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EMMA FATTORINI, Pio XI, Mussolini, Hitler e Pacelli : (1937-1939), in «Annali

dell'Istituto storico italo-germanico in Trento» (ISSN: 0392-0011),


31 (2005), pp. 279-317.

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Pio Xl, Mussolini, Hitler e Pacelli (1937-1939)

di Emma Fattorini

Abstract - This essay examines the last years of the pontificate of Pope Pius XI; those of
the frank and declared rupture with Nazism and - for many aspects also - Fascism. This
reading is corroborated by recently unearthed archival documents: the relations of the
German nunciature with the Secretary of State substantiate - enriching many details - a
different attitude, less disposed towards diploma tic negotiations than Pacelli and the majority
of the German episcopate. Furthermore, the correspondence between Pius XII and cardinal
Clemens August von Galen is taken into consideration, which provides evidence for the
difference, the divergences, and the actual contradictions between the German episcopate
and Pius XII and of the bishops among themselves. This exercise is rarely performed by the
growing number of followers of the relationship between Church and National Socialism
who prefer verdicts in toto, almost as if the Church were a monolithic, simply pyramidical
reality. In reality, this reductive approach reveals an unconfessed fear of see the distinctions.
Yet exactly the differences can shed light on those tragic and highly complicated events,
which so easily become object of our current projections.

Il nuovo materiale dell'Archivio Segreto Vaticano proveniente dalla Con-


gregazione per gli Affari ecclesiastici straordinari relativi al fondo Germa-
nia, messi a disposizione degli studiosi nel febbraio del 2003, è di grande
interesse non già, come ormai ricordato più volte, per la sensazionalità
di alcuni singoli documenti (fatta eccezione per la lettera che Edith Stein
scrisse a Pio XI nell'aprile del 1938), quanto piuttosto perché fornisce,
nell'insieme, la possibilità di seguire meglio l'andamento dei rapporti tra
Chiesa e nazismo fino al 1939.
In questo saggio vengono presi in esame, in particolare, gli ultimi anni del
pontificato di Pio Xl, quelli di aperta e dichiarata rottura con il nazismo
e per molti aspetti anche con il fascismo. Questa lettura trova significativi
riscontri nella nuova documentazione archivistica: le relazioni della nun-
ziatura tedesca con la Segreteria di Stato confermano, arricchendolo di
molti particolari, un atteggiamento diverso, meno disposto alla trattativa
diplomatica di quanto non lo fossero Pacelli e la gran parte dell'episcopato
tedesco.
Il carteggio tra Pio XII e il cardinale Clemens August von Galen, che
prendo in esame nella parte finale del saggio, aiuta a cogliere le differenze,

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le sfumature, le vere e proprie contrapposizioni tra l'episcopato tedesco e
Pio XII e degli stessi vescovi tra loro: un esercizio poco seguito dai sempre
più numerosi cultori dei rapporti tra Chiesa e nazismo che preferiscono
giudizi 'in toto', quasi che la Chiesa fosse una realtà monolitica, soltanto
piramidale. Questa concezione riduttiva rivela in realtà una paura incon-
fessata a cogliere 'le distinzioni' che potrebbero rischiare di gettare un
ennesimo atto d'accusa: ad esempio, si teme che valorizzando l'antitotali-
tarismo degli ultimi anni di Pio XI si finisca con lo screditare il successivo
operato di Pio XII; o ancora, che considerando la straordinaria lezione di
von Galen potrebbe risaltare la passività di altri membri dell'episcopato.
Non che questo rischio non esista, eppure sono proprio le differenze a
fare chiarezza su quelle tragiche e complicatissime vicende così facilmente
oggetto delle nostre proiezioni attuali, che andrebbero invece approfondite
non tanto alla luce di clamorose (e assai improbabili) scoperte negli archivi
vaticani, di cui molti bramerebbero i segreti, quanto attraverso fonti del
tutto pubbliche che però pochissimi conoscono. Penso alle pubblicazioni
della Kommission fiir Zeitgeschichte, quasi una quarantina di volumi di
corrispondenze, note private, rapporti di polizia, atti ufficiali, prediche,
verbali e ai sei volumi degli Akten deutscher Bischofe uber die Lage der
Kirche la cui documentazione chiarisce bene le scelte e dell'episcopato e
della Santa Sede.
Perchè in Germania c'è stato uno sforzo enorme nella pubblicazioni delle
fonti relative al rapporto tra Chiesa e nazismo e, invece, in Italia nulla sui
suoi rapporti con il fascismo? In Germania, come ha osservato Giovanni
Miccoli, è prevalsa:
«la consapevolezza che si trattava di vicende, ... che avevano bisogno ... di spiegazioni e
di giustificazioni; che si trattava insomma di qualcosa che, al di là di attacchi, polemiche
e strumentalizzazioni, intricava in una certa misura la memoria storica della stessa Chiesa.
Non fu così per i rapporti della Chiesa con il fascismo ... La Santa Sede e la Chiesa erano
persuase che in realtà nulla vi era da chiarire e da giustificare a questo riguardo» 1.

Il fondo che ho esaminato suscita un'osservazione preliminare sull'insieme


dei rapporti che ne costituiscono la trama fondamentale, quelli del nunzio
in Germania, monsignor Cesare Orsenigo, che si rivela del tutto inadeguato
al suo compito. Prima ancora che la sua poca risolutezza, ciò che colpisce
è una sorta di ottundimento, metafora e metonimia delle difficoltà della
Chiesa (e non solo sue personali), a giudicare e ad agire, e perfino a per-
cepire la portata degli eventi che si susseguono, prima, dal 1930 al 1933,

1
G. Mrccou, Chiesa cattolica e totalitarismi, in V. FERRONE (ed), La Chiesa cattolica e il
totalitarismo, Atti del convegno, Torino 25-26 ottobre 2001, Firenze 2004, p. 5.

280
quando tanta parte avrà la dissoluzione del cattolicesimo politico tedesco
e poi l'ascesa di Hitler.
Verrebbe spontaneo un raffronto con l'azione del precedente nunzio, quel-
l'Eugenio Pacelli catapultato dalla curia romana nel cuore di un'Europa
in guerra, nella mischia di quegli eventi cruciali, e che, pur diplomatico e
prudente fin da subito, capisce rapidamente, intuisce, si muove su diversi
piani, si allea con la sinistra per non emarginare i cattolici e il loro partito,
diventa paladino dell'unità e dell'integrità tedesca senza cadere nelle braccia
dei nazionalisti, e ottenendo anzi in cambio sostanziosi vantaggi con una più
che accorta politica concordataria. Un'abilità e rapidità nelle decisioni che,
non appartenendo al suo carattere cauto e indeciso, era forse largamente
dovuta a un entourage particolarmente presente e introdotto nella vita tede-
sca, a consiglieri e informatori molto motivati e fedeli (pensiamo per tutti a
Mathias Erzberger), alla ricchezza del cattolicesimo politico, alla sua cultura
politica di antica tradizione, quella natura 'democratica' e aconfessionale
del Zentrum, il partito cattolico più antico che sarà modello e ispirazione
per il Partito popolare di Luigi Sturzo. Un patrimonio che però inizia un
declino irreversibile già con la pesante sconfitta elettorale del 1928.
Il nuovo nunzio Orsenigo suscita un'impressione diametralmente op-
posta: la fitta rete di relazioni di Pacelli lascia il posto a un'incapacità di
valorizzare gli interlocutori tedeschi fidati e autonomi dal regime che sembra
ottundergli la facoltà di discernere gli eventi importanti dalle questioni
contingenti2.

2
Di von Papen fa notare, ad esempio, che, facendo da padrino alla pronipotina del
maresciallo Hindenburg «non si è premunito di alcun permesso dell'Autorità ecclesiastica»,
Archivio della Sacra Congregazione per gli Affari ecclesiastici straordinari (d'ora in poi
AAEESS), Germania, carteggio Pacelli-Orsenigo 6 e 8 aprile 1933, fase. 159). Mentre a
proposito della visita di Goebbels in Vaticano il 25 aprile del 1933 scrive: «Lo scorso anno
si unì con una protestante senza fare alcun tentativo di ottemperare alle norme del Codice di
Diritto canonico, che disciplinano i matrimoni misti, anzi - con grave dolore per i cattolici
celebrò il rito in Berlino dinanzi al pastore protestante. Con questi precedenti io non credo
abbia in progetto visite in Vaticano». Come se queste fossero le informazioni importanti da
dare sul personaggio che era già Goebbels. È continua e assillante la preoccupazione dei
matrimoni misti con i protestanti. Per ovvie ragioni di protezione della minoranza cattolica
e non solo, ciò avviene però anche in presenza di avvenimenti di portata talmente grave che
l'insistenza su questi aspetti suona patetica quando non drammatica. Persino il commento
di Orsenigo nel suo rapporto sulla «notte dei cristalli» sarà tutto volto allo scandalo con
cui i capi del nazismo, in quel periodo di forte affermazione, divorziavano per avere mogli
all'altezza della loro rapida ascesa politica e sociale.

281
1. J; intransigenza di un papa malato

Tra il 1937 e il 1939 si esplicita pienamente una differenza tra il pontefice


e il suo segretario di Stato: il futuro Pio XII è sempre più deciso a seguire
una via diplomatica di mediazione con il regime nazista - via che, del resto,
cercherà di praticare appena salirà al soglio pontificio - mentre papa Ratti
si rivela sempre più propenso alla rottura. Rottura che comunque non si
consumerà, perché lo stesso Pio XI non farà mai mancare la fiducia al suo
insostituibile segretario di Stato, solerte esecutore anche delle sue intempe-
ranze, e suo successore designato per gli anni bui che si stanno preparando:
una sostanziale complicità che non cancella le profonde differenze.
Gli ultimi anni di vita di Pio XI possono considerarsi un laboratorio che
getta luce sul rapporto del Vaticano e della Chiesa con i totalitarismi del
Novecento. Seguire da vicino la maturazione di Pio XI ci consente di evi-
tare alcune ingenue contrapposizioni, come quella che divide nettamente
una posizione profetica e una diplomatica della Chiesa nei riguardi dei
totalitarismi. Contrapposizione che nasce da un atteggiamento giudicante
e giustiziere della storia ed essenzialmente proiettivo di una coscienza
storica ed ecclesiale successiva, maturata subito dopo la guerra e poi nella
cultura conciliare. È solo allora infatti che viene acquisito, direi pienamente
interiorizzato, quel rapporto della Chiesa con il mondo che la fa essere
madre di tutti gli uomini e dunque non più preoccupata di difendere solo
i suoi figli.
Per spiegare l'intransigenza di papa Ratti rispetto alla via diplomatica sempre
ricercata da Pacelli, ad esempio, non serve tanto appellarsi alla categoria
di profezia. La radice della condanna, che sale come in un crescendo
negli ultimi tempi di vita di Pio XI, affonda piuttosto in una particolare
radice teologica che, se non arriva a produrre pienamente3 una vera e
propria teologia politica, certo matura sul terreno ecclesiologico a partire
da un'idea «totalitaria» di Chiesa. A questo proposito viene spesso citata
un'affermazione effettivamente illuminante di ciò che Pio XI aveva matu-
rato circa «il totalitarismo», concetto quanto mai fluttuante e ambiguo, e
cioè il discorso che egli pronunciò davanti a una delegazione di sindacalisti
cristiani francesi il 18 settembre del 1938, nel pieno della crisi dei Sudeti,
in cui tocca «un punto di dottrina» particolarmente importante: la vera e

3 Siamo di fronte alla questione se Pio XI inauguri una vera e propria· nuova teologia
politica, ciò che forse è un po' forzato, anche se certo ricolloca i rapporti tra Chiesa e nazioni;
cfr. F. BoUTHILLON, La naissance de la Mardité: une théologie politique à l'age totalitaire: Pie
XI (1922-1939), Strasbourg 2001, p. 334.

282
profonda natura del conflitto tra Chiesa e totalitarismo, il fatto cioè che si
tratta di due totalitarismi:
«Così si dice un po' dappertutto: tutto deve essere dello Stato; ed ecco lo Stato totalitario,
come lo si chiama: nulla senza lo Stato, tutto allo Stato ... E in questo caso ci sarebbe una
grande usurpazione, poiché se c'è un regime totalitario -totalitario di fatto e di diritto - è
il regime della Chiesa, perché l'uomo appartiene totalmente alla Chiesa, deve appartenerle,
dato che l'uomo è creatura del buon Dio ... E il rappresentante delle idee, dei pensieri e
dei diritti di Dio, non è che la Chiesa. Allora la Chiesa ha veramente il diritto e il dovere
di reclamare la totalità del suo potere sugli individui: ogni uomo, tutto intero, appartiene
alla Chiesa, perché tutto intero appartiene a Dio»4 •

La sua ecclesiologia «conservatrice», la sua formazione tradizionale, si


coniugano con un sentire cristocentrico dal quale deduce una tale assoluta
centralità della Chiesa che lo renderà immune, almeno nello spìrito (perché
sul piano pratico non sarà così), da vere subalternità ai totalitarismi fascista
e nazista di cui pure aveva percepito l'iniziale consonanza. Da quella ispi-
razione ricaverà la convinzione che solo la Chiesa possa davvero trattare
direttamente con le nazioni, senza attardarsi nelle mediazioni ad opera
dei partiti cattolici. E sempre a partire da questa ecclesiologia giungerà,
nel 1938, a percepire pienamente il carattere religioso dell'aggressione
totalitaria, e capirà che proprio per questo non si potrà più mediare. Fino
al 1936-1937, il Vaticano aveva ribadito la condanna di neopaganesimo
rivolta al nazismo, soprattutto a proposito delle tesi contenute ne Il mito
del XX secolo di Alfred Rosenberg.
È con l'enciclica Mit brennender Sorge che si dischiude una nuova pro-
spettiva teologica. È interessante vedere come e in che senso a partire dal
193 8 questo atteggiamento critico cominci a riguardare anche il fascismo
italiano, cosa che percepì bene il ministro Giuseppe Bottai quando, nel
luglio del 1938, a proposito del discorso di Pacelli alle Settimane sociali
di Francia affermò che «la Chiesa prende posizione, progressivamente,
contro lo Stato 'totalitario', fascista o non». Ma è nella sfida con il regime
nazista che emerge la radice teologica di cui parlavamo: alla base dell'in-
dignazione di papa Ratti non ci sono, ovviamente, i diritti dell'uomo, di
improbabile sapore democratico-liberale, e neppure un generico e astratto

4 A questo proposito cfr. D. MENOZZI - R. MORO (edd), Cattolicesimo e totalitarismo:


Chiese e culture religiose tra le due guerre mondiali (Italia, Spagna, Francia), Brescia 2004,
p. 381 che riportano molto opportunamente alcuni testi del giovane Augusto Del Noce
che si chiedeva cosa significasse l'essere il fascismo «una soluzione totalitaria» quando si
ponesse il problema dei suoi rapporti con la Chiesa e rispondeva che «esso rivendicava a
sé tutto l'uomo, che non riconosceva più cioè una dualità tra l'uomo esteriore, soggetto
della politica e l'uomo interiore soggetto della religione».

