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NON SPRECATE PAROLE Esercizi Spirituali con il Padre Nostro Premessa Il volume che presentiamo raccoglie i testi delle

meditazioni che il Cardinal Martini ha tenuto a un gruppo di sacerdoti durante un corso di esercizi spirituali "con il Padre Nostro". Queste pagine non si offrono quindi come un commento del Padre Nostro, in chiave esegetica o spirituale. Esse intendono piuttosto accompagnare il lettore in un cammino che, a tappe successive, lo introduca a scoprire gli inesauribili tesori di una preghiera che ben a ragione stata definita (come si legge nell'Introduzione) breviarium totius Evangelii: Il Padre Nostro riserva sempre delle sorprese, sempre nuovo, polivalente, e spesso non arriviamo a coglierne tutte le ricchezze. Lo stile semplice e sobrio. A tratti per la commozione del cuore rende la parola significativamente vibrante. Per esempio dove si parla del Regno, una realt che compresa da chi la vive, che viene vissuta giorno dopo giorno seguendo Ges, che chiediamo intuendo pi che ragionando, pi desiderando col profondo del cuore che avendo davanti agli occhi una immagine precisa (risentiamo l'eco delle parole di sant'Agostino nella Lettera a Proba: Il dovere della preghiera si adempie meglio coi gemiti che con le parole, pi con le lacrime che con i discorsi). O dove si rivela l'anelito al compiersi definitivo del Regno nella pienezza dei cieli: Se il Regno di Dio la Gerusalemme celeste che inizia... la nostra domanda che l'insieme della terra faccia risplendere la pace e la luce della dimora di Dio; Siamo appesantiti, affaticati, talora oppressi dal cumulo di ingiustizie che ci circondano e delle quali, volere o no, siamo parte, ma affermiamo che esiste una situazione dove non c' pi ingiustizia, n lacrime... e tutto chiarezza, bellezza, purit. Sembra a noi che passi come questi, e altri che lasciamo al lettore di scoprire, diano alle meditazioni il sapore della testimonianza. Pu parlare cos solo chi ha dedicato e dedica la propria vita al

compiersi del Regno, nella sequela amante e perseverante di Ges; solo chi ha vissuto e vive la com-passione e la solidariet col male e le sofferenze del mondo, tenendo lo sguardo fisso agli orizzonti eterni che aprono alla speranza. E per questo valore di testimonianza ogni parola risulta nuova e stimolante. In una storia come quella in cui siamo immersi sentiamo pi che mai bisogno di testimoni che con accenti credibili e persuasivi ci parlino di speranza, di solidariet, di pace. Siamo lieti perci di consegnare al pubblico questo volume, auspicando che molti possano trovarvi un aiuto a discernere e a .percorrere cammini . di verit per s, per la societ in cui viviamo, per il mondo.

Introduzione Anzitutto desidero ringraziare il Signore che ancora una volta mi permette di tenere un corso di esercizi spirituali. infatti per me un dono grande incontrare ciascuno di voi, incontrare i vostri cammini spirituali e camminare un poco insieme con voi. Ogni volta che do gli esercizi mi viene in mente la parola di Paolo all' inizio della lettera ai Romani, l dove dice: Ho infatti un vivo desiderio di vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale perch ne siate fortificati, o meglio, per rinfrancarmi con voi e tra voi mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io (Rm 1,11-12). Questo comune cammino di fede un aiuto anche per me. utile richiamare, all'inizio di una nuova esperienza, che cosa sono gli esercizi spirituali. Spesso infatti si chiamano esercizi le settimane bibliche, gli aggiornamenti catechetici, le riflessioni ascetiche, le esercitazioni di preghiera. Cose ottime che molto utile fare e che si usano anche negli esercizi propriamente detti. Ma ci che ritengo il punto nodale che gli esercizi sono un ministero dello Spirito, un mettersi in ascolto dello Spirito perch ci aiuti a conoscere la volont di Dio nell'oggi, per abbracciarla e compierla con gioia e con fiducia. Lo Spirito infatti non lascia immobili, fa sempre danzare e ci scioglie dai nostri movimenti rigidi.

Occorre dunque creare le condizioni ottimali perch, nell'apertura allo Spirito, la Parola dica a me e a me soltanto ci che vuole da me adesso, quest'anno, con questa salute, queste relazioni, questi superiori, queste difficolt e malumori, con queste temperie spirituali, sociali e politiche. Possiamo quindi parlare anche di ministero dell'immediatezza. Come spiega molto bene il teologo Karl Rahner, Dio opera immediatamente in me e parla al mio cuore, cerca il contatto immediato con l'anima di ciascuno, per chiedere a ciascuno una cosa che non chieder a nessun altro. Nel desiderio di aiutarvi ad entrare in questi giorni con le giuste disposizioni, vi suggerisco di rispondere, magari per iscritto, a due domande. La prima: come arrivo agli esercizi? Ogni anno ci arriviamo in maniera diversa: una volta stanchi, forse disgustati, turbati, con ripugnanza; un' altra volta siamo disposti a farli volentieri; o ancora ci ritroviamo pieni di distrazioni, di amarezze, di preoccupazioni, di risentimenti; oppure iniziamo gli esercizi col desiderio di mettere a fuoco un tema particolare che ci pesa. molto utile prendere coscienza del proprio stato d'animo. La seconda domanda : come vorrei uscire dagli esercizi? Che cosa vorrei soprattutto chiedere come grazia per uscirne contento? In questi giorni potremo anche reciprocamente edificarci vivendo qualche momento di comunicazione nella fede, durante il quale chi lo vuole potr esprimere con semplicit ci che, in quello che ha ascoltato e meditato, lo ha maggiormente colpito e pu aiutare anche altri. Ciascuno potr pure comunicare personalmente con me, in un colloquio o mettendo per iscritto un pensiero, un suggerimento, una domanda, una riflessione. Da parte mia il lavoro molto semplice: vi suggerir qualche pagina della parola di Dio, dei pensieri biblici, non perch siano il tema degli esercizi (che appunto la ricerca di obbedienza allo Spirito santo), bens quale sfondo. E questa volta sono stato ispirato a scegliere come sfondo biblico il Padre Nostro. Verrebbe spontaneo dire: ma lo conosciamo a memoria, l'abbiamo

recitato infinite volte! vero, tuttavia riserva sempre delle sorprese, ogni volta nuovo, misterioso, polivalente, e spesso non arriviamo a coglierne tutte le ricchezze. Possiamo pure considerare il Padre Nostro una sintesi del Vangelo. N on a caso Tertulliano lo chiamava breviarium totius Evangelii. una definizione che mi attrae e che il mio grande e indimenticabile padre spirituale Michel Ledrus*, defunto ormai da molti anni, dava come titolo a un suo piccolo libretto: Il Padre Nostro preghiera evangelica. una preghiera che riassume infatti tutto il Vangelo; e, se lo comprendiamo bene, ci accorgeremo che il Padre Nostro poteva dirlo soltanto Ges e solo lui poteva insegnarlo. Perch c' una corrispondenza, una omologia perfetta tra Padre Nostro, insegnamento evangelico, vita di Ges Figlio di Dio morto e risorto per noi. Esporr brevemente alcuni temi di riflessione sul Padre Nostro, supponendo l'esegesi che propria dei libri scientifici. La collezione dei commenti americani su questa preghiera, dal titolo Ermenia, dedica cento pagine fittissime al testo, con decine di pagine di bibliografia. Noi non facciamo esegesi in questa sede, ma dobbiamo comunque tenere presente che sul Padre Nostro ci sarebbe materia per un anno intero di corso. Vengono alla mente a questo punto le testimonianze che della loro esperienza ci hanno lasciato i santi. Penso per esempio alle vibranti esclamazioni con cui santa Teresa d'Avila, nel suo Cammino di perfezione, introduce il commento alle prime parole della preghiera: "Padre Nostro che sei nei cie1i!"... Il nostro intelletto dovrebbe andarne cos rapito e la nostra volont cos compenetrata da non essere pi capaci di pronunciare parola... Come converrebbe che qui l'anima si raccogliesse per elevarsi al di sopra di s ad ascoltare ci che le insegna questo Figlio benedetto intorno al luogo dove abita suo Padre, quando dice che "nei cieli"! (Cammino di perfezione 27, 1). E ancora bello ricordare ci che diceva santa Teresa di Ges Bambino, quando raccontava che cosa le suggeriva la preghiera di Ges: Qualche volta, quando il mio spirito in una tale aridit che mi impossibile tirar fuori un qualunque pensiero per unirmi al buon Dio, io recito molto lentamente un Padre Nostro e poi la salutazione angelica; allora queste preghiere mi rapiscono, nutrono la mia

anima ben pi che se le avessi recitate precipitosamente un centinaio di volte (Manoscritto C, 318). Questo era per lei il Padre Nostro. E la testimonianza di una consorella attesta: La sua unione con Dio era continua. Pregava senza sosta. Un giorno la trovai nella sua celletta. Cuciva con grande velocit e tuttavia aveva l'aria cos raccolta che gliene domandai la ragione. "lo recito il Pater", mi disse. " cos bello dire Padre Nostro", e alcune lacrime brillavano nei suoi occhi. Questo il nostro desiderio: penetrare nel cuore, nello spirito della preghiera insegnataci da Ges. Signore Ges, tu ci vedi qui davanti a te col desiderio di pregare pi intensamente in questi giorni. Ma come tante altre volte, noi ti rivolgiamo la domanda: Insegnaci a pregare! L'esperienza della nostra vita ci mostra, anno dopo anno, che non sappiamo pregare, che abbiamo bisogno di imparare continuamente l'atteggiamento giusto della preghiera. Per questo ti chiediamo di donarci il tuo Spirito. Vorremmo che tu ci insegnassi a pregare come hai insegnato a sant'Ignazio di Loyola, a san Pietro, a san Paolo, a santa Teresa d'Avila, a santa Teresa di Lisieux, a tutti i tuoi santi. Vorremmo vivere il Padre Nostro come tu lo hai vissuto. Fa' che sentiamo il tuo sostegno, il tuo conforto e che, con la tua grazia, possiamo perseverare in questi giorni nell'orazione. Maria, Madre della piet, Regina della preghiera, patrona della vita interiore, prega per noi. * M. LEDRUS, Il Padre Nostro preghiera evangelica, Borla, 1981.

Il fondamento (omelia) L'Eucaristia sar ogni giorno il centro di tutto il nostro lavoro, perch il Signore Ges che ci costruisce e ei viene incontro nello spezzare del pane, lo Spirito che ei tocca immediatamente per cambiare il nostro cuore, per fargli conoscere la volont di Dio, per

arricchirei del dono del discernimento. Fratelli, voi siete l'edificio di Dio. Secondo la grazia di Dio che mi stata data, come un sapiente archi tetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento come costruisce. Infatti nessuno pu porre un fondamento diverso da quello che gi vi si trova, che Ges Cristo. Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distrugger lui. Perch santo il tempio di Dio, che siete voi (1 Cor 3,9-11.16-17). In quel tempo, essendo giunto Ges nella regione di Cesarea di Filippo, chiese ai suoi discepoli: "La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?". Risposero: "Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti" . Disse loro: "Voi chi dite che io sia?". Rispose Simon Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". E Ges: "Beato te, Simone figlio di Giona, perch n la carne n il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificher la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te dar le chiavi del regno dei cieli, e tutto ci che legherai sulla terra sar legato nei cieli, e tutto ci che scioglierai sulla terra sar sciolto nei cieli" (Mt 16,13-19). Nelle letture della liturgia odierna troviamo un vocabolo significativo - lo vedremo nei prossimi giorni - per gli Esercizi spirituali di sant'Ignazio di Loyola, ed la parola fondamento: Nessuno pu porre un fondamento diverso da quello che gi vi si trova, che Ges Cristo. E ancora nel vangelo: Tu sei Pietro e su questa pietra edificher la mia Chiesa.

Dunque la vita cristiana ha un fondamento: oggettivamente Ges e soggettivamente la fede in lui. Tutto ci che diremo o vivremo in questi giorni deriver da questo fondamento che, a sua volta, parte di uno ancora pi ampio: il Mistero di Dio Creatore, Signore, amico dell'uomo. Da tali verit fondamentali deriva tutto il resto. Il fondamento che parte da Dio, Trinit, Amore, Essere perfettissimo, misericordioso, rivelato in Ges, si esprime poi in noi attraverso l'obbedienza, nell' accoglienza del Mistero e nella ricerca di ci che vuole da noi. la sintesi degli esercizi. Tutto parte dal riconoscimento di Dio Creatore, Signore, Redentore, che in Ges si fa vicino a noi e ci vuole con s nella pienezza della vita. Nella nostra preghiera e nell' adorazione quotidiana ci riporteremo a Ges e gli chiederemo di sostenerci, di nutrirci, di farci da punto di riferimento e di appoggio. Tale fondamento poi reso concreto nel tempo e nello spazio dalle chiese cattedrali - come quella in cui stiamo celebrando -, che sono il luogo nel quale viene proclamato e reso visibile. Ciascuno di noi pu quindi ripensare alla sua chiesa cattedrale, alla sua diocesi e comunque a quella realt di Chiesa mediante la quale stato innestato in Ges Cristo. Soltanto in questo contesto noi troviamo la nostra verit, la nostra pienezza. Siamo perci invitati in questa celebrazione a pregare per tutte le Chiese del mondo, perch in esse si rivela il mistero dell' amore di Dio. E mi piace ricordare, pensando alla Chiesa ambrosiana, che essa celebra oggi 50 anni dalla morte del beato arcivescovo Alfredo Ildefonso Schuster, che stato una figura importante per la Chiesa di Milano e per tutta la Chiesa di Dio. Chiediamo la grazia di rimanere sempre ancorati alla Chiesa locale, in comunione col Papa, perch tutto il nostro muoverci e agire non sia vano, ma poggi su una roccia, perch tutto ci che compiamo in questi giorni non sia se non una conseguenza del nostro essere Chiesa. Certo durante il nostro Ritiro dovremo occuparci di noi stessi, della nostra ascesi, della volont di Dio per noi, ma questo sempre nell' ambito e nel quadro della Chiesa visibile. Sant'Ignazio quando negli Esercizi parla di scelte concrete, dice sempre: Nell'ambito della Chiesa visibile. in questo orizzonte che troviamo la nostra verit,

la certezza che il nostro cammino piace a Dio. Preghiamo allora perch questo cammino sia condotto nella verit, nell' oggettivit, nell' adesione alla Chiesa, a tutto ci che essa proclama e continuamente, nella sua sollecitudine per noi, ci propone. E rinnoviamo il desiderio di servirla, questa Chiesa, con disinteresse, con dedizione, con fedelt e lealt. Cos soltanto troveremo Cristo ed entreremo in quel rapporto immediato con Dio che Egli vuole stabilire con noi in questi giorni.

I MEDITAZIONE I contesti evangelici del Padre Nostro La prima meditazione che vi propongo sar piuttosto breve, direi introduttiva e anche un po' esegetica, formale, pur restando valido quanto abbiamo detto. La divider in tre parti. Una prima parte di lectio, dove ci fermeremo sui versetti di Lc 11 e di Mt 6 riferiti al Padre Nostro. Poi una seconda parte di meditatio, in cui proporr qualche riflessione sintetica sui contesti del Padre Nostro, sull' occasione in cui viene insegnato. Per concludere con una contemplatio nella quale vorrei mettere a fuoco quali atteggiamenti ci sono suggeriti per questi giorni dai brani evangelici. Sappiamo che i vangeli in cui il Padre Nostro riportato sono due. E c' da stupirsi, perch vorremmo che fossero tre, vorremmo che pure in Marco ci fosse il Padre Nostro. Gli esegeti discutono se non l'ha riferito perch non lo conosceva oppure perch non era preoccupato di tramandare tutte le parole di Ges. Il Padre Nostro nel vangelo di Luca Leggiamo anzitutto Lc 11. Il contesto in cui il Padre Nostro viene insegnato si situa durante il viaggio di Ges a Gerusalemme che inizia in 9,51, quindi gi abbastanza avanti nella sua biografia. Ricordiamo che a Gerusalemme c' una tradizione, testimoniata dalla basilica del Pater noster, secondo cui la preghiera sarebbe stata insegnata l, sul monte degli Ulivi, verso la fine della vita di Ges. In ogni caso, per Luca l'insegnamento del Padre Nostro tardivo.

- Un giorno Ges si trovava in un luogo a pregare (11, la). Questo avvenuto molte volte nella vita di Ges: per esempio la notte precedente la scelta dei dodici apostoli (cf Lc 6, 12); la notte seguente la moltiplicazione dei pani, sempre presso il lago (Sal sul monte, solo, a pregare - Mt 14,23); la mattina dell'inizio del suo ministero a Cafarnao, quando si alza presto e va in un luogo appartato a pregare (<<Al mattino si alz quando era ancora buio e, uscito di casa, si ritir in un luogo deserto e l pregava - Mc 1,35); al Getsemani, sul Tabor e in altre circostanze ancora. - E proprio in una di queste occasioni, quando ebbe finito nessuno ha voluto interromperlo, vedendolo molto raccolto e concentrato - uno dei discepoli gli disse: "Signore, insegnaci a pregare" (11, 1b). interessante che la domanda sia posta da uno dei discepoli, non da tutti e non da un discepolo qualificato come Pietro o Giacomo o Giovanni. Egli esprime il desiderio comune, che gli altri non osavano manifestare. - E continua: Come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli (11,1c). Noi non sappiamo nulla della preghiera insegnata dal Battista ai suoi discepoli, ma probabile che egli, come avveniva nella comunit di Qumran, desse indicazioni in proposito. Qui comunque si suppone che il Battista insegnava a pregare. Non facile capire che cosa il discepolo chiedeva veramente. Potremmo rivolgerci a lui e domandargli: spiegaci che cosa volevi. Volevi che Ges ti insegnasse con quale contenuto bisogna pregare? Lo si dedurrebbe dalla risposta; e tuttavia ci stupisce, perch di contenuti gli Ebrei ne avevano gi tanti, basti pensare all'immensa ricchezza dei salmi. Oppure la tua domanda era sul modo di pregare, quel modo che Ges indica in Mt 6, 6: Quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto? Era dunque sull' atteggiamento esteriore: in ginocchio, con gli occhi chiusi, in un luogo appartato? Oppure era sull'atteggiamento interiore, che sviluppa distesamente Luca quando raccomanda la perseveranza dell' orazione (11,5-8) e afferma: Chiedete e vi sar dato, cercate e troverete (v. 9)? Quale delle tre ipotesi interpreta la richiesta del discepolo?

Probabilmente tutte e tre. In ogni caso Ges prende la domanda come riferita al contenuto. - Ed egli disse loro: "Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, / venga il tuo Regno; / dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, / e perdonaci i nostri peccati, / perch anche noi perdoniamo ogni nostro debitore, / e non ci indurre in tentazione (11,2-4). L'istruzione viene poi prolungata nel riferimento all' atteggiamento interiore con cui pregare, piuttosto ampio mentre la preghiera di per s brevissima - tre versetti, cinque domande espresse in modo lapidario. Cerchiamo di capire le parole di Ges. - Comincia da un esempio concreto: Poi aggiunse: "Se uno di voi ha un amico e va da lui a mezzanotte a dirgli: Amico, prestami tre pani, perch giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da mettergli davanti, e se quegli dall' interno gli risponde: Non m'importunare, la porta gi chiusa e i miei bambini sono a letto con me, non posso alzarmi per darteli; vi dico che, se anche non si alzr a darglieli per amicizia, si alzer a dargliene quanti gliene occorrono almeno per la sua insistenza" (vv. 5-8). un esempio concreto pi lungo del Padre Nostro. Ges passa quindi all' esortazione diretta, triplice: Ebbene, io vi dico: Chiedete e vi sar dato, cercate e troverete, bussate e vi sar aperto. Perch chi chiede ottiene, chi cerca trova e a chi bussa sar aperto (vv. 9-10). E ancora un esempio molto incisivo: Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli dar al posto del pesce una serpe? O se gli chiede un uovo, gli dar uno scorpione? (vv. 11-12). Infine la conclusione: Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto pi il Padre vostro celeste dar lo Spirito santo a coloro che glielo chiedono! (v. 13). interessante che non sia ripresa nessuna delle domande del Padre Nostro, ma si parla dello Spirito santo. Forse per questo una variante di manoscritti molto antichi aggiunge, dopo la richiesta del pane quotidiano: Il tuo Spirito santo venga su di noi e ci purifichi. Ges inizia da un contesto concreto, dalla sua preghiera, e

risponde a una domanda, prima con un contenuto, poi esplicando a lungo gli atteggiamenti di perseveranza instancabile nell' orazione. Atteggiamenti di perseveranza che saranno ripresi anche altrove nel vangelo secondo Luca, come nella parabola del giudice iniquo e della vedova importuna: Disse loro una parabola stilla necessit di pregare sempre, senza stancarsi: "C'era in una citt un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. In quella citt c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario. Per un certo tempo egli non volle; ma poi disse tra s: Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, poich questa vedova cos molesta le far giustizia, perch non venga continuamente a importunarmi. E il Signore soggiunse: Avete udito ci che dice il giudice disonesto. E Dio non far giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li far a lungo aspettare? Vi dico che far loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verr, trover la fede sulla terra?"(18,1-8). questo l'atteggiamento di cui Ges sottolinea l'importanza. Il Padre Nostro nel vangelo di Matteo Il contesto matteano del Padre Nostro si colloca nel quadro del Discorso della montagna, che comprende i capitoli da 5 a 7 del vangelo. Dopo le antitesi del c. 5, Ges passa, nel c. 6, a descrivere tre atti di culto, di religione: elemosina, preghiera e digiuno. Di ciascuno insiste che non vanno compiuti per essere visti dagli uomini. In tale contesto, a proposito del secondo atto di culto, inserito il Padre Nostro. - Anche in questo caso la descrizione assai ampia. Dapprima Ges stigmatizza la preghiera per cos dire dei religiosi ipocriti del suo popolo: Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. Segue il giudizio negativo: In verit vi dico: hanno gi ricevuto la loro ricompensa (6,5); a dire: ci che hanno fatto non serve a niente. In un secondo momento sottolinea l'atteggia , mento positivo: Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che

vede nel segreto, ti ricompenser (v. 6). un'istruzione anzitutto sull' atteggiamento esteriore, e successivamente interiore, della preghiera: nel silenzio, nel raccoglimento, nel nascondimento. - Riprende quindi l'esortazione riferendosi ai pagani: Pregando, poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di essere ascoltati a forza di parole (v. 7). Accenna probabilmente alle monotone invocazioni nei templi che venivano recitate all'infinito. Ricordo di aver visto in qualche rappresentazione o in qualche film, e anche visitando monasteri o templi orientali, la ruota della preghiera che viene girata ininterrottamente, cos che l'invocazione sia sempre ripetuta davanti a Dio. Non siate dunque come loro, perch il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate (v. 8). Viene perci criticata la preghiera che pretende di far conoscere a Dio ci di cui abbiamo bisogno. Notiamo che c' una certa tensione rispetto al passo di Luca che affermava: insistete nella preghiera. Ges ammonisce: non pensate che la vostra insistenza sia magica. - Proprio in tale contesto insegna il Padre Nostra Voi dunque pregate cos: Padre nostro che sei nei cieli / sia santificato il tuo nome; / venga il tuo Regno; / sia fatta la tua volont, / come in cielo cos in terra. / Dacci oggi il nostro pane quotidiano, / e rimetti a noi i nostri debiti / come noi li rimettiamo ai nostri debitori, / e non ci indurre in tentazione, / ma liberaci dal male (vv. 9-13). Preghiera pi lunga di quella di Luca che comprende due domande pi tre; in Matteo sono tre pi tre e addirittura, secondo alcuni, se si calcola l'ultima sdoppiandola, sono tre pi quattro cio sette. Ges continua parafrasando la penultima richiesta: Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdoner anche a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdoner le vostre colpe (vv. 14-15). Qualche osservazione esegetica Passando al momento della meditatio, possiamo domandarci: quale dei due contesti il pi originario? Quale delle due formule la pi antica? - Gli esegeti ritengono - penso con buone ragioni- che il contesto lucano il pi antico: non siamo all'inizio dell'attivit pubblica, in un primo discorso programmatico, ma forse gi un po' avanti nel

ministero. E si tratta di un' occasione concreta, la preghiera di Ges, immersa nell' esperienza vissuta. In Matteo invece l'insegnamento sembra inserito all'interno di un discorso: Non sprecate parole... ma dite cos (cf 6,7-9). Riteniamo perci pi probabile il contesto di Luca, pur se la questione non disturba molto l'esegesi. Anche sull' antichit della formula si discusso: pi antica la formula breve o la formula lunga? Oggi ci si accorda su una specie di compromesso: pi antica la formula breve di Luca, ma pi originaria la formula matteana; Matteo ha parole pi arcaiche, Luca ha il contenuto pi antico. Noi useremo dell'una e dell'altra delle formule; mi sembrato tuttavia utile introdurvi alla complessit della ricerca. - Gli esegeti fanno inoltre notare che la preghiera in Luca la terza di tre pericopi successive: la parabola del samaritano - la carit (10, 29-37); il dialogo con Marta e Maria - l'ascolto della Parola (10,38-42); la preghiera del Padre Nostro (11,1-4). Quasi a mettere in luce che carit, ascolto della Parola e preghiera sono inscindibili. - Nel Padre Nostro di Matteo c' poi una peculiarit interessante. Un' analisi attenta mostra infatti che il Padre Nostro sta esattamente al centro del Discorso della montagna. un insegnamento per noi, perch siamo ammoniti che il Discorso della montagna non lo vive se non chi prega. Indicazioni per la preghiera In conclusione, vi suggerisco qualche applicazione per la preghiera personale. Tutti noi, come il discepolo inno minato, abbiamo detto tante volte: Signore, insegnaci a pregare!. Che cosa chiedevamo? - Penso che molta gente, quando pone tale domanda, non di rado desidera anzitutto raggiungere quell'unit interiore, quel raccoglimento, quel possesso di s, quella gioia di tenersi bene in mano che caratteristica di una preghiera profonda. Si tratta di atteggiamenti positivi e utili, ma siamo ancora nell' ambito di una preghiera psicologica, tesa a ottenere alcuni benefici: imparare a essere calmo, tranquillo, raccolto, pacificato, coordinato, senza una

sarabanda di pensieri che mi frulla per la testa . Di fatto coloro che si dedicano alle pratiche yoga o zen imparano simili cose: il raccoglimento, il dimenticare tutto, l'astrarsi dal mondo esteriore, il concentrarsi su un unico punto, magari sul nulla, l'eliminare ogni pensiero per vivere nella calma pi assoluta. Forse noi pure abbiamo bisogno di tali atteggiamenti per pregare bene. Ci vuole un minimo di concentrazione e unit, proprio perch la preghiera anche salute psicologica. - Noi vogliamo tuttavia chiedere a Ges di insegnarci a pregare nello Spirito, soprattutto di insegnarci la disposizione interiore e quali siano le richieste da presentare. Spesso quando inizi la preghiera apro il testo della lettera ai Romani, l dove si dice che nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare (cf 8,26a) e dico: Signore, vedi che non so pregare. Per tu hai promesso lo Spirito in aiuto alla mia debolezza e lo Spirito intercede per me con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, perch egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio (8, 26b-27). Quindi per me, per noi imparare a pregare vuol dire imparare ad affidarci allo Spirito che ci muove a recitare il Padre Nostro, fino a raggiungere quel bellissimo stato d'animo su cui ho meditato molte volte, in tanti momenti della mia vita: Non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perch vi sar suggerito in quel momento ci che dovrete dire: non siete infatti voi a parlare, ma lo Spirito del Padre vostro che parla in voi (Mt 10,19-20). - Oltre a questa disposizione fondamentale di abbandono allo Spirito, per il cammino degli esercizi, vorrei suggerirne qualche altra che Ges ha messo in luce. Abbiamo visto che ne ha evidenziate soprattutto quattro: il nascondimento, la sobriet delle parole, la perseveranza e la fiducia filiale. Pregando davanti a Dio, ognuno pu scegliere quale di questi atteggiamenti gli pi necessario. Certamente necessaria la fiducia filiale: il Padre non mi lascer mancare il pane quotidiano quando glielo chiedo. Altrettanto necessaria la perseveranza: in questi giorni proveremo

fatica, caldo, sonno, nervosismo, aridit. Donaci, Signore, di perseverare! E naturalmente abbiamo bisogno del nascondimento, perch gli esercizi sono la preghiera nascosta per eccellenza, sconosciuta al mondo e conosciuta solo da Dio. Abbiamo inoltre bisogno di una certa sobriet, che consiste non tanto nel pregare poco, bens nell'imparare una preghiera distesa, non nervosa, che non cerca di forzare Dio, ma si affida amabilmente a Lui.

