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Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896

di Federico Chabod

Storia dItalia Einaudi

Edizione di riferimento: Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, Laterza, Roma-Bari 1971

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Sommario
Prefazione Avvertenza Parte prima. Le passioni e le idee Capitolo Primo. La guerra franco-prussiana e lItalia I. Linsegnamento della Prussia II. La lezione della realt III. Contro la realt bismarckiana Capitolo Secondo. Lidea di Roma I. La missione di Roma II. Scienza o renovatio ecclesiae? III. Lombra di Cesare IV. Gli antiromani Capitolo Terzo. Lordine e la libert I. Il programma conservativo II. Il mondo dei savi III. La libert e la legge Capitolo Quarto. Presente e avvenire Parte seconda Capitolo Primo. Le cose.. I. Finanza ed esercito 1 14 17 17 17 86 110 165 165 191 258 289 299 299 325 360 408 437 437 437

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II. Lapatia politica III. Grande politica o politica della tranquillit? Capitolo Secondo. ... E gli uomini I. Emilio Visconti Venosta II. Costantino Nigra III. Il Conte de Launay IV. Il Conte di Robilant V. Lanza e Minghetti VI. Vittorio Emanuele II

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PREFAZIONE

Le origini di questo lavoro risalgono, ormai, lontano. Nel 1936, lIstituto per gli Studi di Politica Internazionale, per iniziativa di Alberto Pirelli, suo presidente, di Pier Franco Gaslini, segretario generale, e di Gioacchino Volpe, affid infatti il compito di scrivere, su base documentaria nuova, una Storia della politica estera italiana dal 1861 al 1914, al compianto Carlo Morandi alla cui memoria rivolgo il mio pensiero a Walter Maturi, ad Augusto Torre e a me, che assunsi limpegno per il periodo dal 20 settembre 1810 al marzo 1896. Laiuto che avemmo dallIstituto fu, sotto ogni riguardo, prezioso: e sia, perci, espressa qui la mia viva gratitudine ad Alberto Pirelli e ad Alessandro Casati, a Gioacchino Volpe, a Pier Franco Gaslini, a Gerolamo Bassani, attuale segretario generale dellI.S.P.I. E anzitutto: per quellaiuto ci fu possibile ottenere libero accesso allArchivio Storico del Ministero degli Affari Esteri, esplorandolo compiutamente, con un lavoro continuo durato oltre sei anni, fra il 1936 e il 1943; ci fu possibile, cio, assicurare al nostro lavoro la indispensabile base documentaria, necessaria premessa che era stata allorigine stessa delliniziativa. Questa base documentaria non rimasta, tuttavia, la sola. Sempre pi nel corso delle ricerche emergeva la necessit di integrare i carteggi ufficiali con quei carteggi personali, privati, i quali per la storia dItalia non meno che per la storia degli altri paesi ne costituiscono lindispensabile complemento, quello che solo, talora, permette di veder chiaro e preciso negli sviluppi di una situazione e nellatteggiamento di un governo. Certi giudizi e certi perch non si troveranno mai in nessun carteggio ufficiale. Quindi, non solo necessit di estendere le

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ricerche ad altri archivi pubblici, dove pure sono depositati carteggi e diar o, comunque, documenti interessanti direttamente la politica estera italiana (valgano, come solo esempio, le carte Visconti Venosta e Depretis dellArchivio Centrale dello Stato, a Roma); ma anche, quando fosse, possibile, ad archivi privati. Pure qui la fortuna mi fu amica: ch, nella quasi totalit, i discendenti o congiunti di antichi ministri e ambasciatori mi apersero, con signorile larghezza, i loro archivi. Anche questo materiale, raccolto oso dire con paziente ricerca di vari anni, verr da me inserito nella gran raccolta a stampa dei Documenti Diplomatici Italiani, di cui escono ora i primi volumi. Chiamato a far parte della Commissione che a tale pubblicazione attende, curer infatti ledizione dei Documenti fra il 1870 e il 1896; e confido che linserimento in essa di documenti di archivi privati per la prima volta, nel confronto con le analoghe raccolte straniere giover assai ad offrire un quadro quanto pi possibile completo, non solo dellazione, s anche degli intendimenti che allazione mossero gli uomini di governo italiani in quel periodo. E siano, dunque, ricordati con gratitudine il compianto marchese Giovanni Visconti Venosta di Sostegno, che mise a mia disposizione le carte di Emilio Visconti Venosta; e il compianto senatore Francesco Salata, che mi consenti di valermi delle sue copie di fascicoli di documenti dellArchivio di Vienna, che a me non era stato possibile consultare in loco. Sia espresso il mio ringraziamento al Capo della Casa di Savoia, che, con grande liberalit, mi ha consentito di valermi dei documenti dellarchivio personale di Vittorio Emanuele II. E sono grato alla marchesa Dora Daniele di Bagni; per le carte Mancini; a donna Maria Pansa, per il diario del consorte, Alberto; al conte Cesare Maria de Vecchi di Val Cismon, per le carte Nigra.

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Agli archivi italiani, pubblici e privati, occorreva infine affiancare, per quanto fosse possibile, gli archivi esteri. Anche quando la pubblicazione ufficiale per gli atti del periodo 1871-1896 era gi avvenuta, la ricerca appariva necessaria: non potendosi nelle grandi raccolte pubblicare tutto, era ovvio che molta parte del materiale riguardante direttamente lItalia giacesse ancora inesplorata negli archivi siccome mi doveva pienamente confermare la ricerca negli archivi del Quai dOrsay, e il confronto fra il materiale ivi da me raccolto e quello pochissimo pubblicato nei Documents Diplomatiques Franais per gli anni dal 1871 al 1876. N v da insistere sul fatto che nella Grosse Politik tedesca le tracce della corrispondenza diretta fra Berlino e Roma sono nulle, fino al 1880. Riuscito vano il tentativo di ottenere il permesso di consultare le carte degli archivi tedeschi, mi fu invece possibile la ricerca completa, per tutto il periodo fino al 1896 nellArchivio di Vienna; e nellArchivio del Quai dOrsay, qui nei limiti di tempo prescritti dalle disposizioni vigenti. Dei documenti inglesi spero di poter prendere visione per lulteriore corso del lavoro e i problemi specifici che in esso si presenteranno. E anche qui desidero concludere ringraziando i funzionari dei vari archivi, segnatamente i funzionari dellArchivio del Ministero degli Affari Esteri, a Roma; lambasciatore Raffaele Guariglia e il prof. Ruggero Moscati, che mi hanno trasmesso i documenti e le notizie dallarchivio di Vittorio Emanuele II, di cui mi valgo; i colleghi ed amici che mi hanno dato prezioso aiuto, nel corso delle ricerche o durante la collazione delle bozze sugli originali, per i documenti e i testi a stampa: la prof. Maria Avetta e la prof. Emilia Morelli, lon. prof. Roberto Cessi, i proff. Giorgio Cencetti, Luigi Bulferetti, Carlo Cipolla, Armando Saitta, i dott. Rosario Romeo e Giuseppe Giarrizzo che si sono anche addossato lone-

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re della compilazione dellindice dei nomi del presente volume1 , con cui ha inizio la pubblicazione della Storia animosamente assunta dalleditore Laterza. Il quale presente volume non , n intende essere, dedicato gi allanalisi, cronologicamente condotta, dei problemi specifici e delle varie fasi della politica estera italiana fra il 1870 e il 1896. Se certo vi sono accenni a tali problemi e talora, anche, pi che accenni, destinati daltronde ad essere ripresi e svolti compiutamente a tempo e luogo ci avviene soltanto per chiarire le linee fondamentali, direi limpostazione stessa della ricerca. La narrazione distesa e continua verr fatta nel corso di una serie di volumi quattro, presumo che seguiranno. Perch, prima di tessere lordito minuto di quella politica, prima di immergermi nella parte pi specifica, pi tecnica direi del mio assunto, mi sembrato indispensabile chiarire quali fossero le basi, materiali e morali, su cui quella parte specifica e tecnica necessariamente posava, quale il complesso di forze e di sentimenti ondera avvolta ed entro cui doveva muoversi, in quel momento storico, anche la iniziativa diplomatica. Vale a dire, passioni e affetti, idee e ideologie, situazione del paese e uomini, tutto ci in una parola che fa della politica estera nientaltro che un momento, un aspetto di un processo storico assai pi ampio e complesso, abbracciante tutta quanta la vita di una nazione, e non consente compartimenti stagni, e il momento dei rapporti con lestero lega strettamente e indissolubilmente allaltro, della vita morale, economica, sociale, religiosa allinterno. La politica estera di uno Stato quale esso sia non si compendia nelle sole trattative diplomatiche, nei carteggi fra il ministro degli Esteri e gli ambasciatori, cos come e questo pacifico, pi universalmente ammesso la politica interna non si riassume nella corrispondenza dei prefetti col ministro, e nemmeno soltanto nella lotta dei partiti valutati esclusivamente in correlazione ai proble-

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mi interni, senza nessi con le ripercussioni di eventi internazionali, e con le vicende di altri partiti in altri paesi. Presumere di chiudersi nelluno o nellaltro di questi due astratti compartimenti, e, ben chiusi dentro, presumere di cogliere il significato e il valore delle vicende, sarebbe un tentativo simile a quello di chi ritenesse di provvedere allilluminazione delle grandi metropoli odierne con qualche lume a petrolio. Per vero, se nelle maggiori e pi significative tendenze della storiografia moderna, in Italia come fuori dItalia, s avvertita e savverte tuttora certa insofferenza, a non dir fastidio della cosiddetta storia diplomatica, ci dovuto, per molta parte, allessere tale storia condotta, non sempre senza dubbio (esempi insigni in contrario non mancano), ma pur troppe volte ancora, se anche tecnicamente in modo eccellente, tuttavia con una certa angustia sostanziale di visione: nel migliore dei casi, ancora e sempre, in pieno Novecento, sosserva il permanere di una valutazione che ci riconduce alle origini della storiografia moderna, ai criteri allora legittimi e fecondi di novit puramente politico-diplomatico-militari degli scrittori fra Cinquecento e Seicento. ben vero che, per coonestare un simile modo di valutare, sinvocano i cosiddetti interessi permanenti di un paese, sorta di divinit ascosa che dovrebbe star al disopra di tutto quanto costituisce la vita concreta di un popolo, lotte politiche, ideali e ideologie, cozzar di passioni, per costituire il presupposto e lo scopo della politica estera, la stella polare a cui tener locchio fisso durante la navigazione perigliosa, senza curar il resto. Ma se il dire che linteresse di uno Stato deve costituire il motivo centrale delle preoccupazioni e dellazione dei politici di quello Stato, dir cosa perfin banale talmente ovvia e ben ribadita da una tradizione secolare anche in sede dottrinaria, cominciando dal Machiavelli e dal duca di Rohan laggiungere il permanente, non fa che por-

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re in piena luce le strettoie fra cui ci si dibatte nel vano sforzo di costituire una sfera politica estera, indipendente da tutto il resto e sovrastante la sfera della cosiddetta politica interna. Gli interessi permanenti sono una pura astrazione dottrinaria: di simili interessi, immutabili e fissi, nessuna storia di nessun paese ha mai offerto esempio, quando ne offre invece, a iosa, di pi o meno repentini capovolgimenti delle alleanze, di clamorosi spostamenti nei rapporti fra le varie potenze, fine di quel che si denomina sistema politico ed inizio di un nuovo sistema a sua volta destinato poi a scomparire. Per il politico assai prima che per lo storico, il difficile sta nel valutare esattamente quali siano, in un determinato momento, gli interessi preponderanti; perch a credere alla necessit e fatalit per esempio di certi contrasti, pu capitare come ai politici della Germania guglielmina che ritenevano impossibile laccordo tra Inghilterra e Russia, e poi si vide come le cose andassero a finire. Continuo movimento, processo storico sempre differenziato e mai misurabile sul metro del passato, anche la vicenda dei rapporti internazionali non conosce le permanenze immutabili. Vero anche che, ai tempi nostri, s cercato di costituire un saldo fondamento fisico a quelle supposte permanenze; e ricoprendo con nomi nuovi e pomposi cose di vecchio buon senso, ma spesso soffocando il buon senso e le vecchie cose buone sotto il peso di sciocchezze moderne, s scoperta la geopolitica. Dal fatto, tanto ovvio anchesso ch banale il ripeterlo e antico quanto il pensare umano, dellimportanza fondamentale che la posizione geografica di un paese ha agli effetti dei suoi rapporti con lestero, si cercato di far nascere un nuovo determinismo su basi geografiche, un meccanicismo fatalistico per cui la natura condizionerebbe la storia di un paese. Quel che conti il sito sapevano gi assai bene i teorici e i pubblicisti di molti secoli fa; e ne parlaro-

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no largamente poniamo i cinquecentisti, assai pi accorti tuttavia nel lasciare amp io campo libero alla virt umana, non schiava nemmeno del sito: ma i moderni dottrinari han creduto di poter ridurre quel campo aperto, in un vano anelito alla scoperta di leggi fisse a cui far sottostare le vicende di un paese. N si riflette che uno Stato ha sempre avuto dinnanzi a s almeno due vie diverse da seguire: e il difficile al politico nel decidere, allo storico poi nel comprendere tutto qui e soltanto qui, quale scegliere in quel determinato momento, in quella precisa situazione. Del che pure son piene le storie, dai tempi di Carlo VIII a non risalir pi su dalla mainte disputation alla sua corte fra i sostenitori dellimpresa dItalia e le gens saiges et experimentz che la trovavano invece trs deraisonnable e non volevano saperne des fumes et gloires dItalie; o dai tempi di Carlo V e delle contese, anche qui, tra i fautori e gli avversari della sua politica italiana. Polemiche e contrasti poi trapassati assai arbitrariamente anche nella storiografia, ad opera di studiosi i quali, persuasi che linteresse politico prevalente dellepoca in cui essi scrivevano fosse un Assoluto, e facendo delle loro preoccupazioni politiche un criterio di valutazione storiografica anche per il lontano passato, condannarono per esempio come vana, dispersiva e innaturale la politica italiana di Carlo VIII e di Luigi XII, mentre unica naturale politica per la Francia sarebbe dovuta essere la politica renana: trasposizione illegittima di preoccupazioni francesi dellOttocento e del Novecento nel mondo di fine Quattrocento. Oppure esempio tipico la lunga polemica in terra tedesca, dal von Sybel al von Below e oltre, contro la italienische Kaiserpotitik del Medioevo, che sarebbe stata anchessa una innaturale, deplorevole dispersione di forze tedesche verso il sud, causa di logoramento della monarchia germanica, della mancata creazione di un saldo Stato nazionale germanico, e ostacolo ad una pi naturale e fruttuosa Ostpolitik: anche qui

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con una indebita trasposizione di preoccupazioni e problemi germanici dellOttocento e del Novecento ai secoli X-XIII. Tanto facilmente si indotti a qualificare da permanenti, eterni, interessi ed aspirazioni del momento politico in cui si vive! Ora, bene nel momento della scelta che sulle decisioni propriamente di carattere internazionale pesa almeno dai tempi della Rivoluzione Francese in poi tutta la vita di un popolo, nelle sue aspirazioni ideali e nelle ideologie politiche, nelle condizioni economiche e sociali, nelle possibilit materiali come nei contrasti interni daffetti e di tendenze. E qui la storia diplomatica pura come storia tecnica di relazioni fra governi ha il suo limite. I diplomatici puri, fermi ancora allideale degli arcana imperii dellAntico Regime, possono bens sdegnarsi per le intrusioni indebite nel calcolo diplomatico di elementi nientaffatto diplomatici, e soprattutto delle ideologie politiche; possono sognare un nuovo Stato di Utopia ove questi impuri contatti non avvengano: tali chimere vengono regolarmente spazzate via dalla storia, che non conosce gli schemi astratti di una politica estera e di una Politica interna, nettamente distinte luna dallaltra, come non conosce primati delluna o dellaltra, ma vede luna e laltra strettamente associate, fuse insieme, talora fattori di carattere pi specificamente interno riverberandosi con maggior forza sullatteggiamento verso lestero, talora invece fattori di carattere internazionale pi modellando anche le vicende interne, a cominciare dalla stessa lotta fra i partiti. Del che, saltra mai, classico esempio proprio la storia dellItalia unita. Impossibile, perci, a chi voglia studiare la politica estera italiana non rendersi conto, prima, che cosa fosse questItalia nella sua formazione unitaria, non riconoscere i molti elementi che le avevano dato vita e la cui presenza si faceva oh quanto chiaramente! avverti-

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re anche nelle varie impostazioni e soluzioni vagheggiate per la politica estera. Soltanto su questo sfondo gli eventi internazionali possono poi assumere il loro giusto rilievo. Cos come sarebbe opportuno sia lecito auspicarlo che coloro i quali attendono a ricerche specifiche sui problemi della cosiddetta politica interna, non dimentichino che essi sono, a loro volta, strettamente allacciati con quelli esterni e ne subiscono variamente linflusso: siccome capita invece di osservare anche troppo di frequente, quando si leggono ricostruzioni storiche in cui lItalia appare un po come una nuova Luna, mondo a s, perfettamente isolato, capace di regolare da s solo la sua vita; e perci anche sascoltano ammonimenti sul come si sarebbero dovute svolgere le cose, poniamo nel Risorgimento (e, naturalmente, non si sono svolte cos), senza che mai sembri affiorare almeno il dubbio se nellEuropa, costituita comera allora, sarebbero state possibili, anche solo per lItalia, certe soluzioni; senza che mai il ricordo del 48-49 e del fallimento generale della rivoluzione europea serva a mettere in guardia, almeno, sulla necessit di tener ben presente, anche nel giudizio sulla sola storia dItalia, quel che, allora, fosse possibile in Europa. Rendersi, dunque, conto di quali forze ideali e morali, di quali interessi, di quali aspirazioni si componesse la vita dellItalia unita: forze, interessi, aspirazioni che avrebbero condizionato, di volta in volta, lo stesso procedere diplomatico, cos come sulla situazione internazionale dellItalia avrebbero pesantemente gravato pi forse che per altri paesi atteggiamenti, manifestazioni e agitazioni allinterno. La rumorosa, violenta esplosione di malcontento e di proteste, nellestate del 1878, dopo il Congresso di Berlino, o le accresciute manifestazioni anticlericali nel 1881 la prima e le seconde strettamente collegate con tradizioni, passioni e tendenze dellanima italiana dallora significarono qualche cosa anche

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per la posizione dellItalia di fronte allEuropa; e le preoccupazioni di politica interna giocarono assai pi che non si sia spesso creduto nella conclusione della Triplice Alleanza. Tutto ci che significa cogliere oltre che atteggiamenti e fatti, anche impressioni e stati danimo, oltre che lazione del governo anche le opinioni consente altres di rendersi meglio conto del perch di certo agire di governanti, anche se a distanza di tempo quellagire sia poi apparso erroneo. troppo comodo giudicare a distanza di cinquanta o sessantanni, allo storico che, post facta, pu conoscere intenzioni e mosse anche segrete delle varie parti che agiscono sulla scena internazionale, cio dei vari Sfiati; troppo comodo, quando non ci si chieda anche se, allora, quel che si poteva sapere degli intendimenti di un altro governo e le impressioni che savevano e i giudizi comuni non giustificassero, invece, un atteggiamento poi risultato sbagliato. Da errori simili nemmeno i grandissimi fra gli uomini di Stato, nemmeno un Cavour e un Bismarck, furono immuni; e a ragion maggiore gli altri. E basti, al riguardo, quel grosso errore di prospettiva politica che consist, ancora dopo il 70, nellattribuire al Bismarck sempre il segreto pensiero di annettere lAustria tedesca al Reich: grosso errore, ma condiviso da molti, italiani e stranieri, politici e giornalisti, e la cui generalit occorre dunque tener presente, quando ci si trovi dinnanzi, per esempio, alla frase del Crispi al Bismarck, nel colloquio del 17 settembre 1877. In tutto questo, saper infine vedere gli uomini, le singole personalit con i loro pensieri ed affetti: la storia, almeno fino ad oggi, stata fatta dagli uomini e non da automi, e dottrine e cosiddette strutture, che in s e per s dal punto di vista della valutazione storiografica sono pure astrazioni, acquistano valore di forza storica solo quando riescono a infiammare di s lanimo degli uomini dei singoli come delle moltitudini quando diven-

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tano una fede, una religione interiore capace anche di creare i martiri; quando cio ideologie o rapporti sociali diventano un fatto morale, che schiera attorno al programma di questo o quel partito politico, dietro a questa o quella bandiera i molti che solo ora per quellimprovvisa accensione di una nuova fede sentono come ingiustizia da combattere quel che per linnanzi essi stessi o i loro padri avevano riguardato come una fatalit a cui rassegnarsi o addirittura accettato come un fatto normale e ovvio sia che lingiustizia appaia nellessere lItalia divisa e serva dello straniero, sia che appaia in un determinato ordinamento economico e sociale. Tanto pi necessario questo cercare gli uomini quando sabbia a trattare, come nel caso nostro, di storia politica e, soprattutto, di storia dei rapporti politici internazionali: laddove, cio, non soltanto la personalit generale del singolo politico o diplomatico, le sue idee e il suo programma, ma il suo stile dazione costituisce elemento mai trascurabile nelle vicende. Il modo di impostare e condurre innanzi una certa politica, il modo di avvicinare e trattare le singole questioni, il modo di reagire in una parola, lo stile per uomini come i nostri che sono uomini dazione e non teorici da tavolino valgono almeno quanto i cosiddetti programmi generali. Per meglio dire, impossibile distinguere, in una determinata azione politica, quella che la sostanza e quello che il modo di mettere innanzi la sostanza: come nellartista, cos nel politico questaltro artista, che procede per intuizioni e non per logica astratta, e, quand veramente tale, lo per grazia di Dio e non per dottrina forma e contenuto fanno tuttuno, e a voler valutare solo il secondo, trascurando la prima, si fa uno studio di ideologie e non di azione politica. Perci, dunque, cercar di cogliere gli uomini che diressero o furono i maggiori esecutori di una politica an-

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che nelle diversit del loro stile, diversit ricche di conseguenze concrete. So bene che molta parte della storiografia moderna disdegna luomo, come tale, e, confondendo i pettegolezzi mondani con la ricostruzione morale e spirituale di una personalit, aborre dal cosiddetto psicologismo, per correr dietro alle dottrine pure, alle pure strutture o a quellultimo meraviglioso portato di certa storiografia recentissima, le tavole statistiche, le percentuali, le medie, i grafici tutte cose utilissime entro certi limiti, ma nelle quali, con qualche diagramma e qualche media statistica, si vorrebbe racchiuso il segreto della storia. A leggere simili cose, mi vien fatto sempre di pensare al bravo generale Cartier de Chalmot, da Anatole France effigiato mentre intento a porre la sua divisione in schede: ogni fiche un soldato, ogni fiche una realt; e il bravo generale manovra, dispone, comanda, studia piani tattici, imperturbabile nella convinzione che la realt sia li, nelle sue fiches, mai assillato, nemmen per un attimo, dal dubbio che, sul terreno, quella vera realt che sono i suoi fanti in carne ed ossa possa reagire agli ordini in modo affatto imprevisto. Parecchi studiosi di storia sono oggi dei generali Cartier de Chalmot: e lasciamoli, dunque, al loro comandar le truppe manovrando fiches. Con il che, non sintende certo, nemmeno qui, ritornare alla cinquecentesca virt del principe solo artefice di storia. Ma s affermare che, in una determinata situazione, lopera del singolo uomo di Stato interviene sempre incidendo sul corso degli eventi: o che, mediocre, si lasci infine sommergere dagli eventi, o che, grande, riesca invece a incanalarli in un certo modo, a farli svolgere con un ritmo anzich con un altro, a condurli verso certi sbocchi anzich verso altri, rallentando o spronando, e in ultima analisi facendo s che nella situazione chegli lascer ai suoi successori rimanga impressa anche la sua orma-maggiore o minore, questo di volta in volta il se-

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greto della storia. Come, data la situazione geografica di uno Stato, non esiste larbitrium indifferentiae, ma bene la scelta fra luna e laltra via e la scelta opera delluomo, cio libera; cos, in una certa situazione storica nemmeno al maggiore degli uomini di Stato sar concesso di agire a suo capriccio, ed egli dovr sempre muovere dalla realt che gli sta innanzi ma questa realt gli consente poi sempre le scelte e i modi differenti di procedere oltre. Dove appunto la indistruttibile libert della storia e il segreto del suo sempre imprevedibile dispiegarsi futuro.

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AVVERTENZA

Le abbreviazioni di cui si fa uso nelle note dono le seguenti:


t. d. r. l. s. d. l. p. s. n. f. n. conf. ris. = telegramma = dispaccio = rapporto = lettera = senza data = lettera personale; lettera particolare o lettre particulire = senza numero = fuori numerazione = confidenziale = riservato

F ONTI D ARCHIVIO

I documenti citati senza riferimento archivistico si trovano nellArchivio Storico del Ministero degli Affari Esteri, a Roma, e appartengono alle serie ordinarie: cio, ai registri dei telegrammi in partenza e in arrivo, ai registri dei dispacci, alla corrispondenza politica (rapporti) delle varie Ambasciate e Legazioni. Ai documenti del medesimo Archivio, che sono compresi in serie speciali, , invece, aggiunta lindicazione archivistica generale:
AE = Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri, con lindicazione del fondo specifico, abbreviata nei casi seguenti:

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Ris Cas. Verdi = Riservato = Cassette Verdi

Si avverte che questi ultimi riferimenti sono basati sullordinamento dellArchivio negli anni 1936-43, quando cio fu compiuta la ricerca. In questi ultimi anni lArchivio stato riordinato (il riordinamento anzi ancora in corso); e alle antiche distinzioni in Riservato ecc., stato sostituito un solo complesso sotto la denominazione di: Archivio del Gabinetto e del Segretariato Generale (1861-87), che comprende dunque le serie speciali distinte dalla corrispondenza politica ordinaria, telegrafica ed epistolare. Dalle antiche indicazioni si passa tuttavia, grazie alle apposite concordanze, senza difficolt alle nuove; perci, si sono mantenuti i riferimenti precisi del momento della ricerca. Si avverte infine che nelle carte Robilant (che stanno a s, fuori anche dallArchivio del Gabinetto), le lettere del Robilant al Corti sono in copia dattiloscritta. Per altri archivi, le abbreviazioni sono le seguenti:
ACR ABP. CP = Archivio Centrale dello Stato, Roma = Archives du Ministre des Affaires trangres, Paris, Correspondance Politique.

Si avverte, anche qui, che i riferimenti ai volumi sono fatti secondo la classificazione vigente fino a questi ultimi tempi: classificazione per cui la corrispondenza con il rappresentante francese presso il Re dItalia aveva continuato la numerazione del precedente fondo Sardaigne. Proprio di recente, la serie Italie ha avuto numerazione a s, cominciando con 1 nel gennaio 1861. I volumi 379-393, a cui si fa riferimento, sono quindi ora i volumi 29-43.
BCB MRP = Biblioteca Comunale di Bologna = Museo del Risorgimento di Pavia

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MRR MRT Saw, P.A. = Museo e Archivio del Risorgimento di Roma = Museo e Archivio del Risorgimento di Torino = Haus-, Hof- und Staatsarchiv, Wien, Politisches Archiv. Per i fasc. III/112, XI/76 e rot. 459 mi sono valso delle copie dattiloscritte del Sen. Salata.

Per altri archivi, infine, non si hanno abbreviazioni. F ONTI A S TAMPA


A.P. D.D.F G.P. Libro Verde 17 = Atti Parlamentari, Discussioni = Documents Diplomatiques Franqais (1871-1914) = Die Grosse Politik der Europischen Kabinette 1871-1914 = Documenti Diplomatici relativi alla Questione Romana comunicati dal ministro degli Affari Esteri (Visconti Venosta) nella tornata del 19 dicembre 1870 [il numero dordine 17, secondo lelenco generale a stampa dei Libri Verdi, Documenti Diplomatici (Libro Verde), presentati al Parlamento Italiano da l 27 giugno 1861, Biblioteca del ministero degli Affari Esteri (Ufficio Intendenza)].

Salvo espressa avvertenza in contrario, le parole e le frasi in corsivo, riportate da documenti o da testi a stampa, sintendono sottolineate nelloriginale o in corsivo nel testo a stampa.

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PARTE PRIMA LE PASSIONI E LE IDEE

Capitolo Primo La guerra franco-prussiana e lItalia

I Linsegnamento della Prussia Le gnie italien va se formuler ici avec une expression neuve, originale, propre. Les touchantes habitudes de lexil, les attaches du coeur pour les matres de la jeunesse de la gnration aujourdhui mre, les conceptions progressivement formes chaque tape de la nation depuis cinquante ans, le guelphisme, le catholicisme libral, lItalie et la Papaut collaborant en politique, lalliance des races latines, gardons-les comme souvenirs mouvants et corame preuves de notre bonne foi et de notre bon vouloir dans chaque situation par o nous avons pass, mais rompons en les liens dans notre pense et dans notre action prsente. LAllemagne, aprs lAngleterre et lAmrique a pris une telle avance sur le reste du monde, quil faut hter le pas et courir la ralit, laisser l les affections, les rves et lidal sentimental, et se saisir vigoureusement des seules choses solides et sres, la science positive, la production et la force qui provient de lunee t de lutre. Jaime vous redire ces choses que vous avez dites et depuis longtemps, parce que je sens Rome un esprit, un milieu qui sans tre dune supriorit intellectuelle ou morale incontestable, me semble devoir donner notre activit politique et sociale une tenue plus

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srieuse et plus. leve que nous ne lavons eue Florence, et moins exclusive que nous ne lavions trouve Turin. Cet effet de lenthousiasme grave, de lardeur rflchie, de la confiance sans jactance, du dsir honnte de faire beaucoup et bien, dont je suis tmoin ici, tout le monde le ressent, tous les Italiens des autres provinces font prouv. Tachons quil ne soit pas trompeur ... Heureux qui pourra se trouver dans les parties vives de la grande aurore qui commence pour lItalie! Con tali auspici il segretario generale del Ministero degli Affari Esteri, Alberto Blanc, allora in missione a Roma, conchiudeva, il 12 ottobre 1870, una lunga lettera a Marco Minghetti, in quei giorni a Vienna2 Roma italiana e supremazia della Prussia in Europa: i due grandi eventi di quel drammatico settembre del 70 destinato a non eclissarsi nelloblio sinch il moto lontano3 , venivano cos strettamente associati; nelluno e laltro sintravedeva linizio di un novus ordo, e anzitutto la grande aurora della terza Italia che, affrancata dai legami del passato, doveva marciar risoluta verso lavvenire, fidando nel ricordo e nel genio di Roma e nellamicizia della potenza germanica. E veramente per conto suo il Blanc gi sembrava plasmarsi ad un modo di sentire del tutto appropriato al nuovo indirizzo politico chegli vagheggiava. Savoiardo e cresciuto su alla scuola diretta del Cavour4 ; poi sempre legato con gli uomini della Destra, capo di gabinetto del La Marmora, segretario generale del Visconti Venosta, e dunque per queste sue origini e consuetudini di lavoro uomo che avrebbe potuto al pari appunto di un La Marmora, di un Lanza, di un Visconti Venosta sentir ancora, come valori vivi e reali, i souvenirs mouvants, Blanc dava invece un risoluto addio alle attaches du coeur, alla tradizione del passato, per orientarsi verso nuovi ideali, e non di sola politica spicciola, bens di vita morale. Bando agli ideali sentimentali, e viva le sole cose

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solide e sicure, la scienza, la produzione, la forza: non era ancora la parola, ma era gi il concetto della Realplitik di gran moda poi, cio valutazione delle pure forze tangibili e percepibili, con locchio fisico e il calcolo matematico; era il trionfar di una concezione di vita attenta soprattutto ai problemi economici, allo sviluppo, su base meccanico-industriale, della civilt, trasferendosi in secondo piano le preoccupazioni morali e culturali che avevano, invece, costituito motivo dominante per le generazioni fra il 20 e il 50. Non per nulla, in altra lettera al Minghetti, egli insisteva sullinflusso ogni giorno crescente dei fattori economici nella politica internazionale, sulla necessit di lasciar che le grandi leggi economiche producessero liberamente i loro effetti, sempre condannando les tendances de sentimentalit ou de classicisme qui dominent encore tant desprits distingus chez nous5 . Il suo se saisir vigoureusement des seules choses solides et sres era bene espressione di un nuovo modo di porre i problemi della vita politica: e non gi perch prima fossero mancati il senso del concreto, del politicamente possibile, delle forze vive, che sarebbe supremamente ridicolo nonch affermare, neppur pensare, quando appunto si rammenti che prima cera stato un Cavour; ma perch solo ora si riducevano, cos decisamente e cos apertamente, le forze vive alla tecnica, alla produzione, alla potenza materiale. Politica come pura forza, quantitativamente precisabile: per questo si diceva gi affacciarsi di concetti e idee alla prussiana, e assomigliarsi della ralit propugnata dal segretario generale degli Esteri, al Reelle a cui, una volta, il Re Sergente aveva brutalmente richiamato il figlio, lallora ancor sognante Federico6 , e affinit fra le sue choses solides e la ralit che poi, divenuto re, Federico II aveva, a sua volta, posto a base del suo agire e che ora appariva nuovamente il criterio di giudizio del conte di Bismarck luomo del giorno. Anzi, una realt ancora pi corposa e massiccia,

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costituita non soltanto di battaglioni ben inquadrati e armati ma di molte ciminiere di sonanti officine, e di gran copia di balle di mercanzie accumulate in magazzini e via via poi per il mondo7 . Era, cio, di gi nel Blanc non solo unaspirazione generica a volger la politica italiana nel senso dellamicizia con la Prussia, come avrebbero poi fatto molti degli stessi pi ostinati francofili del 70; bens, un modo di prospettare i problemi politici che doveva trovar il suo logico coronamento in una propensione di carattere morale e dottrinario verso la nuova Germania. Che era, certo, fatto di gran momento, come quello dal quale, al disopra dei singoli episodi diplomatici, sarebbe sorta, vie pi rafforzandosi, laspirazione ad accomunare i propri destini con le sorti dellImpero centro-europeo: e laspirazione avrebbe dato i suoi frutti, undici anni pi tardi, in quellinquieta estate del 1881 che avrebbe visto proprio nel Blanc uno dei primi e massimi artefici del riavvicinamento allAustria e alla Germania, e quindi della Triplice Alleanza. Per il momento, la parola alleanza non gli veniva ancor sulle labbra; egli sembrava anzi propendere per una politica di attesa, salvo a decidere secondo il futuro dettasse, o per una triplice Austria-Italia-Francia, se proprio la nuova Germania mostrasse tendenze soverchiamente espansionistiche, o per unalleanza con la Germania, ove questa, paga dei suoi trionfi militari, si adattasse a diventare notre base dopration continentale pour nos destines futures dans la Mditerrane, o la France, et mme lAutriche pour lAdriatique, sont nos rivales naturelles8 . Ma gi laccentuare la necessit di attivare les courants naturels qui doivent stablir entre lAllemagne, les ports italiens et lOrient, e, per converso, il sottolineare che, prima di costituire un pericolo per le nostre frontiere, la Germania avrebbe dovuto far scomparire lAustria9 , gi questo stava ad indicare verso qual

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parte si rivolgessero, in maniera non dubbia, le simpatie del Blanc; e pi lo confermavano il tono generale del suo discorso e quel suo ripetuto affermare la necessit di tenersi ben stretti ad una realt solida, e la polemica contro le tendenze sentimentali degli Italiani: le quali altro non erano che le tendenze cosiddette filofrancesi da cui la politica italiana appariva dominata, da oltre un decennio. Il motivo polemico antifrancese, in un con il senso della forza economica e militare prussiana, avviava lanimo e il pensiero verso nuovi modi di sentire e nuove aspirazioni: e il Blanc lo ribadiva apertamente. Egli non condivideva i rimpianti dei suoi amici, di non esser intervenuti a fianco di Napoleone III, perch, mantenendosi neutrale, lItalia aveva acquistata unindipendenza morale prima contestatale dallEuropa. Come la morte di Cavour aveva, un giorno non lontanissimo, provato che lesistenza dellItalia non riposava su di un solo uomo, cos ora la caduta di Napoleone provava che le sorti del regno non dipendevano da una dinastia straniera10 . Sedan e il 4 settembre erano, insomma, il crisma apposto allesistenza dellItalia unita: e non tanto perch ne fosse stata resa possibile loccupazione di Roma, quanto perch lItalia aveva dimostrato coi fatti di non essere un protettorato francese, uno Stato vassallo, ma di avere, anzi, personalit propria finalmente chiara a tutti. Questo tema, ripreso anche da altri uomini della Destra, ispirante la campagna a pro dun deciso avvicinamento alla Germania che il Civinini conduceva nella fiorentina Nazione11 , riappariva con particolar vivacit in un altro dei diplomatici che avevano parte attiva nella politica estera italiana. Savoiardo anche lui e da tale origine reso acre, assai pi del Blanc, contro la Francia che laveva fatto straniero alla terra dei suoi avi12 ; uomo dalle subite e impetuose reazioni, il conte Edoardo de Launay,

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ministro dItalia a Berlino, era gi assai pi in l del suo collega sulla via dellamicizia e alleanza prussiana. Forse ancora gli risuonavano allorecchio le affermazioni cavouriane, che egli stesso un tempo aveva per primo lette: nous marchons la tte du grand parti national italien, comme le gouvernement prussien sest plac la tte de lide nationale allemande13 ; certo, egli era risoluto, accanito, insistente fin alla monotonia nel sostenere la necessit dellalleanza con la Prussia. Bisognava una buona volta romperla con la Francia, con le pretese smodate allegemonia, con le arie di protezione di Parigi. Sin dallinizio della guerra franco-prussiana, egli aveva espresso chiaro e netto il proprio pensiero, quando il Visconti Venosta lo aveva avvertito, il 23 luglio, esser suo intendimento circoscrivere il conflitto e quindi rimanere neutrale, ma dover pure precisare che, nel caso divenisse impossibile mantenere la neutralit, lItalia non potrebbe direi quasi materialmente uscirne che per porsi colla Francia14 . E qui il bollente savoiardo era scattato: Mon sentment national se rvolte l de que nous ne puissions pas tre nous-mme: que nous soyons accoupls au sort de la France: que, le cas chant, nous tournions le dos lAllemagne, laquelle lavenir appartient. Per il bene dItalia e della dinastia era necessario rompre avec laffectation franaise de nous protger et de nous traner sa remorque; non fare la pire des politiques sentimentales, en nous rangeant, nous plus faibles, du ct du vaincu. Non ci si lasciasse suggestionare dal vecchio motivo del pericolo teutonico, perch i tempi del Sacro Romano Impero erano ormai lontani e quanto al pangermanismo (come al panslavismo) ce sont l de grands mots. Comme les feux follets, quand on court sus, on, les fait reculer15 . Erano, dunque, idee simili a quelle del Blanc, espresse con pi forza e perentoriet e, anche, continuit, come che da allora, e per anni, il de Launay non desistesse mai,

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nei molti rapporti e lettere private che da Berlino rivolgeva al ministero o ai colleghi, come il Robilant, dal ritornare sul suo chiodo fisso: mostrar i denti alla Francia, farle smettere le arie di superiorit che ancora affettava16 . Convinto, fin dal luglio del 70, della vittoria prussiana17 ; convinto pure e mal non sapponeva che lAustria avrebbe finito col ricercare lamicizia germanica18 , egli poteva con particolar calore e forza di persuasione dar presso che ebdomadario sfogo al suo rancore contro la Francia: dove, certo, agiva sotto anche il molto umano risentimento personale, ma dove per il motivo privato veniva riassorbito in una motivazione assai pi generale, la necessit di riscattarsi dalla soggezione francese, che a sua volta faceva del de Launay uno dei molti esponenti di una gran corrente che attraversava tutta la storia italiana dellOttocento. Se nel Blanc trionfo della Prussia e trionfo della civilt industriale facevano tuttuno; se dunque in lui il motivo economico gi emergeva in primo piano e la sua realt somigliava assai alla realt delluomo daffari, nel de Launay quellapprezzamento mancava, ma risorgeva invece con maggior veemenza il ben pi antico motivo gallofobo che aveva contrassegnato tana parte del pensiero italiano nellet del Risorgimento. Come agli albori della nazione germanica erano state, nel 700, da Justus Mser allo Herder, la reazione contro la civilisation francese e le sue pretese di tutto uniformare a s, e lesaltazione dei Germani primitivi, dei vecchi e buoni costumi dei Sassoni; cos, con indubbio parallelismo, anche agli albori della nazione italiana era rifluita, tra molte polle sorgive, quella della gallofobia: chera, nuovamente, un mezzo per difendere la propria personalit nazionale e impedire chessa venisse soffocata in sul nascere dalla pedissequa imitazione di cose altrui. Questo aveva detto lAlfieri, esaltando non pur in genere la necessit degli od nazionali, ma, proprio per

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lItalia, la necessit dellodio contro la Francia, presupposto indispensabile della sua politica esistenza, quale si fosse per essere19 ; e questo aveva anche significato, con molto minore eccesso di parola, il Saggio Storico del Cuoco. Ed eran poi succeduti il Mazzini e il Gioberti del Primato e il Pisacane20 : ora predominando nella polemica anti-francese i motivi puramente culturali, tanto vivi in un Leopardi, ora gi passando in primo piano i motivi propriamente politici. Lo stesso insistere su antichi primati italiani aveva una evidente intenzione anti-gallica, rivelava questo bisogno di salvar se stessi e la propria vita spirituale, difendendosi da quella che sembrava fatalit in Europa, limitazione degli esempi francesi, buoni o cattivi che fossero21 . Cavour e lalto apprezzamento della civilt franco-inglese, di cui si era nutrito il pensiero liberale italiano; il 59 soprattutto sembravano dovessero far tacere quel vecchio motivo. Ma non era cos: il filone antifrancese, sempre rinfocolato da Mazzini, aveva ricevuto nuovo alimento dopo il 60, anche fuor delle ire mazziniane, e non solo a cagion di Mentana, bens per il complesso generale degli eventi, in cui la personalit morale e politica del giovane regno appariva dominata, umiliata, oppressa da quella della pi vecchia, grande, potente Francia. Il protettore e il vassallo. Onde non solo il Mazzini persisteva nellavversione alla Francia ma anche un uomo di sentire diversissimo come il Ricasoli riteneva gran guaio linfluenza francese sullItalia. La Francia sotto ogni forma di governo ci fu di molestia e danno; e or con la sua politica, or con le sue rivoluzioni, or con i suoi interventi militari, tenne avvinto al suo carro volubile e irrequieto il pensiero politico e sociale del popolo italiano, per cui fu sempre servile di Francia, mentre pi gridava contro Francia. questo un fato maledetto per noi. E questo non sapere essere Italiani, questo mancare del proprio nostro genio, questo ferire di continuo nei nostri procedimenti lindo-

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le vera nostra, per imitare come fanciulli le cose francesi, e lo spirito degli ordinamenti francesi, cagione perenne di debolezza e di scontento per noi.22 . Il Ricasoli, che non era certo un anti-francese di indirizzo politico23 , che ben riconosceva il valore degli affetti suggellati col sangue nel 185924 , ma che voleva salvaguardare la personalit della nazione italiana, lanimo e lo spirito del proprio popolo, sulle orme di Alfieri e Leopardi, come tutti i moderati toscani, dal Capponi al Lambruschini, era avverso allimitazione delle foggie straniere25 : tanto vero, dopo il 70 si sarebbe allarmato per il prevalere delle dottrine germaniche in Italia, ancor pi lontane delle francesi dallanima italiana26 . Cos, nella preoccupazione per la servilit alla Francia potevano, un momento, concordare tendenze per tanti altri riguardi diversissime, il rivoluzionarismo di Mazzini, che alla Francia dell89 rimproverava di esser stata non linizio di una nuova epoca, ma la conchiusione di un periodo storico, e il conservatorismo di Ricasoli, che deplorava la scomparsa di fede e di autorit dopo la rivoluzione, avversava lo spirito giacobino e si inquietava per la esagerazione insipiente data ai principii dell8927 . A questa gran corrente si ricollegava dunque anche il conte de Launay, conservatore, conservatorissimo, amante dellautorit e immalinconito nel constatare la carenza di essa ai suoi giorni, convinto con il Guizot che de nos jours ce nest pas la libert qui a besoin de dfenseurs, mais lautorit28 . , il suo, un antifrancesismo poco vario di elementi, spoglio di valori culturali e morali, circoscritto unicamente al pi immediato ed elementare dei problemi, quello politico. I dodici anni da Plombires a Sedan pesano duramente, per lui, come per molti altri, sulla individualit del giovane regno: sentite la rivolta che prorompe infine, non appena si presenti loccasione propizia, contro uno stato di cose sempre pi malamente tolle-

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rato, la stessa rivolta vibrante nel detto, assai in voga nellagosto del 70, ci ho gusto che ai Francesi sia toccata una buona lezione; erano troppo superbi29 , e che, accresciuta da nuovi motivi di astio, Tunisi, la guerra economica, Aigues Mortes, continuer a fermentare nel cuore di tanti Italiani, sempre in sospetto di esser trattati dalla Francia come pupilli, sempre pi acerbi verso la sorella latina e finalmente tratti a desiderare loccasione di poter non solamente assistere alle buone lezioni da altri impartite alla Francia, bens addirittura di poter dare, essi stessi, una buona legnata ai Francesi, secondo ebbe ad esprimersi, un giorno, la regina Margherita, tanto cara per la sua bionda mitezza al Carducci30 . Si aggiungeva in lui quel che era pure in molti Italiani, allora, in tutti anzi i patrioti, e rimase a lungo ed nuovamente motivo che profonda nel passato e si connette con le vicende di formazione dellItalia unita: un senso cio di dolore cocente, di amarezza e di rabbia, al ricordo delle vicine sconfitte militari, di Custoza e di Lissa che, con Novara, eran destinate a pesare assai duramente sulla riputazione internazionale del regno. Ingenerosamente spesso, e spesso anche ingigantendo le proporzioni, se ne valeva lopinione pubblica europea non disposta a riconoscere meriti militari agli amabili Italiani, anzi disposta semmai a proclamare, con Ippolito Taine, che lItalia, troppo latina e municipale nella sua storia, era rimasta estranea alla fedelt del vassallo, di germanica scaturigine, allonore del soldato che aveva formato i grandi Stati moderni, e priva dunque di spirito militare31 ; o, al massimo, con i pi benevoli come il Treitschke, che lItalia per divenire davvero una grande potenza aveva bisogno di battersi32 . Ma anche lItalia si sentiva pi fortunata che grande33 ; sentiva che certe ferite non si rimarginano facilmente, che un popolo giovane non pu accettar certe sconfitte, senza desiderare di poter conseguire anche la

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gloria militare, consacrazione dellesistenza di una nazione giovane34 ; e non tutti pensavano, come il Jacini, che se era naturale ci cuocesse il ricordo del 66 e si desiderasse di avere un giorno o laltro occasione di fornire al mondo prove decisive dellintrepidezza italiana sui campi di battaglia a pro di una causa giusta, non si doveva per cercare ad ogni costo di far nascere tale occasione, scorgere in ogni mosca che vola una occasione, quasich loccasione fosse indispensabile per seguitare a vivere35 . Pi duno, invece, se narrovellava36 , gi disposto a desiderare, assai prima del dannunzianesimo, il lavacro degli eroi, il tiepido fumante bagno di sangue37 , come lunico mezzo per far grande davvero un paese che usciva da secoli di schiavit. Ci voleva una grande vittoria38 : ma intanto si sentiva di essere sotto il peso di un non lusinghiero ricordo: checch si dica e checch si faccia avvert un giorno il Nigra, che non era sicuramente un guerrafondaio noi siamo ancora, in Europa, sotto limpressione di Custoza e di Lissa. E questa situazione pu durare pur troppo finch lItalia abbia avuto la fortuna di cancellare su altri campi di battaglia gli errori di La Marmora e le colpe di Persano. Il che vuol dire che lItalia per causa di quegli eventi, si cov dallora in poi e si trova anche ora nellalternativa di rimanere sotto il peso di immeritate sconfitte o di desiderare dessere travolta in una grossa guerra, per aver loccasione daffermare la sua forza militare39 . Palestro e San Martino, Calatafimi e il Volturno, Castelfidardo e il Tirolo non possono far dimenticare le nostre sconfitte, ammoniva Crispi; le stupende pagine della storia militare italiana sono sublimi episodi in un poema, ma non sono un poema40 . Perfino uomini noti per il loro antimilitarismo in genere sentivano che qualcosa mancava allItalia nuova, ed era per lappunto la gloria delle armi: e non ultimo lo osserv il bardo della democrazia, il Cavalloni, il quale esort i colleghi deputati a non dimenticare che lItalia da quindici

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anni sconta antera nella sua posizione in Europa, sconta ancora e amaramente il castigo della mancata fortuna delle armi; e finch questa fortuna un giorno non le sorrida in qualche battesimo cruento, non avr mai tra le nazioni quel posto che sia degno dei suoi nuovi destini41 . Pi duno dunque credeva che soltanto una complicazione europea, che conducesse alla guerra, potrebbe suscitare nel nostro paese le forze che restaurano e dan vigore alla vita dei popoli42 ; credeva che lo Stato organico, la convivenza riposata, per ora vagheggiabili come una augurata visione, si sarebbero potuti ottenere solo quel giorno che una grande e nuova riscossa virile, una seconda pruova di armi e di sangue abbia ridato allItalia il vigore che ora par che le manchi, di risentirsi tutta, e di provvedere con ordini e con riforme vitali al suo pi degno avvenire43 , Oriani non era ancor giunto, con la sua invocazione alla guerra forma inevitabile della lotta per la vita, al sangue la migliore delle rugiade per le grandi idee, con il suo auspicare un conflitto, unica arra dellavvenire dItalia, che, rendendole i confini naturali, cementasse allinterno con la tragedia di pericoli mortali lunit del sentimento nazionale44 : e gi le idee di Oriani erano nellaria. E non era nemmeno uno stato danimo totalmente nuovo, di dopo il 66, se gi a far desiderare quellaltra guerra e a render popolare lalleanza prussiana nella primavera dellanno di Custoza, era stata potente la speranza in unoccasione di affermare anche militarmente lesistenza della nazione, mentre lacquisto della Venezia per semplici accordi diplomatici avrebbe lasciata lItalia rassegnata, ma non soddisfatta45 . Bisogno di creare unanima guerriera, e cio di alzare il tono della vita morale di un popolo da secoli avvilito: per questo, prima ancora del 66, prima ancora del 59, sera cos frequentemente evocata la antica grandezza militare degli Italiani, maestri di guerra al mondo, co-

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me monito per guarire con pi nobili passioni le molli passioni che avevano fomentato le piaghe dei secoli di servit46 ; per questo il Pisacane aveva visto nel problema militare il necessario punto di partenza per la creazione di unItalia capace di vera e duratura rivoluzione47 , per questo era salito a poesia il ricordo deglItaliani in Russia nel 1812, ne quali era riapparso lantico valore italico pur se in lontane contrade e per una causa altrui, o compiacentemente sera ripetuto il detto di Napoleone sugli Italiani che sarebbero stati, un giorno, i primi soldati del mondo; per questo il dAzeglio aveva contrapposto a quadri e alle statue delle altre regioni dItalia la Galleria di battaglie del Piemonte, battaglie ora vinte ora perdute, ma le sole che impedissero loccupazione dItalia dallo straniero, quelle, che terminando con S. Martino, hanno spezzate finalmente le catene comuni48 ; per questo, Cesare Balbo avrebbe dato tre o quattro Alfieri o Manzoni o anche Danti o altrettanti Michelangeli e Raffaelli per un capitano che si traesse dietro dugento mila Italiani, a vincere od anche a morire49 . Ma lesperienza recente troppo era stata distruggitrice di sogni; n solo per Custoza e Lissa, bens anche per la non grande volont di combattere in molte parti dimostrata, per quella riluttanza allandar soldato largamente diffusa e non ultima fonte di guai anche interni per il nuovo regno50 . Tanto pi acre e premente perci il fantasma della grande prova bellica, come necessario e non ancora conseguito suggello morale dellunit materiale dItalia. E ancora: un Crispi poteva almeno trovar conforto nelle prove di eroismo popolaresco, evocare le grandi date luminose delliniziativa popolare nel Risorgimento, le Cinque Giornate, Roma, Venezia, Calatafimi, il Volturno. Ma simili conforti mancavano al monarchico conservatore de Launay; il quale non poteva, nemmeno lontanamente, far la debita parte ai movimenti insurrezionali

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e popolari, a Mazzini e a Garibaldi. Il Risorgimento per lui era lazione politico-militare della monarchia sabauda, e nientaltro: il resto, anzi, eran quelle tendenze libertarie cos dannose al principio di autorit e da tener ben in freno. Tanto pi pertanto lItalia unita gli appariva scarsa di gloria militare. Stato vassallo della Francia, sino a quei giorni, e senza riputazione bellica; bisognoso dunque di riscattare, di fronte allEuropa, la lunga soggezione e di provare in maniera inconfutabile la sua virt guerresca, il regno aveva per il de Launay una sola via maestra innanzi a s, lavvicinamento alla potente Germania, la nazione dellavvenire, e lallontanamento dalla Francia, sino a porlesi contro. S, fino a porsi contro la Francia: il pensiero del savoiardo era bene riassunto in unaffermazione che gli sgorgava dal cuore allinizio del 1872: lItalie ne sera vraiment atnalgame, le prestige de lAutorit ne sera vraiment constitu sur desbases solide preuve, que par une grande guerre contre la France51 . Necessit di una grande guerra, che saggiasse a dura prova e perci cementasse lunit morale del popolo italiano: ci intuiva il de Launay, e lavvenire gli avrebbe, in questo, dato ragione, anche se per vie e modi del tutto diversi da quelli chegli vagheggiava, anche se la lotta si sarebbe svolta, e a pi gran distanza di tempo di quanto egli non sospettasse, non gi contro la Francia, bens contro lAustria-Ungheria e la Germania stessa, saldando vittoriosamente sul Piave il conto malamente aperto, cinquantadue anni prima, sul Mincio. Ma anche questo precisare il grande evento bellico dellItalia, anche lappello alla guerra contro la Francia non eran proprio caratteristici del solo de Launay: nuovamente, latteggiamento e le parole del ministro di Vittorio Emanuele II a Berlino non erano oh, certo, a sua insaputa! che episodi di una pi ampia e generale sequela di pensiero, tanto che lespressione di un conservatore accanito, odiator

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di socialismo quale egli era, poteva richiamare un monito consimile sgorgato invece dallanima del patriota che pi di tutti era stato nel Risorgimento lannunziatore di socialismo e aveva asserito che il secolo XIX sarebbe stato famoso nei fasti dellumanit non gi per la servile e codarda schiera dei dottrinanti scaturiti dal suo seno, ma perch in tal epoca il socialismo, daspiratione fattosi sentimento, ebbe partito, ed avr attuazione52 . Gi il Pisacane, vivacemente polemizzando contro coloro i quali additavano nella Francia la protettrice dellItalia e predicavano la fratellanza delle due nazioni, aveva infatti concluso: perch si attui la nostra fratellanza con la Francia, bisogna combatterla e vincerla, o almeno indispensabile, che in parit di circostanze e di forze, sul medesimo campo di battaglia, contro un nemico comune, meritassimo la palma in una nobile gara di gloriose gesta53 . Certo, non per prostrarsi alla Prussia il de Launay gioiva che lItalia avesse smessi gli inchini alla Francia: per quanto grande fosse la sua ammirazione per il sole nascente, egli non avrebbe mai voluto, deliberatamente, far la parte del vassallo del re di Prussia: ammoniva, anzi, che se mai la Germania avesse voluto esercitare in Italia uninfluenza eccessiva, sarebbe stato egli il primo a consigliare una certa rigidezza, per opporre una diga a qualsiasi pretesa, da parte sua come di ogni altra potenza: Avec un caractre tel que le comte de Bismarck et des hommes dEtats qui seraient forms son cole, on se perd par une condescendance au del des limites du fuste et du raisonnable54 . Chacun matre chez soi55 . E ancor pi tardi ribatt chera meglio non legarsi alla Germania con un trattato formale di alleanza, essendo assai pericoloso navigar di conserva con un uomo come il Bismarck, dai grandi meriti, ma di uno scetticismo capace di improvvisi mutamenti di giuoco, tali da scompigliare tutti i calcoli: un uomo chegli ammirava assai, ma

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senza illudersi su di un suo presunto filoitalianismo, e in questo tanto pi acuto giudice degli uomini della Sinistra convinti, invece, che il Cancelliere di ferro spasimasse damore per lItalia56 . Meglio lasciar lavorare le cose, attendere i risultati dalla forza degli eventi: lalleanza era in re, esisteva virtualmente, ci chera assai preferibile ad un trattato su pergamena. Ed era, fuor di dubbio, sincero in queste sue affermazioni. Soltanto, il difficile sta poi sempre nel fissar i limiti del juste et raisonnable; e il pericolo cera che lammirazione per il nuovo astro e soprattutto la avversione a Francia57 non protraessero per avventura quei limiti troppo pi in l di quel che non fosse nel preciso interesse dellItalia. Tant vero che, pur in quei giorni del febbraio 1871, quando i rapporti tra Berlino e Roma erano freddi, il de Launay dimostrava di non credere non solo alla possibilit di tendenze egemoniche da parte del Cancelliere, allora tanto temute, ma nemmeno alla minaccia di immistioni germaniche nella politica interna degli altri Stati, sullesempio napoleonico58 : dando per tal modo prova di un robusto ottimismo, che gli eventi del 74 e del 75 e le vicende dallora dei rapporti italo-germanici avrebbero messo a dura prova. Cos, anche nel de Launay veniva in luce, assai pi fortemente calcato anzi, lo stesso orientamento fondamentale del Blanc: soddisfazione per il crollo dellegemonia francese che aveva tenuto al laccio lItalia unita, e per lindipendenza morale che questultima si acquistava; ammirazione e compiacimento per lopera del Bismarck, verso il quale dunque si doveva indirizzare la politica dei ministri di Vittorio Emanuele II59 . E anche in lui, logicamente, si potevano avvertire i chiari segni di un modo di pensare tendente ad apprezzare sempre pi la realt, solida e vigorosa, contro i sentimentalismi: ond chegli riferisse col tono di chi ammonisce, le decisioni bismarekiane di cercar la sicurez-

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za pel futuro non nelle disposizioni del popolo francese, ma in precise garanzie materiali, Alsazia-Lorena e indennit di guerra schiacciante. Un politico realista di pi. Spogliata della passionalit del de Launay e investita di un contenuto, ancor pi che politico, morale e culturale, con pi profonda e larga aderenza quindi alla gran corrente di cui s detto, la preoccupazione per una soverchia influenza francese in Italia aveva determinato anche lorientamento di un ben pi robusto ingegno, qualera quello di Quintino Sella. Non un diplomatico, come il Blanc e il de Launay, ma un uomo di governo, anzi una tempra vera di uomo di Stato: nel quale, pertanto, il motivo meramente istintivo e passionale veniva relegato completamente nello sfondo, senza capacit duratura di influire sul giudizio. E non erano quindi tanto le simpatie, pur vivissime, per la Germania e i suoi dotti60 , ad ispirare il suo atteggiamento politico, cos come le sue previsioni le quali, e ognuno lo sa, avevano colto nel segno, facendo di lui uno dei non molti Italiani che avessero in anticipo intuito il vincitore del duello franco-prussiano61 : ch anzi quelle stesse simpatie erano germogliate su un fondo gi diffidente verso la Francia e per ben calcolate ragioni. Risaliva infatti agli anni del perfezionamento a Parigi, presso la Scuola mineraria, il giudizio nettissimo e deciso sul pericolo che linfluenza francese costituiva per lItalia: pericolo non solo dal punto di vista dei rapporti politici, s anche e soprattutto dal punto di vista della formazione morale e spirituale del popolo italiano62 . Giudizio maturato sotto limpressione degli eventi del 48-49, delle non mantenute promesse francesi, anzi dellassassiniocompiuto contro la repubblica romana; forse, non immune da qualche reminiscenza diretta della gallofobia culturale del Gioberti e degli ambienti dal Gioberti dominati. Ma giudizio destinato a pesare anche

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inseguito sullatteggiamento del Sella, nonostante i debiti di gratitudine che il 59 imponeva, e chegli lealmente non avrebbe mai negati63 : e, gi presso il termine di sua vita, il sentire antifrancese ancora riappariva, fomentato da altri nuovi eventi contemporanei, ma confortato pure da ricordi storici, non ultimi il Vespro Siciliano e la antipatia che il suo caro Codice Mlabayla gli ispirava contro gli Angi64 . La simpatia per la Germania, alimentata dalla conoscenza diretta degli uomini e del paese, lentusiasmo per la scienza, cos caratteristico in lui, e quindi necessariamente per quel gran centro di scienza cherano i paesi tedeschi, facevano il resto. La risoluta e notissima opposizione del laniere di Biella alle velleit di Vittorio Emanuele dintervento affianco della Francia, traeva cos lunga origine e andava anchessa come quella del de Launay, ma con ben altra ampiezza di vedute assai al di l del momento singolo e dellepisodio diplomatico. E, anche in lui, scienza, economia, industria, progresso; e senso della forza che va rispettata e ripugnanza alle fantasticherie, al sentimento, a cui eran troppo proclivi gli Italiani; e ammirazione per gli uomini fatali, per i popoli fataliche nulla arresta65 . Pure al di l del momento politico e dellepisodio cercava di andare un altro italiano, uomo non di governo n di diplomazia, e nemmeno, in allora, partecipe attivo della vita politica, ma uomo di milizia e di studi, ingegno acuto, colto, proclive a cercar di risalire dallepisodio e dal particolare alluniversale, e a scoprire le leggi della storia nonch le direttive generali di unazione politica: Nicola Narselli, allora non ancora celebre per La Scienza della storia e per La guerra e la sua storia66 ; non ancora parlamentare, semplice maggiore dellesercito, insegnante alla Scuola Superiore di guerra, e autore de due libri su Gli avvenimenti del 1870-71; ne quali lopinione dei prussofili secondo si diceva trovava la sua formulazione pi pensata, sostanziosa e aper-

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ta. Un uomo che, una volta deputato, si sarebbe collocato nel centro e, come parecchi altri dei suoi coetanei, avrebbe vagheggiato e cercato di costituire un grande partito liberale-nazionale, di centro, con elementi della Destra progressista e della Sinistra moderata; un uomo, dunque, non propriamente della Destra, alla quale anzi non avrebbe risparmiato dure critiche: ma, e poteva essere sintomatico, grande ammiratore del Sella, per cui nutriva una specie di venerazione67 . E col Sella, infatti, si accordava pienamente il Marselli ne giudizi su Francia e Germania. Anche qui, il sostrato primo delle considerazioni era fornito dalla rivolta, politica, contro lo spirito prepotente e conquistatore della Francia, contro la soggezione italiana nel decennio post-cavouriano; e il primo sbocco del ragionamento, era, quindi, la proposta dellalleanza dellItalia con la Germania e la Spagna. Ma il carattere puramente politico-diplomatico del problema veniva ben presto superato, anche nel Marselli: il predominio francese deve tramontare, perch la Francia, troppo irrequieta, con le sue incessanti convulsioni e rivoluzioni minaccia continuamente la tranquillit europea, e dopo aver reso allEuropa leminente servigio di svegliarla quando sonnecchiava, ora la disturba col far fracasso mentre ella vuole studiare, lavorare, ordinarsi e progredire saggiamente. La Comune, lultima delle convulsioni in che la Francia vive dal 1789, con le sue fasi incendiarie ammonisce giunta lora, per lEuropa, di esser lieta che la direzione sfugga dalle mani francesi, e che lantico direttore dellorchestra europea scenda dal suo seggio per frammischiarsi tra i suonatori68 . Non pi unicamente trapasso di egemonia politica, bens, addirittura, mutamento potrebbesi dire di ritmo della civilt europea: ... se sotto le ruote del carro sociale a sistema francese, noi non porremo una scarpa a sistema germanico, il carro andr in mille frantumi69 :

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cio, in altri termini, abbandonare lideale francese di un progresso vorticoso, di una democrazia plebea, per lavorare di conserva colla Germania al trionfo della Democrazia armonica e del Progresso regolare70 . In che dovesse propriamente consistere la Democrazia armonica, di stampo germanico soprattutto, non riesce ben chiaro, ed da dubitare riuscisse molto chiaro allautore medesimo, nonostante le sue premesse storicopolitiche, il suo ricorrere, secondo uno schema allora e poi assai di moda, ai caratteri essenziali delle due civilt, la latina, che aveva espresso con Roma la sovranit dello Stato, e la germanica, che aveva apportato la signoria dellIndividuo eslege; nonostante il suo constatar compiaciuto che, con lo sposalizio della cultura e dello Stato forza ellenica luna, latina laltra con lindividualismo germanico e lorientalismo cristiano, lindividualismo era stato reso da quelle altre molecole del corpo europeo socievole, in modo da perdere le sue asprezze e pecche, e da trasformarsi nel nuovo individualismo, quello civile vero capolavoro moderno. Il nuovo impero, torreggiante nel mezzo del continente, usciva dalla fusione della Coltura sviluppata, dello Stato rafforzato, dellIndividualismo limitato, s da rappresentare larmonia tra la forza di conservazione e quella di progresso, tra la libera investigazione e il rispetto alla legge71 ; e avrebbe dunque potuto dare allEuropa lesempio della contemperanza fra la libert dellindividuo e lautorit della legge, fra lo sviluppo della libert della scienza e la libert della vita, fra lunit del centro e la vitalit delle membra, la forza militare e i diritti dellagricoltura, dellindustria, del benessere72 . Dunque, laurora di un nuovo periodo nella storia della civilt: larmonia pacata in luogo dellaltalena continua e violenta di rivoluzioni e reazioni, prodotta dal predominio francese; la seriet trionfante sulla frivolezza ... s, la seriet germanica, vera vincitrice della guerra e final-

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mente sopravvenente a riportar lordine nel caos73 . E un periodo, nel quale lItalia avrebbe potuto avere larga parte, contrappesando il conservatorismo un po troppo accentuato dellimpero germanico, il suo procedere un po lento secondo la natura delle persone gravi: quale avrebbe potuto essere, se non il popolo italiano, lamico della Germania capace di spingere un po, di accelerare i tempi, di costituire il necessario elemento progressivo bene accordato con il necessario elemento conservativo? Ecco lora giunta: spunta la terza civilt italiana; si schiude il terzo periodo storico per la penisola ... e questo periodo vedr Italia e Germania proceder congiunte, aprendo ai popoli europei le vie del progresso armonico74 . La missione delluna si allaccia strettamente alla missione dellaltra. Cos, dal motivo contingente della vittoria delle armi prussiane il Marselli, che proprio allora stava maturando la sua nuova professione di fede positivistica, pur senza mai riuscire a strapparsi di dosso la camicia di Nesso della metafisica, e quindi, come il Sella, univa il rispetto alla scienza con il rispetto alla forza, il Marselli risaliva ad una visione generale della civilt europea, presente ed avvenire. Visione, certo, piena di luoghi comuni, indulgente di soverchio a viete formule della scienza tedesca, come quella dellindividualismo germanico75 ; tuttaltro che chiara anzi nebulosa parecchio in taluni dei concetti informatori; troppo corriva a far propri dei vecchi luoghi comuni e ad assumere tono moraleggiante, secondo avveniva con lesaltazione della seriet germanica in luogo della frivolezza francese: poich qui riappariva il vecchio schema, caro gi alle settecentesche polemiche antifrancesi contro la politesse, fatta sinonimo di superficialit e corruzione76 , riapparivano gli ormai rituali precetti della corruzione francese, a cui avrebbero fatto contrasto i puri e innocenti costumi dei Germani, che non erano pi quelli di Tacito, ma che venivano ancora adornati

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di molte delle virt da Tacito gi generosamente donate ai discendenti di Arminio per fustigare la corruttela della corte imperiale romana. Forse che proprio di quei giorni tali schemi non venivano generalmente rimessi a nuovo come spiegazione moralistica del crollo del Secondo Impero, anzi della nullit e impotenza della Francia, che alla dissoluzione morale doveva anche linstabilit degli ordinamenti politici e il trapassar dalle rivoluzioni al dispotismo?77 Da gran tempo Parigi, la vecchia Babilonia, ostentava le sue grazie imbellettate per eccitare i sensi dei suoi adoratori78 ; Berlino era la seriet, la morigeratezza, la virt: e non era anche il puritano risentimento contro la corruzione e limmoralit di Babilonia che aveva ispirato alla rigidissima regina Vittoria la sua avversione contro la Francia napoleonica?79 . E il vecchio e sempre moralistico Gino Capponi non trovava forse bene che il demi-monde parigino ricevesse una lezione80 ; e un altro storico, non pi di Firenze ma delle Compagnie di ventura e della monarchia sabauda, non scopriva forse anchegli che causa del crollo francese erano i vizi morali vivere disordinato, folli spese, speculazioni temerarie, passioni che qu mettono al concubinato e alladulterio, col al suicidio e al duello, calcolato restringimento della prole, libri e spettacoli corruttori?81 . Anche, quella visione era assai pervasa di senso militaresco della forza, ricopriva quindi certa tendenza autoritaria, certo vagheggiamento dello Stato forte, che in effetti il Marselli avrebbe poi pienamente rivelato nelle sue critiche alla politica italiana; e gi poco pi tardi, sdegnato per il dormire di tutti in Italia, egli avrebbe augurato allItalia metodi bismarckiani per guarire le piaghe del paese, scettico, impassibile anche di fronte ai pi gravi problemi82 . Ma insomma un tentativo di inquadramento dinsieme cera, riuscito o meno che fosse. Il de Launay era ri-

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masto sul terreno strettamente politico: il Blanc ne usciva gi parzialmente, con la sua ammirazione per le forze nuove, e cio leconomia, in cui cera come laperto presentimento di nuovi modi di vita e di pensiero; il Sella vedeva il problema della reazione allinflusso francese su di un piano generale italiano, culturale e politico. Ma solo il Marselli poneva, esplicitamente, il problema come problema di civilt europea, come necessit di un ordine nuovo per tutti: nella mente di questo intelligente colto militare di mestiere, dallo studio dei fatti darmi succedutisi tra lagosto 1870 e il gennaio 1871 sgorgava tuttun sistema nuovo, politico culturale morale. Non si trattava pi di semplice spostamento dellequilibrio politico della vecchia Europa, bens di un profondo rinnovamento ab imis di tutto ledifizio. Una siffatta elevatezza di tono, possibile daltronde ad uno studioso ancora al di fuori della polemica politica e delle lotte di parte, era certo difficile da riscontrare quando si ritornasse in mezzo ai partiti, nel pieno della battaglia politica, e si passasse soprattutto nel campo della Sinistra, laddove le correnti filoprussiane avevano maggiormente attecchito. Senza dubbio, nella gioia per la caduta dellimpero napoleonico e nel perdurante odio contro limperatore vinto, si facevan luce anzitutto motivi ideologici di partito. Mentre, cio, per un de Launay e anche per un Blanc, linflusso francese era stato deleterio non perch bonapartistico, bens perch francese, e deleterio sarebbe stato pur se, al posto delluomo del 2 dicembre, ci fosse stato un sovrano legittimo o un presidente di repubblica; mentre per un Ricasoli la Francia era stata dannosa allItalia sotto ogni forma di governo, ed anzi proprio alla mentalit giacobina democratica repubblicana irreligiosa eran da attribuire i guai maggiori, per gli uomini della Sinistra in genere a non dir del partito dazione, lostilit alla Francia era anzitutto ostilit al bonapartismo.

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Che la Francia si fosse interposta tra la volont nazionale e Roma, questo aveva offeso un de Launay non meno di un Crispi e di un Cairoli83 ; ma che tal fatto si fosse verificato adopera del tiranno Napoleone, delluomo del 2 dicembre, del conculcatore della libert, questo aveva esasperato soltanto i Crispi, Cairoli e compagni. A quali, anzi, poteva fin dolere che il bonapartismo fosse caduto sotto i colpi dello straniero, in seguito ad una guerra, dato che sarebbe spettato alla Francia il liberarsene84 : stabilendo dunque, essi, una netta distinzione tra il popolo francese e il suo tanto avversato tiranno, tra le colpe dellimperiale usurpatore e la Francia, quella almeno erede dei princpi dell8985 , sino a giungere allaffermazione che la Francia soffre; ma la democrazia ha vinto una grande causa86 . Qui, dunque, non si trattava pi dei soli rapporti di potenza Francia-Italia, bens di un problema generale ideologico, dideologia di partito: il bonapartismo voleva significare, infatti, non solo opposizione allandata dellItalia a Roma, bens imposizione, alla stessa Francia in primo luogo e poi allItalia, serva delle Tuileries, di un sistema morale, di tutto un complesso di idee e di consuetudini, di un modo particolare di giudicare, di pensare, di sentire, insomma di tutta uneducazione, il cui frutto era lanima da schiavo del partito moderato italiano87 e la sua politica servile verso lo straniero, secondo sfugg detto al Crispi ancora nel 1891, in una celebre seduta alla Camera88 . Si era nuovamente seppur con assai diverso spirito sullo stesso terreno su cui il Marselli portava per conto suo la discussione; si parlava di sistemi morali e politici; si contrapponevano due mondi, di valori inconciliabili fra loro. Ma da simile punto di vista sarebbe poi dovuta sgorgare una logica e immediata conseguenza: caduto Napoleone III, crollato il bonapartismo, separatasi la causa del-

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la Francia da quella del vinto di Sedan, come mantenersi ostili alla risorgente repubblica, cui Gambetta animava con il suo possente eloquio? Come non simpatizzare con la Francia, dato che essa, non fosse stata la violenza usurpatrice del Napoleonide, si sarebbe fin dal 1852 pacificamente riordinata nella libert, rendendo lieti e fortunati di sua amicizia i popoli dellEuropa?89 . Questo rivolgimento avveniva infatti nellanimo di Garibaldi e del Carducci: luno e laltro, il semplice e magnanimo uomo dazione, e il poeta allora pi che mai tutto irruenza caduto luomo del 2 dicembre non avevano visto pi altro che la Francia dell89, la rigeneratrice del genere umano, la nazione sorella. Gi nel luglio, quando pure tutto il partito dazione era decisamente prussofilo, pronto magari a collaborare col Bismarck e ad offrirgli il prezioso aiuto di movimenti insurrezionali allinterno della penisola, qualora il governo di Vittorio Emanuele minacciasse davvero di voler intervenire a fianco di Napoleone III, gi nel luglio Garibaldi non aveva taciuto del dispotismo mascherato del governo di Berlino90 ; ora, il 7 settembre, si rivolgeva agli amici, per dichiarare Ieri vi dicevo: guerra ad oltranza a Bonaparte. Vi dico oggi: sorreggere la Repubblica Francese con tutti i mezzi91 , e poi partiva, per sostenere il solo sistema atto ad assicurare la pace e la prosperit delle nazioni, per difendere la patria dei princpi dell89 in pericolo. Scomparso Napoleone, diventava dovere dellItalia di volare in soccorso della Francia92 . Con la sua istintiva e lineare, ma tanto pi profonda sensibilit per i fattori morali, luomo di Caprera traeva senza esitare le conseguenze logiche del suo atteggiamento di prima. E come lui mutava completamente fronte il poeta, che voleva tener dritta, nel campo dellarte, la bandiera di Roma e di Marsala, di Aspromonte e Mentana93 , e che avrebbe ricordato, sempre, il triste novembre del

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triste anno 1870, quando i prussiani circondavano Parigi e a lui mor il bimbo94 . Alla imprecazione contro il masnadier di Francia, limperial Caino, al brindisi pel
d che tingere dee di tremante e luteo pallor loscena guancia95

succedeva lesaltazione del 78 anniversario della Repubblica Francese, proprio il 21 settembre 1870; e tiranno, contro la Francia, diventava il governo regio di Prussia.
Ma il ferro e il bronzo de tiranni in mano; E Kant aguzza con la sua Ragion Pura il freddago del fucil prussiano, Krner strascica il bavaro cannon.

Un anno e mezzo pi tardi, ricordando lepopea garibaldina in terra di Francia, il Carducci dava forma di discorso ragionato a quei suoi impulsi e fantasmi poetici, contrapponendo alla vecchia casa feudale di Brandeburgo, avida di conquista, la democrazia, che non poteva dimenticare il 1789, non poteva porre in non cale il fatto che la libert e la filosofia avevan preso le mosse da Parigi per correr tutta lEuropa, e che dovunque un soldato francese sepolto, poniamo pure che morto per la violenza del momento anzi che per la libert ... ivi la terra ha ribollito poi sempre di rivoluzione .... E, procedendo oltre, sulla base dei princpi della democrazia, vedeva nuovamente il poeta, come certezza del futuro, la confederazione, morale-ideale in un primo tempo, delle genti latine, sorelle nella lingua, nelle tradizioni, nelle istituzioni, nellarte, confederazione che era un fatto di natura: e cos sognando e vagheggiando salutava in Garibaldi e nei suoi compagni di Digione la primavera sacra italica96 .

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A questi due uomini, che in un certo senso potrebbero dirsi al di fuori dei partiti, e sicuramente erano fuori della disciplina formale di partito, a Giuseppe Ferrari, che convinto inizialmente della vittoria francese97 , in dieci giorni, nellagosto del 70, si sentiva invecchiato di dieci anni98 , altri sunivano, di minor nome ma gi di pi stretti vincoli con lazione parlamentare della Sinistra: e tale era Riccardo Sineo, il cui intervento a favore della Francia, nella discussione alla Camera il 21 gennaio 1871, era cos pronunziato da indurre un altro dei deputati della Sinistra, Luigi La Porta, a precisare che quelle erano le opinioni personali del Sineo, e non di tutti i suoi amici della Sinistra99 . Lo stesso Agostino Bertani, che nella seduta della Camera, il 20 agosto 1870, aveva battezzata la Germania antesignana del progresso e della civilt100 , mutava poi opinione di fronte alla Francia repubblicana e finiva con lo scandalizzare il Mazzini, scrivendogli, nel gennaio del 1871, che se v scintilla di speranza per lItalia dalla Francia101 . Pi importante di tutti, per i futuri sviluppi della politica italiana e la parte che in essa avrebbe avuto, latteggiamento di Felice Cavalloni, il cui fratello Giuseppe, garibaldino in Francia, morena in seguito a ferite il 23 gennaio 1871. Il suo giornale, Il Lombardo, fissava infatti con la massima chiarezza lantitesi tra la Francia generosa, madre di civilt e di libert, e lusurpatore Napoleone. I moderati avevano simpatie per la Francia imperiale, la Francia che ci umiliava, con la servilit pi obbrobriosa; noi questa Francia, ossia questo pugno di miserabili che ne bestemmiava il nome e mercanteggiava il sangue, labbiamo combattuta. S, noi abbiamo aspettato che la Francia vera si presentasse, purificata e fatta grande dallespiazione e dalla sventura, per far causa comune con lei. Abbiamo aspettato che la sua fosse una causa di una nazione, e non di un uomo; della giustizia e non del-

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la conquista, della libert e non del dispotismo. Abbiamo aspettata per dir benedette le armi francesi, che esse fossero le armi di un popolo e le armi della civilt.102 . Benedette, ora, le armi francesi; benedetta la repubblica francese; che rappresenta il diritto e la libert dei popoli, ripetevano altri minori103 . Tutti daltronde gli uomini dellopposizione dovevano attenuare, dopo il 4 settembre del 70, le loro simpatie prussiane: vuoi perch sinceramente e profondamente fossero venute meno le loro ragioni dodio contro la Francia, una volta caduto lImpero, e il fascino della parola repubblica su parecchi di essi trasformasse la guerra in guerra di principi, di libert repubblicana contro la monarchia prussiana invaditrice, secondo avrebbe invece deplorato il Mazzini104 ; vuoi anche perch, di fronte al crescente determinarsi di simpatie popolari per la Francia, dopo Sedan, giudicassero poco opportuno, ai propr fini politici, sembrar chiusi in una pregiudiziale rigidamente e totalmente antifrancese; vuoi infine perch la gioia dei borbonici e dei clericali nel veder crollare il sostegno europeo dellusurpatore italiano, ammonisse che ci doveva essere qualcosa di guasto in ci che a lor nemici piaceva tanto105 . Non solo in Italia, dove lopinione pubblica, filo-prussiana allinizio, aveva subito rapida evoluzione106 , ma in tutta Europa la prosecuzione della guerra faceva pender la simpatia pubblica a pro dei Francesi: sia perch era generale persuasione che la causa del conflitto fosse da ricercare esclusivamente nellambizione e nella prepotenza di Napoleone III, e che pertanto, caduto il gran responsabile, nessun legittimo motivo pi giustificasse la sanguinosissima mischia107 , sia perch lopinione pubblica europea avvertiva, con sgomento, una durezza e consequenziariet della volont tedesca di vittoria, come sin allora non sera mai veduto. Il bombardamento di Strasburgo, quello, pi tardi, di Parigi sembrarono mostruosit ad una generazione che nul-

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la di simile aveva visto, n ricordava108 : non certo la campagna del 1859 e nemmeno quella del 1866, cos prontamente conchiusa, potevano aver preparato gli animi ad una tanto implacabile, fredda e logica persistenza nella lotta, con tutte le crudelt che ne derivano. A siffatte preoccupazioni sentimentali si aggiungevano e sovrapponevano le preoccupazioni di carattere politico, presso tutte le grandi potenze: ora la vittoria prussiana passava i limiti desiderabili; Bismarck eccedeva, divenendo troppo potente, lui e il suo impero. LEuropa perdeva una matresse, come si disse, ma acquistava un matre. Cos che lopinione pubblica veniva rapidamente evolvendo a favore della Francia, anche nei paesi inizialmente meglio disposti per la causa prussiana, quali la Russia e lInghilterra109 . In Italia, dove gi le propensioni della stragrande maggioranza del paese per la neutralit che andava a favor della Prussia non avevano tuttavia impedito, sin dallinizio, che si facesse luce un movimento di simpatia per la Francia, gli eventi bellici successi a Sedan accrescevano il senso dorrore per quella che si giudicava ormai inutile strage. E allidea del bombardamento di Parigi si commuovevano privati, giornali ed enti culturali110 : nella seduta del 24 novembre 1870 era lIstituto Lombardo di Scienze e Lettere ad esprimere il desiderio che nelle imminenti operazioni belliche si avesse riguardo ai tesori darte racchiusi nella capitale francese; e vi faceva seguito, il 31 dicembre, la Societ Reale di Napoli, che pregava il Visconti Venosta dinterporre i suoi buoni uffici presso il Bismarck, allo stesso fine111 . Voti e pratiche destinati, sintende bene, a restar senza effetto alcuno: voto uguale a quello dellIstituto Lombardo aveva emesso lAccademia di Dublino, ma lUniversit di Gottinga, invitata ad associarvisi, aveva risposto, a mezzo del vice-rettore Riccardo Dove, in modo cos brusco e tron-

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fio ad un tempo, che lo stesso segretario prussiano agli Esteri, von Thile, doveva ammetterne leccesso par lpret de sa parole112 . Il mito della solidariet degli uomini di scienza, uniti nel culto del bello e del vero al disopra delle barriere politiche, subiva, anchesso, rudi colpi in quei mesi dun inverno rigidissimo, pel fisico come pel morale113 . Ma tuttoch infruttuose, simili proteste erano segno chiaro di quel che pensassero e sentissero i pi di fronte al proseguire della guerra e al cannoneggiamento delle citt, e di una citt come Parigi114 . Non fossaltro che per calcolo di opportunit politica, o, se meglio piace, elettorale, anche i pi accesi antifrancesi della Sinistra dovevan, dunque, come suol dirsi, versar acqua nel loro vino. Ed ecco cos la stessa Riforma osservare, sin dal settembre del 70, che ormai la guerra non aveva pi ragion dessere: il 16 luglio la Germania aveva giusto motivo di insorgere e di riversarsi sulla Francia per impedire a Napoleone di passare il Reno con le sue truppe; oggi questa necessit cessata ed ogni spargimento di sangue sarebbe un atto di lesa umanit115 . Ed eccola, ancora, insistere sul concetto che la Germania corre il rischio di trascendere i limiti dalla giustizia assegnati al diritto di difesa, male opererebbe se cercasse di annichilire a Francia, di spingerla ad una umiliazione intollerabile, strappandole lAlsazia-Lorena, anzich accontentarsi della soluzione pi equa, quella cio di erigere tali province in libero stato, indipendente e neutrale116 , soluzione che il Crispi aveva gi proposta sin dalla fine di agosto, rifacendosi al Cattaneo117 . Ma gi nellarticolo del 29 settembre che esprimeva tali idee, allato dellappello alla generosit del vincitore, allato di pensieri che si sarebbero potuti ritrovare fin sotto la penna dellantiprussiano Bonghi118 o, per lo meno, del Dina: allato di questo tema umanitario a pro della Francia, gi nellarticolo si potevano rintracciare altri moti-

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vi di tono ben diverso, che fermavano a principio di via qualsiasi rivolgimento daffetti a favore della Francia. E non era tanto il diniego di qualsiasi solidariet di razza. In quei giorni, in cui in Europa era gi un gran discorrere di questioni etniche e a molti veniva fatto di scorgere negli avvenimenti lespressione di un fatale contrasto tra mondo latino e mondo germanico, e molti ancora profetavano la decadenza inevitabile dei popoli latini, sopraffatti dai pi freschi e giovani popoli germanici e slavi119 , e in Italia Francesco Montefredini anticipava dassai le profezie di Guglielmo Ferrero120 e oltrAlpe Flaubert gemeva sulla fine del mondo latino, vale a dire di tutto quel che si amava121 , altri invece propugnavano la riscossa, vaticinando lalleanza politica delle tre grandi nazioni latine. Lidea della fratellanza latina tornava in voga: accesamente ripresa dal Carducci, veniva assunta da Cesare Orsini a base di un progetto di alleanza italo-franco-spagnuolo122 , mentre fuori dItalia trovava un difensore pieno di pathos in Jules Favre, nelluomo cio che altra volta aveva difeso Felice, il maggior fratello di Cesare Orsini123 . E trapelava anche in altri commenti di uomini e giornali della Sinistra124 ; ma lambiente Crispino la ripudiava esplicitamente come un grave errore etnografico e storico, e un pregiudizio della educazione soverchiamente francese che dopo il secolo passato si infiltrata in Italia125 . Ben pi importante era invece il rimprovero alla stessa Francia repubblicana di non aver avuto il difficile coraggio di separare assolutamente la causa dellimpero da quella della nazione: poich in tal modo sapriva la via ai dubbi sulla effettiva validit della distinzione tra bonapartismo e nazione francese, si minava quindi alla base la tesi dei democratici divenuti favorevoli alla Francia, e, annullando il distinguo, ricacciando nello sfondo il transitorio fenomeno Bonaparte, si rendeva invece colpevole la Francia istessa. Garibaldi e Carducci, caduto lu-

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surpatore, avevano risalutato la Francia dell89, apportatrice di libert al genere umano; Crispi e i suoi amici non credevano pi nella Francia, relegando tra le favole il consueto assioma della Francia donna di civilt e di libert126 . Non maestra alle penti di una nuova fede politica, bens una vigorosa, forse la pi vigorosa che mai sia stata, affermazione dunit nazionale; bens dunque, un magnifico organismo statale, che non solo non era necessariamente amico dellItalia, ma anzi poteva esserne nemico, e non occasionalmente. Il motivo ideologico, antibonapartista e democratico, svanisce; e in luogo dei fantasmi carducciani dellimperial Caino o dei Sanculotti del 92, sottentra la visione di una Francia intenta a tessere non anche laltrui, ma unicamente la propria storia, che non redenzione altrui ma conquista per s127 , occorrendo, rapina e crudelt; una storia che scritta in nome del proprio egoismo, legoismo di una Francia che ostile allItalia, nemica dellunit nazionale italiana, quale si sia il governo insediato a Parigi128 . Semmai, anzi, lodiatissimo tiranno del 2 dicembre era personalmente stato il pi favorevole o il meno sfavorevole allItalia, fra tutti i reggitori francesi del passato e del presente129 . Apparentemente, in una concezione siffatta sembrava continuare latteggiamento del Mazzini, chiaramente insorto contro lidolatria francese gi assai prima del 1851, gi dal 1834 tenacissimo nel richiedere che altri popoli, e anzitutto litaliano, assumessero liniziativa sfuggita di mano ai Francesi130 , esplicito nel dichiarare che il progresso dei popoli stava nellemanciparsi dalla Francia131 . Linflusso troppo premente della cultura e delle ideologie francesi aveva trovato in lui, come nel Gioberti, unenergica ripulsa: o non era stato proprio lui, che vedeva nel 1789 il compendio del lavoro intellettuale di diciotto secoli, non linizio di una nuova ra, e protestare contro la venerazione dei passato francese, a scrivere nel 1835:

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il passato ci fatale. La Rivoluzione francese, io lo affermo convinto, si schiaccia. Essa preme, quasi incubo, il nostro core e gli contende di battere. Abbagliati dallo splendore delle sue lotte gigantesche, affascinati dal suo sguardo di vittoria, noi duriamo anchoggi prostrati davanti ad essa?132 . Era la vigorosa reazione che assicurava il posto dellItalia nellEuropa, le impediva di gravitare come semplice satellite nellorbita della Francia, salvava la individualit nazionale133 : perci appunto, una reazione che andava al di l delle contingenti vicende politiche e delle transeunti forme di governo, per fissare il problema della esistenza di due diverse, nette individualit nazionali, ciascuna degna di viver di vita propria; anche se poi, pi tardi, pure il Mazzini acuisse i suoi strali contro il bonapartismo e accennasse, anchegli, ad una distinzione tra le due Francie, quella buona e quella cattiva, la pura Francia repubblicana e il covo della tirannide e delle stte traviate comunisteggianti134 . Tanto profonda, organica, coerente era stata da decenni lazione di Mazzini contro il timor reverentialis per la Francia e ladorazione per un idolo ormai incapace di iniziativa, che nessuno poteva meravigliarsi se, nel 70-71, anche dopo Sedan egli continuasse a dimostrare diffidenza per la repubblica del 4 settembre e disistima per gli uomini del governo di Parigi-Tours-Bordeaux. Non mai, forse, o rarissime volte almeno, la sua irritazione contro i francofili dItalia fu pi viva e trov accenti pi accorati, che pervadono sia le lettere sia gli scritti e segnatamente quello di proposito dedicato alla Guerra Franco-Germanica. Preghiera agli amici di non esser troppo francesi, ch non lo meritano135 ; esortazioni a non guardar pi alla Francia, ormai incapace diniziativa136 ; rimpianto, anche in lui, come negli uomini della Riforma e nel Cairoli, che tante promettenti energie siano state trascinate da quellilluso di Garibaldi a morir

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per la Francia, mentre si sarebbe dovuto agire in Italia, e per lItalia soltanto137 ; monito ai sentimentali che si commuovono per i bombardamenti di Strasburgo e di Parigi e lanciano parole stoltamente conciate contro i nuovi Unni, senza tener a mente che ogni guerra duello pi o meno feroce, e che fino a quando non verranno soppresse le cagioni delle guerre, mediante la confederazione repubblicana dei popoli e una istituzione internazionale di arbitrato, ciascuno dei combattenti ha dovere, in nome della propria Nazione, di vincere: questo gli suggerivano gli eventi della guerra. E non era chegli, a simiglianza degli uomini della Riforma e di altri italiani, vedesse nel movimento germanico proprio attuati gli stessi suoi ideali, anche solo quello di nazionalit: aveva, s, mutato parere da quando, alla vigilia ancora della guerra del 66, trovava che lalleanza dellItalia con la Prussia era vergognosa, ed in contrasto con tutte le nostre naturali tendenze nazionali138 , e che, se gi conclusa, una simile unione avrebbe dovuto essere trascinata nel segreto come la colpa. LItalia non deve contaminare pi oltre la santit della propria bandiera, non deve proclamare allEuropa chessa non cerca alleati se non tra gli uomini che rappresentano il dispotismo il Governo Prussiano era, tre anni addietro e solo in Europa, satellite federato dello Czar a danno dellinsurrezione Polacca: violava poco dopo ogni principio di giustizia e di dritto a danno della Danimarca: rompeva, in quellopera nefanda, ogni fede di trattati e mentiva sfrontatamente alle Potenze dEuropa, alle popolazioni conquistate, alla Confederazione Germanica: conculcava recentemente e tuttora conculca Parlamento e Libert nella propria terra: rappresenta, nella questione attuale, la parte peggiore139 . Le vicende della guerra del 66, e dunque lo scacco grosso inferto allodiatissimo imperatore de Francesi avevano non solo attenuato lostilit mazziniana per

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il Bismarck140 , ma anzi condotto allavvicinamento del 67-68 tra lagitatore genovese e il governo prussiano. Eppure, non cera, nemmeno ora, simpatia vera, piena rispondenza di sentimenti e didee. Ch anzi, come gi nel 1867, quando si rivolgeva al Bismarck per offrirgli lalleanza del partito dazione e averne in cambio denaro e armi, non aveva esitato a premettere di non condividere le idee politiche del prussiano, pur desiderando lunit tedesca, cos ora non si peritava dal trovare, non solo nel Bismarck la venerazione della forza e dei fatti, bens non buona la via per cui la Germania combatteva in difesa della sua nazionalit141 . Soprattutto, il Mazzini in perfetta conformit didee, questa volta, con i moderati Dina e Bonghi trovava che limpadronirsi senza libero voto dei cittadini dellAlsazia-Lorena era triste insegnamento di libert al popolo che compie quel fatto, era proceder per via di conquista, decretando inevitabilmente una seconda guerra, tra le due nazioni, a breve scadenza; e conchiudeva in un monito severo: Guidata da una cupida Monarchia, la Germania ha traviato alla sua volta dai confini del Retto che la riverenza al pensiero ingenita in essa le insegnava di non varcare e sostituito al diritto di proteggersi un concetto di vendetta che semina i germi di nuove guerre142 . Ma, al disopra di tutte queste riserve cos simili per tanta parte a quelle dei moderati, stava una ferma considerazione: non solo la Francia pagava il fio delle sue colpe, colpe di un popolo tutto, e non puramente di una dinastia o di un uomo143 , ma era giunto per lItalia il momento di assumere liniziativa, di sedersi sul trono delliniziativa europea, vacante dal 1815, e di dar inizio alla sua missione. Insurrezione in Italia e proclamazione della Repubblica, la bandiera della libert issata trionfalmente in Roma redenta dal giogo papale, s come la nazione tutta era, infine, redenta dalla soggezione alla Francia: mai, come in quei giorni dellestate 1870, lagitatore

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sogn vicino il momento dellavveramento della sua profezia, e credette giunta lora in cui lItalia si sarebbe posta a capo di unEpoca europea144 . Poi, fu s il crollo delle speranze e laccasciamento morale e il veder sfumato il duplice sogno145 e il sentirsi nuovamente solo, fra Italiani degeneri. Ma anche dopo lo svanire delle illusioni, anche quando vide Roma profanata dalla monarchia e, in Francia, una parvenza di repubblica, senzanima di repubblica146 , anche allora il Mazzini rimase fermo nelle sue convinzioni; e continu ad insistere lo faceva da trentacinque anni su alcune delle sue idee fisse: che cio la Rivoluzione francese aveva rappresentato non linizio di una nuova epoca, ma la conclusione, se pur mirabile, e come lultima formula di unepoca ormai finita147 ; che la Francia non solo non aveva pi liniziativa in Europa, dal 1815148 , ma anzi aveva tralignato dalla propria missione, lasciandosi trascinare dalle tendenze dominatrici, conculcando i diritti delle nazioni sorelle, arrogandosi diritti di perenne primato tra le nazioni, ondera giusta, se pur severa oltre il giusto, lespiazione149 ; infine, che lItalia doveva, essa, assumere liniziativa. Perci egli era contro la Francia, e non solo contro il bonapartismo: contro, perch temeva, dallinflusso francese cos profondo e perdurante150 , conseguenze deleterie per la capacit dazione, la volont, i propositi stessi degli italiani in ispecie e degli europei in genere; contro, perch doveva forzatamente esser polemico per salvare lindividualit italiana, per destar nel suo popolo la volont di assumere liniziativa, vale a dire quella coscienza di s che gli sembrava ancor totalmente mancare151 . Perci, dopo aver predicato nel 67 al Bismarck che bisognava combattere il bonapartismo, pericolo permanente per lEuropa152 egli affermava ora la colpa di tutta la Francia, troppo sollecita a cercar un capro espiatorio e

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a riversar su di un uomo solo giusta un antico costume le colpe di tutti153 . In lui, dunque, la posizione era netta, di fronte alla Francia come nazione, non di fronte alla sola Francia del Secondo Impero. E sarebbe egli stato non meno reciso e deciso anche di fronte alla Germania, quando linflusso tedesco fosse sembrato minaccioso come lo era stato quello francese; non per nulla il Mazzini deplorava, nellagosto del 71, il servile avvicendarsi come dantico di influenze francesi e germaniche154 daccordo in questo con il Carducci, il quale, pochi mesi appresso, nel gennaio del 72, aggrediva la borghesia ben pensante, che ammira sempre la forza e il successo, la quale vestiva i suoi bimbi alla foggia degli ulani come pochi anni avanti gli avea vestiti alla foggia degli zuavi, comportandosi con la Francia, la maggior parte deglitaliani, come lo schiavo recente di servit il quale esulta su la sventura del padrone che teme155 . Ma nella contrapposizione Francia-Italia, che il Crispi e i suoi amici cercavan dimporre, sinsinuavano ormai motivi diversi da quelli mazziniani. Eran, questultimi, esigenze morali, assai prima che politiche nel senso stretto della parola, in connessione con un programma alla cui cima splendeva lideale dellUmanit, e che richiedeva quindi il concorde lavoro di tutti156 , la fratellanza, per il trionfo di un principio, per il nuovo fine sociale duna sintesi europea che trasporti liniziativa dal seno dun solo popolo al di sopra di tutti e comunichi a tutti lattivit choggi manca. Gli altri, erano s in parte considerazioni di principio, come che si ritrovasse identit di sviluppo, comunanza didee e di fini nel movimento nazionale germanico e in quello italiano, avvinti pertanto in un solo destino e con lovvia conseguenza che, per contrapposto, la fortuna dItalia non coincideva con quella di Francia157 . Ma in parte notevole erano invece gi considerazioni di pura politica pratica, si nutrivano di sem-

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plici rivalit statali. Dal sogno dellEuropa dellavvenire si ritornava nella pi angusta e concreta Europa delloggi, con i suoi interessi di potenza, territorialmente, politicamente, economicamente ben percepibili, di una materialit immediata e corposa; dai princpi si scendeva alla pratica. Era labbandono sostanziale da pensiero mazziniano: come dalla repubblica il Crispi era passato alla monarchia, cos passava dal programma europeo di Mazzini alla valutazione, consueta a politici e diplomatici, dei necessari contrasti di interessi fra Stati vicini, in attesa di trascorrere anche e fu lultima fase della sua esperienza dallesigenza originaria di libert, teoricamente sempre mantenuta, alle tendenze praticamente autoritarie nellinterno del paese. una concezione gi quasi nazionalistica, che vede interessi specifici in lotta gli uni con gli altri e solo questi, parla di potenza e non vuol pi concedere nulla al sentimentalismo e, come nel Blanc, ripudia i vieti princip e le dottrine del passato158 ; una concezione per cui i crispini e, anche, altri uomini della Sinistra, non escluso talvolta il Mancini159 , si trovano, senza volerlo, sullo stesso piano del conservatore de Launay160 , e lontani assai da Garibaldi e da Carducci. La caduta del Secondo Impero e lavvento della Repubblica non bastano quindi pi per decidere pro e contro la Francia; e invece questi uomini, che proclamano la necessit di una politica puramente italiana161 , nel senso di una politica non influenzata da memorie del passato, da preconcetti di razza, di religione, di storia, e puramente attenta agli interessi propri, razionalmente soppesati e valutati, che si atteggiano dunque anchessi a realpolitici, secondo il tono generale dellepoca, questi uomini mantengono verso la Francia, pur dopo il 4 settembre, un atteggiamento pieno di riserva. Mentre della Germania si pu dire senzaltro esser quella che per molti punti si manifesta in contatto con

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lItalia, per la Francia bisogna attendere maggiormente: quando essa receda completamente dalle velleit papiste e dal pregiudizio di credersi la nazione prevalente nel Mediterraneo e la tutrice dellItalia, quando la sua forma di governo ci garantisca dai pericoli di reazioni, essa potr divenire per noi egualmente che la Germania unalleata sul cui concorso nello sviluppo dei principi liberali potremo fare assegnamento. Bel miraggio ultimo: ma da quante premesse cautelatrici, da quali condizioni e se e ma non viene accompagnato, s da sembrar proprio solo un miraggio! C qui, in nuce, tutto latteggiamento della Sinistra nei prossimi anni, allorch proprio le velleit papiste e la minaccia di movimenti reazionari in terra di Francia insorgeranno, talora con preoccupante violenza, a dar corpo alle ombre intraviste nellarticolo de La Riforma del 22 ottobre. Un passo ancora e si poteva giungere allidea della naturalit dellalleanza italo-tedesca e, per converso, della naturale opposizione tra Italia e Francia. Che la Prussia fosse la naturale e provata alleata dellItalia, poteva ben dire e ripetere il signore di Bismarck162 troppo scaltrito politico per lasciarsi prendere nella pania e credere alla realt di una frase chegli pronunziava quando gli tornava comodo, salvo a lasciarla cadere quando pi non gli importasse cattivarsi il governo di Roma. Poteva ripetere, con maggior sincerit forse, il Mommsen163 . Ma certo, il giorno in cui a qualche italiano fosse saltato in mente di scorgere la naturalit dellalleanza tra Germania e Italia, laffermazione sarebbe stata fatta con tutta seriet e calore di convinzione: il momentaneo accordo di interessi fra Berlino e Roma avrebbe assunto la fissit duratura del fatto naturale, e, per contrapposto, buttato via ogni relitto di anti-bonapartismo, tra Francia e Italia si sarebbe aperto un naturale dissidio, incomponibile per volont di uomini, fatale, poich lo sviluppo della vita italiana faceva presagire per il giovane re-

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gno una grandezza e una potenza politica, nel mezzod dEuropa, che non pu aver luogo senza che la Francia abbia a sentirsene colpita nelle sue tradizionali ambizioni di prevalenza164 . Queste cose dunque furono dette in Italia e assai pi in Francia, dove i nemici dellunit italiana avevano invocato anchessi, da tempo, la naturalit del contrasto fra le due nazioni165 ; anzi, banditori della naturalit dellalleanza italo-prussiana seran gi trovati sin dal 66, prima ancora di Mentana, e nera venuta la scoperta che i cuori delle due nazioni, Italia e Germania, destinati a battere allunisono nellavvenire, avevano gi battuto allunisono nel passato, sempre, senza che i due popoli lo sapessero perch avevano comuni le aspirazioni, i desideri, i timori, le speranze166 . Qual meraviglia dunque se, con siffatto modo di sentire, la spedizione garibaldina in Francia riuscisse poco accetta a molti della Sinistra167 ; se poi, con il suo esito e la mala accoglienza fatta dallAssemblea di Bordeaux al generale e le tribolazioni delle camicie rosse dopo larmistizio, essa divenisse anzi motivo di pi per affermare che la Francia, ingrata, superba pur nella dbacle, aveva dimostrato il suo odio suo, dellintera nazione contro tutto ci che sapesse dItalia; se dunque lultima impresa del magnanimo di Caprera si convertisse, contro il suo proposito, in argomento di propaganda anti-francese? Tanto lontano ormai, in questi uomini, il proposito di associare Francia e libert, di veder in essa la nazione eletta, solo fuggevolmente bruttata dal tiranno, che anzi cotali attributi venivano generosamente abbandonati alla Germania, proclamata difenditrice del principio dindipendenza e di autonomia nazionale168 , della civilt e libert europea169 e perfino della vera e sana democrazia170 . N, daltronde, almeno per taluno degli uomini della Sinistra che cos opinavano, e in primis per il Crispi, sarebbe stato necessario attendere proprio che in Francia

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si delineassero le velleit clerico-monarchiche. Assai prima del manifestarsi aperto di tali tendenze nellAssemblea di Bordeaux, quando la Francia sembrava incarnata nel repubblicanissimo Gambetta, e, a Firenze, linviato francese Senard si congratulava col re e col suo governo per loccupazione di Roma, le tendenze di Crispi e dei suoi amici verso la Francia erano divenute nuovamente, dopo una fuggevole schiarita, diffidenti ed ostili. Non si trattava del permaner di dubbi sulla reale capacit di risurrezione di una Francia libera: que dubbi, vivi anche nellanimo di parecchi che avrebbero voluto una forte Francia repubblicana, e temevano insicuro lavvenire dellappena nata e mal nata repubblica; onde un Cairoli, esultante per il crollo del Secondo Impero, per la scomparsa nel disprezzo della vergogna europea da tanto tempo inchinata, e lieto dellonor di Francia in parte riparato, e auspicante l risurrezione della vera Francia dei diritti delluomo, rimaneva tuttavia incertissimo del futuro e perci, con tutti gli auguri, dubbioso e sostanzialmente diffidente171 . Si trattava invece di ben altro, che di una Francia saldamente e sicuramente repubblicana. Lo stesso giorno in cui proclamava la necessit che la guerra cessasse, e in cui dunque sembrava assumere posizione favorevole alla Francia, La Riforma toccava infatti la questione di Nizza di Nizza italiana172 . Non unica questione ancor da risolvere, in omaggio al diritto nazionaleitaliano; anzi, una fra le rivendicazioni, destinate fatalmente a venir in luce aperta, diceva il quotidiano, ogni qualvolta loccasione si presentasse, se la preveggenza dei governi non avesse saputo sitcemarle a tempo. Una fra le rivendicazioni, allato del Trentino, allato della stessa Savoia, per la quale veramente il giornale richiedeva non pi il ritorno al Regno, bens la neutralizzazione, cos come aveva chiesto la neutralizzazione delle province renane, per separare, mediante una linea

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continua di territori inviolabili, la Francia dalla Germania e dallItalia, e creare una garanzia solida della pace europea. Dove, fra laltro, colpisce, ancor una volta, lanalogia fra le idee dei circoli crispini173 , in questo tuttaltro che concordi con gli altri ambienti della Sinistra174 , e quelle del conservatore de Launay, il quale pure, rifacendo a modo suo la carta dEuropa dopo la sognata vittoria italo-germanica sella Francia, avrebbe pi tardi osservato esser preferibile forse neutralizzare la Savoia unendola alla Svizzera175 : tanto il fervore antifrancese delluno e degli altri li avvicinava sostanzialmente, e senza che essi nemmeno lo sapessero, in politica estera, al disopra di divergenze grandissime sui problemi di politica interna. Vicini, nei sogni di grandezza per il proprio paese e di una grandezza concepita anzitutto come affermazione di forza militare: quei sogni che il sempre avveduto Bismarck aveva cercato di accarezzare, incoraggiare, spronare, soprattutto nei riguardi di Nizza, proprio nellestate del 70176 , che ancora pi tardi avrebbe ricordato, a mezze frasi, al de Launay177 , cos come ad altri italiani di rango elevato li avrebbe ancor sempre fatti balenare taluno fra i maggiori uomini responsabili della vita germanica, e fra essi il Moltke178 . Seducente esca, senza dubbio, per chi avesse dimenticato Magenta e Solferino: e non disdegnava di giovarsene fin un uomo come il Mommsen, pronto a sostenere, con la sua autorit di scienziato, anche la politica bismarckiana, nellestate del 70179 , e un altro dotto, lindianista Alberto Weber, tra un rimprovero e tapro, per lingratitudine degli italiani verso la Prussia, cercava, anche lui, di prospettare il miraggio di Nizza. Vero che lItalia aveva pure obblighi di riconoscenza verso la Francia, e pi antichi che verso la Prussia: ma in politica tali sentimenti non contano, la camicia ci sta pi vicina del soprabito180 .

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Con la questione di Nizza che il gruppo raccolto attornoa Crispi avrebbe cercato, nei mesi seguenti, di sfruttare in vista di una vagheggiata soluzione definitiva e, ben sintende, italiana risorgeva dunque, e il bonapartismo era appena sepolto e le truppe francesi non erano pi a Roma, un germedi dissensi profondi, rancori da parte italiana e diffidenze da parte francese181 : donde un rinnovato ostacolo, per gli amici della Riforma, ad un vero riavvicinamento italo-francese182 . Al disopra delle questioni ideologiche, dellusurpazione del 2 dicembre e dellimmoralit del bonapartismo, stava dunque una questione territoriale: la quale a sua volta poi non veniva fuori se non perch nellanimo inquieto del vecchio cospiratore balenavano quei fantasmi di grandezza e di potenza, dei quali pi tardi si sarebbe alimentata la sua azione di capo del governo italiano. Spingere il nazionalismo fino al pi alto grado di austerit, in tutto e verso tutti: ecco il nostro bisogno indeclinabile dopo di aver per tanti anni subto una politica di preponderanza straniera; non altrimenti si riacquister la coscienza intiera della nostra personalit nazionale, non altrimenti dimostreremo al mondo che lItalia e deve e vuole essere degli italiani.. Cos, La Riforma del 23 ottobre 1870183 : ed era veramente, qui, il grido dellanima. Nazionalismo, proprio il gretto geloso ostile nazionalismo che il Mazzini, un anno pi tardi, nellottobre del 1871, supplicava non si confondesse con la santa parola Nazionalit184 ; grandezza, potenza, dignit nazionale: e poich la dignit nazionale sembrava offesa, anzi, per parlare il linguaggio di quegli uomini, prostituita da un decennio di predominio e ingerenza francese, quasi fatalmente que fieri sentimenti si volgevano contro la vicina di occidente. Crispi poteva bene affermare in piena Camera, lanimo mio lacerato e sanguina nel vedere le crudeli sventure onde stata colpita la Francia185 : in verit, anche

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se il moto di commozione era sincero e spontaneo, esso non significava nulla pi di una fuggevole effusione sentimentale, mentre listinto, prima ancora che il ragionamento politico, lo conduceva, quasi per fatalit, contro la Francia. Nel suo atteggiamento e nei pensieri di quei drammatici mesi del 70-71 erano gi, in nuce, latteggiamento e i pensieri del periodo 1887-96: ripetute, e certo sincere, dichiarazioni di amicizia per la Francia; ma, in sostanza, e sia pure grandemente facilitata, assai spronata anzi dalle animosit e cattiverie doltrAlpe, una politica profondamente diffidente verso la Francia e, in ultima analisi, dunque, ostile. Ora, si trattava di Nizza: pi tardi, messe da parte anche se non abbandonate le rivendicazioni ai confini delle Alpi186 , si tratter di Biserta, di Tripoli e dellequilibrio mediterraneo: ma nellun caso e nellaltro, la rivale naturale del giovane Regno appare essere proprio la nazione che ne ha pure aiutati, anzi sorretti i primi passi. Sempre pi svanir il fascino dei principi dell89 e della patria loro; e sempre pi questultima apparir nella luce di una calcolatrice utilitaria. Lideologia scompare, per lasciare luogo alla pura considerazione dei fattori di potenza, delle entit nazionali, bene armate, ispirate solo dal proprio egoismo e intente a disputarsi legemonia in questa e in quella parte del mondo. Politica realistica o alla Bismarck, come si disse, quale proprio Francesco Crispi avrebbe cercato di tradurre in pratica, molto pi tardi, una volta assunto il comando della nave italiana; politica nella quale sempre meno si dava peso ai princpi, alle cosiddette idealit e sempre pi alla forza materialmente calcolabile e pesabile. Che il valore dei principi subisse pericolose alterazioni, in questo primo affacciarsi di nazionalistica austerit, dimostrava proprio La Riforma, in quei mesi sul finire del 1870.

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Era senza dubbio continuo, insistente il ritornello del principio di nazionalit, come della base su cui avrebbe dovuto poggiare tutta la politica italiana: tanto pi insistente in quanto loccupazione di Roma richiedeva, appunto in quei giorni, che si ripetesse, esaltasse fino al possibile il principio di nazionalit e dellautodecisione dei popoli, come quello che legittimava la breccia di Porta Pia e linsediamento a Roma. Era il motivo ideale che con quello di libert politica aveva dato luce e respiro al Risorgimento: motivo profondissimo, e ancora potente a commuovere i cuori e le fantasie, e ancora necessario per legittimare lItalia unita di fronte soprattutto al mondo cattolico. Ond che, come in piena Camera lo aveva riaffermato il Crispi187 , cos lo esaltava La Riforma: lidea di nazionalit diceva larticolista prima ancora di essere un principio politico come un grande ed operoso principio morale; essa acquista un qualche cosa di mistico, di religioso, assumendo i caratteri di una vera religione civile; il presupposto necessario dellidea di umanit, che mancherebbe della sua prima condizione essenziale ove non ci fosse lidea di patria188 . E nazione vuol dire missione: ad ogni popolo tocca la propria, ma a nessuno una pi alta che alla nazione italiana, cui la Provvidenza della storia chiama ad affermare il principio di nazionalit sui ruderi della teocrazia, glorificare la libert religiosa e i diritti della civilt sulla terra del Sillabo e del dogma189 . Erano dunque i princpi mazziniani190 , ancora una volta ripresi anche se del binomio nazione-umanit laccento si spostasse, di preferenza, sulla prima parte, e la menzione della seconda mancasse del calore e della fede ondera stata avvolta nella predicazione mazziniana191 . Anche in questo, cominciava a trapelare lincipiente nazionalismo, che avrebbe poi disdegnato, a maturazione av-

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venuta, la santa famiglia dellumanit come un vaneggiamento di imbelli. Ferma, dunque, nel considerare il principio di nazionalit un grande principio morale, La Riforma era parimenti decisa nel volerlo applicato in tutte le sue logiche conseguenze, senza eccezioni, senza restrizioni, nel non ammettere chesso potesse mai essere subordinato a princpi che lo neghino in qualsiasi modo o in tutto o in parte, e possano arrestarne, o modificarne lesercizio e lo sviluppo192 , convinta che sorti dal principio di nazionalit, abbiamo il dovere di sorreggere sempre con la simpatia e con la benevolenza, ed ove ne sia il caso, con pi validi aiuti, le nazioni oppresse, che ... si affaticano a raggiungere la medesima meta, che noi pi fortunati di loro, abbiamo raggiunto193 . Cos, dopo averlo tirato in ballo per Nizza, il veemente giornale di sinistra cercava, nellestate del 71, di propugnare lapplicazione de: principio nazionale in quello che, con limpero ottomano, era stato, era e sarebbe rimasto sino al suo tramonto il teatro dazione preferito dai rivendicatori dei popoli oppressi o almeno non rispettati nella loro personalit nazionale: vale a dire, limpero asburgico. I dissensi violentissimi in seno alla duplice monarchia pro e contro il federalismo, pro e contro la politica del ministero Hohenwart, offrirono allora facile spunto alle notazioni dei Crispi e degli Oliva194 . N soltanto era amore per i fratelli trentini195 , per Trieste196 , iniziale espressione del movimento cos noto di poi sotto la denominazione dirredentismo. Lamore della Riforma per il principio di nazionalit abbracciava mazzinianamente tutti i popoli, soprattutto i popoli dellimpero asburgico; si soffermava compiaciuto sulle supposte velleit di annessione allimpero germanico dellAustria tedesca, sul programma della Grande Germania che, con nebulosa conoscenza delle cose e scarso intuito politico, si riteneva gradito anche al Bismarck197 ; si

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effondeva in previsioni di grandiosi rivolgimenti, e culminava o sancta simplicitas! nellaffermazione che linteresse e la logica della politica di nazionalit dovrebbero aver scritto nel programma germanico la ricostruzione della nazionalit polacca, la indipendenza della nazionalit tzeca e lingresso dellAlemagna austriaca nel patto dellimpero198 . Sembrava veramente che un soffio messianico aleggiasse nel petto de redattori della Riforma, i quali, come per la libert, cos per la nazionalit continuavano ad imprestar, generosamente, al Bismarck le proprie idee e il proprio sentire: tanto messianico, da non far loro avvertire il ridicolo di supporre tendenze favorevoli alla nazione polacca nonch in tutti i patrioti tedeschi, taluni dei quali erano invece stati cos espliciti, sin dal 48 e dallAssemblea di Francoforte, a ripetere nettamente, proprio verso i Polacchi, la Germania innanzi tutto199 , addirittura in un uomo come il Bismarck che gi nellaprile del 48 sera sdegnato per il sentimentalismo romantico dei Berlinesi a favor dei Polacchi200 , che nel 63 aveva pienamente appoggiata la politica russa e che doveva veder sempre nel polonismo uno dei maggiori pericoli per la sua opera. E nemmeno avvertivano, guardando con compiacimento al federalismo austriaco, non pi il ridicolo, ma il danno sicuro, questa volta, che allItalia avrebbe arrecato, in quel particolare momento, leventuale trionfo dei federalisti in Austria. Con la questione romana aperta, una Francia dominata dalla maggioranza clerico-conservatrice dellAssemblea Nazionale, un Belgio clericale; in simili condizioni avere ancora, in Austria, il trionfo della reazione clericofeudale, a tendenze nettamente, dichiaratamente papaline e anti-italiane201 e tale era il significato politico internazionale del federalismo austriaco sarebbe stato, davvero, un grosso pericolo per lItalia.

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Ma Crispi e gli altri, sognando il prossimo congiungimento alla madrepatria del nucleo italiano dellimpero asburgico, convinti che fosse imminente il congiungimento della parte tedesca al Reich202 , non badavano pi a simili inezie, e continuavano a lumeggiare ai loro lettori la necessit, fatalit, imminenza di una profonda trasformazione dellimpero asburgico203 . Continuavano, anche, ad attaccare il governo della Destra, di quei moderati che affettavano ora di ritener chiuso il periodo dei grandi movimenti, e che alla poesia del periodo eroico 59-61, movente di meraviglia in meraviglia e di prodigio in prodigio, con realt superante limmaginazione, avevano fatto sottentrare una nuda, una gretta, una gelida prosa come cappa di piombo204 . Ma, insomma, erano ancora, formalmente almeno, i princpi mazziniani. Ora, quei principi serano fondati, a lor volta, sullassioma della nazione come fatto morale, cio come volont di essere nazione, come espressione della libera decisione dei cittadini. Se la formula del plebiscito di tutti i giorni doveva esser coniata, nel 1882, dal Renan, la sostanza di essa era gi stata del Mazzini205 ; riappariva a tratti persino nel Mancini, anche se assai pi frammischiata qui con elementi giusnaturalistici206 . Il predominio del fattore volont, coscienza, spirito, era la nota caratteristica del pensiero italiano sulla nazione, diversamente da quello germanico chera sempre stato, per pi larga parte, natura: era la fede di unet, di un popolo i cui stessi riformatori sociali battevano sul volontarismo e non accettavano i concetti cari poi al marxismo del dispiegarsi di forze e leggi economiche necessarie e fatali207 . Il richiamo alla storia e alle glorie passate, cio alla creazione degli uomini, non al ceppo etnico, cio alla creazione della natura, era stato il motivo dominante nei pi alti appelli allo spirito nazionale italiano, perch si ridestasse.

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Senonch, bruscamente, ad una concezione cos alta, che tutto riponeva in interiore homine, e da siffatta forza dinteriorit derivava la sua superiore ampiezza di orizzonte nellambiente Crispino minacciava di sostituirsi un modo di vedere di tutta diversa natura, tale da trasferire lelemento decisivo dal campo morale e dalla vita interna degli uomini ad una presunta oggettivit esteriore, a dati di fatto geografici, etnografici e linguistici, preesistenti e condizionanti, in via assoluta, il volere degli uomini. Nel dicembre del 70 lopinione, per avere contestato alla Germania il diritto di annettersi lAlsazia e parte della Lorena contro il voto dei popoli e la coscienza delle nazioni, sulla base pura e semplice della conquista, e dunque contro il diritto nazionale, scatenava le ire di un tedesco; onde nella risposta lorgano moderato (a cui si aggiungeva La Perseveranza del Bonghi) toglieva motivo dalla polemica per precisare il concetto italiano di nazione e nazionalit, fondato precisamente sulla libera volont dei popoli208 . Fosse il furor polemico ad uso puramente interno, di partito; fosse la vecchia ostilit, di stile mazziniano, contro il plebiscito di bonapartiana e dittatoriale origine; fosse la preoccupazione, comprensibile in quel momento, con Roma appena appena entrata nellorbita nazionale, che la teoria dei plebisciti potesse poi essere invocata contro il giovane Regno209 o almeno potesse venire praticamente contestata, come che si dicesse il voto essere stato praticamente non libero estorto con lintimidazione e simili mezzi mentre proprio i Romani erano ancora in maggioranza neri210 ; fosse il desiderio di spalleggiare la politica germanica, sempre vedendo nella Francia il nemico: certo, La Riforma intervenne nella polemica, per negare valore alle idee esposte dai due giornali moderati e affermare, invece, la dottrina, per vero singolare assai nel paese di Mazzini e proprio quando Mazzini deplorava lannessione dellAlsazia senza libero voto dei citta-

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dini, che il carattere della nazionalit , di sua natura, anteriore e superiore a ogni volont singolare e collettiva; che il principio di nazionalit un a priori, un diritto naturale rovente in ogni italiano; che la volont dei cittadini deve essere interrogata per la forma dello Stato, ma non per altro, mentre sarebbe ingiusto ed assurdo far decidere da una parte della nazione se intende essere italiana, tedesca, francese211 . Antitesi pi recisa alla formula Roma dei Romani, cos in voga dal 1861, non potrebbe immaginarsi212 . Come era allora possibile riconoscere le nazionalit se non dai segni esteriori, geografia, razza e linguaggio essenzialmente, cio da quei segni ai quali il Mazzini aveva negato valore in s e per s? La priori era determinato dalla natura e anche, certo, dalla storia di un paese; ma da una storia ormai pur essa diventata un dato oggettivo, preesistente alla coscienza e volont dei singoli, dato dunque di carattere del tutto naturalistico. E, tosto o tardi, dottrine di tal genere avrebbero condotto alla identificazione della priori col fattore razza, tramutato, nonostante tutto quel che di equivoco e di dubbio vha in esso, in un imperativo categorico, a cui andrebbe subordinata la vita dei singoli come dei popoli; lidea di nazione sarebbe affogata in quella di stirpe213 . Era un principio gravido di pericolosi sviluppi, tale da legittimare ogni forma di conquista o, come pi tardi si disse, di imperialismo; un principio certo dissueto al pensare e al sentire degli Italiani. Vero che, poche settimane pi tardi, La Riforma mutava repentinamente tono: al giungere delle notizie sulle elezioni francesi del febbraio 1871, che avevano condotto al trionfo del partito italiano in Nizza, lorgano di Crispi proclamava distrutto, dalla nuova manifestazione della volont popolare, il fittizio plebiscito del 1860, facendo cos appello, come a criterio decisivo di valore, a

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quella volont dei singoli cittadini un mese e mezzo innanzi cacciata perentoriamente fuor dellarengo. Contraddizioni sino ad un certo punto comprensibili col fervore polemico e le necessit sempre varie e mutevoli della tattica politica; ma solo sino ad un certo punto, oltre il quale veramente si faceva palese il variar sostanziale dei principi. Nel nostro caso, si trattava proprio di un mutare, lento ma certo, di principi, dellavviarsi verso concezioni nazionalistiche, profondamente diverse dalle idee che avevano predominato nellet della lotta per il riscatto: chera, appunto, uno dei segni caratteristici del gruppo Crispino nei confronti degli altri gruppi della stessa Sinistra, ancor ben fermi nel volere lautodecisione dei popoli, e quindi avversi alle dottrine germaniche della nazionalit naturale e incosciente214 . A mettersi su di una tal via eran di potente stimolo lesempio della Germania trionfante e linflusso, non ancora imperioso e diffuso come pochi anni pi tardi, ma gi percepibilissimo, di idee e dottrine germaniche. Se lItalia fra il 1830 e il 1850 aveva derivato molta parte della sua cultura e dei suoi pensamenti dalla civilt francese della Restaurazione e della Monarchia di Luglio, tanto che gli stessi atteggiamenti polemici antifrancesi erano un po come certa insofferenza dei figli per i padri; ora si accingeva a derivare modi e forme della sua vita spirituale dalla nuova dominatrice dellEuropa. E i primi segni si potevan vedere gi qui, nelloggettivarsi deciso per cosa dire del principio di nazionalit, chera pure la pi alta affermazione ideologica italiana del secolo; nel suo porsi a priori, come una categoria kantiana, ma una categoria che avrebbe reso lecita, anzi provocatala politica di forza: nel suo naturalizzarsi, essa che era stata invece spirito, animo, fede. Non per nulla, gli scrittori e pubblicisti tedeschi sostenevano infatti, quasi unanimi, il diritto della Germa-

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nia sullAlsazia, perch terra tedesca, per razza, lingua e tradizione di tempi lontani, anche contro il volere attuale degli abitanti: e Treitschke ammoniva che lAlsazia e la Lorena erano territori tedeschi per diritto di spada, e noi ne disporremo in virt dun diritto superiore, il diritto della nazione tedesca, la quale non permetter che i suoi figli perduti rimangano estranei allImpero germanico. Noi tedeschi, che conosciamola Germania e la Francia, sappiamo meglio di quei miseri sventurati, ci ch buono per gli abitanti dAlsazia, i quali, sotto linfluenza pervertitrice del loro legame coi francesi, sono rimasti estranei alle simpatie della nuova Germania. Contro il lor volere noi li faremo risensare215 . Il diritto superiore della nazione: comera sintomatico che di un sol parere fossero, in quei giorni, uomini come Mommsen, Treitschke e Crispi! E daltro ancora certo non puramente di origine germanica216 , ma ormai di diffusione soprattutto germanica, cominciavano a imbeversi gli animi di questi italiani. Cominciava infatti a serpeggiare il principio della necessit della guerra; e nella Riforma si poteva cosa leggere quel che per glItaliani poteva allora sembrare quasi una novit, e che le generazioni future si sarebbero poi sentito ripetere da molti pulpiti, che la guerra cio fa il suo giro, anchessa compiendo le sue crudeli ma necessarie missioni pel progresso morale dello spirito umano217 . E poich, come s detto, proprio soprattutto per lItalia molti vedevano la necessit di una grande vittoria, tutta sua, che consolidasse il suo prestigio e la sua potenza, cos il suggerimento teorico cadeva in terreno propizio. Era il primo avviarsi verso le concezioni che avrebbero dominato let battezzata appunto dellimperialismo, con le grandi unit politiche in conflitto permanente, anche se non aperto, per il predominio continentale e marittimo, per la conquista di colonie e mercati, fra gli osanna di una letteratura anchessa fontana ormai dalle invo-

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cazioni alla libert e allumanit, care al Romanticismo, e anelante invece al dominio e alla forza, da Kipling a DAnnunzio: et in cui il nazionalismo avrebbe completamente trasformato senso e valore antichi dellidea di nazionalit, in attesa di lasciar luogo, a sua volta, allaffermazione piena delle tendenze naturalistiche, trionfanti con la dottrina della razza. Nella qual dottrina loggettivarsi, il porsi a priori della nazione avrebbero trovato la loro logica conclusione: ch, dissociate nazione e libera volont degli uomini, altro non restava che cercare il fondamento della nazione e la sua legittimit nella priori etnico, nel sangue. Blut und Boden. Per allora, indubbiamente, nemmeno gli uomini della Riforma volevano sentir parlare di razza: idea, questa che riconduceva alla fratellanza latina tanto detestata dal Crispi e compagni, o faceva pensare al professorale sussiego della scienza germanica, alle gi note affermazioni sulla superiorit innata dei Germani che non erano, nemmeno queste, parole di gusto dei redattori del giornale Crispino218 . Ma, togliendo il nesso strettissimo fra nazione e volont nazionale, essi aprivano la via, senza avvedersene e senza volerlo, allaffermarsi delle aborrite tendenze razzistiche. N si trattava di un momentaneo vacillare delle convinzioni di un tempo. Che invece le affermazioni della Riforma, daltronde pi volte ripetute219 , non fossero fuggevole apparizione per amor di polemica, bens espressione di un nuovo, diverso modo di sentire, provavano le, massime care alluomo politico che di quel giornale era, nel 1870, uno degli ispiratori. Il concetto di nazione come di un a priori, indipendente dalla volont degli uomini, precostituito, immutabile nel tempo, assoluto, indistruttibile, eterno, venne infatti pi volte riaffermato, prima e dopo il 70, da Francesco Crispi. Gi nella sua celebre lettera al Mazzini, del 18 marzo 1865, la nazione appariva come un dato di fatto preesi-

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stente alle manifestazioni della volont popolare: la nazione, come luomo, esiste, e non necessario che un popolo o un Parlamento lo proclami perch esista. Epper io non poteva far dipendere da un s o da un no, dalle sottigliezze dei retori e dal sillogismo dei giuristi, lunit dItalia, la quale ha base nella sua geografia, nella sua lingua e in tutte quelle condizioni morali che nessuno dovrebbe ignorare ... Mia opinione era dunque che il popolo non dovesse affermare lunit nazionale, non costituirla, ma dichiarare di volerla. Poscia le assemblee, cui il plebiscito doveva esser legge, seguirebbero per istabilire le condizioni di libert e di forza, affinch la volont popolare fosse attuata220 . Con gli anni, sempre pi nettamente safferm la naturalit della nazione; onde il presidente del Consiglio poteva dire, nel discorso di Palermo, il 14 ottobre 1889: se il plebiscito fosse stato necessario, avrebbe dato lultima sanzione alla sua legittimit [occupazione di Roma]. Ma anche senza di esso il diritto nazionale non temeva contestazioni. La nazione esiste per virt propria entro la cerchia de suoi confini. Ora, nessuna nazione al mondo ha confini cos definiti e sicuri come lItalia. Natio quia nata221 . La virt propria della nazione, come forza naturale ed eterna: lesistenza e lindipendenza delle nazioni non possono essere soggette allo arbitrio dai plebisciti. Le nazioni vivono di diritto naturale, eterno, immutabile, n per forza di armi, n per volont di plebi cotesto diritto pu ricevere alcuna mutazione222 . Natio quia nata: la formula crispina applicava alla nazione i princpi giusnaturalistici, scorgeva un diritto naturale, razionale ed eterno, valido per i popoli come per gli individui; dottrinalmente era dunque ancora Settecento, quando pure non si rifugiassi in un appello a Dio e alla creazione divina, con un balzo al di l delle solite premesse razionalistiche223 . Ma un tale insistere sulla naturalit della nazione e denegare lelemento volontaristi-

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co non poteva alla lunga reggersi su di un astratto diritto di natura o su vaghi accenni teistici; e si sarebbe dunque dovuto ricercare pi solida, corposa e massiccia base nellappello al sangue, cio allunico elemento che potesse effettivamente distinguere, ex initio, una nazione dallaltra prima che fosse intervenuta la storia, e cio lopera delluomo, la volont delluomo, a imprimere diversi caratteri alle diverse nazioni. Cos stava succedendo in effetti nel pensiero tedesco il quale, per avere troppo fortemente calcato sulla naturalit della nazione, savviava fatalmente a trovare nel ceppo etnico lelemento differenziatore e caratteristico. Perci anche lappello del Crispi alla naturalit, alla eternit e immutabilit della nazione suonava assai diverso dal riconoscimento con cui anche altri uomini, come il Minghetti, ammettevano che i plebisciti non avessero creato il diritto, ma piuttosto lo avessero riconosciuto, e sappellavano alla geografia s, ma anche alla storia, alla cultura, al sangue dei martiri224 che era nuovamente volont di uomini e fede. Diventando un fatto naturale, antecedente al volere degli uomini, la nazione acquistava per cosa dire anche una fatalit di movimento, chera proprio quel che ci voleva quando si cominciassero a vagheggiare ingrandimenti ed espansioni. Ma, dissociandosi essere stesso della nazione e volont nazionale, si dissociavano pure nazione e libert: onde la formula natio quia nata, adatta a giustificare i programmi politici come susa dure di grandezza, sarebbe stata pure adattissima per le tendenze autoritarie, le quali allinterno sempre pi dovevano sentire come un inciampo le lotte di partito e le contese parlamentari, al cui posto doveva sottentrare luomo forte, padrone allinterno proprio per essere in grado di compiere la missione di grandezza che la nazione imponeva, e che era fatale, naturale anchessa. Ed era, nuovamente, un deciso abbandono della tradizione italiana del Risorgimento, cos tenace sin

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dallAlfieri225 nellinsistere sulla indissolubilit del binomio nazionalit-libert226 , cos saldamente ancorata allidentificazione dei concetti di nazione e di civilt-libert. Concordi erano stati, in questo, Mazzini e Cavour, questultimo anzi primamente scosso dallesigenza liberale e soltanto poi, a differenza dellaltro, condotto a volere lindipendenza e da ultimo anche lunit della patria227 . Pur lasciando da parte il Pisacane, in cui il problema della libert sinvestiva di gi di un contenuto sociale, incerto e contraddittorio nelle formulazioni, ma ben certo e preciso nellaspirazione, pur lasciando da parte il Pisacane, le grandi e diverse correnti di che sera nutrito il Risorgimento erano state fermamente concordi su tal punto. Eredi di questo credo, tutti i moderati, di cui bene poteva ritenersi interprete il Bonghi quando il 3 febbraio 1879 affermava alla Camera che i popoli per esser capaci dellapplicazione pura e semplice del principio di nazionalit, bisogna che abbiano raggiunto un altissimo grado di macerazione interna e di civilt ... se queste esigenze di civilt non sono soddisfatte ... il principio di nazionalit non pu essere base di ricostituzione vigorosa228 . Il principio di nazionalit, diceva il Mancini, nel diritto internazionale quel che nel diritto pubblico interno si chiama sovranit nazionale e si realizza nel suffragio universale229 ; o, ripeteva un meno noto uomo politico, con una formula invero assai felice non altro che quello della libert politica applicato alle circoscrizioni territoriali; esso la seconda fase del diritto pubblico dell89, il riferimento dei grandi princpi della Rivoluzione Francese alle relazioni fra popolo e popolo230 . Onde, se avesse dovuto temere un giorno cos infausto da mettere in pericolo la libert del pensiero, allora, dichiarava il 10 dicembre 1878, alla Camera, un non dubbio patriota quale Francesco De Sanctis, dal suo seggio

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di ministro della Pubblica Istruzione, allora egli avrebbe negato lItalia231 . Necessaria identit di nazionalit e libert, quando la nazione fosse ricercata nel volere e nella fede degli uomini e si nutrisse continuamente del libero voto dei popoli. Ma staccate la nazione dalla volont dei cittadini; fatene un a priori, preesistente a quel volere e da esso indipendente: lidentit scompare, il binomio si spezza, la libert politica non pi condizione necessaria di vita sana e forte per una nazione, anzi pu divenire un ostacolo al pieno dispiegarsi dello spirito di conquista a cui la nazione naturale dalla natura chiamata. Nazionalismo e autoritarismo, riconoscimento della provvidenzialit della guerra e avversione decisa agli umanitari: poco o molto, ma ciascuno di questi elementi del clima politico europeo ed italiano dellultimo settantennio era gi percepibile, in nuce, nelle discussioni e nei commenti degli zelatori della Prussia. Si offuscava anche in essi, fatalmente, il senso dellEuropa, della comunit civile tanto forte gi nellIlluminismo settecentesco e, con ancora accentuato valore politico, nellet romantica, motivo centrale nel pensiero dei Montesquieu e dei Voltaire, dei Sismondi e dei Mazzini, degli Adam Mller e degli Heeren; e riprendevan vigore invece, le tendenze nazionalitarie, o, per dirla con espressione dei giorni nostri, autarchiche, gi torbidamente accennate dallantieuropeo Roussea insistente nel consigliare lattaccamento agli antichi usi e costumi nazionali, perch solo cos si affezionavano i cittadini al proprio paese e sinfondeva in loro una naturale ripugnanza a mescolarsi con lo straniero232 . Gli odi nazionali, esaltati un tempo dallAlfieri, riapparivano233 ; quegli odi nazionali, che fra il 1815 e 1848 il pensiero europeo sera affaticato ad attenuare, anzi a cancellare, ricongiungendo patria ed Europa, trovando nella predicazione mazziniana i pi alti accenti per salva-

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re ed armonizzare ad un tempo lamore al proprio paese e lamore alla maggior comunit civile chera, appunto, lEuropa. Per un trentennio, nazione ed Europa, come nazione e libert, eran stati termini indivisibili. Ma gli antichi motivi di divergenza riprendevano ora forza e capacit di influsso: come in Europa, cos in Italia i grandi eventi del 1870 approfondivano, allargavano, rendevano solidamente durature le crepe gi aperte dal 48 nel mondo ideale di prima il 48; e ne usciva spezzato il trinomio nazione-libert-Europa, la nuova trinit della storia tanto accesamente profetizzata dal Mazzini; e anzitutto sinfrangeva il nesso tra la nazione e lEuropa e per primo il nazionalitarismo spezzava il quadro armonico, dando lavvio ad una nuova et234 . Tracciando il bilancio politico del 1870, e prendendo lo spunto dalla celebre frase del conte di Beust je ne vois plus dEurope, La Riforma non rimpiangeva la presunta fine della vecchia Europa, anzi esultava perch tale tramonto lasciava libero corso alle forze sprigionantisi dalle potenze che hanno un avvenire, dagli stati in cui fermentava un moto di emancipazione, per cos dire, personale, che tende a dare il massimo sviluppo alla iniziativa delle politich nazionali235 . La nazione singola, lo stato singolo lanciati verso lavvenire, seguendo il solo impulso delle proprie forze e senza pi preoccuparsi di limiti che non fossero quelli del proprio interesse e della propria grandezza: questi erano i nuovi valori che si sarebbero affermati nellavvenire. Intanto, cominciavano a riapparire motivi che richiamavano allAlfieri del Misogallo; e se Mazzini aveva predicato per tanti anni lamore fra i popoli, e dellamore fra i popoli sera commosso fin lo scanzonato Giusti, di fronte ai Croati in SantAmbrogio, ora un ben pi modesto uomo, ma tipico antesignano del prossimo nazionalismo, ripeteva il detto alfieriano dellodio. Oh s, lodio ci che fa grande i popoli, proclamava fra applausi,

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il 2 luglio 1882, nel teatro Castelli di Milano, Rocco de Zerbi236 . Forse, in luogo della vecchia Europa dei governi la nuova Europa dei popoli vaticinata da Mazzini e da Cattaneo? la rivoluzione generale, il sovvertimento profondo dellordine internazionale, sulla base dellapplicazione integrale del principio di nazionalit? Presso al termine della sua vita, in quello che si pu considerare il suo testamento politico in fatto di rapporti internazionali, Mazzini ribadiva, proprio nel 1871, il valore di principio della nazione, come mezzo per salire allUmanit; cos che la missione dellItalia, il motivo ispiratore di tutta la sua politica estera doveva essere lo sviluppo del principio di Nazionalit come regolatore supremo delle relazioni internazionali e pegno sicuro di pace nellavvenire, il rimaneggiamento della Carta dEuropa, lalleanza con la famiglia slava in guisa da sottrarla al gigantesco tentativo russo di far cosacca lEuropa, e da accelerare la morte dellimpero turco e dellimpero asburgico, irrevocabilmente condannati a perire per mano delle popolazioni slave. A queste, giungesse la parola dellItalia: Sorti in nome del Diritto Nazionale, noi crediamo nel vostro, e vi profferiamo aiuto per conquistarlo. Ma la nostra missione ha per fine lassetto pacifico e permanente dEuropa. Noi non possiamo ammettere che lo Tsarismo Russo sottentri, minaccia perenne alla Libert, ai vostri padroni; e ogni vostro moto isolato, limitato a uno solo dei vostri elementi, inefficace a vincere, incapace sanche vincesse di costituire una forte barriera contro lavidit dello Tsar, giova alle sue mire dingrandimento. Unitevi: dimenticate gli antichi rancori: stringetevi in una Confederazione e sia Costantinopoli la vostra Citt Anfizionica, la citt dei vostri Poteri Centrali, aperta a tutti, serva a nessuno. Ci avrete con voi237 .