283
appello ai principi evangelici, quanto una sorta di concorrenza obiettiva
della Chiesa-totalità con la statolatria nazista. A questo si deve unire il
rifiuto spirituale dell'antisemitismo in quanto tradimento della comune
radice semitica espresso dal papa con estrema chiarezza e in più occasioni
nel corso di tutto il 1938.
Sarebbe interessante chiedersi quali origini abbiano queste posizioni e
quali influenze lo abbiano portato a maturare questi giudizi, se e quali
germi teologici dell'antinazismo cattolico possano averlo condizionato.
Viene alla mente la denuncia di Edith Stein, per la quale la persecuzione
degli ebrei non riguardava una generica «violazione dei diritti umani», ma
un tentativo di eliminazione della fonte che li ha storicamente determinati,
cioè la religione ebraico-cristiana; il nazismo quindi non lotta soltanto
contro l'ebraismo, ma anche contro il. cristianesimo cattolico giudicato
pericoloso perché strutturato in un unico organismo ben accentrato: la
Chiesa cattolica.
«Non si può neanche immaginare quanto sia importante per me ogni mattina quando mi
reco in cappella, ripetermi, alzando lo sguardo al crocifisso e all'effige della Madonna che essi
erano del mio stesso sangue ... che cosa significhi per me essere figlia del popolo eletto».

Anche Romano Guardini aveva visto come, all'inizio degli anni Trenta,
potesse farsi strada un nuovo messianismo politico che volesse rispondere
alla generale aspettativa di salvezza: il nazionalsocialismo come riproposi-
zione neopagana del «mito del Salvatore»5 sono solo spunti di riflessione
che varrebbe la pena approfondire.
Gli ultimi anni del pontificato di Pio XI sono segnati da un crescente,
acuto, forte sdegno: una vera e propria insofferenza, verso il nazismo e le
complicità del fascismo con esso. È un tormento vissuto largamente in soli-
tudine. Nel corso del 1937 e nei primi mesi del 1938 si fanno più frequenti
i segni di scontro tra la Santa Sede e la Germania, soprattutto da parte
di Pio XI: dall'enciclica di condanna Mit brennender Sorge all'elogio del
papa al cardinale George Mundelein, l'arcivescovo di Chicago che aveva
ritratto Hitler come un pazzo inaffidabile, all'allocuzione del Natale 1937,
durissima nel tono e densa teologicamente, alla strigliata fatta al cardinale
di Vienna Theodor Innitzer, imponendogli di smentire pubblicamente il
suo precedente entusiasmo verso l'Anschluf,, per citare soltanto alcuni dei
molti esempi possibili.

5 R GUARDINI, Il Salvatore nel mito, nella rivelazione e nella politica. Una riflessione poli-
tico-teologica, apparso nel 1946, ma la cui prima parte era stata pubblicata nel 1935, Der
Heiland, in «Die Schildgenossen», 14, 1935, pp. 97-116.

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Segnali interessanti della crescente distanza tra il-Vaticano e la Germania
erano visibili ben prima del 1937,,ma è in questo lasso di tempo, dall'en-
ciclica «gridata dai tetti» a quella che mai vide la luce, che si possono
ricostruire tasselli importanti su eventi e personaggi protagonisti dell'awi-
cinamento tra l'Italia e la Germania. La crescente ostilità della Santa Sede
verso la Germania è talmente evidente che potrà essere utilizzata dalla
stessa diplomazia italiana nel complicato avvicinamento verso l'alleanza
del fascismo con Hitler.
Dal Natale del 1936 alla Pasqua del 1937 Pio XI è molto malato e costretto
a una lunga immobilità. Il suo rapporto con la malattia sembra confermare
come decadimento fisico e infermità possano accrescere la maturità interiore
fino a suggerire grandi intuizioni spirituali: un percorso di consapevolezza
psichica del concetto di limite che precede e accompagna un'accettazione
spirituale della finitezza, della impermanenza, del mutare degli eventi e delle
sorti umane. Giustamente Giacomo Martina aveva colto come la malattia, in
riferimento a questi ultimi anni del pontefice, «fiaccando in qualche modo
la fibra del Papa e riducendone l'attività, l'induce a meditare a lungo sulle
virtù della Croce, e sulla sua forza redentrice»6• La crescente insofferenza
verso il nazismo e la sua profonda delusione nei confronti del fascismo, in
un carattere di per sé già sanguigno ed estroverso come quello di Achille
Ratti, sono stati spesso attribuiti alla malattia, all'età e al dolore fisico; cir-
coscrivendola a una vicenda largamente segnata dall'esperienza personale,
si finiva così per sminuire la sua condanna dei totalitarismi.
Il fatto che la sua ferma denuncia si fondasse su un intimo contatto con la
sofferenza aggiunge, invece, maggiore forza e profondità a quella visione
meno politica e più religiosa, a quel rifiuto della vanità delle potenze che
segna la spiritualità del pontefice negli ultimi anni della sua vita. Già alla
fine degli anni Trenta, Luigi Salvatorelli aveva scritto:
«Tutto un profondo lavorio interno dovette allora avvenire nello spirito del pontefice, egli
ripercorse con lo sguardo tutta l'opera e gli avvenimenti del suo pontificato, e nel silenzio
e nella calma dovette compiere una specie di revisione, qualche cosa di intermedio tra la
valutazione storica e l'esame di coscienza personale, con prevalenza tuttavia del secondo,
come era naturale in un credente, in un pontefice che ormai si sentiva sulla soglia del-
!'eternità>/. ,

Proprio il giorno del suo ottantesimo compleanno, il papa si accorge di


staré male, per la prima volta in vita sua awerte la stanchezza, una grande
6 G. MARTINA, L'ecclesiologia prevalente nel pontificato di Pio XI, in A. MoNTICONE (ed),
Cattolici e fascisti in Umbria ( 1922-1945), Bologna 1978, pp. 221-235.
7
L. SALVATORELLI, Pio XI e la sua eredità pontificale, Torino 1939, pp. 191-192.

285
sofferenza alle gambe. Aveva goduto sempre di ottima salute, si dice che in
tutta la sua già lunga vita avesse contratto solo una bronchite, forte come
una quercia della sua Brianza aveva forgiato questa energia nelle ardite
scalate di montagna. Quest'uomo, abituato a padroneggiare la sua forza
fisica, prova sconcerto e disorientamento; incredulo della sua fragilità, fa
i conti con il dolore nello stesso modo sanguigno e forte con cui aveva
vissuto la sua precedente esuberanza:
«All'esperienza della vita per grande che sia, manca una parte notevole se manca l'espe-
rienza del dolore, e bisogna ringraziare Dio quando ci dà qualche sofferenza ... Auguro a
ciascuno, e stamane l'ho detto anche al cardinale Pacelli, di essere felice, ma auguro anche
di trovare un angolo di vita per potere soffrire»8 .

Pacelli è presente, dunque, anche nei momenti più profondi e intimi.

2. La visita del professor Guido Manacorda

Nel corso del 1937 si stringe l'alleanza italo-tedesca e si inaspriscono i rap-


porti dei due regimi con il Vaticano. Il 1937 è infatti un anno, come
è stato scritto, di forte «rivitalizzazione» dei rapporti: con il viaggio di
Galezzzo Ciano nel giugno del 1936 si conferma la cooperazione italo-
tedesca, solennemente proclamata il 1° novembre a Milano da Mussolini,
che per la prima volta parla di un' «asse» Roma-Berlino. Nei suoi diari
Goebbels racconta, infastidito da questo continuo movimento, come nel
corso del 193 7 ricevette il maggior numero di ospiti italiani e segnala la
grande quantità di viaggi a Roma di membri della NSDAP. I nuovi docu-
menti dell'Archivio Segreto, che ci danno molte informazioni su come
anche il Vaticano sia oggetto dell'iniziativa internazionale di Berlino e di
Roma, rendono note alcune di queste visite.
Nei diari del leader nazista, si trova menzione del colloquio avvenuto nel
marzo del 1937 con il professore italiano Guido Manacorda9• Manacorda è
cattolico, docente di lingua e letteratura tedesca, collaboratore di «Critica
fascista», amico di Giuseppe Bottai che ne parla in più occasioni nel suo
diario 10 dove ne tratteggia un efficace ritratto inserendolo nell'ambiente
culturale fascista fiorentino della prima ora. Bottai riferisce un colloquio

8
C. CoNFALONIERI, Pio XI visto da vicino, Milano 1993, pp. 209-210.
9
Ibidem, p. 229.
10
Sarebbe interessante approfondire la figura di Guido Manacorda - destò clamore la
sua critica a Croce perché a suo parere non aveva una buona conoscenza del tedesco - che
ebbe un grande successo per il suo libro su Il Faust e Il Bolscevismo.

286
del 17 agosto 1940, in cui tra l'altro Manacorda esprime anche un giudizio
negativo sul papa, «fondamentalmente democratico»:
«Ricorda con orgoglio la parte avuta nel gettare punti di raccordo tra Fascismo e Nazismo.
Nel settembre del '35, egli si recava di sua iniziativa a Berlino, dove chiese e ottenne di
vedere Hitler, per presentargli il suo 'Faust' italiano. S'era ai prodromi delle sanzioni. Hitler
abbandona di colpo i convenevoli letterari e attacca la politica estera del fascismo. Che
razza di politica segue Mus~olini? Non europea, non italiana, ma addirittura 'triestina' ...
Poi alla domanda di Manacorda, protesta che mai la Germania prenderà parte alle sanzioni.
Conclude con un'esaltazione di Mussolini ... questi così accoglierà la notizia: 'Già così la
Germania rifarà la sua riserva aurea alle nostre spalle'» 11 .

Commenta, in conclusione, Bottai:


«La fase antinazista della nostra politica non è ancora chiusa. Mussolini è tuttavia l'uomo
di Stresa. E tale rimarrà, nonostante tutta la lotta sanzionista, fino al giugno del 1936 ... è
da quel mese che si va alla politica dell'Asse».

Come molti esponenti degli ambienti filofascisti, anche Manacorda teme


la rottura tra la Santa Sede e la Germania, e si adopera per un'intesa tra
Vaticano e nazionalsocialismo, di cui ha discusso a lungo con padre Gemelli
«che si trova con me pienamente concorde nel valutare la situazione attuale
in Germania». Da Firenze il 20 marzo 1937 invia un rapporto alla Segre-
teria di Stato:
«Torno dalla Germania con molte esperienze e documenti. Colloqui col Fiihrer, Goebbels,
Frank, Rosenberg, col Nunzio, coi nostri rappresentanti a Berlino e Monaco e con molti cat-
tolici di ogni grado. Risultato: il problema religioso trovasi a tal punto che senza un intervento
rapido, deciso, ogni conseguenza più grave è da ritenersi inevitabile, forse imminente».

Per questo chiede un'udienza al Santo Padre la settimana di Pasqua,


«venendo io a Roma per riferire al Capo del Governo». Il commento sembra
incredibile dati i fatti, segnato, come è da un eccesso di fiducia:
«'Aggiungo per la verità, che mai come in questo momento ho trovato gli animi disposti
a trattare e a comprendere: in primo luogo, naturalmente il Fiihrer, ma senza neppure
escludere i più fanatici ... ' e spiega il suo piano che consisterebbe in una tregua immediata
e assoluta ... detto piano è stato da me esposto al Fiihrer nelle sue linee generali e aper-
tamente approvato. È anche suo vivo desiderio che ne parli personalmente al S. Padre e a
lui soltanto, e che poi gliene riferisca personalmente subito».

Il 1° aprile Manacorda insiste per un'udienza con il Santo Padre che - stante
la situazione di chiusura degli archivi - non si hanno prove sia davvero
avvenuta, ma c'è da dubitarne assai.
Lo stesso Manacorda meno di due anni prima aveva espresso posizioni
opposte. Il 12 giugno del 193 5 monsignor Costantini trasmette un memoriale

11
G. BOTTAI, Diario 1935-1944, Milano 1996, p. 223.

287
su Guido Manacorda nel quale il professore fiorentino compie un'analisi
allarmatissima dell'ideologia nazista, più pericolosa del comunismo: «è una
religione, pagana nel suo nucleo ... che intacca tutto ... ». Queste afferma-
zioni sono apparentemente contraddittorie e si potrebbero spiegare con la
forte preoccupazione che negli ambienti cattolici fascisti si viene a creare
per una eventuale rottura tra Germania e Santa Sede.
Quelli di Manacorda, come altri, sono tentativi estremi, illusori, alcuni in
buona fede, altri chiaramente strumentali per attenuare i rischi di una rottura
tra Pio XI e il nazismo che avrebbe avuto pericolose ricadute sui rapporti
con il fascismo. In realtà lo scontro sulla Mit brennender Sorge, acutissimo
e totale, è ormai irreversibile. In tanti episodi, più o meno significativi si
awertono segni di confusione e di discrepanza tra il papa che vorrebbe
essere più netto, l'episcopato tedesco, a sua volta diviso al suo interno,
e Pacelli che, per timore di reazioni più dure, cerca vie caute. Si tratta
di distinzioni che forse non esprimono vere e proprie linee differenti ma
. denotano un senso profondo di disorientamento e di incertezza 12 •

3. Il contenuto spirituale della «Mit brennender Sorge»

La genesi, gli antefatti e le diverse stesure della Mit brennender Sorge lasciano
ancora molte questioni da chiarire. Una di esse riguarda il rapporto tra
l'enciclica e la condanna dottrinale progettata sin dal 1934 da Alois Hudal,
rettore del Collegio tedesco di Santa Maria dell'Anima, contenuta negli
archivi del Sant'Uffizio 13 • Si sarebbe trattato di una condanna di principio,
una sorta di sillabo contro un'eresia moderna, una condanna dottrinale che
probabilmente non avrebbe potuto avere lo stesso peso e la stessa efficacia
di una condanna pastorale, come una vera e propria enciclica; del resto,
Il mito del XX secolo di Rosenberg era già stato messo all'Indice nel 1933.
12
Il 5 giugno 1937 a proposito dell'«inconsulto ed anticoncordatario divieto fatto al
vescovo di Miinster di pubblicare nel foglio diocesano alcune notizie riguardanti le votazioni
a scuola» Orsenigo scrive: «Sono andato al Ministero degli Esteri e mi hanno detto che
non era loro competenza io gli ho fatto rilevare che per l'applicazione del Concordato è
di competenza il ministero. Finora non mi è venuta risposta e non so come comportarmi».
AAEESS, Germania, fase. 223, cc. 13-14. A lato a matita c'è una nota (forse di Tardini
certamente non di Pacelli) che dice «Che si risponde?» e poi «Mons. Pizzardo dice di
mettere in archivio», Germania, pos. 720, fase. 335, 19 giugno 1937.
13 I documenti sono pubblicati in P. GoDMAN, Hitler e il Vaticano. Dagli archivi segreti
vaticani la vera storia fra Nazismo e la Chiesa, Torino 2005, mentre sulla figura di Hudal,
cfr. Ph. ÙIENAUX, Pacelli; Hudal et la question du nazisme (1933-1938), in «Rivista di storia
della Chiesa in Italia», 57, 2003, 1, pp. 133-154.

