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LAICITÀ DELLA POLITICA

IL LASCITO DI BENEDETTO XVI E I PROBLEMI ANCORA APERTI

Stefano Fontana
Lezione alla Scuola nazionale di Dottrina sociale della Chiesa

31 marzo 2023

In questa lezione intendo mettere a fuoco il tema della laicità nelle sue esigenze oggettive che
provengono dalla rivelazione e dalla ragione. Il tema è rilevante perché riguarda il rapporto tra
la religione (cattolica) e la politica. Vogliamo capire cosa chieda la Rivelazione e cosa chieda la
ragione a proposito della laicità e a che punto e in che modo le due esigenze possano e debbano
incontrarsi. Esamineremo il pensiero di Benedetto XVI per riconoscere alcuni suoi grandi
meriti, ma anche per mettere in evidenza qualche punto non completamente soddisfacente e
sul quale, secondo me, ci sarebbe bisogno di un approfondimento, meglio: di uno sviluppo
effettuato portando a compimento il discorso iniziato da lui stesso e non concluso.
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Tre significati alternativi della laicità

La laicità della politica rispetto alla religione (cattolica) può essere intesa in tre sensi diversi e
alternativi tra loro.

In un primo senso essa viene intesa come neutralità rispetto alla religione, come lo spazio
pubblico che deve essere tenuto sgombro da significati religiosi assoluti. In questo primo
significato, la politica è laica perché indipendente, autonoma in via assoluta, altra cosa rispetto
alla religione in genere e a quella cattolica in particolare.

Qui bisogna porre attenzione ad un aspetto che avrà poi una grande rilevanza nella
considerazione del pensiero di Benedetto XVI. Questa versione della laicità come neutralità ha
assunto storicamente due modulazioni. La prima è quella della Rivoluzione francese e del
giacobinismo. Si tratta di una posizione di laicismo militante di lotta alla religione ed ogni sua
manifestazione pubblica. La politica, qui, non si rivela solo neutra rispetto alla religione ma
anche antireligiosa. L’altra è quella della Rivoluzione americana che dice di fondarsi sulla
religione (protestante) e ammette nello spazio pubblico tutte le religioni. Spesso si definisce
questa seconda versione con l’espressione “laicità aperta” o “laicità positiva”. Aperta nel senso
di permettere la manifestazione in pubblico della libertà di religione, apprezzando l’apporto
che le religioni possono dare al confronto civile. Si tenga presente, però, che questa “apertura”
è rivolta ad una religiosità generica e indistinta, per cui non c’è un criterio per valutare le varie
religioni, al punto che anche il “Tempio di Satana” può godere di diritti di presenza pubblica
come tutte le altre religioni. Ciò vuol dire che questa soluzione di apertura alle religioni è in
sostanza una forma di indifferenza alla verità delle religioni, che vengono tutte accettate
affinché si limitino a vicenda senza che ne emerga una con delle pretese veritative uniche. Si ha
quindi una neutralità della indifferenza e il pluralismo religioso viene adoperato come
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strumento di potere. Possiamo allora concludere che il sistema americano non sia
essenzialmente differente da quello francese: si tratta di due forme non di vera laicità ma di
laicismo, quello francese attuato in modo diretto, quello americano attuato in modo indiretto.
Possiamo allora osservare che la soluzione della “laicità aperta” o “positiva” non è
soddisfacente, perché manifesta in fondo una indifferenza alla verità delle religioni che la
denota come “atea”. Infatti, l’indifferenza comporta di ritenere che le religioni non abbiano
verità, tanto è vero che non si distingue tra di esse, e questo significa essere atei. La questione
avrebbe bisogno qui di un approfondimento che però posso solo segnalare: la preferenza
concessa della soluzione americana rispetto a quella francese e la tesi della “laicità aperta”
suppongono che sia possibile una laicità moderata, che si fermi ad uno statio intermedio di buon
senso naturale, senza trasformarsi in laicismo. Ebbene, questo non è possibile perché la
secolarizzazione, intesa come corrosione progressiva di ogni senso indisponibile, non si ferma
prima di aver completato la corrosione del senso. Ecco perché la laicità si trasforma
necessariamente in laicismo.
Abbiamo visto finora il primo senso di laicità, quello che la intende come neutralità. In un
secondo significato essa può essere negata e sostituita da una visione di identità tra politica e
religione, come avviene per esempio nell’Islam. In questo caso, che ha molte varianti, la
religione copre anche la vita politica in modo diretto, senza garantirle nessuna autonomia. Ciò
contraddice le esigenze della religione cattolica, la quale invece distingue tra ragione e fede.

