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Intervista con Giovanni Cantoni: «Fermiamo il partito radicale di massa»Articolo

apparso sul n. 225 di Cristianità


Intervista con Giovanni Cantoni
"Fermiamo il partito radicale di massa"
Il testo è trascritto dal Secolo d’Italia. Quotidiano del MSI-DN, del 6 gennaio
1994, dove è comparso con questo titolo, a cura di Angelo Cerruti, a pp. 8-9,
accanto alla trascrizione integrale del manifesto di Alleanza Cattolica
Un’azione politica umana e cristiana per ricostruire l’identità del popolo
italiano (cfr. Cristianità, anno XXI n. 221-222, settembre-ottobre 1993). Ad
alcuni riferimenti l’intervistato ha apposto una prima annotazione.

Da tre mesi è in corso di diffusione in Italia un "manifesto", lanciato da


Alleanza Cattolica con la data emblematica del 4 ottobre 1993, festa di san
Francesco d’Assisi, patrono d’Italia, e intitolato Un’azione politica umana e
cristiana per ricostruire l’identità del popolo italiano. Il documento è stato
pubblicato originariamente in Cristianità, la rivista mensile dell’associazione,
quindi viene distribuito come volantino e presentato in occasione di incontri in
via di promozione e di svolgimento.
L’interesse oggettivo del manifesto ci spinge a parlarne con Giovanni Cantoni,
fondatore e reggente nazionale di Alleanza Cattolica nonché direttore di
Cristianità.