288
Gli aspetti più interessanti di questa progettata condanna dottrinale restano
comunque il concetto di eresia che la sottintendeva e un più esplicito rife-
rimento alle teoria della razza.
La Mit brennender Sorge fu preceduta dal noto incontro avvenuto a
Roma il 17 gennaio del 193 7 tra il papa e i tre cardinali tedeschi Bertram
(Breslavia), Faulhaber (Monaco) e Schulte (Colonia) e due tra i vescovi
più ostili al regime, quello di Berlino, Konrad von Preysing, e quello di
Miinster, Clemens August von Galeo. Nonostante la richiesta di Bertram,
su esplicito volere di Pio XI, all'incontro non fu invitato monsignor Ber-
ning, l'arcivescovo di Osnabriick che non si era dimesso dall'incarico di
consigliere di Stato prussiano, come avrebbe voluto il Vaticano.
Bertram e soprattutto Faulhaber, al quale forse non a caso Pacelli affiderà la
stesura in tedesco, vogliono evitare lo scontro, suggerendo di limitarsi a una
lettera del papa a Hitler e ai vescovi tedeschi. E, come disse Faulhaber, «la
lettera pastorale del Santo Padre non può essere polemica. Nazionalsocia-
lismo e partito non vanno assolutamente nominati; dogmatica irenica, con
riferimento però ai rapporti tedeschi». La prima stesura manteneva questo
spirito, pastorale, volutamente generale e generico, tale che non avrebbe
mai suscitato le ire di Hitler; ma già nella seconda, raddoppiata di lun-
ghezza, il tono e il taglio erano sferzanti, accusatori e del tutto espliciti.
A Pacelli viene attribuito il rimaneggiamento più significativo, quello dal-
1' esito così risoluto che smentirebbe la sua precedente preoccupazione a
non volere toni troppo duri che avrebbero potuto mettere in crisi il Con-
,cordato.
Quanto e come ha contato la volontà del pontefice di esprimere finalmente
una posizione inequivocabilmente ferma, che uscisse cioè dalla trattativa
diplomatica estenuata tutta attestata nella difesa del Concordato per assu-
mere, invece, anche nel linguaggio i toni di una condanna biblica che poco
si preoccupava delle conseguenze politiche e diplomatiche? La prima parte
dell'enciclica incentrata sul Concordato è da attribuirsi a Pacelli, mentre al
cardinal Faulhaber spetta attuare la raccomandazione di Pio XI, cioè pre-
sentare la condanna dei totalitarismi in «una luce spirituale» esposta nella
seconda parte; ma, oltre che di Faulhaber, quanto c'è di Pacelli, quanto
del papa o di altri nella stesura definitiva?
I pregnanti richiami all'Antico Testamento fanno pensare al momento
spirituale vissuto dal papa. Ricevuto in udienza il 22 marzo, il cardinale
francese Baudrillart riferisce:
«Anche nel momento delle sue peggiori sofferenze, quando si placavano, se non poteva
dormire, si sentiva in riposo e con il cervello attivo. Allora pensava alle tre encicliche che

289
voleva scrivere. Le elaborava mentalmente, poi si faceva leggere e s'informava; a volte
dettava. E così si preparava l'opera» 14 •

Alcune osservazioni sull'uso dei testi biblici dell'enciclica sembrerebbero


confermare il suo intervento: «Colui che abita nel cielo ride di loro» (Salmo
2,4); « ... davanti alla cui grandezza le nazioni sono come piccole gocce
in un catino d'acqua» (Isaia 40,15); «lo spirito di Dio soffia dove vuole»
(Giov. 3,8); «dalle pietre può suscitare gli esecutori dei suoi disegni» (Matt.
3,9; Luca 3,8). Le citazioni vetero- e neotestamentari sono così pregnanti
e ricche, in quell'uso di Isaia nel minimizzare gli orgogli nazionali («le
nazioni sono come piccole gocce in un catino d'acqua»); vi si legge una
fierezza della fede, una passione profonda: c'è quella centralità del Cristo
che, in questo caso, non è invocato per alimentare i vari culti al servizio
della politica della Chiesa (valga per tutti il culto della regalità di Cristo,
la Quas primas dell'll dicembre del 1926, che non aveva solo un valore
religioso, ma una sua efficace traduzione politico-sociale); diversamente,
in quest'occasione Cristo è invocato contro la superbia delle nazioni quale
unico vero antidoto anti-idolatrico.
Si conferma la convinzione che in nessun caso la Chiesa poteva essere
subordinata ai valori nazionali: un'intuizione profonda, già alla base della
condanna dell' Action française, una condanna legata a quella sua precisa
idea di autonomia spirituale della Chiesa da ogni nazionalismo. L' allocu-
zione pontificia di condanna dell'Action française, del 14 dicembre 1926,
viene invece troppo spesso interpretata come semplice concessione tattica
al governo francese per la ripresa di più distesi rapporti diplomatici dopo
la tempesta della separazione all'inizio del secolo, e non, come invece fu,
un tratto essenziale della concezione di Pio Xl' 5 •
Alcuni brani celebri dell'enciclica contro il nazismo, come quello sulla
«genuina fede in Dio», dimostrano che il senso profondo, il nocciolo
dell'enciclica è tutto volto a contrastare il carattere «religioso», idolatrico
del nazismo: «Venerabili fratelli, abbiate un occhio particolarmente vigile,
quando nozioni religiose vengono svuotate del loro contenuto genuino e
applicate a significati profani»; «sangue ... razza ... tali false monete non
meritino di passare nel tesoro linguistico di un fedele cristiano»; o quando
i nazisti sono chiamati «distruttori dell'occidente cristiano»; o ancora:

14
Les Carnets du cardinal Al/red Baudrillart (20 novembre 1935 - 11 aprile 1939), Paris,
p. 437.
15
P. SCOPPOLA, La storiografia italiana sul pontificato di Pio XI, in Achille Rattt; Pape Pie
XI», Atti del convegno, Roma 15-18 marzo 1989, Roma 1996, pp. 181-193.

290
«quelle leggi che sopprimono o rendono difficile la professione e la pratica
di questa fede sono in contrasto con il diritto naturale».
La preoccupazione diventa bruciante verso i giovani, l'educazione nazista
dei fanciulli, che già all'inizio degli anni Trenta destò il vero allarme della
Chiesa. È proprio sull'educazione dei giovani, del resto, che si possono
riscontrare i soli appelli ripetuti e realmente indignati fin dal 1933-1934. Ci
sono notizie del nunzio Orsenigo sulle derive panteiste del rapporto della
gioventù hitleriana con la natura: nudità nei boschi, esibizione dei corpi,
promiscuità di tutti i tipi venivano denunciate e accomunate ali' educazione
comunista della gioventù, temendo addirittura il contagio e la reciproca
imitazione. Un altro tema interessante è quello della domenica: «Con una
indifferenza che confina con il disprezzo, si toglie al giorno del Signore il suo
carattere sacro e raccolto che corrisponde alla migliore tradizione tedesca».
La domenica quale unico spazio di esistenza possibile verrà poi ripresa da
Pio XII nella sua riforma liturgica come possibile rifugio nei tempi bui
del nazismo e della guerra. Quindi la Mit brennender Sorge, sembrerebbe
molto più appassionata e spiritualmente più ispirata dell'altra enciclica,
la Divini redemptoris contro il comunismo, dai toni apparentemente più
duri - essendo il comunismo senza possibilità di appello e riscatto, quello
sì «un male assoluto» - ma che, nella sostanza, resta comunque un'enciclica
più cerebrale, più dottrinale, meno appassionata e vibrante.
L'ambasciatore tedesco von Bergen il 12 aprile invia a Pacelli una durissima
nota di protesta contro l'enciclica per denunciare lo scardinamento del
Concordato e l'irriconoscenza dimostrata dalla Chiesa verso il nazionalso-
cialismo che l'avrebbe salvata dal bolscevismo. La risposta di Pacelli del 30
aprile, una nota lunga molte pagine, è un concentrato di argomentazioni
diplomatiche sofisticate, dal tono e dallo stile diametralmente opposto a
quello di papa Ratti: una divisione dei compiti o una vera distinzione tra
maggiore risolutezza e perdurante arrendevolezza?
Lo scontro tra Santa Sede e Germania, sembra volere suggerire Pacelli a
ogni passaggio, è circoscritto a una rottura momentanea, non è che una
«malattia», la quale non ha altro scopo che quello di una rapida, radicale
e sicura guarigione. In base ai destinatari poi non si può dedurre che lo
scopo sia politico e, quindi, l'accusa che sia un «tentativo di mobilitare il
mondo contro la Germania è ingiustificato»:
«Chiara è l'intenzione religiosa, lontana da ogni tendenza politica ... La Santa Sede non
misconosce la grande importanza che spetta alla formazione di fronti politici di difesa,
intrinsecamente sani e vitali contro il pericolo del bolscevismo ateo ... non ha mai tralasciato
nessuna occasione di consolidare e di perfezionare il fronte di difesa spirituale contro il
bolscevismo ... ma ciò non può costituire un lasciapassare per la tolleranza, nulla è più

291
infondato della falsa idea che la difesa del bolscevismo possa essere fondata solo sulla forza
esteriore e non spirituale ... la dignità e la doverosa imparzialità , .. richiedono però al
Santo Padre che, nel condannare il sistema di follia e di sconvolgimento del bolscevismo,
egli non chiuda gli occhi davanti a errori simili che cominciano ad annidarsi e a prendere
il dominio in altre correnti politiche e ideologiche».
Sul Concordato Pacelli denuncia le ripetute violazioni tedesche e parla
di una pazienza instancabile della Santa Sede «che da molti fu ritenuta
eccessiva» di approfittare di ogni minimo spiraglio di mediazione.
Il fatto che, soprattutto in Pio XI, antibolscevismo e antinazismo vengano
sempre più associati nella condanna, segna un cambiamento sul piano
teologico-pastorale, prima ancora che politico-diplomatico: la priorità non
è più tanto fare fronte comune contro il bolscevismo.
Si avverte crescere nel pontefice la percezione di un diverso rapporto tra
politica e religione, una sorta di urgenza anti-idolatrica che deve avere la
meglio, che deve essere prioritaria su ogni altro tipo di considerazione
e di opportunità politica, fosse pure quella, tutt'altro che secondaria, di
difendersi dal bolscevismo. Per questo, ai suoi occhi, i meriti del nazional-
socialismo in questa direzione non rappresentano più in nessun modo una
giustificazione. Pertanto l'insistenza che è ·al centro dell'altra importante
occasione di condanna, quella dell'allocuzione del Natale 193 7, e cioè
che il Vaticano non volesse muovere un attacco politico ma religioso, non
deve suonare come una diminutio, ma diventa, all'opposto, nello spirito
del papa, un rafforzamento della condanna. Mentre lo spirito della lunga
risposta di Pacelli a Bergen in difesa dell'enciclica mette l'accento sul suo
carattere tutto religioso, assolutamente impolitico, pensando in questo
modo di edulcorare e relativizzare la condanna.

4. La campagna internazionale in sostegno del!' enciclica


La risposta del segretario di Stato, in buona sostanza, dà ancora credito
al fatto che esistano componenti ragionevoli nel governo tedesco, e nella
sostanza smentisce che lo spirito della Mit brennender Sorge sia veramente
di scontro frontale. Ed invece lo scontro frontale c'era stato nelle modalità
di divulgazione prima ancora che nei contenuti. La riservatezza totale con
l'effetto sorpresa, la capillarità della diffusione (non un solo sacerdote si
rifiutò di leggere il testo nell'omelia), lo straordinario effetto che ebbe sulla
stampa internazionale, tutto concorse ad aumentare le reazioni furibonde
del regime nazista. La preparazione del lancio ha l'andamento e il ritmo
incalzante di una vera e propria operazione clandestina. La direttiva della

292
Segreteria di Stato del 1O marzo chiede agli ordinari «di portare detta
Enciclica a conoscenza dei fedeli il più possibile contemporaneamente e
fare giungere i pacchi per via sicura e nella maggiore possibile sollecitu•
dine».
La Mit brennender Sorge, che nelle intenzioni di Pacelli e Faulhaber avrebbe
dovuto essere una lettera pastorale del papa a Hitler da rendere nota
soltanto ai vescovi tedeschi, diventa allora l'occasione per una campagna
internazionale in piena regola contro il nazismo. Le cautele iniziali vengono
completamente capovolte e intorno all'enciclica si ricerca una solidarietà
internazionale che, dopo la sua pubblicazione, non smette più fino alla morte
del pontefice. Una vera e propria campagna mondiale che non trascura nulla
e che mantiene quei caratteri di sorpresa, aggressività, capillarità, rapidità
e internazionalizzazione che avevano avuto il contenuto e il lancio stesso
della Mit brennender Sorge; un'aggressione che supera l'atteggiamento
fino ad allora prevalentemente difensivo della Chiesa cattolica rispetto
al nazismo. Una campagna di propaganda diretta da un Pacelli per nulla
reticente o indeciso, che invia una perentoria circolare ai nunzi e agli altri
rappresentanti pontifici perché controllino che l'enciclica venga diramata,
diffusa, letta. Il 15-16 maggio invia questo dispaccio:
«Attesa sempre più aspra persecuzione contro Chiesa in Germania, è volere del Santo
Padre che Rappresentanti pontifici tengano contegno assai riservato verso agenti diplomatici
tedeschi e si astengano dall'invitarli e accettare loro inviti a pranzi o ricevimenti».