II MEDITAZIONE Padre Nostro che sei nei cieli Inizia cos il volumetto gi citato di p. Ledrus: Il Padre Nostro rappresenta il punto di convergenza di tutte le linee della dottrina evangelica. Ogni domanda rappresenta un mondo di considerazioni; dietro ognuna si possono allineare una quantit di testi del Nuovo e dell' Antico Testamento e scoprire quelle dimensioni essenziali che articolano tutto il messaggio evangelico. (...) Abbiamo quindi nella preghiera del Signore, un trattato completo di vita spirituale, sistemato dallo stesso Signore: non potremo mai approfondirlo a sufficienza (op.cit., p. 8). Personalmente mi sento molto impari di fronte anche solo al tentativo di delibare qualche significato della preghiera insegnata ci da Ges. E perci mi unisco a voi dicendo: O Dio Padre nostro, noi ti conosciamo soltanto per ch il tuo Figlio Ges ci ha fatto conoscere il tuo nome di Padre. Noi non sappiamo spiegare il suo senso pro fondo, ma tu ci doni di viverne l'esperienza giorno dopo giorno. Concedici, se vuoi, di viverla con la mente e non semplicemente col cuore, per entrare nel pensiero e nel cuore del tuo Figlio Ges Cristo, che con te vive e regna nell'unit dello Spirito santo, per tutti i secoli dei secoli.

Padre Nostro e Esercizi ignaziani Ci mettiamo dunque davanti al mistero del Padre Nostro. Naturalmente non intendo esporlo esegeticamente, come ho gi detto; mi preme piuttosto focalizzarne qualche aspetto nello spirito degli Esercizi spirituali di sant'Ignazio, tenendo presente cio la dinamica loro propria. una dinamica che procede per tappe, snodandosi in quattro settimane, e comprende alcuni momenti forti, che aiutano a capire che cosa significa seguire Ges, in modo da compiere delle scelte secondo il Vangelo. In tale spirito vogliamo riflettere sul Padre Nostro, cercando il significato delle singole parole, delle singole domande, e considerandolo nel quadro di un cammino di ricerca della volont di Dio. Perch gli esercizi - l'abbiamo ricordato - sono un ministero dello Spirito e permettono di cogliere ci che il Signore chiede, suggerisce, ordina a ciascuno di noi. Il libretto di sant'Ignazio comincia con una pagina chiamata Principio e fondamento, che vuole stabilire alcune coordinate lungo le quali procedere nella ricerca della volont di Dio. Per Ignazio Principio e fondamento la sovranit assoluta di Dio Creatore di ogni cosa a cui l'uomo tenuto a rendere lode e servizio; e ognuno chiamato a scegliere ci che pi lo mette nella linea del servizio di Dio Creatore e Signore. questo in sintesi il Principio e fondamento degli Esercizi. Ci domandiamo se anche nel Padre Nostro c' un principio e fondamento e la risposta certamente affermativa. Tutta la prima parte della preghiera costituisce il principio e fondamento di quella quotidianit della vita cristiana che espressa nelle ultime quattro domande. Vorrei per dedicarmi soprattutto questa mattina, nello spirito del Principio e fondamento, a riflettere sulla prima invocazione Padre nostro che sei nei cieli; nel pomeriggio ci fermeremo sulle parole sia santificato il tuo nome, cos da porre le basi sulle quali proseguire il cammino di questi giorni. Colui che Ges chiama Padre Il Padre Nostro comincia con la parola Padre, il che non

usuale. Nessun salmo inizia cos e se in alcune preghiere dei testi sacri ci si rivolge talora a Dio come Padre, un inizio cos secco unico, pur se Matteo lo allarga retoricamente dicendo, in maniera pi solenne rispetto a Luca, Padre nostro che sei nei cieli. Noi cerchiamo di capire che cosa vuol dire l'appellativo Padre; cosa intendiamo invocandolo come Padre nostro; che cosa aggiungiamo dicendo Padre nostro che sei nei cieli. Mi propongo di fare una lectio per rispondere alle nostre interrogazioni e successivamente proporr una meditatio per comprendere quali sentimenti e quali linee di preghiera ci sono suggeriti. * La parola Padre - Di per s non univoca, pu avere tanti significati ed evocare molte emozioni, anche esistenziali, perch ciascuno rivive il proprio rapporto col padre naturale, che pu essere ottimo, mediocre, scarso. dunque un appellativo che tocca molti aspetti della nostra vita interiore e della nostra psiche. In generale una parola che ha molti significati. Padre anzitutto chiaramente colui che d la vita biologica, che ne , insieme alla madre, l'iniziatore. Padre pure colui che educa alla vita ed educa magari in maniera forte. La Scrittura non ha paura di ricordare che il padre anche colui che castiga. La lettera agli Ebrei ricorda che se accettiamo i castighi del padre terreno, non dobbiamo spaventarci se Dio Padre ci castiga, ci prova, perch tipica del padre pure la funzione di educatore energico (cf 12,7-11). Padre inoltre colui che nutre, che deve procurare il sostentamento ai figli ed colui che protegge, nelle cui braccia ci si ripara. Il bambino si butta nelle braccia del pap per cercare una difesa, chiude gli occhi mentre lo abbraccia per non vedere il pericolo. quindi simbolo di rifugio, di conforto. Il padre rappresenta inoltre la forza della tradizione. Quando noi lo nominiamo, pensiamo subito alle radici che costituiscono la nostra identit di persone. Nell'invocazione Padre che Ges ci mette sulle labbra sono presenti tutti questi significati.

- Tuttavia non sufficiente perch, se fosse soltanto cos, sarebbe un'invocazione adatta per tutti. Il mistero consiste invece nel fatto che, se vero che il Padre Nostro pu essere recitato un po' da chiunque - penso ad esempio agli Ebrei e a tutti coloro che ammettono un Dio personale -, per altrettanto vero che la preghiera insegnata ci da Ges e ha quindi delle radici molto precise. Ne segnalo una particolarmente significativa: il Battesimo di Ges. Egli va al Giordano per essere battezzato da Giovanni. Questi vuole impedirglielo, ma Ges insiste e Giovanni acconsente: Appena battezzato, Ges usc dall' acqua; ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui. Ed ecco una voce dal cielo che disse: "Questi il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto" (Mt 3,16-17). Per dire Padre occorre perci che qualcuno mi chiami Figlio. Padre non la prima parola, la seconda. La prima quella di chi ci dice: Figlio, figlio mio carissimo, figlio mio amatissimo. Dunque, nel Padre Nostro, Padre soprattutto Dio Padre di Ges Cristo, Colui che Ges chiama Padre e da cui chiamato Figlio, ed fortemente presente in tutto il Discorso della montagna dove, prima del Padre Nostro che si trova al centro del Discorso, Ges nomina otto volte il Padre e ancora lo nomina pi volte in seguito. Il Padre il Padre di Ges Cristo, e Ges ce ne comunica la paternit, rendendo ci partecipi della propria figliolanza. Lo afferma chiaramente san Paolo: E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: "Abb, Padre!" (Rm 8,15). Ges ci d il suo Spirito e nel suo Spirito possiamo dire "Padre", Padre di Ges, Padre mio: "Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria" (vv. 16-17). Se pensiamo che la generazione del Figlio dal Padre eterna, senza tempo, che oggi Dio Padre genera il suo Figlio, comprendiamo che in questo momento siamo generati come figli. Essere figli del Padre la nostra identit, ci che ci definisce nel

nostro essere pi profondo. Nel battesimo ha un punto di inizio, ma perdura in ogni momento della nostra esistenza: il Padre ci dice figlio mio carissimo, figlio mio amatissimo, e noi rispondiamo con la parola Padre. Ecco il primo significato di questa parola, da cui poi tutti gli altri derivano: Padre nutritore, Padre educatore, Padre rifugio, Padre sostegno, Padre conforto, Padre anche che punisce e purifica, ma perch ci ha generato in Ges. Noi sentiamo perci di partecipare intimamente a tutta la preghiera di Ges, che ha questo contenuto fondamentale: Padre, Padre mio. Percepiamo, visitando la Galilea e contemplando i monti dove lui ha pregato, che la nostra preghiera una cosa sola con la sua (ho fatto i miei esercizi personali sul Padre Nostro nel mese di giugno sul monte Tabor e l pensavo: mi unisco a Ges che qui pregava a lungo contemplando il Padre). Una cosa sola anche nei momenti in cui diventa drammatica: Padre mio, se possibile, passi da me questo calice! (Mt 26,39); Di nuovo, allontanatosi, pregava dicendo: "Padre mio, se questo calice non pu passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volont" (v. 42); Preg per la terza volta, ripetendo le stesse parole (v. 44). Insegnandoci a dire Padre, Ges ci coinvolge nella sua determinazione di compiere la volont del Padre. E ancora ci assume in quell'atteggiamento che Luca descrive nella conclusione della Passione: Padre, perdonali, perch non sanno quello che fanno (23,34). In tanto riusciamo a perdonare in quanto partecipiamo ai sentimenti filiali di Ges. Soprattutto ci coinvolge nell'ultima parola da lui pronunciata, secondo la descrizione della Passione di Luca: Gridando a gran voce, disse: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" (23,46). il cammino che ci fa compiere mettendo ci in bocca la parola Padre: cammino di amore, di affidamento, di obbedienza, di perdono, di consegna della vita. Dicendo questa parola noi mettiamo in gioco la nostra vita e la nostra morte: Padre, nelle tue mani affido il mio spirito. La paternit di Dio, che ci viene donata nel battesimo, , come dicevo, puntuale e insieme perenne, e noi la riattualizziamo ogni

volta che entriamo in preghiera, sapendo che assume una forza particolare allorch prendiamo delle decisioni importanti. Il Signore in quel momento ci d, come dice san Tommaso d'Aquino, un supplemento di Spirito santo, quindi una nuova prova della sua paternit. Nella nostra vita dobbiamo affrontare tante situazioni di questo tipo: per esempio quando uno assume una responsabilit nuova di parroco, o diviene vescovo o superiore di comunit; o quando nel segreto compiamo un gesto di perdono, di misericordia, di fede, di speranza. Allora la paternit di Dio si manifesta in maniera fortissima. A concludere la riflessione, bello ripetere le parole di Pietro e di Paolo, che avevano compreso intimamente il mistero della figliolanza di Ges e nostra: Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Ges Cristo; nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Ges Cristo dai morti, per una speranza viva (1 Pt 1,3); e Paolo, all'inizio della seconda lettera ai Corinti: Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Ges Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione (1,3). * Matteo all' appellativo Padre aggiunge nostro, a sottolineare che una preghiera collettiva, comune, recitata insieme. Recitata in primo luogo dalla comunit dei figli di Dio, dei battezzati e - possiamo aggiungere - a nome di tutti i figli di Dio, quelli che Karl Rahner chiama cristiani anonimi perch, seguendo la propria coscienza, nella grazia dell' amore sono davvero figli, pur se non conoscono Ges. Cos invochiamo Padre con una moltitudine di persone sparse nel mondo. E lo diciamo in particolare con la nostra comunit, con quanti vivono con noi la quotidiana fraternit. Ancora, chiamandolo nostro affermiamo che Dio Padre di tutti coloro di cui abbiamo qualche responsabilit. Negli anni del mio servizio episcopale alla grande diocesi di Milano ero molto aiutato dalla certezza che Dio si curava di tutte e di ciascuna delle persone che mi erano affidate, che magari mi chiedevano preghiere e che io non potevo nemmeno ricordare. Anche oggi, ogni volta che dico Padre nostro affido a Lui tutte le persone che ho incontrato e le sento unite alla mia preghiera, tutte ricordate nominai mente davanti al Padre.

Egli , infine, Padre di tutte le creature umane, perch tutte chiamate a diventare figli di Dio. Recitando Padre nostro sentiamo vicini buddhisti, musulmani, non credenti, qualunque sia la loro condizione esistenziale. In questo modo la nostra preghiera si allarga e abbraccia tutti. * Ci soffermiamo ora sul che sei nei cieli. una espressione che pu avere molti significati. Il rapporto cielo-terra evocato nei vangeli pi di quanto non si pensi: Tutto quello che legherete sopra la terra sar legato anche in cielo (M t 18,18); Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che nel cielo ve la conceder (v. 19); Tutto ci che voi farete nel segreto, il Padre che nei cieli lo vedr e ricompenser (cf 6,4.6.18). E se cerchiamo un analogo riscontro nel Primo Testamento, possiamo leggere ad esempio nel primo libro dei Maccabei: Il cielo far succedere gli avvenimenti secondo quanto stabilito lass (3,60). Che sei nei cieli non dunque una semplice apposizione. Certamente serve per distinguere il Padre celeste da quello terreno, ma soprattutto invochiamo con queste parole il Padre che vive nel mondo della trascendenza, nel mondo definitivo, nel mondo delle cose che non passano mai pi; quel Padre che vive nella luce perenne, in cui non c' pi ambiguit, non c' pi insicurezza, non c' pi peccato. Il cielo pure il luogo della ricompensa dove la volont di Dio si compie pienamente, in maniera perfetta. Questo aspetto della preghiera mi ha sempre colmato di grande pace. Di fatto non siamo mai in una situazione chiara, viviamo sempre rasentati, sfiorati, talvolta coinvolti dal compromesso; la nostra una situazione oscura, maligna, in cui non si sa mai bene se operiamo davvero secondo il Vangelo oppure no; siamo ogni giorno a rischio di ambiguit. Dicendo Padre nostro che sei nei cieli, confessiamo per che c' un luogo dove tutto chiaro, luminoso, limpido, dove tutto giusto e vero. Se ci guardiamo intorno, siamo come affaticati, appesantiti e talora oppressi, dal cumulo di ingiustizie che ci circondano e delle quali, volere o no, siamo parte; proclamando Padre che sei nei cieli affermiamo che

c' una situazione in cui non c' pi ingiustizia, n lacrime, n amarezze, n incomprensione, n malinteso, e tutto chiarezza, bellezza, purit. L'invocazione iniziale del Padre Nostro dunque capace di nutrire, sostenere, confortare il nostro animo. Per la preghiera Quali piste di preghiera ci vengono suggerite dalla prima domanda? Alcune le ho gi indicate e le riassumo riferendomi ai vangeli, in particolare al Discorso della montagna. - Ci suggerita per esempio la linea dell'abbandono e della fiducia: Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenser (M t 6,6); quel Padre a cui non sfugge nulla dei nostri sacrifici, della nostra gratuit, delle nostre umiliazioni segrete, del silenzio che talora dobbiamo conservare a nostro danno per non coinvolgere altri. il Padre che ricompensa tutto e al quale ci abbandoniamo in maniera fiduciosa e totale. quel Padre che, secondo l'insegnamento di Pietro, ha cura di noi: Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, perch vi esalti al tempo opportuno, gettando in lui ogni vostra preoccupazione, perch egli ha cura di voi (1 Pt 5,6-7). Il Padre conosce dunque i nostri bisogni prima che lo preghiamo. Giorni fa mi sono ritrovato con una ventina di religiose, che avevo guidato 30 anni fa nel cammino verso i voti definitivi; ci siamo ritrovati nel desiderio di rileggere sinteticamente il tempo trascorso. Personalmente mi sono servito di una formula molto semplice: in questi 30 anni Dio Padre ha avuto cura di me, molto pi di quanto non potessi prevedere o richiedere o esigere; quindi continuer ad avere cura di me. la linea dell' abbandono, dell' assenza di ogni preoccupazione: Gettate in lui ogni vostra preoccupazione, perch egli ha cura di voi. - C' poi la linea dell'affidamento di tutte le persone che amiamo e di tutte le situazioni che ci opprimono. Vivendo nel Medio Oriente, a

Gerusalemme, sono testimone quotidianamente di situazioni di violenza, di oppressione, e non si sa davvero come uscire dallo smarrimento, ci si trova bloccati, coinvolti, legati, confusi. Eppure l'invocazione Padre nostro che sei nei cieli invita a dire: Signore, tu sai il significato di tutto ci che accade e darai ragione a chi ha ragione e farai giustizia a chi chiede giustizia. Interroghiamoci allora seriamente sulla nostra capacit di vivere almeno in parte i suggerimenti che ci vengono dalla parola Padre; interroghiamoci se prevale in noi l'ansiet o la pace. Certo abbiamo tanti motivi per essere ansiosi; tuttavia se prevale in noi, quale sentimento di fondo, l'ansiet, vuol dire che non diciamo con verit la parola Padre. Se la diciamo sul serio prevale in noi un sentimento di pace profonda. Cos pure domandiamoci se prevale in noi la tristezza o la gioia. Se prevale in noi la tristezza, l'amarezza, il pessimismo, lo scetticismo, magari il pessimismo sulla situazione della Chiesa, della societ, vuol dire che non ci affidiamo sul serio a Dio Padre, perch Lui che ha cura di tutto, Lui che . conosce e sa mettere in ordine tutto, Lui che sa riportare tutti a casa. La pace, la fiducia, la gioia, l'abbandono sono sentimenti che ci mettono sulla via del Vangelo. Non a caso il Padre Nostro stato definito una sintesi del Vangelo.

Spirito e Parola (omelia) I testi liturgici di questo giorno toccano due temi che abbiamo detto essere nodali del nostro Ritiro: il tema dello Spirito e quello della Parola. La dolcezza nel credere Fratelli, lo Spirito scruta ogni cosa, anche le profondit di Dio. Chi conosce i segreti dell'uomo se non lo spirito dell'uomo che in lui?

Cos anche i segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ci che Dio ci ha donato. Di queste cose noi parliamo, non con un linguaggio suggerito dalla sapienza umana, ma insegnato dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali. L'uomo naturale per non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non capace di intenderle, perch se ne pu giudicare solo per mezzo dello Spirito. L'uomo spirituale invece giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno. "Chi infatti ha conosciuto il pensiero del Signore in modo da poterlo dirigere?". Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo (1 Cor 2,1016). Ricordiamo anzitutto che abbiamo definito gli esercizi come ministero dello Spirito e dell'immediatezza, perch lo Spirito, secondo la parola di Paolo che ci raggiunge oggi, scruta le profondit di Dio e le profondit del nostro cuore. lui che favorisce il contatto immediato del Mistero indicibile, ineffabile, sovrumano, con la nostra piccola storia. E l'Apostolo continua: Noi abbiamo ricevuto lo Spirito di Dio per conoscere tutto ci che Dio ci ha donato. Ci ha donato la sua paternit e con la paternit la vocazione cristiana e successivamente la vocazione sacerdotale e religiosa, la vocazione a diversi tipi di servizio, e anche la vocazione alla croce e alla sofferenza. Di tutto questo lo Spirito ci parla. L'epistola di Paolo ci insegna che l'uomo spirituale giudica ogni cosa, dal momento che ha la percezione, il gusto, la sapienza, la

sensibilit che gli permettono di capire ogni realt fino in fondo. L'uomo naturale, al contrario, non comprende le cose dello Spirito di Dio; se si sforza di farlo, si accorge che sono al di sopra e al di l della sua esperienza e arriva a dire: roba dell' altro mondo! Pu succedere in noi che a un certo momento, allontanandoci dal clima della preghiera, dal clima della fede, dall' atmosfera di apertura alle realt celesti, non comprendiamo pi la voce dello Spirito. Entriamo allora in una tentazione grave contro la fede: quasi ci sembra di ragionare con gli occhi dell'incredulo e la situazione del credente ci appare follia. Soltanto la forza dello Spirito - attinta nella preghiera perseverante, nella pratica fedele dei sacramenti, nel dominio di s - ci ricolloca nella verit della vita di fede. rischioso entrare nella situazione che Paolo chiama naturale, psichica, perch si perde quella sensibilit delicata, acuta, tenera, rispettosa che i Padri della Chiesa chiamavano il pius credulitatis affectus, quella dolcezza nel credere che ci fa percepire le cose spirituali come reali. Quando invece entriamo nell' atmosfera mondana, profana, secolarista, tutto ci appare fumoso e nebuloso. Purtroppo noi siamo particolarmente soggetti a tale tentazione, perch siamo alla frontiera tra due mondi: viviamo nel mondo delle cose di Dio, e nello stesso tempo ci troviamo a contatto col mondo delle realt quotidiane e profane. Se non abbiamo chiaramente determinato la nostra posizione, veniamo sballottati dall'una all' altra delle due situazioni e il nostro giudizio rimane incerto, offuscato, spesso appiattito. La tentazione di ateismo e di non credenza sempre alla porta. Sappiamo che santa Teresa di Ges Bambino ha vissuto l'ultimo anno della sua vita in una terribile prova di non credenza, vedeva e giudicava le cose come le vede e giudica il non credente. E ha avuto la grazia di perseverare nella fede malgrado tutto. Componeva anche negli ultimi mesi di vita canti molto belli e semplici poesie ricche di fede. A chi le chiedeva come poteva farlo in mezzo a tante tentazioni e oscurit, mentre il cielo le appariva angosciosamente chiuso, rispondeva: Canto ci che voglio credere. In lei la fede era diventata una forza di volont sostenuta dallo Spirito. Gli esercizi sono un' apertura, un' esercitazione per dare spazio allo

Spirito. Ci permettono di accoglierlo, come un bambino accoglie il Regno; ci permettono di dargli ragione, di accettarlo e seguirlo, per ritrovare a poco a poco la visione complessiva nella quale respiriamo con serenit. E allora non siamo pi a met atei e a met credenti, ma credenti nel cuore. La forza della Parola In quel tempo, Ges discese a Cafarnao, una citt della Galilea, e il sabato ammaestrava la gente. Rimanevano colpiti dal suo insegnamento, perch parlava con autorit. Nella sinagoga c'era un uomo con un demonio immondo e cominci a gridare forte: "Basta! Che abbiamo a che fare con te, Ges Nazareno? Sei venuto a rovinarci? So bene chi sei: il Santo di Dio!". Ges gli intim: "Taci, esci da costui!". E il demonio, gettatolo a terra in mezzo alla gente, usc da lui, senza fargli alcun male. Tutti furono presi da paura e si dicevano l'un l'altro: "Che parola mai questa, che comanda con autorit e potenza agli spiriti immondi ed essi se ne vanno?". E si diffondeva la fama di lui in tutta la regione (Lc 4,31-37). Gli esercizi sono anche - ce lo richiama la seconda lettura - un' apertura alla Parola, alla Parola forte ed efficace. La Parola di Ges non semplicemente di interpretazione e commento dei testi sacri, come poteva essere quella dell'insegnamento rabbinico. Egli parla a nome di Dio. Noi siamo ancora oggi sotto l'influsso della Parola. la Parola del battesimo che ci fa figli; la parola eucaristica, che ci fa prendere decisioni importanti nelle quali coinvolta la nostra intera esistenza e perennemente legata alla fedelt di Ges. la Parola che scaccia da noi il demonio e il mondo. Non detto che sia un demonio impuro; pu esserlo, ma in genere la Parola forte quando entriamo nello smarrimento, nella turbolenza mentale e nella confusione. Allora ci rianima, ci ricrea, ci rigenera, come dice

Pietro: siete rigenerati da una Parola viva (cf 1 Pt 1,23). Quante volte abbiamo fatto l'esperienza, quante volte io ho fatto l'esperienza che la Parola mi rid coraggio, mi rilancia, mi rimette le cose in chiaro, mi riordina la mente, mi d un orizzonte nuovamente aperto! Gli esercizi sono un lasciar risuonare in noi la Parola, con la forza dello Spirito. Chiediamo in questa Eucaristia di poter essere aperti alla grazia dello Spirito e della Parola, una Parola che - dobbiamo sempre ricordarlo - si rivela nella sua verit allorch si comincia a metterla in pratica. E del Mistero stesso di Dio riusciamo a cogliere qualcosa quando, intuendo che dinamismo, azione, dono, rinuncia, servizio, accettiamo di entrare in questa dinamica e di sintonizzarci con la vita di Dio che dedizione senza limiti. Allora il Mistero ci ritorna chiaro, altrimenti resta un concetto che annega nel mare delle obiezioni filosofiche. L'Eucaristia appunto dono senza limiti che ci dato di conoscere e di accogliere.

