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RENATO MORO, L’atteggiamento dei cattolici di fronte al fascismo e al

nazismo, in «Annali dell'Istituto storico italo-germanico in Trento» (ISSN:


0392-0011), 34 (2008), pp. 293-327.

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~atteggiamento dei cattolici
di fronte al fascismo e al nazismo

di Renato Moro

Abstract - This article attempts to analyze the attitude of Italian Catholics towards Fascism
in the '30s by way of the comparison they made with Nazi Germany, Their illusions about
the nature of Fascism as an instrument sent by Divine Providence to restare Catholic
Italy were not completely dispelled by the 1931 conflict; and in the following years hopes
were even bolstered by the National socialist advent to power: the genera! respect of reli-
gious values made the Italian situation - in comparison to the German one - immensely
preferable. Especially in 1936, after the conquest of the Empire and the beginning of
the Spanish Civil War, Italian Catholics looked at Fascism as a fondamenta! bulwark of
Catholic civilization. Nonetheless, in 1937, and above all in 1938, the aggressive alliance
with Nazi· Germany and the beginning of racial politics reversed the situation: under
Nazi influence, Fascist Italy now seemed to risk the transformation into a «neo-pagan»
regime. Even though the Axis did not transform Catholics info opponents, they became
increasingly disenchanted and perplexed with Fascism.

Mi è stato affidato un tema vastissimo, ma fondamentale per compren-


dere il significato e l'importanza della posizio~e di De Gasperi nel
cattolicesimo italiano degli anni Venti e Trenta. E vastissimo per il suo
arco cronologico (dal 1922 al 1945) e vastissimo per il fatto di poter
allargarsi anche all'atteggiamento di cattolicesimi diversi dall'italiano
(almeno il francese e il tedesco). Dico subito che a) cercherò di offrire
solo un veloce quadro di insieme; b) mi concentrerò soprattutto sugli
anni Trenta, o meglio, più precisamente, sul decennio 1929-1939, come
impone la divisione del lavoro di questo nostro Seminario; c) guarderò
al cattolicesimo italiano; d) cercherò di mettere a fuoco essenzialmente
il nodo che ritengo fondamentale, e cioè quello dell'intreccio tra fasci-
smo e nazismo: in altre parole, si istituì nella percezione dei cattolici un
rapporto tra questi due fenomeni? E se sì, di che tipo? E in che modo
l'uno influì nell'esame dell'altro?

l. I cattolici italiani e lo Stato totalitario fascista (1922-1932)


Cominciamo, naturalmente, dal fascismo. Quello del regime di Mussolini
fu del resto il primo terreno di confronto non solo della politica dei
cattolici, ma anche della· loro cultura religiosa con il totalitarismo.

293
Vorrei partire proprio da un appunto di Alcide De Gasperi conservato tra
le sue carte e relativo al rapporto tra i cattolici e il fascismo. L'appunto
riporta infatti quanto a De Gasperi, ormai impiegato nella Biblioteca
Vaticana, disse un cardinale di curia: «loro [i fascisti] fanno i religiosi
·e noi non ci crediamo; così noi [i cattolici] facciamo i filofascisti e loro
non ci credono» 1• È difficile sintetizzare meglio (e in così poche parole)
la natura profondamente ambivalente del rapporto che legò fascismo e
cattolici. Allo stesso tempo, è chiaro che questo giudizio, pur così diffi-
cile da contestare come giudizio riassuntivo, lascia però fuori moltissimi
elementi: lascia fuori, soprattutto, la complessità, le differenze interne, le
varie e contrastanti fasi di una relazione che merita di essere approfondita
a ben altro livello.
Le prime categorie interpretative con le quali i cattolici cercarono di
inquadrare il fenomeno fascista furono essenzialmente due: quella, positiva,
di una reazione in fondo sana in senso antiindividualista e antilaicista
alla società liberale2, e quella, negativa, di una nuova manifestazione di
«statolatria» e di «nazionalismo esagerato», il cui pericolo era stato già
segnalato più volte dallo stesso magistero pontificio3 • La lunga serie di
provvedimenti assai vantaggiosi per la Chiesa realizzata dal nuovo governo
Mussolini pose subito la questione di come dovesse essere giudicata la
nuova situazione: e la risposta ad essa non era facile.
L'antifascismo cattolico poneva sotto accusa il fascismo accusandolo di
«paganesimo», ne metteva in dubbio il filo-cattolicesimo e ne sottolineava
la continuità con il laicismo anticlericale. Secondo Francesco Luigi Ferrari
il «sogno paganeggiante» di Benito Mussolini, con l' «impeto di un nuovo
Giuliano l'Apostata», riproponeva nella modernità quello medievale di
Arnaldo da Brescia4 • Luigi Sturzo denunciò il «fondamento pagano» del
1
Cfr. Intervista con Maria Romana De Gasperi, in D. SAssou (ed), De Gasperi tra politica
e storiografia, Roma 1977, pp. 97-98.
2
Per un inquadramento generale delle interpretazioni cattoliche del fascismo cfr. G. BAGET
Bozzo, Il fascismo e l'evoluzione del pensiero politico cattolico, in «Storia contemporanea»,
5, 1974, 4, pp. 671-700, e soprattutto le lucide osservazioni di P.G. ZuNINO, Interpretazione
e memoria del fascismo. Gli anni del regime, Roma - Bari 1991, pp. 143 ss.
3
Cfr. essenzialmente Pio Xl, «Ubi Arcano», 20 dicembre 1922, in I. GIORDANI (ed),
Le encicliche sociali dei papi. Da Pio IX a Pio XII (1864-1956), Roma 19564, pp. 313-314.
Per un approfondimento cfr. D. VENERUSO, Il seme della pace. La cultura cattolica e il
nazionalimperialismo tra le due guerre, Roma 1987.
4
F.L. FERRAR!, Stato liberale e stato fascista, in «Il popolo di Modena», 27 luglio 1922,
ora in F.L. FERRAR!, Il domani d'Italia e altri scritti del primo dopoguerra (1919-1926), a
cura di M.G. Rossi, Roma 1983, pp. 15-16.

294
nazionalismo e del fascismo 5 • Igino Giordani segnalò la «nòva astuzia»
per la quale il «paganesimo» si era fatto «filo-cattolico»: «Si risognano -
scrisse - i connubi che Dante vide scandalizzato nel Paradiso terrestre.
Ritorna Filippo il Bello, illuso di nazionalizzare la Chiesa, d'imprigionare
lo spirito, di rinchiodare i principi e rinsaldare il basamento intarmolito
del conservatorismo»6• Per questi cattolici democratici si era di fronte a
una nuova, estrema manifestazione di quel «nazionalismo esagerato» che
rischiava di divinizzare lo Stato7 •
Il fascismo poteva, però, essere guardato anche come una reazione, certo
eccessiva e violenta ma, in fondo, positiva, ai limiti del liberalismo; poteva
essere considerato un fenomeno nuovo e da giudicare senza pregiudizi;
poteva essere visto, anzi, come un'occasione decisiva per i cattolici perché
era aperto, pur in modo confuso, ai valori religiosi. L'appello Ai cattolici
italiani lanciato nel 1923 da un gruppo di «cattolici nazionali» in polemica
con il popolarismo sturziano esprimeva un «consenso ... adesso completo»
di fronte al governo fascista in quanto «Governo Nazionale», proprio
appellandosi a «quanti hanno conservato vivo il ricordo delle nostre
tradizioni e il senso della Fede» e proclamando che «la funzione politica
dei cattolici italiani» doveva ormai «risolversi ne l'orientamento nuovo di
tutte le migliori forze nazionali tese con impeto sicuro verso la grandezza
spirituale e politica ... della Patria»8. Gli aspetti autoritari del fascismo,
la sua ostilità ai partiti e al confronto democratico, la poca sensibilità
per i diritti costituzionali e civili non rappresentavano certo un grave
difetto per questa parte del mondo cattolico. Le gerarchie ecclesiastiche,
con la loro prevalente mentalità intransigente, molti cattolici conservatori
e quelli sensibili al richiamo nazionalista finirono così per guardare alle
idealità spirituali che sembravano potersi intravedere nel fascismo come a
un primo indizio di un possibile risveglio dei valori morali. Nel 1924 un
cattolico d'ordine, vicino al nazionalismo, come Antonio Masetti Zannini,
esaltava il ruolo di vera e propria «purificazione spirituale» che il fascismo

5
L. STURZO, Nazionalismo e fascismo, in L. STURZO, Il partito popolare italiano, II:
Popolarismo e fascismo (1924), Bologna 1956, pp. 203-217.
6
I. GIORDANI, La rivolta cattolica, Torino 1925, pp. 71-72.
7
Per maggiori elementi cfr. E. GENTILE, Il culto del littorio. La sacralizzazione della
politica nell'Italia fascista, Roma - Bari 1993, pp. 142-143 e R. MORO, Religione del tra-
scendente e religioni politiche: il cattolicesimo italiano di fronte alla sacralizzazione fascista
della politica, in «Mondo contemporaneo», 1, 2005, 1, pp. 13-15.
8
L'appello è riprodotto in appendice a P. M1scIATTELLI, Fascisti e cattolici, Milano 1924,
pp. 139-141.

295
stava compiendo9 • Se si fosse riusciti a sfrondare questo risveglio dalle
sue componenti immature e negative (leggi laiciste), esso non avrebbe
mancato di trovare nella tradizione cristiana un solido punto d'approdo.
Nella seconda metà degli anni Venti queste due letture divergenti con-
vissero nella mentalità dei cattolici, riflettendo due aspetti diversi della
nuova Italia fascista. Innanzitutto, vi era la realtà di un nuovo cattolicesimo
nazionale: si moltiplicavano infatti le manifestazioni della vita civile che
vedevano, immancabilmente, fianco a fianco le autorità locali del regime
e il vescovo, mentre le processioni e i congressi eucaristici erano oramai
favoriti dalle autorità politiche che vi partecipavano in modo solenne. In
una lettera del 1927 all'amico Giovanni Papini, lo scrittore «salvatico»
Domenico Giuliotti tracciò un gustoso quadretto di questa nuova Italia
fascista, caratterizzata da un ostentato omaggio istituzionale alla religione,
anche se percorsa sotterraneamente dal perdurante continuo progresso
di una laicità secolarizzatrice. A Greve in Chianti, il borgo di Giuliotti,
si era avuta la visita dell'arcivescovo. Egli aveva attraversato, «a piedi, il
paese» con queste conseguenze:
«Saluto militare di due carabinieri, saluto romano dei borghesi; una decina di donne,
credendo che ci fosse la Cresima, vennero in Chiesa a baciar l'anello a S.E. e a fargli
benedire i loro bambini. Qualcuno si stupì perché il parroco non aveva fatto suonare le
campane. Al ritorno dalla Chiesa vidi un «attacchino» zoppo, in bilico sopra una scaletta
appoggiata al muro d'una casa, che stava appiccicando un manifesto, col quale si annun-
ziava, per la prossima domenica, uno spettacolo di 'BOXE' al locale teatro A. Boito! !
Anche l'attacchino, di sulla scala, postosi il pennello fra i denti, stese romanamente la
destra al passaggio di Monsignore. (Italia dell'Anno V)» 10 •

A fronte della soddisfazione che la nuova realtà poteva dare a persona-


lità meno corrosive di quella di Giuliotti, emergevano, anche in settori
di vertice che in passato avevano guardato con speranza e fiducia al
fascismo, forti preoccupazioni di fronte all'avanzare dell'espansione tota-
litaria dello Stato. Essa era evidente sia nel processo che condusse alla
fine delle organizzazioni economico-sociali cattoliche, sia nelle ripetute
minacce, dopo la nascita dell'Opera nazionale balilla, all'associazionismo
giovanile. Così, alla Settimana sociale dei cattolici italiani del settembre
1928, il direttore de «L'Osservatore romano», il conte Giuseppe Dalla
Torre, chiuse i lavori con un polemico discorso dedicato a disperdere
ogni illusione che, con il nuovo regime, in Italia fosse finito ogni rischio
di anticlericalismo. Secondo Dalla Torre, il laicismo, che si era annunciato

9
A. MASETTI ZANNINI, Religione e fascismo, Bologna 1924, p. 17.
10
D. GIULIOTTI - G. PAPINI, Carteggio, I: N. VIAN (ed), 1913-1927, Roma 1984, p. 379.