Il 24 aprile 193 7 Amleto Cicognani, nunzio in Austria, riferisce che Glaise


Horstenau, ministro degli Interni austriaco, ha incontrato un Hitler furioso
dopo l'enciclica. Il ministro aveva obiettato come tanta ostilità verso la
Santa Sede avrebbe finito per compromettere anche i buoni rapporti tra
Germania e Austria:
«A tali osservazioni Hitler scattò e assunse nel gesto e nella voce un tono di violenza estrema,
inveendo contro l'Enciclica e facendo a tale riguardo il nome di Kaas, qualificandolo traditore
della Germania. 'Io non metterò in carcere i vescovi, ma affogherò nella ignominia e nella
vergogna la chiesa cattolica, aprirò ignoti archivi dei monasteri e farò uscire il sudiciume
che in essi si trova'» 16 •

16
Nella minuta di risposta Pacelli difende Kaas «che a differenza di quello che pensa
Hitler non è all'origine dell'enciclica» (AAEESS, Germania, pos. 720, c. 329). A proposito
di questa conversazione il nunzio, in un altro rapporto del 4 maggio, riporta il commento di
Kurt von Schuschnigg (uomo politico austriaco che nel 1934 succedette a Dollfuss. Ostile
a Hitler, viene arrestato dopo l'Anschlufl del 1938, ndr) «che conosce molto bene Hitler.
Secondo lui, l'odio e il rancore del cancelliere tedesco hanno preso una forma di esaltazione,
specialmente dopo la pubblicazione della sapientissima Enciclica. Anche secondo Schmidt,
Hitler è un pazzo ... quanto a Kaas, Hitler ... pensa sia un traditore non perché lo ritenga

293
Dall'America Latina giungono segnali contrastanti. In Brasile si moltiplicano,
dall'aprile al giugno, le manifestazioni di solidarietà, favorite dal padre
francescano Sinzig, ma anche in seguito a molte insistenze del nunzio in
Brasile, il 9 giugno la Segreteria di Stato comunica «essere inopportuna
la pubblicazione della protesta su 'L'Osservatore Romano'». Il 29 giugno,
in Argentina, il collegio dei parroci di Buenos Aires invia un indirizzo di
simpatia al cardinale di Breslavia. Il 22 agosto il delegato apostolico degli
Stati Uniti accenna all'idea dell'episcopato americano di pronunciarsi,
anche se è ancora solo una vaga idea perché potrebbe essere inopportuno
e prematuro. Solo il 26 settembre si sciolgono le riserve, purché - è questo
un richiamo costante ai vescovi americani - nell'eventuale,messaggio non
vi siano attacchi personali. Dall'Inghilterra il 9 settembre il cardinale di
Westminster chiede il gradimento per un indirizzo di solidarietà al Santo
Padre e la Segreteria di Stato ne chiede la pubblicazione a stampa. Lo
stesso vale per la Francia. In Italia, il patriarca di Venezia prega Pizzarda
di interessarsi del recapito della simpatia dell'episcopato triveneto all'epi-
scopato tedesco. Il coinvolgimento riguarda soprattutto i paesi latini, anche
se la sollecitazione alla mobilitazione si rivolge a tutti i paesi e ci offre
degli squarci su realtà in trasformazione. È il caso del Giappone, da dove
giungono molti efficaci rapporti del nunzio circa le crescenti simpatie del
mondo politico nipponico verso il regime di Hitler 17 •
In questa campagna di sensibilizzazione e solidarietà internazionale il papa
mette in guardia dalla doppiezza e falsità che i tedeschi possono dimostrare
all'estero. Il 6 agosto Pacelli scrive:
«mentre in Germania le autorità non mostrano alcun ritegno nel colpire persone e cose
ecclesiastiche, sembra che all'estero gli agenti diplomatici del III Reich si mostrino riguardosi
verso la chiesa ... i dignitari della chiesa non si lascino illudere se in qualche luogo quelli
che rappresentano la Germania abbondino verso di loro in gentilezze ... occorrono speciali

autore della enciclica ma perchè immagina, nei suoi furori, che stia lavorando contro la
Germania. Ad ogni modo, tutti hanno saputo giudicare il valore delle parole del cancelliere
Hitler». AAEESS, Germania, pos. 720, fase. 329.
17
Il delegato apostolico in Giappone il 15 ottobre scrive: «I nostri fedeli, Eminenza,
pochissimi e nella grande maggioranza ignoranti, non hanno neanche una lontana idea né
si preoccupano quindi della posizione e delle sorti della Chiesa all'estero ... i non cristiani
ne traggono volentieri argomenti contro la Chiesa stessa, quasi fosse un elemento straniero
e disintegrante nella vita delle nazioni ... dobbiamo quindi essere prudenti al sommo nella
stampa, quando ci si riferisce a questioni religiose di altri popoli prima che il cristianesimo
abbia fatto buona presa nelle masse giapponesi ... » e si sofferma poi «sulla triste parentela
ideologica con il nostro gruppo di estremisti di destra, giapponesi al 100 per 100 che se
potessero impadronirsi del potere, finirebbero per aprire la strada a ogni intolleranza nel
campo politico e ideologico».

294
doveri di vigilanza e di azione ed è necessario che i medesimi mantengano un dignitoso
riserbo verso gli agenti del III Reich».

Le ritorsioni sono molto pesanti e se ne rintracciano diversificati esempi:


tipografie chiuse, perquisizioni degli archivi diocesani, minacce ai singoli.
Il 19 giugno 1937 a proposito dell'esproprio senza indennizzo di stamperie
vescovili, tra le varie richieste di aiuto il Santo Padre decide di prowedere
prelevando denaro dall'obolo di San Pietro 18 • Un ampio dossier dal titolo «Le
Perquisizioni in Curie vescovili e istituti religiosi» testimonia del sequestro
di documenti degli archivi diocesani - per fare emergere «il sudiciume che
in esso vi è contenuto» - e in molti casi vengono attuati come a Treviri,
Dresda, Frauenburg, Colonia.
Il caso più clamoroso per il prestigio e l'autorevolezza della sede è il caso
di Colonia. Il 10 giugno 1937 la polizia segreta, dietro ordine di Berlino,
invade i locali della curia vescovile di Colonia, li perquisisce e ne asporta
numerosi documenti 19 • «L'Osservatore Romano» del 22 giugno ne dà ampio
resoconto. Il nunzio Orsenigo riferisce che:
«tra il materiale trovansi molte suppliche 'firmate e motivate' per ottenere il permesso di
leggere i libri all'indice, specialmente il libro di Alfredo Rosenberg Il mito del XX secolo che
molti sono obbligati a leggere. Le suppliche furono in massima parte redatte da umili impie-
gati di Stato e contengono anche qualche apprezzamento politico. Ora queste persone sono
molto eccitate e si lamentano che la Curia Arcivescovile abbia consentito simili scritti».

Il vescovo di Berlino Konrad Preysing, e Adolf Bertram, arcivescovo di


Breslavia hanno proceduto a bruciare gli atti concernenti i processi di
carattere delicato contro i sacerdoti.
«'Io, scrive Orsenigo, interrogato ho risposto che è una questione che ogni ordinario deve
risolvere per proprio conto, tenendo calcolo della gravità del materiale d'archivio'. A fianco,
con la inconfondibile calligrafia di Pacelli si legge 'Il S. Padre ha giudicato un po' debole la
risposta ... desidera che si risponda che brucino senz'altro (sottolineato) tutto quelle che
può dare luogo a inconvenienti' ... 'Ella è pienamente autorizzata ad elevare protesta, in
questo, come in tutti gli altri casi, presenti e futuri'».

Si possono riscontrare anche altri casi, minori ma significativi, in cui emer-


gono con chiarezza atteggiamenti diversi, episodi che suggeriscono ancora
una diversa sensibilità tra il papa e Pacelli. Il 24 settembre 1937 l'uditore
della nunziatura Carlo Colli denuncia la sospensione del periodico missio-
nario «Weltmission»:

18
Si tratta di rimborsare una somma per il signor Giirtler che deve provvedere al man-
tenimento della moglie e di due figli al quale è stata chiusa la tipografia a Bamberga dopo
la pubblicazione della Mit brennender Sorge. AAEESS, Germania, pos. 720, fase. 333.
19
AAEESS, Germania, pos. 720, fase. 328.

295
«inaudita è la motivazione, il fatto è dolorosissimo, qui però Giuseppe van der Velden,
vicepresidente dell'Opera pontificia della propaganda della fede non ha dato ancora pub-
blicità forse per non incorrere in altri provvedimenti ben più gravi, che potrebbero andare
anche fino al divieto di raccogliere offerte per le missioni cattoliche».

In una minuta del 29 settembre con una calligrafia che potrebbe essere di
Tardini si legge:
«n Santo Padre penserebbe che si dovrebbe rispondere: pubblichino anche la motivazione.
Se poi ne viene danno alla raccolta delle offerte, il Santo Padre è disposto a provvedere
del suo. Che si fa?».

In una minuta del 2 ottobre con la sua inconfondibile calligrafia Pacelli


risponde:
«Dal momento che si fanno tentativi per ottenere il ritiro del divieto, sembrami subordina-
tamente che occorrerebbe attendere il risultato di simili pratiche. Del resto la cosa era nota
e la motivazione è meno 'inaudita' di quello che è apparsa all'ottimo monsignor Colli, non
essendo altro che la teoria della razza, tante volte e in tante pubblicazioni già esposta. È
questa la ideologia del nazionalsocialismo, purtroppo tanto esaltata in questi giorni! Non
penso quindi che la pubblicazione di quella motivazione farebbe molta impressione in
Germania. Il danno potrebbe essere maggiore del vantaggio sperato. Si potrà invece vedere
se la pubblicazione sia possibile per l'estero»20 .

Oltre all'ironica e insofferente constatazione circa l'acutezza dell'uditore


della nunziatura, che già altre volte non aveva brillato per intuizione, l' os-
servazione è indicativa del metodo e del modo di procedere di Pacelli.
Tra il maggio e il giugno del 193 7 il regime attua molte delle minacce
annunciate e consuma vendette, meno a caldo di quelle messe in pratica
subito dopo la pubblicazione dell'enciclica quando impose la chiusura
delle tipografie che ne avevano stampato il testo. Nei due mesi successivi si
strutturano vere e proprie forme persecutorie: tra quelle più temute e sub-
dole, la minaccia di creare scandalo· sull'immoralità del clero e di perquisire
gli archivi ecclesiastici per trovarne le prove. Il 27 maggio, il vescovo di
Berlino denuncia proprio il carattere strumentale, gli scopi di propaganda
antireligiosa dei processi di immoralità contro il clero e denuncia le falsità 21 •
Il 28 maggio Goebbels motiva questo tipo di accertamenti: i processi per
immoralità che riguarderebbero un enorme numero di membri del clero
non farebbero che testimoniare una generale decadenza del clero:
«una grave minaccia per la salute fisica e spirituale della gioventù tedesca, che necessita
assolutamente di un risanamento ... del resto la pubblicità data a simili processi non è lotta
alla Chiesa ma è determinata dalla necessità di smentire la calunnia secondo la quale molti

20
AAEESS, Germania, pos. 720, fase. 335.
21
AAEESS, Germania, pos. 720, fase. 327.

296
sacerdoti sarebbero trattenuti in carcere per motivi religiosi. La pubblicità è data perché
la Chiesa ha cercato di sottrarre i suoi membri colpevoli alla giustizia tedesca, quando non
ne ha fatto addirittura dei martiri»22 •

5. «Spiritualmente siamo tutti semiti»


«Tutte le volte che leggo le parole 'Il sacrificio di nostro padre Abramo', non posso fare
a meno di commuovermi profondamente. È impossibile per i cristiani prendere parte
all'antisemitismo. Noi riconosciamo che ognuno ha il diritto all'autodifesa e che può intra-
prendere le azioni necessarie per salvaguardare gli interessi legittimi. Ma l'antisemitismo è
inammissibile. Spiritualmente siamo tutti semiti».

Questa, come altre affermazioni espresse dal pontefice nel corso del 1938,
offre un esempio assai evidente della natura religiosa e non razziale della
condanna che la Chiesa muove all'antisemitismo nazista. L'argomentazione
che è alla base dell'opposizione della Chiesa alle persecuzioni antiebraiche,
così come la sua 'ostilità' verso gli ebrei, rimandano, in entrambi i casi, alla
radice (anti)giudaica più che a quella (anti)semita, anche se è sempre assai
stretto il nesso tra antigiudaismo e antisemitismo, come dimostrano molte
delle ricerche condotte negli ultimi anni.
In questo caso, l'insistenza sulla comune origine semitica, l'affermare che
«spiritualmente siamo tutti semiti», rafforza e non attenua - anche in
questo caso - la pesantezza della condanna. Certo in quella osservazione
sulla «salvaguardia degli interessi legittimi» sembra affacciarsi, di nuovo,
una giustificazione alla volontà di arginare la presenza ebraica percepita
come storicamente minacciosa.
Un discorso diverso si dovrebbe fare, invece, a proposito dell'atteggiamento
assunto dal Vaticano circa le leggi razziali che vengono promulgate dal
regime fascista in quei mesi, di cui però non c'è traccia nel fondo archivi-
stico qui preso in esame, essendo ancora chiusa la posizione che riguarda
i rapporti con l'Italia. In quel caso, comunque la natura della condanna è

22
Il 5 giugno il nunzio a Vienna riferisce sui discorsi pronunciati in occasione della festa di
San Bonifacio del consigliere di Stato Steinwender, del ministro dell'Istruzione, del cardinale
Innitzer. 10 e 17 giugno polemiche con il cardinale Innitzer. Il 9 giugno polemiche sulla
stampa: «è dovere dei cattolici austriaci di partecipare alla lotta dei fratelli di fede tedeschi.
Le relazioni tra il clero e il popolo in Austria sono ottime, AAEESS, Germania, pos. 720,
fase. 328. Il 1° giugno i giornali cattolici austriaci denunceranno il discorso di Goebbels,
Germania, pos. 720, fase. 327. Il 17 giugno 'Sarebbe utile che i religiosi sapessero che la
trasgressione della legge germanica sulle divise ha condotto alla persecuzione nei Conventi
ed alla scoperta degli archivi segreti, su cui si basa Goebbels. Pertanto bisognerebbe evitare
le segnalazioni del discorso di Goebbels offendano i religiosi stessi'».

297
di tipo più giuridico e diplomatico che non spirituale e religioso, ridotta
come è alla sola denuncia della trasgressione concordataria circa i matri-
moni misti. Eppure sarà invece di tipo squisitamente religioso lo spirito
che muoverà tanti cattolici, ordini religiosi e monasteri sostenuti da Pio
XII verso la protezione degli ebrei italiani. Di tutti questi aiuti - anch'essi
al centro di nuove ricerche - l'aspetto che colpisce di più è proprio la
concreta esperienza vissuta che vince sulle differenze religiose. Tanti e
coinvolgenti sono gli esempi di un comune sentire religioso che cementa e
si rivela molto utile in diverse occasioni nella concreta difesa dalle irruzioni
naziste nei monasteri.
Non si può poi non accennare all'altra non meno celebre definizione della
svastica come «croce nemica della croce di Cristo», coniata da Pio XI che
non vi volle più rinunciare, nonostante si trattasse dell'emblema di uno
Stato con cui la Santa Sede manteneva comunque rapporti diplomatici:
«tristi cose avvengono, molto tristi cose, e da lontano e da vicino. È tra le tristi cose questa:
che non si trova troppo fuori posto e fuor di tempo l'inalberare a Roma, il giorno della
Santa Croce, l'insegna di un'altra croce che non è la croce di Cristo».

Per il pontefice, «der alte Herr», come lo chiamano sprezzantemente gli


uomini di Hitler, il nazismo è anticristiano come il bolscevismo; del resto
aveva detto che ne aveva ormai gli stessi metodi e gli stessi contenuti, e
nelle angosce del suo ultimo anno di vita sembra che ne abbia addirittura
preso il posto. L'equiparazione suonava scandalosa e irriconoscente verso
quanto il nazionalsocialismo aveva fatto contro il bolscevismo, conside-
rato fino a quel momento 'comunque' come il vero e principale pericolo.
L'atteggiamento sempre più duro del papa contro Hitler gli attira l'accusa
di rompere il fronte antibolscevico; per le frange oltranziste si tratterebbe
addirittura di complicità con il nemico23 • Sarà questo il cavallo di battaglia
della «cultura politica» che ispirerà la lotta alla Chiesa tedesca dopo la Mit
brennender Sorge.
Nella lettera all'episcopato tedesco riunito a Fulda il 1° agosto del 1938,
lo spirito è quello di chi non crede più che tiepide azioni compromissorie
possano indurre a scelte più concilianti di fronte alla spirale in cui sta pre-
cipitando la situazione tedesca. La rottura con il nazismo ormai consumata
nella prima metà del 193 7 diventa totale e inarrestabile dopo i primi mesi
del 1938, fino a coinvolgere gli stessi rapporti con il fascismo soprattutto
quando la denuncia tocca i temi della razza e dell'antisemitismo.