III MEDITAZIONE Sia santificato il tuo nome Riprendiamo brevemente il tema della meditazione di questa mattina, per introdurci nella riflessione sulla successiva invocazione: Padre, sia santificato il tuo nome. Il padre Michel Ledrus si serve di due o tre formule che mi pare esprimano bene quanto abbiamo tentato di spiegare commentando la parola Padre. Anzitutto il termine "Padre" era per i Greci e per i Romani un titolo di onore per la divinit, piuttosto che un richiamo a una tenerezza patema. Invece, nominando Dio suo "Padre", il cristiano attesta la remissione dei peccati, la giustizia e la santit recuperate per effetto della redenzione; l'adozione filiale, l'eredit eterna e la condotta dello Spirito gratuitamente

donate (op. cit" pp. 18-19). Questo il senso cristiano dell' invocazione pronunciata nello Spirito di Ges Cristo. E continua: L'esclamazione "Padre" esprime, quindi, la misteriosa, intima conoscenza di Dio, posseduta dal fedele che recita il Padre Nostro sotto l'azione dello Spirito santo (ivi, p. 20); Monstra te esse Patrem: manifesta che sei Padre! "Dimostraci, Signore, la tua misericordia!" (Sal 84,8). Tutte le lodi di Dio si concentrano nella parola "Padre". L'opera di Cristo si riassume nella manifestazione della paternit di Dio: "Ho manifestato il tuo nome agli uomini" (Gv 17,6) (ivi, pp. 21-22). Queste formule ci aiutano a considerare la seguente espressione del Padre Nostro - Sia santificato il tuo nome -, che sempre meditiamo nello spirito del Principio e fondamento, di quel principio su cui si fonda tutta la dinamica degli Esercizi ignaziani e tutta la dinamica della vita cristiana. "Santo" il tuo nome La formulazione rara, un po' strana, e non la usiamo nella predicazione e forse nemmeno nella nostra preghiera, all'infuori del Padre Nostro. Avremmo preferito probabilmente al verbo greco agiasthto, sia santificato, un altro verbo, col quale ci sentiamo pi a nostro agio, ed il verbo doxzo (glorificare). Appare ampiamente nell'ultima preghiera di Ges, secondo il vangelo di Giovanni, e possiamo comprendere molto bene il significato: Padre, giunta l'ora, glorifica il Figlio tuo, perch il Figlio glorifichi te (17,1); Io ti ho glorificato sopra la terra, compiendo l'opera che mi hai dato da fare (v. 4); E ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse(v. 5); Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie, e io sono glorificato in loro (v. 10); E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perch siano come noi una cosa sola (v. 22); Padre, voglio che quelli che mi hai dato, siano con me dove sono io, perch contemplino la mia gloria,

quella che mi hai dato; poich tu mi hai amato prima della creazione del mondo (v. 24). Ci saremmo trovati meglio filologicamente se anche nel Padre Nostro fosse stato usato appunto il verbo doxzo: Padre, glorifica il tuo nome, o: Sia glorificato il tuo nome. Il verbo agizo (agiasthto) certamente pi misterioso, pi rude, pi difficile da penetrare. Tuttavia importante per noi capire il senso di questa invocazione, e vogliamo pregare il Padre dicendo: Il tuo nome grande, il tuo nome glorioso. Donaci di penetrare nell'intenzione del tuo Figlio quando ha messo sulle nostre labbra la domanda sia santificato il tuo nome. Chiediamo alla Vergine Maria, che aveva una percezione profonda del mistero della santit del Nome di Dio, di illuminare la nostra mente e il nostro cuore, cos da cogliere gli atteggiamenti che questa domanda vuole suscitare in noi e intravedere il cammino cristiano che ci invita a compiere. Evocando la figura di Maria, viene alla mente il suo cantico, il Magnificat, l dove ella canta con gioia: Grandi cose ha fatto in me l'onnipotente / e Santo il suo nome (Lc 1,49). La percezione della santit del Nome di fatto tipicamente anticotestamentaria e per questo citer pi avanti alcuni passi dei profeti. Ci richiesto di entrare nella mentalit del Primo Testamento, poich l'invocazione sia santificato il tuo nome sta sul crinale tra il Primo e il Secondo Testamento. una parola che gli Ebrei comprendono quasi meglio dei cristiani, e Ges ce la mette nel cuore e sulle labbra perch vuole che ci radichiamo nel Primo Testamento. Mi propongo dunque di fare una lectio, domandandoci che cosa significa il Nome e che cosa significa sia santificato il tuo nome; successivamente vi offrir qualche spunto per una breve meditatio, un'applicazione: quali sono gli atteggiamenti che tale preghiera ci suggerisce? Una suggestiva polivalenza di significati Non stupiamoci se non avremo risposte precise alle nostre domande, perch il Padre Nostro una preghiera ricca, intensa,

brevissima, densissima, dai molti significati. Ovviamente di natura sua la preghiera non una formula matematica ed possibile coglierne sensi diversi, che probabilmente sono tutti validi. 1. Lo vediamo gi considerando la parola nome. Sappiamo dal Primo Testamento che il tuo Nome significa la tua persona, la tua potenza, il tuo essere, la tua realt. Per rimane da chiederci: si intende che Dio sia riconosciuto come Dio - e ne viene, secondo la parola di Mt 22,21, il comando: Rendete a Dio quello che di Dio? Oppure: Sia santificato il tuo nome di Padre, cio che tutti ti riconoscano non solo come Dio, ma come Padre, tenero, amante, misericordioso, che invia il Figlio per il perdono dei peccati? Che tutti riconoscano la tua grandezza, la tua potenza, la tua infinit, la tua trascendenza? Oppure che tutti riconoscano in particolare la tua bont, la tua condiscendenza, il tuo interesse per l'uomo? Probabilmente si intende l'uno e l'altro significato. Personalmente opterei per l'insistenza: sia santificato il tuo nome di Padre, cio che Tu sia riconosciuto come Colui che ama, conforta, perdona, come Colui che, secondo la parabola del figlio prodigo, aspetta, va incontro, abbraccia, mette la veste nuziale, d il grande banchetto (cf Lc 15,11-32). La preghiera non lo dice e sta a noi approfondire l'uno o l'altro aspetto. 2. E che cosa significa sia santificato? Ho gi detto che un' espressione strana e curiosa. * Pu essere una semplice dossologia (Padre, benedetto sia il tuo nome, venga il tuo Regno), una specie di apposizione, un intercalare come si ritrova spesso nelle preghiere ebraiche. Non ritengo comunque probabile tale ipotesi. Potremmo pure rifarci alla berakha, un genere letterario comune nell' ebraismo. Di fatti quando ci si incontra o si invita un ospite, si dice: baruk ha ba', benedetto colui che viene; e alla domanda: come stai? si risponde: bene, baruk ha shem, benedetto sia il Nome. L'uso della berakha, del benedire Dio, ha poi la sua applicazione in tanti altri aspetti della vita: c' la berakha prima del pasto, quella che Ges ha pronunciato sul pane e sul vino, detta la preghiera di benedizione; c' la berakha del dopo pasto, ecc.

Il concetto presente pure nel Nuovo Testamento. una berakha per esempio il saluto di Elisabetta a Maria: Eulogemne sy en gynaixn, e benedetto il frutto del tuo seno Ges (Le 1,42). Proprio qui vediamo che il verbo berek ha come corrispondente il verbo eulogin (eulogemne) e il termine euloga. Lo stesso Benedictus comincia con una berakha: Eulogets kyrios o thes tou Israel (Le 1,68). Un'altra forma di berakha la troviamo in Le 11,27: Una donna alz la voce di mezzo alla folla e disse: "Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!" . E ci sono almeno due lettere del Nuovo Testamento che cominciano con una berakha. La seconda lettera ai Corinti: Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Ges Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione v. 3; la lettera agli Efesini: Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Ges Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo v. 3. In ogni caso, il genere letterario della berakha non mi sembra corrispondere pienamente alla prima invocazione del Padre Nostro sia santificato il tuo nome. * invece probabilmente una vera e propria domanda. E che cosa si chiede? Si possono intendere diverse cose. - Nello spirito del profeta Ezechiele, che usa pi volte questa formula, la domanda pu significare: Padre, agisci, intervieni nella storia in maniera che il tuo nome sia riconosciuto grande. Il profeta chiede un intervento di Dio che faccia sbalordire la gente ed esclamare: Dio davvero grande! Santificher il mio nome grande, cio mi manifester con opere tali da far stupire, da far lodare il mio nome disonorato tra le genti, profanato da voi in mezzo a loro. Voi, col vostro comportamento avete fatto s che le genti disprezzassero il mio nome; ora io ne mostrer la grandezza. Allora le genti sapranno che io sono il Signore - parola del Signore Dio - quando mostrer la mia santit in voi davanti ai loro occhi (cf Ez 36,21 ss.). Sia santificato il tuo nome un passivo teologico, cio: Tu santifica il tuo nome, intervieni in questo mondo cos oscuro, cos confuso, cos violento, cos cattivo; intervieni per mostrare che ci

sei, che sei giusto, che sei santo, che hai in mano le sorti della storia. Ezechiele sottolinea addirittura una serie di sette interventi santificatori di Dio: Vi prender dalle genti, vi raduner da ogni terra e vi condurr sul vostro suolo. Vi asperger con acqua pura e sarete purificati; io vi purificher da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; vi dar un cuore nuovo, metter dentro di voi uno spirito nuovo, toglier da voi il cuore di pietra e vi dar un cuore di carne. Porr il mio spirito dentro di voi e vi far vivere secondo i miei statuti e vi far osservare e mettere in pratica le mie leggi. Abiterete nella terra che io diedi ai vostri padri (vv. 24-28a). Tutti interventi che ricostituiscono Israele disperso e che perci glorificano Dio; sette interventi conclusi dalla formula dell' alleanza: Voi sarete il mio popolo e io sar il vostro Dio (v. 28b). Ancora oggi il popolo ebraico vive di questa speranza e la presenza in Israele di milioni di Ebrei radunati da tutte le genti vista come un intervento glorioso di Dio che ama sempre il suo popolo. intressante rileggere anche Is 29,22-23: Pertanto, dice alla casa di Giacobbe il Signore / che riscatt Abramo: / "D'ora in poi Giacobbe non dovr pi arrossire / il suo viso non impallidir pi, / poich vedendo il lavoro delle mie mani tra di loro, / santificheranno il mio nome, / santificheranno il santo di Giacobbe / e temeranno il Dio di Israele". Penso perci che nell' espressione sia santificato il tuo nome siamo di fronte proprio al vocabolario della santificazione, della santit, del kadosh, del Santo. Mi pare che in italiano si tradurrebbe al meglio con la parola trascendente: che sia riconosciuta la trascendenza di Dio, che Dio sia riconosciuto come trascendente e che egli compia nella storia opere per cui gridino tutti: Dio grande! A questo punto mi rifaccio di nuovo allo studio di padre Ledrus. Egli contrario all' opinione di molti, tra i quali Schrman, secondo cui il Padre Nostro contiene un'unica invocazione - venga il tuo Regno - e attorno ad essa si collocano tutte le altre. In un certo senso vero. Ma la stessa domanda venga il tuo Regno sottoposta alla precedente: che il nome di Dio sia glorificato e benedetto, che Egli sia riconosciuto nella sua trascendenza, nella sua santit, come Padre.

Leggo dal testo: "Padre, sia santificato il tuo nome" (Le 11,2). Questa versione di san Luca mostra come la prima aspirazione ("sia santificato il tuo nome") legata all'in'vocazione del Padre, mentre nello stesso tempo si distacca dall' aspirazione successiva e da tutte le domande che seguono, che saranno comunque riferite a questa medesima esaltazione di Dio (op. cit., p. 33). Dunque in primo luogo sia santificato il tuo nome e per questo venga il tuo Regno, sia fatta la tua volont, si adempiano alcune condizioni necessarie quali il pane quotidiano, il perdono, la liberazione dalle tentazioni e dal male. Questa espressione innalza la preghiera al livello di un inno eucaristico, la carica di toni di giubilo. Cos affiorava anche sulle labbra di Cristo che, con gli occhi alzati verso il cielo, pregava "Padre santo" (Gv 17,11); "Il tuo nome" vuol dire la tua Persona; non solo come determinazione, ma anche come manifestazione di potenza, di onnipotente misericordia (cf Is 59,19: "nome-gloria"; Zac 14,9: "il tuo nome sar unico"). Significa Dio cos come si rivelato e come si manifesta nel suo disegno di salvezza, e quindi cos come da noi conosciuto nella fede mediante la comunicazione della conoscenza per ora oscura che Dio ha dato di s. Santificato vuol dire: Dio sia esaltato, riconosciuto come incomparabile (trascendente); Dio sia glorificato nell' attuazione del suo disegno di amore: "10 ho loro reso noto il tuo nome, e lo render noto ancora, affinch l'amore col quale tu hai amato me sia in loro e io in loro" (Gv 17,26). L'interesse sommo del Cristo, la passione unica del suo cuore era Dio, Dio solo; questi li trasmise ai suoi discepoli anche nella preghiera che loro insegn; cos che prima di morire pot dire: "Padre, ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato" (Gv 17,6).

Ges venuto a insegnarci a "santificare il nome di Dio", cio a trattare Dio come Dio, a non trattare come Dio nient' altro che Dio e la sua gloria, ad amarlo di un amore sommo ed esclusivo, a esaltarlo al di sopra di tutto e specialmente al di sopra di noi stessi, a non metterlo mai nel nostro cuore in competizione con un bene terreno, a essere entusiasti di lui. La sicurezza e la fiducia che Ges riesce a comunicard, insegnandoci a pregare cos, ci fa presentire che questo desiderio gi esaudito, nel senso che Dio sta gi manifestando la sua misericordia e la sua gloria nel mondo e sta gi portando a compimento il suo disegno di salvezza. In ultima analisi, Dio solo autore della propria glorificazione e chi prega cos come Ges ha insegnato sa di esserne partecipe e ne desidera il compimento in s e in tutti, oggi, e soprattutto nella manifestazione regale che egli far di se stesso alla fine del mondo (cf Ez 36,23) (ivi, pp. 33-34). Ricordo infine che qualcosa di simile presente anche in Gv 12,2728, col verbo doxzo, tipico, come abbiamo visto dell' evangelista: "Ora l'anima mia turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome". Venne allora una voce dal cielo: "L'ho glorificato e di nuovo lo glorificher!". Intervieni, o Padre! Qui si parla di quella glorificazione che la morte di Ges e la sua risurrezione. Il Padre santificato in Cristo risorto. E forse Ges quando andava al Giordano per farsi battezzare pregava gi per la santificazione di Dio Padre. In ogni caso, nella domanda del Padre Nostro la formula rimane passiva e non esplicita questo contenuto. - possibile allora un' altra sfumatura di significato: l'auspicio che noi lodiamo il nome di Dio. L'invocazione sia santificato il tuo nome intesa da molti cristiani come il proposito di dare lode al nome di Dio e di non bestemmiarlo. Dunque: Sia santificato il tuo nome da noi uomini.

quell'onore dovuto a Dio di cui parla il profeta Malachia: Il figlio onora suo padre e il servo rispetta il suo padrone. Se io sono il padre, dov' il timore che mi spetta? Se sono il padrone, dov' il timore di me? Dice il Signore degli eserciti, a voi, sacerdoti che disprezzate il mio nome (1,6), sacerdoti che non agiscono secondo le leggi di Mos e quindi non onorano Dio. Pi profondamente, l'uomo pu, entrando in comunione con Ges, santificarsi e dunque santificare il nome di Dio con la propria vita. Ce lo suggerisce un passo significativo del vangelo di Giovanni, in cui - pur se la versione italiana ha consacrare invece di santificare occorre lo stesso verbo agizo del Padre Nostro: Consacrali (agason) nella verit... Per loro io consacro (agizo) me stesso, perch siano anch'essi consacrati (sin egiasmnoi) nella verit (17,17-19), rendendo cos testimonianza della santit di Dio. La formula semplicissima sia santificato il tuo nome resta, come vi accorgete, un po' misteriosa, mette insieme significati diversi, intendendo sia l'azione di Dio come l'azione dell'uomo: intervieni, manifestati; e: fa' che anche noi ti lodiamo, ti glorifichiamo, santifichiamo il tuo nome. Sta a ciascuno di noi, quando recitiamo il Padre Nostro, lasciarci trascinare dallo Spirito, gustando l'uno o l'altro contenuto della supplica. I nostri atteggiamenti E ora, nella meditatio e nella contemplatio tento di rispondere alla domanda che ci eravamo prefissi: quali atteggiamenti suggerisce, sostiene, promuove, comporta il pronunciare queste parole? Chi prega cos che cosa sente nel cuore quando le ripete? - Penso anzitutto che debba venire spontaneo il senso della lode e del ringraziamento a Dio. Viene alla mente il momento precedente la risurrezione di Lazzaro, l dove Giovanni riporta: Ges allora alz gli occhi e disse: "Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. lo sapevo che sempre mi dai ascolto" (11,41). necessario che chi prega abbia nel cuore questa tonalit di costante ringraziamento, quella tonalit fatta propria da san Paolo nelle sue epistole. Richiamo per esempio l'inizio della lettera ai Colossesi: Noi rendiamo continuamente grazie a Dio, Padre del Signore nostro Ges Cristo, nelle nostre preghiere per voi (1,3).

un versetto che mi colpisce, perch ho conosciuto pochi preti capaci di ringraziare Dio per la loro comunit. Ne ho conosciuti molti che, al contrario, si lamentavano: la gente non risponde, non ascolta, non frequenta. I motivi del loro disagio erano reali, ma io dicevo loro: il fatto che la tua comunit esista gi un miracolo di Dio; il fatto che viva la fede evangelica, battesimale, in un mondo incredulo e pagano, un miracolo di Dio. Quindi in primo luogo ringrazia il Signore per questo. l'atteggiamento che avevano gli apostoli: rendere lode a Dio che ti ha chiamato alla fede. Siamo molto peccatori, molto imperfetti, estremamente negligenti, e per abbiamo un dono straordinario, che diffuso nel popolo cristiano: la fede e la speranza. Vorrei che ogni sacerdote fosse cordialmente grato al Signore per s e per i suoi fedeli pregando cos: ti rendo grazie, o Padre, perch hai chiamato questi tuoi figli e figlie dalle tenebre dell'ignoranza alla conoscenza di Te che sei Amore. Il ringraziamento per tutto ci che il Signore fa con amore per noi mi pare sia l'atteggiamento sottostante all'invocazione sia santificato il tuo nome, che pu sgorgare dalla consapevolezza dei doni di Dio e che sa abbondare nelle benedizioni, come recita la lettera agli Efesini: ... rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Ges Cristo (5,20). Coltivare tale atteggiamento che ci fa innalzare il cuore a Dio cosa molto sana, e purtroppo poco presente nelle nostre comunit cristiane, che di solito, almeno in Occidente, sono lamentose, sono ripiegate su di s, sono sempre pronte a guardare ci che non va. Chi ha letto i miei libri di esercizi degli anni trascorsi, sa che di solito insisto su questo anche per quanto concerne il colloquio penitenziale; occorre iniziare il colloquio penitenziale con un rendimento di grazie a Dio, con una lode al Signore per ci che ha fatto per me dall'ultima confessione. Quando mi capita di confessare e la gente comincia a sciorinare i propri peccati, interrompo subito e chiedo: ma lei non ha niente di cui ringraziare Dio? E mi sento rispondere: s, vero, avrei alcune cose. D'un tratto cambia l'atmosfera, cambia la disposizione interiore. . Un atteggiamento, questo della lode, che troviamo non solo nelle ultime epistole di Paolo, ma pure nella primissima, quella ai Tessalonicesi: Siate sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie; questa infatti la volont di Dio in Cristo Ges

verso di voi (5,16-18). quanto richiama, mi pare, l'invocazione del Padre Nostro che ci invita a lodare Dio, a rendere grazie, a volere che il Padre sia benedetto per la sua grandezza e che essa appaia e si manifesti con chiara evidenza. Ci interroghiamo: il ringraziamento il tono di fondo della mia vita? Quando mi sveglio al mattino il mio primo pensiero si rivolge al Padre: grazie, o Signore, perch sei cos grande e buono, perch mi hai amato e conservato in questa notte? E alla sera ringrazio per i doni ricevuti? - Seconda linea di approfondimento. Da quanto abbiamo detto cercando di spiegare questa parola, appare che la santificazione del nome anzitutto opera di Dio, Lui che glorifica il suo nome. Ne segue che siamo invitati ad affidargli la cura della sua gloria. Non siamo noi a doverla gonfiare, Lui stesso che se ne preoccupa e noi chiediamo che la manifesti. Qualche volta noi ci comportiamo come se la sua gloria dipendesse da noi. Ricordo che un illustre teologo di Milano, mons. Pino Colombo, diceva ironicamente che talora sembriamo voler praticare la respirazione artificiale a Ges Cristo per farlo risorgere! un errore grave, perch lui la vita, la risurrezione, la gloria. - Un terzo atteggiamento molto importante proprio di chi realisticamente considera che la gloria di Dio molto calpestata nel mondo, soprattutto l dove calpestata la dignit umana, e questo accade un po' dovunque. Nasce di qui la preghiera di intercessione, affinch le situazioni di ambiguit e di apparente silenzio di Dio siano superate; e ci concessa allora un po' di lamentela, come del resto troviamo nei salmi: dov', Signore, la tua gloria? Dove sei? perch ti nascondi, perch non ti riveli, perch non ti manifesti? Tuttavia tale interrogazione va fatta nel quadro della gioia e della fiducia che prima abbiamo descritto. Molti pii Ebrei anche nei momenti pi neri della loro storia hanno saputo e sanno ancora oggi pregare cos: tu, Signore, ti nascondi; tu, Signore, sembri silenzioso. Mostra la tua gloria! Dove sei, Signore? Fa' che Ti

vediamo, fa' che tutti riconoscano che Tu sei il nostro re, che hai cura di noi, che non ci hai abbandonato. Dunque, se abbiamo assunto bene il senso profondo della lode di Dio, possiamo anche entrare nella lamentela con Lui, ma nello spirito e nell' atteggiamento di fede e di intercessione.