In un terzo senso la laicità può venire intesa come autonomia non assoluta, nel senso di ritenere
che per alcuni aspetti la politica ha bisogno del fondamento religioso, mentre per altri può
procedere da sola secondo propri criteri. Questa è la visione espressa nel n. 36 della Gaudium
et spes del Vaticano II: la politica è autonoma ma non indipendente. Si parla infatti di “legittima
autonomia” e non di autonomia assoluta. Politica e religione collaborano tra loro in modo
complementare o circolare, senza che si dia un qualche primato né qualche forma di dipendenza
dell’una rispetto all’altra. E quale sarebbe il terreno del loro incontro? Sarebbe il piano naturale
e antropologico, in modo particolare la dignità della persona umana che ambedue, politica e
religione, promuoverebbero partendo da punti di vista diversi. Così pensando, la religione
collaborerebbe con la politica facendo riferimento all’etica naturale e operando per proteggere
e salvaguardare la legge morale e i vincoli di amicizia civica tra i cittadini, lo spirito di
accoglienza, di solidarietà, di giustizia. Essa pretenderebbe quindi un “diritto di cittadinanza”,
vale a dire il riconoscimento di un ruolo pubblico, non in quanto religione, ma in quanto utile
agenzia di etica sociale e politica a promozione dell’uomo. Questa soluzione, apparentemente
corretta, ha un punto debole: la religione (cattolica) riesce a svolgere anche il ruolo di sostegno
etico alla convivenza civile solo se si esprime nella sfera pubblica in senso pienamente religioso.
In altre parole: se la politica le assegna un compito pubblico in quanto religione e non solo in
quanto animazione etica delle relazioni sociali. Per dirla ancora più chiaramente: se le assegna
un primato tra le altre religioni in questo suo ruolo pubblico. La soluzione della collaborazione
tra politica e religione che stiamo esaminando però questo non lo vuole, perché lo ritiene una
forma di integralismo. Dopo il Concilio non esiste nessun documento – tranne uno dei vescovi
italiani degli anni Ottanta – in cui si dica che la religione cattolica ha un primato nella sfera
pubblica in quanto religione. Dopo il Concilio si è sempre detto che la religione cattolica non ha

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nessun primato rispetto alle altre nella sfera pubblica e che la sua presenza si fonda sulla libertà
di religione che la mette alla pari con tutte le altre religioni. Ora, riducendo la religione cattolica
ad agenzia di animazione sociale e negandole ogni primato, equiparandola indifferentemente
alle altre religioni, la politica la secolarizza, le impedisce di essere religione e in questo modo
riduce anche la sua capacità di fare animazione sociale a carattere etico.

Il limite di questa posizione è dovuto anche ad un altro fatto importante. Il piano cosiddetto
naturale e antropologico, nel quale ci dovrebbe essere l’incontro collaborativo tra la politica e
la religione (cattolica), viene progressivamente perduto man mano che la secolarizzazione
avanza e che si contesta il ruolo pubblico della religione cattolica in quanto religione e non solo
in quanto agenzia di animazione sociale. Senza la sopra-natura anche la natura perde di
consistenza e si dissolve. Si vuole collaborare sul piano del diritto naturale, della legge morale
naturale e della persona umana, ma tutti questi concetti vengono progressivamente meno non
solo nell’ambito della ragione politica ma anche dentro la Chiesa.

Possiamo allora concludere che i primi due significati del termine laicità sono errati e dannosi
e vanno esclusi. Il terzo, che possiamo considerare come maggiormente presente nella teologia
e nella pastorale oggi, presenta molti limiti e ha bisogno di aggiustamenti non marginali,
altrimenti finisce per collaborare con il laicismo, come stiamo tristemente vedendo.