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inizialmente «come legge di tolleranza, come principio di moderazione
civile fra le varie confessioni», si era infatti trasformato con il tempo da
«dottrina di neutralità» in «una confessione» esso stesso, «nella religione
atea della società, in un dogma civile per cui s'attuò la tolleranza incivile
d'ogni influenza religiosa nei destini delle nazioni, tanto più gelosa e
violenta, quanto più questa era viva, vasta e potente»''· E questo era il
caso della concezione gentiliana (e fascista, anche se questo Dalla Torre
non lo disse) dello «Stato etico». Come il laicismo moderno era divenuto
una religione, anche il nuovo Stato totalitario poteva allora trasformarsi
in qualcosa «cui nulla dovrà sfuggire: né le anime, né le cose, né i pro-
positi, né le opere». Esso avrebbe riassunto su di sé sia «le vie terrene»
che «le méte trascendentali: cioè genio e provvidenza, diritto e giustizia,
legge morale e sanzione positiva, fine supremo, ragione ultima, realtà
unica della vita sociale». Sarebbe stato così «persino religione», giacché,
«aderente così da connaturarvisi, alla stessa coscienza individuale - la
quale intanto è in quanto esiste quella collettiva», ne avrebbe intercettato
e riflesso «tutti i palpiti»; anzi, avrebbe voluto «ispirarli e ordinarli al
successivo divenire spirituale». Così che lo Stato sarebbe stato «anche la
Chiesa per chi ha ripudiata la Chiesa»; ben di più: sarebbe stato «il Dio
di chi ha scisso e misconosciuto il Regno di Dio!» 12 •
Nel 1929, però, ogni residua preoccupazione sembrò venire pienamente
fugata con la firma dei Patti Lateranensi. In effetti - ammise lo stesso
presidente dell'Azione cattolica, Luigi Colombo -, prima della Concilia-
zione qualcuno in campo cattolico aveva potuto pensare che il fascismo
propugnasse «una concezione - quasi - idolatra dello Stato» e che
considerasse «la Religione puramente come 'instrumentum regni'», ma
ormai bisognava riconoscere che ciò era stato palesemente smentito dai
fatti 13 • Padre Gemelli, il rettore dell'Università Cattolica del Sacro Cuore,
parlò della «grande pace veramente religiosa e nazionale», della «nuova
Italia riconciliata con la Chiesa e con sé stessa, con la propria storia e
con la propria bimillenaria civiltà» 14 • «L'Avvenire d'Italia», organo semi-
ufficioso dell'Azione cattolica, scrisse: «Il problema religioso con tutte le

11
G. DALLA TORRE, Discorso di chiusura, in La vera unità religiosa studiata alla luce
della enciclica «Mortalium animos», a cura della GIUNTA CENTRALE DELL'AZIONE CATTOLICA
ITALIANA, Milano 1928, p. 390.
12
Ibidem, p. 393.
13
Le nuove finalità dell'Azione Cattolica nel discorso del Presidente Generale Comm.
Luigi Colombo, in «Azione giovanile», 17 marzo 1929.
14
A. GEMELLI, I.:ora di Dio, in «Vita e Pensiero», 1narzo 1929, p. 134.

297
sue interferenze penetra ormai le strutture e le connettiture della Nazione,
ch'è ora uno Stato cattolico» 15 • Ai cattolici sembrava ormai impossibile
che qualcuno pensasse che tale Stato cattolico-fascista potesse adottare
un'etica diversa da quella presente nella «fede del popolo». Il quotidiano
cattolico di Milano, per bocca di uno degli uomini di punta dell'Università
Cattolica, Pio Bondioli, arrivò a proporre, per rendere concreta questa
cattolicizzazione del regime, un «affiancamento del fascismo a livello nazio-
nale» da parte dell'Azione cattolica e affermò che il principio religioso
era di per sé stesso «totalitario» e non poteva non aspirare a governare
la vita collettiva e a informare l'organizzazione politica della società 16 •
Una lettura provvidenzialistica della storia portò, insomma, a considerare
il fascismo come uno «strumento» che Dio offriva per realizzare i fini
della Chiesa. Il papa stesso, ricevendo in udienza gli uomini dell'Univer-
sità Cattolica, disse che il duplice merito dei Patti stava nell'aver ridato
«Dio all'Italia e l'Italia a Dio» 17 • Alla vigilia del plebiscito del marzo 1929
molti vescovi insistettero sulla necessità di un voto favorevole dei cattolici
legandolo al valore che gli accordi avevano «nei consigli amorosi» della
provvidenza divina, come disse il cardinale Maffi arcivescovo di Pisa 18 •
Per l'arcivescovo di Ferrara, il clero e i cattolici dovevano partecipare
con il loro «sì», perché nella votazione plebiscitaria non si combatteva
«per il trionfo di parte», ma si compiva «una affermazione di totale
solidarietà nei nuovi destini della Nazione, basata sull'ordine morale,
politico, civile e religioso» 19 • La Federazione degli uomini cattolici, una
delle organizzazioni nelle quali la passata tradizione politica era ancora
viva, ammise in una presa di posizione che c'era chi, ancora, nutriva
qualche perplessità: con il nuovo sistema elettorale, difatti, si poteva finire
per approvare «tutto in blocco un programma su alcuni punti del quale,
come sullo stesso sistema, alcuni» potevano «liberamente e lecitamente
dissentire». Tuttavia, - ribadiva la Fiuc - «in questo caso» a prevalere
doveva essere «l'interesse religioso»: «il comandamento evangelico quae-
rite primum regnum Dei» doveva «avere non solo il primo posto, ma il
sopravvento su ogni e qualsiasi ragione di dissenso, o su punti o dettagli

15 «L'Avvenire d'Italia», 2 marzo 1929.


16
P. BoNDIOLI, Discorso in aurora, in «L'Italia», 8 marzo 1929.
17 «L'Osservatore romano», 15 febbraio 1929.
18
La citazione è riportata da E. Rossi, Il manganello e l'aspersorio, a cura di M. FMN-
ZINELLI, Milano 2000, p. 17 6.
19
Ibidem, p. 177.

298
che nulla» avevano «a che vedere coll'interesse superiore della religione
e che, a ogni modo», né lo pregiudicavano né tanto meno potevano
«autorizzare coscienze sinceramente cattoliche a non dare il loro voto a
favore delle rivendicazioni, delle riparazioni, delle ricostruzioni cristiane
che il programma assicura»20 •
La speranza che i Patti Lateranensi potessero dar vita a un vero «Stato
cattolico» non si sarebbe mai tradotta in realtà. Un primo conflitto si aprì
già qualche mese dopo la firma dei Patti. Esso fu suscitato dagli stessi
disegni di legge relativi alla loro esecuzione, che provocarono delusione
negli ambienti cattolici, in quanto sembravano rimanere troppo legati
alla tradizione liberale, e, viceversa, trovarono l'entusiastico consenso dei
fascisti. Ne scaturì, già nel corso dell'approvazione parlamentare dei Patti,
un dibattito assai vivace che finì per sfociare in una vera e propria pole-
mica per quanto riguardava una serie di punti cruciali: la valutazione del
rapporto tra la soluzione fascista della «questione romana» e la tradizione
risorgimentale; il problema del perdurante diritto alla laicità dello Stato (o,
al contrario, di una avvenuta «cattolicizzazione» del paese); la contesa tra
i sostenitori di un primato del regime e quelli del primato della Chiesa.
Mussolini intervenne il pomeriggio del 13 maggio 1929 alla Camera e pose
un preciso «altolà» a molte illusioni cattoliche. Egli rovesciò innanzitutto
contro la Chiesa l'argomento papale che il regime rappresentasse una
frattura assoluta con il passato liberale, affermando che «un altro regime
che non sia il nostro, un regime demoliberale, un regime di quelli che noi
disprezziamo» avrebbe potuto ammettere di «rinunziare all'educazione
delle giovani generazioni», ma che «in questo campo» i fascisti erano
«intrattabili». Aggiunse che il regime rivendicava come suo l'insegnamento
ai giovani e che se ammetteva che i fanciulli dovessero «essere educati
nella nostra fede religiosa» aveva allo stesso tempo «bisogno di integrare
questa educazione», dando ai giovani «il senso della virilità, della potenza,
della conquista» e ispirando «loro la nostra fede». Mussolini negò poi il
carattere cattolico dello Stato e ribadì invece il carattere fascistà di esso,
affermando che «lo Stato fascista» rivendicava «in pieno il suo carattere
di eticità»: «è cattolico, ma è fascista, anzi soprattutto esclusivamente
essenzialmente fascista». Egli ammise soltanto che il cattolicesimo lo
integrava («e noi lo dichiariamo apertamente», aggiunse), ma ammonì a
non pensare, «sotto la specie filosofica e metafisica, di cambiarci le carte
in tavola». Inoltre il duce sembrò voler addirittura giungere a relativizzare
il significato assoluto della religione cattolica, con un'affermazione che

20
Ibidem, p. 179.

299
suonava per le coscienze religiose chiaramente blasfema: dichiarò infatti
che se il cristianesimo era diventato cattolico esso lo doveva solo a Roma,
perché se fosse rimasto in Palestina «molto probabilmente sarebbe stata
una delle tante sette che fiorivano in quell'ambiente arroventato, come
ad esempio quella degli Esseni e dei Terapeuti, e molto probabilmente
si sarebbe spenta, senza lasciar traccia di sé»21 •
Alla risposta del pontefice che era lo Stato ad essere «chiamato a comple-
tare l'opera della famiglia e della Chiesa» e che non era ammissibile che
esso dovesse allevare dei «conquistatori»22 , Mussolini replicò in Senato
una decina di giorni dopo. Egli cercò di giustificare l'asprezza del suo
intervento precedente con la necessità di dissipare l'equivoco che la Con-
ciliazione «avrebbe vaticanizzato l'Italia e che il Vaticano sarebbe stato
italianizzato» e ammise che il successo del cristianesimo poteva essere
dovuto a un «disegno divino». Ribadì tuttavia con fermezza l'esigenza
di un'educazione «virile e guerriera» dei giovani23 •
Al VII Congresso di filosofia che si aprì il 26 maggio si assistette così a
un vivace confronto tra fascisti e cattolici, sotto la veste della polemica
tra idealisti gentiliani e neoscolastici. Giovanni Gentile affermò che,
dopo i discorsi di Mussolini, nessuno avrebbe più dovuto temere «che
il popolo d'Italia potesse essere costretto a un cammino all'indietro nella
storia, a rinunciare alla sua coscienza di grande nazione moderna». Gli
si contrapposero con molta vis polemica una serie di esponenti cattolici.
Padre· Mariano Cordovani, autorevole teologo domenicano, reggente
degli studi all' Angelicum di Roma e protagonista negli anni precedenti
di una vivace polemica anti-idealista, replicò che quando si parlava «di
una eticità che è divinità sostanziale e immanente dello Stato che si
contrappone alla Chiesa e la assorbe ... , che non riconosce nulla sopra
di sé, nemmeno Dio», si era «in un panteismo che non è filosofico né
cristiano». Monsignor Francesco Oliati, professore di Filosofia alla Cat-
tolica, chiese provocatoriamente se si intendesse dawero far adottare allo
Stato e imporre da esso le «teorie idealistiche». Padre Gemelli ribadì che,
dopo il Concordato, che aveva «riconosciuto che la religione cattolica è

21
E. SusMÈL - D. SUSMEL (edd), Opera Omnia di Benito Mussolini, XXIV: Dagli accordi
del Laterano al dodicesimo anniversario della fondazione dei Fasci: 12 febbraio 1929-23
marzo 1931, Firenze 1958, pp. 43 ss.
22
Pio XI, Parole pontificie sugli accordi del Laterano. Subito dopo la firma. Al Corpo
Diplomatico. Dopo i discorsi e le discussioni parlamentari, Roma 1929, pp. 43 ss.
23
E. SuSMEL - D. SusMEL (edd), Opera Omnia di Benito Mussolini, XXIV, cit., pp. 98 ss.

300
fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica», l'idealismo «non
poteva essere insegnato nella scuola media pubblica»24 .
A questo punto si ebbe la replica formale della Chiesa. Il 30 maggio il
papa indirizzava al cardinale Pietro Gasparri, segretario di Stato, un chi-
rografo, che venne reso pubblico, nel quale si lamentava «delle espressioni
ereticali e peggio che ereticali sulla essenza stessa del Cristianesimo e del
Cattolicesimo» di Mussolini alle quali si era «cercato di rimediare», ma
non «con successo». Dopo aver ribadito che «il pieno e perfetto mandato
educativo» non spettava «allo Stato, ma alla Chiesa», il papa proponeva
una conciliazione del rapporto tra la natura cattolica e fascista dello Stato:
«'Stato cattolico', si dice e si ripete, ma 'Stato fascista'; ne prendiamo atto senza speciali
difficoltà, anzi volentieri, giacché ciò vuole indubbiamente dire che lo Stato fascista, tanto
nell'ordine delle idee quanto nell'ordine della pratica azione, nulla vuol ammettere che
non s'accordi con la dottrina e con la pratica cattolica; senza di che lo Stato cattolico,
non sarebbe né potrebbe essere»25 .

Le ratifiche dei Patti vennero firmate, ma la tensione tra le parti non


diminuì. Nel fascicolo del 20 luglio 1929 «La Civiltà cattolica» pubblicava
un duro articolo del suo direttore, padre Enrico Rosa, che proponeva un
trasparente parallelo tra il concordato napoleonico e l'attuale, parlando di
un «mite monaco, assunto al pontificato col pacifico nome di Pio» che si
era contrapposto al colosso napoleonico: «il piccolo e il debole - ricordava
l'articolo - fu vincitore unico del grande, del forte del prepotente»26 . Il
23 luglio il prefetto di Roma ordinò, fatto inusitato, il sequestro di tutte
le copie della rivista cattolica27 • Mentre Mussolini confidava al fratello
Arnaldo che la volontà fascista era quella che fosse la Chiesa a diventare
un pilastro del regime e non viceversa28 , alcuni settori responsabili del
cattolicesimo italiano tornavano a temere che l'apertura fosse stata solo
strumentale. Padre Cordovani avrebbe detto alla Settimana sociale dei
cattolici italiani del 1929 che si riproponeva ancora una volta la questione

24 Cfr. F. PAPPALARDO, Intellettuali e Stato nel dibattito sulla Conciliazione, in «Lavoro

critico», 1980, pp. 209-270.