IV MEDITAZIONE Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori La notizia delle stragi che hanno funestato la giornata di ieri, gli attentati in Israele, a Mosca e in Irak, mi spingono a porre una considerazione sul contesto nel quale viviamo questi giorni di esercizi. Il contesto degli esercizi Anzitutto c' un contesto biografico, al quale vi ho chiesto di riflettere con le due domande: come entro negli esercizi? come vorrei uscirne? Tale contesto si colloca, come sappiamo, nel quadro ecclesiale, quello della mia diocesi, della mia comunit, della mia Chiesa locale, della Chiesa universale. E quindi nelle nostre preghiere dobbiamo sempre tenere presenti tali realt. Il terzo ambito quello socio-politico generale, caratterizzato da tre fenomeni: le convivenze dirompenti, la prevalenza degli interessi di gruppo, l'assurdit del male. - Innanzitutto le convivenze dirompenti. Oggi sempre pi necessaria la conversione alla convivenza delle diversit e dei diversi, senza ghettizzarsi n distruggersi a vicenda, e anche senza soltanto tollerarsi. La tolleranza infatti ancora poco; una soluzione che pu sembrare ottimale, ma non basta. Occorre una convivenza nella quale siamo capaci di fermentarci a vicenda, e non necessariamente nel senso proselitistico del termine: tu ti convertirai alla mia religione, alla mia cultura e allora faremo unit. Tale orizzonte di evangelizzazione resta fondamentale per il cristianesimo, tuttavia deve ancor prima realizzarsi la possibilit di stare vicini da diversi, facendo s che con il mio modo di vivere

approfondisca la mia autenticit e aiuti l'altro ad approfondire la sua, a trovare la parola che il Signore gli dice nel profondo del cuore, sia essa una parola religiosa o non religiosa. certamente utile il dialogo tra religioni, ma non lo ritengo tanto importante. Le religioni sono di natura loro un sistema fisso, codificato e al massimo si scambiano delle cortesie, delle informazioni, dei chiarimenti per evitare malintesi, ma rimangono tali e quali. Vediamo del resto che nei numerosi incontri di dialogo interreligioso sono sempre presenti le stesse persone che viaggiano da un continente all' altro per dire la loro volont di pace e tenere qualche discorso. Non per sufficiente. Bisogna - ripeto - imparare a convivere fermentandoci a vicenda, vivendo ciascuno la propria autenticit, rispettando quella dell' altro e facendo in modo possibilmente che anche l'altro sia stimolato a un cammino di maggiore autenticit rispetto alla propria tradizione e religione. In questa prospettiva ci occorre dunque una forte autenticit, non tanto come identit socio-culturale, socio-religiosa, bens come identit evangelica, perch il Vangelo in qualche modo sopraconfessionale. Il Discorso della montagna, per esempio, non ha nessuna etichetta confessionale, rinnova l'esistenza umana come tale e pu valere per chiunque. Concludo: le situazioni di convivenze dirompenti che vediamo nel mondo - dalla Terra santa, alla Bosnia, al Ruanda, al Sudan - sono la dimostrazione della necessit di imparare a convivere tra diversi; in caso contrario non sopravviveremo come umanit. - Il secondo fenomeno consiste nel fatto che nel contesto sociopolitico prevale un' attenzione agli interessi di gruppo. Nelle nostre regioni, e ancora pi in altre regioni del mondo, il senso del bene comune molto debole. C' il bene della famiglia, il bene del clan, che in certi Paesi come una corazza d'acciaio, e si arriva a uccidere quando le leggi interne non vengono rispettate e quindi si disonora la famiglia. Anche se vero che lo spirito di clan pu avere elementi positivi, pu costituire una difesa all'interno di una societ anarchica o autoritaria. Tuttavia noi dobbiamo camminare verso un mondo in cui il bene comune il primo valore: non solo il bene del gruppo, dell' etnia, e

nemmeno pi soltanto il bene di una nazione, bens il bene dell'umanit nel suo insieme. Per spezzare un contesto di interessi di gruppo, il cristianesimo ha moltissimo da dire, proprio perch propone un bene comune, concreto, uni-, versale. - Infine non dobbiamo dimenticare che tuttora viviamo immersi nell'assurdit del male. Non ci sono solo uomini e donne di buona volont che per caso, per sbaglio, per negligenza, compiono qualche errore; l'assurdit del male, del male gratuito, della crudelt voluta per se stessa, dell'idolo del successo, una realt. Di tale assurdit la croce di Cristo frutto ed dunque quanto mai attuale. Pur riconoscendo tante nobilissime tensioni di pacifismo, non dobbiamo mai dimenticare che questo il contesto nel quale viviamo. Su questo sfondo possiamo continuare la meditazione sul Padre Nostro. E dal momento che cerchiamo negli esercizi la volont di Dio nella nostra, vita, gli chiediamo: in un mondo drammatico, conflittuale, agitato da assurdit, come vuoi che operiamo? Domanda di perdono Abbiamo gi considerato, meditando il Padre Nostro, che possibile riferirsi al Principio e fondamento degli Esercizi. Ora vi propongo di entrare nella Prima settimana degli Esercizi che la settimana penitenziale, la cosiddetta via purgativa, nella quale riconosciamo i nostri peccati, il male che c' in noi, le nostre connivenze con la mondanit, le nostre debolezze, le nostre fragilit, per esserne purificati. Sant'Ignazio propone cinque meditazioni: la prima sui peccati nella storia della salvezza, la seconda sui peccati personali, la terza e la quarta come ripetizioni della prima e della seconda, cos da iscrivere nel cuore dell' esercitante quello che il Signore gli ha fatto comprendere; e la quinta sulla dannazione quale punto di arrivo del peccato. Noi ci lasciamo guidare dallo spirito di questa settimana, dove si soliti preparare la confessione sacramentale, in modo da viverla magari considerando tutto l'anno trascorso dagli ultimi esercizi. Il Padre Nostro ci pu aiutare. Invertendo l'ordine delle invocazioni,

ci soffermiamo sulla domanda: Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori e, nelle successive meditazioni, sulle parole e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Forse ci stupiamo di tanto spazio riservato al peccato nel Padre Nostro - su sette domande, tre riguardano il male e il peccato. Ges sa che la nostra vita insidiata, fragile, si svolge in un contesto di assurdit e di peccato e dunque ha bisogno continuamente di essere riscattata, difesa da tale situazione. Anche ogni comunit costantemente irretita dalla divisione, dal contrasto, dal conflitto. E Ges ce lo fa capire. Spesso noi ci meravigliamo di questo perch non abbiamo compreso a fondo il Padre Nostro, mentre Ges non se ne stupisce. Ricordo il titolo di un interessante libro di Jean Vanier: La comunit luogo del perdono e della festa. Anzitutto del perdono, in quanto la comunit luogo del peccato, noi dobbiamo insistentemente chiedere perdono per noi e perdonare a coloro che ci hanno offeso. Affrontiamo cos la domanda: Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. una richiesta molto importante, non solo per il fatto che siamo continuamente minacciati dal peccato, ma perch l'opera di Ges, il Regno anzitutto la liberazione dal peccato. Egli presentato cos dal vangelo di Matteo nella rivelazione dell'angelo a Giuseppe: Maria partorir un figlio e tu lo chiamerai Ges: egli infatti salver il suo popolo dai suoi peccati (1,21). La liberazione dal peccato parte integrante, sostanziale della sua missione. Per questo rimette a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo a nostri debitori. Vi propongo allora di soffermarci sull'invocazione del Padre Nostro anzitutto con una lectio e successivamente riflettendo sugli atteggiamenti che essa ci suggerisce. Perdono gratuito Consideriamo le singole parole. - L'evangelista Luca ha usato la parola pi usuale: E perdonaci i nostri peccati (11,4); tuttavia Matteo, la cui espressione , come abbiamo gi detto, pi arcaica e primitiva, recita: Rimetti a noi i nostri debiti (6,12), e non usuale.

Nella Bibbia ebraica come in quella greca ci sono tanti vocaboli per indicare il peccato, la trasgressione, la disobbedienza. Qui sceglie il concetto di debito; e ce ne domandiamo il motivo. Probabilmente perch il concetto di debito - ovviamente metaforico, in quanto non si tratta di debito di denaro - relazionale. Il concetto di peccato pu essere concepito con il solo riferimento alla legge: c' la legge e il peccato che la trasgredisce; c' il precetto e la deviazione dal precetto. Il debito invece sta a indicare una relazione con qualcuno. Parlando di debiti, Ges ci ricorda quindi che non si tratta semplicemente di nostre deviazioni, trasgressioni, sbagli, infrazioni alla legge, bens di rottura di relazione con lui. Perci questa parola a mio parere molto importante. Si pu anche tradurre giustamente peccato, ma intendendo il peccato appunto come la rottura della relazione con Dio. - Rimetti a noi i nostri debiti. Noi ci confessiamo incapaci di pagare questi debiti. Potremmo dire: ho dei debiti e prima o poi li pagher. Per i debiti che abbiamo con Dio non riusciamo a pagarli. Lo esprime chiaramente Matteo nella parabola del servo senza piet: Il regno dei cieli simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo per costui il denaro da restituire, il padrone ordin che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse cos il debito. Allora quel servo, gettato si a terra, lo supplicava: "Signore, abbi pazienza con me e ti restituir ogni cosa". Impietositosi del servo, il padrone lo lasci andare e gli condon il debito (18,23-27). Il padrone domanda anzitutto che il servo sia venduto, e dopo accoglie la supplica di misericordia e condona il debito. Il Padre Nostro suppone che noi siamo cos davanti a Dio: abbiamo debiti che non possiamo pagare, perch abbiamo rotto una relazione d'amore e non siamo in grado di ricostituirla con le nostre forze, se non ci viene gratuitamente ridata. Rimetti a noi i nostri debiti una domanda davvero nodale. Noi non conosciamo neppure l'entit dei nostri debiti. La parabola ci parla di diecimila talenti, ma se ci mettiamo di fronte a ci che il Signore ha fatto per noi, all' amore con cui ci ha abbracciato dall' eternit, ci ha seguito, ci ha voluto, ci ha sostenuto, allora il nostro debito non nemmeno

calcolabile, n solvibile se lui stesso non compie ancora un gesto di gratuit e ce lo condona. Essere perfetti come il Padre Come noi li rimettiamo ai nostri debitori (Mt 5,12). Luca riprende lo stesso vocabolario: perch anche noi perdoniamo a ogni nostro debitore. Gli esegeti si stupiscono dell' aggiunta, notando che rimetti i nostri debiti l'unica domanda non semplice. Le altre lo sono tutte: sia santificato il tuo nome, venga il tuo Regno, si compia la tua volont, dacci il pane. Qui si rompe lo schema unitario della preghiera e gli esegeti si chiedono se parte davvero della preghiera originaria insegnata da Ges. Tutto per fa capire che lo . Ed inoltre l'unica domanda a cui Ges pone una condizione, e ci chiama in causa. La versione greca ha un'espressione stranissima, su cui discutono gli esegeti: os ka emes "aphkamen" tos opheltais emn, come anche noi abbiamo rimesso ai nostri debitori. Sembra quasi che prima abbiamo dovuto perdonare e poi possiamo chiedere perdono. vero che gli esegeti sogliono mitigare questa espressione dicendo che il perfetto aphkamen un perfetto presente, cio noi siamo soliti rimettere. Il legame rimane comunque strettissimo. Che cosa suppone quindi questa preghiera? Suppone una comunit litigiosa, divisa, in cui le offese sono reciproche, dove ci sono aspettative non corrisposte, recriminazioni, attese deluse. Ed talmente forte tale preghiera che, come ho gi ricordato, il solo commento al Padre Nostro nel Discorso della montagna quello aggiunto alla fine della preghiera: Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdoner a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdoner le vostre colpe (Mt 6,14-15). una condizione assoluta e sottolinea che il Padre ben conosce che siamo poveri, fragili, che ci offendiamo facilmente gli uni gli altri. Egli vuole garantire che il suo perdono sia sempre accompagnato dal perdono nostro. Come ancora ci insegna la parabola di Mt 18, noi che abbiamo ricevuto tantissimo perdono da Dio, siamo chiamati a fare almeno il gesto di perdonare agli altri i piccoli torti che abbiamo subito: Appena uscito, quel servo trov un altro servo come lui che gli doveva cento

denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: "Paga quel che devi!". Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: "Abbi pazienza con me e ti rifonder il debito". Ma egli non volle esaudirlo, and e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire alloro padrone tutto l'accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: "Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perch mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver piet del tuo compagno, cos come io ho avuto piet di te?". E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finch non avesse restituito tutto il dovuto. Cos anche il Padre mio celeste far a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello (vv. 28-35). una domanda certamente assai impegnativa. Spesso noi, popolo cristiano, la pronunciamo senza renderci conto bene di ci che significa. Di fatto vuol dire molto: impegna al perdono gratuito, che un gesto grosso, difficile, a volte eroico. Ci impegna a quell'atteggiamento evangelico che non per nulla ovvio. Gi Ges aveva detto nel Discorso della montagna: Se dunque presenti la tua offerta sull' altare e l ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia l il tuo dono davanti all' altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono (M t 5,23-24). Parole di fuoco, che ci imbarazzano ogni volta che celebriamo l'Eucaristia, non essendo mai sicuri che veramente qualcuno non ce l'abbia con noi e che non siamo stati forse capaci di compiere il passo della riconciliazione. L'esigenza di Ges formidabile. A noi verrebbe da dire: chi ha qualcosa contro di me, ci pensi lui. Il Signore invece vuole che facciamo il possibile perch l'altro non abbia niente contro di noi. Durissime pure le parole che seguono: Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non apparvi al malvagio; anzi, se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. Questo perdono. E se uno ti costringer a fare un miglio, tu fanne con lui due. Da' a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle.

Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perch siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti (vv. 38-45). Comprendiamo il motivo dell'insistenza di Ges: perch il Padre agisce cos, Dio cos, ed cos glorificato. Siate voi dunque perfetti come perfetto il Padre vostro celeste (v. 48). Ci sono persone che quando hanno subito un grave torto, una profonda ingiustizia, covano il rancore per anni. difficile l'eroismo del Vangelo; ma viverlo possibile. Ho conosciuto in Israele un' associazione nata per iniziativa di una mamma ebrea, la cui bambina gi a 14 anni partecipava alle manifestazioni pacifiste. A 16 anni fu uccisa da un terrorista e la madre, dopo aver sofferto tantissimo, si disse: il mio dolore talmente grande che devo capire il dolore dell' altro. Cos nacque un' associazione di famiglie ebree e arabe, che hanno avuto un parente o un fratello o un figlio o un padre ucciso dal terrorismo o dalla guerra; si incontrano, per far proprio l'uno il dolore dell' altro e camminare insieme verso la riconciliazione. Una strada che pu sembrare fuori del mondo. Eppure, anche l'esperienza che ho avuto visitando le carceri mi ha convinto che questa regola capace di esercitare il suo influsso nello stesso sistema penale e civile, che oggi, in tutti gli Stati, cerca forme di riconciliazione, di riparazione, di restituzione, cos da superare la pura giustizia vendicativa e punitiva. Altrimenti il male si accresce, il carcere peggiora le persone insegnando a fare ancora pi male. Sono forme gi realizzate ad esempio nel Sud-Africa, dove si costituita una Commissione per la pace, la verit e la riconciliazione, che ha promosso gesti straordinari in proposito. La domanda del Padre Nostro rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori tocca dunque da vicino ciascuno di noi. In sintesi, quali disposizioni interiori comporta? Il sentirsi davanti al Padre che mi ama infinitamente e vuole fare di me una cosa sola con Ges, vuole darsi tutto a me. Il considerare i miei peccati, le mie mancanze, come insolvenze

d'amore, amore non dato, non restituito, non ricambiato. Il mettermi, pregando al plurale, in relazione con tutti i peccatori: Rimetti a noi i nostri debiti, solidarizzando con i peccati dell'umanit intera. E ancora, mi dispongo a perdonare di cuore e soprattutto (cosa pi difficile) a perdonare a chi non mi ha dato quanto ragionevolmente mi potevo attendere. Questa disposizione riguarda anche le famiglie (genitori-figli, fratelli), le relazioni di amicizia e di comunit. un insegnamento tipicamente evangelico, che troviamo anche nelle epistole del Nuovo Testamento. Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignit (Ef 4,31). Asprezza: quando mi irrito con chi mi ha fatto un torto; sdegno, perch non mi stato dato ci che mi aspettavo; ira, perch non sono stato soddisfatto. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonando vi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo. Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi; e camminate nella carit, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore (4,32 5,2). Si potrebbero citare tanti altri passi che insistono su questo insegnamento. interessante notare che l'evangelista Marco, pur non riportando la preghiera del Padre Nostro, scrive: Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perch anche il Padre vostro che nei cieli perdoni a voi i vostri peccati (11,25). Dunque l'esortazione presente in tutti gli strati neotestamentari, perch assolutamente caratterizzante del messaggio di Ges. Pregare in verit Domandiamoci infine quali atteggiamenti suggeriscono le parole del Padre Nostro su cui abbiamo meditato. - Un primo atteggiamento, pi raro di quanto dovrebbe essere, la certezza di essere perdonati. Talora noi ci trasciniamo nella vita, conservando, nonostante le molte assoluzioni ricevute, il timore che

il Signore ce l'ha ancora un po' con noi. una tentazione di satana; perch, una volta che abbiamo confessato i nostri peccati, Dio ci perdona sul serio. Il Nuovo Testamento ce lo ricorda spesso, per esempio in Col, 14: Per opera del Figlio diletto abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati e in E f 1,6-7: E questo a lode e gloria della sua grazia, / che ci ha dato nel suo Figlio diletto; / nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, / la remissione dei peccati / secondo la ricchezza della sua grazia. Siamo invitati a mettere il nostro cuore in pace, dal momento che Dio ci ama ed in pace con noi. - Un secondo atteggiamento ci viene raccomandato ed lo sforzo per cancellare ogni rancore, ogni amarezza, ogni recriminazione che spesso si annidano, pur se non emergono a galla, nel fondo della nostra psiche. Dobbiamo sforzarci di cancellare tutto questo, risentendo la parola di Ges nel Discorso della montagna: Non giudicate, per non essere giudicati; perch col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati (Mt 7,1-2). Ci si chiede un giudizio buono, benevolo, mentre noi, pensando magari di essere buoni, ci riserviamo quella acredine di giudizio che misura gli altri con una misura stretta. - Il terzo atteggiamento quello di entrare nella misericordia del Padre. Luca lo richiama in maniera molto efficace: Siate misericordiosi, come misericordioso il Padre vostro. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sar perdonato; date e vi sar dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sar versata nel grembo, perch con la misura con cui misurate, sar misurato a voi in cambio (6,36-38). In altre parole: entrare nella misericordia del Padre vuol dire amarci come Ges ci ha amato (cf Gv 13,34-35). Chiediamo allora, per intercessione di Maria, che crescano in noi questi sentimenti evangelici, cos da esprimere quella novit di vita, quella fermentazione mutua che ci permette di stare insieme anche da diversi e come diversi.

Per questo sono stato mandato (omelia) Fratelli, sinora io non ho potuto parlare a voi come a uomini spirituali, ma come ad esseri carnali, come a neonati in Cristo. Vi ho dato da bere latte, non un nutrimento solido, perch non ne eravate capaci. E neanche ora lo siete; perch siete ancora carnali: dal momento che c' tra voi invidia e discordia, non siete forse carnali e non vi comportate in maniera tutta umana? Quando uno dice: "Io sono di Paolo", e un altro: "Io sono di Apollo", non vi dimostrate semplicemente uomini? Ma che cosa mai Apollo? Cosa Paolo? Ministri attraverso i quali siete venuti alla fede e ciascuno secondo che il Signore gli ha concesso. lo ho piantato, Apollo ha irrigato, ma Dio che ha fatto crescere. Ora n chi pianta, n chi irriga qualche cosa, ma Dio che fa crescere. Non c' differenza tra chi pianta e chi irriga, ma ciascuno ricever la sua mercede secondo il proprio lavoro. Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete il campo di Dio, l'edificio di Dio (1 Cor 3, 1-9). Noi ci domandiamo che cosa sar il linguaggio che usa Paolo parlando a uomini spirituali, se gi le pagine della prima lettera ai Corinti ci fanno tanta difficolt, ci sembrano tanto alte, pur se Paolo le chiama ancora carnali! Vuol dire che ci resta ancora molto da capire del mistero del regno di Dio, e siamo grati al Signore anche solo se potremo cogliere qualcosa di queste parole che non sono ancora, per esprimerci con l'Apostolo, il nutrimento solido degli spirituali. Dio che irriga e fa crescere La prima parola che siamo invitati a capire (1'abbiamo gi visto nella meditazione del mattino) che nelle comunit ci sono divisioni. C'erano nella comunit di Paolo; c'erano in rapporto a

persone di grande santit - Paolo, Apollo, Cefa -, e quindi non dobbiamo stupirci mai. . Ricordo che una volta ho dato gli esercizi spirituali proprio su questo tema: L'utopia alla prova di una comunit. Ho commentato la prima lettera ai Corinti evidenziando in essa la relazione tra l'utopia di Paolo, il suo ideale di comunit e la realt di una comunit nella quale si verificavano disordini sessuali, divisioni di fedeli in gruppi, problemi di disordine nelle assemblee cultuali ed eucaristiche. Risulta chiaro che ci pu essere un cristianesimo ardente, forte, spirituale, libero - e tale stato sicuramente quello delle prime comunit -, ma nel contempo travagliato. qualcosa che ci sorprende e che riusciamo a comprendere e ad accettare solo col tempo. Nel passato ho valutato molto rigidamente le divisioni all'interno dei monasteri, da cui poi addirittura lo sciamare di alcuni per cominciare nuove esperienze. Mi sembrava tutto troppo conflittuale, non evangelico. Di fatto mi sono poi accorto che in gran parte la storia dei grandi monasteri, degli ordini religiosi: divisioni, conflitti, personalismi, distacchi. Siamo carnali, siamo fragili: occorre prenderne atto e accettarlo senza scandalizzarcene. Ci non significa che non dobbiamo cercare con tutte le forze di vivere la comunione fraterna di cui Ges ci ha parlato e per la quale ha pregato (cf Gv 17); tuttavia importante sapere che siamo chiamati a tendere all'unit in una comunit in qualche misura sempre conflittuale. Se lo riconosciamo, saremo beati e non ci spaventeremo troppo; agiremo positivamente e propositivamente, imparando che non conta il nostro sforzo n quello di Apollo o di Cefa, perch Dio che irriga e fa crescere. Tutto ci che c' di buono nelle nostre comunit viene dal Padre. Noi facciamo qualche piccolo servizio, pestando magari i piedi a molti, con tante divisioni e dissensi, ma Lui che opera e salva. Ed mirabile che il Signore ci salvi a partire dalla nostra povert, per cui anche il nostro peccato ci richiama continuamente al perdono (rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori), senza che ci aspettiamo tuttavia la conclusione di questo

cammino, perch domani dovremo rimettere nuovi debiti, avremo nuovi debitori. questa la vita dell'uomo, che viene cos perfezionata, purificata, cartavetrata. Dobbiamo crescere nella fiducia, nella misericordia, nella capacit di leggere il piano di Dio attraverso gli eventi un po' meschini e piccini delle nostre comunit, e di noi stessi. Un ministero libero e coraggioso In quel tempo, Ges uscito dalla sinagoga entr nella casa di Simone. La suocera di Simone era in preda a una. grande febbre e lo pregarono per lei. Chinatosi su di lei, intim alla febbre, e la febbre la lasci. Levatasi all'istante, la donna cominci a servirli. Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi colpiti da mali di ogni genere li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva. Da molti uscivano demoni gridando: "Tu sei il Figlio di Dio!". Ma egli li minacciava e non li lasciava parlare, perch sapevano che era il Cristo. Sul far del giorno usc e si rec in un luogo deserto. Ma le folle lo cercavano, lo raggiunsero e volevano trattenerlo perch non se ne andasse via da loro. Egli per disse: "Bisogna che io annunzi il regno di Dio anche alle altre citt; per questo sono stato mandato". E andava predicando nelle sinagoghe della Giudea (Le 4,38-44). Il vangelo ci mostra Ges in un momento esemplare, programmatico della sua vita: ha compassione per i malati e li guarisce - la suocera di Pietro e molti altri -; vieta al demonio di parlare su di lui, perch la testimonianza deve venire dal cuore e dalla fede, non da chi non crede; sul far del giorno si ritira a pregare. Mi sono sempre stupito che Luca, pur menzionando molto la preghiera, non dice qui che Ges si rec in un luogo deserto a pregare. Lo riporta Marco (cf 1,35), e Luca probabilmente lo suppone. In ogni caso ammiriamo il gesto di libert di Ges: la gente lo cerca, lo vuole trattenere, vuole che sia suo possesso esclusivo, e lui, invece, per tutti, ha una missione per tutti. Sulle parole per questo sono stato mandato vorrei fermarmi un

momento, perch costituiscono la nostra forza. Quando ci troviamo ad affrontare tentazioni, malintesi, umiliazioni, amarezze, dobbiamo dire: per questo sono stato mandato, qui mi ritrovo come prete, perch con la mia sofferenza partecipo alla sofferenza di Cristo, per il suo corpo che la Chiesa, come dice san Paolo (cf Col, 24). Ringraziamo il Signore anche di questa partecipazione alle sofferenze della sua Chiesa e per la sua Chiesa.

