forza non è politica, in quanto fondata sull’opinione e convalidata ad una lunga tradizione, ma è forza
militare, l’unica tipologia di forza rimasta in Francia. Una volta spogliate aristocrazia e clero della loro influenza, l’unico
corpo intermedio rimasto è l’esercito, detentore della forza. L’esercito è, quindi, l’unico solo padrone della Francia e
quando avrebbe trovato un generale che sulla base dei successi conseguiti riscuoterà l’incondizionata fiducia
dell’intera armata, quel generale sarebbe divenuto il padrone della Francia.

Lo Stato e la storia: tradizione storica e ordine politico


Il vero problema politico per Burke è quello di saper contemperare i diritti assoluti degli individui con le possibilità
storicamente concrete che la società ha di realizzare, di armonizzare l’esigenza della libertà con quelle del governo, che
richiedono, inevitabilmente, limiti, freni e restrizioni. I fini dello Stato si realizzano solamente nel corso di più
generazioni; perciò, lo Stato non è attuato dalla volontà degli individui mediante il contratto sociale, ma scaturisce
dalla vita e dalle tradizioni dei popoli.

“Chiunque amministri lo Stato e ne detti le leggi dovrebbe avere ben fermo in mente che egli altro non è che un
temporaneo possessore del potere, un affittuario che ritratta di una preziosa eredità da mantenere intatta, non da
distruggere a piacimento coinvolgendo nella distruzione l’intero tessuto della società umana …. perché altrimenti
l’intera linea di continuità nello sviluppo dello Stato verrà spezzata, e ognuno si sentirà libero di apportare mutamenti
radicali ogniqualvolta la moda volubile cambierà.”

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