25 Pio XI, Parole pontificie sugli accordi del Laterano, cit., pp. 55 ss.
26
E. RosA, Tra ratifiche e rettifiche. La parola del Papa, in «La Civiltà Cattolica», 1929,
1, pp. 97-105.
27 Cfr. S. RoGAIU, Santa Sede e fascismo. Dall'Aventino ai Patti Lateranensi, Bologna
1977, p. 261.
28
Cfr. J.F. POLLARD, The Vatican and Italian Fascism, 1929-32. A Study in Conf!.ict,
Cambridge - New York 1985, p. 167.

301
di un «cattolicesimo senza cristianesimo», con il connesso tentativo di
«romanizzare la Chiesa in senso pagano»29 •
La vigilanza occhiuta sulle organizzazioni cattoliche, i sequestri della
stampa, alcune intimidazioni a dirigenti, le istruzioni che alcune orga-
nizzazioni fasciste davano circa un'incompatibilità tra l'appartenenza
contemporanea al partito e alle organizzazioni cattoliche mantenevano,
del resto, un clima difficile. Nella nuova situazione di incertezza i vecchi
contrasti interni al mondo cattolico finirono per esplodere nuovamente.
Alcuni insistevano sulla necessità di accentuare l'irrigidimento verso il
regime. Ad esempio, monsignor Giovanni Battista Montini, assistente nazio-
nale della Federazione universitaria cattolica, in una circolare ai membri
della presidenza del 2 ottobre, criticava esplicitamente la linea seguita
fin lì dalla maggioranza dei cattolici) affermando che «l'atteggiamento
conciliante» che era loro «dato professare dopo il Concordato» appa-
riva oramai spesso «frustrato da circostanze a tutti troppo note» 30 • Altri,
invece, proprio per rispondere agli attacchi di parte fascista, pensavano
a un abbandono completo di ogni velleità «politicante» per un ritorno
sempre più accentuato alla sola dimensione religiosa. Lo stesso presidente
dell'Azione cattolica, Luigi Colombo, finì per dimettersi «ritenendo di
non poter autorevolmente interpretare correnti che miravano a trascinare
l'Azione cattolica nella lotta politica contro il Governo fascista» 31 . Venne
sostituito dal presidente degli uomini cattolici, Augusto Ciriaci.
Il Vaticano, naturalmente, non scelse una linea di rottura intransigente,
ma naturalmente non rinunciò a ribadire i propri punti fermi da opporre
all'espansione totalitaria. Particolarmente burrascosa fu così l'udienza che
l'ambasciatore italiano presso la Santa Sede, Cesare Maria De Vecchi di
Valcismon, ebbe con il pontefice il 15 novembre 1929. Di fronte alle
giustificazioni della politica del governo fascista portate dall' ambascia-
tore, il papa - riferì lo stesso De Vecchi - «agitatissimo perdette ogni
controllo e attaccò violentemente il Capo del governo»: «'Menzogne
tutte menzogne' gridava gesticolando e battendo così potenti pugni sul

29
La citazione è riportata da M. Boccr, Oltre lo Stato liberale. Ipotesi su politica e società
nel dibattito cattolico tra fascismo e democrazia, Roma 1999, p. 132.
30
La citazione è riportata da M.C. GIUNTELLA, I fatti del 1931 e la formazione della
«seconda generazione«, in P. SCOPPOLA - F. TRANIELLO (edd), I cattolici tra fascismo e
democrazia, Bologna 1975, p. 195.
31
Cfr. R. MORO, Azione Cattolica, clero e laicato di fronte al fascismo, in F. MALGERI
(ed), Storia del movimento cattolico in Italia, IV: I cattolici dal fascismo alla Resistenza,
Roma 1981, p. 213.

302
tavolo che ne saltavano Gesù Crocifisso e la Beata Vergine in marmo
pesantissima, sì da far temere che cadessero». Il papa parlò di «persecu-
zione» dell'Azione cattolica. Alle rimostranze di De Vecchi, lo interruppe
bruscamente: «'Signor Ambasciatore vuole farmi un'ambasciata al signor
Mussolini?' 'Pronto, Santità'. 'Gli vada a dire che coi sistemi che usa e
coi fini che si propone mi fa schzfo'»32 • Nelle settimane seguenti, con
una serie di interventi solenni, Pio XI ribadì l'impossibilità di avvallare
le pretese dello Stato fascista. Nell'enciclica «Divini illius magistri» (del
31 dicembre 1929) sulla «cristiana educazione della gioventù», redatta in
italiano proprio per sottolinearne il particolare legame con la situazione
creata dal fascismo, affermò che quanti osavano «sostenere che la prole,
prima che alla famiglia, appartenga allo Stato, e che lo Stato abbia sulla
educazione diritto assoluto» erano «in aperta contraddizione» con «il
senso comune del genere umano» 33 • Lo Stato aveva diritto di riservarsi
alcuni rami dell'istruzione e di curare l'educazione civica, ma mai di pre-
tendere monopoli o di invadere lo spazio, anteriore a qualsiasi sua pretesa,
della Chiesa e della famiglia. Esso, al contrario, doveva «proteggere» e
«promuovere» il diritto inviolabile e inalienabile della Chiesa. L'enciclica
criticava anche, e in modo abbastanza trasparente, le forme che l'educa-
zione fascista dei giovani veniva prendendo. Vi era scritto, ad esempio:
«ai tempi nostri (in cui va diffondendosi un nazionalismo tanto esagerato e falso altret-
tanto nemico di vera pace e prosperità) si sogliono eccedere i giusti limiti nell'ordinare
militarmente l'educazione così detta fisica dei giovani (e talora anche delle giovanette,
contro la natura stessa delle cose umane), spesso ancora invadendo oltre misura, nel giorno
del Signore, il tempo che deve essere dedicato ai doveri religiosi e al santuario della vita
familiare. Non vogliamo ... biasimare quello che vi può essere di buono nello spirito di
disciplina e di legittimo ardimento in siffatti metodi, ma soltanto ogni eccesso, quale per
esempio, lo spirito di violenza, che non è da scambiare con lo spirito di fortezza né con
il nobile sentimento del valore militare in difesa della patria e del!' ordine pubblico»34 .
Il papa denunciava così, oltre a un eccessivo militarismo, anche «l'esal-
tazione dell'atletismo che della vera educazione fisica anche per l'età
classica pagana segnò la degenerazione e la decadenza»35 • Nonostante

32 La citazione è riportata da S. SETTA, Introduzione, in C.M. DE VECCHI DI VAL CISMON,


Tra papa, duce e re. Il conflitto tra Chiesa cattolica e Stato fascista nel Diario 1930-1931
del primo ambasciatore del Regno d'Italia presso la Santa Sede, a cura di S. SETTA, Roma
1998, p. 24.
33 Pro XI, «Divini illius magistri», 31 dicembre 1929, in I. GIORDANI (ed), Le encicliche
sociali dei papi, cit., p. 346.
34
Ibidem, p. 350.
35
Ibidem, pp. 351-352.

303
l'evidente durezza di queste prese di posizione, la Chiesa raccomandò
però all'Azione cattolica di non abbandonare una linea conciliativa, pur
modificandone la strategia complessiva. Se vi era una resistenza fascista
allo sviluppo degli interessi cattolici, essa poteva essere superata serrando
le fila e cercando una strategia di crescente presenza nella società italiana.
Come disse, secondo un informatore della polizia, monsignor Giuseppe
Pizzarda a una riunione della Giunta centrale dell'Azione cattolica che si
tenne in Vaticano a metà dicembre 1929, «di fronte a chi apprezza più
la materialità della spiritualità» occorreva «la forza del numero, la massa
del popolo, la riprovazione dei molti» 36 •
La reazione del fascismo fu estremamente preoccupata. In un discorso
segreto ai federali all'inizio del 1930 Mussolini affermò: «Non bisogna
imbottigliarsi nell' antireligiosità per non dare motivo ai cattolici di tur-
barsi». E spiegò: «in una lotta su questo terreno fra religione e Stato
perderebbe lo Stato». La conseguenza che il duce traeva da queste pre-
messe era chiara: «Guerra santa in Italia, mai; i preti non porteranno mai
i contadini contro lo Stato». Viceversa, il fascismo avrebbe combattuto
i cattolici «senz'altro non appena tentano di sconfinare nel campo poli-
tico, sociale, sportivo»37 • Si comprende allora perché tutta una serie di
elementi - il nuovo attivismo manifestato dall'Azione cattolica, all'interno
della quale continuavano a operare elementi ex-popolari; la scoperta alla
fine del 1930 delle radici che un'organizzazione clandestina antifascista
come l'Alleanza nazionale aveva nel mondo cattolico (vi era compromesso
lo stesso direttore de «La Civiltà cattolica»); il fatto che, nonostante la presa
di posizione del marzo 193 O da parte del segretario del Partito nazionale
fascista in merito a una piena compatibilità sulla contemporanea parteci-
pazione al partito e all'Azione cattolica, rimanessero continui problemi e
le organizzazioni cattoliche rifiutassero di applicare tale compatibilità ai
dirigenti; l'accentuata ripresa della «dottrina sociale» della Chiesa che si
prevedeva avrebbe accompagnato le manifestazioni organizzate nel maggio
1931 per il quarantesimo anniversario dell'enciclica «Rerum Novarum»
con il palese tentativo di dare un indirizzo cattolico al nascente corpo-
rativismo fascista - portarono a una crescente tensione che esplose nella
primavera del 1931 38 • Una vivace campagna della stampa fascista mise

36
Nota informativa del 21 dicembre 1929, in Archivio Centrale dello Stato, Min. Int.,
DGPS, AGR, cat. G.l, b. 146, c. 22 «Azione Cattolica Italiana (1927-1935)», c. 2.
37
La citazione è riportata da E. GENTILE, Il culto del littorio, cit., pp. 13 7-138.
38
Su tutto questo cfr. R. MORO, Azione Cattolica, clero e laicato di fronte al fascismo,
cit., pp. 234-239.

304
sotto accusa gli «sconfinamenti» di carattere sociale e politico compiuti
dall'Azione cattolica al di fuori di quell'ambito puramente religioso nel
quale la collocava il Concordato. La tensione portò alla proibizione da
parte del governo di due convegni degli universitari cattolici e al dif-
fondersi di un clima diffuso di intimidazione39 • Scese in campo lo stesso
segretario del Pnf, Giovanni Giuriati, il quale in un discorso a Milano
ricordò a quei cattolici che si facevano scudo del Concordato che esso era
stato «dalla S. Sede stipulato col Regime totalitario fascista» 40 • Il 26 aprile
1931 il papa rispose con una lettera inviata all'arcivescovo di Milano, il
cardinale Ildefonso Schuster, e resa nota da «L'Osservatore romano». Pio
XI riprendeva le espressioni della «Divini illius magistri», accusando il
fascismo di esporre la gioventù «ad ispirazioni d'odio e di irriverenza»,
di rendere «difficile e quasi impossibile la pratica dei doveri religiosi con
la contemporaneità di tutt'altri esercizi», di permettere «pubblici concorsi
d'atletismo femminile, dei quali anche il paganesimo mostrò di sentire la
sconvenienza e i pericoli». Circa l'Azione cattolica, difese il suo diritto
di «portarsi anche sul terreno operaio, lavorativo, sociale» per compiere
la sua missione di salvaguardia delle anime. Quanto al punto dello Stato
totalitario, il papa cercò nuovamente di aggirarlo negando che vi fosse
«difficoltà alcuna» di principio nel rapporto tra la Chiesa ed esso, purché
fosse correttamente inteso. Si trattava - appunto - solo di distinguere
tra ambiti diversi:
«Regime o Stato totalitario? Crediamo di bene intenderlo nel senso che per tutto quello
che è di competenza dello Stato, secondo il suo proprio fine, la totalità dei soggetti dello
Stato, dei cittadini, deve far capo allo Stato, al Regime e da esso dipendere: dunque una
totalitarietà, che diremmo. soggettiva, può certamente attribuirsi allo Stato, al Regime.
Non altrettanto può dirsi di una totalitarietà oggettiva, nel senso cioè che la totalità dei
cittadini debba far capo allo Stato e da esso (peggio poi nel senso, che da esso solo o
principalmente) dipendere per la totalità di quello che è o può divenire necessario per
tutta la loro vita anche individuale, domestica, spirituale, soprannaturale. Per non parlare
se non di quello che presentemente ci occupa, è troppo evidente che una totalitarietà di
Regime e di Stato che voglia comprendere anche la vita soprannaturale, è una manifesta
assurdità nell'ordine delle idee e sarebbe una vera mostruosità quando volesse portarsi
nell'ordine pratico»41 .

La distinzione introdotta da papa Ratti tra «totalitarietà soggettiva» e


«totalitarietà oggettiva» apriva potenzialmente, certo, la strada alla riven-
dicazione intransigente di una sfera autonoma della «persona umana»
39 Sulla politica fascista nella crisi cfr. la ricostruzione di R. DE FELICE, Mussolini il duce,
I: Gli anni del consenso, 1929-1936, Torino 1974, pp. 246-275.
40
«Il Popolo d'Italia», 21 aprile 1931.
41 «La Civiltà cattolica», 1931, 2, pp. 363-366.