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E il Crispi del 71 e 72, e La Riforma e molti altri ancora della Sinistra sembrava continuassero ad accogliere tale insegnamento; e nuovamente alcuni anni pi tardi, in piena crisi di Oriente, sebbero rinnovate esaltazioni del principio delle libere nazionalit. Pieni di pathos taluni appelli al principio santissimo di nazionalit238 , il quale forma la nostra religione politica, quasi un Dio che portiamo in noi stessi, agitante calescimus illo239 , frequente il rammentare che lItalia antesignana del fecondo principio della indipendenza dei popoli sulla base del diritto nazionale non poteva partecipare a discussioni attorno alla sorte di altri popoli, e cio i popoli balcanici, se non con un programma rigorosamente consentaneo alle basi della sua esistenza, che sono i princpi di nazionalit e di libert per effetto dei quali essa ha potuto risorgere e sedersi nel banchetto delle grandi nazoni240 . Ma gi in quegli anni, in cui pure il sacro senso della nazione pareva destinato ad accendere ancora una volta gli animi, e il ricordo di Legnano e la nostalgia dei fratelli trentini e triestini, gementi sotto il giogo asburgico, salleavano con lesaltazione dei cristiani gementi sotto il giogo turco, sempre confluendo in una larga visione europea e rivoluzionaria, gi in quegli anni era agevole scorgere come sandassero profondamente trasformando gli antichi ideali. Che negli uomini della Sinistra allora al potere, con responsabilit di governo, il tono si smorzasse dassai, questera ovvio. Se ai Depretis e ai Cairoli mancava il senso europeo dei Minghetti e dei Visconti Venosta, le difficolt pratiche dellora bastavano per imporre prudenti limitazioni, alla parola come allazione; e se non vavessero pensato loro, vi avrebbe provveduto Vittorio Emanuele II, che proprio in quei giorni viveva una ultima ripresa delle sue velleit di governo personale241 . Fu cos messa la sordina agli inni patriottici, e lattuazione dellideale nazionale italiano fu saggiamente rimandata a tem-

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pi migliori e il trionfo generale, e in ispecie balcanico, del principio di nazionalit fu relegato in secondo piano, di fronte alla necessit di non mettere a soqquadro lEuropa. La difesa degli interessi di ordine generale, cio la formula cara alla diplomazia europea dalla Restaurazione in poi, fin, con lessere enunciata anche dai ministri degli Esteri della Sinistra; e nel suo primo colloquio come ministro degli Esteri con lambasciatore dAustria, il Mancini distinse anchegli fra passato e presente: professore di diritto internazionale, io ho sostenuto il principio di nazionalit; ma comprendo benissimo la differenza che v fra la teoria e la pratica, e so che se si volesse applicare quel principio ai rapporti fra i vari Stati, si finirebbe col renderli impossibili e col distruggerli242 . Certo, riaffiorava ogni tanto il ricordo dei grandi princpi di un tempo243 , non senza che tali apparizioni, sia pur meramente verbali, servissero a chi, soprattutto allestero, accusava il governo italiano di duplicit o, almeno, di oscillazioni e incertezze: proprio perch il senso della comunit europea antico regime non era in questi uomini, a differenza dei moderati, profondamente radicato e costituiva anzi laccomodamento alla situazione politica contingente, sulle rovine dei princpi una volta professati, proprio per questo a parole identiche diverso riusciva il tono della canzone cantata ora dal Cairoli e dal Depretis, di quel che non fosse riuscito quando la canzone era fraseggiata dal Visconti Venosta244 . Ma insomma la parola dordine nel campo governativo fu prudenza, pace, concerto europeo, tanto che forse laccenno pi deciso ai diritti delle nazionalit doveva esser pronunziato da un ministro certo non di sinistra per idee e sentimenti, e prudentissimo e alieno da ogni avventura quale il Corti245 : ed era pur sempre un accenno assai vago, per nulla compromettente. Pi sintomatico era gi che anche fuor del governo parecchi dei campioni della Sinistra mutassero radicalmen-

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te tono; che uno dei pi fedeli, devoti e disciplinati militi del Depretis, quale lon. Musolino, sostenesse la Turchia, dichiarandosi pi turco dello stesso Sultano e negando che in Oriente fosse allora questione di nazionalit e di libert, bens puramente delle ambizioni russe246 . Nella primavera del 1878 lon. Musolino tornava alla carica, propugnando lalleanza con lAustria, convinto di compiere un atto di vero patriottismo, ritenendo una miseria, un vero nonnulla le piccole divergenze territoriali fra Roma e Vienna nei confronti della grande causa comune che deve collegarci247 . E il giorno appresso toccava addirittura al bardo della democrazia, a Felice Cavallotti, pronunziare alla Camera dichiarazioni che avrebbero anche potuto far strabiliare: nella questione dOriente identici sono gli interessi dellItalia e dellAustria, dellAustria odierna, difenditrice dei Rumeni e tanto poco somigliante allAustria di Metternich, quanto poco lInghilterra di Disraeli, difenditrice dei Greci, somigliava allInghilterra di Castlereagh; e lItalia doveva essere amica dellAustria, una volta che questa avesse dato soddisfazione agli interessi nazionali italiani, restituendo le terre irredente. Siamo amici dellAustria: era proprio lideale mazziniano ad andare in frantumi; il problema si riduceva ad una questione specificamente italiana e di limitate proporzioni; per il resto, rimanesse in piedi la duplice monarchia e discendesse la valle del Danubio e si aprisse la via dei Balcani, dellOriente, come aveva ragione di volere, ch del principio di nazionalit per i popoli balcanici non si pu parlare senza certe restrizioni e ... certe riserve, essendo spesso confuso, incerto, mal distinto, troppo vago per dar vigore, solidit, coesione a ciascuna di queste piccole agglomerazioni. Solo lAustria, inorientandosi, in grado di opporre una valida barriera contro il minaccioso traboccar della Russia, contro il pericolo della unificazione zarista dei Balcani, da cui lItalia sarebbe direttamente minacciata nel

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Mediterraneo e nellAdriatico248 : dovera lombra di Cattaneo che, sul dissolversi dei fortuiti imperi dellEuropa orientale, aveva profetizzato il sorgere di federazioni di popoli liberi?249 Non lombra di Mazzini e di Cattaneo, ma lombra di Cesare Balbo riappariva; e il focoso democratico lombardo seguiva le orme del moderatissimo conte piemontese, anche accogliendo i moniti giobertiani contro il pericolo russo, e accettava le direttive politiche della Destra tanto combattuta. Mazzini aveva detto: incapaci, ognun di per s, i popoli balcanici di resistere allavidit dello Czar; e quindi, unitevi tutti in libera confederazione, sulle rovine dellimpero asburgico, chera unamministrazione, non uno Stato, e dellimpero turco, accampamento straniero isolato in terre non sue. Cavallotti rispondeva: ciascuno dei piccoli indipendenti stati slavi non solo, ma anche la loro sedicente confederazione sarebbero, impotenti contro lassorbimento moscovita; e quindi, avanti lAustria, ad innalzar barriera gagliarda che arresti il pericolo russo. Eran cresciuti, dopo la pace di Santo Stefano, i timori per lavanzata cosacca; le decennali paure sinasprivano per i nuovi eventi: e cos, lasciamo lideale dei popoli liberi affratellati e corriamo al sodo di una forza militare gi organizzata lAustria-Ungheria. E ancora. Per un Cavallotti, in fondo, i problemi di assetto internazionale erano del tutto secondari: quel che faceva veramente vibrare il suo animo eran le parole libert, democrazia, anzi repubblica; ma lo sguardo non era, e nemmeno pretendeva di essere, europeo. Si guardava a Francia e Italia, proprio perch nelluna e nellaltra nazione identici o quasi apparivano i grandi problemi interni, perch il radicalismo francese serviva da maestro e guida; ma niente pi dello spaziare mazziniano su tutto il continente, niente appelli alla nuova ra dellEuropa dei popoli, perch dellEuropa, nel suo insieme, al Cavallotti non molto premeva. Il problema sentito era

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il problema ideologico, di partito; e lo sguardo abbracciava solo que paesi, per lappunto come la Francia, dove la situazione politica appariva identica o assai simile. La potenza rivoluzionaria del principio di nazionalit si restringeva dunque alla questione di Trento e di Trieste, diventava semplicemente irredentismo, e un irredentismo non generale, ma sempre pi precisato in Trento e Trieste, con radi accenni ad altre contrade250 . Ma un Crispi voleva sempre vedere linsieme, aveva sempre lo sguardo fisso ai grandi problemi dei rapporti fra gli stati: da ultimo, anzi, contrariamente al Cavallotti, la politica interna si sarebbe ridotta per lui in funzione di quella estera, e alle preoccupazioni per la grandezza e la potenza della patria sarebbero state subordinate le preoccupazioni interne di partito e di ideologia politica. Ora, appunto, Crispi e i suoi amici non accettavano pi la vecchia Europa dei governi ed esultavano per la sua fine: ma credevano ancora nella mazziniana Europa dei popoli? O veramente, lontani dallantica fede europea dei moderati, lasciavan cadere la nuova fede europea del loro maestro Mazzini, sicch non sussistessero pi che le forze sprigionantisi dalle potenze ricche di avvenire, vale a dire le individualit delle singole nazioni, ciascuna marciante per conto proprio? A leggere le dichiarazioni de La Riforma nel 1871 sembrava che la fiaccola mazziniana fosse ancora accesa. Vaticinio della prossima trasformazione dellimpero asburgico, con lannessione dei Tedeschi alla madre Germania; ma anche, vaticinio della prossima caduta dellimpero ottomano. Si ricaccino i Turchi in Asia e si emancipino le popolazioni dellOriente. caduto Napoleone III, che nel vecchio continente rappresentava la violenza; crollato il potere temporale, scomparso il Papa-re, chera la negazione della ragion civile: giustizia vuol che sparisca anche il Sultano, che rappresenta lassurdo. Dopo Sedan, il 20 settembre; dopo il 20 settembre ... unal-

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tra gran data occorre, un ulteriore passo innanzi. Si integri la Grecia, si dia completa autonomia agli Albanesi, ai Bulgari, ai Serbi, ai Rumeni; e con una confederazione di coteste genti, legate da un governo centrale a Costantinopoli, ecco risolta la questione dOriente251 . Cos, nella fase pi acuta della crisi determinata dalla denunzia russa delle stipulazioni riguardanti il Mar Nero, il circolo crispino prospettava la sua soluzione, che era indubbiamente ancora di pretto stampo mazziniano e sembrava anticipare lo scritto, di poco posteriore, dellapostolo. Ma gi assai poco mazziniano era latteggiamento di pieno favore alla Russia che La Riforma assumeva: preoccupatissimo dei piani di espansione dello zarismo e avverso a tutto ci che sapesse di immistione russa nei Balcani, il Mazzini; esultante invece il giornale, per il quale la circolare Gorciacov, che aveva gettato lo scandalo nei crocchi della vecchia diplomazia, aveva dimostrato con un chiaro esempio ci che uno Stato ha il dovere di fare per custodire e rivendicare il proprio diritto252 . Vale a dire, nuovamente lesaltazione dei diritti degli Stati, delle forze giovani, degli stati che hanno un avvenire, n pi n meno che di fronte ai gesti di forza della Prussia bismarckiana; e in tale compiacimento, si lasciassero pure cadere le questioni di principio, libert contro zarismo e autocrazia. In verit, lulteriore svolgimento delle idee di Francesco Crispi doveva dimostrare che lEuropa dei popoli di Mazzini era tramontata. Continu, s, ad inneggiare nei discorsi pubblici alla libera vita delle quattro nazionalit distinte dei Balcani253 ; e della Grecia cerc sempre di favorir le aspirazioni concrete; e negli ultimi anni, ormai lontano dal potere, ritorn allantico ideale mazziniano, proclamando nuovamente la necessit della confederazione balcanica e il Turco in Asia254 , cosi come cercava di riallacciarsi a Cattaneo auspicando gli Stati Uniti dEuropa255 . Ma

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dichiarazioni e progetti degli ultimi anni erano del vinto politico, non dissimili pertanto dal liberalismo postumo di un Bismarck, gran nemico del Parlamento quandera lui al potere e poi, cacciato dal potere, dimprovviso tramutatosi in un fervido assertore della libert e del parlamentarismo. E Crispi al potere aveva s pensato sempre alla Grecia, ma non aveva affatto disdegnato di inserire nel sogno mazziniano delle libere nazionalit balcaniche qualcosa che arieggiava assai da vicino gli ormai consueti progetti di spartizione della Turchia, cari alla tradizione diplomatica delle grandi potenze europee256 : vale a dire, cercar di assicurarsi una fetta dellimpero turco in questa o in quella parte, secondo i dettami della politica di potenza257 . Di fronte al grande malato, anche gli ex-mazziniani finivano col convertirsi ai princpi classici della diplomazia dei governi: inevitabile certo la caduta dellimpero ottomano, ma non bisognava affrettarla per non esporsi a gravi pericoli che le grandi potenze hanno uguale interesse ad evitare258 . E quindi prudenza, attenzione, vigilanza per non lasciarsi cogliere alla sprovvista dagli eventi: ma niente fiaccole rivoluzionarie. Lo dissero i Cairoli e gli Zanardelli; ma lo pens anche Crispi. Con molto maggior chiarezza ancora il mutar di idee si rivelava, quando dal mostro turco si passasse allaltro mostro contro cui Mazzini aveva imprecato. Perch anche Crispi, dopo Cavallotti, pur semplice deputato e senza responsabilit di governo, afferm in piena Camera, il 15 marzo 1880, la necessit dellesistenza dellAustria259 : una bestemmia per il Crispi di dieci, venti anni innanzi. E lo ripet, presidente del Consiglio, il 4 maggio 1894260 , accettando cos compiutamente la tesi che nel 1871 era stata difesa dai moderati della Perseveranza e dellItalie contro i vagheggiamenti della Riforma, cio del suo giornale, sul fatale e augurabile smembramento imminente dellimpero degli Asburgo261 . Uno Stato come

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lAustria-Ungheria bisognerebbe crearlo se non esistesse gi262 . Presidente del Consiglio, ag come il conte di Robilant aveva per tanti anni invocato, contro le agitazioni antiaustriache; e sciolse il comitato per Trieste e Trento, e dimission il ministro Seismit-Doda, suo antico collega di direzione della Riforma, e battezz pubblicamente lirredentismo il pi dannoso degli errori in Italia263 . Pi su ancora delle questioni specifiche, impero asburgica e impero ottomano, era il principio stesso di nazionalit che veniva avvolto dallo statista siciliano di molte riserve e consigli di prudenza, giacch esso nella sua ultima espressione, non pu infatti, qualunque sia il desiderio ideale, essere costantemente la norma esclusiva del diritto politico e diplomatico. Assurdo lavventurarsi, in nome di quel principio, a distruggere lunit dItalia, col provocare guerre europee e potenti coalizioni anti italiane, e quindi precipitando follemente a rovina: di fronte al principio di nazionalit, occorreva da parte dei governi una moderazione sapiente264 . Che erano i concetti medesimi e suppergi gli stessi termini, che subito dopo il 1870 erano stati messi innanzi dai Visconti Venosta, dai Dina, dai Bonghi. Senza rinunziare ai principi santissimi di nazionalit, occorreva confessare che il mondo si trovava, ora, su di unaltra via265 . Che il mondo fosse cambiato, era verissimo; ed era non meno vero che altri pensieri ed altro linguaggio si addicevano alluomo di governo responsabile che non al cospiratore del 1860 e al deputato dopposizione del 1870. Lo svolgersi degli eventi europei sempre pi induceva a prudenza, a relegare in soffitta vecchi ideali: proprio quandera presidente del Consiglio, Crispi aveva dinnanzi a s lalleanza anche con lAustria e, per contrapposto, con la Russia una difficile situazione, sempre pi tesa anzi con gli anni, parecchio anche per le paure che lui, Crispi, nutriva della grande congiura contro lI-

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talia fra il Vaticano, la Francia e la Russia. In simili condizioni lAustria veramente diventava un baluardo protettivo, e lo sfacelo dellimpero ottomano un pericoloso salto nel buio. Ma non era soltanto la prudenza del presidente del Consiglio a temperar le passioni delluomo: ch a tanto linquieto ed impulsivo Crispi non sarebbe mai giunto, ove lideale suo del 1890 fosse ancora stato lideale del 1860; n avrebbe potuto mai riconoscere, in quel caso, in Francesco Giuseppe il principe che per mente e cuore primeggia su gli altri principi di Europa266 . Qualcosa invece era mutato, in interiore homine, sia pur per effetto dellesperienza, della pratica di uomo di governo, della lezione dei tempi: ed era, per lappunto, labbandono dei princpi rivoluzionari e del programma mazziniano. Lo dichiar egli stesso, esplicitamente, in un discorso alla Camera: sbagliano i signori dellEstrema Sinistra quando parlano come Mazzini nel 1854: in quarantanni si fatto tale e tanto progresso, che le questioni che, a noi giovani, a noi cospiratori, ci facevano sollevare lanimo e preparare alle grandi lotte, oggi non si sentono pi267 . Nulla vi di assoluto in politica; luomo deve acconciarsi alle mutate circostanze dei tempi, alle condizioni diverse268 che era la negazione recisa dello spirito stesso della predicazione mazziniana, in alto i princpi, sempre e ovunque, e laccettazione, almeno teorica, della politica del giusto mezzo. Nella politica pratica bisogna prendere il mondo qual , non perder il tempo nella discussione di ipotesi che, per realizzarsi, ri chiedono secoli269 . Niente pi rivoluzione generale, niente pi lEuropa dei popoli di Mazzini. Ma nemmeno il senso europeo dei moderati, nemmeno la vecchia Europa dei Visconti Venosta e dei Bonghi. Labbandono del principio rivoluzionario non voleva ancor dire far proprio, intus, il principio conservatore. AllEuropa della rivoluzione Crispi non credeva pi;

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ma non per questo poteva tramutarsi in un convinto e sincero propugnatore dellEuropa classica. Il sistema europeo lo poteva accettare nella prassi politica, in sede tattica: farsene un ideale, come accadeva ai moderati, gli era impossibile, innanzi comera negli anni e con tutta una esperienza di pensieri e di affetti a quellideale ripugnanti. Tramont cos un ideale universale, e al suo posto rimase solo lideale particolare della grandezza del proprio paese; il programma di rinnovamento generale dellEuropa si ridusse ad un programma di potenza italiana. Persa la fede nel concorde, fraterno avanzar di tutte le nazioni giovani e ricche di vitalit, rimase, solo, lanelito allavanzar della propria nazione giovane. Che era, certo, cosa assai consona ai tempi e allesempio del maggior politico, il signore di Bismarck, sempre ostilissimo ad una Europa rivoluzionaria ma non meno scettico sullEuropa della tradizione e convinto che di ideali ce ne dovesse essere uno solo, quello della grandezza del proprio paese. Onde restringersi dei programmi non fu solo prudenza di governo, ma fece tuttuno con lincipiente sentire nazionalistico: pi ristretti, i programmi divennero anche pi corposi, acquistando una precisione e sodezza di contorni non prima avute, tanto che lirredentismo stesso, di origine rivoluzionaria e mazziniana, nazionalit e libert fuse insieme nellattesa messianica del grande rinnovamento generale dei popoli, pot poi da ultimo esser coltivato dal nazionalismo, che delle speranze nel rinnovamento generale dellumanit faceva a meno, per affisarsi unicamente nella potenza, grandezza, prestigio del proprio paese.

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II La lezione della realt Cos, se gi di per s la creazione di un potente impero nellEuropa centrale doveva naturalmente determinare, ovunque, il rinascere dello spirito di forza e di grandezza anche ai danni dello spirito di libert e di pace, e nella terra stessa di Cobden e di Gladstone eccitava il risveglio di orgoglio nazionale e lappello di Disraeli, allo spirito dominatore di queste isole270 , laffermazione trionfante del Bismarck e del Moltke e il modo di tale affermazione conducevano ad un profondo sconvolgimento di valori, trasferendosi dal piano politico-militare a quello morale e spirituale, dai problemi singoli della vita internazionale al modo stesso di impostare quei problemi. In Germania, la lezione della forza era gi stata accolta prima; il prussianizzarsi del sentire e del pensare risaliva allesperienza del.48, che aveva avviato le menti a concepimenti assai diversi da quelli dellet romantica, come aveva documentato fra tutti il Droysen, con la sua evoluzione dal pi ricco e complesso contenuto morale della prima maniera allesaltazione della politica, come pura forza della seconda maniera271 . Ora, le nuove esperienze si allargavano, non limitandosi certo allItalia e agli Italiani; ch anzi persino in Francia, nella nazione-vinta, gli eventi bellici si ripercuotevano nellintimo delle coscienze, non solo per le ovvie reazioni di dolore e di sdegno, di ripensamento dei casi passati e di ricerca delle responsabilit, ma anche per un tormentoso rimescolarsi didee e d credenze, attraverso a cui moriva tanta parte della vecchia Francia e una nuova nasceva, non soltanto nel regime politico e nellassetto istituzionale; ma anche nello spirito e nella fede. La Francia culturale e morale della Restaurazione e della Monarchia di Luglio aveva resistito sotto lImpero, nei suoi ideali e nei suoi propositi; non

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resistette alla guerra del 70, alla sconfitta, alla lezione di realt che le armi germaniche avevano impartito. Svan per primo, definitivamente, lideale della collaborazione franco-germanica, di che, sera cos riccamente alimentato il pensiero francese per pi di mezzo secolo, da quando M.me de Stal, additando nella Germania il cuore dellEuropa, aveva affermato che la grande associazione continentale non avrebbe potuto ritrovare la sua indipendenza che attraverso lindipendenza germanica272 . E Saint-Simon aveva fatto seguito immediato, con il suo programma di una societ anglo-francotedesca come base necessaria della riorganizzazione dellEuropa, anchegli salutando nel popolo tedesco il popolo destinato ad esercitare il primo ruolo nel continente non appena riunito sotto un governo libero273 ; e fu poi lirrompere del pensiero tedesco in Francia, laffisarsi dei maggiori rappresentanti della cultura francese nei grandi padri della spiritualit germanica, Lessing, Herder, Kant, e furono Victor Cousin e la passion allemande di Michelet274 e gli auspici di una stretta collaborazione culturale e politica fra le due nazioni e laugurio di una Germania saldamente liberale, sostegno con la Francia di unEuropa liberale, illuminata, tutta scienza e progresso275 Scienza e libert andavano per mano, su questo vagheggiato cammino dellavvenire; e il luglio 1830 rinfocol speranze, accese entusiasmi di qua e di l dal Reno, movendo damore per la Francia i giovani liberali tedeschi, ai quali, come ai liberali italiani, la Francia delle trois glorieuses sembr nuovamente apportatrice di libert ai popoli oppressi dEuropa. Vero , che ben presto dietro al comune ideale di libert erano apparse le prime, grosse discrepanze di nazionalit, onde nuovamente minacciosa, a molti dei liberali tedeschi, si profil la nazione che era pur sempre lerede di Napoleone e che gi una volta, mettendo innanzi la parola libert, aveva imposto la sua egemonia; mentre, dallaltro lato,

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Edgar Quinet, inizialmente anche lui, come Michelet, sedotto dalla Germania di Herder, lanciava il primo grido dallarme, denunziando il collerico nazionalismo tedesco e la minaccia contro lAlsazia-Lorena276 . Vero , soprattutto, che la grave crisi diplomatica europea del 1840, attorno alla questione dOriente, aveva scavato un primo solco, grosso, con le invocazioni dei nazionalisti francesi ad una guerra sul Reno e limmediato scattare della coscienza germanica, nuovamente una nel sentir la passione nazionale al di sopra delle ideologie politiche277 . Allora, Becker e De Musset avevan tradotto in versi quel che di irreparabile si stava compiendo; nellesaltazione del libero Reno tedesco e nel ricordo del Reno gi contenuto nel bicchiere francese, era riapparso brutalmente e bruscamente il fondo secolare di un contrasto che nemmeno un comune ideale politico era capace di sanare. Allora, al dir dello Heine chera pure, anche lui, un propugnatore dellamicizia franco-tedesca, il signor Thiers col suo fragoroso tamburinare svegli dal suo sonno letargico la buona Germania e la fece entrare nel gran movimento della vita politica dellEuropa; egli batteva la diana cos forte, che noi non potevamo pi riaddormentarci, e, dopo di allora, siamo rimasti sempre alzati. Se un giorno noi diventeremo un popolo, il signor Thiers potr ben dire di non avervi contrastato, e la storia tedesca gli terr conto di tale merito278 . Tuttavia, per quanto grave di conseguenze lontane fosse stata la crisi del 40, non essa aveva potuto distruggere veramente il sogno; e se gi in quei difficili giorni Victor Cousin, filosofo e allora ministro, continuava a parlare con entusiasmo dellarte e della scienza germanica, della profondit danimo e di spirito, dellamore per la giustizia e dellumanit propri dei Tedeschi279 , passata la crisi gli antichi entusiasmi eran riapparsi, soprattutto fra gli uomini di cultura francesi, nei quali lepisodio politico, poco compreso nel suo significato profondo, non

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aveva potuto scalfire la passione per il genio scientifico dei Tedeschi. Leggendo per la prima volta Goethe e Herder, Renan credette dentrare in un tempio: e da quel momento tutto ci che prima gli era sembrato ornamentodegno della divinit gli fece leffetto di fiori di carta ingialliti e consunti280 ; ed egli propose come scopo alla sua vita di lavorare per lunione intellettuale, morale, politica di Francia e di Germania281 . Gli rispondeva, dallaltra parte, Ludwig Brne, che, nel 44, dichiarava di amar la Germania pi della Francia perch la Germania era infelice, ma, per il resto, di sentirsi tanto francese quanto tedesco e di veder indissolubilmente legate libert e felicit della Francia e libert e felicit della Germania: le colonne della libert francese dovevano trovare la loro ferma base non sulla piazza della Bastiglia, ma sulle rive dellElba282 . Nuovamente il 48, almeno allinizio, come una volta il 1830, aveva recato lievito per una comune passione: libert e democrazia, rivoluzione europea, affrancamento dei popoli avevano costituito una parola dordine ovunque diffusa, e che si rivolgeva a Francia e Germania non meno che ad Italia e Polonia soltanto la Russia e lInghilterra restando estranee, al di fuori283 . Forse che a Francia e Germania anzitutto non si era gi volta da tempo lattenzione del Marx, dai giorni degli effimeri Deutsch-Franzsische Jahrbcher e dei suoi entusiasmi per il principio gallo-germanico, caro al Feuerbach, cuore francese e testa tedesca284 ; non si volgeva ora lo stesso appello dei comunisti, la Germania, come una volta per Saint-Simon ma in ben diverso modo, presentandosi quale terreno decisivo della lotta per lavvenire285 nella continua ricerca di motivi comuni e di ideali identici per luno e per laltro popolo? Herwegh e Bornstedt non avevano forse rivolto un appello ai cittadini francesi perch dessero armi ai Tedeschi emigrati e democratici,

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che marciano in aiuto dei lorofratelli, per proclamare insieme la repubblica tedesca dopo quella francese?286 . Cos che nonostante il 1840; nonostante il rinnovarsi di accenti altamente nazionalistici nel 48, quando spirito di libert e spirito nazionale dopo una prima ora di illusioni si trovarono a cozzare lun contro laltro, Polacchi e Cechi e Italiani si scoprirono lontanissimi dai Tedeschi gi irrigiditi nel loro esclusivismo patriottico, e la spedizione di Roma contrappose brutalmente Italiani e Francesi; quando nellAssemblea di Francoforte, sia di fronte alla questione italiana, sia, soprattutto, di fronte a quella polacca, legoismo nazionale trionf sulle rovine dellideale generale dei popoli liberi, e Wilhelm Jordan esclam libert per tutti, ma la potenza e la prosperit della patria tedesca al di sopra di tutto287 : nonostante dunque tali fratture laspirazione ad una intima collaborazione culturale e politica franco-germanica era continuata. E ancora trovava credito largo lassioma, di tacitiana origine e divenuto luogo comune nella pubblicistica e nella letteratura tedesca, da Hutten a Mser a Herder, e poi divenuto luogo comune nella letteratura europea dellet romantica, delle altissime qualit della nazione tedesca la morale pi pura, una sincerit che non inganna mai, una probit a tutta prova288 , della libert come affermazione dello spirito germanico nata nei boschi, a dirla col Montesquieu, frammezzo a rudi guerrieri germanici i nostri padri289 . Lamore per la Germania, per la cultura tedesca, per la razza tedesca, aveva trovata in Francia, nuovi, strenui difensori, massimo fra tutti Ernest Renan, gran pontefice del verbo la razza gallica necessita di esser ogni tanto fecondata dalla razza germanica per poter produrre tutto ci che in essa , onde se la Restaurazione aveva posto le basi del vero sviluppo intellettuale della Francia nel secolo XIX, ci era dovute alla libera invasione del germanesimo, pi benefica nei suoi effetti dellinvasione

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culturale italiana nel Cinquecento, troppo legata al volere dei sovrani290 ; Renan che, non trovando nulla di urtante nella conquista di un paese di razza inferiore ad opera di una razza superiore, anzi attribuendo allordine provvidenziale dellumanit la rigenerazione delle razze inferiori ed imbastardite ad opera delle razze superiori, e invocando cos il ver sacrum europeo verso lAsia e lAfrica, con un popolo di soldati e signori gli Europei uno di lavoratore della terra i negri uno di artigiani i cinesi 291 , accettava proprio le pi pericolose premesse del germanesimo e diveniva apostolo anche del colonialismo e dellimperialismo; Renan, sempre dominato dallormai convenzionale schema del profondo idealismo tedesco292 , e ancora nel 66 convinto della necessit dellalleanza franco-tedesca, culturale e politica293 ; Renan, che in questa alleanza, a cui si sarebbe aggregata anche lInghilterra, vedeva una forza capace di governare il mondo, e cio di dirigerlo sulla via della civilt liberale, a ugual distanza dalle impazienze ingenuamente cieche della democrazia e dalle puerili velleit di ritorno ad un passato che non potrebbe rivivere294 . Ogni illusione fu troncata dalla guerra; ogni sogno svan. E se Michelet sent colpito a fondo dal militarismo prussiano trionfante il suo lungo, romantico e democratico amore per la Germania e cadde nel pessimismo delle Origines du XIX sicle295 , e mor di l a poco, moralmente e spiritualmente ucciso dagli eventi del 70296 ; se Taine, anchegli pieno di ammirazione, prima, per la Germania, usciva dalla tragedia sconvolto e risvegliato dal suo sogno297 , Renan stesso dichiarava che la sua era stata una chimera ormai distrutta per sempre, ed un abisso sera scavato fra le due nazioni, difficilmente colmabile anche attraverso secoli. Svaniva il mito del tedesco tutto purezza idealit rigidit morale, e appariva il prussiano in uniforme soldatesca, simile alla soldataglia di ogni tempo, cattivo, ladro, ubriacone, vandalico non meno degli

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avventurieri del Wallenstein; ci che sera amato nella Germania, la sua alta concezione della ragione e dellumanit non esisteva pi e la Germania era soltanto una nazione, la pi forte delle nazioni del momento ma nulla pi298 . Finito il compito universale, che aveva fatto grande la Germania di Kant e di Goethe, di Lessing e di Herder, cominciava il dominio della politica, e cio del signore di Bismarck; si conchiudeva il regno della Germania spirito e cominciava il regno della Prussia forza299 . Lo pensava anche Jakob Burckhardt, una sera del dicembre 1870, quando, interrotta la lettura di Mrike e posto da canto il libro: una tal cosa, disse, sar ora impossibile in Germania. Non si pu voler essere un popolo importante civilmente e nello stesso tempo politicamente. La Germania ha ora scelto la politica come suo principio: ne sopporter le conseguenze300 . La guerra seminava un odio violento fra le due parti dEuropa, la cui unione pi importava al progresso dello spirito umano; rompeva larmonia intellettuale, morale, politica dellumanit, introducendo per secoli unacre dissonanza nel concerto della societ europea; spezzava la triplice alleanza anglofranco-tedesca, unica garanzia dellEuropa contro gli Stati Uniti dAmerica e soprattutto contro gli smodati appetiti della Russia e del suo barbarico mondo asiatico301 . E ancora, Renan non sapeva staccarsi completamente, nemmeno ora, dal suo vecchio sogno. Aveva lanciato appelli al senso di moderazione dei Tedeschi, per una pace giusta che non scavasse labisso fra i due popoli, aveva profeticamente ammonito vae victoribus!; sera rivolto al collega di studi tanto ammirato, David Strauss302 , sempre esortando contro leccesso di patriottismo; aveva pronunziato sconsolatamente il suo nunc dimitte, lui, luomo dellamicizia franco-germanica, ora costretto a ritirarsi e a tacere, non potendo pi consigliare lamore ai suoi compatriotti e non volendo consigliare lodio303 .

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Anche coloro che sono filosofi prima di essere patrioti non potranno rimanere insensibili al grido di due milioni di uomini, che noi siamo stati costretti a buttare a mare per salvare gli altri naufraghi, ma che erano legati a noi per la vita e per la morte304 Eppure, eppure parecchio rimaneva in lui, se non dellantico ideale europeo, almeno dellantico germanesimo: questo, anzi, usciva involontariamente ancor rafforzato dalla terribile prova, rafforzato, intendiamo, come potenza suggestiva di dottrine e forme germaniche sul brettone dal mite sguardo: e nera prova La rforme intellectuelle et morale de la France, che finiva con ladditare, per modello, ancora e sempre lo spirito germanico, ed esaltava lo spirito militare; di germanica origine, di cui la Francia sera malauguratamente privata con lIlluminismo e la Rivoluzione, sostituendovi una concezione filosofica e ugualitaria della societ305 ; nera prova il gi accentuato razzismo306 , che precisava ancora pi atteggiamenti degli anni precedenti307 e conduceva il Renan completamente fuori dallorbita della grande tradizione liberale francese, dalla tradizione del Tocqueville308 ; nera prova lammirare sempre, direttamente o meno, la stessa organizzazione politica, sociale e militare prussiana309 . Ma erano proprio questi gli ultimi e affiochiti bagliori di quella che per cinquantanni era stata una gran fiamma; e non pi solo contro la Germania bismarckiana, bens contro il mito stesso germanico, contro il cieco entusiasmo da cui quasi ogni Francese era stato pervaso per le cose doltre Reno, fra il 1815 e il 1870, grazie allodio del secolo liberale per Napoleone I e alla predilezione per i suoi nemici, contro la tradizionale raffigurazione dei Germani puri ed onesti, contro la scienza germanica, presentata ora non pi nella sua luce di pura e disinteressata ricerca del vero, ma quale organizzazione utilitaria a pro della patria, contro tutti questi idoli insorgeva dunque la grande voce di Fustel de Coulanges, vibrante an-

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cora delle s vicine lezioni a Strasburgo, la citt perduta. Qui, veramente, tutto crollava del mito di un tempo, nel passato e nel presente: dallattacco alla storiografia tedesca, nel 72310 , Fustel de Coulanges trascorreva a combattere lesaltazione dei Germani nelle lontane istorie; e ne nacque lHistoire des institutions politiques de lancienne France, una, e la maggiore, delle tre grandi opere storiografiche in cui il rivolgimento di idee e di affetti determinato dalla guerra trov la sua compiuta espressione311 . Da tale pathos mosso, dallamor di patria tanto pi fiero quanto pi dolorante la patria, dalla volont di smascherare i funesti errori propagati dalla scienza germanica, lo storico della Cit antique divenne lo storico che prese di petto le concezioni germanistiche sulla fine del mondo antico dominanti da pi di un secolo, e demol i miti della purit germanica originale, della libert germanica primitiva, della salvazione dellumanit grazie alle orde degli invasori. Cos, svan il gran sogno della cooperazione morale e spirituale tra i due popoli di qua e di l dal Reno; e tramont lidea dellalleanza anglo-franco-germanica, di quella gran base comune per fondarvi su la civilt europea e il progresso avvenire, che Mazzini aveva cercato di modificare, sin dal 1832, progettando invece lalleanza morale italo-franco-germanica, come nucleo della grande fratellanza e Alleanza dei Popoli, cercando cio di far assumere anche allItalia la parte di inziatrice, ma senza far veramente breccia profonda nel pensiero europeo. Ora, non rimaneva pi nulla: anzich avvicinarsi fondersi, luna e laltra cultura si allontanarono sempre pi, la rivalit politica franco-germanica si complic con una assai pi grave e profonda lotta di tendenze spirituali, e dunque la contesa prettamente politica fin per diventare contesa di civilt, siccome dovevano dimostrare gli appelli e le polemiche che caratterizzarono poi la guerra del 1914-18.

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In luogo di amore e gentilezza si predic lodio fra i popoli: ogni gentilezza, scriveva Flaubert nei giorni dellinvasione, persa per molto tempo; comincia un mondo nuovo; si educheranno i bambini allodio del prussiano312 , Non a caso lalfiere della revanche e padre del nazionalismo francese, Paul Droulde, divenne tale per la profonda scossa morale prodotta in lui dalla guerra; ondegli, prima del 70 cosmopolita a suo stesso dire, disdegnoso delle armi e zelatore delle arti, incapace di comprendere la grandeur militaire alla De Vigny, sin dal 72 intonava i Chants du soldat, esaltando lodio ormai nato e la forza che stava per nascere, e preannunziando
la revanche ... lente peut-tre, mais en tout cas fatale, et terrible coup sr313 .

E mentre nel 1814 la reazione al crollo del Primo Impero era stata anche reazione allo spirito di conquista o, detto in termini odierni, al militarismo, ora succedeva precisamente lopposto; la grandeur militaire ridivent motivo dominante per tutti, Gambetta e radicali compresi, elassillo di riscattare Sedan e Metz torment da allora lanima francese, con ancor pi acre costanza di quel che lassillo di riscattare Lissa e Custoza tormentasse lanima italiana. Nessun indizio pi eloquente di tal rivolgimento profondo, degli atteggiamenti di un Renan, che nel 49 aveva inveito contro la scuola esclusivamente nazionalista, come negazione dellideale dellumanit314 che ancora nel 70 in piena guerra si ergeva pubblicamente, contro il patriottismo esasperato e lo spirito nazionalista315 , che in cuor suo non fu mai dimentico dellantica fede e bttezz il patriottismo nuovo stile come una moda destinata a durar cinquantanni e poi, quando avrebbe ben bene insanguinata lEuropa, a non esser pi compresa316 ; ma che pubblicamente non disdegn di secondar laura popola-

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re, assumendo atteggiamenti da patriota benevolo per i Droulde317 . Cos , che se gi nei rapporti internazionali propriamente politici la questione dellAlsazia-Lorena era destinata a costituire il pomo della discordia europea, anche fuor della politica, nella vita della cultura, il fato delle due province pes come la maledizione da cui le genti non poterono liberarsi. Noi ci eravamo illusi scriveva lAmari quando appena il cannone aveva cessato di tuonare sperando che la dottrina e la civilt avessero tanto ammansita lumanit, almeno tra i popoli cristiani, da rendere men frequenti le guerre, men facili, meno ingiuste, meno crudeli, e invece! le nazioni vivono tuttavia nello stato di natura, non dico la natura dei selvaggi dellOceania, ma di certo quella delle trib arabiche318 . Ma gi prima, quando appena il cannone aveva fatto udire la sua voce, gi prima Flaubert aveva riassunto, un un grido dellanima, tutte le disillusioni e gli sgomenti di uomini brutalmente strappati ad un roseo sogno: Ah! lettrs que nous sommes! lhumanit est loin de notre idal! et notre immense erreur, notre erreur funeste cest de la croire pareille nous et de vouloir la traiter en consquence319 . Fossato aperto e incolmabile con la Germania, dunque. Ma nello stesso tempo la lezione delle cose, il peso della sconfitta, lonta della Francia invasa come influivano su idee e ideali dei politici e degli scrittori francesi, inducendoli ad accogliere principi e modi di essere del vincitore prussiano, e sia pure per rivoltarli contro di lui! S, contro il germanesimo, contro lidea della forza e per la libert insorgevano gli uomini nuovi, quelli che avrebbero creata la Francia repubblicana, i Gambetta e i Ferry; e il radicalismo fu veramente, in quegli anni dopo il 70, il fermento ideale attraverso cui si salvarono, progredendo e sviluppandosi, i pi fruttuosi motivi della vita politica francese del sec. XIX; e la stessa difesa gambet-

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tiana della latinit, dellidea latina come della sola idea generosa, contro lidea germanica320 , ebbe questo indiscutibile valore, di reazione decisa contro il pernicioso influsso del realismo di stampo germanico. Insorgeva, ancora, un Fustel de Coulanges, che trovava elevati accenti per protestare contro il diritto di invasione e lo spirito di conquista, contro la valutazione puramente materiale dei fatti, rivendicando la vita interiore, la moralit e spiritualit delle nazioni, e acutamente presagendo i guai futuri della Germania, che il bismarckismo avrebbe provocato321 . Alta sempre si levava la voce di Edgar Quinet, il vecchio combattente della libert, anchegli ora con lanimo volto alla cattedrale di Strasburgo322 : vecchio, ma non fiaccato, salutava il riapparire della libert, quasi unico tra i grandi intellettuali a difendere il radicalismo, vale a dire la forma in cui la libert doveva essere allora difesa in Francia323 . E lungi dal ricorrere ai rimedi della forza, della autorit, dal concedere alcunch ai conservatori, ne attaccava con veemenza animo e pensieri, contraddicendo quasi punto per punto alle idee di un Renan324 . Ma, accanto, quanto declinar di fede e dileguar di speranze, quanto abbandono di forze ideali, sacrificate alla forza cosiddetta reale e positiva! Il realismo venne di moda anche l e consigli ripudio di princpi e gener pessimismi e irrigid su posizioni di forza uomini che erano pure di alto sentire e di raffinata cultura. Il realismo, la forza, di fronte a cui ridicolo affisarsi nelle nuvole dellideale: comera triste veder accogliere simili idee proprio da un Renan, infatuato a ripetere, agli amici dei rituali pranzi presso Brbant, in piena guerra, la sua convinzione della superiorit della razza germanica, eccitato sino al punto da accogliere, lui, lo storico di Ges, la formula della forza che sovrast al diritto, come una legge eterna325 .

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Erano i motivi che rendevano ancora pi acre la condanna democrazia, gi per linnanzi malamente vista dal Renan326 , che la rendeva responsabile della decadenza francese, del materialismo trionfante, della platitude bourgeoise327 ; la condanna del suffragio universale che aveva reso padroni della vita pubblica i contadini, cio lelemento inferiore della civilt328 : e lepilogo di un tal modo di sentire era La rforme intellectuelle et morale de la France, cio il processo alla Rivoluzione francese e alla repubblica, alla democrazia e al suffragio universale, nel nome del realismo e della volont di potenza329 . Triste scritto, di cui il Mazzini avvertiva subito il male segreto; triste ritorno verso lesaltazione della potenza militare, espressa ormai solo dalla Prussia330 , sul cui modello, vigoroso e feudale, con una forte monarchia e una forte nobilt, anche la Francia avrebbe dovuto ricostruire s sessa, sempre che ne fosse ancora capace e non fosse invece gi agonizzante331 . Sedan e Metz e la capitolazione di Parigi ispiravano il giudizio finale sui mali di cui soffriva la Francia: la guerra lopposto di quella mancanza di abnegazione, di quella asprezza nella rivendicazione dei diritti individuali, che costituisce lessenza della democrazia moderna. Con questo spirito non c guerra possibile. La democrazia il pi forte dissolvente dellorganizzazione militare; la vittoria tedesca stata la vittoria delluomo disciplinato su colui che non lo , delluomo rispettoso, attento, metodico, su colui che non lo ; stata la vittoria della scienza e della ragione; ma stata anche, simultaneamente, la vittoria dellantico regime, del principio che nega la sovranit del popolo e il diritto delle popolazioni di decidere del loro destino. Queste ultime idee, lungi dal rafforzare una razza, la disarmano, la rendono inadatta ad ogni azione militare e, per colmo di sventura, non la preservano dallabbandonarsi nelle mani di un governo che le faccia commettere i pi grossi errori332 . La

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civilt opera aristocratica, di un piccolo numero; lanima di una nazione pura cosa aristocratica. Il suffragio universale un mucchio di sabbia, non una nazione333 . Corollario ultimo, la necessit della guerra, unico mezzo per evitare lavvilimento delluman genere: la guerra, condizione del progresso, frustata che impedisce ad una nazione di addormentarsi, tanto che il giorno in cui lumanit divenisse un grande impero romano pacificato e senza nemici esterni, quel giorno la moralit e lintelligenza correrebbero pi grandi rischi334 . Come una volta Pietro il suo Signore, cos ora lo storico di Ges rinnegava con tali affermazioni cinquantanni di pensiero europeo, del suo stesso pensiero, rinnegava i sogni di un progresso pacifico grazie al concorde lavoro delle nazioni, e anzitutto al concorde lavoro di Francia e Germania. E Renan non era solo. Taine, che anchegli da tempo aveva avuto des ides grises riguardo alla Francia e vedeva ora il grigio diventar nero335 , smarrita ogni fede nei sistemi politici fondati sulleccellenza della natura umana, anchegli diventato fieramente antidemocratico336 , pur rimanendo lontano dal germanesimo persistente di un Renan, e anchegli avverso allidolatria del numero, convinto che la Francia non avesse ancora trovato, da ottantanni, lassetto politico conveniente337 , e convinto che fosse dovere di ciascuno occuparsi di politica e dover suo, in particolare, di far della politica sotto forma istorica338 Taine dava inizio alle Origines de la France contemporaine, questa requisitoria solenne contro la Rivoluzione, spogliata del manto poetico e mistico da cui era stata avvolta e resa colpevole, in ultima analisi, dei disastri del 70339 . Pi violento ancora lirascibile, tormentato e cupo Flaubert nimicissimo di ogni idea di democrazia340 , senza pi illusioni e scettico ormai sulle possibilit di progresso, sulla civilt, sulla funzione stessa della letteratura341 ,

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convinto che il primo rimedio per assestare le cose sarebbe stato di farla finita con il suffragio universale, la honte de lesprit humain342 , persuaso che la grande Rivoluzione era stata un aborto343 , avverso al 4 settembre, alla guerra, alla Comune, alla Repubblica, disperante di tutto e di tutti344 e con la sensazione che sentrasse, dopo Paganesimo e Cristianesimo, nella terza grande fase dellevoluzione umana, nella fase del muflisme345 . E con lui, Edmond de Goncourt disorientato, antidemocratico, antirepubblicano346 e altri ancora che davanti alle schiaccianti vittorie della forza militare prussiana non sapevano pi qual valore attribuire alle idee come fattori di storia. Insomma, un crollo morale, un disorientamento grande pur negli spiriti magni del pensiero francese347 : crollo e disorientamento che la Comune doveva ancora accrescere348 , sempre pi spingendo quei letterati e pensatori verso princpi di conservazione pura, di fobia della rivoluzione e della democrazia, di apprezzamento del Dio degli eserciti e della polizia, che solo assicura la vittoria sul campo di battaglia e lordine nelle vie delle citt. Gi una volta, dopo la dittatura del primo Napoleone, il pensiero francese si era rivoltato contro le teorie della sovranit popolare e del suffragio universale, che avevano praticamente condotto agli pseudo plebisciti napoleonici e al dissolversi della sovranit democratica nel dispotismo349 . Ma allora, almeno, cera stata la gloire, che nemmeno il 1814 e Waterloo potevano offuscare perch il 1814 e Waterloo eran sentiti come sconfitta di Napoleone, non della Francia, e a Vienna la Francia non era stata umiliata: e avevan voglia i pubblicisti della Restaurazione di odiare la gloria militare e di respingerne le seduzioni350 , essa rimaneva cara a tanta parte del popolo, come retaggio visibile del Primo Impero, inciso nel cuore delle moltitudini e destinato infatti, di l a non molto, ad essere nuovamente esaltato e sbandierato. Ora, inve-

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ce, non solo la dittatura allinterno, bens anche una catastrofe esteriore mai verificatasi nella luminosa storia di Francia; non solo dispotismo, a conseguenza dei plebisciti e della sovranit popolare, ma, in fine della vicenda, una sconfitta ignominiosa, la Francia corsa e calpestata, Metz e Strasburgo perdute: e questa volta non una sconfitta del solo usurpatore, ch dopo Sedan il vinto non era pi Napoleone III ma la Francia istessa, la Francia di Gambetta e di Jules Favre e di Thiers, la Francia di Parigi assediata bombardata costretta alla capitolazione e a veder sfilar nei Champs Elises i soldati prussiani, la Francia forzata a chieder pace e a subirla nella forma dura e umiliante voluta dal nemico. Occorreva dunque una riforma: magari una riforma alla Renan, il quale dunque diveniva portavoce di quei medesimi sentimenti che, sul concreto piano politico, si esprimevano attraverso il trionfo elettorale delle forze conservatrici, monarchiche, nostalgiche del passato monarchico nobiliare militare: singolare beffa del destino che riavvicinava, in quel momento, lo scrittore tanto detestato e tanto detestante, e il clericalismo, cos strettamente legato proprio con il monarchismo la nobilt lesercito! Almeno laristocrazia legittima che sognava Flaubert, per governare il popolo, eterno minorenne, era laristocrazia dei mandarini, e cio degli uomini di scienza e di cultura351 : illusione assai pi grossa, ma almeno illusione assai pi consentanea allanimo e allo spirito di un chierico delle lettere. Diversamente che in Italia, la lezione delle cose conduceva qui dunque non pure allapprezzamento della forza e al distacco dai vecchi sogni europeistici, ma anche ad unaspra polemica antidemocratica e persino antiliberale. Diversamente che in Italia, dove realisti si proclamavano soprattutto uomini della Sinistra e vecchi rivoluzionari alla Crispi, il realismo politico allignava in Francia soprattutto fra i conservatori e parve significare, in quei

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giorni, nostalgia di un certo passato, cos che si venne accentuando il distacco fra il vecchio alto ceto e le nouvelles couches sociales, il distacco che politicamente si espresse nella lotta attorno al radicalismo e contrassegn i primi tempi della Terza Repubblica. Ma se, nel contrasto, i radicali erano destinati a vincere sul terreno propriamente politico e parlamentare, qualche cosa tuttavia sopravvisse di quellatmosfera di crisi in cui era piombata, per effetto di Sedan e di Metz, tanta parte dellalta intelligenza francese: e fu il bisogno della forza, come forza non pi di idee, ma di armi e di uomini; e fu linvocazione ad una politica realistica, che sapesse astrarre anche dai desideri e dai voti delle moltitudini e, sul modello prussiano, confessato o inconfessato, guidasse con mano ferma la cosa pubblica e si attenesse non alle vane declamazioni ideologiche, ma agli interessi concreti e ben precisi. Potente lievito per il formarsi delle dottrine nazionalistiche. Allo stesso risultato ultimo doveva condurre unaltra tendenza, pure ben delineata dopo il 70 e tuttavia di assai diversa origine. Il subitaneo crollo dellimpero napoleonico, legittimando lopposizione condotta tenacemente contro lImpero anche in politica estera, sembrava dar valore di verit assoluta alla critica del, principio di nazionalit. Aver voluto seguire questultimo, era stato il massimo errore di Napoleone III, fuorviatosi ai danni della Francia e a favore dellItalia e fin della Prussia: i veri interessi francesi erano stati sacrificati a quel principio assurdo352 . Ora, dunque, il vecchio astio degli oppositori al Secondo Impero, da Thiers a Broglie, trovava finalmente facile motivo di giustificazione nel crollo di Sedan e, insieme, nel mancato aiuto dellItalia, questa creatura di Napoleone III che al momento buono si era sottratta al suo benefattore, dimostrando come la politica di sentimento fosse la pi stolta delle politiche. Solo un sognatore alla Napoleone III aveva potuto illudersi su ci: un sognatore a cui si accoppiava il dilettante, luo-

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mo non esperto. Ci voleva lignoranza napoleonica delle tradizioni politiche della Francia, per cascare cos malamente in un trabocchetto, quale era il principio di nazionalit. Taine spogliava la Rivoluzione della sua veste mistica; Albert Sorel toglieva al principio di nazionalit lalone ideale di che avevano circonfuso Mazzini e Michelet, presentandolo come semplice arma tattica nelle mani dei governi, strumento atto a servire tanto grandi disegni e nobili iniziative quanto grossolani appetiti di dominio. La forza sempre essa! rimaneva la ragion sovrana dei re e delle nazioni353 . Ma la forza richiede di essere ben impiegata; e per ben impiegarla occorre la lunga lezione delle cose antiche, e cio la conoscenza sicura delle tradizioni diplomatiche e politiche che, sole, possono dare la sensazione esatta degli interessi reali di un paese e fornire alluomo di stato la giusta misura per modellare la sua azione. I politicanti del Secondo Impero avevano condotta la Francia alla catastrofe, perch non avevano conoscenze sicure354 ; laccusa, da tutti condivisa, legittimisti e repubblicani, nobili e plebe355 , era stata formulata sin dal 5 settembre 1870 dal primo ministro degli Esteri della Repubblica, da Jules Favre che pure non era un reazionario n un nazionalista: la Francia aveva intrapreso la guerra isolata in mezzo a unEuropa ostile. Il governo che laveva follemente precipitata in questa formidabile avventura non aveva immaginato nessuna combinazione, offerto nessun trattato, previsto nessun riavvicinamento. Per risollevare la Francia, era necessario ricreare questa sapienza perduta. E cos, nello sforzo grandioso di quegli anni di dopoguerra, quando ognuno non mediocre anelava a servire alla ricostruzione della patria vinta e depressa, e i pi giovani ed impetuosi si spartivano il compito, quali nella storiografia, quali nel romanzo, quali nella poesia356 ; e cos mentre un Taine rinunciava alle ricerche puramente speculative e dava inizio alle Origines, per ammaestrare il

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suo paese, un Sorel si prefiggeva il compito di richiamare la Francia alle sue luminose tradizioni di politica estera e poneva mano a LEurope et la Rvolution franaise, laltra grande opera in cui la storiografia francese della fine dellOttocento sottoponeva a revisione tutto quanto sera detto e pensato sullevento rivoluzionario357 . La continuit fra il prima e il dopo la Rivoluzione Tocqueville laveva ricercata, un trentennio innanzi, nella struttura interna del paese, sotto lassillo delle preoccupazioni del pensiero liberale del primo Ottocento; Sorel, ora, guardava ai rapporti internazionali e diveniva il precettore dei diplomatici del Quai dOrsay. Ma da un siffatto ritorno sul passato, alla luce di una dura esperienza vissuta, della forza e della potenza militare che simpongono sul diritto tale essendo il fermo convincimento di ogni francese, dopo la pace di Francoforte e la perdita dellAlsazia-Lorena che cosaltro poteva derivare se non lapprezzamento dei vecchi criteri di politica di equilibrio, di politica delle alleanze, di politica volta a creare un sistema francese in Europa contro le potenze rivali? In luogo dello stupido e vago principio di nazionalit, causa di tanti guai, nel cui nome, alla fin fine, sera strappata alla Francia lAlsazia-Lorena358 , restituire, alla buonora, il principio dellequilibrio europeo, Vangelo diplomatico dun tempo e auspicato Vangelo per lavvenire359 . Era la vecchia lezione della storia di Francia, da secoli, storia di potenza, di prestigio, di grandeur; e lanimo di chi vi ci si tuffava per chiedere ammaestramento al presente, nera inebriato360 . Non pi amare tutte le patrie, come aveva detto Michelet, che guardava alla sua Germania, alla sua Italia, alla sua Polonia361 ; amare la propria patria, amare la Francia, e soltanto essa. Cos, a poco a poco, il desiderio di star ben aderenti alla realt, senza perdersi dietro ad ideali fumosi, ma con la vigile guida del passato, a cui ci si ricollegava saltando lintermezzo vacuo del Secondo Impero, condu-

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ceva al vagheggiamento di una politica di potenza, sulla base dei vecchi canoni dellequilibrio, delle sfere dinfluenza, degli stati vassalli, una politica tutta nutrita di sacro egoismo, che evitasse gli errori sentimentali362 , e nuovamente ne riceveva alimento continuo e sottile lincipiente spirito nazionalistico. Da Taine poteva derivare lo spirito antidemocratico; da Sorel, gran maestro ideale dei diplomatici francesi di un cinquantennio, lo spirito di grandezza, la volont di potenza, il senso dei risultati a positivi e delle opere durature363 il convincimento, alla tedesca, del primato della politica estera: agli uni e agli altri fin con lattingere il nazionalismo fin de sicle364 . Realismo, forza, scetticismo per le grandi affermazioni ideali, utili solo come strumento tattico: questi erano i frutti delle vittorie prussiane del 70. Declinavano gli ideali, anche quello della libert, che a far amare assai pi cautamente, sopravveniva ancora la Comune; signoreggiava la realt365 : comprendre et apprendre pour agir, era la nuova parola dordine che indicava nellazione il fine, tutto il resto, anche la cultura, servendo da mezzo366 . Da una parte, come aveva detto il Blanc, la scienza positiva, cio la scienza applicata allindustria, e gli incredibili progressi di questa, la produzione e la forza della tecnica367 ; dallaltra la politica anchessa come scienza di cose solide e sicure, banditi gli affetti e gli ideali, messi da canto i princpi, cio la politica come forza e potenza numericamente calcolabili. Luna e laltra cosa si davano la mano, progresso tecnico, e gigantesco sviluppo industriale, implacabile razionalit nella condotta degli affari, ed evolversi della vita politica verso forme statali sempre pi quantitativamente forti, per ricchezza armi organizzazione estensione colonie. Tramontava la piccola azienda artigiana, e tramontava lideale del piccolo stato, cos caro allIlluminismo e al Romanticismo, ai Montesquieu Rousseau Si-

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smondi Adam Miiller, il cui posto era preso ora dal grande Stato368 . Fenomeni, daltronde, luno e laltro, che non erano se non i due aspetti di un solo processo storico in cui la quantit tendeva sempre pi a prevaler sulla qualit, la grande industria sullartigianato, il grande Stato sul piccolo, le masse di elettori sui valori personali, il peso del numero sui raffinati valori della cultura e dellintelligenza. Ma let del commercio non solo non si sarebbe sostituita allet della guerra, secondo il vaticinio di Benjamin Constant369 , che aveva anticipato lottimismo cobdeniano sul nuovo spirito commerciale diffonditore di prosperit e pace nel mondo, anzi si sarebbe associata alla guerra; i popoli manifattori e commercianti, contrariamente al detto del Minghetti giovane370 , non sarebbero stati alieni dal venir al sangue, e le guerre avrebbero acquistato in terribilit di distruzione quel che avrebbero perso in lunghezza di tempo, a fronte delle prolisse guerriglie medievali. Trionfo del commercio, per quegli ottimisti, aveva voluto significare trionfo dello spirito di pace e abbandono degli appetiti di conquista militare, disdegno della gloria guerresca; ma la gloria militare mantenne il suo fascino e lo spirito di conquista cerc anzi giustificazione e pretesti e trov spesso motivi anche in considerazioni di utile economico, per sopravanzare rivali e schiacciar concorrenze troppo pericolose. Lantico e detestato spirito politico di conquista non fu assorbito, anzi assorb in s lo spirito economico dellaffare: onde, in un mondo che allacciava ogni giorno pi rapporti strettissimi di interdipendenza economica e in cui sembrava che le piccole vecchie questioni europee di frontiera dovessero ridursi a episodi di scarso valore, le questioni europee di frontiera rimasero invece il fattore decisivo che pot travolgere lumanit intera in conflitti mai prima visti. Lo spirito nazionalitario irruppe nella storia e scaten i popoli luno contro laltro; come aveva intui-

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to Mirabeau371 , le guerre dellantico regime divennero un giunco da ragazzi in paragone delle nuove. Commercio e libert, aveva proclamato la scuola di Manchester: ma il trionfo del protezionismo avrebbe, di l a non molto, fatto comprendere che i sogni di unarmonia universale erano finiti. Questo era il succo della nuova realt: una realt contessuta di molteplici elementi, a mano a mano sempre pi prementi per il rapidissimo evolversi della vita moderna in tutte le sue forme, sempre pi accentuanti il valore del numero, di guisa che la stessa Realpolitik alla Bismarck finiva con lessere solo una manifestazione dello spirito avviato a signoreggiare il mondo nelle prossime generazioni, e il Cancelliere prussiano diveniva lincarnazione politica di uno sviluppo storico che trascinava con s tutte le forme di vita372 . Vecchio, stanco e sfiduciato, il Minghetti lo riconobbe: noi credevamo alla giustizia e alla libert, oggi si crede alla forza, ed al numero373 . La forza: e in luogo della predicazione in nome dellumanit di un Mazzini, degli appelli agli Stati Uniti dEuropa di un Cattaneo, dellidentit fra morale pubblica e privata di un Balbo e di un dAzeglio, risuonarono le voci di un Droysen ad ammonire che nel mondo politico vale la legge della potenza, come in quello fisico la legge di gravit374 , o di un Treitschke, che lo stato forza e il suo obbligo la conservazione della potenza e chi non abbastanza virile per guardar bene in faccia tale verit si occupi di altro, ma non di politica375 . La forza: indifferente anche ai sentimenti di avversione che provocava, pur di sentirsi materialmente sicura. Loderint dum metuant diveniva pi che mai assioma di politica; e ne dava esempio il Bismarck con laffermare assai preferibile ai riguardi verso i Francesi il garantirsi frontiere ben fortificate, e anche con il suo mal velato disprezzo per gli uomini in genere, vero homme massue destinato ad esse-

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re ltonnement, la terreur de tous, mais pas au del376 . E ne davan prova anche i suoi luogotenenti, fra gli altri lo Schweinitz, ambasciatore a Vienna, il quale, constatando nel 1872 lanimosit ovunque regnante contro la Germania, invidia, timore, odio, conchiudeva che, pur essendo moderati e accomodanti, bisognava diventare ancora pi forti. Ad incrementare anche dottrinalmente lanelito alla potenza, a far della lotta lideale di vita delle giovani generazioni, avvezzando gli uomini allindifferenza per i principi onde renderli idonei alla durezza del sentire richiesta dai tempi, stava intervenendo anche linflusso dellevoluzionismo darviniano e del sociologismo evoluzionistico alla Spencer377 ; e fu di gran presa sugli animi, come che la lotta per lesistenza, la necessit delladattamento allambiente e simili cose traducessero perfettamente in termini scientifici quanto stavano operando su terreno pratico la politica di forza dei grandi stati e la spietata concorrenza dei grandi complessi industriali e commerciali. Anche in Italia il nuovo verbo avrebbe presto trovato banditori convinti, nella cui parola tramontava il Risorgimento e cominciava una nuova et. Le grandi fratellanze, sognate gi da filosofi italiani e francesi, tentate gi da Napoleone III, tramontano tra gli ideali del secolo; che gi si rende ferreo per le gare economiche, pe sospetti sempre pi fieri, per lo studio delle armi: risorgendo ed allargandosi da poche citt in vaste nazioni quella virile necessit che facea tutti soldati i Greci ed i Romani. Ogni nazione sogguarda alla possibile nemica. Ogni grande Stato attende in fretta attorno al Mediterraneo a togliersi quanto pi e quanto prima pu di ci che rimane senza forti signori: ognuno degli altri; anche la Francia, seppe quel che volea, e lottenne a Tunisi, o in Egitto. E lItalia sa di voler ci che meno importa, o di non voler nulla; e si sforza, tra il sorriso degli altri, a vestir di pudore la sua irresolutezza,

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colpevole verso i posteri. E si afferma custode del diritto e della pace, giudice imparziale delle altre nazioni, senza aver provveduto n alla sua autorit, n al vigore delle sanzioni378 . Cos sentenziava, nel 1882, Pasquale Turiello, nel cui discorrere ritornava spesso, appunto, il ritornello della lotta per la vita fra le nazioni, dei popoli destinati a decadere nella lotta vitale mentre progredivano quelli pi accomodati a nuovi adattamenti, e fin la profezia del periodo imminente duna lotta mondiale per la vita379 ; il Turiello che non a caso doveva divenire, di l a poco, il primo cosciente, sistematico imperialista italiano380 . Quattro anni pi tardi il Novicov concludeva che la politica internazionale larte di condurre la lotta per lesistenza tra organismi sociali381 ; e sopraggiungeva lOriani a trarre anchegli dalla moda evoluzionistica la formula della lotta per la vita, che tra i popoli vuol dire la guerra382 . E anche qui, come gi contro le idee razzistiche, protestava il Crispi, che, nazionalista di animo e in questo gi pienamente allunisono con i tempi nuovi, rimaneva concettualmente uomo del primo Ottocento383 . Ma anche qui la logica interiore delle cose dava torto al Crispi; ed egli non savvedeva che il soverchio orgoglio nazionale era proprio uno dei fattori, il massimo fattore anzi, della durissima lotta per lesistenza fra i popoli, quello che pi dogni altro rischiava di scatenare sugli uomini la brutalit della natura fisica, quasi per dar ragione al tristo motto del Grillparzer dallumanit, attraverso la nazionalit, alla bestialit384 .

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III Contro la realt bismarckiana A sconvolgimenti del proprio sistema intellettuale e morale si opponevano invece recisamente i pi degli uomini della Destra, di quelli che erano allora al governo e di quelli che, nel Parlamento e nel giornalismo o, comunque, nella vita pubblica ne assecondavano le fortune. Non che questi uomini, pur respingendo con sdegno laccusa di servilismo385 , avessero chiuso gli occhi di fronte allindiscutibile dato di fatto che la politica italiana sera svolta nellorbita di quella francese, perfino nel 66, e che pertanto il giovane regno aveva avuta ridotta dassai la sua libert dazione e diminuita la sua personalit. Lo riconosceva, molto esplicitamente, il Visconti Venosta quando, ai primi di marzo del 71, esaminava in una lunga lettera al de Launay i rapporti italo-tedeschi: la quistione romana stata il vincolo che ha diminuito la nostra libert di azione, ed ha resa dipendente, per lungo tempo, la nostra politica, dalla politica francese. Ora questo vincolo rotto, nellinteresse di tutti chesso non abbia a riannodarsi. La quistione romana sciolta, la neutralit conservata durante questa guerra, hanno reso indipendente la situazione politica dellItalia386 . Lo aveva gi detto prima lArtom, deciso fautore della neutralit proprio perch se si fosse commesso il gravissimo errore di legar le sorti nostre a quelle della Francia in questa occasione, il risultato sarebbe stato questo: il nostro soccorso non avrebbe impedito le sconfitte francesi, ma il regno dItalia sarebbe considerato dallEuropa come unappendice delledificio napoleonico, destinato a scomparire collImpero387 . Le pretese della Francia su Roma erano il simbolo del vassallaggio che tutta lEuropa ci rinfaccia verso la Francia388 .

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Preoccupazioni di simil genere, unitamente allaltra di non render generale la guerra, trascinandovi anche Austria e quindi Russia, e dando origine ad un conflitto europeo i cui risultati avrebbero potuto esser paurosi per lesistenza stessa del Regno dItalia, avevano per vero ispirato la politica del Visconti Venosta il quale, guadagnando tempo, molto grazie al Sella, aveva potuto uscir senza guai da una situazione fra le pi difficili389 . Neutralit durante la guerra franco-prussiana e Roma capitale erano dunque, per tutti, anche per i moderati, la prova decisiva che lItalia unita non era una semplice ed effimera creazione napoleonica. O ancora, della smania di seguire la Francia e di prenderla pedissequamente a modello, si dolevano, al pari di uomini della Sinistra, dei moderati come Stefano Jacini, a non dir del Ricasoli390 . E nemmeno si taceva che nello scoppio della guerra la Francia aveva gravi responsabilit: lo stesso Nigra, a cui una simile ammissione pi doveva costare, non si peritava dallaffermare: la guerra fu cominciata dalla Francia ingiustamente e contro i princpi della propria politica. Parlando della Francia, inchiudo non solo limperatore Napoleone e il governo francese, ma il paese, giacch il Corpo legislativo, eccetto alcuni membri della Sinistra, il Senato, la stampa, le pubbliche riunioni furono unanimi o quasi unanimi nel volere e nellapprovare la guerra391 . Ma simili constatazioni non sboccavano, come nel de Launay e nel Crispi, in un atteggiamento ostile alla Francia e di aperta simpatia per la Prussia. I Visconti Venosta, i Nigra, i Lanza, i Dina, i Bonghi potevano bene riconoscere questo ed altro; potevano bene concordare pienamente con i Blanc, i de Launay e i Crispi che la guerra franco-prussiana ed i suoi risultati chiudevano una fase di storia e unaltra ne aprivano, per tutta Europa392 ; potevano richiamare il virgiliano novus ab incepto saeclorum nascitur ordo393 .

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Ma laddove gli uni salutavano con gioia il levarsi del nuovo sole europeo, gli altri guardavano con preoccupazione. Sentimentalmente, essi rimanevano ancora legati alla Francia, la grande maestra di civilt, che aveva cos potentemente influito sulla formazione del pensiero italiano in genere e dei moderati in ispecie, fra il 1830 e il 1848, e al vinto di Sedan, alluomo a cui nonostante tutto gli Italiani dovevano Magenta e Solferino, e cio il primo passo decisivo nellimpresa della loro liberazione, il passo che tutti gli altri aveva reso possibili e senza del quale tutto quel che poi avvenne non sarebbe stato neppure pensabile. Figli di Magenta e di Solferino: la frase pot pi tardi apparire brutto fiore retorico e non dir pi nulla, soprattutto quando a sentirla ripetere furono generazioni che lItalia avevano trovata belle compiuta, n potevano rivivere le ore di ansia, le speranze e i dubbi e lentuiasmo finale dei giorni della riscossa, e pertanto, come suol accadere ai figli e ai nipoti, trovarono fuori luogo la gratitudine dei padri. Gi allora, anzi, la sua verit veniva contestata dagli uomini della Sinistra, i quali, o trovavano che il debito di gratitudine era stato lautamente pagato con Nizza e la Savoia394 , a non parlare di Mentana che aveva distrutto qualsiasi vincolo sentimentale395 ; o addirittura negavano, sulle orme di Mazzini, che ci fosse mai stato debito alcuno di gratitudine. E qui il dissidio tra i filofrancesi e gli antifrancesi, a dirla con termini comunemente accolti, sinnestava non soltanto sulle lotte interne di partito, per cui il vinto imperatore, dagli uni e dagli altri riconosciuto sostenitore, protettore, autore anzi delle fortune dei moderati396 , veniva amato e odiato a seconda appunto dello spirito di parte; bens su di un contrasto di vedute assai pi profondo e generale: gratitudine a Napoleone III, secondo coloro a quali il Risorgimento dItalia appariva creazio-

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ne della monarchia sabauda, opera di governo che era potuta riuscire in quanto, ad un certo momento, il re di Sardegna aveva trovato un potente alleato nellimperatore dei Francesi; nessuna gratitudine, secondo coloro che vedevano invece nel Risorgimento la creazione delle forze rivoluzionarie, lo sbocco di una lunga opera di propaganda e di una passione trionfanti a malgrado delle battute di arresto imposte da Napoleone III, a Villafranca prima, ad Aspromonte e a Mentana poi. La profonda eterogeneit di forze del Risorgimento, liniziativa regia, come si disse, e liniziativa rivoluzionaria, una eterogeneit le cui conseguenze si sarebbero ben presto rese palesi nelle discussioni sui problemi stessi della politica estera, e che aveva fatto del movimento nazionale italiano, una cosa del tutto diversa dal movimento nazionale germanico, bene e completamente accentrato, questo, attorno al monarca e al governo; siffatta eterogeneit veniva nettamente in luce anche nel problema che ci riguarda ora, stabilendo delle posizioni aprioristiche da cui n luno n laltro dei disputanti era pi in grado di intendere il contraddittore. Crispi si era, s, convertito alla monarchia: ma nellanimo era sempre il vecchio cospiratore amava ripeterlo egli stesso convinto che lItalia lavessero fatta soprattutto Mazzini, Garibaldi397 e un po anche lui stesso, con tanto dinchino, ora sentito, a Vittorio Emanuele II, e che legoistico intevento di Napoleone III avesse pi complicato che favorito le cose. Momento decisivo dellunit era stato non il 59, bens il 60 con la spedizione dei Mille. Lo scarso apprezzamento dellopera del Cavour, del quale Crispi, presidente del Consiglio, non pronunzi nemmeno il nome, tra non pochi commenti sdegnati, quando il 20 settembre 1895 inaugur il monumento a Garibaldi sul Gianicolo e disse dei padri dellunit398 ; tale scarso apprezzamento a pi riprese dimostrato sia dal Crispi399 , sia dai suoi amici400 , era il si-

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gnificativo indizio di un modo di vedere il Risorgimento che era in antitesi assoluta con il modo di vedere dei moderati. Non per nulla nei giorni critici del luglio-agosto del 1870, La Riforma ricordava il vizio della politica cavouriana, cio laccordo con Napoleone III, mettendo invece innanzi, quale protagonista, la Rivoluzione italiana401 ; e pochi mesi pi tardi rivendicava a s ed ai suoi amici il compito di essere i custodi dellidea unitaria contro gli stessi moderati402 , nellun caso e nellaltro ribadendo la tesi della priorit e necessit dellidea rivoluzionaria, sola vera artefice del patrio riscatto. Ma queste non erano, al certo, le idee dei Visconti Venosta e dei Lanza, dei Nigra e dei Dina e dei Bonghi! E come per essi il Risorgimento era lazione della monarchia sabauda, sia pure con laiuto prima della preparazione morale mazziniana403 , e poi delle forze rivoluzionarie incarnate in Garibaldi, che avevano servito in quanto erano state sfruttate o si erano poste volontariamente al servizio della politica piemontese404 , cos quellazione appariva possibile solo merc laiuto francese: donde la gratitudine, di cui, contrariamente al detto della Sinistra, nemmeno Mentana aveva spento lobbligo405 ; donde la non retorica e non banale rievocazione di Magenta e di Solferino. Libero da vincoli sentimentali per tutto il suo modo di pensare e per il suo passato, un Crispi poteva fin pensare ad approfittare del momento per ritogliere Nizza alla Francia; un uomo come il Visconti Venosta arretrava sdegnato di fronte ad unidea simile come di fronte a cosa ingiuriosa per la lealt del governo italiano. Una questione di Nizza non esisteva, non poteva esistere per lItalia: Nizza era stata ceduta alla Francia in virt di un trattato, sanzionato da un plebiscito: e non cera da tornarci su406 . Lo doveva scrivere soltanto sette anni pi tardi: ma il sentimento era bene lo stesso, nel 70 come nel 77: se la Germania aggredisse la Francia per

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un proposito deliberato, e noi ci fossimo impegnati a seguirla per avere Nizza o la Savoia, noi faremmo una politica che sarebbe la diretta negazione di quella di Cavour e che getterebbe nellavvenire del nostro paese un germe funesto. Non parlo di ci che vi sarebbe di odioso nella nostra condotta nel farci noi, figli di Magenta e di Solferino, i ministri di un fato beffardo, non gi per difenderci da unaggressione o da una minaccia, ma solo per riprendere, appoggiati a un pi forte, il prezzo liberamente dato del sangue sparso per noi407 . In siffatta disposizione danimo le notizie di Francia dovevano suscitare dolore e sgomento. Tra lagosto del 70 e il gennaio del 71, da Weissenburg e Wrth allarmistizio, la gran maggioranza dei moderati, dal Visconti Venosta al Lanza al Bonghi, ebbe amareggiata perfino la gioia di Roma dalle notizie doltrAlpe: costernati alla notizia di Sedan408 , anche pi tardi erano in uno stato danimo tale da far apparire poco convenienti i festeggiamenti al re in Roma quando i Francesi stanno in lutto409 . La ragion politica aveva persuaso i pi che sarebbe stato impossibile per lItalia entrare nel conflitto a fianco di Napoleone III; ma il dolore per linazione forzata ulcerava profondamente il La Marmora, che come generale e uomo politico aveva sconsigliato lintervento italiano, pur reclamando lonore di mettersi alla testa di una compagnia per passar subito la frontiera e combattere a fianco dei Francesi, qualora il governo avesse deciso di scendere in campo. Pensare che quella Francia, senza della quale noi non potevamo costituirci a nazione, minacciata di venire smembrata senza che da noi riceva il bench minimo aiuto, e che limperatore rischia perdere la sua corona, forse anche per avere nel 1866 compromessa la sua politica perch noi avessimo Venezia, sono tali riflessi e congiunture da profondamente addolorare chi ha sensi donest e di gratitudine410 . Cialdini avrebbe vo-

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luto un intervento diretto a fianco di Napoleone III e La Marmora lo aveva sconsigliato: ma uno era il sentire in questi due uomini, cos dissimili e cos poco amici. Come nei due maggiori capi militari, cos negli uomini di governo, Sella eccettuato: dal Lanza, che si sentiva spezzare il cuore nellassistere allo spettacolo straziante della rovina francese e non tratteneva le lacrime alla notizia di Sedan411 e sindignava per linsensibilit dellEuropa di fronte al bombardamento di Parigi412 , al Visconti Venosta, allo stesso Minghetti che fra tutti era pure il meno incline ai Francesi non stupiva troppo per la catastrofe del Secondo Impero413 ed era scettico sullavvenire di un paese profondamente corrotto414 , ma si sentiva fortissimamente commosso dalle parole del Thiers, di passaggio a Vienna per implorare, anche l vanamente, laiuto austriaco, e deplorava come inumana linerzia delle potenze neutrali415 , a tal segno da ammettere almeno la possibilit teorica di un intervento armato a pro della Francia, sol che esso potesse riuscire proficuo416 . Attorno a questi eminenti tra i moderati, le figure minori, ma talune minori solo ufficialmente ed esercitanti invece un influsso continuo e notevole sulla cosa pubblica: da Giacomo Dina, il perspicace e molto ascoltato direttore dellOpinione, sin dallinizio favorevole a Napoleone e poi affranto al pensiero di s immensa sventura, anche se dovesse riconoscere la sventatezza francese417 ; a Michelangelo Castelli, influente consigliere segreto non solo di Vittorio Emanuele II, ma anche dei capi della Destra, che non poteva soffocare il suo sentimento favorevole allintervento a fianco della Francia418 ; a Ruggero Bonghi, che pi di tutti effondeva nella stampa la sua preoccupata tristezza e assumeva atteggiamento risolutamente antiprussiano, sia nelle cronache quindicinali della Nuova Antologia, sia nella milanese Perseveranza; a Michele Amari, a cui la gioia del Campidoglio conqui-

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stato era turbata dai disastri francesi419 ; al conte Guido Borromeo, grande amico del Minghetti420 . Fra i diplomatici, era il Nigra, naturalmente, a condividere dolore e preoccupazione per le sorti del paese dove si era acquistata fama e aveva contratte amicizie grandi e sicure: egli, che gi nel 68 aveva desiderato lasciar Parigi e aver il posto di Londra, perch vedeva le cose di Francia andare sempre peggio e gli era doloroso lassistere alla rovina di questo grande edilizio dellImpero francese, col quale si collega tutta la politica da noi fatta sin qui421 , e che ancora il 7 agosto del 70, pur dopo Wessenburg e Wrth, aveva telegrafato al Visconti Venosta per indurlo a intervenire immediatamente a fianco dellimperatore422 . Com naturale, la commiserazione per la Francia cresceva quanto pi crescevano le sue sventure: dopo Sedan, affermava lo Artom, altro dei consiglieri di primo piano che si era pronunziato recisamente per la neutralit423 , si era fatta pi viva la memoria di Solferino e di Magenta424 ; e veramente se la stessa Riforma trovava parole per invocare la fine della inutile strage, negli uomini e negli organi del partito moderato lamarezza per il crollo della Francia cresceva, sino a toccar le alte note negli articoli roventi con cui il Bonghi deprecava la caparbia ferocia del vincitore. E come dalluna parte il Carducci, cos dallaltra salzava nuovamente la voce dellartista grande ad esprimere dimpeto quel che in molti solo con riluttanza era stato compresso dalla voce della ragion pratica: Giuseppe Verdi, politicamente cos lontano dal Carducci, amico dei moderati e del Visconti Venosta425 , ma in quelloccasione cos simile anche al Carducci, piangendo il disastro della Francia e la rovina, per esso, della civilt moderna, non esitava a dichiarare preferibile, per lItalia, la sconfitta con la Francia allinerzia in cui ci sera ridotti426 .

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Sarebbe tuttavia puerile non vedere in questi uomini altro che la espressione dolorosa di un sentimento, ridurre la loro visione politica entro i ristrettissimi limiti che, allora come sempre, avrebbero potuto essere dettati dal solo fattore sentimentale. Questo agiva, indubbiamente; era il primo impulso, lo scatto immediato di fronte alle notizie amare; costituiva come un fondo su cui potevano fiorire pensieri e considerazioni: ma, per lappunto, senza pensiero e senza idee gli uomini della Destra, gente, se altra mai, per abito mentale e dottrina adusata alla meditazione talora fin eccessiva prima di agire e nera esempio tipico il ministro degli Esteri, il molto riflessivo, molto cauto, molto soppesante i pro e i contro Emilio Visconti Venosta non sarebbero mai, nonch saliti sulla scena politica, nemmeno vissuti. I loro portavoce ufficiosi affermavano s la necessit, per un grande Stato, di un ideale senza cui non vi sarebbe politica positiva, ma semplice empirismo diplomatico, alla giornata; ma si dichiaravano pure recisamente avversi a qualsiasi politica sentimentale427 . E da Milano gi un anno innanzi identico modo di vedere aveva espresso La Perseveranza, annotando che non le simpatie debbono tracciare la linea di condotta di un popolo, ma bens linteresse proprio, linteresse bene inteso, linteresse previdente, che, pur tenendo conto dei fatti dellieri, non si ferma a considerare soltanto le combinazioni delloggi, ma investiga anche le eventualit del domani e del posdomani428 . Se tali erano gi le manifestazioni pubbliche, ancor pi attento alla realt era luomo di governo; e il Visconti Venosta si impazientiva, quando udiva parlare in termini sentimentali: lItalia ama la Francia, lItalia non ama la Francia, queste discussioni appartengono piuttosto alle dispute degli innamorati che alla politica429 ; il Visconti Venosta, che gi allora riteneva esser passati per un pezzo i giorni dellintimit tra Italia e Francia e non si

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abbandonava affatto, quindi, ad effusioni emotive, ma basava la sua condotta su di una ben precisa valutazione politica, vale a dire sul convincimento che il giorno in cui fra i due paesi si fosse stabilita una causa necessaria e permanente di ostilit, un gran punto dinterrogazione rimarrebbe sospeso sui nostri destini430 . I fautori di un nuovo indirizzo politico e di un deciso avvicinamento alla Germania parlavano di realismo proprio, contrapponendolo al sentimentalismo altrui, cio dei moderati; ma tanto poco si trattava di un contrasto fra realismo e sentimentalismo, quanto poco avevano ragione i critici francesi del Secondo Impero di attribuirgli una politica dettata esclusivamente dal sentimento, come se anche Napoleone III non avesse cercato di fare gli interessi suoi e del popolo francese esatti o sbagliati che i suoi calcoli fossero stati. Senso della realt, apprezzamento della realt: ma era tutta la tradizione moderata che parlava in tal senso, su su fino ai padri del moderatismo, i Balbo, i dAzeglio, i Durando, che tanto avevano insistito sulla necessit di un sodo realismo politico, sul senso pratico della realt, sul buon senso!431 E che cosera stata la soluzione del Risorgimento, voluta, attuata dai moderati, se non proprio il trionfo dello spirito della realt, il trionfo della politica del giusto mezzo, contro il mito quarantottesco della rivoluzione democratica universale? Che cosa lapostolo dellidea, il Mazzini, aveva rimproverato agli avversari, se non precisamente il compromesso, cio ladattarsi alla realt, che spegne la fiamma ideale? La stessa simpatia per il Secondo Impero, il difendere la causa di Napoleone III, non erano forse un grosso compromesso col principio della libert, cos energicamente difeso in patria, ma non pi difeso, per la Francia, contro il dittatore: compromesso chera dettato dal convincimento il miglior baluardo della causa italiana in Europa esser sempre, per necessit e per interesse pro-

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prio, quel dittatore, e che dunque anteponeva decisamente linteresse nazionale italiano al principio ideologico? Altro che sentimentalismo e amore dei princpi astratti! Piuttosto, si poteva ripetere, entro certi limiti, anche dei luogotenenti di Cavour quel che era stato detto del Cavour, che cio il suo sguardo non oltrepassava mai i confini del reale, ma il reale era per il suo genio orizzonte ben pi vasto che non fosse per gli altri uomini432 . Il genio non cera pi; il senso preciso della realt, momento per momento, il fiuto politico, labilit manovriera potevano anche non esser grandissimi nei generali di Alessandro: e qui entravano in gioco i valori individuali, le singole personalit degli attori politici; e qui, precisamente, un uomo di stato come il Bismarck sovrastava di troppo i suoi colleghi italiani inglesi austriaci francesi russi. Ma i canoni dellagire erano sempre quelli dellocchio alla realt, per gli uni come per gli altri. Soltanto, appunto, la realt dei moderati abbracciava pi elementi, si presentava assai pi complessa che non quella dei neorealisti. Puro calcolo politico, soppesamento delle sole forze che potessero tradursi in termini politici, cio di potenza, per un Bismarck e i suoi imitatori in sedicesimo; per i moderati, la realt costituita non soltanto dalle forze materialmente precisabili e calcolabili, bens anche dalle forze cosiddette morali, movimenti di idee e di affetti, atteggiamento dellopinione pubblica e simili. Consenso e non timore, a base dellazione di governo: quindi apprezzamento di molti elementi che i politici alla Bismarck lasciavan da parte o disprezzavano; quindi, anche, a prescindere dalle maggiori o minori abilit personali, unazione pi lenta e cauta, un assai meno pronunziato forzar le situazioni, cherano la necessaria conseguenza del ripudiar lautoritarismo e del ricercar il consenso.

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Gi nel Cavour, almeno latteggiamento di fronte al problema religioso e della Chiesa aveva dimostrato come la realt sarricchisse in lui di motivi non consueti nei politici che amano battezzarsi realisti; e la diversit doveva venire in luce chiaramente, poco pi tardi del 70, con lazione e le parole del Bismarck durante il Kulturkampf. Negli eredi del Cavour, tanto meno spregiudicati di lui, tanto meno politici distinto, tanto pi tormentati da preoccupazioni morali alla dAzeglio, il peso delle forze morali nella valutazione degli eventi saccentu dassai. E qui dunque, il realismo dei moderati era altra cosa, veramente; dal realismo predicato dai propugnatori del nuovo verbo. Ma nemmeno i pi rigidi e moralistici fra i luogotenenti di Alessandro intesero mai fare una politica dottrinaria o sentimentale: del che offriva sicura testimonianza proprio la soluzione del problema di Roma, sino ai primi di settembre del 70 voluta esclusivamente a mezzo delle forze morali, e dimprovviso, con il precipitar della situazione europea e laggravarsi delle polemiche in Italia e il pericolo di gravi perturbamenti interni, decisa con le armi. Gratitudine, moralit dellagire politico, s, ma contemporaneamente, occhio alla realt, occhio attento agli interessi ben concreti. Politica, ancora, del giusto mezzo, il vecchio ideale ereditato dai tempi della Monarchia di Luglio e chera un ideale non solo di equidistanza fra i due partiti estremi, i neri e i rossi, i giacobini e gli ultra, ma anche di equidistanza fra il dottrinarismo puro e lempirismo puro, fra la politica del caso per caso, la politica come pura tattica e con una sola direttiva strategica, la grandezza dello stato, e la politica che cercasse di sovrapporre alle vicende quotidiane gli schemi preconcetti di un astratto corpo di dottrine. Cos che il solo ricordo di Magenta e di Solferino e dei vincoli di gratitudine che legavano il Regno allImpero, non sarebbe mai stato sufficiente per ispirare in uo-

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mini di solida struttura intellettuale e morale, comerano nellinsieme quelli di cui si discorre, tante e cos gravi diffidenze e preoccupazioni di fronte alla Prussia e alla politica bismarckiana. Forse il solo Vittorio Emanuele II si sarebbe mosso dimpeto, dando ascolto al prepotere dei sentimenti personali e dinastici: e ancora ci si pu ben chiedere se anche a lui non si presentassero alcuni almeno dei dubbi, di carattere per cos dire realistico, che assillavano i suoi consiglieri! Dubbi di carattere politico: e vale a dire timori di una troppo profonda alterazione dellequilibrio europeo, di uno spostamento di forze a vantaggio di una potenza, che era stata s nostra alleata quattro anni innanzi, ma di cui non si riuscivano ad afferrare bene le mire e i propositi ultimi: o meglio, si credevano di intuire, ma con non poca preoccupazione, scorgendosi in essi una precisa ambizione egemonica. dunque il motivo dellequilibrio europeo spezzato, che trova ampia, precisa formulazione in una lettera del Visconti Venosta al de Launay: Prima delle vittorie prussiane si sarebbe detto che [in Italia] il Governo era francese e il paese prussiano. Ora invece lopinione del paese si grandemente modificata, esso inquieto, si sente impegnato in una certa solidariet delle razze latine, vede lequilibrio europeo rotto, teme che le vittorie prussiane abbiano in s il germe di futuri pericoli per lItalia, e riannodino la tradizione delle antiche invasioni germaniche, vede il sacro Impero a Trento e a Trieste, pensa che il Mincio fu dichiarato un fiume tedesco ... lItalia ... si sentirebbe minacciata collintera Europa dallabuso della vittoria433 . Se non proprio la Germania sul Mincio, per lo meno a Trento e a Trieste molti la temevano proprio allora, quando da ogni parte si parlava della inevitabile, prossima annessione dellAustria tedesca allImpero germanico; e se gli ambienti crispini la auspicavano in quei gior-

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ni, salvo pi tardi il Crispi a mutar parere e a convincersi che la diletta Germania era meglio non averla troppo vicina, sin da allora i moderati, con assai pi avveduto senso politico, arretravano spaventati allidea del signore di Bismarck che potesse mandar ordini ad un qualche governatore nel castello del Buon Consiglio. Ma cera di peggio. La Prussia era lamica, lalleata della Russia; il sopravanzare delluna voleva dire anche il sopravanzare dellaltra potenza in Europa: e, di fatto, alle vittorie prussiane in terra di Francia faceva seguito la circolare Gorciacov, con cui la Russia denunciava le clausole del trattato di Parigi del 56 che le avevano legate le mani nel Mar Nero. Qual prova migliore che lEuropa andava sossopra, per far posto ad unegemonia russo-tedesca, cio ad un giuoco di forze formidabili dalle quali gli altri Stati sarebbero stati schiacciati? Michelet lo gridava, ben alto, che il conflitto francotedesco apriva le vie allo Czar in cupida attesa e significava la futura vittoria della Russia sullEuropa e sul mondo, onde tutto laccanimento tedesco nel distruggere la Francia spianava la via agli eserciti russo-tartarici. Vae victoribus! attenta la Germania stessa che, prussianizzandosi, apriva a s stessa il baratro in cui sarebbe precipitata ad opera dei Cosacchi!434 . Meno apocalittico, ma ancor prima, qualche altro aveva pure visto profilarsi, dietro alla concentrazione della stirpe germanica, la concentrazione della stirpe slava, e dietro alluno e allaltro fatto la fine di ogni possibilit politica per lItalia: in coteste enormi agglomerazioni, che non sarebbero maneggevoli che da governi assoluti, quale spazio resterebbe a geni singoli delle nazioni storiche, come , per esempio, litaliana; e a questa non sarebbe succeduto dessere rinata appunto per ritrovarsi, avanti a cotesti nuovi aggruppamenti di popoli, pi piccola di quello che era, in una diversa distribuzione del-

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le forze dellEuropa, ciascuno dei singoli Stati, nei quali era prima divisa?435 . Fantasie di pubblicisti? Niente affatto. Lo spettro dellalleanza russo-prussiana turbava i sonni dello stesso ministro degli Esteri, al quale pure destava spavento unEuropa di cui lOccidente appartenesse alla Germania e lOriente alla Russia, dato che lItalia uno di quei paesi, che non possono farsi il loro posto e svolgere il proprio avvenire che in una Europa dove esista un certo equilibrio di forze436 . Tanto preoccupato il Visconti Venosta, da ispirar la politica dellItalia di fronte alla questione del Mar Nero, fra il novembre del 70 e il marzo del 71, appunto al proposito fondamentale di impedire la formazione di una vera e propria alleanza, anche formale, fra la Prussia e la Russia437 . Il pubblicista esprimeva dunque concetti che stavano a base della politica estera italiana, quando affermava e ripeteva le sue preoccupazioni per il minaccioso profilarsi di colossali imperi, troppo simili alle monarchie universali gi combattute secoli innanzi nel nome della libert dellEuropa: nata, per lerrore degli uni e per loscitanza degli altri, una condizione di cose, nelle quali la Prussia, seguita dalla Germania, diventa padrona dellOccidente dEuropa, e la Russia padrona dellOriente. lintima unione delle due, durata pi anni, quella che rende possibile a ciascuna un disegno, la cui effettuazione richieder anche pi anni, ma del quale i primi tratti potranno essere gi posti ora siffattamente da non vessere pi modo dimpedire di continuarli438 . utile questa consumazione alle potenze, che non sono n la Russia n la Prussia? AllInghilterra, allItalia, allAustria, alla Spagna e qualunque altra? A noi pare che sia dannoso per tutte sotto ogni rispetto, non perch giovi loro di impedire lunit germanica, o paia possibile di sostenere in eterno lintegrit della Turchia; ma perch lunit germanica, per il bene suo e laltrui, non deve diventare

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enorme, e allImpero ottomano bisogna non surrogare la Russia, ma uno Stato, che, per vivere e per reggersi, si deva e possa sviluppare indipendente da essa. Se gli uomini di Stato che reggono lItalia, lAustria, lInghilterra hanno questo pensiero, badino che ogni giorno pi che continua e cresce la prostrazione della Francia, aumenta anche la difficolt di opporsi in un avvenire pi o meno lontano alle ambizioni della Prussia e della Russia439 . Si lasciassero pure le previsioni sul futuro, e si lasciasse pure la Russia: ma un fatto era certo, che la situazione politica europea andava per aria, veniva meno il decennale appoggio della politica italiana, il continente era alla merc del conte di Bismarck e del Moltke anche a non voler tener conto di pericoli pi direttamente e strettamente minaccianti lItalia, in Francia il partito clericale non pi tenuto a freno dallimperatore e la Germania ... la Germania di cui sino alla primavera del 71, dicessero i Sinistri quel che volevano, non si sapeva bene qual partito avrebbe preso di fronte alla questione romana. Non tutti certo temevano come Lodovico Frapolli questa novella inondazione di barbari, che oggi schiacciava la Francia, mentre domani si sarebbe rovesciata sugli altri440 ; n parlavano dei Tedeschi come di una innumerabile accolta di vandali, che col ferro e col fuoco lasciano di s traccia ovunque pongono il piede441 . Ma anche uomini di pi pacato sentire, pur rifiutando di credere ad una nuova era di barbarie in Europa442 ; anche questi uomini non vedevano senza preoccupazione lo sprofondare della potenza francese, il vuoto fatto laddove sino a pochi mesi innanzi era una delle forze massime della politica europea, e, invece, nel centro Europa, un solo, potente impero la cui marcia sembrava irresistibile e alla cui buona grazia era dunque affidata la tranquillit degli altri stati. Persino il Minghetti, che non era tra gli atterriti dalla nuova imminente barbarie e che tra i caporioni della Destra era stato dei meno accesi a favor di Fran-

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cia, persino il Minghetti riteneva che la mancanza di una Francia vigorosa e ben ordinata poteva creare dei grandi pericoli allEuropa443 quella benedetta Francia, che era come la carne del mercante di Venezia, da non potersene cavare una libbra senza che facesse sangue444 . Nessuno poteva in quei giorni prevedere che la Francia si sarebbe ripresa con tanto mirabile celerit; che di l a pochissimi anni sarebbe stata nuovamente una forza viva e ben presente nel concerto europeo, avrebbe anzi ricominciato a tessere le fila di una politica non solo nazionale, ma imperiale, di espansione oltremare, e avrebbe turbato, ancora e sempre, i sonni del principe di Bismarck. Del quale Bismarck nessuno parimenti osava assicurare quel che poi invece avvenne: che, cio, compiuta lunificazione germanica, egli avrebbe allontanato da s ogni idea di ulteriore espansione, di conquista nuova e avrebbe atteso soltanto a conservare lo status quo, a mantenere la pace in Europa, quella pace che esaudiva tutti i suoi voti per essere la pace della Germania trionfante. Nulla di tutto ci, per allora: ch anzi dal settembre del 70 alla primavera del 71, le inquietudini crescevano di fronte alle esigenze di pace del Bismarck445 . Se pur si fosse voluto ricorrere ai trattati del 1814-15, non si trovava nulla che potesse essere paragonato alla attuale richiesta tedesca dellAlsazia-Lorena446 ; nulla, sintende, ai danni di una grande potenza vinta, comera stata, anche allora, la Francia, ch, per quanto concerne gli scambi di territori o le annessioni ai danni di piccoli paesi, in vista del generale equilibrio europeo, e cio per quanto concerne le sistemazioni territoriali in Italia e in Germania, le transazioni avvenute a Vienna erano rientrate perfettamente nella mentalit e nel clima morale dellepoca, senza che nessuno in Europa se ne fosse troppo stupito447 .

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Solo pi tardi, nel pieno affermarsi dellidea di nazionalit, si sarebbe sentita come ingiustizia e sopraffazione lopera dei diplomatici di Vienna, in alcune parti dEuropa: e a distruggere lingiustizia sarebbe stata rivolta lazione dei patrioti. Ma coloro stessi i quali avevano, per decenni, combattuto Metternich e il suo sistema, cercando di dar fuoco alle polveri in Italia come in Ungheria e in Polonia, avevano sempre legittimato la loro azione sulla base del principio di nazionalit e di autodecisione dei popoli: dunque, non conquista, nel senso imperialistico della parola, era la loro, s distruzione di ingiuste conquiste del passato, restituzione dei suoi diritti a chi nera stato un giorno privato con la violenza. Tant che il vittorioso epilogo del movimento nazionale italiano, e la Lombardia e la Venezia strappate ad una delle grandi potenze europee, non erano sembrate conquiste nemmeno ai pi accaniti nemici dellidea unitaria italiana. Si poteva deplorare il fatto, come lo deploravano i reazionari e i clericali di tutta Europa; si poteva bene vedere in esso la vittoria di un principio pericolosissimo per la quiete generale, quello della rivoluzione interna contro lordine costituito: non si poteva affermare e nessuno afferm, ch sarebbe stato sovranamente ridicolo che Cavour Mazzini Garibaldi significassero una ripresa dello spirito di conquista, un riavvampare di aspirazioni egemoniche sul continente. Il Risorgimento italiano appariva pericoloso come forza rivoluzionaria, come lievito che correva il rischio non solo di alterare lo stato di cose territoriali in Italia, bens, traboccando oltrAlpe, tutto quanto lordre social europeo, secondo le fosche previsioni metternichiane, e cio di alterare in senso liberale la vecchia Europa ancora reazionaria, con una conversione del principio di nazionalit in liberalismo448 . Ma lequilibrio europeo, la pace generale del continente, il movimento nazionale italiano di per s non li minacciava: troppo impari le forze. Una mi-

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naccia allequilibrio generale poteva venire solo per il fatto che unaltra grande potenza cercasse di sfruttare il movimento italiano ai propri fini, scacciando lAustria dalla penisola per stabilirvi la propria egemonia: e cos sera temuto a Londra e a Berlino449 , non meno che a Vienna, di fronte allalleanza franco-piemontese. Ma Villafranca egli eventi successivi, soprattutto la questione romana che sera interposta, come una muraglia, tra le aspirazioni italiane e la politica napoleonica, avevano ridato tranquillit allEuropa: non dalla valle del Po sarebbero venuti i pericoli gravi per lequilibrio europeo450 . Preso in s, e a prescindere dunque dallalleanza del governo piemontese con la Francia napoleonica, il movimento nazionale italiano aveva potuto suscitare allarmi perch di origine rivoluzionaria, quellorigine di cui il Cavour per lappunto cercava di avvalersi onde strappare il consenso delle grandi potenze alla sua azione di ordine; era sembrato pericoloso, per quel suo appellarsi allautodecisione dei popoli, e cos alle costituenti e, fin ad opera della monarchia sabauda, ai plebisciti: non era, n avrebbe mai potuto sembrare propriamente minaccioso per lEuropa intera. Ancora dopo il 59 non sera sentita minacciata la pace generale del continente: il 66 aveva dimostratola moderazione bismarckiana, e una guerra cos duramente combattuta, dal punto di vista militare, sera conclusa con una pace chera stata veramente singolare per mitezza di condizioni451 . E poi, ancora, il 67 e la questione del Lussemburgo e la rinunzia prussiana alla forza: tutti esempi, dunque, di temperato calcolo politico. Ora, improvvisamente, il quadro mutava totalmente. Non erano solo giornali e uomini politici italiani a chiedere che, dopo Sedan, scomparsa la causa della guerra (come molti ingenuamente ritenevano), si ponesse fine ad una lotta che appariva gigantesca; n solo in quegli ambienti ci si preoccupava degli smodati appetiti prus-

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siani. Ma, certo, in essi le preoccupazioni erano vivissime. Non pi guerra di difesa, ma di offesa; non pi come nel 59 lotta per laffermazione del principio di nazionalit, bens lotta di conquista, e cio ritorno ai tentativi egemonici alla Napoleone I. E qui cominciava a farsi luce un sentimento, assai profondo, che andava oltre il particolare del momento condizioni di pace, ferocia bellica per assurgere ad una valutazione dinsieme del movimento nazionale tedesco nei confronti di quello italiano. Perch, dopo tutto, si sarebbe anche potuto obbiettare agli antiprussiani dItalia che in fondo non essi potevano biasimare nella potenza teutonica quel che avevano approvato e continuavano ad approvare un giorno nel Piemonte e ora nellItalia unita: Bismarck faceva quel che aveva fatto Cavour; la Prussia conduceva a termine il processo unitario tedesco, cos come aveva fatto il Piemonte m Italia. Ed era, infatti, largomentazione adoperata largamente dai filoprussiani di destra o di sinistra che fossero e, fuori dalla penisola, dai giornali tedeschi nelle loro polemiche con LOpinione e La Perseveranza452 : argomentazione che gli storici hanno poi ripreso, sotto altra forma, quando hanno dissertato sullidentit di sviluppo della storia tedesca e italiana nel secolo XIX, sulle affinit sostanziali, evidenti, fra Risorgimento italiano e unificazione germanica. Senonch obbiettavano i Dina e i Bonghi una simile vantata affinit era puramente immaginaria, e, al massimo, si limitava al particolare, allaccessorio, lasciando sussistere una abissale diversit di sostanza. Luno dei movimenti il nostro aveva nome libert, laltro il germanico forza453 ; luno aveva fatto appello e continuava anche ora ad appellarsi alla libera espressione della volont popolare il plebiscito di Roma del 2 ottobre ne era la prova laltro rifiutava brutalmente di ascoltare la voce delle popolazioni che intendeva, per amo-

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re o per forza, inquadrare nella ferrea struttura del nuovo Reich; luno aveva proceduto quasi senza sangue, tra lesultanza delle popolazioni454 , laltro bombardava Strasburgo e Parigi, e conduceva una guerra, ormai senza fini legittimi, con unostinazione degna della pi selvaggia delle trib africane455 ; luno schiudeva le porte ben grandi dellavvenire, laltro significava il brutale ritorno al diritto del pi forte, allidea originaria di conquista, giusta lindole della gente germanica lenta, ma persistente ad invadere sullaltrui456 . Diversissimi i fondamenti e diversissimo il modo di attuazione dei due movimenti: in Italia allunit di tradizione, di storia, di lingua, alla precisa delimitazione del territorio, alla natura degli stati in cui si divideva, sera aggiunto il sentimento attuale, la coscienza reale della nazione a cui appartenevamo tutti, sentimento e coscienza attestati dalle votazioni popolari, che ... sono state ne plebisciti il fondamento e la ragione della costituzione dItalia. Il surrogare a questi quattro elementi veri e concreti, il solo elemento astratto, incerto, vago, antico dellunit di linguaggio, torna al convertire una questione politica in speculazioni darcheologia e di filologia, e il consegnare lEuropa alle passioni, che si coprono sotto di esse. Intendiamo, che a quel tanto di saldezza che manca al fondamento dellunit del linguaggio i Tedeschi dicono di poter supplire ... col pi solido degli argomenti, cio dire, colla forza. Ma se questo il mezzo, noi usciamo da tutte quante le norme e le ragioni del diritto moderno, e risaliamo a quel diritto di conquista, del quale ci pareva che cotesta civilt nostra oramai arrossisse; diritto di conquista, che bisogna allora accettare in tutta la nudit sua, e non isforzarsi di covrirlo con quel velo duna parentela primigenia, che non ne scema punto il danno e lonta ne popoli su quali esercitato, nellora che la mano sestende sovra di essi, straniera e nemica, poi-

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ch sono immemori de tempi nei quali si presume che fosse di fratelli e di consanguinei. In Italia, il plebiscito; in Germania, il rifiuto del plebiscito allo Schleswig. N certo Bismarck interrogherebbe pi volentieri la popolazione polacca della Posnania, alla quale non serve parlar slavo poich glinteressi dello Stato Prussiano impediscono che qui abbia riguardo alla diversit del linguaggio, come al contrario richiedono, che non consideri se non lunit del linguaggio nellAlsazia e nella Lorena che vuole strappare alla Francia. In questo davvero la differenza principale, sostanziale, tra il modo in cui la nazione italiana s formata, e quello, in cui, secondo la passione dellerudizione germanica, savrebbe a fermare la tedesca. Litaliana ha cercato nel sentimento attuale, reale dei limiti suoi secondo traspariva dalla coscienza de popoli, il titolo suo; la tedesca non lo cerca soltanto in questo, non lo trova principalmente in questo, ma risale a tempi e a criteri, che pi le giovano ad estendersi da ogni parte con scapito ed urto di pi duno degli Stati dEuropa. Dalla qual differenza deriva, che come litaliana ha potuto dire ed affermare di s, chessa era augurio di pace e di concordia in Europa, cos la tedesca, se non trova un freno in s od in altrui, dovr riconoscere, chessa augurio di guerra e di commozione duratura. E in questo diverso orientamento lItalia aveva dimostrato di possedere assai pi di quel senno e di quel senso reale delle cose e dellavvenire, ch il frutto delle vecchie culture, gi posate da gran tempo, e distillatesi da gran tempo nellanimo dei popoli457 . La Riforma crispina cominciava ad accettare un concetto di nazione estraneo alla tradizione comune italiana, e gi modellantesi invece su idee e pensieri di stampo germanico; gli organi della Destra reagivano con estrema energia e talora anche come nellimpetuoso Bonghi con violenza di linguaggio singolare, contrapponendo,

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netta, lidea italiana di nazione e diritti nazionali al modo di pensare germanico. Spontaneit, ed essenzialmente volont di essere uniti; dunque, ancora e sempre, come nel Mazzini, assoluta primazia del fattore morale-spirituale. Noi Italiani, affermava il Bonghi, amicissimi del principio di nazionalit, siamo sgomenti nel vedere qual concetto falso se ne siano formato i Tedeschi. Per noi, appartengono ad una nazione tutti i popoli i quali nella loro coscienza sentono dappartenervi, e riteniamo ingiusto voler con la forza lunione ad uno stato di genti le quali non si credono, non si sentono intimamente collegate in un vincolo nazionale. I Tedeschi, invece, cercano i limiti di una nazione nella storia passata e nei destini avvenire: ora, nel passato ognuno cerca quel che pi lusinga la sua ambizione; e per lavvenire, ciascuno si ferma a quelle combinazioni di territori da quali spera maggior utilit politica ed economica. In tal modo, mentre il principio di nazione doveva esser pegno di un assetto tranquillo e pacifico, diventer linizio di una guerra lunga e crudele fra i popoli458 . Questo il succo della dottrina italiana, concordi essendo in ci rivoluzionari e moderati, ad eccezione del Durando e della sua teoria della nazionalit geo-strategica, dipendente cio dalla natura del terreno459 : ed strano che della sua profonda diversit da quella germanica, in cui sempre pi il fattore nazionalit-natura emergeva sullaltro nazionalit-volont, non si accorgesse proprio il codificatore italiano del diritto della nazionalit, il Mancini. La polemica si accendeva cos, asperrima, circa lAlsazia: francese di animo, e quindi non appetibile dal Bismarck e dallo Stato Maggiore prussiano, dicevano i nostri; tedesca di razza e linguaggio, ergo per quel tale imperativo a priori della nazionalit, di cui La Riforma si faceva cos brillante difenditrice in Italia ergo tedesca anche politicamente, piacesse o no agli abitanti di Stra-

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sburgo e Mulhouse, ribattevano i polemisti germanici. Il carattere intimo delle due regioni era perfettamente tedesco, diceva il Gervinus al Gregorovius 439, per conto suo convinto della naturalit tedesca dellAlsazia; non era conquista, s rivendicazione, retroazione, diceva quel granduomo del Mommsen, dopo aver ammesso che, certo, ogni conquista delitto di lesa nazionalit, e chi calca a piedi un popolo gli offende tutti: ma anche lui doveva consentire che il processo di transizione sarebbe stato duro e lungo e che durante tale processo gli Alsaziani sarebbero stati Tedeschi pi di nome che di realt ... , consentendo cio che lanimo di tali Tedeschi di razza e di lingua non era precisamente tedesco460 . Appunto per questo, rispondevano i nostri, conquista, quando non si ha rispetto al desiderio delle popolazioni; e cercare di camuffare luna con laltro, diritto della forza e idea di nazionalit, era, semmai, triste indizio di quale scadimento di senso morale la guerra gi fosse stata foriera, presso i Tedeschi461 . Il diritto di nazionalit, cera: ma a favore della Francia, non della Germania462 . Pi schietto almeno, quellaltro gran dotto dello Strauss, il quale, dimentico dei Vangeli e della vita di Ges, anzi rivivendo lArminio caro al suo nuovo eroe, Ulrico di Hutten, volle dire anchegli la sua parola sulla politica del giorno, e afferm chiaro e tondo che lAlsazia e la Lorena la Germania doveva tenersele, come vincitrice, per la propria sicurezza. La tesi del suo illustre collega di studi, ma francese, Renan, sui vantaggi per la Germania stessa e per lEuropa di una pace che lasciasse alla Francia le due province e sui pericoli della soluzione annessionistica, veniva rifiutata dal professore germanico, che gi attorno al 1866 si era fatto beffe dei progetti dei pacifisti ed era venuto fuori col paragone tra guerra e temporale, necessari perch purificano latmosfera463 , e che ora ribatteva non giovare alla Germania i riguar-

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di per la Francia, ma giovarle bens il dettare la pace come vincitrice, in guisa da chiuder bene luscio di casa tedesco, fra Basilea e il Lussemburgo464 . N diversamente opinava un terzo, illustre storico, il nazional-liberale von Sybel, il quale, nelle colonne della Klnische Zeitung, constatando anchegli come non fosse facile ridur di nuovo Tedeschi gli Alsaziani, dati i loro sentituenti, chiedeva lAlsazia e la Lorena tedesca, con il distretto di Metz, rifiutando i consigli di coloro che, allestero, propugnavano la pace disinteressata per ingraziarsi il popolo francese e porre cos le basi di una pace duratura: sarebbe pi che leggerezza se fondassimo la nostra sicurezza avvenire sulla riconoscenza della Francia e non unicamente ed esclusivamente sulla nostra forza propria465 . Non poteva, naturalmente, esprimere direttamente e chiaramente un pensiero polemico il ministro responsabile della politica estera italiana: ma anche il Visconti Venosta, pur nella forma prudente e impersonale, pur con solo riferimento diretto alla questione romana, ripeteva il pensiero ispiratore che i polemisti della Destra seguivano nella discussione sulla pace e sui rapporti franco-tedeschi, quando, nel suo discorso di Milano del 9 novembre 1870, insisteva sul valore delle forze morali466 : contro coloro che credevano sommo liberalismo in politica estera non tener conto dellopinione europea, il valtellinese si appellava al grande esemplo del conte di Cavour, uno dei cui meriti e non il minore era certo quello di aver dato al nostro Risorgimento la tradizione, sinceramente liberale, di una politica sempre intenta a procurarsi lappoggio delle grandi forze morali dellopinione. Certo, era possibile rompere il vincolo di questa potenza morale con un appello puro e semplice alla forza, la quale semplifica molte questioni nei rapporti internazionali: ma con quali risultati? Anche per bocca del Visconti Venosta, diplomatico tutto sfumature e

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finezze, ma uomo dalla solida tempra morale, incrollabile nella sua fede nella libert e perci cos poco gradito al signore di Bismarck, anche per bocca del Visconti Venosta veniva dunque pubblicamente riaffermata la tradizione italiana delle forze morali, proprio mentre lEuropa assisteva al trionfare orgoglioso della forza armata. Lidea italiana continuer, pochi mesi appresso, il Bonghi in un saggio famoso sul bismarckismo fondata sulla interrogazione della coscienza attuale de popoli, apriva unaurora di pace e di giustizia nellEuropa; e se, di colpo, lidea della forza, che per cinquantanni lEuropa aveva cercato di assoggettare allidea del diritto, tornava a rizzarsi innanzi agli illusi, con la beffa sulle labbra, se il nuovo sistema prendeva nome dal ferro e dal fuoco, questera lopera delconte di Bismarck, luomo che giocherellava coi princpi, e, con lui, del suo popolo, un popolo litigioso, cocciuto e invadente pi di ogni altro, un popolo che legge pi e meglio degli altri, ma senza che dalla cima dellintelletto alcuna luce gli soglia discendere nellanimo467 . Spogliata del fervore polemico, che accentuava soverchiamente e poneva contrasti troppo crudi e semplificava, schematizzando, mentre n di prove di pura forza era stato privo il movimento italiano, n certo vuoto di conforti ideali era il movimento tedesco anche nella sua fase bismarckiana, spogliata di quegli eccessi e presa nel suo nocciolo sostanziale, la tesi dei Bonghi, dei Dina, dei Bon Compagni, a cui accedeva il ministro degli Esteri in persona, era vera e coglieva il fondo delle cose assai pi di quanto non labbiano, di poi, colto gli sforzi di storici che hanno voluto affaticarsi a mettere in luce le affnit dei due grandi movimenti europei del sec. XIX. Come questi italiani avevano ragione nel predire che da un trattato come quello imposto alla Francia non poteva uscire una vera pace, sl solo una tregua, e ben armata, destinata a preparare un nuovo, pi tremen-

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do conflitto468 ; come essi consideravano giustamente un funesto errore lincorporazione dellAlsazia-Lorena nel nuovo impero469 , un errore la cui conseguenza sarebbe stata unEuropa in continua, diffidente veglia darmi prima, e poi unEuropa dilacerantesi in una tragica lotta e lo storico di oggi non pu che confermare quel modo di vedere espresso ancora nei giorni della mischia470 cos il giudizio sulla sostanziale diversit fra Risorgimento italiano e Risorgimento germanico, nella loro fase risolutiva, coglieva anche esso nel segno. Sin dallinizio, era stato percepibilissimo un differente orientamento di pensiero di fronte ai problemi nazione e missione nazionale, da una parte gi trapelando la infrenbile tendenza a trasferire lelemento determinante della nazionalit fuori dalla volont delluomo, in un a priori naturalistico, da cui pi tardi si sarebbe fatalmente svolta in pieno lidea di razza condizionante ex-initio la vita di un popolo471 ; mentre dallaltra parte, gi col Foscolo e col Cuoco, si insisteva sul fattore volont, quindi educazione, il motivo dominante poi della predicazione mazziniana. Nel successivo svolgersi degli eventi quella differenziazione ideologica sera per cos dire incarnata nella diversit di forme e di modi attraverso cui i due movimenti erano giunti al successo. Tutto serrato attorno alliniziativa statale, monarchica, luno: il fallimento delliniziativa rivoluzionaria del 48 era stato qui, vetamente, totale, come che essa non avesse lasciato dietro a s pi alcun residuo capace di una qualche azione, anzi legittimasse, con i suoi errori, lappello alla pura forza. Col sangue e col ferro aveva detto Bismarck, contrapponendo luno e laltro ai discorsi e alle decisioni di maggioranza stile 48: la Germania guarda non al liberalismo della Prussia, ma alla sua potenza472 . Lunit deve essere creata non dalla libert, non da decisioni nazionali, ma dalla potenza di uno Stato contro altri Stati: un problema di politica estera, aveva ammonito il Droysen, ri-

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credutosi molto ricredutosi dei suoi ideali del 48473 . Scisso invece il movimento italiano in due forze, ben diverse inizialmente e non sempre n bene fuse nemmeno di poi: liniziativa rivoluzionaria e quella regia, il repubblicanesimo mazziniano e il sabaudismo del Cavour; vittoriosa s la seconda, dopo essersi accortamente giovata della prima, ma non al punto da non lasciare pi scorgere le due diverse origini, e soprattutto costretta, anchessa, ad accettare molte delle idee e de: sentimenti dei rivoluzionari. Il Piemonte sabaudo aveva potuto assumere e mantenere liniziativa solo accettando, sia pure entro certi limiti e con alcune riserve, le idealit che, prima, la propaganda mazziniana aveva piantato nel cuore degli Italiani, e anzitutto lideale dellindipendenza e dellunit; la Prussia bismarckiana non accettava un bel nulla dai faziosi, n mutava interiormente volto, comera successo invece al Piemonte, da Carlo Alberto a Vittorio Emanuele II. La Prussia di Guglielmo I compiva la sua opera, fra il 64 e il 70, rifiutando qualsiasi connessione con gli uomini del 48; il Piemonte di Vittorio Emanuele II aveva compiuto la sua, fra il 59 e il 61, sviluppando anzi dallo Statuto il regime parlamentare, accettando e ricercando la collaborazione di Garibaldi, sotto la guida di un primo ministro come il Cavour che dellesigenza della libert politica aveva fatto la sua fede, prima come dopo il 48, e tale esigenza manteneva inalterata pur ricorrendo poi, comera ovvio, alla manovra diplomatica e alla forza per sciogliere i nodi. E, senza dubbio, era stata, questa, anche una necessaria conseguenza della assai minor potenza militare e politica del Piemonte, che da solo era stato vinto a Novara, rispetto alla Prussia, subito vittoriosa: ma la conseguenza nera bene, che il primo sera valso larghissimamente di quelle armi morali che la seconda spesso e volentieri amava disdegnare, e aveva fatto appello allopinione pubblica in una misura di cui laltra non sera mai so-

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gnata. La stessa diversit, fisica e morale, tra i due condottieri, tra il piccolo rotondetto vivace e allegro Cavour, e il gigantesco quadrato duro irritabile Bismarck, poteva acquistare valore simbolico delle diversit fra i metodi di azione e lo spirito dellazione stessa. Alluno, profondamente liberale, era stato necessario il plebiscito; laltro, disposto a servirsi delle idee e dei movimenti liberali solo in quanto giovassero, in un determinato momento, ai suoi calcoli politici, andava avanti con folgoranti vittorie e costringendo alla resa intere armate nemiche. Da una parte, la forza, che da mezzo finiva, come suole, col divenir ideale; dallaltro il ripudio della forza in s, come quella che troppo a lungo aveva soffocato la libera espressione della vita nazionale474 . Lidentificazione fra nazione e libert operatasi nel Risorgimento e lalta spiritualit dellidea di nazione traevano come conseguenza che il principio di nazionalit avesse, per gli Italiani, valore universale, non limitato alla propria terra, s abbracciante tutte le contrade dove gemevano popoli oppressi: con molta maggior passione, certo, nella predicazione mazziniana, che di tale universalit sera fatta banditrice, da questa appunto attingendo la sua forza rivoluzionaria; ma con indubbi riconoscimenti da parte di quelli che mazziniani e rivoluzionari non erano, e tuttavia credevano nella nazione libera, ovunque si trovasse, anche se non intendessero poi, praticamente, buttarsi allo sbaraglio per gli altri. Il movimento italiano pot cos facilmente collegarsi con analoghi movimenti o tendenze; n fu il solo Mazzini a cercar di unire strettamente Italiani e Ungheresi e Slavi del sud e Polacchi, ma fu, talora, la stessa diplomazia regia, da lui riprendendo anche in questo caso idee e concepimenti, e sia pur commisurandoli pi parsimoniosamente alle necessit tattiche della lotta. Dal che poi nacque quella tipica espressione generosa del Risorgimento, che fu il volontarismo anche a pro delle cause altrui; e molti,

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noti e meno noti, andarono a combattere e a morire per la libert e lindipendenza di altre patrie, fedeli al motto mazziniano di amar la propria patria perch si amavano tutte le patrie: gran cosa, questa, che avvolge in una calda commozione umana i fatti del Risorgimento, e che giustamente lanima popolare riconobbe ed esalt nella figura di Garibaldi, e consacr nellappellativo di eroe dei due mondi. Mentre, per contrasto, tenaci e forti nel cercar di attuare lideale della nazione germanica, i Tedeschi rimasero, in stragrande maggioranza, indifferenti, quando non ostili di fronte alle altrui cause nazionali: e se ne eran dovuti accorgere proprio gli Italiani, nel 48, quando nellAssemblea stessa di Francoforte sera dichiarata la necessit della linea del Mincio per la difesa della Confederazione475 . Lo aveva riconosciuto, in un momento critico, nel dicembre del 58, proprio il de Launay, il gran filogermanico del 70: I Prussiani sono appassionati seguaci del principio di nazionalit solo in casa proria ... Si ricordi latteggiamento del Parlamento di Francoforte nel 1848-49, che proclamando altamente i diritti delle nationalit, si guardava bene dallapplicarli ai Polacchi ed ai Boemi, e non aveva una parola per il movimento dellindipendenza italiana, applaudendo invece alla tesi dei circoli militari, della necessit della linea del Mincio per la difesa della confederazione476 . E poi il 59, che aveva visto, s, alcuni calorosi consensi alla causa italiana, e quello soprattutto del Lassalle cio di un rivoluzionario ma assai pi frequenti ostilit, nella stampa come nella pubblicistica477 . Certo, dalla tanto pi popolosa e bellicosa Germania non mossero giovani a combattere per la libert lindipendenza di estranee contrade; caddero, quelli che dovettero cadere, per la propria, non per laltrui causa, e alla nazione che ebbe Moltke manc Garibaldi.

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Che cosa sarebbe stata Giovanna dArco fuori di Francia, si chiedeva il Treitschke, tipico rappresentante di questo patriottismo tedesco? Una sciocca edicola. E cos Garibaldi, uno di quegli uomini mit grossem Herzen und leeren Kopfe, la cui forza sta soltanto nella fedelt allidea che li infiamma: infedeli allidea, essi appaiono deboli ed insensati478 . N il Treitschke sospettava, neppur di lontano, che proprio per esser fedele alla sua idea Garibaldi combatteva in terra di Francia. Potente, ma chiusa in s, lidea di nazione germanica visse come idea germanica, tanto da finir appunto per apparire, ai moderati italiani, ormai confusa con il rinascente spirito di conquista. Ma non la sola idea di nazionalit, quale lintendeva la tradizione italiana, veniva in contrasto con le richieste e le affermazioni politico-ideologiche della Germania vittoriosa. Le preoccupazioni dei Dina, Bonghi, Bon Compagni e nella sfera dei politici responsabili dei Visconti Venosta e dei Nigra, non erano infatti esclusivamente preoccupazioni di italiani, che avvertivano il profondo divario tra la propria e laltrui ideologia, s anche preoccupazioni di europei che vedevano infranta la base su cui riposava la tranquillit del continente e la sua civilt, il diritto della forza, il principio della conquista, quali si venivano attuando ad opera delle armate del Moltke e dalla politica del Bismarck, erano un colpo diretto allequilibrio europeo, alla societeuropea, alla comunit degli stati, senza di cui non era possibile pensare ad una vita ordinata delle nazioni, ma si rischiava di tornare allet delle invasioni, degli sconvolgimenti generali. La guerra franco-prussiana lascia in pessime condizioni questa fabbrica scossa e mezzo diruta di tutta Europa479 : e il male stato enormemente aggravato, anzi divenuto propriamente tale per lignavia delle grandi potenze e la loro incapacit a farsi ascoltare in un conflitto che, coinvolgendo gli interessi generali, interessando

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tutto quanto le corps politique de lEurope, avrebbe dovuto essere frenato e composto per tempo dallintervento collettivo480 . Nulla invece ha funzionato: e come sono rimasti assenti i princpi di umanit e di generosit politica, cos miseramente fallito, alla prova, il concerto europeo, quello che mezzo secolo di esperienza, dalla pace di Vienna in poi, aveva costituito come un anfizionato europeo481 . LEuropa ha dato prova di uno spensierato egoismo, di fronte alle vicende di una guerra in cui erano pure impegnati i suoi vitali interessi482 . Colpa massima dellInghilterra, dimentica delle tradizioni gloriose di Palmerston, chiusasi, col Gladstone, nel suo splendido isolamento, insensibile pareva al rapido decrescere della sua influenza nella vita internazionale e paga della sua prosperit interna, delle sue manifatture e commerci e della sua libera vita interiore483 , impegnata in una politica mezzo mistica e mezzo mercantile che, alla lunga, avrebbe finito con lo spogliare il carattere inglese di ogni vigore e il nome inglese di ogni prestigio. Leffacement of England, che parecchi degli stessi scrittori e politici britannici deploravano484 , era la causa prima delleffacement of Europe. Ma colpa anche delle altre potenze, non esclusa lItalia: incapacit, ignavia, cui particolari condizioni potevano parzialmente scusare, non giustificare compiutamente. Erano preoccupazioni gravi, frammiste a sdegno per la prepotenza del vincitore e la passivit complice degli altri; e ne derivavano i progetti di far intervenire i neutri, allo scopo di por fine alla guerra, e le richiese di una politica pi energica, del genere di quella che il 1 ottobre del 70 il Nigra, da Tours, rivolgeva al Visconti Venosta: ... non posso dispensarmi dal parteciparvi le gravi preoccupazioni che desta in me lo stato presente di cose in Francia ed in Europa. Parmi che sia pur giunto il tempo in cui le potenze neutre si concertino per tentare seriamente di por fine a questa guerra sciagurata e mici-

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diale. La Francia ebbe la grave colpa della rottura della pace; ebbe quella egualmente grave di lasciarsi vincere. Che debba subire la pena delluna e dellaltra, nessuno lo contesta. Ma est modus in rebus. Anche la vittoria ha i suoi limiti. La Prussia ha certamente diritto a premunirsi contro attacchi futuri. Ma per ci veramente necessario che si pigli lAlsazia e la Lorena? necessario, utile alla Prussia stessa ed allEuropa che si crei una nuova questione di nazionalit sulla riva sinistra del Reno e sulla Mosella? Non sarebbe sufficiente guarentigia alla Germania, oramai unita e formidabilmente organizzata per la guerra, lo smantellamento delle fortezze francesi dellEst? Sembra a me che lEuropa non si mostra abbastanza previdente, e che va preparando a s stessa colla sua indifferenza un avvenire pieno di pericoli e di inquietudini. N posso ammettere in nessuna guisa che la Prussia venga a dire alle potenze neutre: Voi non avete preso parte alla guerra, dunque non avete diritto a pigliar parte alla pace. Questa massima contraria agli interessi dellequilibrio europeo, contraria allumanit, contraria al principio della localizzazione e della limitazione delle guerre. E daltra parte essa tenderebbe a favorire le coalizioni armate ...485 . Mesi pi tardi, lo ripeteva Anselmo Guerrieri Gonzaga anchegli rivolgendosi al ministro degli Esteri: Tutte le previsioni furono sorpassate. Le condizioni tutelati dellequilibrio europeo che la Lega dei neutri doveva proteggere dove sono? Erano queste insieme ai princpi di nazionalit e di libert che noi dovevamo sostenere daccordo collInghilterra ... Non sarebbe almeno il caso di disdire il famoso obbligo che ci siamo assunti collInghilterra e riprendere ognuno la nostra libert dazione? Almeno non avremo laria di essere compari di una politica alla quale non ho ancora trovato un epiteto conveniente volendo che sia tale. Le giornate di Parigi mi fischian terribilmente negli orecchi486 .

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Certamente, in queste e simili idee affiorava anche lintento per cos dire polemico, lintento, cio, da parte degli amici della Francia, di smuovere i governi dalla loro inazione rappresentando sotto colori assai foschi lavvenire: pi o meno coscientemente, chi gridava esser lEuropa minacciata obbediva anche com ovvio alle sue affezioni, a quel che gli sgorgava dal profondo dellanimo di sentimenti e di ricordi, obbediva insomma anche ad un motivo sentimentale e ad uninclinazione di parte. Ed era infatti di argomenti di cotal genere che si avvaleva la propaganda francese, per fioca che allora si fosse la sua voce; era ad un ragionamento del tutto analogo che si affidavano scrittori e governo francesi, nel loro disperato sforzo di trovar aiuto alla patria devastata487 . Soprattutto, le preoccupazioni per lequilibrio europeo sconvolto derivavano ovviamente dal fatto che si temeva e si giudicava dannoso per lItalia un tale sconvolgimento488 . Saltava il perno della politica estera dellItalia, da dodici anni, un perno che, nonostante Mentana, aveva pure consentito grandi vantaggi al Regno; e ci si trovava di fronte un uomo, il Bismarck, la cui politica, fra il settembre del 70 e il marzo del 71, era tuttaltro che rassicurante per lItalia, proprio nella questione per essa pi viva, la questione di Roma, fra i clamori dei clericali e dei circoli vaticani che sembravano talora vaticinare nel protestante Guglielmo I il salvatore, il nuovo presidio contro lusurpazione sabauda. Ovvio, pertanto, che negli ambienti di governo e in quelli vicini e amici al governo, lalterazione dellequilibrio europeo sembrasse grave di minaccia per lItalia. Era un po anche il disorientamento di chi vede mutar tutto lambiente in cui era avvezzo a muoversi, e deve, ora, crearsi una nuova linea di condotta diversa dalla precedente: fatto tanto pi grave, per i moderati, perch, significava non poter pi fare affidamento, ormai, sulla sola esperienza cavouriana, non aver pi come stella polare, a circostan-

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ze troppo mutate, linsegnamento del gran conte quinto Vangelo per i moderati, loro conforto e ausilio in tutte le grandi questioni, fosse la politica estera, fosse Roma capitale, fosse libera Chiesa in libero Stato. Ora, bisognava crear qualcosa di nuovo, assumere atteggiamenti, orientarsi senza pi poter ricorrere ai consigli di quella antica genialit489 . Ma, al disopra del motivo puramente emotivo e passionale, e allacciata con le preoccupazioni dirette per il proprio paese, cera, in questi uomini, tutta una parte del proprio modo di essere e di pensare, tutto un programma politico-ideologico ad essere urtato, ferito dalla conquista: ed era, per lappunto, la coscienza europea dei moderati. Per quanto forte fosse lidea nazionale, non lo era ancora tanto da sommergere ogni altro pensiero, da soffocare laspirazione ad una comunit pi ampia, dove le singole nazioni, mantenendo ben netta, intatta la propria fisionomia, politica e morale, vivessero tuttavia una vita resa comune da alcuni princpi generali, e meglio che da princpi teorici da una certa uniformit di criteri generali dazione. Lidea di nazione, a cui quegli uomini si appellavano, non era ancora il nazionalismo, non si era ancora dilatata fuor di misura, facendo il deserto attorno a s e proponendo, glorificando la lotta per la lotta, la conquista per la conquista come il supremo degli ideali. Allidea di nazione restava tuttora indissolubilmente congiunta lidea del consorzio europeo; n solo nella tendenzafilo-francese e negli uomini di Destra, s anche in uomini di diverso atteggiamento, primo fra tutti il Marselli, uomo di centro e assai simpatizzante per la Germania, per il quale pure il principio di nazionalit va sposato con quello di equilibrio inteso come legge di conservazione generale, e il diritto nazionale non poteva essere affermato che armonizzandolo con quello europeo, con quello dellumanit; per il quale gli eventi

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andavano giudicati da italiani s, ma anche da europei490 . E linteresse dellEuropa poteva, anzi doveva imporre, eventualmente, i limiti allinteresse della singola nazione. Affermare, s, il principio di nazionalit, per cui il principio dellequilibrio non ritornava colle antiche vesti, ma rinnovato dal connubio con il diritto delle nazioni: e per sfuggire alla licenza e alla tirannide di quello stesso principio. Davanti ai problemi che solleva lunificazione germanica, scrivevano i moderati, noi fautori costanti del principio di nazionalit restiamo perplessi davanti a codesta esagerazione di esso, e pensiamo che, come nella vita privata nessuno pu ingrandirsi a danno degli altri, cos pi ancora nel concerto delle nazioni non deve essere lecito ad una di esse ottenere un allargamento, che pregiudichi la sicurezza delle altre, e sia necessario, se si vuol mantenere lequilibrio delle forze e scemare le occasioni di guerra, che ciascuna nazione venga posta in condizioni di poter vivere e mantenere il suo491 . Questera tanto pi necessario con una Germania la quale, appena potente, sempre sera vista avviata a espandersi sullaltrui, senza conoscer confini, e, con le sue dottrine sulla nazione naturale, per ora si fermava al fattore lingua, predicando che la patria abbracciava tutti i paesi ove suonasse parola tedesca, ma tosto, raggiunti i confini di lingua, si sarebbe sentita spronata a cercar unaltra sorta di frontiere, le frontiere naturali; onde lunit germanica avrebbe potuto minacciare la libert dellOlanda e della Danimarca, la sicurezza dellAustria, lindipendenza dellItalia492 . Ma anche a prescindere dal caso specifico, e pi grave, della Germania, occorreva porre dei limiti precisi al dispiegamento del principio di nazionalit, che come ogni altro principio umano, traeva con s effetti buoni, ma anche parecchi effetti cattivi, e in certe situazioni finiva con leccitare desideri, presunzioni e pregiudizi, che alzano

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una insuperabile barriera contro ogni pacifico e costante ordinamento493 . E Gino Capponi, anchegli perplesso e turbato di fronte alle esigenze di pace di Bismarck, recitava il mea culpa, di noi liberali, che, a forza di gridar contro alle guerre di gabinetto dellantico regime, abbiamo fatto una bella cosa, abbiam fatto nascere le guerre di nazioni, passime fra tutte494 riprendendo, a cose fatte, un motivo che Mirabeau aveva per primo intuito, a cose non ancora avvenute. Fin il Sella, cos reciso nel sostenere il diritto delle nazioni, cos italiano nel suo agire, fin il Sella riconosceva apertamente che vi erano questioni superiori a quelle di patria e di nazionalit, le quali, come quelle del comune, della famiglia, dellindividuo, sono soltanto parte della umanit495 . Qualche altro, facile alle effusioni sentimentali, ma patriota di non dubbia fede, alcuni anni pi tardi, di fronte allo spettacolo dato dal Congresso di Berlino, condotto tra cupi avvolgimenti diplomatici e riconoscente solo limpero della forza e dellastuzia, avrebbe potuto rievocare nostalgicamente il Medioevo pi generoso, pi magnanimo ... colle sue spensierate esaltazioni con il suo senso cristiano totalmente smarrito nel secolo XIX; avrebbe potuto deplorare che lidea angusta della nazionalit prevalesse sullidea umana e sublime della cristianit496 , ritornando cos ai sogni che gi avevano ispirato a Federico Novalis, nel 1799, fra il tumultuare delle guerre, il suo inno alla cristianit medievale e il suo vaticinio della nuova cristianit. Era un avviamento caratteristico superare il mito della nazionalit come principio esclusivo della politica internazionale; era latteggiamento che avrebbe consentito, sul terreno pratico, gli accordi con lAustria e la rinunzia, almeno temporanea, allirredentismo, che avrebbe, cio, permesso la Triplice Alleanza e lo sviluppo del-

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la politica estera italiana dal 1882 al 1914: tant, proprio il Marselli gi proclive nel 1871 a limitare lonnipotenza del diritto nazionale, nel 1881, propugnando lalleanza con lAustria e la Germania, avrebbe affermato che per lItalia limpero asburgico era un antemurale preziosissimo contro la possibilit di un impero tedesco sulle Alpi e a Trieste, un antemurale che occorreva sorreggere, uno Stato contrario s al principio di nazionalit, ma non senza giovamento per la causa dellumanit, come quello che evitava quei contatti immediati fra grandi masse elettrizzate, che producono le pi rovinose scosse della storia497 . Certo, nemmeno ora i moderati rinnegavano la fede della loro giovinezza che continuava a imporre loro obblighi morali, anche quando si proclamasse compiuta lItalia e si mettese perci da canto, almeno per il momento, ogni ulteriore aspirazione su regioni italiane di lingua e di stirpe, non di governo. E sarebbe toccato allo stesso Visconti Venosta, cos costante e sincero propugnatore degli interessi generali dellEuropa, riaffermare, in piena Camera, in un momento in cui nuovamente era un gran discorrere e disputar dei diritti delle nazioni, il rispetto de moderati se non proprio pi la passione per il principio di nazionalit498 . Ma ormai era chiuso per essi il periodo rivoluzionario, finita let in cui lItalia nelle complicazioni europee vedeva e cercava loccasione opportuna per coronare ledificio della sua indipendenza, e della sua unit499 , e iniziato invece il periodo nel quale occorreva anzitutto difendere gli interessi di ordine generale500 , secondo la formula classica della tradizione diplomatica da Metternich in poi, e ispirarsi a criteri europei e non puramente nazionali501 , s da far apprezzare il vantaggio e lutilit per gli interessi europei della presenza dellItalia nel concerto delle grandi potenze502 .

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E quindi, la loro preoccupazione sarebbe stata, allatto pratico, cercar di evitare le scosse violente, le perturbazioni belliche, per facilitare, invece, il graduale sviluppo de singoli movimenti nazionali, che avrebbero finito col conchiudersi felicemente, senza mettere a soqquadro il continente, conciliando cos i due princpi, della nazionalit e dellordine europeo503 . Politica, diciamo da riformisti e non pi da rivoluzionari, qual era stata quella italiana sino al Venti Settembre; o, si potrebbe aggiungere, tentativo di applicare alle parti dEuropa ancora non libere nazionalmente, quel programma riformistico, gradualistico, prima le ferrovie, gli asili dinfanzia, le casse di risparmio, e poi la libert politica e magari anche lindipendenza, ma buoni buoni e non fracassando porte e finestre, che un trentennio innanzi gli stranieri avevano predicato allItalia504 , che gli stessi moderati italiani avevano auspicato, e che limpetuosa fiammata del 48 con le insurrezioni di popolo aveva buttato per aria, costringendo anche i moderati e la monarchia sabauda a mettersi sulla via dellazione diretta. Il principio di nazionalit veniva contenuto, svuotato del suo lievito rivoluzionario generale; rimaneva un altissimo ideale, ma non sempre suscettibile di pratica, immediata attuazione, un principio di grande valore morale, ma non sempre n ovunque di valore politico; si precisava nellirredentismo, parola di grande fortuna dopo il 76, ma che sostitu laltra di rivoluzione europea, e signific appunto il surrogarsi di uno specifico e ben determinato problema territoriale allappello generale e non territorialmente limitato di prima. Anche qui, lideale assunse forme pi corpose e definite, ma ristrette, divenne questione assai meglio disciplinabile ad opera de governi: e vebbe locchio, appunto, la politica ufficiale italiana, che da tali premesse lontane trasse, ancora nel 1915 e oltre, il motivo della grande guerra non dallo sfa-

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sciamento dellimpero asburgico riproposto dagli eredi di Mazzini, ma, pi limitatamente, dalla liberazione di Trento e Trieste, onde poi il gran fatto della scomparsa dellimpero danubiano trov impreparata e disorientata la maggioranza del ceto dirigente italiano. A questo punto, con simili appelli allEuropa e allumanit, potrebbe venir fatto di pensare al Mazzini, alla connessione strettissima chegli aveva posto tra la nazione singola e lumanit (e lumanit era per lui ancora essenzialmente Europa), alla Giovine Italia e alla Giovine Europa. Ricondurre lItalia allEuropa era stato il sogno del genovese sin dagli anni giovanili e dal saggio Duna letteratura europea505 ; risospingere innanzi lEuropa, la giovane e nuova Europa che doveva sostituirsi alla vecchia Europa agonizzante, farle riconquistare liniziativa, smarrita dal 1814, e con ci dare inizio allepoca nuova, quella sociale che portava scritto sulla sua bandiera Dio e lumanit506 era stato il pensiero ispiratore del suo apostolato, nel periodo della sua maggiore intensit e forza507 . E dunque, potrebbe sembrar ovvio pensare anzitutto a lui, al pi grande agitatore didee che lItalia del Risorgimento avesse avuto, allunica, anzi, personalit veramente europea nel campo dellideologia, come Cavour lo era stato nel campo dellazione. Nulla di tutto ci. Lappello allEuropa degli uomini della Destra non serbava nemmeno il pi lontano resto del lievito rivoluzionario che era invece alla base dellappello di Mazzini; non mirava ad unEuropa futura, recante nel suo grembo i popoli nuovi affratellati dalla generale rivoluzione, politica e morale, ma ancora e sempre guardava allEuropa quale era stata modellata da un augusto passato, da una secolare tradizione culturale, religiosa, politica, quale era stata modellata dal pensiero del Settecento e del primo Ottocento.