Le riflessioni di Benedetto XVI sui tre significati di laicità visti sopra.

Riprendiamo il primo significato di laicità come neutralità. Benedetto XVI ha fatto su questo
punto dei fondamentali chiarimenti, escludendo che questa via sia percorribile. Egli ha sempre
proclamato non la neutralità della politica da Dio, ma la centralità di Dio anche nella vita
pubblica. Nell’enciclica Spe salvi egli affermava che “L’uomo ha bisogno di Dio, altrimenti resta
privo di speranza” (n. 23); parlando alla Curia romana il 21 dicembre 2012 disse che “Si rende
evidente che là dove Dio viene negato, si dissolve anche la dignità dell’uomo”; in una omelia del
gennaio 1989 disse “Laddove l’uomo mette da parte Dio in nome di cose apparentemente più
urgenti … là egli, lungi dal divenire più libero di costruire in modo giusto il mondo, perde
piuttosto il criterio, e finalmente arriva al punto di disprezzare l’uomo”; in un famoso discorso
del 1991 aveva detto che “Dove Dio scompare, scompare anche la dignità assoluta della vita
umana”; ad Aparecida, il 13 maggio 2007, aveva detto che “chi esclude Dio dal proprio orizzonte
falsifica il concetto di realtà”.

Queste ed altre affermazioni di Benedetto XVI ci dicono che la tesi della laicità come neutralità
è insostenibile. In particolare, due affermazioni meritano la nostra attenzione. La prima è stata
detta nel luglio 2008 a Sidney in occasione della Giornata mondiale della gioventù; “Un mondo
senza Dio non è un mondo neutro, è un mondo senza Dio”. In questo modo Benedetto sottolinea
che la laicità come neutralità non esiste e che l’ideologia della neutralità della politica è in
pratica una ideologia antireligiosa, di espulsone della religione dall’ambito pubblico. Lo stesso
concetto è stato da lui espresso più volte e soprattutto nel discorso di Subiaco e nell’omelia della
Messa pro eligendo Pontifice, parlando della “dittatura del relativismo”: l’espulsione di Dio dalla
vita pubblica produce la separazione della libertà dalla verità e dà vita ad un relativismo

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assoluto che diventa necessariamente totalitario, perché eliminata la verità, l’uomo è a
disposizione per ogni manipolazione. La seconda è stata detta ad un gruppo di vescovi
americani in visita ad limina nel gennaio 2012: “Non esiste un regno di questioni terrene che
possa essere sottratto al Creatore e al suo dominio”. Del resto, nel libro Fede Verità Tolleranza,
egli aveva scritto che “Un Dio che non abbia potere è una contraddizione in termini”. Credo che
non ci possano essere dubbi, quindi, sul rifiuto da parte di Benedetto XVI del concetto di laicità
come neutralità che abbiamo considerato sopra come primo della serie. È appena il caso di
notare che, così dicendo, Benedetto si poneva agli antipodi della prevalente teologia
progressista contemporanea.