305
contro l'invadenza totalitaria; rappresentava anche, però, l'indicazione
dei limiti invalicabili di una strategia di convivenza, con l'affermazione
della necessità di non toccare lo spazio della Chiesa. Sarebbe stata su
questa seconda base, e non sulla prima, che i cattolici avrebbero dovuto
giudicare il regime.
Dopo la chiusura dei circoli da parte del governo, l'enciclica «Non
abbiamo bisogno» del luglio 1931 radicalizzò la contrapposizione. Il
papa vi denunciava nuovamente la pretesa fascista di «monopolizzare
interamente la gioventù . . . a tutto ed esclusivo vantaggio di un partito,
di un regime», arrivando ad affermare che tale concezione era basata
su di «una ideologia» che si risolveva in una vera e propria statolatria
pagana»42 • Ribadiva anche con forza che «una concezione dello Stato che
gli fa appartenere le giovani generazioni interamente e senza eccezione,
dalla prima età fino all'età adulta, non è conciliabile per un cattolico
colla dottrina cattolica, e neanche è conciliabile col diritto naturale della
famiglia» 43 • Pio XI, soprattutto, giungeva a mettere esplicitamente in
discussione le illusioni nutrite in passato verso il regime da lui. stesso,
come da tanti cattolici. Dichiarava infatti di essersi sempre trattenuto «da
formali e esplicite condanne» dell'ideologia fascista e, anzi, di essere giunto
«fino a ritenere possibili e favorire ... compatibilità e cooperazioni che
ad altri sembrarono inammissibili», perché convinto e speranzoso «che
rimanesse la possibilità di almeno dubitare che avessimo a che fare con
affermazioni e azioni esagerate, sporadiche, di elementi non abbastanza
rappresentativi, insomma con affermazioni e azioni risalenti, nelle parti
censurabili, piuttosto alle persone e alle circostanze che veramente e
propriamente programmatiche». «Gli ultimi awenimenti e le affermazioni
che li prepararono, li accompagnarono e li commentarono», però, - spie-
gava ora il papa - gli avevano tolto ogni possibilità in questo senso44 •
Essi, infatti, avevano «aperto a tutti gli occhi» e avevano «dimostrato
fino all'evidenza quello che in pochi anni si è venuto, non già salvando,
ma disfacendo e distruggendo in fatto di religiosità vera, di educazione
cristiana e civile»45. La condanna del fascismo non era comunque senza
appello. L'enciclica difatti concludeva:

42
Pio XI, «Non abbiamo bisogno», 29 giugno 1931, in I. GIORDANI (ed), Le encicliche
sociali dei papi, cit., p. 509.
43
Ibidem, p. 512.
44
Ibidem.
45
Ibidem, p. 511.

306
«con tutto quello che siamo venuti finora dicendo Noi non abbiamo voluto condannare
il partito e il regime .come tale. Abbiamo inteso segnalare e condannare quanto nel
programma e nell'azione di essi abbiamo veduto e constatato contrario alla dottrina e
alla pratica cattolica e quindi inconciliabile col nome e con la professione di cattolici» 46 .

Secondo De Vecchi, che ne convinse Mussolini, l'enciclica aveva lo scopo,


addirittura, di far cadere il fascismo in vista dell'ipotesi di una successione
di Luigi Federzoni, presidente del Senato, insomma in vista di una solu-
zione autoritario-confessionale47 • Essa non ebbe però l'effetto di mettere
in crisi il regime o di intimorire Mussolini per indurlo a trattative più
miti. Un elemento fondamentale della crisi del 1931, meno noto ma non
meno importante, è infatti la relativa debolezza e passività della reazione
dei cattolici italiani. Un acuto osservatore della vita cattolica, il parroco
lombardo don Primo Mazzolari, nell'agosto 1931, individuò «un'aria di
bonaccia» come l'elemento prevalente in campo cattolico:
«È tutta gente che ha benedetto chissà quanti gagliardetti e ricevuti gli onori militari da
tutte le camicie nere dell'Urbe e paesi circonvicini: come volerli in piedi diversamente?
C'è troppa roba da guarnigione nell'esercito della Chiesa per pretendere che s'entusiasmi
alla mobilitazione, che vuol dire rinuncia alle chincaglierie sgargianti e alla parate di
piazza d'armi»48 . ·

Sembrava che, non solo nel Sud, dove il clero aveva una forte tradizione
di obbedienza all'autorità, ma anche nel Nord, i cattolici, se messi dram-
maticamente alla prova, potessero finire per schierarsi piuttosto dalla parte
del governo che da quella della Chiesa. E anche questo suggerì ai vertici
ecclesiastici una notevole prudenza.
Il 2 settembre veniva resa nota la firma di un accordo in base al quale i
circoli cattolici venivano riaperti e la vita dell'Azione cattolica assicurata.
Allo stesso tempo, tuttavia, l'Azione cattolica veniva trasformata in senso
diocesano e posta alle dirette dipendenze dei vescovi, gli ex-popolari veni-
vano esplicitamente esclusi da essa e si ribadiva la necessità che tornasse
a una esclusiva dimensione di formazione religiosa49 • Su queste nuove
basi, la visita che dal 1929 Mussolini avrebbe dovuto fare al papa, e che
egli si era sempre rifiutato di adempiere protestando di non avere alcuna

46 Ibidem, p. 514.
47 Cfr. le annotazioni del 23 luglio 1931 in C.M. DE VECCl-ll DI VAL CisMON, Tra papa,
duce e re, cit., pp. 268-269.
48
L'annotazione del 17 agosto 1931 in P. MAZZOLARI, Diario, II: 1926-1934, Bologna
1984, p. 492.
49 Su tutta la trattativa che portò all'accordo cfr. A. MARTIN!, Studi sulla questione romana
e la Conciliazione, Roma 1963, pp. 177 ss.

307
intenzione di «andare a Canossa», si poté realizzare nel febbraio 1932. Il
papa fece un netto passo indietro rispetto all'enciclica dell'anno precedente
quando disse al duce: «Non vedo nel complesso delle dottrine fasciste
tendenti all'affermazione dei principi di ordine, di autorità e di disciplina,
niente che sia contrario alle concezioni cattoliche»50 . Proprio perché il
clima sembrava ora sostanzialmente rasserenato il Vaticano fu particolar-
mente sensibile quando, alcuni mesi dopo, 1'11 giugno 1932 i quotidiani
italiani anticiparono la voce sulla Dottrina del fascismo per l'Enciclopedia
Italiana che definivano «dettata dal Duce». Stesa in realtà da Giovanni
Gentile su suggerimenti di Mussolini essa ribadiva che «nulla di umano
o spirituale» poteva esistere al di fuori dello Stato. Inoltre, affermava:
«Il Fascismo è una concezione religiosa, in cui l'uomo è veduto nel suo immanente rapporto
con una legge superiore, con una volontà obiettivà che trascende l'individuo particolare
e lo eleva a membro consapevole di una società spirituale. Chi nella politica religiosa del
Fascismo si è fermato a concezioni di mera opportunità, non ha inteso che il Fascismo,
oltre a essere un sistema di governo, è anche e prima di tutto, un sistema di pensiero»51 .

Erano affermazioni tutt'altro che rassicuranti per la Chiesa e infatti esse


provocarono immediatamente un conflitto abbastanza grave tra il regime
e la Santa Sede, dando luogo a una complessa trattativa. Pio XI convocò
infatti immediatamente l'ambasciatore italiano minacciandogli una espli-
cita condanna vaticana se la voce non fosse stata emendata52 • Mussolini
ammise che l'autore della voce era il filosofo Gentile, ritirò le poche
copie diffuse e annunciò l'intenzione di togliere ad essa la propria firma.
Alla fine, di fronte all'impossibilità evidente di realizzare quanto aveva
promesso, scelse la strada di scrivere egli stesso una seconda parte del
testo che riequilibrasse la prima senza per questo ritirarla53. Nella seconda
parte della Dottrina del fascismo dunque si sarebbe letto:
«Lo stato fascista non rimane indifferente di fronte al fatto religioso in genere e a quella
particolare religione positiva che è il cattolicesimo italiano. Lo stato non ha una teologia,
ma ha una morale, Nello stato fascista la religione viene considerata come una delle mani-
festazioni più profonde dello spirito; non viene, quindi, soltanto rispettata, ma difesa e
protetta. Lo stato fascista non crea un suo 'Dio' così come volle fare a un certo momento,

50 Resoconto del colloquio stilato da Mussolini stesso, in A. CORSETTI, Dalla preconci-


liazione ai Patti del Laterano. Note e documenti, in «Annuario della Biblioteca Civica di
Massa», 1968, pp. 222-223.
51
Dottrina del fascismo, in Enciclopedia Italiana, Roma 1932, cap. I/V.
52
Cfr. G. BELARDELLI, Il Ventennio degli intellettuali. Culturd, politica, ideologia nell'Italia
fascista, Roma - Bari 2005, pp. 195-196.
53 Cfr. R. DE FELICE, Mussolini il duce, I: Gli anni del consenso, 1929-1936, Torino 1974,
p, 37.

308
nei deliri estremi della Convenzione, Robespierre; né cerca vanamente di cancellarlo dagli
animi come fa il bolscevismo; il Fascismo rispetta il Dio degli asceti, dei santi, degli eroi
e anche il Dio così com'è visto e pregato dal cuore ingenuo e primitivo del popolo»54 .

Era esattamente quanto il Vaticano poteva desiderare e la voce dell'En-


ciclopedia così modificata, per quanto non completamente soddisfacente,
venne giudicata in Vaticano ora accettabile55 • Dopo questa vicenda, i
rapporti progressivamente si rischiararono. Quando l'antifascista conte
Dalla Torre, all'inizio di novembre del 1932, si rifiutò di scrivere su
«L'Osservatore romano» un articolo elogiativo del regime in occasione del
decennale della Marcia su Roma, egli venne sostituito nel compito, per
ordine della Segreteria di Stato, dal più disponibile presidente dell'Azione
cattolica Augusto Ciriaci56 • Il 25 novembre 1932 Pio XI, riferendosi
agli antichi duri contrasti, confidava a De Vecchi: «la via della sincerità
e della chiarezza e cioè la via diritta è la più dura ma la più giusta e
l'unica che conduce al sommo bene». Il papa si disse quindi assolu-
tamente soddisfatto dell'impostazione che avevano assunto «i rapporti
fra lo stato e la Chiesa», impostazione che aveva portato «quest'ultima
sopra un terreno sul quale sono assolutamente impossibili le sorprese e
facile la concordia». Poco dopo, nel gennaio 1933, si sarebbe espresso
sulla situazione italiana «nei termini più entusiastici»57 . Il duce, dal canto
suo, il 18 marzo 1934, all'Assemblea quinquennale del regime, dichiarava
solennemente: «L'unità religiosa è una delle grandi forze di un popolo.
Comprometterla e anche soltanto incrinarla è commettere un delitto di
lesa nazione»58 • E nel dicembre 1934 in un articolo pubblicato da «Le
Figaro» e destinato a suscitare grande interesse, ribadiva: «un popolo non
può divenire grande e potente, conscio dei suoi destini, se non si accosta
alla religione e non la considera come un elemento essenziale della sua
vita privata e pubblica». Quindi precisava:
«Nella concezione fascista, la religione è interamente libera, è indipendente a casa sua.
L'idea bislacca di creare una religione di Stato o di asservire allo Stato la religione pro-
fessata dalla quasi totalità degli italiani non è mai passata per quella che potrei chiamare
l'anticamera del mio cervello. Il dovere di uno Stato non è di tentare di creare nuovi

54 Dottrina del fascismo, cit., cap. II/XII.


55 Cfr. G. BELARDELLI, Il Ventennio degli intellettuali, cit., p. 198.
56
Cfr. S. SETTA, Introduzione, in C.M. DE VEccrn DI VAL CrsMON, Tra papa, duce e re,
cit., pp. 55-56.
57
Cfr. ibidem, pp. 40-41.
58 La citazione è riportata da P. PENNISI, Ordine politico e ordine religioso, Fidenza 1938,
p. 34.

309
vangeli o altri dogmi, rovesciare vecchie divinità per sostituirle con altre, preconizzate
dalla razza, dal sangue o da un fordismo qualunque»59 .

In un giudizio rimasto famoso, don Luigi Sturzo sostenne che lo scontro


tra la Chiesa e il regime seguito alla Conciliazione servì «a far cadere
l'illusione che ingenuamente si coltivava da parecchi che il fascismo
potesse cattolicizzarsi»60 • Si tratta di un giudizio che la ricerca storica ha
confermato, ma solo se lo si intende come la presa d'atto del preciso «no»
messo dal fascismo a ogni possibile resurrezione di uno «Stato cattolico» in
Italia. È vero che nessun cattolico avrebbe più creduto che la «cattoliciz-
zazione» del regime fosse un fatto già realizzato grazie alla Conciliazione.
Tuttavia, il mito della natura cattolica e prowidenziale del fascismo non
cadde definitivamente: uscì semplicemente trasformato in modo profondo
dalle vicende della lunga crisi 1929-1932. Consistenti settori del catto-
licesimo italiano avrebbero continuato a nutrire con calore la speranza
che la Conciliazione avesse comunque creato le condizioni più favorevoli
alla futura realizzazione di uno Stato cattolico. Gli uomini dell'Università
Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ad esempio, dopo la «riconcilia-
zione» tra Chiesa e regime del settembre 1931, continuarono a parlare
di «missione religiosa» di una Italia impregnata di un' «anima nuova» e
più cristiana61 . Solo che questa speranza sarebbe stata trasferita sui tempi
lunghi, pensando a una lunga «guerra di posizione» nella quale i cattolici,
ormai pienamente legittimati dal punto di partenza della Conciliazione,
avrebbero potuto progressivamente agire come una componente del nuovo
«regime nazionale», facendo sentire la loro influenza. Sempre nell'ottobre
1931 don Giuseppe De Luca raccomandava all'amico Giovanni Papini:
«il momento è 'unico': si tratta che i cattolici sono stati sin qui un partito, i clericali. Biso-
gnerebbe far loro sentire che sono la nazione; e alla nazione, che è cristiana. Quest'ultima
unità d'Italia, caduta la questione politica del Papato, urge: e credo dal nostro modo di
agire dipenderà l'avvenire religioso delle generazioni nuove»62 .