D. Qual è il significato del manifesto e della sua pubblicazione?


R. Anzitutto mi pare importante dichiarare che cosa il manifesto non è, cioè
affermare a chiare lettere che esso non costituisce, e non intende costituire,
la premessa alla fondazione di un nuovo soggetto partitico. Alleanza Cattolica
non intende mutare la propria natura di associazione civico-culturale, dedicata
alla proclamazione positiva e, quando necessario, anche polemica della dottrina
sociale naturale e cristiana. Questa "fedeltà a sé stessa", alla propria origine
e alla propria natura non nasce da spregio per quanti sono impegnati nella
politica di partito, né deriva ad Alleanza Cattolica dall’idolatria per la
coerenza con il proprio presente e, soprattutto, con il proprio passato.
Infatti, siamo convinti che vi sia spazio solo per la coerenza con la verità, e
che faccia parte dell’umano, anche associato, sbagliare e, quindi, esser messi
nella necessità di eventualmente mutare. Perciò, adesso non intendiamo mutare
perché ci pare che, se la nostra opera era necessaria in altri frangenti, oggi
la è più che mai.
D. Dunque, se non si profila all’orizzonte un "partito nuovo" né un "partito di
nuovo tipo", qual è il senso del manifesto?
R. Il senso del manifesto può essere sintetizzato in questi termini: la
congiuntura storica che stiamo vivendo fa venire al pettine — secondo
l’espressione corrente — un numero consistente di "nodi", che si possono
rappresentare con altrettanti quesiti. Si tratta di nodi di diversa "anzianità",
da quello relativo all’unità statuale della nazione italiana a quello che
riguarda il cosiddetto "crollo del comunismo", sempre più, evidentemente, una
metamorfosi del comunismo stesso; dalla valutazione politico-culturale, e non
propagandistica, del ventennio fascista a quella del cinquantennio a guida
democristiana, quindi al modo della presenza dei cattolici nella vita politica
dello Stato italiano (1).
Quanto al primo nodo, per esempio, posto che i termini "Stato" e "nazione" non
sono sinonimi, che senso ha, nel caso dell’Italia, parlare di coincidenza fra
Stato e nazione, a fronte di una minoranza germanofona della consistenza di
quella vivente in Alto Adige? Non è più vero parlare di "Stato plurinazionale" e
di "popolo italiano", in questo modo indicando l’insieme dei cittadini della
Repubblica Italiana, e non di nazione italiana?
Comunque, questi nodi devono essere obbligatoriamente affrontati: infatti,
affrontarli significa fare una diagnosi del corpo storico e sociale attuale,
quindi porre le premesse per una terapia specifica, una terapia resa
indispensabile dallo stato di crisi in cui versa tale corpo storico e sociale,
secondo un giudizio assolutamente comune. Se è vero, com’è vero, che ogni
terapia è indicata dalla diagnosi, è ugualmente vero che ogni politica è
abbondantemente condizionata dalla storia, e questo in due modi:
1. sostanzialmente e implicitamente da tutto quanto è accaduto;
2. esplicitamente dalla ricostruzione di quanto è accaduto.
Si tratta di un’articolazione ben resa dal tedesco das Geschehene, "l’accaduto",
i fatti, e die Geschichte, "la storia", la narrazione dei fatti, la loro
ricostruzione. Quindi, sbagliare "storia" significa sbagliare "politica".
D. Quali sono le conseguenze di questa analisi?
R. Per affrontare i nodi di cui parlavo, bisogna aprire un dialogo autentico,
non quello secondo la retorica che ha imperversato negli anni 1960 e che è stato
magistralmente descritto da Plinio Corrêa de Oliveira e denunciato come "parola
talismano" e come stratagemma socialcomunista (2). Ma il dialogo autentico non è
un "dialogo assoluto": infatti, il "dialogo senza premesse" non esiste, è frutto
di pura fantasia e padre di illusioni e, quindi, di conseguenti, amarissime
delusioni. Il presente deve essere certamente collegato al passato, ma entrambi,
presente e passato, devono a loro volta venire sottoposti al vaglio della
verità, affinché si identifichi nel passato il "passato che non deve passare",
la tradizione con la "t" minuscola (3), e si vada — nel passato e nel presente —
"oltre quanto è solamente moderno", além do apenas moderno, come recita
felicemente il titolo di un’opera del sociologo brasiliano Gilberto de Mello
Freire (4). Servono princìpi, ma non come copertura di programmi, bensì come
premessa per i programmi stessi. Ebbene, Alleanza Cattolica denuncia apertis
verbis la fonte dei propri princìpi, la verità naturale e cristiana, la
cosiddetta "dottrina sociale della Chiesa", cioè la morale sociale, il decalogo
applicato alla vita delle comunità, che ha trovato la sua espressione
magisteriale, insieme più sintetica e più articolata, nel Catechismo della
Chiesa Cattolica, pubblicato dal Sommo Pontefice Giovanni Paolo II nel 1992.
Quindi Alleanza Cattolica propone — coniugando princìpi e ricostruzione della
situazione — le premesse per un dialogo fra gli operatori della politica. E,
ancora, deve essere chiaro che l’esposizione di queste premesse non ha nessuna
pretesa di esaustività, ma vuol essere solo indicativa.
D. Credo che nessuno negherà l’esistenza e l’importanza della problematica che
ha evocato. Ma sono pure certo che molti avanzeranno perplessità circa la
possibilità di prenderla seriamente e ponderatamente in esame con questi chiari