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, invece, ancora leuropeismo della vecchia scuola moderata, dei Balbo e dei Durando, e dello stesso Cavour: un europeismo culturale-politico di largo orizzonte, ben nutrito di studi e, anche, di esperienze personali, tra viaggi ed amicizie, un europeismo nutrito di senso della libert, ma senza lievito rivoluzionario. Per Mazzini, sera trattato non solo di ricongiungere lItalia allEuropa, s di rivoluzionare anche lEuropa, quella attuale essendo assolutamente impari al compito, reliquia del passato, non prodromo dellavvenire (proprio comera lItalia dei principi); per i moderati e per lo stesso Cavour si era trattato di innalzare lItalia al livello dei grandi popoli occidentali, Francia e Inghilterra essenzialmente508 , non certo di mutare le basi su cui ancora era assisa la civilt europea, perch anzi quelle basi apparivano sicurissime e necessarie. Nelluno, lEuropa attuale doveva morire; per gli altri rappresentava il pi alto fiore di civilt, il modello verso cui innalzare anche lo spirito e la vita della nuova Italia. Mazzini aveva gridato rivoluzionare Italia ed Europa; i moderati avevano risposto modifichiamo lItalia, portandola al livello delle grandi potenze europee. LEuropa di Mazzini era unEuropa uscente dalla rivoluzione; lEuropa degli altri era lEuropa del fuste milieu, del giusto mezzo tanto caro ai moderati dItalia e di Francia509 . Due linguaggi profondamente diversi, di gente che non era fatta per intendersi: luno, sognando il rinnovamento universale delle gemi, vedendo nella rivoluzione dItalia solo la parte di un pi ampio complesso, anzi linizio della redenzione universale510 ; gli altri limitando le loro aspirazioni al problema italiano. Risolto questo, conseguita lindipendenza e lunit, con Venezia e Roma, leuropeismo di questi colti italiani diveniva un europeismo pacifico, ria conservatori e amanti dello status quo. Essi non chiedevano di buttare sossopra la casa europea: una volta sistemate le faccende nel proprio appartamen-

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to, trovavano che ledifizio, nel suo complesso, cos comera, non meritava affatto di essere demolito, anzi era ancora bello e solido e degno di essere abitato. Qualcuno aveva fin detto, e prima ancora che lo affermasse il Balbo: proprio per tenere in piedi la casa europea, bene si compia lindipendenza dellItalia, del paese che, spezzettato com, non serve a nulla, mentre invece, indipendente, servirebbe, in Europa, da bilancia tra Francia e Austria, e in Levante tra Russia e Austria511 . E qualche altro, come il Manzoni, anchegli esaltante lanimatissima e insieme pacifica prevalenza e quasi unanimit di liberi voleri, del Risorgimento italiano, contrapposto, questa volta, alla Rivoluzione francese, qualche altro osserv, a conclusione della vicenda, che laltre Potenze, che, quarantacinque anni prima, serano trovate daccordo nel raffazzonare una divisione dellItalia, che, nella loro sapienza, doveva essere una dalle condizioni fondamentali duno stabile ordine distruzione, in questa sovvertire un ordine vero, non aveva fatto altro che levar di mezzo una causa di guerre rinascenti, di vantaggi passeggieri e di disinganni costosi per alcune, e di pensieri molesti per laltre; e si trovarono, senza saperlo, meno lontane da quellideale equilibrio messo in campo cos spesso da loro ...512 . Quel po di lievito rivoluzionario generale che poteva ancora esservi nelleuropeismo dei moderati, durante gli anni della lotta, era comunque destinato a svanire come nebbia al sole non appena si fossero concretate le aspirazioni ultime: la presa di Roma chiudeva, in effetti, il ciclo, placava le aspirazioni e faceva desiderare, dattorno a s, lo status quo513 s per il timore che da un rivolgimento generale europeo potessero derivare gravose incognite ai danni dellItalia appena costituita, s anche per listinto di conservazione, per la riluttanza, diremmo di temperamento, a metter per aria le cose e a provocar sconquassi generali chera caratteristica di quegli uomini. Ottenu-

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to il proprio scopo, ben preciso, ci si adattava volentieri alla parte dei beati possidentes, senza pi poter comprendere se mai lo si fosse potuto lirrequietezza e lo scontento del Mazzini, che non sembrava mai pago e quindi appariva pericoloso e sovversivo, ora pi che mai. Il principio di nazionalit era, per i moderati, nello stesso tempo un gran principio di conservazione, e sia pure di conservazione illuminata, secondo aveva affermato lo stesso Cavour514 : conservazione interna contro i fermenti rivoluzionari, ma anche conservazione esterna, di un ordine europeo, di europeo, ebbero poi ad accorgersi che la parte, della loro grandopera, lungi dal una comunit europea. Forse che uno dei massimi rimproveri che gli stessi amici di Francia rivolgevano alla nazione doltrAlpe non consisteva nelle troppo frequenti mutazioni di governo, nellinstabilit dumore del popolo, nel non sapersi accontentare mai e posare, ad un certo punto, paghi dei risultati raggiunti, e quindi nellesser causa di instabilit generale in Europa? Lidea di Europa che questi uomini difendevano era dunque sempre lidea di quella che il Mazzini aveva chiamato la vecchia e agonizzante Europa, e che ancora il Carducci mazzinianamente condannava come marcia, marcia, marcia, putrescat et resurgat515 . Lunit Europea come lintese il passato disciolta; essa giace nel sepolcro di Napoleone, aveva scritto il ligure516 , ma i Bonghi, i Dina, i Visconti Venosta, i Nigra pensavano proprio a quella che non unit, s pi propriamente andrebbe definita societ, o, come si diceva, consorzio dellEuropa. La loro era ancora lEuropa governativa, degenerata, dal genovese violentemente combattuta517 . Il consorzio politicamente aveva trovato le sue leggi pratiche nella dottrina dellequilibrio e del concerto delle grandi potenze; e i due principi dovevano salvare lEuropa dalle avventure imperialistiche e dai tentativi egemonici al-

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la Napoleone I, da quei tentativi, cio, che soffocando i singoli Stati e la vita propria dei vari popoli, avrebbero significato la morte della civilt europea, il gran frutto che, a farlo maturare, occorrevano i molti e diversi succhi forniti dalle varie nazioni. Ed ecco allora, dietro a queste idee dei nostri uomini della Destra, apparire, lontano deux ex machina, una figura a cui essi, una volta, non avrebbero certo creduto di doversi mai avvicinare: la figura di Clemente Venceslao Lotario principe di Metternich. Gi rconoscere la mitezza dei trattati di pace del 1815 in confronto a quello che il Bismarck intendeva imporre alla Francia518 , e il rinvenire in quei lontani patti una base omogenea, di cui sarebbero invece stati preti quelli attuali519 , gi siffatti accenni, che pur ricorrevano sotto la penna dei maggiori pubblicisti della Destra, erano caratteristico indice della mentalit conservatrice, dal punto di vista europeo, del nostro partito di governo. Ma sulle lontane origini metternichiane delleuropeismo politico propugnato nellOpinione, nella Perseveranza e nella Nuova Antologia gettava luce completa, sul finire del 1871, uno degli uomini eminenti della Destra, Carlo Bon Compagni, uno dei pi fidi collaboratori del Cavour520 , uomo che il 27 marzo 1861, in pieno accordo col Cavour, aveva presentato, nel giovanissimo Parlamento italiano, lordine del giorno che proclamava Roma capitale dItalia. Non un codino, dunque, n, certo, un austriacante del passato. Eppure, era proprio lui a celebrare lelogio, dal punto di vista europeo, del sistema metternichiano. Lultima guerra, osserv egli nella IX lettera su Francia e Italia521 , ha mutato le condizioni di tutto il consorzio europeo. Che cos questo consorzio? I popoli dellEuropa moderna entrano in uno stesso sistema politico, come entrano in uno stesso sistema planetario tutti i corpi celesti che girano intorno al sole. Proprio nellesistenza di un simile sistema riposta la sostanziale dif-

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ferenza fra medioevo e et moderna da quando, col secolo XVI, si ebbero le origini di un equilibrio politico ordinato a limitare la potenza di qualunque sovrano accennasse a soverchiare gli altri Stati. Oggi il sistema dellequilibrio politico riguardato quale un vecchiume da parecchi che sono in grande errore. Il concetto dellequilibrio politico procede da un fatto che succede pur troppo dappertutto, e per cui suol divenire prepotente colui che oltrepossente. Ora vero che i vincitori del 1815 hanno assassinato lItalia e instituita unassociazione contro la libert. questa la storia della Santa Alleanza quale labbiamo imparata in giovent, e pur troppo storia vera. Ma non storia compiuta. I vincitori lasciavano alla Francia gi napoleonica tutto quel territorio che laveva resa potente ai tempi della monarchia, dando prova di una moderazione, se non singolare, certo rarissima nella storia. Per questa moderazione poteva riguardarsi come compiuta labolizione del diritto di conquista, promulgata dallAssemblea costituente con dichiarazioni solenni, che rimasero parole vane. E altro beneficio arrec la Santa Alleanza: quello di riconoscere che, in tutte le questioni di diritto internazionale, linteresse de singoli Stati deve conciliarsi collinteresse generale dellEuropa. Le cinque grandi potenze hanno, da allora, costituito un anfizionato europeo, la cui intromissione fu per lo pi benefica, quando ebbe smesso di presentarsi quale nemico implacabile di ogni libert; e in tal guisa lEuropa pot godere di uno dei pi lunghi e benefici periodi di pace. Equilibrio europeo, sistema politico che caratterizza let moderna, pentarchia delle grandi potenze: come questi concetti ci riportano nellatmosfera del 1814-15, tra Metternich e Castlereagh e Friedrich von Gentz! Espressamente, nel parlare di sistema europeo, il Bon Compagni citava, con lo Ancillon, lo Heeren, lautore cio dello Handbuch der Geschichte des europischen

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Staatensystems und seiner Kolonien, il massimo formulatore dellidea del sistema europeo522 caro alla scuola di Gottinga, su cui si erano formati dottrinalmente gli uomini di stato tedeschi dellet napoleonica e della Restaurazione, compreso lo Hardenberg, e su cui sera formato, attraverso il Koch a Strasburgo, lo stesso Metternich: volutamente, cio, egli accettava lEuropa cara a tutti i conservatori. Qual meraviglia, dunque, se, senza saperlo, il Bon Compagni adombrasse idee e fin si servisse di espressioni quasi identiche a quelle che ci colpiscono quando apriamo i Mmoires di Metternich: ... il ny a plus dtat isol ... on ne doit jamais perdre de vue la socit des tats ... ce qui caractrise le monde moderne, ce qui le distingue essentiellement du monde ancien, cest la tendance des tats se rapprocher les uns des autres et former une sorte de corps social ... La socit moderne ... nous montre lapplication du principe de la solidarit et de lquilibre entre les tats, et nous offre le spectacle des efforts runis de plusieurs tats pour sopposer la prpondrance dun seul523 . Anche lui, il Cancelliere tutto preso dal desiderio di ordine, aveva dovuto polemizzare contro i negatori del principio di equilibrio: Lide de lquilibre politique a t souvent attaque depuis la paix gnrale (1814-15) et reproche au cabinet imprial lui-mme comme une folie patronne par lui. Lide, comprise somme elle doit ltre, nen est pas moins la seule juste. Le repos sans lquilibre est une chimre524 . O, ancora, ascoltando il Bon Compagni dissertare sullanfizionato europeo, veniva fatto di pensare alle osservazioni del collega e amico di Metternich, il Castlereagh, sullunione delle grandi potenze, come presupposto indispensabile della pace europea, salvaguardia sicura della libert e tranquillit del Commonwealth of Europe525 , e a tutto quel che la prima met dellOttocento europeo aveva detto e scritto sulla funzione delle grandi potenze,

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dal saggio del Ranke che trasportava il novello termine526 nel passato e faceva del concetto di grande potenza un criterio dinterpretazione della storia527 , alle annotazioni del Thouvenel, ministro francese degli Esteri, che nel 1860 precisava, con burocratica esattezza, compiti, prerogative e doveri delle grandi potenze528 . N, certo, erano questi pensieri del solo Bon Compagni; ch da non molto diverso sentire muovevano altri rimpianti per la fine del vecchio consorzio politico, sorto dopo la tempesta delle guerre napoleoniche. Certo, anchesso, aveva avuto i suoi inconvenienti; ma ora sera giunti ad unintera e dannosa dissociazione fra gli Stati: dallessere dispotica e perpetua la comunanza dei consigli e deglinteressi tra pi potenti, noi siamo trapassati al negarle affatto ogni autorit, ogni possibilit desercitarsi; alla prepotenza unita e calma de molti s surrogata oramai la prepotenza solitaria e guerriera di quello che si trova in ogni caso il pi potente529 . E anche il Marselli se nusciva, undici anni appresso, in considerazioni assai simili. Ch, dopo aver affermato non potersi applicare il principio del lasciar fare, lasciar passare nemmeno a proposito delle nazionalit quando la costituzione loro in imperi autonomi, ultrapossenti ed ambiziosi divenisse una minaccia per altri stati, necessari allorganismo generale dellEuropa; dopo aver ammesso che la politica europea della seconda met del secolo XIX non poteva distinguersi da quella del secolo XVIII e della prima met del XIX perch al principio dellintervento si dovesse sostituire lassoluta negazione di esso, ossia lindifferentismo delle nazioni, ma perch si dovevano restringere e in parte mutare le regole applicative dellintervento: anchegli, lacuto storico e teorico delle istituzioni militari nella loro connessione con tutta la vita di un popolo, anchegli ritornava al sistema metternichiano. E citava, per disteso, le celebri pagine dei Mmoires, poco prima pubblicati, dove il can-

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celliere austriaco aveva teorizzata la necessit del sistema europeo, caratteristico della societ moderna di fronte a quella medievale; e annotava, s, che la pratica di Metternich non spirava lamor cristiano della teoria, anzi riconosceva il diritto della conquista compiuta e che quindi un abisso dovrebbe separare la politica internazionale dei nostri tempi da questo metodo del cancelliere Metternich; ma per affermare, subito dopo, la sua adesione ai princpi europei del Metternich: possiamo ugualmente dire che un abisso debba pure separarla dal principio della solidariet fra gli Stati e degli sforzi riuniti di parecchi Stati per opporsi alla preponderanza di un solo, per arrestare i progressi della sua supremazia? Se cos fosse, non vi sarebbe pi ragione per parlare di una politica internazionale pratica, e lEuropa diventerebbe davvero unespressione geografica. Come per il Bon Compagni, cos per il Marselli la colpa della Quadruplice alleanza del 1814-15 era stata quella di aver negato ai popoli di governarsi liberamente; oggi, la solidariet internazionale ammette che ogni nazione abbia la libert di costituirsi e governarsi a suo modo; ma a condizione che non diventi un elemento perturbatore del tutto sociale, un elemento minaccioso alla pace, alla libert, allindipendenza delle altre nazioni. In questo secondo caso anche alla costituzione di un Impero nazionale si pu legalmente opporre un limite530 . Siamo proprio, per questo lato, nel mondo caro ai conservatori europei e ai professionisti della diplomazia: un mondo che affondava le sue radici nelle lunghe discussioni secentesche e settecentesche sullequilibrio europeo, gi allora considerato come una specie di costituzione dellEuropa531 , ma che aveva trovato la sua inquadratura precisa, compiuta, ben rifinita in ogni parte e, soprattutto, rivolta ad uno scopo di pace generale soltanto dopo la grande tempesta napoleonica nel sistema metternichiano.

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Curioso destino, che poneva in un certo senso nella scia del cancelliere di Francesco I dAustria uomini la cui opera era stata indirizzata a rovesciare il dominio asburgico in Italia! Curioso, se non fosse che poi, come il Metternich era stato lesponente massimo e lassertore pi eminente di un modo generale di porre il problema politico europeo alla fine dellavventura napoleonica, cos dopo di lui la formulazione era divenuta duso comune, quasi propriet collettiva dei diplomatici europei e della pubblicistica politica internazionale. Alla quale formula, senza dubbio, ci si poteva sottrarre: ma a condizione di portare la rivoluzione su piano europeo, di uscir fuori dal singolo ambito nazionale, per spaziare tra tutte le nazioni. Allora, ma soltanto allora, si potevano buttar a mare le formule dellequilibrio, rifiutare in omaggio al principio, morale e giuridico, della parit fra tutte le nazioni, grandi piccole, perch tutte egualmente volute da Dio rifiutare il concetto istesso di grande potenza, tipico del conservatorismo internazionale; come poteva fare, per lappunto, il Mazzini, che alla Giovine Italia aveva congiunto la Giovine Europa e per il quale il nuovo equilibrio che si sarebbe stabilito fra le nazioni, associate per un fine comune, non doveva conservar pi nulla dellantico equilibrio fra i governi532 . Ma non i moderati! Per essi, il Risorgimento era stato ed era Italia, e Italia solo; non Italia ed Europa insieme. Assolto il compito allinterno, ci si poteva assidere, contenti, al banchetto delle nazioni533 , entrare nel cosiddetto concerto delle grandi potenze, ultimi per anzianit e importanza, ma insomma sempre ammessi nellAeropago: e nessun rimorso di coscienza avrebbe turbato i loro animi, che non seran mai commossi per la Santa Alleanza dei popoli. LEuropa di Mazzini era lEuropa dei popoli; la loro, era s, culturalmente, lEuropa dellintelligenza, ma politicamente era ancora lEuropa dei

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governi. N essi avrebbero mai sognato di rivoluzionare la mente europea, ai loro occhi assai ben congegnata, laddve proprio allora al Mazzini essa appariva destituita di qualsiasi fede comune, di qualunque concetto di una mta comune capace di raggiungere lunione fra le nazioni ed assegnare a ciascuna di esse il suo compito pel bene di tutti, destituita, altres, di qualsiasi unit di legge atta a dirigere la sua vita morale, politica ed economica534 . N certo si vuole qui rimproverare agli uomini della Destra di non essere stati dei mazziniani, di non aver voluto la rivoluzione generale, morale e politica, e di essersi acconciati volentieri, finita lopera in Italia, a rientrar di buon grado nel rango dei paesi amanti dellordine e dello status quo. Essi assolsero la loro missione, e fu grande missione; e fu gi mirabil cosa che sapessero combattere per il proprio paese senza cader nelleccesso di non veder pi che questo, senza chiudersi in una egoistica e limitata visione dei puri interessi nazionali, anzi sapessero, sempre, vedere e apprezzare e amare la grande collettivit civile europea. Lideale di Mazzini, era stato, anchesso, un ideale dei tempi535 : anzi, lo era stato pi assai dellaltro, che profondava le sue radici gi lontano, nelle antiche tradizioni dellequilibrio politico. Era sbocciato su, in piena et romantica, attorno al 1830; ed egli, sollevandolo dal piano puramente letterario in cui rimaneva, spesso, confinato dalla scapigliatura romantica536 , ne aveva fatto volont politica, fede politica la fede della Sinistra romantica, che adorava la propria patria ma voleva amare tutte le patrie. Ora questa fede, la fede sua e di Michelet, tramontava: delladorazione perla propria patria e per tutte le patrie, rimaneva semmai solo la prima. Si vuol soltanto far vedere come questo europeismo dei moderati non fosse di carattere novatore, s conservatore, e affondasse le sue radici nel ricco humus del-

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le concezioni politiche dellEuropa della Restaurazione, e, ancor, pi lontano, nel razionalismo settecentesco537 e come il Risorgimento italiano, nella sua forma vittoriosa, e cio di stato liberale-monarchico, avesse limitato il suo forzo e lanelito sovvertitore e rinnovatore entro i confini del proprio paese, lasciando intatta lEuropa nel suo complesso. Era, senza dubbio, quel declino della politica dei principi, che il Mazzini aveva rinfacciato al Cavour come abbandono opportunistico, ma che era stato imposto e che continuava ad essere imposto dalla realt delle cose e che conduceva forzatamente a scindere, ad un certo momento, politica estera e politica interna se non si voleva rischiare di fracassar tutto538 . Onde, mentre il senso della libert restava come punto fermo incrollabile, su cui nessun compromesso era possibile, si attenuava invece il senso della nazionalit, che, a volerlo seguire sino in fondo, avrebbe fatto assumere allItalia la parte della grande rivoluzionaria permanente, e cio lavrebbe cacciata in avventure dal pericolosissimo esito; o, almeno, se ne limitavano le possibilit di applicazione pratica, si da poter collaborare, su piano internazionale, anche con stati come limpero asburgico e limpero ottomano, che del principio di nazionalit costituivano, a dirla col Mazzini, la negazione vivente. Era stata la grande manovra del liberalissimo Cavour, deciso a ricercar lappoggio della dittatura napoleonica per ricostruire lItalia; era, in mutata situazione e sotto altre forme, la linea di condotta dei suoi epigoni, cos fedeli al suo insegnamento e assai pi di lui inclini distinto al conservare, molto disposti a metter la parola fine al periodo delle rivoluzioni e dei grandi gesti per far vivere lItalia una, e permetterle, nella pace, di procedere allassestamento e al consolidamento interno. Lo disse ripetute volte, con estrema chiarezza e sincerit, il Visconti Venosta: sia che, nel discorso al Senato sulla legge delle Guarentigie, il 22 apri-

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le 1871, egli affermasse che il movimento nazionale italiano aveva avuto lambizione altamente civile di considerarsi come un progresso per la causa generale dellordine e della libert in Europa e di un popolo turbolento e ribelle avesse fatto uno dei popoli pi tranquilli e pi conservatori dEuropa539 ; sia che, il 27 novembre 1872, insistesse sulla comunit dinteressi fra lItalia e lEuropa: Oggi in Europa il bisogno precipuo pi altamente sentito e confessato quello della conservazione della pace. LEuropa e vuol essere liberale ... Ebbene ... per lItalia la pace e sar sempre uno dei suoi grandi e permanenti interessi ... la nostra causa solidale della causa della libert in Europa ... non v dunque ... non vi alcun paese che sia meglio in grado di associare i suoi particolari interessi a quelli che oggi sono gli interessi generali dellEuropa, vale a dire la conservazione della pace, il progresso liberale e la conservazione sociale540 . Pi tardi ancora, nel discorso elettorale tenuto a Tirano il 25 ottobre 1874, egli ritornava su quegli stessi concetti, affermando che lo scopo della politica estera dellItalia dopo il 70 era stato quello di affrettare il momento in cui finalmente le riuscisse di far parlare poco di s. Il che significa di far s che lItalia potesse finalmente avere dinanzi a s quel periodo di tempo, al quale aveva pure gran bisogno di giungere; in cui, con un sentimento di sicurezza e senza essere distolto da altre pi vive sollecitudini, il paese nostro avesse agio, pace e tempo necessario per occuparsi delle sue questioni interne541 . E infine, non pi ministro degli Esteri, ma dai banchi dellopposizione, il 23 aprile del 1877, riassumeva ancora una volta il suo credo politico: Quando ... la nostra costituzione nazionale non era compiuta, lItalia nelle complicazioni europee vedeva e cercava loccasione opportuna per coronare ledificio della sua indipendenza, e della sua unit. Ora lItalia fatta, lItalia uno Stato costituito, ed io credo che la sola politica che ci convenga una poli-

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tica prudente, leale, scevra da ogni spirito di avventure, che faccia considerare il vantaggio e lutilit per gli interessi europei della presenza e dellazione morale di questo giovine Stato nel concerto delle grandi potenze542 . Che era poi il credo politico non del solo Visconti Venosta, s di tutti gli uomini della Destra: dal Dina, pronto ad affermare finito il tempo della politica agitatrice543 , al Minghetti, anchegli convinto si dovesse modificare il programma di governo rispetto allItalia, s da farlo diventare conservativo544 , al Bonghi, per il quale occorreva circondare lItalia di pace545 , al conte Guido Borromeo invitante a camminare ora sulla punta dei piedi per non far rumore546 , riportavano il mondo alla prova del ferro e del fuoco584 : e gi il gran maestro, Cavour, aveva presagito ed ammonito contro il pericolo del germanesimo, sin dal 48585 . Schiacciar la Francia, come voleva il Bismarck, equivaleva a far della Germania la padrona dellEuropa, il sistema dellequilibrio essendo cos congegnato che limprovviso venir meno di uno dei pezzi maggiori del giunco sconvolgeva, da capo a fondo, il gioco medesimo. E la situazione era tanto pi grave in quanto fatale conseguenza della troppo completa disfatta allinterno la Francia non riusciva a ritrovarsi e ricementarsi, oscillando paurosamente tra reazione e anarchia, tra il legittimismo di Enrico V e i petrolieri della Comune. Strappar alla Francia lAlsazia-Lorena significava creare un motivo permanente e potente di conflitto in Europa, trasformare la pace in semplice tregua, tregua armata; e al giudizio dei moderati italiani faceva riscontro quello di un uomo tanto lontano da loro, il MarY, pur egli convinto che lannessione dellAlsazia-Lorena era il mezzo pi sicuro per trasformare la guerra franco-prussiana in una istituzione europea586 . Perfino la vita economica europea era minacciata nel suo regolare svolgimento dal germanesimo trionfante:

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lenorme indennit di guerra richiesta dal Bismarck una cifra astronomica per lepoca faceva temere gravi difficolt finanziarie e perturbamento di mercati, di cui avrebbero subito le non piacevoli conseguenze tutti quanti gli Stati. Ancora una volta, era una preoccupazione non italiana soltanto; la manifestava anzi per primo il governo inglese, gi innanzi la firma dei preliminari di pace, nel febbraio587 , la riprendeva poi il cancelliere austro-ungarico, conte Beust, vi si associava il Visconti Venosta588 , e nella stampa la esprimeva LOpinione589 . E anche qui, al disopra del fatto specifico cera antitesi di principi e di metodi, fra il liberismo economico, caro ai moderati e culminante addirittura in taluni nel sogno di una lega doganale fra le nazioni, garanzia anche di pace politica, e il chiudersi nel mercato proprio, a difesa dellinteresse proprio, che il bismarckismo gi minacciava e che in effetti avrebbe poi condotto al trionfo del protezionismo590 . Cos, violente polemiche antiprussiane e latteggiamento di molti degli uomini della Destra, pur sbocciando grazie ad una affezione sentimentale per la Francia, assurgevano a valore di opposizione di principi e di metodo. Aveva ragione Engels quando osservava che questa era la vera guerra, la guerra di nazioni, di cui lEuropa aveva perso il ricordo da un paio di generazioni: la guerra di Crimea, quella dItalia, quella austro-prussiana, erano state tutte guerre di pura convenzione, guerre di governi che conchiudevano la pace non appena il loro meccanismo militare fosse in panne o cominciasse ad usarsi591 . Questa no, era guerra di popoli, per la prima volta dopo let della Rivoluzione francese e di Napoleone; era la guerra, che spazzava via illusioni sogni e miti di un cinquantennio. Per questo, la vicenda franco-prussiana appariva grave di conseguenze per tutti, neutri compresi; per questo,

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il Ricasoli, attonito, scosso, sdegnato, intravedeva nella guerra, quasi sin dallinizio, il pomo di una discordia europea592 ; per questo il Bonghi, che sedici anni pi tardi avrebbe nuovamente definito il 1870 lanno fatale per la pace, la civilt, lunit europea593 , non si peritava allora di affermare e poteva sembrare bestemmia in bocca ad un italiano che in mezzo a cos difficile e complicata condizione di cose, qual era quella dellEuropa minacciata dalleccessivo ingrandimento della Prussia, la questione romana sulla quale glItaliani paiono fissar solo i loro sguardi e le loro menti, ci appare duna importanza saremmo per dire, secondaria594 .

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Capitolo Secondo Lidea di Roma

I La missione di Roma E tuttavia, quali profonde e durature conseguenze non recava con s landata a Roma! Non solo quelle che erano ovvie, a tutti manifeste, anche alluomo della strada: compimento dellunit nazionale, da un lato, e dallaltro esacerbato il conflitto con la Curia romana, tanto da doversi temere le estreme conseguenze, con la partenza del Papa dalla citt di Pietro. Tutto ci costituiva leffetto immediato, scoperto del Venti Settembre, formava per cos dire loggetto della prossima politica italiana, che rimaneva accentrata intorno a Roma, dopo non meno di prima il Venti Settembre, come intorno al porro unum della vita nazionale. Pertanto, a quella guisa in cui la politica estera sarebbe stata per parecchi anni dominata si pu dire esclusivamente ancora dalla questione di Roma, divenuta banco di prova per saggiare le amicizie e le inimicizie, cos in politica interna la preoccupazione di gran lunga prevalente, allato o almeno subito dopo il gravissimo problema finanziario, sarebbe continuata ad essere, per parecchi anni, quella dei rapporti con la Chiesa, o, a dirla con espressione cara allora non soltanto ad accesi tribuni dei partiti di sinistra, s anche a pi calmi e ponderati uomini di Destra, del pericolo clericale. E nemmeno sarebbero state unicamente le altre conseguenze, ovvie, che pure balzavano, gi allora, allocchio dellosservatore anche mediocre, dando origine da una parte al giubilo di giornali e uomini politici meridionali595 e a fieri propositi di por fine allegemonia

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piemontese, perpetuatasi se non pi nel governo almeno nellamministrazione596 ; e dallaltra parte a corruccio, rimpianto e fosche previsioni di pi duno dei politici del Settentrione, che vedeva con preoccupazione il tramonto del predominio subalpino, perch convinto che le altre regioni dItalia mancassero troppo di preparazione morale e politica per poter fornire buoni quadri allo Stato597 non ultimo motivo per coloro i quali si opponevano al trasferimento della capitale a Roma e motivo nuovo per coloro che chiedevano un largo decentramento amministrativo598 . Trasformazione, questa, tutta interiore, meno appariscente dellaltra; ma di assai lata portata e di profonde ripercussioni sulla vita futura del Regno, destinato a passare, in pochi decenni, da unamministrazione piemontese o piemontesizzata, ad unamministrazione reclutata in buona parte nel Mezzogiorno. Al quale processo si sarebbe sempre pi accentuatamente contrapposto il correlativo ritrarsi dei settentrionali dalle carriere statali, il loro rivolgersi verso le libere attivit industriali e commerciali, che proprio nei decenni seguenti e proprio nel Settentrione avrebbero assunto ampiezza di ritmo veramente moderno, offrendo ai giovani prospettive pi seducenti non soltanto dal punto di vista finanziario, si anche per quel che promettevano alla libera iniziativa personale, al gioco autonomo delle volont e delle forze singole. E ne pot nascere quel dissidio, profondo anche se non sempre espresso, fra paese produttore e burocrazia o, come si sentito dire, paese improduttivo; dissidio analogo a quellaltro fra paese legale e paese reale, di cui tanto si disse e si scrisse dopo il 70, meno grave certo, ma non senza pericoli anchesso come che abbia spesso fatto riaffiorare contrasti regionalistici e accuse e polemiche reciproche fra il Nord, pronto a vantar la sua produttivit, le fabbriche e le aziende commerciali e i miliardi depositati in banca

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o investiti in nuove opere e affari, e il Sud, accusato di accontentarsi del tavolo dufficio, di voler trascinare una magra vita, mal retribuita ma anche lenta e scarsa di iniziative, e a sua volta replicante di dover sopportare, esso, con la sua gi povera economia agraria il peso della protezione dai governi accordata a industrie e traffici del Settentrione. Liniziativa individuale, come si disse, parve localizzarsi nel Settentrione; nel Mezzogiorno, ogni aspettativa sembrava volta allo Stato, da cui solo, annotava il Turiello, susava attendere il bene collettivo599 . Vecchia consuetudine dei tempi borbonici; e tanto pi facilmente, dunque, i figli della borghesia dellantico Regno convogliavano verso il cursus honorum della burocrazia statale. Pi su ancora della sfera amministrativa, lo spostarsi del centro di gravit del Regno si sarebbe ripercosso, alla lunga, in modo sensibile, sul terreno pienamente e propriamente politico, nel senso che la capitale a Roma e lassurgere a maggior peso del Mezzogiorno avrebbero dato importanza preminente a questioni, come quelle mediterranee, meno sentite nella valle padana. Quass, linteresse primo sarebbe stato sempre rivolto alle questioni continentali, ai problemi propriamente europei: campo di battaglia, e per secoli, delle grandi potenze contendenti per legemonia in Europa, levatosi a libert in gran parte precisamente grazie ad una favorevole congiuntura internazionale e perch diventato elemento primo di certi calcoli di politica europea, il Settentrione non poteva non rimanere essenzialmente continentale nel modo di porre e risolvere i problemi politici. Come in Lombardia, nonostante tutto quel che sarebbe successo tra il 1870 e il 1914, nonostante il germanesimo economico e i frequentissimi, amichevoli contatti con tedeschi commercianti, banchieri industriali, giornalisti, doveva rimanere incancellabile il ricordo delle Cinque Giornate e dei tedeschi dominatori dellet di Ra-

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detzky, nessuno distinguendo, di fatto, tra austriaci e tedeschi; cos lItalia settentrionale in genere avrebbe considerato il problema politico sempre con mentalit continentale, che vede il nocciolo dei problemi nei rapporti che si svolgono, in Europa, fra i vari organismi statali. Poco sensibile a questi rapporti, in massima, e pi pronto invece a sentir limportanza e il fascino del problema mediterraneo, il Mezzogiorno avrebbe apportato, nella vita politica del Regno, per lappunto il senso dellAfrica e anzitutto laspirazione a Tunisi, non fosse altro perch meridionali erano nella stragrande maggioranza i coloni italiani che vi dimoravano, e interessi, affetti e ricordanze legavano il territorio africano con le terre del Mezzogiorno. Maggior rilievo, in Roma capitale, del Mezzogiorno, e sua pi attiva e larga partecipazione alla vita pubblica, volevano dunque dire anche tendenza, latente forse ma alla lunga non inavvertibile, verso una maggior considerazione dei problemi mediterraneo-coloniali: non per puro caso fu un napoletano, il Mancini, ad iniziare la politica coloniale italiana, andando a Massaua; e nemmeno per caso le aspirazioni mediterranee furono incarnate nel siciliano Crispi. Tutte queste sarebbero gi state conseguenze pi che sufficienti per vedere nel 1870, anche a prescindere dal gran conflitto europeo, una svolta decisiva della storia dItalia. Ma non erano le sole. Lingresso a Roma, nella citt in cui spira unaura che inebbria600 avrebbe maturato frutti di ancor maggior gravit, destinati ad essere avvertiti soltanto dopo un lento, intenso lavorio nellintimo dellanima italiana: perch un cotal rivolgimento non portava pi su questioni determinate, su questo e quelloggetto di discussione politica, s sul modo stesso di essere e di pensare deglItaliani, e significava quindi non linizio di un problema, storicamente e politicamente ben

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circoscritto e precisato, anzi lavvento di una mentalit nuova, che avrebbe considerato i singoli problemi sotto luce diversa e con aspirazioni differenti da quelle delle generazioni ormai trascorse. Roma capitale voleva dire, a pi o meno lunga scadenza, il determinarsi di un nuovo modo di valutare i problemi, morali e politici, almeno presso larghi ceti: e questa sarebbe stata la conseguenza maggiore e pi duratura della breccia di Porta Pia. Non a tutti, certo, in sui primi momenti laura di Roma sembrava inebriante; non tutti vi trovavano il milieu, che aveva cos gradevolmente sorpreso il Blanc; e anzi, passato il primo istante di giubilo, svanito il momento in cui il motto Roma nostraaveva agito come una scintilla elettrica, da un capo allaltro dItalia, eccitando un entusiasmo profondo601 cominciavano dubbi, perplessit, recriminazioni, non soltanto sullopportunit di trasferire, e di trasferire subito, la capitale da Firenze alla Citt Eterna, bens anche sui vantaggi che lacquisto di Roma avrebbe apportato al paese. Dubbi e recriminazioni, sintende, presso gli stessi uomini che avevano voluto la soluzione del Venti Settembre, o almeno avevano condiviso e approvato e condividevano e approvavano la politica del governo: ch, per quanto dei clericali, sarebbe superfluo anche solo il rammentare con qual animo essi vedessero i soldati di Vittorio Emanuele a Roma e di quali lai e invettive e profezie di sciagura peggio che bibliche si affaticassero a far rintronar laria. Erano le prime, inevitabili difficolt dordine pratico, materiale; erano anche, nei primi accorsi alla citt, il contrasto fra sogno e realt e lombra di delusione che suole accompagnare il compimento di un voto lungamente nutrito in cuore. Nel caso particolare, era il constatar che molta parte della popolazione romana rimaneva papalina di animo, pi sgomenta e seccata che lieta di una novit tale da sommuovere profondamente abitudini e pensieri di una gente da secoli avvezza a non voler essere

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disturbata nella sua placida, indifferente e scettica vita, tra sole feste processioni, tra preti donne forestieri602 , o che, nei ceti alti, nella cosiddetta aristocrazia nera, era legata da troppi vincoli dinteresse, oltre che di sentimento, con il governo pontificio, per non avvampare di rancore contro gli usurpatori. E negli altri, nei patrioti romani, si dovevan ben presto constatar pretese, richieste, impazienze603 , certa alterigia di sentire fatte apposta per urtare chi, venendo a Roma, vi veniva con il ricordo di tanti anni di lotte sostenute e non propriamente dai Romani per poter raggiungere questultima meta604 : quasi che gran degnazione dei moderni Quiriti fosse stata laccogliere nelle proprie mura lItalia e Casa Savoia, e il merito fosse tutto loro e soltanto loro605 . Alle quali recriminazioni rispondevano le lagnanze dei romani, offesi dai modi troppo spesso militareschi e perentori de nuovi venuti, dalle arie di conquistatori che ufficiali e soldati, burocrati e politici regi assumevano606 : proprio le arie e i modi meno adatti per avvicinare una popolazione scettica ma intelligente, priva sostanzialmente di energia politica, fuor che nel ceto, rude ma fiero, de popolani repubblicani di Trastevere, ma di vivace sensibilit per la dignit formale, facile ad essere ferita nellamor proprio, suscettibilissima quindi e pronta, con la esperienza plurisecolare di generazioni che tutto avevan visto e conosciuto, a cogliere subito il lato ridicolo di uomini e cose, specialmente quando questi uomini avessero la gravit pedantesca di certi burocrati di stampo piemontese. Si aggiungevano gli interessi offesi607 , ora come lo erano stati anni innanzi a Napoli, per le nomine a importanti uffici pubblici di elementi non romani, che davan motivo e talora, certo, giusto motivo di gridare, ancora, alla conquista; e il gravame delle nuove e ben maggiori imposte608 di questa camicia di Nesso che le popolazioni dItalia avevan dovuto indossare, luna dopo laltra, con lunificazione, e che, come altrove, cos anche

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a Roma offriva naturale e facile motivo ai lodatori del buon tempo antico609 . Danni economici insomma: e vi calcavano su volentieri la mano gli amici del Papato e rappresentanti di Stati esteri, per far vedere lerrore commesso dal governo italiano col venti Settembre610 . Da un lato, dunque, sorta di stupore amaro nel constatare come la terra promessa fosse tuttaltro che un paradiso611 come lentusiasmo dei Romani non giungesse a quel grado chera stato immaginato; alti lai sulla corruzione che sasseriva allignasse pi profonda di quanto non si fosse per avventura immaginato612 ; duri giudizi, soprattutto ad opera dei molto antiromani fiorentini, per i quali lindolenza de Romani e la loro avversione al lavoro superavano ogni limite pensabile613 . E, dallaltra, lamentele e ironie sui buzzurri, settentrionali in genere, ma piemontesi in ispecie. Condizione di cose perfettamente comprensibile, in cui il torto e la ragione erano, manzonianamente, un po dalluna e un po dallaltra parte; che poteva, allora, improntare duna nota di pessimismo il carteggio del luogotenente del re a Roma, il rigido La Marmora614 , ma che, insomma, era fatto se non transeunte, essendo poi anche in tempi successivi piene le cronache di lamentele contro i romani e contro la Roma burocratica e ministeriale, quanto meno di non soverchia gravit. Questera ancora la piccola vita cittadina di Roma, piccola e soggetto di cronaca aneddotica come quella di tutte le altre citt. Ma, a Roma, al disopra della vita di tutti i giorni, con le sue miserie e i suoi contrasti pratici, cera dellaltro, ed era lidea di Roma: lidea per cui uomini di alto sentire, dopo tanti anni di desideri e di speranze, attendevano con animo in tumulto di potervi entrare615 , e sabbandonavano allempito della commozione616 , dopo aver varcato la Porta del Popolo trepidi e quasi adorando617 , reverenti innanzi alla

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potenza, al palpito dellimmensa eterna vita di Roma al di l della superficie artificiale che a guisa di lenzuolo di morte preti e cortigiani avevano steso sulla grande dormiente618 . Riappariva, questidea, comera riapparsa in altri grandi momenti della storia dItalia, sia che lavessero agitata, nelle sue manifestazioni dimpero e di potenza politica, gli imperatori tedeschi medievali, sia invece che fosse stata bandita, ad opera questa volta di uomini ditalica origine e anima, soprattutto quale espressione suprema di vita civile. Come nel Rinascimento, cos sorgeva ora, dopo la parentesi dellet barocca e di quella settecentesca, gi percorsa tuttavia, questultima, da sempre pi frequenti e notevoli accenni alla grandezza, anzi alla missione di Roma, unico centro pensabile sin dallora per lunione di tutti gli Italiani619 . Lidea si imponeva: lidea in cui la vita contingente, povera e meschina magari, della citt e dei suoi abitanti, spariva, e rimaneva solo il significato morale, religioso, politico e culturale della millenaria tradizione. E che altro significava se non un richiamo alla necessit e fatalit di essa, il concitato richiamo che il prepotente Mommsen rivolgeva al Sella una sera del 1871: Ma che cosa intendete fare a Roma? Questo ci inquieta tutti: a Roma non si sta senza avere dei propositi cosmopoliti. Che cosa intendete di fare?620 . A nessuno degli stranieri sfuggiva questa duplicit di Roma, idea universale prima ancora che citt italiana; e come e pi del Mommsen, e in pari tempo, invocava lantica aria cosmopolitica di Roma un altro tedesco, innamorato di Roma, il Gregorovius, che era stato assai benevolo amico del movimento nazionale italiano621 , che aveva salutato con gioia la liberazione dellumanit dal giogo papale, il secondo incubo di megalomania crollato dopo il crollo del primo incubo, limpero napoleonico622 ; e che, ci nonostante, simmalinconiva nel veder lUr-

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be discesa da centro morale dellumanit, da repubblica mondiale, a capitale dun regno di mediocre forza623 , messo su dalla fortuna e dalle vittorie tedesche, ma intimamente debole e impari ai doni della sorte624 . E ancora alcuni anni pi tardi, nel 77, incalzava di sulle colonne del suo Diario un terzo grande scrittore, di diversissima origine e mente, il Dostoievskij, anchegli poco persuaso di quel che lItalia unita avrebbe potuto fare, anchegli in traccia della grande idea romana dei popoli uniti, lidea universale di cui il popolo italiano era depositario e che, certo, non era attuata dal piccolo regno di secondordine ... senza ambizioni, imborghesito625 . Pi benevolo il Renan: ma anche per lui il modesto e onorevole rinascer dellItalia a nazione era fausto evento per lumanit in quanto, uccidendo il papato temporale, avrebbe provocato infallibilmente anche la fine dellunit cattolica, dellunit papale, della deplorevole istituzione causa dei maggiori guai del cattolicesimo dai giorni del concilio di Trento626 ; anche per lui, lunit dItalia, trascurabile evento in s, poteva assumere valore generale solo per le sue ripercussioni non italiane627 . Per gli stranieri, avvezzi a veder in Roma il centro del cattolicesimo e cio di unidea universale, e freddi innanzi al problema puramente nazionale italiano, lItalia politica a Roma doveva trovarsi un fine pi che nazionale, quando non intendesse rimaner piccina, piccina di fronte al Vaticano; e ben pochi si sarebbero accontentati della semplice bonifica dellAgro Romano, che Guglielmo I di Germania indicava, nel 75, a Milano, a re Vittorio come il miglior modo per giustificare la presenza del vostro governo in Roma628 . Giustificarsi dunque bisognava, di fronte allestero: e certo, in una citt piena di tanti e tanto grandi ricordi, in un luogo tutto memorie di una storia universale, anzi, con il Vaticano tutto storia universale ancora, Re, Parlamento, Governo dItalia sembravan

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piccoli e incapaci di contrappesare, da soli, i molti secoli di gloria. Il Papato era l, vivo e potente e universale: e lincubo di esser troppo impari al Vaticano, di dover cercar dei palazzi, ma tutti pi bassi del Vaticano, come diceva Gino Capponi629 , nessuno lo poteva scacciare. Tanto pi necessariamente lidea di Roma doveva risorgere, in quanto sembrava creata apposta per dar soddisfacimento allideale, ignoto al Rinascimento, ma tanto caro al romanticismo dellOttocento, di una missione dei vari popoli. Aspirazione, questa, nata quasi ad un parto con lidea stessa di nazione, tal che se ne potevano ritrovare le tracce un po dovunque, tra la fine del Settecento e i primi decenni dellOttocento: viva con particolare intensit, inizialmente, in Germania, dove dallo Humboldt allo Schiller allo Schlegel era stato lanciato al mondo il grido della missione germanica, lessere lo specchio pi puro dellumanit, il vivere a contatto con lo spirito del mondo, nella giornata che sarebbe stata la messe di tutte le altre giornate vissute dagli uomini630 ; ma ben forte anche nella Francia della Rivoluzione e della Restaurazione, dal de Maistre, teorico della magistratura francese sullEuropa631 , al Guizot e al Michelet632 e ai sansimoninni633 , e forte, sempre, nellInghilterra la cui missione, ai tempi di Cromwell divina, sera ora umanizzata in una missione imperiale e di dominio, che stava per essere esaltata da Tennvson Froude e Seeley634 . Era come se, nel momento in cui sorgeva a frantumare definitivamente ogni anche lontana reminiscenza della vecchia respublica christiana, lindividualit nazionale, la nuova idea-forza dei tempi moderni, abbisognasse di una giustificazione morale di valore universale, che ne legittimasse la nascita. Nel campo della politica internazionale lelevar a teoria, a dignit di principio la prassi dellequilibrio europeo, secondo era avvenuto gi dalla secon-

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da met del 600, aveva anche significato il tentativo di mantenere un quadro unitario generale, al disopra della molteplicit dei singoli Stati, sostituendo una unit nettamente articolata allunit idealmente massiccia di prima; e ora, in questo ulteriore svolgimento della vita europea verso le forme differenziate pur sul terreno culturale e morale, si continuava a cercare un motivo comune, un principio che servisse a tener ben salda lidea di questEuropa laica, a individualit nazionali nettamente definite, e potesse fungere da ponte di trapasso fra la nazione singola e la civilt comune, di cui mai come nellet dellIlluminismo e del Romanticismo si esaltarono grandezza, forza e dignit. Residuo, sotto certi aspetti, del cosmopolitismo settecentesco; fortunata eredit di quel possente sviluppo ideologico che aveva portato, nel centro della vita europea, i valori uomo ed umanit, e per forgiata propriamente dal Romanticismo, che sulle orme di Rousseau e di Herder aveva invece amorosamente accarezzata lindividualit della nazione; quindi di duplice e diversa origine, senso del particolare e aspirazione ad una comunione generale di destini frammischiandosi, talora in felice accordo, talora invece urtandosi e negandosi a vicenda, lidea di missione diveniva, a sua volta, precorritrice da un lato dellumanitarismo e dallaltro del nazionalismo moderno. Nellinvocare la missione di una nazione si offriva infatti lo spunto per accentuare sempre pi il dovere di quella missione, e quindi per porre in primo piano, a dirla col Mazzini, il fine, cio lumanit, contenendo a mezzo la nazione: e lo avrebbe dimostrato proprio levoluzione ulteriore di parecchi originariamente nutriti di idee mazziniane e poi passati alla predicazione di tipo umanitario e pacifistico, o tramutati in apostoli di Internazionali, con ira del Maestro, sempre preoccupato di salvare i due termini del binomio e di non sacrificare lumanit, ma n meno, anzi tanto meno la nazio-

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ne, chera e rimaneva sempre il motivo centrale e soprattutto pi chiaro, netto, lucido del suo pensiero. Ma era daltro canto possibilissimo accentuare, nella missione, il diritto, portando insensibilmente il mezzo al di sopra del fine, la patria pi su dellumanit, s da sboccare in ultimo nel pieno nazionalismo. Possibilit, questultima, tanto pi facile a verificarsi in quanto la parola missione tendeva, gi inizialmente, a trasformarsi, spesso e volentieri, nellaltra primato: e veramente, perch un popolo avrebbe avuto una particolare missione, se non avesse dimostrato attitudini, capacit, e vantato tradizioni superiori a quelle degli altri popoli, almeno in un certo campo? E cos gi nello Schiller e nello Schlegel lidea di missione tedesca sera congiunta con lidea della superiorit tedesca, non senza qualche disdegno per gli altri popoli635 , alimentando cos non solo la intera coscienza di s, ma anche lambizione che la Germania avendo creato il mondo moderno il mondo moderno spettasse a lei636 ; ed era gran ventura quando lidea di superiorit non cercasse una base apparentemente oggettiva, continua e duratura, nel fattore etnico, nel criterio razziale, secondo cominciava a tralucere nello Schlegel. Proprio in Italia, la missione di Mazzini era stata preceduta da una cospicua, anche se spesso scolastica, serie di richiami a primati italiani; dallabate bolognese Pietro Tosini, che sin al 1718-20 trovava lItalia esser stata sempre il paese pi cospicuo del mondo e gli Italiani aver dominato su tutte le nazioni, allAlgarotti al Genovese al Bettinelli e al Verri637 , e, almeno per primati in particolari discipline, al Deniva e al Galeani Napione638 . Si rivolgesse ad illustrare lantico primato, sulle orme della vichiana esaltazione della antiquissima Italorum sapientia, gi gi fino al Platone in Italia del Cuoco; si limitasse a sostenere, alfierianamente, che in Italia la pianta uomo nasce di pi robusta tempra e pi atta a grandi cose: nellun

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caso e nellaltro era ormai una vecchia melodia, questa della originaria primazia italiana in civilt e della penisola donna di provincie e maestra agli altri popoli, quando per controbattere lidea del primato francese la assunse e la svolse compiutamente e le diede risonanza e celebrit mai prima avute, labate Gioberti. Con il quale si aveva, appunto, laccentuazione in senso gi nazionalistico di uno dei due motivi contenuti in germe nellidea di missione, proprio mentre il Mazzini stava accentuando parecchio il motivo dovere e abitava allItalia e alle altre nazioni schiave il compito europeo che loro spettava, e parlava delliniziativa di uno in favore di tutti. Pi tardi, per reazione al neocosmopolitismo degli odiaitissimi internazionali avrebbe, anche il Mazzini, insistito di pi sul motivo diritto639 : e allora, anche, nella missione italiana da lui delineata si sarebbe avvertita fin nel Mazzini! una indubbia nota particolaristica, laccenno ad una politica di potenza, secondo i dettami della tanto esecrata prassi dei governi europei. Anchegli, leuropeo di unEuropa di assai pi largo spirito e comprensione dellEuropa metternichiana, lapostolo dellumanit come fine, anchegli non sfugg sempre alla tentazione dei problemi nazionali, nelle loro forme pi di potenza, diplomatiche e militari; e come si compiacque del vecchio tema della civilt italica anteriore alla greca640 , cos vagheggi non solo lItalia che aprisse la via alla civilt moderna e iniziasse nuova Epoca della storia umana, si anche lItalia che, conseguiti i veri confini nazionali, sarrotondasse con domini coloniali e, insediata a Tunisi, tornasse a dominare il Mediterraneo641 , secondo avevan fatto, una volta, le aquile di Roma. Ma insomma, sfumasse in senso umanitario o in senso nazionalistico, lidea di missione era stata ed era tuttora unidea di fronte presa sugli animi. Ed ecco dunque questidea riempirsi, per cos dire, di un valore concreto,

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preciso, quasi tangibile e visibile, dal nome e dai fatti di Roma. Lantico richiamo rinascimentale a Roma-madre, chera stato allora congiunto con il disprezzo per i barbari oltramontani, si allacciava, sino a far tuttuno, con il romantico concetto di missione, che, nelle sue pi alte manifestazioni, cercava di trasformare il senso della forza e dignit nazionale in iniziativa a vantaggio di tutti, di far servire ad una causa comune le doti e le glorie de singoli gruppi. Mancava, in questa ripresa ottocentesca dellidea di Roma, il postulato della imitazione, cos caro ai letterati e artisti del Quattrocento: e non poteva non mancare, come che le menti fossero ora dominate dalla fede nel progresso umano e non potessero pertanto pi acconciarsi alla persuasione che il Vero e il Bello serano gi rivelati, una volta, nella storia passata, costituendo il momento-modello a cui lumanit avrebbe dovuto sempre rivolgere gli occhi, per trarne guida e conforto642 . Vera, in pi, il senso del lavoro comune, a pro di tutta lumanit, a cui non avevano certo pensato troppo n i Ghiberti e gli Alberti, n i Valla e i Poliziano: comera ovvio, dopo che il pensiero settecentesco aveva cos profondamente radicato negli animi il senso della colleganza di natura e di destino fra gli uomini, senso rinnovato ora con tonalit laica e non pi religiosa secondo era successo molti secoli innanzi, al momento della predicazione cristiana. Era la Roma di Mazzini: la terza Roma, la Roma del Popolo, dopo quella dei Cesari e dei Papi. Universale, come che la sua tradizione storica avesse insegnato allItalia pi che allaltre nazioni la missione duniversalizzare la propria vita, onde la vita della penisola era sempre stata, nelle sue grandi epoche, vita dEuropa: da Roma, dal Campidoglio e dal Vaticano, si svolge nel passato la storia dellumana unificazione643 .

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E al ramingo apostolo dellItalia una, che aveva in s il culto di Roma644 , che di Roma aveva fatto la religione dellanima 51, la visione di questa imminente terza vita dItalia dettava una di quelle pagine tutte pathos religioso e profetico, potenti anche quando lenfasi stilistica ne sminuisca lefficacia: Sostate e spingete fin dove vale lo sguardo verso mezzogiorno, piegando al Mediterraneo. Di mezzo allimmenso, vi sorger davanti allo sguardo, come faro in oceano, un punto isolato, un segno di lontana grandezza. Piegate il ginocchio e adorate: l batte il core dItalia: l posa eternamente solenne R OMA. E quel punto saliente il Campidoglio del Mondo Cristiano. E a pochi passi sta il Campidoglio del Mondo Pagano. E quei due Mondi giacenti aspettano un terzo Mondo pi vasto e sublime dei due che selabora tra le potenti rovine. Ed la Trinit della Storia il cui Verbo in Roma645 . Roma: missione di grandezza, nel futuro come nel passato, allora quando lEuropa era semibarbara e le aquile romane volavano di trionfo m trionfo insegnando ai popoli conquistati una sapienza di leggi che dura tuttavia riverita, i conforti della vita civile, e quella tendenza allUnit che prepar un mondo a Ges; e, una seconda volta, quando in una Europa ravvolta fra la tenebra del servaggio feudale ... , voi, sorti a seconda vita, affermaste nei vostri Comuni la libert rpubblicana delluomo e del cittadino e diffondeste alle pi lontane contrade i beneficii della civilt, delle lettere e del commercio646 . Nel tumultuante animo di Mazzini si fondevano cos tutti i motivi della tradizione italiana, di Roma e di primato, da lui riplasmati e sublimati nellalto concetto di missione europea, ma non senza che permanessero e affiorassero, tratto tratto, le venature fortemente nazionali, e fin le lagnanze per lingratitudine altrui come sarebbe accaduto pi tardi di frequente647 .

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Ed era in lui unidea forza, una potentissima fiamma dazione, sentita e vissuta con la religiosit delle cose grandi. E vivamente sentita, nonostante che anche qui talora lenfasi rettorica sembrasse prender la mano alla seriet del proposito, era pure, questa idea, in tutti i devoti di Mazzini, a cominciar dal Tirteo italico, il Mameli, che un anno e pi innanzi linno celebre, nel maggio del 46, aveva ne Lalba visto risorgere la donna latina
Furor del feretro armata saffaccia Ha trovato il valore primiero, Ritrov la sua lucida traccia Della gloria nel noto sentiero Non ne spenser mille anni le impronte Lelmo antico sadatta alla fronte Roma sorta, dinnanzi ci sta648

E riviveva pur sempre il mito anche in coloro che dal Mazzini avevano primamente tratto il loro bagaglio ideologico e che, poi staccatisi dal genovese, rimanevano tuttavia vicini, per ispirazione, a taluni motivi fondamentali del suo credo. Cos succedeva per il Crispi e i suoi amici della Riforma: tratti come s visto ad accentuare in senso nazionalistico la nazionalit di Mazzini, ma per ci appunto tanto pi pronti a riprendere, dallapostolo, quel mito di Roma che cos facilmente si convertiva in lievito di acceso nazionalismo. Non stupiva, pertanto, trovare nella Riforma il richiamo alla missione che incombe a chi detta leggi dalla citt un giorno maestra di civile sapienza649 ; alla missione dellItalia nel mondo delle nazioni. Nei rivolgimenti attuali che riordinano il mondo politico, a nessun popolo fu dato dalla provvidenza della storia un pi alto ufficio di civilt, come al popolo italiano. Affermare il principio di nazionalit sui ruderi della teocrazia, glorificare la libert religiosa e i diritti del-

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la civilt sulla terra del Sillabo e del dogma: una missione degna di un gran popolo e che la storia a traverso le sue mirabili elaborazioni, riservava allItalia. Occupando Roma colle sue armi essa ha assunto in faccia al mondo civile limpegno formale di risolvere il problema in modo corrispondente agli interessi e al voto della civilt universale.650 . Momento solenne, quello del plebiscito del 2 ottobre, nella vita non dellItalia soltanto, s dellumanit intera: il medio evo crolla, let moderna splende sulle rovine della teocrazia. Fraseggiare sovente retorico: eppur sarebbe ingiusto negare, per ci solo, vivezza e sincerit di quella fede, divenuta tanto pi ferma perch, notava larticolista e non a torto, abbiamo potuto vedere alla prova quanto la nostra antica convinzione circa la possanza dellidea di Roma nella coscienza e nella mente degli Italiani si apponesse al vero: abbiamo veduto quanta forza morale possieda questa idea in ogni parte della nazione, in ogni ceto, in ogni ordine di persone: essa appare fornita di uno straordinario vigore, ha evocato dalla profondit della coscienza nazionale quelle grandiose manifestazioni che attestano le leggi essenziali della vita: essa la vita stessa della nazione651 . Non a torto: ch veramente il fascino dellidea di Roma-madre sestendeva assai al di l dei circoli mazziniani; e se finiva col toccare persino un uomo come Carlo Cattaneo, cos alieno da ogni afflato retorico e cos solidamente ancorato alla realt pratica e tanto varia delle regioni italiane, eppure anche egli indotto ad accomunare, nel 48 e dopo il 48, Italia e Roma, ad esaltare il risorgimento della libera Italia in Roma e lo splendore, la potenza di questi due nomi congiunti652 , irraggiava poi largamente negli stessi ambienti dei neoguelfi. Se il Mazzini, infatti, con la sua predicazione appassionata era da gran tempo il massimo apostolo dellidea

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di Roma e della missione di Roma, altri, molti altri, che pur ripugnavano alle dottrine politiche del mazzinianesimo, sentivano di Roma con non diverso animo. Allato della parola del genovese, cera leredit giobertiana che, con lesaltazione di un primato italiano fondato essenzialmente, nonostante tutti i Pelasgi, su Roma e la gloria cristiana di Roma653 , con lappello al Campidoglio, eterna cittadella delle nazioni, con lammonimento che senza Roma lEuropa occidentale e australe sarebbe aperta alle alluvioni dei nuovi barbari, era sopravvissuta al fallimento dei progetti politici dellabate piemontese, largamente influendo sugli spiriti: onde, chi deplorava la irragionevole superbia, cresciuta nellanimo deglitaliani, la funesta passione che aveva precipitato lItalia nella superbia, nella stoltezza, della sua superiorit naturale e riconquistabile, su tutte le altre nazioni europee, non a Mazzini, bens a Gioberti attribuiva la colpa, a Gioberti, la cui parola fatale corse e rimase, a malgrado del suo autore, nel suo senso pi lato, pi estremo, pi dannoso654 . Roma era idea base nelluna come nellaltra delle due maggiori correnti ideologiche del pieno Risorgimento; e su questo punto potevan trovarsi daccordo giobertiani e mazziniani, nonostante tutte le divergenze dinterpretazione del passato e tutti i contrasti in merito alla soluzione per lavvenire. Tra luno e laltro, questi due movimenti avevan finito col padroneggiare, in tal senso, lopinione pubblica italiana. Non pi primati, non pi superbie, non pi sogni, per lamor di Dio e della patria aveva gridato lantiromano Cesare Balbo655 . Basta con le grandezze degli avi, con lidolatria verso lantico mista ai sogni dorati di un lontanissimo avvenire; basta voler rinverdire il presente con gli stillicidi del passato. La storia degli insuccessi nel risorgimento della nazionalit italiana la storia del continuo riaffiorare degli idoli dellantichit, cio

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dellimporsi del genio artistico sul genio politico, a danno della patria, aveva dichiarato Giacomo Durando656 . Lidolatria dellantichit fuorvia il buon senso. Ma, appunto, questera troppo buon senso e troppo poco immaginazione, troppo realt e poco passione, in un momento in cui il buon senso non bastava pi, e ci voleva fantasia e passione. Perci i dettami del buon senso, ripetuti dai moderati Balbo Durando dAzeglio, erano stati soverchiati dalla fantasia e dalla passione che animavano la tanto pi calda predicazione mazziniana o anche la pi cattivante parola giobertiana. Perfino nel Cavour, cos lontano da influssi mazziniani e, anche, dalloratoria turgida di un Gioberti, cos indifferente ai ricordi classici657 , cos poco fantasticante di risurrezioni, primato, terze et, cos desideroso di mostrarsi antiletteratura, non senza una certa qual nota di civetteria658 , tanto da arrischiare in piena Camera la confessione del dolore con cui egli, personalmente, sarebbe andato a Roma659 ; perfino nel Cavour, da ultimo, lidea di Roma era cominciata a balenare non pi soltanto nella sua fatale connessione con lunit dItalia, bens anche nella sua luce di missione universale che imponeva allItalia unita un gran dovere di fronte al mondo. E il dovere era di por fine alla battaglia fra la civilt e la Chiesa, fra la libert e lautorit; ed egli si sent sicuro di raggiungere la meta, e sogn il giorno in cui avrebbe firmato, sullalto del Campidoglio, una nuova pace di religione, un trattato che recher alle sorti avvenire dellumana societ effetti ben pi grandi che non ebbe la pace di Vestfalia!. Il sogno lo accendeva di sempre nuovo entusiasmo; la sua parola sinnalzava allora, ne privati conversaci, sino alla poesia, e lo Artom che lascoltava rimaneva attonito vedendo quelleconomista, quel politico avveduto, quella mente cos pratica esprimersi con tanto calore sullalleanza possibile, anzi prossima, fra il cattolicismo e la libert660 .

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Larte ci uccide, aveva esclamato il Durando661 , e nel prevaler della cultura e della forma pura sulla virt, cio della letteratura sulla morale, dellarte sulla coscienza civica, Balbo aveva visto il decader dellItalia, fra Trecento e Settecento. Cavour era, solitamente, di identico sentire662 . Ma di fronte a Roma anchegli and oltre la ragione tanto cara ai moderati piemontesi; e fu passione la sua e fu poesia, mentre la voce dei Durando e dei Balbo continuava a risuonare in quella del dAzeglio, pittore e scrittore, ma in questo molto pi attento alle considerazioni della ragione di stampo moderato. Con non minor fermezza di convinzione e seriet dintenti, se pur gi con ben diversi propositi che non lalleanza fra cattolicesimo e libert, Roma parlava al cuore e alla mente di uno dei maggiori fra gli uomini politici apparsi dopo la morte del Cavour, Quintino Sella. Lontanissimo, anchegli, dal pathos mazziniano e giobertiano; certo non suscettibile di subitanei, facili e passeggeri impeti di entusiasmo, anzi tutto ponderatezza, chiarezza didee, organicit di visione, continuit di volere; stile secco e disadorno, comera stato lo stile di Cavour e come sarebbe stato poi lo stile di Giolitti, uno stile che non aveva nulla in comune con loratoria della tradizione italiana663 , il tessitore biellese trovava anchegli che, come Roma era stata la gran maestra dellamor di patria664 , cos il suo era un gran nome, un nome terribile, che impegnava la nazione per lavvenire. Noblesse oblige; e in Roma vi un formidabile retaggio di nobilt. Io non so esprimere quello che sento in me davanti a questo nome ... Non soltanto per portarvi dei travet che siamo venuti in Roma ... Io sono certo che in fondo dei nostri animi vi sono pensieri assai pi elevati.665 . Quali fossero questi pensieri pi elevati, egli stesso indicava nella formula della missione o, comegli diceva, del proposito cosmopolita della scienza666 .

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Pertinacissmo era stato nel volere landata a Roma, e ostinato doveva essere anche, tra lottobre e il novembre del 70, nel volere limmediato trasferimento della capitale e la venuta del re a Roma, nel romaneggiare secondo gli venne rimproverato dai moderati di altro sentire, soprattutto dai moderati fiorentini667 egli vedeva in Roma, e lo scrisse al Minghetti, il fata trahunt668 . Ora, del fato credeva si dovesse essere allaltezza anche nellavvenire, rendendosi conto della posizione che si occupava davanti al mondo civile da che sera a Roma669 . La capitale del regno doveva corrispondere allalto ufficio a cui la storia, il voto pressoch unanime della nazione, e le pi alte ragioni di progresso, non solo del popolo nostro, ma osiamo dire deilintiera umanit, fatalmente la chiamavano670 . Quando nel 1870 egli sera adoperato in tutti i modi perch lItalia venisse a Roma e vi portasse la sua capitale, aveva sempre pensato non solo a dare allItalia la sua eterna capitale, ma agli effetti che nellinteresse della nazione e della umanit sarebbero derivati dalla abolizione del potere temporale, e dalla creazione in Roma di un centro scientiifico671 . E pertinacissimo fu cos, ancora, nel promuovere il culto della scienza, nuova missione di Roma, soprattutto mediante lattivit di quellAccademia dei Lincei che da lui ebbe veramente nuova vita, e grazie a lui pot rifiorire, porsi al livello dei maggiori corpi scientifici dellEuropa, svolgere opera gloriosa e non peritura: insistendo e premendo, lui, il pi tirchio dei politici italiani672 , per ottenere gli indispensabili aiuti finanziari673 , insistendo con gli amici scienziati perch collaborassero intensamente ai lavori dei Lincei, quasi dovere imposto dallamor di patria674 . La lotta per la verit contro lignoranza, contro il pregiudizio e contro lerrore, suscita la stessa unanimit

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che si trova nei giorni di combattimento per la difesa della Patria675 . Mutava cos il fine della missione di Roma: dallalleanza tra cattolicesimo e libert, vagheggiata dal Cavour, si trascorreva allaffermazione dellimpossibilit di quellalleanza, dopo il Sillabo, e quindi della necessit di impegnare la lotta contro il clericalismo in nome della Scienza. E dal clima del Risorgimento si passava nel clima del positivismo italiano ed europeo. Giacch lo stesso substrato alimentava la fede del Sella nella missione della scienza, come libero esame ed insegnamento sperimentale contrapposti al dogma676 , e le invocazioni dei giornali ed uomini della Sinistra al compito dellItalia in Roma, di schiudere nuove vie alla civilt umana, distruggendo gli ultimi avanzi della teocrazia medievale: substrato di natura inizialmente razionalistica, eredit del 700, ma ormai gi assumente modi e forme di positivistico conio, ne quali si sarebbero sperse le ultime tracce della vaga religiosit mazziniana, chera, ancora, prima met dellOttocento. Voltaire sispessiva, sperimentalmente precisato e rifinito attraverso Comte, Littr e ora anche Darwin e Spencer. Vera, indubbiamente, una notevole differenza di tono, che nel biellesse manteneva estrema precisione e seriet di parole e dintento, mentre nella stampa di sinistra troppo spesso si tramutava in enfasi tribunizia senza solidit di cose concrete; vera anche la differenza che laccento anticlericale diveniva, nei Sinistri, assolutamente predominante, sicch la scienza diveniva pi mezzo per sbaragliare altrui che ideale a s stante. Ma anche nel Sella laccento anticlericale non mancava: la scienza a Roma era per glItaliani un dovere supremo, proprio in un momento in cui la scienza camminava rapidissimamente in un senso, e il cattolicesimo, dalla fine del Settecento e soprattutto dopo il Sillabo, in senso diametralmente opposto. Fuori i lumi! Fari elettrici

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anzi devono essere; imperocch abbiamo a fare con gente che si chiude gli occhi e si tappa le orecchie; abbiamo a fare con gente che vuol pigliare i giovani fino dalla infanzia, avviarli alle proprie scuole secondarie, e poi vuol dare a costoro i pi alti uffici che si possono affidare allumanit, come la direzione delle coscienze e leducazione della giovent.677 Roma centro di scienza equivaleva ad una Roma laica, solidamente costruita di fronte al Vaticano e alla tradizione chiesastica: tant, le sue proposte per il palazzo dellAccademia delle Scienze in Roma fecero, a momenti, del dibattito a Montecitorio un dibattito pro e contro la fede, pro e contro la scienza e la ragione umana678 . Alla voce del Sella saccomun quella del Cairoli, che ammoni: dove la cattedra della Chiesa che insegna i dogmi e non domanda che la fede, ivi deve essere protetta la scienza, la quale cammina alla perfettibilit colla spinta della ragione679 ; e segu lenfasi tribunizia dellOliva, che propugn leditto pretorio della scienza, cio delle verit accertate, da opporsi al Sillabo e da promulgarsi in Roma680 . Soltanto, nel Sella cera sempre una riserva, grossa riserva: il Dio della religione doveva per forza ritirarsi a misura che savanzava la scienza dellosservazione; ma non certo per scomparire, giacch linfinito, il principio, il fine delle cose, Dio, il concetto di Dio non cade sotto la osservazione dei naturalisti; il certo si che questa libert che noi sentiamo dentro di noi, se corrisponde a una continuazione della responsabilit anche dopo la vita, cio la questione della immortalit dellanima, non casca sotto nessun goniometro, sotto nessun dinamometro, sotto nessun microscopio o telescopio ... chiaro dunque che il concetto di Dio e quello della immortalit dellanima non appartengono al dominio delle scienze positive, le quali non vero che di per s distruggano tali concetti e quindi distruggano il concetto della religione681 . Gli anticlericali, i laici di professione

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superavano invece questa sostanziale riserva e ammonivano finita la religione con lavanzare della scienza e si preparavano a salutare, con il Guyau, lirreligione dellavvenire. Ma, questa diversit ben precisata, pur vero che nel problema Scienza-Chiesa il Sella era spiritualmente pi affine agli uomini della Sinistra che non a molti dei suoi colleghi della Destra, i vecchi moderati alla Jacini e allAlfieri di Sostegno, i quali invece recalcitravano proprio di fronte al dogma del progresso in nome e per virt della Scienza e con esclusione del movente religioso, e riaffermavano la necessit del dogma cattolico, soprattutto per popoli come i latini, ai quali piace dare amplissimo luogo allautorit, al precetto, tanto in politica, quanto in religione682 . Lontano dai moderati piemontesi lombardi e toscani; vicino invece ai napoletani come Spaventa, non tocchi da nfiussi rosminiani o lambruschiniani e, in genere, dalle correnti europee del cattolicesimo liberale, sorretti dalla loro antica tradizione anticurialistica che glinflussi dellidealismo germanico stavano trasformando in coscienza laica della vita: allo Spaventa, per il quale pure rifare gli Italiani significava svestirsi del vecchio uomo, e fare di noi degli uomini moderni, dal pensiero nutrito di soda e larga scienza, che potesse essere la mente di un grande e libero Stato683 . E se i cattolici liberali serano, a lor tempo, mossi in unatmosfera europea, a sua volta il Sella si muoveva nella gran corrente europea di quei giorni, nuova e diversa rispetto alle precedenti: anche in lui savvertiva la consonanza fra luomo e i tempi. Per vero, la sua affermazione sulla missione di Roma nella Scienza, che trentanni prima avrebbe fatto sorridere i Gioberti e i Balbo usi ad esaltare la cristianit di Roma, e un cinquantennio pi tardi avrebbe fatto sorridere i realpolitici, usi a valutare soltanto le missioni di forza e di conquista, non fece allora sorridere nessuno: n il Mommsen,

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che lascolt, ed era pure uomo mordacissimo e sprezzantissimo daltrui684 , n gli Italiani che la conobbero. Cos, il senso politico della necessit di Roma capitale si alleava in molti allafflato mistico per Roma, al bisogno di credere nella missione della citt eterna, nuovamente esaltata da Mazzini e da Gioberti. Anche uomini cherano tuttaltro che ciechi sugli inconvenienti a cui sandava incontro, venivan trascinati da questondata; e cos Michele Amari, al quale i guai prossimi apparivano ben evidenti685 , polemizzando in Senato con Stefano Jacini, non solo poteva accennare al gran nome di Roma, che li aveva infiammati e commossi tutti, gli ora canuti senatori, a bei tempi della giovinezza, bens affermare reciso che tali magici effetti del nome dellUrbe non erano affatto dileguati, ribattendo al moderato lombardo che la tradizione di Roma non era trastullo da scolare, n da antiquario, ma parte indissolubile della vita italiana e origine del rinnovamento nazionale686 . La fede che ne derivava era schietta, piena, seria; era unidea-forza, uno stimolo necessario allazione, un presupposto indispensabile per affermare, di fronte alle nazioni straniere da secoli costituite, la propria individualit nazionale. Eran le conseguenze felici del mito: e veramente certi ricordi classici, certi enncsiasmi di archeologi e di letterati costituivano uno dei legami che tenevan, in allora, strette insieme levarle parti dItalia, da tante altre questioni tuttora divise687 . LItalia unita viveva, sotto questo riguardo, di una vita spirituale parecchio diversa da quella dei giorni dellattesa nel riscatto, dai giorni del primo Ottocento, quando Roma era stata relegata nello sfondo e, in sua vece, entusiasmi e affetti seran riversati verso lItalia medievale, lItalia dei Comuni, di Pontida, della Lega Lombarda e di Legnano, lItalia di Gregorio VII e di Alessandro III, o, ancor pi su, lItalia di Arduino, nella quale seran visti

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gli albori della nazione italiana688 . Non a Roma, ma a Firenze, culla della civilt italiana nellet di mezzo, serano volti gli sguardi; non i colli fatali, ma Santa Croce e le sue glorie aveva cantato il Foscolo; e a Firenze seran dati convegno gli spiriti magni, primo fra tutti il Manzoni, per attingere ivi alle radici profonde della vita spirituale della nazione. La risurrezione di Roma, propugnata informe diversissime dal Mazzini e dal Gioberti, era stata sancita dagli eventi del 48 e 49: la repubblica romana e soprattutto lepica difesa garibaldina, ad opera di giovani accorsi da ogni parte dItalia, avevano riportato lUrbe nel cuore degli Italiani, innalzandola alla vetta del Risorgimento689 , facendone il santuario della libert690 ; mentre, daltro lato, il fallimento pratico delle prime guerre per lindipendenza, dimostrando insufficiente limpeto rivoluzionario di popolo e facendo palese linanit delle speranze riposte nellaccordo tra i principi italiani, apriva bens la via alliniziativa piena di Casa Savoia, ma costringeva anche questultima a proporre, tosto o tardi, un fine ultimo che non fosse semplicemente legemonia di Torino, anzi facesse tuttuno dellunit dItalia e di Roma capitale. Il che faceva tuttuno col trapassar dai progetti di confederazione alla tesi unitaria. Roma aveva parlato, primamente, al cuore di Mazzini, perch Mazzini era stato lapostolo dellunit; i comuni medievali, le piccole repubbliche avevano parlato al cuore di coloro che riluttavano allunit. Ovunque, in Italia come fuori dItalia, nel Cattaneo come nel Sismondi e nello Heeren, lesaltazione dei piccoli gloriosi Stati medievali era andata di pari passo con la ripugnanza verso i grandi Stati unitari centralizzati; e se Cattaneo contrastava lidea mazziniana di unItalia unificata alla francese, lo Heeren aveva vaticinato la fine della civilt tedesca e della libert dellEuropa il giorno in cui la Germania si fosse unita in un solo Stato691 .

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Ora, su questo punto essenziale della sua predicazione, Mazzini aveva vinto: ben lontana dai suoi ideali e dalle sue predizioni setto tanti altri riguardi, lItalia che era sorta era, sotto questo aspetto, la sua Italia, una, stretta in un sole organismo e non articolata federativamente. Sua era la vittoria; e la proclamazione del regno nellaula del Parlamento Subalpino, il 17 marzo 1861, era stata ad un tempo laffossamento di un suo miraggio e il trionfo di unaltra e anche per lui pi sostanziale idea. E lunit traeva con s, quasi legata da invisibile filo, lidea di Roma, perch il ceto dirigente solo nella tradizione classica e romana poteva trovare il concetto dellunit della patria con Roma capitale692 . Tale collegamento, il Cavour lo aveva bene intuito; e dopo di lui laccento politico della vita italiana sera ancor pi fermato su Roma, non solo attraverso il Roma o morte di Garibaldi, ma pure attraverso la Permanente dei piemontesi. Cos, dopo il 48 Roma aveva occupato nei cuori degli Italiani un posto mai avuto nei primi decenni del Risorgimento; il mito tornava a rifulgere di nuova luce. II Scienza o renovatio ecclesiae? Roma era dunque la missione, lidea universale, il proposito cosmopolitico. Roma, missione, primato, terza et del mondo, tutte queste idee serano svolte insieme, in un viluppo strettissimo; le grandi ombre del suo passato torreggiavano nuovamente sulla citt dai sette colli. Pi tardi, sarebbero state le ombre di Scipione e di Cesare; ma in quegli anni subito dopo il 70 era lombra di Pietro a incombere sugli animi, con la sua secolare continua presente gloria e potest, che gli uni erano eccitati a difendere, egli altri saccanivano a voler ridurre,

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sino a farne una parvenza esangue. Non la Roma pagana e imperiale, bens la Roma cristiana, segnacolo di fede nel mondo, era ancor viva e ben viva; con essa saveva a misurare direttamente, ora, lo Stato italiano. Entrar a Roma, significava trovarsi fronte a fronte il Papato, cio unidea universale: alla quale, cosa contrapporre per non essere moralmente dominati e schiacciati? La Scienza, diceva Sella; la libert religiosa e cio la separazione fra Stato e Chiesa, secondo la formula cavouriana, rispondevano gli uomini di governo e molte delle maggiori personalit della Destra. Riuscire a tanto; far trionfare anche in Italia, sede del Papato, il principio che il problema religioso va lasciato alla libera coscienza dei cittadini e che la convivenza della Chiesa libera accanto allo Stato libero si fonda non in un trattato di conciliazione tra quella e questo, ma nella natura delle leggi di questo, quando essa sia tale da rendere possibile, senza incaglio, la fondazione dellente morale, e dellassociazione religiosa; non intervenire quindi nei problemi della Chiesa, limitandosi a restringerne i mezzi a quelli morali, liberamente accettati dai credenti, e togliendole il sussidia secolare della coazione esterna693 : questo fu allora il programma della maggior parte dei capi della Destra, ai quali lassolvere tale compito, semplice in apparenza e in sostanza irto di difficolt formidabili, apparve compito degno veramente dellItalia e di Roma, tale da segnare la via migliore ai destini morali e religiosi delluomo694 . Era ancora il programma cavouriano, a cui essi vollero tener fede, nonostante le situazioni mutate, nonostante il Sillabo e il Concilio Vaticano; e la via seguita, attraverso la legge delle Guarentigie, condusse al successo, qualunque cosa si potesse dire in mento alle deficienze e alle contraddizioni di quella legge, perch attraverso tale politica si venne consolidando la coscienza dello Stato non confessionale, sopravvissuta a tante e tanto grandi tempeste e che con lunit nazionale e il senso della libert

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costitu il retaggio dellItalia ottocentesca ai posteri. E se altri eminenti pensatori, soprattutto Bertrando Spaventa, trovavano insufficiente e provvisoria la formula cavouriana e vagheggiavano, al posto della Chiesa Stato lo Stato-Chiesa, o, come si disse pi tardi, lo Stato etico695 , rispondevano i nostri che, ad andar oltre il principio della libert, cera da surrogare al vecchio governo teologico che faceva a laico un governo laico che simpancasse a teologo696 , rovinando e Stato e Chiesa, impedendo sia il formarsi di una vera e salda coscienza politica, sia il rifiorire del sentimento religioso, pur tanto invocato come premessa necessaria ad una vita nazionale moralmente salda. Perch, per i pi dei moderati, anche per coloro che non vagheggiavano, alla Ricasoli, la riforma religiosa e il trionfo del cattolicesimo puro, impossibile appariva una vita di popolo sana e robusta ove una forte interiorit non sorreggesse gli ordini statali; e la forte interiorit poteva essere data solo dalla religione. Anche questa era uneredit del primo Ottocento, dellet romantica, che aveva posto in interiore homine lorigine e la base della vita collettiva e voleva far vivere la legge nel cuore delluomo sulle orme di Rousseau e contrariamente alla tendenza politicizzante alla Montesquieu che aveva invece fatto dipendere dalle forme di governo, dal sistema di diritto pubblico anche la moralit e la sostanzialit della vita interiore dei cittadini697 . Ed era un motivo comune alle pi varie tendenze, fede e volont richiedendo un Mazzini, e cio sempre interiorit, fede e volont richiedendo ugualmente quegli altri, i quali, lungi dal vaticinare la fine del Papato, continuavano a credere nella missione del cattolicesimo. Leducazione delluomo, cio la preparazione degli animi ai grandi compiti della vita collettiva, valeva tanto per Mazzini quanto per i moderati, diversi che fossero i fini e diverse le forme attraverso cui leducazione doveva compiersi. Ora, appunto, per i moderati il fattore religioso restava preminente: o forse lo

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stesso Cavour che ammirava Rousseau e avversava Voltaire, non aveva dimostrato, assai prima di enunciare la formula famosa, prima cio che la ragion politica lo inducesse ad affrontare pubblicamente il problema, non aveva dimostrato vivissimo interesse per il movimento religioso in Europa, per le idee religiose le grandi mystre du sicle, solo augurandosi che la religione non si alleasse alla reazione politica?698 E nella stessa formula non cera forse la speranza, la certezza che in regime di piena libert la religione rifiorisse e la Chiesa rimanesse potente, nel campo suo, ma potente: la stessa speranza, dunque, che continuavano ad accarezzare i suoi epigoni?699 . Or dunque niente Stato etico, per le maggiori figure nel campo dei moderati; ma rinvigorimento dello Stato, sperando che si rinvigorisse pure il sentimento religioso e per vie autonome, senza interventi politici dallesterno, dal quale rinvigorimento lo Stato stesso avrebbe in definitiva tratto grande e diretto vantaggio, con la coscienza dei cittadini moralmente ben temprata. Separazione dunque, che non voleva dire guerra, ma escludeva almeno in molti escludeva i progetti di una conciliazione a mezzo di atti ufficiali di governo, secondo la vecchia prassi concordataria. Conciliazione, s; ma se per la moltitudine essa si presentava naturalmente sotto le forme di un accordo preciso e concreto, comera raffigurato nella litografia del Vaticinio, che andava a ruba dopo il Venti Settembre e dove Pio IX benedicente dava il braccio a Vittorio Emanuele appoggiato allelsa della sciabola700 , per i capi assumeva forme meno semplicistiche e assai pi complesse. Quando dunque noi parliamo di conciliazione, dichiarava alla Camera il Visconti Venosta, non intendiamo certo parlare di quei patti che confondono la politica con la religione, e che compromettono in egual modo e luna e laltra; la conciliazione non intendiamo crearla per altra via che per quella della libert; di quella libert che non gi uno spirito di intolle-

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ranza o di violenza rivoluzionaria, ma che si ispira al rispetto di tutti i diritti, e quindi al rispetto del pi incoercibile, del pi sacro fra essi, che quello della coscienza religiosa. Scopo della politica italiana per il governo era dunque di non rendere impossibile nellavvenire la pacificazione, e la tranquilla coesistenza in Roma del papato, e del governo italiano; per raggiungerlo, niente accordi legali, ma nemmeno la via della coazione su cui era entrato il Bismarck con il Kulturkampf e su cui avrebbe voluto entrare la Sinistra, una via che avrebbe apportato allItalia la felicit del conflitto religioso in permanenza e che, con la rinunzia ai princpi liberali e ladozione dei metodi autoritari, avrebbe semplicemente allontanata la pacificazione701 . Allanticlericale principe Gerolamo Napoleone che gli rimproverava di esser troppo moderato nella questione romana e lo incitava a pousser le pape hors de Rome, meno pericoloso essendo un pretendente fuori che dentro, il Visconti Venosta rispondeva, questa politica non la mia, io far ogni sforzo per render possibile lintesa del Papato e della Monarchia in Roma, lo stabilimento di un modus vivendi accettabile per tutti702 . E pi tardi, in un momento assai difficile per le relazioni italo-germaniche, quando ovunque si parlava di proteste e pressioni bismarckiane sul governo di Roma come sul governo belga dalluomo di Varzin imputato di eccessiva condiscendenza verso il Papato, il Visconti Venosta affermava al ministro di Francia pur eludendone le domande specifiche, il suo profondo orrore per le lotte religiose, sino a rievocare addirittura, quale fantasma ammonitore, le guerre di religione del Cinquecento703 . Di fatto, sulla via prussiana della forza il governo italiano rifiut di entrare tra il 73 e il 75, in pieno Kulturkampf, nonostante i violenti attacchi della Sinistra, e peggio, il malcontento del Bismarck, nonostante si compromettessero cos le possibilit di accordo, formale e sostanziale, con quella Germania che pure appariva co-

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me lunica sicura alleata contro possibili colpi di testa dei reazionari francesi: ed il pi alto elogio che sabbia a tessere di quel governo e di quegli uomini: Ma sulla via della conciliazione concordata, anche solo come prospettiva teorica, rifiutarono di entrare, allora e poi, non diciamo gli uomini della Sinistra, ma anche molti della Destra: alcuni, di sentire tanto spiccatamente anticlericale da sembrar uomini di Sinistra accesa, perch preoccupati per ben altri motivi come sarebbe stata lelezione di un pontefice troppo benigno che avrebbe imprigionato nelle sue reti la nobilt e anche parte della borghesia, dominando cos esso, con le armi morali, lo Stato704 ; ma i pi per la convinzione di che s detto, della necessit cio che Stato e Chiesa procedessero ciascuno per conto suo, unico modo per luno e laltra di rinvigorir s e, ad un tempo, di cooperare al rinvigorimento dellaltra parte. Niente interventi politici nella vita religiosa, come nella vita economica: era lo stesso ottimismo fondamentale del lasciar fare, lasciar passare che aveva nutrito il liberalismo occidentale della prima met dellOttocento. Al Visconti Venosta sera gi unito in anticipo il Bonghi, poco dopo il 20 settembre, anchegli parlando di una conciliazione naturale, e non per negoziati diplomatici705 , suniva il Massari che anchegli esponeva ai colleghi della Camera la sua persuasione nella conciliazione non concordata: io anelo al giorno in cui lamore della patria e lamore della religione possano confondersi in un solo ed unico sentimento; ma, appunto perch io voglio, e sinceramente voglio, questa conciliazione, io desidero che non si facciano opere, non si diano passi i quali, volendo affrettarla, finirebbero per allontanarla. Io credo ... che la conciliazione dello Stato colla Chiesa non debba essere il frutto artificiale di negoziati, di trattative, di disposizioni legislative, ma debba essere il frutto spontaneo duna politica illuminata e liberale, che essa debba

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essere la conseguenza del tempo confortato dal nostro tatto e dalla nostra operosa pazienza706 . E se taluno pi tardi, come il Bonghi nel famoso 87, abbandon per un momento il vecchio principio della conciliazione naturale per vagheggiare la conciliazione legalizzata, altri, di pensiero meno facilmente influenzabile dagli eventi del giorno, rimase fermo e incrollabile sino allultimo; e Silvio Spaventa ancora nel suo ultimo grande discorso, il 20 settembre 1886, ribad a Bergamo i punti fermi del pensiero liberale che, per bocca di Camillo di Cavour, aveva proclamato finita lra dei concordati707 . Anche qui, dunque, nel problema pi delicato che uomo politico avesse ad affrontare, misura, equilibrio, calma, attesa fiduciosa nelleffetto salutare del tempo, che il Visconti Venosta chiamava a collaboratore in questa come in ogni altra questione di politica estera708 : convincimento profondo dei frutti benefici della libert, operante di per s: gli essi criteri, dunque, che costituivano le caratteristiche dellazione generale di governo della Destra dopo il 70. Ma era politica a largo respiro, che guardava lavvenire e non si chiudeva nellattimo fuggente; tutta discrezione, finezza, senso del limite e quindi richiedente grande saggezza ed equilibrio interiore; politica troppo sottile, come si disse una volta alla Camera della Politica estera del Visconti Venosta, a troppo lunga scadenza, e poco adatta a calmar le impazienze e le attese in successi immediati e visibili. Tanto pi, che, a determinare una siffatta linea di condotta, erano stati indubbiamente decisivi i principi, ma non senza che vinterferissero fortemente anche considerazioni dettate pi specificamente dalle circostanze del momento, e di assai, assai minor respiro ideale. Perch tra i campioni della Destra, Sella e Spaventa eccettuati, vera un po come la sensazione di averla fatta grossa col Venti Settembre: cattolici, e quindi non senza gran trepi-

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dazione di coscienza di fronte al capo della Chiesa cattolica, siccome chiaramente si avvertiva anzitutto e soprattutto nel Re, pien di rimorsi e di timori; uomini di governo, e quindi preoccupatissimi che, appena cessato il conflitto franco-prussiano, il mondo cattolico non insorgesse a chieder conto allItalia dellaffronto fatto al Pontefice. Forse che al Minghetti, lex ministro di Pio IX, al primo annunzio del Venti Settembre chegli pure aveva decisamente voluto, non era passato per capo un pensiero, a lui stesso apparso cos ardito da non osar esprimerlo neppure allamicissimo Visconti Venosta: che il Re corresse immediatamente a buttarsi ai piedi del Santo Padre (uso la frase romana per eccellenza)?709 Latto di contrizione dopo latto di forza: questo, uno Spaventa, a non dir di un Sella, non lavrebbe mai potuto immaginare, e ci volevano le vecchie reminiscenze neoguelfe per suggerirlo710 . Levitare ogni atto che potesse sembrare immistione nelle cose interne della Chiesa rispondeva dunque ai princpi, ma non meno alle convenienze dellora e alle preoccupazioni devitare ulteriori sconquassi. Gi per il Venti Settembre seran dovuti abbandonare, allultimo momento i mezzi morali per la forza; e il Visconti Venosta, sia pur con estrema riluttanza, aveva dovuto rinunziare alla via lunga, da lui preconizzata ancora il 19 agosto, e seguir la via breve711 . Lo strappo era stato grosso; e per quello, almeno, cera la scusante del precipitare della situazione europea, la repubblica in Francia, le incognite di un avvenire scuro scuro, il pericolo di guai anche in Italia, ove non si togliesse la questione di Roma dalle mani della Sinistra e il governo, ancora una volta, non si ponesse, esso, alla testa della rivoluzione. Ma era pi che sufficiente. Un ultimo sforzo, conseguenza inevitabile del grosso strappo, la legge delle Guarentigie: e poi, basta. Ritornare, ora, alla via dei mezzi morali, badare soprattutto ad evitare tempeste: la politica italiana do-

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veva aver per scopo di non dare al partito clericale alcuno di quei plausibili pretesti finora abbiamo avuto laccorgimento di non fornirgli, di far s che esso non possa parlare in nome dei veri interessi religiosi ... duopo che la questione non possa diventate una questione religiosa; facciamo si che essa rimanga ... una questione puramente politica. Ed allora a queste passioni che ora si agitano ... voi vedrete presto mancare ogni eco dintorno, e ad esse medesime mancher pi tardi lalimento712 . La libert di Cavour, s; ma tanto pi accetta in quanto significava anche non far pi nulla dopo il Venti Settembre, rimaner a guardare, lasciar che le cose andassero per il loro verso senza doversi gravar la coscienza di nuovi dubbi e nuovi rimorsi. Ci ai rifaceva, tra i moderati, in questa come in tante altre questioni, alla formulazione del gran Conte, divenuta come una sorta di quinto Vangelo: ma a coloro i quali dicevano, badate Cavour aveva profferito lintera libert alla Chiesa, per indurre Pio IX a rinunciare spontaneamente al potere temporale, e ora, dopo il Sillabo e lInfallibilit, di fronte alle scomuniche e alle insidie papali, alla lotta del clero contro lItalia, anchegli non avrebbe pi disarmato totalmente lo Stato713 , gli uomini di governo rispondevano con linterpretazione letterale, rifiutando chiose e postille. Di qui la sensazione di incertezza e trepidezza, di un oscillare barcamenandosi empiricamente un colpo al cerchio uno alla botte, che quella politica pot dare, sollevando gi allora le ire della Sinistra e, allopposto, il malcontento di cattolici alla Tommaseo e alla Capponi, o lironia del Toscanelli che allazione del governo applicava i versi del Giusti:
Quellocchio dal ti vedo e non ti vedo, Quel tentenno, non so se tu mintenda, Che dice s e no, credo e non credo714

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e sollevando pi tardi critiche severe di storici eminenti715 . Ma certo, quale che potesse essere il giudizio sullazione pratica del governo, momento per momento, una cosa era sicura, ed che una tale linea di condotta non soddisfaceva n punto n poco allidea della missione di Roma. Urtava una parte degli stessi moderati, gi entrati in gran collera per il Venti Settembre, turbati nella loro coscienza716 , e risoluti oppositori, poi, del trasferimento della capitale a Roma, come di un progetto che rischiava di incagliare la soluzione della questione romana, e, ponendo faccia a faccia Papa e Re, Vaticano e Quirinale, Statuto e Sillabo, di provocare urti tremendi ad ogni ora717 . Ma era del tutto insufficiente per coloro, cattolici e anticattolici, che sognavano la nuova missione di Roma. Anche ammesso il successo finale che cosa ne sarebbe risultato? La buona armonia fra lo Stato italiano e la Chiesa; la composizione di un dissidio interno; il consolidamento dello Stato italiano; il trionfo in Italia dello spirito di libert, operante per forza propria: cio, sempre, una soluzione puramente nazionale, italiana, onorevole ma modesta. Dei due, messe cos le cose, dei due a giganteggiare sarebbe stata sempre la Chiesa, il Papato: Roma capitale dItalia non avrebbe aggiunto nulla alla vecchia Roma pontificale. Niente missione cosmopolitica dellItalia. E ancora: lasciar la Chiesa a s, non significava lasciar che continuasse nella via gi battuta e sanzionata dal Sillabo e dellInfallibilit? Ora fra gli stessi cattolici pi duno ve nera che, se ripugnava totalmente dallanticlericalismo di conio giacobino e positivistico, ripugnava pure al veder continuare il cattolicesimo quale era, senza rinnovamenti interiori. La Chiesa quale era, sostanzialmente, salvo labbandono delle tendenze politicamente reazionarie, accettavano il Lanza e il Visconti Venosta, a

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non dir del Capponi, del Jacini, dellAlfieri718 ; la Chiesa quale doveva essere, propugnava un Ricasoli, e valea dire con un gran movimento di riforma interiore ripristinasse il puro e vero cattolicesimo: ebbene anche ad un Ricasoli lazione di equilibrio del governo sembrava fiacchezza, debolezza, pavidit. Lo Stato estraneo ad ogni immistione nella vita della Chiesa, per gli uomini di governo; lo Stato che doveva invece cooperare alla riforma della Chiesa, per il Ricasoli. Due concezioni in totale antitesi: e se ancora fra un Visconti Venosta, un Lanza, un Massari da una parte e un Jacini, un Alfieri di Sostegno, un Casati dallaltra la differenza era pi sul modo di comportarsi di quanto non fosse sul fine ultimo, pi tattica che strategica, come che gli uni e gli altri volessero la Chiesa lasciata a s, fra tutti quegli uomini e un Ricasoli il contrasto era gi sul fine ultimo, sulla sostanza stessa delle cose. Lanelito alla riforma, che operasse dentro la Chiesa, non mai fuori e contro la Chiesa719 , ma che operasse, e urgentemente, il romito del Chianti720 laveva derivato dal magistero del romito di San Cerbone721 ma persisteva anche ora, tenacissimo, nel 70 e dopo il 70. Una volta, il Ricasoli aveva scritto al Giorgini, di aver la coscienza che siamo alla vigilia di una grande rivoluzione nel cattolicismo romano a pr del vero cattolicismo, ed io la desidero ardentemente e prima di morire vorrei vederla. Mi struggo di porci lo zolfanello ma non so dove sia il punto pi vivo alla esplosione; e da tale desiderio eccitato, aveva diretto, nel 65, i lavori della commissione parla tare che erano sboccati nel rivoluzionario progetto Corsi722 . Ora in Roma egli vedeva, pi che il fatto di una capitale che si trasloca la futura trasformazione del Papato, che non pu non essere, ne spero, che a bene, del vero sentimento religioso, oggi compromesso dallindifferentismo e dalla immobilit723 .

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Qui, nel saper operare saggiamente era riposta lanima dun avvenire nuovo della societ umana724 ; e il saggiamente operare voleva dire spiegare la bandiera della libert della Chiesa, della completa e assoluta separazione della Chiesa dallo Stato, porgendo al mondo la base di una grande rivoluzione politico-sociale, di un fatto storico che dopo la fondazione del Cristianesimo non saprei addurne un secondo egualmente benefico e splendido725 . Ma libert della Chiesa, separazione fra Stato e Chiesa significavano altra cosa, per il Ricasoli come per il Lambruschini, dalla formula cavouriana, almeno dallinterpretazione dei moderati di governo726 : volevano dire, invece, offrire alla Chiesa il mezzo di riformar s stessa, aiutarla a riformar s stessa, cio intervenire soprattutto agendo in modo che la Chiesa ridiventasse la comunione dei fedeli, laicato e sacerdozio uniti. La grossa questione delle temporalit della Chiesa offriva a ci immediato e facile modo. Non lo Stato che guarda la Chiesa vivere, ma lo Stato che aiuta la Chiesa a riformarsi: eran pensieri che riconducevan su su negli anni, quando il Ricasoli leggeva e spiegava il Vangelo alla piccola Betta727 o istruiva il canonico Parronchi sul come svolgere il Quaresimale a Brolio, per aprire i cuori e lintelletto dei contadini a verit e dolcezze inusitate728 , o quando egli stesso, venuto di citt in campagna e trovatala popolazione moralmente abbandonata, aveva cominciato a riunire di domenica in casa sua i contadini, per legger loro parabole e cavarne quanti pi insegnamenti fosse possibile729 . Roma quindi era problema religioso; la sua missione ira sempre missione religiosa, alla rivoluzione politica doveva seguire la rivoluzione religiosa730 , e soltanto con lavverarsi della seconda la prima avrebbe potuto dire di aver assolto veramente il suo compito. Perch Roma in s e per s, come fatto politico, come semplice capitale del Regno dItalia, diceva poco al Ricasoli, daccordo in

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questo senza saperlo con Mommsen, Gregorovius e Dostoievskij. Si voluto Roma perch ci apparteneva; perch il non averla ci era nocivo pi che averla; e se si fatta Capitale, egli perch era indicato dalle nostre convenienze politiche interne, e non gi perch Roma rappresenti alcuna cosa pi che il centro del Governo di una Nazione, che repugna tutta concorde dallaccentramento, e dal farsi assorbire dalla sua Capitale ...731 Niente missione di Roma in senso laico; niente Roma faro di luce nel mondo perch capitale dItalia: tanto poco nel Ricasoli Roma italiana doveva assolvere una missione cosmopolitica, chegli combatteva glintendimenti del Sella di farne un grande centro di cultura e di scienza, dando in ci libero sfogo anche alla diffidenza verso Roma accentratrice, dove sfociavano sia lantiromanesimo dallora dei moderati toscani, sia le antiche preoccupazioni del Ricasoli stesso come del Salvagnoli e di altri amici per la eccessiva centralizzazione della vita pubblica e il complicarsi della macchina governativa732 . Ma missione di Roma, questo s, della Roma cristiana, cattolica, alla quale appunto levento politico di Roma italiana doveva servir da stimolo, motivo, occasione per una trionfale ripresa nel mondo. E se vera una prova decisiva del basso livello morale a cui eran caduti gli Italiani, la costituiva il fatto che i pi non scorgevano in Roma se non un evento materiale, neppur presentendo che vi sta riposta lanima dun avvenire nuovo della societ umana733 . Cos dalla realt presente lanima si protendeva verso lavvenire; dal problema puramente politico del contegno da tenere di fronte al Papato, limmaginazione si lanciava in arditi voli verso un grande evento futuro, il rinnovamento della Chiesa per forza interiore, il riapparire del puro cristianesimo, che non era altro se non il puro cattolicesimo, e lumanit avviata, con rinnovato abbandono nella ristoratrice parola del Signore, ver-

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so pi alte forme di vita morale, che soverchiassero finalmente il sordido materialismo del secolo. N erano soltanto cattolici italiani a sognarlo; voci abbastanza simili, e non molto meno accese di zelo riformatore, si levavano oltre frontiera, e tra le altre quella di uno dei prelati di maggior nome nella cattolicit europea di allora, il vescovo di Djakovo, Giuseppe Giorgio Strossmayer, uno dei capi del movimento nazionale slavo, chera stato uno dei risoluti avversari del dogma dellinfallibilit. Legato da personale amicizia col Minghetti734 e col Visconti Venosta, e grado di far discutere dal Consiglio dei ministri memoriali suoi, al momento della legge delle Guarentigie735 ; pronto a servir da intermediario fra Italia e Francia nelle questioni attinenti a Roma papale e soprattutto a predisporre il terreno per leventualit di un conclave736 , lo Strossmayer non soltanto auspicava sul terreno politico la collaborazione fra latini e slavi737 , ma in campo religioso propugnava la riforma interna della Chiesa: e in questo anchegli vedeva la missione dellItalia politica, chiamata a cooperare, a favorire, a spronare. Occupando Roma e distruggendo il potere temporale, il governo italiano ha fatto cosa utile a s ma eziandio benefica alla Chiesa e a tutta lumanit. E difatti tale dominio aveva allontanato il Papato dalla sua divina destinazione convertendolo in una istituzione meramente politica. A tale dominio si deve ascrivere se il Papato venne meno al suo carattere di universale, e se lo troviamo avverso a tutte le pi savie, rette e generose intenzioni dItalia. Per lItalia occupando Roma diede solo principio alla sua grande missione, e molto le resta ancora da fare. Dopo ha un compito e ardisco dire una missione provvidenziale che non potrebbe dimenticare senza sua gran disonore e pericolo, cio il compito e la missione di far s che il Papato ritorni alla sua primaria e immortale destinazione, e che riconciliatosi collItalia e per essa con tutta la civile societ, si studi efficacemente a purificare

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e santificare in conformit ai precetti della divina legge i cambiamenti avvenuti e riconoscendo con lealt e franchezza come la indipendenza e la libert del Primate dei cattolici sia sufficientemente costituita e garantita dalle libere istituzioni del Regno dItalia, divenga per essa un elemento poderoso di grandezza morale anzich un germe funesto di debolezza e dinfermit. La Provvidenza divina collavere designato Roma quale sede del Papato impose allItalia lobbligo di essere custode della libert della Chiesa e protettrice del Papato, e la costitu in tal qual modo la mediatrice naturale tra il Papato e la civile Societ.738 . Perci lo Strossmayer, approvando pienamente la legge delle Guarentigie, trovava che in un sol punto il governo italiano aveva ecceduto in debolezza abbandonando al Papa e alla Curia la nomina dei vescovi mentre si sarebbe dovuto tornare allantica disciplina clerus et populus o, riservando Papa solo il ius confirmationis. Toccava allItalia prender liniziativa su questo punto capitale; cos come era interesse dellItalia e del mondo intero che si attuasse il programma ferito caro al vescovo di Djakovo: che, cio, il Papato cessasse di essere unistituzione esclusivamente italiana, come voleva la Curia, per ridiventare unistituzione cattolica e mondiale739 . Pi alla buona, era pensiero comune in quei giorni e di frequente affiorante nelle discussioni in Parlamento, che laver perso il dominio temporale anzich nuocere avrebbe giovato al Papato, liberandolo dalle scorie terrene e lasciandolo tutto al suo alto compito spirituale740 . E ne convenivano i Lanza i Visconti Venosta i Minghetti i Borghi. Soltanto, nellopinione comune il compito dellItalia era stato appunto quello, puramente negativo, di liberale il Papato dalla soma terrena; ed era compito esaurito. Il resto, ci pensasse a farlo la libert, operante come grazia efficace; la sua vita interna la Chiesa se la regolasse da s, senza che lo Stato vavesse pi ad in-

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tervenire: che fu appunto il concetto cardine del titolo secondo della legge delle Guarentigie. Compito nientaffatto esaurito, per coloro che la pensavano come un Ricasoli; missione che cominciava proprio soltanto allora, per coloro che attorno al 1870 vivevano ancora di sentimenti e di pensieri sbocciati nellEuropa della prima met dellOttocento, in quel clima cos ricco di senso religioso e di attesa quasi messianica nel nuovo trionfo della fede, dove avevano potuto operare Lamennais e, in Italia, Rosmini e Lambruschini. Accordo tra fede e scienza, tra Chiesa e libert, tra Chiesa e pensiero moderno: era la tradizione dei Rosmini, dei Manzoni, dei Lambruschini, che, per un Ricasoli, sulle orme el Lambruschini, doveva divenir fede operante, anche da parte dei laici, e non rimaner fede puramente contemplativa, siccome predicava il governo. Idee e affetti ancora di prima il 48, dunque, del cattolicesimo romantico. Ma i tempi non erano pi quelli; al bisogno di riforma religiosa e et romantica sottentrava, era gi sottentrato il bisogno di scienza dellet positivistica, come avrebbe dimostrato il rapido declino del movimento dei Vecchi Cattolici in Germania e delleco europea di un Dllinger, cos in auge, per un momento, proprio nel 71. E quindi di scarsa risonanza ormai le voci di un Lambruschini vecchio e di un Ricasoli gi praticamente fuori dei tempi, e trionfante invece la missione di Roma alla Sella. Alla voce del ministro delle Finanze, rispondevano infatti altre voci di uomini che, politicamente, appartenevano pure alla Destra; rispondeva soprattutto il coro concorde degli uomini della Sinistra. Roma capitale del Regno, inizio di unra nuova nella storia dellumanit intera: e se lItalia non aveste adempiuto al compito assegnatole dal destino, non avrebbe avuto pi ragione di essere nel mondo. LItalia non pu ripudiare una missione, direi mondiale, di cui la Provvidenza la incarica,

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e che le sta dinanzi. A lei spetta presentarsi davanti a tutte le nazioni civili del mondo con questo insigne titolo al loro rispetto, alla loro riconoscenza, di essere cio pervenuta, abbattendo il potere temporale del pontefice, ad emancipare e rendere pi autorevole e venerando il potere spirituale, liberandolo dalla soma di una men che apparente sovranit politica, e sciogliendo, dopo secolari conflitti, un infausto connubio, che non a noi soltanto nuoce, ma nuoce ai grandi e generali interessi della civilt e della libert del mondo.741 . Ma nella perorazione del Mancini, alla vigilia del Venti Settembre, cera una formula convenzionale, di cortesia, di opportunit politica, che altri uomini non condividevano certo, e forse nemmeno il Mancini professava sinceramente: il rendere pi autorevole e veneranda la potest spirituale del Pontefice, era proprio soltanto una formula a scopo tattico, in un, discorso parlamentare, e niente pi. Quel che sera fatto sino allora, non bastava; Labbattimento del potere temporale non era fine a se stesso, ma semplice mezzo: come per il Ricasoli, anche se con intenzioni del tutto opposte, il Regno dItalia non doveva stare a vedere, ma operare sulla Chiesa. Operare, questa volta, in senso distruttivo: lItalia nuova e il cattolicesimo vecchio non potevano pi stare insieme; lItalia, creatrice del Papato, doveva distruggere il Papato, doveva spaparsi742 : e anche qui si accordavano voci dallinterno e dallestero e si predicava, oltrAlpe, lobbligo dellItalia di sfasciare il cattolicesimo romano per riparare a tutto il male causato dallItalia allumanit con la restaurazione cattolica del Cinque e Seicento743 . Non pi il rinnovamento della Chiesa, il rinato fervore religioso delle genti; ma, esattamente allopposto, la fine della superstizione, cio dellidea religiosa, il crollo del Papato anche come potere spirituale dopo il crollo del potere temporale; la fine del vecchio cancro che

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aveva roso per secoli il bel corpo dellItalia744 , e il trionfo del libero uman pensiero. In luogo del messianismo religioso dellet romantica, in luogo del cattolicesimo liberale, razionalismo settecentesco e giacobinismo rivestiti a nuovo e scientificizzati dal positivismo trionfante. In luogo della fiducia nellaccordo tra fede e scienza, Chiesa e libert, la convinzione della inconciliabilit assoluta tra Chiesa e libert, tra Papato e pensiero moderno. Non pi dogmi, ma scienza; la scienza che apportava la luce, debellando loscurantismo clericale, e custodiva la verit nutrice della nuova morale. Altissimo fine per alcuni, come i Sella, fine a s e in s, anche se servisse contemporaneamente per la lotta contro il Papato reazionario e anti-italiano, la scienza ben sintende valeva per altri soprattutto come mezzo, in quanto serviva per la lotta contro la Chiesa: era la parola dordine del giorno, ed ovvio quindi se ne valessero, per i loro attacchi al Papato, anche uomini che della scienza avevano concetti assai assai nebulosi e, contrariamente al Sella, non sognavano minimamente di dedicarsi al suo culto. Soprattutto nelle polemiche giornalistiche e nei dibattiti parlamentari, era sovente un nome pomposo che mal mascherava la scarsa dimestichezza al pensare; e far di Roma la capitale dello spirito moderno e cos per la terza volta la regina del mondo civile aveva per un De Sanctis745 evidentemente, un significato di altra profondit e sostanzialit che non per i redattori del Gazzettino Rosa. Ma, pi o meno profondamente e puramente sentita che fosse, la scienza fu allora lappello che ebbe il potere di entusiasmare i molti, corbe un cinquantennio prima lavevan avuto invece altre idee e, fra esse, anche lappello al rifiorir religioso dellumanit; n mai un simile grido ebbe pi vasta e profonda risonanza che in quegli anni, dopo il Sillabo e il decreto sullInfallibilit, quando i governi di mezza Europa erano in rotta col Papato, persino il governo della cattolicissima Austria, e quando il trion-

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fo prussiano nella guerra appariva anche come il trionfo della scienza sfruttata a fini bellici. La morte stessa celebrava il progresso scientifico746 . La religione del progresso, al posto della religione dei dogmi. Poco pi tardi, lo si pot ascoltare dai pubblicisti bismarkiani, una voce dicentes, e fra le varie voci dei cantori squillante soprattutto quella del Treitschke: che la Germania, la grande patria della libert del pensiero, non combatteva per lonnipotenza statale, ma per una pi libera concezione del cristianesimo, per la libert del pensiero e della scienza, per una nuova vita spirituale germanica e quindi dellumanit747 . Ma in quei giorni tra settembre 1870 ed estate 1871, prima che il Bismarck, dissotterrata lascia fatidica, lanciasse il grido di guerra nach aussen wie nach innen748 , e dopo ancora anche in pieno Kulturkampf Italiani e Tedeschi disputandosi lonore749 , lessere i liberatori del genere umano dalla schiavit spirituale dei preti lo reclamarono per s i laici italiani. E di Roma capitale questo divenne il compito pi largamente e intensamente celebrato; e allItalia venivano additati della dea Roma
... le colonne e gli archi: non pi di regi, non pi di cesari e non di catene attorcenti braccia umane su gli eburnei carri; ma il tuo trionfo, popol dItalia su let nera, su let barbara750

La Scienza, gli istituti di alta cultura, lAccademia dei Lincei e lUniversit, baluardo del nuovo pensiero contro il pensiero teocratico; i congressi degli scienziati, le libere discussioni che, avvenendo nella antica capitale della scienza ortodossa, e cio della falsa scienza, costituivano un evento nella storia dello spirito umano751 : qui il pensiero acquistava forma concreta, anzi la sola forma

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concreta che lidea del rinnovamento laico dellumanit potesse assumere. Scienza, discussione critica e non pi accettazione cieca di dogmi: 1 grido si levava, alto, di qua e di l dalle Alpi. Entrer dans la science, dans lexamen, tuonava liracondo Flaubert, grande artista e come tale deprecante linizio dellet utilitaria e positivistica, ma daltro canto furibondo contro i dogmi, anticlericalissimo e quindi apostolo della scienza, della discussione critica, del predominio dei mandarini cio del sapere752 . La regina legittima del mondo e dellavvenire non ci che nel 1789 si chiamava la Ragione, ci che nel 1878 si chiama la Scienza, esclamava Taiine753 . E Renan poi, che intonava nuovamente il motivo del progresso della ragione, vale a dire della scienza, gi accarezzato sin dal 48 ne Lavenir de la science e ripreso con grande ottimismo nel 69, alla vigilia della guerra754 ; Renan, che modernizzava lEcclesiaste; affermando la vanit di tutto fuorch della scienza, larte stessa apparendogli ormai un po vuota755 ; Renan dimenticava le pi assennate considerazioni del novembre 1849 sulla naturale cattolicit del popolo italiano756 , per proclamare che la fine del potere temporale avrebbe provocato anche uno scisma simile al grande scisma dOccidente e con ci la fine dellunit cattolica757 . Proprio per questo, il modesto e onorevole rinascer dellItalia a nazione era anche un fausto evento per lumanit758 . Cos, nel 1881 egli affidava alle mani degli anticlericali romani il gran problema del secolo XIX, della assoluta libert religiosa e dellagnosticismo statale in materia di fede: che voleva dire cacciar dal mondo le ultime vestigia di un regime opposto ai princpi pi saldi della civilt moderna, e garantire i diritti della causa santa, la causa della coscienza limana, dello spirito umano, della scienza759 . Sfiduciato, spesso, della Francia; a momenti attanagliato da torbide visioni sullavvenire dellumanit; pieno di contraddizioni interiori, e anzitutto proprio tra nostal-

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gie del passato aristocratico e inni alla scienza, che significava una societ industrializzata, democratica e nazionalista; indeciso e oscillante tra gli intimi ideali artisticoreligiosi e lideale scientifico assai pi mutuato dai tempi, Renan tornava lideale a riprendere animo solo pensando al trionfo avvenire della scienza e alla fine dellunit spirituale della Chiesa romana. Qual prova migliore del viaggio in Sicilia, nellestate del 1875, quando la nave che trasportava il novello apostolo delle gemi era stata attorniata, nei pressi di Selinunte, da uno sciame di barche cariche di Siciliani acclamanti viva la Scienza!, e lui, il grassoccio e sorridente Renan, era passato attraverso lisola simile ad un trionfatore, tra le continue ovazioni di un popolo intero, modesto nellincedere e pur compiaciutissimo che dopo Empedocle a nessuno, Garibaldi eccettuato, fossero state tributate accoglienze simili? Veramente, dopo lUngheria, la Sicilia era il paese pi prossimo a spezzare i vecchi legami con Roma papale e ad iniziare la riforma religiosa760 . Roma centro di scienza, di pensiero laico rinnovatore del mondo: fu un motivo intonato allora da una folto coro761 e continuamente riecheggiante nei decenni che seguirono, si affermasse in Parlamento, da maggiori e minori, che in Roma occorreva laicizzare lo Stato di fronte alla Chiesa, o dal Crispi, presidente del Consiglio, che bisognava affermarsi con la scienza di fronte al Vaticano, per dar modo alla terza Italia di combattere i pregiudizi del passato762 ; si esaltasse, in campo de Fiori, Giordano Bruno; si ripetesse in Senato, nel 1913, a proposito della cattedra di filosofia della storia nellUniversit di Roma, che allAteneo dellUrbe incombevano maggiori doveri per essere il vero segnacolo dellemancipato spirito moderno, di fronte al secolare dominio teocratico763 . N fra gli stranieri era solo Renan a credervi: ancora allinizio del secolo XX il Novicov esaltava la missione intellettuale dellItalia, destinata a divenire non soltan-

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to il sanatorio intellettuale e morale del mondo, armonioso asilo di tutte le anime delicate, ma, come una volta, anche la rinnovata educatrice del genere umano nella scienza, la madre delle scienze e delle arti764 . naturale che nel gran coro intonato da pubblicisti e uomini politici, soprattutto della Sinistra, e dai liberi pensatori di professione, lideale della scienza, pur sempre riaffermato, sfumasse in assai pi vaghi accenti in cui al principio positivistico della scienza si frammischiava il ricordo della predicazione mazziniana, con le sue indefinite attese messianiche, i suoi slanci oratori, il suo anelito ad una nebulosa religione del Vero e del Buono. Tipicamente uomo della seconda met del dOttocento, il Sella, e di una chiarezza e precisione veramente consona al suo ideale; a mezza via spiritualmente tra prima e seconda met, tra predicazione mazziniana e positivismo alla Littr, tra ateismo e un confuso teismo, gli altri. E su parecchi, i meridionali in genere, il Mancini in ispecie, urgeva ancora lantica mentalit dei giurisdizionalisti settecenteschi; e, su altri, in primis il Crispi, premevano gli influssi massonici e il verbo del grande architetto delluniverso: su tutti, lo spirito giacobino, vivo e agitantesi ora proprio essenzialmente nel problema dei rapporti con la Chiesa. Cos che nelle apostrofi e invocazioni di quegli uomini il tono saccendesse; come nelloratoria parlamentare, cos nella pubblicistica, al pi contenuto e secco e riguardoso eloquio di un Sella succedeva il pathos di derivazione mazziniana, limmagine grandiloquente, linvettiva contro il Papato. Lotta contro il nemico interno dellItalia, che era ad un tempo il cancro dellumanit, il Papato; lotta contro la teocrazia, per erigere sulle ceneri del trono dei papi un edilizio che, basato sulla morale e sulla scienza, fosse degno di essere il tempio dellumanit765 ; ricondurre la religione cattolica ai modesti princpi onde nacque, senza

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di che lEuropa liberale, non avrebbe mai avuto pace766 : questo il programma della battagliera Riforma. Unocchiata di quando in quando a Nizza e a Trento e unaltra allOriente: ma, per il momento, soprattutto e sempre, occhio al Papato e quindi alle mene dei reazionari francesi, procedendo concordi con il Titano che sfidava il Papato e tutelava la libert dellEuropa, con il principe di Bismarck. Crispi laveva gi affermato anche prima che bisognava mirare a Roma necessaria al popolo per essere la vera capitale dItalia, e necessaria allumanit per essere il termine logico dalla cui conquista dipende la conquista della libert di coscienza767 . E dalla missione emancipatrice di Roma nel cancellare la tirannia dei preti, nemici della patria e della civilt, prendeva le mosse lAppello alla Democrazia che Garibaldi e Cairoli lanciavano il 1 agosto 1872768 : e leroe dei due mondi incalzava, sia che deplorasse di non poter ottenere dal governo e dalla maggioranza della Camera un decreto che liberasse lItalia dal Papato anche spirituale769 , sia che invitasse il popolo, da Frascati, ad iniziare il terzo periodo dellincivilimento di Roma, sostituendo a tutte le religioni rivelate o mentitrici la religione del vero, religione senza preti basata sulla ragione e la scienza770 . Dietro ai grandi padri del laicismo, la gente minore, convinta che la rivoluzione fosse giunta a Roma per combattere il cattolicesimo faccia a faccia, e che fora di morte del Papato fosse suonata771 ; cupida di trar le conseguenze dalla presa di possesso dellUrbe, non sterile atto conchiuso in s, bens inizio di unra nuova772 ; spesso anche, come suole, proclive ad esteriorizzare il proprio sentire in manifestazioni rumorose e, non infrequentemente, peggio che rumorose sconvenienti o ridicole773 : proclive, per esempio, a parodiare, il gioved grasso per il Corso di Roma, la Crociata cattolica del 1871774 , o a banchettare pubblicamente il Venerd Santo a Pisa775 , o a trasformare la cerimonia nu-

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ziale di un ex sacerdote in una festa del progresso776 . N valevano gli ammonimenti di chi, patriota ma cattolico, avrebbe voluto gran delicatezza di modi riguardo al Papa, soprattutto nella stampa, per attenuare il suo allarme e non dar motivo ai cattolici di tutto il mondo di gridare contro lItalia777 ; o di chi gi prima aveva ammonito che i preti andavano tenuti a freno quando trascendessero, ma che i pretofobi erano per lo pi ancora peggiori e avevano guastato parecchio le cose dItalia778 . Dilag lanticlericalismo, con le sue Unioni dei liberi pensatori dagli ambiziosi e ottimistici programmi779 : e in quelle forme e modi fu, s, ovvia reazione allatteggiamento politico iella Curia romana e dellalto clero e dei Gesuiti di fronte allunit dItalia, e da questo punto di vista fu dunque collegato con una situazione specificamente italiana, cos da vendicare a s, molto al di l del presente, lontane, gloriose scaturigini e da presentarsi quale nuovo ghibellinismo che invocava il ghibellino Dante, trasformato in un gran laico780 e contrapposto al Vaticano781 ; ma fu anche espressione della credenza in una prossima, inevitabile trasformazione della vita morale dellumanit, sulle rovine del credo religioso innalzantesi al culto della scienza e del progresso, e quindi sintrecci e fuse strettamente con lanticlericalismo europeo, segnatamente con quello francese, di identico stampo culturale e di identiche radici illuministiche positivistiche massoniche, e con lanticlericalismo francese festeggi, nel 1878, il centenario della morte di Voltaire, apostolo della guerra contro il fanatismo, la superstizione, la religione782 . Perch molti credettero sinceramente che fosse giunta lora, del tramonto della Roma hedificata ... super Christum petram per Petrum et Paulum783 ; e allAleardi, inviperito contro la immondizia volpina regnante nel Vaticano, parve sul serio che il dominio della Croce sulle coscienze fosse terminato, tanto che, finito questo

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tumulto delle anime, i popoli non avrebbero forse pi voluto la Croce n anche sulla loro fossa784 . Alti voli dellimmaginazione, dunque; fervore di speranze, di quelle speranze e attese messianiche che, nonostante tutto, apportavano ancora nellatmosfera gi pi dura degli ultimi decenni dellOttocento un po dellatmosfera vibrante di fede nel futuro dei primi decenni del secolo, allora libert, armonia dei popoli, rifiorire del sentimento religioso, perfezionamento delle sorti umane, ora, almeno, scienza e progresso. Nonostante tutte le furie scatenate, clero, Internazionale, imperatori ed ex-imperatori, il XIX secolo trionfa785 : lavoriamo dunque, uomini di scienza, per la soddisfazione del nostro spirito, per la verit, per lumanit786 . Lideale viene oggi non dal prete, non dal filosofo, ma dalla scienza: avremo unideale scientifico, e il secolo XIX, le sicle denfantement, lo porta nel suo grembo. Lideale morto: viva lideale!787 . E sicuramente la coscienza dello Stato non confessionale, fondato sulla scuola laica, che i moderati consolidavano ne modi consoni al loro pensiero, saliment e sirrobust per altre vie in quellatmosfera, anche se carica di intemperanze ed eccessi: non diversamente, se pure in minor misura, da quel che accadeva allora in Francia, dove, in stretto rapporto anche l con le passioni politiche dellora e la lotta contro il clericalismo reazionario, la passione anticlericale si accentuava, il positivismo diveniva sempre pi antireligioso788 , e lo stato laico riceveva la sua definitiva consacrazione con le leggi Ferry sulla scuola. Anche in Italia, la legge sullobbligatoriet dellistruzione elementare, fatta votare dalla Sinistra, nel 1877, ebbe questo preciso valore; e gi prima, labolizione delle facolt di teologia, nel 1872, suon come una recisa affermazione della laicit allo Stato789 : tanto vero, che lavversione del Bonghi al provvedimento era dettata dal ri-

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sorgere delle speranze, di rosminiana origine, in una riforma interna della Chiesa, e cio da un motivo lontanissimo da quegli altri suoi pensieri sui diritti dello Stato moderno, di cavouriana e tocquevilliana radice790 ; e lavversione del Bon Compagni nasceva dal ricordo del neoguelfismo, di Pio IX, del 46 e del 47, del periodo, cio, in cui il cattolicesimo libert nazionalit eran sembrati fondersi in uno, e questuno non era sicuramente lo Stato laico di vita postquarantottesca in Piemonte prima e in Italia poi791 . Fu, nellinsieme, unevoluzione concorde con lassestamento e consolidamento dello Stato italiano in tutti i campi, dalla finanza alla coscienza pubblica, attraverso un lento, faticoso lavorio, frammezzo a difficolt gravi di ogni genere; concorde con il generale progressivo elevarsi al livello della civilt dellOccidente europeo, non pur nelle libere istituzioni politiche e nel regime parlamentare, ma nelleconomia e nella vita spirituale e morale: ed era civilt laica. E vi contribuirono gli uni e gli altri, moderati e non moderati, ciascuno a modo suo, anche, se sul momento, le polemiche fra gli uni e gli altri fossero vivacissime e il tono anticattolico, e non solo anticlericale, degli ambienti della Sinistra accentuasse il contrasto fra la gran maggioranza dei moderati e tutti gli uomini della Sinistra. Idealmente, anzi, divenne questo il punto dattrito pi forte. Convertiti alla monarchia quasi tutti gli uomini politici gi repubblicani; venuto meno dunque il primitivo dissidio in merito alle forme istituzionali, e accingendosi ora i Crispi e i Cairoli a diventar ministri del Re e presidenti del Consiglio, il motivo ideale di dissenso fu costituito, dopo il 70, dai rapporti fra Stato e Chiesa, siccome dovevano dimostrare le vicende degli anni fra il 71 e il 76 e lassoluta antinomia di posizione dinnanzi al Kulturkampf tedesco e un suo eventuale corollario in Italia. Il resto, contrasti rissimi sul sistema tributario alla Sella, indirizzo di politica interna, perfino

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urti in merito alla politica estera, erano ancora dissidi di carattere politico pratico, quando pure non si limitassero ad essere motivi di offensiva parlamentare ed elettorale; questo invece fu propriamente un principio, unidea in discussione. Per i moderati, lungo tutto il Risorgimento e ancor ora, da un Minghetti ad un Visconti Venosta ad un Bonghi, per non dir di un Ricasoli e di un Capponi, il sentimento religioso aveva e doveva mantenere valore fondamentale ai fini della societ umana792 . La religione faceva tuttuno con la vita morale dei popoli: su questo, erano stati daccordo quasi tutti, ad eccettuarne il gruppo napoletano degli Spaventa e alcuni altri, come il violento Amari, i quali, se politicamente militavano nelle file parlamentari della Destra, non potevano essere considerati, e in effetti non erano considerati dei moderati o almeno dei moderati classici. Per gli uomini della Sinistra, con cui saccordavano in parte anche i Sella e compiutamente gli Amari, tutti quelli erano veramente sogni funesti; e lo Stato italiano sarebbe stato saldamente costruito soltanto quando il timor reverentialis di fronte alla Chiesa fosse svanito. Che fu, ancora, fatto italiano in stretta connessione con un pi generale fatto europeo, e soprattutto francese. Ma, appunto, fu un fatto nuovo per lItalia. Ch dei sogni universali, delle attese in una Roma che annunziasse nuovamente il verbo rinnovatore della civilt umana, di consimili speranze e attese invece la fallacia apparve sempre pi manifesta man mano che trascorrevano gli anni. Svan, assai rapidamente, non pure il fugacissimo sogno di una Chiesa nazionale, in unEuropa religiosamente tutta divisa in Chiese nazionali793 , ma anche il ben pi radicato sogno di una riforma interna della Chiesa, il gran mito di quella che potrebbe essere chiamata la Si-

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nistra del romanticismo cattolico: era gi un pallido ricordo, anzi, nei giorni stessi dellingresso dei bersaglieri in Roma, dopo il Sillabo e il decreto sullInfallibilit, le due risposte massicce che la Chiesa aveva dato agli apostoli del suo rinnovamento. Dopo questo, non cera pi nulla da sperare, salvo a mettersi risolutamente fuori e contro la Chiesa, seguendo lesempio gi offerto da Piero Guicciardini794 : le vie di mezzo, le soluzioni conciliative allinterno avevano fatto il loro tempo. Nella vita veramente progressiva lItalia doveva entrare, contrariamente al detto del Sismondi, non gi dopo una profonda riforma che restaurasse il sentimento religioso795 bens esclusivamente per virt del sentimento laico, delle forze laiche; e quando le forze cattoliche avrebbero ripreso a partecipare alla vita pubblica, come tali, apportando il loro contributo, a mano a mano pi fattivo e cospicuo, di pensieri e di opere, lavrebbero esse stesse apportato su tuttaltra base che su quella del Sillabo, accettando invece non solo lItalia-unita con Roma capitale ma anche lidea della libert, e cio accettando leredit dei laici. Svan il sogno dei Rosmini e dei Lambruschini, in Italia, cos come in Germania sarebbe rapidamente svanito il sogno dei vecchi cattolici e del Dllinger, al quale taluni avevan potuto guardare come a sicura promessa di cose future796 . Riprendendo il vecchio detto sulla scarsa sensibilit degli Italiani per i problemi religiosi, vi fu chi osserv che il contrasto fra lItalia e il Vaticano era puramente politico, e ammon a non illudersi sulla possibilit di movimenti alla Dllinger797 . Ma anche coloro i quali non sapevano rinunziare alle illusioni su di una prossima, inevitabile, profonda trasformazione della Chiesa, e non condividevano il presupposto del naturale indifferentismo italiano, alle illusioni univano ora una assai pi acre ostilit contro il Papato, contro la Chiesa ufficiale da cui non cera da sperare pi nulla: siccome succedeva al Ricaso-

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li, sempre convinto, anche dopo il Sillabo e lInfallibilit, di vivere in uno di quei periodi storici in cui unet tramonta e unaltra savanza, ma agitato da immagini che richiamavano le intemperanze degli anticlericali e dei liberi pensatori, da lui assai odiati; e cos, riguardando dallalto del Gianicolo Roma distesa ai suoi piedi e abbracciando in uno sguardo Vaticano, Quirinale, Colosseo, trovava trs admissible limagination de contraposer aux ruines de la Rome payenne les ruines de la Rome papale. Un jour viendra, je suis bien loro de la prtention den calculer la distance, destin nous montrer le Vatican dans de telles conditions que, compares aux actuelles, on pourra dire de lui ce quon dit de tout monument ancien, dont lme nexiste plus que dans les souvenirs, et dans les pages de lhistoire798 . Anchegli dunque, convintosi dellimpossibilit che il Papato intendesse i tempi e rinnovasse se stesso, convinto della ostilit del curato verso la societ civile799 , fin col ripiegare dal sogno di una palingenesi religiosa universale allappello a Roma come centro di sapienza civile almeno per il presente e lasciando solo lontano futuro aperto allo spaziar dellimmaginazione. La Roma papale era finita per sempre; restava la capitale dItalia e nulla pi: ma per questo lato sar nella realt molto pi che non fu, e che non era, e non attualmente, perch sar sede di una Nazione viva per la libert e per lindipendenza, e quindi in Roma sar il fuoco sacro, ben altrimenti sacro di quello delle Vestali, del progresso civile800 . A differenza dei liberi pensatori, egli non intendeva certo escludere dal fuoco sacro del progresso la Chiesa; ma ormai era costretto a ritener lontano ancora il giorno in cui si realizzer questo bel quadro di un Papato fattore di civilt801 . Con il maggior sogno di una palingenesi religiosa, rovinarono i pi concreti e limitati miraggi, che di essa tuttavia avrebbero dovuto costituire proprio linizio pratico.

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Niente pi preziose novit alla Lambruschini nel reggimento interno della Chiesa; niente sistema rappresentativo nella Chiesa, vescovi eletti a clero e popolo, alla Rosmini, oppure dai deputati dei parroci delle diocesi, alla Lambruschini, o comunque eletti con la partecipazione dal basso, e non imposti dallalto, come su ispirazione del Minghetti aveva accettato di proporre, sia pur con molte cautele, lo stesso Cavour802 ; niente pi compartecipazione attiva del laicato alla vita della Chiesa, da parecchi sognata ancora alla vigilia del Concilio Vaticano803 . Qualche ultima eco di tali velleit riformatrici si ebbe, veramente, ancora dopo il 70. Gi durante le discussioni sulla legge delle Guarentigie era stato apertamente espresso il timore che, con la rinunzia totale dello Stato ad ogni ingerenza nella vita della Chiesa, quando la Chiesa sirrigidiva sempre pi in un organismo dominato dallalto, si sacrificassero i diritti dei fedeli: a quali timori e alla preoccupazione di impedire che un parroco turbolento sia installato nella pieve, e un tranquillo cacciato via804 , il Bonghi si ispirava, con successo, per mantenere lexequatur e il placet, pieno di fiducia che poi, nella magica aura della libert, il Papa stesso avrebbe restituito a clero e popolo gli originari diritti elettivi, e quindi la Chiesa avrebbe emendato se stessa per propria virt, non per funesta coazione esterna; mentre il Peruzzi, col Minghetti e il Ricasoli, proponeva, nel suo controprogetto, senza successo, di affidare lamministrazione dei beni della Chiesa a congregazioni diocesane e parrocchiali, miste di chierici e laici805 . Dallamministrazione dei beni il laicato avrebbe potuto partecipare a qualche cosa di pi nellavvenire, ricordava il Minghetti nel 1875, sullesempio dei Parlamenti, i quali hanno cominciato col tenere i cordoni della borsa, e poi sono arrivati ad ottenere delle grandi prerogative politiche806 : e cio si sarebbe giunti alla

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partecipazione dei fedeli nel governo della Chiesa807 , alle elezioni miste, al trionfo del sistema rappresentativo anche nella societ ecclesiastica808 . Sarebbe stata una rivoluzione pacifica, con la definitiva disfatta della fazione reazionaria, aveva osservato gi nel 65 il Serra Gropelli, gran propugnatore anchegli del sistema delle congregazioni parrocchiali e diocesane di laici809 ; e il Minghetti, sempre preoccupato del problema religioso, memore anchegli dellinsegnamento del Rosmini810 , attentissimo al movimento dei Vecchi Cattolici e a tutto ci che sapesse di fervor religioso in Europa, cercava cosa di salvare quelle possibilit di rinnovamento religioso in cui anchegli sperava, e sia pur senza la passionalit e limpeto del Ricasoli, sia pure, soprattutto, escludendo recisamente ogni intervento del potere politico nella vita della Chiesa e rimanendo fedele al principio della separazione assoluta fra Stato e Chiesa811 . Altri, pur non vagheggiando future riforme cattoliche, erano anche essi daccordo nel sostenere la necessit di non lasciare il Pontefice solo e padrone dispotico alle prese con clero e laicato: altrimenti, basso clero e popolo sarebbero stati schiacciati dallaccentramento papale e dai vescovi, e una legge a fine liberale avrebbe avuto la conseguenza nientaffatto liberale di instaurare la tirannia dei Preti sui laici, e cio il pi insopportabile fra tutti i despotismi812 . Cherano, naturalmente, le idee sostenute dalla Sinistra, e soprattutto dal Mancini, preoccupatissimo che la libert della Chiesa non significasse il predominio e lesclusiva potenza di una casta, cio dellalto clero, e conducesse a un dispotismo papale, a tale un autocratico accentramento di potere nel Pontefice, quale non mai nella storia della Chiesa in egual misura esistito; e sostenitore quindi della libera elezione dei vescovi a clero e popolo o almeno della formazione di terne per libero voto dei capitoli813 .