59 B. MUSSOLINI, UÉglise et l'État, in «Le Figaro», 18 dicembre 1934. Per alcune ricezioni
cattoliche cfr. SrECTATOR [A. DE GASPERI], La quindicina internazionale, 45, 1° gennaio
1935, ora in A. DE GASPERI, Scritti di politica internazionale 1933-1938, Città del Vaticano
1981, I, p. 225 e M. BENDISCIOLI, Germania religiosa nel Terzo Reich. Conflitti religiosi e
culturali nella Germania nazista, Brescia 1936, pp. VI-VII.
60
L. STURZO, Chiesa e Stato, Bologna 1959, Il, p. 180.
61
Gli accordi tra la Santa Sede e il governo per l'Azione Cattolica, in «Vita e Pensiero», otto-
bre 1931.
62
Lettera di De Luca a Papini, 30 ottobre 1931, citata in L. MANGONI, In partibus infide-
lium. Don Giuseppe De Luca, il mondo cattolico e la cultura italiana del Novecento, Torino
1989, p. 68.

310
Anche padre Agostino Gemelli vedeva aprirsi possibilità sconfinate nella
nuova Italia mussoliniana. Egli affermava:
«L'Italia è stata la prima, che nel mondo contemporaneo, ha segnato il nuovo orienta-
mento antiindividualistico. E furono, in principio derisioni, incomprensioni, disprezzi.
Ma a poco a poco il significato storico dell'opera di Benito Mussolini fu apprezzato e
seguito»63 .

Il programma dei cattolici italiani divenne così più modesto rispetto a


quanto trionfalmente affermato nel 1929: si parlava ora di un impegno
lento e paziente da condurre con lo scopo di «influire attraverso, il lavoro
di formazione e di apostolato, sulla vita nazionale»64 • Dietro una sempre
più solida consonanza, il cattolicesimo italiano cercava insomma di assi-
curarsi, al riparo delle norme concordatarie, un'efficace presenza sociale,
funzionale a un progetto alternativo e concorrenziale di nazionalizzazione
degli italiani (e quindi, almeno in parte, anche fatto di sospetti e diffidenze
verso il regime) 65 • Parallelamente, il fascismo puntava ora a creare - emerge
con chiarezza dai documenti dell'ambasciatore in Vaticano De Vecchi che
riferisce i suoi colloqui con Mussolini - un clero «nazionale» e legato
allo Stato fascista (assistenza religiosa alle forze armate, cappellani nelle
organizzazioni del partito e della milizia, mobilitazione del clero rurale)
che costituisse «esso stesso il più sicuro baluardo contro la invadenza
della Chiesa»66 • All'ambizioso tentativo fascista di trasformazione tota-
litaria del cattolicesimo italiano, i cattolici italiani rispondevano con un
altrettanto ambizioso sforzo di cattolicizzazione della nazione, costruendo
un moderno associazionismo giovanile di massa, sfidando il regime in
una incessante «battaglia per la moralità», cercando di costruire una
rinnovata presenza cattolica nel settore dell'assistenza (anche agli operai)
e della cultura di massa67, soprattutto insistendo su quella 'cultura con-
cordataria' fondata sull'idea di una «Italia cattolica e fascista» che era in
grado di raggiungere le grandi masse popolari del paese e di costruire

63 A. GEMELLI, Il protestantesimo e l'Italia, in «Vita e Pensiero», agosto 1934.


64 Questo l'invito che monsignor Alfredo Cavagna, assistente della Gioventù femminile
dell'Azione cattolica, rivolgeva nel settembre 1934 al Consiglio superiore dell'associazione.
Nota informativa del novembre 1934 in Archivio Centrale dello Stato, Min. lnt., DGPS,
AGR, cat. G.1, b. 91, c. «Gioventù Cattolica Italiana».
65
Cfr. F. TRANIELLO, J;Italia cattolica nell'era fascista, in G. DE RosA (ed), Storia dell'Italia
religiosa, Ili: I.:età contemporanea, Roma - Bari 1995, pp. 292 ss.
66 Lettera di De Vecchi a Mussolini, 22 marzo 1932 citata da S. SETTA, Introduzione, in

C.M. DE VECCHI DI VAL CrsMON, Tra papa, duce e re, cit., pp. 41-43.
67 Cfr. R. MORO, Azione Cattolica, clero e laicato di fronte al fascismo, cit., pp. 288-304.

311
una grande koinè ideologica comune, favorevole al regime, ma che allo
stesso tempo ne ribadiva, se non la dipendenza, un rapporto indissolubile
con la Chiesa68 •

2. I} avvento del nazismo

L'avvento del nazismo in Germania introdusse in questa situazione


ambivalente (ma anche sostanzialmente cordiale) un elemento nuovo e
sconvolgente.
All'inizio i giudizi della stampa cattolica italiana sulla situazione tede--
sca furono di attesa: si sottolineava in ·termini positivi la .vicinanza tra
nazismo hitleriano e fascismo italiano, si approvavano il revisionismo e
l'anticomunismo nazisti, si minimizzava «la divinizzazione della razza e
del sangue», considerandola espressione solo dei «più accesi assertori»
del movimento 69 • Era facile, del resto, proiettare l'immagine del fascismo
italiano sul caso tedesco, e molti cattolici sperarono, all'annuncio della
firma del concordato con il Reich, in un'evoluzione filo-cattolica del
nazismo che ripetesse quanto avvenuto con il fascismo. Ma quando, a
partire dall'autunno del 1933, fu chiaro che la situazione del cattolicesimo
tedesco si avviava ad essere tutt'altro che rosea, le cose cambiarono. Con
il passare dei mesi notevole impressione fecero anche in Italia vuoi gli
aspetti ideologici del movimento nazista (e specie di alcuni suoi gruppi
più radicali) vuoi il confronto complessivo da esso ingaggiato con le chiese
cristiane. In una prima fase - non appaia strano - l'attenzione cattolica si
appuntò essenzialmente sulle responsabilità dei protestanti. Si cominciò a
parlare di una persecuzione essenzialmente anti-cattolica, di un «nuovo
Kulturkamp/»70 , anche se «più grave e più pericoloso, per qualche rispetto,
della lotta aperta del famoso 'Cancelliere di ferro'» 71 • Si presentò quanto
avveniva in Germania come una manifestazione ulteriore di un'ancestrale
ostilità alla Roma cattolica e alla cultura classica, mentre si insisteva sul

68
Cfr. R. MORO, Naciòn catolicismo y regimen fascista, in J. TusELL - E. GENTILE - G. DI
FEBO (edd), Fascismo y Franquismo. Cara a Cara. Una perspectiva historica, Madrid 2004,
pp. 115-131.
69
NoRmcus [F. ALESSANDRINI], I pieni poteri di Hitler e il Centro. La nuova Germania,
in «L'Italia», 28 marzo 193 3.
70
E.R. [E. RosA], Vita Ecclesiae, in «Studium», agosto-settembre 1934, p. 528.
71
E.R. [E. RosA], Le condizioni religiose in Germania dopo il Concordato con la Santa
Sede, in «Studium», agosto-settembre 1934, p. 536.

312
fatto che il cattolicesimo costituiva la difesa della vera tradizione tedesca,
del medioevo cristiano e dell'Impero. Per Giovanni Papini, ad esempio,
il razzismo nazista era «l'ultima battaglia germanica contro Roma» 72 ,
una battaglia che si ricollegava direttamente al Los van Rom di Lutero73 •
Un altro intellettuale cattolico le cui simpatie filo-fasciste erano notorie,
Guido Manacorda, in un fortunato libro, inseriva l'opposizione tra cat-
tolicesimo e nazismo nella più generale contrapposizione tra «il tempio»
e «la selva»; e definiva Lutero «l'Odino cristiano»74 • Progressivamente,
una parte dei commentatori cattolici cominciò a sentire che in Germania
si stava aprendo un conflitto religioso di carattere nuovo. Padre Mario
Barbera della «Civiltà Cattolica» sottolineava come ormai in Germania
non solo i cattolici ma tutti i cristiani fossero in stato di persecuzione «in
nome di una nuova religione, promulgata dal Rosemberg, la quale deve
sostituire il cristianesimo: la religione della razza»75 • Specie dopo la «notte
dei lunghi coltelli», le denunce si fecero più decise. Padre Rosa affermò
con decisione che «il nazionalsocialismo» era «una specie di religione a
suo modo, o di fede laica e nazionalistica o 'razzista'»76 •
A questa fase di acuta preoccupazione, sarebbe seguito però nel 1935-
1936 un nuovo clima più incerto e disponibile. L'evoluzione della politica
estera del regime e l'idea stessa di una possibile influenza moderatrice
dell'Italia fascista sulla Germania portarono i cattolici più fiduciosi verso il
regime a letture più ottimistiche e minimizzatici. La distinzione più diffusa
divenne quella tra il governo di Hitler, responsabile e moderato, e «una
minoranza di elementi influenti e fanatici» 77 • Nonostante ciò, tuttavia, un
gruppo di riviste e intellettuali, che andava da «La Civiltà Cattolica» a
«Studium», da «Fides» a Ernesto Vercesi e Mario Bendiscioli, continuò
a sottolineare la natura profondamente pagana del fenomeno nazista
e mise in guardia i cattolici da ogni illusione di una sua emendabilità.

72
G. PAPINI, Razzia di razzisti, in «Il Frontespizio», dicembre 1934, ora in G. PAPINI,
Tutte le opere, VIII: Politica e civiltà, Milano 1963, p. 558.
73 G. PAPINI, Notomia dei protestanti, in «Il Frontespizio», ottobre 1934, ora in G. PAPINI,
Tutte le opere, VI: Testimonianze e polemiche religiose, Milano 1960, p. 204.
74
Cfr. G. MANACORDA, La selva e il tempio. Studi sullo spirito del germanesimo, Firenze
1933, pp. 5-6.
75
M. BARBERA, Mito razzista anticristiano, in «La Civiltà Cattolica», 1934, 2, p. 238.
76
E.R. [E. RosA], Le condizioni religiose in Germania dopo il Concordato con la Santa
Sede, in «Studium», agosto-settembre 1934, pp. 532-533.
77
Cfr. per esempio C. VALENTE, Sforzi conciliativi dei cattolici tedeschi, in «Azione fucina»,
14 giugno 1936.

313
Bendiscioli, in particolare, sottolineò come l'ambigua «simbiosi» politica
creatasi in Germania tra cristianesimo e nazismo portasse a un profondo
snaturamento teologico che minacciava non solo i protestanti ma anche
i cattolici78 • Tra questi uomini ci fu anche De Gasperi. Egli colse con
acume la realtà di quella che definiva «una campagna totalitaria contro
le Chiese», la quale si ripresentava, per questo motivo, «con un aspetto
ben più feroce e più terribile» rispetto allo scontro di fine Ottocenta7 9•
Mostrando una viva consapevolezza della natura moderna dei fenomeni
che aveva di fronte, De Gasperi osservava che la lotta era ora «spiri-
tualmente ed essenzialmente ... più profonda ... È di ieri - riferiva De
Gas peri - l'enunciazione di Goebbels: 'Essere un gran popolo, questa è
la religione della nostra epoca, qualunque cosa ci awenga nell' al di là'»80 •

3. Riconsiderare il fascismo?

Torniamo ora al fascismo. Dopo la Conciliazione, i cattolici italiani avevano


guardato ad esso con l'idea che le sue eventuali potenzialità «pagane»
fossero state riscattate dal suo orientamento religioso. Dopo conflitti
post-concordatari la convinzione prevalente rimaneva che tali tendenze
paganeggianti potessero essere tenute a freno proprio dal buon rapporto
tra lo Stato e la Chiesa. Dopo l' awento di Hitler al potere la questione
si riproponeva, ma con esiti tutt'altro che scontati. La nuova realtà nazi-
sta, certamente assai più radicale quanto a politica ecclesiastica, poteva
indurre qualcuno a pensare a una possibile analoga evoluzione italiana.
Allo stesso tempo, però, proprio se si confrontavano i due regimi, la luce
sotto la quale si doveva valutare quello di Mussolini poteva apparire,
proprio perché diversa, decisamente migliore.
Un lungo e appassionato dibattito tra cattolici sui nuovi grandiosi feno-
meni ideologici degli anni Trenta (il nazismo, il comunismo, il fascismo).
si aprì, e non solo in Italia ma soprattutto a livello internazionale (anche

78 Cfr. M. BENDISCIOLI, Lo spirito della nuova Chiesa evangelica di Germania, in «Studium»,


febbraio 1934, pp. 84-86 e, soprattutto, dello stesso autore, Germania religiosa nel Terzo
Reich, cit.
79 SPECTATOR [A. DE GASPERI], La quindicina internazionale, 1° agosto 1935, ora in A. DE

GASPERI, Scritti di politica internazionale 1933-1938, cit., I, pp. 303 e 301. Cfr. anche,
dello stesso autore, La quindicina internazionale, 1° settembre 1935, ora ibidem, p. 313.
80 SPECTATOR [A. DE GASPERI], La quindicina internazionale, 1° settembre 1935, ora ibidem,
p. 314.