V MEDITAZIONE Non ci indurre in tentazione Vieni, o Spirito santo, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore. Ricordaci, o divino Spirito, ci che abbiamo detto all'inizio: che questi giorni sono per noi un ministero dello Spirito, perch sei tu che operi in noi. Fa' che ci la sciamo guidare da te, dalle tue ispirazioni, dalle tue consolazioni, anche dai tuoi silenzi. Donaci di essere piena mente disponibili ad accogliere quella volont di Dio che tu vuoi farci comprendere. Tu vedi la nostra debolezza, la mia in particolare, nel l'esprimere tale volont. Fa' che ciascuno di noi riceva da te l'influsso, la forza, la gioia, la chiarezza per compiere ci che a Dio piace. Maria, Madre di Ges, patrona degli esercizi, assistici in questo cammino. Peccato, disordine, mondanit Nella meditazione odierna mi propongo qualche riflessione sulla domanda non ci indurre in tentazione. utile ricordare che negli esercizi ignaziani la Prima settimana, quella della purificazione, non riguarda solo il peccato - a proposito del quale vale la pena richiamare quanto abbiamo gi precisato: nel Padre Nostro troviamo il termine debito, che lo colloca nella prospettiva di una relazione personale, col Padre, col Figlio e lo Spirito santo. Sant'Ignazio dunque non parla soltanto di purificazione dei peccati,

ma, al n. 63, chiede tre grazie, in tre colloqui importanti prima con la Madonna, poi con Ges e col Padre. Leggo dal testo. Il primo colloquio con la Madonna, affinch mi ottenga la grazia dal suo figlio e Signore per tre cose: La prima, perch io senta profonda cognizione dei miei peccati e disgusto per gli stessi ( la via penitenziale che noi ordinariamente descriviamo). La seconda, perch senta il disordine delle mie attivit in modo tale che, detestandolo, mi corregga e mi ordini. Quindi sant'Ignazio ci invita a considerare la nostra vita anche dal punto di vista del disordine delle azioni. E disordine tutto ci che, senza essere necessariamente peccato formale, soprattutto peccato grave, per non corrispondenza al fine per cui siamo creati e di conseguenza getta nella nostra vita un non so che di disordinato, di non chiaro; disordine quell'agire in cui siamo portati piuttosto a compiacere noi stessi, le nostre comodit, i nostri gusti, le nostre voglie, pur se non raggiunge la formalit del peccato. La terza chiedere la conoscenza del mondo perch, detestando lo, allontani da me le cose mondane e vane. La vanit quel modo di vivere vapora;o, che insegue successo, buona fama, approvazione degli altri; senza essere un peccato formale, guasta tuttavia il verbo della vita interiore. Nel secondo e nel terzo colloquio fare altrettanto con il Figlio affinch me lo ottenga dal Padre e altrettanto con il Padre perch lo stesso eterno Signore me lo conceda. Nell'esaminarci dobbiamo dunque tener conto sia dei peccati formali, sia di tutti quei disordini e di quella vanit che costituiscono gran parte del nostro agire quotidiano e lo appesantiscono, lo offuscano, lo rendono meno lieto, pi impacciato, meno entusiasta, meno generoso. Tutto questo attiene pure al tema delle tentazioni, che hanno appunto l'effetto di appesantire l'animo. Possiamo allora riflettere brevemente sul senso della richiesta del Padre Nostro: Non ci indurre in tentazione. Perch parlare di tentazione? La richiesta un po' scandalosa nella sua formulazione. La Chiesa

lotta da secoli contro l'apparente scandalosit di tale formula, e ha cercato costantemente di ridirla, di riesprimerla. Sant' Ambrogio per esempio traduceva: non per mettere che cadiamo nella tentazione. Il non ci indurre, infatti, una parola molto dura, perch sembra che Dio stesso tenti al male. Sappiamo che la Conferenza Episcopale Italiana ha fatto di tutto per cambiarla nella nuova edizione della Bibbia, sostituendola con non abbandonarci nella tentazione, per edulcorare un po' l'espressione. In ogni caso chiaro che il Padre Nostro d spazio alla tentazione, la fa oggetto di una domanda specifica. E pu stupire che, dopo la menzione dei peccati e del perdono reciproco, ci sia ancora una preghiera che riguarda la liberazione dalla tentazione. In realt la tentazione parte importante dell'esperienza cristiana, di fatto un' esperienza quasi quotidiana. Ges ci ha avvertito, dicendo agli apostoli: Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito pronto, ma la carne debole (Mt 26,41); mentre lui stesso stato tentato da tristezza e paura (cf vv. 37-38). E ha pure voluto cominciare il suo ministero pubblico proprio sottoponendosi nel deserto alle tentazioni di satana, come raccontano i sinottici: Allora Ges fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo (Mt 4, 1; cf Me 1,12-13 e Le 4,1-2). stato poi soggetto ad altre gravi tentazioni, come quella dopo la confessione di Pietro, quando addirittura lo chiama satana (cf Mt 16,23 e Mc 8,33): Ges sentiva che le parole di Pietro (Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadr mai) erano una tentazione grave. Di tentazione Ges parla anche a proposito dello stesso Pietro, l dove dice: Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato, non solo lui, ma tutti, per vagliarvi come il grano, per tentarvi scuotendovi fortemente, in maniera da far paura; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli (Lc 22,31-32). Egli prevede una tentazione grave per gli apostoli, una caduta di Pietro, salvando per la fede, e poi un ravvedimento e una conferma dei fratelli. Se la tentazione parte importante della vita cristiana, cerchiamo

dunque di capire che cosa significa non ci indurre in tentazione o: non permettere che cadiamo nella tentazione o: non abbandonarci nella tentazione. Cinque tipi di tentazioni Anzitutto chiaro che il non ci indurre non vuol dire che Dio tenta al male, ma che permette la tentazione come parte della nostra esperienza, che in qualche modo ci necessaria per crescere nella fede, speranza e carit. Naturalmente una trappola in cui il tentatore satana fa di tutto per farci cadere. E noi chiediamo di essere liberati da questa trappola, che realissima e pericolosa, anche se ci passiamo a fianco, se cerchiamo di evitarla. Di quale tentazione si tratta? Gli esegeti hanno a lungo discusso. Quelli che interpretano in maniera escatologica il Padre Nostro ritengono si tratti della tentazione per eccellenza, quella escatologica, che riguarda la fine dei tempi e che essi immaginano vicina. E di questo parla il Nuovo Testamento. Leggiamo per esempio dalla seconda lettera ai Tessalonicesi. Allora sar rivelato 1'empio e il Signore Ges lo distrugger con il soffio della sua bocca e lo annienter all' apparire della sua venuta, l'iniquo, la cui venuta avverr nella potenza di satana, con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzogneri, e con ogni sorta di empio inganno per quelli che vanno in rovina, perch non hanno creduto alla verit, ma hanno acconsentito all'iniquit (2,8-12). Parole terribili, che concernono la tentazione finale, l'ultimo scatenarsi di satana. Ne parla lo stesso Matteo, nel discorso escatologico: Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; per il dilagare dell'iniquit, l'amore di molti si raffredder (24,11-12). C' davvero questa misteriosa minaccia, da cui giustamente il fedele chiede di essere liberato, preservato, salvato, custodito. Tale interpretazione escatologica non pi ritenuta attuale oggi da molti i quali riferiscono la formula del Padre Nostro alle tentazioni di cui composta la vita del credente; e sono numerose. lo ne. richiamo cinque, per aiutarvi a riflettere poi sulla molteplicit di altre tentazioni che possono essere attuali per ciascuno di noi, a

seconda delle prove che il Signore permette. Penso alla seduzione, alla contraddizione, all'illusione, al silenzio di Dio, all'insignificanza di Ges. * La seduzione. La seduzione l'essere attratti verso il male sensualit, invidia, orgoglio, strapotere, crudelt, vendetta, violenza -, un male che si presenta come tale (anche se vero che sempre acconsentiamo al male perch ci appare con qualche parvenza di bene). Talora la seduzione talmente forte che satana sembra entrare dentro di noi, invadendo la nostra psiche e il nostro corpo, per cui rischiamo di comportarci con una perversit che mai avremmo immaginato. Dobbiamo sapercene guardare, e ci relativamente facile, appunto perch mira al male: sensualit, sessualit disordinata, pornografia, invidia, maldicenza, vendetta, soperchierie, bugie che fanno gravi danni, furti, e cos via. Tutto questo fa parte dell' esperienza umana. Nel vangelo di Marco troviamo un elenco ben calibrato di tali deviazioni, elenco che a mio avviso costituiva una sorta di compendio di teologia morale per il catecumeno. Egli era invitato a fare un profondo esame di coscienza e a menzionare col loro nome i difetti e i vizi che pi lo tentavano. Quando entr in una casa lontano dalla folla, i discepoli lo interrogarono sul significato di quella parabola. E disse loro: "Siete anche voi cos privi di intelletto? Non capite che tutto ci che entra nell'uomo dal di fuori non pu contaminarlo, perch non gli entra nel cuore ma nel ventre e va a finire nella fogna?". Dichiarava cos mondi tutti gli alimenti. Quindi soggiunse: "Dal di dentro, infatti, cio dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: prostituzioni, furti, omicidi, adultri, cupidigie, malvagit, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l'uomo" (7,17-23). Siamo invitati a interrogarci sul nostro cuore, dal momento che queste cose cattive sono tutte dentro di noi, anche nel nostro subconscio o inconscio, e spesso non scoppiano perch non c' l'occasione. Possiamo notare che le nove intenzioni, le nove malvagit sono

divise a tre per tre. Pi palesi le prime: fornicazioni, furti, omicidi. Le tre seguenti sono pi nell' ombra: adultri, cupidigie, malvagit. Ancor pi dentro al cuore si trovano inganno, impudicizia, invidia. Infine la calunnia, la superbia, la stoltezza, forse le pi ecclesiastiche, perch spesso infestano pure il giardino, o l'orto della Chiesa. Queste sono dunque le seduzioni. E dobbiamo tenerne conto, dobbiamo rifletterci, proprio perch vi siamo tutti soggetti. * Il secondo tipo di tentazione la contraddizione. Essa ci tocca allorch, facendo il bene, ci troviamo in un ambiente che ci critica, ci impedisce, ci mette i bastoni nelle ruote, ci prende in giro, ci blocca. Dobbiamo allora avere molta pazienza, molta perseveranza e molta umilt. Sovente le nostre tentazioni sono appunto contraddizioni, che magari ci vengono dalla stessa comunit cristiana, dalle persone che pensavamo pi vicine, pi attente e invece non capiscono, ci contrastano, ci deridono, ci smorzano. * Il terzo tipo di tentazione l'illusione, il fare qualcosa che appare come bene, ma da cui non deriva poi un bene. Questa la tentazione forse pi frequente dei buoni, di coloro che servono Dio con generosit, perch il demonio li tenta spingendoli per esempio sulla via della penitenza, dell' austerit, col pretesto della povert, dell' autenticit, della sincerit, della giustizia, e fa compiere loro opere sbagliate. Si illudono di essere chiss chi, ma calpestano le regole pi comuni del vivere onesto, appunto sotto la bandiera della purezza, del rigore, della radicalit evangelica, e vanno facilmente fuori strada. Il demonio - ammonisce sant'Ignazio - tenta soprattutto sub specie boni, sotto apparenza di bene, spingendo a fare sempre meglio per poi arrivare ad avere in mano un pugno di mosche, a fare il vuoto intorno a s, a distruggere una comunit, partendo da intenzioni apparentemente buone. * Gravissima la quarta tentazione: il silenzio di Dio, un silenzio che fa chiedere all'uomo: perch, Signore, ti nascondi? Perch non parli? la tentazione vissuta nella Sho dal popolo ebraico, che ancora oggi si chiede: perch Dio non intervenuto? Ed la

tentazione che ci assale ogni qualvolta aspettiamo che Dio ci venga incontro e ci sentiamo soli, abbandonati, privi di quell'aiuto che ci attendevamo. Il silenzio di Dio anche una tentazione che tocca le persone pi avanzate nel cammino spirituale. * L'ultima tentazione, collegata in un certo senso alla precedente, di carattere sociale. Io la colgo con chiarezza in Israele: dove i cristiani sono pochi e non hanno rilievo pubblico, ma pure presente nei nostri Paesi occidentali, l dove il cristianesimo non ha rilevanza sociale o la sta perdendo. l'insignificanza di Ges. Se tutto si costruisce secondo parametri economici, politici, culturali che non tengono conto di Ges, considerandolo al massimo un ornamento per l'albero di Natale; se l'ambito dei mass media e dei divertimenti, la vita pubblica in genere si svolge come se Dio non ci fosse, molti cristiani cedono a questa forte tentazione, che li fa vivere una doppia vita: in parrocchia pregano, ma fuori della parrocchia come se Ges non ci fosse. Ho gi ricordato in altre occasioni la testimonianza di un padre spirituale tedesco, che nel suo 50 di Messa rispose a chi lo interrogava sulla sua esperienza di prete: la prova pi grande di questi cinquant'anni non stata per me n la seconda guerra mondiale n il nazismo, ma il fatto che la gente si allontanata dalla Chiesa e anche le comunit cristiane pi ferventi si sono ridotte rapidamente a pochi numeri. una prova che ci chiesto di attraversare, proprio perch anche l il Signore presente. una tentazione che richiede un aumento di fede. Per questo motivo da sempre insisto sulla necessit di praticare la lectio divina, che rigeneri continuamente la fede. Se abbiamo questa ricchezza interiore, che la parola di Dio meditata giorno dopo giorno costruisce e ricostruisce, possiamo affrontare anche un esercito, possiamo affrontare anche la solitudine totale. Vorrei suggerirvi di leggere la prima lettera di Pietro, per comprendere meglio come avviene il superamento di questa tentazione cos perniciosa che il senso dell'insignificanza del cristiano. una lettera scritta a credenti che vivono in condizione di diaspora e di emarginazione sociale, e sono continuamente tentati di dire: siamo dei poveretti, non valiamo nulla.

E Pietro in maniera mirabile ricostruisce in loro l'orgoglio di essere cristiani, la gioia di esserlo anche nell'umiliazione, nell'insignificanza, nella prova, nella sofferenza, mostrando che proprio in quella situazione il vangelo si avvera, il Regno viene, Ges trionfa. Fuggire le occasioni Mi piace aggiungere ancora una nota alla riflessione sulla domanda non ci indurre in tentazione. Mi pare di potermi esprimere cos: come il perdono dei peccati (Rimetti a noi i nostri debiti) legato al perdonarci a vicenda i torti subiti (perdona a noi i nostri peccati come noi li rimettiamo a quelli che ci hanno offeso), allo stesso modo la difesa da quella trappola del nemico che la tentazione legata, in forza delle parole di Ges, alla fuga dalle occasioni. Non detto nel Padre Nostro e per mi sembra implicito: Non ci indurre in tentazione, cos come da parte nostra cerchiamo di evitare le occasioni di peccato. Del resto almeno due volte ripetuto con molta forza nel contesto. Anzitutto nel Discorso della montagna: Se il tuo occhio destro ti occasione di scandalo, cavalo e gettai o via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna. E se la tua mano destra ti occasione di scandalo, tagliala e gettai a via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna (M t 5,29-30). Il contesto quello dell' adulterio e della santit della vita matrimoniale: Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha gi commesso adulterio con lei nel suo cuore (v. 27). chiaro che qui posta una radicale esigenza di fuggire le tentazioni, e pu essere quindi ben collegata con la domanda non ci indurre in tentazione. Sono parole che ritornano tali e quali nel discorso cosiddetto ecclesiale del c. 18, in cui Matteo dice: Se la tua mano o il tuo piede ti occasione di scandalo, taglialo e gettalo via da te; meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, che avere due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco, eterno. E se il tuo occhio ti occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te; meglio per te

entrare nella vita con un occhio solo che avere due occhi ed essere gettato nella Geenna del fuoco (vv. 8-9). uno dei rarissimi casi in cui la stessa frase ripetuta identicamente due volte, in due diversi luoghi di uno stesso vangelo. Ci significa che ha un'importanza grande per Ges e per la predicazione primitiva. E se il primo contesto quello dell'adulterio, della santit del matrimonio, il secondo contesto quello dello scandalo dei piccoli; infatti precede immediatamente la parola: E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me. Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da un asino, e fosse gettato negli abissi del mare (vv. 5-6). Parole durissime, che forse a leggerle ci sembrano astratte, e tuttavia sono molto realistiche, molto attuali; pensiamo per esempio ai tanti scandali di questi ultimi anni, ai casi di pedofilia. O Signore Ges che scruti i nostri cuori e conosci le nostre fragilit e le nostre debolezze, sostienici nelle prove che incontriamo nel cammino di fede. Sappiamo bene che con il tuo aiuto possiamo resiste re alle tentazioni. Donaci di credere sempre che ci sei vicino, affinch non ci sentiamo soli e perseveriamo nella speranza. Fa' che non venga mai meno in noi la certezza che, come ci insegna Paolo (cf 1 Cor 10,13), Dio fedele e non permetter che siamo tentati al di sopra delle nostre forze se, come figli, ci abbandoniamo fiduciosi nelle sue mani di Padre.

VI MEDITAZIONE Ma liberaci dal male Nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare (M t 11,27). Queste parole ci invitano a pregare: Facci conoscere, o Padre, il tuo Figlio Ges. Noi cerchiamo di conoscerlo attraverso il Padre Nostro che lui ci ha insegnato, perch siamo sicuri che in questa preghiera ha messo tutto il suo

cuore, tutto ci che gli sta a cuore, tutto ci che per lui importante, e ha voluto comunicar celo. Fa' che conosciamo, Padre, l'intima sua coscienza, per essere illuminati, chiariti, ordinati interiormente. Ti chiediamo inoltre, o Padre, per mezzo del tuo Figlio, di conoscere Te, che nessuno conosce se non colui al quale il Figlio ti rivela. E ti rivela anche attraverso questa preghiera. Fa' che conosciamo la tua volont su di noi, per accoglierla e abbracciarla, per abbracciare le nostre croci, di qualunque genere siano, perch parte del tuo disegno d'amore su di noi. Interceda per noi Maria, Madre nostra e Madre della Chiesa, che si abbandonata alla tua volont, o Padre, con le parole: Si faccia di me ci che hai detto. Concedici di unirei a Maria nella sua dedizione al tuo volere, per trovare in esso la gioia piena e la gioia per il mondo. Amen. Strappaci dalla peccaminosit In questa meditazione riflettiamo sulla invocazione ma liberaci dal male. Secondo il p. Ledrus, per comprendere il Padre Nostro pedagogicamente meglio cominciare dall' ultima richiesta, perch ci di cui abbiamo maggiore esperienza; anche se ontologicamente e dal punto di vista valoriale il Padre Nostro ha una sua struttura che comincia bene dall' alto e scende verso il basso, dal nome di Dio al male. Propongo anzitutto una lectio parola per parola e successivamente faremo una meditatio nel tentativo di rispondere a due domande: in quale modo agisce la malignit e il Maligno in noi? E come resistere al Maligno? * L'espressione, ma liberaci dal male, come sappiamo, non si trova in Luca; e qui comincia la ridda delle interpretazioni esegetiche: Luca che l'ha omessa o Matteo che l'ha aggiunta? E per quale motivo comincia con un ma? Chiaramente un ma esplicativo, non avversativo: poich la domanda non ci indurre in tentazione al negativo, mentre liberaci dal male al positivo, le due richieste sono collegate con un ma. Sorge per un altro interrogativo: liberaci dal male semplicemente un altro modo di dire non ci indurre in tentazione,

un parallelismo sinonimo, o aggiunge qualcosa, vuol essere quasi una conclusione sintetica del Padre Nostro? Una indicazione ci pu venire dal considerare il verbo liberaci. *Liberaci. Il verbo greco (rysai) pi pregnante, perch significa strappaci dal male. D dunque l'immagine di chi gi per esempio azzannato da un leone e viene strappato dalle sue fauci. Pi blando certamente l'evangelista Giovanni che, riportando la splendida preghiera di Ges al Padre, usa un verbo pi dolce: Non chiedo che tu li tolga (res) dal mondo, ma che li custodisca dal Maligno (17,15), come se l'assalto del nemico non sia ancora avvenuto; e si pu quasi parafrasare la frase dicendo: non permettere che cadano nella tentazione. Invece liberaci, strappaci dal male un grido che suppone si sia gi dentro nelle zanne del leone. L'esempio forse pi drammatico dell'uso del verbo ryomai lo troviamo in Mt 27,43. Ges sulla croce e gli anziani, i sommi sacerdoti, la gente lo prende in giro: Ha confidato in Dio. Lo liberi (rysstho) lui ora, se gli vuol bene. Ges gi sulla croce e liberarlo vuol dire staccarlo, strapparlo dalla croce. Un' altra occorrenza di questo verbo la troviamo nel Benedictus: Cos egli ha concesso misericordia ai nostri padri / e si ricordato della sua santa alleanza, / del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre, / di concederci, liberati, (rysthntas) dalle mani dei nemici, di servirlo senza timore, in santit e giustizia / al suo cospetto, per tutti i nostri giorni (Lc 1,72-74). A dire che i nemici non sono una minaccia lontana, ma siamo gi nelle loro mani. E ancora un' esclamazione drammatica di Paolo, al termine della lettera ai Romani: Sono uno sventurato! Chi mi liberer (rysetai) da questo corpo votato alla morte? (7,24). lo sono dentro un corpo che mi porta verso la morte, verso il peccato, la degradazione; devo esserne strappato fuori. A me pare dunque che la parola liberaci aggiunga qualcosa rispetto alla domanda non ci indurre in tentazione: dalla tentazione possiamo essere preservati, ma quando siamo nelle grinfie di satana, abbiamo bisogno di essere strappati fuori, di essere liberati dalla malvagit che ci circonda da ogni parte, che ci seduce, ci coinvolge, ci travolge. davvero un grido molto accorato

e fa eco ai salmisti. Penso ai salmi del malato, del prigioniero, dello sconfitto, che chiedono di essere tirati fuori dalla fossa, di non essere lasciati in bala del nemico. questo il senso del verbo liberaci. * L'altra parola dal male, ap tou ponero. Anzitutto, non si allude al male filosofico, al male astratto (to kakn), di difficile definizione. Ap tou ponero si riferisce all' essere liberati dalla cattiveria, dalla malvagit, da ci che malvagio. E pu essere considerato sia maschile che neutro, quindi: dal malvagio, dal Maligno, ma anche: dalla cattiveria, dalla malvagit. Nella lunga storia della Chiesa ci si sempre chiesti: bisogna intendere liberaci dal male o liberaci dal Maligno? La Conferenza Episcopale Italiana ha scelto, per la sua nuova traduzione della Bibbia, una via di mezzo, dopo tanti pro e contro, in cui Male scritto maiuscolo (liberaci dal "Male"), cos che pu comprendere tutti e due i significati. Il problema comunque rimane. Ci sono diversi esempi nel Nuovo Testamento della parola usata al neutro (to ponern). Un esempio particolarmente pregnante quello della lettera ai Romani: La carit non abbia finzioni. Fuggite il male (to ponern) con orrore, attaccatevi al bene (12,9). chiara la contrapposizione bene-male e indica che to ponern da intendersi nel senso di malignit, cattiveria. Esse hanno certamente un referente misterioso, oscuro (satana, l'avversario), ma non facile distinguerlo dalla malignit che si introdotta nel mondo e opera dinamicamente, coinvolgendoci. Ci sono tanti casi simili nel Nuovo Testamento e si potrebbe quindi supporre che tou ponero del Padre Nostro neutro. Tuttavia si pu anche considerarlo maschile - ed, essendo singolare, pu applicarsi chiaramente solo a satana. Parecchie volte nel Nuovo Testamento si ha l'uso del plurale, che rende pi chiara l'interpretazione al maschile - liberaci dagli uomini cattivi. Interessanti alcuni versetti della seconda lettera ai Tessalonicesi: Per il resto, fratelli, pregate per noi, perch la parola del Signore si diffonda e sia glorificata come lo anche tra voi e veniamo liberati

(rysthmen) dagli uomini perversi e malvagi (ap ton atpon kai ponern anthrpon). Non di tutti infatti la fede. Ma il Signore fedele; egli vi confermer e vi custodir dal maligno (ap tou ponero) (3,1-3). possibile che qui si riferisca al Maligno, a satana. La risposta alla domanda rimane incerta. Da parte mia, ritengo assai pi probabile pensare anzitutto alle forze della malvagit, scatenate magari anche da satana, ma che sono ormai una valanga che percorre il mondo. E come non pensare a certe scene nelle occupazioni, nelle guerre soprattutto in altri continenti, agli stupri in massa in Bosnia, alle azioni atroci dei terroristi ceceni in questi stessi giorni? il gusto di fare il male, malvagit pura, crudelt. C' comunque un'altra ipotesi che mi pare interessante ed propria del p. Ledrus, che nel suo libretto scrive: Il "male" da cui chiediamo a Dio di strapparci va inteso in tutta la sua estensione: il male morale, il peccato, il Maligno. E aggiunge: Il male supremo, sia nel tempo che nell' eternit, la coscienza cattiva. La coscienza cattiva , in se stessa, il proprio immanente castigo giustissimo: una autodannazione, l'apostasia, giusto allontanamento da Dio, bene supremo, e insediamento del demonio nell'anima, come nel proprio tempio (op. cit, p. 43). un'interpretazione che mi stupisce e insieme mi attrae. Egli intende per male la coscienza cattiva, il gusto di essere immersi nella malvagit e di architettare piani per renderla sempre pi pervasiva. Questa coscienza cattiva gi castigo a se stessa, perch rimorde, inquieta, rende nevrotici e folli. E non fenomeno cos raro. Ci sono persone, anche nell' ambito religioso cristiano, che si sono lasciate talmente prendere dall' amarezza, dal disgusto, dallo scetticismo, che sono entrate nel gusto del male e trovano soddisfazione per esempio nello scrivere lettere anonime, nel denunciare persone, nel rovinare la reputazione della gente.