23
Il rapporto del 13 febbraio 1938: Contro la calunnia, diffusa in Germania di una colla-
borazione segreta Vaticano-Mosca, AAEESS, Germania, pos. 720, fase. 330.

298
6. Sul caso del cardinale George Mundelein
Sull'arcivescovo di Chicago, George Mundelein, che aveva sferrato un
duro attacco a Hitler, esiste un ampio dossier negli Archivi vaticani. Questi
documenti confermano l'incondizionato appoggio del papa, che già lo
aveva elogiato su «L'Osservatore Romano» del 19-20 luglio. Di fronte alle
reazioni indignate di parte tedesca anche Pacelli non sconfessa le parole del
vescovo americano, pur usando toni cauti e moderati. Quello del cardinale
Mundelein è un episodio assai noto 24 , emblematico del clima di rottura e
insieme della volontà di non interrompere i rapporti, della fermezza del papa
e della diplomazia di Pacelli, una vicenda campione che registra il tasso di
cedimento e di legittima cautela, prova secondo alcuni della fermezza di
Pacelli ed esempio secondo altri delle sue discrepanze con Pio XI.
In un discorso del 18 maggio, il cardinale di Chicago aveva espresso con
efficacia e chiarezza tutte americane giudizi che mai avevano conosciuto
tanta crudezza nel linguaggio curiale:
«Forse vi domanderete come avvenga che una nazione di persone intelligenti si rannicchi
per paura e in schiavitù di fronte ad uno straniero, a un imbianchino austriaco e per giunta
inetto, e a un paio di manutengoli, come Goebbels e Gi:iring che condizionano ogni passo
della vita di un popolo».

La gestione del caso è sostanzialmente nelle mani di Pacelli; la sua sarà una
risposta molto diplomatica ma ferma:
«La Santa Sede non può essa stessa correggere o deplorare il discorso dell'Em.mo Mundelein.
Sarebbe un atto di debolezza che non farebbe che rendere ancora più superbi i capi del
nazionalsocialismo e lo stesso Hitler, che nella sua autoillusione crede che tutto il mondo
debba subito inchinarsi dinanzi a lui. Certamente la parte del discorso del cardinale Mun-
delein riguardante le parole contro il capo dello Stato germanico sono state poco felici».

In conclusione Pacelli, che con l'ambasciatore Berger avrebbe pronunciato


parole concilianti, di grande simpatia per il popolo tedesco, si dimostrerà
però fermissimo nel non smentire il cardinale americano, anche se in più
occasioni allude alla inopportunità di uno stile tanto disinvolto, certamente
così lontano dal suo.
Da quel momento la Santa Sede si raccomanda che tutte le iniziative di
solidarietà alla Chiesa tedesca non contengano attacchi personali, non si
esprimano in un linguaggio ingiurioso. In diverse occasioni il consueto stile
dignitoso e gentile, mai troppo diretto e scientemente non aggressivo sarà

24
La vicenda e i documenti furono ricostruiti già nel 1965 da A. MARTIN!, Pio XII e
Hitler, in «Civiltà cattolica», I, 1965, p. 345 e da G. Mrccou, I dilemmi e i silenzi di Pio
XII. Vaticano, Seconda guerra mondiale e Shoah, Milano 2000, nota 125 a p. 450.

299
vantato come lo stile più adeguato. Lo stile del cardinale non è condivisibile, ·
ma le ragioni ci sono tutte, e Pacelli mostra di condividere i giudizi del
porporato americano, «negli ultimi due anni questi oltraggi solo possono
paragonarsi con quelli del bolscevismo», anche se ritiene inopportuno aver
reso pubblico il suo intervento25 •
Con l'affare Mundelein «si raggiunge una fase acutissima di vera e propria
lotta contro la Chiesa», come scrive il 21 giugno l'ambasciatore d'Italia conte
Pignatti Morano di Custoza, che parla di una «sospensione di relazioni
normali» fra la Germania e il Vaticano:
«È inoltre certo che ogni ulteriore reazione da parte del clero tedesco porterebbe oltre
che alla completa rottura, anche alla lotta aperta nelle strade e nelle piazze, senza che
il Vaticano possa fare assegnamento su eventuali reazioni estere, di nessun peso in
Germania, o sull'elemento fliovane delle stesse famiglie cattoliche, travolto anch'esso dal-
1' ondata nazionalsocialista» 6.
In un rapporto di qualche giorno dopo, l' ambasciator~ d'Italia presso la
Santa Sede riferisce da fonti confidenziali che le preoccupazioni sono mag-
giori da parte cattolica, mentre i circoli governativi ostentano sicurezze:
«Sempre da fonte confidenziale si riferisce che Hitler ha affermato la necessità di evitare le
lotte confessionali e la sua intenzione di non permettere mai la divisione del popolo tedesco
in due partiti religiosi diversi»27 .

Il 22 agosto 193 7 Cicognani da Washington parla dell' «idea di un pro-


nunciamento di questo episcopato ... ma finora è una semplice vaga idea
che potrebbe essere inopportuna ... s'intende che è nella mente di tutti
non volere peggiorare la situazione, ma se certi che qualche passo potesse
servire lo si potrebbe compiere ... ». La risposta della Segreteria di Stato
del 26 settembre 193 7 conferma il bisogno che la forma, il riguardo, tutto
sia inappuntabile per non prestare il fianco a reazioni più dure, come se
fosse ancora possibile salvare qualcosa. E così si conclude:
«una simile manifestazione sarebbe molto opportuna purché nell'eventuale messaggio non
vi siano attacchi personali, i quali - sebbene possano essere giustificati - non avrebbero
probabilmente altro effetto che nuocere alla causa»28 .

25
AAEESS, Germania, pos. 720, fase. 326.
26
AAEESS, Germania, pos. 720, fase. 329.
27
AAEESS, Germania, pos. 720, fase. 329.
28
AAEESS, Germania, pos. 720, fase. 326.

300
7. La visita di Mussolini a Hitler
Nella primavera del 1937 aumentano anche i segnali di preoccupazione
degli ambienti cattolici vicini al fascismo, come si vede dall'atteggiamento
ormai sfiduciato persino di un padre Tacchi-Venturi, sempre pronto a
·cogliere anche i più piccoli segnali di intesa:
«il gesuita è stato piuttosto riservato - scrive l'informatore - ma a dire dei suoi due amici
sembra si sia mostrato molto preoccupato oltre che per i rapporti con la Germania e per
gli avvenimenti spagnoli, soprattutto per le condizioni economiche nostre che ha definito
preoccupanti ... Il Tacchi si sarebbe dichiarato molto diffidente circa i rapporti con la
Germania giudicando il capo di quella nazione come persona 'obliqua' e 'senza scrupoli' ...
il Tacchi è molto scoraggiato mentre un tempo vedeva le cose sotto ben altro aspetto»29 .
Nel settembre del 1937, il papa esprime tutta la sua insofferenza per la
visita di Mussolini a Hitler. I diari di Cianò e di Bottai ne danno ampie
testimonianze. Così come si trovano riscontri nella nuova documentazione
relativa al 3 settembre 1937:
«Da un colloquio col P. Tomasetti venuto per la questione di Nazareth. È andato al Senato
e i senatori Federzoni, Montresor e Balbino Giuliano ed altri gli dissero che avevano saputo
che il Santo Padre è fuori di sé quando parla della Germania ed ora anche dell'Italia che
si è accostata alla Germania e di Mussolini per il suo viaggio in Germania. Di tutto ciò
è colpa la Francia che ha buttato l'Italia in braccio alla Germania. L'Italia era disposta a
cedere in molte cose, per es. circa Tunisi. Ora la Francia eccita alla guerra e Mussolini va
in Germania per dare la sensazione che le due nazioni sono unite, ed evitare così la guerra,
impaurendo la Francia.
P. Tomasetti ha cercato mediante Donna Rachele [cancellatò e corretto con Edvige] di
indurre Mussolini a dare alla Germania consigli di moderazione ed ora Mussolini va con
l'intenzione di portare beneficio alla situazione. P. Tomasetti ha cercato di calmare i Senatori
dicendo che con opportune spiegazioni si potrà verificare qualche miglioramento»30 .

Il 14 settembre 1937 l'ambasciatore Pignatti scrive che:


«è stato il P. Tomasetti (che lo aveva saputo dal Card. La Puma) a chiacchierare sulla indi-
sposizione del Santo padre per l'andata in Germania dell'on. Mussolini. Ma dopo tutto
il bene fatto dall'on. Mussolini è ingiusta questa indisposizione. L'andata è per evitare la
guerra non per provocarla».

Intorno al congresso di Norimberga del settembre 193 7, che rilanciò le


tesi di Rosenberg come «religione ufficiale» dello Stato nazionalsocialista,
si crea un'altra occasione di scontro. Questa volta la denuncia parte da un
importante articolo di Pacelli intitolato Dopo il Congresso di Norimberga

29
AAEESS, Germania, pos. 720, fase. 326.
30 AAEESS, Germania, pos. 720, fase. 326.

301
pubblicato il 15 settembre su «L'Osservatore Romano». Tradotto in tutte
le lingue e spedito ai nunzi perché lo diffondano attraverso la stampa dei
vari paesi è questa un'altra occasione di campagna mondiale. Al proposito
si può leggere un'osservazione dello stesso Pacelli sul compiacimento del
papa per il suo articolo che, disse, «meritava dieci e lode» 31 • Il congresso di
Norimberga, si legge nell'editoriale di Pacelli, «ha dimostrato il processo di
penetrazione del nuovo paganesimo di 'marca nordica'», un'ideologia che
diventa la base di formazione degli insegnanti, permeando così la scuola e
non soltanto il partito e i dipendenti dello Stato. La conclusione è duris-
sima: sembra vano ogni sforzo di pacificazione32 • Ritornano qui i temi delle
prime critiche che all'inizio degli anni Trenta erano tutte concentrate sulle
tesi di Rosenberg e sulla preoccupazione dell'influenza che esercitavano
sulle nuove generazioni.
Da parte del papa, i segnali di rottura si fanno sempre più incalzanti e netti.
Gli scambi di auguri delle varie scadenze diplomatiche, inviti, ricevimenti
vari, seguiranno un andamento che da molto caloroso si raffredda sempre
di più. Il nunzio è ripreso in più occasioni per essere troppo elogiativo.
Se, ad esempio, si confronta il messaggio di auguri di fine anno con quelli
precedenti, saltano agli occhi il maggiore spazio dedicato ai temi della pace
e lo stile più sobrio degli auguri personali al cancelliere. Il 31 dicembre
193 7, a proposito della consueta cena che la nunziatura era solita dare
nell'anniversario dell'incoronazione del sommo pontefice, invitando le
autorità governative e il cancelliere, Roma chiarisce al ·nunzio che «il
S. Padre preferisce che in vista della triste situazione attuale vostra Eminenza
si astenga dal dare il pranzo»33 •

31
«Questo mio progetto di articolo per 'L'Osservatore Romano' è stato da me letto,
nella consueta udienza di stamane, integralmente al Santo Padre, il quale si è degnato di
approvarlo pienamente dicendomi scherzosamente che dava 'dieci e lode' e ha ordinato
che si pubblicasse oggi stesso in prima pagina, con caratteri grandi». 14 settembre 1937,
AAEESS, Germania, pos. 720, fase. 332.
32
Nonostante le critiche delle autorità ecclesiastiche «ciò non impedisce che la propa-
ganda ufficiale e la imposizione della ideologia del Rosenberg prendesse sempre maggiori
proporzioni, che essa divenisse il fondamento di tutti i corsi per maestri dipendenti dallo
Stato e dal partito, che facesse il suo ingresso nelle scuole dello Stato che 'Il mito del XX
secolo' fosse murato dentro la prima pietra del grande edificio di Norimberga e che, in tal
guisa con fatti così evidenti si venissero a svuotare le dichiarazioni e le assicurazioni del
governo del Reich»; AAEESS, Germania, pos. 720, fase. 323.
33
AAEESS, Germania, pos. 604, fase. 115.

302
8. Il 1938, il Vaticano e l'alleanza italo-tedesca

Nel marzo del 193 8 Hitler annette l'Austria dietro assicurazione che
l'Alto Adige sarebbe sempre rimasto all'Italia. Per tutto il 193 7, e almeno
fino al marzo del 1938, le alleanze non sono ancora tutte compiute. Del
tortuoso cammino dei rapporti tra Hitler e Mussolini e dei tentennamenti
che si susseguirono per tutto il 1938, ampiamente ricostruito da Renzo De
Felice34 , l'evento più dirompente fu naturalmente l'Anschlufs, per le preoc-
cupazioni sui confini del Brennero. L'aprile del 1938 è dunque cruciale: la
disponibilità di Mussolini sull'Anschlufl non cancellava il suo scontento e
spingeva la Germania a prevenire e bloccare una sua possibile 'fuga' verso
Londra e Parigi. La data in cui Ernst von Weizsacker colloca la decisione
di Hitler di concludere un trattato di alleanza con Mussolini, il 2 aprile
1938, è significativa35 •
Dopo la «notte dei cristalli», Mussolini avrebbe detto a Ciano che se ai
cattolici tedeschi fosse successo qualcosa di simile, l'asse non avrebbe potuto
tenere. E, difatti, per tutto l'anno, dall'Anschlufl alla conferenza di Monaco,
anche la questione religiosa diventa lo strumento per sondare, depistare, in
sostanza per accelerare l'intesa da parte tedesca e per rallentarla da parte
italiana. E così si mescolano finte dichiarazioni di buona volontà e reali
minacce. Difficile trovare un bandolo unitario; dalla Germania sembrano
farsi avanti segnali di distensione del tutto inconsistenti che, vedremo,
saranno subito seguiti da attacchi durissimi. Persino gli uomini più vicini
a Hitler lanciano segni di distensione, per quanto assai poco credibili. Il
19 marzo il conte Magistrati, incaricato d' Affari italiano a Berlino, riferisce
sul colloquio avuto col maresciallo Goring:
«Goring riconosce l'importanza del problema religioso, specialmente in questo momento.
Anche Hitler intenderebbe la pacificazione religiosa; 'egli guarda avanti e non indietro',
perciò sarebbe propenso di concedere una grande amnistia generale. Per il Vaticano si
avvicina il momento della 'grande e definitiva chance' di ottenere un accordo con il Reich;
ma perciò dovre_bbe, quanto all"AnschluB', mostrarsi contento e far stare contenti anche i
cattolici austriaci. Goring loda il secondo 'appello' del cardinale Innitzer. Il Maresciallo fa
presente che da mesi i processi contro i religiosi, per ordine di Hitler, sono sospesi; anche
nell'avvenire non si intenderebbe di fare delle ostilità. Goring esclude la possibilità di
una visita di Hitler al Papa. Ricorda però con una certa simpatia l'udienza concessagli dal

34
R. DE FELICE, Mussolini il duce, par. «Dall'asse al 'patto d'acciaio', un cammino di timori
ed incertezze», Torino 1981, p. 466.
35
Ibidem, p. 478. De Felice sintetizza in tre ragioni le resistenze di parte italiana. Innan-
zitutto l'impopolarità dell'asse dopo l'Anschlu/s, la contrarietà a una alleanza militare dei
vertici dell'esercito e del sovrano e ultima e più importante di tutte le preoccupazioni circa,
appunto, l'Alto Adige.