314
se non lo potremo seguire81 ). Si trattava di dare a questi fenomeni una
più precisa collocazione; occorreva capire se essi rappresentavano effetti-
vamente una nuova unica, minacciosa realtà (e quale ne fosse la natura) o
se al loro interno potessero essere fatte importanti distinzioni. Il nazismo
dichiarava di battersi contro il comunismo e in difesa del patrimonio di
civiltà dell'occidente cristiano. Ma, allora, perché combatteva e perse-
guitava le Chiese? Vecchi schemi tradizionali del pensiero intransigente
suggerivano di accomunare nazismo e comunismo nella categoria dei due
«estremi dell'errore» che finivano naturalmente per toccarsi. Se però si
osservavano con attenzione le manifestazioni dell'uno o dell'altro regime,
queste vecchie impostazioni lasciavano necessariamente il posto a nuove
e sempre più inquietanti domande. Igino Giordani trovava una comune
«esplosione di materialismo brutale e gasteropodo» ammantata dietro la
«metafisica», e persino dietro la mistica religiosa. Vedeva dunque dietro
nazismo e comunismo un unico movimento:
«È un movimento - scriveva nel 1934 - che prima rovescia gli altari di Cristo vivo, poi
mette al suo posto i miti della razza e della collettività ristabilendo il culto degli dèi che
hanno fame di grasso, e della terra che ha sete di sangue, come gli Egizi di Giovenale,
a cui nascevano gli dèi nell'orto» 82 •

Anche il cattolicesimo antifascista esule all'estero avvertì con particolare


forza la minaccia totalitaria. Per don Luigi Sturzo al centro dei fenomeni
totalitari stava la deificazione dello Stato e dunque un elemento religioso:
già nel 1933 Sturzo individuava nel bolscevismo russo, nel nazismo tedesco
e nel fascismo italiano una comune «ragione idolatrica» che li spingeva
ad «affermarsi come sistemi totalitari» 83 •
Naturalmente, l'opinione più diffusa nel mondo cattolico italiano rimaneva
quella che il fascismo, pur con caratteri suoi e con qualche intemperanza,
facesse parte di quel gruppo di Stati autoritari, la maggioranza dei quali
a forte impronta cattolica, quali il Portogallo di Salazar, l'Austria di Dol-
lfuss e Schuschnigg, l'Ungheria di Horthy, l'Irlanda di De Valera, e non
avesse molto a che fare con il nazismo, e tanto meno con il comunismo.
La maggioranza dei cattolici, del resto, non percepiva con chiarezza la
differenza tra totalitarismo e autoritarismo. E quando anche la percepisse,
considerava il totalitarismo fascista nel modo in cui lo stesso magistero

81
Per un esame cfr. R. MORO, Le chiese e la modernità totalitaria, in G. FILORAMO (ed), Le
religioni e il mondo moderno, I: D. MENOZZI (ed), Cristianesimo, Torino 2008, pp. 418-451.
82
I. GIORDANI, Gli dèi nell'orto, in «Il Frontespizio», luglio 1934.
83
La citazione è riportata da E. GENTILE, Le religioni della politica. Fra democrazie e
totalitarismi, Roma - Bari 2001, p. 148.

315
pontificio lo aveva finito per vedere, e cioè come una realtà politica
nuova, e per certi versi anche pericolosa, ma non incompatibile con il
cattolicesimo. Monsignor Adriano Bernareggi, vescovo di Bergamo, era
assistente centrale del Movimento dei laureati cattolici, una delle asso-
ciazioni cattoliche meno inclini all'apertura al fascismo. A suo avviso,
nella vita di ciascuna società, come in quella di ciascun individuo, doveva
esserci un'idea centrale, una concezione che tutto dominasse, abbracciasse
e coordinasse, cioè un'idea «totalitaria». Ciò lo portava a un'ipotesi di
piena compatibilità cattolico-fascista:
«Il Fascismo - affermava nel 1934 - è fra noi questa idea dal punto di vista sociale e
politico: e per questo precisamente il Fascismo non ha potuto ignorare la religione. Mentre
dal punto di vista spirituale quest'idea è il Cattolicismo, che, quantunque sia sempre stato
totalitario per una funzione essenziale, si viene ora rimanifestando tale in modo speciale
per il rinnovarsi della coscienza cattolica in molti» 84 ,

Altri insistevano sull'assoluta distanza tra il fascismo, il nazismo e il


comunismo proprio in relazione alla loro politica religiosa. Al momento
della firma del patto dell' «Asse Roma-Berlino», padre Rosa insisteva a
distinguere la politica anticomunista di Mussolini da ogni imperialismo:
Mussolini aveva sempre «voluto mantenere sé e i propri connazionali nel
giusto equilibrio fra due estremi, dell'internazionalismo comunista da una
parte e del nazionalismo socialista, o 'nazismo hitleriano' dall'altra». E
aggiungeva che «l'uno come l'altro» non poteva non finire «nella tiran-
nide, la quale è sempre tirannide, sia che passi sui piedi o sulla testa»85 •
Non a caso, il prevalere del riferimento al «neopaganesimo» tendeva a
escludere dall'analisi il fascismo, dichiaratamente cattolico e concordatario.
Lo studente universitario cattolico Marino Gentile mise a confronto nel
1936 le tre soluzioni emerse, sin dall'Impero romano, del rapporto dello
Stato, con la religione: la prima era quella di Diocleziano, «che a una
concezione spirituale di vita oppose una concezione diremmo economica
come pressappoco oggi si fa del comunismo con risultati persino d'una
mistica dell'ateismo»; la seconda quella di Giuliano l'Apostata, «che
pretese di alleare malamente energia cristiana a profana - come oggi
in Germania e in terra di protestantesimo»; l' «ultima la soluzione di
Costantino». E quest'ultima, che doveva essere la soluzione dei cattolici,
era anche, fortunatamente, quella del fascismo italiano86 •
84
A. BERNAREGGI, La moralità della professione, in «Studium», marzo-aprile 1934, pp. 180-
181.
85
E.R. [E. RosA], Vita Ecclesiae, in «Studium», ottobre 1936, p. 586.
86
Cfr. la relazione di M. GENTILE, «L'immanentismo nelle varie manifestazioni del pen-
siero e della vita», in I lavori del Convegno di Como, in «Azione fucina», 19 aprile 1936.

316
Nel clima della guerra d'Etiopia e delle sanzioni e poi della proclama-
zione dell'Impero il consenso cattolico al fascismo divenne, del resto,
plebiscitario. Scoppiata da poco la guerra, il 28 ottobre 1935, in occasione
dell'anniversario della marcia su Roma, l'arcivescovo di Milano Schuster
tenne nel duomo un'omelia nella quale parlò di «missione nazionale e
cattolica di bene», del «vessillo d'Italia» che «sui campi d'Etiopia reca
in trionfo la croce di Cristo, spezza le catene degli schiavi, spiana le
strade ai missionari del Vangelo» 87 • Al momento della vittoria e della
proclamazione dell'Impero, «La Civiltà cattolica» sottolineò che la «nobile
eccezione» rappresentata dall'Italia fascista, uno dei pochi paesi che si
fosse sottratto alla così diffusa tentazione del «gretto 'laicismo'», era stata
probabilmente «ben premiata da Dio»88 • Secondo don Carlo Gnocchi,
era evidente, per «l'uomo di fede», veder «balzare, con forte rilievo, da
tutta l'epica vicenda, un disegno luminoso e preciso della Prowidenza
Divina», «l'incontestabile 'segno di Dio nella storia'»89 • Affermava Paolo
Emilio Taviani sulla rivista dell'Università Cattolica:
«L'Italia ha oggi in Africa Orientale non le sue floride colonie, ma il suo Impero, perché
attua anche laggiù i principi mussoliniani del 'vivere pericolosamente', del 'credere,
obbedire, combattere': perché pone sull'Acrocoro, cuore dell'Africa, un segnacolo di
quella civiltà che è, nella sua essenza positiva, la civiltà cristiana: perché intende portare
l'eguaglianza sociale e la carità fraterna fra popoli abituati sinora alle arbitrarie distinzioni
delle razze e delle caste» 90 .

Amintore Fanfani, professore di Storia economica alla Cattolica e di


Storia della colonizzazione alla Scuola coloniale di Milano, vide concluso
«con la proclamazione dell'Impero fascista» il Risorgimento: «l'impresa
africana per la conquista dell'Impero» svincolava «per la prima volta
completamente l'Italia dalla tradizionale posizione di potenza pupilla tra
le maggiori potenze europee». «Per la prima volta nei tempi moderni»
l'Italia si era «opposta al mondo» e aveva «vinto». E Fanfani concludeva:
«Così si rinnova la genuina tradizione di Roma» 91 • Il presidente della
Gioventù cattolica Luigi Gedda scrisse:

87 Il testo è riprodotto in P. BELTRAME QUATTROCCHI, Al di sopra dei gagliardetti. Uarci-


vescovo Schuster, un asceta benedettino nella Milano dell'era fascista, Casale Monferrato
(Alessandria) 1985, pp. 189-191.
88 Letizia di popolo e visione di pace, in «La Civiltà Cattolica», 1936, 2, pp. 356-357.
89
C. GNOCCHI, Le armi d'Italia al cuore di Gesù, in «L'Italia», 31 maggio 1936.
90
P.E. TAVIANI, La nuova pace e il nuovo impero, in «Vita e Pensiero», giugno 1936, p. 250.
91 A. Cinquant'anni di preparazione all'Impero, in L.
FANI'ANI, SILVA (ed), Colonialismo
europeo ed Impero fascista, Milano 1936, pp. 27 e 31.

317
«Portino ovunque le aquile romane la Croce di Costantino, in questo segno vincerà l'Impero
che sorge, ... Siamo grati al Duce di aver dato all'Italia l'assetto quadrato di un accampa-
mento romano e di aver posto sulla fronte di Roma, caput mundi, il diadema imperiale»92 .

Le organizzazioni cattoliche, specie giovanili, presero del resto ad assumere


una serie di modelli che puntavano a una formazione eroica e patriottica.
Si cercava di formare una gioventù «robusta, maschia, inflessibile»93 , inte-
gralmente cristiana e laicamente moderna, secondo un modello in gran
parte ripreso dai miti del regime, anche se poi gli si contrapponeva in
un rapporto di differenziazione concorrenziale94 •
Anche gli ambienti cattolici che avevano difeso sino ad allora con grande
difficoltà una posizione «afascista», quelli più refrattari ad accettare il
regime totalitario, sentirono che era necessario inserirsi in un «regime
nazionale» 95 • Con l'inizio della guerra d'Abissinia la Santa Sede (ne
abbiamo traccia nei verbali del Consiglio superiore della Fuci dell'8 set-
tembre 1935) fece sapere alle organizzazioni cattoliche che non si poteva
più mantenere l'atteggiamento di riserbo del passato, ma che occorreva
ora «un atteggiamento cordiale»96 • Anche il Movimento laureati catto-
lici, per bocca del suo leader, Igino Righetti, valutava ora la situazione
italiana come quella in cui erano stati «spenti alla fine tutti i motivi di
interiore dissenso», erano state «bandite ... le fallaci ideologie che gua-
stano la vita di tant' altri popoli», era «sorretta ogni energia di bene dal
prestigio della legge». L'Italia avrebbe potuto così «mostrare al mondo
e ai secoli» l'esistenza in Roma di un «vertice di comune collaborante
fortuna» tra «le 'due Città', la celeste, quella della fede, della giustizia
eterna, della carità di Cristo e la terrestre, quella della patria terrena, del
lavoro, della storia presente»97 •
La guerra civile spagnola sembrò riproporre la necessità di un fronte
unico («per Dio o contro Dio», come si ripeté) che non poteva prescin-
dere dal fascismo. L'alleanza franchismo-fascismo-nazismo acquistò anzi

92
L. GEDDA, Saluto all'impero, in «Gioventù nova», 17 maggio 1936.
93
«Rivista del clero italiano», settembre e ottobre 1936.
94
Cfr. R. MoRo, La religione e la «nuova epoca». Cattolicesimo e modernità tra le due
guerre mondiali, in A. BoTTr - R. CERRATO (edd), Il modernismo tra cristianità e secolariz-
zazione, Atti del convegno, Urbino 1-4 ottobre 1987, Urbino 2000, pp, 513-573.
95
Cfr. R. MORO, La formazione della classe dirigente cattolica (1929-1937), Bologna 1979,
pp, 365-412,
96 Ibidem, pp. 368-369.
97
I. RIGHETTI, Augurio all'Italia, in «Studium», maggio 1936, p. 264,