A questo punto, però, emergono alcuni aspetti su cui dobbiamo interrogarci. Se si è o con Dio o
contro Dio e ogni neutralità è una presunzione ideologica che copre con una foglia di fico il
laicismo e l’ateismo, come mai Benedetto XVI ammette la possibilità di una “sana laicità”,
apprezzando la “laicità positiva” dell’allora presidente francese Sarkozy?, e perché indica nel
sistema americano un modello tipico di questa “sana laicità”? Ricordo qui quanto da lui detto
nel famosissimo discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005: “Nel frattempo, tuttavia,
anche l’età moderna aveva conosciuto degli sviluppi. Ci si rendeva conto che la rivoluzione
americana aveva fondato un modello di Stato moderno diverso da quello teorizzato dalle
tendenze radicali emerse nella seconda fase della rivoluzione francese … Così, tutte e due le
parti, cominciavano progressivamente ad aprirsi l’una all’altra”. Questa affermazione sembra
problematica. La valutazione del modello americano come esempio di “sana laicità” non tiene
conto della sua origine protestante di separazione tra le due sfere della politica e della fede, non
tiene conto della sua indifferenza alla religione espressa nella forma di un radicale pluralismo
religioso, non tiene conto che in questo modo l’unicità e specificità della Religio vera cattolica
viene meno ed essa viene equiparata alle altre religioni. L’esclusione di Dio dalla sfera pubblica
avviene in tutte e due le forme della laicità moderna: quella giacobina e quella liberale
americana. La loro differenza può essere accidentale ma sul piano sostanziale si equivalgono.
Sullo sfondo di questa frase si intravede un rapporto tra religione cattolica e pensiero liberale
che non soddisfa fino in fondo. Di questo ora dobbiamo brevemente occuparci.
Nel discorso al Parlamento federale tedesco del 2011, Benedetto ha sostenuto che
l’illuminismo, il liberalismo e il movimento di pensiero che ha originato la moderna costituzione
della Germania sono frutto del cristianesimo. Anche questa presa di posizione fa problema e
sembra contrastare con le tesi circa il rapporto tra ragione e fede che Benedetto ha espresso
nella Lectio di Ratisbona. Sembra quasi che per lui ci siano state due modernità, una radicale e
una moderata, ma questo contrasta con la visione molto negativa della modernità in quanto tale
da lui fornita in più occasioni. Per esempio, circa l’illuminismo radicale e il positivismo egli
scrisse che è come se “all’uomo venisse strappato il cielo da cui sembra provenire e gli venisse
lasciata in mano soltanto la terra dei fatti: quella terra in cui egli cerca ora, con la sua misera
vanghetta, di decifrare la faticosa vicenda del suo divenire”. Benedetto ha sempre espresso la
propria convinzione sul carattere dogmatico del pensiero moderno proprio di una religione
dell’irreligiosità, perché allora distinguere tra due modernità e assegnare al pensiero liberale e
al sistema americano caratteri così positivi?

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Un altro punto su cui dobbiamo interrogarci è che spesso nei suoi interventi Benedetto dà
l’impressione di intendere la “sana laicità” come apertura alle religioni in senso generale, senza
fare distinzioni tra di esse. Talvolta ha parlato di “Chiese e comunità ecclesiali” senza altro
specificare, talaltra ha fatto riferimento a “tutte le tradizioni autenticamente religiose”, in altre
ancora si è riferito “alla religione cristiana e alle altre religioni” le quali “possono dare il loro
apporto allo sviluppo solo se Dio trova un posto nella sfera pubblica”. Ma di quale Dio si tratta?
Quando Benedetto parla del posto di Dio in pubblico, si riferisce ai diritti di Dio o ai diritti
dell’uomo, ossia al diritto alla libertà di religione? Nel primo caso ci sarebbe il diritto del Dio
vero e della religione vera, nel secondo caso ci sarebbe il diritto di tutti gli déi e di tutte le
religioni. Ma allora perché Benedetto scriverebbe che “tolto Dio non rimangono che gli dèi”;
perché direbbe di non riferirsi ad un qualsiasi Dio, ma “a quel Dio che ha parlato sul Sinai; quel
Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto fino alla fine”?
Tocchiamo a questo punto un ultimo aspetto che può risultare decisivo circa il tema della laicità
in Benedetto XVI. Pur con qualche incertezza che ho cercato di far emergere, Benedetto XVI si è
pronunciato sulla necessità di un posto per Dio in pubblico, con tutto ciò che questo comporta
di conseguenza in termini di ruolo pubblico della Chiesa. Egli collega questo al concetto di “sana
laicità”, che pure presenta, come abbiamo visto, qualche incertezza. Per garantire la presenza
pubblica di Dio e nello stesso tempo garantire questa “sana laicità”, Benedetto afferma che tale
presenza pubblica della religione cattolica consiste nel garantire la tenuta morale della società.
Il compito pubblico della Chiesa sarebbe di difendere e sostenere la coesione morale fondata
sulla ragione. Il compito della religione sarebbe di alimentare i valori morali. Si può tornare qui
– a titolo di esempio – al discorso al Parlamento tedesco. Qui Benedetto dice che, a differenza di
altre religioni, la religione cattolica non fonda il potere politico su una fede, ma sul diritto
naturale, ossia sul perseguimento del bene comune temporale. Parlò, a questo proposito, del re
Salomone che chiese a Dio di dargli questa saggezza. Il punto è di grande interesse: Benedetto
nega la tesi della neutralità, nega anche la tesi della identità integralista e fondamentalista, dice
che il riferimento a Dio è fondamentale – Salomone infatti chiede un supplemento di forza alla
religione – ma questo riferimento a Dio si limita a chiedere di rafforzare la sua coscienza morale,
ossia la saggezza di chi governa. Ci si chiede: solo in questo consiste la presenza pubblica di Dio?
nell’animare le coscienze, fossero anche le coscienze dei governanti? La religione non deve
avere quindi un ruolo pubblico come religione ma solo come animazione della ragione pubblica,
affinché essa non perda di vista il diritto naturale. In un discorso del 1981 ai politici cattolici
Benedetto XVI aveva parlato della politica che può essere se stessa solo se mette al primo posto
i diritti di Dio, ossia – egli dice – i comandamenti, la legge naturale che si fonda sul Creatore. Nel
già citato discorso ai vescovi americani del 2012, egli affermava: “La testimonianza della Chiesa
è per sua natura pubblica: essa cerca di convincere proponendo argomenti razionali nella
pubblica piazza”. Ma in questo modo non si rischia di dimenticare il ruolo pubblico di tipo
religioso – la dottrina, la catechesi, i sacramenti, la preghiera – della Chiesa, e non solo la sua
partecipazione al dibattito sulla morale civile? In questi giorni c’è stato il caso di quel parroco a
cui è stato impedito di celebrare la benedizione pasquale dentro una scuola pubblica. Ma se
quella parrocchia avesse proposto degli incontri per gli alunni sulla transizione ecologica la
scuola cono ogni probabilità lo avrebbe accettato. Non si rischia che venga accettato il ruolo
pubblico della Chiesa solo come animazione dell’etica pubblica, negando il suo ruolo pubblico
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in quanto religione? Ad avere un ruolo pubblico è solo Dio creatore e non anche Dio salvatore?
Il ruolo pubblico della Chiesa non rischia di venire inteso solo come una presenza in pubblico
ma limitatamente ad un apporto etico, e non come un vero ruolo pubblico conforme alla sua
natura di Religio vera?

