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Secondo il testo vaticano i politici “devono comportarsi come ministri della provvidenza divina”
di Dana Lloyd Thomas
(Articolo pubblicato con il titolo “La Sharia in salsa italiana” da “La Destra Trimestrale” Dic. 2005,
periodico diretto da Fabio Torriero, e riprodotto per gentile concessione dell’autore)
Nella politica italiana, soprattutto nel centrodestra (ma non solo) si sentono sempre più
spesso richiami alla “dottrina sociale della Chiesa” (DSC) intesa anche come punto di riferimento di
tipo etico. Tuttavia, esistono elementi tali da affermare che la “dottrina sociale” assomiglia in realtà
ad una “dottrina elettorale”. Infatti, il testo più autorevole sull’argomento, il Compendio della
Dottrina sociale della Chiesa, a cura del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace (Città del
Vaticano, 2004) si presta a costituire un vademecum per l’inseguimento e per la formazione del
“voto cattolico”. Nel testo, infatti, i fedeli laici (laici nel senso tecnico del termine, ossia i non
ecclesiastici) “vi troveranno luce per il loro specifico impegno” (par. 11).
Oltre agli aspetti lodevoli della DSC – ad esempio il tema, non certo limitato al
cattolicesimo, della solidarietà e della libertà in campo socioeconomico – occorre ricordare come
nello stesso libro si sostengono le ragioni del potere temporale e del diritto di intervento in politica
delle gerarchie vaticane (ma non della “Chiesa”: come diceva Don Sturzo, in questi casi è meglio
parlare di clero conservatore che di Chiesa tout court). Peraltro, mentre nel testo prevale in genere
un linguaggio moderato e aggiornato ai nostri tempi emergono in più occasioni concetti che
ricordano piuttosto il Sillabo di Pio IX, acerrimo nemico dell’unità italiana, delle libertà
democratiche e soprattutto dello Stato laico.
Tralasciamo la fioritura di interventi da parte di alcuni esponenti politici che agitano i
“valori” come clava contro avversari, interni ed esterni; tralasciamo le nuove esenzioni fiscali
proposte a favore degli enti ecclesiastici; e tralasciamo le posizioni secondo i quali le gerarchie
vaticane avrebbero il diritto esclusivo di decidere su questioni etiche per conto dei cittadini italiani.
Passiamo, invece, ad un breve ma quanto mai opportuno esame del Compendio. Non si
tratta, infatti, di un “libro di religione” o tanto meno “religioso”, nonostante le argomentazioni
teologiche portate a sostegno delle tesi proposte, ma piuttosto di un articolato trattato politico che va
analizzato come tale. E, viste le pretese universalistiche della DSC, va precisato che l’ambito di
riferimento di queste brevi considerazioni sarà quello specifico della politica italiana. D’altra parte,
il ruolo reclamato all’interno della società civile difficilmente potrebbe applicarsi ai rapporti con
qualsiasi altro Stato oltre a quello italiano.
Infatti, i riferimenti più specificatamente italiani emergono nel trattamento dei diritti
spettanti alla Chiesa cattolica, legati indissolubilmente ad un quadro che non sia quello di “libera
Chiesa in libero Stato” ma piuttosto il regime concordatario vigente tra l’Italia lo Stato Città del
Vaticano (SCV).
Tra le dichiarazioni di principio occorre citare una tra tutte: “La libertà è misteriosamente
inclinata a tradire l’apertura alla verità e al bene umano e troppo spesso preferisce il male e la
chiusura egoistica elevandosi a divinità creatrice del bene e del male” (par. 143). Con tale singolare
affermazione si cancella con un colpo di penna gran parte del pensiero politico moderno. Ma se la
libertà politica è “misteriosamente” inquinata dal “fumo di satana”, non lo è naturalmente la libertà
della Chiesa, come viene affermato diffusamente nel testo.
Si torna quindi all’impostazione manichea (ma manicheismo non era una “eresia”?) della
verità/bene contro la menzogna/male, essendo la Chiesa, poi, secondo queste tesi, unica custode e
interprete della “unica verità sull’uomo” (par. 76) anche in politica. E quindi, il ruolo politico
vaticano non è interferenza ma si fonda sul “diritto divino”. In altre parole, ubi major minor cessat
(ovvero il “vincitore si piglia tutto”).