303
S. Padre nel 1933, ma che ebbe l'impressione che il Papa non facesse grande differenza tra
nazionalsocialismo e comunismo»36 .

Pacelli, nonostante le palesi strumentalizzazioni di queste aperture, a nessuno


più che a lui ben evidenti, non rinuncia ancora una volta a una estenuata
trattativa diplomatica e ripropone indefesso le basi di un'eventuale trattativa
sui seguenti punti: sull'educazione della gioventù e la libertà del ministero
pastorale, sulla difesa dell'Azione Cattolica e la cessazione della campagna
anticattolica, infine, sulla risposta alle molte note della Santa Sede sulle
violazioni del Concordato, rimaste sinora inevase37 • Le diverse aspettative
della curia circa la possibilità che Mussolini possa influire e indurre a più
miti consigli il Fiihrer crollano intorno alla venuta di Hitler a Roma e sono
largamente affidate ancora una volta a Tacchi-Venturi, sul cui ruolo, che
comincia a incrinarsi proprio in quel periodo, vi sono documenti interes-
santi38. Quando verrà eletto Pacelli, «Mussolini ne è contento, si ripromette
di fargli pervenire alcuni consigli circa quanto dovrà fare per governare
utilmente la chiesa. Non intende però servirsi di Tacchi-Venturi che giudica
ormai 'smonetizzato'»39 • Vediamo alcuni di questi tentativi, come quello
che si può ricavare dall'udienza dell'8 gennaio 1938 dove si legge:
«Scrivere a P. Tacchi-Venturi per incarico del Santo Padre. 'Ma il Santo Padre non sa
mettere d'accordo ciò che dice la stampa che dipende dal Duce, particolarmente ciò che
scrive il 'Messaggero' e il Santo Padre le sarà particolarmente riconoscente se farà sapere
ciò quanto prima al Duce. E fare venire l'ambasciatore (il Santo Padre avrebbe voluto
chiamarlo egli stesso). Il Papa parla così, come tutti sanno; il capo del Governo ha voluto
vedere P. Tacchi-Venturi per dirgli ogni buona cosa all'indirizzo del santo padre e poi veda
quello che ha pubblicato tutta la stampa. Dica a nome del santo padre che il Santo Padre
è penosamente sorpreso di vedersi trattato a quel modo da una stampa che si dice fascista
e che notoriamente prende il la dall'alto. Il Santo Padre si domanda se siamo seri o no.
Se questo principio ha tale significato, il Santo Padre proibisce di farlo. Alle contumelie
siamo disposti, al ridicolo no'».

Un resoconto farraginoso, anche se chiaro nella sostanza. Non si capisce il


significato della frase «se questo principio ha tale significato il Santo Padre
proibisce di farlo». Quale principio e poi cosa proibisce di farlo? Il testo
della lettera che Pacelli scrive a Tacchi 1'8 gennaio del 1938 (ma inviata
due giorni dopo, il 10 gennaio) perché venga letta a Mussolini traduce
come sempre in un tono più pacato questo messaggio senza tradirne il
contenuto:
36 AAEESS, Germania, pos. 720.
37 AAEESS, Germania, pos. 720.
38
AAEESS, Germania, pos. 720, fase. 329, cfr. l'udienza del 10 aprile 1938.
39 G. CIANO, Diario, Milano 1946, p. 48.

304
• «Sua Santità ha provato oggi assai penosa impressione nel leggere quanto, a proposito
della venuta a Roma del Cancelliere del Reich germanico, hanno pubblicato i giornali,
quale il 'Messaggero' di stamane, che si dicono fascisti, né vede come le anzidette ampie
espressioni del Signor Mussolini si possano mettere d'accordo con atteggiamento di una
stampa notoriamente ispirata dall'alto»40 •

I desiderata del papa vengono tradotti nella lettera con moltissime cor-
rezioni di Pacelli. La copia della lettera di Pacelli viene accompagnata da
una missiva al duce nella quale il gesuita ammorbidisce ancor di più le
posizioni vaticane:
«Il Santo Padre mi affidò ieri sera l'onorato incarico di parteciparle che La ringrazia per
le assicurazioni per mio mezzo fattegli pervenire, circa l'Azione cattolica, vale a dire che le
cose rimangono nel pacifico stato in cui si trovano. Sua Santità è tornata a ripetere che se
qualcosa dispiaccia, non tanto nell'Azione cattolica, quanto in questo o quello dei laici che
vi appartengono, per mio o per altrui mezzo voglia renderlo consapevole»41 .

Il gesuita tenterà di enfatizzare i possibili passi di Mussolini verso quella


che con ogni evidenza è ormai una rottura irreparabile tra la Santa Sede e
la Germania. Il 17 marzo scrive a Mussolini:
«Il Santo Padre fu contentissimo di apprendere come V.E. farà il possibile perché la perse-
cuzione religiosa cessi in Germania e non venga iniziata in Austria; ma Ella già n'è informata
dalla lettera del segretario di Stato che io stesso Le inviai ieri sera»42 .

40
Le molte correzioni di Pacelli sono quelle che riporto tra parentesi: «Ho il piacere di
partecipare alla P.V. Rev.ma che il santo Padre Si è vivamente compiaciuto per le molte
belle e buone cose dalla P.V. riferitegli nell'Udienza di ieri [la lettera anche se inviata il 10 è
datata 1'8 il giorno dopo l'udienza, n.d.r.] a nome e per incarico di S.E. il capo del Governo
nell'udienza che le fu concessa ieri. Sennonché Sua Santità ha provato oggi assai [aggiunto]
penosa impressione nel leggere quanto a proposito della venuta a Roma di Hitler [sostituito
con] del cancelliere del Reich germanico hanno pubblicato i giornali quali il 'Messaggero' di
stamane [aggiunto] che si dicono notoriamente [cancellato] fascisti ne vede come si possano
mettere d'accordo le anzidette ampie espressioni del Sig. Mussolini [sostituito a Duce] tale
atteggiamento della stampa, notoriamente [qui è cancellato: che può ben ritenersi] ispirata
dall'alto. L'Augusto Pontefice sarà pertanto grato alla P.V. se, nell'esprimere al capo del
governo [qui è cancellato S.E.] il [qui è cancellato sovrano ringraziamento] compiacimento
per le [qui è cancellato ben gradite] dichiarazioni suaccennate, vorrà pure fargli conoscere
la pena del Santo Padre per un simile atteggiamento della stampa [qui è cancellato: nella
delicata situazione attuale] specialmente dopo quanto lo stesso santo Padre ebbe a dire
nel discorso di Natale a proposito della persecuzione che la Chiesa subisce in Germania.
Nel comunicarLe quanto sopra in omaggio all'Augusto ordine [cancellato: desiderio] della
stessa santità Sua, profitto volentieri dell'incontro per riaffermarmi con sensi di distinto
ossequio».
41 Sugli interventi di Tacchi-Venturi in questi mesi del 1938 le osservazioni di A. RiccARDI,
Roma, «città sacra». Dalla Conciliazione alt' operazione Sturzo, Milano 1979, pp. 177 -186.
42 A. RiccARDI, Roma, «città sacra», cit.

305
Come è noto, anche se poco ricordato, il papa avrebbe accettato comunque
di ricevere il Fiihrer se noh avesse ricevuto l'offesa della non richiesta da
parte di Hitler, come testimoniano i ripetuti scambi tra Segreteria di Stato
e l'ambasciata italiana43 :
«Stamane, - riferisce Ciano il 19 aprile ali' ambasciata di Berlino - parlando con il Segretario
di Stato, ho riportato il discorso sul!' eventuale visita del Fiihrer al Papa. Il porporato si
è mantenuto riservato. Egli però si è detto convinto che il Signor Fiihrer non farà mai la
pubblica dichiarazione pretesa dal Pontefice. Ho osservato che se il Signor Fiihrer dimo-
strasse il serio proposito di fare visita al Santo Padre, forse il Pontefice s'indurrebbe, alla
fine, a dare prova di spirito conciliante. Il Cardinale Pacelli mi ha dato l'impressione di
condividere il mio parere»44 •

9. La scomunica a Hitler

In questo contesto ci si imbatte in un documento sorprendente, in cui


Mussolini si rivolge a Pio XI perché scomunichi Hitler:
«Il capo del governo (Mussolini) ha detto a P. Tacchi Venturi in privato colloquio (gio-
vedì 7 aprile 1938) che con Hitler converrebbe essere più energici, senza mezze misure; non
subito, immediatamente, ma aspettando il momento più opportuno, per adottare queste
misure più energiche, per esempio la scomunica; che convenga guardarsi dal credere che
il fenomeno hitleriano fosse passeggero, poiché quest'uomo aveva ottenuto per la
Germania grandi successi. Non vi sarebbe altro mezzo di impedirlo che la guerra, e la guerra
non si vuole fare. Questo passo più energico della Santa Sede avrebbe il consenso di
persone, che non possono piacere, egli ben lo capisce, alla Santa Sede, ma ciò non toglie
il bisogno»45 .

Come interpretare questo documento clamoroso ma avulso da un conte-


sto che lo possa giustificare in modo significativo? Si stanno preparando
i festeggiamenti per l'arrivo di Hitler. Il papa è indignatissimo. I rapporti
del fascismo con il Vaticano sono pessimi. Le leggi razziali in Italia sono
imminenti.
Potrebbe essere un maldestro tentativo di accattivarsi le simpatie del papa
in rotta totale con Hitler. O un avvertimento per scaricarsi da una respon-
sabilità assoluta: come a dire, vi ho avvertiti, anche voi in quanto Chiesa
cattolica avete strumenti per tenerci lontani dall'abisso in cui stiamo tutti
precipitando.

43
G. Mrccou, I dilemmi e i silenzi di Pio XII, cit., nota 129 a p. 450.
44
Archivio storico del Ministero degli Affari Esteri italiani (d'ora in poi ASDMEI), Affari
politici (1931-1945), Germania, b. 49 (1938), fase. 2 «Viaggio di Hitler in Italia».
45
AAEESS, Germania, pos. 720, fase. 329, udienza del 10 aprile 1938.

306
Forzando la lettura, si potrebbe scorgere la volontà di utilizzare la Santa
Sede in una strategia che ancora non vuole chiudere altre possibili intese,
soprattutto nel quadro degli accordi di Pasqua fatti da Dino Grandi: «Le
persone che non possono piacere» a cui allude sono, con ogni probabilità,
ebrei e massoni.
Anche se è difficile individuare i caratteri di un vero e proprio disegno
politico alternativo, in contraddizione con l'intero contesto. Quello che è
certo è che devono avere pesato gli avvenimenti dell'aprile, soprattutto la
grande irritazione e preoccupazione di Mussolini per la questione dell'Alto
Adige.
Potrebbe, così, trattarsi di uno sfogo verbale gratuito - come in tante altre
occasioni, per Mussolini - minacce senza ricadute politiche reali. Comunque,
una spia significativa della tradizionale doppiezza del duce così marcata
nell'aprile 1938.
Sia pur tra i molti stop and go, nella sostanza siamo, infatti, in pieno
accordo italo-tedesco: è questo che rende così clamorosa e, al contempo,
incredibile, la richiesta di una scomunica. Anche se di ipotesi più che di
richiesta vera e propria si tratta, visto che la minaccia è preceduta da un
'esempio', molto significativo.
I termini della questione, a ogni modo, restano gravissimi: si parla di
una scomunica personale e non dei principi della filosofia del nazismo,
già condannati dalla Chiesa come era successo con le tesi di Alfred
Rosenberg il cui libro, Il mito del XX secolo era stato messo all'indice e
sul cui processo esiste ampia documentazione negli Archivi della Congre-
gazione per la dottrina della fede.
Tutta la memorialistica ci restituisce un rapporto tra Hitler e Mussolini assai
diffidente sul piano psicologico e culturale, fatto di continue scaramucce
e dispetti, che alternano senso di superiorità e di inferiorità46 • Ma qui non
siamo di fronte a uno dei soliti stereotipi: il gesuita Tacchi-Venturi non è
faceto come il duce e si è sempre dimostrato più che affidabile.
Il rilievo del documento - quand'anche andasse inquadrato nell'aneddotica
del regime - richiede comunque ulteriori e accurati approfondimenti. E
46 Il 10 luglio del 1938 Bottai scrive: «Quand'ho riferito a Mussolini del mio recente viaggio
in Germania ho notato la sua insofferenza a qualsiasi riserva critica da parte dell'Osservatore
delle cose tedesche. Lo diverte l'osservazione sulla mancanza di puntualità nei tedeschi,
sul disordine delle loro cerimonie ... ma quando accennò al disappunto provato dinnanzi
a certo misticismo della terra e del sangue ... Mussolini sembra reagire in un moto di
appassionata difesa»; G. BOTTAI, Diario 1935-1944, cit., p. 123.

307
questo, fra l'altro, ci riporta al problema degli archivi. Il fatto che non ci
siano o che non sia possibile trovare a tutt'oggi, altri riscontri significativi
di una richiesta clamorosa come questa, ostacola un ragionamento storico
pienamente fondato. L'udienza papale del 7 aprile 1938 non può non
avere una eco nella documentazione della Segreteria di Stato, quella oggi
inaccessibile anche se coeva ai fondi relativi alla Germania consultati in
questo caso.
Un rapporto del nunzio in Italia Borgoncini Duca su un suo colloquio av-
venuto con Ciano il 30 aprile getta qualche luce su alcuni di questi inter-
rogativi:
«Il Ministro Ciano non mi ha espresso il suo pensiero, però ho avuto l'impressione che
egli pure non sia entusiasta della politica tedesca e deplori vivamente la persecuzione della
Chiesa. Avendomi poi domandato quali erano state le impressioni avute in Vaticano per le
dichiarazioni di Goring al Conte Magistrati, gli ho risposto che tali dichiarazioni non ave-
vano potuto fare alcuna impressione, perché subito smentite dall'atteggiamento del Capo.
Egli mi ha soggiunto che Goring è più conciliante di Hitler, il quale difficilmente cambia
rotta: però come sua opinione personale, egli, Conte Ciano, approvava l'atteggiamento di
moderazione della Chiesa che non aveva adottato estreme sanzioni (scomunica, rottura dei
rapporti diplomatici e simili) 47 •

D'altra parte tra gli uomini di Mussolini il ricorso a misure estreme contro
Hitler, come la scomunica, era oggetto di discussione, anche se poco fondato
e probabilmente limitato a deterrente e diversivo. Certo è che la questione
religiosa e l'ormai incontenibile intransigenza del pontefice diventano, per
alcuni gerarchi, quasi un disperato tentativo per arginare l'alleato tedesco.
La parte più imbarazzante spetta a Ciano, che non può deteriorare i suoi
rapporti né con la Germania né con la Santa Sede:
«Queste parole egli mi diceva forse perché io gli manifestassi qualche cosa in merito, ma
io gli ho risposto che la Santa Sede non ha voluto essere Lei a 1:ecidere l'ultimo filo, e non
ho aggiunto altro. Mi è parso di intravedere nelle parole del Conte Ciano - scrive in un
rapporto del 30 aprile Borgoncini Duca, nunzio in Italia - un qualche raffreddamento del-
l'Onorevole Mussolini verso la Germania e forse anche che 'non' disapproverebbe quelle
sanzioni estreme»48 .