Aggiunge Ledrus: Non dice: liberaci dai "mali", perch assolutamente parlando non c' che un male, la dannazione, l'apostasia definitiva dei figli dal loro Padre (ivi). Lo possiamo vedere contemplando la Passione di Ges. Alcuni teologi ritengono che quando egli grida Mio Dio, mio Dio, perch mi hai abbandonato?, ha toccato il fondo del male, entrato in una situazione simile a quella dei dannati, che si sono separati da Dio. Si pu essere dannati pure in questa vita, nel senso di un totale allontanamento da Lui. E continua: Gli altri mali restano relativi; anche il peccato di cui eventualmente potremo dire" o felix culpa". Ma la dannazione fa una cosa sola con tutto ci che vi partecipa o vi conduce; e in questo senso tutti i mali dell'uomo formano qui blocco, poich essi risultano dal peccato ed esprimono la sentenza di condanna che pesa sull'umanit (ivi, pp. 43-44). Qualcosa di simile al leggere, che alcuni fanno, il male della conclusione del Padre Nostro come il contrario della prima parte della preghiera: Dio non santificato, il Regno non viene, la volont di Dio non fatta. Ancora: Il male, quindi, di cui si parla in questa domanda, non si riferisce propriamente al peccato commesso. Dal peccato commesso siamo liberati, giustificati col perdono divino implorato nella quinta domanda: "rimetti i nostri debiti". La settima domanda si riferisce praticamente alla peccaminosit, a ci che conduce al peccato, alla malizia, alla corruzione dell'''albero cattivo", sul quale non possono crescere che frutti falsi, opere malvagie. (...) Quindi qui chiediamo la liberazione, la salvezza dalla ostilit del demonio non isolatamente, ma considerato insieme con i due altri nemici della nostra salvezza: il "mondo" e la "carne", accoliti del

demonio (ivi, p. 44). Sono sforzi per comprendere appieno il significato misterioso della parola male, che ne attestano la ricchezza e la fondamentale importanza per la nostra esperienza. Gli inganni del Maligno Nel momento della meditatio cerchiamo di rispondere alle domande: come opera il Maligno, inteso sia come satana sia come malignit che ne deriva? E come resistere al Maligno, quindi come opera in noi lo spirito buono? In proposito vorrei richiamarmi alle Regole per il discernimento degli spiriti che si trovano negli Esercizi spirituali di sant'Ignazio di Loyola e offrirvene una breve sintesi. Egli le propone all' esercitante per insegnargli a discernere i propri movimenti interiori. Cos, distinguendo quali sono i suggerimenti del nemico e i suggerimenti dello Spirito, egli sar in grado di comprendere la volont di Dio su di s e di compierla. Sono dunque molto preziose tali Regole per chi compie un cammino spirituale. Il Maligno opera soprattutto in quattro modi. - Anzitutto seduce. Nella I Regola sant'Ignazio scrive: ...il nemico, comunemente, suole proporre piaceri apparenti facendo loro immaginare piaceri e godimenti sensuali, perch meglio persistano e crescano nei loro vizi e peccati (n. 314). Aggiungo che la seduzione spesso legata all'illusione. Richiamo l'esempio di un comportamento oggi frequente: mi metto la notte a guardare la televisione, vado in internet per trovare i programmi pornografici, e dico a me stesso: lo faccio non per la mia sensualit, ma perch voglio capire quali immagini vedono i nostri giovani. un motivo buono, apparentemente, e satana seduce con questo pensiero poich solito coinvolgerci e travolgerci con ragioni apparenti. Vi abbiamo gi accennato parlando del primo tipo di tentazione, la seduzione appunto. - Soprattutto chi cammina nella via della verit e del Vangelo viene attaccato dal Maligno con la tristezza. proprio dello spirito cattivo rimordere, rattristare, creare impedimenti, turbando con false ragioni affinch non si vada avanti (n. 315), suggerendo che non siamo capaci, che per noi troppo, che non ce la facciamo. il

modo di agire ordinario del Maligno con chi cerca di camminare bene, di vivere il Vangelo: rattristarci facendoci perdere coraggio, perdere quota, infondendo tristezza e malinconia. Sant'Ignazio descrive bene questa desolazione spirituale che oscura l'anima, l'inclina alle cose basse e terrene - quasi un gusto della sensualit -, la inquieta con vari tipi di agitazioni e tentazioni perdita di punti di riferimento, confusione, disordine -, la rende sfiduciata, senza speranza, senza amore, pigra, tiepida e come separata dal suo Creatore e Signore (cf n. 317). l'azione tipica dello spirito del male che ci sta agitando, ed assolutamente indispensabile saperla riconoscere e chiamarla con il suo nome. - Altra azione dello spirito del male quella di spaventare. Scrive Ignazio nella Regola XII: proprio del nemico indebolirsi, perdersi d'animo e indietreggiare con le sue tentazioni quando la persona che si esercita nelle cose spirituali si oppone con fermezza alle sue tentazioni, facendo in modo diametralmente opposto. Ma se, al contrario, la persona che si esercita comincia ad avere timore o a perdersi d'animo nel fronteggiare le tentazioni, non c' sulla faccia della terra bestia pi feroce del nemico della natura umana che persegua con maggiore malizia il proprio dannato intento (n. 325). Infatti quando uno spaventato, titubante, incerto, viene facilmente schiacciato dal demonio. - Lo spirito del male, dunque, seduce, rattrista, spaventa; e, ancora, occulta, nasconde. Quando il nemico della natura umana suggerisce a un' anima retta le sue astuzie e persuasioni soprattutto sotto colore di bene, vuole e desidera che siano accolte e tenute in segreto: mentre gli dispiace molto se questa le scopre al proprio confessore o ad altra persona spirituale esperta nel conoscere i suoi inganni e le sue cattiverie, perch si rende conto di non poter portare avanti l'opera incominciata, dal momento che sono stati scoperti i suoi inganni (n. 326). N on a caso consiglio sempre, specialmente ai giovani preti, di confidarsi con qualcuno, esprimendo le proprie passioni, emozioni, confusioni, perch cos si aiutati a chiarirsi. - A questi quattro modi di agire del Maligno ne aggiungo un quinto: il nemico cavalca le nostre debolezze fisiche e psichiche; dobbiamo perci stare molto attenti.

opera di satana il farci dire: andiamo a letto il pi tardi possibile. Cos pu approfittare della nostra stanchezza fisica, del nostro nervosismo, della nostra irritazione, soprattutto di ogni forma di depressione e di vuoto mentale; quando si accorge che siamo depressi, ci si precipita addosso e ci schiaccia. Occorre perci capire il linguaggio del corpo e tenere ben presente che, quando siamo stanchi, nervosi, inquieti, quando siamo un po' esauriti o smarriti, non dobbiamo seguire le nostre inclinazioni e i nostri pensieri, perch potrebbero essere negativi e fuorvianti. Con l'aiuto delle Regole di sant'Ignazio abbiamo tentato di descrivere alcuni modi di agire in noi del Maligno. Resistere al Maligno Noi siamo alleati con lo Spirito di Dio, lo Spirito santo, e con la tradizione della Chiesa. Se non avessimo questi alleati, ci perderemmo. dunque sommamente necessario saper riconoscere in noi l'azione dello Spirito buono. Vi consiglio in proposito due regole. - Dobbiamo ascoltare lo Spirito che consola. Dice sant'Ignazio nella II Regola: proprio del buono spirito dare coraggio, forza, consolazioni, lacrime, ispirazioni e pace, rendendo facili le cose e togliendo ogni impedimento, affinch si vada avanti nel bene operare (n. 315). Da questa forza positiva sgorga serenit e facilit. L'angelo delle tenebre ci sussurra: Come potremo rimuovere la pietra dalla bocca del sepolcro? Come faremo se i soldati non ci aiutano? Ma a un tratto l'angelo buono viene e la pietra rotolata via. E ancora, proprio dell' agire del nostro alleato nel bene produrre in noi qualche movimento intimo con cui l'anima resti infiammata nell' amore del suo Creatore e Signore; come pure quando essa non riesce ad amare per se stessa nessuna cosa creata sulla faccia della terra, ma solamente in relazione al Creatore di tutto (n. 316). la cosiddetta consolazione spirituale, l'aiuto che Dio ci d per sconfiggere satana. Chiamo consolazione ogni aumento di speranza, di fede e di carit e ogni tipo di intima letizia che sollecita e attrae alle cose celesti e alla salvezza della propria anima, rasserenandola e pacificandola nel proprio Creatore e Signore (ivi).

Tutto ci che d respiro, che d facilit, che d serenit, che scioglie i problemi, opera dello spirito buono. Dobbiamo sempre ricordare che la nostra esistenza caratterizzata da una conflittualit, nella quale siamo immersi. Non un cammino evolutivo tranquillo, di bene in meglio; una lotta, ed di fondamentale importanza conoscerne le componenti. - In secondo luogo lo spirito buono ci invita a resistere. .indispensabile, nei momenti difficili, tenere duro: In tempo di desolazione non si facciano mai mutamenti (regola d'oro!), ma si resti saldi e costanti nei propositi e nelle decisioni che si avevano il giorno precedente a tale desolazione o nella decisione che si aveva nella precedente consolazione (n. 318). Purtroppo spesso si compiono scelte nel momento della confusione, del turbamento, dell'amarezza, e risultano sbagliate. Perch, mentre nella consolazione ci guida e ci consiglia di pi lo spirito buono, nella desolazione ci guida quello cattivo con i consigli del quale non possiamo imbroccare nessuna strada giusta (n. 320). Sono parole da iscriversi veramente in fondo al cuore: io, noi abbiamo la grazia per resistere alle tentazioni, allo spirito del male, con l'aiuto di Dio. Termino sottolineando che una considerazione realistica e non idilliaca della realt ci fa capire quanto siamo immersi nel mistero del male, che non si spiega soltanto con la nostra fragilit o la debolezza umana, con i nostri errori. gusto di fare il male, di far soffrire, pura malvagit. E non sappiamo spiegarlo direttamente, proprio perch il male assurdit - l'abbiamo accennato parlando del contesto di male in cui viviamo e che dobbiamo avere presente in questi giorni di esercizi. Forse possiamo comprendere qualcosa di tale mistero contemplando la croce di Cristo. E mentre, guardando il Crocifisso, intuiamo almeno un poco l'enormit e la perversit delle deviazioni di ogni tipo che funestano il mondo, possiamo esclamare: Signore Ges, tu hai vinto, hai superato tutte queste malvagit e noi siamo certi che, con la tua grazia, saremo capaci di vincerle e di superarle!

Fiducia illimitata nella Parola

(omelia) Una testimonianza personale In quel tempo, mentre, levato in piedi, stava presso il lago di Genesaret e la folla gli faceva ressa intorno per ascoltare la parola di Dio, Ges vide due barche ormeggiate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Sal in una barca, che era di Simone, e lo preg di scostarsi un poco da terra. Seduto si, si mise ad ammaestrare le folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: "Prendi il largo e calate le reti per la pesca". Simone rispose: "Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getter le reti". E avendolo fatto, presero una quantit enorme di pesci e le reti si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell' altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche al punto che quasi affondavano. Al veder questo, Simon Pietro si gett alle ginocchia di Ges, dicendo: "Signore, allontanati da me che sono un peccatore". Grande stupore infatti aveva preso lui e tutti quelli che erano insieme con lui per la pesca che avevano fatto; cos pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone. Ges disse a Simone: "Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini". Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono (Le 5, 111). Mi permetto in questa omelia di essere un po' autobiografico, perch ho un rapporto molto speciale con il brano evangelico di oggi. il brano che si proclamava nella liturgia domenicale della V domenica per annum del 1980, la domenica in cui celebravo, per la prima volta nella mia vita, nel Duomo di Milano, facendo l'ingresso in diocesi come arcivescovo. Mi leggevo allora in questo brano, vedevo nella folla che faceva ressa intorno a Ges le tantissime persone che riempivano la Cattedrale - erano circa 10.000 - e all'esterno gremivano la piazza. Soprattutto sentivo, come Simone, la mia inadeguatezza: Signore, non sono capace. Per tutta la notte ho faticato e ho preso ben poco. Sperimentavo la condizione di Pietro, umiliata e inadeguata,

come la mia. E percepivo insieme che dovevo dar fiducia alla parola di Ges, facendone programma. Sulla tua parola, dunque fidandomi di questa Parola, proclamandola, spiegandola. Del resto il brano comincia proprio sottolineando che Ges predicava la parola di Dio; e tutto il testo nel suo insieme esalta la Parola, la parola di Dio predicata da Ges e la parola di Ges lanciata a Pietro: Prendi il largo e calate le reti. Per me prendere il largo voleva dire entrare in una funzione della quale non avevo nessuna esperienza, entrare in contatto con un mondo totalmente nuovo; significava un po' passare dalla terra alla luna, cio da un servizio di tipo scientifico, istituzionale, accademico, al servizio pastorale, ricominciando da zero, non conoscendo nessuno e nulla. Era veramente un fidarsi soltanto della parola di Ges. Avvertivo che mi veniva data questa fiducia dalla grazia Dio. Non l'avevo in me, non la traevo da un'esperienza di ministero che mi mancava. Non avevo la minima idea di che cosa fosse una diocesi, avevo studiato poco il Diritto canonico perch mi ero dedicato soprattutto agli studi di sacra Scrittura. Non sapevo, per esempio, che cosa fosse una Curia o quale fosse la funzione di un Vicario generale! E tutto mi veniva offerto, messo tra le mani, con una sola assicurazione: prendi il largo, butta le reti per la pesca. La verit della parola di Ges l'ho sperimentata anno dopo anno, e sempre pi ho visto la bellezza dell' avventura che vivevo e dell' essermi fidato di lui. Bench tante siano state le mie negligenze e inadempienze, tuttavia mi sembrava che le reti si riempissero di pesci, una quantit enorme, inattesa, e le reti quasi si rompevano. A poco a poco cresceva in me il timore di essere inadeguato e dicevo: Signore, perch questo a me? Allontanati da me che sono peccatore!. Stupore, timore, senso di indegnit, e sempre il Signore mi diceva: Non temere, d'ora innanzi sarai pescatore di uomini. Questo testo ricorre una volta all' anno nella liturgia feriale e due volte quando nella liturgia domenicale si legge il vangelo di Luca. E per tutti i 22 anni e 5 mesi in cui ho servito la Chiesa di Milano, ho

rivissuto gli stessi sentimenti. Tutto vostro Fratelli, nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente; perch la sapienza di questo mondo stoltezza davanti a Dio. Sta scritto infatti: "Egli prende i sapienti per mezzo della loro astuzia". E ancora: "Il Signore sa che i disegni dei sapienti sono vani". Quindi nessuno ponga la sua gloria negli uomini, perch tutto vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la! vita, la morte, il presente, il futuro: tutto vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo di Dio (1 Cor 3, 18-23). Vorrei dire pure qualcosa sulla prima lettura, dove san Paolo ci toglie l'illusione che esista un linguaggio che finalmente pu essere capito dalla sapienza di questo mondo. Noi spesso ci autoaccusiamo lamentandoci: non abbiamo il linguaggio adatto; se avessimo il linguaggio, la gente ci capirebbe, ci seguirebbe. Io non ho mai creduto molto alla gherminella del linguaggio. chiaro che dobbiamo evitare nel nostro parlare tutto ci che arcaico, artificioso, burocratico, teoretico. Tuttavia, quando diciamo le cose come le viviamo, non possiamo fare di pi. Non c' niente che possa costruire ponti di comunicazione, se non avviene la rinuncia a una certa autosufficienza umana, a una certa sapienza umana. Accettare l'umilt di Ges richieder sempre un salto di qualit, mai potremo fare in modo che l'umilt di Ges piaccia e sia oggetto di desiderio mondano. Ed giusto che sia cos. Dio prende i sapienti per mezzo della loro astuzia, li gioca. Ma quando abbiamo compreso che i disegni dei sapienti sono vani, allora mettiamo tutta la nostra fiducia nella Parola, ed la Parola che salva noi e gli altri. Il testo di Paolo si conclude con una frase bellissima: Tutto vostro - siete ricchi e liberi - Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita,

la morte, il presente, il futuro - niente ci sottratto quando, siamo di Cristo. Ma voi siete di Cristo e Cristo di Dio. Anche tanti problemi riguardanti la Chiesa, la sua struttura, il suo rinnovamento, impallidiscono. di fronte a tale verit: che tutto di Cristo e che Cristo di Dio, e che Dio riporta a casa tutti e tutte le cose. Come, lo sa solo Lui; per lo sta facendo e noi siamo semplici collaboratori abbandonati alla sua azione, alla sua potenza, alla grazia del suo Spirito. Chiediamo, per intercessione di Maria, di poter vivere nella fiducia e nell'abbandono.

VII MEDITAZIONE Venga il tuo Regno Siamo giunti al punto culminante dei nostri esercizi, alla domanda centrale del Padre Nostro: Venga il tuo Regno. Finora le abbiamo un po' girato attorno, quasi nel timore di affrontarla. Vengono subito alla mente due versetti di Lc 12: Cercate piuttosto il regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta. Non temere, piccolo gregge, perch al Padre vostro piaciuto di darvi il suo regno (vv. 31-32). Noi ti ringraziamo, o Padre, perch ti piaciuto dare il tuo Regno a noi, piccolo gregge insignificante rispetto al tumulto del mondo, del suo strapotere, della sua violenza, delle sue vanterie per le scoperte sempre pi avanzate della scienza. Ti ringraziamo perch dai il Regno a noi, cos poco importanti e talora emarginati. Tu ci inviti a cercarlo e a chiederlo. Donaci dunque di . comprendere in che cosa consista. Certamente corrisponde a un desiderio profondissimo del tuo Figlio Ges. Fa' che entriamo nel suo cuore, per comprendere questo Regno e perch possiamo camminare verso di esso, lasciando che prenda posto nei nostri cuori e nella nostra vita. Te lo chiediamo, o Padre, per Cristo nostro Signore. La domanda venga il tuo Regno , secondo alcuni esegeti, la domanda unica e tutte le altre fanno da contorno. Dopo aver riflettuto a lungo, ho preferito la soluzione proposta dal p. Ledrus:

sia santificato il tuo nome la domanda pi radicale, metafisica, e venga il tuo Regno ne la realizzazione storica; sia santificato il tuo nome la richiesta ancora generale, di carattere assoluto, mentre venga il tuo Regno si riferisce alla sua attuazione nella vita di Ges. Naturalmente rimane comunque difficile capire ci che chiediamo con le parole venga il tuo Regno. proprio con la presentazione del Regno che Ignazio di Loyola inizia la Seconda settimana degli Esercizi spirituali; potremmo anzi considerare questo momento del nostro Ritiro come il passaggio dalla Prima alla Seconda settimana. Essa appunto preceduta dalla contemplazione del Re e del Regno, una meditazione preparatoria e introduttiva, che Ignazio pone all'inizio delle meditazioni sulla vita di Ges quale chiave interpretativa sintetica: Fare attenzione a come questo re parla a tutti i suoi e dice: " mia volont conquistare tutto il territorio degli infedeli; pertanto chi vorr venire con me deve accontentarsi di mangiare come me, e cos pure bere e vestirsi, ecc.; allo stesso modo, deve lavorare con me di giorno e vegliare con me di notte, ecc.; affinch, in tal modo, dopo partecipi con me alla vittoria, cos come partecip alle sofferenze" (n. 93). Tale concezione del Regno ovviamente nello stile conquistatore tipico del secolo in cui Ignazio vissuto: si perseguiva la sottomissione di tutti gli infedeli alla potenza di Dio. Non sbagliata, per lascia aperta la domanda: in che modo viene il Regno? Viene attraverso una potenza che distrugge i nemici e vince in battaglia, come si pensava a partire dal tempo delle crociate? Oppure una realt che viene piuttosto come seme, come lievito, come penetrazione paziente nella massa? L'invocazione venga il tuo Regno lascia adito, mi pare, a tante diverse interpretazioni. Da parte mia vorrei tentare un approfondimento, articolandolo in quattro considerazioni: la domanda su cosa il Regno; la constatazione che questo Regno non c'; che non c' ma viene; infine la riflessione sugli atteggiamenti con i quali chiediamo che il Regno venga. Che cos' il Regno?

ovvio soprattutto dai sinottici che il regno di Dio la preoccupazione centrale di Ges, il contenuto sintetico della sua predicazione, cos come leggiamo fin dall'inizio del racconto di Mare o: Ges si rec nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: "Il tempo compiuto e il regno di Dio vicino; convertitevi e credete al vangelo" (1,14-15). Il regno di Dio quindi il centro dell' annuncio di Ges. * Le definizioni di Ges. I sinottici mostrano Ges che in tanti modi parla del Regno, soprattutto nelle parabole, per esempio in Me 4, 26: Il regno di Dio come un uomo che getta il seme nella terra e in Me 4, 30: A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio e con quale parabola possiamo descriverlo?. E l'evangelista ha gi posto all'inizio del capitolo, pur senza parlare subito del Regno, la parabola pi nota, quella del seminatore, che anch'essa una parabola del Regno (cf vv. 2-9). Dunque Ges parla spesso del Regno, ma in parabole, con paragoni, attraverso metafore, allusioni, immagini, senza mai darne una definizione. Non facile comporre in sintesi tutto ci; per farlo occorre considerare e unificare le molte menzioni del Regno. * Tentativi di sintesi. A mio giudizio una sintesi ottima la leggiamo nella nota della Bibbia di Gerusalemme a Mt 4, 17: La regalit di Dio sul popolo eletto e, per suo mezzo sul mondo, al centro della predicazione di Ges, come lo era dell'ideale teocratico dell' Antico Testamento. Essa comporta un regno di "santi" di cui Dio sar veramente il re, perch il suo regno sar riconosciuto da essi mediante la conoscenza e 1'amore. Compromessa dalla rivolta del peccato, tale regalit deve essere ristabilita attraverso un intervento sovrano di Dio e del suo messia. Questo !'intervento che Ges (...) realizza non con un trionfo militare e nazionalistico (come potrebbe fare sospettare la parabola di Ignazio) quale lo attendevano le folle, ma in modo tutto spirituale, come "Figlio dell'uomo" e "servo", con 1'opera della redenzione che strappa gli uomini al regno avverso

di satana. Prima della sua realizzazione escatologica e definitiva, nella quale gli eletti vivranno col Padre nella gioia del banchetto celeste, il regno apparir con inizi umili, misteriosi (il seme buttato nella terra che non si sa in qual modo cresca) e contradditori, come una realt gi cominciata e che si sviluppa lentamente sulla terra mediante la Chiesa. Instaurato con potenza come regno del Cristo mediante il giudizio di Dio su Gerusalemme e predicato nel mondo attraverso la missione apostolica, sar definitivamente stabilito e consegnato al Padre con il ritorno glorioso del Cristo nel momento dell'ultimo giudizio. Nell' attesa, esso si presenta come pura grazia, accettata dagli umili e dai diseredati, rigettata dai superbi e dagli egoisti. Vi si entra solo con la veste nuziale della nuova vita; vi sono degli esclusi. Bisogna vegliare per essere pronti quando esso verr, all'improvviso. Una nota certamente sintetica, la quale, citando moltissimi passi dei sinottici, fa comprendere che la realt del Regno non facile, complessa, ha inizi modesti, non si propone con la forza delle armi e della conquista, non fa leva sulla potenza umana, ma soprattutto una realt che entra nei cuori e deve venire da essi accettata. In proposito le frasi pi pregnanti e pi belle le leggo ancora una volta nel testo di p. Ledrus: La verit elementare che Dio domina incondizionatamente e fin dal principio !'intera sua creazione, non esclusa quella libera, Dio gi da sempre re. Per, parlando ora di "Regno" nel senso evangelico, Dio propriamente regna quando la sua bont conquista con la mitezza della grazia l'umile spontanea adesione dei cuori liberi. L' onnipotenza divina splende sovranamente nei trionfi della misericordia, quando essa porta a maturazione la vita eterna negli eletti, quando con longanimit risparmia il loglio dello scandalo

seminato in mezzo al buon seme della parola, non lo fa sottrarre per forza, quando trasforma la pietra di inciampo, cio il successo relativo della malizia il Calvario - in "pietra angolare" della casa vivente dei figli adottivi. Il Regno evangelico del Padre delle misericordie quindi non si riduce all' effettiva padronanza di Dio che avvolge sotto la sua potenza anche i dannati. Il Regno consiste nella piena libera effusione della vita divina nel cuore e dal cuore degli uomini redenti (ap. cit., pp. 98-99). Qui sottolineato con grande efficacia il carattere di libert, di spontaneit, di progressivit, di mitezza proprio del Regno. E ancora: Questo Regno (...) nientemeno l'operazione apostolica dello Spirito santo, considerata nelle tappe della sua diffusione e specialmente nell'ordinamento celeste della vita cristiana come avvenimento universale dell' eternit gloriosa. Il "venga il tuo regno" una domanda ispirata dalla premura che si sviluppi il Regno gi iniziato; che si attui come primizia in questa vita e come compiutezza nell'ultimo risorgere. Questo Regno, questa vita potente, manifesta e vittoriosa, di Cristo nei suoi la realt misteriosa pi solida, pi imponente che si svolga nell'universo, il fatto pi denso, pi memorabile, pi indimenticabile della storia: il Regno incominciato, il Regno in movimento, il Re vivente nel suo regno (i v i, pp. 99-100). bello notare che tutto ci mostra quanto sia ricco questo concetto e come sia diffuso in tutti i vangeli. * Una realt che si comprende nella sequela di Ges. Abbiamo gi detto che Ges non ha mai voluto dare una sintesi breve della natura del Regno; ha sempre lanciato parabole, indicazioni di atteggiamenti - come le beatitudini -, con indicazioni etiche, morali, teologiche, per far comprendere una realt non cos

facile da mettere in ordine teoreticamente, ma che compresa da chi la vive. La preghiera venga il tuo Regno afferma il desiderio umile del discepolo che una realt dagli inizi poveri, miti, quasi disprezzati, a poco a poco conquisti il cuore degli uomini e sia gioiosamente e liberamente accolta. la grandezza del Regno, tutto giocato sulla libert, sulla mitezza, sulla spontaneit, sulla persuasione; ed la sua debolezza, perch non affidato a una potenza, a un esercito, alla capacit di piegare il consenso degli uomini n con la forza delle armi, n con il potere economico, n con il potere intellettuale o politico. una realt intima del cuore, che tuttavia conquista l'universo mediante il cambiamento della vita che essa produce - pensiamo alle beatitudini, che sono l'espressione tipica dello stile di vita del Regno. A questo punto potete capire che sono imbarazzato nel darne una definizione precisa. Cerco di arrivarci attraverso le differenti citazioni e soprattutto invocando lo Spirito santo affinch ci doni una profonda comprensione dei vangeli in modo da permetterci di cogliere il giusto senso del Regno, come si propone nel Discorso della montagna, nel discorso in parabole, nel discorso missionario e in tanti altri detti di Ges. Dunque il Regno una realt che non viene etichettata in maniera facile, ma viene vissuta seguendo giorno dopo giorno Ges e dando fiducia alle parole del suo Vangelo. Una realt che si vive mettendosi alla sequela di quel Ges che fin dall' inizio della sua missione pubblica, al Giordano, si umilia mettendosi in fila tra i peccatori e dichiarando cos che vuole proclamare il Regno nell'umilt, nel nascondimento, nel disprezzo dei privilegi. perci giusto domandare che il Regno venga, perch non pu essere una nostra conquista. Dio che opera il Regno, Lui che entra nei cuori e li avvince; Lui, con la grazia dello Spirito santo, che prende possesso delle anime e le trasforma a immagine di Ges. In altre parole, il Regno Ges, la sua vita, il suo modo di vivere, di amare, di soffrire: proprio per questo il Regno si propone in maniera formidabile e incontrovertibile nella croce, nella morte di Ges per amore.