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Nella legge delle Guarentigie rimasero lexequatur e il placet e non si parl di congregazioni diocesane e parrocchiali: solo lart. 18 del titolo II lasci aperto un valico, poi non percorso, per una successiva riforma dellamministrazione dei beni, che avrebbe potuto anche condurre allattuazione del progetto Peruzzi. E furono, poco pi tardi alcune piccole parrocchie del Mantovano a risollevare tutto il problema e a dargli una soluzione radicale, quasi ultima improvvisa e crepitante favilla prima dellestinguersi del fuoco. Lorigine, era da ricercare nellazione della Santa Sede, nella dura intransigenza che ogni giorno pi la caratterizzava di fronte allo Stato italiano, in cui si ravvisava non soltanto lusurpatore del potere temporale, ma anche, e anzi ancor pi, lo Stato laico erede delle leggi Siccardi, il continuatore dellodiata legislazione ecclesiastica subalpina di dopo il 50814 , questione politico-nazionale e questione propriamente di rapporti Stato-Chiesa intrecciandosi strettamente e la seconda rendendo assai pi difficile il componimento della prima815 . Dalla qual durezza di propositi derivava la precisa volont di immettere, nellalta e bassa gerarchia ecclesiastica, elementi fidati e intransigenti: il sacerdote buon patriota, il parroco che era ad un tempo fedele cittadino, dovevano scomparire per lasciar posto al vescovo e al parroco chiusi in s, ostili alla gerarchia civile, propagandisti non a favore dello Stato, ma contro lo Stato816 . E fu altra e non piccola differenza di tono fra la vita italiana dattorno la met del secolo e il periodo di fine secolo: allora, soprattutto nellItalia settentrionale e centrale, non pochi i sacerdoti accesamente patrioti, validi cooperatori del movimento nazionale e fin martiri dellidea di libert e di nazione italiana; ora, rarissime e tanto pi notate le eccezioni dei chierici che apertamente professassero il loro civismo e patriottismo, un padre Tosti ancora, erede degli entusiasmi del 46 e 47, e, nuovo, un

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Bonomelli. Allora, un Cavour, sia pur forzando le tinte a scopo tattico817 , aveva potuto vedere il carattere distintivo del Risorgimento, di fronte alle rivoluzioni inglesi francesi e spagnuole, nellappoggio e nella cooperazione della gran maggioranza del clero sinceramente religioso, schietto amico della libert818 , e, nel campo opposto, un Radetzky aveva ammonito i comandi militari che vigilassero acci i soldati austriaci adempiessero al loro dovere di buoni cattolici presso il rispettivo cappellano di reggimento, non mai presso i sacerdoti italiani, i quali appartenevano quasi tutti ai pi aperti e pericolosi nemici dellAustria819 . Allora i seminaristi di Milano e di Monza avevan chiesto subito di combattere contro gli Austriaci, perch il posto della Croce era sul campo; e avevano combattuto820 . Ma gi lallocuzione di Pio IX e lo svanire del mito neoguelfo avevano inferto colpi decisivi allottimismo dei primi mesi del 48; le leggi Siccardi la successiva legislazione ecclesiastica Castelfidardo e ora il Venti Settembre avevan fatto tramontare completamente quellottimismo e quella collaborazione. Dei tempi in cui si pubblicavano dichiarazioni di sacerdoti a favore dellindipendenza e libert della Patria821 e in cui padre Passaglia riusciva a mettere insieme 9000 firme tra il clero, per supplicar Pio IX che annunziasse la pace tra lItalia e il Papato, tra Roma metropoli del nuovo Regno e Roma cristiana 228, rimase il ricordo. La gerarchia ecclesiastica venne reclutata ora tra elementi di ben diverso sentire; e cominciarono i vescovi, nominati in gran numero dalla S. Sede dopo la legge delle Guarentigie, e tutti di parte nerissima822 ; e i vescovi premettero decisamente sul basso clero, allontanando gli ecclesiastici sospetti di patriottismo e liberalismo, anche se cari alle popolazioni, e insediando al loro posto uomini di fiducia, anche se men graditi ai parrocchiani. Venne su cos la generazione dei giovani sacerdoti fanatici,

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nemici dichiarati del governo, i quali sadoperavano con zelo grande per introdurre e diffondere le moderne pratiche divote, credendo con ci di concorrere nel pi efficace modo al risorgimento ed allagognato trionfo della Chiesa Cattolica Romana, ed alla confusione e distruzione dellodierna empiet823 ; e al vecchio clero, collaboratore o non molto avverso, si sostituivano, annotava il Guerrieri Gonzaga, i neofiti del gesuitismo un clero che viveva segregato affatto dalla societ civile824 . Anzich la collaborazione con i patrioti, sebbero le punizioni ai sacerdoti che benedicevano le armi italiane, le richieste di ritrattazioni e il diniego dei conforti religiosi supremi ai complici dellusurpazione825 o il diniego, almeno momentaneo, a che il tricolore delle societ operaie entrasse in chiesa827 . Senza dubbio, verano ancora sacerdoti cresciuti nel fiducioso clima del Risorgimento, che rimanevano nellanimo patrioti e avrebbero magari voluto manifestarlo; ma come fare, di fronte alla dura continua pressione dei vescovi a cui facevan riscontro lindifferenza del governo, fermo sulla sua linea di condotta di non immischiarsi nelle cose della Chiesa, e, peggio ancora, lindifferenza o lostilit di parte notevole del ceto liberale e patriota, convinto ormai che il clero fosse un nemico e agisse da nemico? Luna cosa sintrecciava con laltra, irrigidirsi della Curia romana e dellalta gerarchia ecclesiastica, e irrigidirsi di considerevole parte dellopinione pubblica posizioni anticlericali: divenivan rari i sacerdoti alla 48 e la nota antireligiosa saccentuava e la massoneria riprendeva forze e prestigio, in Italia come in Francia, dove pure eran scomparsi i Lamennais e trionfava lultramontanesimo reazionario del Veuillot, ma i difensori della libert si chiamavano ora i radicali che portavano nella lotta una volont anticlericale non conosciuta dai liberali della Monarchia di Luglio. Il basso clero, in quella parte che poteva aver velleit di resistenza, si sentiva iso-

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lato, premuto dallalto della sua gerarchia e non sostenuto dalle popolazioni: avvolto in unatmosfera greve, esiziale, annotava un rosminiano, il teologo Clemente Tacchini, da per tutto fatto segno a disistima a diffidenza, vedeva ai suoi piedi spalancarsi un abisso e al disopra del suo capo udiva i Gerarchi e i Politici contendere per potest e dovizie. E mentregli attonito cerca le cagioni dello straordinario imperversare della contesa, sente i loro colpi piombare su di lui stesso, e piombarvi cos spessi e cos pesanti, che il meschino ne va pesto, spogliato e fatto ludibrio alle genti, quasi egli appunto, egli solo fosse il colpevole di tanto orrendo battagliare828 . Se per laddietro un Parroco aveva una gamba legata, e laltra libera per met scriveva un parroco di campagna ora le avr legate ambedue.829 . Come pretendere che questo clero minore resistesse, anzi insorgesse da solo contro i vescovi, senza appoggio alcuno, aveva esclamato gi nel 64 il Serra Gropelli?830 Come esigere manifestazioni di patriottismo da un povero sacerdote che da un momento allaltro poteva essere buttato sulla strada dai suoi superiori, quando governo e paese avevano dimostrata tanta noncuranza per il clero liberale?831 . Nessun sacerdote osa pi levare una voce di calma e di pace, osservava qualcuno: onnipotenza del Papa e dei Vescovi da un lato, indifferenza del laicato dallaltro inducono al silenzio832 . Molti ecclesiastici che in passato erano stati favorevoli allItalia e al suo governo, continuava il vescovo Strossmayer, ora si voltano contro il governo, dato che per la legge delle Guarentigie veggono abbandonato ogni affare della Chiesa e persino ogni loro avvenire ed interesse materiale in bala assoluta del Papa e dei Vescovi833 . Alcuni anni pi tardi, al termine di una sua inchiesta che gli aveva fruttato pi di 400 risposte al questionario, Leone Carpi traeva le somme sulle condizioni del bas-

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so clero, definendolo irresistibilmente avvinto, volente o nolente, alla politica del Vaticano, abbandonato e trascurato dal governo, avversato dai liberali, povero nella pi gran parte dItalia, in preda a sofferenze materiali e a crudeli torture morali. A vescovi e parroci venivano eletti i pi intolleranti, anche a costo di lasciar da parte sacerdoti integri e colti; lepiscopato pesava con mano di ferro sul basso clero per costringerlo ad eseguire rigorosamente le istruzioni della Curia romana: come pretendere in tali condizioni amore delle istituzioni liberali nei poveri parroci? Il basso clero era il capro espiatorio della prepotenza del Vaticano e delle esigenze dello Stato: come stupirsi se esso, che nelle guerre dellindipendenza non era stato secondo al laicato per patriottismo, nella maggior parte dItalia, ora avesse tralignato?834 . Cos trionfavano gli ultra, che attendevano la punizione dellItalia ad opera dei legittimisti e clericali oltramontani, Francesi e Spagnuoli, Enrico V e don Carlos; trionfavano i codini, desiderosi che tutto andasse a soqquadro per ripristinare sulle rovine dItalia i vecchi regimi
Poi di retrogradi vidi un concilio che vanno in estasi in visibilio Sognando prossima, anzi imminente una catastrofe un incidente, Che a casa il diavolo mander tutti della Penisola i farabutti835

I sacerdoti patrioti dovevano tacere; e tutta una parte del clero, animata da senso civico e da amor di patria, ma di non grandissima energia, sfiduciata e disorientata, per schivar gli urti da una parte e dallaltra, si rimetteva

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alla Provvidenza senza magari far molto per meritarne laiuto. Dal quale abbandono del basso clero trassero motivo, anche pi tardi, aspre critiche alla politica ecclesiastica della Destra: il basso clero, che era anchesso popolo, sera lasciato diventar schiavo dellalta gerarchia ecclesiastica, per colpa del governo che aveva trascurato quel primo dovere dogni statista italiano, rafforzando invece con false e speciose teorie di libert le armi della tirannia papale, il lavoro di sedizione antinazionale e di propaganda gesuitica. Se una colpa vera stata nellazione del governo italiano dopo il 70, anzi gi dopo la morte di Cavour, era bene questa836 . Con laver abbandonato a s il clero che meritava la maggior sollecitudine, perch non fazioso, perch animato da spiriti civili, il governo aveva conseguito il bel risultato che anche i sacerdoti il cui patriottismo aveva a lungo resistito alle suggestioni dei retrivi, spaventati ed irritati dallimmeritato abbandono, passavano ora a frotte nel campo nemico; e cos seguitando, fra qualche anno si sarebbe estinta, con lattuale generazione sacerdotale, anche la memoria dei dolori e delle gioie, che preti e laici avevano avuto in comune quando si trattava di procurarsi una patria837 . E, correlativamente, divent pi fioca assai anche la voce del cattolicesimo liberale dei laici, che il clero vaticano combatteva aspramente come vaso diniquit838 ; sicch mancarono nel laicato degli ultimi decenni dellOttocento quei generosi impulsi e quel fervor religioso che avevano tanto arricchita la stessa coscienza liberale della prima met dellOttocento, e a destra furoreggiarono i codini, i quali, effigiatoun ritratto spaventoso del Cattolico liberale, peggiore delleretico, del turco e del diavolo, appiccano poi quel sonaglio con facilit meravigliosa a chiunque ardisce non pensare come loro. Da ci nato che ogni Cristiano, il quale goda di una qualche

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riputazione, per non esporsi a quegli insulti, crescendo confusione e forse anche scandali, si sta cheto; ed i codini di quel silenzio si valgono per puntellare i loro sogni collautorit del senso cattolico839 . Cos, con rimpianto, parlava un sacerdote; e gli rispondeva dallestrema destra la voce di un altro sacerdote, lombardo e non pi toscano, tutto infervorato dalle sue dottrine della battaglia contro il liberalesimo e il governo italiano, il quale esultava invece per la morte del cattolico-liberale840 come esultavano i partecipanti al congresso cattolico di Firenze nel settembre 1875, acclamando le severe parole di Pio IX contro i falsi fratelli e cio i cattolici liberali che patteggiavano con lerrore841 . Or dunque a Mantova, nella terra di don Tazzoli, che sino al 1868 era stata retta da un cattolico-liberale, mons. Corti, senatore, del Regno842 , e poi, in qualit di vicario capitolare, da mons. Luigi Martini, un ben noto della schiatta dei sacerdoti liberali e patrioti, langelico confortatore dei martiri di Belfiore (fra gli altri, di Pier Fortunato Calvi)843 e inviso alla Curia romana proprio per il Confortatorio, non appena il campo era rimasto libero per la rinunzia dello Stato italiano alla nomina dei vescovi, la Santa Sede sera affrettata ad inviare, da Guastalla, un vescovo intransigentissimo, mons. Rota. Come altrove, anche a Mantova lincarico del nuovo presule era di reggere con pugno di ferro una diocesi tanto inquinata di sentir liberale e nazionale, e di far mettere la testa a posto ai discoli: donde, osserv un americano, William Chauncy Langdon, lo strano fenomeno di un vescovo reazionario circondato da un clero liberale844 . Ma lantitesi doveva essere di breve durata; perch il vescovo, non fornito di exequatur, condannato il 2 maggio 1874 dalla Corte dAssise di Mantova quale colpevole dabuso nellesercizio delle sue funzioni per aver letto ai fedeli, nella cattedrale, lEpifania del 73, unomelia che censurava la legge di annessione di Roma al Regno dItalia845 , il vescovo in-

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transigentissimo cominci ad allontanare gli ecclesiastici sospetti, anche se cari alla popolazione, sostituendoli con uomini di fiducia, piacessero o no ai parrocchiani. E accadde che mons. Rota nominasse un parroco a S. Giovanni del Dosso, dovera un vicario, don Lonardi, bene accetto alla popolazione, mentre il nuovo pastore non lo era; e poi, ancora, a Frassine, un altro sacerdote, anchesso non benviso ai parrocchiani. La risposta dei fedeli fu pronta e decisa: adunatisi pubblicamente, dinnanzi ad un notaio, con tutta calma e perfetto ordine si elessero il proprio parroco che, per S. Giovanni del Dosso, fu lo stesso don Lonardi846 . Era lautunno del 1873; e il 14 gennaio 1874, a Palidano, dove era morto il vecchio don Carlo Pavesi, buon prete e buon cittadino, vissuto sempre con in cuore lItalia, i parrocchiani, diffidando delle intenzioni di mons. Rota, seguirono lesempio ed elessero, solennemente e regolarmente, il nuovo parroco847 . Intervenne Carlo Guerrieri Gonzaga, che nel 48 aveva militato fra i Garibaldini della compagnia Medici a fianco del Visconti Venosta, e come il Visconti Venosta si era poi risolutamente sottratto, con il fratello Anselmo, allinflusso mazziniano, convertendosi al culto di Cavour: altro tipico gentiluomo di campagna, preoccupatissimo di migliorare i suoi fondi, di razionalizzare lagricoltura, di portar a pi alto livello le condizioni di vita dei contadini, ma anche tutto preso dal problema religioso, dallelevazione morale del popolo, e, perci, ministeriale nelle questioni finanziarie, daccordo invece con lopposizione sul problema ecclesiastico, dato che il governo dei moderati gli sembrava fosse venuto meno e continuasse a venir meno al decoro, alla dignit, al dovere morale dello Stato848 . Intervenne dunque questo Ricasoli del Mantovano; ed interpell il ministero, e fece di tutto perch aiutasse un movimento chegli, Guerrieri Gonzaga, non aveva mosso, ma in cui scorgeva un buon au-

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gurio per lavvenire dItalia, risvegliandosi la volont dei laici in cose ecclesiastiche. Accorse poi, a difesa dei parrocchiani e del Lonardi citati a giudizio dal partito del vescovo, il gran patrono ufficiale della libert di coscienza, il Mancini; e lo stesso Guardasigilli Vigliani espresse, alla Camera, il suo personale compiacimento per tal risveglio di uno schietto sentimento religioso, dal quale avrebbe potuto uscire come da causa piccola un grandissimo effetto, e laugurio di un rapido sopravvenire di tempi in cui fosse possibile affidare alle mani del popolo le temporalit ecclesiastiche, mettere il clero in presenza del laicato, obbligarlo a trattar coi fedeli, costringerlo a diventar nazionale cos da conseguire finalmente la pace tra societ civile e societ religiosa. Se ne interess perfino il Gladstone, gi nel 71 preoccupato per leccessiva larghezza della legge delle Guarentigie nei riguardi dei vescovi849 , e ora, non pi primo ministro di Sua Maest Britannica, tornato alle sue predilette meditazioni religiose; ed espresse la sua cordiale simpatia per quei poveri e coraggiosi contadini, per la loro resistenza al sistema di dispotismo, derivante dalla Corte Romana, e che, imposto al clero italiano, fa una guerra mortale alla libert in tutti i suoi aspetti850 . Dalla Germania giunse nata naturalmente, in appoggio al Guerrieri Gonzaga, la voce del battagliero von Treitschke851 . Ma fu rapida fiammata, anche se il tribunale di Mantova prima e poi la Corte dAppello di Brescia assolvessero don Lonardi, nella causa promossa contro di lui e il suo coadiutore, don Seleuco Coelli, da quarantasette contadini, dipendenti da due grandi proprietari di ortodosso sentire852 . Gi nello stesso campo liberale allazione del Guerrieri Gonzaga e alle simpatie del Bonghi, riportato alle sue reminiscenze rosminiane853 , facevano riscontro le preoccupazioni dellufficioso Dina che ci si incamminasse verso una nuova costituzione civile del clero, detesta-

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to ricordo del giacobinismi francese, e si rompesse cos la moderazione della politica sino allora seguita854 . E di fatto il governo, per nulla voglioso di mutare le sue direttive dazione, fin col tenere un atteggiamento alla Ponzio Pilato, anzi sostanzialmente ostile, parecchio scettico, e non a torto, sulle possibilit di un ampio movimento di stile mantovano855 il prefetto di Mantova, dapprima, ingiunse al Cognetti De Martiis, direttore della Gazzetta di Mantova, che difendeva i parrocchiani, di smetterla, lasciando cadere una questione inconsultamente sollevata e ammon il sindaco di Gonzaga, reo di essere intervenuto al banchetto in onore del parroco eletto di Palidano; e il Vigliani, una volta espressi i suoi calorosi voti personali per il risveglio della coscienza religiosa, cant ben altra canzone come guardasigilli, ammonendo che il Governo non poteva svolgere se non azione negativa, contro i ministri del clero avversi allo Stato italiano, ma non era in grado di riconoscere gli eletti del popolo, e doveva limitarsi a sussidi finanziari, temporanei ove non si trattasse di sacerdoti gi rivestiti prima della qualit di economi spirituali della parrocchia. Imporre dallesterno il principio dellelezione popolare? Lo stesso Guerrieri Gonzaga, che aveva difeso le elezioni l dove il popolo le aveva volute, era contrario a qualsiasi idea di simil genere!856 . Intervenire di forza nella vita della Chiesa, contro lalta gerarchia ecclesiastica e questo avrebbe significato il riconoscimento dei parroci eletti? Coloro stessi che avevano auspicato le elezioni popolari del clero e lamministrazione dei beni a congregazioni miste, come il Minghetti, avrebbero visto in questo unoffesa mortale al principio della libert. Le elezioni popolari, s, ottima, auspicabilissima riforma: ma perch volute dai fedeli, per risveglio spontaneo efficace e generale, e pattuite di comune accordo, fra lalto e il basso in seno alla Chiesa stessa857 ; non imposte, e nemme-

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no solo spronate o favorite dal di fuori della Chiesa, dal potere politico. E lasciando la teoria per star al pratico, che guai avrebbero potuto sorgere, proprio in quel momento, a volersi cacciare nel pasticcio delle elezioni popolari! Bastava un Kulturkampf in Europa: il governo italiano lo aveva evitato, finora, nonostante i corrucci del Bismarck, e non intendeva, certo, tirarsi addosso nuova tempesta col Papato858 . Cos, quando i parroci eletti, fidando nelle promesse verbali del Guardasigilli al Guerrieri Gonzaga, assunsero il loro posto nella primavera del 74, cominciarono i guai: solo a stento, dopo mesi di attesa, giunsero i magri assegni del subeconomo. Alla lunga, diventava impossibile resistere; e cos lepisodio mantovano rimase un episodio, di rinnovamento interno della Chiesa ad opera dei fedeli non rest che il ricordo e la Chiesa insist sempre pi sulle forme organizzative interne centralizzate e dominate dallalto. Lo stesso articolo diciotto della legge delle Guarentigie ebbe mai applicazione. Lo si invoc sovente859 ; una commissione parlamentare si pose al lavoro per studiarne i modi860 : ma la questione si esaur l, tra discorsi e commissioni di studi. Presto detto, affidar lamministrazione dei beni ecclesiastici a congregazioni miste: ma se la Chiesa avesse posto il suo veto alla partecipazione dei cattolici? Oppure, non vera da temere lindifferenza di gran parte del laicato, che si sarebbe facilmente lasciata prendere la mano dal clero, nelle stesse congregazioni parrocchiane e diocesane?861 Il laicato ridotto in pillole con il sistema delle congregazioni, sarebbe stato pi facile a digerirsi dal clero, aveva scritto il Giorgini sin dal 1867, e ripetevano altri dopo di lui862 . Questo, a prescindere anche dal convincimento che in tale materia a nulla servisse la coazione esterna, e il problema religioso dovesse esser lasciato allintimo del-

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le coscienze; prescindere infine dai pi modesti, ma sempre necessari calcoli di opportunit parlamentare, quando nessuna discussione poteva eccitar maggiormente il Parlamento di una proposta di legge in materia religiosa. Lo dichiar apertamente il Visconti Venosta alla Camera: allo stato attuale delle cose se si vuol gettare la confusione nella Camera, scomporre i partiti, disciogliere la maggioranza, esporsi a udire dei commiati dolorosi, non vha mezzo pi sicuro ed efficace che di portare in questo recinto una legge di carattere ecclesiastico863 . Pi di ventanni dopo, quando si torn a parlare dellart. 18, il Visconti Venosta espresse compiutamente le preoccupazioni che gi dopo il 70 avevano premuto sullanimo dei moderati: per parte mia, se la Chiesa potesse acconsentire a queste Congregazioni, non ci avrei a ridire. Ma se il Papa proibisse ai cattolici di prendervi parte, come ad una perturbazione dei diritti della Chiesa, di chi si comporrebbero le Congregazioni? Si creerebbe la causa di molti conflitti e di una perturbazione religiosa che, questa volta, potrebbe penetrare nelle parocchie, nei villaggi, in fondo alle nostre tranquille popolazioni. Sarebbe il risultato opposto a quello che ci proponiamo. Ed la ragione per la quale vedrei, non senza timore, nello stato ancora immaturo della quistione, posta dinanzi al Parlamento una legge che sarebbe causa di divisione del nostro stesso partito. Ho nella memoria la faticosa discussione della legge delle Guarentigie su questo argomento. LItalia ha dinanzi a s tante difficolt, tanti problemi che questo della trasformazione del beneficio non mi pare il pi urgente864 . Senonch, il mancato rinnovamento nelle forme vagheggiate dai cattolici alla Ricasoli e alla Guerrieri Gonzaga non signific affatto, come essi temevano, decadimento del cattolicesimo, venir meno del senso religioso, trionfo assoluto dellindifferenza e dellincredulit. Dalla lunga crisi durata pi di mezzo secolo la Chiesa si rieb-

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be; respinti gli assalti dei novatori riprese il suo cammino, riacquist le forze perdute e ne guadagn di nuove, riottenendo universale prestigio, autorit, grandezza e ridiventando una grande potenza mondiale. I fedeli non erano elettori nellorganizzazione ecclesiastica, eppure seguivano; seguivano anzi in rinnovata e pi forte schiera, i battaglioni dellAzione Cattolica fornendo la base laica devota e sottomessa, non pi riottosa alla maniera dei Riasoli. Il clero tenuto rigidamente in pugno dal potere centrale, onde non si ripetessero gli sbandamenti dei decenni precedenti, e costretto ad una ferrea disciplina dal dogma dellinfallibilit; i laici convocati ad agire, sin dallora, in quelle associazioni cattoliche, consigliate subito dalla Civilt Cattolica e rapidamente estese in tutto il Regno, a cominciare dalla Societ per gli interessi cattolici costituitasi in Roma e onorata di un Breve di Pio IX nel febbraio 1871865 ; i giovani gi organizzati sin dal 68 nella Giovent Cattolica; lOpera dei Congressi, larma pi potente866 : su questi saldi pilastri la Chiesa, temporalmente vinta, riprese spiritualmente la lotta, quasi a dar ragione a coloro che nella perdita del potere temporale avevano riconosciuto non diminuzione, bens accrescimento di potenza della Chiesa nel campo che era suo. Gi taluno aveva ammonito, ancora nel 70, che singannavano coloro i quali ritenevano fiaccata per sempre la potenza della Chiesa e tramontato il sentimento religioso nelle masse867 : e lavvenire dimostr quanto fosse esatto tale giudizio e fallace invece la previsione di chi credeva di aver seppellito per sempre il Papato con la breccia di Porta Pia. Parecchi infatti serano illusi, prima e dopo il 70, che la Monarchia italiana a Roma avrebbe cacciato, anzi ucciso il Papato868 , e fra essi limmaginoso Renan869 ; e a nessuno certo era dato prevedere che, in un lontano giorno di giugno, al finir di uno dei periodi pi tristi e tormen-

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tosi della sua storia millenaria, la popolazione romana si sarebbe raccolta nella piazza di S. Pietro per osannare al Pontefice benedicente come al nuovo defensor urbis, al protettore e salvatore della capitale abbandonata dalla Monarchia e costretta volgere lo sguardo angosciato verso le sacre basiliche cristiane, come quando, ai tempi remotissimi dello sfasciarsi di Roma imperiale, fra le ondate dei barbari, martyrum loca et basilicae apostolorum ... in illa vastatione Urbis ad se confugientes suos alienosque receperunt ... unde captivandi ulli nec a crudelibus hostibus abducerentur870 . Nessuno poteva, allora e poi, prevederlo; ma qualche dubbio sulla solidit rispettiva di Monarchia e Papato cominci a germogliare, un decennio dopo Porta Pia, anche nellanimo di fierissimi anticlericali; e lAmari; ora non pi convinto del mito del progresso continuo, pessimista sullumanit che gli appariva destinata ad essere eternamente divisa fra credenti sciocchi e savi increduli871 , si chiese quale delle due fiaccole si sarebbe spenta per prima, Vaticano o Quirinale, e temette che fra un secolo o due la Monarchia avrebbe potuto crollare, ma si sarebbe sempre trovata una vile moltitudine, di ricchi e di poveri, per andar a baciare i piedi al preteso successore degli Apostoli872 . Taluno, anche fra gli uomini di Stato esteri, aveva ritenuto ormai indissolubilmente legate le sorti della Monarchia italiana e del Papato, in Roma: se cadeva luna, anche laltro si sarebbe trovato in posizione insostenibile, entrambi rappresentanti del principio di autorit contro la rivoluzione repubblicana873 . Ma qualche altro pi avveduto politico osservava e assai prima che fosse bandito da parte ecclesiastica il ralliement alla Francia repubblicana che forse non sarebbe stato cos, il Papato avrebbe retto anche se fosse caduta la Monarchia, si sarebbe accomodato anche di una repubblica, e forse anzi pi che di una monarchia874 .

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Moltissimi avevano creduto che fine del potere temporale e fine dellautorit politica del Papato facessero tuttuno, commisurando la forza della Curia romana con i criteri validi per ogni altro organismo politico, territorio sudditi armi, e dimenticando di adattare ai tempi il vecchio monito machiavelliano sui principati ecclesiastici sustentati dagli ordini antiquati nella religione, quali sono suti tanto potenti e di qualit che tengono e loro principi in stato, in qualunque modo si procedino e vivino; e saccorsero ben presto che, conforme al detto di alcuni pi savi875 , la potenza politica della Chiesa non solo continuava anzi cresceva ancor pi, gi nei tempi di papa Leone XIII, s che non sarebbe mai venuto il giorno vaticinato perfino dalla cauta Opinione876 in cui i govenni esteri non avrebbero pi avuto rappresentanza diplomatica presso il Vaticano, affidando tutte le pratiche alle legazioni presso il Quirinale o a speciali addetti ecclesiastici presso quelle legazioni. Altri ancora avevano affermato che la colpa del decadere dei popoli latini, a fronte dei popoli anglosassoni e germanici, fosse non gi della razza, secondo si affermava generalmente, bens del culto cattolico soffocatone di energie, laddove le religioni riformate avevano eccitata lattivit umana, favorendo nazione e libert: del che, anticipando Max Weber, essi adducevano le prove concrete anche della superiorit industriale dei protestanti, del loro pi spiccato bisogno di attivit pratica in confronto ai cattolici chiusi nel tradizionalismo classicistico877 . Ma, decadenza o non decadenza, certo che il sentire cattolico non diminuiva; e ammoniva il Villari a non disprezzar troppo le forze del clero, che erano immense, a star attenti alla gran battaglia che si preparava, impadronendosi per ora i sacerdoti delle scuole salvo a passar poi alla riscossa politica878 ; e incalzava il Sella nell81, che contro le troppo facili asserzioni sul tramonto dello spirito cattolico teocratico linfluenza del pontefice in real-

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t maggiore oggi nel mondo di ci che lo fosse quando aveva il potere temporale879 . Il Papa era qualcosa di pi di un semplice canonico del Duomo, come molti avevan creduto fosse diventato880 , n era possibile farne semplicemente un onesto cittadino al par di tutti gli altri881 ; e perfino il deista Crispi882 , gran propugnatore dei diritti della ragione, illuminista e giacobino, ebbe a momenti lintuizione del fallimento di un sogno di tutta la vita, cap che la redenzione di Roma dal potere temporale non voleva ancor dire la vagheggiata redenzione del genere umano dal potere spirituale del Papa. Vecchio, stanco, amareggiato, not nei suoi ultimi anni, con crescente preoccupazione, i sintomi di ripresa della Chiesa, si accorse del movimento che da qualche tempo avviene nel mondo, anche a suo favore, e parl nuovamente di onnipotenza della Curia e degli sforzi del diabolico consorzio di gesuiti per incatenare ancora lo spirito umano883 . Se una colpa la borghesia italiana aveva, questa non era lavversione alle plebi di cui vociferavano i socialisti, s di averle abbandonate alle stte ed ai preti, senza preoccuparsi della loro educazione morale884 . E col Crespi si sfogava lamico Adriano Lemmi, gran maestro della massoneria, che gli additava il dilagar della lue clericalesca, tutto contaminante, la baldanza eccessiva dei neri ormai padroni di quasi tutta leducazione della giovent, a tal che, non provvedendosi, fra pochi anni si sarebbe avuto nonun popolo di cittadini ma di chierici, grazie anche alle colpe dei prefetti i quali, invece di arginare la marea, aiutavano i clericali a combattere la massoneria885 . Vero che, da Leone XIII in poi, la Chiesa stessa dovette mutar parecchio tono, acconciandosi in parte al mariage de raison con lesprit du sicle previsto in altro senso dallAmari886 : inesorabile sullinfallibilit, lasci man mano cadere, nellapplicazione pratica, parecchio del Sillabo, accett la libert e il progresso, rinunzi a puntella-

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re rigidamente la veneranda maest e limpero dei Re, a cui pareva indissolubilmente legata ancora fra il 70 e l80887 , e, comprendendo la sterilit della loro incantagione sulla forma monarchica888 , patteggi con la repubblica incitando i cattolici francesi al ralliement; anzich contrastare conservativamente ad ogni movimento sociale, parl essa di questioni sociali; concord poscia con governi liberi e men liberi; perfino, e fu momento decisivo, fece buon viso, oltre che alla libert politica, anche alla scienza, cercando e trovando, con lantica saggezza, le formule di accordo, dimentica che lultima opinione erronea condannata nel Sillabo, lottantesima, era stata lopinione di coloro i quali ritenevano che il Romano Pontefice pu e deve riconciliarsi e venire a composizione col progresso, col liberalismo e colla moderna civilt. E se fra il 1870 e il 1880 aveva detto o lasciato dire dai suoi fedelissimi, o Controrivoluzione o niente, sputiamo sulla Rivoluzione, senza far distinzione fra il 1789 e il 1793889 , poi accett l89: del che la politica di Leone XIII verso la Francia fu la visibile prova. La Chiesa distrugger la Rivoluzione, la Rivoluzione distrugger la Chiesa, erano stati i clamori delluna e dellaltra parte. Ma chi si sollevi al di sopra delle polemiche vede non certo distrutto il Papato dalla Rivoluzione, ma n meno il liberalismo, il progresso, la civilt moderna fermati e risospinti indietro dal Papato. Caute et prudenter, nel suo stile, la Chiesa romana fini con laccettare la lezione dei tempi; e la sua riforma la fece, non nei modi vagheggiati dai Rosmini, dai Lambruschini, dai Ricasoli, ma non meno sicuramente, tanto dal finir col riconoscere non soltanto lunit dItalia con Roma capitale, avallando lusurpazione, ma con laccettare anche uno Stato che non era certo pi lo Stato confessionale alla Carlo Felice e alla Carlo Alberto. Gli estremismi delluna e dellaltra parte, come suole, non si realizzarono; ma luna e laltra

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parte, anche la Chiesa, dovette riconoscere qualche cosa e patteggiare col suo contraddittore890 . La scienza, che era apparsa un d inconciliabile con la fede, si concili largamente con la fede; e la Chiesa ebbe talora per alleato lo stesso formidabile progresso delle ricerche: spalancandoglisi dinnanzi mondi sconosciuti, salendo ad altezze vertiginose, lo scienziato, preso nellincontenibile successione dei suoi esperimenti di cui sempre meno la ragione poteva calcolare con esattezza i risultati ultimi e dominar gli sviluppi, scrut sempre pi a fondo nei segreti della natura ma, quasi sopraffatto, chiese poi a Dio il perch dei segreti. Onde, gi in quel declinar di secolo il mite e grande Pasteur opponeva, tranquillo, la sua ferma credenza religiosa al positivismo del Taine; e i due uomini non si intendevano pi, luno erede ancora della mentalit di mezzo il secolo, la scienza come libero pensiero sciolto dai nessi con lineffabile religioso, anzi alla religione ripugnante, e laltro esempio di un nuovo tipo di scienziato, arditissimo nelle concezioni tecniche, ma non pi libero pensatore anzi solidamente ancorato alla fede degli avi. Taine credeva ancora di poter trovare nella scienza la soluzione dei problemi eterni delluomo e di risolver con essa la maggior questione dellimmortalit dellanima; ma Pasteur, sorridendo, ah! Monsieur, certe question, vous ne trouverez pas une solution dans nos cornues891 . La fede nei trionfi della scienza, come trionfi di una concezione del mondo alla quale fosse lecito prescindere dalla religione, questa fede si oscur anchessa, lentamente, lentissimamente, ma non meno sicuramente, tra Ottocento e Novecento, sino a quando le grandi catastrofi belliche non sopraggiunsero a ridar definitiva presa sugli animi al verbo di Dio, e la consolazione della Croce riebbe tutto il suo antico fascino. Cos fu che, lungi dal vedere Papato e Chiesa pencolare, piegarsi e cadere come vecchia rovina, i propugnatori della Scienza-Libero

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Pensiero, che si erano illusi il tempo lavorasse a favor loro, con i progressi incessanti delle scienze naturali e della critica storica892 , poterono assistere ad un progressivo rinvigorimento di Chiesa e Papato. La scienza non distrusse la fede, non divenne la sola religione, la sola legge, la sola consolatrice degli uomini, adempiendo a questi uffici in modo ben pi compiuto, pi efficace e pi costante non abbiano fatto infino ad ora tutte le religioni positive del mondo, secondo aveva auspicato, nel 1874, Giovanni Maria Bertini893 . A scemar vigore al mito della scienza non fu propriamente soltanto e nemmeno in prima linea la controffensiva della Chiesa: ch anzi, nellinterno stesso della comunit dei sapienti si avvertivano sin dallora esitazioni, dubbi, rimorsi; e con ci le prime incrinature del tempio, le quali offrivano arra di successo sicuro alla controffensiva della Chiesa. La cultura, la scienza in sostituzione della fede: e la cultura volle dire anche sforzo per listruzione del popolo, che doveva esser posto in grado di capire, di discernere il vero dal falso, di rifiutare le superstizioni; volle dire cio lotta contro lanalfabetismo. La scuola fu battezzata perfino dal Depretis solitamente cos privo di pathos la chiesa dei tempi moderni894 ; apparve come lunico mezzo dazione da contrapporre allinfluenza della Chiesa sulle moltitudini895 : e non a caso la legge sulla obbligatoriet della istruzione elementare gratuita venne approvata solo nel 1877 sotto il governo della Sinistra, vale a dire della parte pi nettamente anticlericale, di cui fu la prima grande riforma, precedendo di quattro anni la stessa riforma della legge elettorale politica. Con essa, linsegnamento religioso nelle scuole divenne puramente facoltativo, dopo che Benedetto Cairoli aveva affermato, in piena Camera, la necessit che ogni buon padre di famiglia impedisse ai figli persino la lettura del catechismo896 .

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Listruzione: parve il toccasana di tutti i mali e lo spaventevole spettro di diciassette milioni di analfabeti fu agitato come lo spettro dellonta italiana ma pur fra i ceti alti ma anche, e forse soprattutto fra gli stessi operai897 , i quali sin dallottobre del 1856, nel congresso di Vigevano delle Societ Operaie, avevano chiesto lobbligatoriet dellistruzione elementare, ripetendo il loro voto nel congresso di Roma dellaprile 1872898 . Ma ben presto apparve a pi duno che diffusione della cultura, educazione del popolo significavano anche dare alle plebi armi per la loro lotta contro il persistente predominio degli alti e medi ceti, alimentando socialismo, anarchismo e simili conati di rivolta contro il mondo borghese. Lincredulit poteva condurre alla rovina della Chiesa, ma simultaneamente anche alla rovina della seriet esistente, siccome da tempo affermavano i padri della Civilt Cattolica; a far perdere la fede in Dio alle masse, si correva il rischio di non poterle pi trattenere, nemmeno fuori di chiesa, nelle tradizionali forme di vita. Listruzione obbligatoria era necessariamente connessa, tosto o tardi, con suffragio universale e democrazia: Flaubert lo aveva compreso subito, nemico delluno e dellaltra e quindi anche della prima e convinto della necessit dei mandarini; Flaubert, al quale poco importava che molti contadini sapessero leggere e non dessero pi ascolto al loro parroco, ma importava assai che molti uomini come Renan e Littr potessero vivere e fossero ascoltati899 . E anche Renan, pur illudendosi che il razionalismo ben inteso fosse lungi dal condurre alla democrazia, deplorava che le scuole francesi divenissero focolai di spirito democratico poco riflessivo e di una incredulit che si traduceva in una sciocca propaganda popolare900 ; e vedeva la via di salvezza, proprio lui, il nemico del Papato, in un accomodamento con la Chiesa, sulla base delle verit progressive. Ai parroci di campagna leducar il contadino, accordando Chiesa e scuola; ai

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dotti, invece, piena, assoluta libert di pensare. Prendetevi il gregge e rispettate gli eletti: libero pensiero ai secondi, sillabario e catechismo ai primi901 . Aristocraticismo culturale, nelluno come nellaltro dei due scrittori francesi; disdegno del volgo, consapevolezza che i valori raffinati della cultura sono per pochi eletti? Anche questo, certo902 : ma non senza che vinterferissero, appunto, preoccupazioni di altro genere, e cio insofferenza anche della democrazia politica, timore di sommovimenti dal basso che turbassero la quiete e togliessero luomo di studi dalla sua tranquillit e dal pacifico discorrere con le proprie idee. Legittimista per natura, Renan odiava le rivoluzioni, quelle rivoluzioni che gli avevano reso il compito cos difficile903 . Conservatore, avversava il suffragio universale, le masse brute dei contadini, a cui era meglio dar calci nel sedere che il diritto di voto: e stessero quindi, questi bruti pericolosi, con il parroco che, solo, poteva tenerli buoni. Un secolo innanzi, gli illuministi e massimo fra tutti il Voltaire avevano anchessi parlato della necessit delle luci progressive, graduate: e quelle della plebe sarebbero state sempre confuse, ed era bene che cos fosse e che solo ai buoni borghesi, agli honntes hommes venisse riservata la rivelazione del vero904 . Nei nuovi illuministi della seconda met dellOttocento, quel principio rimaneva saldo, pur variando i motivi per cui lo si invocava: Voltaire aveva temuto che contadini istruiti divenissero teologi, e cio aveva temuto listruzione di seminario; Renan temeva ora che contadini ed operai trovassero nella mezza scienza delle scuole elementari laiche lincentivo a tramutarsi in adepti del socialismo e dellInternazionale. E non erano nemmeno novit assolute, queste del Renan; si poteva rammentare il corriamo a gettarci nelle braccia dei vescovi; essi soli possono oggi salvarci, che sarebbe stato pronunziato, dopo la rivoluzione parigina

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del febbraio 48, da Victor Cousin, gran pontefice ufficiale della filosofia universitaria francese, ex-carbonaro e liberale, gi prima del 48 per vero assai prudente, solito a impartire ai suoi discepoli che andavano ad insegnare in provincia il consiglio di star in buon accordo con i vescovi, anzi di recarsi subito da monsignore per dirgli che la filosofia non avrebbe mai avuto influenza che sulle classi colte, mentre la religione era necessaria per il popolo; e dopo il 48 divenuto talmente prudente da abbandonare i suoi allievi alle vendette del clero905 . Molto pi importante, il deciso aiuto dato nel 1849-1850 dal Thiers allapprovazione della cattolica legge Falloux, che riapriva al clero, con la libert dinsegnamento, larghe possibilit dinflusso sulla formazione dei futuri ceti dirigenti francesi906 . Luomo, che nel 1845 aveva difeso contro la Chiesa il monopolio universitario laico ed era stato, con il Dupin, lautorevole interprete dellanticlericalismo ed antigesuitismo francese, quattro anni appresso, spinto dal terrore dei rossi, eccitato dalla sorte de rage da cui era sito invaso di fronte ai moti del giugno 48907 e che lo avrebbe ripreso nel 71 di fronte alla Comune, quattro anni appresso mutava totalmente fronte e, fra lo stupore dei suoi ammiratori di oltre frontiera908 , apriva le braccia al clero, incitando a dargli perfino il monopolio dellistruzione elementare e andando cos assai oltre gli stessi desideri del clero e del suo amico, il pi accorto abate Dupanloup, che doveva calmare gli eccessi di zelo del neofita909 . Il vivacissimo e mobilissimo Tarmerlan lunettes del 1871910 , ammetteva francamente di aver cambiato idea: non per una rivoluzione nei suoi convincimenti, ma per una rivoluzione nello stato sociale del paese. Oggi che tutte le idee sociali sono pervertite, e che in ogni villaggio ci si vuol dare un maestro di scuola giacobino, io considero il parroco come un indispensabile rettificatore delle idee del popolo. Egli gli insegner almeno, nel nome di

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Cristo, che il dolore necessario in ogni condizione sociale, che la condizione della vita, e che quando i poveri hanno la febbre non sono i ricchi che la inviano loro ... Quando lUniversit rappresentava la buona e saggia borghesia francese, educava i nostri figli secondo i metodi di Rollin, anteponeva i vecchi e sani studi classici agli studi fisici e puramente materiali dei fautori dellinsegnamento professionale, oh! allora io le sacrificavo la libert dinsegnamento. Oggi, non sono pi della stessa idea. E perch? perch nulla pi come prima. LUniversit, cadendo nelle mani dei materialisti e dei giacobini, pretende insegnare ai nostri figli un po di matematica, di fisica, di scienze naturali, e molta demagogia ... Io sono quel che ero; ma non faccio che puntare i miei odii e la mia forza di resistenza l dov oggi il nemico. Questo nemico, la demagogia, e io non gli abbandoner lultimo resto dellordine sociale, vale a dire listituzione cattolica E quindi, niente istruzione gratuita e obbligatoria, che sarebbe stata unapplicazione del sistema comunista; e attacchi violenti contro i maestri di scuola veri antiparroci nei comuni, parroci dellateismo e del socialismo. Cos la paura del socialismo guidava verso nuove amicizie ed alleanze politiche il borghese Thiers che, quando invece si trattava dellistruzione secondaria, degli istituti dove venivan su i figli degli honntes hommes, e cio della borghesia, e dove quindi non cerano, o almeno si pensava non ci fossero pericoli di sovversivismo911 e, ritrovava i suoi antichi spiriti e, anticipando Renan, chiedeva libert di discussione filosofica e cercava di limitare linflusso di quello stesso clero chiamato in aiuto contro i bassi ceti; e il Dupanloup doveva nuovamente replicargli che la religione buona tanto per i ricchi quanto per i poveri. Il terrore del sovversivismo, un momento sopito durante la bonaccia del Secondo Impero, era stato rincru-

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dito, nella primavera del 71, dalla Comune, che aveva mostrato come il fuoco covasse tra le fondamenta delledificio; e vedeva giusto Taine, nel 1851-52 vittima della reazione clericale, quando temeva che di fronte al dilagar della democrazia le classi alte e medie poggiassero a destra, divenissero clericali, cercando la gendarmerie dove credevan di poterla trovare, e cio nel cattolicesimo, non rifuggendo al caso dal cercar nuovamente riparo anche nel bonapartismo, vale a dire nella dittatura912 . Taine stesso, daltronde, sul tramonto della sua operosa vita di sacerdote della scienza, diventava scettico sullefficacia del culto tanto a lungo professato; e vide anchegli nellanticristianesimo un potente ausiliare del socialismo egualitario, ormai entrato nel sangue della Francia come lalcool nelle vene di un alcoolizzato o la morfina nelle vene di un morfinomane, e se nusc in una sconsolata affermazione: i nostri libri servono alla storia, alla scienza; ma il nostro influsso sulla pratica infinitamente piccolo913 . Divenne cos duso comune il detto che, a spegnere il sentimento religioso, e cio anche la rassegnazione al patire, si otteneva soltanto di scatenare lamarezza e la violenza delle folle affamate, non pi contenute dalla reverenza per gli arcani decreti di Dio e sollevate dalla speranza nella vita eterna, dolce per chi avesse sofferto nella vita terrena914 : nel vedere i contadini miseri e afflitti che non si ribellavano al loro duro destino, ma laccettavano come castigo di Dio e si recavano in chiesa a pregare con ferma fede, si capiva quanto avesse torto Proudhon nel proclamare linutilit di Dio915 . Non dissimili pensieri passarono pel capo di non pochi Italiani, e perfino di liberi pensatori, a mano a mano che le condizioni interne del Regno si complicarono per il fermento che saliva dal basso. Anche qui, gi dopo il 48 molto ottimismo era caduto; e si poteva rammentare quel che il Lambruschini aveva detto nellAccade-

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mia dei Georgofili, il 4 agosto 1850, prendendo spunto dallimpensato e lagrimevole fatto sopravvenuto a porger nuove armi ai nemici delle scuole per il popolo, e cio la propagazione di dottrine sovvertitrici, fatta recentemente in Francia da un certo numero ... di maestri delle scuole primarie divenuti evangelisti del socialismo. Cos ad antiche ire, ad antichi dubbi, si sono aggiunte nuove ire e nuove dubbiezze e a dubitare hanno cominciato alcuni di coloro che combattevano gi con noi indotti a temere che listruzione possa meno, per infondere nel popolo il rispetto alla religione e alle leggi, per inculcargli losservanza dei propri obblighi nella famiglia, nella citt, nella chiesa, e per meglio ammaestrarlo nellesercizio delle arti, di quel chella valga a disamorarlo della semplice e tranquilla vita del campo, della bottega, della casa, a inorgoglirlo per vana opinione di sapere, ad agitarlo di smodati appetiti, e a preparare quelle cieche e servili turbe che con uno o con altro vessillo conturbano poi lo Stato e manomettono gli stessi ordini sociali. Trepidazione di uomini di poca fede, osservava il Lambruschini che, per conto suo, non rinnegava la fede e non si lasciava sopraffare n abbattere da questi nuovi fantasmi916 . Ma i fantasmi non serano dispersi; e dopo la Comune e con linfittire successivo dei segni di malessere sociale, anche in Italia, affollarono le immaginazioni pi di prima, e gli uomini di poca fede crebbero di numero e talora anche di autorit. Gi nel 1871 Ruggero Bonghi, protestando contro lassociazione degli studenti universitari di Pisa, rea di aver esaltato le gesta dei comunardi di Parigi e di intorbidare lanima della giovent studiosa, con un pessimo spirito, malsano, vizioso, facendo della scolaresca uno strumento dellInternazionale, e contro lassociazione degli studenti medi di Jesi, anchessa sospetta di inquietanti tendenze, rivendicava ai padri di famiglia il diritto di

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non tollerare che i loro figliuoli tornino a casa presumendo di avere diritto, prima dessersi affacciati, son per dire, alla vita, dinsegnare agli uni il modo di reggere lazienda privata, agli altri il modo di governare lazienda pubblica917 . Ed erano, ancora, Unversit e scuole medie, le pupille degli occhi della borghesia! Quando dunque si passasse allinsegnamento elementare, che toccava anzitutto le plebi, cera da rifletterci ancora di pi. Lo si pot veder bene nelle discussioni sul progetto di legge per lobbligatoriet dellistruzione elementare: nel 74, era lon. Lioy a lanciare un grido dallarme contro coloro che facevano i maestri in mancanza di meglio ed erano gli apostoli di quelle idee sovversive con cui i membri corrotti della societ vagheggiano lo scompiglio del consorzio civile, mentre lon. Castiglia insisteva sui danni della legge la quale, gravando sui poveri, avrebbe condotto i figli della miseria soltanto a leggere i giornali umoristici e quegli altri dove si trova quella sapienza che trascina al socialismo, e dal socialismo vi gitta alla materialit, alla materialit che finisce al pi sfrenato scetticismo918 . Cos che, nel 77, il ministro Coppino, nella relazione al disegno di legge, doveva poemizzare contro coloro i quali troppo temevano dalla mezza scienza la creazione di un proletariato malcontento e inquieto, affermando di non veder per conto suo, nellinsegnamento dellalfabeto, un nemico cos spaventoso dellordine e della pace sociale919 ; e i deputati Incagnoli e Fambri sassociavano nel ritenere esagerati i pericoli della mezza scienza, atta soltanto a creare degli spostati e a intristire gli animi920 . Motto non infrequente, soprattutto nelle campagne, fra i codini, era che la scuola essendo fonte di socialismo, se la gente non sa leggere e scrivere tanto di guadagnato921 ; e pi pass il tempo e pi inquietante apparve, agli occhi dei benpensanti, la figura del maestro di scuola, dimesso nei panni e acceso di animo, di que maestri tra i quali in effetti il socia-

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lismo trov larga messe di reclute, propagandisti e quadri direttivi, onde a un certo momento la Milano socialista fu, anche, la Milano dei molti e bene organizzati e attivi maestri elementari. Cos che, dopo lattentato Passanante, quando tutta Italia conservatrice insorse contro la politica del reprimere, non prevenire alla Cairoli e alla Zanardelli, il Bonghi pot rivolgere i suoi attacchi anche contro i professori i quali annunciavano dalla cattedra le dottrine pi sbrigliate e contro i maestri elementari di opinioni estreme, i quali sassociavano naturalmente nel paese con tutti gli altri sovversivi922 . Listruzione non bastava; occorreva leducazione, cosa diversa e non identificabile senzaltro con la prima, anzi923 . Il feticismo dellalfabeto voleva dire lo Stato in mano alle plebi cittadine, allelemento pi scontento, pi presuntuoso per la sua mezza dottrina, pi spostato, pi sovversivo della nostra societ924 ; la mezza dottrina era il pi pericoloso dei fermenti925 , e meglio dunque la crassa ignoranza delle moltitudini al presuntuoso restar sulla soglia con lillusione di esser gi in fondo al tempio della scienza926 . Codesta cieca fede nella scuola e nei libri di lettura, rosea illusione di pedagogisti superficiali e di vecchi retori, superstizione del secolo conduce a questo tuonava alla Camera, fra i bravo e i benissimo della Destra, lon. Lioy contro il progetto di legge elettorale nel 1881: che voi concedete il voto alle folle corrotte della citt, ai fuchi scioperati e violenti dellalveare sociale, solo perch sono stati a scuola e sanno sbraitare nelle taverne spropositate dottrine religiose, politiche e sociali: e lo negate alla pura e sana democrazia dei campi che nellalveare sociale rappresenta gli operai continui e utili. Date voto ai faziosi; e lo negate a coloro che, come soldati, incaricate di sorvegliare i faziosi. Via questi feticismi, queste superstizioni del sec. XIX! La scienza non pane per la plebe; il proletariato anarchico della scienza accetta solo le coriclusioni che possano confer-

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mare terribili negazioni e demolizioni brutali. La scienza eminentemente aristocratica927 . Il progresso della civilt risiede nelle classi colte, la cui educazione la sola ad aver importanza per il genere umano: la teoria dei mandarini, cara al Flaubert, reclutava seguaci anche in Italia928 , non ultimo il Carducci, ufficialmente democratico in quegli anni e amico del Cavallotti, eppure ostile allistruzione obbligatoria, questi avori forzati del saper leggere un po pi che per il suo consumo, e declamante contro questa stupida volontaria materiale e morale degradazione e torttura del secolo, contro lalfabeto il pi ipocrita strumento di corruzione e delitto che luomo, questo animale eminentemente falso, abbia inventato929 . Per parecchio tempo, certo, a trattener molti dal gettarsi nelle braccia dei vescovi e dallabbandonar ai parroci la scuola, intervenne la particolar situazione dellItalia, con Papato e parte del clero, soprattutto dellalto clero, avversi allunit nazionale, s che il loro trionfo avrebbe segnato nuovamente la fine della patria; e il pericolo clericale, di ben altra portata in Italia che in Francia, apparve ancora per lunghi anni pi grave di quello socialista, o, come diceva il Sella, lInternazionale nera si present assai pi minacciosa di quella rossa. Dei due pericoli che potevano minacciare le istituzioni pubbliche, per lassai minore gravit del problema sociale e per la ben diversa natura del conflitto con la Chiesa, lItalia doveva risentire il pericolo della reazione nera assai pi della stessa Francia, dove pure esso costituiva gi un motivo di tanta forza nello sviluppo della Terza Repubblica: cos, la battaglia parlamentare per lobbligatoriet dellistruzione primaria fu condotta dagli uomini della Sinistra nel nome del libero pensiero contro la teocrazia, e fu una grande battaglia politica contro la Curia. Il fondo della questione, aveva detto gi il Correnti, relatore sul progetto di legge nel 74, era propriamen-

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te questo, scuole laiche contro scuole clericali, due secoli lun contro laltro armati930 ; e, continuava il Coppino, ministro nel 77, consisteva nel decidere se lItalia dovesse essere uno Stato veramente e compiutamente moderno, o continuare a vivere oscillando fra vecchio e nuovo, nella pi contraddittoria e pericolosa delle situazioni. ... coltivando nel medesimo tempo il vecchio ed il nuovo, quello per effetto di abitudine, questo costrettivi dal moto di tutta la civilt che ci attornia e ci invade, si generano nel paese antagonismi, contrasti e contraddizioni, per cui una parte della popolazione vive colla testa in un secolo, e unaltra in un altro, e in mezzo alle quali in ultimo non pu assiderai arbitra se non la violenza ... Dove, per forza di tradizioni tenaci, tardo e restio lo svolgimento della coscienza religiosa, la scuola rimane lunico mezzo di elevar gli uomini alla pari colle istituzioni liberali e di mettere nel modo di pensare e nellanimo di tutti il fondameto di riforme, che altrimenti non penetrano nei costumi e mangono alla superficie a modo di piante senza radici931 . A Roma staremo, dichiarava Benedetto Cairoli, malgrado le evidenti cospirazioni e le possibili aggressioni, non solo colla forza morale del diritto, ma colla demolizione progressiva del pregiudizio fatta dallinsegnamento932 la legge sullistruzione obbligatoria, continuava un acceso tribuno della Sinstra, lon. Michelini, una legge di polizia, di salute pubblica: salviamo la patria, e tiriamo un velo sulla statua del diritto costituzionale offeso dal nuovo obbligo. Il nostro nemico quello della libert e dellincivilimento la Chiesa; ad essa noi dobbiamo opporre larma dellistruzione, la sola da cui sia vulnerabile933 . Abbiamo ereditato dei cattolici, concludeva il Petruccelli della Gattina, tramandiamo ai posteri liberi pensatori ed uomini. Il cattolico non n cittadino n uomo Facciamo nellordine morale ci che gi si compiuto nellor-

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dine politico, e dopo aver abolito la teocrazia temporale, facciamo crollare la teocrazia spirituale esautoriamo la Chiesa con la scuola laica934 . Compiliamo un catechismo civile, insegnando le massime di giustizia e di morale sociale, aveva proposto il 28 gennaio 1874 lon. Mazzoleni, anchegli convinto che bisognasse contrapporre al dogma la scienza935 . Insegnamento obbligatorio, niente libert dinsegnamento chera una bella cosa m teoria, ma non doveva convertirsi in libert di avvelenare gli animi936 . A lungo ancora, dunque, la paura del clericalismo previa sulla paura dei rossi; la fede nella scienza fu quasi un coi Lario della fede nella patria e, in molti, fece tuttuno con il sentimento nazionale. Ma lentamente, con progressione continua e sicura, lorrore della superstizione perdette forza e meno morse gli animi, e pi cominci a morderli la paure dei moti di piazza ad opera delle plebi. E se gi fra il 1874 e il 1877 seran levate voci a combatter il principio stesso della obbligatoriet dellistruzione elementare, come fonte di pericolo sociale; se nel 1881 qualcuno aveva detto che sostituire la scienza alla fede era il programma dei nihilisti russi937 , nel 1883 altri chiese in Parlamento che il governo intervenisse a migliorare le condizioni del clero, di quei poveri dello spirito ... i quali ... nei comunelli rurali sono i soli che abbiano parole di conforto per le derelitte popolazioni, e le sollevino allaltezza di qualche sentimento morale, che invano cercherebbero altrove938 . Perch, quali erano i frutti della scuola nuova? Quale la sua efficacia educativa, la sua opera nel formar uomini dabbene, morali e cio buoni cittadini, devoti alle istituzioni? Bastava a ci listruzione sola; o non avevano ragione, invece, coloro che da tempo battevano sulla necessit di porre a base dellinsegnamento la credenza religiosa, di bandir dalle aule il verbo materialistico e ateo, seminatore non di verit ma di corruzione e di disordi-

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ne, rovina della collettivit come dei singoli? La morale sociale o civile o indipendente, e cio laica, non era la morale del sacrifizio, della subordinazione volontaria delluomo a un fine superiore a lui; non questa rendeva lindividuo capace di azioni grandi e di cittadini educati a tale scuola lo Stato non poteva accontentarsi. Rendere indipendente la morale dalle credenze religiose, in quanto a noi non lo comprendiamo di pi di quello che rendere indipendente un edilizio da suoi fondamenti. E perci, affermava un giurista come Giuseppe Piota, e perci chiudiamo le cattedre delle scuole primarie e secondarie allateo, al materialista, allo scettico, ed anche al semplice deista. Lungi dal sacerdozio di quellinsegnamento chi ha castrato lanima sua dellidea e del sentimento religioso. A siffatti eunuchi noi non dobbiamo affidare leducazione morale e intellettuale de nostri figli939 . La difficolt comune a tutti i partiti liberali dEuropa, segnatamente nei paesi cattolici, proprio questa, dicevano altri: essi tendono a dissolvere il sistema di disciplina, di dottrina, di sanzioni proprio della Chiesa cattolica, sistema che pu essere oggetto di molte censure, ma che efficace e consolante per le classi che ne sono persuase; e che cosa vi sostituiscono? Nulla. Nessuna dottrina morale che compensi quella religiosa940 . Si aprano pure scuole e casse di risparmio: ma la malattia terribile di cui lEuropa soffre non si sana n con le une n con le altre, n con qualsivoglia simile mezzo. Tali cure non avranno altro effetto che quello dellacqua sul petrolio. Le classi popolari che hanno dato cos terribili esempi a Parigi non sono le pi incolte, bens le pi colte. Occorre un profondo rinnovamento intimo e morale, da cima a fondo; ma dove trovare una fonte di educazione morale che non sia anche religiosa? Dove pu ricercarla lo Stato, se ricusa laiuto di qualunque Chiesa? Solo ottenendosi lunione dellinfluenza religiosa di quella intellettuale, li-

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struzione delle classi povere sar il balsamo della societ; altrimenti, ne sar il verme roditore941 . Nel 74, ministro, il Bonghi lamentava questa tragedia morale dello spirito umano, la dilacerazione nella coscienza semplice del popolo tra istruzione civile e istruzione religiosa942 nel febbraio del 1882 deplorava lo scetticismo dei giovani, non riguardo alla certezza della scienza, ma di fronte allal di l, ai problemi eterni su cui la scienza nulla poteva dire e quando qualcosa ne afferma o nega, lo fa, sto per dire, di nascosto; e richiamata a s, ringoia le parole, e i giovani si trovano abbandonati e soli943 . E il 1 marzo 1883, lumeggiando alla Camera le gravi condizioni morali dellinsegnamento elementare, da cui uscivano giovani non molto docili e tristi, ritornava sul tema prediletto, che era una sciagura il dissidio tra scuola e fede in un paese nel quale tutte le plebi che voi volete mandare a queste scuole sono religiose, senza nemmeno aver supplito alla mancanza dellinsegnamento religioso fornendo ai giovani gli elementi morali una volta procacciati dalla religione. E lamentava che i maestri e professori troppo spesso invece di educare i fanciulli sintrattenessero di politica e di partiti, qua discussioni materialiste, e l ateistiche, e guidassero dimostrazioni in piazza, generando scetticismo nei ragazzi, disordine morale e sociale nelle masse, onde tosto o tardi il governo avrebbe dovuto stringere i freni e ricondurre sulla retta via gli educatori del popolo944 . Nelle Universit, libera ricerca anche fuor della religione; ma nelle altre scuole, attenti a non toccar le cose di fede: erano, ancora, Thiers e Renan. Dubbi e rimorsi di tal genere sannidavano anche nellanimo di molti altri degli uomini della Destra; e Giovanni Lanza, sempre tenacemente fermo sul principio della separazione fra Chiesa e Stato, esprimeva tuttavia, non pi ministro, le sue perplessit sullefficacia dellin-

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segnamento e ammoniva che il divorzio, e peggio lantagonismo fra religione e scienza poteva riuscire fatale alla societ moderna945 . Altri proponeva che, mancando il Vangelo nelle scuole, si educassero i giovani con Epitteto, MarcAurelio e la fiera morale degli antichi stoici946 : ma uno era il sentire, la paura del vuoto morale che la scuola lasciava negli animi. Anche a parlare in nome della scienza, qual contraddizione voler praticarne il culto e, ad un tempo, con il suffragio universale, abbandonare il potere politico alle classi che erano agli antipodi della scienza, a quei greggi di bipedi ancora immersi nelle tenebre dellet della pietra!947 . Perfino Crispi, nei suoi ultimi anni, amareggiato e pessimista, constatava che la ragione dovrebbe essere pi potente della fede, ma non lo 948 , e si doleva che i governi avessero trascurato leducazione del popolo, accrescendo s il numero delle scuole, ma senza che in esse sinculcassero efficacemente i doveri delluomo e del cittadino, si coltivasse il cuore, si alimentasse la mente con princpi di morale capaci di dare uno scopo alla vita: donde lo scetticismo, lincredulit dei giovani949 , e, in alcune parti del Regno, il cader delle plebi stanche e sconfortate nelle braccia del prete950 . Perfino lui, di cos forte spirito anticlericale, nei torbidi anni di fine secolo fini col dire meglio i clericali che i socialisti951 , invocando nel discorso di Napoli del settembre 1894 lunione della potest civile e della religiosa, con Dio, col Re, per la patria, contro la setta infame sbucata dalle pi nere latebre della terra952 . Uomini di Destra e uomini di Sinistra, cattolici liberali e massoni, si trovavano dunque daccordo nelle deplorazioni e nei timori: e tocc ad uno della nuova generazione, non sospetto certo di simpatie nere, di esprimerli con tutta chiarezza. La legge del 77 ha tolto il catechismo dal novero delle materie oggetto di esame; e fece bene. Ma, continua-

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va Ferdinando Martini, relatore della giunta del bilancio sulla Pubblica istruzione, sera pure raccomandato al ministro di provvedere con regolamento perch listruzione religiosa venisse impartita a tutti gli alunni i cui genitori ne facessero richiesta. Ci non stato fatto; e resta in balia dei municipi il far impartire o no linsegnamento religioso. Bisogna uscire da tal confusione. Se certi ideali vi paiono tramontati, se siete capaci di sostituirne altri, se credete ci sia in vostra facolt, affrettatevi a cotesta sostituzione. Egli certo ... che, senza ideali, non c uomo di Stato per esperto che sia, che possa, alla lunga, governare; non c popolo, per docile che sia, che si lasci governare alla lunga. Senza alti ideali non prosperano nazioni, non fioriscono civilt. Ora, che d la scuola italiana anche dopo la legge del 77? Scarsi frutti, minori assai di quelli che sera sperato, pensava il Martini, pienamente consenziente con altri colleghi per i quali la scuola era ridotta ad una fabbrica di cattivi elettori953 : e la colpa del sistema. Se voi non formate il cittadino nella scuoia, voi avrete un bellempire gli arsenali di armi; esse non serviranno a nulla se voi non le affidate a mani mosse da cuori forti e generosi che sentano profondo laffetto alla patria. Bovio ha detto, finch non si risolve la questione sociale, non vi sar una buona scuola popolare: io inverto i termini ... e dico: finch non ci sar una buona scuola popolare, la questione sociale sar insolubile, e Per quanto voi siate disposti a concedere colle vostre leggi di riforma sociale, non farete che inasprire gli appetiti, perch mancher, in colui che deve ottenere, la educazione suffciente a pregiare il beneficio. Finch voi non abbiate insegnato a distinguere le sembianze austere del vero, e le parvenze lusinghiere dellutopia, finch [non] avrete buona scuola popolare, la questione sociale non sar altro che unalterna vicenda di speculazioni infeconde da una parte, e di cieche violenze dallaltra954 .

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I volteriani avevan paura che il volterianesimo trascinasse il popolo, la populace aborrita dal maestro; si allarmavano nel constatare che il secolo XVIII stava diventando fatto delle moltitudini, anzich privilegio di una schiera chi eletti, di saggi di illuminati. Gi il non papalino Villari sin dal 75 aveva espresso la sua paura che si stesse allevando un popolo di volteriani e di clericali955 ; con assai maggior chiarezza di linguaggio e con preoccupazioni molto pi precise, il Martini si doveva sfogare, nel torbido clima di fine secolo, con un amico che nemmen lui poteva esser tacciato di clericalismo. N tu Carducci, n Crispi riuscirete a nulla: bada, che tu predichi a un convertito: di ci che il Quinet dice con grande efficacia di parole e dimostra con grande autorit di esempi, che cio le rivoluzioni politiche, le quali non accompagnino un rinnovamento religioso, perdono di vista lorigine loro e i primi intenti e finiscono a scatenare ogni cattivo istinto delle plebi; di ci io sono convinto da un pezzo. Ma dopo il male che noi, tutti noi, caro Giosu, abbiamo fatto, siamo in grado di provvedere a rimedi? A chi predichiamo? Noi, borghesia volteriana, siam noi che abbiam fatto i miscredenti, intanto che il Papa custodiva i male credenti; ora alle plebi che chiedono la poule au pot, perch non credono pi al di l, ritorneremo fuori a parlare di Dio, che ieri abbiamo negato? Non ci prestano fede: parlo delle plebi delle citt e de borghi: le rurali, di un Dio senza chiesa, senza riti, senza preti, non sanno che farsi. A tutto il male che noi (non tu od io, noi ceto), abbiamo fatto per spensierata superbia, le tombe son troppo scarso compenso: abbiam voluto distruggere e non abbiamo saputo nulla edificare. La scuola doveva, nelle chiacchiere de pedagoghi, sostituire la chiesa. Una bella sostituzione! Te la raccomando..956 . Dovera pi lideale della Scienza in Roma proclamato dal Sella? Dove la fede nella scuola laica, sola educa-

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trice ad alto sentire, madre di un popolo rinnovato nel costume e nellanimo? Certamente, non tutti cadevano nello scetticismo del Martini, poco incline di sua natura a custodire in s fedi profonde; alle fosche profezie di chi vedeva imminente il nuovo sovvertimento universale, ad opera di barbari non pi calanti dal Settentrione ma emergenti dal fondo stesso della societ, e unica salvezza la Chiesa, altri opponeva il suo ottimismo e la convinzione dellimpossibilit di un nuovo universale diluvio che stesse per ricoprire la Civilt957 . Ma era, per cos dire, pi un permanere su posizioni acquisite che un avanzare; pi un riecheggiare motivi ormai ben noti al pensiero europeo che non un crear germi nuovi didee: ch anzi, proprio in Italia, la successiva fase di pensiero fu storicistica, aliena perci dal mito della Scienza come liberatrice delluman genere, nel senso caro ai profeti di tra il 1850 e il 1900; i passi innanzi della cultura italiana furono compiuti su questultima via, che affinava il senso storico, ma rendeva impossibile il fanatismo della ragione e della scienza. E se questo avveniva nel campo propriamente speculativo, nella vita pratica il miraggio su cm sappuntarono gli sguardi di folle sempre crescenti non fu, certo, quello della cultura liberatrice, ma quello della societ socialistica, di cui scienza e cultura erano elementi tuttaffatto secondari. Se anche il socialismo fu anticlericale e parve condividere atteggiamenti e tono dei vecchi liberi pensatori, in realt il suo obbiettivo non era pi la sola Roma papale, ma tuttun mondo di cui il Vaticano non era che una parte; lo scopo non fu pi di contrapporre alla religione dei preti la religione del vero, ma alla societ borghese la societ proletaria. La lotta abbracciava pi ampia sfera, il suo centro si spostava; lattacco alla fede rivelata perdette intensit di forza, quanta ne guadagn lattacco allordine sociale costituito. Cos che se, per un verso, la paura del socialismo fin col trascinare parecchi

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gi liberi pensatori verso atteggiamenti pi accomodanti col Vaticano e fece amare un po meno il Vero e un po pi la tranquillit sociale, dimostrando che in Italia, pi ancora che in Francia, lanticlericalismo era per la borghesia non connaturale ma occasionale, di contingenza pi che di principi958 ; per altro verso limporsi del socialismo fini col rendere meno diretto almeno, meno continuo lassalto al mondo della superstizione e della barbarie nera in nome del mondo della luce e della ragione cherano pur sempre, per quei socialisti, luce e ragione borghesi. Come ai contrasti di principi della prima met dellOttocento, libert e nazionalit contro legittimismo e ordine europeo, si sostituiva ovunque, dopo il 70, anche dottrinalmente, una pi corposa lotta di interessi, espansione commerciale potenza coloniale prestigio, cos ai contrasti tra ragione e fede, verit ed oscurantismo, si surrog la pi palpabile antitesi fra le classi e la lotta per la giustizia sociale. La missione universale di Roma come centro di scienza svan pertanto rapidamente: se pur gi non fosse bastata, a troncar le illusioni, la evidente sproporzione fra il sogno e le possibilit di concretarlo, in unItalia faticosamente avviata non che a sopravanzare altre nazioni, semplicemente a raggiungerle anche in fatto di studi e di progresso scientifico. III Lombra di Cesare Niente renovatio Ecclesiae, in nome della Chiesa; niente renovatio Romae, nel nome della Scienza. Lun dopo laltro svanivano i miraggi. E allora? Adattarsi alla pi modesta realt, riconoscere i limiti, acconciarsi di buon animo ad assolvere be-

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ne non missioni universali, ma semplicemente il compito di costruire su solide basi il nuovo Stato, trasformando lItalia in un grande paese moderno che era poi il vero modo di adempiere ad una missione e di collaborare fattivamente alla vita dellumanit? Riconoscere, come voleva il Bonghi fin dal settembre 1870, che la vera Roma consisteva nel creare la fibra morale degli Italiani, suscitando loperosit intellettuale, ravvivando la coscienza dei diritti e il sentimento del dovere959 , rendersi conto, con Silvio Spaventa, che lacquisto di Roma non poteva infondere negli animi, n doveva, alcuna pretesa di dominio fuori di casa, le ragioni e le possibilit di simili domini non potendosi desumere dalle memorie del passato, ma da bisogni e necessit attuali e da forze vive e capaci di soddisfarvi960 ; dimenticare il passato, secondo auspicava nuovamente il Bonghi; e vivere in tutto e per tutto nel presente, che pub sembrar meno glorioso, perch lo si vede da vicino e urta e contrista, mentre il passato lo si legge nella storia, spogliato di tutte le debolezze umane che lo accompagnarono?961 Accettare, insomma, anche idealmente, quel che praticamente si veniva facendo, paghi di mettere bene in assetto la casa propria? Molti, senza dubbio, laccettarono. Fra gli stessi stranieri che, un momento, avevano additato alla terza Italia lideale della grande rivoluzione religiosa, fuori il Papato e viva la Scienza, col venir meno di queste speranze si pens ad unItalia di secondordine, felice a suo modo nella mediocrit: e nessuno lo disse pi apertamente del volubile Renan, che passava dagli incitamenti contro il Papato a giudizi assai lusinghieri962 . Ma era difficile, impossibile che tutti laccettassero. Troppo a lungo, per decenni, si era parlato da ogni parte di missione di terza Italia, di rinnovamento universale963 ; troppo si era insistito sul compito immenso che toccava allItalia in Roma, perch improvvisamente ci si potesse adagiare in unazione di carattere puramente ammini-

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strativo ed economico. Da ogni parte a Roma si guardava come a qualche cosa di assai pi grande di una normale capitale; ch agli squilli della Sinistra rispondeva, con ben altro tono ed intenti, senza dubbio, ma sempre esaltando la missione universale della citt, la voce del Pontefice che si appellava a questa Nostra alma Citt, sede del Pontificato, la quale sent per essi [i Papi] tale singolarissimo vantaggio da divenire non solo rocca inespugnabile della fede, ma anche asilo delle arti belle, domicilio di sapienza, maraviglia ed invidia del mondo964 . O non era proprio il continuo assillo polemico contro la Roma cattolica che eccitava i naturalisti e razionalisti, condannati nelle encliche papali, a cercare altrove il segno della nuova missione dellUrbe? Dunque, lanimo pieno di Roma. E i ricordi recenti del patrio riscatto erano di audaci imprese, di improvvisi e mirabili eventi; erano poesia: e come fare ad accettare ora unicamente la prosa del pareggio e dei lavori pubblici? Solo le alte idealit e le forti passioni avevano reso possibile il Risorgimento: come scendere ora dal cielo in terra, quando invece lItalia, uscita dallinferno965 , doveva dar prova al mondo della sua risurrezione? Di questo e simil genere erano i sentimenti che agitavano lanimo alto ed inquieto dei Carducci e dei Crispi e travagliavano pure uomini di pi temperato sentire e modesto pensiero, preoccupati anchessi che alla patria, finalmente una, non toccasse la sorte della cenerentola fra le nazioni. Lo stesso dibattito attorno alla guerra franco-prussiana, il compiacimento per la caduta della Francia e la fine del vassallaggio italiano di fronte al tenebroso del 2 dicembre non rivelavano forse, chiaramente, il bisogno profondo di additare alte mete politiche allItalia? Tutto questo, ancora, era fermento puramente interno. Ma, oltrAlpi, quale altro ribollir di passioni, accendersi di entusiasmi e di speranze per la grandezza,

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la missione del proprio paese! Anelito alla potenza sempre pi accentuato; dispiegarsi che dottrinario dellimperialismo, ad Occidente come ad Oriente; vita internazionale sempre pi basata sulla forza, sempre pi attenta al prestigio, ciascuna grande nazione corroboorando lazione politica concreta con la rivendicazione dei propri titoli di nobilt e delle proprie qualit da primato. Assai prima che in Italia, in Germania Francia Inghilterra la missione da morale e civile diventava politica: al regno dello spirito per opera tedesca, auspicato da Humboldt e Schiller, si sostituiva il regno terreno dei pangermanisti; il magistero della Francia alla de Maistre e alla Guizot indossava luniforme da generale dai brillanti galloni dorati. La missione perdeva il suo carattere di universalit civile, dovunque, e diveniva missione di signoria particolare sulle genti. Oltre Manica, nella terra stessa da cui era stato annunziato al mondo d verbo manchesteriano, Disraeli invocava, gi nel 72, lo spirito dominatore di queste isole, Tennyson, imperialista dal 70, rielaborava nel 1882 Hands all Round per sciogliere un inno alla grandezza imperiale britannica, Froude e Seeley davano concretezza storiografica alle dottrine dellimperialismo, eventi spettacolari, come lesposizione coloniale dell86 e il giubileo della regina Vittoria nell87, accendevano lentusiasmo delle folle966 , sinch Kipling riassumeva tutta la vecchia e nuova anima imperiale britannica, di qua e di l dai mari, imperiale nel nome del Signore biblico.
Fair is our lot O goodly is our heritage! (Humble ye, my people, and be fearful in your mirth!) For the Lord our God Most High He hath made the Jeep as dry, He hath smote for us a pathway to the ends of all The Earth!967

Lontano, saffacciava la Santa Russia protettrice dei fratelli slavi e cristiani dei Balcani; la Russia dalle vergini,

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intatte forze destinate a rinnovare il mondo, nei proclami dei panslavisti. A giustificar la missione, venivano evocati i grandi eventi e le figure eroiche del passato: un passato molto vicino, per i vinti di Sedan, agli occhi dei quali tornavano a risplendere di viva luce le figure di Richelieu e dei costruttori francesi dimpero968 ; un passato lontanissimo, evanescente nella preistoria, per i Tedeschi i quali, sulle orme di Ulrico di Hutten e di tutta una tradizione pubblicistica secolare, continuavano a guardare, ma con inusitata fierezza ormai, verso Arminio il Salvatore. Alfredo Oriani voleva il monumento a Vittorio Emanuele II sul Campidoglio, il primo Re dItalia sul piedistallo di Marc Aurelio, per dimostrare al mondo che tutte le epoche storiche si verificano solamente sul Campidoglio, lidea civile che nemmeno lidea cristiana aveva osato occupare; e si sdegnava che nessuno vavesse pensato e non si fosse scorta la necessit di riannodare la nostra storia allantica, mantendo la grande tradizione romana che era la sorgente di tutta la vita moderna969 . Ma gi il 16 agosto 1875 40.000 Tedeschi avevano salutato con fragoroso entusiasmo il monumento ad Arminio sul Grotenburg, l dove un tempo lontanissimo i fieri Germani avevano salvato lunit e la libert dal giogo romano: Arminio il Salvatore, araldo della gandezza tedesca realizzata ora da Guglielmo I, il nuovo Salvatore che aveva trionfato della doppiezza latina; in alto Arminio di 55 piedi, che brandiva con la destra una spada colossale, e sotto il profilo del re di Prussia ed imperatore di Germania, passato e presente accomunati in una sola apoteosi di potenza e di gloria militare970 . Questa era lEuropa di fine Ottocento; e lItalia era, anchessa, Europa. E dunque, tra ricordi e speranze dei giorni del vicinissimo Risorgimento e incitamenti che provenivano dalla realt europea presente, era tanto pi difficile accettare

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il consiglio che da pi parti veniva rivolto agli Italiani, e spesso anche con sentimento amichevole, non per dispetto o tracotanza: accontentarsi di una posizione simile a quella della Svizzera e del Belgio, la pi favorevole alla sicurezza e alla prosperit delle nazioni971 ; rinunziare a svolgere una politica da grande potenza, per chiudersi nel proprio guscio rendendolo il pi comodo modo possibile. A consigli di questo genere rispondeva un giorno il Minghetti che un gran paese non pu concentrare in questo modo in s stesso la sua attivit. Il bisogno di espansione della giovinezza, se non gli si aprono talune grandi prospettive, si inacidir, si svolger in corruttela e malcontento. Un membro ragguardevole del Parlamento inglese, Courtney, diceva ultimamente che bisogna lasciar gli Egiziani cuocere nel loro sugo. Vi confesso, che, pel mio paese, un avvenire simile non mi sorride: lo stufato potrebbe sentir di bruciato. Chera, con una battuta scherzosa, una risposta giusta. Chiedere allItalia unita di accontentarsi della parte di un Belgio senza carbone, e quindi oltre a tutto di uno Stato agricolo in mezzo ad un mondo industrializzato972 era un ingenuit, anche per chi non si lasciasse suggestionare dai fanatiasmi liviani e dal Campidoglio973 . Il ricordo della grandezza passata, lattesa di una grandezza futura avevano costituito la forza motrice del Risorgimento, dal Foscolo al Mazzini: suggerire ora di accontentarsi della posizione di Stato neutrale, anche se questo fosse possibile ad unItalia che gi solo la lotta col Papato e lInternazionale nera trascinava forzatamente nella grande politica europea, avrebbe significato buttarsi dietro le spalle proprio lidea forza che aveva consentito di raccogliere in unit le sparse membra della patria. Avrebbero avuto ragione gli antipatrioti che avevano battezzato di mattane le idealit e le generose azioni dei cospiratori: ciascuno a casa sua, far bene le proprie cose e non lasciarsi stornare dai fumi di ununit as-

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surda, dannosa, mentre nei vecchi Stati si poteva vivere tanto comodi e tranquilli. Impossibile dunque pretendere che lItalia si estraniasse dalla politica internazionale, rinunziasse a qualsiasi aspirazione anche per lavvenire. Lopera dei saggi doveva essere di non lasciarsi trascinare troppo oltre dai ricordi del passato, di contenere irrequietezze e vanit; non poteva essere quella di rinunziare senzaltro ad aver parte attiva nelle vicende europee. Ma, appunto, lEuropa, avviandosi alla distruzione di se stessa, intonava allora concorde il canto della potenza e della gloria: leco si ripercosse in Italia e vi trov lantica voce di Roma974 . Cos fu che, tra il dileguar dei sogni nel trionfo finale della scienza e limporsi di una realt europea sempre pi grandezza, forza, prestigio, a poco a poco allimmagine di Roma maestra di Vero cominci a sostituirsi limmagine di Roma antica, donna di province; e alla missione universale di natura culturale e civile si sovrappose il compito assai meno universale della grandezza politica del proprio paese. Riappare la Roma dellimperio, non disdegnosa del libro e pronta a rendere ancora omaggio alla scienza; ma accomunante libro e spada, scienza e forza militare, grandezza spirituale e potenza terrena. La scuola, si, ma la scuola che educasse ad alto sentir patriottico e creasse valorosi soldati. Tocc a Guido Baccelli, alleloquentissimo Baccelli, di delineare tra i primi, conferenziere deputato ministro, tale nuovo compito della istruzione pubblica. Che la scuola fosse necessaria premessa ad ogni grandezza, anche politica e militare questa non era una novit, anzi un luogo comune, dopo lesaltazione della Germania vittoriosa a Sadowa e a Sedan, sera detto, per virt dei suoi maestri elementari pi ancora che per virt dei suoi generali, la dotta Germania essendo stata la creatrice della potente Germania. Gi Francesco De Sanctis ne aveva fat-

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to ricordo alla Camera, avvertendo pure che lo stesso impulso, che spingeva a riformare lesercito e la marina, era quello che induceva a riformare listruzione. Coscrizione militare, coscrizione scolastica975 . Gi egli, ministro, aveva propugnato leducazione fisica nelle scuole, come fondamento necessario del coraggio fisico e morale, educazione della volont origine delle virt militari, sempre ricordando la Germania e il Moltke976 . La scuola e le armi, linsegnamento e il servizio militare, indissolubili: erano gli avvenimenti, levolversi della politica internazionale a suggerirlo. Nel pieno della crisi tunisina, sotto lassillo della sconfitta morale dellItalia, della dura lezione che cinfligge la Francia, e che ci conferma lEuropa, perch lItalia era debole, un uomo come Cesare Correnti, che, primo aveva cercato come ministro della Pubblica Istruzione di imporre il principio della obbligatoriet dellistruzione elementare in omaggio al credo democratico977 , pens anche lui che occorreva essere forti e temuti; per il che, occorreva riprender vigore dalla stessa vergogna, dalla stessa disgrazia, come aveva fatto la Prussia dopo Jena. La generazione liberatrice, che ora si spegne, venne su sotto le bastonature dei Croati; la generazione, che adesso matura, sar educata dalle ingiurie francesi. Scuole, armi, prudenza e concordia ... Scuole popolari e armi intelligenti. Lelettore esca dalla scuola, la scuola sia militare, cittadina, cristiana. Non ti spaventare caro Cairoli. Il Cristianesimo la forma democratica del pensiero religioso: il culto degli umili, dei poveri, di quelli che non cercano la vita se non per le cose eccelse, di quelli che non temono la morte. Ricordati, ricordati di quello che colla sua cinica retorica disse un giorno Guerrazzi, me presente, a Cavour. Il prete un cane che si pu avvelenare col boccone Vangelo. Cavour sorrise e non cap. Tu sei atto a capire.978 . Ma soltanto nel clinico romano il credo comune si illumin della visione di Roma antica che ammoniva i tar-

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di nipoti. Anche a lui sorrideva il trionfo della Scienza in Roma; e, avvampando di spirito profetico, intravvedeva il giorno in cui il Policlinico di Roma sarebbe stato il primo del genere mondo e per esso lItalia segno di nobili invidie979 . Ma la scienza doveva allearsi con la spada; scienza ed armi dovevan trovare unite Italia e Germania sulla via sacra che conduce alla prosperit e al decoro nazionale980 . La scuola forgiasse i caratteri, preparasse i bravi soldati pronti al sacrificio supremo per la patria, fosse fabbrica del cittadino e del soldato; per ottenere tale scopo sispirasse di continuo alle grandi memorie dellalma mater, quando questa citt era ammirata dal mondo, per leducazione del cittadino e del soldato. Torriamo alla tradizione dei padri, e saremo i primi educatori del mondo; facciamo rivivere le virt della patria che ne fecero la grandezza antica e le additano fra le ombre del futuro la linea certa di una grandezza nuova. Perch non ritornare a quella stoffa di soldati che vinsero il mondo, lasciando nella storia nostra unorma ch grande ancora, una pagina imperitura di gloria e di magnanimi esempi? A sentir taluni, sembrerebbe che lepoca romana sia unepoca quasi preistorica, mentre le siamo assai pi vicini di quanto non simmagini. Perch dunque non facciamo rivivere, nuovamente, il tipo perfetto dellantico romano, che doveva avere il braccio di un gladiatore e la testa di un giureconsulto? Noi ci lamentiamo dello scarso senso di disciplina dei giovani, del patriottismo che vacilla, delle dottrine sovversive e dellinsofferenza alle leggi, che sinsinuano nellanimo dei giovani invece di sentimenti devoti alle patrie istituzioni: e non facciamo nulla per opporci ai tristi che simpadroniscono delle teste esaltate dei giovani. Ci pens lui, ministro, a far qualcosa; e present il suo progetto di una scuola popolare o complementare, che avviasse i giovani, fra i sedici e i diciannove anni, ad una

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educazione civica, soprattutto a mezzo della ginnastica militare generalizzata, affidata di preferenza ai sottufficiali dellesercito. Compito dellopera educatrice del governo era preparare i cittadini per il giorno in cui avessero dovuto pagare alla patria il loro tributo; quindi, aver sempre presente il modello della legione romana, m guisa che il giorno del pericolo i soldati sappiano che altissima gloria morir per la patria. La religione della patria devessere universale, devessere inculcata nei giovani sin dai primi anni di scuola. Lideale del secolo il cittadino soldato; il modello, Roma antica; oggetto delleducazione quella et che superato il limite delle forze necessarie alla pura conservazione, entra con un rigoglio dinamico fra i contribuenti della societ981 . La scuola trovava il suo fine supremo non pi nella lotta contro lignoranza per lelevazione delle plebi, come sera dichiarato un decennio innanzi, ma in una futura possibile taglia contro un nemico esterno; lesercito diveniva lUniversit educatrice del popolo, le armi sostituendo lalfabeto nel compito formativo di un popolo982 , tanto da far pensar preferibile un analfabeta buon soldato ad un cittadino colto ma militarmente imperito983 . E allora, non appena sabbandonava lidea della scienza per la scienza o il mito della scienza come strumento di lotta contro la religione, e vi si sostituiva la scienza come strumento della grandezza politica della patria, ecco la rievocazione dei fatti gloriosi di Roma antica e il proposito di imitarli. E saveva un bel dire, noi vogliamo grandezza civile e non pensiamo pi ad impossibile imperio politico, come affermavano allora anche i pi accesi fra i romanisti: i fantasmi, una volta evocati, non si sarebbero pi allontanati, e quei fantasmi parlavano soprattutto di gloria militare e politica, e a lasciarli aggirare fra i ruderi del Palatino e del Foro potevano sopravvenire giorni ne quali, situazione generale italiana euro-

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pea permettendolo, il loro richiamo avrebbe riacquistato tutto il suo fascino e il suo preciso valore. Con la scienza patriottica nuovamente trionfava il senso della forza, della forza militarmente organizzata: Il dinamometro politico dun popolo pi assai del numero misura la forza; e la forza consiste nellanimo temprato dei cittadini e nella salda e gagliarda organizzazione degli ordini militari. Le scienze nobilitano, le belle arti adornano, lagricoltura e lindustria arricchiscono un popolo; ma un popolo nobile, adorno e ricco potrebbe essere schiavo. Per converso un popolo meno nobile ... ma forte per sua educazione e per armi, pu trionfalmente combattere per la sua indipendenza984 . Proprio solo per lindipendenza, proprio solo a santa difesa di s: anche per quel rigoglio dinamico auspicato dal medico romano, che negli inusitati termini esprimeva pensieri gi diversi dallappello alle armi caro a tutto il Risorgimento dal Foscolo al DAzeglio al Cattaneo, e simili assai, nivece, allesaltazione, cara alla Riforma e a Crispi, delle forze giovani, prorompenti, delle forze vitali ricche di avvenire? Non a caso alla voce di Guido Baccelli suniva, ma molto maggiore autorit e forza sostanziale di pensiero, la voce di Crispi. In Roma non bisogna essere solo materialmente, diceva Crispi nel Collegio Romano il 23 marzo 1884; e la stessa scienza non basta pi. ... la nuova missione dItalia qui comincia, e se insediatici nella eterna citt abbiamo abolito il principato civile dei pontefici, abbiamo proclamato liberi i culti e le coscienze, incompleta lopera nostra finch con gli studi e con le armi, con la scienza e con la forza, non avremo provato allo straniero che noi non siamo minori dei padri nostri.985 E pochi giorni pi tardi, parlando al Circolo Universitario di Palermo, incalzava esortando i giovani a rammentarsi dei Tedeschi, delle loro vittorie dovute anzitutto alla scienza che non

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solamente sviluppa e rinforza la mente, ma rende il braccio pi forte, cos che ampliando col patrimonio della scienza le dottrine nelle quali ciascuno di noi si versa, potrete arrecare il vostro tributo alla potenza scientifica della pania, e, rendendovi utili come uomini di scienza, ponete esserlo come uomini di spada986 . Non la Germania di Bismarck avevano sognato i cultori della scienza, fiduciosi in una Roma la quale, per ammenda delloppressione armata dellantichit e delle male arti de tempi appresso, promuovesse nel mondo la giusta libert dellopera e la illimitata libert del pensiero987 : ma la gloria delle armi, anche a costo di opprimere, stava ridiventando la dea dellEuropa di fine secolo, e il resto era ricordo di illusioni perdute. Sorgeva, nellimmaginazione, la nuova Roma potente e magnifica, magnifica anche per fasto di monumenti nuovi: chiunque entra in quella grande citt vi trova la sintesi di due grandi epopee, luna pi meravigliosa dellaltra. I monumenti che celebrano queste epopee sono lorgoglio del mondo; sono per glItaliani un pungente ricordo dei loro doveri. Bisogna instaurare Roma ed innalzarvi anche noi i monumenti della civilt, affinch i posteri possano dire che fummo grandi come i nostri padri988 . Limmagine di Roma era sempre rimasta viva nella mente degli stranieri; per questo il risorgimento dellItalia era temuto come il possibile ritorno ad una grandezza e ad una potenza, le quali avevano lasciato profonde vestigia sulla terra989 . Gi solo il contrapporre lItalia e lo straniero, gi questo solo accenno bastava a dimostrare come si fosse ormai fuori dalla pura missione di civilt e sentrasse nel sogno di grandezza politica, al quale bene si confaceva la distinzione fra il proprio e laltrui. E se vero che Crispi continuava a ripetere le formule della missione italiana di civilt, e a dichiarare di non volere limperio di Roma, coppo scontato nei secoli dagli Italiani, anche vero che ormai tali affermazioni si alter-

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navano con quelle, pi sentite, sugli alti destini della patria, il governo non servendo che allesplicazione della vita nazionale, al benessere popolare, allingrandimento della potenza dello Stato; e lessere amati dal resto del mondo non bastava pi, occorreva anche esser temuti990 . Ancora legato per tanta parte al passato, concettualmente; uomo della prima met dellOttocento come struttura dottrinale, Crispi viveva gi con lanimo nella nuova et: e lanimo e gli impulsi e limmaginazione contavano in lui pi che le dottrine. E dunque le immagini di Roma antica suscitavano naturalmente gli appelli alla potenza e alla grandezza politica e militare dellItalia risorta; e linsistere su Roma e laugurarsi di poter ottenere per il cittadino italiano che non indarno ci possa ripetere di fronte agli altri popoli il Civis romanus sum, e il ribattere che il passato doveva rivivere nella coscienza nazionale per i fatti gloriosi, per le virt dei padri che ci diedero fama, e che dobbiamo rinnovare a grandezza dItalia991 , creavano latmosfera nuova, accesa di senso della potenza, in cui il mito di Roma assumeva anchesso nuovo significato. Non un motivo ornamentale, fiore retorico appiccicato a lustro e decoro; ma un qualcosa che sgorgava dai precordi, quasi istinto naturale che faceva tuttuno con la personalit di un Crispi, sacerdote continuo e sincero dellunit e della grandezza della patria. Lesortazione alle storie, rivolta da Ugo Foscolo agli Italiani per creare la loro coscienza nazionale, e rinnovata insistentemente dal Crispi992 , che altro significava se non limmedesimare presente e passato, fondare il primo sulle glorie antiche che segnavano i doveri dellavvenire, e quindi far tuttuno del senso della patria con le grandi memorie dei tempi trascorsi? Foscolo aveva vagheggiato le glorie della itala gente, Machiavelli, Michelangelo, Galileo; ora, risorgeva a nuova vita Roma antica, la Roma degli Scipioni e di Cesare.

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Senza dubbio, il vecchio amore risorgimentale per i liberi Comuni non era ancor spento; e nello spirito patriottico degli Italiani fra 70 e 80 era ancora continuamente presente lItalia dei secoli XII e XIII, marinara e donna di colonie per gli uni, antitedesca per gli altri: onde da un lato le aspirazioni mediterranee si alimentavano dei ricordi della Quarta Crociata, e dallaltro lirredentismo suonava la tromba di Legnano993 . Ma sempre maggiormente si inclinava, ad opera propugnatori della grandezza italica, ad esaltare lespansione delle repubbliche marinare in Oriente pi che le lotte contro glimperatori, Venezia e Genova pi che Milano, le navi pi che il carroccio. Le tradizioni dellantico splendore marittimo994 cominciavano a servire da stimolo per il domani: riapparivano, ammonitori, anzi erano gi apparsi i fantasmi dei Dandolo e degli Spinola quando
... litala vergine appara ringiovanita per la terza volta: ... . e se lo scettro avito avea perduto, fe del remo uno scettro, e fu temuto995

Fu il richiamo pi frequente negli anni fra il 70 e l80, quello che, primo, solletic lorgoglio nazionale provocando le grosse delusioni del 78 e londata di recriminazioni e improperi contro lopera dei nostri plenipotenziari al congresso di Berlino996 ; e sintromise ovunque, nelle considerazioni commerciali sui porti di Marsiglia e di Genova997 , come nei giudizi politici, sulla condotta del governo italiano di fronte ad Inghilterra e Russia, Francia ed Austria; e ispir i lamenti sul decadere del regno dItalia non soltanto di fronte alla grande Venezia medievale, bens anche di fronte ai pi modesti staterelli italiani della prima met del secolo XIX, i quali si diceva avevano saputo tener alta la loro bandiera, in Oriente e nel Mediterraneo, pi e meglio di quanto non sapesse fare il governo dellItalia unita.

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Non ora il momento di esaminare simili accuse e di osservare che il paragone non reggeva, essendo assai pi difficile per una grande nazione, sospettata e combattuta, competere nel Mediterraneo con le maggiori potenze europee, dopo che lapertura del canale di Suez aveva nuovamente ridato al mare interno tutta la sua importanza internazionale, di quanto non fosse stato al regno delle Due Sicilie e al regno di Sardegna, potenze di secondordine e poco temute politicamente, mantenere un buon posto nel Mediterraneo ante 1859, di assai minor importanza nel commercio internazionale e pertanto meno disputato e sorvegliato998 . Qui interessa solo losservare quanto vivo fosse, ancor dopo il 70, questo ricordo, che per i moderati trovava conferma nellesaltazione di Cesare Balbo del secondo primato italiano, del Mediterraneo ridiventato lago italiano per merito di Venezia, Genova e Pisa999 , e per gli altri nelle predizioni mazziniane, in quella parte cio del pensiero dellapostolo pi suscettibile di interpretazioni nazionalistiche. Ma, con ci non che la memoria dei Comuni medievali si opponesse pi a quella di Roma antica, che tra le due ci fosse antitesi come era successo, spesso, nei primi decenni dellOttocento. Allora, lesaltazione dei liberi Comuni era stata esaltazione di forze nuove, fresche, originali: lItalia sera vista sorgere dopo una gran parentesi buia, che aveva spezzato ogni continuit storica con Roma lontana. Ora, nella gran ripresa post-quarantottesca del mito di Roma, luno e laltro motivo si ricongiungevano insieme, la civilt medievale italiana apparendo come il secondo grande germoglio sbocciata sul robusto e ampio tronco da cui era gi una volta sbocciato il germoglio della civilt latina: secondo germoglio che gli studiosi avrebbero cercato di ricollegare, attraverso la scoperta di di linfe segrete, col primo1000 . Le radici dellistoria moderna si abbarbicavano negli imi ruderi delle et

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primitive; la storia dItalia era una e continua, non aveva principio se non collItalia1001 . E se il primo Risorgimento sino a Mazzini aveva lasciato da parte Roma, riluttando ad accettare una troppo gravosa eredit di gloria militare e di potenza politica, ora, ad unit nazionale compiuta, quando lEuropa intera si abbandonava al miraggio della potenza esteriore, ora era possibile accogliere nuovamente nella propria anima Roma antica e i Comuni, gli Scipioni e i Dandolo: Roma, con Venezia, era il gran ricordo di gloria mediterranea, che eccitava a nuove glorie. Qual lItaliano che conscio di una cos magnifica eredit di memorie, davanti ad un cos splendido avvenire non si senta commuovere, agitare da un desiderio febbrile di attivit?1002 . Lidea di un primato italiano anche in certi periodi della storia pi vicina simponeva in quanto cera, profondo, il ricordo di un antico primato, quello romano, che aveva costituito lapogeo della gloria di una stirpe anche in seguito rivelatasi non indegna di tanto grandi avi. A base di ogni concezione di primato italico stava il primato di Roma antica, permesso da Dio per le virt civiche dei Romani qui causa honoris laudis et gloriae consuluerunt patriae1003 e presupposto terreno del secondo, pi alto primato, quello di Roma cristiana; il punto di partenza era sempre liniziale gloria mondana e felicit terrena dellUrbe: e lo era stato perfino per un S. Agostino, molti secoli prima che per un Mazzini, e lo era poi stato per un Dante. Questa era la pietra su cui il sentimento nazionale italiano aveva edificato la sua casa, dalliniziale esaltazione del nome romano trascorrendo poi a ricercar le tracce delle romane virt attraverso i secoli della storia italiana. Roma antica era continuamente presente, anche quando si esaltassero le gesta di Genova, nel cui poema ricorreva, perenne, il grido fida a Roma: alla Roma dei Cesari, alla Roma di Cristo, alla Roma nova dItalia1004 .

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Era una forma mentis particolare, quella foggiata in tal modo. Il sentimento nazionale italiano era stato creazione di pensatori e scrittori e non aveva avuto, per troppo tempo, il sostegno di una realt politica concreta, comera successo a Francia e Inghilterra. Aveva quindi dovuto cibarsi quasi esclusivamente di ricordi storici, fondare i suoi diritti soprattutto sui vincoli morali e spirituali, cio su vincoli creati dalla storia1005 e, in ultima analisi, tutti risalenti a Roma, pagana e cristiana. Il volgersi al passato era stato, per tanto tempo, lunico elemento atto a sostenere le speranze nellavvenire; e lesortazione foscoliana alle storie aveva fatto tuttuno con lesaltazione della santit della patria1006 . Una forma mentis pervasa di letteratura, con i pregi e i difetti della letteratura: slancio spirituale, appello alle forme superiori, pensiero, arte, cultura, e non alle inferiori, razza, sangue, territorio; ma anche e spesso vanit, orgoglio determinato dal tempo che fu e sproporzionato al tempo che , misero orgoglio gi aveva esclamato il Manzoni; e mancanza quindi di senso del limite e della misura, e predominio del fantasma storico sulla conoscenza e valutazione attenta della realt effettuale delle cose. Qualche avanzo didolatria verso lantico, misto ai sogni dorati di un lontanissimo avverare; lattualit, il presente non mai, aveva esclamato il Durando, per il quale larte si era eretta tiranna in Italia e uccideva gli italiani1007 . Larte e la letteratura erano state principio di cose grandi, e potevano essere principio di funesti sogni; avevano dato la vita e potevano uccidere. E, allorigine, Roma, sempre Roma, sempre il cemento romano di pi tarda invocazione dannunziana1008 . Cos che se nel primo periodo dopo il Venti Settembre il ricordo dei Quiriti non fu frequente e acceso come sarebbe diventato poi, lorgoglio del gran nome vibrava ugualmente nelle altre evocazioni di grandezza italica: il Venti Settembre cominciava a influire sugli spiriti anche attra-

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verso la celebrazione delle glorie marinare dei Dandolo e dei Morosini; e il lievito romano, cio il lievito dellorgoglio nazionale, fermentava sotto sotto anche se loggetto ne fosse Venezia nelle Cicladi o Genova alla prima crociata. Questera, anche, un ricordo pi adatto al momento, come che parlasse soprattutto di espansione commerciale, secondo permettevano i tempi; pi tardi, col crescere delle forze, sarebbero cresciute le aspirazioni e allora si sarebbe invocato soprattutto il dominio di Roma. Ma anche allora, anche pieno dispiegarsi della gloria militare, anche allora Venezia e Genova avrebbero nutrito la fiamma nazionalistica: non pi mercantili, ma guerresche luna e laltra, la Genova di Guglielmo Embriaco e la Venezia di Enrico Dandolo, continuatori ed eredi del romano Duilio, tutti servendo allinvocazione
Italia, alla riscossa, alla riscossa! Ricanta la canzone doltremare come tu sai, con tutta la tua possa, come quando sorgeva sopra il mare in sangue e in fuoco un sol clamor selvaggio Arremba! arremba! e ne tremava il mare1009

Sangue e fuoco, evocati dal passato come auspicio per il sangue e il fuoco dellavvenire quando un giorno lItalia, potesse vedere
... il mare latino coprirsi di strage alla tua guerra1010

e a Dio, sopra il mare, i viventi offrissero mirra e sangue dallaltare che porta rostro1011 . La tradizione di Venezia Genova Pisa Amalfi divenne grido di guerra, e disse da sola quanto fosse mutato lo spirito italiano dai giorni in cui era stata esaltata quale gloria civile di traffici.

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Luno e laltro motivo dunque, quello romano e quello dei liberi Comuni, si allacciavano insieme; ispiravano sin da allora il vate della Terza Italia, che continuava lo spirito del Risorgimento, celebrando dei Comuni la rustica virt e Alberto da Giussano, vale a dire la libert interna e l lotta contro il Tedesco, ma salutava pure, rapito, la Dea Roma e ripeteva loraziano Nihil visere maius; e Roma antica e Genova e Venezia medievali accomunava, auspicio per lavvenire, tra i rauchi gridi di gioia dellaquila romana, tornata a distendere la larghezza delle ali tra il mare e il monte, innanzi al Mediterraneo per la terza volta italiano1012 . E Crispi trovava nomi deroi nelle nostre storie; ma quando non ne offrissero let moderna e il Medioevo, chiedete nomi ed esempi alla Roma antica, alla inesauribile Roma1013 ; anchegli legando insieme le varie et dellunico spirito italiano, e accomunando nello stesso orgoglio il civis romanus sum e i grandi tempi di Venezia coloniale1014 . Alfredo Oriani a sua volta, vide la continuit ideale, quando la bandiera italiana torn minacciando sui mari che sembravano averla dimenticata, e sventolando sullasta delle antiche aquile romane riprese la loro via. Dacch le aquile romane erano state uccise dallo stormo degli sparvieri nordici, il mondo non ne aveva viste altre, e nulameno eternamente memore del loro volo le aveva eternamente cercate sulla cima di tutti i pennoni e di tutti i vessilli, che lo percorrevano trionfando ... Tutti gli sforzi millenari dItalia per costituirsi in nazione, il sangue dei suoi eroismi e le tragedie del suo genio non miravano che a questo giorno nel quale rientrando, attrice immortale, nella storia dopo essersi circoscritta nei confini del proprio diritto, veleggerebbe unaltra volta sui mari portatrice di nuova civilt. Il popolo sent, senza dubbio, la grande ora quando fremente dinesprimibile emozione si accalc sul porto salutando con epico orgoglio i soldati che tornavano in Africa. S, tornavano un Africa, perch da tremila anni

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durava la lotta fra lAfrica e lItalia, e lItalia vi aveva gi vinto Annibale, imprigionato Giugurta, sottomessi i Tolomei, vinti i Saraceni, dissipati i Barbareschi; perch lItalia, altra volta sintetizzando tutta lEuropa e profetandone lavvenire, vi si era battuta contro tutto lo sforzo dellOriente e aveva vinto.1015 . Ecco perch sotto le grandi ali della Dea Roma riparavano ormai anche le esaltazioni marinaresche e comunali di fine secolo. Roma papale rimase in piedi; ma qualcosa di grande a Roma ci voleva: il re di Sardegna troppo piccola cosa per Roma. Roma, capitale del mondo, devessere la sede di una grande monarchia, o del pontificato1016 . E quindi, si pens alla Roma della grande monarchia. Del tramutare di ideali nessuno fu interprete pi aperto di Alfredo Oriani. Erede del Risorgimento nel sentir anchegli, potentemente, la necessit della missione dellItalia: una terza Italia senza un significato ideale nel mondo, sarebbe il pi assurdo miracolo della storia moderna, una risurrezione senza vita, una riapparizione di fantasmi che passano soltanto. Ma voce di tempi nuovi e presagio di futuri, nel constatare la grandezza incrollabile di Roma papale, nellassegnare allItalia un ben altro compito che non quello della riforma religiosa o del culto della scienza. LItalia cattolica: il non pi volteriano romagnolo strappava il velo dellillusione, cogliendo nel segno. Lodio ai preti e il disprezzo della religione non sono ancora che molto superficiali: nel sentimento delle masse il matrimonio vero quello ecclesiastico, unica religione il cattolicismo; si battezzano pressoch tutti i bambini, si affidano al clero per la prima educazione, siniziano in tutti i gradi della religione. Si diffida dei collegi laici, si amano tuttavia i conventi mutati in educandati; tutte le Madonne e i Santi miracolosi sono pi che mai vivi nella illusione del popolo, un sottinteso scinde tutte le coscienze: si vuole la libert della vita pubblica e si

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crede ancora nella servit della vita spirituale. La scienza, incerta nei metodi, dubbia nei risultati, contraddittoria nelle affermazioni, rimane in alto, retaggio e culto di pochi: la filosofia quasi sconosciuta, la letteratura disertata dai campi dellideale per una irreflessiva passione scientifica non pi che pittura di superficie. La rivoluzione nata e vissuta distinto non si ancora mutata in riflessione. La maggior parte di coloro che lhanno sostenuta, morendo la sconfessano, onde i preti se ne vantano affermando che la sua verit non resiste in faccia alla morte. Il sogno esposto da pochi, accarezzato da quasi tutti di una conciliazione, che accordando la coscienza religiosa colla coscienza politica induca quella calma, che altri secoli hanno conosciuto.1017 . Il papato era sempre una grande cosa, lultima forma imperiale dItalia, che certamente cost alla nazione la schiavit verso gli stranieri e ne imped lunificazione, ma che rimane ancora il solo vanto dellItalia contro le massime nazioni. Vedova del papato, Roma non sarebbe che una grossa ed insignificante citt di provincia; e invece la sua fiera e nobile testa sovrasta ancora al mondo. Che cosa vi rappresenterebbero soli i re di Savoia? La loro montanara fortuna fra il Panteon e San Pietro, il Colosseo e il Vaticano, non vi ha che un significato provvisorio: sono troppo antichi come conti della Savoia, troppo recenti come monarchi dItalia, troppo estranei alla grande tradizione nazionale per dare davvero a Roma una incancellabile impronta di modernit. Eppure i tempi assegnano allItalia mediterranea una funzione ed un primato. Bisogna guardare in alto e lontano. Bisogna essere forti per diventare grandi: espandersi, conquistare spiritualmente, materialmente, collemigrazione, coi trattati, coi commerci, collindustria, colla scienza, collarte, colla religione, colla guerra. Ritirarsi dalla gara impossibile: bisogna dunque trionfarvi.

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Lavvenire sar di coloro, che non lo hanno temuto; la fortuna e la storia sono donne, e amano soltanto i gagliardi capaci di violentarle, che accettano i rischi dellavventura per arrivare alla dominazione dellamore ... Limperialismo non sogno che nei deboli, e diventa vizio soltanto negli incapaci al comando: i nostri ultimi eroi erano tutti grandi avventurieri, i nostri recenti viaggiatori vedevano tutti nellavventura un lineamento dimpero1018 . La lotta dello Stato colla Chiesa passava dalla politica alla scienza, dopo il Venti Settembre giacch il diritto nazionale, ormai invincibile sul Campidoglio, avrebbe rispettato e imposto rispetto al diritto religioso: il compito dellItalia era altrove, era nellAfrica, su cui premeva ora lEuropa che non poteva essere scopo a se stessa. La terza risurrezione italica non era stata consentita dalla storia nel solo interesse deglItaliani: se lItalia ridivenuta nazione, il secreto di questo fenomeno storico sta nella necessit che la storia mondiale pu avere della sua opera e nella facolt del nostro popolo a prestarla. Missione dellEuropa, e quindi anzitutto dellItalia, puntare sullAfrica e lAsia, chiamando le razze inferiori alla propria civilt, condannando quelle che non rispondono, distruggendo quelle che resistono1019 . Il mare nostro diventava cosa lo scopo di una grande politica estera italiana; lanelito alla potenza distoglieva lo sguardo dalle Alpi e lo rivolgeva sul mare. E vi si accompagn la polemica contro la borghesia vile ed egoista, incapace di alte cose: polemica che non aveva pi nulla in comune con quella dei socialisti, e accusava nel borghese non il detentore della propriet e lo sfruttatore del proletario, ma lanima gretta di chi non sapeva sollevarsi ad ideali di gloria e di potenza e soprattutto rifuggiva dalle armi e dalla guerra. Borghese oggetto di disprezzo fu, non il possidente, ma il filisteo amante della pace e rifuggente dal rischio, luomo incapace di comprendere leroico: e gi prima dellOriani, a bollar di

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vilt la borghesia sera alzata non solo la voce tonante del Carducci, ma anche quella, di assai pi modesta eco, di Pietro Ellero che imprecava contro la tirannide borghese, contro la plutocrazia, ma ad un tempo contro il socialismo e i deliri dei rossi minaccianti lintera Europa, e imprecava contro gli averi, solo perch avevano usurpato il posto delle forze morali e civili, spento il culto delle grandi virt e il senso delleroico. Bisognava uccidere la grettezza borghese, per far rientrare lumanit nel regal sentiero e riacquistare allItalia lantico splendore. Bisognava passare dallItalia vituperata da faccendieri e assassinata da pubblicani allItalia vaticinata da profeti e benedetta da martiri, dallItalia bastarda ... allItalia legittima e santa, dallItalia presente e falsa allItalia futura e vera. Bisognava esaltare lorgoglio nazionale, anzi il pregiudizio nazionale; bisognava ricordare il primato dellItalia e di Roma1020 . Cos, mentre svaniva pan piano il mito di Roma scientifica e anticattolica, sbocciava il nuovo mito di Roma guerriera, non pi ostile anzi ricercante lalleanza della Chiesa1021 , e se, fra fra il 70 e il 90, gli uomini di pi acceso discorrer patriottico avevano avuto per motto guerra al Prete in alto il diritto e il nome italiano!1022 , il pi tardo nazionalismo dottrinario si profess altamente, oltre che guerriero, cattolico apostolico romano, e vagheggi il Papato collaboratore della grandezza politica dellItalia, riprendendo e sviluppando, senza saperlo, pensieri gi balenati attorno al 70 ad alcuni dei cattolici liberali. Eran balenati infatti al Ricasoli, per il quale una Roma unica sede del Pontefice e del Re, avrebbe avuto conseguenze felici merc le istituzioni connesse col Papato, che possono dare uninfluenza grandissima alla Nazione nostra. Piglia ad es., la Propaganda fide che col mezzo dei Missionari porta il nome dItalia nei paesi pi remoti e stabilisce corrispondenze e relazioni che aprono la via ai commerci nelle pi lontane regioni1023 . Ed

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eran balenati allimmaginoso Diomede Pantaleoni, che volle si disse passare ai fatti, recandosi senzaltro, dopo il Venti Settembre, da Propaganda Fide per invitarla ad abbandonare in Oriente la protezione della Francia, nazione finita, e sostituirla con la protezione dellItalia, a cui passava ormai linfluenza latina nel Mediterraneo orientale1024 . Proudhon non aveva forse motivato, sin dal 61, la sua recisa opposizione allunit dItalia anche con i sogni dei patrioti italiani di unItalia pontificale e imperiale, che si servisse del Papato per conferire al Regno il protettorato della cattolicit?1025 E i diplomatici francesi non sallarmavano molto, subito dopo il Venti Settembre, proprio temendo le pretese di dominio degli Italiani, che a loro dire avrebbero voluto far della Chiesa il docile strumento delle loro prepotenti ambizioni, e soprattutto in Oriente?1026 . Queste erano dunque conseguenze lontane e oscure dellidea di Roma: oscure, perch lanelito ad agire rischiava di prescindere dalle condizioni dei tempi e del paese, tramutandosi in desiderio di avventura. Per arrivare alla dominazione occorre accettare i rischi, diceva lOriani; ma gi solo la similitudine, conturbante lui come il DAnnunzio, del piegar la donna in un violento amplesso, stava ad indicare quale pericoloso ebriamento potesse alterare la chiarezza del pensare politico. Era il rischio additato, gi nel 1865, oltre che dai moderati italiani alla dAzeglio, anche dal ginevrino Rodolfo Rey: Roma con i suoi ricordi pu schiacciare tutti i governi dEuropa, e a pi forte ragione quello duno Stato recente, appena formato, obbligato ad ogni genere di riguardi. Roma uneredit onerosa, un nome magnifico ma troppo pesante da portare1027 . E tuttavia, non era ancor questo laspetto pi preoccupante. Una politica di espansione, di conquista: ma che almeno fosse sostanza e tutta cose. Ma quando il sogno di grandezza si riducesse alle forme esterne della

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grandezza, allapparenza fatua, ad alti clamori e a trombe squillanti Quando il ricordo di uno stupendo passato agisse non sullorgoglio, ma sulla vanit! Quando il ricordo degli avi si limitasse a rendere gli Italiani, secondo aveva gi deprecato il Foscolo, simili in tutto aglIsraeliti, a cui bastava il ricordarsi boriosamente cherano discendenti di Abramo1028 : ed essi dei Romani antichi! Era, questo, il maggior pericolo che la missione di Roma i recava in s. Idea di formidabile efficacia nellanimo de grandi, poteva tramutarsi, nei mediocri, in fastidiosa figura retorica; nella stessa persona, anzi, ove proprio non si trattasse di uomini di solidissima tempra, poteva agire ora come forza benefica, ora come fuoco dartificio, provocando oscillazioni tra il lavoro serio e latteggiamento istrionico, tra la fede sincera e il bluff propagandistico. Gi una volta, essa aveva agito con duplice e alternante effetto, da un lato provocando lappello del 7 giugno 1347 di Cola di Rienzo alle citt dItalia e il decreto del 1 agosto, sulla sovranit del popolo romano e il riordinamento dellimpero, e dallaltro le cerimonie per la consacrazione a cavaliere del tribuno, con buffoni senza fine chi sona tromme, chi cornamuse, chi caramelle, chi miesi cannoni e, con tromme de ariento, con le enfatiche parole di Cola al popolo acclamante: Scacciate che questa notte me deo fare Cavalieri. Crai tornarete, cha odirete cose le quali piaceraco a Dio in Cielo, allhuomini in terra1029 , con il bagno nella vasca di Costantino e poi ancora, il 15 agosto, la incoronazione con le sei corone, proprio in omaggio ai ricordi classici del tribunto, che voleva rinnovare gli antichi titoli delle cariche romane con gli antichi riti1030 . Ora la pericolosa tendenza alle celebrazioni formali riappariva; e trovava modo di farsi notare gi poche settimane dopo lingresso delle truppe italiane nella citt.

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Erano entrate le truppe, ma non ancora il Re; e pensando a questo evento prossimo si sperava la Commissione romana per la conservazione dei monumenti, biblioteche e archivi faceva sua la proposta di C. Rusconi, perch Vittorio Emanuele II salisse sul Campidoglio per la via Sacra, attraverso il Foro Romano, tra il Colosseo e gli archi di Costantino, di Tito e di Settimio Severo. Abbattendo il potere temporale dei papi, non aveva egli riportato un trionfo a petto del quale erano poca cosa i trionfi degli antichi? Non si gridava forse gi dal popolo il Re in Campidoglio, volendosi con ci significare come nel concetto della nazione sidentifichi gi questo connubio delle meraviglie dun tempo con quelle dellet nostra? Bando alle considerazioni da mercante, al filisteismo: in Roma tutto deve avere unimpronta di grandezza. Era unespressione simile apparentemente a quella di Quintino Sella; ma la grandezza diventava, ora, teatralit, spettacolo, mortaretti e fuochi dartifizio e cavalieri caracollanti in bella mostra di s, Vittorio Emanuele II a cavallo col gran pizzo e lelmo da generale ambicrinito, e dietro a lui i generali al galoppo, magari il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri, i borghesissimi Lanza e Visconti Venosta, anchessi su di un focoso e scalpitante destriero. A uomini come il Lanza, il Visconti Venosta, il Sella queste dovevano sembrare follie; e, di fatto, contro la proposta si schierava subito il portavoce del ministero, LOpinione. Ridevole anacronismo, quello del comitato romano; il Re deve entrare a Roma come Re cittadino e non qual conquistatore romano; lItalia non deve procedere verso lavvenire per le vie del passato, e deve guardarsi dal voler risuscitare le et trascorse, ch ogni civilt deve avere i suoi segni rappresentativi; e si badi bene che la

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via Sacra, sera la via dei trionfatori, era pure, ai tempi di Orazio, il passeggio degli sfaccendati e degli oziosi1031 . Re cittadino: qui era colto, assai bene, il momento nuovo, che rendeva o avrebbe dovuto rendere impossibili le anacronistiche esumazioni del passato, anche se non vi avessero ostato motivi dindole contingente, ma gravissima, e cio la necessit di non esasperare inutilmente il Papa, con imprevedibili conseguenze1032 . Veramente, in un episodio di poca importanza si scontravano due mentalit agli antipodi: la mentalit dellitaliano nuovo, venuto su attraverso una dura esperienza di lotte e di sacrifizi, culturalmente e moralmente preparato ai nuovi gravosi compiti che la storia imponeva al suo paese, avvezzo, quale si fosse il suo partito politico1033 , a cercar respiro europeo, e ben convinto che let delle sagre dovesse considerarsi chiusa se si voleva procedere innanzi; e la mentalit dellitaliano rimasto uguale al se stesso degli ultimi due, tre secoli, venuto alla libert e allunit troppo in fretta e troppo per virt di fortuna, poco preparato politicamente e con la testa piena di ricordi scolastici e di letteratura, dellelmo di Scipio e del Campidoglio, respirante unatmosfera falsa e viziata. La tendenza alla festa, alla divagazione coreografica, gi soverchiamente radicata in molti italiani, e fra essi anche ne Romani che, i primi anni, dovevano stupire e scandalizzare i nuovi venuti come popolo ancor sempre amico de baccanali1034 , troppo pronto a cogliere il minimo pretesto per far baldoria e scialare1035 , si trovava cos rafforzata e in apparenza nobilitata dai nuovi eventi, dalle date solenni del patrio riscatto, che occorreva celebrare. In pi della semplice festivit tradizionale, la festivit patriottica, e spesso, se non sempre, levocazione dei Quiriti dun d lontano: quale incitamento a spogliare il dizionario degli epiteti pi altosonanti, a trarre dallarsenale dei ricordi quel che di pi tronfio e di pi barocco vera, sino a giungere alle iperboli di coloro i quali non

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esitavano a definire gli italiani i primi soldati del mondo per lassalto a Porta Pia, e ci mentre tra Weissenburg e Sedan alquanto pi serie battaglie avevano impegnati gli eserciti di Prussia e di Francia!1036 . E quanto facile il parlar deroi e di grandezza, ad agitar, furiosamente quasi, i fantasmi del passato contro le voci dellassennatezza e della moderazione e del buon senso: siccome aveva fatto, nel 1865, contro le tendenze antiromane alla Giorgini il difensore dei Romani, Antonio Stefanucci Ala, con linvocazione alla grandezza formale, lesaltazione della propria superiorit e il dispregio per gli altri popoli1037 ; e avrebbe ripetuto, nel 1883, Francesco Coccapieller che dicevan matto ed era propriamente farneticante di grandezza romana e dunque nelle sue stramberie era leco fragorosa di un sentire proprio non soltanto di un matto come lui1038 . Il guaio si che alla retorica ammantata di toga curule non resistevano sempre nemmeno uomini di alta levatura spirituale. Che la commissione romana per la conservazione dei monumenti, biblioteche e archivi avesse pensato la gloriosa idea di far entrare Vittorio Emanuele a cavallo per la via Sacra non era grosso male; n gran male che la voce di cantori doccasione rievocasse, e sia pur dal teatro comunale Argentina, linsuperabile aquila latina dal volo sublime o ammonisse i deputati giungenti a Montecitorio a parlar alto linguaggio, degno di Tullio, di Papirio, di Catone, di Regolo e Fabrizio, le terribili e grandi alme latine assurte, con il lauro al crine, per giudicarli nel novello agone1039 . Ma alla fioca voce dei cantori romani rispondeva da Bologna ben altra voce. Proprio il Carducci doveva infatti entrare di l a poco in lizza, per scagliar la sua invettiva contro lItalia ufficiale; rea di aver condotto il Re a Roma in modo ignominioso, rea di aver dato Bisanzio allItalia, quandessa aveva chiesto Roma. Zitti, zitti, piano piano, sembrava dicessero Lanza e Visconti Venosta:

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Oche del Campidoglio, zitte! Io sono LItalia grande e una. Vengo di notte perch il dottor Lanza Teme i colpi di sole ... Deh, non fate, oche mie, tanto rumore Che non senta Antonelli1040

Anche lui, dunque, il grande poeta, che non sempre sfuggiva al fascino della retorica e spesso, poetando, soggiaceva soverchiamente al ricordo archeologico, proprio per Roma; tutto passione e furore politico1041 ma non certo testa politica, anche lui avrebbe dunque voluto un altro ingresso, qualcosa di trionfale, e se non proprio la via Sacra almeno un ben alto squillar di trombe. Che lentrata del Re dovesse anzi essere semplice e composta, senza inutili parate, per non render pi difficile una situazione gi assai delicata, nei rapporti col Papato e quindi con le potenze europee1042 : che il grande merito del governo, al disopra e nonostante tutte le sue incertezze dubbiezze, oscillazioni, fosse stato allora anche di esser riuscito, con il suo modesto incedere, ad entrare in Roma riducendo la caduta del potere temporale alle proporzioni di un fatto non maggiore della guerra franco-Prussiana1043 , e guadagnando cos m durevolezza e solidit di acquisto quel che perdeva in splendore e fasto di conquista; che da un simile spettacolo di compostezza e riguardo lItalia non solo non scapitasse nella sua dignit di fronte alle estere nazioni, anzi ci guadagnasse in considerazione1044 : tutto questo sfuggiva alliracondo Giosu, torvo contro se stesso e contro lItalia, bestemmiante Italia, papa, re, democratici1045 , proclive a veder tutto nero e, della patria, a non scorgere che Custoza e Lissa e le piccole miserie1046 . E ancora, altre sue sfuriate erano contro la sostanza dellItalia nuova, la miseria in cui al poeta sembrava cadesse la vita nazionale: sfuriate, dunque, per un profondo motivo, giustificato o meno chesso fosse. Ma nellevocar le oche e il dottor Lanza e Antonelli il poeta, ahi-

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m, soggiaceva anche lui alle stesse impressioni e aspirazioni che avevano, prima, dato corpo alla proposta del pi modesto e men tempestoso Rusconi: anche il poeta aveva bisogno di fragore esterno. Brutto segno, proprio perch il Carducci era tra gli uomini in cui lidea di Roma viveva in profondit e sincerit e agiva sovente, come forra feconda. Anche in lui, il mito di di Roma
... madre de i popoli, che desti il tuo spirito al mondo, che Italia improntasti di tua gloria.

La voce di Roma, chera risuonata sl pura e fresca nel Mameli dellinno, togliendo allelmo di Scipio, quella volta, la patina retorica per farne unimmagine di immediata naturalezza e spontaneit, nel Carducci trovava alti accenti di poesia vera; ma saffiorava pure non infrequentemente in un esclamar retorico e in brutti versi. Brutti versi; ma pi spiacevole, per noi che non siamo critici di poesia, il constatar come, nonostante la sincerit delluomo e la sua forra intellettuale, venissero fuori immagini che troppo palesavano il gusto del teatrale. E si metta pure, che nel Carducci questo bisogno di antichit anche nelle forme, di trionfi pagani e di cortei, venisse fuori come reazione contro la Roma papalina una plebe di mendicanti ... una borghesia di affittacamere, di coronari, di antiquari, che vende di tutto, coscienza, santit, erudizione, reliquie false di martiri, false reliquie di Scipioni, e donne vere; un ceto di monsignori e abati in mantelline e fogge di pi colori, che anchesso compra e vende e ride di tutto; unaristocrazia di guardiaportoni; una societ che in alto e in basso, nel sacro e nel profano nel tempio e nel tribunale, nella famiglia e nella scuola, vive in effetto quale tratteggiata nelle satire di Settano e del Belli, come la pi impudicamente scettica, la pi squisitamente immorale, la pi serenamente

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incredula e insensibile a tutto che di sublime, di nobile, di virtuoso, dumano possibile credere, vagheggiare, adorare o sognare le altre genti1047 ; si metta pure che il fantasticar trionfi romani e cocchi e aquile legionarie, nascesse spontaneo per contrasto non facilmente evitabile con la Roma presente che appariva piccina piccina, a chi non volesse riguardar verso San Pietro, anzi sdegnasse e odiasse il simbolo delloscurantismo. Il poeta sognava cose grandi; il presente gli sembrava detestabile, ed ecco levocazione non solo degli antichi spiriti, s anche degli antichi riti. Si conceda tutto questo; ma non men vero che anche nel Carducci lidea di Roma veniva fuori con quel doppio carattere di cui s parlato, Giano Bifronte con un volto tutto luce, idealit, sostanzialit e laltro oscurato dai troppi fumi di incenso e vuoto al di dentro. Il potente senso nazionale del Carducci non era ancora il nazionalismo gretto di pi tardo conio; ed egli, in questo uomo del Risorgimento, vedeva lItalia nel mondo, non contro il mondo, e amava eroi e glorie di altre nazioni, esaltando soprattutto la Francia dell89; e la grandezza dItalia era, anzitutto, per lui, come per gli uomini del Risorgimento, altezza di sentire civico dei suoi cittadini1048 . Ma le immagini corpose della sua romanit non erano pi soltanto Risorgimento e piuttosto segnavano il primo trapasso dalla romanit mistica del Mazzini alla romanit politica, materialmente concreta, tanto cara pi tardi; e poich era sovente romanit di sfarzo, pot poi avvenire che, per molti ci quelli che vennero dopo di lui e gi si nutrivano di altri degli, i suoi appelli alla gloria e potenza dItalia in Roma inducessero piuttosto a chiudere lItalia in s e servissero da motivo nazionalistico. La festosit esteriore sembrava fatalmente collegata con la grandezza interiore: madre di grandi cose e incitatrice ad alti pensieri, Roma di necessit pareva richie-

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desse i panni curiali e il tono solenne. Neran persuasi anche uomini tuttaltro che animati dal sacro fuoco del vate, moderati nel pieno senso, politico-morale, della parola, che normalmente erano refratteri allincanto dei bei gesti e delle frasi: cos, uno degli amici del Minghetti, il lombardo conte Guido Borromeo, chera un po, senza dubbio, un Bastian contrario, e borbottava e brontolava su questo e su quello, e vedeva il mondo, generalniente, sotto fosca luce, ed era non benevolo critico del Lanza e del ministero in genere, ma che insomma non era un letterato facile ad accendersi per le belle parate. Eppure, anche lui, che pur non aveva nascosto la sua disistima pe Romani e anzi aveva chiaramente espresso il timore che Roma capitale accrescesse, cosa non augurabile, linfluenza del Mezzogiorno nella vita politica italiana, pure anche lui, un antiromano, masticava amaro pel modo come sandava a Roma, e gli pareva dolorosa cosa veder lItalia compire lopera sua in modo cos poco degno di Lei, ed entrare in Roma con tanta poca anzi nessuna dignit. Dopo aver aperta una breccia a cannonate fa dolore assistere allo spettacolo duna presa di possesso quasi fatta a spintoni di Sinistra, con un Re che andr forse per 24 ore a stento, con una Camera che non vi sar in numero1049 . Segno che laria di Roma inebriava davvero, anche chi ne stesse lontano. IV Gli antiromani Pericolo evidente, dunque. E se ne rendeva pienamente conto uno spirito sottile, il lombardo Stefano Jacini. Nel celebre discorso del 23 gennaio 1871, in Senato, contro il progetto di trasferimento della capitale da Fi-

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renze a Roma, il motivo fondamentale era indubbiamente costituito dalla preoccupazione che, cosa facendo, non si distruggesse il piedistallo di quel grande potere religioso la cui influenza mondiale era tuttora cos forte ed era un potere con sede in Roma, nel cuore della terra italica; che non si aprisse, appena al chiudersi della questione romana (terminata, per lui, col Venti Settembre), una minacciosa questione papale. Preoccupazioni di cattolico praticante, daccordo col politico nel ritenere nocivo e pericolosissimo il nuovo passo innanzi, e in ci daccordo con uomini quali il Menabrea e lAlfieri di Sostegno1050 . Ma, nellargomentazione, il momento centrale era quello costituito dallattacco, reciso e duro contro il mito di Roma1051 . Tutto il resto; discussioni pro e contro la posizione geografica, il clima, la sicurezza militare, era di valore assai secondario; poteva anzi stupire di vedere un uomo quale il Jacini soffermarsi, nella polemica attorno ad un problema come della capitale, su argomenti di ben scarso valore e che si prestavano ad immediata e facile replica: la replica gi data, un decennio in anticipo, dallo stesso conte di Cavour in base ai criteri climatici topografici e militari, certamente Londra non sarebbe capitale dellInghilterra e forse nemmeno Parigi della Francia1052 . Il pi formidabile dei motivi addotti a favore di Roma capitale era ben altro: lopinione pubblica, vale a dire il dogma della necessit del trasferimento del governo nazionale sul Tevere. E contro questo dogma volgeva dunque il suo tagliente ragionare il cattolico-liberale lombardo, con tutta laggressivit chera caratterisica di lui1053 . Era proprio lidea letteraria di Roma ad essere impugnata, svuotata di contenuto, presentata in una sola delle sue due facce, e, naturalmente, in quella negativa. Idea da antiquari; relitto di un tempo che fu e che non doveva pi mai ritornare; prodotto della rettorica, di quel-

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la rettorica la di cui influenza, ad Italia costituita, dovrebbe essere la prima cosa da abolire, se vogliamo veramente prendere posto fra le nazioni moderne pi civili ... belletto di una Italia decrepita e che ha fatto il suo tempo, e non lornamento di quellItalia che vagheggiamo e che deve percorrere le vie della libert e del progresso se vuole assidersi da pari a pari colle nazioni pi incivilite del mondo: la concezione di Roma che il pieno Risorgimento aveva nutrito, pur nelle diversit delle tendenze politiche, e che proprio in quei giorni trovava concordi sostenitori in uomini di Destra e di Sinistra, nei Sella come nei Crispi, nellOpinione come nella Riforma e nel Diritto, questa concezione usciva malconcia assai dallatto di accusa del senatore lombardo. Nelle sue parole riecheggiava la tendenza antiromana che aveva trovato, forse, la sua pi cruda espressione, prima del 48, nel Durando1054 , ma che, ancor pochi anni innanzi, si era rivelata aspramente nella parola del dAzeglio: il discorso del 23 gennaio 1871 discendeva per via diretta dalle Questioni Urgenti, in cui dieci anni puma il cavalier Massimo aveva recisamente combattuto il programma di Roma capitale dItalia, negando che lambiente dellUrbe impregnato de miasmi di 2500 anni di violenze materiali o di pressioni morali esercitate dai suoi successivi governi sul mondo fosse adatto per unItalia giovane, nuova, unItalia che non doveva aver pi nulla a che fare con le memorie dellantico mondo romano1055 . Concetto informatore e immagini erano identici; fin le obbiezioni di carattere igienico e strategico passavano dallo scritto del piemontese nel discorso del lombardo1056 . Di l, e dal discorso che il dAzeglio aveva fatto leggere in Senato il 3 dicembre 18641057 , ormai vecchio e stanco ma sempre cocciuto come un rospo, amaro e dispettoso e sempre polemico contro il Cavour anche morto1058 , era nata la corrente che aveva trovato altri sostenitori, decisi nel dichiarare, con Gian

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Battista Giorgini, che Roma era priva di tutte le idee su cui s fondata la societ moderna e quindi era al di fuori della civilt moderna1059 ; espliciti nel ritenere, secondo dichiarava, tra il 70 e il 71, il marchese Carlo Alfieri, un errore funesto il trasferimento della capitale a Roma, come che tutti i motivi della gloria romana fossero ricordo del passato, dun passato, dal quale la libert moderna non ha nulla a ritrarre, del quale anzi sar suo dovere e suo onore mostrarsi il perenne e trionfante contrapposto1060 . Roma per il suo cosmopolitismo tradizionale, era la meno italiana fra tutte le citt, la meno adatta ad essere la capitale di una nazione appena nata: a trovar necessaria Roma capitale avevan dovuto venire i piemontesi, proprio dei quali era non intender mai nulla della storia dItalia1061 . E non erano soltanto i dazegliani: anche altri di ben diverso orientamento politico muovevano allattacco contro dogma di Roma, e fra essi nessuno di pi violento linguaggio di Francesco Montefredini, che nellostinazione per Roma rinveniva un nuovo mzio della irrimediabile decadenza delle nazioni latine. La colpa, era di Mazzini mosso da quelle sue allucinazioni, da quelle meravigliose credenze sue politico-religiose, dalla grande speranza di poter da Roma, nuovo apostolo e pontefice massimo, predicare alle genti, che hanno ben altro a fare che ascoltar Roma, il nuovo suo vangelo. Roma sarebbe stata la sicura rovina di tutta la nazione, comera gi stata, nel passato, la tomba della patria italiana1062 . Lodio anticlericale del Montefredini era tuttaltra cosa dalla riverenza cattolica del Jacini; ma ad entrambi erano comuni gli strali contro leducazione di collegio e i riflessi retorici di Livio. E altri ancora si associavano, sino al punto da vagheggiare la creazione di una Washington italiana, una capitale costruita ex-novo, di sana pianta, per esempio nella mediana conca umbra, sotto Assisi, m un sito centrale, sicuro, bello sano, in guisa che il cen-

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tro dello Stato fosse scevro da ogni gravame dinfluenze e tradizioni di altre et: a Roma, piantar la bandiera italiana, porre un presidio, insediare un prefetto, e lasciarla come museo dantichit e darte, serbatoio di antiche memorie e metropoli cattolica1063 . Roma capitale retorica degli Italiani: nella formula dazegliana, ripresa dal Jacini, era tutt un modo di sentire il problema politico, tutta una tradizione non indifferente di pensiero politico moderato, che dava battaglia aperta, in Parlamento, alla trionfante tendenza romana1064 . N certo si pu contestare che nelle preoccupazioni di questi uomini nella paura di Roma1065 , nel chiedersi con trepidazione non esente da sdegno se ha da durare eternamente questo Campidoglio1066 , verano alcuni motivi tuttaltro che infondati. Ma era una battaglia disperata e votata allinsuccesso sicuro; e a rialzarne le sorti non giovavano davvero le intemperanze degli antiromani. Nelle parole del Jacini, per vero, parecchio vera di unilaterale e di capzioso; soprattutto, nella palese secchezza di tono, pienamente consona allo stile delluomo1067 , colpiva latteggiamento eccessivamente razionalistico e ad un tempo pragmatistico del pensiero. Dire, in una questione come quella, che il problema della capitale era cos eminentemente pratico, cos eminentemente positivo e di competenza esclusiva della riflessione, del ragionamento e di accurati studi, significava tagliare alle radici non soltanto la retorica di Roma, s anche quel momento passionale, emotivo, lirico saremmo per dire, chera pur stato allorigine di tutto il gran moto nazionale e senza del quale il Risorgimento o non sarebbe avvenuto o sarebbe stato tuttaltra cosa. Ridurre a pura retorica lidea di Roma, era dimenticare che in essa gli Italiani avevano trovata una parola dordine, a tutti comune, quando di un principio comune cera bisogno: e lo stesso Jacini laveva riconosciuto otto anni innanzi,

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accettando intero, allora, il giudizio di Cavour e scrivendo che lidea di Roma capitale dItalia faceva vibrare da molte generazioni il cuore di ogni Italiano, con tutta potenza da agire nella storia anche per semplice enunciazione, prima ancora che la realt vi corrispondesse; Roma sola citt italiana dalle tradizioni non municipali, Roma associata a tutte le tradizioni della patria, alla educazione dei giovani del Risorgimento1068 . E veramente, altri aveva osservato, si potevan trovare cento buone ragioni per opporsi a Roma capitale: non centralit, n geografica n intellettuale, n economica; atmosfera morale probabilmente peggiore di quella di ogni altra citt italiana; grandezza del teatro sproporzionata alla mediocrit degli uomini destinati a farvi da attori. Eppure, nonostante tutto questo, il sentimento generale affermava la necessit di andare a Roma, in ci vedendo come lultima e definitiva sanzione del Risorgimento, il suggello allItalia, una, indipendente e libera. O bene o male che fosse, la necessit del trasferimento della capitale a Roma era politicamente innegabile1069 . Era caratteristico che proprio da un lombardo muovesse, nel momento decisivo, la parola pi dura contro Roma capitale: quasi che per uno di quei misteriosi disegni della storia, che appaiono soltanto a prospettiva lontana, sin da quel momento si dovesse avvertire il prossimo antagonismo tra la capitale politica e la capitale morale, questultima mal rassegnata a cedere ora, cos comera stata un tempo mal rassegnata a cedere la Chiesa ambrosiana di fronte alla Chiesa di Roma1070 , e sempre pronta a contrapporre a Montecitorio e al Campidoglio le sue officine, le sue banche, i conti correnti dei suoi cittadini, riprendendo la secolare contesa per il primato con tutti gli orgogli dellantico Stato1071 e con i nuovi orgogli della potenza produttrice. Un lombardo: e men fatto di pensare al nessun fascino che Roma aveva avuto per un altro lombardo, tanto

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maggiore, per il Manzoni, cattolico eppure mai recatosi, in vita sua, nella sede del successore di Pietro, mentre era andato spesso in riva alla Senna1072 , politicamente favorevole a Roma capitale, anche a costo di urtarsi col genero dAzeglio, e pronto ad accettare la cittadinanza onoraria di Roma, nel 721073 , spiritualmente non mai tocco dalle grandi memorie di Roma e ripugnante anzi a Roma classica1074 . O, ancora, al nessun influsso che il Campidoglio aveva esercitato, fino al 48, sul robusto pensiero politico di un altro grande lombardo, il Cattaneo diverso anche in questo dal Mazzini. Era una tradizione regionale che riviveva nel Jacini, e che accentuava ancora e quasi inacerbiva la tradizione generale dei moderati di cui Jacini era lerede: erede non soltanto nel rifiuto della retorica e del mito di Roma, ma, pi generalmente nellappello al lato positivo delle cose, alla competenza esclusiva della riflessione e degli studi accurati, nel bandire dalla vita politica, come un guastafeste, lelemento emotivo e passionale, non diversamente da come la folle du logis, la fantasia, era stata bandita dal razionalismo settecentesco, tanto vivo ancora nella mentalit dei moderati in genere e in ispecie del cattolico Jacini. Positivit, raziocinio, studio: un po come s la vita delle nazioni potesse essere regolata col puro calcolo della ragione, quasi una macchina ben congegnata. E a percepire la differenza tra un simile modo di vedere quello del grande politico, bene attento, certo, a non lasciarsi fuorviare da fantasie e da facili miti, ma pure sensibile alle voci dellimmaginazione e agli imponderabili della storia, bastava raffrontare il discorso del Jacini con quello del Cavour, dieci anni innanzi: niente affatto succube delle idee da antiquari, il Cavour; pronto a dichiarare, quasi con compiacenza, la sua personale insensibilit al fascino artistico di Roma, eppure altrettanto pronto ad affermare la forza delle grandi ragioni morali e di conseguenza, lineluttabilit di capitale. Pura

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riflessione, diceva Jacini; e Cavour gli aveva, in anticipo, ribattuto essere il sentimento dei popoli a decidere questioni come quella della scelta della capitale1075 . Due concezioni antitetiche circa il modo stesso di porre il problema politico. N varrebbe losservazione del Jacini, esser stato quello del Cavour un abile atteggiamento polemico, per seppellire ogni velleit di federalismo in Italia, senza che per egli pensasse seriamente a trasportare la capitale a Roma1076 . Al disopra di ogni discussione di tal genere, daltronde inutile perch campata per aria, costruita su ipotesi pi o meno arbitrarie ed in cui poi allinterpretazione Jacini si contrapponevano le interpretazioni completamente opposte di molti altri amici, discepoli e collaboratori del Cavour, stava il fatto che tra il modo di impostare la discussione del gran conte, il suo appello ai fattori spirituali e morali, allimmaginazione e al sentimento, e la positivit del lombardo cera un abisso. Abisso che separava il grande politico aperto ad ogni voce, capace di intuire il valore concreto anche di quel che non fosse buon senso comune, dalluomo pur di notevole ingegno ma chiuso in un troppo rigido schema, troppo studio e poco intuito. La polemica coraggiosa, ma troppo aspra e unilaterale, contro lidea di Roma belletto di una Italia decrepita dimenticava quel che di fruttuoso, di molto fruttuoso i patrioti avevano pur trovato nellidea, trascurava anzi offendeva ideali vivi e profondamente sentiti da uomini non sospetti n di retorica n di amor dellantiquariato. E cos, svanita la sensazione prima provocata in Senato dalle sue parole, la sua battaglia contro la retorica di Roma, che coglieva cos crudamente uno de grandi pericoli parati innanzi alla nuova Italia, rimase sterile di risultati. A presentar lidea di Roma come unidea da antiquari, si guadagnava soltanto di suscitar una reazione che non avrebbe poi pi fatto il debito conto nemmeno degli utili avvertimenti; ad esagerare nelle diatribe, si

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correva soltanto il rischio di suscitar per reazione gli incensamenti a tutto spiano da altra parte anche se, per allora, questi incensamene dovessero rimanere contenuti in innocue proposte di feste o parate trionfali, in progetti immaginari, in discorsi, o, al pi, potessero ascendere a dignit letteraria ad opera del Carducci. Di tal genere erano dunque le conseguenze del Venti Settembre. Una nuova forza simponeva, con Roma capitale, nella appena iniziata storia dellItalia unita, una forza capace di bene e di male; potente incitamento e vessillo di raccolta e segno di individualit nazionale ne giorni in cui la patria non era ancor una, e sempre atta ad ispirar alte idealit, chi volesse accoglierla a guisa di comandamento morale che una grande tradizione imponeva alla nuova Italia; ma pure capace di influire sinistramente sui destini della patria, chi si lasciasse invece abbagliare e insuperbire e sognasse ritorni impossibili. Idee, tutte, che solo con il materiale possesso di Roma potevano sorgere. Vano infatti il credere che il senso di Roma potesse rivivere in altra citt, che Milano potesse essere una seconda Roma; assurda linvocazione dellimmaginoso De Zerbi che o a Milano o altrove fosse Roma purch fosse! ... per che la fede nella lancia del Quirite e nei destini altissimi incrollabili della patria, lorgoglio della propria stirpe e della propria cittadinanza, linsofferenza della cerchia ristretta, e la forza di espansione che fa guardare sempre pi in l, sempre pi in l, sempre, sempre pi in alto, sempre pi in alto, e lindomabile pertinacia nel volere sovra ogni cosa la maest del popolo romano, questo, che Roma questo non ancora in alcun luogo dItalia!1077 . Vano e assurdo: perch solo nel luogo stesso dellantica gloria, tra gli avanzi della magnificenza dun tempo, potevan davvero e con continuit rifiorire i sogni della romana grandezza. Solo tra i monumenti che celebravano le grandi epopee del passato ed erano, per gli Italia-

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ni, un pungente ricordo dei loro doveri1078 , nascevano i pensieri di esser grandi come i lontani padri. Lespansione che il De Zerbi, nazionalista anzi tempo, sognava, movendo da Milano avrebbe avuto tuttaltro carattere modi affatto diversi dallespansione che si cerc poi di far muovere da Roma. Solo a Roma si poteva sul serio e continuativamente pensare a fantasmi antichi, che altrove avrebbero, rapidamente, perso forza ed efficacia. Per rinnovare linvocazione goethiana alle pietre ed agli alti palazzi, per attendere da loro la parola incitatrice, bisognava, anzitutto, aggirarsi tra quelle pietre e quei palazzi. Ora, il ceto politico a cui erano affidati i destini dellItalia unita stava per trasferirsi definitivamente tra le antiche pietre.