318
caratteri provvidenziali. Il 28 ottobre 1936, nell'intervento in occasione
dell'anniversario della marcia su Roma, il cardinale Schuster vide il mondo
diviso «in due campi, o come due civiltà opposte 'l'una contro l'altra
armata'»: erano, da una parte, la «mistica città di Dio, che nella perfetta
concordia per i due poteri religioso e civile e nell'unità della religione
rivelata garantisce i propri diritti a tutti quanti gli Stati», e, dall'altra, «la
città di Babilonia, dove impera Satana»98 • In questo scontro, - proseguiva
il cardinale - l'Italia cattolica e fascista si trovava «naturalmente . . . a
capo dei popoli nella difesa del comune patrimonio spirituale del mondo
civile, così che la causa di Roma cristiana, la causa nazionale dell'Italia
cattolica contro il pericolo comunista» divenivano «per ciò stesso la causa
internazionale dell'intero mondo civile»99 • Nel gennaio 1937 il presidente
della Gioventù cattolica, Luigi Gedda, ricordava che l'Impero era «giunto
come una consegna di potenza alla nuova Italia per una missione da
assolvere, sul rettifilo della sua storia e nella luce del mandato divino al
Vescovo di Roma: conservare in Europa, nel mondo la Civiltà cristiana».
E concludeva: «'Gesta Dei per Italicos!'» 100 • Nel marzo il nuovo presi-
dente dell'Azione cattolica, Lamberto Vignoli, sottolineava agli iscritti
all'associazione «il privilegio di essere italiani, mentre l'Italia costituisce
per la civiltà cristiana uno dei baluardi inespugnabili» 10 1. Pochi giorni
prima, il 25 febbraio, ancora Schuster fu protagonista probabilmente
della manifestazione più emblematica della raggiunta piena convergenza
tra fascismo e cattolicesimo italiano. In occasione della celebrazione del
bimillenario di Augusto organizzata dalla gioventù universitaria fasci-
sta, egli inaugurò con una sua prolusione il corso di «mistica fascista»
dell'omonima scuola. Nel suo discorso tutte le vecchie differenziazioni e
incompatibilità tra cattolicesimo e fascismo sembravano scomparse. Come
al tempo dell'antica Roma - disse il presule - «la 'Divina Mens'» aveva
inviato Ottaviano, così «anche in Italia» dopo la Prima guerra mondiale
era sorto «'l'Uomo provvidenziale' di genio, il quale salvò lo Stato, fondò
l'Impero e diede alle coscienze italiane la più perfetta unità nazionale in
grazie della Pace religiosa». L'Impero dell'Italia di Mussolini era dunque
figlio della provvidenza come quelli di Augusto e Costantino e aveva la
funzione di ribadire «il primato spirituale del cristianesimo»:

98 «Rivista diocesana milanese», 25, 1936, pp. 389-394.


99
Ibidem, p. 393.
100
L. GEDDA, Pensieri e consegne, in «Gioventù Italica», gennaio 1937.
101
L. VIGNOLI, Il nostro dovere, in «Bollettino ufficiale dell'Azione Cattolica Italiana»,
15 marzo 1937.

319
«Il celeste Nume che aveva preceduto Costantino nella sua Marcia su Roma nel nome
trionfale di Cristo, premiò la sua fede accordandogli, colla vittoria, la gloria altresì d'essere
considerato dopo Augusto siccome fondatore del rinnovato Impero romano. Anche a Benito
Mussolini il Dio, ancor misterioso al tempo dell' «Ara Pacis Augustae», il Dio radioso del
labaro costantiniano, il Dio crocifisso e amante degli uomini ... il Dio che dai più remoti
secoli ha preparato, costituito e protetto l'Impero di Roma; anche a Benito Mussolini,
dico, Gesù Cristo, Figlio di Dio Salvatore, ha accordato un premio che riavvicina la sua
figura storica agli spiriti magni di Augusto e di Costantino. Dopo la Marcia su Roma e
dopo la Convenzione del Laterano che ha ridato l'Italia a Dio e Dio all'Italia, Dio ha
risposto dal Cielo, ricingendo per opera del Duce, ricingendo, dico, Roma e il Re di un
ripullulante lauro imperiale nella «Pax Romana» 102 .

4. La sfida totalitaria: le nubi del 1937-1938


Nonostante queste certezze, a partire dalla primavera del 1937 la questione
della valutazione dei fenomeni totalitari e, soprattutto, delle loro impli-
cazioni religiose divenne sempre più centrale e drammatica. Il problema
divise profondamente le opinioni all'interno dei vertici ecclesiastici, così
come tra i credenti. Guardando alla situazione mondiale, il comunismo
era davvero il pericolo maggiore, di fronte al quale ogni distinzione
doveva cedere, o esso era da mettersi sullo stesso piano del nazismo, in
quanto entrambi esponenti di radicali sistemi anticristiani? E, in questo
quadro, qual era il posto del fascismo italiano? E ancora: nel caso che
il nazismo potesse essere considerato diverso e migliore, dal punto di
vista cristiano, del comunismo ateo, era in grado il fascismo italiano, il
cui atteggiamento filo-cattolico lo differenziava nettamente dal nazismo,
di esercitare un'influenza sulle correnti «pagane» del regime nazista?
La Chiesa come è noto, promulgò nella primavera del 1937 tre encicli-
che: la «Mit brennender Sorge» sul nazismo, la «Divini Redemptoris»
sul comunismo e la «Nos es muy conocida» sulla situazione religiosa in
Messico. Tutte toccavano la questione del comportamento dei cattolici
sottoposti a persecuzione da parte di uno Stato nemico del cristiane-
simo, ma non affrontavano direttamente il tema del totalitarismo; anzi,
la scelta pontificia era stata proprio quella di distinguere i singoli casi e
di evitare una condanna in blocco, escludendo comunque il fascismo da
ogni coinvolgimento. Tuttavia, le encicliche mettevano in discussione, per
la prima volta, l'elemento base che sosteneva l'idea di un fronte unico
anticomunista esteso sino al nazismo: e cioè il principio dell'assoluta prio-

102 La via trionfale da Augusto a Costantino, in «L'Italia», 27 febbraio 1937, e Da Augu-


sto a Costantino. Da un discorso milanese del Cardinale Schuster (25 febbraio 1937), in
«Annuario cattolico italiano», 1937, pp. 35-38.

320
rità del pericolo comunista rispetto a quello nazista. La «Mit brennender
Sorge», infatti, non rappresentava solo una vibrante protesta contro la
situazione in cui si trovava il cattolicesimo in Germania; era concepita
come un vero e proprio catechismo, che riaffermava contro l'ideologia
nazista le principali verità cristiane. L'impressione che si poteva facilmente
ricavare da essa era che il cristianesimo fosse messo complessivamente in
discussione da un'aggressione nazista a carattere sostanzialmente religioso
non meno pericolosa di quella comunista 103 •
In quella primavera, dunque, i riferimenti della stampa cattolica italiana al
«neopaganesimo», all' «idolatria», alla «religiosità» alternativa del nazismo
si infittirono. Naturalmente, i commenti cattolici lasciavano in genere del
tutto fuori dalla questione il fascismo. L'idea dell'esistenza di un fenomeno
più ampio e il problema di una sua eventuale influenza in Italia comin-
ciò tuttavia ad affacciarsi egualmente tra le righe di qualche commento.
Secondo Mario Bendiscioli, ad esempio, il «neopaganesimo razzista» non
solo si andava «sviluppando metodicamente in teoria e in pratica», ma
tendeva ormai «ad imporsi come una verità o mito universale anche fuori
della Germania» 104 • Di fronte a questi dubbi sulla situazione italiana anche
Alcide De Gasperi, nel maggio 193 7, per quanto convinto del pericolo
drammatico rappresentato dalle nuove «mistiche umane», dichiarava di
ritenere impossibile un riemergere in Italia degli «dei di Roma, contro il
cui ritorno la coscienza italiana è difesa dal cattolicismo romano»:
«Là ove la coscienza cattolica è vigile, - proseguiva l'ex leader popolare - l'umanità, pur
celebrando i suoi fasti ed esaltando le gesta eroiche dei suoi eroi e dei suoi condottieri, non
corre il pericolo di adorare sé stessa, di elevare sugli altari l'idolo del proprio orgoglio» 105 .

La fiducia di De Gasperi riposava sulla natura cattolica del fascismo o sul


peso effettivo della Chiesa cattolica nella situazione italiana? Significavano
le sue parole che solo finché l'Italia cattolica avesse resistito al fascismo
sarebbe stato impedito di imboccare la via neopagana? Era chiaro che il
quadro per i cattolici italiani non si stava facendo del tutto rassicurante.
Nella seconda metà del 193 7, in relazione al progressivo avvicinamento
dell'Italia fascista al nazismo, le reazioni si fecero più preoccupate. Il
viaggio di Mussolini in Germania, l'adesione italiana al patto Antico-

103
Cfr. G. BAGET Bozzo, Il fascismo e l'evoluzione del pensiero politico cattolico, cit., pp. 688-
689.
104
M. BENDISCIOLI, Neopaganesimo razzista, Brescia 1937, p. 5.
105
SPECTATOR [A. DE GASPERI], La quindicina internazionale, 16 maggio 1937, ora in
A. DE GASPERI, Scritti di politica internazionale 1933-1938, cit., II, pp. 538-539.

321
mintern con tedeschi e giapponesi, l'uscita dalla Società delle nazioni,
i primi segni di una polemica antisemita, ponevano nuovamente il pro-
blema dell'influenza politica e ideologica nazista in Italia, e in termini più
drammatici che in passato. I cattolici antifascisti potevano ora insistere di
nuovo con visioni assai pessimistiche e negative. Nell'ottobre 1937 anche
il filippino padre Giulio Bevilacqua, amico di Montini, individuava, come
il cardinale Schuster, due irriducibili e inconciliabili poli di una secolare
lotta senza quartiere contro la Chiesa, ma essi erano ben diversi da quelli
visti delinearsi poco più di un anno prima dall'arcivescovo di Milano in
Spagna: la lotta che durava da venti secoli era infatti, per Bevilacqua, tra
il cristianesimo, da una parte, e il «culto di Roma e di Augusto» come
forma «di lealismo politico», dall'altra 106 •
Naturalmente, nel suo complesso, il cattolicesimo italiano continuò a
dichiarare la propria fedeltà al regime. «La Civiltà Cattolica», ad esempio,
confermò una visione positiva del fascismo. Padre Augusto Barbera, nel
quadro di un bilancio della politica educativa e sociale, affermò in modo
risoluto che sbagliavano completamente tutti i critici che mettevano il
regime fascista «alla pari del regime nazista dell'Hitler e del Rosemberg».
Nonostante «certe espressioni teoriche, arieggianti a quella concezione
idolatrica dello Stato, e nonostante qualche esagerazione o deviazione
particolare» (che erano tuttavia da considerare «deficienze dalla perfezione
ideale, inevitabili nelle cose umane»), il fascismo rimaneva, per il gesuita,
assolutamente filo-cattolico: promuoveva «l'unità morale e religiosa della
nazione nella sua fede e nelle sue tradizioni, con la fedeltà al Concordato,
con la libertà alla Chiesa nel suo ministero, e con l'istruzione religiosa
cattolica in tutte le scuole, dichiarata 'fondamento e coronamento di tutta
l'istruzione'» 107 • È vero che la rivista, pur riconoscendo che il «principio
di 'totalitarismo' dello Stato» prendeva «ben altro e più largo significato
nei paesi acattolici del Nord, che presso i popoli latini, e in Italia segna-
tamente», finiva ora per sottolineare l'esistenza di un pericolo neopagano
diffuso ovunque: «il pericolo di siffatto neopaganesimo statolatra» restava
infatti - si leggeva nel gennaio 1938 - «da per tutto, negli Stati autoritari
o 'totalitari', come li chiamano, per il facile trascorrere di chi ha l'unico
dominio delle cose politiche a volerlo anche assoluto nelle religiose che
vi hanno qualche attinenza». Tuttavia, ribadiva la rivista, il «neopagane-
106
G. BEVILACQUA, Cristianesimo e romanità, in «Scuola Italiana Moderna», 20 ottobre
1937, ora in G. BEVILACQUA, Scritti fra le due guerre, a cura di E. G1AMMANCHERI, Brescia
1968, pp. 441-443.
107
A. BARBERA, La Mostra nazionale delle Colonie estive e dell'Assistenza all'infanzia, in
«La Civiltà Cattolica», 1937, 4, pp. 3-11.