di luna, adducendo che manca il tempo e che gli avvenimenti incalzano...
R. Non vivo fuori dal mondo: evangelicamente, intendo "essere nel mondo" senza
"essere del mondo" (5). Quindi, so che maiora premunt. Anzi, l’urgenza talora
accresce l’importanza di accadimenti che, in assoluto, non avrebbero rilievo
straordinario. Per esempio, chi potrebbe attribuire una straordinaria portata a
una tornata elettorale, quando vige un regime di cui le elezioni costituiscono
meccanismo previsto e consueto? Eppure sono convinto che la tornata elettorale
prevista per la primavera del 1994 sia di particolare rilievo, una sorta di
riedizione del 1948, se non addirittura del 1922, mutatis mutandis e con le
differenze garantite dall’assoluta non ripetitività della storia, piena di
"luoghi comuni", ma sempre "trattati" in modo diverso.
Si tratta di due date di enorme portata evocatoria, sia per i grandi avvenimenti
che ricordano, sia per le vistose assenze che segnalano; infatti, davanti al
neo-comunismo, di fronte a quello che mi pare puntuale indicare come
radical-comunismo, non si vedono né la diga democristiana né il fascismo.
D. Se le cose stanno veramente in questi termini, allora la situazione è
drammatica e angosciante...
R. La situazione è indubbiamente drammatica, ma le assenze indicate — quelle
della "diga" e del "fascio" — non devono suscitare angoscia, bensì riflessione.
Il primo esito della riflessione permette di cogliere le diversità fra le
situazioni storiche ricordate e quella attuale; quindi sollecita a immaginare le
differenze corrispondenti nell’opera di contrasto dell’avversario, costituito
dal neo-comunismo. Infatti, mentre la nota dominante del comunismo per così dire
"classico" era socio-economica, la "lotta di classe", condotta nella prospettiva
della conquista del potere socio-politico, la "dittatura del proletariato", la
nota dominante del neo-comunismo è socio-culturale, è il relativismo. E il
relativismo postula assenza di valori assoluti, è "pensiero debole", da
intronizzare non più attraverso l’egemonia culturale del partito — nel qual caso
si tratterebbe di un semplice replay del gramscismo, della "via italiana al
comunismo" —, ma con un political drag dell’arcipelago associazionistico, che si
raccoglie di volta in volta attorno all’abortismo e all’animalismo, alla deep
ecology, l’"ecologia profonda", e all’omosessualità, al femminismo e
all’antiproibizionismo — ma si tratta di prodotti di putrescenza non elencabili
in modo esauriente, in quanto in continua emersione —, e che va a costituire un
network di dis-valori, all’opera soprattutto per infiltrare i mass media nella
prospettiva di una "dittatura massmediatica del dis-valore". Comunque, a chi
ricorda l’orizzonte millenaristico detto "gioachimita" — richiamato da Karl
Löwith fra le "premesse teologiche della filosofia della storia" (6) e la cui
"posterità spirituale" è stata descritta dal card. Henri de Lubac S.J. (7) — e
la "terza era", l’"età dello Spirito Santo", senza gerarchia di valori e senza
strutture sociologiche e giuridiche corrispondenti, per comprendere la
situazione imminente basta sostituire allo Spirito che "soffia dove vuole" (8) i
mass media che presumono e tentano di fare altrettanto... Dunque, se il
neo-comunismo è un avversario già parzialmente noto in Italia, appunto a causa
delle sue profonde somiglianze con il gramscismo, si tratta di un avversario da
affrontare con strumenti politici adeguati, che contrappongano al partito
radicale di massa, al "fronte popolare" versione anni 1990 (9), una
confederazione di forze caratterizzate da identità ben definite e "forti", e da
una decisa volontà di affermazione di princìpi. Questa — sia detto di passaggio
e se ho ben inteso — mi sembra l’intuizione di Alleanza Nazionale, che non
propone "fusione", quindi non prepara "confusione"; che non sollecita
mobilitazione, come si potrebbe e si dovrebbe fare in presenza di un corpo
sociale culturalmente omogeneo, ma, di fronte alla dis-omogeneità culturale,
frutto della modernità in tutte le sue espressioni, non chiede neppure
l’omologazione fascista con la conseguente egemonia partitica, ma sollecita
tempestiva, temporanea e franca collaborazione fra realtà autonome, lasciando
alla libera maturazione culturale la soluzione del dramma della dis-omogeneità,
prodotto appunto dalla modernità, di cui il partito radicale di massa è la punta
di lancia partitica e politica. Dunque, se è indispensabile affrontare le
scadenze oggettive e che si presentano a breve, questo non risolve i problemi di
lungo termine.
Per parte sua, con il manifesto Un’azione politica umana e cristiana per
ricostruire l’identità del popolo italiano, Alleanza Cattolica intende, fra
l’altro, richiamare l’indicazione evangelica che incita a "haec facere et illa
non omittere", a "far queste cose e a non trascurare quelle" (10). Infatti,
serve agire, ma guai a dimenticare le premesse dell’azione, l’esaminare e il
pensare. Quindi, Alleanza Cattolica offre a quanti accettano le premesse
indicate nel suo manifesto, la propria collaborazione allo svolgimento di queste
importanti operazioni, certamente pre-partitiche, ma non per questo meno
politiche, cioè meno orientate alla realizzazione del bene comune.