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Capitolo Terzo Lordine e la libert

I Il programma conservativo Tuttavia, per il momento era sempre la cattedra di Pietro ad eccitare gli animi, a difesa e a offesa. Gli archi e le colonne non parlavano ancora bastantemente di potenza militare. Intanto, per parecchi anni alla capitale sarebbe mancata forza di assorbimento, nei confronti delle altre citt della penisola: non solo le condizioni dei pubblici uffici facevano apparire lUrbe come una locanda1079 , un accampamento provvisorio, senza assetto n apparenza di capitale1080 ; ma dallo stesso punto di vista politico saveva spesso limpressione che il vero centro continuasse ad essere altrove, magari annotava Il Diritto1081 magari sulle ferrovie continuamente percorse in su e in gi dai ministri. Discorsi programmatici dei capi partito, tutti pronunziati altrove a Torino o a Legnago o a Cotogna Veneta o a Stradella o a Cossato; trattative importanti di carattere internazionale condotte altrove, e non nella capitale1082 ; frequenti fughe dei deputati, smaniosi di tornare il pi presto possibile a casa, e insofferenti anche del clima e delle poco salubri condizioni degli immediati dintorni dellUrbe1083 ; lunghissime assenze del Re dalla Citt Eterna1084 , a Vittorio Emanuele non gradita vuoi per il clima1085 , vuoi soprattutto per i rimorsi che inquietavano la sua sempre cattolica coscienza1086 e il disagio morale di dover contemplare, dal Quirinale S. Pietro e il Vaticano1087 in quegli anni sebbe sovente limpressione che Roma fosse la capitale proforma, ma che il vero centro politico fosse altrove1088 . La grande capitale di tem-

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pi pi vicini a noi, Roma non lo era ancora: n i moderati al potere, Sella eccettuato, desideravano lo diventasse, chi pi chi meno preoccupati che una capitale alla francese non risucchiasse troppa la vita della nazione, testa enorme sproporzionata al corpo. Ma anche a prescindere da simile lento affermarsi della capitale nuova, a smorzare ogni possibile velleit di brandir nuovamente lasta dei Quiriti cerano non solo la situazione europea e sarebbe ampiamente bastato ma anche il desiderio della popolazione e la volont degli uomini di governo di concentrare ogni sforzo nelle grosse e gravi questioni interne, svolgendo una politica estera di tutta tranquillit. Perfino per i pi agitati degli uomini politici dallora e i pi facili ad infiammarsi al ricordo delle grandi memorie, lora attuale non era quella di una risurrezione della Roma di Scipione e di Cesare, bens lora della lotta contro il nemico interno dellItalia, che era ad un tempo il cancro dellumanit: il Papato. E quanto agli uomini della Destra il conservare diventava la parola dordine. Conservare dopo un dodici anni di improvvisi, insperati acquisti; trasformarsi da lievito rivoluzionario dEuropa in elemento dordine e di pace: questo era il nuovo ideale, sinceramente sentito, altamente proclamato anche con appelli diretti allazione e al pensiero del Cavour1089 . La rivoluzione era finita: bisognava ora mettere in ordine la casa1090 , restaurare molti principi molte idee, molti affetti che nel corso della rivoluzione abbiamo dovuto necessariamente disconoscere o ferire1091 , rinfrancare anzitutto il principio dautorit1092 , s da mettere la parola fine allo spirito giacobino. Gi lo diceva, da Vienna, il 22 ottobre 1870, il Minghetti al fido Pasolini1093 ; il Minghetti il quale, allo scopo di consolidare definitivamente le istituzioni e di seppellire cos per sempre qualsiasi idea di una Costituente, consigliava addirittura di affrontare subito la questione della riforma dello Statu-

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to, togliendo motivo dalla necessit di regolare la situazione del Papa in Roma e introducendo tale regolamento nello Statuto, in titolo apposito, ma non in una legge a parte1094 . Pochi mesi pi tardi, nella discussione in Senato sulla legge delle Guarentigie, il Visconti Venosta ancora una volta dava espressione ufficiale e definitiva al pentimento suo e dei colleghi di governo, riaffermando che la causa italiana era per tutta lEuropa una causa di libert s, ma anche di tranquillit e di equilibrio, che il movimento nazionale italiano aveva avuto questa ambizione altamente civile, di considerarsi come un progresso per la causa generale dellordine e della libert in Europa, che il popolo italiano poteva essere considerato uno dei pi tranquilli e conservatori di Europa. E dichiarava che il compito politico della rivoluzione italiana era finito1095 , sicuro di raccogliere il consenso non solo dellalta Assemblea, bens dellopinione pubblica quasi unanime, non contraddicendo in ci, sostanzialmente, nemmeno la maggior parte degli nomini della Sinistra, Depretis, Rattazzi, Zanardelli, Cairoli. Suggello supremo alle parole del ministro degli Esteri, il discorso della Corona per linaugurazione dellXI Legislatura, il 5 dicembre 1870: dove pure lItalia libera e concorde diventava per lEuropa un elemento di ordine, di libert e di pace1096 . Ordine, pace, conservazione; prender posto nella famiglia europea, nel concerto delle potenze come una persona ammodo, dopo esser stati per tanto tempo il guastafeste. Ma ordine e conservazione nella vita europea presupponevano ordine e conservazione nella vita interna de singoli paesi, e quindi anche dellItalia; il conservatorismo in politica estera faceva tuttuno con il desiderio di conservazione e di stabilit anche in politica interna; e affermare luno significava affermare laltro. Come si desi-

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derava che lassetto europeo rimanesse inalterato quanto pi a lungo possibile, cos si desiderava evitare qualsiasi disturbo e novit in casa propria. Poter fermare la situazione al punto in cui era, sia nei confronti degli altri Stati, sia, allinterno, nei rapporti fra i vari partiti e ceti: era il desiderio dei novelli Giosu che per tal modo ripiegavano sempre pi su posizioni nettamente conservatrici. Gli interessi dellItalia, identici a quelli dellEumpa, erano la conservazione della pace, il progresso liberale e la conservazione sociale, affermava nuovamente il Visconti Venosta alla Camera il 27 novembre 18721097 : conservazione, dunque, anche nel campo interno, oltre che in quello internazionale. E vari uomini molto autorevoli condividevano le idee che il La Marmora esprimeva, a Firenze, al ministro di Francia Fournier, nel marzo del 72: ci si pu rammaricare per il modo con cui lItalia si costituita a grande nazione, ci si rammarica anche da noi; quel modo, quei procds ... sont embarassants pour ceux qui gouvernent et qui veulent et doivent tre conservateurs, aprs stre servi de la rvolution pour en arriver o nous sommes: mais ce qui est fait est fait: le temps, la sagesse, la prudence, les mnagements, la force au besoin contre ceux qui ... voudraient continuer tre rvolutionnaires ... consoliderons petit petit notre tat et social1098 . Era un vecchio motivo, questo dellordine tutelato dalliniziativa di casa Savoia. Risaliva su fino al 481099 . Ma soprattutto da quando il conte di Cavour si era genialmente avvalse delle preoccupazioni che la propaganda mazziniana ispirava alle Cancellerie europee per proclamarsi tutore dellordine in Italia e reclamar quella libert di mosse che, negata a lui, sarebbe stata strappata con ben altri intenti dallagitatore genovese; da quando egli aveva fruttuosamente cercato di tacitare le potenze conservatrici, anche di fronte agli atti suoi pi rivoluzionari, affermando e facendo affermare dai suoi in-

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viati quil ny avait eu pour nous aucun moyen dagir autrement sans nous laisser dborder par les vritables rvolutionnares, et sans mettre en pril lordre et la sret gnrale au dedans et mme en dehors de lItalie1100 , o lasciar agire Cavour o lanarchia repubblicana nella penisola e lincendio acceso nel continente, lagitar lo spettro della rivoluzione dinanzi agli occhi dellEuropa per strappar consensi nella questione romana era ormai una prassi costante, quasi una ricetta quotidiana. Forse che, nel settembre del 70, il Visconti Venosta non aveva cercato di legittimare lazione del governo presentandola come tutrice dellordine in un momento pericolosissimo1101 , e suscitando cos le critiche sia di conservatori come Gino Capponi1102 ; sia, soprattutto, degli uomini della Sinistra insorti a negare che alcun pericolo ci fosse stato1103 , ma trovandosi in perfetto accordo con altri rappresentanti dellopinione pubblica?1104 Lo stesso Re non aveva forse dichiarato direttamente a Pio IX chegli agiva per mantener lordine di fronte ai tenebrosi progetti del partito della rivoluzione cosmopolita?1105 E forse che, ancor pi tardi, nella diuturna fatica di impedire ogni ritorno offensivo degli oltramontani dei vari paesi il ministro degli Esteri non si serviva, costantemente, dello stesso motivo, essere cio il governo italiano a Roma un pegno sicuro di ordine e di tranquillit contro lanarchia?1106 Era largomento di cui si giovavano, ne fossero o meno convinti, i pubblicisti stranieri favorevoli al nuovo ordine di cose1107 e persino come gi nel 481108 i governi esteri che avevano assunto contegno benevolo verso lItalia e che in tal modo cercavano di tranquillizzare i cattolici o, addirittura, di evitare che lazione violenta degli Italiani contro Roma servisse di pretesto ad altre perturbazioni dello status quo internazionale; cos, nel novembre 1870, quando la Russia sera dichiarata sciolta dalle clausole del trattato di Parigi relative al Mar Nero, al-

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lambasciatore dello Zar a Vienna che tentava di giustificare loperato del suo governo richiamandosi allesempio del Venti Settembre, cio ad unaltra asserita violazione di impegni internazionali, prima ancora del Minghetti rispondevano il Beust e lAndrssy, col far osservare anche che la mossa italiana cagionata da fortissimi ed urgenti motivi interni ... aveva altres un obbietto speciale dordine pubblico, e pur distruggendo il dominio temporale del Papa non cessava di mantenere al cospetto dellEuropa un carattere conservativo1109 . Tanto pi necessario linsistere sullordine, la tranquillit, il rispetto dellautorit costituita, e lassumere agli occhi dellEuropa la funzione del buon guardiano, in quanto il governo italiano era accusato dagli oltramontani, francesi belgi austriaci tedeschi irlandesi spagnuoli, di minar alle basi i sacri principi dordine e di autorit, di dar lavvio, con i suoi atti di violenza, a perniciosi sconvolgimenti nellordine morale, politico e sociale, di scuotere siccome diceva monsignor Ledochowski il principio monarchico stessoau point quil sera difficile dinspirer au peuple le respect de ce qui est sacr et honorable, quand dans Rome les Italiens le foulent impunment aux pieds1110 . Codino e pauroso per gli uomini della Sinistra, il governo italiano appariva un mostro di empiet, un abbominevole sovversivo agli occhi dei reazionari europei: tale essendo la sua sorte, ora come ai tempi di Cavour, di dover operare equilibrandosi fra due impulsi estremi ed antitetici, luno interno soprattutto, laltro soprattutto esterno, e di dover cercare la via del successo giovandosi alternativamente delluno contro laltro, agitando lo spettro della rivoluzione mazziniana per garantirsi diplomaticamente Roma, e mettendo innanzi lo spauracchio di un intervento europeo per strappare al Parlamento italiano le Guarentigie al Papa, contro le pretese di chi lo avrebbe voluto ridurre un vescovo come gli altri1111 .

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Ma non erano soltanto necessit di mera tattica politica a tendere gli uomini della Destra proclivi verso le affermazioni di conservatorismo, interno ed esterno; n la loro era soltanto la posizione di chi, enunciando princpi e programmi ad uso altrui, finisce poco o molto con il rimaner egli stesso impigliato nelle sue reti, e col persuadersi progressivamente della verit e santit di affermazioni destinate da prima a consumo altrui. Gi per il Cavour lavvrsione alla rivoluzione, al buttar tutto per aria e far piazza pulita dei vecchi istituti e anzitutto dellistituto monarchico, era stata tuttaltro che una mera lustra diplomatica; e per i suoi successori il desiderio di conservazione era naturalmente ancor pi forte, come che si ritenessero ormai raggiunti tutti gli scopi del movimento nazionale, unit indipendenza libert. Sinceri erano nellaffermare il loro desiderio di pace, la volont di costituire un elemento di orme per lEuropa; e sinceri continuavano ad essere quando proclamavano di costituire lunico valido presidio della tranquillit interna, di contro al temuto irrompere delle dottrine estremiste. Proprio da questo timore reale e profondo del sovvertimento generale, nascevano le preoccupazioni maggiori: bisognava strappare alla rivoluzione le sue parole dordine, mettersi a capo di essa per imbrigliarla, servirsene fino ad un certo limite ma impedire che passasse oltre e sfuggisse di mano1112 , ma questo appunto era il difficile, saper cogliere lattimo in cui la spinta rivoluzionaria rendesse il massimo dei vantaggi e offrisse il minimo pericolo, lattimo giusto, non prima n dopo, per causare guai. Occorrevano, a ci, il fiuto e locchio del grande pilota: e non dunque meraviglia se pi volte ai generali di Alessandro fossero mancati il fiuto e locchio che Alessandro, cio Cavour, aveva avuto in misura suprema, se la politica dei moderati si fosse incagliata in secche che avevano avuto nome Aspromonte e Mentana, e desse anche ora, nel 70, limpressione di essere indecisa, oscillante, sen-

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za nerbo. N deve stupire che un simile indirizzo, turco alterno giunco fra reazione e rivoluzione, eccitasse, allora e poi, lo sdegno di uomini come il Crispi, il Carducci, lOriani, che erano rivoluzione e scorgevano vilt l dove era uria ricerca continua e difficile di equilibrio fra le forze opposte. Ma, nonostante tutti gli errori le esitazioni le incertezze, quella ricerca riusc: lItalia and a Roma monarchica, lEuropa accett il fatto compiuto, antichi repubblicani si accinsero a diventare ministri del Re dItalia. Perch il primo estremismo che spaventava era ancora, in quei giorni, il repubblicanesimo. La conservazione doveva cominciare proprio di qui: mantener salda la monarchia contro ogni propaganda di origine mazziniana, e dal 4 settembre 1870 anche di coloritura francese. Era, questo, un vecchio tema, che si perdeva lontano, almeno almeno nel 48; e la polemica non diceva ora nulla di nuovo nei suoi motivi ideologici e continuava a riportare ai tempi dei grandi contrasti fra governativi e cospiratori; e lavversione dei monarchici per Mazzini, il cui nome non veniva pronunziato senza farlo precedere da un aggettivo ingiurioso o seguire da un improperio1113 , era comunque meno terribile dello sdegno che, tra 48 e 49, aveva eccitato perfino un Cavour a proporre fa fucilazione immediata di ogni sedizioso1114 . Qualcosa di nuovo sopravveniva per col settembre del 1870 a rinfocolare s inquietudini monarchiche, ma anche ad aggiungere argomenti allormai vecchio precetto della monarchia che unisce e della repubblica che divide. Da un lato, era linstaurazione della repubblica in Francia. Conservatrice, anzi, dal febbraio del 71, reazionaria nella maggioranza dellAssemblea; ma sempre repubblica, e col fascino delle idee francesi era cosa da pensarci su. Moriva di l a poco Mazzini; ma oltrAlpi cera un esempio, avrebbero anche potuto trovarsi incitamenti ed aiuti pi pericolosi forse della parola del grande

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agitatore senzarmi. Cos , che fin dal 7 settembre 1870, tre giorni dopo gli eventi di Parigi, la fiorentina Nazione lanciava il grido dallarme, proclamando che da oggi lItalia era un popolo essenzialmente conservatore, che essere conservatori significava salvare lunit e lindipendenza dellItalia, salvare la patria e la societ minacciate da coloro i quali volevano nuovamente infrancesare lItalia in nome della repubblica; che i tentativi repubblicani, fin qui combattuti in nome degli ideali di partito, ora andavano combattuti in nome della indipendenza della nazione, e pertanto chi avesse sollevato il grido di repubblica in Italia avrebbe dovuto esser trattato come un traditore, anelante a far della patria uno strumento della politica straniera1115 . Non per nulla da allora il giornale fiorentino diventava filoprussiano accanito, cio sostenitore del paese in cui la vita pubblica era saldamente imperniata sulla monarchia! Ma non era solo la Nazione a temere i contraccolpi in Italia del repubblicanesimo francese; e non era nemmeno solo la milanese Perseveranza ad affermare, il 7 settembre, che ora veramente non cera pi da esitare e bisognava andare a Roma. Perch la decisione su Roma fu presa il 5 settembre, dal Re e dal Lanza; e a farla prendere fu certo di gran peso la scomparsa di Napoleone III, e vale a dire il venir meno dei riguardi dovuti allimperatore; ma vinterfer fortemente, e molto pi, il timore di quel che in Italia avrebbe potuto succedere, non muovendosi il governo, ad opera dei rivoluzionari incoraggiati dal 4 settembre1116 . Gli eventi del febbraio parigino del 48, con le loro ripercussioni europee ed italiane, non erano poi preistoria, e il Re e i suoi ministri se ne rammentavano bene. La scarna prosa del verbale del Consiglio dei Ministri del 5 settembre diceva tutto e collegava, da sola, gli eventi: Il Consiglio delibera di nominare ad inviato straordinario a Parigi il Barone Ricasoli e di spedire in missione straordinaria a Roma il Conte Ponza di San Martino

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per esporre al Pontefice la risoluzione del Governo Italiano di occupare Roma ed il territorio [sic! ] pontificio offrendo tutte le garanzie possibili per la sua sicurezza e per il libero esercizio del potere spirituale. Il Consiglio delibera dincaricare il nostro inviato a Parigi a riconoscere la Repubblica. Delibera pure di dare al suo Presidente la facolt di fare tutti i provvedimenti necessari per preparare ed agevolare lingresso delle nostre truppe nel territorio pontificio. Delibera poi di chiamare sotto le armi una classe di seconda categoria1117 . Senonch, andata a Roma lItalia pi che mai aveva bisogno del Re. Di fronte al Papa, soltanto un Re poteva difendere lItalia vittoriosa. Parecchi anni pi tardi lo disse, con molta chiarezza, Domenico Zanichelli: ma il pensiero suo era gi stato sentimento comune, pi o meno chiaro che fosse: Noi crediamo fermamente che lItalia forse adottando lidea repubblicana avrebbe potuto, per attraverso molte sventure e pericoli, cacciare gli stranieri e i tiranni interni, ma daltra parte siamo convinti che nella lotta col papato sarebbe sempre rimasta, se repubblicana, soccombente. Noi dobbiamo immensa gratitudine al re Vittorio Emanuele per laiuto dato al risorgimento dItalia, ma non la gratitudine sola, anche la necessit deve stringerci attorno a quellistituzione che egli confuse collItalia e a quella dinastia che la personifica. Guai se il nostro paese abbandonasse la monarchia; compirebbe un suicidio perch la patria risorta dopo tanti secoli ritornerebbe, nel sepolcro e i posteri direbbero che glItaliani non seppero conservare la preziosa eredit degli avi. Per noi nella lotta col papato lItalia avr fondata speranza di vittoria, solamente se rimarr monarchica. Monarchia e Papato sono due forme di ordinamenti che fatalmente tendono a primeggiare e che possono

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esistere soltanto a patto di occupare il primo posto: di qui, il naturale contrasto fra di loro. Soprattutto in Italia, dove la contesa era diretta, pi grave assai che non in qualsiasi altro paese, la monarchia non si sarebbe mai indotta ad accordi che po tessero menomare la sua supremazia, avrebbe sempre combattuto il Papato almeno sino a quando le sue pretese avessero importanza politica e sociale. Noi possiamo immaginare che una reazione cattolicoclericale prevalga in Italia per una causa qualunque, o generale allEuropa o locale nel nostro paese, si impadronisca del corpo elettorale e popoli la camera dei deputati di una maggioranza proclive ad accordi col Vaticano, vogliosa di accontentarlo; ognun vede come in questa ipotesi nessuna autorit o forza legale potrebbe salvare lo stato laico e nazionale allinfuori della monarchia, la quale, essendo per le ragioni sopradette, naturalmente contraria alle pretese politiche della Chiesa, troverebbe in se stessa la energia sufficiente per resistere alla corrente clericale. Ora se deve, come non dubbio, essere cura degli italiani di costituire delle difese valide e inespugnabili contro i possibili attacchi del Vaticano certo che dovranno consolidare la monarchia e guardarsi dallindebolirla perch in essa troveranno sempre, quando sia necessario, una guida nella battaglia, una fortezza imprendibile, protetti dalla quale potranno combattere sicuri, riunirsi se dispersi, riaversi se una momentanea sconfitta o un timor panico, o un inganno ne avessero abbattuti gli spiriti. Saggiunga, il fascino della monarchia sulla immaginazione popolare: di fronte al Papato, listituzione pi imponente del mondo, che figura ci farebbe un presidente di repubblica? La repubblica pu essere nel desiderio di molti, ma per tutti dovranno ammettere che unassemblea e un

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presidente in Roma vicino e accanto al papato farebbero una ben meschina figura e che il pontefice apparirebbe agli occhi e alle menti delluniversale immensamente pi grande del rappresentante lautorit politica. Un presidente, comunque eletto, sarebbe sempre un uomo come gli altri, un semplice delegato della nazione senza forza propria, senza tradizioni, destinato a tornare nel nulla da cui uscito, sarebbe discusso, appoggiato e combattuto; come potrebbe reggere di fronte a quellaugusta autorit che domina sulla terra, pretendendo uninvestitura dal cielo, che sorpassa i limiti degli stati, che ha a suo sussidio la forza duna tradizione due volte millenaria e di una religione che dominante in Italia? Mettiamo di fronte il papa bianco-vestito col triregno In testa, sulla sedia gestatoria, circondato dalla sua corte che la pi maestosa del mondo, e un presidente vestito in borghese, circondato da ministri ed alti funzionari; immaginiamo questo spettacolo e vedremo subito come, qualunque sia la sostanza delle cose, il presidente appaia inferiore al papa. E non solo nellapparenza, ma anche nella natura intimi delle istituzioni il pontefice apparirebbe sempre pi alto del capo del governo dItalia e si concilierebbe colla riverenza lobbedienza del popolo. Che cosa rappresenta un presidente di repubblica? Nullaltro allinfuori della volont di quelli che, pi o meno espressamente, pi o meno liberamente lo abbiano eletto. Il suo potere non ha altra base che il consenso; quando questo gli venga a mancare, tanto in apparenza che in realt, egli non pi nulla. Quindi in Italia egli sarebbe non unautorit per s stante, ma semplicemente un mandatario il cui ufficio dipenderebbe ad ogni momento dalla volont del mandante; forse dotato dun potere effettivo ma privo di ogni potere morale. Perch questuomo potesse essere creduto uguale al pontefice bisognerebbe che il popolo italiano dimenti-

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casse tutta la sua storia, mutasse del tutto natura, bisognerebbe che a lui unisse immediatamente lidea della maest della patria e quindi fosse capace di unastrazione, la quale pu essere concepita da menti colte e spregiudicate, non lo pu certo dal popolo. Il popolo non capisce la sovranit altro che se incarnata e si mostra cogli attributi esterni, quindi per lui, mancando il re, di sovrani dItalia, rispettati e riveriti come tali, non vi sarebbe che il papa.1118 . Laveva gi detto Renan, divenuto col tempo repubblicano per la Francia, ma sempre convinto sostenitore della causa monarchica per lItalia1119 ; poco pi tardi lo ripeteva il gi repubblicano Crispi, imprecando contro limborghesimento della dinastia e labbassarsi del Re, che determinava linnalzarsi del Papa1120 . E certo in quel momento storico le osservazioni coglievano nel segno: dal prestigio formale della monarchia, che lindubbia azione esercitata su molti cuori dalla regina Margherita corroborava di un esempio probante, alla necessit di un regime monarchico per fronteggiare con successo, allinterno e allestero, loffensiva di parte clericale per decenni scatenata su piano internazionale contro lItalia. UnItalia repubblicana, con tutto quel che era successo fra il 60 e il 70 lEuropa monarchica e conservatrice non lavrebbe tollerata; e che le argomentazioni del Cavour e dei suoi eredi fossero state accolte, era gran prova dellimpossibilit, allora, di una soluzione rivoluzionaria, mazziniana del problema italiano. La monarchia presidio, garanzia della libert, dellindipendenza, dellunit della patria: questo fu vero, e il giorno in cui listituzione non resse pi al compito che le era stato assegnato dalla storia, fu anche giorno di sciagura per la patria; e, scomparsa essa, pi alto ancora rifulse lo splendor della tiara. Ora, allinterno il pericolo repubblicano poteva sembrar superato: Mazzini solo, al tramonto, con pochi fede-

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lissimi; gli altri, i maggiori tra gli uomini politici che erano stati repubblicani o anche solo tendenzialmente repubblicani, i pi eminenti tra i vecchi cospiratori, ormai guadagnati alla causa monarchica, da Crispi a Cairoli, e presto ministri di Sua Maest. Garibaldi, nonostante i non infrequenti malumori e le esplosioni verbali di tono repubblicano, anzi socialistico, non nemico sul serio. Ma fuori si addensavano i nuvoloni: repubblica in Francia, e pazienza la repubblica di Thiers e quella dei duchi, ma dietro cera Gambetta e il radicalismo; minacciosi sommovimenti repubblicani in Spagna, e quindi alimento doltre frontiera alla propaganda interna e rinfocolamento della predicazione mazziniana. E cera dellaltro ancora. Dietro alla lotta politica pro e contro listituzione monarchica, si cominciava a profilare unaltra lotta, contro tutto lassetto sociale; dietro ai repubblicani, appariva lombra dellInternazionale; dopo il 4 settembre parigino veniva la primavera parigina del 71, e lestremismo repubblicano minacciava di scolorire di fronte ad un ben pi radicale estremismo che, travolgendo anche listituzione monarchica, avrebbe per travolto tutto lassetto sociale. Ora, questo nuovo e pi pericoloso estremismo vedeva schierato, in linea di battaglia, tutto il ceto dirigente italiano, Destri e Sinistri finalmente concordi quasi a dar ragione al detto del Cavour che, ove davvero lordine sociale fosse stato minacciato, i primi a schierarsi tra i conservatori sarebbero stati i frondeurs e i repubblicani1121 . Uomini in cui il culto della libert era veramente, profondamente religione. Ma uomini, anche, in cui la libert si riassumeva nei suoi aspetti morali e giuridici, senza che si scendesse molto a vedere quali basi di fatto occorressero perch la libert di pensare e di agire potesse veramente essere di tutti e per tutti. Sacra la libert della personalit umana; ma come assicurare le condizio-

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ni perch tutti potessero, sul serio, divenire personalit, questo rimaneva ancora sovente oscuro. E invece, il ricordo del 48 sorgeva di continuo ad ammonire contro le pretese della piazza, a spaventare con il fantasma della rivoluzione sociale, a render guardinghi verso i bassi strati cherano gi stati capaci di accomunare il grido di lotta contro la reazione politica e contro lo straniero con il grido avverso i signori, avverso i padroni. Il 48, lanno fatale destinato a rimaner famoso nelle storie e per la grandezza del suo primiero impulso a pro di tutte le indipendente nazionali, e per le mattezze di esagerata libert che vi si frammisero, e limpicciolirono dappertutto1122 : e il fatto solo che quella data rimanesse nella tradizione popolare come sinonimo di disordini e anarchia, e che far un 48 diventasse espressione popolaresca per designare gran subbuglio, la gente in piazza e il saccheggio nelle case, sufficiente prova di quanto profonde fossero state le impressioni. Lesperienza francese di quellanno aveva avuto influsso decisivo nellorientare in senso nettamente conservatore, dal punto di vista sociale, il pensiero liberale italiano ed europeo1123 ; e se un Thiers aveva favorito la presidenza di Luigi Napoleone, perch aveva avuto paura, paura del socialismo, paura dei moti di piazzia1124 , perfino un Cavour, pur disposto a riconoscere la gravit e limportanza della questione sociale1125 , sirrigidiva di fronte al pericolo dellestremismo operaio, s da salutare nella repressione parigina del giugno 48 la salvezza della civilt moderna da una nuova invasione di barbari1126 . E Cavour riusciva ancora a salvare la sua anima liberale, a portar fuori intatta la sua fede nella libert, pur attraverso i timori e gli sdegni del 48 e 49. Ma molti altri uscivano invece dal biennio tormentoso con assai intiepidito sentire. Tutti i possidenti, per quanto amanti della libert e nemici del, despotismo, per quanto si sfiatino e parlino e gridino per la prima e contro il se-

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condo, amano un po meno la libert ed odiano un po meno il despotismo dopo lapparizione della repubblica socialista. A poter ricevere da tutti i liberali dEuropa quelle arcane confidenze che ha soltanto il guanciale, si formerebbe forse una statistica dalla quale apparirebbe un notabile ribasso nelle azioni del liberalismo1127 . Cos aveva francamente scritto Massimo dAzeglio, che continuava a credere fermamente nella libert e paventava la reazione conservatrice, pur trovando che trattandosi di padroni, meglio quello che ha lo stomaco pieno e buoni panni indosso, che chi ignudo e digiuno, e sha a rifare alle spalle mie1128 ; e ancora il Cavour si ricordava di aver veduto partire da Torino, nellinverno del 48, uomini che si dicevano molto pi liberali di me, e di averli veduti ritornare infinitamente pi conservatori di quello che io non sia1129 . Delle quali diffidenze e paure offriva di l a poco testimonianza sicura latteggiamento dei pi di fronte al colpo di Stato del 2 dicembre, atto prepotente ma che salvava dallanarchia1130 ; e continuavano a dar prova, anche in seguito, certe simpatie di moderati italiani per la dittatura napoleonica e il suo tener a freno i cattivi umori in Francia1131 . Senza dubbio, a quasi nessuno veniva in mente di negare la importanza teorica del problema, o di invocare contro le masse soltanto lausilio dei carabinieri, anche se da pi parti si cominciasse a reclamar maggior considerazione per il principio di autorit, che le plebi dovevano avvezzarsi a guardare con riverente affetto1132 . Coloro i quali pensavano soltanto alla forza e vagheggiavano il formidabile apparecchio duna repressione spietata, erano diceva un liberale s, ma non certo di sinistra, il marchese Carlo Alfieri di Sostegno i feroci della scuola empirica, laddove i mansueti quando si vedessero alla vigilia dessere sopraffatti, o per un certo ribrezzo in extremis a spargere sangue, soprattutto il proprio, transigerebbero sacrificando qualche porzione del diritto di

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propriet, non certo a saziare, ma ad acquietare per qualche tempo il proletariato irruente1133 . Ma anche questi ultimi erravano; occorreva invece, proseguiva lo scrittore, studiare i mezzi per impedire il rinnovarsi della guerra sociale. E il Sonnino, allora allinizio della sua attivit politica, aperto alle voci nuove della storia, non ancora chiuso in s e, quasi fuori del mondo, cocciutamente irrigidito su posizioni immutabili, il Sonnino chera tra i pochissimi a non cullarsi nellottimismo generico e generale dellItalia priva di materia incendiaria, perch priva dindustria, deprecava risolutamente il sistema delle repressioni alla Thiers, come quello che spingeva i colpiti semprepi in l, creava i martiri, trasformava in fede una iniziale passione. Il rispondere con le fucilazioni agli incendi, non risolveva nulla1134 . Cercar dunque di migliorare le sorti delle classi meno abbienti: a parole, sera tutti sostanzialmente daccordo, fin il conservatore de Launay. E sebbero discussioni pubbliche, gi nella primavera del 71, e il Giornale di Modena fu centro di una discussione tra il suo direttore Pietro Sbarbaro, lAlfieri di Sostegno, il laniere Alessandro Rossi e Cesare Cant. Ma, ne fatti, quella preoccupazione si conchiudeva soprattutto in un pi largo e generale appello alla beneficenza e alla carit1135 , cio allempiastro con cui i ceti alti cercavano da tempo e avrebbero ancora a lungo cercato di medicare le piaghe sociali, illudendosi con ci di sanare un male che ne avrebbe anzi ricevuto nuovo alimento, con una pi decisa ribellionemorale contro lidea dellelemosina. Si diffondeva, vero, la convinzione che fossero necessarie leggi a difesa degli operai; e si assisteva alle iniziative promosse da uomini della Destra e specialmente dal Luzzatti, sulla previdenza sociale e sulla tutela del lavoro; il problema gravissimo che leconomista patavino cercava di imporre allattenzione dei circoli dirigenti italiani1136 . Ma precisamente in queste e simili discussio-

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ni veniva chiaramente in luce come latteggiamento della grandissima maggioranza dei benpensanti fosse ancora quello di una quasi totale incomprensione del problema, nei suoi veri ed essenziali termini1137 . Paternalismo, filantropismo, beneficenza: era il limite massimo a cui giungevano gli uomini delle classi dirigenti, a tanto indotti poi non puramente da ragioni umanitarie, bens anche e molto dalla convinzione che ci fosse richiesto da un illuminato spirito di conservazione, per rendere impotenti i partiti anarchici e sovvertitori1138 . Taluno trovava chera necessario migliorare retribuzioni e condizioni di vita degli operai; e qualche altro come il Minghetti, da tempo preoccupato dei pericoli dello sviluppo capitalistico e convinto che lo scopo supremo del secolo dovesse essere la redenzione delle plebi1139 , si rendeva conto diretto della miseria di larghe masse di contadini1140 e comprendeva che la miseria era ormai un grave problema politico1141 . Ancora, il De Sanctis osservava che la questione sociale era il massimo problema per la classe dirigente italiana, il problema che solo avrebbe consentito di andar oltre il limite formale-giuridico della libert e di creare un vivo e armonico organismo politico, trionfando dellindifferenza e dellapatia che dominavano nella vita pubblica di fronte al permanere di partiti e di formule ormai svuotati di contenuto1142 . Ma se taluno cominciava dunque ad aprire gli occhi; altri non si peritava dallaffermare che in Italia la ricchezza non era male distribuita e che era vano cercare oppressi e oppressori in un paese gi fortunato per le condizioni generali che si attengono alla ricchezza del suolo, alla bont del clima, alla sobriet degli abitanti, alla fortuna di non essere n accentrati n divisi1143 . E mentre il Luzzatti sosteneva tenacemente la necessit di una legge per la tutela dei fanciulli e delle donne nelle fabbriche e nelle miniere, Alessandro Rossi negava decisamente che nelle fabbriche italiane gli operai patissero, per inumani rego-

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lamenti o per eccessivo lavoro; e la direzione della Nuova Antologia, cos rappresentativa allora delle opinioni medie del ceto colto italiano, appoggiava le idee del laniere di Schio, e gli industriali italiani saltavano addosso al Luzzatti, che veniva invitato dal direttore del Sole a non scrivere pi nulla in argomento, per evitar guai1144 . Erano, queste ultime, posizioni estreme; ma anche quando le grandi inchieste del Jacini e del FranchettiSonnino avrebbero rivelato le reali condizioni agrarie dItalia e soprattutto la desolazione del Mezzogiorno, e anche quando la denutrizione dei bassi ceti e le condizioni primordiali di loro vita avrebbero trovato dolorose e troppo frequenti conferme di esempi, anche allora, posti di fronte ad una cruda realt di fatti, gli uomini politici italiani avrebbero sempre ritenuto possibile uscirne mediante quei palliativi che si chiamano filantropia e beneficenza. Destri e Sinistri, quasi tutti, erano ancora fermi allideale della carit: la carit dovere sociale, obbligo politico, virt pubblica, aveva detto il de Tocqueville, che vedeva in questola pi notevole innovazione dei moderni nel campo morale, la nuova forma assunta da idee gi predicate dal cristianesimo1145 ; la carit, dovere non solo privato ma pubblico delle nazioni cristiane, aveva ripetuto il Balbo, con Gino Capponi, proponendo allumanit come scopo primo lintroduzione della carit nelleconomia, nella politica, nelle leggi1146 . E anche il Cavour aveva fissato i suoi sguardi sulla carit legale come sul solo vincolo capace di unire le diverse classi e lunico sistema atto a salvare la societ dai pericoli incombenti1147 ; e la sua legislazione sociale era stata ancora la legge inglese contro il pauperismo. Che il problema fosse ormai ben diverso e non pi sanabile con le semplici briciole della mensa di Epulone, ma necessitasse una completa revisione di tutte le idee e pregiudizi correnti sui rapporti fra capitale e lavoro;

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che la carit fosse, secondo aveva osservato gi il Mazzini, virt dunEpoca oggimai consunta e inferiore moralmente alla nostra1148 , spettava al movimento socialista sostenere e dimostrare, cos come toccava al Giolitti labbandonare la vecchia arma, cara ancora sul tramontar del secolo al Crispi e al Rudin, dei carabinieri e delle truppe in servizio repressivo e dello stato dassedio. Lauspicio di Giuseppe Ferrari, di far il socialismo col governo e con i conservatori1149 , era bene un auspicio di stampo giolittiano, ma cadeva per allora nel vuoto: quasi che il pensiero liberale non avesse pi la freschezza, forza, capacit di veder alto e lontano, che aveva avuto nella prima met del secolo, e non potesse, esso stesso, che mantenere il gi acquisito senza conquistar di nuovo1150 . E se fin qui s parlato dei moderati, come di quelli a quali incombevano le responsabilit di governo nel periodo di cui trattiamo, non da credere che presso gli uomini della Sinistra fosse molto diverso il sentire. Tuttallopposto, anche questi ultimi erano fondamentalmente conservatori dal punto di vista sociale; e rari erano coloro i quali, come Agostino Bertani protestassero contro legoismo borghese, ammonendo che anche in Italia si potevano ormai distinguere due razze duomini quella del pane bianco e quella del pane di colore1151 . Soprattutto nel proporre i rimedi, Destri e Sinistri andavano daccordo: uomini tutti ideologicamente figli della prima met del secolo, e tutti concordi nella difesa della struttura sociale esistente. La carit, avevan detto Balbo e Capponi; ma Crispi non era poi tanto lontano, anchegli, da tale rimedio, e invocava la beneficenza e ricordava i modi di cui usano i preti per rendersi grati alle moltitudini, accumulando grandi ricchezze per mezzo dellobolo e giovandosene alla propagazione delle loro idee1152 . Divisi in tante altre questioni, Destri e Sinistri si ritrovavano sul piano della difesa della societ attualmente costituita: con maggior secchezza di tono e risolutez-

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za di espressione i primi, con maggior blandizia verbale verso le masse i secondi; ma tutti daccordo nel ritenere sacra la propriet e la borghesia colonna della vita sociale e politica1153 . Linno alla borghesia lo innalzava infatti, alla fine di marzo del 71, e proprio in polemica contro lInternazionale e la Comune parigina, non un giornale moderato, bens uno dei due organi massimi della Sinistra, Il Diritto, che non solo constatava la coesione, linfluenza legittima e meritata della classe borghese e proprietaria, ma sosteneva la piena legittimit di tale influenza, come che nessuna rivoluzione si fosse mai identificata alla borghesia, al terzo stato, come quella che si svolta in Italia dal 1848 ad oggi: questa classe di cittadini ha pagato e largamente il suo tributo alla patria, cospirando, studiando, combattendo per essa. Tanto pi che questa borghesia non si separata dal paese, formando una casta a parte, ma ha dischiuso invece alla classe operaia e campagnola la via di una completa emancipazione1154 . vero, cio, che i borghesi dicevano e in buona fede pensavano che il loro regno non era esclusivo, anzi aperto a quanti lavorassero seriamente e intelligentemente. La recisa impostazione classista, la divisione del mondo indue, era sempre ripugnata e continuava a ripugnare al pensiero liberale. Borghesia? ma una borghesia non esiste pi dopo il 1789, appartiene alla paleontologia, aveva scritto nel 1831 Saint-Marc Girardin. Luguaglianza civile, sancita nel 1789, fa s che ora gli uni ora gli altri possano godere dei beni della societ: ciascuno crea il suo destino con la sua buona o cattiva condotta, combinata con il corso degli eventi. Tout le monde est peuple, et tout le peuple est bourgeois. Popolo e borghesia sono due vecchi nomi che non significano pi nulla, dei mots de passe di cui ciascuno si serve secondo le circostanze; e non vi sono che due classi in realt, la gente che lavora e la gente che vuole agitarsi, gli uomini che bada-

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no ai loro affari e i rivoluzionari di professione. Fra lalto e il basso della vita sociale, vi movimento continuo, a va e vieni, chi sale e chi scende: sale luomo intelligente, economo, attivo, che ignora le coalizioni turbolente e le dichiarazioni di princpi, e conosce pi la strada della cassa di risparmio che quella dellosteria. Tutte le possibilit dischiuse quindi per gli operai, questi barbari della societ moderna che la devono ritemprare con la loro energia e il loro coraggio: soltanto, appunto, le possibilit si dischiudono ai singoli individui, perch il ceto non esiste; e gli individui bisogna ammetterli nella societ soltanto dopo che siano passati attraverso il noviziato della propriet, perch soltanto allora avranno interesse a mantenere lordine sociale1155 . Il problema era dunque non di un blocco contro un altro blocco, ma di individui verso altri individui; si trattava di filtrare per cos dire i singoli, e i mezzi erano educazione personale, buona volont, capacit, risparmio1156 . E nemmeno ora, pur dopo le esperienze francesi del 48 e del 71, con lInternazionale in piedi e Marx e Bakunin predicanti alle masse, si rinunziava ad impostare in tal modo la questione: lo diceva Il Diritto e lo ripetevano molti altri che il regno dei possidenti era aperto a tutti gli uomini di buona volont, e che tutto stava nellinculcare alle plebi le virt classiche del cosiddetto borghese. Problema pedagogico, dunque: di fatto, si cercarono validi esempi di uomini del popolo divenuti proprietari, saliti in alto nella scala sociale grazie alle loro virt, e poich sulla vecchia tradizione italiana dellesempio incarnato nel signore di campagna- specchio di alta vita morale per i suoi dipendenti-si veniva innestando proprio allora, fra 60 e 80, la predicazione angloassone del self-made man, che era invece uomo di citt, le buone fattezze borghesi di Beniamino Franklin vennero proposte anche agli operai italiani, perch giungessero l dove egli era giunto con il lavoro, lonest, il risparmio. La-

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vora, fa la tua fortuna, innalzati; volere potere; sapere potere: i grandi motti furono predicati agli operai come sicuro e unico modo per risolvere il gran problema sociale, senza scosse e senza urti, nel migliore dei mondi possibili; e fiorirono nei libri di lettura gli ammirevoli esempi di poveri operai i quali col lavoro, listruzione, il risparmio, la Perseveranza, erano diventati padroni1157 , e si esaltarono le generose conciliazioni dopo i torbidi fra operai e padroni, finalmente affratellati e amici1158 . Sulle orme del pi popolare tra gli esaltatori stranieri del lavoro intelligente e perseverante, che aveva condotto uomini, nati nella povert e cresciuti fra stenti ed ostacoli dogni sorta a cospicue posizioni sociali, sulle orme dunque, di Samuele Smiles si posero vari italiani, primo fra tutti e pi noto Michele Lessona; e non gli manc nemmeno prima ancora del successo enorme, lalto appoggio del ministro degli esteri, il Menabrea, desideroso che si facesse un libro del genere in Italia, con esempi tratti solo dalla vita di cittadini italiani, e perci spronante i consoli allestero a raccogliere dei cenni biografici intorno agli Italiani che onestamente arricchirono in codeste contrade, accennando segnatamente agli ostacoli della loro prima vita, agli sforzi ed ai mezzi da essi adoperati persuperarli1159 . Sotto sotto, cera ancora traccia di quella condanna della povert, come risultato generalmente del vizio, e certo di mancanza di iniziativa e di capacit, chera apertamente affiorata nel Guizot e su su, ancora, in piena Rivoluzione1160 . Ma se tali erano i precetti del liberalismo classico, niente divisione della societ in strati rigidamente contrapposti, continuo intrecciarsi fra gli uni e gli altri, cominciavano lentamente ad emergere le concezioni affatto nuove che insistevano, invece, sullesistenza di quegli strati contrapposti, e al concetto di classe o di stato, svuotato nel suo contenuto giuridico tipo antico regime,

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davano ora contenuto schiettamente economico. Cominciavano ad emergere, e ad imporsi allattenzione di molti pure decisamente ostili ad accogliere socialismo, marxismo e simili; onde, nello stesso pensiero liberale italiano che continuava a muoversi nella scia del pensiero liberale occidentale e soprattutto francese, e si muoveva con ritardo, alla societ di individui cominciava ad affiancarsi, fra ondeggiamenti continui, la societ per ceti. Era gi laccettazione di posizioni nuove e di premesse diverse della lotta politica, potentemente contribuendo a ci lo sbocciante nazionalismo, che tendeva anchesso a classificare una borghesia costituita dagli averi e dalla brama di averi ridotta a vilt danimo e a mancamenti di fronte alla patria. Molti anni pi tardi linno alla borghesia del Diritto, nuovamente un uomo della vecchia Sinistra, il Crispi anchegli sempre convinto del dogma della propriet sacra1161 , riprendeva lelogio della borghesia, alla quale gli Italiani dovevano tutto quel che si era fatto per dare ai non abbienti qualit di cittadini, dovevano istituzioni politiche, indipendenza della Patria, libert dei cittadini1162 : ma rimproverava alla borghesia non egoismo di classe di fronte alle plebi, bens egoismo di materialisti di fronte agli alti ideali della patria, non conservatorismo sociale, ma pavidit nazionale. La borghesia pensava al ventre e non allonore, simile in ci alle plebi che erano anchesse afflitte dalla malattia del ventre e non dalle preoccupazioni dello spirito1163 . Ma, fosse nazionalistico limpulso o socialistico, nellun caso e nellaltro la societ cominciava ad apparire realmente divisa in blocchi, perdendo la mobilit estrema con cui laveva caratterizzata il liberalismo classico del primo Ottocento: le due forze nuove del mondo contemporaneo, risolutamente dispiegantisi dopo il 1870 e cos affini nel contrapporre allindividuo una superiore entit complessiva, patria o classe che fosse, cominciavano a investire da destra e da sinistra il mondo libera-

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le. Cos, laffermare che il proprio regno non era esclusivo non impediva che il ceto dirigente sentisse di costituire un regno, e sia pure un regno non di carattere economico, bens morale-politico, non di struttura sociale, bens di funzioni civiche, dovendosi intendere borghesia non alla francese, ma allitaliana, e cio come accolta di tutti gli uomini nei quali alla coscienza individuale si unisce una coscienza politica spiccata cos forte che li rende atti, non solo a giudicare della cosa pubblica, ma a informarla, a reggerla, a inspirarla in modo diretto e perfettamente consciente1164 . Che tal regno potesse essere anche ingiusto affermavano taluni degli stessi uomini dordine. Correvan parole che sembravan riprendere laspra sentenza del Pisacane: la parola democrazia, di cui si servivano, suonava per essi il regno della borghesia, la quale bench oppressa politicamente, regnava per la costituzione sociale, onde, nonostante le nobilissime vittime della classe media per il patrio riscatto, non verano stati mutamenti sostanziali rispetto alle sterili dottrine gi trionfanti nella Rivoluzione francese, che avevano costituita in Francia una societ inegualissima, una nuova tirannide, per cui la classe media che aveva compita la rivoluzione, potente di mente e di mezzi, oppresse il popolo che mancava di tutto1165 . Tornavano a risuonare parole simili, ad opera di chi proclamava che il popolo italiano aveva compiuto la rivoluzione politica per un fine economico molto preciso, cio il miglioramento delle proprie condizioni di vita, mancando il quale era ridicolo parlare di morale, di istruzioni di virt civiche1166 ; o di chi dichiarava pubblicamente che finora della libert avevano goduto principalmente le classi benestanti, le quali in alcune provincie se ne erano servite per mantenere e accrescere il loro dominio su plebi ignoranti e misere. La gran maggioranza delle popolazioni non conosce il governo se non come un esattore di uomini e di denaro; in molti luoghi

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cresciuta la ricchezza delle classi pi favorite, e il popolo ha guadagnato poco o nulla1167 . Incalzava il Sonnino, in piena Camera: oggi i possidenti usano citare la condizione misera dei contadini per valersene a proprio vantaggio, per farsene scudo di fronte allirrompere degli interessi cittadini, per impietosire sulla propria sorte e sulla gravezza delle imposte che pesano sulla propriet fondiaria. Ma quando si trovano essi posti di fronte a questa classe dei contadini, sia nellinterno delle amministrazioni locali, sia neglinfiniti rapporti privati, allora, o signori, quel sentimento di solidariet non viene pi alla luce, non se ne vede pi traccia. Informino, a mezzogiorno come a settentrione, le torme affamate dei contadini che emigrano, e i centomila pellagrosi delle contrade pi fertili e meglio coltivate dItalia, e lodio dei cafoni contro la classe detta dei galantuomini, e gli squallidi abituri e le condizioni fisicamente e moralmente compassionevoli dei paisani della bassa valle del Po1168 . Aveva voglia Benedetto Cairoli di assumere egli la difesa della borghesia, contro il Sonnino, di ricordarne le manifestazioni di una provvida, spontanea e mai stanca filantropia, di esaltarne lultima; generosa prova di abnegazione, e vale a dire lestensione del diritto elettorale che era un sacrifizio simile a quello compiuto dalla nobilt il 4 agosto 17891169 . Al di sopra delle polemiche e dellatteggiamento pro e contro, stava il gran fatto ch la societ cominciava ad apparire divisa in strati sociali diversi, anzi contrapposti. Ladditare ai singoli le porte aperte non bastava pi: il problema stava diventando un problema di ceti. La borghesia italiana aveva avuto il suo 18301170 : e cominciavano, dunque, le recriminazioni sul 1830.

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II Il mondo dei savi Ora, ad impedire che dalla beneficenza e dalla carit pubblica rimedio adatto per i singoli i pensieri salissero verso decise riforme nella stessa organizzazione del lavoro rimedio necessario quando si trattava di ceti cera anzitutto lattaccamento ai beni ereditari o acquisiti, e cio, della propriet, radicato nel profondo dellanimo di coloro c e costituivano il ceto dirigente. Erano tradizioni millenarie; e perfino i rivoluzionari di Francia le avevano ribadite nellart. 17 della Dichiarazione dei diritti dell89, e ancor pi tardi, in pieno giacobinismo, nel 93, avevano ripetuto che la propriet uno dei diritti delluomo e ciascuno libero di disporre a suo arbitrio della propria fortuna. Questo era il limite invalicabile, che Thiers aveva ancora una volta ribadito; nel settembre del 48, in unopera ben accolta dai maggiorenti italiani1171 ; e anche i meglio disposti a muovere incontro ai nullatenenti, insorgevano non appena si profilasse una anche minima scalfittura del loro diritto di proprietari. Il Ricasoli, cos sinceramente sollecito del benessere dei suoi contadini, preoccupato e tormentato delle loro sorti, spesso trascinato da movimenti di umana compassione e comprensione che vincevano anche i dettami dellinteresse personale1172 , il Ricasoli, sol che saccennasse ad anche timidi tentativi di innovare in materia di consuetudine e si delineasse una volont dei contadini diversa da quella del padrone, il Ricasoli scattava e impartiva al fattore di Brolio uno di quei suoi bruschi ordini per rimettere a sesto le cose, subito, e far chiaro a tutti che il padrone era lui, la roba era sua, lui solo poteva disporne, e il primo dei contadini che s fosse permesso di parlar male di lui sarebbe stato licenziato1173 .

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Quando poi minacciassero eventi pi foschi e in periodi torbidi e inquieti, nel febbraio del 1849, corresser voci su perquisizioni a Brolio, il barone di ferro non stava alle mezze misure: se si presenta lautorit pubblica, con tanto di mandato in regola, saprano le porte; ma contro chi si presenti senza veste legale, si usi la forza. Armi pronte; e se vengono i briganti, si spari senza scrupoli. Brolio propriet privata; nessuno pu fare atto contro di essa; e quando lautorit preposta alla tutela del vivere sociale non sappia adempiere al suo dovere la nostra persona e la nostra roba bisogna saperla difendere da s1174 . Migliorare le condizioni dei ceti men favoriti dalla sorte; migliorarli materialmente e moralmente: questera il primo dovere dei possidenti, e lo ripetevano da tempo, su tutti i toni, Lambruschini, Ricasoli, Minghetti. Ma non lasciarsi tor di mano le redini, non permettere che i predicatori diniquit, la mala gena venuta dallinferno a sciupare tutto quello che tocca o di che parla1175 , travolgessero le masse con nefanda opera di sobillazione, precipitando a rovina il vivere civile e apportando nuova barbarie. Perch questo avrebbe significato il prevalere dei ceti inferiori, contadini e soprattutto operai. Rispettabili, gli operai, in quanto creature umane; benemeriti per il loro lavoro, da cui la vita veniva resa pi facile e pi comoda1176 ; ma come insieme, come ceto, non ascoltavano in fatto di politica che le passioni e glistinti, quando invece ci vorrebbe la calma, la tradizione ed anche un po il sapere1177 . Leducazione degli operai non sembrava ancora cos progredita da portare una fusione di classi1178 ; il loro senso morale non abbastanza sicuro per deficienza di educazione1179 . Limpreparazione delle masse, la loro incapacit a collaborare su piano politico con i ceti alti: un punto fermo, su cui son tutti daccordo1180 ora come quando Cesare Balbo aveva affermato che conta solo il ceto delle per-

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sone educate1181 . Su su, si risaliva fino al disdegno degli illuministi per la populace. IL me parat essentiel qu il y ait des gueux ignorants, aveva scritto il Voltaire1182 : ora, pi duno si augurava, talora anche apertamente, che i gueux rimanessero ignoranti1183 ; ma anche quelli che auspicavano e volevano lelevazione delle plebi, continuavano a ritenere che per il momento almeno lo stacco fosse troppo netto, di preparazione morale e culturale, perch gli uni si fondessero con gli altri. Gli operai lo sentivano: noi non siamo considerati, nemmeno dopo la Rivoluzione francese, pur essendo la base di ogni ordinamento sociale; lavoriamo sempre e siamo perturbati ancor noi nellanimo nostro, oggi come gli operai del mondo antico e dellet feudale; dobbiamo acquistare dignit nella coscienza di essere necessari1184 . Listruzione, listruzione obbligatoria e gratuita, reclamavano le societ operaie. Non basta nemmeno la semplice istruzione, rispondevano parecchi dei maggiorenti: occorre leducazione morale. Era questo il gran tema prediletto su cui avevano insistito da decenni, con diverso accento e diverso fine, Mazzini e dAzeglio, Lambruschini e Ricasoli: ma gli uni, con Mazzini, ritenevano leducazione legata a coscienza ed eventi rivoluzionari, egli altri la volevano come epilogo di un lento, graduale processo evolutivo, senza scosse n urti. Saccontentassero, per ora, i ceti inferiori delle ponderate elargizioni dei savi, dei beneveggenti; saffidassero alla loro guida, prudente e saggia, e sotto la loro guida procedessero, passo passo, come i fanciulli che la mano del pedagogo conduce pian piano dallalfabeto al racconto continuato e dai numeri alle operazioni aritmetiche. I popoli sono come i bambini che piangono e strepitano quando la mamma gli lava la faccia, e poi tutti belli le sorridono, diceva quel vecchio cospiratore dun Settembrini (Epist., pp. 283, 285), che sentiva nellaria certo odore

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non piacevole. N sarebbe valso lobbiettare che anche in questo campo era vero quel che gi perfino un Balbo aveva osservato per leducazione politica1185 : non potersi cio raffrontare leducazione pubblica con la privata, n esser completamente adattabile, alla prima, il saggio criterio della poco a poco. E come non era riuscito il dar la libert a centellini, ma sera poi dovuta dare tutta ed intera, sotto la pressione della piazza, cos anche di questaltra libert era difficile pensare che potesse essere acquistata passo passo buoni buoni, e soprattutto potesse subordinarsi ad una compiuta educazione del popolo, secondo intendevano i maggiorenti, la quale, quando savesse a ritener perfezionata nel senso loro, sarebbe stato mistero di Dio il decidere. Certo che il motivo del popolo immaturo risuon costantemente: le plebi sono la futura speranza, la futura risorsa della patria, ma bisogna lasciare che questi germi crescavo naturalmente, non spossarli e rovinarli con laffidare loro uffici sociali di cui non sono ancora capaci1186 . Trapassando fatalmente dal campo sociale al campo politico, esso ispir lavversione non diremo al suffragio universale, battezzato a gran voce dai conservatori italiani, come dai loro maestri francesi, gran delirio1187 del secolo, ma anche solo ad un allargamento del suffragio che andasse oltre certi limiti, molto ristretti. Si voleva proprio affidare alla cieca le sorti del paese alla imperfettissima educazione degli operai, non preparati alla vita pubblica, o mal preparati dai giornali pi spregevoli, facile preda degli armeggioni rossi, pronti a trasformarsi in compagnie e in battaglioni serrati di votanti, i quali saranno a disposizione di chi li vorr e sapr condurre ?1188 Gli operai si dimostravano ogni giorno pi riottosi, incanagliti, di turpe linguaggio e attitudine, tanto che citt una volta famose per la gentilezza dei costumi erano ora avvilite dal linguaggio osceno e provocante di una plebe sfrenata1189 . E abbassare i limiti di et, dai venticin-

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que ai ventun anni, significava semplicemente accrescere la clientela dei partiti sovversivi, dei rossi1190 . Bella parola, la democrazia, ma spesso significava semplicemente lo spostamento di quella insolenza antica dei baroni feudali; rivoltata dal basso allalto, onde, liberatasi dallinsolenza dellaristocrazia, la societ tollerava oggi linsolenza della piazza1191 . Attenti, dunque, a non lasciare in balia della imperita moltitudine le redini del governo: perch leccitazione politica nelle classi inferiori tumultuariamente chiamate al reggimento della cosa pubblica tendeva sempre a divenir egoistica, assumendo un carattere di lotta sociale1192 e facendo cos divampare, anche in Italia, quel conflitto di classi, a base economica, tuttora inesistente. Accordare il suffragio universale significava scatenare in Italia la questione sociale di cui per i il momento, grazie al cielo, in Italia non verano tracce al dir del sempre loquace Diomede Pantaleoni. La propriet ava dietro al voto: si facciano accedere alle urne le masse, e tosto o tardi le propriet passeranno in mano ai nullatenenti1193 . In questa affermazione, o in quella del Lampertico relatore al Senato, che la causa della propriet e dellordine sociale voleva dire infine la causa stessa della libert1194 , o, alla Camera, in quella del Codronchi che non bisognava travolgere gli interessi della propriet cos negletti anzi dimenticati in Italia1195 , veniva scopertamente fuori il timore del proprietario. In altri avversari dellestensione del suffragio, siffatto timore era certo meno immediato e meno premente, e lasciava luogo alle preoccupazioni per la solidit degli istituti politici e la stessa libert e unit della patria che apparivano minacciate da un eventuale predominio delle masse. N questi altri timori erano semplice schermo alla paura del ventre; n le preoccupazioni per gli ideali erano pura lustra messa innaffi per ricoprire gli interessi minacciati. Ch se taluno temeva le masse operaie, docile strumento dei faziosi rossi e quindi

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minaccianti lordine sociale e la propriet, altri paventava invece le masse campagnole, docile strumento dei faziosi neri e quindi non nemiche della propriet, bens della patria libera e una. Ancor una volta, la classe dirigente italiana si trovava a dover fronteggiare due estremismi, di destra e di sinistra, linternazionale rossa e linternazionale nera, Carlo Cafiero e don Margotti; e chi pi temette luna e chi pi laltra, e i conservativi della Destra calcarono a preferenza sul pericolo rosso auspicando, anzi, la partecipazione alle urne dei cattolici, i quali per condizione sociale, per interessi e per abitudini sono gli alleati naturali di un governo regolare1196 ; e i men conservativi della Destra e, naturalmente, tutti gli uomini della Sinistra insistettero sul pericolo nero. Donde, lesaltazione da una parte dei contadina, apparsi gi al Lambruschini molto necessari per reprimere la baldanza dei matti della citt1197 nuovamente invocati a sostegno dellordine costituito, a baluardo contro i sovversivi1198 ; e ladditare pericoli delle citt, vivaci e pronte al progresso, ma anche pi facile preda delle novit pur se non buone1199 e linsistere perch Il diritto elettorale fosse esteso a molti piccoli fittavoli e simili, ad uomini cio i quali hanno caro lordine sociale, quanto il risparmio delle loro lunghe fatiche, il quale non vogliono che il soffio di unora disperda1200 . Oppure, ancora, il sostenere che il progetto di legge era ingiusto, perch assicurava la prevalenza delle classi urbane, turbolente, contro le popolazioni rurali, dividendo il paese anzich unirlo1201 . E dallaltra parte, invece, linsistere sui pericoli di una prevalenza dei rurali, ignoranti, superstiziosi, strumento dei clericali, dei sacerdoti maledicenti la patria, di chi voleva la restaurazione dellantico ordine di cose sulle rovine dellunit italiana1202 : e se gli uni citavano Taine e i suoi duri giudizi sui rurali francesi, gli altri si appellavano a Vacherot e al suo tuttopposto giudizio, esaltando nei contadi-

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ni lelemento di stabilit e di ordine della Francia nelle sue tormentose vicende1203 . Pi spesso, si temevano gli uni e gli altri, pericolo grave per la patria1204 , tanto pi grave in quanto gli uni e gli altri avrebbero anche potuto darsi la mano, i rossi servendo praticamente ai pi sottili calcoli dei neri, il socialismo diventando strumento del Papato1205 . E anche senza questo, che brutto giorno quello in cui don Margotti sguinzagliasse nei comuni rurali di tuttItalia i suoi amici a prepararvi le elezioni nere, e oratori da trivio e giornalisti da ricatto lavorassero per elezioni rosse; che spettacolo lapertura del Parlamento in Montecitorio con 300 deputati abbonati allUnit Cattolica e 200 redattori di quei certi sudici fogli che non leggo e non nomino!1206 Cos, nella paura delle masse confluivano, in un connubio non sempre non facilmente distinguibile nei suoi vari elementi, amor della libert e senso della propriet, amor della patria e attaccamento alle istituzioni, e anzitutto alla monarchia minacciata perch il suffragio universale conduceva diritto e filato alla repubblica1207 , ora predominando listinto di conservazione propriamente sociale ora invece predominando la preoccupazione puramente politica; e solo un considerevole semplicismo storiografico potrebbe identificare senzaltro luno e laltro timore, anzi far dipendere il secondo dal primo, perch nella paura dei neri assai poco interferiva il motivo del ventre e tutto diceva, invece, il motivo ideale. Ora, il timore dei neri fu ancor prevalente su quello dei rossi, per molti anni dopo il 701208 : bisognava far testa contro il nemico comune, che era il Papato, ammoniva Crispi nel 721209 , e due anni appresso Quintino Sella incalzava, che linternazionale nera, pi benigna allapparenza, in sostanza minacciava assai di pi come quella che, pur di conseguire il suo intento parricida a rovina della unit e libert patria, non esitava ad affilare a danno nostro armi straniere, preparando intanto nel paese quanto

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avrebbe potuto contribuire alla loro vittoria1210 . Anzich deplorare lassenteismo elettorale dei cattolici, il Visconti Venosta si rallegrava, nel 1871, che Pio IX disdegnasse la democrazia: altrimenti, il Quirinale sarebbe stato costretto a fare i conti col Vaticano1211 . Ed era logico che i neri preoccupassero assai di pi, solo che si pensasse alle forze internazionali della reazione, potente in Francia ed in Austria e, fra il 73 e il 74, minacciante di sopravanzare in Spagna, con la violenta ripresa carlista. Privi affatto di appoggi internazionali pubblici, i rossi erano allora, e dovunque, minoranze di eretici; ma sempre potenti i neri e in grado di influire, in pi dun paese, sulla politica ufficiale riguardo lItalia. Vi si aggiunga la convinzione diffusa che in Italia, mancando i grandi agglomerati operai, mancasse la materia incendiaria per agitazioni rosse: convinzione alla quale ris i dava, secondo il suo costume, perentoriet di giammai1212 , continuando ancora per parecchi anni a rifiutar fede allo spettro del socialismo e solo da ultimo scoprendo che la materia combustibile cera anche in Italia e il fuoco vera stato appiccato da un pezzo. Le moltitudini in Italia, da non confondersi con i monelli che fanno le dimostrazioni in piazza, sono eccellenti, diceva in Senato Jacini fautore addirittura del suffragio universale indiretto1213 , e Zanardelli, risolutamente ottimista, convinto che fra noi non esistessero quei profondi antagonismi, quegli odi, quei rancori di classe, che travagliavano le altre maggiori nazioni dEuropa, ad ascoltare i foschi presagi di alcuni senatori si chiedeva se dalle tombe scoperchiate fossero sorti spiriti da secoli dormienti1214 . Del quale ottimismo dei progressisti di allora era testimonianza aperta lo scegliere listruzione elementare come requisito pi acconcio per lallargamento del suffragio: fede nella Scienza, popolarmente concretata nella scuola, e fede in un pacifico e progressivo sviluppo armonico della societ, senza scosse n tumulti, fecero tuttuno1215 .

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Ora, la riscossa dei clericali voleva dire non attentato alla propriet, almeno in linea di principio1216 , bens unicamente attentato alla patria. E fu dunque il sentimento della patria ad insorgere, anche quando listinto del proprietario potesse riposar tranquillo; e nelle masse rurali, in quel caso, si temettero i possibili sanfedisti, non i petrolieri della Comune. Certo, anche i petrolieri minacciavano, oltre la propriet, la patria: il nome solo della Internazionale significava, allora, la negazione degli ideali nel cui nome sera combattutto e vinto. E in questo propriamente era uno dei pi intimi motivi di travaglio della vita italiana. La patria resa una e indipendente, i patrioti lavevano offerta alle masse, certi di averne con ci appagato gli ideali: ma il grande fatto politico era, per avventura, dalle plebi scarsamente sentito e, spesso, fin vilipeso come lustra di cui i padroni si avvalessero per tener quieto il gregge ribelle1217 . I vantaggi dellunit apparivano riservati al ceto dei possidenti, mentre lasino, cio il popolo, doveva continuare a portare il basto come prima, e forse peggio di prima1218 ; e qualcuno dei contadini che aveva gridato viva la libert, sperando lavvento di unepoca in cui anche i poveri potessero star meglio e lavorar meno, poi aveva crollato il capo: libert, eguaglianza, ma chi non ne ha gratti la pancia1219 . La patria, la libert, gran belle cose, ma quando saveva fame non bastava: e un anonimo di Lodi diceva al Carducci, nel 1881, basta col parlare della libert! occorre parlare della miseria1220 . Qui cera, nuovamente, un vuoto tra ceti dirigenti e masse. Gi una volta Giuseppe Mazzini aveva bene avvertito il distacco verificatosi fra ideologi e dottrinari da una parte e popolo dallaltra, in Italia come in Francia; e perci aveva posto a base del suo apostolato leducazione del popolo e aveva, sia pur assai vagamente, intravisto il problema sociale dietro la questione politica1221 . Dopo

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di lui, Andrea Luigi Mazzini, sulle orme del Saint-Simon e delle correnti socialistiche francesi e belghe, aveva assai pi nettamente insistito sulla necessit che la rivoluzione italiana fosse largamente sociale1222 , e il Pisacane aveva voluto che la rivoluzione fosse fatta non per cambiare i ministri o riunire una Camera ... ma per far sparire dalla societ i ricchi oziosi ed i poveri che mancano del pane, e fare che ogni cittadino possa godere il frutto dei propri lavori senza assoggettarsi ad altri, e che nessuno pi viva oziando nei ricchi palazzi col sangue della povera gente che lavora1223 . Ma il Risorgimento sera effettuato per altre vie e con altri risultati secondo era nelle possibilit della storia dallora che non poteva essere la storia del secolo ventesimo; e nuovamente fra ceto dirigente e masse cera un vuoto che tendeva ad aggravarsi sempre pi. Turbolenze e disordini, di cui cominciavano a risuonar le cronache, non facevano che accrescere le diffidenze e i timori del ceto dirigente, spingendolo a considerare minacciosi per la libert stessa e per la patria i sommovimenti sociali. Patria e libert rischiavano di porsi su piano antitetico a quello delle aspirazioni sociali: il sopravvento della plebe avrebbe condotto allegualitarismo e al dispotismo; rivoluzione sociale, livellamento, e come risultato ultimo una dittatura confortata da facile plebiscito, con la rinunzia delle plebi alla libert politica pur di viver meglio in servit. Predominio del popolaccio, anarchia e in ultimo la dittatura militare, il dispotismo: era laborrita evoluzione delle cose gi condannata nella Rivoluzione francese dalla storiografia liberale del primo Ottocento che aveva contrapposto l89 e il 93 come la luce e le tenebre. Lantisocialismo sgorgava di necessit da tali premesse del pensiero liberale ottocentesco; e anche nei nostri latteggiamento teorico trovava conferma di esempi, non soltanto nellesperienza francese delle due dittature napoleoniche, ma anche nel socialismo del governo

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p fido che negli ultimi anni aveva cercato di far dimenticare i bisogni governativi, diceva Pio IX, ossia politici, soddisfacendo quanto pi possibile i bisogni locali, con lavori pubblici e larghezze a favore dei ceti meno abbienti1224 . Libert politica minacciata, dunque; e la patria, la patria aggredita dallinternazionalismo dei movimenti sociali, dallatteggiamento polemico che i novatori assumevano verso quella che era la parola sacra per il ceto dirigente. Il socialismo di ora non era pi il socialismo patriottico, nazionale, di un Pisacane1225 ; era internazionalismo, appello alle classi contro le nazioni. Patriottismo contro internazionalismo: questo distaccava lo stesso Mazzini dal movimento nascente; questo era destinato a scavare per decenni, un fossato profondo tra i partiti socialisti e i patrioti, nella furia polemica accentuandosi man mano da una parte le note prettamente nazionalistiche, e dallaltra gli inutili anzi dannosi atteggiamenti che ferivano un sentimento vivo e profondo. Sul quale doloroso dissidio, grave di conseguenze, simperni gran parte della storia italiana dalla fine del secolo XIX al 1922. Qualcosaltro ancora, tuttavia, nutriva la diffidenza verso le masse. Tornava in ballo leducazione, listruzione: ora per non come incitamento ad innalzare gli altri, bens come distacco, disprezzo verso gli altri. Veniva fuori il disdegno del savio verso la imperita moltitudine, verso la massa amorfa tutta istinto e niente ragione. Noi dobbiamo restar noi, e noi puri, noi savi, noi antiveggenti aveva gridato il Lainbruschini nel 491226 ; e nel grido era bene racchiuso tutto quel che ergeva una invisibile ma formidabile barriera fra due mondi, e non poteva nemmeno esser racchiuso in una formula ben definita ed era qualcosa di pi che non il puro senso del proprietario o il senso del patriota. I savi e il volgo o, guicciardinianamente, i pazzi e i savi1227 : quel volgo che anche i meno avversi avevan proclamato si dovesse sem-

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pre prendere con quello che pare, e con lo evento della cosa1228 , e che i pi avversi avevano battezzato uno animale pazzo, pieno di mille errori, di mille confusione sanza gusto, sanza deletto, sanza stabilit1229 ; la belua illa innumerorum capitum1230 , la bestia senza pensieri da tener a freno1231 , costantemente sospettata dalla tradizione culturale europea e anzi tutto proprio dalla tradizione del pensiero politico, la vile populace alla quale, in pieno Settecento, anche il Voltaire aveva guardato con disdegno e con disdegno guardavano ancora i savi dellOttocento, tanto pi allarmati per i recenti, improvvisi, cruenti scatti dira di quelle plebi che sentono la malattia del ventre, non quella dello spirito1232 . Prima ancora che contro socialismo e comunismo la diffidenza e lostilit si volgevano contro la democrazia. La democrazia: vale a dire, la legge del numero, la quantit contro la qualit, il peso bruto della massa contro lintelligenza e la dottrina, la passione, il fanatismo e lo istinto contro la raragione. Di queste paure salimentava latteggiamento antidemocratico di un Flaubert, di un Renan, e, ugualmente, degli scrittori e uomini di parte moderata in Italia, a ciascuno de quali, vincendo la democrazia, lavvenire si presentava sotto i foschi colori del grande Stato di masse militarista, imprenditore, tutto schiacciante con la sua mole, e di masse inquadrate, una misura precisa e controllata di Misre mit Avancement und in Uniform di rulli di tamburo regolanti militarescamente ogni movimento della collettivit1233 . Filisteismo, ignoranza, indifferenza ai problemi morali e spirituali e, sola superstite, la preoccupazione del proprio benessere materiale: si camminava nellora del tramonto1234 . Tendenza agli interessi materiali del secolo presente: era un atto daccusa svolto e ripreso, da decenni, di l e di qua delle Alpi, proprio ad opera di coloro i quali, politicamente, volevano il moderatismo. Gli animi sono occupati, soverchiamente, dal benessere economico; legoi-

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smo e lavidit, lamor dei piaceri e il lusso dominano il mondo contemporaneo, onde, perfino nei consigli dello Stato gli interessi del commercio e dellindustria vengono ascoltati a preferenza della dignit e dellonore: laveva scritto Minghetti giovane1235 , che addebitava alla Monarchia di Luglio il gran torto di aver materializzata la Francia e che allo stesso Pio IX, convinto di dover favorire gli interessi materiali per guarire i mali dello Stato pontificio, opponeva la necessit di non farne scapitare le idee pi elevate1236 . E Minghetti era uno dei tanti preoccupati che ben mangiare, ben bere e ben vestirsi stesse diventando lo scopo supremo dellumanit1237 ; perfino al Sella, cos alieno dalle romanticherie, leccessivo culto degli interessi materiali delle nuove generazioni faceva talvolta rimpiangere le quarantottate1238 . Avevan voglia di protestare Luigi Blanch, che la sentenza era troppo severa1239 , o Francesco de Sanctis, che nel 69 benediceva la nuova generazione se impiegasse nellindustria, nei commerci, negli studi positivi, lenergia dai vecchi impiegata nelle cospirazioni e nella speculazione1240 : il motto aveva fortuna, diveniva quasi formula stereotipa quando non riacquistasse improvviso calore e impeto nello sdegno di un Flaubert. Let del commercio, aveva vaticinato ottimisticamente Benjamin Constant; ma altri ritenne che il commercio significasse, con la ricchezza, avvilimento del sentire umano, bruttura di affetti e di pensieri e fu scettico di fronte
le magnifiche sorti e progressive

dellumana gente e pens con il poeta della Palinodia che la virile et


... volta ai severi ... economici studi, e intenta il ciglio nelle pubbliche cose ...

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rifuggisse ormai dallesplorare la propria anima e cercasse fuori di s quel che in s non riusciva pi a trovare. Sorse cos sin dai tempi della Monarchia di Luglio e divenne oggetto di perenni discussioni il quesito se il progresso tecnico non sopravanzasse quello morale, con grossi pericoli per il futuro; e si disput come far procedere di paro luno e laltro e, in particolare, come ricondurre leconomia pubblica ad una stretta coordinazione e anzi subordinazione ai princpi morali1241 . Tra le quali discussioni e polemiche lanima candida di Luigi Luzzatti cerc di confutare le asserzioni del Buckle, allora in gran voga e con ben altra vigoria di pensiero gi combattute prima dal Droysen1242 : di provare, cio, che la morale e la virt erano le basi necessarie di ogni progresso tanto che, ove mancassero, lo stesso avanzare nelle scienze e nella tecnica poteva condurre a risultati infelici1243 . E il Minghetti cercava laccordo tra progresso tecnico e progresso morale e disegnava i suoi connubi tra economia pubblica, diritto e morale, tentando di volgere a buon fine anche la cupidit, vizio dei tempi, e sottolineando la necessit che il principio morale informasse lindustria, perch durasse vigorosa1244 . Tra gli uni e gli altri dibattiti affiorava largamente la questione sociale; e ci si chiedeva se luomo fosse oggi pi contento di prima e, negativa riuscendo la risposta, come fare ad alleviare i bisogni delle classi povere, a tutelare i diritti degli infimi; e si affermava con il Minghetti la necessit di una legislazione sociale, che fosse un quid medium fra la teoria della libert bastante a s stessa, ormai non pi sostenibile integralmente, e lopposta teoria del diretto e continuo intervento statale. Dunque, ancora, una via di compromesso, un giusto mezzo economico-sociale dopo il giusto mezzo politico: non senza che trapelasse pi di una volta qualche residuo dellottimismo pre-quarantottesco, pre-marxista, sulla virt del buon esempio, giacch quando il popolo vede un

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uomo rispettabile, onorato nella sua famiglia e nella societ, che si occupa di lui, che studia i suoi bisogni, che sispira allamore della sua classe, credo che il popolo ha lintuito assai fino, e, se incontra questuomo benefico, a lui che si rivolge, e respinge gli agitatori nelle tenebre, donde mai non dovrebbero uscire1245 . Dunque, ancor sempre la virt dellesempio alla Lambruschini e alla Ricasoli: il signore che doveva ripigliare il suo antico potere nello Stato, ma in modo diverso, ottenendo col sapere e con lautorit duna vita incorrotta quel che prima otteneva col denaro e con la clientela, guidando il popolo con lesempio1246 ; luomo benefico, che risolveva con la sua virt morale i grossi problemi dei tempi. Agli operai, scrittori di minor nomea additavano il self-made man; al ceto dirigente, e soprattutto ai signori di campagna Lambruschini Ricasoli Minghetti avevano additato e continuavano ad additare lesempio classico del signore padre dei suoi sottoposti. Cacciato lungi dallagone politico, almeno temporaneamente e nelle sue forme estreme, il mito delleroe riappariva nei problemi sociali, non diversamente da come lassolutismo illuminato, ripudiato in politica e sostituito dalla volont della nazione, manteneva intatte le sue posizioni nei rapporti fra le classi, e cio tra i proprietari e i dipendenti1247 . O non scopriva forse anche il Bonghi, fra le cause della Comune, lo scemare del valore intellettuale e morale delle classi alte, quindi il decrescere del loro consorzio con le plebi cittadine e rurali e della loro influenza sana e gagliarda sopra di esse: che era proprio lo scemare della virt dellesempio?1248 Ora, in tutta questansia per laffermato tramonto del senso morale e trionfo dellegoismo, declino dello spirito e avvento della materia, fine dellideale e vittoria del tornaconto, il dibattito propriamente politico e sociale si slargava dassai, esprimendo il tormento di una parte cospicua del ceto dirigente italiano non pure di fronte ad

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un determinato problema, bens alla civilt moderna in genere. Perch in quel volere lincremento della ricchezza, ma ad un tempo paventarne gli effetti e ricorrere ai vecchi motivi antilusso e anticorruzione; nellesaltare leconomia pubblica, come allora dicevasi, ma temendone ad un tempo gli sviluppi ove non fossero coronali da un non minore progresso morale e culturale, vera bene nel fondo una sorta di diffidenza e di paura di fronte allo sviluppo cos rapido e formidabile, della societ moderna. Politicamente, era il rinato spirito di conquista che i moderati, una voce, deploravano nella sua incarnazione presente, e cio nel bismarckismo; economicamente, la concorrenza sfrenata la produzione la circolazione di ricchezza lo scambio a ritmo vertiginoso e sconvolgente. Nellun caso e nellaltro, unico ideale la potenza, la forza, il peso del numero: pressa poco come in politica interna miravano a fare i democratici, imponendo anchessi la massa degli elettori, la quantit sulla qualit. Turbava e lasciava perplessi il prevaler del problema economico, il suo incidere profondamente su quello politico. Turbava il sopravanzare deciso nellEuropa dellindustria, il suo campeggiare ricacciando in secondo piano altre, pi consuete e amate, forme di produzione; e lo si confessava di rado, esplicitamente, un cotal turbamento, ma lo si effondeva negli inni allagricoltura, la vecchia nutrice dei popoli a cui una millenaria tradizione aveva sempre assegnato il primo posto e conferito dignit e riputazione mai conseguite da industria e commercio, nonostante i Comuni medievali e i traffici degli Italiani nel periodo pi splendido della loro storia. Qualcosa di nuovo si insinuava, senza dubbio, nelle lodi della vita rustica, nellincitamento a dar opera e senno ai lavori agricoli. Era lo sforzo di migliorare tecnicamente la produzione, di modernizzare metodi e sistemi, di porsi a paro anche qui di Francia e Inghilterra; donde il risveglio degli studi di agraria e il fervore di discussioni

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in giornali associazioni e congressi, che era tra i maggiori segni del rifiorir italiano a nuova vita1249 . Donde lavvicinarsi, su questo piano, di uomini cos diversi come un Cattaneo un Cavour un Ridolfi un Capponi un Lambruschini un Ricasoli: e luno si preoccupava di cercar i merinos a Villach o di allevar maiali di razza inglese o di impiantar trebbiatoi da riso1250 , e laltro mortificato di farlo tardi andava in giro per le vigne e le cantine della Borgogna e del Mdoc, assaggiando i vini e traendo confronti e ammaestramenti per il suo Chianti1251 . Ma la concordia nella parte tecnica nascondeva sostanziali divergenze di vedute generali. Nessuna antinomia fra lagricoltura e lindustria il commercio la finanza moderni, per un Cavour e un Cattaneo, anzi perfetta sincronicit di sforzi; e lagricoltura vista essenzialmente come fatto economico, con occhi da economista, da produttore, da tecnico. Nessun senso bucolico; non essenziale nemmeno il finalismo di carattere educativo-morale1252 , il vagheggiamento dellagricoltura come dellunica, grande educatrice dei popoli e soprattutto nessuna esaltazione di essa come dellunica base per la struttura politica del paese. Cos accadeva, per lappunto, con un Cavour, inizialmente agricoltore par raison e poi, senza dubbio, sedotto anche lui dal fascino della terra, trascinato e inviluppato nei molteplici continui pensieri del lavoro agricolo, e quindi agricoltore pargot1253 , ma non mai sino al punto da non tener locchio ben aperto e lanimo pronto alle imprese industriali e ai problemi dellalta finanza: Cavour, spinto dalla necessit a crearsi una posizione, a diventar ricco, a rendersi indipendente sottraendosi alla spiacevole condizione del cadetto1254 costretto a sfogare la sua volont ardente e tormentata1255 in altro campo da quello primamente vagheggiato, in un paese dove lindustria era vista con sospetto dal governo, quale ausiliaria del liberalismo, e dove a lui Cavour, sotto Carlo Al-

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berto, non restava che piantar cavoli e coltivar vigne1256 ; Cavour, per il quale lagricoltura era dunque il momentaneo surrogato della politica e quasi il rifugio dei vinti della politica. Privo della sensibilit idillica per il divino silenzio verde della campagna1257 , Cavour vedeva nei campi una fonte di produzione, nellagricoltura una industria e perfino una fonte di speculazione finanziaria, col gioco sulla differenza di prezzi ne vari mercati dEuropa. Il gentiluomo di campagna antico regime badava, al massimo, a sfruttar bene i suoi fondi: ma il suo orizzonte economico era tutto l, in quei fondi. Cavour vedeva i suoi campi, ma, assai, oltre, il mercato di Odessa e quello francese; e seguiva il variar de prezzi, dal Baltico al Mar Nero, innestandovi su acquisti o vendite a seconda del momento1258 . Perci, niente pi pregiudizi, niente pi pretensioni primogeniali dellagricoltura connesse con il vecchio ordine politico ormai crollante e, pi generalmente, con una tradizione millenaria che nei paterna rura aveva esaltata la base del viver civile; niente superiorit dellagricoltura, ci che aveva costituito un funesto errore a molti fatale e, nel passato, aveva indotto commercianti e industriali, appena saliti in ricchezza, ad investire i capitali nella terra come se una tale qualit conferisse loro maggior dignit, gli elevasse nellordine sociale, anzich impiegarli ad accrescere gli opifici e ad estendere i traffici. Nulla pi di tutto questo, ma riconoscimento che tutte le arti industriali, figlie del lavoro, hanno pari titoli ai riguardi del governo, alle simpatie del paese, tutte conferendo ugualmente al pubblico bene, tutte su di uno stesso piano di dignit, continuava il Cavour che con tali affermazioni buttava per aria, prima ancora che lassetto politico italiano, la vecchia mentalit di stampo nobiliare-rurale1259 . Il primo effetto della nuova vita pubblica, della libert, doveva essere unindustria potente, giacch lindustria per svilupparsi abbisogna a segno

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tale di libert, che non dubitiamo affermare, essere i suoi progressi pi universali e pi rapidi in uno Stato inquieto s, ma dotato di soda libert, che in uno tranquillo, ma vivente sotto il peso di un sistema di compressione e di regresso1260 . Ma Cavour era un rivoluzionario, ne fatti se non a parole. E invece per molti altri dei maggiorenti italiani, la qualit del proprietario terriero era veramente quella che conferiva maggior dignit nellordine sociale, e lagricoltura era e doveva rimanere la primogenita. Cos parlava la tradizione secolare che risaliva su su fino allantica Roma agraria, e si era rinverdita tra Cinquecento e Seicento, soprattutto, quando la corsa alla propriet terriera e al titolo nobiliare che le era connesso aveva distolto capitali e animi dallattivit industriale-commerciale, in Italia come in Francia e altrove, salvo che in Italia non sera trovato il correttivo dei gruppi di eretici per causa di religione, i quali assumessero su di s industria e commercio1261 . Non a torto il Salvagnoli deplorava nel 1834 che in Toscana la propriet stabile fosse s pazzamente stimata che per antonomasia proprietario il possessore di beni fondi, e scherniva le belle tradizioni castigliane che i Toscani dellOttocento continuavano1262 . In Lombardia, nel 37 il Cattaneo constatava che moltissimi dei commercianti stessi non hanno quasi stima del commerciante se non in quanto non sia commerciante, e cio possedesse terre o case, radicatissimo pregiudizio, per cui anticipi di credito venivano ottenuti soltanto da colui che aveva qualcosa al sole1263 ; e ancora nel 1855 uno dei propugnatori del rinnovamento economico, il Frattini, doveva constatare che lo spirito del proprietario terriero, con la sua prudenza e cautela, dominava tuttavia, rinvenendone anchegli, come il Salvagnoli, una delle cause in quella specie di obbrobrio in cui lignoranza castigliana tenne per alcuni secoli quelli che si dedicavano a speculazioni commerciali1264 . Del che, in effetti, eran prova,

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in Piemonte, le diffidenze e le cattive voci contro il Cavour, uomo daffari e giocatore in borsa, e cio venuto meno alla tradizione del suo ceto. E gi per un Ricasoli lagricoltura era tuttaltro che il surrogato forzoso della politica; e anzi, costretto poi a darsi alla politica, contrariamente al Cavour1265 ne sent sempre con fastidio il peso, sognando in cuor suo Brolio e i suoi vigneti e quelle plaghe solitarie ed inospiti con cui lanimo mio si pone senzaltro in piena rispondenza di pensiero e di affetto, lasciando la cura al mio accorto animale di posare piede in terra, per vivere a conto mio negli spazi senza confine delle memorie, e della immaginazione, finch dopo quattro o cinque ore di un lungo viaggio spirituale, quello fisico trova confine e mta nella porta della casa cui io mi ero diretto1266 . Che se poi si trascorresse ad altri dei moderati, soprattutto ai Toscani, allora il divario col Cavour appariva veramente in luce solare1267 : nei Capponi e amici, nella Chiesa dei Capponi1268 , la passione per la terra era esclusiva e tendeva a contrapporre agricoltura ed industria, di questultima additando bens le opere gigantesche e le officine poderose, ma anche i grossi guai e pericoli, cherano soprattutto di carattere morale e sociale. I troppo rapidi progressi meccanici, cio dellindustria, sconvolgevano troppo subitamente, apportavano disordini e inquietudini, creavano la miseria. Costantemente mosso da preoccupazioni morali, Gino Capponi vedeva nelloperaio la semplice macchina, il braccio senza mente, mentre nellagricoltore mente e braccio andavano congiunti; cieco il lavoro del primo, sempre intelligente quello del secondo. E, continuando nel raffronto, richiamava i suoi amici alle pitture lacrimevoli della condizione disperata, in cui per rapide vicende posto gran numero di manifattori in que paesi, dove le opere gigantesche e le officine poderose ... stanno accaparrate in pochi, alle mani alzate verso il cielo, mani armate contro il fratello; e vede-

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va il mondo industriale, creazione nuova, cercare faticosamente il suo equilibrio, cercar di istituire una societ somigliante a quella che lagricoltura, arte coeva del primo umano incivilimento, compose da tempo antico tra il proprietario e il lavoratore1269 . La servit del telaio generava la guerra servile, sfociava nellurlo della passione, nella romba di vicina tempesta che spaventava ormai tutta lEuropa; la mezzadria, gran vanto dellagricoltura, era il modo di spegner lodio pronto a diventar furore1270 . La macchina, voleva dire uno strascico di miserie umane1271 ; carattere grande e terribile, immenso in bene e in male1272 del secolo, era progresso estrinseco e materiale, che abbrutiva lanima anzich innalzarla a Dio come faceva la campagna aperta; e il sarcasmo leopardiano sulle ferrate vie e i molteplici commerci e le macchine al cielo emulatrici trovava larga eco anche in chi rifiutava il suo pessimismo cosmico e cercava invece rifugio in un rinnovato fervore religioso e morale1273 . Che era questa nuova educazione, eguale per tutti, avviata a produrre una generazione dartefici? si chiedeva Gino Capponi1274 . Il popolo macchina, questera il supremo voto dei politici e il pensiero di quei filosofi che pi si chiamavano progressivi: edera forse questa la libert che i padri nostri volevano, per la quale contendevano?. Lindustria era lo studio, la gloria, larma dei tempi, il sacerdozio dun secolo che ha per divinit il danaro: dove le accuse consuete contro il materialismo e il basso animo del secolo salivano su, su, dagli uomini contro la macchina e contro il progresso tecnico. Meccanico, voleva dire senzanima, e fu spregiativo1275 . Quella che era la potente molla dello sviluppo industriale, produrre, produrre sempre di pi, non accontentandosi delle richieste tradizionali del mercato, anzi eccitando nuove richieste, e creando nuovi mercati; questo soffio di poesia della grande industria moderna, che gi allora induceva il Cattaneo a parlar di arte per la vita

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civile1276 , e che molti decenni pi tardi avrebbe trovatola sua apoteosi in un Ford, spaventava: ci solo che oggi si cerca e si vuole il produrre: ma questa produrre gi vince il bisogno soprattutto in Inghilterra e in Francia, e quindi gi una cosa contraria alla natura stessa dellindustria e delle arti1277 . Perci, si innovasse tecnicamente nellagricoltura, ma si conservasse al primo posto lagricoltura, si conservasse la tradizione paesana, ormai rurale, e niente o quasi manifatturiera: chera poi anche lunico modo di servire la causa della civilt, della moralit, della agiatezza nazionale, come chela mezzadria fosse retaggio dinveterati costumi, causa di non grande ma generale agiatezza, pegno di cristiana carit e di civile progresso, quasi congenita e inseparabile condizione di nazionale carattere1278 . Lagricoltura miglioratrice1279 . Il problema, da economicosociale diveniva politico-morale; il conservatorismo economico faceva tuttuno con il conservatorismo politico, e la paura dellindustria diveniva paura delle masse operaie. Quanto sostanziali potessero essere i contrasti di vedute complessive anche fra uomini che si ritrovavano poi daccordo nel propugnare migliorie tecniche e maggior produttivit, dimostravano le discussioni dei Georgofili toscani, fra il 1833 e il 1834, e il contrasto fra Gino Capponi, grande ammiratore di Pietro Leopoldo e delle sue riforme agrarie, convinto della primazia dellagricoltura, e il Salvagnoli, il quale, andando oltre il problema specifico della mezzadria, voleva si studiasse anzitutto la condizione della propriet terriera di fronte a industria e commercio e deplorava che la Toscana, prima manifatturiera e commerciante, si fosse poi prostrata sulla terra come a idolo, sacrificandole tutti i capitali e lattivit industriale e quando si scuote dalla superstizione geofila, non trova pi capitali mobili, non pi manifatture, non pi commercio, e va nel mercato universale a recar ma-

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gre spighe o poche bacche di olivo, mentre i concorrenti recano ogni maniera di prodotti1280 . Dallo stato danimo dei conservativi sgorgava cos la celebrazione dellagricoltura come della grande educatrice morale, della terra madre di virt familiari e civiche, sola arra sicura di un progresso tranquillo e regolare. Qui si era in tuttaltro mondo da quello di un Cavour e di un Cattaneo; e che le giovani generazioni propendessero ormai per la macchina nulla toglieva al fatto che tra i vecchi, ma non solo tra essi, i pi rimanessero ancora avvinti ai secolari ideali di vita. La natura riconduceva luomo a Dio; lofficina, lo rendeva ateo: non casualmente, i grandi esaltatori dellagricoltura auspicarono anche, tutti, un rinnovato fervore religioso, onde natura e Dio, lavoro dei campi fede educazione morale del popolo si confusero in un solo sentire. Anche nel Minghetti, questaltro agricoltore, lagricoltore si fondeva col credente seppure con minor pathos che non nel Ricasoli; e come leconomia pubblica alla morale e al diritto, cos lindustria egli voleva subordinata alle buone leggi, alle buone istituzioni, allistruzione, alla educazione, alla religione1281 . Cavour ammirava il Bentham e il suo utilitarismo; Minghetti lo riprovava1282 . E se i matti, come diceva il Lambruschini, stavano nelle citt e occorrevano i savi del contado a tenerli a posto, non era forse prova sufficiente, questa, che la meccanica volgeva a male lanimo, mentre la terra lo manteneva nei sani precetti della vita cristiana? Il tanto discusso problema dei rapporti fra economia e morale, fra progresso tecnico e progresso spirituale, trovava il suo pieno concretamento nelle discussioni sullagricoltura e lindustria, sul potere educativo della prima e sul deprimente influsso morale della seconda: luno e laltro erano due momenti formalmente distinti, sostanzialmente identici, di un solo atteggiamento di fronte ai

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grossi quesiti che la civilt moderna stava sollevando e che andavano ben oltre il puro fatto politico. Corroborava un siffatto stato danimo la tradizione culturale umanistica, che dominava ancora lItalia dellOttocento, parlando con i suoi accenti di antica saggezza; ed era la saggezza classica, e quindi, appunto, non lesaltazione dellinvenzione meccanica, bens dellopera darte e della bellezza della natura. Dalle Georgiche virgiliane gi gi le lodi della vita rustica avevano tenuto il campo, laddove la fatica del mercatore affannantesi pel mondo dietro la sua mercanzia non era mai assurta a dignit di esempio di vita, nemmeno nel periodo in cui le citt italiane erano state commercio e manifattura; onde, nella stessa Firenze quattrocentesca, Leon Battista Alberti aveva fatto esaltare da Gianozzo e Lionardo il vivere in villa, in aere cristallina, in paese lieto, per tutto bello occhio ... sano et puro ogni cosa, orazianamente lontani dal travaglio delle altre faccende in comperare cura, in condurre paura, in serbare pericolo, in vendere sollicitudine, in credere sospecto, in ritrarre fatica, nel commutare inganno. La villa sola era conoscente, gratiosa, fidata, veridica1283 , opera de veri buoni uomini et giusti massari, tutta diletto e serenit, niuna invidia, niuno odio, niuna malevolenza. Risuonavano ancora e sempre simili accenti, financo in bocca al fiero Ricasoli, al quale la quiete agreste sembrava quiete vigorosa ed elevata perch leffetto di un inalzamento del nostro spirito, come se si ritraesse da una specie di prostrazione in cui fosse giaciuto fino allora. Quante sono mai le cose che ci diventano indifferenti, o non le degnamo dun pensiero, che nella citt ci angustiano sdegnandoci!1284 . Ora, questa tradizione culturale dove le alte mura di Roma e gli archi antichi e gli eroi mitologici salternavano con i quadretti di vita campestre, imperava tuttavia. Manzoni se nera staccato, Manzoni che, non a caso, metteva innanzi leconomia sociale a fondamento di ogni al-

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tro studio1285 . Ma Carducci laveva ripresa, proprio negli anni di che discorriamo: Carducci, che trov le note alte della sua poesia pi ancora che nei grandi affreschi storici, nellabbandono alla voce della natura. Ancora a lui il silenzio verde del piano e il biondeggiar delle spighe e il trifoglio rosso su declivi dei prati infondevano pace e gioia nellanima; n destavano il suo genio i bagliori delle fonderie, avvampanti nelle tenebre, che sollecitavano allora la musa di Walt Whitman, e nei suoi canti che pi colpirono per laudacia di contenuto e parvero rompere con lo stile classico, la massima modernit fu la vaporiera dal fischio flebile, acuto, stridulo, i carri foschi, il nero convoglio, il mostro, lempio mostro dallanima metallica. Ma era cosa straordinaria, come indicava gi solo il termine classico, e cosa che recava dolore al poeta sia che gli portasse via Lidia, sia che lo strappasse ai cipressi di Blgheri; e anche quando al bello e orribile mostro salzasse il saluto del poeta, come a Satana il grande1286 e il vapore, anelando nuove industrie in corsa per lUmbria verde, dicesse il risorger dellanima umana dopo i foschi giorni del dissolvimento cristiano, anche allora erano rapide fugaci apparizioni, e, soprattutto, semplice mezzo per celebrare ancora la settecentesca forza vindice della ragione. Nulla dellesaltazione attivistica dellamericano, al quale la potenza del vapore, le grandi e celeri linee, il gas, il petrolio, la terra diventata una rete di rotaie di ferro gonfiavano il petto dorgoglio: ed egli invitava le Muse ad abbandonare Grecia, Italia, Europa, per cercar un mondo migliore pi nuovo e pi affaccendato, a lasciar cadere le favole su Troia e i castelli medievali per cantare lindustria, il frastuono del meccanismo, gli acquedotti i gasometri i concimi artificiali. Due poeti e due mondi, luno cantore di una civilt industriale in potente sviluppo, laltro, poeta di un mondo ancor legato alla terra madre di bionde messi e nutrice di familiari virt1287 .

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E gi il Carducci passava per mezzo eretico e scandalizzava! A voler esser liberi e pronti ad accogliere tutte le voci del mondo moderno bisognava essere come il Cavour, lontano dalla tradizione culturale italiana, talora, come un Guicciardini per il ballo, anchegli rammaricantesi di non aver appreso bene le lettere, ma generalmente indifferente e fin disdegnoso dei letterati e della letteratura, incurante del lavoro da tornitore e cio della rifinitura stilistica, tutto preso dalleconomia e dalla politica, e convinto di essere adatto soltanto alle discussioni di puro ragionamento1288 . Per la tradizione umanistica italiana, Cavour era un eretico: e che altro potevasi dire di un uomo il quale, recatosi a vedere la tomba di Romeo e Giulietta la battezzava un abbeveratoio di buoi al quale si dato un nome pomposo, o rinunziava ad annotare le sue impressioni su Venezia perch lultima delle guide di viaggio baster a farmi ricordare le cose viste in questa citt, o dichiarava di non annettere grande importanza ai ricordi classici in s?1289 Ma gi leclettico Minghetti, pur largamente aperto ai problemi del suo tempo, pur capace di ammirare i ritrovati della scienza e dellindustria, gi il Minghetti restava ancorato alle vecchie tradizioni; umanista di garbo scrittore di cose darte, oratore tornitissimo a differenza del Cavour, non fu mai sciolto dalla reverenza per il classico e nel classico cera la terra, non la macchina e non sabbandon mai del tutto alla esaltazione per la febbrile attivit moderna, comera successo al Cavour e succedeva alSella1290 , n allesaltazione della scienza come della nuova divini; anzi ne riafferm nettamente i limiti e, al par di un Lambruschini e di un Capponi, le ripose di contro la necessit della vita interir delluomo, che era poi sentimento religioso1291 . Il positivismo, certo, stava per irrompere anche nella cultura italiana, portandovi un soffio nuovo, spezzando vecchi schemi e aprendo cos nonostante tutte le sue

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debolezze speculative pi larghi spazi a quella cultura: non dovevano trascorrer molti anni, e cera chi osservava che, come una volta non accadeva dudire un discorso senza il pericolo dimbattersi nella tela di Penelope, nella spada di Damocle, nel masso di Sisifo, cos, ora non si poteva pi evitare il pericolo di incespicare nella evoluzione, nella selezione naturale, nello struggle for life1292 . Oppure, a promuovere un referendum sulle letture preferite, cera da veder Spencer e Darwin scavalcare quasi tutti gli antichi dei dellOlimpo letterario, solo soggiacendo allimmensa autorit di Dante, della Bibbia e di Shakespeare1293 . Ma, tuttoch al suo tramonto, lantica cultura combatteva ancora. Il culto del bello ideale e del bello morale fu contrapposto, cos, allindustrialismo e al materialismo; il passato, con le sue virt umane e la sua finezza culturale al sormontare attuale della volgarit e della rozzezza1294 ; lo stile eletto alla brutalit degli appetiti scatenati: e ne derivarono le discussioni in cui il tema dei rapporti fra progresso tecnico e progresso morale assunse questa altra forma, della difesa del bello letterario quale correttivo alle tendenze materialistiche del secolo. Il bello letterario salvava il bello morale, altrimenti minacciato di morte1295 la bellezza il pi alto salire della natura e dellumano intelletto, e vi trovo il pi grande argomento contro tutto ci che tende a materializzare questa o quello1296 . E le polemiche sullinsegnamento, cos vive allora e poi, fra coloro che reclamavano maggiore praticit, maggiore modernit e meno classicismo1297 , e coloro che insistevano invece sulla assoluta necessit di tener fede alla tradizione umanistica, superiore essendo il merito morale delle lettere e delle arti1298 , furono ancora un riverbero di un pi generale contrasto, in cui mondo vecchio e mondo nuovo si combattevano ovunque. Amore della cultura classica, amore del bello secondo la tradizione, vagheggiamento dellartista come staccato dalle misere lotte ter-

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rene e risanatore, con le sue immagini, di quelle lotte, fecero tuttuno, nei conservatori italiani ed europei, con la riluttanza alla civilt moderna, razionale e industriale, di masse e non pi di singoli1299 . Amor della tradizione, dunque; e, come gi ai tempi del Burke e del Cuoco, vi si fondava su il conservatorismo che, nellesaltare le tradizioni e cio le caratteristiche dei singoli paesi, ripudiava la metafisica rivoluzionaria, lideale della politica essendo non unastrazione generica, ma un dato ordine di istituzioni che conviene ad un dato luogo e ad un dato tempo. Lo ripeteva, ora, il Minghetti, che di quella vecchia metafisica rivoluzionaria affermava sfatate completamente le grandi e generiche affermazioni, sovranit popolare, uguaglianza non solo civile ma anche politica di tutti, infallibilit del numero, e via dicendo1300 . La tradizione: e bisognava esser ben fermi ora nel proteggerla contro il rigurgito gonfio e minaccioso della plebe corrotta e violenta, che era cosa ben diversa dal vero e pacifico popolo1301 . Lotta di classe, diritti del proletariato: questi e simili motti di guerra davano corpulenta e massiccia forma ai timori generici, indirizzavano contro un movimento preciso, che non era pi il romanticismo sociale di assai incerto e sentimentale tono1302 , ma la dura e serrata polemica marxistica o il moto perpetuo rivoluzionario di stampo bakuniniano. Il volgo si muoveva: e tornavano alla mente le agitazioni di piazza, tanto esecrate dai moderati dopo che proprio il 48 aveva dimostrato come, una volta accesa la miccia, non si potesse pi sapere dove e con quanta forza lesplosione avvenisse; le dimostrazioni, che, a trovarcisi di fronte anche allestero, il sangue bolliva per lira al Ricasoli, pensando a che ci hanno condotto, noi Italiani, quelle dimostrazioni, in prima spontanee, poi divenute mezzi diniquit1303 . La plebe corrotta, significava la congrega dei comunisti che avevano gi fatto tutte le ripartizioni delle proprie-

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t, prima ancora di averle occupate1304 ; il popolo in piazza era sempre cattiva cosa1305 e voleva dire Pellegrino Rossi assassinato1306 , o, almeno, Lambruschini braccato dai Livornesi a San Cerbone e costretto a star fuori casa mentre que masnadieri scalavano il muro dellorto1307 . Era il giacobinismo, la demagogia, la sopraffazione di chi schiamazza su chi pensa, le vie leali abbandonate, mentre la libert significava, anzitutto, rispetto della legalit; era scambiare ogni furor di plebe per volont di popolo e chiamar popolo ogni turba che passasse per le strade e soverchiasse i poteri legittimi; era tutto ci, insomma, che ripugnava al pensiero liberale almeno quanto gli ripugnava larbitrio di uno solo1308 . La ferocia dei volghi, armata di odio e di rancore, savventava contro la libert come una nera tempesta1309 . Nei tumulti e fra le violenze non potevano trionfare i princpi dei moderati, che erano princpi di ragione; tranquillo sviluppo delle riforme, s, ma niente rivoluzioni, questera sempre stato, era tuttora il programma dei moderati1310 , o il bosco di Marco Minghetti, a Settefonti, tagliato e portato via1311 , ma ormai non pi di essi soltanto, come che anche la Sinistra, conseguita lunit e Roma capitale, di rivoluzioni non volesse pi sentir parlare e considerasse chiusa la fase dellazione diretta. Perci, era naturale la ritrosia a concedere il diritto elettorale alle masse. Noi puri, noi savi, pensavano veramente gli uomini della Destra, e a renderli ostili a che nella vita pubblica penetrassero larghi strati nuovi di elettori, non erano solo le preoccupazioni di partito, vale a dire la paura di esser sbalzati di seggio e di dover soggiacere, nella contesa elettorale, a partiti non logorati dal peso del potere e quindi pi freschi di energie e pi popolari. Cera il partito, ma cera anche qualcosa di pi: precisamente, il timore dellignoto, di un pericolo grosso e oscuro a cui sandava incontro, senza poterne misurare nemmeno tutta lestensione. Nella affannosa previ-

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sione di futuri mali lanimo sbigottiva e si rifugiava, ancora una volta, nel grido Iddio protegga lItalia, quasi disperando degli uomini1312 . Ma anche nei pi ottimisti, lavvenire appariva fosco; il Minghetti che, come tutti i moderati europei, vedeva nel suffragio universale un male, e difendeva il censo come criterio elettorale, in quanto rappresentava non solo la propriet ma il lavoro, il risparmio, la operosit, la previdenza, si sentiva anchegli molto pauroso per gli effetti della legge elettorale e temeva giorni tristi per la patria minacciata di disordine, confusione, immoralit, avvilimento1313 . Il Visconti Venosta, a sua volta, vedeva nella legge elettorale del 1881 una enorme avventura1314 : che era lespressione pi consona a definire lo stato danimo di quegli uomini e diceva qualcosa di pi del timore, pur chiaramente confessato, di un trionfo dei radicali nelle future elezioni. E il Sella, che anche lui aveva battezzato di politica delle avventure quella del suffragio universale, gi parecchi anni innanzi1315 , il Sella deplorava che senza necessit fuorch quella di una gara pazza di apparente liberalismo ci si fosse lanciati in una grande incognita, allargando dun tratto il suffraggio1316 . Gara pazza di apparente liberalismo; la deplorava anche Pasquale Villari, sdegnato che taluni moderati, allultima ora, per non farsi battere troppo apertamente, avessero addirittura proposto il suffragio universale, non voluto n dal Depretis, n dallo Zanardelli, rassegnandosi a dare il paese in mano di quelle moltitudini, prima di levarle dal loro abbrutimento, prima di calmare i loro odii, cos che i liberali morivano come retrogradi, e ... avendo laria di fare i faziosi per non morire1317 . Uomini di Destra, conservatori? S; ma il timore che le cose andassero a rotoli per effetto dellallargamento del suffragio saffacci anche nellanimo di uomini della Sinistra, i quali pure di quella legge erano stati artefici; e proprio il Depretis, come finemente gli aveva predetto

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il Minghetti, proprio il Depretis ebbe a spaventarsi delle conseguenze, a temere che la partecipazione dei nuovi strati sociali avesse per logica conseguenza un profondo sovvertimento nelle istituzioni, onde, al dir di chi lo conobbe bene, egli pose da allora in poi ogni cura nel provvedere ai ripari, opponendo robusti argini alle paventate fiumane1318 . Di qui il trasformismo, cio la ricerca di una maggioranza parlamentare, di centro, ottenuta corrodendo i partiti come tali, manovrando sugli uomini e attraverso gli uomini, sostituendo alle opposizioni di principio il problema tattico del momento per momento; e poich la fiumana spaventava Minghetti come Depretis, lappoggio dato dallo statista bolognese alluomo di Stradella, per far argine alla demagogia invadente1319 , e il suo andar oltre le prevenzioni di molti dellantica Destra, per parare al pericolo incombente1320 . Unica via di salvezza, onde non essere travolti dal torrente repubblicano o socialista, lunione di tutti gli amici delle attuali istituzioni1321 : dunque, il trasformismo, con cui il Depretis riusc a tradurre abilmente in pratica quel che gi altri, di Destra, aveva pensato e tentato, giacch gli sforzi del Sella per metter su un ministero con Nicotera e la Sinistra moderata, tra giugno e luglio del 79 e nuovamente nellaprile dell81, significavano bene trasformismo in anticipo1322 , tentativo di creare cavourianamente una base di centro superando i classici schemi di Destra e di Sinistra1323 . Pi tardi, di fronte al pieno affermarsi del socialismo anche altri uomini della Sinistra, tenaci fautori della legge elettorale dell81 e avversi al trasformismo, finirono anchessi col chiedersi se non avessero a pentirsi di avere allargato il suffragio popolare prima di aver educato le plebi. Abbiamo dato unarma pericolosa in mano a coloro che non sanno servirsene, preparato il disordine morale e la corruzione1324 .

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Timore delle masse, avversione decisa ad accettare divisioni in blocchi contrapposti e appello agli individui, ai singoli, appunto per impedire le contrapposizioni rigide, caratterizzavano gi lagire politico del ceto dirigente. A pi forte ragione, quelle esigenze dovevano farsi valere nei rispetti sociali. Perch qui poi, a volere affrontare il problema come problema di struttura, e cio ammettendo la divisione per classi, si sarebbe dovuto forzatamente far intervenire lo Stato: e se lo Stato interveniva nei rapporti economici e sociali, legiferava, limitava, costringeva, non era questa una flagrante, totale contraddizione con la libert dei singoli, vale a dire col principio base della libert? Lo Stato: garante dellordine, della tranquillit, della sicurezza di tutti e di ciascuno, ma non coartatore della volont e degli interessi dei singoli. A fondamento dellidea ottocentesca di libert stava sempre lindividualismo che Benjamin Constant aveva fortemente accentuato, rinnegando perfino il vecchio mito, tanto caro al Montesquieu, della antica libert greca1325 ; e gi sera in allarme per la crescente invadenza dello Stato, per il moltiplicarsi delle sue funzioni, per il suo penetrare a poco a poco negli orti chiusi delle varie attivit umane, e gi era desta la diffidenza contro la statolatria, spesso rimproverata anche dai loro compagni di parte e, pi, dagli avversari agli Spaventa e ai Sella1326 . Si trattasse del riscatto delle ferrovie, e dellesercizio statale di esse che parve la negazione dei princpi liberali, e condusse in effetti alla crisi parlamentare in seno alla stessa Destra; si trattasse dellistituzione delle casse di risparmio postali, battezzata unindebita ingerenza dello Stato nel campo economico, una nuova prova del funesto progresso di idee che conducevano a sempre pi larghi interventi governativi laddove avrebbe dovuto regnare, sovrana, la libert1327 ; si trattasse della stessa obbligatoriet dellistruzione elementare, contro cui si levarono voci a reclamar per i padri la libert di mandare o no i

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propri figli a scuola1328 , lavversione allo Stato regolatore era profonda. Linteresse sociale limitante la libert del singolo: questa era una mostruosit dei novatori, perch nessuno avrebbe altrimenti ammesso che la societ potesse dire ad un proprietario che lasciasse incoltivato un suo podere ... tu devi coltivare quelle prode, vuotare quelle fosse, incanalare quelle acque, affinch una parte della ricchezza nazionale non sia deteriorata, se no, andrai soggetto a pene pecuniare, e, se occorra, anche alla prigione1329 . La libert voleva dire sempre, il diritto per ognuno di dire la propria opinione, di scegliere il proprio lavoro e di esercitarlo; di disporre della sua propriet, di abusarne perfino; di andare e venire, senza chieder permessi, e senza render conto dei propri motivi o delle proprie iniziative1330 . Ancora ci si appellava allesempio del Cavour, ostilissimo a qualsiasi intervento pubblico nella vita economica, tanto da schierarsi perfino contro i poderi modello1331 ; ancora saveva dinanzi agli occhi quellAssociazione Agraria Subalpina, chera stata, forse, il teatro dei maggiori trionfi dello spirito liberista in Italia1332 . Ed ecco, si chiedeva allo Stato di intervenire anche nella vita economico-sociale, con leggi protettive, assistenziali o che di simile: massima lesione ai principi della libert individuale, al sacro diritto di propriet. Dove sandava, mettendosi su di una tal via? Sandava difilato al socialismo e al comunismo, di cui la statalizzazione non sarebbe stata che lavvio. Lo Stato, doveva rimanere quello della Dichiarazione dei diritti del 27 agosto 1789; e non esorbitasse dai suoi limiti di tutela e di garanzia giuridica1333 : fosse caserma delle truppe per la difesa della patria, caserma dei carabinieri per la tutela dellordine pubblico; ma guai a volere che tutto divenisse caserma! Lintervento dello Stato al posto delliniziativa privata, era the coming slavery, diceva Spencer; e i moderati italiani, anche se non posi-

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tivisti, la pensavano come lui che si parla di accrescere le ingerenze dello Stato? Che lo Stato, limitato al suo legittimo ufficio di regolatore dei servizi generali veri, non ha esso unopera immensa, complessa da compiere? ... Le ingerenze che si sono date allo Stato e gli si vogliono dare fuori della ragione di sua esistenza, sono deleterie prima per lo Stato, poi pei singoli cittadini1334 . Perci, lintervento dello Stato nelle questioni sociali, sia pure in forme che sembrerebbero oggi blandissime, trov fierissimi e tenaci oppositori; limpero germanico, che per la sua legislazione sociale pot essere battezzato addirittura impero socialista, apparve non gi prototipo di libert, secondo il detto della Sinistra nel 1870, anzi a parecchi dei moderati, prototipo dellautoritarismo nellEuropa contemporanea, un autoritarismo che tentava di compensare al popolo la privazione della libert con la elemosina imperiale del benessere1335 . I fedeli del verbo di Cavour vedevano contrapporsi ad esso una specie di Statolatria alla Bismarck, che ora appare come Socialismo dello Stato, ora come tirannia dello Stato sulla Chiesa1336 : nel che la diffidenza politica verso lo spirito di conquista del Bismarck e il suo anti-parlamentarismo si rivelava per quel che era in realt, e cio elemento di unopposizione pi complessa e radicale che contrapponeva due mondi. Polemizzando contro il socialismo della cattedra, i professori tedeschi e i loro primi seguaci italiani, Francesco Ferrara esclamava anchegli ci si spento il senso della libert, che direbbesi seppellito insieme alla salma di quel Cavour, il quale lo aveva eccitato s bene, e sorretto, e lasciato a suoi posteri qual sacro voto da sciogliere1337 . Nel confronto, era gi un mezzo socialista il Minghetti che propugnava almeno la teorica media, alla Romagnoli: conservar sempre liniziativa individuale, ma leggi sociali per il lavoro delle donne e dei fanciulli anzitutto, vero e unico modo dintervento dello Stato al quale incombeva il dovere della tutela e del soccorso1338 .

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Rimedio naturale e massimo ai mali sociali appariva perci sempre lazione dei singoli, la beneficenza, la carit, lesempio dato dalla persona di alto lignaggio che stendeva la mano pietosa ai miseri e li aiutava moralmente e materialmente ad uscir dai loro tormenti. Ancora sempre le istituzioni filantropiche come nel Piemonte carloalbertino, la marchesa di Barolo il canonico Cottolengo don Giovanni Bosco1339 ; e vale a dire, con rinnovato fervore; lopera di assistenza sociale inaugurata e insegnata dalla Controriforma, San Filippo Neri e San Camillo de Lellis, le Case di Misericordia gli ospizi gli orfanotrofi le Opere per le Convertite, le regole per ben servire gli infermi e laffetto materno verso il suo prossimo acci possiamo servirli con ogni charit cos dellanima, come del corpo1340 . Tant, che taluno, ricercando i mezzi per opporsi alla terribile minaccia dei rossi e propugnando, appunto, la carit, suggeriva di esercitarla possibilmente a mezzo del clero e cos il popolo lo riconoscer non solamente come un consolatore spirituale ma anche come un benefattore materiale1341 . La carit, nome sacro, divino, indisputabile, incorruttibile, traente tutti i cristiani ad unanimit teorica, aveva detto Cesare Balbo, per il quale il pi bel libro che si potesse scrivere sarebbe stato una Storia della Carit1342 , proprio mentre stava nuovamente trionfando la carit col Cristianesimo, sulle rovine di quegli altri nomi, di filantropia, socialismo, sentimento sociale, umanitario, che avevan voluto surrogarsi alla cristiana carit1343 . Unica nota nuova, nei progressivi di allora, nota laica e tipica del periodo, lappello oltre che alla beneficenza, alla scuola la fonte pi bella ed efficace per incivilire e educare le plebi bisognose, sollevarle, procacciare pane e decoro e scaldare il cuore di nobili affetti1344 . La stessa fede nellistruzione che ispirava gli alti disdegni e i fieri propositi contro il Vaticano, ispir anche il convincimento di porre rimedio alla questione sociale

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mediante il libro, che avrebbe dovuto essere quindi il vittorioso debellatore del pericolo rosso e del pericolo nero: e non sempre giovava che qualcuno ammonisse, prima si migliorino le condizioni economiche del popolo e poi si parli dellistruzione, difficile essendo esigere la virt di andare a scuola in chi campa di stenti1345 . Tale, dunque, nel suo complesso latteggiamento del ceto dirigente italiano. Di contro, le affermazioni dei ribelli: lotta di classe, diritti del proletariato, guerra contro la societ nella sua attuale struttura. III La libert e la legge I sovversivi apparivano dunque la gena diniquit; e mentre sin verso il 1870 il termine era servito ad indicare i mazziniani e talora anche lestremo opposto, cio i legittimisti e i clericali1346 coloro cio che intendevano metter sossopra lordine politico, ora cominciava a designare anche questa nuova setta, che avrebbe addirittura voluto sovvertire lordine sociale. Continuarono le preoccupazioni per la propaganda repubblicana; ma cominciarono le preoccupazioni per la propaganda rossa, che gi tentava dinsinuarsi nellesercito1347 e talvolta addirittura nellarma fedelissima dei reali carabinieri1348 . Il caso Barsanti, nel marzo del 1870, aveva costituito un brusco campanello dallarme per gli alti comandi1349 : e si trattava, ancora, di un moto repubblicano. Ma gli anni appresso furono Andrea Costa, Errico Malatesta, Carlo Cafiero, Tito Zanardelli a tener desta lattenzione delle autorit, politiche e militari, in attivo carteggio fra di loro per segnalare i sospetti1350 . Ora, a richiamar seriamente lattenzione su questi pi pericolosi sovversivi furono, ancora una volta, gli avvenimenti di Francia. Le manifestazioni di disagio popola-

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re, non infrequenti ormai dal 1860, la stessa rivolta dei contadini tra, la fine di dicembre del 68 e il gennaio del 69, erano ancora state esplosioni di miseria e di reazione contro provvedimenti specifici, soprattutto contro la tassa sul macinato1351 : e nellultima soprattutto a fomentare la rivolta era stata, assai pi dellestrema sinistra, lestrema destra, il clero. Qualche preoccupazione cera gi, senza dubbio. Negli stessi tumulti di Milano, il 24 luglio 1870, e di Genova il 3 e il 4 agosto, che avevano messo in allarme i conservatori, pronti a rinfacciare al governo la sua debolezza e inerzia, si era notata la strana concomitanza di un movimento politico con uno sociale, di un tentativo repubblicano e di un tentativo contro la propriet1352 . A Napoli, il governo aveva dovuto constatare come la sezione dellInternazionale allinizio del 70 contasse buon numero discritti; si era trovato di fronte ad uno sciopero, quello dei pellettieri, apertamente sostenuto dagli internazionali, e aveva dovuto procedere a perquisizioni e arresti1353 . Che qualche preoccupazione fosse gi allora negli uomini di governo, dimostrava lincarico dato al Nigra; prima che scoppiasse la guerra, di trasmettere i rendiconti del processo che si svolgeva, innanzi il tribunale correzionale di Parigi, contro un considerevole numero di membri dellInternazionale1354 . Iniziato il conflitto franco-prussiano, i timori avevano per ripreso altra forma, pi consona saremmo per dire alle antiche tradizioni. Che dai casi di Francia potessero derivare ripercussioni spiacevoli nella penisola, questera stato infatti temuto, sin dallinizio, dai moderati, e previsto dalle autorit che avevano dato mano a misure preventive1355 . Ma erano stati esclusivamente timori di possibili tentativi repubblicani, ai quali avrebbe anche potuto non mancare segreto appoggio bismarckiano1356 : se lImpero di Napoleone indebolito o fiaccato, quel partito, che ha fatto le rivol-

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te militari di Pavia e Piacenza, la sedizione di Milano e le barricate di Genova, lever assai pi il capo, e ripeter sul serio lopera sinora buffa ... Le bande repubblicane si moltiplicheranno ... La monarchia italiana ha posto, pi che non si crede e si vuole, le sue fondamenta sullImpero francese; e scosso questo, non sarebbe gi messa a un pericolo, da cui non si potesse salvare, ma certo avrebbe bisogno di guardare molto a s medesima1357 . I timori, dunque, che dopo il 4 settembre parigino inducevano il re e il Lanza a metter da parte ogni dubbio e ad ordinare alle truppe italiane di marciare su Roma. Ed ecco invece, superato il periodo critico da tal punto di vista, ecco sopravvenire, nella primavera del 71, le notizie sulla Comune di Parigi. A distanza di tempo, non stato difficile vedere che il movimento scoppiato il 18 marzo 1871 nella capitale francese non era, in realt, un movimento propriamente sociale, almeno nella prima fase, e scorgere le cause molteplici, generali e particolari, durature e occasionali, che vi diedero lavvio: soprattutto, la ribellione del senso nazionale repubblicano municipale dei parigini, esacerbato dalla sconfitta e dalle sofferenze dellassedio, offeso dalla arrogante sfilata delle truppe prussiane attraverso i Champs Elises1358 ulteriormente irritato dalla scelta di Versailles a sede dellAssemblea e, forse specialmente, irrigidito contro le tendenze monarchiche dellAssemblea stessa. Ma limpressione che i contemporanei ebbero, quasi tutti1359 , di quei fatti, fu di un movimento essenzialmente, anzi esclusivamente sociale1360 : e accentu tale carattere lo stesso governo francese quasi a giustificare, con ci, la repressione spietata e feroce e a preparare la legislazione repressiva1361 . Sui nostri uomini di governo doveva pur fare impressione profonda il modo reciso con cui il Nigra, loro collaboratore di fiducia e uomo non proclive, in genere, alla eccessiva perentoriet dei giudizi, commentava gli eventi

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sin dallinizio. Se gi il 21 marzo egli segnalava lopinione prevalente a Parigi, che la molla della sedizione fosse lInternazonale1362 , il giorno appresso egli si esprimeva con un esclusivismo in lui assai poco frequente: ho inteso emettere lopinione che il movimento di Parigi sia opera di questo o di quel partito politico. possibile, anche probabile che i partiti politici tentino di sfruttare a loro pro i tristi eventi di cui siamo spettatori. Ma non v dubbio a miei occhi che il movimento Parigino opera esclusiva dellInternazionale e che il suo carattere pi spiccato, anzi il carattere determinante sociale e comunista e nientaltro1363 . Altre volte, lassolutezza di un siffatto giudizio venne temperata, e lopera esclusiva si ridusse ad opera prevalente: ma sempre, e con insistenza, il diplomatico piemontese torn sui neri disegni della setta, che vagheggiava la rivoluzione mondiale e lo scombussolamento dellordine di cose esistente, politico e sociale1364 . ben vero che il Nigra affermava non voler egli invogliare a semplici mezzi di polizia, anzi inviare la Notice historique o simili informazioni per consentire quella spontanea iniziativa di miglioramenti e di possibili concessioni della quale il Governo del Re si mostra in ogni occasione geloso, maggiore essendo lonore del prevenire che quello del reprimere; vero, dunque, chegli assumeva, anche in questo, atteggiamento e tono diverso da quelli del conservatore de Launay, il quale, da Berlino, tuonava contro gli hros de la fusillade et de lassassinat1365 che tenevano Parigi sotto il terrore, facendone il rendez-vous de la dmagogie universelle1366 , gi con tale violenza di linguaggio rendendo palese con quale aborrimento egli, vero nobile savoiardo, vedesse il pericolo duno sconvolgimento sociale. Ma, insomma, anche il Nigra riteneva che le dottrine dellInternazionale, vittoriose in que giorni a Parigi, potessero diffondersi con pi o meno forza in altre contra-

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de; e a lui, chera un uomo dordine e il diritto di propriet aveva scolasticamente difeso svolgendo il tema di economia politica nel concorso per laccesso alla carriera diplomatica1367 , pericoloso sembrava soprattutto oltre alla propaganda ordinaria, il ritorno nei loro paesi degli uomini che dopo la dottrina videro gi e praticarono lesempio1368 . A tale previsione sembravano dar peso gravissimo le cifre fornite dal de Launay, secondo cui lInternazionale avrebbe contato gi 1.200.000 aderenti in Inghilterra e 800.000 in Francia, senza calcolare quelli, pur abbastanza numerosi, di altri paesi e fin della Germania1369 ; davano, certo, gran sostegno di autorit indiscussa le parole che lo stesso Bismarck pur pronto a cogliere nella Comune anche il motivo ragionevole, il vernnftige Kern, della lotta fra centralizzazione e desiderio di autonomie locali, pronunziava al Reichstag, il 2 maggio, nei riguardi de fatti di Parigi, contro i repris de justice, i malfattori e i partigiani della repubblica internazionale europea che si erano dato convegno a Parigi e avevano impresso al movimento un carattere pericoloso per la civilt1370 . Che se poi Lanza e Visconti Venosta porgevano orecchio alle voci della stampa, dopo quelle dei diplomatici, anche allora pervenivano loro alti lai e grida dindignazione: disordine morale che atterrisce1371 , provocato dalla Internazionale, che minaccia una barbarie senza riscontro in nessun periodo della storia1372 , determinato non gi dalla miseria, s dallodio contro le classi elevate, e proprio mentre cera affettuosa premura in queste di soccorrere alle vere miserie del povero con istituti di beneficenza e di previdenza1373 ; pericolo da cui nessun paese poteva ormai dirsi al sicuro1374 , che avrebbe dovuto far seriamente meditare sulla propria imprevidenza coloro i quali nel 48 si eran beffati dello spettro rosso, mentre invece gli incendi di Parigi erano opera dei continuatori dellinsurrezione del giugno 18481375 ; pericolo momenta-

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neamente sopito dalla vittoria dei Versagliesi, ch di tregua si trattava e non di pace. Non illudiamoci. Siamo in tregua; ma la guerra sociale non stata resa impossibile. Il torrente minaccia di travolgere la civilt moderna1376 . Cos LOpinione, lorgano magno degli uomini al governo, su cui Giacomo Dina talora traduceva gli intendimenti degli amici Lanza e Sella, ma di cui talora si serviva per eccitare Lanza e consorti, giornale dunque che parte esprimeva lo stato danimo dei dirigenti moderati e parte contribuiva a crearlo1377 . E da Milano incalzava La Perseveranza con la sua invettiva del 26 marzo contro la bordaglia ... immemore dogni affetto di patria, pazza di furore, avida di lucri, insofferente di freni, invidiosa, pervertita1378 ; e la fiorentina Nazione ammoniva esser giunto il fatale momento della nuova barbarie minacciante lEuropa, ad opera dei nuovi Bagaudi, ed esser perci necessario che i popoli si stringessero attorno ad un gran principio di conservazione e di civilt, respingendo sotto qualunque forma e pretesto le idee francesi, divenendo antifrancesi per mantenersi civili1379 ; e sulla rubrica della Nuova Antologia Ruggero Bonghi dava ulteriore sfogo al raccapriccio dei benpensanti di fronte al tentativo delle classi operaie di Parigi di Scomporre la gerarchia naturale di tutte le classi sociali, sovvertendo lordine non solo presente, ma essenziale e perpetuo, della societ umana1380 . N la stampa della Sinistra contraddiceva a simili giudizi. La Riforma, concorde in anticipo con il Bismarck, trovava s che alla radice dellinsurrezione parigina stava leccessiva centralizzazione e la mancanza di libert de municipi1381 , rinveniva dunque anchessa-un che di ragionevole nel programma della Comune o, come ebbe a dire ancor pi tardi, elementi degni della pi alta considerazione1382 ; ma finiva anchessa, sulle orme di Mazzini, per condannare il movimento a causa del suo cosmopolitismo rifiutandone nel contempo le dot-

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trine sociali1383 . Assai pi deciso, Il Diritto inveiva contro lanarchia1384 , contro la pi sinistra delle lotte interne, la lotta sociale: s, lotta sociale; giacch la ribellione di Parigi non pu avere altro carattere ... lemancipazione del proletariato, il quarto Stato che scende nellarena. Una emancipazione che, nel modo con cui si svolge, costituisce una minaccia alla societ1385 , una sciagurata anomalia1386 . Significativo limbarazzo dei giornali repubblicani, i quali dovevano finire col trovarsi, assai nolenti, vicini ai conservatori1387 ; pi significativo di tutto, agli occhi della parte moderata, che lo stesso Mazzini, il sovversivo di ieri, condannasse la Comune e le sue dottrine1388 . Segno che queste dovevano essere, davvero, cosa abbominevole. Un coro nutrito di imprecazioni e di lai. Non , quindi, ragion di meraviglia se il governo italiano, al par degli altri, sinsospettisse e preoccupasse; e tanto maggiormente, in quanto la rivolta parigina non costituiva poi, allora, lunico sintomo dellattivit sovversiva, anzi non era se non il pi clamoroso tra vari episodi, ne quali avevan parte anche uomini e associazioni dItalia. Nella stessa Francia, a contorno dei fatti di Parigi, stavano, sempre nel marzo del 71, quelli di Lione, SaintEtienne, Tolosa, Narbonne, Limoges e soprattutto di Marsiglia; e a rapporti preoccupanti del Nigra il ministro degli Esteri poteva aggiungere gli altri dei vari consoli, dal console di Chambry, il quale sin dal settembre 1870 aveva segnalato come attivissimo il lavorio dellInternazionale1389 , al console di Marsiglia1390 . Fuori di Francia cerano stati i fatti di Zurigo, il 9, 10 e 14 marzo del 71, prima ancora della Comune, che erano anchessi attribuiti allInternazionale1391 ; e cerano gli eventi torbidi di Spagna, dove pure si diceva intrigassero gli agenti della rossa associazione, in combutta con i repubblicani accusati dellassassinio di Prim1392 .

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Quanto allItalia informazioni confidenziali dell11 marzo facevano sapere che a Parigi si era organizzata clandestinamente una legione garibaldina che si sarebbe gi fusa con lInternazionale, per proclamare la repubblica in Italia e in Spagna e poi, unitamente alla Francia, prender la rivincita contro la Germania1393 . Si spiega cos come, allannunzio della Comune, si turbassero assai gli uomini di governo; e fra essi, il pacato valtellinese che reggeva il dicastero degli Esteri non fu il meno preoccupato. A lui personalmente non era forse accaduto di ascoltarlo; ma indubbiamente doveva poi averlo ben conosciuto, da racconti del fratello e della madre, il ritornello che i contadini della Brianza avevano cantato nel 48
N a Marian n a Cant I tedesch ghe tornen p E crepa i sciori1394

E le grida di morte ai signori, come sugli uomini di parte moderata1395 , cos dovevano aver fatta profonda impressione anche sullallora mazziniano Visconti Venosta, poi staccatosi dal maestro e divenuto un moderato tipico, per il quale gi solo i radicali erano rossi, e cio asini e imbroglioni1396 . Certo che nella primavera del 71 egli era profondamente turbato per la piega che prendevano gli eventi a Parigi; e a tanto giunsero le sue preoccupazioni da indurlo, prudentissimo e cautissimo quale era, a fare gravi dichiarazioni allincaricato daffari austro-ungarico a Firenze, conte Zaluski1397 . Trs alarm, nella forza di resistenza di cui il partito rivoluzionario dava prova sulla Senna il Visconti Venosta scorgeva un danger rel pour lEurope. En rayonnant de leur foyer, les principes subversifs acclams par la Commune pourraient causer de srieuses perturbations au dehors. LItalie en est plus particulirement me-

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nace, en raison de sa proximit dabord, et aussi cause des nombreux lments socialistes qu elle renferme. Sera in presenza di un pericolo generale; e perci en prsence dun ennemi commun, les Puissances devraient ... sentendre sur les moyens de le rduire et de le dsarmer. Il y va de la sret des Etats autant que du progrs de la civilisation. Le souffle impie qui a teint chez ces masses tout sens moral tout sentiment dhonneur, aprs avoir pouss fatalement une grande cit vers la ruine et la dsolation, passera encore sur dautres pays, si lon ne lui oppose des digues suffisantes. Linquietudine del ministro,assez gnralement partage, attingeva in quel momento nuovi motivi da informazioni particolarmente pessimistiche: un uffciale italiano di stato maggiore, reduce da Parigi, e il barone Adolfo Rothschild, di passaggio a Firenze, erano concordi nel ritenere quasi inevitabile un intervento delle truppe tedesche, data limpotenza del governo di Versailles a dominare la situazione. Momento, dunque, di umore particolarmente nero. Le riflessioni del Visconti Venosta non sfociarono in una proposta precisa sugli accordi fra governi e rimasero contenute nellambito di una conversazione privata: e tuttavia erano sufficiente indizio del turbamento in cui gli eventi della Comune avevano buttato i moderati italiani. Che un uomo come il Visconti Venosta, solitamente cos misurato e soppesante ben bene le sue parole, potesse pensare anche solo in via dipotesi e per un istante ad accordi internazionali, cio ad una Santa Alleanza di carattere sociale, bastava a dimostrare quanto gravi fossero le preoccupazioni. Per fortuna, n il Visconti Venosta, n i suoi colleghi potevano indursi sul serio a farsi, essi, iniziatori di una politica reazionaria europea. Quali che fossero i loro timori, pi su ancora stava lamore per la libert: quella libert che era non solo senso della legalit, del limite

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giuridico, ma anche e soprattutto senso della forza delle idee che nessuna compressione materiale pu, alla lunga, soffocare. Appellandosi di continuo allesempio del Cavour, essi non potevano dimenticare le parole di lui proprio nei riguardi della scuola socialista, di lui che perfino nel giugno 48 aveva detto non bastare le armi del Cavaignac per toglier definitivamente di mezzo la questione sociale, e che poi, uscito fuori dai timori immediati del 48, aveva ripreso tutta lantica fiducia nella libert, sola e sicura risanatrice. Lunico mezzo di combattere questa scuola socialistica che minaccia di invadere lEuropa di contrapporre ai suoi princpi altri princpi. Nellordine economico, come nellordine politico, come nellordine religioso, le idee non si combattono efficacemente se non colle idee, i princpi coi princpi; poco vale la compressione materiale. Per qualche tempo sicuramente i cannoni, le baionette potranno comprimere le teorie, potranno mantenere lordine materiale, ma se queste teorie si spingono nella sfera intellettuale, credete ... che tosto o tardi queste idee, queste teorie si tradurranno in effetto, otterranno la vittoria nellordine politico ed economico1398 . Troppo intuito politico avevano anche quegli uomini per non avvertire il pericolo che la causa della libert avrebbe potuto correre ove si fosse soverchiamente insistito sulla minaccia rossa. La paura degli eventi di Parigi veniva infatti immediatamente sfruttata dai reazionari di ogni paese, i quali approfittavano delloccasione favorevole per riaprire, al disopra dellInternazionale, una pi ampia polemica contro tutto il secolo XIX, nelle sue conquiste fondamentali, e dunque anzitutto contro lidea di libert ma, sia pur meno direttamente, anche contro il principio di nazionalit, le due forze rivoluzionarie che avevano dato lavvio alla storia europea degli ultimi cinquantanni. Ad esse si faceva risalire la colpa anche degli eccessi dellInter-

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nazionale, raffigurata come logica, ma non voluta, conseguenza di liberalismo e patriottismo nazionale: avete voluto, o borghesi, la libera espressione della volont nazionale, le assemblee deliberanti, le discussioni parlamentari, i ministri responsabili; avete scosso il sacro principio di autorit, su cui la societ era riposata tranquilla per secoli; e godetevi, dunque, anche i petrolieri di Parigi e pregustate la divisione dei beni. Era il tema su cui in Italia ricamava la stampa clericale. Vecchia consuetudine, daltronde: seguendo lesempio degli ultra francesi della Restaurazione, accaniti nel presentare il terzo stato come sfruttatore del popolo e nel dir che le chimere della Rivoluzione erano utili solo alla classe media1399 , gi da tempo anche in Italia i reazionari avevano cercato di sfruttare anzi eccitare risentimenti di classe, pur di combattere i liberali e i patrioti. Sin dal 48 essi avevano agitato lo spettro del comunismo per farne, diceva il Brofferio, simbolo di fraterna discordia ed evocare il funereo simulacro, che, collo spavento dellavvenire, persuadesse il ritorno al passato1400 . Sulle masse rurali, soprattutto, sera tentato di far leva, dal Metternich prima ancora del 48, come dai clericali, per scagliarle contro i signori, patrioti e liberali: non senza certo successo, daltronde, fra lo sdegno di chi, come lAleardi, aveva inveito contro il villano vecchio seme degenerato1401 . Il patriottismo dei signori arma di sfruttamento, era stata la gran parola per controbattere il movimento nazionale: per un Metternich e uno Schwarzenberg, prima e dopo il 481402 per Austriaci e clericali1403 . E poi ancora, sera insistito sul tema per creare imbarazzi al governo dellItalia unita, s che alla fine del 68 la propaganda clericale aveva potentemente contribuito a crear latmosfera e a render possibile la rivolta dei contadini contro la tassa sul macinato, innestando una speculazione politica su una questione di miseria1404 . Demagogismo cleri-

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cale, ripreso pure in Francia dal Veuillot, per cui molti pensarono, in quegli anni, ad un segreto accordo fra i neri e i rossi, tra il Vaticano e lInternazionale, per rovesciare lordine di cose esistente; e taluni portarono fin sulle scene la figura del chierico che cercava di aizzare gli operai contro i padroni e di provocare scioperi1405 ; e indubbiamente si assistette ad una significativa coincidenza di motivi polemici contro il nuovo ordine di cose nei giornali dispirazione anarchica o socialista e nei giornali clericali. Ci ricamava dunque su la stampa clericale, sempre abile nel cogliere al balzo le occasioni offerte dalle titubanze dei liberali per riproporre il problema delle origini dei mali presenti1406 . Solo allo spaventoso chiarore delle fiamme che si levavano alte dalle Tuileries conveniva rileggere le opere di Voltaire e rimeditare i princpi dell89, inizio di tutti i guai1407 . Socialismo, anarchismo della Comune e liberalismo italiano rivelavano una medesima origine, derivavano dagli stessi princpi di ribellione allautorit morale della Chiesa, si collegavano con la Riforma protestante e il razionalismo settecentesco1408 si svolgevano con un identico materiale sviluppo1409 , qui in Italia eccitandosi la rivolta dei popoli contro i loro legittimi governi, l, a Parigi, eccitandosi la rivolta contro lAssemblea di Versailles1410 ; e le conseguenze ne erano la mancanza di pace e di ordine, la ridda dei tumulti, linstabilit dei governi, le convulsioni periodiche che avevano travagliato, dopo l89, non pur la Francia, madre del peccato, ma quella parte dEuropa insensatamente trascinatasi nella scia della Francia, e che avrebbero continuato a travagliare i popoli sino a quando non fossero state ripristinate le norme salutari ed inviolabili del cattolicismo e del buon diritto1411 . Le stesse disavventure in politica estera, le invasioni e i crolli erano frutto dellinsania dei princpi: dacch ai canti religiosi sera sostituita la Marsigliese, per tre

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volte la Francia, una volta invitta, era stata invasa dallo straniero!1412 ; e qual contrasto non si percepiva oggi tra Parigi, ove tutto era confusione, sgomento, orrore, e Berlino, dove tutto offriva il sembiante della giocondit, dellunione, della concordia e della fiducia nellavvenire1413 Stolti e incauti i liberali italiani se credevano di poter, con le loro vacue declamazioni a proposito degli infernali disordini parigini, evitare in Italia tragedie consimili1414 : lItalia era gi sulla china verso labisso, stava precipitando, e possibile (anzi anzi probabile) era una Comune a Roma e giorno sarebbe potuto venire, in cui la basilica di S. Pietro avrebbe seguito o, almeno, avrebbe avute minacciate le sorti della colonna Vendme1415 : i comunisti italiani avrebbero tripudiato, tra il chiarore degli incendi, sulle rovine di S. Pietro. E di tutto era colpevole il governo italiano, che era il primo e pi formidabile nemico del proprio paese, come quello che aveva cercato di distruggere nel popolo la fede e la riverenza per il capo e per i ministri della religione cattolica1416 ; e usurpando sul potere dei papi aveva minato alle basi il senso dellautorit e del dovere. Trionfava la Civilt Cattolica nellimpartire, il 6 maggio, una lezione a coloro i quali rimproveravano ai comunardi di essere troppo dialettici nellapplicare glinsegnamenti e troppo attivi nello imitare gli esempi delle loro Signorie liberali e conservatrici noi soli che abbiamo sempre detto o cattolici col Papa o barbari col socialismo, abbiamo il diritto di giudicare e vituperare Parigi, senza mutare improvvisamente il nostro nodo di pensare; trionfava nellaffermare che linfernale sistema socialistico era parto legittimo del liberalismo, conseguenza necessaria dei due princpi della separazione dello Stato dalla Chiesa e della sovranit popolare. Lucentissima tesi era, per lorgano dei gesuiti, che il liberalismo costituisse naturale famiglia e scuola del comunismo,

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liberalismo e socialismo non fossero se non due momenti diversi, esplicazioni successive di uno stesso concetto1417 . Pietoso, dunque, il tentativo dei liberali di rinnegare i comunisti: conveniva ripulire la societ dal morbo del liberalismo e dalla sua influenza pestifera, se si voleva davvero impedire lavvento della nuova et di ferro, ad opera di barbari non irrompenti dal di fuori, anzi sorgenti dal seno stesso della societ, come i vermi dal putridume di un cadavere1418 . Ma venisse pure luniversale rovina: la Chiesa sola sarebbe sopravvissuta, incrollabile; e lInternazionale, armata di fiaccole e di petrolio, sarebbe stata ministra dellira di Dio e strumento per punire governanti e governati, principi e popoli1419 . O con il Papa o con LInternazionale: questo il dilemma che i fogli clericali ponevano. Pochi anni pi tardi, si sarebbe levata la voce dello stesso Pontefice, Leone XIII, ad ammonire contro coloro i quali, con nomi barbari e diversi chiamatisi socialisti comunisti e nichilisti sparsi per tutto per tutto il mondo e legati tra s coi vincoli di iniqua cospirazione, ormai non ricercano pi limpunit dalle tenebre di conventicole occulte, ma apertamente usciti alla luce del giorno si sforzano di colorire il disegno, gi da lunga mano concepito, di scuotere le fondamenta medesime del consorzio civile; ad esortare principi e popoli perch accolgano ed ascoltino come maestra la Chiesa, tanto benemerita della pubblica prosperit dei regni; e si persuadano che le ragioni della religione e dellimpero sono s strettamente congiunte, che quanto vien quella a scadere, tanto dellossequio dei sudditi e della maest del comando si scema. Che anzi conoscendo che la Chiesa di Cristo possiede tanta virt per combattere la peste del socialismo, quanta non ne possono avere le leggi umane, n le costrizioni dei magistrati, n le armi dei soldati; ridonino alla Chiesa quella condizione di libert, nella quale possa

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efficacemente dispiegare i suoi benefici influssi a favore dellumano consorzio1420 . Di questa virt della Chiesa, della necessit di optare, o con il Papa o con lInternazionale, erano convinti molti fra i laici. E come gi fra il 1848 e il 1850, quando non solo Victor Cousin e Thiers avevano cercato laiuto dei vescovi, ma anche in Italia uomini di minor nome avevano pensato al clero come unico argine efficace contro il socialismo1421 cos nuovamente ora coloro che vedevano imminente il diluvio universale tornavano a predicar laccordo con la Chiesa. Fin dai ranghi degli uomini di governo, o che tali erano stati in un recentissimo passato, si levavano voci preoccupate e preoccupanti, che non intendevano, certo, sacrificare lunit italiana, ma sostenevano esser gran tempo di smetterla con la diffidenza verso il clero e il Papato e di cercare invece lalleanza di questi solidi pilastri dellordine contro il pericolo rosso. Collaborazione con la Chiesa, necessaria non solo per sanare i dissidi delle coscienze, ma anche per costituire una salda barriera contro ogni minaccia dei ceti inferiori: cos la pensava un personaggio non di secondo piano, gi presidente del Consiglio legatissimo al Re, di cui era per cos dire il Rattazzi di destra1422 , Luigi Federico Menabrea. Il quale, nel suo discorso al Senato sulla legge delle Guarentigie, il 25 aprile 1871, riprendendo tutti i motivi polemici da gran tempo addotti contro il secolo degenere trovava modo di sfogare le preoccupazioni, sue e di altri, di fronte ai torbidi tempi: tempi di immoralit, di materialismo, anche nelle scuole, gravi di conseguenze funeste; tempi che sembravano far rivivere lagitatissimo ultimo periodo di Roma repubblicana, allora il trionfo delle dottrine epicuree, Lucrezio e il De rerum natura da un lato e dallaltro la rivolta di Catilina, ora il rinascere del vecchio sistema di Epicuro e, contemporaneamente, linsorgere degli appetiti brutali, il dilagare dellimmoralit, la ribellione degli operai1423 . La Francia, culla del rin-

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novato materialismo, pagava per prima gli errori, con la Comune; ma anche lItalia non poteva ritenersi al sicuro dalle torve mene dellInternazionale, che, ben organizzata, non aspettava se non listante propizio. Noi, continuava il Menabrea, discutiamo sullingerenza governativa nella Chiesa e facciamo come i Bizantini nel 1453: invece di continuare la guerra ad un ceto che oramai non pu pi essere pericoloso [il clero], uniamoci per scongiurare il comune pericolo, e per ridonare la pace alle nostre popolazioni che non domandano altro che di vivere sicure e tranquille sotto la protezione delle leggi1424 . Il Menabrea era, notoriamente, se non uomo dai tempi borgiani come aveva detto Garibaldi, e neppure proprio il torvo reazionario combattuto dalla stampa di sinistra1425 , un conservatore deciso, che nel 50 aveva votato contro le leggi Siccardi; ma questo non toglieva importanza alle sue parole, accolte dice il resoconto parlamentare da vivissimi segni di approvazione. Chegli caricasse forse le tinte, ai fini polemici del suo discorso di opposizione al progetto governativo, pu anche essere1426 . Ma nel suo dire cera, ben viva, una preoccupazione sostanziale di fronte ai problemi sollevati dalla Comune; e molti altri, fra i patrioti, la condividevano, tanto che il Ricasoli si chiedeva se, di fronte a s terribile e sfolgorante luce infernale, ci si sarebbe intestati ancora a batter la via che con tante esagerazioni e tanta deficienza di senso pratico, gli assolutissimi visionari democratici dell89-93 ci apersero, e per la quale con unavventatezza inarrivabile noi stessi, con sventura ognora pi minacciosa ci ponemmo)1427 . Processo alla Rivoluzione francese, in Italia come in Francia come in Germania, ricerca delle responsabilit storiche dei mali presenti?1428 Anche questo: non a caso, alcuni anni pi tardi, il Carducci protestava contro il vezzo di abbassare e impiccolire la Rivoluzione e riaffermava che il settem-

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bre del 1792 restava pur sempre il momento pi epico della storia moderna1429 . Ma, si facesse o no il processo all89, cresceva il numero di coloro i quali, per difendere lo status quo, invocavano il connubio cordiale del principio di autorit col sentimento religioso; principio e sentimento che debbono essere, e sono, per lessenza loro, collimanti e cospiranti in ogni civile societ1430 ; crescevano, allora e poi, le esortazioni ai cattolici perch partecipassero alle elezioni politiche, a fine di costituire con i moderati una solida diga contro i nemici dellordine sociale, contro i rivoluzionari che combattevano non soltanto lo Stato italiano ma anche la Chiesa e la religione1431 : e venivano fuori gli appelli ai retrogradi, agli uomini dei principi spodestati, che, avendo ormai tutelato la loro dignit personale, dovevano ora provvedere agli interessi comuni a tutti, ad essi e ai loro ex-nemici, cio alla salvezza dellintera compagine civile1432 ; o le raccomandazioni si provvedesse alla stampa, troppo sbrigliata in fatto di religione: attenti, perch per questa via si va al petrolio1433 . Perfino dai delegati di Pubblica Sicurezza salzavano lamentele sul disaccordo fra Stato e Chiesa, sulla fine del dolce giogo del Vangelo, che lasciavano aperta la via alle teorie del socialismo, contro cui la legge riusciva impotenxe1434 . Parecchi trai moderati sembravano veramente condividere ora il giudizio espresso sin dal 59 dallacre Tommaseo che mal si scherza colle cospirazioni, e che chi vuole fare altri strumento, fa di s men che arnese1435 ; n del tutto ingiustificati apparivano i timori della Sinistra, che si cercasse di legare il trono allaltare1436 o, comaltri ebbe a ripetere ancor pi tardi, si chiamasse il sacerdote per esorcizzare il demonio internazionale1437 . La paura era forte; e se a Parigi, nellaprile del 71, troppa gente aveva addirittura pensato ai Prussiani pur di domare il mostro scatenato, tradendo in ispirito

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la patria pur di salvare il ventre1438 , in Francia e in Italia molti dei ceti medi volsero gli sguardi angosciati alla Chiesa romana, invocata come una sorta di gendarme morale per salvare le persone e gli averi, secondo aveva predetto Taine1439 e doveva ripetere il Sonnino alla Camera, il 30 marzo 1881, con duro giudizio sul clericalismo della borghesia e delle classi agiate le quali, bench esse stesse scettiche e miscredenti, considerano la religione come un mezzo di governo, e la vogliono e la sostengono, non per s medesime, ma per il popolo. Esse vedono nellorganizzazione, nella forza civile della Chiesa, un potente alleato pei loro interessi di classe, il quale permette loro di riposare sicuri nel loro gretto individualismo; e sperano che per effetto delle predicazioni della Chiesa la classe pi infelice della societ si persuada che anche i patimenti che le provengono dallopera loro, libera di ogni freno, vengono da Dio; che si rassegni, cio, non solo al male inevitabile che tocca in sorte allumanit per legge di natura, ma anche a quello evitabile che deriva dalla parzialit delle leggi, degli ordinamenti nostri e del cieco e spietato egoismo di classe1440 . Per i clericali, proprio questa era la caratteristica del liberalismo borghese: il borghese grasso non vuole incommodi, vuole fre alto e basso, e se il prete lo disturba colle voci della coscienza e col ricordare il nome di Dio, lo pone in disparte; salvo poi a richiamarlo e a chiedere perdono quando il petrolio lo minaccia nelle sostanze e gli toglie la quiete del benessere1441 . Salvo per occorre aggiungere a dar nutrimento essi stessi, i clericali, a tali attese delle classi agiate, alternando le deprecazioni sui poveri contadini oppressi dal governo italiano con dichiarazioni pi tranquillanti per la borghesia: come quando si affermava che il suffragio universale, di natura sua rivoluzionario, diventava se non benefico almeno innocuo quando il popolo fosse profondamente imbevuto di princpi religiosi, giacch la religio-

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ne imprimendo negli animi il santo timor di Dio, reprimendo in essi lo smo dato appetito dei godimenti materiali, innamorandoli della virt e confortandoli colla speranza dei beni eterni, rende luomo contento dell propria condizione, e linduce ad operare sempre secondo i dettami dellonesto ed a rispettare gelosamente gli altrui diritti1442 che era proprio quel che Vittorio Emanuele II e Thiers avevano atteso dalla predicazione del clero, fra 48 e 50. Bisognava dominare la paura. Perch, naturalmente, la soluzione vagheggiata dal Menabrea sarebbe andata a tutto vantaggio delle forze retrive: se egli si illudeva di poter ottenere la collaborazione del clero contro lInternazionale, pur mantenendo le conquiste fatte a scapito del potere temporale e della Chiesa, bisogna dire che tempra di politico non era. La collaborazione avrebbe significato subordinazione alla Chiesa, Menabrea a rimorchio della Civilt Cattolica, che gi una volta, proprio nei suoi riguardi personali, aveva chiaramente detto come fosse vano sperare di ottenere Roma e salvare al contempo lamicizia con la Chiesa1443 . Tanto pi pericoloso un simile tentativo di coalizione conservatrice, in quanto latmosfera generale dEuropa tirava gi verso il conservatorismo, dopo le vittorie prussiane e il trionfo del Bismarck1444 : e anche qui le impressioni e previsioni andavano per avventura assai pi in l di quanto poi non dovesse succedere; ma quelle impressioni e previsioni avevano pure il loro peso, e gi assai prima della Comune avevano fatto cullare in rosei sogni i conservatori delle stesse nazioni latine, i quali illudendosi speravano che lesempio della monarchia prussiana e della sua nobilt cos salda servisse a ripristinare anche tra i latini molto di quel che sera perso e smarrito; e cos a parecchi borghesi avevano istillato fiducia in un avvenire quieto e ben ordinato grazie allo Junkertum prussiano1445 .