La questione può essere esaminata anche in un passaggio della Nota Ratzinger del 2002, ove si
dice che “la laicità intesa come autonomia della sfera civile e politica da quella religiosa ed
ecclesiastica – ma non da quella morale – è un valore acquisito e riconosciuto dalla Chiesa e
appartiene al patrimonio di civiltà che è stato raggiunto” (n. 6). Questo punto non è del tutto
chiaro. La dipendenza della politica dalla sfera morale è un dato certo, come pure la sua
indipendenza dall’autorità ecclesiastica, nel senso che l’autorità politica non esegue gli ordini
dell’autorità ecclesiastica, ma non mi sembra accettabile che essa debba essere autonoma dalla
sfera religiosa, senza della quale anche la sfera morale decade e non fa più da fondamento alla
politica. E non sembra nemmeno sufficiente che la sfera religiosa alimenti solo la vita morale
individuale, come nel caso del re Salomone, ma occorre che ad essa venga riconosciuto un vero
ruolo pubblico in quanto religione, altrimenti non sarà in grado di confermare ed elevare la
morale naturale dei comandamenti.

Cenni conclusivi

Mentre tanta teologia cattolica dei decenni scorsi aveva contestato che la Chiesa e la religione
cattolica avessero un ruolo pubblico, scegliendo invece per la laicità come secolarizzazione,
sulla scia della teologia protestante di Barth, Bonhoeffer e Gogarten, Joseph
Ratzinger/Benedetto XVI sviluppò un pensiero filosofico e teologico che postulava invece
questo ruolo pubblico come necessario ed essenziale e a ribadì la centralità di Dio nella pubblica
piazza e il compito che la Chiesa ha per natura nella sfera pubblica. In questo modo, tra l’altro,
egli salvò la Dottrina sociale della Chiesa, che l’altra prospettiva aveva abbandonato. Bisogna
riprendere gli insegnamenti di Benedetto XVI e da lì ripartire anche per portare a compimento
alcune sue valutazioni non pienamente convincenti e bisognose di chiarimento.

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