Venga il tuo Regno una richiesta altissima e forse dobbiamo dire, come un giorno Ges ai discepoli: Voi non sapete quello che chiedete (Mt 20,22). Chiediamo intuendo pi che ragionando, pi desiderando .col profondo del cuore che avendo davanti agli occhi un'immagine ben precisa. Questo tipico del regno di Dio, della sua libert, della sua spontaneit, della sua capacit di conquistare i cuori senza forzarli, e insieme della sua insignificanza, della sua non visibilit. * Le definizioni di Paolo. Se Ges non si sprecato in definizioni del Regno ed stato piuttosto restio e parco, san Paolo in particolare ci offre qualche maggiore chiarimento nelle sue lettere apostoliche: ne parlano poco, ma in maniera molto convincente e sintetica. - Penso a Rm 14,17: Il regno di Dio infatti non questione di cibo o di bevanda, ma giustizia, pace e gioia nello Spirito santo. una bellissima quasi definizione del Regno: giustizia, per giustizia del Regno, giustizia misericordiosa di Dio, a cui segue pace e gioia nello Spirito santo. - C' un altro passo splendido di Paolo, che non d una definizione bens una descrizione di atteggiamenti: Il frutto dello Spirito invece amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bont, fedelt, mitezza, dominio di s (Gal5,22). Questo il frutto dello Spirito, ed il Regno. - Posso forse citare inoltre 1 Cor 4,20, un versetto un po' enigmatico e per illuminante. Verr- scrive Paolo a coloro che lo criticano - e mi render conto allora non gi delle parole di quelli, gonfi di orgoglio, ma di ci che veramente sanno fare. Perch il regno di Dio non consiste in parole, ma in potenza (vv. 19-20), potenza che soprattutto e anzitutto trasformazione della vita dell'uomo, e anche capacit di operare miracoli attraverso tale trasformazione. Ho voluto mettere insieme alcune descrizioni e definizioni del Regno, cos che possiamo comprendere che occorre tutta una vita per entrare nel senso profondo della domanda: Padre, venga il tuo Regno. Come lievito e seme Il nostro ripetere l'invocazione dimostra, d'altra parte, che il regno di

Dio non c' ancora in pienezza. Esso infatti nascosto, un lievito, un seme, una piccola pianticella, un filo d'erba e ci vuole l'occhio della fede per scorgerlo. Oggi certamente pi visibile la potenza di satana, ma sappiamo che tutta l'opera di Ges consiste nel legare tale potenza satanica che si esprime nel peccato, nell' orgoglio, nella voglia di successo, nello strapotere, nello schiacciare gli altri - affinch venga il Regno. Nessuno pu entrare nella casa di un uomo forte e rapire le sue cose se prima non avr legato l'uomo forte; allora ne sacchegger la casa (M c 3,27). Ges colui che ha legato l'uomo forte. L'ha fatto durante tutta la sua vita e particolarmente nella sua Passione e morte, quando ha legato satana, ha legato la forza della morte e l'ha vinta. Nell' oggi che viviamo, l' uomo forte ancora in azione e in qualche modo sembra dominare. La nostra fede per scorge, nonostante il suo apparente strapotere, la presenza silenziosa del Regno gi in atto che si oppone a satana e, quale seme e lievito, fermenta la storia. Il venire del Regno Come viene il Regno? Non certo in forza delle nostre opere, bens con la forza di Dio, con la forza di Ges, con la grazia dello Spirito santo. Noi desideriamo chiedere con fiducia che la potenza umile di Ges si manifesti fino allo svelamento completo e definitivo. Alcuni esegeti discutono se con venga il tuo Regno si intende quello finale escatologico oppure un Regno che viene nell' oggi, giorno dopo giorno. Penso pi consono con l'insieme delle nostre riflessioni considerare la domanda riferendola al presente: venga il tuo Regno; cio si manifesti, o Signore, la potenza umile, discreta, misteriosa, modesta, mite, convincente della tua verit. Ovviamente guardiamo anche alla pienezza definitiva: venga il Regno nella sua manifestazione finale, quando la morte sar sconfitta e non ci saranno pi n lacrime n terrore n violenza, perch le cose di prima sono passate (Ap 21,4). Un'ultima osservazione vorrei fare sul venire di questo Regno. Abbiamo visto che la domanda si trova in Luca forse nel suo contesto pi preciso. Sappiamo tuttavia che il capitolo 11 di Luca

preceduto da quelle dichiarazioni con cui Ges a poco a poco fa capire di che natura il suo Regno. La prima: Il Figlio dell'uomo deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, essere messo a morte e risorgere il terzo giorno (9,22). La seconda: Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mos ed Elia, apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua di partita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme (vv. 30-31). C' poi una terza dichiarazione: Mentre tutti erano sbalorditi per tutte le cose che faceva e si aspettavano che il Regno si manifestasse con potenza, con la sconfitta degli oppositori, disse ai suoi discepoli: "Mettetevi bene in mente queste parole: Il Figlio dell'uomo sta per essere consegnato in mano degli uomini" (vv. 43-44). Dunque Ges realizza il Regno attraverso la sua Passione. In speranza e pace Quali sono allora gli atteggiamenti con cui esprimere questa domanda e gli atteggiamenti da essa suggeriti? A me sembra che, se valido quanto ho tentato di spiegare, l'atteggiamento fondamentale non lo sforzo affinch venga il Regno, quasi dovessimo tirarlo gi dall' alto con violenza, bens un atteggiamento di speranza e di pace. l'auspicio di Paolo: Il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e pace nella fede, perch abbondiate nella speranza per la virt dello Spirito santo (Rm 15,13). Questa preghiera nasce da una grande speranza, da un' assoluta fiducia, da un totale abbandono al Signore. E mentre la recitiamo vogliamo camminare sulle orme di Ges, che ci insegna come il Regno viene vivendo una vita di povert, di amore, di perdono, di dono di s fino alla morte. certamente una richiesta molto esigente, che comprende l'intero Vangelo, e non riusciremo mai ad approfondirla pienamente; il suo significato ci sar rivelato nello snodarsi dei giorni, se pregheremo con umilt e ci sforzeremo di testimoniare gli atteggiamenti indicati da Ges come tipici del Regno, a partire dalle beatitudini.

VIII MEDITAZIONE Sia fatta la tua volont come in cielo cos in terra All'inizio di questa meditazione rileggo con voi alcune parole del Testamento spirituale di papa Giovanni XXIII, l dove dice: Nell' ora dell' addio, o meglio dell' arrivederci, ancora richiamo a tutti ci che vale nella vita: Ges Cristo benedetto, la sua santa Chiesa, il suo Vangelo, e nel Vangelo soprattutto il Pater noster, nello spirito e nel cuore di Ges e del Vangelo. Mi colpiscono le sue parole, perch oggi il primo venerd del mese, dedicato tradizionalmente al Cuore di Ges. Noi in questi giorni stiamo proprio cercando di entrare nel suo cuore, nella sua preghiera, nella preghiera che ci ha insegnato e che certamente corrisponde a quanto c'era di pi profondo nella sua coscienza intima. Abbiamo ricordato nella meditazione precedente che nel pi profondo della coscienza di Ges albergava il desiderio del Regno e ci siamo accorti di come sia difficile definirlo, perch il Regno lui, nella sua vita, Passione, morte, risurrezione e ascensione, e dovremmo perci avere in noi i suoi stessi sentimenti. Ti chiediamo perci, Signore Ges, la grazia di poter compiere l'esperienza di cui parla Paolo quando ci esorta: Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Ges (Fil2,5); ti chiediamo la grazia di conoscerti intimamente attraverso la meditazione sulla preghiera del Padre Nostro nella quale hai messo tutto il tuo cuore. Oggi la memoria liturgica di san Gregorio Magno, un santo che ho sempre amato molto, e affidiamo alla sua intercessione il nostro desiderio di comprenderla appieno. L'invocazione sulla quale vogliamo riflettere oggi, sia fatta la tua volont cos in cielo come in terra, riportata solo da Matteo, non da Luca. Ci si domanda se Luca che l'ha tolta o se Matteo che l'ha aggiunta. Sembra difficile che Luca l'abbia tralasciata, se faceva parte della preghiera originaria; e d'altra parte corrisponde pienamente, e lo vedremo, al senso e allo spirito del cuore di Cristo. Quindi questa parola, che non sarebbe strettamente necessaria, perch nella richiesta del Regno gi compreso tutto, per molto

utile e Matteo ha voluto accoglierla, a dire che il Regno si realizza concretamente nel compimento della volont di Dio. In questi giorni ci proponiamo appunto come scopo di cercare la volont di Dio nella nostra vita. Come dice sant'Ignazio nella prima Annotazione, gli esercizi spirituali si fanno per preparare e disporre l'anima a togliere da s tutti i legami disordinati e, dopo averli tolti, a cercare e trovare la volont divina nell'organizzazione della propria vita per la salvezza dell' anima (n. 1): Teniamo presenti quale sfondo i versetti drammatici di Matteo 26. Mostrano come Ges, che pure ha desiderato tanto la venuta del Regno perch la volont del Padre si compia, fa fatica ad accettarla: E avanzatosi un poco, si prostr con la faccia a terra e pregava dicendo: "Padre mio, se possibile, passi da me questo calice! Per non come voglio io, ma come vuoi tu!" (v. 39). E finalmente: Padre mio, se questo calice non pu passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volont (v. 42). Quindi l'invocazione del Padre Nostro espressa da Ges nel momento pi oscuro della sua vita. Domandiamo alla Madonna, che ha sempre fatto il beneplacito di Dio e a esso si consacrata dopo l'annuncio dell'angelo, di poter capire che cos' questa volont che ci auguriamo si compia come in cielo cos in terra. Su questo tema, dopo una premessa, svolger due riflessioni: la volont di Dio in Ges e nei discepoli; la volont di Dio in noi. Per concludere con qualche considerazione sulle parole come in cielo cos in terra. Premessa La volont di Dio pu essere intesa in due modi: c' quella trascendentale e quella categoriale. - Potremmo definire la volont di Dio trascendentale come il suo piano globale, il suo disegno sull'universo, quel piano globale, quel disegno che la salvezza di tutti ed esposto forse nella maniera pi bella e sintetica dall' evangelista Giovanni: Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perch chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perch il mondo si salvi per mezzo di lui (3,16-17). Questa la volont di Dio

trascendentale, che abbraccia tutto, che spiega tutte le situazioni, che penetra in tutte le vicende della storia. Tale volont universale cantata da Paolo nello stupendo inno della lettera agli Efesini, soprattutto al capitolo 1, vv. 9-10: Poich egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volont / secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito / per realizzarlo nella pienezza dei tempi: / il disegno cio di ricapitolare in Cristo tutte le cose, / quelle del cielo come quelle della terra. E ancora in Col 1,15-20 Paolo spiega: Cristo immagine del Dio invisibile / (...). Tutte le cose sono state create / per mezzo di lui e in vista di lui / (...). Perch piacque a Dio / di fare abitare in lui ogni pienezza / e per mezzo di lui riconciliare a s tutte le cose, / rappacificando con il sangue della sua croce, / cio per mezzo di lui, / le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli. Qui la volont trascendentale gi diventa, col riferimento alla croce, in qualche modo categoriale, cio pi concreta. Nella prima lettera a Timoteo poi l'Apostolo invita a pregare per tutti, perch questa una cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verit (2,3-4). il piano globale di Dio, la sua volont, il suo disegno di salvezza che riguarda tutti gli uomini; ed per noi conforto sapere che ci che Dio vuole si effettuer. - La volont di Dio che chiamiamo categoriale si concretizza invece nel tempo, quella che riguarda l'oggi, il qui e ora, e non va mai separata dalla volont trascendentale. In particolare si esprime nei comandamenti, nel Decalogo; questa la volont di Dio per il nostro tempo, specialmente il grande comandamento della giustizia. Ges risponde al giovane ricco: Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti. Ed egli chiese: "Quali?". Ges rispose: "Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso" (Mt 19, 17-19). Splendida anche la risposta di Ges sul comandamento dell'amore: Un dottore della legge lo interrog per metterlo alla prova: "Maestro, qual il pi grande comandamento della legge?", cio la volont di Dio pi importante. Gli rispose: "Amerai il Signore Dio

tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo il pi grande e il primo dei comandamenti. E il secondo simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti" (Mt 22,3540). La volont di Dio si concretizza in precetti, comandi, azioni che vengono richieste per essere come Lui vuole, per essere suoi figli, per vivere davvero lo spirito filiale. Troviamo nel Nuovo Testamento altre espressioni della volont di Dio concreta, per esempio: Cos il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli (Mt 18,14). Un altro passo importante nella epistola ai Romani: Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi alla mentalit di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volont di Dio, ci che buono, a lui gradito e perfetto (12,1-2). Abbiamo inoltre un esempio molto bello di conformit alla volont divina categoriale negli Atti degli Apostoli, l dove si dice di Davide: Dio suscit per loro come re Davide, al quale rese questa testimonianza: "Ho trovato Davide, figlio di Iesse, uomo secondo il mio cuore. Egli adempir tutti i miei voleri" (13,22). Il volere categoriale di Dio quello che, quando lo compiamo, ci rende davvero suoi figli, ci fa essere secondo il suo cuore. Giungiamo in questo modo al punto che ci prende pi da vicino: come conosco io la volont di Dio, ci che a lui gradito, ci che buono, ci che perfetto? Vediamo di arrivarci per gradi. La volont di Dio in Ges e nei discepoli - Anzitutto, i vangeli mostrano Ges tutto immerso nella volont del Padre. Quando esclama: Sia fatta la tua volont esprime la sua pi profonda intenzione quotidiana: il Regno si compie facendo la volont di Dio. Cito qualche brano dell' evangelista Giovanni. Gv 6,38: Sono

disceso dal cielo non per fare la mia volont, ma la volont di colui che mi ha mandato; v. 40: Questa infatti la volont del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna. Di nuovo, 8,29: Colui che mi ha mandato con me e non mi ha lasciato solo, perch io faccio sempre le cose che gli sono gradite. E questo ci ricorda quell'altro brano cos bello in cui Ges, presso il pozzo di Samaria, ai discepoli che lo pregano di mangiare, risponde: Mio cibo fare la volont di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera (4,34). Possiamo contemplare Ges immerso, trasfigurato, identificato nella volont di Dio. - L'adesione a tale volont caratterizza pure i discepoli. Ricordo almeno un passo di Matteo e uno di Marco. Alla fine del Discorso della montagna leggiamo: Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrer nel regno dei cieli, ma colui che fa la volont del Padre mio che nei cieli (M t 7,21). Dunque su questo Ges pone l'accento: non ripetere Signore, Signore, ma fare la volont del Padre. E ancora pi teneramente e affettuosamente, affettivamente, Ges si esprime nel testo di Marco: Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: "Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volont di Dio, costui mio fratello, sorella e madre" (3,34-35). Facendo la volont di Dio acquistiamo un' intimit unica con Ges, che supera tutti i legami familiari e affettivi di questo mondo, perch la volont di Colui che ci ha creato, che ci ama, che ha dato per noi la sua vita, che tutto per noi. E noi diventiamo tutto per lui: Il mio diletto per me e io per lui, secondo la formula del Cantico dei cantici (2,16). La volont di Dio in noi Qual la volont di Dio in me, in noi, nella Chiesa, nel mondo? * Certamente essa si esprime in modo molto chiaro nei comandamenti e nei precetti della Chiesa, e anche nelle disposizioni del Diritto canonico, pur se con valore obbligante diverso a seconda del contenuto. Tale volont di Dio si esprime pure con gli obblighi assunti

liberamente verso Dio e verso gli altri. A questo proposito ricordo che, avendo seguito come vescovo di una grande diocesi con migliaia di preti alcuni casi di crisi sacerdotale, mi colpiva negativamente il fatto che, anche nelle crisi pi sincere, ci si chiedeva: ma che cosa vuole Dio da me? Si dimenticavano completamente gli obblighi assunti verso la Chiesa, verso i fedeli, verso la societ, cio una realt fondamentale per vivere la volont di Dio: rispettare i patti, gli impegni presi, mantenere le promesse. Anche questa volont di Dio. Naturalmente ci possono essere situazioni di eccezione, e la Chiesa infatti giunge talora alla dispensa. Tuttavia quando uno ha assunto un obbligo verso una comunit concreta, soprattutto se lo ha fatto pubblicamente, solennemente, non pu dispensarsene quasi non esistesse e come se l'unica cosa a contare fosse la propria esistenza personale di fronte a Dio. Si invece legato ufficialmente di fronte a una comunit e deve tener conto degli obblighi, delle conseguenze dei suoi gesti di fronte a essa. * Comunque, al di l di queste precise indicazioni della volont di Dio, rimangono ancora molti spazi nei quali il Signore immediatamente ci pu fare delle richieste. lo spazio dell'immediatezza dello Spirito, quello per il quale abbiamo detto all' inizio che gli esercizi sono una forza, una dinamica, un ministero dello Spirito e un ministero dell'immediatezza, in quanto riguardano, oltre a ci che Dio ci domanda coi suoi comandamenti e precetti, richieste che non si trovano in nessun comandamento o precetto o Codice di diritto canonico, perch sono la storia di Dio con me, la sua immediata parola che mi tocca. Rientra in questa prospettiva per esempio la vocazione. Nessuno stato obbligato dal Codice di diritto canonico, dalla Chiesa ad assumerla. la storia di Dio con me, la mia risposta alla sua parola. E nell' ambito della vocazione, ci sono pure delle scelte che sono affidate alla immediatezza del contatto quotidiano con Dio e sono quindi oggetto di discernimento quotidiano. Penso ai tempi e ai modi della preghiera; ai tempi e ai modi del lavoro e del riposo; al modo di regolare le amicizie, a tutto quanto riguarda il campo dello zelo apostolico, dove le nostre scelte o le nostre iniziative non sono obbligate, ma vanno confrontate con la volont di Dio, sono

appunto oggetto di discernimento. Conoscere la volont di Dio importante per la mia pace, per la mia verit, per l'autenticit della mia vita che si gioca sulla parola di Ges comunicatami attraverso lo Spirito. Tuttavia non cosa facile. Quante volte ci chiediamo, anche magari con qualche ansiet: sto davvero facendo la volont di Dio? Le imprese in cui mi sono imbarcato, la scelta che ho compiuto piace davvero a Dio? Talora la domanda angosciosa e qualche volta l'incertezza pu tormentarci per un tempo lungo. All'interrogativo di come arriviamo a conoscere la volont di Dio, una domanda che anche noi preti ci sentiamo porre sovente dalla gente - Dio vorr davvero questo da me? Forse vuole qualcosa di pi che non ho ancora capito? - non c' risposta matematica. Anzi io credo che il Signore ci mette in uno stato di qualche inquietudine, proprio perch attraverso la ricerca noi ci purifichiamo, ci liberiamo dalle nostre voglie disordinate o semplicemente fragili, fantasiose, e cerchiamo davvero ci che il Signore vuole per noi. Per aiutarci nel difficile impegno del discernimento, possiamo ricorrere ad alcune regole, che desidero ora richiamare, perch vi potranno essere utili in questi giorni di esercizi e pure in seguito, nella vita normale. Per spiegare la prima, forse la pi sicura, vorrei servirmi dell' icona di Mos sul monte: Mos disse a Dio: "Mostrami la tua Gloria!". Rispose: "Far passare davanti a te tutto il mio splendore e proclamer il mio nome: Signore, davanti a te. Far grazia a chi vorr far grazia e avr misericordia di chi vorr avere misericordia". Soggiunse: "Ma tu non potrai vedere il mio volto, perch nessun uomo pu vedermi e restare vivo". Aggiunse il Signore: "Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: quando passer la mia Gloria, io ti porr nella cavit della rupe e ti coprir con la mano finch non sar passato. Poi toglier la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si pu vedere" (Es 33,18-23). Mos chiede di vedere il volto di Dio che significa conoscere chiaramente la sua volont - ma non lo vedr. Per una volta che Dio sar passato, da dietro lo vedr. Comprendiamo da questa immagine che la volont di Dio palese soprattutto quando noi perseveriamo nella pace. Quando cio

perseveriamo in qualche decisione presa, magari non facile, anche nelle prove, anche nell' aridit, con una qualche profonda pace interiore, segno che la stiamo compiendo. Dunque, la si riconosce non di rado a posteriori; e ogni scelta un rischio. Ricordo un' esperienza vissuta a Milano, quando ho proposto ai giovani l'iniziativa del cosiddetto Gruppo Samuele, dicendo loro che, se desideravano conoscere la volont di Dio e mettere la propria vita a sua disposizione a 360, potevano compiere con me il cammino di un anno. Alle centinaia di giovani che con grande generosit avevano accettato la proposta tenevo un incontro mensile, dopo il quale davo per cos dire dei compiti a casa e spiegavo le Regole del discernimento degli spiriti secondo sant'Ignazio. Rimasi colpito dal fatto che la domanda pi ansiosa postami da quei giovani e da quelle ragazze, che pur vivevano l'itinerario con molta intensit, era: ma sono davvero sicuro di trovare la volont di Dio? lo sceglierei la vita consacrata, la vita sacerdotale, ma se fossi sicuro al cento per cento che Dio lo vuole. E io rispondevo: se volete essere sicuri, non deciderete mai. La vita un rischio e le scelte, specialmente quelle riguardanti il nostro esistenziale, vanno rischiate. Dovranno essere oggetto di discernimento, attraverso la preghiera, il consiglio, la riflessione; tuttavia non avremo mai la certezza matematica che la nostra scelta corrisponde alla volont di Dio. una certezza che avremo solo col tempo e perseverando nella pace. Vi consiglio di leggere due testi del libro di Isaia, dove si parla appunto del sostegno di Dio che ci accompagna nella nostra fragilit colmandoci di pace: Poich dice il Signore Dio, / il Santo di Israele: / "Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, / nell' abbandono confidente sta la vostra forza" (30,15); Non lo sai forse? / Non lo hai udito? / Dio eterno il Signore, / creatore di tutta la terra. / Egli non si affatica n si stanca, / la sua intelligenza inscrutabile. / Egli d forza allo stanco / e moltiplica il vigore allo spossato. / Anche i giovani faticano e si stancano, / gli adulti inciampano e cadono; / ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, / mettono ali come di aquile, / corrono senza affannarsi, / camminano senza stancarsi (40, 28-31). La perseveranza nella pace davvero un segno della volont del Signore.