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La reazione trionfava gi in Francia con quellAssemblea nazionale contro cui era insorta Parigi: e reazione voleva dire in Francia, facilmente, monarchia legittimista e certamente opposizione allItalia insediata in Roma, lotta contro lo stesso principio dellunit e dellindipendenza italiana. La causa dellItalia era, ancora e sempre, la causa della libert; il trionfo delle tendenze reazionarie in Europa era pericolo imconparabilmente maggiore che non una rivolta di plebi: e lo riconobbe apertamente quello stesso Visconti Venosta, pure tuttaltro che tranquillo sulle conseguenze della Comune: un periodo di tendenze fortemente conservatrici sapre con molta probabilit per tutta lEuropa. LItalia, desiderosa di raccogliersi in se stessa e negli affari suoi, potrebbe attraversare con abbastanza sicurezza un tale periodo. Ma sinch la questione romana resta aperta, essa non pu considerarsi siccome al coperto dalle conseguenze di questa situazione1446 . Era un po come dopo il 48-49: il trionfo della Prussia; militare monarchica nobiliare, faceva le veci, in parecchie. immaginazioni, della ripresa postquarantottesca dellAustria, militare monarchica nobiliare, anche in questo dunque dimostrandosi le profonde diversit tra movimento italiano e movimento germanico; e quel che cera di assai meno retrivo nella Prussia bismarckiana di fronte allAustria di Francesco Giuseppe, era ampiamente compensato dalla assai maggiore gravit della Comune di fronte alle giornate del giugno 48. Come dopo il 48-49: e la esperienza di quegli anni provava, con ricordo ben vivo nellanimo di molti dei maggiorenti di oggi, quanto facilmente la reazione riuscisse a trionfare sfruttando le paure e i residui di paura; e i fedeli di Cavour bastava si richiamassero ai moniti di lui, una sola esser la questione fondamentale a cui tutto occorreva sacrificare, il mantenimento cio della libert contro la fazione reazionaria-clericale1447 .

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Cavour non cera pi; ma i suoi fedeli non tralignarono dal suo insegnamento. E come, poco pi tardi, rifiutando di iniziare un Kulturkampf in Italia tennero fede alla libert di fronte al Papato, e cio al maggior nemico dellora; cos anche di fronte ai rossi seppero contenere il timore, nellun caso e nellaltro dando alta prova di quel che fosse lo spirito della libert. Non furono quindi soltanto uomini della Sinistra o anticlericali convinti a deprecare allora e poi il tentativo di legare il trono allaltare; furono gli uomini di governo, i capi stessi dei moderati a non volere che i fatti della Comune servissero da pretesto per una sterzata a destra. Bisognava evitare che lInternazionale fungesse da donna dello schermo per coprire la pi pericolosa cospirazione papalina1448 ; e si pot pertanto assistere al lavorio dei giornali, di destra e di sinistra, per tranquillizzare lanimo degli Italiani. Gli organi moderati, polemizzando con i fogli clericali negavano una qualsiasi parentela o affinit tra il comunismo e il gran moto nazionale del Risorgimento, negavano che gli orrori presenti fossero da addebitarsi alla storia stessa del pensiero moderno, cio ai grandi tentativi, con cui, dalla Riforma alla Rivoluzione francese, lintelletto umano aveva cercato di snebbiarsi dalle tenebre del Medioevo. Il loro moderatismo, essi lo proclamavano altamente quando asserivano che il Partito liberale aveva fatto la guerra ai troni dei piccoli sovrani che stavano in Italia, non mai al principio di autorit in s: si era trattato di una espropriazione forzata, indispensabile per far lItalia e nulla pi1449 . Cio, in piena conformit a tutto il loro modo di pensare, niente pi spirito rivoluzionario, ora che la casa costruita; niente pi nuove avventure. Ma nemmeno ritorno allindietro: e perci, continuavano i moderati, occorre far argine di fronte al prevedibile riaffiorare in Europa di tendenze conservatrici, per effetto delle vittorie prussiane e della Comune, colti-

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vando sinceramente le idee liberali, alla maniera inglese, svizzera, americana1450 . Pi decisi, sintende, gli organi della Sinistra, nel mettere in guardia contro gli allarmi ingiustificati ed eccessivi1451 ; concordi, per altro, con la stampa moderata nel ritenere non meno pericoloso lultramontanismo o gesuitismo, capace di delitti orribili esso che si presentava come il riparatore degli eccessi della Comune1452 . E concordi, gli uni e gli altri, nel ritenere minacciato il principio stesso di nazionalit, oltre che quello di libert, sia dalla setta rossa, sia dalla setta nera, dagli internazionalisti come dai gesuiti, pronti a darsi la mano per combattere liberalismo e nazionalit, salvo poi a combattersi a vicenda: tra i due, il gabbato non sarebbe stato il partito clericale1453 . Considerazioni, queste ultime, che sarebbero state pi volte ripetute negli anni seguenti, quando si favoleggi di segrete intese degli ultra-clericali coi rossi1454 e perfino sebbero comunicazioni diplomatiche da governi esteri che accennavano alle attese del Vaticano nellanarchia generale1455 ; quando, certo, si assistette al compiacimento degli intransigenti ogni qual volta il governo italiano parve messo in impiccio dalla opposizione che era poi semplicemente la Sinistra! ben lieti questi nerissimi se attraverso un grosso sconquasso generale riuscisse loro di far riemergere trionfante sui flutti agitati della guerra civile la bandiera papale1456 . Tra gli stessi diplomatici stranieri, residenti a Roma, taluno denunci certains joueurs che non nascondevano il loro giunco e dicevano par la commune au Syllabus1457 ; e qualche altro, accreditato presso la Santa Sede, e deciso nel battezzar calunniose tutte le voci su di unintesa fra il Vaticano e i repubblicani, osservava tuttavia che verano due fatti molto spiacevoli i quali, abilmente sfruttati dai nemici del Papato, davano qualche apparenza di ragione a quelle voci: il primo, che il

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clero e i clericali gridavano alto e forte, da due anni, che la restaurazione piena ed intera del Papato non sarebbe potuta avvenire, se non dopo una rivoluzione e una ripubblica rossa, di effimera durata; il secondo, il linguaggio della stampa clericale in Italia. Essa rendeva dei pessimi servizi alla causa che patrocinava: cos come quando nel novembre del 1872, in vista del molto atteso meeting al Colosseo, insisteva nel predire, per quel giorno, una grande catastrofe, lo scoppio della rivoluzione a Roma e la proclamazione della repubblica rossa, fornendo per tal modo argomenti alla stampa dellaltra parte per accusare il Vaticano di complotti con gli estremisti1458 . Un atteggiamento da disperati, da rompitutto, che cercando la salvezza nelleccesso del male muoveva a sdegno cattolici sicuri come il Tommaseo1459 , e, certamente, ripugnava allo stesso Pio IV non mai totalmente dimentico del 47: Pio IX che intendeva protestare sino allultimo respiro contro lusurpazione dei suoi diritti, ma dichiarava che in fondo sarebbe stato molto imbarazzato se gli venissero resi i suoi Stati: mi ci troverei come in un palazzo senza porte n finestre, di cui non saprei che farmi1460 . Ma era un atteggiamento di molti, allora e ancora per parecchi anni; onde, agli appelli ai cattolici perch partecipassero alla vita pubblica, nellinteresse comune, si rispondeva il nostro centro, non solo religiosamente, ma anche politicamente parlando, il Papato1461 e tutto il resto non importava nulla; e sesultava quando si poteva constatare che la Rivoluzione lanciava ai cattolici un grido disperato1462 , la Rivoluzione, cio tutti quanti, Destra compresa. I moderati dicevano, noi siamo ordine, legalit, e aiutateci dunque a respingete i rossi; ma la risposta era, voi siete padri dei mostri, e rispondete anche delle colpe dei figli, che sono possibili solo perch voi avete scosso le fondamenta sacre della societ.

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In Italia come in Germania, allora e poi, si rimbalzarono le accuse dei liberali che accusavano rossi e neri di lavorar concordi alla rovina della societ, i primi servendo ai pi abili secondi, tanto che, se il partito clericale spesso era simile a chi tira la castagna dal fuoco con le zampe del gatto, per conto suo era sicuro di non aver mai fatto la parte del gatto1463 ; e le accuse dei clericali che dipingevano i liberali come gli alleati naturali dei rossi, i preparatori del disordine sociale1464 , e dimostravano linconciliabilit fra il Vangelo e il comunismo1465 . Alle quali polemiche dava alimento, almeno in Germania, anche il primo dispiegarsi del socialismo cristiano, con il Ketteler, i Christlich-Soziale Bltter, le Societ sociali cristiane, che sembravano a molti mascheratura per ricoprir ben altri fini politico-ecclesiastici: tanto che non pi solo il von Sybel accusava i clericali, virtuosi in demagogia, di servirsi di tutte le arti del radicalismo e del socialismo, ma Bismarck in persona denunciava laccordo dei rossi e dei neri, al Vaticano e in pieno Parlamento1466 . N in Francia mancarono, ancora pi tardi, fin nell85, accuse di socialismo contro La Tour du Piti e gli altri propugnatori del cattolicesimo sociale1467 . Per tal modo, attorno, ai fatti della Comune, sul cadavere della Comune, non solo simpegnava la lotta fra lo spirito vecchio e il nuovo, cio fra conservatorismo sociale e iniziativa rivoluzionaria sociale, traendo gli auspici, i novatori, dal sangue dei trucidati1468 , ma tornava a divampare, ancora una volta, il grande conflitto didee del primo Ottocento, libert e reazione politica; e ancor una volta i maggiori de liberaliitaliani, nonostante i timori, rimasero fermi nella difesa del loro ideale. E senza dubbio erano anche la necessit polemica e il desiderio di sventare in anticipo londata reazionaria, ad ispirare ai giornalisti di parte liberale, destri o sinistri che fossero, unaltra constatazione: quella, cio, che per lItalia lInternazionale non costituiva un pericolo serio.

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Per gli organi della Sinistra, fin dallinizio; per quelli della Destra, solo dopo le prime sfuriate contro lInternazionale, ma ad un certo punto per quasi tutti i giornali liberali il pericolo orrendo, mostruoso fin che si vuole non concerne lItalia1469 . Da noi, nemmeno lombra di un rivolgimento sul tipo della Comune, perch, in complesso, la nostra situazione interna abbastanza buona, sentenzia LOpinione nel numero del 1 giugno 1871, finita cio la Comune1470 : e in tale ottimismo laveva preceduta di parecchio uno dei due organi magni della Sinistra, Il Diritto, che sin dal 31 marzo aveva cercato di combattere le preoccupazioni delle anime timorate, osservando che, da noi, non avevan ragione dessere le paure di un minaccioso scoppio della questione sociale. Manca, in Italia, la gran piaga del proletariato che affigge Francia ed Inghilterra; da noi, non il lavoro che sovrabbonda, sono le braccia che mancano1471 : come si vede, nellottimismo del Diritto cera, almeno per laffermazione sulle braccia che mancano, molto di volutamente eccessivamente roseo. Impedire una reazione che, al disopra dellInternazionale avrebbe colpito, in ultimo, gli stessi princpi di libert e di nazionalit; a tale scopo, servirsi anche dellargomentazione che in Italia il pericolo non esisteva: il motivo venne ripreso e sviluppato ulteriormente, tra lestate e lautunno del 71 e, ancora, nel 72. Il ministro degli Esteri francese, Jules Favre, additava al mondo, come causa della Comune, il governo napoleonico e lInternazionale? Si contrapponeva alla sua diagnosi una pi lata diagnosi, per cui il male aveva sede nella violenza de partiti, nellindifferenza de mezzi per riuscire, nella forza brutale anteposta alla libert, nella sorpresa sostituita al voto popolare, nello spirito rivoluzionario che giustifica tutti i colpi di Stato1472 . I governi spagnolo e francese tentavano di promuovere accordi internazionali contro la setta?1473 Si affermava che non la forza poteva impedi-

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re il lavoro delle idee, ma solo altre idee, pi Bennate. Il sistema pi saggio sempre quello della libert1474 ; il nodo della questione sociale sta soltanto nelladempimento, da parte di ciascuno, del proprio dovere, e in un maggiore slancio delliniziativa individuale, unico vero rimedio alla maggior parte dei mali, politici, economici, sociali da cui lItalia ancora afflitta1475 . Per un anno e mezzo, insomma, fu un coro concorde. Solo dopo gli scioperi dellestate 1872, i primi scioperi su larga scala dellItalia moderna1476 , solo allora qualche apprensione cominci ad insinuarsi di nuovo, per la prima volta dopo la Comune. Nei fogli liberali si continuava, s, a manifestar fiducia e sicurezza che nulla sarebbe avvenuto di grave1477 ; e lo si faceva tanto pi in quanto era necessario non lasciar attecchire le paurose predizioni dellOsservatore Romano che, il 20 agosto, aveva vaticinato imminente il tempo della dissoluzione, il giorno della vendetta di Dio e dellesterminio, affrettato dai governi colpevoli, vedendo nel codice dellInternazionale con i suoi eccessi, il mezzo con cui la giustizia divina avrebbe colpito le gemi ribelli a Dio1478 . Ma gi si cominciava ad ammettere che qualche progresso i rossi lavevan fatto, in Italia1479 ; che qualche connessione tra gli scioperi italiani e quelli del Belgio, della Francia, di Berlino e di Trieste cera1480 ; che, insomma, se da noi cera da temere meno che negli altri paesi, tuttavia non bisognava addormentarsi ch se siamo meno minacciati, non siamo per lontani da ogni pericolo1481 . Il palese diffondersi dellInternazionale in Italia, documentato, se non altro, dai molti giornali e giornaletti per ogni dove pullulanti, e con titoli spesso ben adatti a far rabbrividire i benpensanti1482 ; i nuovi, aperti tentativi compiuti altrove, nella Spagna meridionale e occidentale, durante lestate del 18731483 ; e, finalmente, i casi di Romagna dellestate 74, in cui veniva facilmente confuso il sovversivismo nel vecchio senso, cio repubblicano

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mazziniano, col sovversivismo nuovo, cio bakuniniano e simile1484 , davano, ormai, seriamente a pensare, non consentendo pi di credere che quello della Comune fosse stato un episodio, grave ma senza seguito, e facendo anche temere, contro lottimismo dun giorno, che lItalia potesse diventare facile campo per le mene dei rossi1485 . Ed ecco nella stampa, almeno in quella moderata, trapelare una tendenza verso qualche forma dintervento dellautorit pubblica: sempre, si intende, salvaguardando pienamente la libert politica, che nessuno dei liberali avrebbe voluto toccata per nessun motivo1486 , ma gi con prime restrizioni allassoluta libert economica di manchesteriana memoria. Il congresso di Eisenach, nellottobre del 72, dove, con lintervento di molti dei pi illustri economisti tedeschi, sera discusso della questione sociale e dei modi di prevenirne i pericoli, offriva lo spunto allOpinione per affermare che lo Stato non poteva rimanere indifferente dinanzi alle grosse questioni dei rapporti di lavoro fra operai e padroni, e che il vecchio principio del laisser faire cominciava a subire limitazioni nel campo sociale1487 ; quasi un anno pi tardi il congresso, dei dissidenti dellInternazionale a Ginevra dava al giornale lopportunit di riprendere la polemica contro i liberisti assoluti, convinti che lo Stato dovesse starsene in disparte, mentre era ormai necessario che lo Stato intervenisse nelle questioni sociali, le studiasse e ne apparecchias se la soluzione1488 . Che erano, come si vede, i prodromi per le prime forme di tutela del lavoro, per le leggi sulla previdenza e il lavoro delle donne e dei fanciulli, non a caso cos accanitamente propugnate dal Luzzatti, che dellOpinione proprio di l a poco doveva diventare magna pars1489 . Ma non ci si fermava l; e allato de consigli allo Stato per un intervento a tutela dei lavoratori, affioravano consigli o, meglio, riflessioni di carattere, diremo, pi propriamente poliziesco. Gi nel parlar dellInternazionale,

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dopo lottimismo chera stato di moda fra il giugno del 71 e lestate del 72, tornava in luce una malcelata preoccupazione: lo stesso incitamento allo Stato perch intervenisse, muoveva dal presupposto che sarebbe follia il credere che gli Stati potessero non occuparsi di societ come lInternazionale, in lotta contro lintelligenza. S che quando cominciarono a fioccare pene, assai gravi, contro alcuni internazionalisti, accusati di cospirazione contro la sicurezza interna, qualche giornale, e fra essi la autorevolissima Opinione, non esit ad approvare il rigore della sentenza, convinto che quanto pi frequenti saranno gli avvertimenti simili a quello che venne dato dalla Corte dAssise di Roma, tanto pi rare sorgeranno le occasioni dinvocare quelle leggi [penali] a salutare sgomento dei nemici dello Stato1490 . Leggi igieniche e assicurative a tutela del lavoro, ma anche mano forte contro i settari: erano i due rimedi, nelluno dei quali si celava il pericolo che, anche inconsciamente, nel gravar la-mano si venisse poi trascinati pi in l di quanto non si fosse voluto primamente andare, e che dalle proposte di reciproci contatti e scambi dinformazioni tra le polizie dei vari paesi1491 , si rischiasse di finire in una sorta di nuova Santa Alleanza. Pericolo tanto maggiore quanto pi andassero scemando le paure di un trionfo europeo del clericalismo: meno grave apparir la minaccia degli ultramontani, Enrico V don Carlos e i Gesuiti, meno insidiata lunit dItalia con Roma capitale, e tanto pi preoccupanti appariranno i sovversivi, i due colori stendhaliani, il rosso e il nero, sempre costituendo lo sfondo cupo del quadro su cui spiccava il bianco rosso verde dellunit e della libert. Come nella stampa, cos anche negli uomini di governo si succedettero in quegli anni paura per la Comune, ottimismo sincero ma anche ostentato per ragioni tattiche, e nuovi timori; e cominci unalternativa di assicurazioni formali sullassenza di pericolo vero in Italia e,

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sotto sotto, di preoccupazioni man mano crescenti e non mai pi sopite. Nelle confessioni del Visconti Venosta allincaricato daffari austriaco, sinsinuava laffermazione che il governo italiano, vigilante, si riteneva in grado di reprimere ogni movimento sovversivo; e il ministro la ripeteva al conte de Launay, assicurandolo che in Italia, come in Germania, la vigilanza del governo era stata sufficiente finora a rendere impotenti le mene degli agitatori, a sventare gli intrighi ed a premunire il paese da cos gravi pericoli1492 . E tuttavia, in quei giorni il ministro degli Esteri non nascondeva che anche per lItalia il pericolo cera, e grave; e allo Zaluski aveva parlato dei nombreux lments socialistes che il paese racchiudeva. Due mesi e mezzo pi tardi, il tono dassai mutato. In Italia, paese agricolo dagli scarsi centri industriali, non vi sono che tracce quasi insignificanti dellInternazionale; il pericolo non , quindi, per essa n grave, n imminente: cos il Visconti Venosta, nella sua risposta allinvito bismarckiano per misure comuni contro gli addetti alla setta1493 . Lunico pericolo vero potrebbe essere costituito dal raggrupparsi attorno ai nuclei dellInternazionale di tutti i malcontenti del regime, cio anzitutto dei mazziniani, dei pochi settari che ancor sognano presso di noi di rovesciare lattuale governo1494 : Ma anche questo un pericolo assai relativo, perch la tranquillit di cui lItalia gode, conseguenza naturale della soddisfacente soluzione data alle grandi questioni nazionali, e lattaccamento alla dinastia voterebbero allinsuccesso i tentativi mazziniani e socialisti. Preoccupazioni, dunque, semmai per una possibile alleanza tra i gruppi mazziniani e lInternazionale, sempre diffuse negli uomini di governo, nonostante il dissidio ormai apertissimo fra il Mazzini e i seguaci di Bakunin e di Marx1495 . Ora un simile ottimismo serviva mirabilmente ai fini della vecchia tattica: raffigurar lItalia tranquilla, solo in

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conseguenza della possibilit di applicare il programma del regio governo. Come era opportuno far notare allEuropa che lItalia, il tanto temuto focolaio di spirito rivoluzionario, il terrore dei benpensanti europei un decennio innanzi, era un paese dordine e di tranquillit, laddove altre grandi nazioni, Francia e Spagna per prime, ondeggiavano fra anarchia e reazione! Come adatto largomento per suffragare le dichiarazioni ufficiali del re e dei suoi ministri i quali cercavano in ogni modo di presentare il regno nella veste di un ordinato e ormai tranquillo e soddisfatto membro del concerto europeo! Ma era anche un ottimismo sincero, dovuto alle inchieste e alle informazioni del ministero dellInterno. Se, conversando con lo Zaluski, il Visconti Venosta aveva dato limpressione di essere sotto il peso dinformations particulires des moins satisfaisantes, poco appresso dal suo collega dellInterno gli pervenivano notizie tali da ricondurre il sereno nel suo animo. Mentre infatti dalla Francia gli perveniva notizia dindirizzi e messaggi inviati da associazioni italiane alla Comune1496 , il Ministero dellInterno gli comunicava, il 22 maggio, che dalle indagini a pi riprese praticate ci si era potuti convincere della infruttuosit dei tentativi compiuti per far attecchire lInternazionale in Italia1497 . Poco pi tardi, il ministero dellInterno, pur pregando quello degli Esteri di far seguire a Londra le opportune indagini, dichiarava che il prefetto di Milano riteneva menzognera lapposizione di 2540 firme ad un preteso indirizzo della sezione milanese dellInternazionale al Comitato centrale di Londra1498 ; e, da ultimo, ancora il 18 novembre Giovanni Lanza assicurava il suo collega valtellinese che, in Italia, la setta non aveva se non pochi aderenti sparsi e di poca influenza1499 , proprio mentre, dalla parte opposta, il troppo entusiasta Riggio assicurava lo Engels ancora un anno e poi i destini della penisola che saranno nelle nostre mani1500 .

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Affermazioni che possono destare qualche meraviglia, ove si pensi che, almeno per Napoli, la polizia aveva gi dovuto seriamente occuparsi della locale sezione dellInternazionale, arrestandone i capi sin dal febbraio del 701501 ; che tuttora si preoccupava assai del pi noto e attivo fra essi, lavv. Carlo Gambuzzi, cercando di seguirlo passo passo ne suoi viaggi allestero, dovegli appariva allora come uno dei capi del movimento italiano1502 , e, con lui, faceva pedinare con insistenza Carlo Cafiero1503 , il nobile barlettano, che da quei giorni sarebbe stato spesso causa di seccature e di uggiose pratiche per diplomatici di Sua Maest allestero. Anzi cominciava sin dallora a profilarsi la necessit di stipendiare apposito agente di polizia privata che a Londra, gran centro de capi sovversivi e sempre pi frequentata anche dagli Italiani1504 , seguisse le tracce de Gambuzzi, La Cecilia, Cafiero, Zanardelli e compagni: necessit prospettata, com logico, dalla Legazione di Londra, poco atta e anche poco propensa a far essa la parte del gendarme, e messa in difficile situazione dal fatto che, contrariamente a quanto si poteva fare ad esempio a Parigi, col prefetto di polizia generalmente ben disposto a fornire ai colleghi italiani notizie riservate su questo o quel personaggio, la polizia inglese rifiutava nettamente la sua collaborazione e lasciava liberi gli stranieri, fino a quando almeno non ledessero le leggi britanniche1505 ; ma riconosciuta dal ministero dellInterno e tradotta in atto sulla fine del 1871, con ulteriori proposte poi per lorganizzazione di un vero e proprio servizio italiano di polizia nella capitale britannica1506 . Ma evidentemente, nonostante queste preoccupazioni in casi singoli, nel complesso il governo riteneva ancora non pericoloso il lavorio dei rossi: o meglio continuava ad aver lattenzione rivolta massimamente al partito dazione ed a Mazzini, fomite sempre di preoccupazioni, anche morto, tanto da ispirar provvedimenti di assai di-

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scutibile legalit1507 . I Gambuzzi ed i Cafiero eran considerati, soprattutto, possibili anzi robabili fiancheggiatori dellassai pi antico e radicato movimento mazziniano. I progetti sovversivi nel maggio del 71, erano ancora, per Giovanni Lanza, quelli del partito dazione1508 : ancora il termine manteneva il suo primitivo significato, n era giunta lora, per il ministero dellInterno, di veder spuntar, con pienezza di forze, dietro alladusato sovversivismo dei repubblicani il pi pericolosa sovversivismo dei rossi, sempre valutato nei pi modesti limiti di aiutante di battaglia dellaltro. Si spiega cos lottimismo del Visconti Venosta, rapidamente succeduto allo sconforto dellaprile. Ad alimentarlo, sopravveniva anche il fatto che il temuto ritorno dalla Francia dei garibaldini, sospettati come agitatori rossi dai due governi di Francia e dItalia, filava via liscio liscio, senza disordini1509 . Ond che, lungi dal promuovere degli accordi internazionali contro la setta, il ministro degli Esteri di Vittorio Emanuele si limit, nei mesi che seguirono, a dare il suo assenso alle proposte pervenutegli da Berlino, nel luglio, su alcuni provvedimenti che i vari governi avrebbero dovuto prendere (cio, comunicarsi reciprocamente i dati di cui venissero in possesso sullinternazionale e i suoi agenti, come, in effetti, accadde dipoi); e a dichiararsi in linea di massima daccordo sul principio che attentati alla vita e alla propriet, quali serano verificati a Parigi, rientravano nella categoria dei reati comuni, non di quelli politici, ed erano quindi soggetti allestradizione1510 . Veramente, anzi, su questo secondo punto il Visconti Venosta non simpegnava per una dichiarazione generale di principio; si limitava ad osservare di aver gi comunicato alla Francia di esser pronto ad applicare la convenzione di estradizione agli autori degli omicidi e degli incendi di Parigi, e di esser disposto a rinnovare siffatta dichiarazione alla Germania; o a qualsiasi altra potenza1511 ;

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e restando sul terreno di un, fatto specifico, le devastazioni parigine, evitava cos, di dover compromettersi con una dichiarazione generale, di principio, che sarebbe, daltronde, andata assai oltre i suoi poteri, passando invece nella sfera addirittura del Parlamento. Sfumature, certo: ma sfumature che davano la esatta misura s del mutamento avvenuto, in senso ottimistico, nelle valutazioni del nostro ministro degli Esteri, s, e forse soprattutto, della riluttanza sostanziale sua (e con lui, dei moderati di governo) a mettersisulla via della reazione. Analogamente, faceva s conoscere al governo francese la ferma volont di quello italiano di cooperare con esso alla tutela dellordine sociale, prevenendo la diffusione delle dottrine perniciose che minacciano allEuropa una nuova barbarie: ma i provvedimenti dovevano essere compatibili colle nostre istituzioni e coi nostri costumi1512 ; e poich istituzioni, e pi ancora che le istituzioni, costumi e spirito con cui sintendevano le istituzioni erano francamente, recisamente liberali, cos il governo del re non sarebbe andato troppo lontano nella repressione. In quellora, il Visconti Venosta assumeva dunque un atteggiamento complessivamente assai pi liberale non solo di quello francese, ovviamente premuto dallincubo deglincendi e dei massacri parigini, ma altres di quello russo-tedesco: ch la proposta Bismarck era il risultato dei colloqui, a Berlino, tra il cancelliere e il principe Gorciacov, luno e laltro animati da sacro zelo contro il banditismo internazionale1513 , cui attribuivasi a Berlino e a Pietroburgo eccessiva diffusione e potenza1514 , e spalleggiati nelle loro convinzioni anche dai sovrani e dagli altri uomini di Stato prussiani, uno dei quali, il conte di Eulenburg, segretario di Stato allInterno, si dichiarava convinto che il pericolo duna rivolta generale non era se non aggiornato e che sarebbe venuto il giorno o il faudrait livrer bataille range certe vermine sociale1515 .

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Dalle idee del cancelliere russo, sulla necessaria solidariet di tutti i governi contro la setta, era derivato linvito bismarckiano1516 . Egli rimaneva, invece, assai pi vicino allatteggiamento del governo inglese, francamente e decisamente liberale, il quale per bocca del Granville, consentiva, in linea di massima, concourir par un change de vues sclairer mutuellement sur les mnes et les moyens daction de lassociation internatinnale; ma declinava, siccome questione assai delicata e di pertinenza pi dei tribunali che del governo, linvito a considerare alla stregua di delitti ordinari i delitti dei membri dellInternazionale1517 , e riaffermava, invece, il diritto dasilo e la libert inglesi. Era, ritenevasi a Berlino, une fin de non recevoir1518 ; e praticamente a conclusioni non diverse conduceva latteggiamento del cancelliere austriaco, il Beust, quale aveva, s, fatto buona accoglienza formale, ma aveva chiesto informazioni sulla setta, la sua organizzazione, il numero dei suoi aderenti, e una volta in possesso dei dati non aveva pi aperto bocca collambasciatore germanico, Schweinitz: salvo, poi, a proporre nel convegno di Gastein dellagosto, di fronte allinsistenza del Bismarck sui pericoli dellInternazionale, un programma di lavoro, ma in senso di miglioramenti sociali pi che di repressione. Di fronte allazione combinata russo-tedesca stava un fronte liberale, che aveva come sentinella avanzata lInghilterra, ma poteva sostanzialmente contare anche sullItalia e perfino sullAustria1519 . Ed era parimenti notevole che anche il ministro inglese, al pari del suo collega italiano, ricorresse, per coonestare la sua risposta, allargomento della scarsa pericolosit dellassociazione1520 : opinione sin allora condivisa generalmente nel Regno Unito1521 , con un robusto e, per lInghilterra, fondato ottimismo di fronte allavvenire. Uguale, anzi pi accentuato atteggiamento di sostanziale liberalismo, il governo italiano manteneva ancora

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in seguito, non solo per incidenti particolari di minor importanza1522 , si anche quando la questione dellestradizione veniva, nei primi mesi del 1872, rimessa sul tappeto dai governi di Spagna e di Francia, le due nazioni cio che, luna per i ricordi della Comune, laltra per le mene anarchico-rivoluzionarie alternantisi a quelle carliste, pi sembravano dovessero paventare, in quei giorni, lattivit dei rossi. La circolare che il governo di Madrid rivolgeva, il 9 febbraio 1872, alle sue legazioni allestero perch ne informassero le varie potenze europee, prospettava infatti la necessit di mettersi daccordo per esaminare e decidere le misure pi adatte allo scopo di combattere lInternazionale, suggerendo, fra laltro, di comprendere nei trattati di estradizione o in accordi speciali il caso di appartenenza allassociazione1523 ; poco appresso, in Francia, lAssemblea Nazionale discuteva e votava, il 13 e 14 marzo 1872, la legge contro lInternazionale, promossa sin dallagosto del 71 e solo ora presentata dalla Commissione; e alla legge seguiva, nellaprile, una nuova richiesta al governo di Roma come agli altri perch venisse concessa la ormai tanto discussa estradizione di chi risultasse appartenere alla associazione1524 . Due iniziative che confluivano in un unico sbocco: e si pot assistere ad una netta antitesi di atteggiamento fra le tre corti del Nord, ora concordi, il governo tedesco disposto, non ad ammettere lestradizione degli affiliati dellInternazionale, per il solo fatto di tal loro qualit, bens ad accettare lestradizione per gli autori di delitti commessi in conseguenza di affiliazione alla setta1525 , quello russo, il pi reazionario, sempre pronto a misure di rigore1526 , quello austriaco, con lAndrssy al posto del liberale Beust, ben disposto ad approvare la proposta spagnola1527 , nei limiti in cui laccettava Berlino; e dallaltra, il governo inglese, che nuovamente declinava linvito madrileno1528 .

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Ancora una volta, il governo di Roma mostr di inchinare sostanzialmente verso il lasciar fare allinglese e non verso le misure di rigore preventivo e generale: e dapprima il ministro dellInterno, Lanza1529 , e successivamente il Guardasigilli, De Falco1530 , fecero presente al loro collega degli Esteri limpossibilit di dar seguito alle richieste spagnola e francese. Certo, dal punto di vista strettamente formale latteggiamento di Roma non era dissimile da quello tedesco, siccome notava con soddisfazione il Lanza, almeno di fronte alla richiesta spagnola: anche Berlino infatti, rifiutava di accettare lestradizione per il semplice fatto dellappartenenza alla setta. Ma lanimo dei politici di Roma era dassai pi vicino allatteggiamento del Granville e del Gladstone, prettamente, profondamente liberale, tutto imbevuto di quel che, in fatto di politica interna, poteva bene essere considerato il principio informatore del liberalismo inglese e quindi europeo, il principio, cio, del reprimere e non del prevenire. Lo dovevano proclamare apertamente, pi tardi, due uomini della Sinistra, il Cairoli1531 e, soprattutto, lo Zanardelli1532 , anche contraddicendo al Crispi che, futuro zelatore del governo forte, gi reclamava il prevenire1533 ; ma, in quei giorni del 71-72, almeno, fu pure il principio a cui si ispirarono gli uomini della Destra. Lalta perorazione di Francesco De Sanctis, alla Camera, il 10 dicembre 1878, sulla necessit assoluta della libert di pensiero e dinsegnamento1534 , era anchessa gi sostanzialmente contenuta nella dichiarazione del Lanza al suo collega degli Esteri, che lasciava ad ogni associazione facolt di raccogliersi intorno ad un programma economico-politico inspirato anche ai pi assurdi sofismi della Scuola socialista. Insomma, ancora e sempre era il convincimento che occorreva valersi solo di quelle forze morali, che formano la sanit delle nazioni1535 ; e rispettare la legalit e la giustizia.

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Noi abbiamo tanto sofferto a causa dellarbitrio dichiarava uno degli uomini di Stato italiani al ministro di Francia, Fournier, nellestate del 72 quando vivevamo a seconda dei capricci dei nostri numerosi governi, che vogliamo credere alla legalit, ora che ci sentiamo abbastanza forti per essere una nazione, una e libera; e siamo abbastanza chiaroveggenti per non credere alla libert che nella legge. Commentava il Fournier, che in Italia non cerano da temere misure speciali contro i Gesuiti, a seguito della violenta politica bismarckiana: ai Gesuiti, come allInternazionale1536 , contro cui il governo italiano aveva rifiutato di predisporre una legislazione speciale, verr applicata la legge comune. Gli Italiani hanno troppo lesperienza delle societ segrete e della forza di propaganda loro procurata dalle leggi violente ed eccezionali, per voler creare dei martiri; i loro uomini di Stato hanno una gran fiducia nel tempo e nella legalit, per risolvere le difficolt apparentemente pi compromettenti e complicate. Nel Parlamento, nel paese quel che domina lo spirito di legalit1537 . Era una prova certa della profonda seriet e saldezza delle convinzioni liberali di quegli uomini. Giacch questo riaffermare il diritto di libera associazione non era pi dovuto alla sicurezza di non aver nulla da temere. Lanza poteva bens ripetere nella primavera del 72 che lassociazione internazionale, massime in Italia, tuttavia in uno stato di formazione assai rudimentale, e si travaglia ancora faticosamente intorno alle vie da scegliere per concretare un sistema di condotta, ed estrinsecare la sua azione poteva assicurare il ministro di Francia presso il Quirinale, chegli, assai esattamente informato sullattivit dellInternazionale in Italia, era molto tranquillo e non ne temeva le possibilit di propaganda, con i suoi appena 3 o 4000 affiliati, con il dissidio fra internazionali e mazziniani, con Garibaldi desideroso di unire gli uni e gli altri privo delle necessarie qualit di or-

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ganizzatore, unico eventuale non grave pericolo essendo quello di un avvicinamento fra lInternazionale e la massoneria priva oggi delle sue ragion dessere cospirative di una volta1538 : ma egli stesso non si sentiva forse cos tranquillo come era apparso nellestate e ancora nellautunno dellanno precedente. Non erano infatti solo notizie dallestero a confermare la diffusione dellInternazionale in altri paesi o i legami fra le sezioni estere e quelle italiane1539 . Sin dal gennaio del 1872 il ministero dellInterno rilevava uninconsueta attivit dei mazziniani e degli internazionalisti, per una comune e imminente azione rivoluzionaria, in concomitanza con analogo movimento francese1540 ; e sebbene la data annunziata (il 24 febbraio) trascorresse senza perturbamento alcuno, al di qua come al di l delle Alpi, pur tuttavia al Lanza continuavano a pervenire notizie allarmanti, talora, come suole, fantastiche1541 , e venivan segnalati, anche dalle autorit francesi e austriache, i frequenti viaggi di veri o presunti agenti della setta1542 : donde lintensificarsi del carteggio di carattere poliziesco fra il Ministero dellInterno e quello degli Esteri, fra questultimo e gli agenti diplomatici allestero, probabilmente assai poco soddisfatti di vedersi affibbiare un nuovo e, certo, non gradito compito1543 . E nellestate sopravvenivano gli scioperi: 31, in 25 localit diverse, quasi tutte dellAlta Italia, dallinizio di luglio alla fine di agosto; pi importanti fra tutti quelli, scoppiati contemporaneamente il 24 luglio, di Verona (operai delle officine ferroviarie, per cinque giorni) e di Torino (sciopero generale per nove giorni), e quello di Milano (pure generale), iniziato il 5 agosto. Sempre fedele alla tattica di ostentare sicurezza e tranquillit per non fare il giuoco degli avversari1544 , il governo parve continuare a ritenere, come molti altri Italiani, che la questione operaia non presentasse, nella penisola, gli stessi pericoli che altrove, e non volle aver laria di attri-

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buire eccessiva importanza a quanto accadeva nei centri industriali1545 ; ma, quasi sin dallinizio, si preoccupava invece di possibili connessioni fra gli scioperi italiani e quelli che, contemporaneamente, avvenivano in Francia, come determinati, gli uni e gli altri, da ununica parola dordine lanciata da uno stesso potere direttivo1546 . E il risultato ultimo delle indagini compiute dal ministero dellInterno fu che, per gli scioperi pi importanti, sebbene mancassero elementi per affermare che tutti fossero stati preparati esclusivamente dallInternazionale, pure si avevano prove sufficienti per ritenere che essa li avesse promossi e favoriti, e altres per affermare che, dopo il Congresso tenuto dalla Federazione Italiana dellInternazionale in Rimini, il 4, 5, 6 di agosto, la setta avesse fatto sforzi per organizzare nuovi scioperi. A Torino, Milano, Verona, indubbia la sua influenza1547 . Dunque, non era pi possibile, come lanno innanzi, ostentare assoluto ottimismo: ora, e nonostante gli screzi profondi tra sezioni italiane e Consiglio Generale di Londra1548 , che culminavano nel distacco delle prime dal secondo proprio nel Congresso di Rimini, lInternazionale aveva messo piede in Italia1549 e cominciava ad agire in modo indubbio e non privo di efficacia. E finalmente, nel novembre del 1872, il grande meeting al Colosseo, per il 24 che pur non era dellInternazionale! suscitava allarmi ancor pi vivi: questo appariva un vero e proprio tentativo rivoluzionario, che si proponeva di mutare le istituzioni fondamentali dello Stato1550 . Scapparono dalla capitale, in buon numero, i forestieri, timorosi di un vero e proprio conflitto cruento; si diffusero, come suole, le voci pi inquietanti, non ultima quella pure raccolta dal ministro di Francia presso il Quirinale che il clero sperasse, sovreccitando gli animi, di provocare un conflitto aperto e quindi un atto di forza del governo, e nuovi odii contro di esso: certo lallarme fu grande, e il nome dellInternazionale cor-

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se di bocca in bocca, e il pacifico cittadino rabbrivid incontrando qua e l per le strade de ces figures qui ne sortent de terre que les jours o il se prpare un mauvais coup1551 . Un anno pi tardi, nuovi scioperi: e sempre pi si rafforza negli uomini di governo il sospetto gravissimo che gli scioperi delle classi operaie fossero promossi dalle fazioni sovversive e specialmente dallAssociazione internazionale. Ad avvalorare questo sospetto ... concorrono ora i nuovi disordini avvenuti in alcune provincie e le successive notizie pervenute ...1552 . Infine, il 74, villa Ruff da una parte, e dallaltra il tentativo insurrezionale di Andrea Costa, Cafiero e Malatesta. Allottimismo cominciava dunque a subentrare una certa inquietudine. Negli uomini di governo, come nella stampa. E bisognava andare in cerca di rimedi. Di iniziative collettive delle potenze daltronde cos pericolose e tali che, se si fossero realmente attuate, avrebbero nuovamente posto Lanza e consorti a fronte a fronte col proprio vigile senso di libert non era pi il caso di sperare o temere lavvento. Passata era lora in cui non pure certa stampa, ma perfino il ministro di Svizzera a Roma poteva temere addirittura che Francia Germania Italia cercassero di accordarsi per occupare militarmente i cantoni svizzeri loro confinanti, e mettere cos fine al concentramento degli internazionalisti su suolo elvetico1553 . La proposta spagnuola del febbraio era caduta nel vuoto; un po il fatto che, emanando da una potenza di secondordine e allora in piena crisi, era venuta fuori senza la necessaria autorit iniziale per imporsi veramente allattenzione dei gabinetti europei; un po lopposizione inglese e un po la difficolt di mettere daccordo legislazioni assai diverse avevano fatto fallire questa, come gi la proposta francese dellanno precedente e, ancora, la stessa rinnovata proposta francese della primavera del

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72. Sin dallinizio delle discussioni sulla proposta spagnuola, sin da allora era affiorato in taluno de capi di governo un sostanziale scetticismo sulla possibilit pratica di giungere ad un accordo generale europeo1554 ; e lo stesso governo di Madrid era ben consapevole della debolezza iniziale della sua proposta, quando aveva espresso il desiderio che qualcuna delle grandi potenze la facesse sua, con ben altra autorit, assumendosi il compito di concretare le basi dellaccordo1555 . Lunico uomo di Stato che avrebbe avuto prestigio sufficiente per costringere ad un accordo almeno le potenze continentali, il Bismarck, non era gi pi ora nello stato danimo che gli aveva ispirato i passi presso i governi europei del giugno 71: ora, si stava iniziando il Kulturkampf e in luogo dellInternazionale rossa lincubo del cancelliere diventava lInternazionale nera, lultramontanismo. Il ricordo della Comune svaniva, e restava invece, ben fermo dinnanzi ai suoi occhi, il fantasma del Vaticano: in luogo dei rossi petrolieri parigini, le nere vesti de preti. Non solo ad accordi di carattere internazionali egli non avrebbe dora in poi pensato, con i colleghi di Russia e Austria, nemmeno nel grande convegno di Berlino che fu pure una spettacolosa dimostrazione di conservatorismo europeo1556 ; ma neppure a provvedimenti interni: il Sozialistengesetz sarebbe stato preceduto dalle leggi di maggio, avrebbe dovuto attendere il 1878 e i due consecutivi attentati contro la persona stessa dellimperatore Guglielmo per esser concretato. E rimaneva, per il momento, pure senza costrutto il lavoro preparatorio delle commissioni tedesca ed austriaca che avevano cercato di elaborare piani per risolvere la questione sociale, non accontentandosi di reprimere, ma anche di prevenire. Era stato, questo, il risultato delle discussioni fra il Bismarck e il Beust, nei convegni di Gastein e di Salisburgo, lagosto e il settembre del 71, il cancelliere germa-

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nico daccordo ora che misure repressive contro lInternazionale non bastavano a risolvere la questione sociale, di cui la prima era soprattutto un sintomo1557 ; il Beust pi che convinto che la repressione sola non bastava, e occorreva invece organizzare anche una controinternazionale che lavorasse al di fuori dei governi1558 , studiare i modi migliori per opporre una diga di interessi conservatori alle passioni di chi vuol distruggere ogni ordine governativo. Occorreva favorire e proteggere le pretese degli operai, nel limite della giustizia, promuovere le associazioni in cui essi trovino vantaggi reali e duraturi: togliere, cos in una sola parola, dalle mani dei sovvertitori larma di cui si valgono per mantenere ed usufruttare il malcontento nato da molteplici cause nello sviluppo odierno delle imprese e delle industrie1559 . Su questa base, accettata dal Bismarck, si sarebbero dovuti svolgere i lavori di commissioni austro-tedesche, come preparazione di una vera e propria commissione internazionale da proporsi agli altri governi. In realt, anche i due memorandum del Beust erano rimasti senza seguito immediato1560 ; e solo nella primavera del 72, dopo la proposta spagnuola, si passava allattuazione pratica, mediante la creazione di due commissioni, una tedesca e una austriaca, le quali, dopo lavori preliminari separati, dovevano riunirsi in una conferenza a Berlino1561 . La conferenza ebbe luogo, dal 7 al 29 novembre, a Berlino, e concluse, in effetti, per misure preventive e non repressive1562 ma tutto fin l, senza traccia immediata nemmeno nella legislazione interna dei due paesi, e senza naturalmente che fosse mai pi questione di convocare attorno ad un tavolo i rappresentanti delle altre grandi potenze1563 . Cos, non cera proprio da sperare o temere alcuna azione generale europea: bisognava che ciascuno se la sbrogliasse da s, siccome faceva daltronde il governo italiano, che procedeva, specie sulla fine del 1872, a scio-

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glimenti di circoli e associazioni repubblicane e socialiste nelle Marche, a Genova, in Toscana soprattutto. E ad accrescere le inquietudini, cominciavano a sopravvenire, oltre gli scioperi, oltre le informazioni dallestero accennanti a grossi pericoli per lItalia1564 , anche altri eventi o annunci di eventi particolarmente atti ad impressionare uomini di governo dalla sincera ed ardente fede monarchica: vale a dire, gli attentati ai sovrani. Proprio quando gli scioperi in Italia stavano per giungere al punto massimo, proprio allora, a sera tarda del 18 luglio 1872, il re di Spagna, un Savoia, sfuggiva per miracolo alle fucilate sparategli contro da cinque individui. E come per gli scioperi le inchieste sboccavano nella constatazione dellindubbio intervento dellInternazionale, cos per lattentato pochi giorni appresso perveniva da Londra la notizia chesso era stato preparato nella capitale inglese, senza dubbio ad opera dellInternazionale la quale, col regicidio, voleva provocare una rivolta in terra iberica1565 . Questera un fatto, una realt che dava valore anche alle altre frequenti voci di preparativi di attentato, contro questo o quel sovrano1566 : nessuna meraviglia che, sul finire del 1872 e ai primi del 73, a Roma si prendessero molto sul serio le notizie da Londra su di un imminente attentato contro Vittorio Emanuele II, e si ordinasse la massima vigilanza su tutti i sovversivi anche sui movimenti di Ricciotti Garibaldi, proprio allora in Inghilterra e sempre sospetto di trame con lInternazionale1567 . Cos si alimentavano i timori; e salternavano fiducia e ansie, ottimismo e primi dubbi. Tra questi due poli, il senso fortissimo della libert e le apprensioni di fronte alle oscure forze che si agitavano in basso, tra lalternarsi de timori e delle considerazioni ottimistiche sulla mancanza di materia infiammabile in Italia1568 doveva dora innanzi muoversi la politica italiana: anche la politica estera, per quanto almeno su di essa rifluissero i grandi problemi interni. Ond che come nella stampa

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crescevano le preoccupazioni per lInternazionale e dallanimo di molti uomini del ceto dirigente non sestirpava pi la diffidenza per quel che poteva, anche improvvisamente, erompere dal basso1569 , e agli ormai vecchi epigoni dellimmaginoso fraseggiare romantico la mano dellInternazionale appariva tratto tratto sulle pareti della moderna societ, simile alla mano tragica della cena di Baldassarre1570 e quando savevano in pugno operai colpevoli di cospirazione, dopo i tentativi insurrezionali del 74, si colpiva duramente, e il Pubblico Ministero ne parlava come di melma sociale1571 ; cos sempre pi sinfittivano i carteggi mnisteriali, in cui venivan innanzi i nomi dei grandi agitatori talora, anche di presunti grandi rivoluzionari segnalati da Palazzo Braschi alla Consulta e da questa alle legazioni allestero, soprattutto a Londra: nomi di persone che dovevan essere vigilate e pedinate, perch a Roma si potesse essere tranquilli. E pertanto oggi a chi consulti glincartamenti della corrispondenza ordinaria fra Roma e Londra, vien fatto di osservare, non senza una iniziale meraviglia, come, sovente, una parte non esigua, quantitativamente, dei dispacci e dei rapporti non contempli grandi problemi di politica internazionale, e tralasci i nomi di Gladstone e Granville, per soffermarsi invece sullandirivieni Londra-Parigi-Ginevra e Londra-Bruxelles o Milano-Londra di uno fdi questi errabondi propugnatori del verbo proletario. Vera cos il pericolo che, senza ripudiare i princpi della libert, anzi riaffermandoli con fermezza, e senza dunque passare minimamente nel campo della reazione, la politica estera del giovane Regno risentisse, tuttavia, di diffidenze, di sospetti e di uninquietudine vaga ma reale, tali nellinsieme da inclinare i governanti con maggior simpatia verso le cosiddette potenze dellordine, garanti sicuri della conservazione dello status quo politico-sociale, cio monarchico-borghese, dellEu-

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ropa. Il conservatorismo auspicato dal Minghetti diventava, insensibilmente, una realt: un motivo di pi per il riavvicinamento alla Germania imperiale e il distacco dalla Francia. La quale, senza dubbio, era conservativa assai, anzi reazionaria nella maggioranza dellAssemblea Nazionale eletta nel febbraio del 71; era conservativa e reazionaria nei suoi ceti rurali, nella nobilt e in parte stessa della borghesia: tant, essa doveva apparire minacciosa al giovane Regno, negli anni immediatamente seguenti il 70, come centro della reazione cattolica, ch come dire minacciosa allunit dItalia. Ma se in quei primi anni dopo il 70 la Francia appariva nel complesso conservatrice, cera sempre lombra sinistra della Comune, sul fondo; e poi, rapidamente, fu Gambetta, fu lappello alle nouvelles couches sociales, fu la repubblica del 76, fu lapparire trionfante del radicalismo, agli occhi dei moderati italiani parente prossimo, assai assai pi di quanto non fosse in realt, del socialismo e del sovversivismo. E risorse quasi subito limmagine della Francia come della nazione che passava, a sbalzi improvvisi, dalla reazione allanarchia, dal terrore rosso al terrore bianco, atta a tutti gli estremi, irrequieta e instabile, capace di alimentare in un prossimo futuro nuovo fuoco rivoluzionario. Fille ane de lEglise et mre de la Rvolution1572 ad un tempo, la Francia spaventava allora nelluna veste, quella clerico-reazionaria, tutti indistintamente i partiti italiani, e, nellaltra, quella radicale, almeno gli uomini della Destra, i moderati1573 , che potevano sentirsi pi tranquilli, dal punto di vista dellordine e della tranquillit interna, guardando a Berlino e a Vienna. Non a caso il pi feroce antiinternazionalista fra i diplomatici italiani era, anche, il pi accanito sostenitore dellalleanza prussiana. Il conte de Launay, infatti, non nascondeva mai al Visconti Venosta il suo modo di vedere, assai spiccio e perfettamente analogo a quello del suo

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collega francese di Pietroburgo, il generale Le Fl, chera stato daltronde il ministro della Guerra nel governo versagliele durante la Comune1574 agire con la forza. Altro che le sedute delle commissioni di tecnici e di professori universitari e di giuristi, che studiassero il rimedio al male!1575 Dati i tempi e i costumi, unica cosa salutare era svir avec nergie1576 . Pugno di ferro. Atteggiamento logicissimo in un uomo che, prima ancora si parlasse dellInternazionale, gi deplorava le soverchie discussioni alla Camera italiana, di cui accusava lesprit aussi peu pratique, gi profetizzava funeste cose al parlamentarismo e a chi su di esso poggiasse1577 ; in un uomo il quale si associava al parere del Guizot: de nos jours ce nest pas la libert qui a besoin de dfenseurs, mais lautorit Autoritario e antisocialista, il de Launay dimostrava, con il suo esempio personale, come avessero ragione coloro che temevano, per effetto della Comune, londata reazionaria. Certamente, nessuno degli uomini al potere in Italia, e nessuno anche di quegli altri moderati che ne avrebbero raccolta la successione nel 73, nessuno fra i Lanza, i Minghetti, i Visconti Venosta, a tacere dei Sella, avrebbe mai fatto suo lautoritarismo del savoiardo: solo un altro savoiardo, il Menabrea, avrebbe potuto sottoscrivere ad espressioni del genere, sicuro, anche, di trovarsi in piena conformit didee col suo re, il quale aveva temuto che Thiers non si lasciasse trascinare da tendenze alla conciliazione, da riguardi verso le bande di Parigi. Nous avons ... trente ou quarante mille de ces misrables chez nous, et je sens quil faut tre nergique contre eux1578 . Ma che nessuna sfumatura in senso conservatore sinfiltrasse nella politica italiana e anche nella politica estera, dovera facile che il conservatorismo si ammantasse di altre motivazioni e fosse confortato da ragionamenti di interesse diplomatico e finisse quindi con lessere accolto, in perfetta buona fede, da uomini sinceramente devo-

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ti allidea e alle istituzioni liberali: che questo non avvenisse, proprio in nessun modo, era altra questione. Tanto pi perch coloro che cominciavano ad agitare fra le masse il problema sociale, agitavano anche quello istituzionale, la monarchia apparendo baluardo degli interessi dei ceti cosiddetti privilegiati e la repubblica una necessit per la vittoria dei lavoratori e lattuazione del nuovo ordine. Riappariva cos, sempre, lo spettro della repubblica la quale, sorgesse pure ad opera dei mazziniani, era sempre la rivoluzione, lanarchia, la rovina di tutto. Il pericolo repubblicano, pi antico, apparve ancora sempre maggiore, assai maggiore del pericolo sociale vero e proprio: e questa fu la preoccupazione pi grave, sin verso il 90; e la preoccupazione anzi sal di tono dopo il 1878, condusse, fra il 79 e l81, ai giudizi pessimistici di Italiani e di stranieri sulle sorti prossime della monarchia, ripercuotendosi anche direttamente sulla situazione internazionale dellItalia. Ma non veran da attendere il 1882 e la conclusione della Triplice Alleanza per scorgere il peso delle preoccupazioni conservatrici sulla stessa politica estera. Gi negli ultimi mesi del 1870, la repubblica in Francia volle dire parteggiare dei cavallottiani per essa e, invece, un certo intiepidire delle simpatie filofrancesi nei moderati, anzitutto nel Bonghi1579 , e addirittura il passar deciso di altri a simpatie filoprussiane1580 . N era questione soltanto di giornali e di opinione pubblica. Nellautunno del 1870, proprio in sullinizio della vicenda storica di cui ci occupiamo, le preoccupazioni di politica interna avevano pesato concretamente sulla politica estera, con laccettazione della corona regale di Spagna da parte del duca dAosta. Largomento che aveva vinto le molte esitazioni del Visconti Venosta era stato infatti lo spauracchio della repubblica, in cui altrimenti la Spagna sarebbe precipitata. Una repubblica spagnuola di per s non era cosa da commuovere; ma

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la situazione generale europea era mutata dal momento del primo rifiuto del duca, era mutata anche dal luglio, quando il governo italiano sarebbe gi stato disposto ad accettare, per salvare la pace europea, seppellendo lincidente Hohenzollern1581 . ... la repubblica a Parigi e la. Repubblica a Madrid costituiscono un fatto di cui un governo prudente deve preoccuparsi. N vale il dire che la repubblica in Francia sar del tutto effimera. Le varie frazioni dei partiti moderati francesi, sono ora disposte a unirsi intorno alla forma repubblicana siccome a quella che meno li divide ed quindi pi atta ad assumere la responsabilit della pace e a sanare le piaghe della guerra. Se ci avviene la repubblica durer in Francia per un periodo alquanto prolungato di tempo. Che se la repubblica cade del tutto nelle mani del partito estremo essa si far allora propagandista e se non ci creer dei serii pericoli, per lo meno ci sollever degli imbarazzi e delle difficolt considerevoli.1582 . Questi, dunque, i motivi della decisione del Visconti Venosta1583 , che non pensava nemmeno lontanamente di porre in tal modo le premesse di una politica di grandezza mediterranea, chera tutto preoccupato, specialmente dopo lingresso a Roma, di non andare incontro ad alcun rimprovero, ad alcuna accusa di ambizione inquieta ed incontentabile1584 , che non si sognava nemmeno di svolgere una politica di accerchiamento dalle Alpi ai Pirenei, creando difficolt alla Francia, anzi, prima di decidere, si preoccupava di ottenere lassenso anche del governo francese alla candidatura del duca Amedeo1585 . Gi allora, dunque, preoccupazioni in senso monarchico-conservatore, confortate dallappoggio dellInghilterra1586 , avevano ispirato la decisione, con gran piacere del duca desiderosissimo della corona regale1587 e con plauso dei moderati, ai quali sembrava proprio necessario impedire che la Spagna si ordinasse a repubblica1588 .

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Capitolo Quarto Presente e avvenire

Motivi vecchi e motivi nuovi sintrecciavano cos nella vita morale e spirituale degli Italiani, gli uni collegando le giovani e le vecchie generazioni, il 48 e il 70, gli altri preannunziando diversi sviluppi e differente futuro. Per meglio dire, i vecchi ideali continuavano a signoreggiare, libert e nazionalit sempre costituendo il fulcro della vita italiana: ma gi si avvertivano, nella interpretazione di essi, accenti da quali trasparivano, come limporsi di nuovi problemi e lavvento di forze storiche almeno parzialmente diverse da quelle del 48 e del 59, cos le possibilit di sviluppi anche ideologici capaci di portare assai lontano dalle antiche mte. La libert: era sempre il motivo che dava il tono dinsieme allepoca. Che gli stessi ammiratori della potenza germanica ritenessero, cos pensando e scrivendo, di servire la causa della libert, dianzi conculcata dal tirannico figlio dOrtensia, era gran prova di quali fossero gli ideali degli Italiani attorno al 70; e che la loro fosse illusione, nulla toglie alla seriet del convincimento, cos come poco importa che nuovamente essi singannassero nel considerare il Kulturkampf come affermazione del libero pensiero e del libero volere umano in lotta contro loscurantismo cattolico, e nel volere, perci, un Kulturkampf anche in Italia. Nellun caso e nellaltro essi imprestarono al cancelliere germanico i loro sentimenti e le loro idee: cosa, appunto, di gran peso nel dichiarare quale fosse la loro vita spirituale. Libert, sovranit popolare: e parlando di sovranit popolare la si interpretava ancora nel vecchio senso rousseauiano, e parlando di democrazia, la si volesse o la si avversasse, si credeva ancora allazione diretta, immediata del popolo, siccome dimostrava lo stesso insistente ap-

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pello ai plebisciti come espressione della libera volont nazionale. Gaetano Mosca non era ancor giunto a negar fede a questi miti e a parlare delle minoranze organizzate e capaci, della classe politica unica vera attrice di storia. Fede nella libert: e gli uomini di governo, i moderati, ne offrirono prova decisiva in un momento particolarmente difficile per la nazione italiana, in pieno infuriare di agitazioni clericali, rifiutando di porsi sul terreno della lotta violenta contro il Papato su cui pure voleva spingerli il Bismarck. In quei due critici anni, fra la primavera del 7 3 e la primavera del 75, gli uomini della Destra mantennero fede alla religione della libert; e per mantenere tal fede non esitarono a correre il certo rischio di alienarsi lanimo del cancelliere germanico, che pure appariva loro, in quei frangenti, lunico sicuro e solido sostegno dellItalia nellEuropa. Analoga prova essi diedero, rinunziando a ricorrere ad una legislazione restrittiva nei confronti dei seguaci dellInternazionale. E pure, questo era un detestatissimo mostro. Di fronte alla Chiesa cattolica e al Papato, la grandissima maggioranza dei moderati, di animo cattolico, convinta della necessit della forza del sentimento religioso per una societ bene ordinata, era nellatteggiamento di chi debba sopportare un doloroso e fatale periodo di contrasti, ma senza dismettere mai la speranza di un avvenire senza contrasti, con le due parti pacificate e rispettose luna dellaltra. Ma di fronte alla propaganda dei sovversivi, lavvenire se mai impauriva assai pi del presente: qui, nessun accordo possibile, n ora n mai; qui, veramente, la prospettiva di una lotta indefinita e senza quartiere. Qui anche, perci, il primo evidente irrigidirsi del pensiero liberale, comera stato elaborato dallOttocento occidentale; qui, il precisarsi delle sue colonne dErcole, almeno per qualche decennio e nonostante le voci di chi premeva perch sandasse oltre; qui, labbando-

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no di ogni lievito rivoluzionario e il conservare come parola dordine; qui, i primi dubbi se proprio gli ideali del 1789 dovessero considerarsi come ideali di valore assoluto, eterno, da far trionfare sempre e dovunque, traendone tutte le conseguenze, oppure se non fosse necessaria minore assolutezza di principi, minore consequenziariet logica, e invece discrezione senso della misura equilibrio, cio ancor sempre giusto mezzo. Lavevano gi detto i liberali francesi della Monarchia di Luglio e i moderati italiani prima del 48; e ora, chiuso il ventennio rivoluzionario, in cui anche i moderati avevano dovuto procedere pi rapidi di quel che non fosse stato nei loro programmi, si tornava ai vecchi amori, a met strada tra rivoluzione e reazione. La Comune di Parigi era l ad ammonire che bisognava far presto a porre degli argini. Soltanto, crescevano le nuove forze sociali che avrebbero voluto fare alla borghesia quel che la borghesia aveva fatto alla nobilt dell891589 ; la Comune, era gi qualche cosa di molto pi grave del giugno 48, Mare era altro combattente dei sansimoniani e del Fourier: e perci, dunque, anche il principio del giusto mezzo accentuava ora il suo carattere conservatore, si nutriva di preoccupazioni pi forti e rischiava di diventare assai pi rigido e fermo su posizioni preordinate di quanto non convenisse alla sua stessa natura di ricerca elastica delle soluzioni medie fra i vari estremi. Qualcosa di simile avveniva anche per laltra grande parola del Risorgimento. Il principio di nazionalit rimaneva certo ancora, nelle questioni internazionali, lunico capace di suscitare entusiasmi, di far avvampare passioni popolari. Questo, era stato il motivo a cui aveva fatto appello e in cui aveva trovato la sua giustificazione il patrio riscatto; questo, continuava a risplendere come da un alto faro. Lantica fiamma rimaneva viva, anche se non intendesse pi illuminare la via a tutte le genti, bens soltanto alla

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gente italica; e lo document, per gli anni di cui ci dobbiamo occupare, lirredentismo, che da questo punto di vista volle dire il continuare nellItalia di fine secolo dellItalia del 59 e del 66 e, tenendo desto lideale della nazionalit, anche in contrasto con la politica ufficiale dei governi, mantenne il terreno propizio per lultima grande impresa dellItalia liberale e nazionale del Risorgimento, la guerra contro lAustria-Ungheria del 1915-18. Ma anche questideale stava perdendo il suo impulso rivoluzionario primitivo, rinunziando agli antichi sogni di unEuropa completamente nuova; anche esso lasciava cadere ogni estremismo e si acconciava al giusto mezzo. Il quale giusto mezzo aveva nome, ora, equilibrio europeo, necessit generali della vita internazionale, pericolo di rovinar tutto a voler esser troppo consequenziari nellapplicazione dei principi: bisognava sposare il principio di nazionalit con quello di equilibrio, diceva apertamente il Marselli e ripetevano quasi tutti gli altri. Per i moderati, era atteggiamento logicissimo, invece della rivoluzione il riformismo e star contenti ora che sera messa a posto casa propria. Per molti uomini della Sinistra labbandono dei sogni universali di Mazzini e di Cattaneo era meno logico e coerente con lantico sentire: ma era proprio questa la prova che lo spirito rivoluzionario era finito. Lucido puro e perenne era apparso al Cattaneo il principio della nazionalit1590 ; ma anche di esso ora si dubitava che potesse proprio esser preso sempre a guida assoluta dellagire politico, e purezza e perennit si trasformavano in compromesso e in momentaneit; caso per caso, patteggiando con lequilibrio europeo e la situazione internazionale dellora. Che in Francia Albert Sorel valutasse il principio di nazionalit alla stregua di uno dei tanti mezzi di cui si vale la politica, per coprire con un manto ideale interessi molto precisi e concreti, non era poi gran meraviglia: troppa parte del pensiero e dellopinione pubblica fran-

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cese era stata sempre o indifferente o avversa alle nazionalit, Michelet Quinet e i democratici erano stati anche per questo aspramente combattuti, e un quindicennio prima del Sorel il principio di nazionalit era gi stato battezzato une grosse blague, una semplice macchina da guerra e da rivoluzione, un luogo comune da un uomo di diversissimo sentire quale il Proudhon1591 . Ma in Italia, dove anche i moderati avevano dovuto accettare la parola di Mazzini, diventando da federalisti unitari e sventolando il diritto della nazione, sino a Roma; in Italia, dove il principio di nazionalit costituiva la ragion dessere della nuova vita comune, in Italia ebbero suono inconsueto le scettiche parole con cui nel 1882 Gaetano Mosca non solo insisteva sulla forza, la forza brutale, come uno dei maggiori fattori della costituzione delle nazioni, ma, soprattutto, svuotava anchegli? il principio di nazionalit del suo valore assoluto e ideale, per farne una macchina da guerra. I governi lo applicano come torna loro comodo. Quando si deve fare la guerra, ci vuole una ragione; in mancanza di meglio, il principio di nazionalit potr sempre interpretarsi in modo da fornire qualche ragione: cos va il mondo nel secolo decimonono1592 . Erano senza dubbio, le nuove esperienze europee di dopo il 70, soprattutto il giuoco troppo visibile di interessi delle grandi potenze attorno alle nazionalit balcaniche, i patteggiamenti e i compromessi e il Congresso di Berlino del 78; era, parimenti, lessere arrivati per proprio conto, la volont di conservare lacquisito senza comprometterlo in avventure rischiose: ma, comunque, fosse la lezione delle cose fosse il naturale desiderio di conservare, la fede nel principio sintiepid e cominci a smarrire quel carattere di assoluto che ne aveva fatto, in Mazzini, una religione. La lezione della realt induceva ad abbandonare il messianismo rivoluzionario generale; indusse invece a guardar soltanto a s stessi, a pensare alla propria forza e

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potenza. Dal principio di nazionalit la via era aperta per lo sbocciare del futuro nazionalismo, che era tuttaltra cosa e che trov zelatori focosi anche nei paesi che, in effetti, meno avevano esaltato il diritto delle nazioni, a cominciare da Francia e da Inghilterra. Tale, dunque, il confluire dei motivi vecchi e nuovi. Come essi si sarebbero configurati e precisati, questo era il segreto dellavvenire. Vogliamo dire, che non era ancora fatalisticamente deciso che proprio la nazionalit divenisse nazionalismo e la missione di Roma dalla scienza trascorresse alla potenza; la via non era tracciata ex aeterno, e soprattutto non era una via che potesse svolgersi soltanto fra le Alpi e gli Appennini. I vari motivi potevano svolgersi, intrecciarsi, signoreggiare luno e declinare laltro, a seconda si svolgessero le cose anche al di l delle Alpi; ideali e forze dovevano commisurarsi non solo alla vita italiana ma anche alla vita europea: come la paura del prossimo diluvio universale veniva nuovamente eccitata, nel 71, da un fatto non italiano, la Comune di Parigi, cos lo scetticismo sui grandi principi e il riconoscere come ultima dea la forza erano ripercussioni anche italiane di un pi generale atteggiamento europeo. Gli uni e gli altri motivi, che si sono partitamente analizzati, traevano alimento dallesperienza generale dellOccidente, non solo da quella italiana, e sintrecciavano poi insieme, agivano luno sullaltro nel fluire generale del processo storico divenuto veramente, come pronosticava Renan sin dal 1870, una specie di oscillazione tra questioni patriottiche e questioni democratiche e sociali1593 . E pot pure succedere che certe tendenze, idee, sentimenti che nel 70-71 e ancora negli anni immediatamente successivi erano quasi propriet di una determinata parte politica divenissero poi, col tempo, retaggio della parte opposta; che, cio, ferme restando quelle tendenze e idee, esse venissero abbandonate dai primitivi propugnatori e passassero in dominio di coloro che,

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una volta, le avevano avversate. Era proprio il caso per latteggiamento pro e contro Germania e Francia. Gi nel 1870 la proclamazione della Repubblica a Parigi, se aveva conciliato alla causa francese i democratici cavallottiani, aveva talora leggermente intiepidito, ma talora addirittura fatte svanire le simpatie francesi di parecchi moderati. Bonghi e La Perseveranza avevano soltanto deplorato la leggerezza e sventatezza francese; ma Civinini e La Nazione eran passati risolutamente nel campo opposto. Furono le prime evidenti ripercussioni dei motivi ideologici sullatteggiamento dei partiti in fatto di relazioni internazionali; e lo sviluppo ulteriore degli eventi doveva accentuare assai di pi questo inevitabile intreccio tra problemi interni e problemi esteri. Taluni rimasero certo fedeli agli antichi ideali, nelluno e nellaltro campo: Bonghi e Visconti Venosta al ricordo di Magenta e di Solferino e alla diffidenza radicale verso il bismarckismo1594 ; Crispi, alla sua antica avversione contro le pretese di superiorit francese e allantico convincimento che lItalia, per essere grande, dovesse scuotersi di dosso la soggezione alla politica e alla civilt di Francia. Ma i pi, come suole, mutarono tendenze col mutar dei tempi. Le simpatie per la Germania bismarckiana, cos vive nei gruppi di Sinistra ancora al tempo del Kulturkampf, alimentate, fra il 71 e il 74, dalle manifestazioni clerico-reazionarie dellAssemblea nazionale francese, vennero poi rapidamente scemando, tosto che alla Francia del duca di Broglie successe la Francia di Gambetta, alla Francia dellordre moral la Francia del libero pensiero e della democrazia; e fini che la Triplice Alleanza raccolse i suoi maggiori suffragi tra i conservatori, mossi da preoccupazioni interne a guardare con gran premura alle monarchie dellordine e con timore alla Francia repubblicana e radicale, e che i democratici brindarono invece alla fratellanza latina, una volta invocata dai moderati1595 .

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Altri ancora, preoccupati anzitutto del pericolo clericale e della questione romana, timorosi che di l potessero ancor sempre derivare pericoli mortali per lunit dItalia, mutarono a pi riprese il loro atteggiamento a seconda che la Francia sembrasse pi o meno favorevole alla Curia romana, dando pratica dimostrazione della verit di quanto gi in sede diplomatica aveva affermato il Visconti Venosta, essere cio tutta la situazione politica italiana nei rapporti internazionali dominata dalla questione romana1596 : e cos Domenico Farini, avverso prima allordre moral, poi si convinceva e cercava convincere delle simpatie della Francia liberale verso lItalia, si assumeva il compito di intermediario fra Gambetta, Depretis e Cairoli, cercava di indurre Umberto I a recarsi allesposizione universale di Parigi, nel 1878, anche perch cos il re si sarebbe persuaso che la monarchia italiana non aveva nulla da temere dalla repubblica francese, n dalle sue espansioni; anzi lunione dei due popoli poteva tutelare la causa della libert in Europa, difendere ed assicurare gli interessi delle potenze mediterranee1597 ; e poi, dopo Tunisi e forse soprattutto dopo il riavvicinamento fra Leone XIII e la repubblica francese, secondo documenta il Diario, mutava la sua fede nella causa comune in una diffidentissima, implacabile avversione alla Francia rea per lui, come per Crispi, di congiurare col Vaticano contro lunit stessa dItalia. Ma queste sono le segrete vie della Provvidenza nella storia, per cui di volta in volta idee e aspirazioni trovano il portatore pi adatto e, come fiaccola di Maratona, passano di mano in mano senza mutare esse natura. Quel chera invece di notevole gravit per il futuro sviluppo della storia dItalia era, nelle controversie del 70-71, una divisione di gruppi politici legata anche ad una diversit di alleanze con lestero; e non su una diversit in casi concreti, specifici, bens in genere e in astratto, quasi che si trattasse di un a priori della vita politi-

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ca. Allora i moderati in genere erano, per dirla alla popolaresca, francofili e gli altri germanofili; ma, contrariamente a quel che pensava lAmari, illuso che in Italia fosse passata la moda degli amori e odi di l delle Alpi e del mare1598 , rimase costante il fatto di una profonda divisione di animi riguardo alle amicizie da cercare o da respingere con questo o quello Stato estero. Infelicissimo fatto, notava sin da allora il Bonghi perch una corruzione e un pericolo grande, una divisione tra partiti la quale non dipende dalla diversit dei fini che si vogliono raggiungere o dei mezzi che si vogliono cercare, ma dallalleanza estera, alla quale s risoluti di rimanere fedeli. Le alleanze sono istrumenti i quali devono parere indifferenti per se medesimi a qualunque partito nazionale, ed essere usate luna o laltra secondo lopportunit1599 . Lopinione pubblica italiana fu veramente, allora e poi, divisa nelle simpatie per la Germania e per la Francia. Presupposti sentimentali, questioni di princpi, motivi ideologici di politica interna, determinazione a priori degli obbiettivi della politica estera, gli uni riguardando solo lampia distesa del Mediterraneo e la sponda africana, e gli altri pensando solo alle Alpi, tutto ci interferiva nel determinare un siffatto schierarsi in parti opposte. La Francia, voleva dire non soltanto i vecchi legami culturali, il ricordo di Magenta e di Solferino, la borsa di Parigi e i Rothschild, ma anche, e soprattutto, somiglianza di sviluppo politico interno e ripercussioni continue delle vicende dei partiti dellun paese su quelle dellaltro. Sha un bel gridare contro la Francia, scriveva il Nigra al Minghetti. Quelli che pi gridano contro essa, ne subiscono, anche inconscia, lineluttabile influenza. Il 18 marzo [1876] in gran parte il prodotto delle ultime elezioni francesi e dello stabilimento della Repubblica in Francia1600 . Un po come diceva il Tommaseo del Manzoni, che la Francia gli stava sempre negli occhi come esempio o da seguire o da fuggire1601 .

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Tanto che se la politica estera dellItalia si svolse poi essenzialmente nellorbita germanica, la politica interna, sviluppo di partiti e di ideologie, sub invece sempre, linflusso francese: con una stridente contrapposizione, dunque, i cui effetti si poterono valutare pienamente nel 1914-19151602 . Assai pi lontana la vita politica germanica, che poteva al pi offrire motivo di meditazione e suscitare desideri nei conservatori malcontenti del parlamentarismo e vagheggianti anche per lItalia una qualche forma di cancellierato. Anche la cultura germanica, se poteva far presa sul mondo universitario, come fece, non era n fu mai in grado di controbattere il tradizionale e popolare influsso della cultura francese sulla pi vasta cerchia dei ceti dirigenti italiani; e leconomia germanica anchessa solo tardi prese posto di primissimo piano nella vita italiana1603 e la finanza germanica solo sul finir del secolo contrast nella penisola lantica finanza francese. Ma un motivo bastava a contrappesare tutti gli altri insieme: ed era la forza militare tedesca, il mito ormai diffuso della invincibilit germanica. Francia e Germania furono cos veramente i due poli da cui dipendevano la pace e la guerra per il popolo italiano. Nessuna delle altre potenze europee poteva incidere cos profondamente sulla sua vita. Non lInghilterra. La guerra franco-prussiana era un duro colpo per il prestigio britannico: neghittosa e impotente appariva la condotta del governo di Londra; e nessuno si rendeva ben conto, almeno, delle grosse difficolt in cui esso si era contemporaneamente trovato per la vertenza dellAlabama con gli Stati Uniti, che aveva determinato la decisa campagna dei giornali statunitensi a favore della Russia, al momento della denuncia da parte di questultima delle clausole relative al Mar Nero, e perfino le profferte di appoggio del governo di Washington a quello di Pietroburgo1604 . Queste ripercussioni europee

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della politica mondiale della Gran Bretagna erano sfuggite; e rimanevano i fatti, lInghilterra che incassava colpi da tutte le parti, non riusciva a far deflettere di un pollice il Bismarck e doveva sostanzialmente avallare il gesto di forza della Russia ad Oriente. Limpressione era dunque che lInghilterra avesse finito di dirigere la politica europea: e ... uno ... degli effetti dellultima guerra sar questo, che le Potenze continentali non conteranno, o per fare o per impedire, che sopra s medesime. La vecchia scuola di quelli statisti inglesi, che mettevano la gloria del loro paese nellessere sempre a capo delli avvenimenti europei morta, e in suo luogo sono sorti uomini massaj e riguardosi, che ripongono il rule Britannia in una balla di cotone1605 . Queste impressioni dovettero poi dissiparsi, quakido al Gladstone successe il Disraeli e al disinteressamento in politica estera del primo il programma imperiale del secondo. Lo stesso Gladstone, ritornato al potere, mut atteggiamento, e fra l80 e l85 fu il pi sicuro, anche se non molto deciso sostegno della politica estera italiana; e sopravvennero, poi, Salisbury e laccordo italo-inglese del 12 febbraio 1887. Ma anche nei momenti di maggiore intimit diplomatica fra i due governi, lInghilterra non ebbe mai nella vita italiana uninfluenza concreta paragonabile a quella francese o tedesca. Francia e Germania interferivano ogni giorno nella vita anche dei singoli, nella vita spicciola quotidiana, con le mode o i libri e le polemiche dei giornali: lInghilterra era lontana. Rimase come una sorta di tab, idolo a cui tutti rivolgevano un rispettoso inchino, come alla patria della libert e delle istituzioni parlamentari e, contemporaneamente, alla dominatrice dei mari: lincenso lavvolgeva, ma la faceva anche pi estranea. Io sono uomo allinglese1606 , dichiarava Crispi, e tutti i fedeli dellidea liberale avrebbero potuto ripeterlo: ma si era inglesi per principio, e in pratica, mentre i dottrinari continuavano a vagheggiare la lotta politica a due parti-

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ti sul modello britannico, chi influiva concretamente sulle contese interne in Italia erano radicali e socialisti francesi. Quello dellamicizia collInghilterra e del rispetto per lInghilterra era ormai un dogma, che trovava piena espressione nella dichiarazione ministeriale del 22 maggio 1882, questa appendice al primo trattato della Triplice, in cui il governo del Re dichiarava che le stipulazioni del trattato in nessun caso avrebbero potuto considerarsi come dirette contro lInghilterra. E avrebbe potuto sorprendere che proprio la Francia, prima e maggiore cooperatrice alla felice conclusione del Risorgimento, e la Germania, fondata su quella Prussia alla cui alleanza, dopo tutto, era dovuta la Venezia italiana, fossero oggetto dinestinguibil odio e dindomato amor, laddove reverenza soltanto accompagnava lInghilterra, tuttaltro che cooperatrice nel 59, e certo mai impegnatasi direttamente: avrebbe potuto sorprendere, diciamo, chi avesse dimenticato non soltanto le considerazioni politico-militari sulle lunghe e indifese coste dItalia e le citt sul mare e la flotta britannica onnipotente, ma anche il fatto che il tempio della libert era, da quasi due secoli, per il pensiero occidentale, lisola da cui pur di recente era uscito il verbo di Manchester e continuava ad uscire la parola del Gladstone, incarnazione politica del liberalismo di contro al Bismarck. Francesi e Tedeschi erano, anche, ricordo secolare di rapporti continui, di amori e di odi, di contrasti e di guerre; erano tutta la tradizione italiana, dallet del Barbarossa dei Comuni e degli Angi, che continuava nellItalia unita, dando alla nuova vicenda aria quasi dantica. Questa vivezza di passioni mancava di fronte allInghilterra; il farla sorgere era destino dellavvenire lontano quando lincenso si dissolse e il tab acquist anchesso la forma dei comuni mortali. Allaltra estremit dellEuropa, la Russia. Era lontana, geograficamente; perci, le due nazioni non potevano farsi n molto bene, n molto male1607 , annotava il

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Nigra ambasciatore a Pietroburgo. Cera stato s, fra il 76 e l80, in un periodo di asprezze italo-austriache, come un serrarsi di rapporti, tanto da far spesso favoleggiare, nella stampa italiana e straniera, di segreti accordi e addirittura di alleanza italo-russa, di cui sarebbe stato propugnatore il Tornielli. Ma, nellinsieme del periodo di cui ci occupiamo, questa fu una parentesi: pi tardi, invece, lontani geograficamente i due governi lo furono ancor pi politicamente. Ma se fra l86 e il 95 la situazione giunse a tanto da costringere il Crispi infine a cercar una via duscita, ancor una volta ricorrendo al Nigra che, con la sua magia, ripristinasse quel che non cera pi e cio relazioni amichevoli1608 , gi allinizio del nostro periodo, nellinverno 70-71, il governo italiano aveva chiaramente dimostrato come la Russia gli apparisse pi che possibile amica e cooperatrice, come un grosso pericolo mediterraneo contro il quale occorreva erger barriere1609 . I tempi di Salvatore Contarini e del programma di unItalia equidistante tra Inghilterra e Russia, per la salvaguardia proprio dei suoi interessi mediterranei1610 , erano ancora assai di l da venire; e invece le diffidenze verso una qualsiasi politica mediterranea dellimpero russo eran tenute vive di continuo, non soltanto dal dogma dellInghilterra tradizionale amica e dalla necessit di star con lInghilterra sempre, ma dal ricordo della guerra di Crimea e dalle parole del Cavour sul pericolo per lEuropa, per lItalia, per il Piemonte, di un predominio russo nel Mediterraneo. Ora, proprio ora, limprovvisa denunzia russa delle clausole relative al Mar Nero, a fine ottobre del 70, dimostrava come il colosso lontano si protendesse nuovamente innanzi, a conquista e dominio1611 . Niente Russia nel Mediterraneo, soprattutto ora che la guerra del 70 aveva disvelato gli intimi rapporti fra le corti idi Berlino e di Pietroburgo, e, cera quindi da temere il predominio russo-germanico sullEuropa e la fine della libert europea. Un cinquantennio prima, Alessan-

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dro I era stato salutato come novello Messia dai popoli lottanti contro legemonia napoleonica, le fiamme di Mosca apparendo laurora della libert nel mondo1612 ; egli aveva difeso mirabilmente lindipendenza della sua patria e mirabilmente rivendicata lindipendenza dellEuropa, ma, tornato in patria, era stato risoggiogato dalla patria tanto meno incivilita di lui1613 : e da allora limpero degli Zar anzich difenditore di libert era apparso come una nuova incarnazione dello spirito di conquista, e cio un nuovo Napoleone in agguato. La mia ambizione vasta, come lo spazio, ma paziente come il tempo1614 : le parole che Lamartine aveva messo in bocca alla Russia avevano bene riassunto quale fosse latteggiamento dellopinione pubblica occidentale e anche italiana di fronte al grande Stato slavo. Il pericolo in cui lOccidente versava per la moscovita ingordigia dimpero, il Russo in marcia attilesca alla volta di Costantinopoli e di li dittatore selvaggio dellEuropa, era da tempo cagion di spavento; per uscirne, proprio in Italia cera chi aveva pensato a riguadagnare gli aiuti del papato latino, come aveva detto nel 44 il neoguelfo Carlo Troya1615 , mentre altri salutava ora con gioia la creazione della Germania unita, perch la sua emissione internazionale non era gi quella di violare le nazionalit europee, ma al contrario di proteggerle dalle invasioni slave, rigettando la Russia verso lAsia1616 . La Russia, era non soltanto una enorme forza politica, a la barbarie in marcia: l8 febbraio 1855 Cesare Correnti aceva della guerra di Crimea anche una guerra ideologica, lEuropa contro la Russia, la civilt contro la barbarie, la libert contro leroismo della servit1617 , ma anche qui la sua voce era leco di altre e molte voci che da tempo avevano intonata la stessa canzone. LInghilterra contro la Russia voleva dire le due tendenze opposte della civilt, il progresso e la barbarie, la civilt progressiva e la marcia retrograda, aveva detto Cesare Balbo1618 ; e lo stes-

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so Cavour, prima ancora di additare al Parlamento subalpino, il 6 febbraio 1855, il pericolo mortale di un trionfo russo, che era la reazione, il principio opposto a quello del progresso, della costituzione, della nazionalit nuovo sangue vitale del Piemonte e dellItalia, sin dal 48 aveva indicato nello Zar un aperto e potente nemico del Risorgimento italiano, pronunziando anchegli il guai a noi se non si fosse posto un argine insuperabile al torrente barbarico che ci minaccia dal settentrione1619 . ben vero che il Cavour poi, tra il 59 e il 60, aveva diversamente giudicato, apprezzando lindubbio e grande aiuto dato dal governo di Pietroburgo alla causa italiana grazie soprattutto al trattato segreto del 3 marzo 1859 con Napoleone III1620 ; tanto che uno dei suoi pi fidi collaboratori, Isacco Artom, in suoi appunti poteva rivolgersi agli storici futuri perch segnalassero alla perenne riconoscenza degli Italiani i grandi servizi resi dalla politica russa e dalla intera famiglia slava alla causa dellindipendenza italiana1621 . vero anche che gi nelle stesse dichiarazioni del 6 febbraio 55 cera, molto, lintento di far avallare con appelli altosonanti la cambiale in bianco chegli aveva firmato aderendo allalleanza di Crimea. Ma i vantaggi diplomatici dellatteggiamento russo nel 59 erano consapevolezza di pochi; e che per premere sulle immaginazioni Cavour avesse dovuto evocare il pericolo russo, era prova sufficiente di quel che si sentisse e pensasse generalmente dellimpero moscovita. Quelle dichiarazioni pubbliche erano rimaste e continuavano a suggestionare, tanto pi che anche dalla parte opposta, dal Mazzini, giungevano non diverse affermazioni sul pericolo che i cosacchi e lo knut rappresentavano per la causa della libert e delle nazionalit1622 . La Russia: una immensa, massiccia forza di cui si sapeva e non si sapeva, ma che appariva sempre un miscuglio di Europa e di Asia, di Occidente e di Oriente, di civile e di barbaro, corpo vestito alleuropea ed animato

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da spirito tartarico1623 ; non ancora cittadina di pari diritto nel consorzio civile delle altre nazioni, nella comunit culturale europea in cui Tolstoi, Dostoievskij e Moussorski non avevano ancora introdotto la cultura russa1624 . La Russia era ancora Genghiz Khan; lapocrifo testamento politico di Pietro il Grande veniva ancora preso per buono e tirato fuori ogni qualvolta savesse da temere qualche mossa politica del governo di Pietroburgo1625 ; anche quando non saccettasse pi per formalmente autentico, si riteneva che sostanzialmente esprimesse sempre bene i segreti pensieri degli autocrati di Pietroburgo. Se non vero, ben trovato, sera detto nel 64: e sammetteva, s, che la Russia si fosse fatta paziente e si sforzasse di essere civile, ma la si riteneva pi formidabile nel suo raccoglimento che nella sua politica di espansione e di provocazione, pi pericolosa ora che giuocava essa pure con la rivoluzione e con le idee accarezzando le passioni popolari, e parlando parole di emancipazione alla gente che predestina a sue vittime. Prima si chiamava, con orgoglio, la Santa Russia; oggi si chiama la Slava; prima si ammantava con alterezza del suo manto di barbara e di cosacca; oggi si proclama parte di di una gran razza, la redentrice di tutta la razza slava1626 . Ancora alla fantasia dellOriani giovane il cavaliere Sarmata dal galoppo fantastico, ultimo vincitore nella storia dellEuropa, appariva sgraziato come tutti i colossi, bruscamente passato dalla infanzia alla virilit, dalla crudelt della selvatichezza alla ferocia della civilt, privo di tradizioni e quindi di ideali, cresciuto ai confini della vera Europa, e ora impadronitosi di qualche idea europea quasi di contrabbando. La sua era una civilt artificiale; e prima che il sole la schiudesse naturalmente sulla sua immensa superficie, avrebbero dovuto passare altri secoli, n forse il sole vi sarebbe mai stato caldo abbastanza.
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Taluno cominciava a mutare atteggiamento, aspettandosi di vedere ringiovanito il marcio Occidente dallafflusso delle forze slave, vergini e nuove1628 ; taluno dunque cominciava a porgere attento orecchio alle voci che dal mondo slavo salzavano a sua difesa ed esaltazione. Lo aveva gi detto un trentennio prima il Mickiewicz: inferiori dal punto di vista del progresso meccanico, gli Slavi erano superiori dal lato morale; la loro anima si era allargata, in nessun luogo verano cuori cos caldi, unattesa dellavvenire cos ferma. Erano in unattesa solenne; tutti attendevano unidea nuova1629 . Ora, la parola dellesule polacco, che aveva contrapposto allo spirito terribile della Russia lo spirito cristiano della sua patria, veniva ripresa proprio dai Russi: e il grande archimandrita del movimento slavo, il Katkoff, aveva annunziato limminente rivelazione della Russia sotto un aspetto nuovo, il suo cessare di essere una cupa potenza asiatica per diventare una forza morale indispensabile allEuropa, realizzando quella civilt greco-slava destinata a completare la civilt latino-germanica che, altrimenti, sarebbe rimasta fatalmente imperfetta ed inerte nel suo sterile esclusivismo1630 . E Dostoievskij incalzava proclamando che la Russia era non la vecchia Europa, ma la nuova, giovane, forte Europa in cammino, e che ad essa spettava di pronunziare la parola nuova per consacrare finalmente la fraternit di tutti gli uomini1631 . Ma queste appunto erano le parole di emancipazione che, agli Occidentali, sembravano semplice e tenue velo per ammantare le smisurate ambizioni politiche e la volont di dominio. Gli appelli alla nuova civilt mascheravano ancor sempre il vecchio spirito di Genghiz Khan; il panslavismo era lultima incarnazione dello spirito di conquista. Come tale, esso minacciava direttamente anche lItalia: brindisi come quello portato, in una festa al casino croato di Fiume allinizio del 71, allimperatore di Russia, che solo avrebbe potuto assicurare col suo do-

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minio la prosperit del litorale adriatico1632 , provavano che la propaganda russofila attecchiva fra gli Slavi, persino sullAdriatco. Non solo quindi timori di una generica supremazia russo-tedesca sullEuropa; nemmeno solo i timori gi pi precisi per lirrompere della Russia nel Mediterraneo orientale; ma, addirittura, il pericolo di una Russia nellAdriatico. Lavversione ideologica alla Russia degli Zar e dei deportati in Siberia, la diffidenza contro lo spirito tartarico, le gnie asiatique, la semibarbarie della vita russa, tutti questi motivi generali del pensiero dellOccidente europeo acquistavano cos precisione di contorni politici, divenivano problema vivo e grave di rapporti internazionali. La grande Russia e il pi grande panslavismo piacevano assai poco agli uomini politici italiani, Minghetti Visconti Venosta e Crispi non dissimili nel giudizio1633 . Il Robilant fu, in questo, interprete di un pensiero comune: ... non nutro malanimo di sorta contro la Russia: ma ... non posso guardare con indifferenza il suo avanzarsi nella penisola balcanica, perch un solo nuovo passo di pi chessa avesse a fare in quella direzione, avrebbe per noi le pi gravi, forse anche irreparabili conseguenze. Ci salta agli occhi di chiunque non sia cieco1634 . Balbo laveva gi detto: ad una Russia padrona dellOriente europeo, preferibile, molto preferibile lAustria, sia in nomedellinteresse italiano, sia in nome dellinteresse cristiano, cio della comunit dei popoli1635 . Il programma delle Speranze dItalia, via libera allAustria verso Oriente e lAustria fuori dItalia, aveva strettamente allacciato preoccupazioni di italiano e preoccupazioni di europeo, la causa specifica dellindipendenza della penisola e la causa generale della cristianit, minacciata di un grandissimo regresso in caso di preponderanza russa in Europa per levidente inferiorit della civilt moscovita che avrebbe voluto ridurre al proprio livello le altre civilt1636 . Linteresse dellItalia faceva tuttuno con quel-

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lo dellEuropa: ed era di opporre una barriera alla Russia. Perci, allontanare lAustria dallItalia, ma tenerla bene in piedi, a guisa di antemurale che nella valle del Danubio e nei Balcani proteggesse lEuropa dalla marea slava. Ora, nel generale venir meno dello spirito rivoluzionario e nel sovrastare del moderatismo, che con i suoi metodi e fini acquistava a s gli uomini della Sinistra, le idee del Balbo trionfavano. Non solo perch inorientarsi dellAustria e suo abbandono delle terre ancora irredente vennero, da allora in poi1637 , costantemente abbinati, sia nei comizi popolari e nei commenti dei giornali fra il 76 e il 78, sia, addirittura, in quellarticolo I del trattato separato italo-austriaco del 20 febbraio 1887, negoziato proprio dal conte di Robilant, e destinato a diventare larticolo VII della Triplice edizione definitiva, che era bene, con la formula dei compensi, lapplicazione diplomatica del vecchio principio delle Speranze dItalia. Ma anche perch la necessit dellesistenza dellAustria, il mostro tanto odiato da Mazzini, la grande nemica del Risorgimento, divent un assioma per tutti gli uomini politici italiani, Crispi e Cavallotti compresi. LAustria elemento di civilt verso lOriente, lo ripeteva Crispi sulle orme di Balbo. Alla vecchia paura del dilagare russo sullEuropa saggiungeva ora, dopo la guerra franco-prussiana, il timore per una troppo schiacciante potenza germanica. Lo disse apertamente, sin dal 71, La Perseveranza. LAustria, certo, rappresenta la negazione del principio di nazionalit; e noi non abbiamo mai avuto molta simpatia per essa. Ma oggi la situazione impone un giudizio che prescinda anche dalle simpatie, perch li straordinarj eventi delli ultimi dieci mesi hanno per tal modo mutato faccia al mondo e sconvolto lequilibrio delli Stati, da far riguardare come un pericolo serio la eventuale scomparsa

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della monarchia delli Asburgo, o anche solo il suo ulteriore indebolimento1638 . Se i Tedeschi dellAustria si congiungessero alla Germania, questa ultima, gi troppo poderosa, acquisterebbe una forza eccessiva, mentre lo stato asburgico, ridotto alle sue parti ungaro-slave, cadrebbe al rango di potenza di secondordine e lequilibrio europeo, cos enormemente sbilanciato dallultima guerra, ne sarebbe sconvolto affatto, e lItalia si troverebbe ad avere presso a s, sullAdriatico, la giovane e vigorosa Germania, colla quale ogni gara pacifica, come ogni eventuale ostilit, sarebbe assai pi ardua che collAustria. Ecco quindi come nellinteresse di tutta lEuropa, e pi specialmente nellinteresse nostro, noi non possiamo vedere senza apprensioni il progressivo decadimento della potenza austriaca1639 . Queste idee, nel 71 erano solo dei moderati; ma non passarono molti anni e anche i pi accesi amici della Germania, Crispi per primo, si convinsero che dellimpero tedesco era meglio essere amici s, ma non a immediato contatto. Alla vecchia funzione antislava che i moderati del Risorgimento avevano assegnato allimpero asburgico, saggiunse dunque una funzione se non proprio antitedesca, almeno di servir da cuscinetto tra lItalia e il troppo vigoroso impero degli Hohenzollern1640 . Dunque, necessit dellAustria. Non molti, forse, avrebbero pensato come il conte di Robilant che per nessunaltra questione sarebbe tanto necessario allItalia il tirar la spada e limpegnare tutte le sue forze quanto per quella, se mai fosse sorta, di difendere lesistenza e la potenza dellAustria1641 ; ma convinti che limpero asburgico rispondesse ancora ad unalta necessit europea e anche italiana, questo si lo pensarono quasi tutti1642 . Cera bens, con lAustria, la questione di Trento e Trieste, sempre aperta anche quando non se ne parlasse. Lideale della nazionalit poteva essere limitato, at-

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tenuato, svuotato del suo valore rivoluzionario generale; ma era ancora lunico principioideale che potesse essere evocato a sostegno morale di una politica. Non ancora i sogni dimpero e lo spazio vitale, non la necessit di respiro sullOceano; ma, sempre, la nazione, lo Stato nazionale, completo di tutte le sue terre e di tutti i suoi figli: e dunque, nonostante tutto, lItalia del Risorgimento che continuava, i padri che additavano la via ai figli e ai nipoti. Come uno di quei corsi dacqua carsici irredenti che appaiono e scompaiono, ma continuano a fluire anche sotterra1643 , cos il motivo delle terre ancora da redimere poteva esplodere nei comizi popolari, nelle invocazioni e invettive carducciane, nella propaganda dei circoli irredentistici, o poteva essere taciuto, talvolta anzi ufficialmente sconfessato dagli organi responsabili di governo: nessuno poteva ignorarlo, e nessuno infatti lo sconfess nel suo intimo, anche coloro i quali ritenevano follia sbandierarlo sulle piazze e si affidavano al tempo che apportasse la soluzione. Una soluzione, che appagasse lItalia ma senza far crollare lAustria. Perci, quando occorresse perfino unocchiata amichevole alla Russia la quale, a sua volta, contenesse gli Asburgo; perci preoccupazioni e avversioni a che lAustria da sola si ingrandisse ulteriormente nei Balcani e dilatasse ancora la sua potenza sullaltra sponda adriatica, perch simili ingrandimenti e accrescimenti rischiavano di rendere sempre pi aleatoria la possibilit del compromesso finale. Status quo, in attesa del momento propizio per conciliare luna e laltra cosa, espansione ad oriente dellAustria e rettifica dei confini verso lItalia. Soltanto, questa linea politica che, tutto sommato, aveva una sua logica e coerenza intima, cercava di conciliare senso dellequilibrio europeo e spirito di nazionalit, ragionamentoe passione; e il calcolo politico doveva continuamente urtare contro la immediatezza del sentimento, lopera di governo contro il grido di passione

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italica per Trento e Trieste. Il calcolo voleva unAustria forte, non tanto da poter respingere, in date circostanze, lamicizia italiana anche a costo di cessioni in Val dAdige e oltre Isonzo, ma abbastanza per impedire uno sconvolgimento generale della situazione danubiana. Il sentimento, parlava non solo di Trento e di Trieste, ma anche della vecchia nemica del Risorgimento: lAustria, nella immaginazione popolare, erano sempre i Tedeschi del 48 e del 59, le Cinque Giornate, Venezia, Palestro e San Martino e, da ultimo, Lissa e Custoza. I fantasmi del passato erano vicini e vivi e si protendevano sullavvenire. Andar daccordo con lAustria, significava andar daccordo con limperatore degli impiccati: e questo poteva rientrare nel calcolo dei politici, non mai nel sentimento popolare. Silludeva il Minghetti quando affermava, alla Camera, nel 72, che i sentimenti di avversione per lAustria egli non li sapeva pi comprendere, non avendo essi pi ragione alcuna di esistere: deposti gli antichi rancori, bisognava vedere nellAustria soltanto una nazione sorella, guardare ad essa, ormai nostra amica, con benevolenza ed affetto1644 . Gi solo quattro anni pi tardi la commemorazione a Milano del settimo centenario della battaglia di Legnano, con le bandiere di Trento e Trieste avvolte in veli neri in testa al corteo1645 , dimostrava come lantica avversione fosse sempre viva. Era la fatale contraddizione, per cui, appena conclusa la Triplice Alleanza, due diplomatici italiani, e non dei minori, disapprovarono il patto anche perch il giorno in cui fossimo invitati a marciare in nome del casus foederis, non si marcer ...1646 . Tali erano i rapporti italo-austriaci. Qui, non interferire di vicende ideologiche e di partito, non influssi culturali, e nemmeno particolari allacciamenti finanziari; ma una valutazione propriamente di politica internazionale, complicata per e sempre contraddetta da una passione,

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che era unantica passione e che, in fine, fu pi forte di ogni altro calcolo. Una vivezza quindi di sentire, come non era non solo nei riguardi della Russia, ma anche nei riguardi dellInghilterra; e per una vivacit di passione tutta concentrata su di un solo punto, non abbracciante lintera vita della nazione in tutte le sue forme, come accadeva con Francia e Germania. Non a Vienna era il perno della politica italiana1647 . Francia e Germania erano dunque i due poli tra i quali si muoveva lopinione pubblica italiana, i due punti obbligati di riferimento dei pensieri e delle polemiche. Fuori discussione lamicizia con lInghilterra, tutto il resto si muoveva l, riceveva luce e colore dal diverso parteggiare per luna o per laltra delle due nazioni: quasi che anche il sentire comune fosse consapevole che il problema essenziale della politica europea era, dopo il 70, quello dei rapporti Francia-Germania, attorno a cui tutti gli altri, questioni balcaniche e questioni coloniali, venivano a sovrapporsi, accrescendo i motivi di litigio, ma sempre presupponendo quella iniziale impostazione del litigio europeo. LItalia si diceva ereditasse dallo Stato sabaudo e dalla tradizione diplomatica piemontese la politica dellequilibrio tra le forze in contesa per legemonia sullEuropa. Grande potenza di nome, ma non di fatto, di per s incapace di agire con successo sulla scena continentale, doveva riporre il segreto della sua fortuna, si ripet spesso, nellaccorto bilanciarsi fra gli uni e gli altri: lequilibrio dellEuropa, diceva il Visconti Venosta, era condizione necessaria alla felicit dellItalia, alla quale nulla poteva essere pi dannoso del soverchiare di una parte sola. La tradizione sabauda, insomma, dellequilibrio tra Francia e Spagna prima, Francia ed Austria poi. Questi erano i calcoli secondo la cosiddetta diplomazia pura, il giunco

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rationale, matematico, soppesato mossa per mossa come su di una scacchiera. Ma gli Italiani del Regno unito ereditavano anche dagli avi qualcosaltro che non fosse il giunco razionale dellequilibrio; ereditavano passioni che risalivano su su nel tempo, passioni e spirito di arte, onde, sin dallinizio della nostra vicenda, un profondo scindersi di interessi, tendenze ideologiche, affetti ed aspirazioni che guardarono come ad una stella fissa alluna o allaltra delle due maggiori potenze continentali. Lanimo di molti Italiani fu da allora diviso fra lo zuavo francese e lulano tedesco, come diceva il Carducci; e veramente sembrava avesse ragione Giuseppe Verdi che noi non si potesse camminare senza essere appoggiati al braccio delluno o dellaltro1648 . Cos i diplomatier puri dovettero fare i conti con le passioni popolari e con gli interessi dei partiti; e sulla politica estera italiana grav, nei vari momenti, questo formidabile peso che era la divisione a priori dellopinione pubblica contro Francia o contro Germania. Fu il motivo pi continuo, costante della politica italiana. Gli altri che si sono analizzati, idea di Roma e preoccupazioni conservatrici, non solo non riuscivano ancora a soffocare i vecchi ideali di libert e di nazionalit, ma erano anche assai meno continui, pi legati al vario svolgersi degli eventi, pi soggetti quindi ad adattamenti e trasformazioni secondo che i tempi richiedessero. Lidea di Roma, pur gi fermentando nel profondo, fu ancora a lungo lidea della Roma civile, laica; le sue ripercussioni concrete sulla politica estera italiana furono sempre collegate con il vecchio problema dei rapporti tra Regno e Papato, della lotta contro il Vaticano e linternazionale nera. Fu, sempre, la questione romana: questa pes profondamente sulla politica internazionale dellItalia; questa determin in gran parte, almeno quanto le preoccupazioni mediterranee e anche pi, latteggiamen-

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to del Crispi verso la Francia, per lui cupa tessitrice di intrighi con il Vaticano ai danni dellunit dItalia, e aggrav la sua naturale ombrosit e sospettosit, facendogli vedere e spesso immaginare il Vaticano e i Gesuiti intenti ad annodare ovunque trame contro lItalia1649 ; questa determin, nel 1899, il veto reciso del governo italiano contro lintervento della Santa Sede alla prima conferenza per la pace dellAja1650 ; questa determin, nellarticolo 15 del patto di Londra, il veto del Sonnino alla ammissione della Santa Sede ad ogni trattativa di pace. Al confronto, senza presa furono ancora i fantasmi di Duilio e di Scipione, i quali perch divenissero forza politica efficiente, occorrevano altri uomini e altro clima generale. Il mito di Roma domina gentium era riservato allavvenire, anche se gettasse le sue radici in quei decenni di fine Ottocento. Inversamente, le preoccupazioni conservatrici pesarono concretamente sulla politica estera proprio dopo il 70 e soprattutto fra l80, e il 96, per poi attenuarsi grandemente sino a svanire con linizio del nuovo secolo, con la politica giolittiana e cio con il diverso atteggiamento del ceto dirigente di fronte alla questione sociale e al movimento socialistico, daltronde anchesso divenuto riformismo lontano dalla rivolozione perpetua di stampo bakuninino. Il propendere per Francia o Germania rimase invece motivo sempre presente. Che poi posizioni di uomini e di partiti mutassero da quel che erano nel 70-71, non cagion di meraviglia, chi pensi quanto complesse fossero e da quanto vari motivi determinate, onde, per esempio, i laici del 71-75 dovevano vedere nella Germania bismarckiana la nemica del Papato, mentre i laici dellinizio del Novecento dovettero rivolgere gli sguardi verso la Francia di Waldeck Rousseau e di Combes. Molte cose mutavano, uomini ed eventi, lasciando tuttavia inalterati taluni motivi fon-

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damentali che avrebbero contrassegnato lo sviluppo storico avvenire. Mutava persino lo stato danimo generale dellEuropa da quel chera stato nella primavera del 71. Allarmi e paurose profezie allora; inquieto chiedersi quali sarebbero state le nuove conquiste della Germania, ormai tesa a invader sullaltrui1651 ; perfino in Inghilterra, nel 71, le fantasticherie su di una possibile aggressione germanica contro lisola e limmenso successo del racconto della immaginaria battaglia di Dorking1652 . Ancora, la Comune di Parigi e il raccapriccio di fronte agli orrori che i nuovi barbari, usciti dalle viscere stesse della societ, minacciavano. Chi vedeva i nuovi Unni nei Tedeschi del Bismarck, chi nei petrolieri di Parigi, e molti in tutti e due. Dopo tutto questo, il vedere la sostanziale calma conservatrice della politica bismarckiana, nessunaltra colonna Vendme a terra e, anche, leffetto naturale del tempo condussero ad una distensione degli animi invero assai grande. Si era temuto che sopraggiungesse sullumanit una nuova ra del ferro e del fuoco e che fosse ormai inutile parlare di diritti e di morale internazionale: ma gi il 25 settembre del 71 la Ligue Internationale de la paix et de la libert apriva, a Losanna, il quarto Congresso della pace. Sera disperato dellEuropa come consorzio civile: ma otto giorni prima della pace di Francoforte Garibaldi parlava agli amici di Nizza di una unione europea con Nizza capitale1653 ; e poco dopo veniva alla luce lopera di Charles Lemonnier sugli Stati Uniti dEuropa. Tornarono a riapparire gli ideali europei alla Saint-Simon e alla Cttaneo; e pi tardi taluno auspic per lItalia il gran compito di iniziatrice della federazione europea, con Roma rinnovato centro di civilt e il Campidoglio aperto ai delegati dellEuropa unita1654 . Molto pi importante di tutti questi congressi, discorsi e scritti, il giudizio arbitrale per la questione dellAlabama, nel 1872. Gran fatto, insperato e nuovo,

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che due potenti nazioni come lInghilterra e gli Stati Uniti accettassero di risolvere pacificamente una controversia fattasi coli minacciosa ad un certo punto da sembrar condurre alla guerra; grande esempio per gli Stati continentali, anche se non facile da seguire subito, trovandosi lEuropa in fase di transizione dai vecchi Stati basati sulla forza ai nuovi Stati fondati sul principio di nazionalit. Se non ora, almeno al termine del cammino presente dellEuropa stavano larbitrato internazionale e la pace1655 . Grande esempio, gradito agli Italiani che avevano dato al tribunale arbitrale il presidente, conte Federico Sclopis; salutato con gioia dai moderati, come il Bonghi, i quali, in perfetta coerenza con tutto il loro pensiero di settecentesca origine, credevano nel disarmo, nellarbitrato internazionale, nellorganizzazione della pace mondiale1656 , anche se la Sinistra, allora sotto lincubo dei clericali francesi, non intendesse abbandonarsi a rosei sogni e, pur rallegrandosi del risultato, ammonisse che non bisognava farsi illusioni e che lItalia specialmente aveva lobbligo di prepararsi pel giorno inevitabile in cui, provocata, avrebbe dovuto contare sulla ragione della scimitarra1657 . Cera, in Inghilterra, Henry Richard che sollecitava il governo a farsi promotore dellarbitrato internazionale; cera la petizione presentata al Parlamento con pi di un milione di firme e, finalmente, la vittoriosa discussione alla Camera dei Comuni l8 luglio 18731658 . E in Italia, il 24 novembre del 73, la Camera dei Deputati approvava unanime la proposta Mancini, accettata dal Visconti Venosta, perch il Governo del Re nelle relazioni straniere si adoperi a rendere larbitrato mezzo accettato e frequente per risolvere, secondo giustizia, le controversie internazionali nelle materie suscettive darbitramento; proponga, nelle occasioni opportune, dintrodurre nella stipulazione dei Trattati la clausola di deferire ad Arbitri le questioni che sorgessero nella interpretazione ed

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esecuzione dei medesimi; e voglia perseverare nella benemerita iniziativa, da pi anni da esso assunta, di promuovere convenzioni tra lItalia e le altre nazioni civili per rendere uniformi ed obbligatorie, nellinteresse dei popoli rispettivi, le regole essenziali del Diritto Internazionale Privato. Non era, certo, il miraggio della pace perpetua, respinto dallo stesso giurista napoletano; non era nemmeno limposizione del principio di arbitrato anche nelle questioni di vita e di morte che sorgano tra due nazioni1659 . Ma erano pur sempre passi notevoli, soprattutto perch indicavano che tornava la fiducia nella vita collettiva delle nazioni. Dal suo seggio di presidente del Consiglio Marco Minghetti dovette, quel giorno, rammentare giudizio di quindici anni prima, quando aveva battezzato un utopia la speranza di comporre i litigi degli Stati merc un tribunale di arbitri1660 : almeno lAlabama gli aveva dato torto. Lumanit tornava a sperare; dopo labbattimento e le paure gli uomini ripresero a credere in un futuro migliore, in unavvenire, chiss, finalmente senza guerre, senza lutti e senza rovine. LEuropa si adattava alla sua nuova condizione. E rifior il roseo sogno gi accarezzato dagli uomini del primo Ottocento e che era parso infranto dalla lotta di distruzione franco-germanica: il portentoso sviluppo economico, la ricchezza, lentusiasmo per le conquiste della tecnica, il piacere di vivere una vita sempre pi comoda e facile trassero luomo medio fuori dangoscia e lo adagiarono in una immensa sicurezza di s e del futuro. Ritornarono, per lEuropa, i giorni felici della Monarchia di Luglio per la Francia; e lEuropavisse, tra luno e laltro secolo, i suoi ultimi giorni di splendore, in quel mondo di ieri che, nei tempi della miseria, Stephan Zweig ha rimpianto come il nuovo Paradiso perduto. Fu quindi un gran mutamento datmosfera dai giorni dellinverno 1870-71. E in siffatto variar di luci delloriz-

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zonte europeo naturale si colorissero anche variamente tendenze sentimenti e idee in Italia. Ma come lottimismo nel progresso e il compiacimento della propria vita non riuscirono mai a togliere dalla coscienza degli uomini di governo e dei pi chiaroveggenti politici europei le preoccupazioni per lo stato di cose determinato dalla guerra franco-prussiana, e i progetti di federazione europea e di arbitrato internazionale non impedirono che, praticamente, si iniziasse allora la corsa agli armamenti, in proporzioni mai viste; come dunque la fiducia generica delluomo della strada non imped che lepoca avesse veramente il carattere di una pace armata e lEuropa politica fosse nervosa, eccitabile, fondamentalmente inquieta assai pi che altre volte, e pi certo che tra il 1815 e il 1848: cos anche il vario atteggiarsi di uomini e di partiti e lo sfumare o accentuarsi di tendenze, non impedirono che i motivi profondi della vita italiana rimanessero, fondamentalmente, quelli che serano dispiegati nei giorni del trionfo prussiano e dellingresso a Roma. Libert e nazionalit, ma gi con preoccupazioni che potevano intiepidirne la fede, sia di fronte allavanzare delle masse, sia di fronte alle esigenze dellequilibrio europeo, e certo, comunque, con il sostanziale abbandono di ogni lievito rivoluzionario; idea di Roma che cominciava a fermentare negli animi, e sia pure per il momento di una Roma laica contrapposta alla Roma papale; netto pronunciarsi di atteggiamenti nei confronti delle due potenze rivali sul continente, Francia e Germania: tale era il bagaglio di affetti e di pensieri con cui il ceto direttivo dellItalia unita iniziava da Roma capitale il lavoro di assestamento dello Stato territorialmente compiuto.

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PARTE SECONDA

Capitolo Primo Le cose..

I Finanza ed esercito Era un lavoro di assestamento e consolidamento: quindi, anzitutto un lavoro nel campo interno. Poich, finita la guerra franco-prussiana anche gli avventurosi non avrebbero potuto sognare, allora, nuove imprese e altri allori. Gi le condizioni dellItalia fra le grandi potenze erano tali da troncar netto ogni possibile sogno che non fosse proprio di mente malata. Ultima venuta, in ordine di tempo, nel concerto europeo ch, anche prima della creazione dellimpero germanico, la Prussia era da lunga pezza, dallet di Federico il Grande, una grande potenza , lItalia era anche lultima per potenzialit demografica, economica, militare, tanto da essere grande potenza di nome e di forma assai pi che di fatto. I suoi 26.801.154 abitanti tale la popolazione del Regno al 31 dicembre del 18711661 la lasciavano a notevole distanza non pure dalla Russia e dalla Germania, con i loro 78 e 41 milioni, ma anche dalla Gran Bretagna, con i suoi 32 milioni, e dai suoi vicini di occidente e doriente, la Francia la quale, nonostante la perdita dellAlsazia Lorena, poteva ancora annoverare 36.150.262 abitanti1662 , e lAustria-Ungheria, che ne contava 35.000.000. Ma ancor pi notevole il distacco e di profonde conseguenze, ove dal campo demografico si passasse a quel-

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lo economico. Qui nonostante i progressi, indubbi, che venivan annualmente fatti, si percepiva di primo acchito quanto giovane fosse, dal punto di vista della tecnica e della produzione,la nazione, cos vecchia culturalmente, e quanto arretrate le condizioni di troppe regioni ondera rallentato il progresso dinsieme1663 ; e balzava allocchio anche dei pi tardi la diversit di forza e di ricchezza non solo a petto degli Stati di pi anziana e solida ossatura, Francia e Inghilterra, ma ben anco dellImpero germanico, che era pure di recente nascita politica. Come dal punto di vista dei valori morali e spirituali, cos dal punto di vista della ricchezza ed attrezzatura materiale era agevole scorgere quanto lontane fossero, al disotto della apparente somiglianza di destini, le due creazioni statali del secolo XIX, Germania e Italia. Senza dubbio si progrediva: Quintino Sella poteva con legittima soddisfazione far rilevare, nella sua esposizione finanziaria alla Camera, il 12 dicembre 18711664 , come tra il 61 e il 71 le ferrovie fossero passate da 2200 chilometri a 6200, il telegrafo da 16.000 a 50.000 chilometri di filo, il reddito delle imposte dirette da 175 milioni a 503, quello dei monopoli da 175 a 296. Questi e simili dati erano testimonianza sicura del progressivo e anche rapido avviarsi della vita economica italiana, proprio dopo il 701665 , verso una fase di assai pi intensa e larga attivit, per la quale erano presupposto necessario i grandi lavori pubblici, e soprattutto il miglioramento del sistema di comunicazioni, che finalmente creasse un mercato nazionale. Al quale miglioramento linaugurazione del traforo del Cenisio, gloria dellingegneria italiana, apportava, proprio nel settembre del 71, una consacrazione di valore internazionale, dopo che, pochi mesi innanzi, lapprovazione della convenzione per il traforo del Gottardo, da parte della Camera italiana, aveva aperto nuove prospettive di scambio anche tra la valle padana e lEuropa centrale. E, daltra parte, i lavori

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portuali perseguiti dal 1861, con una spesa, sino al 1870, di 68.000.000 lire, col prolungamento dei moli a Genova, Napoli, Palermo, Ancona e il cantiere di raddobbo a Livorno e il bacino di carenaggio a Messina e la riattivazione del porto di Brindisi, per non rammentare se non una parte delle opere compiute1666 , costituivano pure una buona arra per il futuro sviluppo commerciale della penisola. Il quale sviluppo gi si annunziava, con lincremento notevole del commercio di importazione ed esportazione; da 830 milioni di lire nel 1862 a 964 nel 71, e da 577 a 1085 rispettivamente; nel complesso, un balzo da un totale annuo di 1.407.000.000 a 2.049.000.0001667 . Ma per quanto gi incoraggianti in rapporto alle passate condizioni della penisola e a quelle tuttora assai arretrate di una parte degli ex Stati Italiani1668 , queste cifre suonavano ancora assai modeste di fronte alle corrispondenti cifre delle altre grandi potenze. Vinta e duramente piegata, la vicina dOccidente, la Francia, manteneva ancora sul giovane Regno una superiorit schiacciante, con i suoi 18.000 km. di ferrovie e un volume commerciale complessivo di pi di 6 miliardi di franchi, tre volte tanto1669 . Le 477 societ italiane per azioni del 1871, con i loro 1.722 milioni di capitale, pur rappresentando di gi un considerevole aumento di fronte alle 392 dellanno precedente1670 , erano ancora poca cosa di fronte alle consimili societ francesi, inglesi, germaniche, cos come poca cosa era ancora il risparmio pubblico di fronte a quello estero; e il reddito medio degli Italiani, di gran lunga inferiore a quello dei Francesi, Inglesi e Tedeschi, era leloquente simbolo della assai diversa situazione in cui lItalia si trovava nei confronti delle altre grandi potenze1671 . Trasferita sul piano della finanza pubblica, la ancora scarsa potenzialit economica del Regno trovava piena

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espressione nel deficit, che sembrava destinato a diventar cronico, del bilancio statale, e nel corso forzoso. Secondo i dati che il Minghetti presentava alla Camera, nellesposizione finanziaria del 27 novembre 1873, il disavanzo era stato di 338 milioni nel 68, 216 nel 69, 307 nel 70, 112 nel 71, 113 nel 721672 ; e anche sulla base di pi recenti ed elaborati calcoli, la continuit del deficit era sempre grave, 266 milioni nel 68, 195 nel 69, 249 nel 70, 79 nel 71, 117 nel 72, 139 nel 731673 . E non era solo il bilancio statale a soffrire della necessit di turare senza requie grosse falle: anche i bilanci dei Comuni, vale a dire della cellula organica base della vita collettiva, cominciavano a presentare, dal 68 in poi, caratteristiche simili, anche se di minor entit1674 , ond che il 29 gennaio del 71 LOpinione poteva lanciare un grido dallarme constatando che nel 69 soltanto 219 Comuni (9 urbani e 210 rurali) avevano chiuso il bilancio in avanzo, mentre 432 (21 urbani e 411 rurali) si limitavano al pareggio e tutti gli altri chiudevano in deficit. Non cera dunque di che stupire se, di fronte ad una simile situazione, la rendita 5% quotasse, nellagosto del 71, a 60 lire oro e 64 lire carta1675 ; se la grande piaga dellaggio crescesse ogni anno1676 e, di conseguenza, anche il cambio sullestero si mantenesse sempre sfavorevole alla lira1677 . Era, questa, la grande prova che lItalia unita doveva superare per convincere davvero allestero tutti, ma molti anche allinterno, di essere una creatura vitale, capace di reggersi pur quando fosse svanito leccitamento patriottico dei giorni dellazione armata. Disavanzi nel bilancio statale, altre e grandi e ricche nazioni avevano avuto prima dallora e avrebbero ancora avuto senza che nessuno traesse da ci oroscopi di morte; e la stessa Italia, una volta superata la fase iniziale e assestatasi allinterno, avrebbe potuto permettersi il lusso, diciamo, di chiudere in deficit il proprio conto finanziario annuale senza che pi si pensasse a decretare, su

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quella base, limminente fine del regno. Gi un ventennio dopo, nella pur gravissima crisi finanziaria dintorno il 1890-1896, gi allora, per seria che apparisse la situazione, i profeti di morte e gli affossatori in anticipo o non esistettero pi o furono trascurabile cosa. Ma in quegli anni immediatamente seguenti lunit, e forse specialmente dopo il 70; dopo lacquisto di Roma, e nel nuovo clima generale europeo, assai meno propizio agli ideali in genere e, in particolare, allideale di nazionalit e anche a quello di libert1678 , certo meno propizio allItalia per la scomparsa della potenza napoleonica, spesso sospettata dagli Italiani e sospettosa verso gli Italiani, ma in fondo non mai pi dimentica dei giorni di Magenta e di Solferino: in questo ambiente, politicamente meno emotivo, dominato dalla chiara e fredda logica del cancelliere germanico, molto attento ai fatti e, tra i fatti, anche alla finanza pubblica, in questambiente occorreva che lItalia desse prova di saper vivere e di essere ununit reale, solida, nellanimo generoso di una minoranza di patrioti decisi e nellalto e profetico spirito di talune personalit di eccezione non solo, n solo nel fervore di una lotta cruenta e accesa di speranze di inni di poesia, s anco nella dura vita quotidiana di tutto un popolo, nella pratica di affari e di imprese in cui la poesia non aveva pi nulla da suggerire, e tutto diceva invece il tornaconto e il calcolo. Era venuta su, questItalia, troppo dimprovviso, quasi miracolosamente: ch i contemporanei non avevano lobbligo di saper troppo di storia e di andar a ricercare le cosiddette origini del Risorgimento sin nei primi decenni del Settecento; bastava loro stare ai fatti, alla realt ben percepibile e riconoscer limprovviso accendersi di una questione italiana dopo il 1815. Nel che poi, forse, dimostravan davere, essi, pi intuito storico-politico di parecchi futuri professori di storia,come che cogliessero nel vivo il momento veramente e propriamente rivo-

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luzionario, quel che insomma costituisce il Risorgimento, senza confonderlo con le riforme e il pensiero riformistico, che erano stati il necessario presupposto della rivoluzione, ma erano pur sempre tuttaltra cosa da essa. Ora, a questo miracolo, in cui larga parte attribuivasi alla fortuna, ben diversa essendo la stima per le qualit militari degli Italiani e per le qualit belliche dei Tedeschi, autori dellaltro, contemporaneo miracolo; a questo miracolo si chiedeva di dimostrare chesso posava effettivamente su basi solide, e non di creta: anche fuor della poesia, bisognava che lItalia dimostrasse di saper fare, anzi di saper semplicemente vivere e ci a parecchi appariva da qualche anno piuttosto dubbio, considerandosi perfino che dopo il 61 e soprattutto dopo il 66 lItalia, in sostanza, pi regrediva che progrediva1679 ; e che la nazione se ne stava immobile nelle nicchie del suo passato1680 . Nessuna prova pi atta a saggiare se ne fosse o no capace, di quella finanziaria: prova che stava particolarmente a cuore ad una societ, qual era la societ europea di dopo il 70, lanciata in piena epopea capitalistica e in cui lapprezzamento dei valori economici soverchiava, sempre di pi, la valutazione dellelemento spirituale e lo stesso fattore politico veniva sempre maggiormente connesso e talora fin subordinato a quello economico. E prova difficile per un paese come il nostro, povero, economicamente arretrato, la cui finanza pubblica era la risultante di diverse finanze statali, per lo pi zoppicanti1681 , era tecnicamente ancora in una condizione assai disordinata e spesso caotica con i sette diversi sistemi di riscossione delle imposte unificati solo tra il 72 e il 73, grazie ad un lavoro diabolico1682 . Era dunque una prova decisiva: molti erano gli scettici, e coloro che pensavano che sullo scoglio finanziario naufragasse la navicella italiana, appena appena lanciata in alto mare; e molti, anche allinterno, fra clericali e

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reazionari di ogni genere, che speravano landasse cos e si sfasciasse, alla prova dei soldi, ledificio messo su, tra violenza e prepotenza, da quei mali uomini dei patrioti. Ma anche fra costoro veran parecchi perplessi e timorosi che la costruzione politica non reggesse al vaglio della finanza; e ne dava prova, tra altri, Michelangelo Caetani, luomo che aveva apportato a Vittorio Emanuele II il plebiscito di Roma, e che ora temeva il fallimento di finanza e vedeva nero nero per il proprio paese, non a causa di reazioni politico-religiose ma della piaga della finanza, e presagiva demolizione del passato, e rovina dellavvenire1683 ; e cos, da tali apprensioni mosso, investiva i suoi capitali in titoli francesi, perdendo ancora non poco nel cambio presente, per non perdere tutto nellavvenire1684 , seguendo daltronde in ci lesempio di quegli altri italiani i quali, nel 72, avevano sottoscritto 620 milioni nei titoli del prestito francese di tre miliardi, vale a dire una somma pari ad un decimo circa di quella che avevano impegnata nei titoli del debito pubblico del loro paese1685 . Il duca romano, spirito caustico sempre, prima a danni della Curia Pontificia ed ora a danni dei nuovi governanti1686 ; gran liberale di fama ma non tanto saldo di convinzioni da non ritrattarsi in punto di morte e chiedere ammenda al confessore dei trascorsi patriottici1687 ; tormentato dal dolore fisico della cecit e dallangoscia morale per la scomparsa della seconda moglie, era uno spirito irrequieto ed inquieto e troppo spesso il suo era ormai pessimismo di abitudine e bisogno di mormorar su tutto1688 ; ma sul punto finanza, le sue querimonie erano allora di molti, che si raccomandavano a Dio o allo stellone1689 , e penetrante e sostanzioso era il giudizio chegli esprimeva, il 2 agosto 1874, allamico de Circourt: che lItalia, quale era fatta, non poteva presumere di fare la conquista violenta di s stessa, anzi non poteva sussistere, durare e corroborarsi, se non per

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universale consenso, per comune benessere e per vero miglioramento1690 . Proprio cos: lItalia non poteva fare la conquista violenta di s stessa, non poteva cio agire sul suo corpo economico e morale come avevano agito le divisioni piemontesi contro lAustria, i Mille contro la monarchia borbonica, con la forza; fatta lunit, cacciato lo straniero e cacciate le dinastie locali, le armi non servivano pi, e bisognava mantenere lunit, procedere cio con i mezzi e per le vie della pace e delle arti della pace. Mutavan completamente gli obbiettivi della politica, e dovevan mutare i mezzi: tesa, fino al 70, nella volont di completare il Regno con la Venezia e Roma prima, con Roma poi, la classe dirigente doveva ora irrigidire le energie in una tensione non meno accentuata e forse ancora pi aspra, ma per altre mete. A quella guisa in cui cambiava totalmente il clima politico europeo, con la caduta del Secondo Impero e lavvento della potenza germanica, e, in Italia, con Roma capitale penetrava addentro nella vita nazionale un nuovo, potente germe didee e di sentimenti, alla stessa guisa cambiavan motivi e ragioni dellattivit politica: le questioni, nelle quali aveva a provarsi il valore degli uomini e dei partiti, divenivan questioni di ordine interno, amministrativo ed economico; non erano pi annotava lorgano magno della Destra al potere1691 le quistioni dun tempo, capaci di appassionar cos vivamente gli animi, non potevano pi risolversi con discorsi enfatici, e n meno con la sola audacia de fatti, ma richiedevano studio, senso pratico, spirito di sacrificio. Solo col senso pratico poteva farsi la nuova Roma, la Roma della civilt moderna e della libert, la Roma insomma vagheggiata dal Cavour, non la Roma dei Cesari e della retorica tribunizia. E se la questione finanziaria costitu in ogni tempo e costituisce sempre un problema politico, esulando dal ristretto campo tecnico per investire tutta quanta la vita

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nazionale, in quel particolare momento di vita italiana essa diventava il problema politico, il problema nazionale per eccellenza, quello dalla cui risoluzione dipendeva lessere stesso della nazione1692 . Tutto si riconduceva e si riduceva l1693 : salvare il bilancio statale, riuscire infine al pareggio, dar la prova, coi fatti, ad un mondo che al pareggio del bilancio pubblico teneva ancora come ad un assioma incrollabile e non era avvezzo ai colossali deficit dei nostri tempi, dar la prova, dicevamo, che lItalia anche passata leuforia delle cosiddette giornate radiose era capace di vivere la vita di ogni giorno, disadorna forse, dura e faticosa certo, che non presentava gli allettamenti esteriori, i colori e i suoni delle imprese belliche, che da troppa gente, tirata su fra la retorica e allattata al latte di eloquentia, correva anche il rischio di esser stimata come prosaica imbelle e da poco, ma che era in verit assai pi difficile da combattere e non meno meritoria da vincere delle stesse battaglie militari. Una prova, che affollava di incubi certe notti del pur quadrato Sella, condotto a veder in sogno, come in ridda, centinaia di milioni di titoli...1694 . Il fallimento finanziario avrebbe significato, in quel periodo storico, la fine dellItalia unita; e nessun prodigio in camicia rossa e nessuna abilit diplomatica alla Cavour avrebbero pi potuto rimettere insieme uno Stato che si fosse dimostrato incapace di assicurare la propria vita finanziaria di ogni giorno. Questo dissero, in quegli anni, molto chiaramente e a pi riprese, uomini politici e giornali stranieri, amici e nemici dellItalia; e ammoniva un non dubbio amico, il Gladstone, una volta che a Firenze seran dati convegno uomini politici e altre personalit per onorarlo, ammoniva il Gladstone, pur rallegrandosi dei vantaggi conseguiti, che gli Italiani avevano in casa un nemico pi terribile degli eserciti stranieri, ed era lenorme deficit gravante sulla finanza pubblica1695 .