(1) Per le grandi linee di alcuni di questi nodi e per un orientamento alla loro
soluzione, cfr. i miei L’Italia tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, saggio
introduttivo a Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3a
ed. it. accresciuta, Cristianità, Piacenza 1977, pp. 7-50; La "lezione
italiana". Premesse, manovre e riflessi della politica di "compromesso storico"
sulla soglia dell’Italia rossa, Cristianità, Piacenza 1980; e "Rifondazione
democristiana", rinnovamento dell’egemonia dei "cattolici democratici" e
rinascita del movimento cattolico, in Cristianità, anno XXI, n. 215-216,
marzo-aprile 1993.
(2) Cfr. P. Corrêa de Oliveira, Trasbordo ideologico inavvertito e dialogo,
trad. it., Edizione de L’Alfiere, Napoli 1970.
(3) La "tradizione con la "t" minuscola" va distinta con cura — pur nel
riconoscimento dell’analogia formale — da quella con la "t" maiuscola, cioè da
quella di cui è questione nella teologia cattolica in relazione alla Rivelazione
e alle sue modalità: su quest’ultima, cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica,
nn. 75-79; sulla prima, la "tradizione con la "t" minuscola", cfr. Juan Vásquez
de Mella y Fanjul, Apologia della tradizione, in Cristianità, anno XV, n. 141,
gennaio 1987; P. Corrêa de Oliveira, Tradizione, famiglia e proprietà, ibid.,
anno VI, n. 34-35, febbraio-marzo 1978; e, sinteticamente benché senza l’uso del
termine, lo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1880, secondo cui "una
società è un insieme di persone legate in modo organico da un principio di unità
che supera ognuno di loro. Assemblea insieme visibile e spirituale, una società
dura nel tempo: è erede del passato e prepara l’avvenire. Grazie ad essa, ogni
uomo è costituito "erede", riceve dei "talenti" che arricchiscono la sua
identità e che sono da far fruttificare. Giustamente ciascuno deve dedizione
alle comunità di cui fa parte e rispetto alle autorità incaricate del bene
comune"; sulla "tradizione" in genere, quindi su quanto vi è di simile fra
Tradizione e tradizione, cfr. Josef Pieper, Perché la tradizione (I), in Studi
Cattolici, anno XX, n. 181, marzo 1976, pp. 163-169; e Idem, Perché la
tradizione (II), ibid., anno XX, n. 182-183, aprile-maggio 1976, pp. 255-259.
(4) Cfr. Gilberto de Mello Freire, Além do Apenas Moderno. Sugestões em torno de
Possiveis Futuros do Homen, en Geral, e do Homen Brasileiro, en Particular, José
Olympo, Rio de Janeiro 1973.
(5) Cfr. Gv. 17, 16-18.
(6) Cfr. Karl Löwith, Significato e fine della storia. I presupposti teologici
della filosofia della storia, trad. it., Edizioni di Comunità, Milano 1962,
soprattutto pp. 197-214 e 279-283.
(7) Cfr. card. Henri de Lubac S.J., La posterità spirituale di Gioacchino da
Fiore, vol. I: Dagli Spirituali a Schelling, e vol. II: Da Schelling ai nostri
giorni, in Idem, Opera Omnia, voll. 27 e 28, trad. it., Jaca Book, Milano 1982 e
1984.
(8) Gv. 3, 8.
(9) Cfr. il mio Il "problema politico italiano" e il "problema politico dei
cattolici italiani": no al "fronte popolare" versione anni 1990, in Cristianità,
anno XXI, n. 223, novembre 1993.
(10) Cfr. Mt. 23, 23; e Lc., 11, 42.

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