Ci sono poi altri modi per discernere e sant'Ignazio li descrive ampiamente. Mi limito a richiamare almeno il brano che descrive in generale i tempi per fare una buona scelta. - Il primo tempo quando Dio stimola e attira tanto la volont che l'anima fedele, senza dubitare n poter dubitare, segue quello che le viene mostrato, come fecero san Paolo e san Matteo quando seguirono Cristo nostro Signore (n. 175). un modo di discernimento quasi carismatico, potremmo dire, e per non cos raro. Ci sono scelte sicure, tranquille, scelte nelle quali non abbiamo nessun dubbio (Dio me lo chiede e io mi butto). Personalmente ho sempre detto che la mia scelta di andare a Gerusalemme non ha nessuna ragione logica, una scelta carismatica. E in questo mi sento consolato e sorretto dalle parole di Paolo nel Discorso di Mileto, l dove dice: Ed ecco ora, avvinto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme senza sapere ci che l mi accadr (At 20, 22). La scelta carismatica non comporta la valutazione di pro e contro, non nemmeno la ricerca di qualche particolare missione, piuttosto un influsso dello Spirito. E almeno fino ad oggi non ho avuto il minimo dubbio sulla mia scelta, che mi pare confermata. - Il secondo tempo quando, attraverso l'esperienza delle consolazioni e delle desolazioni e attraverso quella del discernimento degli spiriti, si raggiunge una grande chiarezza di idee (n. 176) - non chiarezza assoluta. l'applicazione delle Regole del discernimento che ho gi ricordato: ci incliniamo soprattutto verso ci a cui siamo mossi dallo Spirito considerando dove ci fa rimanere con gioia e dove al contrario suscita in noi amarezza, disgusto, valutando cio il pro e il contro delle consolazioni e delle desolazioni. Cos troviamo a poco a poco la volont di Dio. Tante vocazioni sono nate in questo modo: da un certo disgusto, dal rilevare l'insufficienza per noi di un' attivit mondana, di un' affettivit, di una situazione. Ci sentiamo allora chiamati a fare di pi, per opera dello Spirito che ci attrae. - Il terzo: di tranquillit: quando cio una persona, tenendo presente perch l'uomo nato, cio per lodare Dio nostro Signore e per salvare la propria anima - la volont di Dio trascendentale e

volendo ottenere ci, sceglie come mezzo un genere o stato di vita nell' ambito della Chiesa per essere aiutata nel servizio del Signore e nella salvezza della propria anima. Ho parlato di tempo tranquillo, quando, cio, l'anima non agitata da vari spiriti e usa le proprie potenze naturali liberamente e tranquillamente (n. 177). il tempo della razionalit, sempre ispirata dalla fede e dal Vangelo, in cui per si valutano gli argomenti a favore e quelli contrari. Cos accade per molte decisioni pastorali: non nascono semplicemente da un impulso carismatico, ma perch, avendo passato in rassegna i pro e i contro alla luce della dottrina della Chiesa, della psicologia e della sociologia, scegliamo questo o quel modo di agire. Perch venga la Gerusalemme celeste Resta da commentare - e non facile - l'ultima parte della domanda del Padre Nostro: come in cielo cos in terra. vero che la corrispondenza cielo-terra appare pi volte nel vangelo di Matteo. Nella meditazione su Padre nostro che sei nei cieli ho gi citato la promessa fatta a Pietro: Tutto ci che legherai sulla terra sar legato nei cieli e tutto ci che scioglierai sulla terra sar sciolto nei cieli (16,19), nella sua ripresa in 18,18: Tutto quello che legherete sopra la terra sar legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sulla terra sar sciolto anche in cielo; e ho ricordato le parole: In verit vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accordano per domandare qualunque cosa, il Padre mio che nei cieli ve la conceder (v. 19). Questa corrispondenza dunque abbastanza usuale per l'evangelista Matteo. Ho riflettuto molto su che cosa pu significare nel suo insieme l'espressione sia fatta la tua volont come in cielo cos in terra. E mi sembra di dover forse anzitutto sottolineare il fatto che non si tratta di un proposito - pur se ci siamo soffermati a lungo sulla nostra ricerca per conoscere e compiere ci che Dio vuole -, ma di un'invocazione. Chiediamo che Dio agisca, che la sua volont si compia, sia quella trascendentale sia quella categoriale.

Considerando questo, mi pare che come in cielo cos in terra si pu tradurre: si compia la tua volont, la tua giustizia, la tua verit, la tua pace, con quella prontezza, eleganza, gioia, decisione, precisione, con cui si compie in cielo. Se il regno di Dio la Gerusalemme celeste che inizia, il nostro desiderio che finalmente venga la Gerusalemme celeste dove non c' pi pianto n dolore, dove le cose di prima sono passate, dove regna stabile la giustizia; venga nel compiersi delle particolari volont di Dio, che tocca a noi compiere con certezza, pace, gioia, facilit. La nostra domanda che l'insieme della terra faccia risplendere la pace e la luce proprie della dimora di Dio, della pienezza della Gerusalemme celeste. Signore, tu sai quello che vuoi da noi. Spesso noi non lo sappiamo bene e magari perdiamo tempo girando e rigirando su strade sbagliate. Donaci la luce e la chiarezza per comprendere ci che ti aspetti da noi e la forza di metterlo in pratica con serenit, con scioltezza e ardo re, cos come contempliamo compiersi in cielo la tua volont.

Nella libert dello Spirito (omelia) Oggi celebriamo la memoria liturgica di san Gregario Magna: san Gregario monaco,' Vescovo, Papa; san Gregario uomo della Parola. sua la formidabile intuizione che la Scrittura cresce in noi che la leggiamo: Scriptura crescit cum legente. Cos come pure illuminante e confortante per noi un' altra sua esperienza di cui ci ha lasciato testimonianza: che pi di una volta, non avendo capito un passo della Scrittura, l'ha compreso poi spiegandolo alla gente. quindi il patrono della nostra predicazione biblica, il patrono del nostro amore alla Scrittura, l'uomo della Parola. E insieme uomo dell' equilibrio. Imparai ad apprezzarlo molti anni fa, quando vivevo a Roma come studente e professore di Scrittura. In quegli anni vivevo interiormente molte contraddizioni ed emozioni e fui aiutato dalla lettura della Regula pastoralis,che un

capolavoro di equilibrio, un continuo Un modello di pastore mettere in relazione gli opposti per trovare il giusto mezzo, ed perci una lezione di vita straordinaria. La vita fatta di contrari, di opposti, di opposizioni; noi dobbiamo sempre cercare la via media, la via che risolve le antinomie, le contraddizioni. La Regula pastoralis tutta giocata su questa contrapposizione pacificata, superata. E mi piace ricordare che fui aiutato anche dall'aver trovato una significativa assonanza con le riflessioni di Gregario in un' opera giovanile di Romano Guardini, L'opposizione polare, dove pure si invita a rifiutare ogni estremismo e a ricreare continuamente un equilibrio di contrari, che fautore di crescita e di gioia, perch ci consente di comprendere la complessit del reale. Dalle Omelie su Ezechiele tratta invece la pagina che di san Gregorio ci propone oggi il breviario, una pagina che ce lo rende molto vicino e simpatico. Egli riconosce la sua incapacit a fare unit nella vita, perch sballottato, tirato da ogni parte. Doveva infatti procurare il necessario per i monaci, curarsi delle faccende dei cittadini, respingere i barbari; riconosce di trovarsi addirittura a volte coinvolto nel pettegolezzo, cominciato col desiderio di assecondare qualcuno per accattivarsene la benevolenza, ma poi accettato volentieri. Uomo quindi verissimo, umilissimo, che, riconoscendo le proprie debolezze, vedendosi confuso e lacerato, si affidava a chi poteva salvarlo: Forse lo stesso riconoscimento delle mie colpe mi otterr perdono presso il giudice pietoso. Davvero un esempio straordinario di pastore. Tanto pi che ha vissuto in circostanze sociali, politiche ed ecclesiali dolorosissime l'invasione dei barbari, il venir meno di ogni autorit, il moltiplicarsi di ingiustizie e di atti di violenza, i rapporti difficili con l'Oriente. Egli ci insegna che, qualunque sia la nostra situazione, possiamo diventare santi. Non ha aspettato momenti migliori, ma ha vissuto le tragiche difficolt dei suoi tempi compiendo in ogni momento la

volont del Padre e, abbracciandola, si trovato immerso nella santit di Dio. Cos egli modello di ogni pastore, di ogni vescovo in particolare che, schiacciato da mille richieste, tutte urgenti, tutte necessarie, tutte una pi importante dell' altra, deve cercare di vivere nella pace un simile accumulo di urgenze. Ed pure patrono dei parroci, anch' essi sempre assillati da esigenze, da sollecitazioni, da lamentele, da ricatti affettivi, dovendo trovare in tutto questo la linea dell'unit, dell'umilt, della verit. dono di Dio, e lo chiediamo per intercessione di san Gregorio. La legge dell'amore In quel tempo, gli scribi e i farisei dissero a Ges: "I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno orazioni; cos pure i discepoli dei farisei; invece i tuoi mangiano e bevono!". Ges rispose: "Potete far digiunare gli invitati a nozze, mentre lo sposo con loro? Verranno per i giorni in cui lo sposo sar strappato da loro; allora, in quei giorni, digiuneranno". Diceva loro 'anche una parabola: "Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per attaccarlo a un vestito vecchio; altrimenti egli strappa il nuovo, e la toppa presa dal nuovo non si adatta al vecchio. E nessuno mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spacca gli otri, si versa fuori e gli otri vanno perduti. Il vino nuovo bisogna metterlo in otri nuovi. Nessuno che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perch dice: Il vecchio buono!" (Le 5,33-39). Il brano di Luca inizia con la menzione della preghiera dei discepoli di Giovanni e dei discepoli dei farisei. Circa la prima, troviamo un unico riferimento, oltre a quello del nostro testo, in Le 11,1: Uno

dei discepoli disse a Ges: "Insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli". Due sole menzioni, dunque, ma significative. Delle orazioni dei farisei e dei loro discepoli ci parla per esempio Marco: Divorano le case delle vedove e ostentano di fare lunghe preghiere (12,40) e il parallelo lucano (20,47). Ambedue sottolineano l'ostentazione e la lunghezza delle preghiere. Cos siamo condotti al confronto con la preghiera che ci ha insegnato Ges. E ancora una volta il Padre Nostro ci appare in tutta la sua preziosit, come una piccola miniatura, un piccolo gioiello, in cui ogni parola pu essere ampliata a misura della grandezza di Cristo, e che nella sua brevit e semplicit contiene un sapere e una forza formidabili. Poi Ges insegna che ci che- conta la presenza dello sposo, non tanto il digiuno. un nuovo modo di pensare, in cui non pi la legge che importa, ma l'amore personale a Ges, Ges come sposo e amico in mezzo a noi, Ges come nostro tutto. Certo noi passiamo nella vita momenti diversi riguardo alla nostra familiarit con Ges. Ci sono momenti in cui essa facile, dolce, gioiosa. Allora, come dice l'Imitazione di Cristo, esse cum Jesu dulcis paradisus, essere con Ges un dolce paradiso. Quando per Ges sta in silenzio, allora ci deprimiamo e vorremmo avere il coraggio di dire, come santa Teresa di Ges Bambino: sono una pallina che Ges pu far giocherellare tra le mani o buttare da parte. lo so che in ogni caso egli mi ama. Il mio giudice il Signore Fratelli, ognuno ci consideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, quanto si richiede negli amministratori che ognuno risulti fedele. A me per, poco importa di venir giudicato da voi o da un consesso umano; anzi, io neppure giudico me stesso, perch anche se non sono consapevole di colpa alcuna, non per questo sono giustificato. Il mio giudice il Signore! Non vogliate perci

giudicare nulla prima del tempo, finch venga il Signore. Egli metter in luce i segreti delle tenebre e manifester le intenzioni dei cuori; allora ciascuno avr la sua lode da Dio (1 Cor 4, 1-5). Dalla prima lettura possiamo imparare una grande libert di spirito. Perch neanche noi possiamo giudicarci, ma Dio solo. Anche se non sono consapevole di colpa alcuna, non per questo sono giustificato. Non mi preoccupa quindi il giudizio della gente, per quante critiche o lodi mi faccia; non mi giudico e giustifico neanch'io, perch solo il Signore buono che pu giudicarmi e giustificarmi. Ricordo un mio prete, un grande teologo, uomo di grande spiritualit, morto ancora giovane di tumore, che diceva nel suo testamento spirituale: sono contento di trovarmi di fronte a un giudice che ha dato la: vita per me; lui mi giudicher e allora sapr quanto valgo. Non varr certo tanto, ma so che lui mi amer e mi perdoner. Secondo la parola di Paolo: Non vogliate giudicare nulla prima del tempo, finch venga il Signore. Egli manifester le intenzioni dei cuori, allora ciascuno avr la sua lode da Dio. Noi ci affidiamo a te, o Signore, giusto giudice. Siamo contenti di non essere in grado di giudicare a fondo la nostra vita, se siamo o no appieno nella volont di Dio, se viviamo veramente il Vangelo, se questa nostra Chiesa davvero evangelica come dovrebbe. Tu lo sai, Signore, e tu ci giudicherai con amore e anche con la capacit di purificarci, perch noi siamo tuoi e vogliamo che tu solo regni nei nostri cuori.

IX MEDITAZIONE Dacci oggi il nostro pane quotidiano In questo momento, in quest'ora del venerd, a Gerusalemme si sta facendo la Via Crucis per le strade della citt e si giunge fino all' altare della Madonna Addolorata, quasi per concludere il cammino verso il Calvario e poi al Sepolcro. Chiediamo perci l'intercessione di Maria per unirci a quel cammino, che raffigura la sofferenza di Ges e dell'umanit intera.

C' ancora una domanda del Padre Nostro che non abbiamo considerato ed la richiesta del pane quotidiano. la pi piccola, potremmo dire quasi la meno interessante, la pi modesta, e per forse quella che ci tocca pi immediatamente. Ed curioso che ci sia questa domanda e non altre. Mi sono detto sovente: perch non si desidera ottenere la fede, la speranza, la carit, ma semplicemente il pane quotidiano? Cerchiamo di capire dunque il senso di queste parole, fiduciosi che lo Spirito ci pu illuminare sulla profondit e sulla verit di ci che Ges ci fa chiedere. Quale pane? A differenza delle prime tre invocazioni, dove all'inizio c' il verbo (<<sia santificato il tuo nome, venga il tuo Regno, sia fatta la tua volont), qui all'inizio troviamo il sostantivo: il pane nostro quotidiano dacei oggi. messo quindi in rilievo il pane. * Che cosa si intende con pane? Certamente il pane materiale, ma si pu allargare il significato riferendosi al fabbisogno di una giornata, a ci che necessario e indispensabile per sopravvivere. * Il pane - dice il testo greco - emn, di noi, nostro, ton epiosion. Che cosa voglia dire il pane ton epiosion nessuno lo sa. un termine greco di cui a tutt'oggi non si chiarito pienamente il significato; ricorre solo in questo passo della Scrittura e in un papiro antico, dove pure non sicuro ci che si intende - forse riguarda il vitto, le derrate quotidiane. Del resto le versioni antiche, che vanno un po' in tutti i sensi, ci confermano che la parola di difficile interpretazione. La versione Vetus latina traduceva quotidiano, come traduciamo noi oggi; non si saprebbe per giustificare tale scelta. La Volgata di san Girolamo traduceva supersostanziale, sovrasostanziale, intendendo il pane celeste, il pane dell'Eucaristia, il pane dell' amore infinito del Padre, il pane della vita eterna. La versione siriaca traduceva perpetuo, per indicare anch' essa che non riguarda soltanto l'oggi, bens ci viene dato nell' oggi per

l'eternit. Un' altra versione siriaca parla di necessario. Interessante pure la traduzione sahidica: che viene, il pane che viene; forse la traduzione grammaticalmente pi esatta, che rende meglio il significato del verbo greco. In un' altra traduzione coptica troviamo di domani, il pane di domani; a dire che chi lavora a giornata ha gi avuto il pane dell' oggi e, ricevendo la mercede alla sera, pu comprare il pane di domani. Comunque nessuno sa esattamente quale sia la versione migliore. La versione CEI e altre hanno optato per il termine quotidiano e noi ei atteniamo a questa scelta, che comunque ha una sua logicit. * Notiamo da ultimo che, se la domanda nel testo di Matteo suona: ton rton emn ton epiosion dos emn smeron, il pane nostro quotidiano da' a noi oggi, leggermente diversa la domanda nel vangelo di Luca, che esprime il medesimo contenuto con altre forme verbali: ton rton emn ton epiosion ddou emn to kath 'emran, il pane nostro quotidiano continua a dare a noi quello di ogni giorno. Luca sembra un po' pi previdente, in quanto non chiede solo il pane per l'oggi, bens il pane che viene dato ogni giorno. Chi prega cos? Possiamo approfondire la riflessione domandando ci chi il soggetto che esprime la richiesta, a chi essa si attaglia bene. * Alcuni esegeti, soprattutto coloro che interpretano il Padre Nostro come la preghiera che Ges consegna ai discepoli itineranti, i discepoli che manda in missione senza bisaccia e senza denaro (cf Lc 10,4), ritengono che sia valida anzitutto per loro. Hanno lasciato tutto, non hanno nulla e domandano ogni giorno con fiducia che il Padre del cielo dia loro quel tanto di cui hanno bisogno per sopravvivere, cos da poter predicare nell' oggi il Vangelo, senza preoccuparsi del domani. La domanda suppone un' estrema povert e un' estrema fiducia. certo l'interpretazione pi radicale. * Ovviamente questa domanda, inserita nei vangeli, si adatta poi ad altre situazioni. Cos, per esempio, alla situazione del discepolo in generale, non semplicemente del discepolo itinerante che va in giro senza provviste, ma di ogni discepolo che ha deciso di seguire

Ges e non. fa comunque conto sulle sue ricchezze n ha tante pretese; non vuole arricchire, non vuole grandi sicurezze, chiede soltanto l'aiuto giorno per giorno. * La terza situazione che possiamo intravedere dietro alla richiesta quella dell'uomo che si sa fragile, debole, in precari et, e confida perci nel Padre. una bella preghiera di fiducia: il Padre vostro sa che avete bisogno di tutte queste cose. Il Padre vostro provvede agli uccelli dell' aria, ai gigli del campo, provveder anche a voi (cf Mt 6,25 ss.). In questo senso la richiesta del pane corrisponde un poco alla spiritualit che traspare dal libro dei Proverbi, per esempio in 30, 79: lo ti domando due cose, / non negarmele prima che io muoia: / tieni lontane da me la falsit e la menzogna, / non darmi n povert n ricchezza; / ma fammi avere il cibo necessario, / perch, una volta sazio, io non ti rinneghi / e dica: Chi il Signore? - basto io per me - oppure, ridotto all'indigenza, non rubi / e profani il nome del mio Dio. Qualcosa di simile leggiamo nel Proverbio del c. 27 vv. 1-2, che pu pure servire bene come commento alla richiesta del pane nel Padre Nostro: Non ti vantare del domani, / perch non sai neppure che cosa genera l'oggi. In altre parole: sii contento dell' oggi, sii contento di ci che il Signore oggi ti d, il domani penser a s. la spiritualit che l'indimenticabile papa Giovanni XXIII chiamava di una povert contenta, propria di chi non pretende molto, soddisfatto di quanto ha e chiede al Signore di mantenergli il necessario cos che non debba dispera!si, ma insieme di non arricchirlo, per non cadere nelle tentazioni e nel pericolo. Abbiamo dunque finora considerato tre situazioni progressivamente pi vicine alla nostra: la prima la precariet dei discepoli itineranti che non hanno niente; la seconda propria del discepolo che ha deciso di seguire Ges e non vuole contare sulle sue ricchezze n ha grandi pretese; la terza riguarda in generale l'uomo che si affida completamente a Dio sapendo che le ricchezze non bastano a difenderlo n dalla malattia n dalla morte n dalla disgrazia. * Sottolineo una quarta situazione che probabilmente sottesa alla domanda del pane: quella del fedele che anela al pane che Ges, al pane eterno, al pane della pienezza, e lo chiede fin da

oggi. Ci ricolleghiamo qui a quanto gi detto a proposito della traduzione di epiosion con sovrasostanziale, il pane della vita eterna. una situazione che possiamo leggere chiaramente espressa nel capitolo 6 del vangelo di Giovanni: Rispose loro Ges: "In verit, in verit vi dico: non Mos vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi d il pane dal cielo, quello vero; il pane di Dio colui che discende dal cielo e d la vita al mondo". Allora gli dissero: "Signore, dacci sempre questo pane". Ges rispose: "Io sono il pane della vita; chi viene a me non avr pi fame e chi crede in me non avr pi sete" (vv. 32-35). E queste parole sono poi riprese nello stesso discorso: lo sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo il pane che discende dal cielo, perch chi ne mangia non muoia. lo sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivr in eterno e il pane che io dar la mia carne per la vita del mondo (vv. 48-51). Se leggiamo i commenti dei Padri, ci accorgiamo che spaziano dall'uno all'altro dei diversi significati. Penso sia lecito anche a noi farlo, chiedendo il fabbisogno quotidiano, affidandoci al Padre come figli e chiedendo il pane eucaristico. La domanda dacci oggi il nostro pane quotidiano ha contorni assai ampi e ciascuno pu darle il significato che lo Spirito gli suggerisce. comunque una domanda che va alla sostanza delle cose e di conseguenza, a un certo punto, a quella sostanza che Ges. Umilt, fiducia filiale, solidariet Quali sono gli atteggiamenti che una simile preghiera suggerisce come atteggiamenti evangelici? Ne sottolineo cinque. * certo una preghiera da gente modesta, non da ricchi. Suggerisce di accontentarsi del necessario, di non volere troppo, di non volere avere tutto, di ringraziare per ci che viene dato. * Il secondo atteggiamento di grande fiducia filiale nel Padre. Viene alla mente una bellissima traduzione di questo atteggiamento, la famosa preghiera di eh. de Foucauld:

Padre mio, mi abbandono a Te, fa' di me quello che vuoi. Qualsiasi cosa Tu faccia di me io ti ringrazio. Sono pronto a tutto, accetto tutto. Purch si compia la tua volont in me, in tutte le tue creature non desidero altro, mio Dio. Rimetto la mia anima nelle tue mani, la do a Te, mio Dio, con tutto l'amore che ho nel cuore, perch ti amo, , e perch ho bisogno di amore, di far dono di me, di rimettermi nelle tue mani senza misura, con infinita fiducia. Perch Tu sei mio Padre. un affidamento totale al Padre, per l'oggi e per il domani, per la vita e per la morte. * Il terzo atteggiamento quello della solidariet. Teniamo presente che la richiesta fatta al plurale: Da' a noi oggi il nostro pane quotidiano. Suscita quindi la nostra solidariet, l'attenzione per i poveri, per chi non ha il pane quotidiano, per i popoli che soffrono la fame. A me pare che da questa preghiera possa nascere anche un movimento per la giustizia, per fare in modo che tutti abbiano almeno il necessario per sopravvivere. * Il quarto atteggiamento a cui siamo invitati quello che troviamo espresso fortemente nel Discorso della montagna. L'abbiamo gi accennato, ma vi ritorno, perch spesso ce ne dimentichiamo. E tante volte mi dico: credo davvero alle parole del Discorso della montagna e le vivo? le ho fatte mie sul serio? Mi riferisco alla pagina di Mt 6, 25-34: Perci vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse pi del cibo e il corpo pi del vestito? Guardate gli uccelli del cielo:

non seminano, n mietono, n ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse pi di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, pu aggiungere un' ora sola alla sua vita? E perch vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste cos l'erba del campo, che oggi c' e domani verr gettata nel forno, non far assai pi per voi, gente di poca fede?. Spesso mi riconosco in questa gente di poca fede, molto preoccupata per ci che bisogna fare, sapere, dire, avere. Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perch il domani avr gi le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena . Parole d'oro. Eppure noi non ce ne ricordiamo, perch siamo talmente preoccupati, ansiosi e bisognosi di programmi certi, sicuri, palpabili, che non lasciamo niente alla Provvidenza. Quando poi la Provvidenza ci sorprende con eventi inaspettati, come una disgrazia o una malattia improvvisa, ci accorgiamo di aver fatto troppo i conti su noi stessi. Siamo cos sollecitati a verificarci sulla nostra capacit di affidarci al Padre, vincendo le preoccupazioni e la paura del domani. * Un ultimo atteggiamento deriva dall'interpretazione di pane quale pane eucaristico: la fiducia nell'Eucaristia, il nostro pane quotidiano, la fiducia nella parola di Dio, di cui ci nutriamo ogni giorno. Questo cibo ha il potere di sostenerci, di confortarci, di confermarci, di renderci perseveranti. Da soli non ce la faremmo; ma il pane eucaristico, il pane della Parola, chiesto umilmente nella preghiera, ci preserva nelle tentazioni e ci dona quella perseveranza che capace di rispondere alle promesse di Dio. Conclusione Sarebbe stato bello avere il tempo per fare una lettura sintetica, di insieme, del Padre Nostro, leggendo nelle sue richieste la Passione di Ges, la sua gloria e risurrezione, e la Trinit. questo, a mio

giudizio, il punto conclusivo. La Trinit presente perch invochiamo il Padre che nei cieli, l dove l'inizio del fuoco d'Amore che dilaga nel mondo, del torrente di dedizione e d'Amore che il Mistero trinitario: il Padre genera il Figlio nello Spirito santo. La Trinit presente perch opera in Ges. Egli colui che per eccellenza santifica il nome del Padre, il santo, il consacrato, l'inviato nel mondo, colui che costituito Figlio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti (Rm 1,4); colui che anche santifica se stesso per noi, affinch a nostra volta siamo santificati nella verit. Ges il Regno, che viene nella sua predicazione, nei miracoli, nella sua Passione e nella sua gloria. In tutto questo compie perfettamente la volont del Padre, che il suo cibo. Ed appunto per quella volont che noi siamo stati santificati, per mezzo dell' offerta del corpo di Ges Cristo, fatta una volta per sempre (Eb 10,10), ma presente in ogni Eucaristia, nel pane quotidiano in cui si dona invincibilmente a noi il Mistero del Figlio, del Padre e dello Spirito. Nella forza dello Spirito Ges rimette i peccati - Ricevete lo Spirito santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi (Gv 20,22-23) -, quello Spirito che ci difende nelle tentazioni, convincendo il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio (Gv 16,8). E solo per la forza dello Spirito santo Ges ci libera dal male. Lascio a voi di approfondire questa lettura sintetica. Scrive Ignazio che chi propone le meditazioni offre solo qualche stimolo sul quale poi devono lavorare gli esercitanti anche dopo la conclusione degli esercizi, richiamando tutte le ricchezze della parola di Dio. In questa Parola, che luce ai nostri passi, resteremo uniti e a essa vi affido perch, oltre ogni nostra resistenza, ha il potere di santificarci e di farci vivere come Ges.

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