Come si è già detto non si hanno, allo stato attuale delle fonti, riscontri
davvero significativi di questo «raffreddamento» di Mussolini, mentre sono
tanti e consueti i segni di imbarazzo di Ciano:
«Mi ha detto - riferisce sempre Borgoncini Duca il 15 giugno - che egli ha cercato sempre
di fare il possibile per assecondare le richieste della Santa Sede e di avere dispiacere di

47 AAEESS, Germania, pos. 720, fase. 329.


48
AAEESS, Germania, pos. 720, fase. 329.

308
non essere riuscito in un punto solo: quello di mettere pace tra la Germania e la Chiesa ...
Ha quindi seguitato 'Una linea di intesa ci deve essere ed io sarei lieto di potere prestare i
miei servizi. La Chiesa cattolica perde terreno tutti i giorni in Germania ... e ha continuato
per domandarsi se non era il caso, di fronte a tante rovine, di recedere un poco ... dalla
linea di intransigenza assoluta. D'altra parte il Governo italiano si trova, per non rimanere
isolato, nella necessità imprescindibile di seguire la politica dell'asse Roma-Berlino ... '
Ho aggiunto: 'praticamente che cosa crede V.E. si dovrebbe fare? Ella sa che non si può
trattare con persone intrattabili e che non hanno alcuna coscienza ... ' E pure credo - mi
ha detto - che tratterebbero. 'Ad ogni modo io non saprei che cosa di pratico suggerire;
ma solamente sentivo il desiderio di esprimere confidenzialmente il mio stato d'animo ed
offrire la mia qualsiasi opera'»49 .

È un continuo barcamenarsi di: «si potrebbe fare ma non si fa». Il 2 luglio il


nunzio Borgoncini Duca viene ricevuto da Bottai, per esprimere le ennesime
rimostranze circa un uso troppo disinvolto «dei costumi ginnastici delle
alunne delle scuole». È questa una preoccupazione ricorrente del ponte-
fice, all'apparenza di poca importanza se paragonata alle questioni della
grande politica, ma l'uso troppo esibito del corpo, specie se femminile, è
disapprovato già all'inizio del regime nazista e al centro di documenti e
testimonianze assai interessanti. Nell'incontro tra Bottai e il nunzio, il
ministro della Educazione Nazionale così commenta un suo recente viaggio
a Colonia:
«'Ieri sera l'ho riferito al Duce: non si immagina quello che sono capaci di fare se si pensa
che il Ministro della Istruzione (se ho capito bene Rust) ha fatto un discorso di un'ora e
mezza per annunciare che bisogna finirla con la religione portata da Gesù che era un bastardo
(riporto la bestemmia sacrilega, tale e quale) senza preoccuparsi che parlava alla presenza
del Ministro della Educazione Nazionale di un paese cattolico. Egli ha esposto un minuto
programma di scristianizzazione. Ho assistito a riti in onore dell'acqua, del fuoco, della
terra che, mentre le bestemmie a noi italiani fanno aggrinzare le carni, questi riti, invece
ci fanno ridere, però penso al grandissimo male che tutto ciò arreca alla gioventù. Non so
dove si arriverà di questo passo. Basta. ha concluso. Speriamo in Dio!' Gli ho detto che
questo è l'identico sistema dei bolscevichi ... Mi ha domandato se il Santo Padre era
addolorato».

Il colloquio si conclude in un modo grottesco, con battute in romanesco


sui costumi ginnici che in Italia vanno «sempre più peggio». Il fatto che
temi tanto importanti (vi è in nuce la concezione della religione pagana
contrapposta alle radici semite del cristianesimo, l'educazione dei giovani
ecc.) finiscano «in un bel sollazzo romanesco», al di là del carattere minore
dell'episodio, rappresenta una sconcertante testimonianza di come espo-
nenti non del tutto secondari della scena politico-ecclesiale utilizzino la
«questione religiosa» in un momento tanto tragico.

49
AAEESS, Germania, pos. 720, fase. 329.

309
Un altro patetico tentativo di prendere le distanze da Hitler in mate-
ria religiosa si trova nel commento critico di Farinacci al congresso di
Norimberga del settembre del 1938, dove veniva contestato l'attacco di papa
Ratti al Manifesto dell'Italia sulla razza in nome della non infallibilità del
papa «in cose terrene e scientifiche»: così come si è sbagliata con Galileo,
la Chiesa si sta sbagliando sulla teoria della razza. Persino il buon Orsenigo,
normalmente propenso ad accettare le versioni ufficiali, a compiacersi di
ogni possibile intesa, insinua dei dubbi sulla fondatezza delle critiche di
Farinacci e sulla sua reale lealtà allo spirito di Norimberga50 • Infatti in una
lettera del 22 settembre si acclude una intervista di Farinacci alla rivista «Das
Schwarze Korps» del tutto contraddittoria con le precedenti critiche.

10. I.:ultimo colloquio di Pio XI con Tommaso Gallarati Scotti


«Fui ricevuto per l'ultima volta in udienza privata da papa Pio XI il venerdì 3 febbraio 1939,
posso dire alla vigilia della sua morte ... Il 28 luglio 1938 il papa, nel cuore della polemica
contro le dottrine del nazismo e del fascismo, aveva con coraggio affrontato le dittature,
imperanti nella Germania di Hitler e nell'Italia di Mussolini, indicando l'insanabile dissidio
tra Chiesa cattolica che vuole dire 'universale', 'e il razzismo e il nazionalsocialismo, che
'erano quasi barriere elevate tra uomini e uomini, gente e gente, popoli e popoli'. In quel
grave momento poi lo aveva particolarmente ferito la visita trionfale di Hitler a Roma, per
.cui nel giorno della Santa Croce era stata inalberata 'l'insegna di un'altra croce, che non
è la Croce di Cristo'»51 .
Una settimana prima della sua morte, Pio XI aveva avuto un intenso col-
loquio con il suo allievo di un tempo Tommaso Gallatati Scotti, che ne
rivelerà ampiamente il contenuto in un articolo sul «Corriere della Sera»
del 19 giugno 1957.
Sono interessanti anche le circostanze del colloquio52 , per il clima che riflet-
tono, per le testimonianze di spirito religioso e democratico delle persone
coinvolte, come quella di un amico di Gallatati Scotti, Angelo Crespi,
un personaggio poco noto ma dall'itinerario spirituale e politico quanto
mai intenso, testimone di un'inquietudine cattolica che matura a contatto

50
AAEESS, Germania, pos. 720, fase. 330.
51
T. GALLARATI Scorrr, Ultimo colloquio con Pio XI, in Interpretazioni e memorie, Milano
1960, p. 31. Su questo incontro cfr. il saggio di N. RAroNr, La denuncia dei totalitarismi,
in Pio XI e il suo tempo, in «I Quaderni della Brianza», 23, maggio-giugno 2000, pp. 115-
123.
52
N. RAPONI, La denuncia dei totalitarismi, in Pio XI e il suo tempo, Atti del convegno
febbraio 2000 (Quaderni della Brianza), pp. 115-123.

310
con il dramma della Chiesa nei totalitarismi e condivide il bisogno di una
maggiore interiorizzazione della fede degli ambienti modernisti di Milano
e l'esigenza di una riforma della Chiesa. I cattolici antifascisti e modernisti
avevano sperato molto in queste posizioni intransigenti dell'ultimo scorcio
del pontificato. Tra gli esuli antifascisti di Parigi e Londra, insieme a Luigi
Sturzo, Crespi seguiva con trepidazione i pronunciamenti di Pio XI, come
la frase del salmo 67: «Dissipa gentes guae bella volunt», che il papa aveva
pronunciato nell'imminenza della guerra d'Etiopia53.
Dalle molte lettere di Crespi (prive purtroppo delle risposte di Gallarati
Scotti) si intravede una sorta di approdo neoguelfo che è da chiedersi
quanto fosse influenzato dalle ultime posizioni del papa:
«Egli aveva attinto dalle conversazioni con Sturzo una specie di visione storica neoguelfa e
in questa visione collocava le possibili 'strade del futuro' d'una storia d'Europa, la possibilità
di una conciliazione tra democrazia e cristianesimo»54 .

La testimonianza di Gallarati Scotti sul colloquio con il papa pochi giorni


prima della sua morte s'incentra sulla miseria delle nazioni, sul destino
della grande Germania con un commento struggente:
«Ma cosa era rimasto dell'Europa squassata dalla grande guerra franco-prussiana del '70,
si domandava fissandomi. Frantumati gli imperi ... che pure avevano avuto ore di splen-
dore e di fasto: Napoleone III, les Tuileries in fiamme ... e la Germania vincitrice allora?
si chiedeva il papa severamente. A uno a uno passavano come in paurosa danza dei morti
imperatori e re, principi e generali. Alla superbia dei vincitori non perdonava: Guglielmo
I, Bismarck, Moltke ... ma dopo cinquant'anni che cosa rimaneva dell'opera loro? Lungo
silenzio. Poi il papa riprese: e anche il 'Cancelliere di ferro', anche Moltke furon messi da

53
Venuto a conoscenza dell'incontro avvenuto con Pio XI il 3 febbraio 1939, il 23 feb-
braio il Crespi scriveva da Londra una lunga lettera a Gallarati in cui rifletteva amaramente
sulle sorti dell'Europa «Mia cognata mi scrive di te e della tua ultima conversazione con il
defunto Pontefice ... Io ti sarei grato se mi saprai dire qualcosa di quella conversazione»
e in riferimento .alle ultime posizioni del pontefice aggiunge: «Come nel giro di brevi anni
la storia si è incaricata di mostrare che gli errori (di intolleranza e di persecuzione) della
chiesa sono pressoché macchie di sole, nei confronti degli Stati senza Dio». Purtroppo non
ci sono pervenute le lettere di risposta di Gallarati che ne avrebbe scritto di ritorno da una
sua missione diplomatica alla corte di San Giacomo come ambasciatore di Londra (dal 1947
al 1951). Crespi muore nel 1949, prima di poter dare alle stampe il libro in cui narrava il
suo percorso interiore, A. CRESPI, Dall'io a Dio, che pubblicherà l'editore Guanda di Parma
nel 1950 con una prefazione di Gallarati Scotti che ne riassumeva l'inquieto percorso tra
i totalitarismi moderni: «Sempre più egli si sentiva cittadino e combattente della civiltà
occidentale cristiana, concepita nella sua forma più alta: non cittadella chiusa a difesa di
interessi capitalistici, ma quasi nuova Tebe dalle cento porte,, aperte a tutti i popoli della
terra, sull'avvenire del mondo T. GALLARATI ScoTII, dalla Prefazione al volume di A. CRESPI,
Dall'io a Dio, cit., p. 13.
54 N. RAPONI, La denuncia dei totalitarismi, cit. p. 121.

311
parte come vecchi inutili arnesi. E da chi? Dal giovane imperatore - Guglielmo II - gonfio
di sé, persuaso di avere una missione divina ... 'E ora cosa fa Guglielmo' si domandava
il papa. 'Passa il suo tempo a spaccar legna nella foresta di Doorn'. Mi pareva, nelle dure
parole, di sentire i colpi stessi della scure nel tronco abbattuto di un albero. Ascoltavo
quasi impaurito la meditazione di un papa, che rivedeva il destino dei superbi nella luce
crepuscolare delle sue ultime ore»55 .

11. I.: episcopato tedesco

Anche l'episcopato tedesco non è un corpo compatto, e nella seconda metà


degli anni Trenta non è sempre capace di indicazioni unitarie. Esprime una
complessità e una varietà di posizioni che rivelano un profondo tormento
delle coscienze, una vera angoscia. Del resto le fonti documentarie tedesche
capillari ed esaustive danno conto di una continua incertezza oltre che di
differenti posizioni. Dalle fonti tedesche dunque emergono bene le dina-
miche interne all'episcopato: Konrad von Preysing, vescovo di Berlino fin
dal 193 7 aveva chiesto al cardinale Adolf Bertram un cambiamento radicale
della linea. Non più la trattativa segreta e diplomatica con le gerarchie
naziste ma una dura denuncia pubblica in nome del fatto che ciò che più
temeva il regime fosse proprio la reazione e il consenso delle masse.
Comincia a delinearsi nettamente un differente giudizio rispetto alla mag-
gioranza dell'episcopato: von Preysing e suo cugino von Galen non condi-
videvano l'idea che nel nazismo si potesse ancora operare una distinzione
tra elementi fanatici e minoritari da isolare. Anche se pure tra loro sono
presenti distinzioni come testimonia la diffidenza del vescovo di Berlino
verso le posizioni molto tradizionaliste e antiparlamentari di von Galen.
Comunque si fa sempre più netta la posizione di chi pensa non sia suf-
ficiente la sola mediazione diplomatica, la trattativa estenuante e segreta
per cominciare a costituirsi, invece, come punto di riferimento di quella
indignazione e mobilitazione popolare tanto temuta dal regime. I risultati
ottenuti dalla Mit brennender Sorge erano incoraggianti in questo senso,
nonostante le persecuzioni che ne erano seguite e i due vescovi avrebbero
voluto che proseguisse la campagna costruita anche a livello internazionale
intorno all'enciclica.
Von Galen nell'aprile del 1937 cercò di indurre l'episcopato alla stesura
di una lettera pastorale in continuità con l'enciclica. In due memoriali egli
chiedeva il rispetto dei diritti naturali della persona e la libertà di coscienza
nei confronti dell'autorità statale. La lettera pastorale non vide la luce e
55
T. GALLARATI SCOTTI, Ultimo colloquio con Pio XI, cit., p. 31.