322
simo ... non ha nulla da fare, ripetiamo, col fascismo, o con altra forma
di 'regime autoritario' o anche di dittatura, tollerabile e talora anche
desiderabile in certe determinate condizioni politiche e sociali di una
nazione» 108 • L'economista dell'Università Cattolica Francesco Vito scrisse
di rifiutare lo «Stato totalitario» se esso significava lo Stato «tutto», ma
di accettarlo se indicava uno Stato che non ignorava i valori etici e disci-
plinava la società in modi che rispondessero a «finalità superiori» 109 • Il
germanista Guido Manacorda distinse tra lo Stato totalitario che annullava
«ogni realtà soprannaturale e individuale» e lo Stato fascista, il quale non
soltanto non contrastava «in nulla al cattolicesimo, ma proprio, se mai»,
ne interpretava «politicamente e socialmente lo spirito» 110 •
Nonostante questo, le preoccupazioni cattoliche crescevano. Secondo un
vescovo autorevole come quello di Padova, la situazione italiana, ritenuta
per tanto tempo confortante, cominciava a destare qualche preoccupa-
zione. Dichiarava monsignor Giovanni Cazzani nella pastorale per la
quaresima 1938:
«È vero che da noi, per sagge disposizioni di chi regge le sorti d'Italia, è sanzionato il
rispetto alla Religione, il Crocifisso figura nei pubblici uffici, il Catechismo si insegna nella
scuola, il Vangelo si predica liberamente dal Sacerdote. Ma ciò nonostante c'è molto da
temere, ed è necessario vigilare . . . si cammina sotto i benefici raggi della luce portata
da Gesù Cristo e dal suo Vangelo; ma Cristo e il Vangelo si trattano da miti, e invece si
esalta il paganesimo e se ne fanno rivivere le aberrazioni e i costumi» 111 .

Dopo l'Anschluss «L'Avvenire d'Italia» espresse quella che definiva una


«legittima preoccupazione», e cioè che «dietro il nazional-socialismo»
volesse «affermarsi e imporsi», ora anche in Austria, «il neopaganesimo
razzista» 112 • Vi era dunque qualche rischio anche nella situazione italiana?
Nel corso del 1938 la visita di Hitler in Italia e l'avvio della politica della
razza, il vanificarsi della prospettiva del «blocco latino» di Stati catto-
lico autoritari 113 , il bilancio tutt'altro che positivo dei primi dieci anni
della Conciliazione in un paese che appariva anch'esso attraversato da
fenomeni di secolarizzazione crescente, crearono una situazione in cui era
108
E. RosA, Gli auspici del «nuovo ordine» sociale, in «La Civiltà Cattolica», 1938, 1,
pp. 100-101.
109
F. VITO, Economia politica corporativa, Milano 1937, pp. 138-139.
110
G. MANACORDA, Cattolicesimo e politica, in «Il Corriere della sera», 25 febbraio 1938.
111
«L'Avvenire d'Italia», 25 febbraio 1938.
112
Ibidem, 13 marzo 1938.
113
Su questa ipotesi a lungo coltivata dal cattolicesimo italiano alla metà degli anni Trenta
cfr. R. MoRo, La formazione della classe dirigente cattolica, cit., pp. 503-508.

323
chiaro che le speranze coltivate fino a poco tempo prima si stavano rove-
sciando: più che essere il fascismo italiano a poter moderare il nazismo,
evidente era il rischio che fosse il fascismo a seguire la deriva hitleriana.
Il mondo cattolico italiano appariva dunque, di nuovo, profondamente
diviso. L'atteggiamento dell'autorevolissima «La Civiltà Cattolica» era
ancora fiducioso. La rivista ribadì nel settembre del 1938 che il caso del
regime fascista non rientrava nella fattispecie condannata dalla Chiesa
quando ci si riferiva al totalitarismo. La formula mussoliniana «tutto è
nello Stato e niente al di fuori dello Stato» veniva definita dai redattori
della rivista una formula «di eloquenza politica, più che di sudato giuri-
dismo», giacché «lo stesso Mussolini», che aveva «creato la formula tota-
litaria», «non sempre» aveva dato «un valore assoluto al totalitarismo»: il
fascismo non intendeva, infatti, con quella formula, affermare che non ci
fosse «alcun margine della vita sociale» che non cadesse «sotto la giuris-
dizione del potere politico», intendeva «solo indicare il carattere generale ...
del compito dello Stato», e non «il suo potere illimitato» 114 • Erano ancora
i termini della proposta di coabitazione che Pio XI aveva formulato all'in-
zio della crisi del 1931. Qualche cosa, però, si era ormai profondamente
incrinato. Se dopo il 1931, le illusioni provvidenzialistiche troppo facili
erano cadute per poi ripresentarsi dopo la conquista dell'Impero, ora
cadevano le illusioni di molti cattolici di trovarsi comunque nella migliore
situazione possibile per arrivare, anche se lentamente, a una completa
«soluzione cattolica». Ciò non fece passare se non pochissimi cattolici
italiani sul fronte dell'opposizione né significò la fine definitiva delle
speranze di un recupero delle posizioni confessionali; portò però a una
visione del regime sempre più disincantata e perplessa. Nel momento in
cui la violenza anticristiana sembrava domìnare l'orizzonte internazionale;
dal Messico alla Spagna, dalla Russia alla Germania, i quotidiani cattolici,
i fogli della Gioventù e degli Uomini, e i convegni degli scrittori cattolici
tornarono a proporre, con sempre maggiore insistenza, l'ideale del cristia-
nesimo dei primi secoli e della resistenza ai Cesari, il modello del martirio,
dei Tarcisio e dei Sebastiano, insomma un modello di opposizione, anche
se fatto più di testimonianza che di qualsiasi attivismo 11 5. Combattere le
fondamenta della Chiesa, secondo «L'Avvenire d'Italia», era «volerne il

114
A. BRUCCULERI, Il concetto cristiano dello Stato. II, in «La Civiltà Cattolica», 1938, 3,
p. 397. .
115
Per maggiori elementi cfr. R. MORO, Il mito dell'impero in Italia fra universalismo
cristiano e totalitarismo, in D. MENOZZI - R. MORO (edd), Cattolicesimo e totalitarismo.
Chiese e culture religiose tra le due guerre mondiali (Italia, Spagna, Francia), Brescia 2004,
pp. 311-371.

324
tramonto, perseguitarla»; ma ateo non era soltanto chi rinnegava «aper-
tamente Iddio», bensì anche «colui che deifica o se stesso, o la natura,
o la terra, o il mondo». In Germania, contro il cattolicesimo, era risorta
«l'accusa antica, ma sempre attuale»:
«Disse il Sinedrio a Pilato: abbiamo trovato costui che sovvertiva la nostra nazione e
distoglieva dal pagare il tributo a Cesare (Le 23,2). È la mirabile tragedia della Chiesa,
che continua nei secoli la Passione di Cristo»l1 6•

In un intervento intitolato Discorsetti ai cattolici anche Papini, noto per la


posizione favorevole al regime, denunciò pubblicamente nel luglio 1938
quel «cattolicesimo politico» che sfruttava la persecuzione religiosa in atto
nel mondo per lamentarsi del regime fascista 117 • Ma anche i responsabili
della politica fascista percepirono con nettezza il fenomeno. Il 3 aprile
1938 il ministro degli Esteri Galeazzo Ciano annotava nel suo diario:
«in Italia la corrente antitedesca, fomentata dai cattolici, dai massoni e
dagli ebrei, è e diviene sempre più forte» 118 • Secondo il ministro fascista
Giuseppe Bottai, che consegnò la sua riflessione al diario il 26 luglio, la
Chiesa stava prendendo «posizione, progressivamente, contro lo Stato
'totalitario', fascista o non» 119 •
L'inizio del 1939 vide il «decennale» della Conciliazione. Era l'occasione
inevitabile di un bilancio, ed esso non era facile da fare. Il presidente
dell'Azione cattolica Vignoli disegnò ancora l'immagine di un paese dove
splendeva «il sole di un destino provvidenziale», ricordando tutte le bene-
merenze concordatarie del fascismo 120 • «Come cristiano e come italiano»,
padre Gemelli dichiarò di ritenere che, per quanto ogni «effetto» non
potesse «non essere, per la sua natura, in continuo divenire» e avesse
«bisogno di essere continuamente realizzato e vissuto», non si poteva che
riaffermare che «gli Accordi del Laterano» avevano aperto «il ritorno ...
dello Stato italiano alla sua vera tradizione e missione ... essenzialmente
cattoliche» 121 • Papini, nel suo nuovo e fortunatissimo libro Italia mia

116
Aspetti della situazione religiosa nel Terzo Reich, in. «L'Avvenire d'Italia», 11 marzo 1938.
117
G. PAPINI, Discorsetti ai cattolici, in «Il Frontespizio», luglio 1938, ora in G. PAPINI,
Tutte le opere, IV: Testimonianze e polemiche religiose, cit., pp. 210-213.
118
G. CIANO, Diario 1937-1943, a cura di R. DE FELICE, Milano 1983, p. 120.
119
G. BOTTAI, Diario 1935-1944, a cura di G.B. GuERRI, Milano 1982, p. 128.
120
L. VIGNOLI, Realizzazioni del Decennale, in «Bollettino ufficiale dell'Azione Cattolica
Italiana», febbraio 1939, pp. 33-34.
121
A. GEMELLI, O.F.M., Introduzione, in Chiesa e Stato. Studi storici e giuridici per il decen-
nale della Conciliazione tra la Santa Sede e l'Italia, I: Studi storici, Milano 1939, p. X.

325
pubblicato nel 1939, dichiarò senza mezzi termini di considerare l'Italia
fascista «come una fortezza assediata, come un campo trincerato, come
l'ultima cittadella di ciò che fece e rifarà l'unità dell'Europa: la Pax Romana
e la Chiesa di Cristo» 122 • Non tutti sentivano però le cose con tanta
tranquillità. Il cardinale Schuster - come s'è visto - era uno dei presuli
italiani che più avevano coltivato l'illusione di un incontro provvidenziale
in difesa della civiltà cristiana tra fascismo e cattolicesimo. Anch'egli fece
all'inizio del 1939 un bilancio della Conciliazione, e questa volta non in
sede pubblica ma a porte chiuse, al suo clero. E il suo discorso fu di tono
completamente diverso dal passato. Anche per Schuster ora il quadro dei
due mondi in lotta mortale che aveva dipinto nel 1936 e che lo aveva
indotto a riconoscere al regime il ruolo di pilastro fondamentale nel campo
del bene, si era rovesciato nel senso che abbiamo visto emergere in un
uomo dalle posizioni completamente diverse dalle sue come Bevilacqua:
«La lotta - disse ora Schuster - ha qualche cosa di epico e trascende, come ho detto, i
confini dell'Italia, giacché, essendo derivata dalla diffusione dei principi egheliani [sic],
coinvolge la cultura di varii popoli. Si trovano di fronte come due civiltà. La prima discende
dal cielo e deriva dal S. Vangelo, coi suoi dogmi, colla sua gerarchia, divinamente istituita,
coi suoi diritti e doveri, colla sua finalità che abbraccia il tempo e giunge ali' eternità .
. . . Contro questa intangibile fede divina che fa capo alle tavole del Decalogo e all'Evangelo
e che la Chiesa deve difendere e propagare per tutto il mondo, per ordine del Cristo
medesimo, insorge in questi ultimi anni una nuova forma di filosofia egheliana che ad
un Dio personale, distinto dal mondo, Creatore e Signore di tutte le cose, sostituisce un
nume immanente e universale: lo Stato. Siccome poi lo Stato siamo noi, abbiamo qui il
panteismo politico che si risolve alla fine nell'ateismo bolscevico, come ha fatto rilevare
più volte il Santo Padre Pio XI» 123 • ·

Il cardinale denunciava quindi con angoscia e in toni apocalittici il fatto


che «di fronte a un credo cattolico e a una Chiesa cattolica di origine
divina» stavano ora «un credo fascista e uno Stato totalitario», il quale
pure rivendicava «attributi divini». «Sul piano religioso» - questa la sua
conclusione del tutto pessimistica - il Concordato era «vaporizzato» 124 •
La strada del distacco dei cattolici italiani dal fascismo sarebbe stata
ancora lunga e complessa. Ma il problema del totalitarismo, il confronto
con il nazismo, il tema delle «mistiche politiche», sarebbero stati tutti
elementi decisivi nell'orientare le élites cattoliche verso un radicalismo
cristiano sempre più scopertamente antifascista. Padre Giulio Bevilacqua
122
G. PAPINI, Italia mia, Firenze 1939, p. 168.
123
Il documento è ora edito in P. BELTRAME QUATTROCCHI, Al di sopra dei gagliardetti,
cit., p. 261.
124
Ibidem, p. 262.

326
su «Studium» ,nel gennaio 1940 arrivò a individuare «questo terreno»
come quello «della grande battaglia religiosa di oggi» e come quello della
resistenza cristiana del futuro. Indicando una strada che sarebbe in effetti
stata seguita negli anni seguenti da molte coscienze cattoliche, scrisse:
« ... scoprire, ovunque s'annida, l'idolatria; scoprirla in noi stessi e fuori di noi, vederne i
germi sinistri in ogni maiuscola prodigata ad astrazioni vuote, indigenti, che promettono
quello che non possono dare; in ogni atto di fede che costituisca, per la sua origine,
per le vie impiegate a strappare il consenso, autentica forma inferiore di corruzione.
Lottare, e con tutte le forze, perché l'adorazione vada al Dio certo, al Dio vivo, al Dio
vero, al Dio amore, al Dio creatore e salvatore. Lottare contro quelle forme religiose che
diminuiscono il senso della trascendenza divina. Questo - ripetiamolo - è il più urgente
lavoro che si impone all'apostolo. Il martire che incontrava la morte pure di infrangere
l'idolo, non compiva un inutile gesto fanatico, ma il primo gesto necessario per preparare
le vie del Signore» 125 .

125
B.G. [G. BEVILACQUA], Sgombrare l'idolo, in «Studium», gennaio 1940, pp. 15-16.

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