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E a chi per avventura avesse mostrato disdegno per lammonimento come che venisse da un uomo tacciato di umanitarismo e di scarsa sensibilit per i problemi della potenza e della forza, si poteva rispondere ricordando che anche un altro grande uomo di Stato, non sospetto certo di pacifismo o, per dirla con espressione dei nostri tempi, non sospetto di preferire il burro ai cannoni, anche il Bismarck dunque, tra le cose dette al Minghetti ed al Visconti Venosta nel settembre del 73 a Berlino, aveva ammonito a sua volta: Voi avete un solo nemico da debellare a ogni costo; il disavanzo, insistendo che a toglier di mezzo tale nemico dovesse il governo rivolgere tutte le sue cure, e non ad accrescere gli armamenti, la forza di una nazione risiedendo anzitutto nel suo credito1696 . E nellestate del 74 tornava alla carica, sempre riprendendo pensieri gi affiorati nel 68, col palesare il suo stupore perch il governo di Roma, sicuro dellappoggio tedesco in caso di aggressione della Francia, non riducesse le spese militari per equilibrare il bilancio1697 . I due maggiori uomini di Stato europei, cos fondamentalmente diversi, erano dunque concordi nel valutare la situazione dellItalia1698 ; concordi erano gli organi della stampa europea nel consigliare, ammonire talora minacciare i politici italiani; e dallapprezzamento sulla situazione finanziaria del giovane regno, alla quale era cos fortemente interessato il capitale estero1699 , molto variava nel contegno dei maggiori giornali e riviste, sicch quando, nel marzo del 74, la Camera approv nuovi stanziamenti di circa 80 milioni per le spese militari, a pareggio non raggiunto, fu un coro solo. Dallo autorevolissimo Times in quegli anni gi spesso poco benevolo allItalia per ragion di finanza1700 , secondo cui meno di ogni altro paese lItalia poteva permettersi il lusso di spendere il denaro pubblico in modo inutile ed improduttivo, allo Standard, altro de riputati giornali ingle-

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si e organo del partito conservatore, che invitava gli italiani a guarir dalla mania per le spese militari e dalla impiegomania la mania per cui lideale di vita di un italiano era di esser impiegato dello Stato e di aver uno stipendio iscritto in bilancio per lavorar di pi e spender di meno, alla Pall Mall Gazette, soffermantesi sulla mancanza di coraggio dei successori di Cavour nel far fronte vigorosamente alla situazione finanziaria e sulla impossibilit per lItalia di tener in piedi un esercito di 360.000 uomini: la stampa inglese era unanime e vi tenevan bordone giornali e uomini politici statunitensi, a cominciare da quel senatore Boutevell che accomunava lItalia alla Spagna, alla Grecia e ad altre nazioni disonorate1701 . Ma anche da parte germanica risuonavano voci simili, che riprendevano, amplificavano lammonimento dato dal Bismarck nel settembre dellanno precedente; e della bisogna sincaricavano la Augsburger Allgemeine Zeitung, il pi importante giornale della Germania meridionale1702 , allItalia ostile per lunga tradizione, e soprattutto la Spenersche Zeitung, anchessa non sempre benevola per il governo del Re1703 . Dalle colonne di questorgano della stampa tedesca si levavano avvertimenti del tutto analoghi a quelli di cui serano incaricati i portavoce della City e del mondo finanziario anglosassone: gli italiani non riflettono abbastanza che non c forza militare dove non c forza pecuniaria, e non c forza pecuniaria dove non ci sono floride finanze; essi devono persuadersi che, per ora almeno, e giocoforza rinunziare ad avere un esercito uguale a quello delle grandi potenze, e devono cercar invece di assicurarsi per ogni casa un alleata sicuro, che permetta loro di diminuire le spese militari e ristabilire le finanze; e devono riflettere bene su tali problemi, anche se molti in Italia vogliono armare ancora di pi, perch uno Stato in fallimento non mai un forte alleato1704 . Nelle quali considerazioni si svelava, certo, il dispetto tedesco versa il governo italiano,

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in quellora; cos come negli inviti e pi aperti di cos non potevan essere ad unalleanza con la Germania trapelava ancora e sempre la volont bismarckiana di piegare il Minghetti ed il Visconti Venosta ai suoi desideri in fatto di politica generale e particolarmente ecclesiastica. Ma, dispetto o no, anche le voci tedesche suonavano allunisono con quelle del mondo anglosassone, allunisono con le voci francesi per le quali lItalia era senzaltro il paese del deficit1705 ; ed era un coro non gradevole, ammonimento minaccioso che svelava, ed avrebbe dovuto svelare anche ai pi accesi sostenitori della grande politica, senza troppi riguardi al bilancio, quale fosse limportanza del problema finanziario. Era veramente la questione politica per eccellenza, la questione vitale per il Paese, tanto vitale che, a non superarla, lItalia sarebbe o crollata o almeno scesa alla condizione dellEgitto, terra sotto controllo finanziario altrui e quindi colonia, non libera nazione. Del che sera gi avuto aperto indizio il giorno in cui il rappresentante diplomatico di un governo straniero, esprimendo brutalmente quel che anche in altri ambienti si pensava, sera recato dal Sella a proporgli formalmente di sottoporre la finanza italiana a controllo internazionale. Il ministro estero fu messo alla porta; ma il problema rimase e da allora il Sella mosse deciso alla restaurazione della finanza pubblica1706 . E fu quindi giusto cercare il pareggio ad ogni costo anche gravando pesantemente sulleconomia di un paese povero, anche sollevando ire popolari, malcontento del nuovo Stato e perfino rimpianto dellantico ordine di cose. Tutti i ragionamenti validi per i tempi ordinari, necessit di sviluppare lattivit economica, non opprimendola con soverchi balzelli1707 erano ora quasi senza valore di fronte allo imperativo politico, che esigeva di urgenza il raggiungimento del pareggio, per dimostrare al mondo la vitalit dello Stato italiano: lunica dimostrazione di si-

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curo effetto, che potesse in quei giorni essere contrapposta alle violenze verbali, alle accuse ed alle manovre degli ambienti clerico-reazionari della penisola e dellEuropa. Limperativo politico era categorico; e perci anche, in un periodo in cui il sistema tributario era ancora incompiuto, gli accertamenti assai imperfetti, gli stessi metodi di esazione vari e discordanti, la equa razionale distribuzione dei pubblici carichi rimase un sogno ed anzi si affastellarono spesso i tributi gli uni sugli altri, al solo scopo di raccogliere le somme occorrenti allerario1708 , ed il Sella dovette rinunziare alla sua idea di una imposta globale sul coacervo dei redditi, con aliquota progressiva1709 . Il fardello fu cos assai pesante soprattutto per le classi meno abbienti, di grama vita gi e pertanto maggiormente colpite dalle sperequazioni tributarie sul tipo di quella sancita dalla imposta di ricchezza mobile che incideva nella egual misura del 13,20% su qualsiasi reddito meritando di essere definita limposta sulla immobile povert1710 ; donde aspetto e in parte sostanza di finanza di classe della politica finanziaria dei moderati, anche se laccusa, tante volte ripetuta, allora e poi, si attenui quando si consideri che proprio nel periodo fra il 1871 ed il 1875 la percentuale delle imposte sui redditi e sui patrimoni, nel complesso delle entrate tributarie, fu la pi alta mai avutasi nella storia dItalia, mentre quella delle imposte indirette fu la pi bassa, nonostante limposta sul macinato1711 . Aver compreso questo imperativo, averne percepito la terribile importanza, costituisce gran titolo di gloria della Destra nei suoi ultimi anni di governo e, in particolare, la prova indubbia delle qualit di uomo di Stato di Quintino Sella, la testa forte e secca1712 che fu allora la testa adatta, anche se impopolare. Non finanziere per studi e pratica, divenuto uomo di finanza pubblica per necessit1713 , egli vide chiaramente e chiaramente afferm con la parola e con fermissima azione che il vero pro-

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blema politico dItalia era quello finanziario1714 e che occorreva affrontare qualsiasi impopolarit pur di salvare il paese dal dissesto economico e dal disonore1715 , a cui sarebbe fatalmente seguito il disastro politico; e trascin dietro a s tutta la vecchia Destra, uomini di lui assai meno energici come il Minghetti, a sua volta convinto che la breccia ancora aperta nelle finanze fosse quella per la quale entrano le rivoluzioni col codazzo dellanarchia e del dispotismo1716 , e che se ogni giorno aveva il suo affare, laffare dellItalia era allora il riordinamento delle finanze, ancor pi importante e preoccupante della stessa questione ecclesiastica1717 . Perci, giustamente, lopinione pubblica vide in lui una forza politica dassai superiore a quella di un ordinario ministro delle Finanze; e uomini politici e partiti videro un capo, anche quando non lo amassero, nelluomo che non fu mai presidente del Consiglio ed ebbe sempre un ministero tecnico, non politico in stretto senso come i due pi ambiti dellInterno e degli Esteri, e in un Parlamento ricco di raffinati e letteratissimi oratori, come il Cavour prima ed il Giolitti poi fu oratore disadorno e fin stentato, anche se efficace1718 , e tuttavia dal suo seggio di tecnico e con la sua parola non forbita esercit un influsso politico decisivo e fu il valore pi alto ed incontestato del ministero Lanza1719 . Tali dunque erano le condizioni dei tempi: lItalia doveva dimostrare, secondo annotava nellagosto del 72, con benevolenza questa volta, la Saturday Review, in genere poco benevola appunto per la questione finanziaria, a costo di quali sacrifizi ai nostri giorni una nuova nazione cerca di stabilirsi e di elevarsi al grado di potenza indipendente1720 , anche conclusa la lotta armata; e doveva esperimentare a sue spese che pi dolorose delle prove belliche riescono spesso, nella vita dei popoli, le prove della vita civile.

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Cos il problema finanziario rimaneva al centro delle preoccupazioni degli uomini di governo. E ne era influenzata direttamente, sintende, in premo luogo proprio lorganizzazione militare del Regno, quella potenza guerresca che ha costituito, sempre nella storia dei rapporti internazionali il fattore ultimo e decisivo dellazione politica e diplomatica: onde sera facile, come fu detto, far lambasciatore a chi aveva dietro di s la Home Fleet, meno agevole riusciva a chi non poteva contare su di una pari forza, terrestre o marittima. E fu il caso dellItalia, logicamente ultima fra le grandi potenze anche dal punto di vista della forza militare. La necessit assoluta di economie, che non potevano esser fatte sui bilanci dei lavori pubblici o dellistruzione, necessitanti invece di continui maggiori stanziamenti acci la vita della nazione potesse svolgersi con ritmo pi celebre e moderno, si ripercosse anzitutto sui bilanci militari, sottoposti a grosse falcidie a partire dal 1867. Le spese per il bilancio della guerra fra il 1867 e il 1870 diminuirono fortemente nei confronti degli anni 1861-1865; ed anche dopo lallarme determinato dalla guerra franco-prussiana e la ripresa europea degli armamenti e le riforme del generale Ricotti, non superarono mai pi, sino a pareggio raggiunto, i 200 milioni annui; quelle per la Marina diminuirono ancor maggiormente, quasi della met, s che le spese militari toccarono la percentuale pi bassa, nel complesso delle spese statali, che si sia mai avuta nella storia dello Stato italiano, il 18,66%1721 . E anche qui siffatta contrazione di spese era particolarmente grave per un paese il quale, nonch poter fare insegnamento su di una soda attrezzatura iniziale, avrebbe dovuto spendere in proporzione assai pi delle altre grandi potenze, trovandosi di fronte al problema di un completo riassetto delle forze armate. A cominciare dalla introduzione effettiva e completa del servizio militare obbligatorio, di fatto ancora assai teo-

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rico nel 1870 date le molte esonerazioni e surrogazioni, lorganismo militare era da rifare; n ci si poteva accontentare dellesserci gi lo scheletro nellesercito piemontese, perch quel che era difficile era appunto il rimpolpare questo scheletro e farlo divenire corpo grosso e robusto. Lavori di fortificazione alle frontiere, dopo che la cessione della Savoia aveva lasciata scoperta la linea delle Alpi occidentali, dal Cenisio in su, e dopo che lacquisto della Venezia aveva condotti i confini in zone prive, sino allora, di qualsiasi appressamento a difesa: era un primo grosso problema, preoccupante soprattutto dopo lo spettacolo dello straripamento de Tedeschi in Francia, che faceva pensare nuovamente alle grandi invasioni, agli spostamenti di popolazioni intere1722 e, quindi, induceva a cercar un sistema protettivo sicuro e continuo. Scoperti alle offese, comerano, gli Italiani dovevano scuotersi, se non per vero e profondo patriottismo, almeno per il presentimento dei nostri materiali pericoli, ammoniva il Marselli1723 , incitando a risolvere il problema della difesa dello Stato e, fra laltro, a fortificare Roma; e un altro tecnico, il maggior generale del genio G. B. Bruzzo, incalzava, in un opuscolo, sulla necessit di studiare la questione della difesa generale dello Stato in tutta la sua generalit, partendo non da idee impicciolite da considerazioni di attualit, ma da idee larghe, che abbraccino anche lavvenire1724 e proponeva un suo piano per dividere il paese in tre grandi scompartimenti valle Padana, Italia centrale, Mezzogiorno attrezzati in modo che lItalia non dovesse darsi per vinta anche dopo aver perduta la stessa capitale, e fosse come una grande nave, che non sommerge ancora quando le acque lhanno invasa in alcune delle sue parti1725 . Nel quale progetto, nuova suonava laffermazione che lItalia, esposta ad invasioni nel Nord, poteva anche esserlo al Centro e al Sud, cio dal mare; che roba vecchia da porre in magazzino, andava considerato il consueto ritornello della

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valle del Po arbitra delle sorti dItalia1726 ; e che, pertanto, pi gravoso assai e complesso risultava il problema della difesa, estesa dalla linea delle Alpi alle coste lunghissime. Se poi dal problema del reclutamento e delle fortificazioni si passava a quello dellarmamento, per terra e per mare, del reclutamento degli ufficiali, della divisione del regno in riparti territoriali, insomma della struttura stessa dellesercito, ovunque il senso di dover ricominciar da capo o quasi, ora soprattutto che cera da imitare non pi la Francia, bens la Prussia e lorganismo militare modello era diverso da quello esaltato per tanti anni; e lo testimoniavano le appassionate discussioni sui progetti Ricotti, nella primavera del 71, i Quattro Discorsi del La Marmora e le polemiche di stampa ed il gran dibattito parlamentare dal 15 al 21 giugno. Discussioni e polemiche che dovevano durare un pezzo, lungo tutto il ministero Lanza e poi ancora lungo il ministero Minghetti, e che giunsero al diapason nel 73-74, quando gli accresciuti timori per una aggressione francese contro lItalia spinsero la Sinistra a premere sul governo, con la proposta Nicotera del18 marzo 1873, perch accelerasse ed accrescesse gli armamenti, preoccupando nel contempo anche parecchi degli uomini di Destra. E fu un batter, soprattutto della Riforma1727 , sulla necessit di esser pronti, di esser protetti da un buon parafulmine, di tener asciutte le polveri secondo aveva predicato Oliviero Cromwell1728 ; e, come doveva poi accadere altre volte pi tardi, cos anche allora contro la politica alla Sella si levarono le voci di coloro che, protestandosi zelatori del bene patrio e, naturalmente, accusando gli altri di tiepido senso dellonore nazionale, chiedevano armi, armi, armi, anche a costo di maggior disavanzo di bilancio1729 . Il ritornello che nellEuropa di oggi il diritto delle nazioni aveva bisogno di rendersi visibile per mezzo della forza1730 , o quellaltro che lEuropa si stava tramutando in una immensa caserma e quindi guai ai deboli1731 ,

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servivano egregiamente da punto di partenza alle invettive contro la politica delle economie fino allosso. Era il gruppo crispino della Riforma, era Crispi che invocava si facesse presto, presto, presto ad armare, ogni giorno, ogni ora perduti costituendo un pericolo grave per le istituzioni e la libert1732 ; erano militari di mestiere, come il Cialdini aspro ed acre pur nella compostezza formale1733 , il quale, dopo di aver gi rischiato di far fallire la composizione del ministero Lanza nel dicembre del 1869 con la sua opposizione alle riduzioni di spese militari1734 , dopo di aver tuonato contro la politica delle economie nella agitatissima seduta al Senato del 3 agosto 18701735 , ammoniva nuovamente i colleghi senatori, il 4 giugno 1874, che la prosperit finanziaria non basta per uno Stato e che non era vero che lItalia dovesse prima diventar ricca per poter poi essere forte semmai pi vero che bisognava aver la forza per divenire ricchi1736 . Riappariva cos pi che mai falsa nel mondo moderno, la celebre sentenza del Machiavelli, gi, errata ai tempi del suo autore, che gli uomini e il ferro truovano i danari e il pane, ma il pane e i danari non truovano gli uomini e il ferro1737 . Era il Marselli a lamentare che gli Italiani si sarebbero continuati ad illudere, nella convinzione che le umili riverenze possano scongiurare una guerra fatale. La politica della debolezza e della superficialit porta le sue conseguenze sugli apparecchi guerreschi: noi non abbiamo la febbre che dovremmo avere, e che avremmo se pensassimo che la guerra con la Francia inevitabile e potrebbe non essere lontanissima. N fortificazioni, n flotta, n ordini solidi nellEsercito. Pochi quattrini, poco patriottismo, poca elevazione morale. Non dispero dellItalia, anzi credo che il tempo possa rifarla; ma se non ne avessimo il tempo?1738 . Perfino il mite cassinese Luigi Tosti, preoccupatissimo per un intervento francese a favore del Papa, che egli riteneva probabile, e quindi fau-

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tore dellalleanza con la Prussia, voleva che si pensasse seriamente allesercito, essendo questi tempi non di dispute, ma di fatti1739 . Cotali e di simil genere erano le argomentazioni dei paladini del riarmo sollecito ed integrale, agli occhi dei quali la politica alla Sella era una politica diciamo rinunciataria. E non pu affatto disconoscersi il molto di vero di quelle affermazioni; che cio nellEuropa di dopo il 70, nellEuropa della pace armata, per far sentire le proprie ragioni occorreva pi che mai essere forti, e che, cominciando quel fenomeno nuovo nella storia dei popoli della corsa agli armamenti, il problema dellorganizzazione e potenza militare assumeva, se possibile, ancor maggior peso nei rapporti internazionali. Questo era vero: n lo negavano gli uomini di Destra1740 , fra i quali il Bonghi soprattutto batteva e ribatteva sul tasto dei pericoli presenti e futuri della situazione europea, in conseguenza dellesito della guerra franco-prussiana; e ammoniva che lesperienza del 70 aveva dimostrato come il corpo politico lEuropa non esistesse e ciascuna nazione dovesse, pertanto, fidare soltanto nelle sue forze e nelle sue armi. Tanto pi pensasse alle armi lItalia la quale, non avendo potuto vincere una grande battaglia nel suo formarsi, non aveva potuto perci acquistare il sentimento fiero, sicuro, altero del suo diritto, e doveva acquistar piena coscienza ora dellefficacia delle sue forze di terra e di mare. Daccordo dunque gli uni e gli altri, nel constatare che let era di ferro: daccordo nel richiamarsi a Cromwell e al suo tener asciutte le polveri1741 , anche se il riconoscere che lEuropa ritornava ad un tempo di violenza e darmi1742 trasformandosi in un vasto campo militare, e che erano passati i tempi del Cobden e dei suoi amici, onde non trovavan pi base que loro ragionamenti rivolti ad uomini pacifici e ragionevoli, suonasse per i moderati triste e doloroso1743 , mentre nel gruppo crispino ispirava

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apprensioni s, ma ad un tempo un mal velato compiacimento per il trionfante senso della forza e della potenza. Noi credevamo alla giustizia e alla libert, oggi si crede alla forza, ed al numero, doveva scrivere molti anni pi tardi, presso al termine di sua vita, Marco Minghetti stanco, amareggiato, pessimista1744 ; ma fin dal 71La Riforma gli aveva risposto in anticipo, esaltando proprio la forza, il numero, lo slancio vitale dei popoli giovani che hanno un avvenire. Ma ancor pi vero era che in quel momento il problema salvezza per lItalia era il problema finanziario, tutto il resto passando in secondo piano, anche la questione della forza militare; e che, tra il perpetuarsi del disavanzo con alcune divisioni di pi, ed il pareggio con alcune divisioni di meno, la forza dellItalia, pur di fronte allestero, stava nel pareggio1745 . Vittorioso pertanto, per fortuna della nazione, lindirizzo Sella, la riorganizzazione dellesercito e il riarmo ebbero insufficiente appoggio finanziario. E fu, ripetiamolo pure, una necessit: ma ci non toglie che dal punto di vista militare, lItalia rimanesse ancor pi indietro alle altre grandi potenze1746 , e che da tale situazione di inferiorit troppo grande non ne venisse influenzata profondamente la sua politica estera, perch era difficile giocar serrato nel gioco diplomatico quando non saveva, alle spalle, la Home Fleet o la Guardia prussiana Per vero, pochissimi erano quelli che auspicassero allora un gioco serrato in politica estera da parte del governo italiano. La nazione era tutta presa dai grossi problemi interni, primo fra tutti quello finanziario, ma non esclusivo. Ch, anche a riguardare verso altre parti, ceran gran ragioni di cruccio: come chi ponesse mente alle condizioni della sicurezza pubblica e fosse condotto, dai fatti, alle tristi considerazioni che venivano espresse dai Bonghi e dai Dina, sullaumento impressionante della criminalit, sulla progressione costante dei reati di

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sangue, sulla limitata efficienza della polizia, oppure sullo stato di pericolo continuo dominante in pi di una regione, e soprattutto nella Romagna e nella Sicilia1747 . Anche questa, grossa piaga s per la gravit delle ripercussioni interne s per la risonanza allestero; risonanza particolarmente spiacevole nella stampa britannica sempre pronta a pubblicare lettere di protesta di sudditi di Sua Maest la regina Vittoria in viaggio di piacere nella penisola e svaligiati da banditi o, molto pi semplicemente, seccati nella loro albagia dalle formalit di pubblica sicurezza e dalle richieste dei Carabinieri1748 . Con il dissesto finanziario, era questo largomento che pi pesava ai danni dellItalia e faceva apparire urgente lavarsi in faccia al mondo da questo obbrobrio dei ricatti, dei grassatori e degli assassini1749 : basso corso della rendita nelle borse europee e quadro stereotipo dellItalia come paese di ladri e di briganti, il quadro che doveva offrire lo spunto al De Amicis per il fiero gesto del piccolo patriota padovano, erano i due grossi pericoli per un paese che voleva organizzarsi a Stato moderno ed essere riconosciuto ed apprezzato come tale. Tutto questo bastava ampiamente, dunque, per occupar lanimo ed il pensiero degli italiani. Erano i fatti ad imporsi da s: quei fatti che costringevano perfino il battagliero de Launay a riconoscere che le condizioni interne dellItalia erano tali da non permettere il lusso di una politica che non avesse per oggetto esclusivo ed immediato la difesa del territorio nazionale1750 . II Lapatia politica Ma oltre ai fatti verano le impressioni; allato della realt diciamo oggettiva, lo stato danimo soggettivo. E questo

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meno che mai avrebbe voluto, allora, preoccupazioni e difficolt nei rapporti con gli altri paesi. Era un po la naturale conseguenza del rilassarsi della tensione estrema che, dal 59 alla presa di Roma, aveva continuamente resa agitata la vita di molti Italiani. Gli uomini del ceto dirigente che erano allora nella piena maturit, avevano per lunghi anni vissuto in una atmosfera febbrile; come annotava taluno, litaliano quarantenne avr sentito parlare della tranquillit pubblica, della prosperit che si sviluppa sotto linfluenza di essa... ma in sostanza, questo stato di tranquillit non lo ha mai goduto. Non forse naturale il supporre che desideri di provarlo anchesso?1751 . Pressa poco lo stesso sentimento vibrava nelle parole del ministro degli Esteri, il Visconti Venosta, avvezzo sin dal 48 alle inquietudini delle lotte, anzi delle congiure per la libert, e anchegli ora convinto che il paese anelasse a riposarsi ed a rifarsi, appunto, dalle lunghe agitazioni che lo avevano per tanti anni travagliato1752 . Pi su ancora del desiderio personale di tranquillit, era la convinzione che bisognasse finalmente porre una sosta al passar da un desiderio allaltro, dalluna allaltra voglia, per non consumar tutte le energie in simile rincorrersi incessante di sempre nuove aspirazioni ed attendere una buona volta al consolidamento interno dello Stato, alla educazione degli italiani, allo sviluppo economico1753 . Come avrebbe ripetuto parecchi anni pi tardi uno della Sinistra, Michele Coppino, commemorando lamico Depretis alla questione dellessere si sovrapponeva nellItalia una, quella del ben essere1754 . Desiderio di quiete naturalissimo, come un grande respiro di sollievo, ora che sul Campidoglio si era chiuso il ciclo, ed un affrettar con lanimo lra di tranquillit, grigia e monotona magari, ma senza sussulti ed apportatrice di calma, di benessere, di serenit.

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Naturalissimo, per quanto poi ad esso si mescolasse anche un meno apprezzabile sentimento, purtroppo largamente diffuso; vale a dire una notevole indifferenza per la vita pubblica, il fastidio di essere stati per tanto tempo tormentati da questioni come Venezia e Roma, da appelli come Roma o morte, buoni a metter sossopra lambiente, cittadino e familiare, a perturbar gli affari, amareggiare le gioie della vita; e lintenzione, ora che il turbine era passato, di lasciar correre le cose per il loro verso e di occuparsi ciascuno del proprio particulare. Se ancor pochi anni prima, quando ceran Venezia e Roma da liberare, uno straniero era colpito dalla passione politica degli italiani, ed ogni considerazione cadeva subito l, sul solito tasto, e dalla politica non susciva1755 ; se un quindicennio pi tardi, al dir del jacini, tutti strologavano di politica estera e nei circoli e nei caff si sistemava lEuropa1756 , ora, in questi anni di mezzo, di politica moltissimi non avevano pi nessuna voglia di parlare e sentir parlare. Delle controversie pubbliche soccupasse chi voleva: e non erano, certo, in molti a volersene occupare, se il pi diffuso quotidiano, Il Secolo di Milano chera poi giornale di informazione, attorno al 1880 superava appena le 30 mila copie, mentre dei maggiori organi politici Il Diritto non superava le 4 mila, La Riforma le 2500, LOpinione le 7000, La Perseveranza le 3000, solo il Popolo Romano raggiungendo le 12.5001757 . Era, cio, quel saper poco ed anche meno volerne sapere di polemiche e di ideali politici, che il poeta e storico del minuto popolo italiano ha notato come tratti distintivi di quel popolo1758 : soltanto che qui non si trattava del popolo minuto, legittimamente preoccupato del duro e penoso problema del vivere quotidiano, da tale asprezza di vita reso estraneo alla vita morale e politica dello Stato, s da essere disposto a barattare il diritto elettorale amministrativo con un bicchiere dacquavite1759 privo daltronde del diritto elettorale politico e quindi tenuto forzata-

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mente lontano dalla vita pubblica nelle sue pi alte manifestazioni; bens proprio dello stesso ceto dirigente, delle classi medie, che avevano i diritti e avrebbero dovuto sentir i doveri. Era annotava qualche contemporaneo, pur non traendone affatto conclusioni pessimistiche mollezza che stava dentro nellossa e cullava tranquillamente, languore intellettivo e morale, stanchezza che non si riusciva a scuotere1760 . Era finito il ciclo eroico delle lotte per lunit; e sino a quando lirrompere delle masse sulla scena e laffermarsi del movimento socialista non avessero proposto un altro grande tema di battaglia, dando nuovamente agli occhi dei pi un significato preciso e concreto alla vita politica e destando sentimenti vivi laddove prima era indifferenza, quando non peggio, per la vita normale dello Stato, sembrava venissero a mancare negli italiani e la voglia e la materia di ardenti lotte politiche1761 , ove se ne eccettui la questione dei rapporti con la Chiesa, acutissima s, ma infiammante allazione i circoli degli estremisti, clericali sfegatati o liberi pensatori, meno la massa del popolo e della stessa borghesia che soffriva del dissidio, ma proprio per questo desiderava accentuarlo il meno possibile e riluttava a portarlo in piazza. Veniva a mancare la voglia della lotta politica anche perch, raggiunti gli scopi su cui si era concentrata febbrilmente lanima nazionale nel dodicennio trascorso, molti erano come disorientati, n sapevano scegliere dun subito altri e nuovi ideali, anzi avvertivano un senso di vuoto: ora che sera avuto tutto, lorizzonte invece di allargarsi sembrava restringersi, annotava il Villari, e gli italiani erano come uomini sfiducati e disillusi, per non sapere che altro fare n che altro desiderare1762 . E se perfino in Germania, nel paese dei maggiori trionfi, un von Sybel si chiedeva che cosa faremo ora1763 , nella tanto meno trionfante Italia naturale che il pro-

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porsi nuovi ideali sgomentasse. Cos, troppa gente desiderava di non occuparsi pi, o il meno possibile, dei problemi nazionali, lasciandone la cura ai politici, gi acconciandosi sentimentalmente a che potesse esistere per davvero, in uno Stato moderno, una categoria di politici di professione ed il resto della popolazione fosse libera di disinteressarsi della cosa pubblica per attendere unicamente al proprio lavoro; e si diffondeva linclinazione, diceva il Bonghi, a pensare al sodo, a non confondersi il cervello, a lasciar correre, sopportando pi o meno contenti il presente per trarne il miglior avvenire possibile1764 ; o, annotava uno straniero, una volta che sera cessato di aver locchio fisso allo scopo comune Roma ognuno sabbandonava alle proprie personali preoccupazioni e alle sue passioni individuali1765 . Rivelava un siffatto stato danimo il fenomeno, assai notato allora e poi: della indifferenza degli elettori per il loro compito. Pure, il corpo elettorale, dato il sistema vigente, era gi un corpo scelto: sui 27 milioni circa di Italiani, fra cui 7 milioni di maschi maggiorenni, appena 528.932 vale a dire l1,97% godevano nel 1870 del diritto di voto1766 . Una lite; un paese legale tanto ristretto di fronte al paese reale1767 : e per di pi un paese legale dai forti squilibri interni, come che la qualit di elettore dipendesse dalla varia distribuzione della propriet fondiaria non solo, ma altres dai diversi sistemi di catasto e di imposta, o addirittura dalla riduzione del limite dimposta, onde ai 30 elettori su 1000 abitanti della Liguria si contrapponevano gli appena 15 dellUmbria1768 . Una lite, che dimostrava come, ad unit compiuta, la partecipazione alla vita pubblica avvenisse su basi non gi pi estese, bens assai pi ristrette di quanto non fosse avvenuto nel periodo di formazione, delle lotte, dei plebisciti: perch in tutta la Lombardia verano, nel 1870, 68.371 elettori iscritti, ma quando sera trattato, nel 48, di votar la fusione col Piemonte, erano stati 661.6261769 ; nel-

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lEmilia, gli elettori iscritti sommavano ora a non pi di 42.248, ma quando sera trattato del plebiscito per lannessione, avevan votato ben 426.764, e cos via. Che era una contraddizione intima sostanziale, e bastava a spiegar il distacco fra ceto dirigente cio unoligarchia e paese. Un corpo elettorale, dunque, cos ristretto, da suscitar limpressione fondata che i due partiti in disputa per il potere fossero due brillanti stati maggiori alla testa di minuscoli eserciti e con numerosi generali sempre in conflitto1770 : e non vera da invocare limpreparazione, limmaturit delle masse. Eppure, nelle elezioni del novembre 1870 votarono solo, a primo scrutinio, 238.448 iscritti, cio il 45,8%1771 . Che era, e rimase, il limite pi basso raggiunto dalla costituzione del Regno in poi, dato che le precedenti elezioni generali, pur non dimostrando nemmeno esse grandissima ansia di lotta politica, serano tuttavia mantenute su percentuali pi alte: il 57% nel 61, il 54% nel 65-66, il 52% nel 671772 . Dunque, un continuo regredire di interesse politico, tanto pi notevole forse in quanto il maggior assenteismo notavasi nei collegi di assai cospicui centri cittadini, l dove la lotta politica avrebbe dovuto essere pi accesa: a Milano votava il 35,07%, a Genova il 39,12%, a Padova il 32,63%, a Bologna il 28,26%, a Firenze il 28,95%, a Livorno il 16,21%1773 . Non fossero state le province del Mezzogiorno che il malcontento aveva spinto maggiormente alle urne ancor credute vaso di possibili rimedi, giungendosi al 61,15% di votanti in Sicilia, il risultato delle elezioni sarebbe stato ancora pi sconfortante. E le elezioni generali politiche non erano le sole a rivelare lo scarso interesse alla cosa pubblica. Come gi per le questioni finanziarie, dove al disavanzo del bilancio statale occorreva aggiungere i disavanzi dei bilanci comunali e provinciali, cos anche qui allassenteismo dal voto politico bisognava aggiungere lassenteismo dal-

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le elezioni comunali e provinciali: nelle elezioni amministrative del 1872, la percentuale dei votanti fu di appena il 39%1774 . Nelle elezioni comunali in molti luoghi i votanti erano il 10%, e fin l8 ed il 6 %1775 . A Parma, nelle ultime elezioni prima del 70, su 4000 elettori se ne erano presentati alle urne 108 e a Firenze, su 8200, 8791776 ; a Milano, nel giugno del 72, si poteva assistere al non bello spettacolo che su 9366 elettori soli 2014 partecipassero alle elezioni, il 21,5%1777 . Ed era la citt delle Cinque Giornate, il focolaio di tanta parte del Risorgimento! Magro contrappeso a questa indifferenza nelle maggiori citt era il pi vivace e battagliero interessamento nei piccoli centri, perch qui la lotta rischiava di rimanere circoscritta, soprattutto allora, a questioni di interesse puramente locale, per non dir a beghe personali e familiari1778 . Veramente, il popolo sembrava essersi ritirato sullAventino1779 . Non era possibile consolarsi col dire che le astensioni erano quelle dei clericali, fedeli al motto: n eletti n elettori: cio che le astensioni eran quelle di coloro i quali rimpiangevano lantico ordine di cose ed avversavano il nuovo, onde per i reazionari la scarsa affluenza alle urne comprovava che i gruppi nazionali ancora nel 1870 erano una minoranza, mentre la maggioranza della popolazione sarebbe stata sempre contraria allunit ed al nuovo regime1780 . Intanto, il regredir continuo del numero dei votanti dal 61 al 70 contraddiceva di per s ad una tale spiegazione, come che le ostilit al nuovo ordine fossero state, in genere, assai pi forti allinizio, mentre gli anni avevano cominciato a dissipar prevenzioni e a piegar riluttanze; e se vero che proprio nel novembre del 70 non solo i clericali arrabbiati, nemici della unit, potevano essere indotti ad astenersi dalle urne in segno di protesta, s anche uomini di fede italiana il cui sentimento cattoli-

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co trepidava per il modo con cui sera andati a Roma e per lurto aperto con il Pontefice; se vero dunque che il Venti Settembre aveva potuto provocare le astensioni degli uomini di timorata coscienza religiosa e onesti1781 altrettanto vero che non sera ancora udita la parola di Pio IX e laffermazione non esser lecito andar a sedere in quellaula, cio a Montecitorio1782 . Sera ascoltato di gi, indubbiamente, don Margotti e sera appresa da lui la formula famosa; ma laccordo era tuttaltro che unanime su quel punto fra gli stessi zelanti cattolici, e se perfino dopo il 74, quando ormai Roma locuta erat, continuarono le dispute e pi di un cattolico continu a sostenere pubblicamente la necessit di non estraniarsi dalla vita pubblica1783 e qualche parroco piemontese fu assai esplicito andate tutti a votare, perch n eletti n elettori sono tutte balle!1784 , a maggior ragione prima del 74 le astensioni erano state tuttaltro che generali. Proprio a Roma, nel gennaio del 71, per le elezioni a due seggi in Parlamento, in ballottaggio, fu in lizza un candidato cattolico, lavv. Pietro Venturi, rappresentante dei gruppi antiastensionisti1785 . Comunque, poi, il sistema dellastensione era pr le elezioni politiche: per quelle amministrative invece, proprio nel 72 vera un gran spiegamento di forze clericali, a Roma, il 4 agosto, e segnatamente a Napoli il 1 settembre. Votarono allora non tutti, ma molti cattolici militanti, ufficialmente autorizzati, anzi incitati dalle alte gerarchie ecclesiastiche, capeggiati da sacerdoti e frati che affluirono in buon numero alle urne1786 impegnando asprissima battaglia contro la lista liberale e per una propria lista: nella capitale, lo stesso Pio IX aveva dimostrato favore alla partecipazione dei cattolici1787 , e i direttori dei giornali cattolici, LOsservatore Romano, La Voce della Verit, La Stella avevano seguito laltissimo esempio, incitando con insistenza e calore i fedeli a votare compatti per opporre una barriera contro il torrente invadito-

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re dellempiet1788 ; a Napoli la campagna elettorale era stata patrocinata dallo stesso arcivescovo cardinale Riario Sforza con la piena approvazione del Pontefice e della Curia Romana1789 . La lotta aveva cos assunto un evidente colore politico: le elezioni amministrative fornivano loccasione per uno schieramento politico in forze dei clericali, il fatto amministrativo scivolava inevitabilmente nel politico, cos che una vittoria dei cattolici avrebbe significato, nelle speranze di pi duno, uno scacco dei pi gravi per il governo1790 e, in genere, per il ceto dirigente italiano. Liberali e clericali: ad esser pi precisi, annotava il ministro di Francia presso il Quirinale, si sarebbe dovuto dire fautori e nemici dellunit italiana1791 come pensava anche Crispi, che invocava lunione degli unitari, senza gradazione di partito, contro i clericali1792 . Eppure anche in questi casi solo a mala pena sera superato, a Roma, il 50% di votanti1793 . A smentire la facile credenza che lastensionismo fosse soltanto di color nero, stava il fatto che nelle successive elezioni generali, dopo la proclamazione ufficiale della formula n eletti n elettori, la percentuale dei votanti anzich abbassarsi ancora risaliva; stava comunque il fatto, gi nel novembre 1870, che le percentuali pi alte di votanti erano date dalle province del Mezzogiorno, in cui non pu certo sostenersi che i cattolici fossero scarsi di autorit e di numero1794 , mentre province largamente anticlericali, quali Piacenza, Parma, Modena, Reggio Emilia, Bologna, Ferrara, Forl, Ravenna, Livorno, il gruppo cio emiliano-romagnolo e il centro dellestremismo toscano, luno e laltro focolai vivi allora del repubblicanesimo e focolai prossimi dellInternazionale prima, del socialismo e fin dellanarchismo poi, erano fra quelle dalla percentuale pi bassa di votanti1795 . Per vero, tra gli astenuti figuravano largamente i repubblicani, la cui parola dordine era stata, astenersi dallurna per incutere un salutare terrore alla monarchia

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rendendola conscia del suo isolamento, dimostrando la propria irriducibile ostilit alla istituzione monarchica, evitando qualsiasi atto che potesse sembrare di consenso e togliendo al regime costituzionale un mezzo indispensabile alla sua vita; pi che dai giornali cattolici, lastensione era stata consigliata dai giornali repubblicani, e alla fine lindifferenza e la stracchezza degli elettori avevano offerto facile motivo non solo alle velenose e tripudianti polemiche dei neri, ma anche a quelle dei repubblicani. Alle lodi dellOsservatore Cattolico per i credenti che seran astenuti, facevan riscontro, allestremo opposto, le osservazioni della Gazzetta di Milano per la quale si era affermata, con le astensioni, la volont di radicali cambiamenti e sera avuta la dimostrazione che la legge elettorale non traduceva pi i sentimenti della nazione1796 : sul che meditava Agostino Bertani, poco convinto dei vantaggi di una simile tattica e indotto a proporre una lega degli astensionisti per poter decidere di volta in volta se recarsi o no alle urne1797 , mentre Alberto Mario paragonava i repubblicani troppo contemplativi ai monaci del monte Athos, i quali si contemplavano lombelico nella fede di vederne uscire la luce dal monte Tabor1798 . Come non si poteva addurre a scusante la presunta passivit della plebe, che non ci aveva a che vedere, cos non si poteva imputare soltanto alle astensioni dei cattolici la percentuale bassissima dei votanti; e anche sommando i repubblicani che volevano isolar la monarchia, il conto non tornava ancora. Per vero, i liberali di allora non si fecero alcuna illusione al riguardo. Di Destra o di Sinistra che fossero, essi accusarono invece apertamente lapatia e la poca compattezza dei liberali stessi1799 , linerzia di coloro i quali si lamentavano, magari, che gli altri non facessero il loro dovere, salvo poi a lavarsi le mani, alla Ponzio Pilato, nel momento di scegliere fra i partiti ed i candidati1800 , lindifferenza insomma di tanta

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parte del ceto dirigente per i grandi problemi della vita nazionale1801 : ed avevano tuttaltro che torto. Fenomeno di rilassamento potremmo dire nervoso, dopo un decennio cos agitato quale era stato il primo decennio seguito alla costituzione del Regno, o, secondo si esprimeva il ministro austro-ungarico a Firenze lassitude blase qui suit les surexcitations trop vives1802 . Dallentusiasmo, dalle commozioni dei grandi avvenimenti annotava Michelangelo Castelli siamo arrivati a questi giorni nei quali la soddisfazione di tante aspirazioni e desideri di libert, dindipendenza, di unit ha prodotto il suo effetto naturale, non dir la saziet, ma quella indifferenza, quelle disillusioni che sono le consegerenze del tranquillo possesso di quel bene sospirato che credevasi fonte inesauribile di ogni felicit1803 . Come suole accadere, gli ideali non trovavano subita e totale rispondenza nella realt: donde da un lato lindifferenza di molti e la stracchezza, e dallaltro giudizi severissimi allora e poi pronunciati sullo Stato italiano e la fiacchezza e latonia politica, giudizi che vedevano nuovamente concordi due uomini cos diversi come il Mazzini ed il Ricasoli, e, fra poco, avrebbero visto concorde anche il De Sanctis1804 , ma che si ripeterono poi anche sotto la Sinistra e durarono, s pu dire, almeno sino allaffacciarsi sulla scena del socialismo come partito organizzato1805 . LItalia avrebbe voluto cose grandi, subito, grandi riforme interne, grandi lavori, grande benessere; e poich le cose grandi savevan a costruir lentamente, faticosamente, attraverso decenni, per i nipoti e non per le generazioni dallora, linappagamento cresceva. E vi si aggiungevano delusioni e scontento per quelli che sono gli inevitabili guai del regime parlamentare: troppo frequenti mutamenti di governo e fantasmagorie di ministri, che davano limpressione del soverchiar di interessi passioni ambizioni personali sulle preoccupazio-

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ni per il bene pubblico; lungaggini alla Camera, molte discussioni apparentemente senza costrutto, ire di parte sterili e dissolventi1806 ; quindi riluttanza di molti ad immergersi nella cloaca delle passioni politiche1807 . Ed era certamente vero che ambizioni ed interessi personali si agitassero, allora come sempre, nei partiti; che non tutto fosse puro amore del bene pubblico, che bizze personali, intrighi, contrasti, minacciassero la efficacia dellazione politica: anche nella Destra, pur tanto esaltata per la severit di stile e la generale dirittura dei suoi uomini, anche nella Destra ceran guai a tale che un animo iracondo come quello del Ricasoli rifiutava la presidenza del Comitato Parlamentare dei moderati, non volendo sapere di capitanare gente che vi guizzano di mano peggio che anguille, che non ricordano il giorno dopo quello che dissero e promossero il giorno innanzi, che troppo ciarlano, e poco pensano, e non sono per conseguenza mai fermi nei propositi loro1808 . Ancora, la troppa politica, vale a dire il far di ogni questione motivo di dibattito politico, tirandoci dentro partiti e parlamentari, con leffetto di rallentare e di inceppare il funzionamento dellamministrazione, di trasferire pericolosamente le lotte politiche su di un piano da cui avrebbero dovuto rimanere escluse. Era proprio per combattere un tale andazzo che Stefano Jacini proponeva di restringere le competenze del Parlamento ai grandi problemi nazionali, decentrando il resto1809 ; e, pi tardi, il Minghett e Silvio Spaventa riaffermavano la necessit che lalternarsi di partiti al governo non mettesse in pericolo le istituzioni, n pregiudicasse i diritti della giustizia e i legittimi interessi, e che le amministrazioni locali fossero indipendenti dallarbitrio e dalle passioni politiche1810 . Tutto questo, dunque, spiega come si creasse uno stato danimo largamente diffuso di sfiducia e riluttanza ad occuparsi della cosa pubblica, di sospetto ed anche di-

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ra contro landamento delle cose, di un tetro pessimismo del genere di quello che improntava i giudizi di uomini cos diversi come il Carducci ed il Ricasoli. Gli iracondi ed i pessimisti coglievano il vero di molti particolari, ma non erano pi in grado di riabbracciar linsieme n saccorgevano che lideale di una Italia nazione moderna veniva, pur lentamente, concretandosi nei modi e nelle forme che erano possibili: Sella aveva ragione di confutar le accuse generiche di apatia, osservando che mai sera lavorato tanto in Italia1811 ; e pi e meglio del politico Ricasoli, uomo selvatico1812 , coglieva il succo delle vicende il non politico Lambruschini, che, lontano dalle piccole beghe quotidiane della politica, vedeva le cose proprio nel loro insieme, e quindi grandi, anche se gli uomini fossero per avventura piccoli: gli uomini si travagliano per mandare a lor guisa la inevitabile rinnovazione delle cose umane. Ma v una mano occulta che scompone e ricompone senza che paia, e prepara un ordine morale che pu parere cosa da nulla, e sar cosa maravigliosa poi suoi effetti. Non so se noi li vedremo almeno tutti; ma qualcuno s, e grande e inaspettato. Io ammiro la sapienza divina che per operare le grandi mutazioni, si serve di strumenti che paiono insufficienti al bisogno. Se fosse vivo il Cavour, e avesse operato quel che ha fatto il Lanza, si direbbe: ecco la mano del grande uomo di Stato. Invece dobbiamo dire (e me ne rallegro): ecco la mano di Dio. Queste considerazioni mi consolano e mi danno coraggio a sperar bene delle cose nostre1813 . Meglio che non nelle diatribe epistolari e negli sfoghi con gli intimi coglieva la sostanza delle cose il Ricasoli stesso, in un discorso pubblico, quando era cio costretto ad innalzarsi al di sopra delle polemiche minute, riuscendo ad un giudizio che quelle polemiche non annullava, ma certo rendeva di peso non decisivo: verr giorno in cui sar riconosciuto e consacrato nei fasti dItalia che il Ministero attuale ha guidato la nazione a Roma, e ve

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lha mantenuta in un periodo difficilissimo. Sar questo un glorioso periodo della storia contemporanea1814 . La vera grande debolezza dello Stato italiano non consisteva nelle diatribe dei partiti, nelle lotte personali e simili, ma in quella estraneit delle masse alla vita pubblica che il Sonnino doveva additare parecchi anni pi tardi, in piena Camera, discutendosi della riforma elettorale la grandissima maggioranza della popolazione, pi del 90 per cento... si sente estranea affatto alle nostre istituzioni; si vede soggetta allo Stato e costretta a servirlo con il sangue e con i denari; ma non sente di costituirne una parte viva ed organica e non prende interesse alcuno alla sua esistenza ed al suo svolgimento1815 . Il resto, eran motivi tuttaltro che caratteristici della vita politica italiana, analoghe deplorazioni contro gli intrighi parlamentari, la decadenza del costume, le eccessive crisi ministeriali levandosi, allora e poi, in tutti i paesi del continente a regime parlamentare; eran motivi, soprattutto, che con il loro moralismo e pedagogismo nascondevano il vero e grande problema politico, che era di tuttaltra natura e voleva invece dire render pienamente partecipi de diritti e de doveri pubblici, e cio della vita dello Stato, tutti gli Italiani e non una ristretta cerchia di privilegiati. Con ci, non si vuol certo sostenere che quelle lagnanze non avessero loro ragioni dessere; che non si minacciasse talora di superar quel limite, entro cui devono pur contenersi le inevitabili manchevolezze della vita pubblica quando si voglia che lo Stato rimanga, come diceva il Machiavelli, bene ordinato. E lo superavano, questo limite, non soltanto gli elettori che non si curavano delle urne, ma anche parecchi uomini politici, deputati e senatori, il cui assenteismo dalle sedute formava oggetto di frequentissimi ammonimenti nella stampa, anche qui unanime, di Destra o di Sinistra che fosse, e costretta per anni a ripetere il suo

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incitamento1816 : ed era magra consolazione il rammentare che anche altrove, e perfino nellInghilterra, lalma parens della libert, non era infrequente lo spettacolo di aule parlamentari semi deserte, fosse il caldo a far sospirar le fresche aure marine e montane, fossero, a dirla con Pitt, le quaglie e le volpi ad attirar maggiormente gli onorevoli rappresentanti della nazione1817 . Altri uomini politici, pi correttamente dichiaravano di rinunciare al mandato nelle elezioni generali del novembre 1870, quasi che allora si fosse chiuso per sempre un periodo di storia, s da lasciar liberi coloro i quali avevano lottato proprio soltanto per fare una patria e potevano quindi intonare il nunc dimitte. Che era la motivazione addotta da una delle maggiori personalit dellItalia del Risorgimento, uomo di alto e rigido sentire, al quale non potevano imputarsi accidia o mancanza di senso del dovere: ma stanchezza, fastidio della vita politica, desiderio di far ritorno a vita serena e riprendere unattivit pi conforme alle inclinazioni del proprio spirito1818 , erano anche nel barone Bettino Ricasoli, che rinunziava alla candidatura tra il dolore e un po lo sdegno dei moderati1819 , gi allarmati per altre, cospicue defezioni, dal Peruzzi a Guido Borromeo, a Carlo Alfieri di Sostegno. Vari i motivi di siffatta fuga ragguardevole di parlamentari del partito moderato1820 : ma gravi le conseguenze, soprattutto per lo spettacolo della diserzione di uomini i quali avevano pure ammonito che la libert un dovere, il primo dei doveri, che il cittadino non pu rifiutare la sua partecipazione ai pubblici servizi, non pu per pigrizia o per egoismo disinteressarsi... deglinteressi comuni e generali della sua patria, e che se in Italia la libert non aveva ancora arrecato tutti i suoi frutti, ci era dovuto alla indifferenza di troppa parte della nazione per i problemi di interesse generale1821 . E se vero che alcune di quelle rinunzie non avevano poi effetto pratico, perch di fronte al voto degli elettori, ostinati nel rieleggere lantico loro

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rappresentante, il primo proposito del Ricasoli cedeva ed egli ripigliava il suo seggio in Parlamento; pur vero che quel rimettersi per la solita via era stracco e fiacco, dettato non da convincimento ma semplicemente dal non voler essere scortese verso gli elettori, tale insomma da indurre a fare il deputato alla meglio, o alla peggio1822 . Il vecchio ceto di governo si raref, vuoti notevoli si aprono nelle sue file non solo per il naturale destino degli uomini, ma anche per volontario allontanamento allora che le forze fisiche sono intatte o quasi; donde, anche, governi composti in larga parte di uomini tolti dalla amministrazione pubblica, anzich di uomini politici veri e propri1823 . A chi li guardi a distanza di tempo e contempli quegli anni nellinsieme della storia dItalia, tali improvvisi ritiri e defezioni non rappresentano nulla di allarmante: sono i segni del mutar del ceto di governo, del trapasso di indirizzo politico, i segni che precorrono, costituendone una delle necessarie premesse, la cosiddetta rivoluzione parlamentare del marzo 1876. quel rinchiudersi anzich ampliarsi dei quadri della Destra, quel perdere anzich acquistare uomini ed energie, in che savverte la imminente crisi del partito moderato ed il suo tramonto come ceto di governo1824 . Ma anche questo vero sino ad un certo punto, o pi precisamente, non tutto il vero: ch, al di sotto delle contese fra le due parti per lesercizio del potere, gi nel fondo fondo savvertiva pure assai pi grosso pericolo, lestraneit della gran maggioranza della popolazione alla vita pubblica e il ridursi di questa a una battaglia fra generali. Comunque, allora quelle defezioni e quei ritiri parvero gran cosa, suonarono per molti non gi come segno di trapasso da un gruppo di governo ad un altro, bens come segno di decadimento puro e semplice della classe politica e fin come segno di decadimento degli istituti

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liberali, primo fra tutti il Parlamento, e come sfiducia nellavvenire della patria1825 . Allora, simili spettacoli di indifferenza non solo degli elettori ma anche degli eletti, e conseguenti lungaggini di vita parlamentare poterono servire ad alimentare la polemica antiparlamentaristica gi forte e varia in quegli anni1826 : una polemica determinata non gi da un atteggiamento antiliberale, come un cinquantennio pi tardi, ma anzi dal rammarico che le istituzioni liberali non funzionassero abbastanza bene, non fossero abbastanza forti e rispettate1827 . Allora, confluendo in uno sbocco solo tedio personale, stanchezza delle lunghe lotte passate e desiderio di quiete, sdegno di fronte allamore del proprio particolare e allindifferenza di molti per le grosse questioni del paese; allora ci furono valenti uomini a cui venne a fastidio la vita pubblica; e a tacer del Ricasoli, cera il De Sanctis che, al vedere incancrenire la cosa pubblica, almeno momentaneamente si isolava e si chiudeva nella letteratura1828 . Allora taluno dei moderati pot far sua linvocazione di Odilon Barrot rendez-moi lenthousiasme de 1830, e chiedere il ritorno allentusiasmo dei giorni passati, lentusiasmo non da piazza ed effimero, ma calmo, schietto, perseverante, senza del quale lItalia non si sarebbe sollevata a dignit di nazione colta ed operosa, n sarebbe diventata, come doveva, la provvidenza della civilt latina1829 . Allora e anche poi uomini di alto ingegno e di forte sentire morale poterono immalinconirsi ed amareggiarsi per la ignavia delle menti che vi rattrista e vi snerva... la pigrizia di molti dei cos detti liberali che sono in fondo tradizionalisti... il difetto di quella cultura che rende atti gli uomini a discutere anche quello che non si accetta o si respinge: siccome doveva capitare, pi tardi, ad Antonio Labriola, indotto a chiedersi se per gli Italiani, rosi comerano dal tarlo del Cattolicesimo, non fosse destino essere tardi a pensare e svogliati nel progredire, buoni a sentir compiaci-

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mento della vanit dei ricordi classici e delle commemorazioni retoriche, non a prender parte al moto generale del progresso1830 ; siccome capitava, sin da quei giorni, al Marselli che continuava ad arrovellarsi, sempre, sulla questione se noi siamo vecchi o se siamo giovani con grande avvenire dinanzi, e tendeva spesso a dubitar della giovent e dellavvenire1831 . Allora, si pot avere limpressione che il motto degli italiani fosse diventato chacun pour soi, Dieu pour tous1832 . Gli Italiani sentivano che sera chiuso un periodo storico; e lo cingevano di rimpianto e guardavano immalinconiti al presente1833 . III Grande politica o politica della tranquillit? Situazione di fatto, realt diremmo obbiettiva e stato danimo generale facevano dunque s che non fosse lora dopo il 70, per una attiva politica estera dellItalia. Conseguita lunit, occupata Roma, lItalia non chiedeva se non pace e tranquillit per curare il suo interno. E quanto poco la politica estera in s, come intreccio di relazioni con le altre grandi potenze e azione nel concerto europeo, premesse agli uomini degli anni dopo il 70, di ben altro preoccupati che non dellintessere le fila di una illusoria politica di grandezza, per cui mancavano le basi stesse, dimostrava il fatto che le maggiori personalit del mondo politico italiano eran note per il loro interesse e la loro preparazione, culturale e pratica, in questo e quel settore della politica interna finanze, amministrazione, rapporti fra Stato e Chiesa , non per la loro bravura diplomatica: divenuto uomo di finanza il Sella, pi vario ma sostanzialmente intento anzitutto ai problemi dellamministrazione interna il Minghetti, e come lui quegli che era allora la pi robusta mente di teorico

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del liberalismo della Destra, lo Spaventa, uomo lontano da un qualsiasi interesse fattivo per i problemi internazionali, giustamente pago di costruire allinterno del suo paese1834 . Non diverse attitudini nei campioni della Sinistra, dal Depretis, che vedeva nella politica estera una seccatura e nei diplomatici la gente men gradita dopo i professori1835 , al Cairoli allo Zanardell al Nicotera al Baccarini al De Sanctis, tutti preoccupati essenzialmente di amministrazione finanza allargamento del suffragio rapporti StatoChiesa e simili problemi di vita interiore. Lo stesso Crispi era preso, allora, soprattutto da problemi di politica interna; e non era senza significato che nelle discussioni alla Camera sulla politica estera la Sinistra mandasse allattacco non i suoi capi, ma figure di secondo piano, il Miceli, il La Porta, il Colonna di Cesar. Fatto caratteristico, la politica estera restava nelle mani della diplomazia piemontese, o venuta su direttamente alla scuola piemontese. Lombardo, certo, il Visconti Venosta, ministro: ma cresciuto alla scuola del Cavour, e anchegli navigante in pieno nella scia delle vecchie tradizioni diplomatiche subalpine. E, attorno a lui, piemontesi e parecchi savoiardi1836 : dal segretario generale, lo Artom, al direttore della divisione politica, il Tornielli, ai principali capi missione allestero: Nigra a Parigi, de Launay a Berlino, Cadorna e pi tardi Menabrea a Londra, fra pochi mesi di Robilant a Vienna, de Barral a Madrid, Blanc a Bruxelles. Facevano eccezione il Caracciolo di Bella a Pietroburgo e il Barbolani a Costantinopoli: ma erano, anche, fra i meno autorevoli. Uno stato di cose, insomma, che non trovava riscontro in nessun altro settore dellamministrazione italiana1837 , nemmeno nellesercito, pure cos legato alla dinastia e alle tradizioni sabaude, perch in esso, allato dei Ricotti, stavano ora in posizione di primissimo piano i Pianell e i Cosenz; e chera destinato a durare ancora assai a lungo, anche

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dopo la caduta della Destra, con il Tornielli e il Maffei di Boglio piemontesi entrambi veri ispiratori, dietro le spalle rispettivamente del Depretis e del Cairoli, della politica internazionale dellItalia dal 76 all81, sino a quando lavvento del Mancini alla Consulta non port, per la prima volta, mentalit, preoccupazioni e stile non piemontesi nella trattazione degli affari. Era unaltra, evidente prova che per il momento i rapporti internazionali non accaparravano lattenzione e linteresse dei pi. LItalia voleva esser lasciata tranquilla, e lavorar senza preoccuparsi troppo di quel che succedeva attorno a lei, intenta alle sue cose interne e poco sensibile ai grandi eventi che si svolgevano allora oltre le sue frontiere, e che non producevano pi, annotava uno straniero, se non une impression voile par cette impassibilit qui rsulte chez les Etats de leurs proccupations intrieures en prsence des malheurs dautrui1838 . Se vero che, attorno al 1889, in tutti i convegni e ritrovi del ceto di media cultura non si sentiva discorrere daltro, a detta del Jacini, che di politica estera alleanze, combinazioni diplomatiche, guerre possibili, rettificazioni di confini , e assai poco o nulla invece delle questioni interne1839 , ben certo che negli anni seguenti la presa di Roma le conversazioni e i dibattiti familiari e di circolo vertevano su tuttaltro argomento, e che i problemi propriamente internazionali eccezion fatta di quello specialissimo problema chera la questione romana lasciavano freddi gli animi. Quel che lItalia chiedeva e di cui abbisognava, il governo della Destra lo diede, nella misura del possibile. Alcuni anni pi tardi, colui chera direttamente responsabile della politica estera del paese, e tale responsabilit aveva assunta sin dal 69, alcuni anni pi tardi il Visconti Venosta affermava che lo scopo della politica estera dellItalia dopo il 70 era stato quello di affrettare il momento in cui finalmente le riuscisse di far parlare po-

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co di s. Il che significa di far s che lItalia potesse finalmente avere dinanzi a s quel periodo di tempo, al quale aveva pure gran bisogno di giungere; in cui, con un sentimento di sicurezza e senza essere distolto da altre pi vive sollecitudini, il paese nostro avesse agio, pace e tempo necessario per occuparsi delle sue questioni interne1840 . Era, condensato in una formula assai incisiva, lo stesso pensiero che il valtellinese aveva costantemente espresso, dal settembre del 70, sia che lo raffigurasse a guisa di principio e direttiva base nelle lettere personali ai suoi pi fidati collaboratori allestero1841 , sia che ne facesse oggetto di solenni dichiarazioni alla Camera, quando doveva difendersi dalle critiche acerbe dei vari Miceli e La Porta1842 . Ed era un programma in cui i moderati convenivano sostanzialmente tutti: gli uni, come il Minghetti, parlando di conservatorismo; altri, meno noti, come Guido Borromeo, servendosi di immagini quasi identiche a quella del discorso di Tirano, e prospettando la necessit di camminare ora sulla punta dei piedi per non far rumore1843 ; altri, come lo Spaventa, ammonendo che lacquisto di Roma, la citt dove aveva avuto sede il governo dellimpero del mondo non deve n pu infondere negli animi nostri alcuna arroganza o pretensione di dominio fuori di casa nostra, giacch le ragioni e le possibilit di dominio al di l del proprio territorio non si possono desumere dalla memoria dun potere, che non pi da secoli e che niun secolo vedr rinascere, ma da bisogni e da necessit attuali e da forze vive e capaci di soddisfarvi. Tale non il nostro caso1844 . Tutti, dunque concordi che bisognasse circondare lItalia di pace1845 ed essere modesti, almeno per mezzo secolo, come fu pi tardi ripetuto1846 . Nella stampa diffondevano la direttiva comune le grandi firme del partito, soprattutto il Dina nellOpinione; e tornava insistente il motivo, primamente svolto dal Dina, ripreso pi tardi dal Jacini nelle

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sue celebri note sulla politica italiana1847 , che ormai doveva ritenersi chiuso il periodo in cui gli Italiani cercavano ogni occasione di perturbamento europeo per sfruttarla a propri fini; febbrilmente ansiosi di giungere alla mta, chera lunit nazionale: questa raggiunta, si entrava in una nuova fase in cui allagitazione doveva sottentrar la calma, al desiderio di veder le acque mosse e torbide, il desiderio contrario, di veder tutto tranquillo limpido e senza vento, e al continuo sogguardar oltrAlpi, spiando gli anche minimi incidenti della politica europea, la concentrazione nelle cose proprie, negli affari interni. Il tempo della politica agitatrice era finito: chi sognasse ora una politica estera di supremazia e di primato, una politica tumultuaria e scapigliata, sarebbe un pazzo da mandare a Bonifazio. Dopo lacquisto di Roma, la politica nostra di osservazione e di raccoglimento1848 . Motivo che, svolto nella stampa dagli amici del Ministero, era dunque comune a tutti i moderati; e il Visconti Venosta lo avrebbe poi formulato, con tutta chiarezza e in termini quasi identici a quelli di cui sera servito il Dina, quando, non pi ministro, anzi parlando dai banchi dellopposizione, interrogava il governo del Depretis sulla sua politica estera, il 23 aprile del 1877. Quando... la nostra costituzione nazionale non era compiuta dichiarava il valtellinese quel giorno lItalia nelle complicazioni europee vedeva e cercava loccasione opportuna per coronare ledificio della sua indipendenza, e della sua unit. Ora lItalia fatta, lItalia uno Stato costituito, ed io credo che la sola politica che ci convenga una politica prudente, leale, scevra da ogni spirito di avventure, che faccia considerare il vantaggio e lutilit per gli interessi europei della presenza e dellazione morale di questo giovine Stato nel concerto delle grandi potenze. Io credo che solo per questa via lItalia potr consolidare la sua situazione internazionale, potr renderla si-

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cura nel presente e nellavvenire, ottenere il vantaggio di fide alleanze ed amicizie, e assicurarsi quella legittima influenza che ogni popolo ha ragione di ambire1849 . Questo non voleva dire n chiudersi nellisolamento, pi che mai deprecabile, n rinunziare ad unazione regolare e continua nella grande politica generale1850 , n avvilire la propria dignit: era proprio LOpinione ad incitare, un giorno, gli Italiani ad avere un po di coscienza di se stessi, per non esser sempre raffigurati con un tovagliolo sul braccio, dinanzi alla porta di un albergo, in attesa di forestieri1851 . Voleva bens dire che, decisissimo nel difendere ad ogni costo lunit compiuta e, in particolare, il pi recente acquisto, Roma; deciso a non indietreggiare dun passo dalle posizioni raggiunte, a non retrocedere, secondo scriveva il Visconti Venosta al Nigra il 27 febbraio del 711852 , il governo del Re avrebbe cercato in ogni modo di prevenire gli incidenti, di accomodarli quando fossero successi e non rivestissero gravit tale da costringere ad abdicazioni di dignit o a rinunce ad interessi vitali: soprattutto, che avrebbe evitato ogni avventura allestero. Avrebbe, per riprendere la colorita espressione del ministro degli Esteri, cercato di far parlare poco di s. Il che era tuttaltro che facile, anzi difficilissimo compito date le circostanze: clamori europei e pi che europei della parte clericale, alti lai e violentissime proteste contro la prigionia del Papa, e bellicosi propositi che fiorivano nelle parrocchie francesi, belghe e spagnole, in Irlanda e anche altrove, dovunque insomma un abito talare fosse presente ad esortare i fedeli alla nuova crociata. Era per compito del tutto insufficiente, impari alla dignit dellItalia insediata in Campidoglio, a sentir le voci dellopposizione. La parola dordine della Destra era pareggio, e la Sinistra replicava che un uomo non vive di solo pane e un popolo non vive solo di pareggio1853 ; il ministro

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degli Esteri diceva che era giunto il momento di non far parlare di s, e lopposizione insorgeva come se questo fosse un insulto alla dignit patria1854 , cos comera, due anni innanzi, insorta contro altre parole attribuite al Visconti Venosta, che avrebbe detto ai suoi elettori di Tirano, nellestate del 72 noi non siamo ricchi, noi non siamo forti1855 . Lumilt pi che cristiana del valtellinese eccitava il santo sdegno dei custodi dellonor nazionale, stretti attorno alla Riforma o al Diritto o a qualsivoglia altro de fogli di opposizione; pi su ancora del Visconti Venosta, era lintero governo della Destra a svolgere una politica pietosa, avvilente per lItalia una, indegna della maest del Campidoglio. Era una musica, che si levava alta e squillante attraverso i versi e le prose sdegnose del Carducci, tutto preso dal fascino dei grandi ricordi, trascinato a battezzar vile lItalia dei suoi giorni, a buttar in faccia ai suoi contemporanei lelmo di Scipio del martire santo Mameli e quelle fisime liviane, che ebbero pur tanta forza da spingere i conservatori al Quirinale, e li spingeranno, per avventura, anche pi l1856 ; e che grazie alliracondo Giosu giunta familiare allorecchio delle generazioni del secolo XX. N il Carducci era solo a parlar sotto limpulso de grandi fantasmi del passato affollantisi nellanimo e nella mente: anche un ben pi modesto uomo, ma politico attivo e uomo di parte, Michele Coppino, commentando la sfiducia, la tristezza generale, si meravigliava che il Campidoglio non avesse infuso negli Italiani, dopo il Venti Settembre, le virt degli antichi Romani1857 . Lesser giunti a Roma, avrebbe dovuto guarir tutti i mali, por rimedio a tutte le manchevolezze delledificio statale, quasi fosse, in Roma, la fata che trasforma i cenci di Cenerentola in un risplendente abito da ballo. Stato danimo miracolistico, contro cui i pi sagaci ed assennati avevano messo in guardia prima che sentrasse

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a Porta Pia1858 ; ma le saggie osservazioni non giovavano e il miracolismo continuava a fluttuar nellaria, avvincendo persino un uomo, bizzarro s, ma dingegno e ricco di esperienza europea come Giuseppe Ferrari1859 . Senza dubbio, in simili polemiche bisognava far larga parte alle necessit tattiche della lotta che lopposizione conduceva contro il partito al potere. Molte cose venivano dette che, una volta la Sinistra al governo, sarebbero state prestamente dimenticate; e fra le cose dette contro i ministeri Lanza e Minghetti quelle concernenti la politica estera eran proprio, in massima, fra le meno impegnative per i pi degli uomini della Sinistra1860 . Gridavano allora contro lignavia del governo che non alzava abbastanza la voce in Europa, soprattutto contro la proterva Francia de preti e de reazionari, e dimenticava gli eroici fatti del 59 e i Mille e la grandezza dItalia, lelmo di Scipio e la camicia rossa e Vittorio Emanuele a cavallo fra gli zuavi, a Palestro; e finirono poi, anchessi, col dichiarare solennemente alla Camera, il 23 aprile 1877, e sia pur per bocca del ministro degli Esteri, lex mazziniano ma da gran tempo moderato Melegari1861 , quel chera apparso grave sacrilegio, anni innanzi, in bocca ai Visconti Venosta, Jacini, Dina, Bonghi e consorti. Lonorevole Petruccelli mi chiede perch si sia abbandonata da noi la politica che ha preceduto la costituzione della unit italiana. Questa una domanda molto grave, ed io penso che la Camera consentir qui nella mia opinione. Gli Stati hanno una politica propria del periodo di formazione, qual stata quella seguita sino al momento in cui ci impossessammo della nostra capitale. Ma, secondo lavviso degli uomini pi savi ed esperti, questa politica doveva cessare quando quel periodo fu chiuso; e guai a chi cercasse di riaprirlo! Perch si affaccerebbero allora tutti i pericoli che potrebbero minacciare la nostra esistenza politica.

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Dunque, a questo riguardo, abbiamo seguito la politica dei nostri predecessori; cio abbiamo cercato di rassicurare lEuropa, di mostrare a tutti gli Stati che la nostra politica estera sar fondata, da ora innanzi, essenzialmente sulle condizioni della pace e sul rispetto di tutti i legittimi interessi e diritti degli Stati che ci circondano1862 . Parole dette ironia della sorte! proprio poco dopo che, nella stessa seduta, il Visconti Venosta aveva pronunziato il suo credo politico, perfettamente identico, ma pensato e professato, a parole e a fatti, da tutta la Destra dopo il 70. Polemiche, dunque, dovute puramente alle necessit della lotta parlamentare e cos transeunti: e nera prova, ancora, il fatto che, pur di attaccare la politica del ministero in generale e del Visconti Venosta in particolare, mentre solitamente la si accusava di timidezza, fiacchezza, servilismo di fronte alla Chiesa e alla Francia, insomma di paura congiunta con intenti oltramontani e reazionari1863 , non si esitava, altra volta, a far del Visconti Venosta, dimprovviso, un prepotente, smanioso di atti di forza corrivo alla soverchieria ed alla prepotenza verso gli Stati deboli1864 . Era, questa, infatti laccusa mossagli dal deputato Englen, e sostanzialmente anche dal ministro degli Esteri della Sinistra1865 , il Miceli, quando, nella seduta del 25 novembre 1872, si venne a discutere alla Camera di due vertenze in cui il governo italiano era o era stato impegnato: luna, la vertenza con la Grecia a causa delle miniere del Laurium e della contestazione sorta, per esse, fra il governo di Atene e la societ franco-italiana Roux-Serpieri; laltra, la cosiddetta vertenza della Gedeida col Bey di Tunisi nel 1871. Per questa parte era dunque facile prevedere che, una volta al governo, lopposizione avrebbe mutato registro e che, al disotto delle polemiche contro lignavia del governo, non ceran poi idee generali molto diverse, ad eccettuarne la questione dei rapporti con il Papato,

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dove veramente lopposizione di vedute era sostanziale e grossa. Ma non tutta lopposizione era compendiata nei nomi di Depretis, Zanardelli, Nicotera, Cairoli, o in quello di Rattazzi, allora capo della Sinistra, ma che pi di ogni altro dei suoi gregari era in opposizione al governo proprio per ragioni di lotta parlamentare ed anzi di autorit personale. Cera Crispi con il suo gruppo; e ceran, fuori della Sinistra come partito ed in opposizione anzi alla Sinistra su parecchie questioni, uomini eminenti i quali dissentivano profondamente dallindirizzo che il governo aveva adottato in fatto di politica estera. E qui lopposizione perdeva il suo carattere di mezzo tattico momentaneo per assumere valore di antitesi di principi e di ideali. Per Depretis, Zanardelli, Cairoli, il dissenso con i moderati era sostanzialmente di politica interna: liberalismo pi pronunziato o, come dissero, democrazia, e cio allargamento del suffragio ed avvento di un ceto dirigente a reclutamento pi largo; anticlericalesimo grandemente accentuato; contrasti sul problema finanziario e sul sistema tributario alla Sella. Per un Crispi, tuttoch in quegli anni ancora poco attivo parlamentarmente in questioni internazionali e come gli altri capi della Sinistra assai pi attento alle questioni interne preoccupato comera di lottare per la libert ora che lunit era compiuta1866 , di rafforzare ledificio statale e di ottenere che gli Italiani divenissero i Sassoni della razza latina fondando e facendo funzionare con verit le istituzioni parlamentari1867 ; per un Crispi ed i suoi amici lopposizione era gi, nellintimo, sostanziale anche in politica estera: ed era opposizione non tanto su questa o quella questione specifica, bens di stile e di animo. Non che la mente del Crispi fosse gi quella di un imperialista o anche solo di un nazionalista del ventesimo secolo. Figlio spirituale della Rivoluzione francese, pur cos odiata talora, da lui come dal Mazzini come da al-

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tri, per il suo schiacciare lanima italiana1868 ; giacobino, giusnaturalista1869 , non ancora capace di respingere tutti i sogni umanitari, ad onta del conclamato realismo politico, e in ci diversissimo dal Bismarck, che di quei sogni aveva sempre riso, il Crispi rimase sempre lontano da qualsiasi dottrina di conquista per la conquista, da ogni nazionalismo concettuale. In politica interna continu a predicare libert libert il nostro idolo, la nostra vita, a negare lonnipotenza dello Stato, ad invocare lInghilterra come paese modello e a definirsi liberale progressista, avverso ad ogni dittatura e riluttante a ricorrere al carabiniere1870 . Solo negli ultimi tempi, dopo il 94, cominci a pensare che in Italia il regime parlamentare non fosse possibile; ma anche allora protest che egli non avrebbe mai fatto nulla contro il Parlamento, lasciando tal briga a chi fosse venuto dopo di lui: e, comunque, fra gli stessi senatori e deputati erano in molti allora a cinguettare contro il parlamentarismo, e la sua non era, certo, voce isolata1871 . Il regime costituzionale alla tedesca chegli auspic dopo il 96, non era poi cosa talmente insolita nelle discussioni di quei giorni, e non ad opera del solo Sonnino1872 . In politica estera rimase dottrinalmente fermo allideale delle nazionalit, e sinceramente protest il suo amore per la pace e il suo riluttare dalla guerra, anche dalla guerra con la Francia che sarebbe stata una guerra civile1873 . I tempi del totalitarismo, Fhrer-prinzip e spazio vitale, non erano ancora giunti; il suo pensiero fu sempre imperniato sui grandi motivi del Risorgimento, unit, libert, nazionalit, e dunque lontano non diciamo dalla dottrina fascista ma anche dal nazionalismo alla Corradini e perfino dagli accenti antiumanitari e antidemocratici di un Oriani o di un Turiello. Fu autoritario in pratica; ma ideologicamente non giunse mai a rinnegare i princpi che aveva additati alla Sinistra del 1876: spesso gli autoritari parlano dei diritti dello Stato. Questo un

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errore. Lo Stato non ha diritti e non pu averne. Esso riceve una delegazione dal popolo per lo adempimento delle funzioni che gli vengono attribuite...1874 . Praticamente, la sua fu una politica estera dominata dal miraggio della grandezza del proprio paese; concettualmente; non os mai rinnegare lideale della fratellanza dei popoli e frammischi talora curiosamente, ne suoi giudizi, la valutazione di pura potenza e lideologismo liberale1875 . Per converso, nei moderati cerano ben altre aspirazioni che quelle, come sus poi dire, di unItalietta modesta modesta e chiusa nelle sue faccende interne. Gi la risposta del Minghetti al de Laveleye, linsistere sul bisogno di espansione della giovinezza e sullimpossibilit per un gran paese di contenere la sua attivit in se stesso, erano eloquente indizio di quel che pensassero i maggiori tra i moderati. La grandezza del suo paese, anche un Minghetti la voleva: un Minghetti che, per il varo della Morosini, rammentava anchegli le antiche glorie di Venezia, commovendosi secondo era nellindole sua, cio senza forzare i toni; che, con tutte le sue simpatie per il Gladstone, ne deplorava la politica estera come troppo umanitaria; che si chiedeva cosa avrebbe fatto lItalia di fronte allespansione coloniale altrui e simpazientiva, nel 1886, al pensiero che lItalia assistesse, semplice spettatrice, alla spartizione della penisola balcanica, dopo avere gi assistito alloccupazione francese di Tunisi: a che pro, allora, la Triplice Alleanza?1876 Un Minghetti, un Visconti Venosta, tuttoch ben fermi nella loro volont di concentrare, per allora, gli sforzi del paese nella ricostruzione interna e di evitare ogni complicazione esterna, sognavano, anchessi, giorni avvenire in cui la nazione risorta e consolidata potesse svolgere intensa attivit anche fuori delle frontiere, non tanto sotto forma di conquiste e di spedizioni militari, cos estranee in genere al loro modo di pensare, quanto sotto

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forma di espansione economica e di influenza politica e morale. Uneccezione a siffatta avversione per le conquiste poteva esserci: ed era Tunisi. ben vero che, rievocando dinnanzi alla Camera, il 28 novembre 1880, le linee direttive della politica estera della Destra nella questione tunisina, il Minghetti escludeva vi fosse stata, in lui e nei suoi colleghi di parte, lintenzione di far dellItalia la padrona della Reggenza, accontentandosi essi, invece, della sola indipendenza del Bey, dello status quo insomma, che, questo s, eran stati decisi a non lasciar violare per non veder compromessa la legittima influenza dellItalia1877 . , vero anche che rievocando i progetti di spedizione del 641878 , li connetteva, secondo era stato nel fatto con la previsione dellingresso di altre potenze a Tunisi... affinch non potesse esservi occupazione permanente a danno dellindipendenza di quel paese. Ma il Minghetti diceva queste cose in pubblico, in un momento in cui la questione tunisina era gi gravemente compromessa e in cui, nonch avanzar richieste di dominio proprio, lottenere il mantenimento sicuro dello status quo sarebbe stato un bel successo per lItalia; e pu esser quindi lecito dubitare che i suoi progetti fossero sempre stati cos modesti. Il suo amicissimo Visconti Venosta, chera con lui in cos intimo contatto didee, riduceva anchegli dassai limportanza dellepisodio del 1864, posto nella vera luce in una sua lettera al Nigra del 29 maggio 1894. Voi rammentate gli avvenimenti di Tunisi, nel 1864, linvio della squadra, la politica nostra nella eventualit di uno sbarco della Francia o daltre Potenze. Di tutto questo ho ricordi precisi. Ricordo anche che, nellestate del 1864, credo nel giugno, a Fontainebleau, quando si fecero le prime trattative per la Convenzione di Settembre, lImperatore Napoleone, parlando tra le altre questioni an-

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che della tunisina, vi deve, aver detto qualcosa di simile a questo che, senza giudicare dellinteresse che potevamo averci in quel momento, se lItalia avesse creduto di andare a Tunisi, egli non si sarebbe opposto. Io, per, di questo incidente non ho, come vi dicevo, unesatta memoria. Pepoli, molti anni dopo, lesse in un suo discorso al Senato, un brano duna sua relazione a Minghetti, nella quale era riferita una risposta consimile dellImperatore come fatta a lui, nel 1864. Le parole di Pepoli le troverete nel libro di Chiala Pagine di storia contemporanea Fascicolo II Tunisi, pagina 223. Blanc, nel suo discorso di pochi giorni sono alla Camera, parl del consenso ad una spontanea occupazione della Tunisia notificatoci gi ufficialmente da Napoleone III nel 1867. E qui non so se egli intese parlare dei tempi del Ministero Rattazzi successo nel 1867 a Ricasoli o dei primi mesi del Ministero Menabrea, perch nulla di simile vi fu durante il governo di Ricasoli, oppure se, per errore, scambi il 1864 col 1867. Ma se questultimo il caso, mi pare che Blanc ed altri prima di lui abbiano singolarmente esagerato lincidente, considerandolo come una occasione nella quale la Tunisia fu messa a disposizione dellItalia e questa rifiut doccuparla. Limpressione che mi rimase, da quella epoca lontana in poi, fu sempre che se da alcune parole dette sotto gli alberi di Fontainebleau si fosse voluto passare ai fatti, la dichiarazione un po vaga dellImperatore avrebbe trovato dei grandi ostacoli ne Ministri di lui, sopratutto in Drouyn de Lhuys, custode delle antiche tradizioni. Il momento poi bastava, di per s, a rendere vano questo discorso. Noi cercavamo allora di impegnare lImperatore, se era possibile, ad una alleanza franco-inglese per la questione danese, alleanza che ci doveva condurre alla liberazione della Venezia. E se nessuna combinazione di questa natura poteva avverarsi, cercavamo di concludere collImperatore qualche accordo importante, decisivo nella quistione ro-

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mana. Insomma la guerra collAustria o la Convenzione di Settembre. Mi pare un po difficile che il Governo italiano avesse a scegliere quel momento per andare invece in Africa e sostituire Tunisi a Venezia od a Roma.1879 . Ma se non nel 64 certo successivamente a Tunisi si pens come ad augurabile terra italiana; e proprio il Visconti Venosta ebbe a dichiarare, in pieno Consiglio dei ministri, il 21 novembre 1870, parlando dei supposti progetti turchi di occupare la Tunisia, chera interesse italiano opporvisi giacch un giorno Tunisi dee toccare allItalia1880 . Non v da insistere sulla minore o maggior precisione di aspirazioni volte al futuro e perci appunto necessariamente assai elastiche e vaghe, soggette ad alterne vicissitudini, anzi, contraddizioni1881 , in stretta connessione daltronde con il variar della situazione internazionale: onde se il Visconti Venosta, in sul finir del 1870, poteva anche pensare a Tunisi italiana di fronte ai disastri della Francia e alle pessimistiche previsioni sullavvenire della Francia, che non avrebbe pi potuto occuparsi del Mediterraneo e dellAfrica1882 , gi poco pi tardi, di fronte al rapido, quasi miracoloso risorger della stessa Francia, naturale mutasse tono e pensieri, come che entrar in urto con la Francia per Tunisi non potesse esser stato mai ne suoi divisamenti. Comunque, certo notevole che perfino il cauto Visconti Venosta, cos vicino danimo, oltre che al Minghetti, a que conservatori lombardi tipo Jacini tanto fieramente avversi ad ogni megalomania, non solo non escludesse, anzi auspicasse linfluenza italiana a Tunisi, dopo di aver gi nel 64 dichiarato che nessun avvenimento in Tunisia poteva rimanere estraneo agli interessi italiani1883 ; e saugurasse anche che il gteau turco fosse servito solo quel giorno in cui lItalia dalla petite table fosse passata alla grande1884 , in modo da poter avere la sua buona porzione di torta.

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Affiorava dunque anche in lui il sogno gi del Mazzini e del Cattaneo1885 , di tanto diversa parte politica, che avevano guardato a quel grande baluardo e grande vedetta nel Mediterraneo come ad un grosso pericolo per lItalia, se in mani altrui, e quindi come ad un necessario, futuro centro italiano: Mazzini, anzi, venendo fuori proprio ne riguardi di Tunisi con quellevocazione di Roma antica, destinata ad essere classico ritornello di poi in ogni conato espansionistico italiano. Tunisi e lOriente: quellOriente nel quale era riposto, in gran parte, lavvenire dellItalia, diceva il Minghetti, appunto perci additando il pericolo che il Mar Nero divenisse un lago russo1886 ; quellOriente verso cui doveva volgersi la legittima espansione dellItalia, per la quale era interesse essenziale che le altre grandi potenze non spadroneggiassero nel Mediterraneo e nel Levante, ripeteva Giovanni Lanza1887 . Crispi, poteva appellarsi per i suoi programmi mediterranei alla predicazione mazziniana, che, nel 1871, additava anche lAsia allItalia; Minghetti Visconti Venosta e Lanza risalivamo invece alla gran parola di Cavour che a sua volta si collegava a Balbo: ma quale che fosse la fonte, il miraggio dellOriente attraeva anche i moderati, e cos il Visconti Venosta, lamentando nel 1878 che la politica di completa astensione proclamata dal Corti somigliasse molto allassenza di una politica, lamentava pure con molta finezza di giudizio che lidea di Trento avesse tratto fuori strada la politica della Sinistra durante la crisi dOriente, e deplorava che il trattato di Berlino con le sue conseguenze compromettesse la situazione dellItalia in Oriente1888 . E cos, accadde che in questioni gravi Crispi pensasse esattamente come Minghetti e Visconti Venosta: il mancato intervento italiano in Egitto nel 1882 a fianco dellInghilterra, fu deplorato dalluno come dagli altri, e il

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Minghetti fu solito dire esser stato quello il maggiore errore di politica estera compiuto dal governo italiano1889 . In quelloccasione, altri sera opposto con tutte le sue forze allintervento italiano, e continu a ritenere, sempre, che gli Italiani avrebbero dovuto esser ben contenti di non essersi lasciati rimorchiare in Egitto, cio in una trappola, in cui era facile entrare ma difficile uscire, cacciandosi in un pasticcio senza gusto n vantaggi di sorta1890 . Ma anche il conte di Robilant che cos pensava, era poi tuttaltro che disposto ad una politica di disinteressamento mediterraneo; e prima ancora di dare la pi alta e fruttuosa prova dei suoi intendimenti imponendo quei trattati separati italo-austriaco e italo-germanico, congiunti alla Triplice del 1887, e stringendo quellintesa con lInghilterra, che tutti insieme furono la prima e la grande salvaguardia degli interessi mediterranei dellItalia, pensava si dovessero metter le mani, senza esitare, su Tripoli che era non un problema coloniale, bens un problema vitale per la posizione mediterranea e quindi europea dellItalia1891 . Analogamente, se il conte di Robilant voleva gran rigore contro le manifestazioni irredentistiche per evitare che lItalia si venisse a trovare in situazione difficilissima, Crispi, presidente del Consiglio, applic le vedute del suo antico avversario; e tra le idee da cui era rinvenuto, poche mut cos pienamente come lantico programma rivoluzionario del dissolvimento dellimpero asburgico, e, in genere, della costruzione di una nuova Europa sulla base del principio di nazionalit applicato senza dubbi e senza compromessi. Non dunque da una parte la rinuncia preventiva e dallaltra il nazionalismo programmatico di stile Novecento; non due poli opposti nelle dottrine, leroe e il bottegaio in antitesi lItalia imperiale e lItalia dei camerieri; non il bianco e il nero crudamente contrapposti.

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Ma tra Crispi e la Destra, soprattutto il Visconti Venosta, la differenza cera, sostanziale, profonda, irriducibile. Pensieri e dottrine potevano non essere diversissimi, potevano derivare tutti da uniniziale fonte comune, diritti dellUomo, libert, nazionalit. Ma lanimo, il modo di sentire e dagire, lo stile erano agli antipodi; e poich erano uomini politici e non filosofi, lazione soltanto e lo stile dellazione valevano come misura. Ora, pronto a proclamare nei discorsi la sua avversione allo spirito di conquista e il suo pacifismo, nellanimo il Crispi era roso dallansia della immediata grandezza della patria, e nellazione, inquieta ed eccitata, nervi sempre tesi, scatti e diffidenza ombrosa, finiva col precorrere di fatto il nazionalismo. Non ne aveva ancora la chiarezza concettuale; ne aveva gi lo stile. Era come nella politica interna, dove le sue dichiarazioni di ossequio assoluto al principio di libert, alla legge, allonnipotenza del Parlamento erano belle e ortodosse, ma la sua pratica di capo del governo e di ministro degli Interni non era gi sempre di sicura ortodossia liberale. Lo accusarono un giorno alla Camera di far leggi di Sinistra e politica di Destra1892 ; e, lasciando da parte que due concetti ormai molto equivoci, si potrebbe dire che il pensiero in astratto era liberale e lanimo autoritario. Lazione risent assai pi dellanimo che del pensiero. La teoria del reprimere, cara allo Zanardelli e al Cairoli, era messa da parte e sostituita da quella del prevenire; e anche nel prevenire il modo Crispi fu sovente assai spiccio, e restrittiva linterpretazione pratica del prudente arbitrio del governo di vedere se in un dato giorno, in una data citt, il permettere una pubblica adunanza possa esser causa di disordine1893 . Redini strette in pugno e tirate continuamente, e non redini larghe, alla Giolitti, salvo a tirarle abilmente quando la svolta fosse proprio pericolosa. Significativo, il frequente ricorrere nei discorsi parlamentari di lui del motivo ordine pub-

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blico, tutela dellordine pubblico, vale a dire del motivo sempre invocato e invocabile a giustificazione di una politica di polizia. Oppure, erano espressioni che colpivano per la loro durezza, franca, ma inabile e autoritaria, come quando, a proposito delle guardie municipali, avvertiva la Camera che avrebbe potuto fare anche a meno di essa, procedendo per decreto reale1894 . Quel che lo caratterizzava, non erano dottrine e schemi teorici, ma lazione concreta; e lazione concreta fu, e apparve allora a tutti, amici e nemici, azione di una potente personalit, fin troppo conscia della sua vigoria e proclive a disprezzare altrui1895 , spesso imperiosa nel fare1896 , secca nel tono, facilmente irritabile e collerica, risoluta anche a passar sopra con soverchia facilit, allortodossia costituzionale, anteponendo di fatto autorit a libert. Sempre pi si accentuava la convinzione che non era questione tanto di regime quanto di uomini, e che il regime, qualunque esso sia, uno strumento che giova o nuoce secondo lazione delluomo che lo maneggia1897 ; sempre pi cresceva la imperiosit pratica sino a prorogare la Camera, nel 94, quando essa doveva pronunciarsi sulla relazione del Comitato dei Cinque concernente lui Crispi: cosa che in pratica era la decisa negazione dellessenza stessa del regime parlamentare, e cosa certo mai vista1898 . Era, anche, il timore continuo di non far mai abbastanza presto, di poter esser soverchiato dagli eventi: dal quale timore, derivavano le preoccupazioni del prevenire e le misure cautelari di polizia e lattenzione sospettosa di cui il diritto di riunione e di associazione veniva fatto segno. In politica estera, identica ansia di fare, far presto, e la paura di arrivare troppo tardi, in unEuropa lanciata in piena gara di potenza: onde, se Visconti Venosta Lanza Sella Spaventa dicevano, prima mettiamo a posto la casa

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e poi ci faremo innanzi. Crispi diceva facciamoci innanzi subito, anche se la casa non ancora assestata. Il dissidio, anzi, toccava qui pi a fondo; era dissidio connaturato con tutto il modo di vedere, con il sentire stesso di quegli uomini e, ancora una volta, riportava su su alla fondamentale eterogeneit di forze del Risorgimento. LItalia fattasi da s, per virt di soffio rivoluzionario potente quindi, Mazzini e Garibaldi che si sarebbe fatta, e meglio ancora, anche senza Napoleone III; lItalia, dunque, gi grande per virt propria, gi potente dispirazione, gi atta a svolgere una splendente parte nel consorzio dei popoli, che se non lavesse svolta subito, la colpa sarebbe stata solo dei governanti, antiunitari e mediocri ieri, pusillanimi e mediocri oggi1899 : questo era Crispi. La grandezza della patria, era peccato originale per noi... il peccato di quanti, Mazzini alla testa, lavorarono per la costituzione di tutto il bel paese in unit di Stato... per esser forti e potenti, basta, volerlo, e saperlo1900 . Gli altri, i moderati, convinti, e talora anche eccedendo1901 , che lunit dItalia era stata concretamente possibile grazie soprattutto o addirittura grazie soltanto ad un fortunatissimo insieme di circostanze esterne, situazione europea, Secondo Impero prima, poi anche Prussia, e che il merito degli Italiani era stato di aver colto al balzo lora propizia quindi, Cavour e Vittorio Emanuele, il governo e non liniziativa rivoluzionaria: ma laver raggiunto lo scopo non significava ancora che lItalia fosse gi tanto potente di virt propria, da poter pronunziare ladsum qui feci di fronte ai vecchi colossi della politica europea. Sera stati fortunati; bisognava ora crescere allaltezza della fortuna, vale a dire consolidare ben bene lo Stato. Fare gli Italiani, aveva esclamato il pedagogo dAzeglio, esprimendo perfettamente il modo di pensare dei moderati. Gli Italiani ci sono, facciamo un governo de-

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gno di loro, rispondeva Crispi, e lanciamoci arditamente verso lavvenire. Per luno lItalia era gi una grande potenza, di nome e di fatto, tale da poter imporre il suo volere, purch un volere ci fosse in chi la governava; per gli altri, lItalia era formalmente una grande potenza, ma non ancora nella realt effettuale delle cose. Perci, anche, in questi ultimi, il desiderio di un lungo periodo di pace, che solo avrebbe potuto consentire allItalia di farsi le ossa e diventare una grande potenza anche di fatto. Una guerra europea, ora, quale ne fosse lesito, sarebbe per la nuova Italia un disastro, annotava un giorno il Nigra, sapendo bene di esprimere idee comuni anche al Visconti Venosta1902 : e per quale motivo questultimo avrebbe deprecato, un giorno, che la crisi dOriente fosse scoppiata troppo presto per lItalia1903 , se non perch convinto che il suo paese non era ancora in grado di presentarsi nellarengo internazionale con forti possibilit di azione? A sua volta, il conte di Robilant, proprio allinizio di quella crisi dOriente, non aveva forse riconosciuto anchegli che sarebbe convenuto allItalia la questione dormisse placidi sonni per altri dieci anni?1904 N erano preoccupazioni solo dei moderati: gli sforzi ostinati della diplomazia italiana, nel 76, governando la Sinistra, per impedire il dilagar dellincendio nei Balcani, per ottenere che le grandi potenze procedessero sempre daccordo e che il concerto europeo funzionasse, avevano obbedito alla stessa fondamentale preoccupazione, evitare una grande crisi europea in un periodo in cui lItalia non sarebbe stata in grado di fronteggiare situazioni difficili; e ancora, le ansie del Depretis proprio del Depretis, a torto ritenuto poco sollecito dei problemi internazionali nel 1882, al momento della crisi dEgitto, sempre per ottenere che essa fosse considerata da tutte le potenze, Germania e Austria comprese, una questione assolutamente europea, muovevano dallo stes-

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so timore, che lItalia, lasciata sola questa volta di fronte ad Inghilterra e Francia (come prima di fronte ad Austria e Russia), vedesse sacrificati i suoi interessi vitali nel Mediterraneo1905 . Dire che nessuna potenza in Europa aveva bisogno di pace pi dellItalia, come dissero concordemente i moderati dopo il 70 e ripeterono poi i Depretis e i Cairoli guanti al potere, non era soltanto riluttanza sentimentale alla guerra, fede liberale nello sviluppo pacifico dellumanit, residuo di ottimismo alla Cobden sulla pacifica gara dei commerci sostituita alla gara cruenta delle armi: era anche convinzione precisa che, proprio in omaggio al realismo politico, lItalia non sarebbe stata ancora in grado di tutelare efficacemente i suoi interessi, quando il dio della guerra riprendesse nelle sue mani i destini dellEuropa. Proprio gli eventi fra 78 e 81, Congresso di Berlino e Tunisi, lItalia uscita da una grande crisi europea per la prima volta dal 56 senza successi materiali o morali anzi, con la sensazione bruciante dellinsuccesso , e poi ancora costretta a subire lo smacco di Tunisi, avrebbero rafforzato in molti, sin anco alleccesso, la sensazione che lItalia dovesse andare piano nel valutare le sue possibilit di politica internazionale. Con inconsueta brutalit lo dichiar un giorno del 1881 lambasciatore di Russia, Uxkull, al Mancini: lItalia non doveva considerarsi una grande potenza; se le grandi potenze avevano ammesso lItalia nei loro consigli, ci era stato fatto per cortesia, non gi perch si ritenesse indispensabile il suo consenso1906 . Anche se non lo dicevano tanto apertamente, gli altri lo pensavano; e Bismarck lo fece capire con sufficiente chiarezza tra il 79 e l821907 . E dei nostri, parecchi parvero spesso non alieni dal condividere, sia pure con animo amareggiato, quelle idee: tanto che un giorno fu il Blanc, segretario generale agli Esteri, a dichiarare sia allincaricato daffari austro-ungarico, sia a quello

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germanico, che lItalia non voleva per s la parte di una grande potenza, per cui le mancavano i mezzi1908 ; e altra volta fu il re in persona ad auspicare il giorno in cui, cresciuta la forza interna del paese, lItalia potesse elevarsi al rango delle grandi potenze1909 . Perfino nella stampa non mancava chi affermasse che noi entravamo nel concerto europeo quasi per grazia, e vi dovevamo portar pretese e contegno modesti1910 , e che il conseguimento della potenza era frutto naturale e legittimo di un lavoro pacifico e secolare, vale a dire del rassodamento delle istituzioni e dello sviluppo economico e intellettuale il lavoro a cui lItalia era ora intenta1911 . Sempre, allorigine dei consigli di modestia per il presente, la valutazione storica che il Risorgimento era stato possibile grazie alla favorevole congiuntura internazionale; onde, in quella stessa Rassegna che predicava la modestia, si poteva anche leggere una rapida digressione storica che ricordava la fortuna nel Risorgimento: tutti assorti nel problema dellessere... noi siamo andati bene innanzi perch il costituirsi a nazione, se urtava alcuni interessi, ne favoriva altri, e noi ci siam saputi destreggiare fra questi e quelli. La collisione dellinteresse imperiale francese con laustriaco, ci di il primo potente aiuto: il secondo ci venne dalla collisione dellinteresse prussiano con laustriaco: il terzo da quella dellinteresse germanico col francese. E il prevalente liberalismo, in Europa, e la tendenza anti-papale degli Stati protestanti videro nella vittoria della rivoluzione italiana, sotto una monarchia leale e rispettabile, un interesse civile da non ostacolare; anzi da favorire. Cos fummo...1912 . Di simil genere erano anche i pensieri che inducevano a parlare della precipitosa conquista da noi fatta dellunit, della libert e dellindipendenza contemporaneamente1913 ; oppure della fortuna la quale aveva arriso allItalia in modo affatto singolare per molti anni mentre ora

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il consolidamento delledifizio si chiariva assai pi laborioso del lavoro fatto per innalzarlo1914 . Il giudizio storico era la necessaria premessa di quello politico; e questultimo tendeva dunque, verso l80, a farsi ancor pi pessimistico, giustificando per reazione dinnanzi al paese gli appelli crispini alla grandezza e creando lattesa nel suo avvento. Ma Depretis, uomo della Rivoluzione non era certo stato mai; e Cairoli, era stato s Rivoluzione, ma senza potenza personale di accenti, e perci non urgevano in lui, come in Crispi, le grandi memorie. Ma appunto perch nella valutazione politica del compito spettante allItalia dopo il 70 era implicito il giudizio su quel che fosse stato il Risorgimento, appunto per questo il dissidio tra i moderati e un Crispi era incomponibile. Si parlasse al Crispi, luomo dei Mille, di un Risorgimento dovuto alla favorevole congiuntura europea e alla diplomazia! Il Risorgimento era la Rivoluzione, non meno grande di quella francese1915 , che aveva trascinato tutti, volenti e nolenti; era passione, virt di cospirazione che Cavour aveva potuto diplomatizzare, ma che recava in s stessa tutti i motivi del successo. LItalia di Mazzini e di Garibaldi era gi potente; la marcia in avanti era fatale, la grandezza sicura solo che non mancasse lanimo ai reggitori. Muoversi, dimostrare subito di essere ben vivi e presenti sulla scena europea; far s che la grandezza sognata divenisse realt immediata, unico modo per riscattare la iniziale inferiorit italiana, per far dimenticare lasservimento alla Francia bonapartista, per tener fede agli ideali dei giorni eroici del Risorgimento, anzi per dimostrare la grandezza tutta italiana, la virt tutta interiore del Risorgimento stesso, della nostra Rivoluzione. La missione dellItalia nel mondo aveva perso la sua universalit alla Mazzini; lEuropa dei moderati non diceva nulla allanimo del siciliano, e dunque, come s detto, nello svani-

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re dei motivi universali, rivoluzionari o conservatori che fossero, sola dea restava la propria nazione, la propria patria: ma questa era una grande dea e Crispi la ador e ladorazione tradusse in accenti mazzinianamente ancora turgidi di pathos, in una eloquenza formale tanto lontana dalla disadorna parola di un Cavour o, pi tardi, di un Giolitti. I fantasmi di Roma eterna parlavano al suo cuore; altri erano sazi di lotte ritenevano giunta infine lora del lavoro pacato e tranquillo, Crispi dallunit conseguita e da Roma capitale volgeva lo sguardo alla grandezza europea da conseguire, al pi presto. E poich la realt delle cose contrastava con tali sogni, ne veniva come una suscettibilit ombrosa, pronta sempre a vedere menomata la dignit nazionale da fatti e parole altrui, sempre proclive a credere che met del mondo stesse complottando contro lunit dItalia. Perci, opposizione risoluta al metodo, ai propositi della Destra. Il lasciar tempo al tempo, il voir venir, tipici della diplomazia alla Visconti Venosta, gli apparvero incapacit, ignavia, servilismo; e il suo stile fu, come lazione, nervoso e a scatti, a salti di quinta1916 ; capace di sorriso e di seduzione, ma pi spesso brusco e imperioso e addirittura scortese nella forma1917 . Nella sostanza, sempre inquietudine, sempre trasalimento per lincombere del pericolo, sempre sospetto per qualche affronto alla dignit dItalia e, contrariamente al detto di Cavour, linnalzare a grosse questioni di prestigio nazionale piccole questioni. Mancanza di misura e di equilibrio; politica a urti e spintoni1918 . Era ancora, molto, uno stato danimo, un agire da cospiratore. Lo ripet, presidente del Consiglio, lo disse allo stesso Nigra, siamo dei vecchi cospiratori1919 . Vecchi cospiratori! A modo suo, se si vuole, anche il Nigra lo era stato, col Cavour: ma era stato, per cos dire, un cospiratore ufficiale, governativo, che cospirava per lItalia ma nelluniforme del diplomatico, onde sin da quei tempi i

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suoi erano stati lanimo e lo stile delluomo di governo. Certamente lo era stato il Visconti Venosta, dai giovanili entusiasmi mazziniani: ma dal Visconti Venosta del 48 era venuto fuori il ministro degli Esteri del 70, moderatissimo fra i moderati, tutto equilibrio discrezione finezza, tutto arte del chiaroscuro, che non aveva pi nulla a spartire con laria della congiura. Crispi era rimasto, rimase veramente sino allultimo un vecchio cospiratore. Giovane, lo era stato assai, assai pi degli altri; e continu ad esserlo, vecchio e presidente del Consiglio e ministro degli Esteri. Del cospiratore ripudi molte idee, la repubblica e la distruzione dellAustria; ne serb lanimo e listinto, la facile eccitabilit ed impressionabilit ad ogni rumore, che gli faceva accogliere senza troppi dubbi informazioni allarmistiche, quando toccassero in lui le corde sempre tese e pronte al suono pericolo clericale e pericolo francese; ne serb lansia di agire e di concludere; ne serb la mancanza di equilibrio e di misura. Ancora, il bisogno quasi fisico di tenersi vicino alla piazza, di lavorare direttamente lopinione pubblica, cercandovi conforti e consensi pi ancora che nel Parlamento: donde i grandi discorsi a Torino a Palermo a Firenze1920 , e il trattare distesamente di politica estera non soltanto nellaula di Montecitorio, anzi il parlarne talora prima in teatro che a Montecitorio come quando, nell87, la congiura per la pace ordita a Friedrichsruh fra lui e il Bismarck fu annunziata ai cittadini torinesi al Regio. In fine luomo, il sentire altamente di s, e la fede nel proprio genio; quindi, lansia di far presto, gi innanzi negli anni come era1921 , per poter lui associare il proprio nome alla gloria dItalia. I capi dei moderati potevano sentirsi indispensabili allItalia come gruppo, come classe dirigente, non come singoli: la Destra era indispensabile allItalia. Crispi, che apprezzava assai poco i colleghi di parte, vedeva in s stesso il salvatore: non diversamen-

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te che del Gioberti, si poteva dire di lui che pensasse: Il male dItalia di non avere sempre seguito i consigli di Crispi, il rimedio? Mettetevi nelle mani di Crispi1922 . Cos che senza essere ancora propriamente nazionalismo stile Novecento, soprattutto senza averne la risoluta chiarezza di princpi, latteggiamento di Crispi in politica estera aveva gi unimpronta nazionalistica: nazionalismo di stato danimo, che era il necessario presupposto del pi tardo nazionalismo dottrinario. Grandezza, prestigio della patria; poesia dei fatti eroici, contrapposta alla prosa vile dei massai. Lo disse, conchiudendo il discorso alla Camera del 10 marzo 1881: un fatto che pi noi ci allontaniamo dai giorni della grande rivoluzione e pi gli animi diventano gelidi e meschini! quasi antipatriottici! Ritorniamo alle nostre origini, a quei concetti, a quelle grandi idee senza le quali non saremmo insorti, senza le quali non avremmo giammai atterrato i sette principi, non avremmo atterrato il papato, non saremmo a Roma!1923 . Ma sin da prima lo aveva dichiarato la sua Riforma. Poesia, contrapposta alla prosa dei moderati. Poesia: cio, nei campo politico, entusiasmo e fede, slancio e risolutezza, grandi propositi e grande animo. Quel che aveva fatta lItalia; la poesia che audacemente, ma sicuramente, calcolatrice, dopo la campagna dItalia, spiccandosi dai fumanti campi di Varese e di San Martino si assise al governo degli avventurosi navigli di Quarto, e con in cuore, se non sul labbro, il famoso: quid times? Caesarem vehis, assicur il periglioso sbarco, e da Marsala, a Calatafimi; da Palermo a Milazzo; e da Napoli a Capua, di meraviglia in meraviglia e di prodigio in prodigio, con realt superante limmaginazione, non fe mossa in guerra che non riscuotesse il plauso della pi meditata strategia, non fe un passo in politica che non sovrastasse ai pi profondi calcoli della diplomazia, e che ora quasi estremo sforzo del genio italiano, parve sva-

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nire o ritrarsi nellumile scoglio, ove si ravvolse la bandiera che laveva ispirata, per lasciar luogo ad una nuda, una gretta, una gelida prosa come cappa di piombo, che pesa suglistinti e sulle aspirazioni nazionali1924 . Prosa, dovuta proprio anzitutto alla mancanza di poesia nei moderati: e poesia era da ricercar in quellentusiasmo creatore, in quellaffetto pel bene e pel progresso, in quella ispirazione intuitiva che sa afferrare nel suo assieme unepoca, una situazione e dirigerla potentemente alla vera mta che si prefigge, infondendo in quanto la circonda lattivit e lenergia che linfiamma. Noi chiamiamo poesia quella che non permettea il sonno a Temistocle pensando alla gloria di Milziade, che non dava riposo a Bolivar innanzi alla fama di Washington, che arse le fibre del primo Bonaparte... poesia insomma i pi felici momenti di Cavour, e le meravigliose imprese compiute da Garibaldi. Cheran parole adattissime ad esprimere lo stato danimo dellambiente Crispino, innanzi allItalia e al suo governo. Entusiasmo, ispirazione, potenza di direzione: e, in pari tempo, il gran lievito personale, lambizione, che non consente il sonno a chi ripensi gli allori altrui: in altri termini, sul piano politico, azione. E a chi opponesse che non sempre eran tempi dazione sintende, di azione febbrile e turbolenta e che, proprio dopo il tormentosissimo periodo dellUnit, dopo il dodicennio 58-70, occorreva quiete e calma; e, ancora, a chi avesse chiesto quali dovevano essere le mete di tale azione, una prima risposta sarebbe stata, da parte del Crispi e dei suoi amici, che lazione vale anche per se stessa, come generatrice di energia, suscitatrice di forti pensieri e incitatrice a magnanime gesta in un popolo proprio il contrario di quanto capitava allItalia, dove linettitudine dei governanti e la loro fiacchezza generavano attorno a s sfiducia, scetticismo, e sordido materialismo1925 . Cos che lo spettacolo offerto dallItalia doggi era triste

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e penoso; era, per dirla ancora col Carducci, lo spettacolo dun paese dominato da Trissotino: Uno scetticismo profondo, unindifferenza, uno sprezzo per tutto ci ch bello, nobile e grande; un correr soltanto dietro alle cifre ed a quanto possa soddisfare i sensi e riempire le borse, a detrimento del cuore e dellintelletto, sono i caratteri distintivi dellItalia attuale1926 . Che se, per scender dalle epoche e uomini straordinari a pi umile sfera, una buona e vigorosa amministrazione aveva pure diritto a battezzarsi poesia, ci era vero solo in quanto sapesse dar anima e vita a tutte le forze latenti duna nazione, non solo nellordine materiale, ma nello sviluppo morale che ne devessere effetto e compimento. Invece, gli amministratori della Destra ... uomini prudentissimi al certo, ma prosaici, preferenti le minuzie dellanalisi, anzich le complesse intuizioni della sintesi, studiano molto, ma fanno poco, sanno ad ogni questione creare una commissione, ma nulla che possa tramandare il loro nome alla posterit, pietrificando la nazione nel gelo dellanima loro1927 . Dunque, ancora e sempre, azione, azione, azione; e azione di sintesi per intuizione, non di analisi e studio; azione, per crear entusiasmi, suscitar passioni, perfino nel caso della ordinaria amministrazione. Questera propriamente attivismo, a qualunque costo, anche senza mta precisa. Muoversi, fare, creare o anche solo gridare spesso la prima cosa si risolveva nella seconda; qui era lo stato danimo inquieto e inquietante di una parte dellopinione pubblica italiana, allora numericamente assai modesta, ma non trascurabile per importanza di uomini, e che doveva costituire il primo nucleo dei pi grossi futuri plotoni di volontari dellentusiasmo e dellazione. In politica interna, quello stato danimo avrebbe, tosto o tardi, reso praticamente insofferenti di limiti giuridici, vale a dire insofferenti della tradizione liberale in quanto

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aveva di pi genuino e puro, e avrebbe indotto lanimo agitato e incline agli estremi ad accettare ad un certo momento lo Stato forte, quale appunto volle e cerc di attuare il Crispi, perch esso prometteva azione e fede, ed irrideva al cosiddetto scetticismo materialone dei savi ed esaltava lintuizione, la sintesi. In politica estera, linquieto cercar di qua e di l dove poter iniziare unazione qualsiasi, anche a costo di rischio, chera bello appunto perch rischio; quel ficcarsi in mente linevitabilit di un prossimo grande evento, bellico sintende1928 , e da quella premessa mossi accrescer ogni d inquietudine e tramestio, contribuendo cos sul serio a crear le ragioni di conflitti. Chera appunto latmosfera torbida, inquieta, tesa e gonfia anche pel minimo incidente, che si veniva creando, tra il 71 e il 73, in Italia e in Francia, ad opera dei nazionalisti o come si diceva allora chauvinisti dambo le parti: nemmeno i Francesi, infatti, scherzando al riguardo, e anchessi annoverando molti, tra preti e nobili e borghesi di provincia, convinti, come di un dogma, della fatalit e necessit di un conflitto collItalia, e trepidanti, vociferanti, ingiurianti, assai, assai pi dei loro avversari doltrAlpe. Per gli Italiani alla Crispi, pieno lanimo dei ricordi dolorosi di un lontano passato di smembramento politico della penisola e di quelli, ancor pi cocenti, di alcune non brillanti pagine militari del patrio riscatto, per questi Italiani lanelito al fare diveniva, proprio soprattutto per lItalia, condizione necessaria a dimostrare di non essere deboli n servi di nessuno: era come un necessario attestato di nobilt che bisognava conquistarsi. E si complicava pertanto con una ombrosa diffidenza verso lestero, una suscettibilit esagerata, pronta a veder menomata la dignit nazionale dal minimo gesto men che cortese dallestero proveniente: che era la testimonianza annotava il Visconti Venosta di non maturit di un popolo.

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Eran tutte cose che creavano un abisso fra la Destra e lambiente crispino: e lo confermava anche lavversione al Cavour del secondo1929 , che di tradizione cavouriana non voleva sentir parlare, quella tradizione Vangelo dei moderati che aveva s nei momenti decisivi tutto osato e tutto giuocato, non arretrando certo di fronte agli atti di forza, ma che era stata anzitutto miracolo di tempestivit, di senso dellora, niente programmi troppo rigidi a lunga scadenza, ma porre ben saldo il punto di partenza e poi dilatare il programma sin dove la realt lo consentisse. Ma la gran colpa di Cavour per il Crispi, era appunto di non essere stato unitario della vigilia1930 . Qui il dissidio era dunque fondamentale; e si comprende come il pareggio scopo supremo del governo suonasse per un Crispi prosa, gelo, meschinit. E se la Destra diceva, conteniamo per il momento le spese militari perch uno Stato deve avere prima le finanze a sesto, la Riforma batteva, come Catone il Vecchio, sul ceterum censo della assoluta necessit di armare, armare, armare ondessere pronti per il momento della non lontana prova suprema. Daltronde non era solo amor dellazione per lazione a spronare coloro che volevano poesia e non prosa, e battezzavano indegna dun grande Stato la politica delle economie sino allosso. Tra laffannarsi attorno alla inevitabile, prossima guerra con la Francia, e il trepidar perch lItalia dovesse aver contegno e animo e forza da grande potenza, tra il vago generico attivismo, dunque, cominciava gi a spuntar qualche obbiettivo pi preciso: ed era il sogno del predominio italiano nel Mediterraneo. Sogno di origine mazziniana1931 : e insinuantesi, lento, lento, nellanimo di parecchi, e gi travagliante nel profondo lo spirito inquieto di Francesco Crispi. E allOriente accennava appunto la Riforma nellagosto del 72: allOriente e alla politica propria che vi doveva aver lItalia: ... a preferenza dogni altra potenza dEuropa;

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perocch non ve ne ha nessuna che per la sua posizione geografica, per le tradizioni antiche, e per la somma degli interessi presenti, abbia tanti rapporti e contatti quanti essa ne ha con le popolazioni che si stendono oltre langusto mare che ne bagna le sponde. Inevitabile essendo la caduta o trasformazione completa dellimpero ottomano, lItalia avrebbe dovuto esercitare una decisiva influenza sugli avvenimenti, solo che al governo fossero uomini allaltezza del compito1932 . E venivano fuori, dunque1933 , le tradizioni di Venezia e Genova; e la storia era chiamata a sussidio della politica, con un procedimento divenuto poi familiare ai nazionalisti, ancilla docile delle pretese di potenza dei grandi Stati moderni, dopo essere stata, lungo il Medioevo, ancilla theologiae e strumento delledificazione delle anime cristiane. Ma assai pi chiaramente ancora il sogno di unItalia arbitra del bacino mediterraneo, almeno diplomaticamente, veniva enunciato dal Cialdini. Era un uomo che divergeva parecchio, su questioni fondamentali, dallambiente crispino; che, partigiano dellalleanza francese e della lotta a fianco della Francia contro la Prussia, ancora il 3 agosto del 70, si trovava, su questo problema capitale della politica estera italiana, esattamente al polo opposto del Crispi. Ma anche nel Cialdini, autoritario e suscettibile non certo meno del Crispi, anche nel Cialdini eran poi insofferenza militaresca dellordinato viver civile, sprezzo per i contabili dellamministrazione e aspirazioni a grandezza, potenza, forza militare. Questultimo problema lo vedeva accanitissimo, in Senato, contro i programmi alla Sella: militare e con tutta la consueta alterigia nei confronti de problemi finanziari, battezzava il programma delle economie sino allosso, che doveva salvare lo Stato, come un monumento della nostra politica insufficienza, nel mentre lanciava patetici appelli al governo perch coprisse di ferro anche questa povera Italia per difenderla dai prepotenti della ter-

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ra, per salvarla dai fulmini del cielo; e non disdegnava nemmeno di servirsi di un argomento destinato a diventar poi trito e rancido in mano ai nazionalisti, rinfacciando ai civili scarso amore per lesercito, ammonendo di cessar dal rinfacciargli il pane che mangia, dal presentarlo come un vampiro che divora le sostanze dellerario1934 . Tali i suoi pensieri nel 70, tali nel 74, quando aggrediva nuovamente, in Senato, la politica del governo, che voleva far diventar ricca la nazione, mentre occorreva non meno farla diventar forte1935 con la differenza, per che nel 74 anchegli era diventato sospettoso di Francia e de Francesi1936 . E anche per lui, cavouriano, come per gli anticavouriani scrittori della Riforma, i tempi volgevano a male, con il trionfo della prosa sulla poesia. Siamo lontani scriveva al Castelli da quellepoca di fede e di entusiasmo, rappresentata dal genio di Cavour. Ora nuotiamo nel dubbio, nella freddezza, nella prosa, nel cinismo politico.1937 . Sul problema espansione, grandezza, potenza, concordi eran dunque le vedute del Cialdini e del Crespi: anche il duca di Gaeta sognava orizzonti dimpero per il suo paese. E lo diceva con quella chiarezza e nettezza cherano un suo indubbio merito. Trovandosi, il 28 febbraio del 71, a Madrid, in ambasceria straordinaria presso re Amedeo1938 , il Cialdini telegraf al Visconti Venosta che in una questione sorta fra Spagna ed Egitto, per via dellinterprete del consolato spagnolo maltrattato dalla polizia egiziana, il console inglese si era intromesso come mediatore. Ed era spiacevole che il console italiano si fosse lasciato strappar liniziativa dal collega britannico: spiacevole dautant plus que jai lieu de croire que tt ou tard lEspagne pourra nous rendre service dans la question romaine et que dailleurs apres labaissement de la puissance franaise lItalie doit aspirer la suprematie diplomatique dans les bassins de la Mditrrane.

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Qui, almeno, non ceran dubbi, e lo scopo era ben chiaro. Supremazia nel Mediterraneo; il sogno mazziniano che diveniva patrimonio comune di molti anche antimazziniani. Lo nutriva, s visto, lo stesso Blanc, di cavouriana scuola1939 . E certo era difficile con simili miraggi innanzi agli occhi accontentarsi del pareggio e dei programmi tributari del Sella. Cos, lindirizzo di governo della Destra trovava, contro di s, anche al di fuori dellopposizione per tattica parlamentare, la tendenza alla poesia, cio allazione: unazione magari senza una precisa mta; vaga irrequieta, ma azione. E se non era da sopravalutare la forza numerica degli innamorati della poesia pochi essendo in allora , non era nemmeno da guardar con indifferenza al loro agitarsi, forti comerano di alcuni nomi dindiscutibile prestigio e valore. Per fortuna, lItalia ebbe come nocchiero nel mare grosso della politica internazionale, in quegli anni dopo il 70, luomo adatto alle circostanze de tempi, luomo che nessuna accusa di prosa avrebbe mai turbato: e fu Emilio Visconti Venosta.

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Capitolo Secondo ... E gli uomini

I Emilio Visconti Venosta Il bel ragazzetto, occhi celesti e lunghi capelli biondi inanellati che gli scendevano sulle spalle1940 , sera trasformato in un personaggio grave gi nellaspetto, alto, magro, dai lunghi favoriti rossicci che la mano accarezzava frequentemente, con un gesto allinglese da cui veniva accentuata la prima impressione di calma e di controllo interiore, anzi addirittura di flemma britannica1941 . E il molto tenero e facile a piangere Emilio, che pareva langelo del dolore quando supplicava la madre dietro la porta chiusa, era divenuto un uomo di Stato che poteva apparire, agli occhi di molti e, fra gli altri, di un giovane addetto di legazione come Bernardo di Blow, tra i pi calcolatori e i pi cauti che vi fossero. Certo, luomo poco pi che quarantenne aveva ormai compiuto, intera, la sua evoluzione morale e spirituale: dal seguace di Mazzini del 48 era venuto fuori lo zelatore di Cavour, e dallo scolaro che non aveva la testa a casa, pensando pi alla rivoluzione e alle congiure di quanto non pensasse alla filosofia del diritto, era uscito un politico che aveva invece sempre la testa bene a casa. Ma chi poi scrutasse pi nel profondo saccorgeva che questuomo dal Mazzini battezzato infedele al sogno dei primi anni, dalla Sinistra sempre considerato come un transfuga e perci particolarmente osteggiato1942 pur mutando sembianze fisiche, come natura voleva, e pur avendo mutato anche parte politica, aveva serbato inalterate le caratteristiche fondamentali. E lasciamo pure che il fanciullo gi sognasse di fare il diplomatico, come

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che si trattasse di fantasie giovanili, anche se lavvenire doveva tramutare la fantasia in realt. Ma il raziocinare volentieri, lappellarsi nei momenti critici al calcolo della ragione anzich abbandonarsi alla piena del sentimento e alle illusioni dellimmaginazione, il mantenere la calma in ogni evento: tutto questo, che colpiva parenti, amici, conoscenti, nel giovane poco pi che ventenne e gli assicurava autorit sui coetanei lombardi, appena passata la gran furia rivoluzionaria del 481943 , costituiva pur sempre la prima e fondamentale caratteristica della personalit del ministro degli Esteri del Regno dItalia. Tuttaltro che freddo di animo, anzi capace di profondi affetti, sensitivo ed impressionabile1944 , ma capace pure di assoluto dominio sul s stesso esteriore; tutto dignit, nellaspetto e nellaccento, sobrio di gesti, parco e lento di parole, ma di una parola misurata e precisa e, anche in sedute tempestose, ferma e costante e ad un tempo abilissima nel parere di dire senza dire in sostanza n compromettere nulla1945 ; cauto e lento, ma sicuro ponderatore di uomini e cose; tutto discrezione e niente pubblicit1946 , senso rigoroso dei propri limiti, aborrimento dallo strafare, dal trasformarsi in suonator di violino da suonator di flauto1947 , e aborrimento dalle facili popolarit1948 ; alienissimo da ogni gesto precipitato, da ogni impazienza, ed assai proclive invece, secondando certa natural pigrizia e irresolutezza, a lasciar tempo al tempo, a soprassedere in una decisione grave di ventiquattro ore, sicuro che nulla sarebbe stato compromesso di vitale ed il mondo non sarebbe andato in aria per quello e forse si sarebbe, invece, appianata qualche difficolt, rimosso qualche ostacolo1949 ; bene attento a non cacciarsi precipitosamente in situazioni senza vie duscita, e a tenersi invece sempre aperta la possibilit di ripiegare o mutar tattica1950 ; disposto, pertanto, anzi che a cercar di dominare e coartare con mano forte gli eventi, a lasciarsi non trascinare da essi ma portare con essi,

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come su di unalta onda, sino al momento giusto in cui potesse, dolcemente e senza sforzo, farli piegare nel senso voluto1951 ; riluttante a stabilire programmi a lunga scadenza, ad ipotecare in anticipo lavvenire1952 , e incline invece a procedere di passo in passo, di momento in momento, anche facendosi forzar la mano dalle cose, certo adattando i propositi alle circostanze. Era un uomo che, nei grandi momenti, aveva bisogno non soltanto della pressione dellopinione pubblica, ma anche di trovar fra i colleghi di ministero una qualche personalit pi forte e decisa, eccitante allazione, quasi pungolo continuo che spingesse innanzi, creando quella forza delle cose a cui egli non resisteva, e permettendogli daltra parte di ovattare per cos dire il metodo di azione, di smussare gli angoli, di render diplomaticamente accettabili agli altri Stati decisioni politiche nel cui fondo stava propriamente la forza. Non era luomo dalle pronte, decise risoluzioni, dagli improvvisi lampeggiamenti dintuito e dalla energia secca e scattante: a lui, cavouriano fedelissimo, mancava come daltronde a quasi tutti gli altri gi collaboratori e poi successori del Cavour, pi politici per riflessione che per istinto, pi per volont propria e virt di logica e di dottrina che per grazia di Dio1953 mancava proprio laudacia del maestro, fatta di calcolo freddo s ma anche di slancio, contessuta del quid imponderabile che fa passare, dimprovviso, dal momento di puro raziocinio ponderante e soppesante al momento dellazione risoluta. Ma era luomo mirabilmente adatto alle situazioni gi decise dalla logica degli eventi e dalla volont pronta di qualche altra personalit di condottiero: nessuno meglio di lui poteva tradurre in atto, dal punto di vista della diplomazia, il partito preso, proprio per quel suo temporeggiare, dilazionare, procedere a grado a grado, non rivelar mai, anzi magari non accettar nemmeno personalmente tutto intero il programma dazione da altri gi pensato e visto, e far an-

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dare invece le cose come se proprio non volont di uomini, ma un inesorabile fato le sospingesse innanzi il fato, dinanzi a cui non restava che chinar la testa, a lui come ai suoi colleghi degli altri governi europei. Sarebbe stato, quindi, fuori posto se avesse dovuto dirigere la politica italiana in un momento in cui occorresse osare e giocare gran gioco: era perfettamente a posto per dirigere la politica estera di uno Stato che aveva bisogno di calma, di requie, di assestamento e le cui necessit di carattere internazionale erano, per il momento, soltanto di far definitivamente accettare dagli altri i fatti compiuti1954 . Luomo e il suo stile erano rivelati appieno dallatteggiamento chegli tenne durante lestate del 1870. Preoccupatissimo di fronte ai problemi formidabili che la guerra franco-prussiana poneva allItalia, deciso a guadagnar tempo per evitar decisioni precipitate e quindi, nonostante momenti di perplessit1955 e fin di abbandono alle pressioni del re alle quali egli non resisteva come il Sella, in sostanza favorevole alla neutralit almeno sino a quando il conflitto non si generalizzasse ad opera altrui, Austria o Russia; contrarissimo sempre ad adottare per la questione di Roma la via della forza, abbandonando i mezzi morali1956 , il Visconti Venosta sino alla vigilia del Venti Settembre fra tutti i ministri fu il pi restio allazione, sperando sino allultimo che Pio IX, giovandosi delle stesse esitazioni del governo di Firenze e delle sue pubbliche dichiarazioni, accettasse di accordarsi con lItalia, rendendo possibile la soluzione intermedia che avrebbe evitato a vantaggio della stessa Italia il fatale radicalismo dellazione unilaterale italiana1957 . Il 3 settembre, nel Consiglio dei ministri, non solo si opponeva con cinque colleghi allimmediata occupazione di Roma a tutto rischio, voluta dal Sella e dal Castagnola, ma anche, da solo, alloccupazione su garanzia di aver consenziente la Prussia; ed il giorno appresso tornava a parlar contro

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qualsiasi proposta di occupazione non diciamo di Roma, ma dello Stato pontificio in genere sempre allestrema destra con Govone ed Acton1958 . Alla notizia della repubblica in Francia, anchegli ritenne giunto il momento di osare1959 : ma il suo osare era sempre contenuto: ancora l8 settembre, dichiarava in un nuovo Consiglio dei ministri che allo stato attuale delle cose, egli non assentirebbe mai a che si entrasse in Roma colla violenza1960 ; ed infine, dopo essersi assentato dalla seduta del 13 ed essersi espresso contro, il 15, la formula di plebiscito prescelta1961 , ancora il 17 settembre tent un supremo sforzo, proponendo che, come ultimo mezzo di conciliazione, il generale Cadorna dichiarasse di astenersi dallentrare in Roma se il conte Arnim ottenesse il licenziamento immediato delle truppe straniere al soldo del Papa e la loro uscita da Roma senzarmi. La proposta venne naturalmente respinta dai colleghi, e in sua vece si ebbe il telegramma che ordinava al generale Cadorna di impadronirsi a forza della citt di Roma, salva sempre la citt leonina1962 . Dunque, un atteggiamento al quale certo non potevasi attribuire landata a Roma, in quel modo: un atteggiamento conforme a quello di molti, e non dei meno autorevoli, tra i moderati, e, fra gli altri, assai vicino alla deprecazione con cui Stefano Jacini aveva assistito al Venti Settembre1963 . I conservatori lombardi e lantico mazziniano Visconti Venosta era ora un buon conservatore lombardo si fermavano su posizioni antitetiche a quelle del tessitore di Biella. Tanto conservatore, da presentare di l a pochi giorni le dimissioni salvo a ritirarle, subito dopo perch non si era inviato immediatamerite il La Marmora a Roma, come pegno, di fronte allinterno e allestero, di una politica prudente e conciliante, e perch, a suo dire, prendeva il sopravvento il partito sovversivo1964 .

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Quindi, continue pressioni sui colleghi, urti forti con i pi decisi fra essi e innanzi tutto col Sella, sempre nel senso di frenare, di attenuare, di ritardare; si opponesse al trasferimento della Capitale a Roma, che egli, come il Jacini, dapprima non avrebbe nemmeno voluto1965 ; si opponesse, daccordo con il Lanza e contro il Sella1966 , allimmediata andata del re, salvo a trovar poi loccasione dellinondazione del Tevere, a fine dicembre, e sfruttarla allora immediatamente; disapprovasse la presa di possesso del Quirinale1967 ; sinalberasse contro lemendamento Ruspoli, nel febbraio del 71, sempre con la minaccia delle dimissioni, riuscendo poi, anche con laiuto di pressioni estere, a far ripristinare dal Senato un testo assai pi riguardoso per la Santa Sede1968 . Dunque un atteggiamento nientaffatto rivoluzionario, che doveva provocare gli acerbi rimproveri dellopposizione, allora e poi, e la nomea sua di reazionario1969 . Politicamente, il Visconti Venosta usciva vinto dal contrasto con la Sinistra, la cui azione era stata la necessaria premessa del Venti Settembre, e dal contrasto con il Sella che, nel ministero, aveva finito con limporre il suo modo di vedere. Eppure, eppure, diplomaticamente, come ministro degli Esteri, di fronte allEuropa, il Visconti Venosta rendeva proprio allora, e proprio per quel suo modo di fare, notevoli servizi al suo paese. Difenditore aperto e franco delle proprie idee egli pot s cercare fino allultimo di evitar la forza per risolvere la questione di Roma, in omaggio al convincimento suo e daltri che occorresse risolvere il grosso problema solo con le forze morali; ma una volta avveratosi levento, nonch recriminarci su, ne divenne deciso sostenitore, come tanti altri moderati, come lo stesso Jacini, soprattutto come il Massari, anchegli avverso alluso della forza, ma una volta entrati a Roma, deciso a rimanerci ed a far propria la formula Roma o Morte1970 . Era proprio nel suo stile, di esser irresoluto molto prima della-

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zione, di pensarci su anche troppo; ma poi, intrapresa lazione, non solo non volgersi pi indietro a recriminare, ma nemmeno ammettere sbandamenti e oscillazioni. Cos, anche egli consider il Venti Settembre come fatto irrevocabile e diede la parola dordine ai rappresentanti dellItalia allestero che da Roma il governo italiano non sarebbe mai tornato indietro, che quello era il porro unum che sarebbe stato difeso con ogni mezzo, anche con le armi, e si applic a diplomatizzare il fatto politico rivoluzionario. Questo fatto, era stato voluto da altro; nel governo, il pungolo a lui necessario il Visconti Venosta laveva trovato nel macigno Sella1971 , potentemente spalleggiato, al di fuori dal Minghetti1972 , cos come nel 64 liniziativa per la Convenzione di Settembre egli laveva accettata dal presidente del Consiglio Marco Minghetti, luno e laltro uomini di assai maggior prontezza di intuizione, il Sella poi non turbato da alcun timore reverenziale di fronte alla Curia romana, e quindi pi solleciti ad intendere la fatalit dellagire, a render ragione alla Sinistra tumultuante, a Mazzini e ai repubblicani minaccianti la rivoluzione1973 , a cogliere loccasione offerta dagli eventi europei e dal precipitare della situazione in Francia. Ancora una volta, il lievito rivoluzionario sera rivelato necessario perch il governo agisse; ancora una volta sera resa necessaria una certa situazione internazionale perch quel lievito rivoluzionario si traducesse, ad opera del governo, in azione precisa1974 . Ma posto di fronte ad eventi ineluttabili, che egli stesso avvert come tali, per limpetuosa ondata che dalla Sinistra della Camera sal su su fino al governo; messo a contatto con una realt creata da altri, il Visconti Venosta si adoper a tuttuomo perch questa realt divenisse un fatto duraturo, ammesso anche oltre frontiera; e la sua morbidezza divenne allora preziosa per consolidare quel che la durezza dellaltro in seno al governo aveva fatto acquistare1975 .

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Allora le sue esitazioni, i suoi dinieghi, il suo conservatorismo, le sue preoccupazioni cattoliche servirono lui ed il paese; tutto quel che aveva inceppato il politico, fu di aiuto al diplomatico1976 . Giacch per quel suo modo di pensare egli era proceduto, nelle circolari diplomatiche e nei colloqui con gli inviati esteri a Firenze, proprio passo passo secondo era nel suo stile senza mai lanciarsi troppo in l, dando costantemente limpressione, giusta, di non aver speranze, ambizioni esagerate e di essere, semmai, di momento in momento, trascinato, quasi soverchiato dagli eventi1977 ; a quali se non poteva resistere lui, il moderatissimo Visconti Venosta, chi mai avrebbe potuto opporsi? La tesi ufficiale del governo italiano entrare nello Stato pontificio, in Roma, per evitar disordini, anzi la rivoluzione in bocca sua appariva, era vera: o accettare quella soluzione, per spiacevole che fosse, o fare un salto nel buio. Cos passo passo, il ministro degli Esteri poteva trascorrere dalla circolare del 29 agosto, dove si parlava de raliser cette adhsion morale des gouvernements catholiques o lItalie a toujours vu le gage le plus efficace dune bonne solution1978 , e cio si alludeva apertamente al carattere internazionale degli accordi col Papato, e dal memorandum dello stesso giorno che affermava il mantenimento della citt leonina sotto la sovranit del Pontefice1979 ; dalla circolare del 7 settembre, dove si rinnovava lassicurazione circa gli arrangements con le potenze per tutelare lindipendenza spirituale del Pontefice1980 , alle circolari dell11 e del 14 ottobre, che si limitavano a ribattere le accuse di Pio IX sulla mancanza di libert di comunicazioni e ad assicurare che, nel caso, egli sarebbe stato perfettamente libero di lasciare Roma1981 ; soprattutto, alla circolare del 18 ottobre la quale, annunziando il plebiscito e lannessione di Roma, taceva non solo della citt leonina ormai sottratta al papa dal mancato accordo, dalla fiera volont degli abitanti di Borgo e dal loro voto il 2 ottobre, dallinsor-

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gere dellopinione pubblica contro la franchigia territoriale ancora accennata nellart. 3 del decreto legge del 9 ottobre1982 ma altres della adhsion sia pur soltanto morale dei governi esteri, per proclamare invece solennemente che lItalia si imponeva il compito di applicare lidea del diritto e della libert ai rapporti fra Stato e Chiesa, e simpegnava essa sola a garantire lesercizio dellalta missione spirituale del Pontefice1983 . E anche in seguito non dissimile atteggiamento di prudenza, calma, avversione ad ogni passo precipitoso. Sera convinto presto che col Papa non cera nulla da fare, almeno per il momento; che pura illusione erano le speranze di chi gi parlava di conciliazione, accordi, abbracci tra Pio IX e Vittorio Emanuele. E si astenne cos da ogni tentativo. Ma lEuropa ci biasimerebbe e anche si interporrebbe se, dopo aver ottenuto il principale, offendessimo inutilmente il Papa e i suoi sentimenti con imprudenze, con impazienze e con atti violenti. Ci vogliono dunque molti riguardi e molta longanimit e tolleranza.1984 . Dalla Europa per il momento, non pervenivano proteste, osservazioni gravi, difficolt1985 , anzi giungevano, semmai, perfino voci di far presto1986 : e anche su questo punto nella sostanza aveva avuto ragione la Sinistra a dire, per bocca del Mancini, che lora non poteva essere pi propizia, dato lisolamento in cui Pio IX sera cacciato con il dogma dellinfallibilit1987 , e che occorreva agire fortiter in re. Era proprio la maest del Pontefice romano a distogliere il ministro degli Esteri da ogni atto nuovo, soprattutto formale, che potesse troppo immediatamente e violentemente urtare; il Pontefice non era ancora un semplice canonico del Duomo di Milano e bisognava evitare ad ogni costo di inasprire inutilmente il gi troppo violento contrasto, portando magari a conseguenze che potevano essere irrimediabili, quali la partenza di Pio IX da Roma, certo urtando ancor pi il sentimento cattolico della popolazione e aggravando i dissi-

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di interni. La questione era non solo di fronte allEuropa; ma, assai pi, di fronte alla maggioranza cattolica degli Italiani. E certo nel proclamare il suaviter in modo il Visconti Venosta ebbe allora ragione, anche di fronte allEuropa la quale, dopo non molto, cominci a muoversi, qualcosa disse e cerc di fare e, certo, avrebbe trovata pi facile occasione ad intervento in una politica italiana men riguardosa e troppo spicciativa. Meno impulsivo, ma pi costante nei propositi del Minghetti, che prima aveva fin immaginato Vittorio Emanuele ai piedi di Pio IX per chieder perdono e poi insisteva per il trasferimento immediato della Capitale, il Visconti Venusta non voleva n luna n laltra cosa: anchegli poteva pensare di averla fatta grossa, ma, appunto per ci, riteneva ora necessario il guanto di velluto. E quindi mentre non solo il Sella e la Sinistra, ma anche gli amici Minghetti e Nigra insistevano per il rapido trasferimento della capitale, s da metter lEuropa dinnanzi al fatto compiuto prima che avesse termine la guerra franco-prussiana1988 , daccordo con il Lanza egli fece rinviare lesito formale e finale della cosa; che fu gioco anche rischioso, per limprevedibilit dellavvenire a pace conchiusa, ma che riusc e consegu il gran risultato di fare assistere lEuropa, ormai fuori guerra, al tranquillo, sicuro, meditato e annunziato, anche se non spettacolare ingresso del re dItalia in Roma sedendo il Papa in Vaticano. Prima del Venti Settembre era stato il Minghetti a premere sullamico riluttante perch sandasse a Roma; ma dopo il Venti Settembre divenne pi deciso il Visconti Venosta. Perch il Minghetti, preoccupato del fatto che abbiamo cantato su tutti i tuoni che la soluzione definitiva della questione dellindipendenza spirituale del Pontefice sar riservata ad un accordo colle potenze, pens prima ad una convenzione internazionale, e poi consigli di accordarsi in anticipo con le grandi potenze almeno per ottenere il loro assentimento allo schema di leg-

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ge per le guarentigie, in guisa da impegnarle per lavvenire e da restringere e limitare la loro futura azione diplomatica in materia1989 . Pertanto, la circolare del 18 ottobre non gli parve sufficiente, come quella che comunicava alle grandi potenze le direttive del governo italiano, ma non era un invito, sia pur larvato, a discutere e a trattare1990 . Incertissimo, anzi non favorevole allingresso con la forza a Roma, il Visconti Venosta invece non pens poi a far genuflettere Vittorio Emanuele II dinnanzi a Pio IX1991 , e anche di fronte alle potenze ag con maggior indipendenza di quanto suggerisse il Minghetti. Con ci, egli iniziava il suo lungo, ostinato lavoro di mesi per evitare qualsiasi intromissione straniera nelle discussioni interne sui rapporti con il Papa e la Chiesa, giungendo cos al risultato finale: linvito, nel giugno, alle legazioni estere di trasferirsi da Firenze a Roma, seguito ancora, allultima ora, dallannuncio dellingresso ufficiale del re nellUrbe il 2 luglio, con un evidente colpo di sorpresa per forzar la mano ai governi esteri ancor riluttanti a farsi rappresentare nella citt eterna. Tutto un lavoro sottilissimo, che evitando, almeno sino al giugno, le formulazioni troppo nette, gli impegni troppo precisi, riusc gradatamente situazione europea permettendo ad assicurare la posizione dellItalia anche dopo la fine della guerra franco-prussiana; a garantirla da ogni recisa e ostile presa di posizione da parte di altre potenze; a dar limpressione allEuropa che, s, era proprio cos, non cera altro da fare, la fatalit voleva che Roma fosse riunita allItalia1992 . Qual migliore prova di questa fatalit del vedere un Visconti Venosta, cos moderato, cos consapevole delle responsabilit assunte dal governo italiano di fronte allEuropa, cos dgout del modo di procedere della Sinistra e della debolezza di alcuni suoi colleghi, e soprattutto dgout della continua connivenza del Sella con la Sinistra1993 ; un Visconti Venosta, al quale sol-

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tanto o quasi era da attribuirsi la relativa moderazione di leggi e provvedimenti vari del governo1994 , accettare eventi che lo si sapeva non aveva voluto, ma a cui non aveva potuto infine opporre pi nulla? Nessuno poteva dubitare chegli, in seno al ministero, non fosse il patrocinatore di una politica di moderazione: egli era forse il solo tra gli uomini politici italiani ad aver larghezza e precisione didee nella questione romana1995 , e il suo gran discorso del 30 gennaio, alla Camera, era degno veramente di alto elogio, per labilit e per leloquenza con cui aveva difeso il suo punto di vista1996 . Certo, egli mancava di energia1997 ; e troppo spesso anchegli aveva dovuto rimpiangere i fatti compiuti o un modo di procedere contrario alle sue idee e difficile o impossibile ormai da correggere1998 . Certo, anche, era pur sempre, come italiano, un machiavellico: e talora si poteva sospettare chegli svolgesse una parte preordinata in un coro bene concertato1999 . Ma era ancora la rocca dellordine, la turris eburnea della saviezza in un gabinetto troppo sovente maneggiato da quel radicale per Vienna e Parigi dun Sella2000 ; e il fatto chegli stesso riconoscesse che sarebbero state concepibili transizioni meno brusche, soluzioni intermedie per la questione romana, e lamentasse si fosse ceduto troppo alla piazza2001 , rendeva tanto pi difficile obbiettare allultima parte del suo ragionamento, che cio la rapida marcia dei fatti esteriori (guerra franco-prussiana) avendo accelerato la soluzione in senso estremo della questione di Roma, era ora impossibile tornare indietro, e non cera da pensare ad alcuna transazione. Tutto quel che si poteva fare era avvolgere il Papa di onori e premure, farlo sentire pienamente libero sul terreno spirituale ed evitare ogni attrito: e su questo punto il ministro italiano era pronto a tener presenti i desideri delle altre potenze, ad accoglierne pareri, a prevenire perfino le intenzioni altrui, a parlare lui stesso della utilit di uno scambio continuo didee fra i vari governi.