Paradossalmente risulterebbe “galeotto” lo stesso simbolo della Democrazia cristiana,
recante la dicitura “libertas” – a meno che, ci viene il sospetto, per certi fondatori di quel partito non
abbiano voluto significare “libertas Ecclesiae” e non la libertà degli italiani. In ogni modo, in base a
queste tesi, un partito come Alleanza Nazionale non avrebbe evidentemente capito nulla quando,
nel 1995, decise di adottare come inno ufficiale la canzone “Libertà”.
D’altronde, viene per così dire “cestinato” un altro cardine della politica, la sovranità
popolare e nazionale poiché, in linea di principio, “la sovranità appartiene a Dio” e quindi, dal
punto di vista del Compendio, sarebbe inutile agitarsi tanto intorno ai concetti come libertà e
democrazia, concetti laici se non addirittura “laicisti”. L’unica via di uscita prospettata è
l’affermazione di una certa mitopoesis biblica nel mondo della politica: “Il comportamento di Dio
nel governo del mondo, che testimonia un profondissimo rispetto per la libertà umana, dovrebbe
ispirare la saggezza di coloro che governano le comunità umane. Costoro devono comportarsi come
ministri della provvidenza divina” (par. 383).
Al di là delle intime convinzioni di ciascuno, quanto potrebbe giovare alla comunità
nazionale una classe politica che portasse a sostegno delle proprie scelte il volere della
“provvidenza divina”? Dati i precedenti storici a tale riguardo, non pare che sia questa la strada da
percorrere nella costruzione dell’Italia e dell’Europa del futuro.
Il potere temporale
E’ opportuno ricordare come Papa Mastai, oggi “elevato alla gloria degli altari” come si suol
dire, fece giustiziare come “nemici di Dio e della Chiesa” i patrioti del Risorgimento. Tante cose
sono cambiate nel mondo da quel lontano periodo di epocali trasformazioni per l’Italia tra il 1848 e
il 1870; ciò nonostante, nel Compendio, non mancano giustificazioni del potere temporale. Ciò a
partire dai paragrafi dedicati alla “personalità giuridica della Santa Sede”. Si precisa che l’attività
dello Stato pontificio comprende aspetti squisitamente politici come “la stipulazione di trattati; la
partecipazione a organizzazioni intergovernative, come ad esempio quelle appartenenti al sistema
delle Nazioni Unite”, tutte attività laiche giustificate quale “servizio disinteressato alla comunità
internazionale” e pertanto, si direbbe, cosa degnissima (par. 444).
Tuttavia, tali attività, che hanno ben poco di “religioso”, si devono avvalere del corpo
diplomatico: “il servizio diplomatico della Santa Sede, frutto di un’antica e consolidata prassi, è uno
strumento che opera non solo per la “libertas Ecclesiae”, ma anche per la difesa e la promozione
della dignità umana” (par. 445). Ecco che, secondo la “dottrina sociale”, a differenza delle altre
confessioni religiose, la Chiesa in quanto Stato Città del Vaticano, reclama su basi “dottrinali” il
diritto di avere un corpo diplomatico con tutti i relativi privilegi, ponendosi allo stesso livello di
tutti gli Stati “laici”. Si accenna poi al regime concordatario: “il bene delle persone e delle comunità
umane è favorito da un dialogo strutturato tra la Chiesa e le autorità civili, che trova espressione
anche tramite la stipula di mutui accordi” (par. 444).
Questo sistema di accordi “è un punto di riferimento essenziale per tutti i casi in cui lo Stato
ha la pretesa di invadere il campo di azione della Chiesa, ostacolandone la libera attività fino a
perseguitarla apertamente o, viceversa, nei casi in cui organizzazioni ecclesiali non agiscano
correttamente nei confronti dello Stato” (par. 427). Ora in Europa non risulta che ci sia alcun rischio
di persecuzione; d’altra parte, il quadro attuale è caratterizzato dalla deriva temporalistica delle
gerarchie vaticane, in cui si privilegia il precetto secondo cui “la sovranità appartiene a Dio” nonché
la necessità del controllo sociale attraverso la regolamentazione del comportamento sessuale (ciò
mentre i richiami alla riforma economica e sociale sembrano relegati decisamente in secondo
piano). In questi e in altri richiami alla collaborazione tra la Chiesa cattolica e lo Stato è difficile
non intravedere un riferimento all’Italia, dove il regime concordatario è sancito dalla Costituzione.