312
anzi Bertram lamentò che il vescovo di Miinster non avesse tatto politico e '
che anzi, da nobile conservatore quale era, pensasse di comandare gli altri
vescovi come i suoi contadini della Westfalia.
A proposito del famoso incontro a Roma nel dicembre del 1936 è noto
che Bertram, aveva espresso la sua contrarietà a Pacelli per la mancata
convocazione del vescovo di Osnabriick, monsignor Wilhelm Berning, non
voluto da Pio XI dopo che non si era voluto dimettere dal suo incarico di
consigliere di Stato prussiano. In quella occasione lamenta invece la scelta
di von Galen che a suo parere «è parlatore e combattente valoroso e spicca
in pubblico di più. Ma per il nostro lavoro non è questo l'aspetto decisivo,
per quanto io possa stimare il suo coraggio autenticamente westfalico».
Le posizioni sono molto divergenti. Del resto nell'incontro con il neo-
eletto Pio XII, nel marzo del 1939 Faulhaber aveva ancora sostenuto che
di fronte ai tanti attacchi alla Chiesa, «noi vescovi dobbiamo agire come
se non vedessimo».
Ma torniamo indietro a un altro incontro, quello di von Galen con Pio XI
nel gennaio del 1937 quando ebbe a dirgli, a proposito del nazismo: «Noi
abbiamo a che fare con un avversario che non conosce verità e fedeltà. Ciò
che essi chiamano Dio non è il nostro Dio: è qualcosa di diabolico». Questa
affermazione contiene il nocciolo, la radice teologica della enciclica di Pio
XI contro il nazismo, la Mit brennender Sorge dove si allude al «sacrile-
gio» e al «provocante neopaganesimo usato da personalità influenti». Un
riferimento certo ai nazisti. Però il papa pensava anche a figure autorevoli
del cattolicesimo tedesco e a chi le avrebbe potute sostenere nella curia
di Roma, a quanti, cioè, dentro la Chiesa non combattevano abbastanza i
totalitarismi.
È interessante tentare un confronto tra l'intransigenza di von Galen e
quella antitotalitaria di Pio XI, espressa con vigore negli ultimi anni della
sua vita. In papa Ratti come si è visto, è la natura totalitaria della Chiesa
la radice della sua opposizione a qualunque altro totalitarismo che entri in
conflitto con essa. Una concorrenza profonda non solo politico-istituzionale
ma che riguarda la conquista delle anime quando i totalitarismi diventano
religioni civili.
Per von Galen sembrano prevalere maggiormente le argomentazioni teo-
logiche che si fondano direttamente sul diritto naturale e sul primato della
coscienza. Nonostante il suo tradizionalismo non è la difesa della Chiesa
e della comunità cattolica a spronare la denuncia, ma la difesa del diritto
di tutti e della persona.

313
12. Una reciproca rassicurazione: l'epistolario tra von Galene Pio XII

La corrispondenza tra von Galen e Pio XII, una corrispondenza che va dal
1940 al 1946, comprende un totale di dodici lettere tre delle quali fino ad
ora inedite e conservate in originale nell'Archivio della postulazione della
causa di beatificazione e canonizzazione di Pio XII 56 • In una di queste let-
tere inedite, datata 25 gennaio 1943, è interessante il riferimento al diritto
naturale difeso da Pio XII nel radiomessaggio del 24 dicembre del 1942.
«Le sono grati - scriveva von Galen - insieme a tutti i figli fedeli della santa Chiesa, anche
non pochi che si trovano fuori dalla Chiesa. Pochi giorni orsono, solo per fare un esem-
pio, è venuto da me un avvocato non cattolico, sino ad allora a me sconosciuto, con il
solo intento di dirmi come egli, insieme a molti suoi colleghi, sia riconoscente alla Chiesa
cattolica perché essa afferma senza tentennamenti la sacralità e l'intangibilità di un diritto
che sussiste indipendentemente dal potere. Sviluppando il suo pensiero, egli si dichiarava
persuaso che il positivismo giuridico finora sostenuto da molti giuristi tedeschi, alla luce
delle sue conseguenze ormai evidenti, oggi si rivela insostenibile, dovendosi perciò tornare
al riconoscimento di un diritto naturale voluto da Dio. Seguono poi le parole testuali del
radiomessaggio natalizio che in verità si riferisce alla 'fragilità e inconsistenza di ogni ordi-
namento puramente umano'».

Il riferimento di Pio XII è a ogni ordinamento puramente umano e non


specificatamente, come invece per von Galen, all'ordinamento tedesco
nazista.
Nella risposta del 24 febbraio 1943, però, Pio XII appoggia incondizio-
natamente l'operato di von Galen fino a riconoscere nelle sue due lettere
pastorali del 1942 l'ispirazione del suo radiomessaggio natalizio. Il papa
scrive che gli ultimi due appelli del vescovo «incontrano la nostra piena
approvazione, poiché con tanto coraggio difendono i diritti della Chiesa,
della famiglia e di ogni singola persona»:
«Raramente nella moderna storia della chiesa, forse mai come oggi, si è manifestata in modo
così tangibile l'unità di destino tra la dignità umana, la famiglia e la chiesa. È per noi una
consolazione ogni volta che veniamo a conoscenza di una parola chiara e coraggiosa da parte
di singolo vescovo tedesco o dell'episcopato. Una riflessione lungimirante vi persuaderà del
fatto che con i vostri interventi risoluti e coraggiosi a favore della verità e del diritto e contro
l'asprezza e l'ingiustizia voi non recate danno alla reputazione del vostro popolo ali' estero,
ma gli siete in realtà di giovamento, anche se altri, fosse solo per un istante, misconoscendo
in modo deplorevole lo stato dei fatti, vi accusassero del contrario. Tu, venerabile fratello,
sei tra l'altro l'ultimo al quale noi abbiamo espressamente bisogno di accennare questo. Le

56
Le tre lettere inedite che qui commentiamo sono pubblicate in S. FALASCA, Un vescovo
contro Hitler, Roma 2006, che riporta in appendice l'epistolario tra Clemens August von
Galen e Pio XII. Mentre per la loro contestualizzazione indispensabile G. Miccou, I
dilemmi e i silenzi di Pio XII, cit., il capitolo: «Lacerazioni e dilemmi l'episcopato tedesco
e la guerra», pp. 169-201.

314
due lettere pastorali che hai voluto inviarci hanno, per così dire, preparato il terreno da
voi al nostro Messaggio natalizio del 24 dicembre 1942».

Ma, sempre in questa lettera, il richiamo al diritto naturale è appunto


generale, attento a non legarlo a una posizione storica determinata:
«Ai nostri messaggi, soprattutto a quelli natalizi a partire dal 1939, non sottostava l'ipotesi
che, attraverso di essi, di per sé si potessero influenzare in misura determinante gli eventi
bellici. Noi abbiamo assolto unicamente, quale Vicario di Cristo, al nostro dovere di spia-
nare la strada al diritto naturale e alla legge di Cristo a riguardo degli ordinamenti interni
e internazionale che oggi si trovano di fronte a significative riorganizzazioni e a quello di
contrastare ... il pericolo di un pensiero non cristiano e di un nazionalismo esasperato».

Si torna dunque volutamente a una interpretazione generale, a un richiamo


ai principì morali ispiratori, mentre l'argomentare e l'uso che ne vuole fare
von Galen è tutto ancorato alla brutale situazione in cui si trova il popolo
tedesco, come è chiaro sempre in questa lettera inedita.
«'Purtroppo da noi tali parole sottostanno alla pressione di un controllo sospettoso, che
tenta di separarle dalla franca testimonianza della verità e vorrebbe metterle in catene.
Questa situazione è comprovata dal gran numero di sacerdoti posti in stato di arresto presso
il campo di concentramento di Dachau, unicamente a causa della loro fedeltà al proprio
dovere sacerdotale ... '. E, infine, conclude, a proposito del suo prossimo viaggio a Roma
'Purtroppo dubito che in tempi brevi io possa preventivare un viaggio a Roma. Ho motivo
di temere che si approfitterebbe di un mio viaggio a Roma per impedirmi il viaggio di
ritorno, tenendomi così forzatamente lontano dalla mia diocesi. Perciò devo pregare Vostra
Santità di potere differire la visitatio liminum Apostolorum prescritta, sin tanto che venga
meno il motivo di tale timore'».

Quella tra il vescovo «imprigionato» e, letteralmente, bombardato nella


sua diocesi e il suo papa, non meno prigioniero a Roma è un comunicare
molto affettuoso, coinvolto e coinvolgente. È vistosa la naturale diversità
caratteriale, appassionata quella del vescovo, più dolente quella del papa.
In tutto l'epistolario è costante la volontà di un riconoscimento degli
sforzi compiuti dal vescovo che compensano così la maggiore difficoltà
a intervenire della sede di Pietro. In confronto allo stile comunicativo di
Pacelli, sempre piuttosto formale e involuto, si può notare qui un calore
e una partecipazione affettiva a lui normalmente poco consuete. «Parte-
cipiamo profondamente, e nel modo più vivo, al vostro lutto ... Di vero
cuore ringraziamo l'Onnipotente per avere egli steso la Sua forte mano su
di te, conservandoti, in mezzo a tutti questi pericoli mortali ... » si legge
nella risposta del 20 febbraio 1944 in cui von Galen racconta gli orrori
dei bombardamenti. E questa amorevole sollecitudine segnerà il tono di
tutte le epistole.
Papa Pacelli sembra volere esprimere un senso di gratitudine per le posi-
zioni di von Galen la cui intransigenza non poteva o non voleva fosse la

315
sua. Il clima che si crea, dunque, è di grande complicità reciproca in una
complementarietà di ruoli che aveva già vissuto da segretario di Stato nel
suo rapporto con il più battagliero di lui, Pio XI. In una lettera a von
Preysing del 30 settembre 1941 il papa scrive:
«Le tre prediche del vescovo von Galen procurano anche a noi, sulla via del dolore che
percorriamo insieme con i cattolici tedeschi, un conforto e una soddisfazione che da
molto tempo non provavamo. Il vescovo ha scelto bene il momento per farsi avanti con
coraggio ... Il vescovo ha posto il dito, in maniera franca ma nobile, sulle ferite e sui danni
che, come tanto spesso sentiamo dire, ogni tedesco che pensa in termini di von Galèn è
scaturita la cessazione delle misure contro la Chiesa, foss'anche temporanea e soprattutto
del tutto insufficiente a riparare l'ingiustizia. Queste tre predice del vescovo di Miinster e
la lettera pastorale dell'intero episcopato sono una dimostrazione di quanto ancora si possa
ottenere, all'interno del Reich, con un intervento vigoroso e franco. Sottolineiamo questo,
poiché la Chiesa in Germania tanto più dipende dal vostro agire pubblico, quanto più la
situazione politica generale ... impone al capo della Chiesa universale, nei suoi messaggi ·
pubblici, una doverosa cautela. Non occorre pertanto che assicuriamo espressamente te e
i tuoi confratelli che vescovi i quali, come il vescovo von Galen, intervengono con un tale
coraggio e con una tale irreprensibilità per la causa di Dio e della santa Chiesa, troveranno
sempre in noi appoggio».

13. Fedeltà alla patria, fedeltà alla coscienza


Nelle lettere che abbiamo preso in esame si susseguono gli scenari di
guerra. I vescovi avevano sperato in un allentamento della pressione, in un
alleggerimento della persecuzione verso la Chiesa in nome di una comune
solidarietà nazionale. Si trattava in realtà di una loro proiezione soggettiva,
legati come dimostrano in tante, sincere e struggenti testimonianze, all'amore
per la patria tedesca. L'attaccamento alla nazione, il lealismo patriottico,
il radicamento alla propria terra, città, Là'nder, accomuna tutti i vescovi 57 •
Eppure sul tema del patriottismo si consumano tante differenze: la lealtà alla
patria è ragione di grande imbarazzo per l'episcopato e, in generale per
la comunità cattolica tedesca, cui veniva ormai accreditata una effettiva
lealtà nazionale e che ora, invece è di nuovo sospettata di disfattismo e di
tradimento.
Gli appelli più appassionati di von Galen, quelli più evocativi e struggenti
del suo amore per la Germania, per il suo Land, per la sua città, il suo
duomo sono senz'altro contenute nelle tre famose omelie. Ne sono, però,

57 Cfr. l'epistolario tra monsignor Groeber, arcivescovo di Friburgo con il ministro per il
culto del Baden, Otto Warcker, quando scrive: «Ciò nonostante continuerò a perseguire
la mia linea di lealtà e a dare al popolo e alla patria ciò che di bene e di sangue popolo e
patria, nell'ora della prova, vorranno chiedere a me e ad ogni cattolico».

316
ricche anche le lettere a Pio XII non solo attraverso i resoconti delle per-
secuzioni al clero e agli ordini religiosi, ma anche nella condivisione con
le miserie della popolazione sotto i bombardamenti:
«'In molti luoghi - e specialmente nella parte occidentale della diocesi e nella città della
zona industriale - ho dovuto anche appurare le terribili devastazioni che hanno lasciato
dietro di sé i bombardamenti, e poi anche i saccheggi e le violenze: case ridotte in cenere,
campi incolti, la popolazione che resta impoverita, spesso ammassata in rovine ... Per
vasti settori della popolazione questo significa la prospettiva della disoccupazione, fame,
freddo e il pericolo della duratura proletarizzazione e disperazione'. Così scrive nella sua
penultima lettera del 25 settembre 1945 che termina con questo appello 'Sappiamo che il
cuore paterno di Vostra Santità batte con amore per noi e che la Vostra Santità farà tutto il
possibile per soccorrere il popolo tedesco, umiliato e calpestato, mediante un aiuto diretto,
ovvero per mezzo di passi presso le potenze vincitrici, magari dopo l'ascolto del resoconto
di un delegato pontificio'».

Hitler e Goebbels, ben consapevoli delle differenti due linee dell' episco-
pato, quella più dura e quella più diplomatica, non fanno molta distinzione
e, nei fatti, le giudicano entrambe contro il regime. E se la resa dei conti
è riservata alla fine della guerra le persecuzioni aumentano piuttosto che
diminuire non solo nei territori polacchi annessi alla Germania ma in tutto
il paese.
In una delle ultime lettere dei vescovi che ancora è in grado di esprimere
un comune sentire del 26 giugno 1941, si legge «ma vi sono anche sacri
doveri di coscienza da cui nessuno può affrancarsi e che noi dobbiamo
adempiere, dovesse costarci la vita stessa».
Questo è il bivio stretto in cui si trovano i vescovi: rassicurare sulla fedeltà
nazionale, ma insieme opporsi al nazismo, non solo per difendere la Chiesa
ma in nome di tutto il popolo tedesco.
Con accezioni diverse per un unico scopo: sopravvivere. Divergenze tat-
tiche, memoria dell'antico Kulturkampf (come sostiene Volk) incertezza
e preoccupazione sulle possibili reazioni del regime. Comunque veri e
propri tormenti.
La ricerca storiografica, allora deve resistere alla tentazione di rimuovere o
occultare le differenze che ci sono all'interno dell'episcopato e tra questo
ultimo e Roma, ma assumere finalmente una nuova postura verso il pro-
blema delle responsabilità della Chiesa di fronte al nazismo e cioè quella di
ricostruire le diverse posizioni nelle loro integrazioni e complementarietà,

317

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