Ciò anche perché nelle altre nazioni con importanti comunità cattoliche – ad esempio Stati Uniti e
Spagna – sarebbe impensabile l’interpretazione in chiave “guelfa” ancora sostenuta da qualche
esponente politico italiano, non solo “cattolici” ma anche tra i “laici devoti” à la Giuliano Ferrara.
In quanto all’indipendenza degli Stati e dei popoli davanti al potere della gerarchia
ecclesiastica, il Compendio ricorre spesso e volentieri al concetto di giusnaturalismo, tema che da
secoli compare nelle affermazioni del potere temporale. “La legge naturale, che è legge di Dio, non
può essere cancellata dalla malvagità umana” (par. 142) . E inoltre: “solo una libertà radicata della
comune natura [n.d.a. legge naturale], infatti, può rendere tutti gli uomini responsabili ed è in grado
di giustificare la morale pubblica”. Ma chi è custode e interprese della “legge naturale”? Secondo la
dottrina cattolica, si tratta naturalmente della Chiesa stessa, nella persona delle gerarchie vaticane.
Certo, le leggi dell’uomo non sono da respingere in quanto tale, ma quando “manca una
convergenza verso la verità e il bene”. Sono senz’altro belle affermazioni, ma quando si parla di
politica tutti sostengono di stare dalla parte della verità e del bene (lo sosteneva anche la Santa
Inquisizione quando mandava al rogo le vittime…). E qui non si tratta evidentemente di un testo
platonico ma piuttosto di un manuale della politica.
E ancora, “l’autorità deve riconoscere, rispettare e promuovere i valori umani e morali
essenziali”. Viene precisato, citando l’Evangelium vitae di Giovanni Paolo II, che “nessun
individuo, nessuna maggioranza e nessuno Stato potranno mai creare, modificare o distruggere” i
valori dell’essere umano. In questa come molte altre affermazioni di Papa Wojtyla si evidenziano
soprattutto le critiche al sistema totalitario comunista; come nelle dichiarazioni dei suoi
predecessori si hanno riferimenti anche ad altri regimi totalitari. D’altra parte, viene precisato
diffusamente nel Compendio che la particolare visione vaticana della famiglia costituisce una
“cellula” indispensabile della “società cristiana” e quindi del processo politico. Oggi per fortuna
quasi non esistono Paesi totalitari con importanti comunità cattoliche (con l’eccezione di Cuba, di
cui i “controriformisti” parlano poco); pertanto, assicurata sia la democrazia sia la libertas
Eccleasiae in una nazione come l’Italia, il laico impegnato in politica potrebbe giustamente avviarsi
in una “crociata” sui temi della “vita”, tacciando di “peccato” l’avversario che tenta di affermare un
dibattito civile.
Dopo le critiche al concetto di libertà e le affermazioni sul primato morale, rispetto alle leggi
dello Stato, della “legge naturale” interpretata dalla Chiesa, c’era da aspettarsi qualche commento
sulla democrazia. Gli estensori del Compendio hanno saggiamente scelto la strade della
moderazione a tale riguardo. Il fedele laico è chiamato ad “apprezzare il sistema della democrazia in
quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche” nonché (e qui viene il bello) di
“respingere gruppi occulti di potere che mirano a condizionare o a sovvertire il funzionamento delle
legittime istituzioni”. (par 567). Chi sono i “gruppi occulti”? Non è chiaro, ma si tratterebbe
probabilmente di coloro i quali affermano delle forme autoritarie. Vanno corretti i difetti della
democrazia quale la corruzione (par. 411) e le concentrazioni editoriali (par. 414)
Tuttavia, il sistema democratico “viene concepito da molti in una prospettiva agnostica e
relativistica, che induce a ritenere la verità come prodotto determinato dalla maggioranza…in un
simile contesto il discernimento è particolarmente impegnativo” (par. 569). I settori a rischio
riguardano naturalmente i comportamenti sessuali e riproduttivi, e i fedeli hanno il dovere di
promuovere il punto di vista della Chiesa, pur privilegiando il dialogo. Allo stesso tempo (il testo
peraltro si presenta pieno di contraddizioni) l’intervento vaticano in questioni sociali e politiche
“non vuole esercitare un potere politico né eliminare la libertà d’opinione dei cattolici (par. 571).
Questa affermazione veniva tradita nella sostanza durante la massiccia campagna delle
“organizzazioni ecclesiali” per indirizzare il voto degli italiani in occasione del referendum del
2005, poco tempo dopo la pubblicazione del Compendio.