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Cos per il trasferimento della capitale: poich gli eventi avevano precipitata la soluzione, non rimaneva che subirne le conseguenze, pur procedendo con prudenza e riguardi2002 . Eran discorsi, i suoi, fatti assumendo quel tono confidenziale ed amichevole che tanto aggrada allinterlocutore, facilmente convinto da ci di essere nelle buone grazie del ministro e di aver libero accesso agli arcana imperii2003 ; con ammissione di punti di vista altrui, confessione anche di qualche cosa che si sarebbe potuto, forse, evitare se... se la marcia degli eventi non fosse stata cos rapida, pressante. Les vnements, la forza delle cose e delle circostanze: questo il fato che incombe, talora velatamente, talora espressamente accennato, dietro a cui scompaiono i singoli uomini. Quando una forza superiore domina gli avvenimenti, rivoltateli come volete, riusciranno sempre allo stesso costrutto.2004 . Uno degli atouts del giuoco diplomatico del valtellinese era proprio questo: e il bello si chegli credeva in quel che diceva. Un giuoco, dunque, tutto di finezza, di chiaroscuri, di sottintesi, di voluto amichevole abbandono confidenziale, come se linterlocutore pi che il rappresentante di uno Stato estero fosse un amico2005 : giuoco sorretto ammirevolmente, quando ne fosse il caso, anche da unaltra qualit che il Visconti Venosta aveva serbata dei suoi anni giovanili, quando sembrava langelo del dolore, il dono prezioso cio de smouvoir propos, sans se compromettre2006 . Certo , che tra lautunno del 70 e la primavera del 71, situazione internazionale permettendolo, quel giuoco riusc e fu prezioso per il paese; e consist nel procedere passo passo dans une voie dj tonte jalonne, sondant prudemment le terrain, nosant presque plus se fier la parole crite et prfrant beaucoup prs agir en dehors par des actes de lgislation intrieure ou par des insinuations dun caractre personnel et intime.

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Il faut cependant convenir que ce cabinet si peu nergique aux yeux des impatients, a fait preuve de beaucoup dhabilet dans lexploitation des circonstances dont le concours lui a t si singulirement favorable. Aprs avoir rtrci successivement le cercle de ses promesses au fur et mesure que la ncessit en devenait moins imprieuse (les circulaires du chev. Visconti-Venosta et les dbats parlementaires en font galement foi), le gouvernement a fini par chercher dans le transfert de son sige Iengin capable de forcer la main lEtranger. Une fois assur de ladhsion des Puissances son timide prospectus du 8 juin dernier le Ministre des affaires trangres dsira naturellement profiter de loccasion pour faire paratre le Roi Rome entour du corps diplomatique... Si ce but na pas t entirement atteint, si les deux grands Etats catholiques nont pas voulu donner la prsence de leurs Envoys la couleur dune dmonstration pouvant tre interprte comme une conscration dun principe, ce nest point faute de manoeuvres subtiles ou mme de brusques surprises de la part de la tactique italienne2007 . Questo quadro, rapidamente ma bene sbozzato dallincaricato daffari austro-ungarico, conte Zaluski, il 22 luglio 1871, era veramente lesatta riproduzione e ad un tempo il giusto elogio dello stile diplomatico del Visconti Venosta e della tattica seguita nellinverno 1870-71. Non certo un grande uomo di Stato2008 ; ma un abile, esperto, calmo negoziatore, un diplomatico di alta scuola, un ministro dallampia veduta europea che sapeva rendere ottimi servigi al suo paese. Laccidia che lo domina in tutto quello che fa2009 , si trasformava allora in eccellente arma tattica; il motto con cui gli avversari designavano la sua politica, inertia sapientia2010 , contro lintenzione certo di questi avversari diventava, in quelle circostanze politiche, un elogio. Pochissimi sapevano, come lui, voir venir, secondo si diceva nel linguaggio del-

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la vecchia diplomazia: lasciar cio che le cose si svolgessero secondo voleva la loro forza interna; offrire buon giuoco allo effetto salutare del tempo, chiamato a far da collaboratore comegli amava spesso ripetere2011 ; e attendere, attendere che in tale svolgimento e con quei salutari effetti si presentasse lattimo favorevole per inserire un buon negoziato, un accordo confidenziale, o almeno una trattativa amichevole, traverso cui portar dolcemente le cose verso il fine desiderato e convogliar le acque, fin l magari irruenti a precipizio, verso un placido stagno dove svanisse anche lultimo ribollir di schiuma. Siffatto stile dazione e le caratteristiche di metodo tattico apparentavano il nostro uomo alla diplomazia classica, nel senso europeo della tradizione, da Kaunitz e Metternich in poi. Ma, anche lasciando da parte stile e metodo per addentrarsi pi a fondo, nel mondo ideologico del Visconti Venosta, anche in questo colpivano, subito a primo tratto, alcune sostanziali affinit con la buona tradizione dalla Restaurazione in poi: e precisamente colpiva il senso europeo della politica, la convinzione cio, assoluta e sincera, non solo che non esistevano problemi isolati nel mondo moderno, perch tutti si concatenavano lun laltro in guisa da non poter essere visti e risolti separatamente, senza profonde reciproche ripercussioni era questo un dato di fatto, cui nemmeno i rivoluzionari dello status quo, gli amanti di novit ad ogni costo avrebbero potuto negare; bens e qui era limportante che, appunto per tale fatale concatenazione di eventi, la libert dazione di ogni potenza doveva, ad un certo punto, esser limitata dal senso della convenienza generale. La quale convenienza generale aveva trovato e continuava a trovare la sua espressione nel cosiddetto equilibrio europeo e nel concerto delle grandi potenze: due elementi, o meglio, un solo elemento, poich luna e laltra cosa ormai si identificavano, da quando, con Castlereagh e Metternich, nel 1814, la garanzia dellequili-

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brio era stata appunto cercata e additata nellaccordo fra le grandi potenze, condizione essenziale per la libert e la sicurezza dellEuropa e la salvaguardia della pace. Non solo, dunque, egli pensava che le nazioni non vivono isolate nel mondo, la politica estera e la politica interna di un grande Stato toccano, per le loro naturali conseguenze, per le loro naturali relazioni, a quel complesso di interessi, e di opinioni che si intrecciano nel consorzio europeo, chera ancora semplice constatazione di fatto; ma augurio e programma opinava che lisolarsi dagli altri e la mancanza di solidariet non fossero in genere per le nazioni un buon regime morale2012 . E, in particolare, lItalia, che non poteva separare i suoi interessi dagli interessi generali dellEuropa2013 ; doveva diventare, similmente allInghilterra, un potere pacifico e ponderatore nel consorzio delle nazioni, operando in modo che anche grazie al governo di Roma venissero tutelati gli interessi della libert e dellequilibrio dEuropa2014 . Due termini, questi ultimi, indissolubili2015 e proprio soprattutto per lItalia, uno di quei paesi che non possono farsi il loro posto e svolgere il proprio avvenire che in unEuropa dove esista un certo equilibrio di forze2016 . E poich libert ed equilibrio dEuropa sono termini indissolubili, ecco il timore per legemonia di questa o quella nazione; ecco lavversione ai metodi e ai propositi alla Napoleone I2017 , il genio maligno dellEuropa, il Satana dinnanzi a cui occorre pronunziare un energico vade retro, avversione caratteristica di tutta la diplomazia europea dal Metternich fino al nostro, mentre invece al Bismarck quei metodi e almeno parzialmente anche quei propositi venivano largamente attribuiti; ecco, perci, la diffidenza mai completamente sopita verso la Germania bismarckiana che, a lasciarla fare, avrebbe potuto finire col trasformare lEuropa in un feudo suo e della Russia2018 .

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Perfino il principio di nazionalit egli voleva, ora, limitato nella sua applicazione pratica, s che non diventasse causa di incendio generale, il senso degli interessi, delle convenienze generali, il senso europeo sorgendo a frenare quellamor di patria chera stato lideale esclusivo e prepotente dei suoi giovani anni di cospiratore e che continuava certo ad essere una viva fiamma interiore2019 . Anni, veramente, ormai assai lontani: ch leuropeismo dei Visconti Venosta ministro era diventato totalmente diverso dalleuropeismo del Mazzini, per rientrar nelleuropeismo de moderati italiani, cos simile comera, per esempio, a quello del Bon Compagni e alleuropeismo dei politici e diplomatici della Restaurazione e della Monarchia di Luglio. In fondo in fondo, proprio questo, secondo s gi avuto occasione di osservare, costituiva un legame inavvertito fra il nostro, ribelle ne suoi begli anni di studente allAustria metternichiana, e il Metternich. Senonch, se il rispetto della formula dellequilibrio europeo e del concerto delle potenze riconduceva dal Visconti su su verso i diplomatici ed i politici del 1814-15 e della Restaurazione, verso tuttaltra fonte riportavan altri motivi fondamentali del suo pensiero, anzi, il motivo fondamentalissimo, chera quello della libert. S, occorreva salvaguardare lequilibrio europeo: ma non per soffocare, con la forza, le intime aspirazioni dei popoli e per imporre regimi di autorit, bens perch solo salvaguardando, con lequilibrio, la pace, era possibile salvare il grande ideale dellora, lideale della libert. Qui, le posizioni erano capovolte, rispetto, poniamo, a quelle di un Metternich, e diventavano, invece, simili a quelle di un Gladstone: come per il Gladstone, la stessa politica estera doveva essere, anzitutto, senso e trionfo della libert2020 . Era, senza dubbio, una libert che aveva i suoi limiti di applicazione; che doveva esprimersi ad opera di un

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partito intelligentemente conservatore, atto a mantenere lordine, difendere lonore, la moralit e la sincerit delle istituzioni liberali, tale insomma che per esso si attuasse il programma del progresso liberale e della conservazione sociale. Ma entro tali limiti la fede nella libert era senza macchia e senza paura: di quella libert che non gi uno spirito di intolleranza o di violenza rivoluzionaria, ma che si ispira al rispetto di tutti i diritti2021 . Conservatore s, e avversissimo ai radicali i quali, oltre a tutto, con la loro mancanza di misura e di stile trasformavano i comizi elettorali in un arringo di ingiurie e di oltraggi, rinfocolando nelle moltitudini un sentimento deleterio di accusa e di sospetto non solo contro uno o pi uomini, ma contro tutte le classi che governano2022 ; ma non reazionario, non vagheggiante la limitazione del governo parlamentare e il ritorno allo Statuto, come voleva il Sonnino di fine secolo, tanto pi ardito del Visconti Venosta verso il 1880 e tanto pi conservatore di lui ventanni dopo. E a chi, come Carlo Morini, deplorava il regime parlamentare sostituitosi a quello costituzionale2023 , il Visconti Venosta rispondeva che lItalia si era fatta con la libert e si poteva mantenere solo con la libert. Se si fosse domandato al conte di Cavour con quale regime egli governava gloriosamente il Piemonte, egli le avrebbe risposto col regime parlamentare... io non so quale sar lavvenire del governo parlamentare, non so in quali forme politiche si adagieranno le societ venture. Ma se il governo parlamentare un governo difficile, se ha, come tutte le cose umane, molte imperfezioni, se riflette colle buone, anche le cattive qualit del carattere nazionale, esso per fino ad ora, nelle condizioni almeno della monarchia costituzionale, il sistema che guarentisce meglio le pubbliche libert e rende un paese che sappia giovarsene, padrone de suoi destini. Io credo che, in Italia, il regime parlamentare pu dare al governo, per la tute-

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la dellordine e per risolvere i conflitti che possono interessare lunit nazionale, una forza chesso non troverebbe in una Assemblea dotata soltanto di limitata franchigia rappresentativa2024 . Inconvenienti? Certo ve nerano: e come il Minghetti, come il Jacini, anche il Visconti Venosta ne indicava lorigine nel coesistere di governo parlamentare e di accentramento amministrativo, due istituzioni che non potevano associarsi senza corrompersi reciprocamente. Noi abbiamo il suffragio universale, il regime parlamentare e laccentramento amministrativo. Nella miscela di questi tre elementi nasce e prospera la genia dei mestieranti della politica. Ma erano guai rimediabili con una profonda riforma dellordinamento amministrativo, senza toccare minimamente il regime parlamentare, palladio della libert. Senza libert, finita lItalia. Tanto forte, continua, aperta tale fede da trasfigurare ad un certo punto la figura del Visconti Venosta, facendo apparire al disotto del diplomatico esperto e abile, una coscienza fermissima e una incrollabile solidit di convinzioni; e cos egli, che per il suo stile era degno di entrare nellolimpo dei diplomatici puri, acquistava dimprovviso un ben diverso rilievo e diveniva soprattutto una personalit dalla netta e ferma figura morale. Il contenuto, diciamo cos delle idee del ministro degli Esteri rialzava verso assai pi alte sfere il suo metodo, dava un tono insospettato al suo stile; e questuomo, tutto finezza, sfumatura, senso del limite, tutto accomodamento e accordo, disposto a temperare conciliare superare i risentimenti di parte2025 , questuomo, quando si toccassero i princpi, sirrigidiva, diventava duro e testardo, non concedeva pi nulla2026 , con una fermezza e continuit di propositi di cui, per avventura, altri non lavrebbe creduto capace. Il suo mondo morale era molto solido, ed era anche permeato di una venatura sentimentale, che attenuava dassai la secchezza del puro calcolo

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della ragione; onde, come non dimentic mai la Francia di Solferino, attirandosi una generale nomea di francofilo o, in bocca agli avversari, tinto di pece francese2027 , cos, su pi generale piano, non lasci mai scalfire, nemmeno di lontano, la fede che era stata della sua giovinezza e che continu ad essere delluomo maturo. Libert, pace, civilt: tutte queste per lui non erano sonore parolone, foggiate dagli Inglesi ad uso della stupidit dei continentali, secondo affermava il suo maggior collega, il signore di Bismarck2028 , cos come lEuropa non era semplicemente la notion gographique del cancelliere di ferro. E proprio col duro e scettico principe di Bismarck dovevano scontrarsi i valori morali e gli affetti del Visconti Venosta. Non fu un mero caso fortuito che, nel settembre del 73, a Berlino, laddove il Minghetti riusciva ben accetto al cancelliere germanico, il valtellinese, invece, gli garbasse poco2029 ; e la antipatia era pienamente ricambiata dallitaliano, il quale confessava ad un amico essere il Bismarck un compagno di passeggiata che non vorrei avere sempre2030 . Tutto, nei due uomini, era in antitesi: dallo stile diplomatico alle idee, dal metodo agli scopi. Gi nel 70, quando la politica del Bismarck trionfava grazie alle armi di Moltke, gi allora il nostro valtellinese e la qualifica datagli dal Blow di cauto e calcolatore qui soprattutto appare singolarmente incompleta aveva pubblicamente affermata, a Milano, la sua fede nelle forze morali: certo, esser sempre possibile rompere il vincolo di questa potenza morale dellopinione pubblica europea con un appello paro e semplice alla forza; la forza, semplifica molte questioni in politica estera. Ma fra i tanti meriti di Cavour il minore non essere certo quello di aver dato al nostro Risorgimento una tradizione sinceramente liberale, duna politica che ha sempre cercato in suo appoggio le grandi forze morali dellopinione2031 .

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La nota polemica era espressamente rivolta contro quegli italiani della Sinistra i quali ritenevano di poter agire di fronte al Papa, dopo il Venti Settembre, come con un qualsiasi parroco o cappellano di campagna, senza riguardi ai sentimenti del mondo cattolico; ma toccava pi su dei Crispi, Oliva e compagni, che erano poi gli ammiratori ed esaltatori del metodo bismarckiano della forza, e, al disopra della questione romana stessa coinvolgeva tutti i problemi europei, anche quello della guerra franco-prussiana e delle pretese tedesche sullAlsaziaLorena, le pretese che in quei giorni erano combattute nella stampa da compagni di fede del Visconti Venosta, il Bonghi nella Perseveranza e nella Nuova Antologia, il Dina nellOpinione. Il monito toccava a nuora, ma suocera poteva intendere; e, comunque, era un monito in cui si esprimeva tutto un modo di concepire la vita e la politica agli antipodi del modo del cancelliere prussiano. In forma indiretta e velata; ma insomma in quel discorso riappariva chiara, a chi sapesse intendere e istituir paragoni fra quanto succedeva in Italia e quanto succedeva in Francia, lantitesi fondamentale fra il movimento nazionale italiano, liberale, e il movimento nazionale tedesco. Vincolo della potenza morale dellopinione pubblica; per nessun motivo, quindi, anche in casi gravi della vita nazionale, rinuncia sia pur momentanea ai princpi liberali e uso dei mezzi reazionari, dir egli pi tardi, a proposito dei rapporti col Papato2032 , proprio quando il Bismarck stava per iniziare in Germania il Kulturkampf, cio luso della forza nei problemi ecclesiastico-religiosi: quale antitesi coi sistemi del cancelliere germanico, tanto maggiore uomo di Stato, ma dal tanto pi angusto orizzonte ideale! Veramente, in questo il Visconti Venosta era bene, con il Bonghi, il rappresentante pi schietto e immediato del moderatismo italiano, cos ripugnante di fronte al

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bismarckismo, che aveva fatto scendere la moralit europea al pi infimo livello, a cui sia mai giunta ne tempi anteriori, onde il nuovo sistema, da lui iniziato, doveva aver per motto il ferro e il fuoco2033 . E se non fosse la differenza di statura, verrebbe fatto di accostarlo, come spirito, al Gladstone, col Bismarck il maggior uomo di Stato dellEuropa dallora, ma col Bismarck in totale, irrimediabile antitesi di idee e di princpi: al Gladstone, caro ai moderati italiani per laltezza e serenit del suo sentir liberale, la intatta verginit dellanimo2034 , la profondit del sentimento cristiano, pura fonte perenne da cui scaturiva di continuo una tranquilla forza, fidente nella giustizia, e per lamore alla libert, posto a base della stessa politica estera britannica. Anchegli, il Gladstone, anzi egli soprattutto inviso al Bismarck che fin per odiarlo di un odio tenace, rabbioso, implacabile, e da questodio si lasci ciecamente trascinare, fra l80 e l85, anche contro quel che avrebbe dettato la freddamente raziocinante ragion di Stato a lui cara; e a sua volta luomo di Hawarden ricambiava di non minor antipatia il cancelliere di ferro, chera il diavolo, s vero laneddoto che si racconta, dellesclamazione sfuggita al britannico dinanzi ad uno dei quadri in cui il Lenbach aveva ritratto il gigantesco e duro Junker prussiano2035 . Due mondi in totale antitesi, quello della libert e quello della forza; e il Visconti Venosta apparteneva al mondo di Gladstone. Bismarck, con il suo fiuto, lo intu subito e colloc il valtellinese nella schiera dei reprobi. Questantitesi, apertamente riconosciuta, rimase nel fondo dellanimo al Visconti Venosta, e sugger la diffidenza, mai sopita del tutto e pienamente ricambiata, allora e poi2036 , di fronte al governo di Berlino, e perme, talora anche inconsapevolmente, lazione di governo del nostro, il quale non moll mai n retrocesse dun palmo dai suoi princpi, affrontando anche, per essi, nel 74-75, il palese raffreddamento delle relazioni con Berlino. E

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in questo appunto dietro al diplomatico Visconti Venosta, alluomo tutto duttilit, apparve, come dimprovviso, una figura assai diversa, un Visconti Venosta duro anche lui, alla Sella, come un macigno, fermissimo nel culto dei suoi ideali2037 : un Visconti pi duro e intrattabile, al riguardo, dello stesso amicissimo suo, il Minghetti, uno dei maggiori campioni del liberalismo italiano e pure, con tutto il suo liberalismo e le sue teorie e i suoi scritti, meno ostile, anzi gradito al Bismarck2038 e meno diffidente verso il Bismarck, non perch credesse meno nella libert, ma perch era pi malleabile lui del diplomatico Visconti Venosta. In verit, mentre il valtellinese si appellava sempre allesempio e ai precetti del conte di Cavour e affermava di continuarne, con pi modeste forze, la politica2039 , in verit in lui, come in parecchi altri dei suoi amici, segnatamente nei lombardi, cera ad un tempo qualcosa di meno e qualcosa di pi che nel gran conte: o meglio, cera un Cavour mescolato con un dAzeglio. Vogliamo dire che mentre in questi uomini era passata, pari pari, lesigenza liberale del Cavour, cera tuttavia un desiderio, anzi un bisogno di moralit della vita politica, una moralit per cos dire casalinga, simile a quella del privato in famiglia, che li riavvicinava, per questo lato, al dAzeglio. Lesigenza liberale, altissima, non aveva tuttavia impedito al Cavour di essere spesso sbrigativo nei mezzi, perfino per combattere i mazziniani2040 . Grande uomo di Stato, il Cavour aveva fatto quel che tutti i grandi uomini di Stato avevano sempre praticato: e cio non aveva troppo esitato di fronte ai mezzi, e non sera trattenuto dallagire per scrupoli morali o per le considerazioni di puro diritto, care ai Puritani parlamentari2041 . Ma per alto che il fine fosse, un dAzeglio, galantuomo innanzitutto2042 , non avrebbe mai approvati certi mezzi, anchegli persuaso, come il Ricasoli, che il fine onesto non purifica i mezzi se non siano onesti2043 .

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Travagliato da preoccupazioni morali e dordine educativo, il dAzeglio aveva sempre pi accentuato le sue tendenze venate anche di rimpianti piemontesi di fronte allItalia nuova, non esenti da una certa irritazione di fronte a idee e sentimenti che egli non riusciva pi a comprendere, spesso piuttosto grettamente moralistiche che vividamente morali2044 . E se fin da quando era politico militante aveva creato il mito del re galantuomo, coniata leffigie di prammatica di Vittorio Emanuele II, chera invece caratteristica del modo di sentire di Massimo dAzeglio, pi tardi si assunse il compito di pedagogo nazionale2045 e proclam che fatta lItalia occorreva fare gli Italiani. Era un po come il rendere scolastico lalto insegnamento morale del Manzoni, che era la fonte ultima a cui sabbeveravano questi uomini, lo specchio e il modello di unalta e pensosa umanit che dalla profondit del sentire religioso traesse la forza dei convincimenti e la dirittura dellazione; era un po un manzonismo morale non dissimile del manzonismo letterario, anche se di questultimo pi serio e valido nelle sue ragioni. Ora, il desiderio di far sempre cose da galantuomo, di agire con lealt anche in politica e perfino in politica estera, in quella parte cio, dove pi spesso e con pi eccitanti lusinghe il Maligno tenta la coscienza degli uomini2046 , sera trasferito dallautore dei Ricordi in parecchi altri dei moderati; e dopo aver ispirato lonesto, onestissimo e dazegliano La Marmora2047 , ispirava ora anche il Visconti Venosta. Era uninfluenza, quella del dAzeglio, meno aperta e riconosciuta, meno facile a percepire anche, della raggiante, solare influenza del Cavour; e passava per lo pi inavvertita allora, com passata poi inavvertita ai posteri. Ma non per questo era meno effettiva: e basterebbe, a provarlo, latteggiamento del Jacini, del Casati, dellAlfieri di Sostegno nei riguar-

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di di Roma capitale, che si ricollegava direttamente agli scritti e discorsi del cavalier Massimo. Che era un altro segno di riconoscimento tra i moderati classici, in cui il gruppo dazegliano dava la mano ai Toscani alla Ricasoli, venuti fuori da un ambiente tutto fermento morale e religioso e quindi risolutamente decisi a far della morale pubblica tuttuno con la morale privata2048 ; e lala sinistra della Destra, immune da reminiscenze dazegliane o lambruschiniane: siccome appariva evidente solo che si raffrontassero uomini come il Visconti Venosta e il Ricasoli da una parte, e il Sella dallaltra, vero erede questi della tradizione cavouriana in tutto, nel sentir liberale ma anche nella risolutezza, audacia e spregiudicatezza dazione politica, lui che personalmente era una delle pi alte e rigide figure morali che la storia dItalia abbia conosciuto2049 . Abbastanza significativo, che tra il Visconti Venosta e il Sella ritornassero di frequente quei periodi di cattivi rapporti che nel Cavour-dAzeglio erano stati continui; e toccava agli amici Dina e Artom cercar di comporli ora, come una volta era toccato al Castelli far da mediatore fra Cavour e dAzeglio, studiandosi che il primo comportasse ci che vi era a volte di troppo rigido e a volte di troppo floscio nella natura del secondo, e che il dAzeglio si adagiasse a ci che vera di troppo spigliato e subitaneo nella natura del Cavour2050 . Significativo, che i rigidi della Destra anche alludendo al Sella, nella questione di Roma, deplorassero quella scuola piemontese, di morale larga e alquanto ipocrita, peggioratrice della scuola cavouriana, che prese a largheggiare in fatto di morale, e disprezz i nobili tipi morali dei Balbo, degli Alfieri (Cesare), dei dAzeglio, che pure amavano lItalia quanto chiunque2051 . Cos, sotto alla veste del diplomatico venivano fuori nel Visconti Venosta la seriet e sostanzialit delle preoccupazioni morali. Anchegli, al par del La Marmora,

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non avrebbe mai ammesso e nemmen pensato che talora occorre fare anche brutte cose, se no, non si riesce davvero in questo mondo infame. A corsaire corsaire et demi, e non si sarebbe certo sognato di tenersi accanto persone adatte ad incarichi sporchi2052 ; anchegli non avrebbe mai ammesso il precetto del cardinale di Richelieu che altra cosa essere homme de bien selon Dieu e altra selon les hommes2053 ; anchegli restava incrollabile sul diniego dei due Vangeli, delle due morali, la pubblica e la privata2054 , niente affatto disposto a perder lanima per fare il ministro degli Esteri. Non che fosse un moralista astratto e un visionario. Tutto allopposto, aveva gli occhi ben aperti sulla realt; e non sognava i regni di Utopia e non simmaginava repubbliche o principati quali dovevano essere, ma li vedeva quali erano, onde, un giorno, al De Laveleye che predicava linutilit delle lotte armate fra gli Stati e auspicava lavvento di una giustizia internazionale, essendo la prosperit delluno condizione necessaria della prosperit dellaltro, il nostro rispondeva s s, voi dite parole doro, mi par di ascoltare Cobden e Henry Richard, le vostre parole sono la ragione stessa, ma, per favore, date unocchiata alla situazione dellEuropa e vedrete un campo armato. Il vostro ragionamento presuppone popoli pacifici e ragionevoli; e il mondo sar forse cos alla fine del XX secolo: ma intanto cerchiamo di non farci divorare nel secolo XIX2055 . Soltanto, la realt del Visconti Venosta, come quella dei moderati tutti, comprendeva anche le forze morali e i grandi motivi ideali, i princpi, senza dei quali la lotta politica sarebbe apparsa meccanicismo tattico di effimero valore; ed era dunque una realt ben diversa da quella dei neorealisti osannanti a Bismarck. Era una realt che teneva gran conto dellopinione pubblica, dello stato danimo del paese: lappello del Visconti Venosta alle forze morali non era un mero espediente propagandistico, ma

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rispondeva al convincimento pi profondo. Tutto il suo atteggiamento nella questione di Roma, nei due mesi decisivi dellagosto e settembre 1870, derivava da questa radicatissima persuasione, che occorresse risolvere il problema evitando ad ogni costo la violenza2056 , ed evitando altres di porre gli interessi italiani in contrasto con quelli generali dellEuropa per esercitare unazione isolata ora subdola, ora violenta2057 ; e pot essere ingenuo, e sicuramente, senza la provvida violenza della Sinistra non avrebbe risolto nulla: ma era un atteggiamento che derivava da unalta preoccupazione e che avrebbe poi assicurato linea e dignit allazione successiva di governo. Tutta la sua politica nei riguardi del Papato dopo il Venti Settembre, continu ad ispirarsi al principio dei mezzi morali e a rifuggir dalla forza, anche quando a spingerlo sulla via della forza fosse non pi solo la Sinistra in Parlamento ma il principe di Bismarck; e si mantenne fermo nella convinzione che alla fine della lotta con la Chiesa si sarebbe potuto giungere soltanto mantenendo quello stesso atteggiamento liberale che moderati e non moderati, Destra e Sinistra eran concordi nel volere in tutte le altre questioni interne, ma che la Sinistra avrebbe voluto ripudiare di fronte al Papato2058 : e fu gran vanto, suo e del governo italiano, laver evitato un Kulturkampf italiano a cui incitarono per anni, con sempre crescente acrimonia, gli uomini della Sinistra in Italia e, dallestero, i governanti di Berlino. Tale, dunque, luomo al quale era affidato il compito di guidare la politica italiana nei suoi rapporti con gli altri Stati, di continuare secondo egli stesso diceva il programma cavouriano, e cio quella politica liberale e conservatrice che vuole procedere verso lavvenire, ma procedere con sicurezza, che intende proporzionare i mezzi al fine ed il fine ai mezzi2059 . E procedere con sicurezza significava, secondo un aureo precetto del gran conte, che il valtellinese ricordava nel discorso di Tirano

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non fare delle grandi questioni colle piccole questioni. Le questioni secondarie bisogna trattarle certo in modo da mantenere illesi i diritti e la dignit della nazione, perch non mai questo un interesse subalterno, ma bisogna trattarle con calma, mantenendole al loro posto e nella misura dellinteresse reale che vi impegnato2060 ; significava perseguire cio una politica che non devia dalla sua strada, che non perde di vista il suo scopo, che lo raggiunge, ma con moderazione e calma, senza eccitare fuor di proposito la suscettibilit nazionale per far credere che la vita politica deglItaliani si tesse di soprusi sopportati e di offese sofferte, senza cogliere ogni occasione per sospettare che la dignit nazionale sia stata contestata, secondo accade presso i popoli non seri n veramente grandi2061 . Nulla pi dellincomposto clamore, dellagitazione irrequieta, degli alti lai pubblici urtava il senso di dignit nazionale che il Visconti Venosta aveva vivissimo e che, con la sua ritrosia alle declamazioni e il suo contenuto pudore, era veramente un orgoglio nazionale assai pi alto di quello dei molti vociferanti2062 . Perch, alieno dal sollevare fuor di proposito questioni di dignit nazionale, egli riteneva che, una volta sollevate, bisognasse risolverle, accettando tutte le conseguenze possibili dellazione intrapresa cio, anche la guerra2063 . Sempre con quel suo caratteristico modo dagire, pensarci molto su prima, ma poi, una volta tratto il dado, non deflettere pi a nessun costo. Una politica, dunque, liberale ed europea, pacifica e fondata sulle forze morali; una politica attenta alla dignit della nazione, e pur moderata e conciliante, che trattava gli inevitabili incidenti con calma considerandoli nel loro vero valore, non colla passione e coi puntigli, e rifuggiva dal trasformare i piccoli incidenti in grandi questioni per non creare quelle situazioni che simpongono come una fatalit, senza che poi sia quasi possibile spiegarne la genesi2064 . Una politica, di cui il mi-

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nistro degli Esteri teneva sempre e saldamente le redini in mano, senza lasciarsi trascinare dalle suggestioni delluno o dellaltro dei suoi agenti allestero, e soprattutto senza lasciarsi rimorchiare e trar fuori carreggiata dal furor consularis2065 , sempre disposto a veder luniverso concentrato nella sede della propria giurisdizione e la salvezza del proprio paese dipendere dallenergico comportamento magari per una rissa in una bettola fra nazionali e stranieri. Una politica, infine, su cui anche i clamori della stampa non avevano la minima presa: i giornalisti dellavverso partito alzavano alte grida di indignazione, e il ministro lasciava dire e tirava innanzi per la sua strada. Quanto prezioso fosse nella condotta degli affari questo non voler fare con le piccole delle grandi questioni, e il non complicare le gi gravi con puntigli superflui e vanit formali, il ministro degli Esteri magari a rimorchio di un console troppo eccitato, si pot poi rimpiangere pi tardi: e prima ancora di Crispi, nella questione di Tunisi. In completo accordo intellettuale e morale con il suo capo era il nuovo segretario generale del ministero degli Esteri, Isacco Artom, che il Consiglio dei ministri dei 30 novembre 1870 aveva elevato allalta carica in sostituzione del Blanc, nello stesso momento in cui faceva del Luzzatti il segretario generale allAgricoltura, Industria e Commercio2066 . Anche lui, uno della scuola cavouriana e di direttissima origine, segretario intimo e collaboratore fidatissimo del gran conte2067 ; anche lui, fermamente liberale e deciso nel voler salvare la tradizione cavouriana contro le tendenze alla Bismarck2068 ; anche lui, con quella punta di conservatorismo che era nel Visconti Venosta, e avverso alle impazienze, agli scatti, alla politica da rompitutto. Legato da viva amicizia personale col suo ministro, s da esserne lalter ego2069 , esempio raro di quel che volesse dire laffiatamento fra segretario generale e ministro, lessere come due in uno ed uno in due2070 . Spiri-

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to acuto e sottile, non brillante ma solido2071 , colto, molto bene al corrente di tutta la politica ecclesiastica italiana dal 60 in poi, gi autore di un progetto di istruzioni per i negoziati con la Curia romana nel febbraio 18612072 , e nel 75 sceso personalmente a polemica con il Treitschke attorno alla legge delle Guarentigie2073 , lallampanato Artom2074 sostenne il peso massimo delle discussioni internazionali sulla questione romana: sua la redazione, con poche varianti del Visconti Venosta, dei memoriali e dispacci destinati a giustificare allestero latteggiamento del governo italiano2075 . Un personaggio, dunque, di primo piano, anche se non conosciuto dal grosso pubblico, e in perfetta uniformit di idee e di metodo con il Visconti Venosta. II Costantino Nigra Terzo, di questa triade di amici chiamati dalla sorte a svolgere la loro opera in comunit di intenti2076 , affiancati dal destino e dalla volont e vicini allora e poi2077 , non solo con lanimo ma con lo spirito, uniti da consuetudine sentimentale ma anche da affinit didee e da alto sentire del proprio dovere2078 , era Costantino Nigra. Proprio cos. Il bel Nigra, laudace Nigra del 58-59, inviato trentenne dal Cavour a Parigi per assolvere le parti difficili che il marchese Villamarina non era in grado di sostenere; il fidissimo che nel marzo del 59 aveva esortato il maestro a forzar la mano allopinione francese, mediante un pronunciamento a Modena o a Bologna o nelle sole legazioni, interrompendo ad ogni costo il funesto lavoro della diplomazia e dando fuoco alla miccia2079 , che ancora nel 66 aveva premuto sul La Marmora, per deciderlo allazione e alla guerra2080 ; lalto, biondo, elegante Nigra dai grandi occhi scintillanti2081 , seduttore sottile e

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fortunato di cuori femminili, capace di rivestire anche la politica di leggiadria mondana recitando allimperatrice Eugenia, una sera del 63, sul placido laghetto di Fontainebleau, la barcarola di Venezia viva e in attesa2082 ; il Nigra gi circondato da un alone in cui leggenda e storia si frammischiavano, e oggetto, come nessun altro fra i diplomatici, di simpatie ed antipatie, di alti riconoscimenti e di critiche aspre2083 , il Nigra era, almeno ora, uomo di stile parecchio simile allo stile del Visconti Venosta. Era potuto sembrare se non proprio un cinico alla Talleyrand, almeno uomo dalla fredda volont tesa verso il successo, fosse politico fosse amoroso, con indifferenza de mezzi; ed invece anche lui non solo era un leale, magari audace ma un leale2084 , sapendo essere franco e fermo pur attraverso larte finissima della sfumatura e la seduzione della parola2085 , bens era capace di quelli che un Talleyrand avrebbe schernevolmente definiti sentimentalismi, siccome provava il suo attaccamento affettuoso alla dinastia napoleonica2086 . Sin dal 68 egli aveva preveduto il crollo del Secondo Impero; e sebbene trattato con grande benevolenza a corte, sebbene ricercatissimo nellalta societ parigina, sebbene legato a Parigi da amori e amicizie profonde, aveva desiderato di cambiar sede e di andar a Londra, o anche a Vienna. Gli che, nonostante la sua posizione personale fosse immutata, e cio ottima questa vita dincertezza continua, e questa tremenda spada di Damocle che la questione romana, la quale non sar sciolta se non il giorno in cui vi sar in Francia una rivoluzione radicale e violenta, mi rendono questa residenza molto dolorosa. Aggiungi le accuse e le ire della nostra stampa e di molti fra i membri del Parlamento. Aggiungi le antipatie del re, e lirritazione di Rattazzi il quale non mi perdoner daverlo coi miei telegrammi forzato in certo modo di dare la sua dimissione2087 . E poi devo confessarti che le cose in Francia peggiorano, e che m doloroso lassistere alla rovina di questo grande

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edifizio dellImpero francese, col quale si collega tutta la politica da noi fatta sin qui2088 . Non gi che le simpatie per Napoleone III e per la Francia togliessero al Nigra la precisa visione degli interessi italiani o lo inducessero a transigere e a cedere, quando fossero in giuoco grosse questioni. Come nel 1859-60, cos anche ora egli aveva lorgoglio di essere il rappresentante dellItalia a Parigi e non il portavoce del governo francese presso il governo italiano: il senso, altissimo, della dignit nazionale si sposava con un profondo senso di dignit personale, luno e laltro intransigenti sullessenziale. Come il Visconti Venosta, anche il Nigra si rifaceva sempre al gran principio del Cavour di cedere sulle piccole cose, per guadagnare le grandi, di non trasformare piccoli incidenti in questioni grosse; nelle questioni veramente importanti, nessuna transazione, nessuna rinunzia2089 . Ma, questo s, lo sforzo sincero di conciliare gli interessi dellItalia con quelli della Francia, lealt, e sempre lealt, niente ondeggiamenti nelle linee generali, niente trescare alle spalle delluno e dellaltro. Allora, si trattava della Francia; ma pi tardi, ambasciatore a Vienna, uguale lealt e chiarezza il Nigra volle apportare nella sua azione e, posto che con lAustria lItalia non poteva trovarsi se non in alleanza o in guerra e che la guerra allora non si poteva fare e si era invece alleati, volle la seriet dellalleanza, disapprovando recisamente, come gi prima il Robilant, tutto quello che con lo spirito dellalleanza contrastasse e quindi anzitutto le agitazioni irredentistiche e i clamori sulle piazze2090 . Non solo quindi verso la Francia, ma verso qualunque Stato Nigra voleva dirittura di politica: il suo non era un atteggiamento particolare, dettato soltanto da motivi affettivi e personali, ma una linea politica, uno stile di azione, che i legami con la dinastia napoleonica e con Parigi potevano certo rafforzare, non creare.

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Col rimanere a Parigi altri sei anni dopo la caduta della dinastia napoleonica, pot sembrare uomo pronto a variare, disinvoltamente, anima e parte: e i bonapartisti non gli perdonarono laccomodamento alla Repubblica, e le ire del principe Gerolamo2091 , che metteva su anche il suocero Vittorio Emanuele, costarono amarezze grandi al Nigra da parte del suo stesso re2092 . E invece questo non era: a non ascoltare che il desiderio suo, Nigra avrebbe voluto cambiar sede; non lo aveva fatto, giustamente, anche per non dar a credere con una partenza repentina chio fossi anzich lAgente dellItalia, lAgente dellImperatore... Io fui e sono il Rappresentante dellItalia e non quello duna dinastia estera2093 . E a Parigi continu a volerlo, dopo alcune incertezze fra 70 e 72, il Visconti Venosta, giustamente persuaso anche contro il cattivo umore di Vittorio Emanuele II che nessun altro avrebbe potuto rappresentare meglio lItalia nella capitale francese, pur dopo il 4 settembre2094 . Non era uomo pronto a mutare anima e veste secondo tirasse il vento. Non lo era coi ministri, a quali non si peritava dallesprimere schietto e netto il proprio disaccordo, quando disaccordo ci fosse su questioni fondamentali: e cos, in fine carriera, si urt apertamente col Prinetti2095 . Non lo era con gli altri: e la sua riconoscenza per Napoleone III continu ad affermarla apertamente, altamente anche dopo Sedan2096 . Cera in lui un senso della fedelt, dellamicizia, dellattaccamento alle persone una volta care, in una parola ceran valori sentimentali che possono bene definirsi romantici. Luomo che il 4 settembre del 70 aveva offerto il suo braccio allimperatrice Eugenia per condurla fuori di portata della folla urlante e minacciante2097 , apparteneva alla generazione dei giovani entusiasti del 48, aveva combattuto, volontario nella terza compagnia bersaglieri, per il suo ideale, aveva toccato una grave ferita a Rivoli; era originariamente, di animo e dintelligenza, come uomo e come poeta, un

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romantico, nel mondo romantico era rimasto come araldo diplomatico del principio di nazionalit, incarnando bene una generazione che non aveva pi la mentalit raziocinante e matematica del 700, e non ancora la mentalit positivistica della fine dell800. Lo stesso abbandonarsi alla fievole ma decorosa vena poetica, la sincerit e ricchezza degli interessi culturali, il culto amoroso delle tradizioni popolari, eran tutti elementi che legavano il Nigra allet romantica. Politicamente, come nel Visconti Venosta, largo senso europeo, che non distruggeva ma limitava la fede nel diritto delle nazioni; senso della misura imposta alla politica di ogni singolo Stato, anzi sincera persuasione della necessit della pace internazionale2098 . N soltanto laccordo era di sentimenti e di idee. Una volta spronante ai fatti, e spronante nientedimeno che un Cavour nel pieno della sua audacia creatrice, ora anche il Nigra nel metodo, nello stile si assomigliava al Visconti Venosta; e come lui tendeva alla prudenza, alla calma, a lasciar tempo al tempo2099 , al non ipotecare lavvenire in anticipo2100 , tutto finezza, abilit di giuoco, mezzi toni2101 , tutto riluttanza al dar colpi di spada nellacqua2102 , tutto misura. Era, questa, la gran parola per il Nigra, tanto che chi lo conosceva bene e aveva avuto con lui lunga dimestichezza di lavoro, poteva rammentargli un giorno, dopo anni di lontananza, gli shakespeariani versi del Riccardo II. ...How sour sweet music is When time is broke and no proportion kept! So is it in the music of mens lives come esperimenti con leggiadria, un pensiero in cui Ella suole compiacersi. il concetto della misura nelle azioni degli uomini2103 . La misura: e anche per questo nello scrivere e nello stendere rapporti dufficio il Nigra era parco, di parole come di giudizi, riluttante ad av-

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ventar previsioni, soprattutto riluttante ad indicar programmi e a forgiar direttive. Ne quid nimis, anche qui: concisione e precisione, non inutili prolissit, non lunghe scritture2104 . Tanto parco e misurato nella sua prosa ufficiale da poter lasciar limpressione come di un appannarsi delle qualit tanto vantate di sagacia e di fiuto, e del venir fuori, invece, di un diplomatico-burocrate: che limpressione lasciata, spesso, dai suoi rapporti dufficio, chiari e precisi, ma impersonali e tanto meno caratteristici di quelli, non diciamo del serio, attento, quadrato Robilant, ma anche del molto loquace de Launay. E per trovar il vero Nigra, vale adire un acuto giudice di uomini e cose, unintelligenza scaltrita e finissima, una conoscenza profonda non solo della Francia s della politica europea in genere, per trovar tutto questo bisogna ricorrere alle lettere private: ch se le une, quelle non diciamo damore, pi non esistenti, ma indirizzate a donne e specialmente di donne a lui, respiran davvero la fragranza lieve di un passato gentile; e se le altre, corrispondenza nutrita fra il diplomatico celebre e i maggiori dotti dEuropa, soprattutto i maggiori glottologi2105 , fanno penetrare nel vivo di una coltura sodissima, assai pi che da dilettante2106 ; le lettere politiche personali allo Artom e al Visconti Venosta o, pi tardi, al Robilant danno finalmente limmagine del Nigra maggiore, non pi semplice seppur precisissimo e limpido informatore, bens politico dal sicuro colpo docchio, dalla diagnosi penetrante, dalla personalit inconfondibile. Ma un Nigra che vien fuori quasi soltanto nel carteggio personale, confidenziale: come un uomo che si sveli, ma allamico soltanto, e a lui solo scopra il suo sentire, mentre in ufficio si chiude vie pi nelladempimento puntuale, ma schematico, preciso, ma impersonale, del compito che gli spetta. Timore di indiscrezioni per i carteggi ufficiali, prudenza? Anche2107 . Ma un siffatto contenersi e frenarsi nella corrispondenza ufficiale, contrastante con la personalit dei

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carteggi degli altri maggiori fra i rappresentanti dellItalia allestero, aveva anche, e anzi forse soprattutto, una diversa origine che non fosse la prudenza, la misura. Ed era un certo disincantamento, una specie di stanchezza morale volgente in indifferenza, uno scetticismo, uno staccarsi con lanimo dalla politica, quasi che in essa non fossero se non amarezza, disinganni, crucci e, in ultimo, vanit delle cose tutte. lo stato danimo che pi colpisce nel Nigra e che lo differenzia nettamente, come uomo, dal Visconti Venosta pur cos vicino a lui per stile e idee politiche. Vecchio, sul finir del secolo e nei primi anni del nuovo, il Nigra apparve, a chi personalmente lo conobbe, sempre vivacissimo spiritualmente, ma moralmente stanco, chiuso in s e quasi disperante2108 ; e ad altri, che aveva avuto con lui consuetudine di lavoro, addirittura sembr sepolto, lui cos disinteressato un tempo2109 , in un egoismo che non voleva pi seccature, e chera ad un tempo lagnanza per gli scarsi riconoscimenti avuti, a dir suo, dallItalia2110 . Certo che luomo, apparso cos fiducioso di s, cos forte di speranze allorquando andava a Parigi in nome del Cavour, perdette lungo la via amara dellesperienza fiducia e speranza; e cerc sempre pi di star nella penombra, di non far il primo attore, smarrendo il gusto della politica. Affiorava in lui una mancanza di confidenza nel far bene che per me un ritegno grandissimo2111 , confessava nel marzo del 71 al Visconti Venosta che gli proponeva di lasciar Parigi per Vienna2112 , secondo parevano dettare ragioni di opportunit riconosciute dagli amici stessi del Nigra2113 , a non parlar dei malevoli e degli uomini della Sinistra, che in lui scorgevano lincarnazione del bonapartismo italiano2114 . E poteva stupire che un uomo, appena quarantaduenne, confessasse che con gli anni diminuisce la confidenza e nascono gli scrupoli, quasi let fosse gi tarda e grave; ma il Nigra era ormai cos, fi-

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sicamente e moralmente stanco, portato pi ad astenersi che ad agire, pi a meditare che a concludere2115 . Io son diventato da qualche tempo pieno di scrupoli scriveva al Visconti Venosta il 24 giugno del 1871, quando voleva, lui questa volta, andarsene da Parigi, abbandonar la carriera e riposare. Non ho pi la felice confidenza della giovent. Se capitasse il menomo screzio [tra lItalia e la Francia] temerei che venisse attribuito alle buone relazioni che ebbi collImpero. Mi sento inoltre molto affaticato. La sfiducia, il pensiero di essere oramai impari al mio compito simpadroniscono spesso del mio animo e mi lasciano turbato.2116 Il proposito di ritirarsi a vita privata fu abbandonato, e il Nigra rimase altri cinque anni a Parigi, e and poi a Pietroburgo, Londra e Vienna. Ma quello stato danimo perdur, se non con lacuit di allora almeno come persistente senso di ripiegamento disincantato e amaro su se stesso. Quindici anni pi tardi, sullinizio delle trattative per il rinnovo della Triplice Alleanza, quando il Robilant gli comunic che i negoziati si sarebbero svolti a Berlino, tramite il de Launay, e che a lui Nigra sarebbe toccata una parte del tutto secondaria, ascoltare le dichiarazioni altrui, ma non discutere n agire in proprio, tranquillizz il ministro giacch lexprience de mon mtier et mon caractre me portent plustt labstention qu lempitement2117 . Luomo fu sempre meno incline ad agire nel campo politico, e sempre pi spinto a rifugiarsi nella poesia e nello studio, nelle Reliquie celtiche e nei Canti popolari del Piemonte. Non che gli mancasse lenergia per far quel che doveva, per assumere posizione netta quando fosse necessario, anche per dir chiaro e tondo il proprio pensiero perfino ad un presidente del Consiglio imperioso come il Crispi2118 ; o che venisse meno la capacit di imporsi ovunque, perfino nel difficile ambiente di Vienna,

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con prestigio personale che sopperiva entro certi limiti al non grande prestigio del paese che rappresentava2119 . Ma sempre meno vibrava lanima del politico e sempre pi quella delluomo di studio e di mondo, che trascorreva intere sere allambasciata, con i suoi collaboratori, in lunghe letture di poesia e di storia2120 , o continuava ad affascinare uomini e donne, sino alla tarda et, con il brio e leleganza della conversazione2121 . Quanto scarsa fosse ormai in lui la gioia dellagire politico, doveva dimostrare il rifiuto, due volte pronunziato, di diventare ministro degli Esteri. Una prima volta, nel giugno dell85, quando il dimissionario Mancini gli annunzi che avrebbe fatto il suo nome; e immediatamente, da Londra, il Nigra gli rispose pregandolo en ami et trs srieusement de mpargner le chagrin de refuser une demande ventuelle du Roi et de mon ami Depretis2122 . Una seconda volta, com noto, nell87, alla morte del Depretis, quando Crispi e lo stesso Umberto I personalmente e vivamente2123 insistettero perch egli assumesse la responsabilit della politica estera italiana: e anche allora fu un rifiuto, netto e reciso2124 . Erano, questi, i due episodi pi significativi della sua rinunzia ad una grande azione politica; ma non erano episodi isolati, n dovuti a momentanea stanchezza. Vi corrispondevano invece, i due altri rifiuti opposti al Crispi, nel 1894 e nel 1895, di recarsi a Parigi prima, a Pietroburgo poi2125 ; per cercar di por fine a situazioni difficili. Saliva sempre pi in fama, sembrava essere luomo dei momenti critici2126 , lo stesso Crispi guardava a lui come al nocchiero delle tempeste: ed egli si ritirava indietro e di burrasche non voleva pi saperne. Era proprio una mancanza di gioia dellazione, che caratterizzava lanima del Nigra dopo il 70; e lo disse chiaramente egli stesso, quando, trasferito da Pietroburgo a Londra nell82, e cio abbandonando un posto di relativa importanza per

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lItalia per assumerne un altro di importanza fondamentale, espresse al collega Robilant il suo dispiacere. Al momento di lasciar Pietroburgo cos scriveva l11 dicembre 1882 sento un vivo e sincero rincrescimento. La mia posizione qui era eccellente, laccoglienza di questa societ era stata pi che cortese, cordiale; difficolt politiche o daltra natura non avevo affatto; le relazioni ufficiali, e non ufficiali, ottime. Ora invece devo intraprendere una nuova vita, farmi ad altre usanze, coltivare nuove relazioni, e Dio sa con quale esito. Avr noie che qui non avevo ed occupazioni maggiori. Tuttavia, fra i varii posti a cui potevo aspirare, quello di Londra certamente quello che mi lusinga di pi. Far laggi il meglio che potr. Ma se la sua amicizia per me Le fa dire che potr render col al nostro paese grandi servizi, la mia coscienza mi avverte che dovr contentarmi di renderne dei molto modesti. Grandi errori spero di non commetterne. Avr cura di vivere decorosamente e certo non far il guastamestieri. Nel resto, Ella sa per prova, e meglio di me, che la nostra azione diplomatica, se pu essere, com talora, aiutata dalla posizione personale degli ambasciatori, non vale per in sostanza se non quel che vale la forza morale e materiale che sta dietro di noi, cio lautorit e la forza del governo e del paese che rappresentiamo.2127 Dove colpivano il tono disincantato, lo scetticismo pure parecchio fondato, ma in bocca ad un diplomatico! sulle possibilit della diplomazia, il fastidio delle future noie; soprattutto, quel ridurre in anticipo la propria opera a viver decorosamente e non far il guastamestieri... chera un po poco. Era proprio il tono di uno scettico, indifferente ormai alla gioia del nuovo, riluttante a muoversi, a cambiar vita, indotto sempre pi ad accarezzare e amare le proprie abitudini; era lo spirito che dettava poi rapporti impersonali, precisi ed esatti, ma freddi come se si fosse convinto che tanto, a che pro?

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Singolare ritrarsi di un uomo che, un venticinquennio prima, era sembrato tutto proteso verso la politica, la lotta, le grandi decisioni! Disincantamento, amarezze, stanchezza fisica e morale; sentimento ferito dallasprezza della lotta politica, con le sue fatali ingenerosit, che, a vincerle nellintimo, occorre animo sdegnoso e forte pi di quanto il nostro per avventura non avesse; sentimento ferito anche direttamente dai violenti attacchi con cui la Sinistra ne critic lopera per anni ed anni, fino al 76, fino cio al tanto richiesto allontanamento da Parigi dellitaliano amico di Napoleone III e di Eugenia2128 . Un po, anche, labito diplomatico, con il suo scetticismo su uomini e cose e il suo diffidare della troppa passione, che conduce agli scatti di nervi e guasta il mestiere2129 . Tutto questo e delusioni e amarezze familiari2130 , erano certo, alla base del suo atteggiamento disincantato e stanco; ed erano anche prova di quanto la presenza viva, continua, eccitante e sferzante del Cavour avesse saputo trasfigurare i suoi collaboratori, facendone uomini dazione inebriandoli quasi e lanciandoli pieni daudacia nella mischia. Col dAzeglio, Nigra era stato soprattutto lautore dell Epitalamio in nozze di Alessandrina con il marchese Matteo Ricci, ed era brillato per le lodi manzoniane; ma era stato il gran conte a foggiare il diplomatico, il politico, luomo dazione, plasmando di una potente impronta la buona materia che gli si offriva. Nellalone del Cavour il Nigra, come altri, sera sentito riscaldato, animo e mente: prova sicura della grandezza del ministro di Vittorio Emanuele II, capace, come tutti i veri creatori, di agitare e infiammare attorno a s. Ma ora questa luce viva, questa fiamma era mancata; e in quelli che non erano propriamente nati per la politica, n chiamati dalla Provvidenza a pascersi di essa e solo di essa, lanimo fin con lo scoprire miseria e vuoto dove prima aveva visto attivit e potenza2131 .

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Per continuare sul tono del 59-60 ci voleva una tempra di uomo dazione che il Nigra non aveva. Una volta, laveva scritto al Cavour io ho fatto quel che ho potuto... Non posso dare quello che non ho2132 : e quello che non aveva, o almeno aveva in misura assai inferiore alle doti dellingegno, vivissimo, pronto, acuto, era proprio la tempra del lottatore. Quel fondo del suo animo, tra idillico e mitemente affettivo, che veniva in luce negli Idilli2133 , traspariva anche sotto altre forme, nel politico: luomo era, appunto, alieno dalle potenti passioni. Sincero e leale: ma duna sincerit e lealt che non potevano conoscere il duro e potente esclusivismo dei grandi sentimenti e che gli consentivano invece una adattabilit a circostanze mutate che, per esempio, un Robilant non avrebbe potuto avere. Gli stessi valori ideali del Nigra non avevano la salda intransigente potenza che in altri: onde, mentre lamico Visconti Venosta rilutt sempre al Bismarck e al Crispi, Nigra ammir Bismarck e nutr non equivoca simpatia per il Crispi2134 . Era come un intiepidirsi della vita interiore; e a determinarlo non era solo disincantamento personale. Cera di peggio: ed era che lItalia quale si presentava ad unit compiuta non incarnava davvero gli ideali della vigilia. La delusione e linappagamento, se toccavano le alte note nel Mazzini, non eran poi gran che minori anche in parecchi dei moderati, e, fra essi, nel Nigra. Anche qui, seppure in altro senso che non nel Visconti Venosta, era un po un atteggiamento alla dAzeglio, il dAzeglio borbottone scontento amaro2135 : rammarico nel sentire giorno per giorno diminuire linfluenza e il prestigio della tanto amata terra natia bellissima fra quante il sol riscalda2136 ; malcontento perch questa Italia che veniva su non garbava punto, per molti e molti aspetti. Irritazione di fronte allo spettacolo de birbi e deglimbroglioni, in granduniforme di Italianissimi2137 : e anche qui, per passaci sopra ci vuole o la corazza antisentimentale del

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politico nato2138 , o la serenit distante dello storico. Ma il dAzeglio e quelli come lui non erano politici distinto e di temperamento, e non potevano ancora essere storici. Aggiungi la sensazione, penosa, di esser messo in disparte, di essere ormai un sopravvissuto, buttato su di una spiaggia solitaria dalle onde incalzanti de grandi eventi: sensazione che nel dAzeglio era viva gi dopo il 52 e che nel Nigra poteva sorgere dopo il 70, soprattutto dopo il 76, e che era, anchessa, poco idonea a predisporre alla comprensione e allindulgenza. Questo stato danimo, dunque, dovette entrar per qualche cosa nel disincantamento del Nigra. Certo, era tuttaltro che infrequente, se non nei suoi amici Visconti Venosta e Minghetti ben diversamente orientati sotto questo riguardo in altri, meno illustri amici e conoscenti, piemontesi anchessi; e al dAzeglio e al suo pessimismo si rifaceva apertamente uno di essi, il Govean, che lamentava in una lettera al Nigra, nel 1879, il decadimento del costume politico italiano: Mancati i grandi scopi che guidarono gli italiani negli anni andati, vennero fuori gli scopi particolari. E, come diceva Azeglio, i nuovi venuti trovando la tavola apparecchiata, mangiarono le portate. Poi vennero quelli che portarono via posate e tovaglioli. Ora, dico io, sono altri venuti in cucina che si disputano tegami, ramini e payuoli, e Dio sa con che mani2139 . Persino da molto in alto pervenivano al nostro voci di scoramento, pessimismo, sdegno, come la voce di un principe che passava pure per capace e aperto dingegno e di tendenze, Eugenio di Savoia-Carignano, il quale anchegli era in preda ad un tetro pessimismo2140 . E parecchi anni pi tardi toccava allAlfieri di Sostegno desprimere ad uno straniero il senso, amaro che molti degli uomini del 59 avevano di essere, ormai, dei sopravvissuti: al visconte de Vog, che gli chiedeva, nel 1896, come mai in un momento cos difficile per la politica italiana, dopo Adua e il crollo di Crispi, in Italia non si pensas-

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se a chiamare al governo gli epigoni di Cavour, gi consacrati dalla fama, gi noti allEuropa, s come la Francia nei giorni duri aveva chiamato il Thiers, e si stupiva che non si pensasse ad ornarsi, davanti allEuropa, dellautorit del Nigra, lAlfieri rispondeva: Vous avez raison, mais le temps a march trop vite: ceux qui vous pensez toujours, la foule et nos politiciens ny pensent plus, ne savent plus sils existent. Ce sont des morts, embaums dans leurs grands services2141 . Des morts embaums: nel 71 il Nigra non poteva certamente pensare ancora di s stesso cosa come gli avvenne pi tardi2142 ; ma gi doveva sentirsi in ambiente diverso da quello in cui era cresciuta la sua gloria. Il crollo dellimpero napoleonico e gli attacchi, aspri e ingiusti, della Riforma e del Diritto e la stessa convinzione dei suoi amici che fosse meglio per lui cambiar Parigi con unaltra sede, erano sintomi sufficienti per amareggiare una sensibilit viva e far riflettere un uomo sulla labilit delle cose umane, politica e fama in primis2143 . Cos, tanto vicino al Visconti Venosta per orientamento generale ideologico e caratteristiche di stile diplomatico, il Nigra era invece diverso dal suo ministro, per un disincantamento progressivo e uno scetticismo che nel valtellinese non erano invece accennati. Le asprezze della lotta parlamentare, il fastidio e a volte il disgusto non solo della polemica con gli avversari, ma talora fin della forzata convivenza con colleghi imposti dalle circostanze e poco amati, non condussero il ministro degli Esteri a quel ripiegamento interiore chera in atto nel canavesano2144 . Ma queste erano le differenze personali, di gusto e di sentire, cos come gi erano diversi i due uomini nel sembiante e nel contegno esteriore, dignitoso e un po solenne il Visconti Venosta, brillantissimo e seducente il Nigra. Per quel che conta nella storia dItalia, cio per indirizzo generale e metodo di attuazione, i due uomini

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erano invece su di uno stesso piano; e accanto a loro, cera, personalit assai meno spiccata, ma confidente e ispiratore sagace, dagli stessi impulsi mosso, lo Artom. III Il Conte de Launay Ben diverse, invece, le due altre maggior personalit del mondo diplomatico italiano, il de Launay e, a partire dallestate del 71, il Robilant. Gli altri rappresentanti allestero non avevano infatti allora, n ebbero ancora per molto tempo una individualit spiccata: non i due meridionali, il Barbolari a Costantinopoli e il Caracciolo di Bella a Pietroburgo, tolti daltronde di scena fra il 75 e il 76; non il Barrai, gratissimo al re, pubblicamente elogiato dal La Marmora, come un degno allievo della ottima antica diplomazia sabauda2145 , in contrapposto al Nigra, esempio della nuova e non ottima scuola, ma che in realt non era niente pi di un diligente funzionario2146 ; non il Greppi, giunto poi a larga notoriet per la robusta vecchiaia che lo condusse ai 103 anni di vita, amabile uomo di mondo, ma certo n un Cavour, n un Talleyrand2147 . Nemmeno il Cadorna, pur titolare della legazione di Londra fino al 75 e convinto di far benissimo2148 , aveva doti diplomatiche di rilievo; e quanto al Corti, era allora lontano, a Washington, in una sede, per quei tempi, di scarsa importanza. E cos per allora emergevano, oltre al Nigra, soltanto il de Launay e il Robilant. Anche nel caso del conte Edoardo de Launay limportanza di cui la sua firma godeva presso il ministero degli Esteri derivava per molta parte dallimportanza del posto. Berlino era, con Vienna e Parigi, la pi delicata e difficile delle nostre legazioni: nulla di strano che il suo titolare godesse di un prestigio notevole. Saggiunga che

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il de Launay era il decano del corpo diplomatico italiano, un vecchio del mestiere, sempre pronto a far valere la sua esperienza con ammonimenti e consigli2149 , zelante pignolo suscettibilissimo2150 , geloso custode della professione chegli avrebbe voluto preservare dallimpuro contatto dei dilettanti, cio dei politici che venivano inviati a fare i diplomatici senza preparazione tecnica2151 . Il mestiere era una gran cosa per questa Vestale del fuoco sacro, attaccatissima al suo dovere e ad esso veramente onestamente fedele2152 . Sarebbe tuttavia ingiusto attribuire la posizione eminente che il savoiardo occupava nella diplomazia italiana esclusivamente alle circostanze esterne che lo avevano posto in mezzo a grandi eventi e accanto a grandi uomini. Il de Launay non pu certo dirsi che avesse doti superiori di politico, n particolar finezza di diplomatico; restava, come intelligenza, di gran lunga al di sotto di un Nigra e come solidit di quadratura dassai al di sotto di un Robilant: eppure una sua personalit laveva, non era una figura solita, slavata, senza interesse. I suoi rapporti eran tutto, fuor che del tipo burocratico: prolissi, spesso inutilmente verbosi2153 , ma esprimenti risolutamente e impetuosamente idee e sentimenti del loro autore, che non si peritava affatto di contraddire il suo ministro e, comunque, era sempre prodigo di consigli e anche di previsioni per il futuro. Se il tipo dellonesto diplomatico di medio calibro doveva rispondere ai postulati dal Blow padre dati come viatico al figlio novellino, e cos essere cauto nei giudizi, far di rado previsioni, non criticare troppo aspramente, essere calmo e oggettivo2154 , il conte de Launay non era sicuramente un diplomatico: assai proclive a far conoscere al ministro i suoi giudizi, deciso nellesprimere il proprio parere e le proprie preferenze personali, le simpatie o le antipatie, tuttaltro che incline a sostenere la parte del diplomatico muto, anche quando non fosse ufficialmente autoriz-

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zato a parlare dal suo governo2155 , egli era un tipo completamente opposto di agente allestero. Gli piaceva, evidentemente, la parte di mentore; essere il pre Joseph di un Richelieu qualsiasi sarebbe stato il suo sogno: perch ad essere Richelieu non ci teneva molto, almeno nei tempi in cui viveva, con quei benedetti parlamentari a quali occorreva render conto di azioni e procedimenti, co quali occorreva discutere anche di cose su cui mantenere il silenzio sarebbe stato precetto essenziale della vecchia e sana ragion di Stato. E cos anchegli fece il suo bravo, gran rifiuto quando nel 1876 e nel 1877 gli fu offerta dal Depretis la carica di ministro degli Esteri2156 . Solo che i motivi del rifiuto eran differentissimi da quelli del Nigra; non derivavano certo da mancanza di fiducia in s, da disincantamento, da scetticismo. Sorretto invece sempre da un robusto ottimismo in se stesso, battagliero sempre e convinto, anche, che la luce della verit splendesse dinanzi agli occhi suoi, gli occhi di un costante e accanito sostenitore dellintesa italo-germanica, vero toccasana di ogni male per lItalia, il de Launay non era malato della maladie du sicle: pessimismo, romanticismo, ripiegamenti malinconici sul proprio io interiore, tutto questo era un non senso per il solido savoiardo. Egli era un homme poigne: e si sarebbe trovato completamente a suo agio solo che ci fosse stata pi autorit allinterno dello Stato da lui rappresentato allestero, solo che il potere centrale si muovesse con maggior decisione e senza tanti inciampi di assemblee, commissioni, libri verdi e simili sciocchezze del liberalismo, un vero guastamestieri almeno nel campo dei rapporti internazionali, dove lunica cosa degna erano ancora i precetti della vecchia, disprezzata ma tanto utile ragion di Stato. Launay credeva negli arcana imperii; credeva nella politica come scuola di alto stile, tempio riservato a pochi eletti, agli esperti, ai tecnici e la tecnica non simprovvisa; e, come Orazio, poteva ripetere il suo odi pro-

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fanum vulgus et arceo, comprendendo nel volgo tanto i parlamentari e i petulanti uomini di partito2157 , quanto i dilettanti che simprovvisavano capi di legazioni, quanto i giornalisti indiscreti, altra peste del mondo moderno! , quanto i ministri che non sapevano tenir la drage haute agli importuni. Era tutto un mondo di valori in piena antitesi con quello del Visconti Venosta. Se si potesse procedere per schemi, il de Launay si dovrebbe classificare come il reazionario della diplomazia italiana di dopo il 70, assai pi reazionario del pur malfamato Menabrea. Savoiardo di origine, egli continuava in ci fedelmente la tradizione politica della sua terra, che aveva rappresentato lestrema destra nel complesso dello Stato sabaudo; vissuto, come diplomatico, alle corti di Pietroburgo e di Berlino, aveva avuta rafforzata, dallesperienza, la naturale prima tendenza autoritaria. Alla libert anteponeva lautorit2158 , anche se talora il ricordo del conte di Cavour si opponesse, persino in lui, allutilitarismo del principe di Bismarck e lo convogliasse verso gli stessi lidi dei liberali italiani2159 . Altrettanto naturale chegli non si ritrovasse con un Visconti Venosta. Sostanza delle cose, cio indirizzo politico da seguire e ideali da attuare, e forma delle cose, cio metodo diplomatico, erano nelluno e nellaltro diversi quanto possibile: al liberalismo, moderato s, ma fermissimo, del valtellinese, sopponeva la chiara propensione allautorit del savoiardo; alle simpatie politiche per la Francia del primo, che temeva le mire espansive della Germania, lodio per la Francia e lammirazione per la Germania del secondo, che riteneva necessaria, a far dellItalia veramente una grande nazione, una guerra vinta contro la Francia2160 , cio auspicava un evento la cui sola possibilit faceva fremere Visconti Venosta e Nigra2161 ; allo stile tutto finezza e chiaroscuri del mini-

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stro, il procedere carrment, a tagli netti e a posizioni decise, dellinviato a Berlino. Il de Launay se ne rendeva pienamente conto, e fremeva e recalcitrava e scalpitava, come un cavallo al morso troppo stretto: Jenrage souvent de ne pas avoir voix dcisive au chaptre. Jcris parfois au Chev Visconti Venosta des lettres qui doivent le piquer au vif, mais en pure perte. Si on me donne raison en principe, on ne sait pas se rsoudre agir. Con tali espressioni egli confidava il suo disappunto, il 19 gennaio 1874, al conte di Robilant, ministro a Vienna2162 , quello fra i colleghi con cui egli era pi legato da amicizia. IV Il Conte di Robilant Ed effettivamente, laddove nessuna sostanziale n formale affinit si doveva rilevare con un Visconti Venosta od un Nigra, con il Robilant di primo acchito sembravano esistere parecchi punti di contatto. Anche nel valoroso mutilato di Novara, diventato generale e comandante della Scuola di Guerra prima, ministro a Vienna poi, anche in lui nessuna traccia di inclinazione sentimentale a Francia2163 , anzi convinzione assoluta di non lontane gravi complicazioni colla Francia; quindi desiderio di uno stretto accordo con la Germania2164 , e, per questo lato, disapprovazione della politica del Visconti Venosta, giudicata troppa conciliante rispetto a Parigi2165 , tanto che il de Launay pot augurarsi, quando seppe della nomina dellamico a Vienna, una vigorosa azione comune, con un programma comune2166 . E ancora, nel metodo un piglio netto e secco, diversissimo dallarte tutta sfumature del Visconti Venosta e del Nigra. Ma le analogie si fermavano l: e nella sostanza il di Robilant, lontanissimo certo dallo stile del suo ministro e

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del suo collega di Parigi, era ben diverso pure dal collega di Berlino. Stava a s, personalit di forte rilievo. Uomo dellalta nobilt piemontese, membro di diritto di quel circolo ristretto e chiuso, ovunque presente e spesso potente chera allora laristocrazia internazionale, dalla quale era uscita la madre, una Truchsess von Waldburg, tedesca, e la moglie, una Clary-Aldringen, austriaca, imparentato fra laltro anche in Russia, col famoso e chiassoso generale Ignatieff, la cui moglie era sua cugina; di alta ed elegante figura, dai lineamenti irregolari animati da unintensit di espressione tutta intelligenza e dirittura2167 ; gran signore di origine, dunque, e di tratto, di una impeccabile cortesia, ma al tempo stesso non senza che una certa riservatezza sostanziale evitasse le troppo facili espansioni e le esuberanze de primi venuti; quindi, non di facile amicizia, pur essendo tuttaltro che un orso, anzi capace di caldi affetti ed amici infatti ne ebbe parecchi ed insigni, dal Minghetti al Marselli; di una dignit esteriore fatta di prestanza fisica, nonostante la mutilazione della mano, e di contegno, il conte di Robilant si imponeva gi allesterno anche in un crocchio di diplomatici e di uomini di mondo. Luomo interiore confermava a pieno la prima impressione. Era uno spirito rifuggente dalla sfumatura: comera nettamente tagliata, a linee rette, nei pensieri mai torbidi o vaghi, sempre precisi e concreti, cos lo era nel dire. Non ovattava la verit, ma la diceva se necessario con brutale franchezza2168 ; anche in momenti difficili, non gli dispiaceva mettre les pieds dans le plat, sia pur di fronte al ministro austro-ungarico degli Esteri. Era uno stile diversissimo da quello del Nigra; e certo il Robilant non era un ambasciatore con cui fosse comodo aver da fare2169 . Eppure, dopo lunghi anni, i pi trascorsi in una situazione difficilissima, in un ambiente in genere francamente ostile al paese chegli rappresentava, egli

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part dalla capitale austriaca avvolta da assai, assai alta considerazione. Ma lenergia del Robilant era anche diversa dallenergia del de Launay, assai pi verbosa e perci meno sostanziale. Il de Launay era sovente assai energico nei rapporti confidenziali al proprio ministro: lecito dubitare lo fosse altrettanto, quandera necessario, non diciamo con Giove Olimpio incarnato nelle fattezze mortali del principe di Bismarck, ma anche, pi semplicemente, col messo di Giove, Thile o Balan o Blow che fosse2170 ; Robilant era energico nei rapporti al Visconti Venosta o al Depretis o al Cairoli o al Mancini ma lo era anche nei colloqui a quattrocchi con lAndrssy lo Haymerle e il Klnoky, tanto da guadagnarsi, appunto, la nomea di ambasciatore poco facile2171 . Soprattutto, alla energia formale del Robilant rispondeva ben altra energia e solidit di pensiero. Qui, finalmente, ci si imbatteva in una figura di uomo non proteso alla ricerca del successo, anzi sdegnoso del plauso comune, ma nato per lazione in genere e, in particolare, per lazione politica, anche se a questa pervenisse in et non pi giovanile, dopo una lunga esperienza militare. Meno colto del Nigra, meno aperto a interessi vari, dintelligenza meno brillante, il conte di Robilant era pure talora meno lucido nella diagnosi di una situazione, anche perch incline a lasciarsi trascinare da certo suo frequente pessimismo che accentuava i pericoli: e lo si vide nei primi mesi del 1880, nel momento di massima tensione fra Italia e Austria, quandegli non escluse nel Bismarck la malvagia intenzione di scagliar lAustria in guerra contro lItalia2172 . In situazioni simile, il Nigra dimostrava maggior freddezza di giudizio. Ma, pi quadrato e robusto, il Robilant aveva in s il senso dellazione che allaltro cominciava a mancare. Come il Sella, era soprattutto un carattere, una forza morale, unintelligenza che inesorabilmente voleva ci che vedeva, e quan-

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do vedeva chiaro, osava e poteva sempre2173 . Tredicenne appena, a Vienna, quando il prozio materno, maresciallo principe di Hohenzollern-Hechingen insisteva perch egli studiasse in un collegio militare austriaco e poi entrasse nel sua reggimento, aveva romanticamente scritto col proprio sangue la sua decisione: je ne servirai jamais que mon Roi et ma patrie sign de mon sang Charles Robilant2174 . Ora, nella piena maturit, lontano dallesaltazione romantica dei giovani anni, rimaneva incrollabile nei propositi. Uomo dazione per natura, largo nel concepire, solidamente preparato, pronto a cogliere lessenziale di una questione e a non perdersi nellaccessorio2175 , deciso nelliniziativa e, una volta assunta una linea di condotta, inflessibile nel seguirla con risolutezza2176 ; s che, quando fu chiamato ad un posto assai difficile, si butt anima e corpo allopera, n le asperit del compito, n le disillusioni dategli dalla politica del suo governo, riuscirono a fiaccare questa dura, tenace volont. Sovente, gli venne fatto di desiderare il riposo del suo Tusculum al Lingotto2177 e pot augurarsi che un ministro degli Esteri lo mandasse a casa2178 o dichiarare che tra poco avrebbe pensato lui a metter le cose a posto, andandosene; e dopo cattivissimi giorni alle prese con il Ballhaus, pot esprimere la sua stanchezza e sfiducia al Nigra, il quale allora lo esortava, proprio lui, che per carit non si perdesse danimo2179 . Ma erano quei momenti di rilassamento che nelluomo dazione scompaiono, non appena il lavoro richiami a s lanimo, e come Anteo che ha toccato terra, lascian nuovamente e continuamente luogo ad una ripresa di energia e di volont combattiva, sempre ricreantesi anche di sul pessimismo e la stanchezza. Persino dopo la crisi ministeriale del febbraio-aprile 1887 e la fine del suo periodo di governo, persino allora lamarezza, grande, che lo pervase2180 , e il vero disgusto per la vita politica2181 non impedirono che pochi mesi pi tardi accettasse di torna-

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re in unambasciata, a Londra, per riprendere a tessere la faticosa tela, presto sventuratamente, sollevato da ogni preoccupazione e lavoro terreno dalla morte improvvisa. Per vero, nonostante il pessimismo di parecchie ore circa lItalia e gli Italiani2182 , che lo riconduceva anche lui al vecchio dAzeglio, la sua era la tempra dei forti2183 . Non era nemmeno ambizione, desiderio di gloria e di potere: tali appetiti, dote naturale delluomo politico, gli facevano difetto. Non avrebbe mai, come il Cavour giovane, sognato il momento di essere primo ministro del re dItalia; e questo era, forse, quel che gli mancava per essere uomo politico completo e, certo, era quel che lo avrebbe ostacolato, come ministro in regime parlamentare. Egli stesso avvertiva gli amici di non ritenersi tagliato al compito di ministro: a nest pas mon affaire, lo sento, lo so e non intendo provarmici, capisco sono cose che non si provano, poich il paziente sarebbe lItalia! Son pronto a rendere al mio Paese tutti i servizi che mi si potr chiedere ma fare il ministro... candrebbero circostanze tali perch io credessi di non poter rifiutare, che proprio auguro allItalia non abbiano mai a presentarsi2184 ; tanto pi chegli non era uomo di partito, non aveva nessuno dietro di s mentre che per assumersi con successo un incarico di quel genere conviene avere un nome ed una situazione personale politica che imponga al Paese fiducia e rispetto. Del resto n coi Destri, n coi Sinistri non mi sento vocazione alcuna di fare il ministro e quindi se invitato rifiuterei sempre salvocch la situazione nostra interna fosse tale chio dovessi anzitutto ricordarmi di essere Soldato. Speriamo non si presenti il giorno in cui il Re e la Patria abbiano bisogno del mio petto per far loro scudo, e che quindi mi si lasci tranquillo2185 . Dopo lesperienza, trovava nella situazione politico-parlamentare del febbraio 1887 una nuova

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conferma della mia completa inettitudine alla vita parlamentare, cosa che non ho mai nascosto2186 . E veramente, nell85, dopo un primo gran rifiuto, nel giugno-luglio, al momento delluscita del Mancini dal ministero2187 , cedette nel settembre soltanto perch si dovette convincere che era giunta lora in cui re e patria avevan bisogno di lui, in una situazione di burrasca, con la Triplice gi sostanzialmente morta proprio mentre lorizzonte europeo si caricava di nubi nere nere; perci, di fronte allordine formale del re, il soldato ubbid e si accinse, rassegnato ma coraggioso, al nuovo compito2188 . Una simile ritrosia di fronte al compito ministeriale non era tuttavia effetto puramente di mancanza di ambizione e del senso della propria inesperienza come parlamentare. Cera, anche, una sorta di diffidenza istintiva verso la lotta parlamentare, diffidenza accresciutasi con gli anni, tra il 70 e l87. Non gi chegli fosse un autoritario, alla maniera del de Launay, secondo correva fama anche fuori dItalia2189 e secondo gli venne spesso rimproverato dai suoi nemici politici2190 . Anche qui, somiglianze esteriori celavano diversit sostanziali. Il de Launay era un convinto adoratore della maniera forte, e perci ammirava Bismarck e il bismarckismo; Robilant non esitava a deplorare nettamente latteggiamento antiliberale del cancelliere germanico. Ci che a mio avviso vi ha di pi grave oggi scriveva il 12 maggio 1884 al suo amicissimo Corti si la guerra apertamente dichiarata al liberalismo, da parte del principe di Bismarck: essa rende sempre pi difficili le nostre intime relazioni coi due Imperi nostri Alleati, e senza vera intimit non vi ha alleanza che valga ancorch sii scritta su carta pecora e debitamente bollata. Conviene poi anche dire che a Giosu solo fu dato di fermare il sole, Bismarck quindi si illude stranamente se crede di poter fare retrocedere il mondo: a mio avviso egli semina tre-

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mende tempeste che saranno raccolte un giorno dal futuro Imperatore di Germania2191 . Non voglio sintende dire con ci che non vi sii qualcosa da fare per frenare il parlamentarismo invadente come lo in Italia, ma credo che un Paese ben equilibrato come lo la Prussia potrebbe dar lesempio molto utile di un giusto riparto delle attribuzioni fra governo e rappresentanza nazionale, e questo sarebbe, trovo, tutto il desiderabile. Anche in Italia ci si potrebbe conseguire procedendo con lealt, ingegno e fermezza poich in fondo il Paese da noi dimostra chiaramente di ci volere. Pur troppo lUomo a ci ci fa difetto, e se poi il Depretis venisse a mancare, non so davvero in mano di chi anderessimo a finire. Per conto mio temo sempre ancora che dovremo passare da Crispi; ed ai miei occhi ci sarebbe la peggiore delle disgrazie che ci potrebbe incogliere.2192 In tale lettera era tutto il programma politico generale del Robilant, ed era anche tutta la sua diffidenza profonda verso il cancelliere germanico ed il suo emulo italiano in minore. Poich, sera favorevole sin dal 71 allamicizia con la Germania, anzi allintesa quando fosse legame tra pari e non di vassallo a signore, egli aveva per il Bismarck considerazione, s, per le qualit di grande uomo di Stato che nessuno avrebbe potuto contestare, ma ad un tempo profonda antipatia: antipatia che pot accrescersi per lepisodio, personale, del settembre 1879 a Vienna, allorquando il sire di Varzin, venuto nella capitale asburgica a concludere lalleanza austro-tedesca, aveva volutamente omesso di far visita allambasciatore dItalia, mentre si era recato da quelli di Francia e di Turchia e dal nunzio apostolico, per dimostrare ostentatamente quali fossero i suoi umori di allora verso lItalia2193 , ma che era fondata su ben pi gravi e generali motivi. Ed erano appunto lautoritarismo, linsofferenza del Bismarck per tutto ci che non quadrasse col suo modo di vedere, i suoi scatti nervosi2194 e i suoi vivaci rancori2195 , la sua imperiosit

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nel trattare con gli altri, appena appena questi altri non fossero di potenza pari alla sua; era anche il sospetto di ulteriori mire ambiziose, e il timore che legemonia tendesse a divenir ancora pi decisa e prepotente sospetti e timori esagerati, vero, ma non perci meno vivi nel Robilant come in molti altri de contemporanei. Tutto ci cooperava allavversione ch tale pu, invero, chiamarsi del nostro generale per il cancelliere di ferro. Si aggiunga, ancora, che il Robilant non si faceva illusione sui sentimenti del Bismarck verso lItalia; non si lasciava cio abbacinare minimamente dalle effusioni dei momenti amichevoli, dalle dichiarazioni solenni sulla naturale alleanza fra lItalia e la Germania, e scopriva invece, con sicuro intuito, che nel gioco politico del grande prussiano lItalia contava o no, a seconda del momento e della situazione generale, e che per il Bismarck, comera daltronde logicissimo, unica preoccupazione era linteresse tedesco. In genere, anzi, semmai, verso lItalia era piuttosto un sentimento, almeno dopo il 66, di degnazione non scevra da un sostanziale disprezzo, che il Robilant credeva di scorgere e non certo a torto nel cancelliere, talora, anzi, accentuandone il lato diabolico e colorendone di nero cupo i disegni, pi di quanto non fosse nella realt2196 . Cos, quando nell85, in un momento di gran raffreddamento italo-germanico, parve che alla Consulta si fosse contenti di tutti i rappresentanti diplomatici allestero, eccetto che del Launay, egli confid allamico Corti il suo modo di vedere, ben diverso da quello degli ammiratori italiani del gran cancelliere. Dunque sono contenti di tutti, meno di De Launay. Ci vuol altro a trovare quellAmbasciatore che sii atto a cambiare gli umori di Bismarck a riguardo dellItalia. Del resto sai le mie idee in proposito, fino acch piacer a Dio di conservare al mondo quel flagello che si chiama Bismarck, non c

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da sperar pace, poich pace certo non si pu chiamare lo stato attuale dellEuropa.2197 . Ministro, il Robilant mantenne con fermezza e dignit e abilit grandi questo suo atteggiamento di riserva di fronte a quel che egli chiamava il pro tempore padron del mondo: ed evit le visite personali, o, come egli diceva, le chiamate ad audiendum verbum2198 , e sfugg i convegni2199 , ben sicuro che solo in quella maniera avrebbe fatto apprezzare dal sire di Friedrichsruh la sua persona e la sua politica come in realt fu, situazione internazionale aiutando. Perfino in fatto di rapporti internazionali e di modo di condurli, perfino su questo terreno litaliano pensava diversamente dal tedesco. Ch, mentre questultimo ripugnava, in modo assoluto, a discuter con altri che con diplomatici autorizzati le grosse questioni, e si incolleriva quando vedeva problemi di politica estera discussi troppo a fondo in Parlamenti esteri o troppo precisamente analizzati in qualche libro di colore, verde o blu che fosse; mentre dunque il Bismarck, gran rivoluzionario ne fatti, ne metodi, nonostante la novit apportata dal suo sapiente montare lopinione pubblica a mezzo di campagne di stampa2200 chera, realmente, la novit introdotta da Napoleone III, dal Cavour e da lui nella diplomazia , ne metodi rimaneva legatissimo a quelli della diplomazia classica, segretezza non solo, ma altres gli affari internazionali riservati ai competenti, ai tecnici, gli arcana imperii degni di esser discussi solo da un ristrettissimo gruppo di iniziati, laddove di fronte al volgo profano non cera che da ripetere lorazione odi et arceo; il Robilant, non certo chiacchierone, n facile a divulgar notizie, e anche lui convinto che non tutto potesse esser dato in pasto al pubblico, cominciava per a dar ben altro peso al parere dei popoli. Per il tedesco, questo parere doveva servire allo statista quale arma di combattimento, mezzo tattico che si adopera, senza riguardo ai senti-

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menti in s della moltitudine; per litaliano, era gi qualcosa di pi: liberale moderato in politica interna, il Robilant si avviava a concezioni liberali anche in politica estera, ripugnando sempre pi alla classica concezione degli arcana imperii. E quando si sparse notizia della firma di un trattato dalleanza austro-germanico, ai primi del 79, notizia allora prematura, egli comment con lamico Corti per quanto riflette il trattato non vi ha chi creda sii un fatto isolato; per mio conto vorrei essere assicurato che lItalia non centra affatto. Certo si che questa politica che si sta facendo a colpi di scena con trattati segreti etc. non pu alla lunga portare buoni frutti. Mi dirai che ci si sempre fatto e non posso negarlo, ma noto per che erano altri tempi, e che oggi i Popoli non si lasciano pi corbellare indefinitamente a quel modo2201 . Che eran parole assai rare in bocca a diplomatici, e, al certo, impossibile ad udire in bocca al Bismarck! Se tale era il giudizio sul Bismarck, altrettanto duro doveva riuscire quello sul Crispi. Non certo che il Robilant negasse il molto valore delluomo, dal quale pure aveva avuto amarezze e opposizioni grandi2202 : ma, urtato dal fare tribunizio, e talora assai violentemente2203 vedeva e temeva nel focoso politico siciliano lautoritarismo di un Bismarck minore, che non sapeva e non poteva che dominare, la vanit delluomo2204 e, soprattutto, la propensione a lasciarsi trascinare dallimpulso del momento, la eccitabilit e quindi la facilit dei colpi di testa2205 . Un uomo pericoloso, insomma, per il paese, nonostante le sue innegabili doti; ed era opportuno, dinanzi a lui, pronunziare il rituale libera nos Domine2206 . Con tali sentimenti, difficile sostenere chegli fosse un autoritario di princpi: lo stesso Marselli, prima suo dipendente alla Scuola di Guerra e poi e sempre suo amico, uomo di Centro-sinistra, andava assai pi in l di lui, come quello che, nel 73, si augurava metodi bismarckiani anche in Italia, per guarire le piaghe del

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paese, scettico, impassibile anche di fronte ai pi gravi problemi, dormiente della grossa2207 . In verit, militare di educazione e di sentire, venuto su in ambiente affatto diverso da quello in cui erano cresciuti i Nigra, i Visconti Venosta, i Minghetti, i Sella, con in cuore anzitutto una fede, il servizio del re che formava tuttuno col servizio della patria; senza il continuo contatto diretto con la fede liberale del Cavour2208 , che aveva agito come una potente fiamma tuttintorno, e abituato invece per lungo tempo ai contatti con lambiente militare e di corte, che quella fede aveva sentito assai, assai meno: in verit, anchegli aveva pienamente accettato lo Stato liberale e le idee della libert. Per questa sincerit e onest di credenza egli, legato da amicizia di natura ambientale e, diciamo, originaria al de Launay, pot diventare amico schietto del Minghetti e del Visconti Venusta, legarsi con loro di unamicizia che era anche, se non proprio identit, perlomeno affinit didee; e il Minghetti, che lo stimava assai2209 , parlandogli del trasformismo del Depretis, poteva dirgli che i giudizi delluomo di Stradella sullandamento delle cose interne ed estere non sono diversi da quelli che portereste voi o io2210 , e pi tardi pot s ritenere che il Robilant non rappresentasse affatto la Destra nel gabinetto Depretis, ma non perch fosse troppo reazionario, anzi perch voleva allearsi col Nicotera2211 . Linsofferenza per la lotta parlamentare e linstabilit dei ministeri, la diffidenza per la democrazia che, ormai padrona dellItalia, non avrebbe tardato a condurre il paese dove gi ebbe a condurre gli altri Paesi chessa ebbe a signoreggiare2212 , nascevano certo sul vecchio fondo antidemocratico che era stato motivo essenziale del moderatismo, italiano e francese; ma erano anche potentemente rafforzate da una lunga serie di esperienze e di pensieri, dallo scoraggiamento di fronte a quel che sembrava caos di partiti, nervosismo di parlamentari, indif-

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ferenza per il bene pubblico e tutela del solo interesse privato2213 . Era lo stesso scoraggiamento che assaliva anche il Bonghi e provocava lo scritto sulla Decadenza del regime parlamentare, appunto nell84, cio in quello stesso periodo in cui le idee del Robilant divenivano sempre pi nere2214 ; che assaliva da anni, a tratti, parecchi dei maggiori fra gli uomini della Destra, non solo liracondo Ricasoli, ma il Lanza, il Minghetti, il Visconti Venosta e perfino il Sella2215 . Caduta la Destra, il Robilant, con molti altri, aveva vagheggiato quel gran partito di centra che, sullesempio del Cavour, riappariva nuovamente come la migliore attuazione del regime parlamentare in Italia, mentre la contrapposizione sistematica dei due partiti, allinglese, non risultava possibile; che, soprattutto, sembrava lunico rimedio per costituire una maggioranza stabile e compatta tale da por freno al pericoloso dilagare a sinistra e difender saldamente lordine e le istituzioni2216 . Anchegli dunque pens a quello che fu il metodo classico nella storia politica italiana, per arginare contemporaneamente gli estremismi di destra e di sinistra, dal Cavour al Depretis al Giolitti2217 ; e, come capo, anche lui, al par di tanti altri, vide il Sella2218 . Poi, il Sella aveva disilluso anche lui2219 , era sceso dal suo piedistallo di solo uomo di Stato che potesse salvare lItalia2220 , e da allora la situazione parlamentare italiana era parsa sempre pi incerta: una iniziale fiducia accordata al Depretis2221 ; e poi, anche qui, speranze che svanivano, delusioni a catena, il Depretis vecchio, stanco, incapace fisicamente2222 . Su tutto questo, le amarezze della sua esperienza personale di diplomatico: delusioni dellazione di governo del suo paese nelle questioni internazionali2223 , crisi di ministero nei momenti meno propizi2224 ; incertezza e fiacchezza di direttive, vedute non uniformi, il centro anzich dirigere soverchiato dalle tendenze dei singoli rappresentanti allestero2225 , oscillar qua e l e quindi continuo decadi-

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mento del prestigio italiano, gi non grande; isolamento o, comegli diceva effacement morale dellItalia2226 ... senza un governo forte non si fa politica energica qual quella a cui lavoriamo Ella ed io2227 . Si avvertiva, in lui, leterna reazione delluomo che, incaricato di difendere gli interessi e la dignit della patria in terra straniera, molto pi sente ogni anche piccola ferita, quasi squarcio nella propria carne, e pi si arrovella per tutto quanto diminuisca forza e prestigio internazionale del proprio paese; e convinto della maggior importanza, del primato della politica estera sulla politica interna, incline a veder le conseguenze men buone dei contrasti didee e della lotta politica interna e, contrariamente al detto del Machiavelli, non ritiene che le lotte dei partiti facciano grande Roma. Stato danimo, dunque, non tipico del solo Robilant o di quegli altri italiani i quali, pur lontanissimi dal Crispi, simmalinconivano perch le condizioni politiche interne non permettessero di tutelare bene la sicurezza e la dignit del paese allestero2228 : e ne erano prova, fuori dItalia, le querimonie del francese conte di Saint Vallier, ambasciatore a Berlino, il quale il 21 marzo 1881 lamentava la funesta influenza dei miserabili interessi elettorali, limbecillit e lignavia di una Camera preoccupata solo della propria rielezione e a tali meschini interessi decisa a sacrificare grandezza, sicurezza, onore del paese, provocando con lassurda politica interna gli smacchi in politica estera2229 . E dire che era quello il periodo in cui si consolidava robustamente la Francia repubblicana! Al Saint Vallier, uomo dantico regime, tale consolidamento ad opera dei Gambetta e dei Ferry poteva anche piacere poco: ma un altro uomo, destinato a grandi cose nella storia diplomatica europea e proveniente invece dalle file dei costruttori della repubblica in Francia, lamentava anchegli il tempo presente, limmergersi nella mediocrit legge delle democrazie che conduceva necessa-

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riamente agli abaissements del paese allestero. Si figura sempre meno.2230 . Era dunque uno stato danimo diffuso, nel quale le preoccupazioni anti-democratiche alla Taine venivano corroborate dallanelito al prestigio esterno alla Sorel. Ma il Robilant lo viveva certo con una intensit dolorosa, con la forza e la continuit cherano della sua natura. Nazionalista o, come si diceva allora, chauvinista, il Robilant non era: non si lasciava suggestionare dai fantasmi della grandezza antica, n intendeva dar colpi di spada nellacqua. Ma pochissimi ebbero, e prima e dopo, fierezza nazionale pari alla sua: una fierezza ed un orgoglio gelosissimi della dignit della nazione, inesorabili nel pretendere ci che era dovuto allItalia2231 , pronti ad inalberarsi, perfino contro lonnipotente Bismarck, al primo accenno che suonasse lesivo di quella dignit2232 . Di qui, lirritazione di fronte ai tentennamenti e agli errori del governo, imputati a colpa della lotta politica e delle beghe di partito. Sulla materia, cio sul popolo italiano, il giudizio oscillava, un momento tutto apparendo nero nero e non vedendosi pi speranze di risveglio e immaginandosi lItalia gi ridotta nelle condizioni di una repubblica sudamericana2233 , simile anzi ad una vecchia imbellettata, senza slancio giovanile e senza forze2234 ; un momento, invece, constatandosi che cera in giro una gran voglia di fare, operosit economica e culturale, testimonianza che la materia era buona2235 . Oscillare di valutazioni, legato al variar dei momenti e dello stato danimo di chi le pronunziava, e non dissimile dalloscillare di molti altri Italiani: per rimanere nellambito delle persone che il Robilant conosceva e stimava, anche il Marselli passava da espressioni di fiducia nel popolo italiano2236 , a espressioni di nero pessimismo, che pi nero di cos era davvero difficile concepire.

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Comunque, mentre sulla materia vario poteva essere il giudizio, la colpa delle asserite debolezze dellItalia venne sempre pi fatta risalire alla forma, alla veste che il popolo aveva indossato; e sinsistette su quelle che il Bonghi chiamava le magagne divenute la necessaria ombra del governo parlamentare2237 , sullarbitrio ministeriale, sul prepotere in genere dei partiti e in specie sulla loro eccessiva inframmettenza nellamministrazione, sulla loro mancanza di omogeneit e di idee, sul loro corrompersi. Sand cos in cerca di rimedi; e, venuto meno lideale di un gran partito di centro vigorosamente guidato e ben omogeneo, un rimedio apparve, anche al Robilant, chera rimedio potrebbesi dire connaturale al popolo italiano: un popolo, al quale per atavica consuetudine sembrava maggiore luomo che calpesta delluomo che cammina2238 , un popolo che nel periodo pi splendido della sua storia civile aveva abbandonato le libert comunali con le sue lotte di parte per affidare le sue sorti alla virt dei condottieri di antica e di fresca prosapia, e il cui maggiore pensatore politico aveva racchiuso la lezione delle cose del suo tempo nellappello al principe redentore2239 . Come parecchi altri2240 , come lamico Marselli2241 , come il giovane Vittorio Emanuele Orlando2242 , anche il Robilant credette cio che il rimedio potesse essere rappresentato dalla capacit politica di un Uomo; il quale mettesse le cose a posto e ripristinasse quel giusto riparto fra governo e rappresentanza nazionale chera la condizione necessaria per un sicuro sviluppo politico. Laspirazione nostalgica alluomo miracoloso non fu di un momento solo; anzi, il Robilant ci torn su, a pi riprese2243 , denotando chessa era non frammentario balenio, bens idea costante, profondamente radicata, originata dal convincimento che le condizioni in cui lItalia si fatta, necessitavano una successione di uomini di primor-

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dine per governarla, e siamo giunti al punto che ci fanno perfino difetto quelli di secondordine2244 . Attesa delluomo forte. Veramente, il Robilant non intendeva affatto che il suo avvento significasse autoritarismo, dittatura o che di simile: il fatto solo daver pensato ad un Sella notoriamente alieno da tendenze dittatoriali come al possibile restauratore della vita politica italiana, basterebbe a dimostrare come, per il nostro, luomo forte dovesse muoversi e agire nel quadro delle istituzioni liberali, con spirito liberale, senza soffocare affatto il Parlamento pur tanto discusso2245 , ma limitandosi a correggerne gli abusi, ad imprimere chiarezza di idee e continuit di volere allazione di governo, ad aver dinanzi agli occhi, sempre, linteresse e lonore della patria, non i piccoli interessi personali e le beghe di partito. La sua avversione al bismarckismo, il suo profetico giudicar errato il tentativo del novello Giosu di fermare il progresso delle idee liberali, confermano che luomo forte, per lui come per molti altri di quelli che lo auspicavano, allora2246 , non doveva essere un dittatore, n contrapporsi alle idee liberali, ma anzi permettere loro di svolgersi nella loro pienezza benefica, senza le magagne che i piccoli uomini avevano introdotto nella vita politica. E qui era certamente il punto debole di tal modo di pensare, lingenuit diremmo sorprendente in un uomo tuttaltro che ingenuo quale il Robilant. Affidarsi alluomo forte, e ad un tempo credere di salvaguardare, intatta, lessenza liberale richiesta dai tempi e dal corso della storia umana, era infatti grossa ingenuit: come se luomo forte avesse potuto rinunziare sul serio alle sue ambizioni, e, una volta in possesso dellautorit, soffocare le prospettive di dominio che ogni possesso troppo accentuato di autorit pone dinanzi agli occhi. Non per mero caso il Sella, liberale sino alle midolla e alieno dal posare alluomo forte, non aveva potuto essere luomo atteso, e aveva disilluso lambasciatore a Vienna, Bonghi e

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altri molti; luomo forte poteva esserlo il Crispi, ma quel che lavvento del siciliano al potere significasse, il Robilant laveva avvertito assai per tempo, con timore ed avversione. Pretendere di sanare i mali, innegabili, della vita politica italiana dallora con il ricorso ad un grande uomo, credere di aver trovato il toccasana per i difetti, non contestabili, della pratica parlamentare, mediante limprovviso intervento di un deus ex machina che indirizzasse le cose nel verso giusto, guarisse le piaghe interne quasi con un tocco di bacchetta magica e imprimesse saggio e fermo orientamento alla politica estera, senza alterare in nulla lo spirito della libert2247 : questa era una illusione, pericolosa illusione, che rischiava di preparare il terreno ad esperimenti di autoritarismo pratico, se non ancora dottrinale, del genere di quelli che in effetti si ebbero poco pi tardi. Lambiente favorevole al Crispi lo si creava cos2248 : al Crispi, che per conto suo fin dal 65 aveva dichiarato di attender luomo il quale, risollevando lItalia, desse salute e vigore alla generosa inferma2249 . Ed infatti al Crispi plaudirono parecchi di coloro che prima avevano lamentata linsipienza del Parlamento e invocato un polso fermo2250 : ma anche quelli che ritenevano il Crispi pericoloso alla nazione, e tra essi proprio il Robilant, collaboravano inconsciamente alla sua ascesa, con le loro invocazioni allUomo. In fondo, della stessa natura era anche il Secondo dei rimedi che il Robilant prospettava, per correggere le manchevolezze del regime parlamentare. E anche questo secondo rimedio non era solo di lui: egli lo enunciava dopo altri2251 , insieme con altri, prima di altri, come gi per lattesa delluomo forte muovendosi in un clima generale. Otto anni prima che il Bonghi mettesse a rumore lItalia e irritasse Umberto I per il suo scritto su Lufficio del Principe in uno Stato libero2252 , il Robilant deplorava infatti il soverchio assenteismo politico del re.

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Il Costituzionalismo outrance di Sua Maest scriveva egli il 15 gennaio 1885 al suo solito confidente, il Corti certamente bello ove lo si consideri dal lato teorico, ma a mio avviso non pratico affatto. Ritengo che anche colla pi scrupolosa osservanza dei princpi Costituzionali, una parte notevole nellindirizzo dello Stato rimane sempre al re. Dir di pi che troverei degnissimo di lode un Presidente del Consiglio che cominciasse da quella parte l a rimettere in careggiata il carro dello Stato, che da assai tempo si muove proprio a dir poco sullorlo del fosso2253 . Era, parecchio tempo in anticipo, la teoria bonghiana del principe che deve mantenere vigilanza alta, pura, costante sulla condotta dei poteri pubblici, che deve sentirsi di pi ed essere pi di quello che i parlamentari esorbitanti vorrebbero si sentisse e fosse; era la richiesta di una Corona pi operativa, che il Sonnino avrebbe assai accentuato allinizio del 97, esprimendo chiaramente quel che in molti ambienti si diceva, sul venir meno del potere regio alla sua funzione2254 . E, anche qui, non si pu negare che la scettica e talora cinica indifferenza del re, almeno nel primo periodo del suo regno2255 , il suo fatalismo rassegnato che colpiva assai gli ambasciatori stranieri2256 , non toccassero dolorosamente i fedeli monarchici, crucciati nel constatare che a Umberto I veniva meno lanimo ed egli simpiccioliva come per non lasciarsi scorgere2257 . Ma anche questo richiamo al principe era pur sempre un appello alla capacit delluomo. Invocando luomo forte, si andava in cerca della virt di condottieri che dovevano uscire dalla folla dei comuni mortali; invocando il principe si invocava una virt consacrata dalla Corona regia e dalla secolare tradizione: nel primo caso, ci si metteva su di una via che poteva condurre alla dittatura dei figli del popolo; nel secondo, su di una via al cui sbocco si offrivano i colpi di Stato della Corona. Ma nellun caso come nellaltro se-

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ra sempre l, con quella benedetta attesa messianica nellEroe che redimesse la terra nata dalle molte piaghe che infistolivano: erano sempre il Veltro di Dante e il principe del Machiavelli, scesi dalle altezze eroiche della poesia e dellalta immaginazione politica per rivestire marsina e sparato bianco oppure luniforme da generale traversata dal gran cordone rosso e blu dellordine militare di Savoia. Perch savrebbe un bel dire, il principe sinvoca in quanto pi che un uomo nella sua singolarit, listituto, la funzione, la tradizione di un supremo principio dordine nello Stato. Certamente, lappello al principe era diverso dallappello alluomo di genio proprio perch in esso venivano innanzi listituto e la tradizione; ma anchesso poteva essere fatto solo in quanto il principe regnante fosse o sembrasse di scarsa attivit e di mediocre virt, e sollevasse dubbi per la sua capacit di uomo. Nessuno si sarebbe sognato mai di chiedere a Vittorio Emanuele II un pi attivo intervento nelle cose di Stato: saveva piuttosto da pregar Iddio che non facesse spuntare troppi progetti personali nella fantasia del sovrano. Si discuteva invece sullufficio del principe dopo l80 proprio perch assai mediocri apparivano le qualit del nuovo sovrano e scarso il suo interesse per la cosa pubblica2258 ; n bastava a porvi rimedio la ferma, dura e pi che femminile volont della bionda regina. Se la monarchia sembrava diventare non pi che unombra o un trastullo, secondo scriveva lo Spaventa nel 18802259 , ci era dovuto alle debolezze del sovrano che, si diceva, copriva col suo nome la corruzione e lingiustizia eretti a sistemi. Cos il problema del rimedio si riduceva al problema di un uomo, principe o popolano che fosse; anzi, aveva gi detto il Lanza, per il rimedio sarebbero occorsi insieme un gran re e un gran ministro, dono della Provvidenza allItalia2260 . E se lattesa nelluomo di genio prepara-

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va il terreno al Crispi, le invocazioni al principe avrebbero finito col provocare, attorno al principe e alla fine anche in lui, quelle velleit di colpo di Stato malamente sboccate nella repressione del 982261 . Ma in questo il Robilant la pensava come tanti altri illustri liberali del suo tempo, ansiosi di raggiungere lirraggiungibile perfezione della vita politica, di avere tutta la libert e tutto lordine, dimentichi che gi Machiavelli e Rousseau avevano ammonito sulla fatalit delle discordie nella libert2262 . E anche nellavversione alla democrazia i pareri erano concordi: che la Francia gambettiana, e cio il radicalismo, fosse un esempio pericoloso, questo lo diceva anche il Minghetti2263 . E dunque, per conchiudere il lungo discorso, nulla vera nei pensieri del Robilant che lo facesse reazionario pi di tanti altri dei moderati. Forse, era il modo di esprimere quei pensieri, secco e netto, tagliente secondo il suo solito; forse era quel che di rigido e sostenuto lo caratterizzava a far sembrare quei pensieri pi autoritari di quanto non fossero. Il tono Robilant era, certo, assai energico; il suo stile, reciso e altero, talora ruvido e poco adatto a guadagnare le simpatie dei parlamentari2264 : era proprio lopposto del parlar sapiente di un Visconti Venosta, il quale non avrebbe mai fatto affermazioni cos chiare e nette come il Robilant faceva, alla Camera, il 23 gennaio 18862265 , o detto evidentemente non esporr tutto ci che penso, e neppure avrebbe, spazientito, lasciato cadere la frase sprezzante sui quattro predoni che possiamo avere tra i piedi in Africa alla vigilia di Dogali. Eppure, quanto vicino era al Robilant il Visconti Venosta con il suo liberalismo venato di conservatorismo politico e sociale, ma aborrente dal bismarckismo! E quanto vicino allideale del Visconti Venosta il faire sans dire, massima favorita del Robilant! Forse, ancora, era il ricordo, grato ai moderati ma assai meno ai democratici, dellenergia con cui nel 70

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aveva rimesso lordine nella turbolentissima provincia di Ravenna; forse, bastava il fatto di essere un militare e generale continu ad essere chiamato fino allultima per farlo ritenere pi conservatore di quanto non fosse. Era, certo, una personalit di alto rilievo, la pi forte personalit che si potesse annoverare nella diplomazia italiana, Visconti Venosta e Nigra compresi. Nella carriera, egli era un intruso2266 e avrebbe potuto anche passare per uno di quei dilettanti contro cui tuonava il ringhioso custode del tempio, il de Launay; lo Artom aveva cercato di opporsi alla sua nomina2267 , e LOpinione, allo Artom assai vicina, laveva commentata non benevolmente2268 . Ma diffidenze e malumori erano rapidamente caduti: poco tempo trascorreva dalla sua nomina ed egli era gi quel che sarebbe poi stato sino all85, un collaboratore di primissimo piano per il ministro degli Esteri, e per quanti si occupavano in Italia di problemi internazionali una delle grandi forze della politica italiana di fronte allEuropa. V Lanza e Minghetti Era dunque, in complesso, un bel gruppo di valenti uomini quello che annoverava un Visconti Venosta un Nigra un Robilant: gente a cui si poteva sicuramente affidare la responsabilit di pilotare la nave italiana nel mare europeo, tempestoso e difficile. Nei momenti pi gravi e di fronte alle decisioni pi ardue, a quegli uomini si affiancava, naturalmente, il presidente del Consiglio. Meno, anche perch furono minori le grandi occasioni dal 71 al 73, il Lanza, il fermissimo e rettissimo Lanza, tipo perfetto delluomo di buon senso2269 , diverso assai, nello stile, dal Visconti Venosta, perch privo di sfumature e mezzi toni, rigida ed intran-

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sigente un po alla Ricasoli quindi, con qualit reali di uomo di Stato soprattutto nei momenti scabrosi, di non facile accomodamento alle piccole schermaglie della vita parlamentare e di una suscettibilit talora eccessiva2270 ; ma nella sostanza di una solidit e pacatezza che saccordavano bene con il fondo e il programma del Visconti Venosta2271 : nella pi grossa delle difficolt, quella di Roma, anche egli convinto che la calma fosse la miglior linea di condotta2272 ; e anchegli incline assai a Francia, tuttaltro che insensibile ai motivi sentimentali, come il ricordo di Magenta e di Solferino, pur nellapparente rudezza e scabrosit del contegno esteriore. Assai di pi, anche perch il suo periodo impose difficili decisioni, dal viaggio a Vienna e a Berlino allatteggiamento di fronte al Kulturkampf, assai di pi il Minghetti: lintelligente e colto Minghetti, luomo dalle esperienze e dalle amicizie europee, la principale figura ormai della parte moderata, assai pi del Sella che stava sostanzialmente a s ed era sempre pronto ad evolvere fuor del quadro preciso di partito2273 . Era lamicissimo del Visconti Venosta, chegli aveva chiamato per la prima volta al governo, nel 63, e che gli dimostr il suo attaccamento rimanendo alla Consulta anche dopo la caduta del ministero Lanza; e taluno vide nei due il maestro e il discepolo2274 . Pure, questi due amici non erano proprio identici. Intelligenza prontissima, duttile, brillante, di una straordinaria facilit di assimilazione2275 , il Minghetti era pi pieghevole del Visconti Venosta, meno duro sostanzialmente e meno incrollabile su alcune posizioni2276 ; animo sensibile certo e aperto agli affetti, era tuttavia di pi facile adattabilit ai tempi e alle circostanze, tanto che, di tutti questi campioni della Destra, Sella eccettuato sintende, fu il pi pronto e disposto a lasciarsi dietro le spalle i ricordi dellalleanza francese e ad orientarsi verso lamicizia col nuovo astro germanico2277 . Per il che, occorreva non soltanto

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duttile e pronto ingegno ma anche certa capacit di distacco dai ricordi del recentissimo passato. E cos questo bolognese, alto biondo roseo, bello della persona ed elegante di spirito, raffinato uomo di mondo2278 , grande oratore e finissimo conversatore2279 , coltissimo, europeo come nessun altro, tranne il Cavour, degli uomini politici del Risorgimento2280 , innamorato di armonia2281 e tutto permeato di senso estetico oltre che morale, del vivere, e cos il Minghetti si trov facilmente a simpatizzare col Bismarck2282 , mentre una muraglia di diffidenza separava dallo statista germanico lamicissimo del Minghetti, il valtellinese Visconti Venosta. VI Vittorio Emanuele II Al disopra ancora del presidente del Consiglio in carica, arbitro supremo il re. Veramente, sembrava ormai finito il tempo del secret du roi e delle sue iniziative personali, al di fuori e al di sopra dei ministri. Il 1870 anche da questo punto di vista segnava una svolta da cui non era pi possibile tornare indietro. Per il sovrano, infatti, esso aveva significato anche il fallimento dei piani vagheggiati tra il 68 e il 69 e perseguiti ancora, allultima ora, con la missione Vimercati a Metz. In quelle ore decisive, Vittorio Emanuele II aveva dovuto riconoscere che il fattore morale dellopinione pubblica era davvero di tanta forza da tagliare la via anche ai progetti di un re; e gli aspri battibecchi con il Sella, cos noti e cari alla tradizione, lo sprezzante accenno regale ai mercanti di panno e la fiera risposta del biellese che i mercanti di panno avevan sempre fatto onore alla loro firma, mentre questa volta il re avrebbe firmato una cambiale senza esser sicuro di poterla pagare2283 , potevano bene assurgere a simbolo di un conflitto en-

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nesimo conflitto, dolo quelli dei tempi di Cavour tra le velleit del sovrano di trattare, esso, le questioni estere e le questioni militari, non fatte per i pacifici borghesi, e la nuova realt politica, la realt dello Stato liberale che era s disposto ad accettare un re cittadino, capo dello Stato amato e rispettato, simbolo vivente della patria, ma non era pi disposto ad ammettere una misteriosa sfera di attribuzioni speciali, riservata al monarca e sottratta allazione del governo. Era il conflitto ultimo fra la tradizione, monarchico-diplomatico-militare, degli arcana imperii, e le imperiose esigenze del diritto popolare. Da una parte, Lanza e Sella, i borghesi; dallaltra, il re, Cialdini e Menabrea, i militari infastiditi dalle preoccupazioni e dai timori di quei borghesi. La partita fu perduta per il re e i suoi generali: del che Vittorio Emanuele ebbe poi a rallegrarsi, lui per primo, quando pot accorgersi daverla scampata bella2284 e dovette convincersi che, in fatto di previsioni sullesito della guerra, il borghese Sella aveva visto meglio e con occhio pi sicuro dei cosiddetti competenti, dei tecnici di mestiere, i quali lavevano sbagliata grossa2285 . Ma al di sopra anche della questione in s, pur gravissima, lepisodio doveva ammonire il sovrano sulla ormai scarsa o nessuna utilit di una politica segreta italiana diversa e talora in contrapposizione a quella ufficiale: ondegli, dopo aver dimostrato palesemente sfiducia e malcontento al Lanza circa lindirizzo degli affari dello Stato di fronte alle dimissioni che lonesto e duro piemontese gli rassegnava il 7 settembre dovette cedere, rappattumarsi con lui, lasciargli finalmente via libera2286 . E da allora nessun ministro ebbe pi da sostenere col re lotte di tal genere, salvo per un momento, e con assai minor asprezza, nellestate del 73 il Minghetti quando dovette insistere sulla necessit del viaggio a Vienna e a Berlino. Ma non soltanto la resistenza di ministri poco disposti a cedere alle voglie del sovrano condusse Vittorio Ema-

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nuele a desistere dai troppi progetti personali. Di assai maggiore efficacia fu senza dubbio, a tal fine, la trasformazione dellassetto europeo avvenuta proprio nel 70. Il Re aveva, in fatto di relazioni internazionali, formata la sua educazione nellet napoleonica; egli era legato allalleanza francese non solo sentimentalmente, s anche concettualmente, nel senso di essersi avvezzato a ponderare le situazioni, a calcolarne gli sviluppi e a decidere quindi la via da tenere sempre partendo da una situazione europea dominata dal fattore Secondo Impero. Almeno dal 58 le cose erano andate cos: punto fisso di riferimento, stella polare verso cui il Re drizzava lo sguardo per orientarsi nellintrico dei problemi europei era, sempre, lamico Napoleone III. E se gi nello sviluppo generale della politica estera italiana lalleanza con la Prussia del 66 era stata niente di pi che un semplice episodio, assolutamente incapace di mutare il significato e lorientamento generale di quella politica, vale a dire legame con la Francia, tanto pi vero questera per Vittorio Emanuele II. Ora, improvvisamente, tutto questo era mutato. Crollo del Secondo Impero; avvento al primo posto in Europa di una potenza, la Prussia-Germania, verso cui il re era sentimentalmente poco propenso e lo doveva dimostrare ancora la sua riluttanza nel 73 al viaggio a Berlino: completo scombussolamento di valori, di posizioni, e un panorama generale irriconoscibile dove, ad orientarsi, occorreva dimenticare un dodicennio di esperienze e affidarsi allintuito, al fiuto politico per veder di crearsi una nuova esperienza, adatta ai tempi nuovi. Ancora: prima del 66 e del 70, Venezia e Roma, poi fino al 70 solo Roma, ma sempre Roma; clima identico moralmente a quello del 59-60, diritto di nazionalit, italianit, fuori lo straniero; e ancora e sempre i rivoluzionari, il partito dazione, Mazzini. Dopo il 70. lEuropa bismarckiana, dove gli appelli di un decennio innanzi non serviva-

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no pi; lItalia anche a Roma, e quindi finita la funzione bellica e internazionale del programma di un decennio; perfino Mazzini, vecchio, stanco, deluso, anche lui ormai fuori dei tempi. Aggiungi che Napoleone III si prestava mirabilmente come partner per una partita a doppio giuoco: ostensibilmente i ministri degli Esteri, una volta scomparso Cavour; dietro le quinte, gli agenti di fiducia dei due sovrani, che trattavano ad insaputa dei ministri, alle spalle dei ministri2287 , i quali poi da fedeli monarchici dovevano coprire con la loro responsabilit e con il loro silenzio le avventure del sovrano2288 . La sfinge, il tenebroso del 2 dicembre, era proprio quel che ci voleva. Tali essendo i due protagonisti, lamicizia e la parentela avevano fornito un buon terreno di manovra; e Arese Pepoli Vimercati da una parte, e il principe Gerolamo dallaltra avevano servito ottimamente da comprimari. Ora, invece, una corte, quella prussiana, con cui verano rapporti corretti, ma nulla pi; anzi, nellimperatrice Augusta una decisa avversione allItalia e al suo re2289 , ostentatamente dimostrata nel 73, con lassenza da Berlino durante il soggiorno di Vittorio Emanuele. N Guglielmo I era uomo da correggere e far di testa propria, ripetendo la situazione delle Tuileries con Eugenia avversa e Napoleone III ugualmente avviato a far quel che voleva. Soprattutto, a Berlino impossibile ci fosse una politica segreta, di corte, diversa da quella ufficiale: eran cose nemmeno da sognare, quando il timone del governo era in mano ad un nocchiero della forza del Bismarck. Non solo, dunque, situazione generale completamente diversa, ma anche estrema difficolt di trovare ora dei compagni di giuoco, per una politica segreta e dinastica: fatto, questo, di grandissima importanza ove si pensi che il segreto del re presuppone strette relazioni personali fra luno e laltro capo di Stato, e ove si pensi, in particolare, alla psicologia di Vittorio Emanuele II, fantasio-

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so e voglioso di agire in proprio, ma daltro canto abitudinario, difficile nel contrarre nuovi legami, poco capace di muoversi solo che gli si cambiassero i punti di riferimento soliti. Invecchiava; aveva sempre pi la sensazione di vivere in un mondo cattivo2290 ; Roma stessa gli dava, con la fierezza per il Campidoglio salito2291 , anche gli scrupoli di coscienza per il Vaticano offeso. Facevan presto gli altri, Sella in testa, a gridare viva Roma capitale: ma chi ci andava di mezzo, con la sua anima, era lui, il sempre cattolicissimo Vittorio Emanuele, che gi il 25 maggio del 59 aveva scritto a Pio IX per averne lassoluzione, trovandosi allesercito, in scontri micidiali in pericolo di morte ad ogni istante, e che giusto lanno prima del Venti Settembre, gravemente infermo a San Rossore, aveva chiesto telegraficamente il perdono e la benedizione del Papa2292 . Ora, a tutti i vecchi guai con la Chiesa sera aggiunta anche la breccia di Porta Pia: e chiss che al re non tornassero in mente le paure della madre convinta che Carlo Alberto soffrisse le pene del purgatorio per avere iniziato questi affari!2293 Quel povero Vittorio pensava e diceva Pio IX2294 , che, pur fra i lampi e i tuoni delle proteste ufficiali, serbava sempre per il Re un che di affettuoso e di paterno, risalente su negli anni ancora a prima il 48: povero Vittorio, sempre attorniato da una banda di lestofanti, prima i dAzeglio, Cavour, Rattazzi, ora i Lanza e i Sella. Ma, a sua volta, re Vittorio pensava, con certa tenerezza non priva di rimorsi, al povero papa, anche lui circondato da cattive teste e di cattive teste ve n, sotto ogni bandiera a quel povero vecchio, a cui ne abbiamo gi fatte abbastanza; ed egli voleva usar tutti i riguardi pour se pauvre diable de Saint Pre: il maime, je le lui rends2295 . Infastidito e stanco, sempre pi egli tendeva a chiudersi in un suo cerchio di costumanze, sempre pi riluttava ai pesi esteriori della dignit regale2296 , sempre pi

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era ostile (e gran viaggiatore non era stato mai!) ai viaggi allestero, alle seccature del veder facce nuove e contrarre nuovi legami. Tanto meno dunque gli poteva garbare una situazione come quella di dopo il 70, nella quale, chi avesse davvero voluto ricominciare politiche personali, doveva anzitutto cominciare col guadagnarsi il solitario di Varzin. Perci la partecipazione del re alla politica estera italiana fu, senza alcun dubbio, meno intensa e attiva di quanto non fosse stata nel periodo intercorso fra la morte di Cavour e la presa di Roma2297 . Minor partecipazione non volle tuttavia dire completa astensione. Questo era impossibile, per un uomo come Vittorio Emanuele II, anche invecchiato, anche a disagio nella nuova situazione generale. Affari esteri e cose militari continuarono ad essere sino alla fine i due settori della vita nazionale a cui egli pi volentieri rivolse lo sguardo, secondo gli insegnava la secolare tradizione della sua e delle altrui case regnanti: una tradizione che profondava le sue radici nellet dellassolutismo monarchico quando, non essendoci problemi politici interni, con lautorit concentrata nel principe, e solo trattandosi, dentro, di sistemare per il meglio le cose di finanza, la vita dello Stato si poteva compendiare nellattivit dei diplomatici, intesa a prevenire guerre o a provocarle, e in quella dei militari, fermo sostegno del trono e speranza di futuri ingrandimenti territoriali2298 . Per quanto il mito dazegliano lavesse consacrato Re Galantuomo, Vittorio Emanuele era sempre, distinto, soldato e, almeno come velleit, orditore di trame diplomatiche: fra generali e diplomatici reclutava le persone di sua fiducia, i consiglieri pi graditi, accordando loro una stima ed unamicizia che nessun ministro, nessun parlamentare si ebbe mai. Fino allultimo, e nonostante dAzeglio Cavour Ricasoli Rattazzi Minghetti Lanza; nonostante la personale apparenza, la bonariet ridanciana dellaccoglienza, il disin-

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volto passar sopra letichetta formale, laffabilit e perfino quella spesso ostentata grossezza e crudezza popolaresca di modi, che tanto incantava il piccolo borghese e il contadino, fino allultimo egli rimase il re, re per grazia di Dio, posto ad immensa distanza da qualsiasi dei suoi interlocutori2299 : e proprio questa autorit egli volle sempre salvare con uno spirito non troppo dissimile da quello dei suoi antenati di prima il 48, riducendo al minimo la volont della nazione che, per vero, anche nella formula consacrata dallapprovazione del Parlamento veniva solo al secondo posto2300 . I ministri erano i suoi ministri: nel che certo aveva dalla sua la lettera dellart. 65 dello Statuto2301 e anche lo spirito con cui Carlo Alberto aveva concesso la Costituzione, ma non pi linterpretazione che dello Statuto sera data e aveva definitivamente trionfato con la crisi Calabiana2302 . E perci, per questi ministri che si sentivano ormai i ministri del paese, egli nutriva, fondo fondo, diffidenza e, antipatie personali aiutando, financo avversione2303 . Tale diffidenza, istintiva, innata quasi come la passione per le donne e per la caccia, era stata allorigine delle sue velleit di politica personale; tale diffidenza agevole riscontrare nel suo interesse ai problemi di politica estera anche dopo il 76. I deputati hanno, spesso, poca saggezza; i ministri, anche se buoni, passano, e tra luno e laltro ministro non c continuit di direttive; gli uni e gli altri possono essere costretti a soggiacere alle pressioni della piazza: garante della continuit della politica estera deve essere il Sovrano. Tanto pi quando ci si trovi in situazioni delicate e si debbano mantenere rapporti corretti, se non proprio cordiali, con una potenza estera, con la quale vi sono profonde e costanti ragioni di attrito. Di fatto, segli intervenne nelle relazioni con la Santa Sede, cercando di smussare gli angoli, quando fosse possibile2304 ; se avoc a s la questione di Spagna, durante il difficile regno del figlio Amedeo2305 ; se tenne doc-

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chio Parigi e personalmente il Nigra, se intervenne talora anche in altre questioni2306 , i rapporti su cui Vittorio Emanuele II cerc di influire direttamente, dal 75 alla morte, buttando nella bilancia la sua autorit e impegnando personalmente la sua parola, furono i rapporti con lAustria-Ungheria. Era la vecchia nemica. Ma dopo il 66 e con latteggiamento complessivamente benevolo serbato dal governo di Vienna nella questione romana, si poteva anche dimenticare il passato tanto pi in una situazione generale europea cos mutata. Ad occidente, anzich sullalleanza bisognava ora, far conto su di una malcelata ostilit francese, almeno fino al 75-76. LItalia non poteva permettersi il lusso di una seconda ostilit, ad oriente: nemica lAustria, ma a patto di aver con s la Francia; non nemiche luna e laltra insieme2307 . Era una ragion politica imperiosa, che faceva passare assai in seconda linea anche Trento e Trieste; una ragione in cui convennero allora e poi, per molto tempo, tutti gli uomini di governo italiani, dal Visconti Venosta al Robilant al Crispi. Ma cera un secondo motivo che invogliava il Sovrano a seguire con occhio attento le relazioni fra Roma e Vienna e ridestava un po gli antichi ardori. Del vecchio sistema politico chegli aveva appreso a ben conoscere, crollato limpero napoleonico rimaneva, nel continente, proprio soltanto limpero asburgico. Meglio ancora, rimaneva la corte asburgica: vale a dire, un centro con cui era ancora possibile le secret du Roi, come quello in cui politica estera e questioni militari rimanevano ben strettamente nelle mani dellimperatore e dei suoi consiglieri, sfuggendo allazione del Parlamento e alla pressione dellopinione pubblica. Dei due che avrebbero dovuto essere i compagni di giuoco nella vagheggiata Triplice Alleanza del 68-69, rimaneva solo Francesco Giuseppe: ma, insomma, uno cera ancora con cui riprendere per-

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sonali contatti, al disopra dei ministri. E con questuno cerano i non mai rotti vecchi vincoli di parentela2308 . Situazione delle cose, diremo situazione obbiettiva, e possibilit di carattere soggettivo, vale a dire possibilit di agire nello stile delle pratiche a cui gi era avvezzo, spinsero Vittorio Emanuele a cercar dintervenire, rendendosi personalmente e direttamente garante della condotta pacifica, anzi amichevole del suo paese nei confronti della Duplice Monarchia. Gi nel giugno del 74, quando gli venne sottoposta la nota dellAndrssy al Wimpffen in data 24 maggio il documento che racchiude la politica asburgica verso lItalia sino al 1915 , gi allora egli aveva apertamente dichiarato di approvare in tutto e per tutto i concetti espressi dal capo della politica austriaca2309 : ed erano concetti che tagliavano corto ad ogni possibilit di discussione sulle terre irredente, anche sotto forma di compensi, e rendevano vane le speranze, di origine balbiana sullinorientamento dellAustria con abbandono di ogni terra italiana. E gi allora era personalmente intervenuto perch non si rinnovassero dimostrazioni irredentistiche; e aveva poi abbondato in espressioni damicizia per Francesco Giuseppe, tanto da metter in imbarazzo, a Vienna, il conte di Robilant2310 . Ma fu lincontro di Venezia, nellaprile del 75, a decidere il re di cercare un collegamento diretto con Vienna, anche al di fuori del proprio ministro degli Esteri. Commosso per latto indubbiamente amichevole e gentile di Francesco Giuseppe che, per restituire la visita a Vienna, aveva scelto, lui personalmente2311 , proprio la perla dellAdriatico, sua fino a nove anni innanzi, il re lo fu2312 : e ne aveva ragione. E allora, in quellatmosfera rasserenata, Vittorio Emanuele non soltanto simpegn virtualmente, con le sue proteste di amicizia fedele, a porre una pietra sulle questioni territoriali fra Italia e Austria-Ungheria, ma diede inizio ai suoi rapporti diret-

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ti, personali con il governo di Vienna. ... al momento di separarsi, re Vittorio parlando col conte Andrssy, dopo aver riconfermato i sentimenti di buona amicizia e della Sua volont di mantenerla, soggiunse: sil arrive quelque chose quil soit important que je sache, dirigez vous celui l (designando Aghemo). Les Ministre passent: mais celui l est toujours auprs de Moi. Queste parole le ho udite io. Cos, il 21 ottobre 1879, il gran cacciatore di Umberto I e gi di Vittorio Emanuele II, generale Bertol Viale, raccontava allamico conte di Robilant la scena di Venezia2313 ; e la raccontava traendo motivo dalla nuova e diversa scena svoltasi, alcune settimane innanzi, fra Umberto I e lo Haymerle. Il nuovo ministro degli Esteri austro-ungarico, sino allora ambasciatore presso il Quirinale, recatosi a prender commiato dal re il 2 ottobre, aveva anzitutto cercato di rimettergli copia della famosa nota Andrssy del maggio 74, traendola dalla tasca del soprabito; poi, di fronte al diniego di Umberto, gli aveva chiesto nel caso di qualche incidente, di poter communicare con Lui direttamente per lettera, senza rivolgersi ai Suoi Ministri; conformandosi cos a ci chera stato convenuto dal re Vittorio Emanuele col conte Andrssy, e confermato (asserisce lHaymerle) da un telegramma di Aghemo allo stesso conte. Questa volta, per, latmosfera non era quella di Venezia, e il cauto Umberto non aveva pi la facilit diniziativa del padre; e allo Haymerle tocc la risposta che il fare ci avrebbe denotato esistere appunto quella diffidenza fra i due governi che le fatte dichiarazioni escludevano. Essere Egli [il re] persuaso che, senza ricorrere a cotali mezzi, le relazioni fra i due governi sarebbero state buone come in passato2314 . La risposta era assai pi corretta costituzionalmente e giusta politicamente delliniziativa assunta da re Vittorio2315 ; ma appunto perch veniva dopo un periodo di rapporti diretti fra il Sovrano dItalia e il governo di Vienna, essa pot dar limpressione, a chi la ascoltava,

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di un mutar di umore da parte italiana. A caso vergine, si poteva essere amici senza essere alleati; difficile invece dopo unalleanza cessata rimanere amici come prima, anche a dichiararlo esplicitamente, perch ci sarebbe sempre qualcosa di cambiato, forse pi in apparenza che in realt, ma ci sarebbe o almeno si crederebbe che ci fosse: cos ammoniva il Nigra, il 9 agosto del 1886, rispondendo al Robilant che gli aveva significato la sua intenzione di non fare alcun passo per il rinnovo della Triplice quale era2316 . Osservazione identica si poteva fare circa il diverso comportamento dei due Sovrani. Male aveva fatto luno, ripigliando la cattiva abitudine dei rapporti personali con governi esteri, allinsaputa dei ministri; e laltro, per svincolarsi da tali ingranaggi, in cui daltronde non avrebbe saputo muoversi con la disinvoltura del padre, era costretto ad un diniego che poteva anche sembrare mutar di politica. Certo, nessuna meraviglia che lo Haymerle si partisse sospettoso e diffidente. Comunque, quale si dovesse poi essere il contegno di re Umberto, a Venezia Vittorio Emanuele aveva aperto una nuova via, riproponendosene gran benefici per le buone relazioni del suo paese con limpero asburgico. Anche questa volta, gli eventi dovevano e avrebbero dovuto disingannarlo: nonostante tutte le sue proteste di amicizia e le sue regali attestazioni che le cose sarebbero filate come ordinava lui, volenti o nolenti i ministri, tali relazioni divennero negli ultimi tre anni di sua vita pi torbide che mai. Ma il re era, almeno inizialmente, convinto che, mettendosi lui di mezzo, le cose sarebbero filate liscie. Les ministres passent: era proprio la diffidenza per il regime parlamentare, discontinuo e vario, ad ispirare, ora e per linnanzi, lazione personale del Sovrano. Le Roi reste: e cos, una parola regale era garanzia sicura, incrollabile. Se necessario, il re avrebbe agito sui ministri, perch il maestro di cappella era lui2317 : questo motivo, non accennato nel 75, quando al potere erano

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Minghetti e Visconti Venosta, due uomini cio di cui poteva ancora fidarsi, venne invece svolto pi tardi, nei colloqui fra Vittorio Emanuele e lambasciatore austriaco, quando al potere era la Sinistra, gente assai pi sospetta. Certo, dopo la rivoluzione parlamentare del marzo 1876, che a dirla rivoluzione pu far sorridere, oggi, ma che allora parve veramente la fine di unepoca e linizio di unaltra, certo Vittorio Emanuele strinse in pugno le briglie, assai allentate fra il 70 e il 76; e cominci ad ordinare agli ambasciatori, a mezzo del fido Aghemo, che riprendessero a corrispondere direttamente anche con lui2318 . E mentre prima il suo interesse personale era rimasto confinato, generalmente, a re Amedeo in Spagna e alla regina Maria Pia in Portogallo, l dove cio vera un preciso legame dinastico, ora carteggi anche con il duca di Magenta: proprio nel 76, poco dopo lavvento della Sinistra, quando mon insu, disse il re il Cialdini fu nominato ambasciatore a Parigi, e Mac Mahon non ne voleva sapere, fu Vittorio Emanuele a pregare lantico fratello darmi, che facesse buona accoglienza al duca di Gaeta, riuscendo a strappare un s, avec rsignation2319 . N solo lintervento era per le questioni di politica estera: anche quelle di politica interna erano vigilate attentamente dal Sovrano, che non nascondeva talora al Depretis di aver lanimo conturbato per la situazione, eccitava il presidente del Consiglio ad adoperarsi con tutti i mezzi in suo potere per far cambiare questa situazione ch pel momento non la vedo molto lusinghiera, togliendolo cosa da questo stato di grave preoccupazione in cui mi trovo2320 ; e sinquietava per la grossa questione delle convenzioni ferroviarie, e quella ostinatezza di ZanardelIi mi fa pena, perch poteva minacciare la situazione del Ministero2321 . Oppure, al momento del rimpasto ministeriale nel dicembre 1877, ricordava alluomo di Stradella il generale Bertol Viale per il ministero della Guerra, e voleva sapere che cosa si faces-

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se per i portafogli della Pubblica Istruzione e dei Lavori Pubblici, e suggeriva, per le Finanze, Agostino Magliani, ed esprimeva il desiderio che Depretis pensasse pure al ministero dellAgricoltura e Commercio2322 . O, ancora, telegrafava al Depretis di invitare il ministro della Guerra a comperare cavalli, per lartiglieria e la cavalleria2323 , e di mandargli subito a Torino i ministri dellInterno e della Guerra, con cui voleva conferire2324 . E va aggiunto che una simile partecipazione attiva di Vittorio Emanuele nelle vicende politiche del suo paese non destava risentimento e obbiezioni ne suoi ministri dallora, pi docili che parecchi dei loro predecessori della Destra. Tuttallopposto, era talora il Depretis a pregare il re di affrettare il suo ritorno a Roma, perch voleva parlargli, sottoporgli le sue riflessioni sulla situazione, su alcuni provvedimenti necessar, e la presenza del re avrebbe potuto rimuovere qualche difficolt2325 ; e altre volte era Vittorio Emanuele ad incuorare il presidente del Consiglio abbia fede nellavvenire che non pu vacillare e calcoli sul mio valido appoggio2326 ; e a dire che il Ministero non doveva lasciar travedere nessun timore per lavvenire, essendo desiderio del re chesso si dimostri pi forte che mai2327 ; e il Depretis allora assicurava che non mi mancher n coraggio n energia per meritare la fiducia di V. M.2328 . In verit, ad uomini che si trovavano al governo in una situazione internazionale assai difficile, sempre pi difficile, con una situazione interna indubbiamente parecchio migliore, ma non senza che anche qui ci fossero questioni grosse, e soprattutto non senza che, a renderla parlamentarmente meno buona, non cominciassero, dopo la vittoria del marzo 1876, i dissensi interni fra personalit e gruppi della stessa Sinistra; in verit, ad uomini simili, quasi tutti nuovi al potere, il far affidamento sul re, come su di un punto fermo, dovette parer gran cosa. Tanto pi che questo re, ricco di esperienza politica e uomo di

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fiuto politico, avvolto da un prestigio sempre crescente e gi sconfinante nella leggenda2329 , era pure uomo affabile, premuroso perfino, che si preoccupava della salute e degli acciacchi del povero Depretis, e gli telegrafava Sono inquieto sapendo che Ella non sta bene faccia il piacere mandarmi notizie sua salute2330 : un re da cui cera da sentirsi esprimere, chiaro e tondo, disapprovazioni e malumori,2331 ma tutto questo sullo stesso tono di comunicativa umana che improntava poi di una nota pi che cordiale, amichevole, i momenti di buon umore. I tanti saluti, addirittura tanti amichevoli saluti, che chiudevano i telegrammi del re, convogliavano quei rapporti in una certa atmosfera, facevano apparire nel re quasi un amico, certo un amico posto tanto pi su, ma insomma uomo anche lui, vivo, irruento magari e prepotente, ma vivo, e non una macchina da protocollo. Che era poi il gran segreto di Vittorio Emanuele, il saper trattare con gli uomini e cattivarsi gli uomini: e certo era preziosa arma politica in mano sua, ed egli stava ben attento a toccare le corde sensibili nellanimo di ognuno dei suoi vari interlocutori2332 ; ma era unarma resa possibile dal fondo primo della natura del re, ben conscio della sua altissima dignit, che lo staccava dal comune dei mortali, ma poi, per certa esuberanza e facilit e anche primitivit di natura, tratto continuamente, nel commercio con gli uomini, a porsi sul loro piano, quasi fosse dimentico del diritto divino. Qui era in gran parte il segreto del fascino chegli esercit, indubbiamente, e non solo sui piccoli borghesi e sui contadini incantati della sua speditezza di modi, ma anche sugli uomini politici: qui era una delle sue doti vere di capo di Stato, che pot dunque agire personalmente, e non solo per imposizione ma per consenso, quando proprio non avesse a che fare con personalit di eccezione come il Cavour o con uomini rigidi e difficili come il Ricasoli e il Lanza.

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Era come se nei suoi ultimi anni il re sentisse ribollire nuovamente in s il desiderio di comando diretto: certo, ricevendo lo Haymerle, il 6 febbraio del 77, egli osservava: cest vrai, les Ministres appartiennent au parti tant soit peu avanc, mais ils ont le sincre dsir davoir les meilleurs rapports avec Votre Gouvernement, et sils hsitaient, je les ferai bien faire ce que je veux2333 ; e parecchi mesi pi tardi gli spediva il fido Aghemo2334 per assicurarlo, ancora una volta, nel crescente intorbidarsi delle relazioni fra i due paesi, chegli rimaneva fedele ai ricordi di Vienna e di Venezia, che voleva contraccambiare con lealt la lealt dimostratagli da Francesco Giuseppe, che i ministri conoscevano questa sua volont e non avrebbero mosso un dito a sua insaputa2335 . Ancora nellultima udienza accordata allo Haymerle, il 31 dicembre, irritato comera per le cosiddette rivelazioni della Neue Freie Presse ribatteva esser male non fidarsi di lui, che aveva data la sua parola di essere amico dellimperatore, e insisteva sul moi2336 , secondo una vecchia consuetudine che gli era stata cara una volta anche nei rapporti con Pio IX2337 . Tanto insisteva, da porre in imbarazzo linterlocutore, il quale non poteva evidentemente esprimergli i suoi dubbi: e dubbi ne nutriva parecchi, non sulla buona volont, ma sulle reali possibilit dazione di Vittorio Emanuele2338 . Tuttavia, qualche cosa il re poteva fare; era un buon terreno da sfruttare, riteneva lambasciatore austriaco2339 . Ed effettivamente qualche cosa Vittorio Emanuele fece, almeno in quellanno 1877, che doveva essere il pi agitato di quanti si fossero seguiti da tempo, nella storia delle relazioni italo austriache; n si limit a spedire dal nuovo ambasciatore austro-ungarico, Haymerle, il suo missus Aghemo, per ripetergli le assicurazioni che il Sovrano veglierebbe a che non sopravvenisse alcuna deviazione dalla linea di correttezza nei rapporti con lAustria, e per offrirsi nuovamente quale intermediario per eventuali co-

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municazioni confidenziali e dirette con Sua Maest2340 , ma premette, in casi concreti, sul governo. Quando infatti, nellaprile, sapprossim la discussione alla Camera sulla politica estera del ministero, Vittorio Emanuele fece pervenire precise istruzioni al Depretis, inviandogli anche lAghemo da San Rossore2341 , sul tenore della risposta da dare alle varie interrogazioni, in senso pacifico e pacificatore2342 : istruzioni che vennero rispettosamente eseguite, giacch i discorsi del Melegari e dello stesso Depretis, alla Camera, il 23 aprile 1877, non furono nella sostanza che una serie di variazioni sul tema prefisso dalla volont sovrana, culminanti nelle parole del Depretis che lItalia ha regolato onorevolmente le sue relazioni con tutte le potenze, pi specialmente con quelle che le sono vicine [leggi Austria-Ungheria] e di cui essa considera la prosperit come la sua prosperit e come principale condizione della sua sicurezza2343 . Lo Haymerle, subito avvertito dallAghemo di questo regale intervento, poteva essere soddisfatto2344 ; e non meno soddisfatto doveva essere qualche settimana pi tardi, quando il compiacente missus regio gli raccont, a nome espresso di Vittorio Emanuele, che allo scoppio della guerra russo-turca il Consiglio dei ministri aveva seriamente discusso se non fosse il caso di procedere ad armamenti e a lavori di fortificazione ai quali, data la situazione, sarebbe stato impossibile togliere carattere anti-austriaco, e che era stato Vittorio Emanuele a pronunziare un no deciso, seguito dalla pronta sottomissione dei ministri2345 . Atto di amicizia per lAustria, che il re desiderava venisse recato a conoscenza di Sua Maest Apostolica, e che, com ovvio, provoc il ringraziamento di Vienna e lattestazione della fiducia di Francesco Giuseppe nei sentimenti del suo regal fratello italiano2346 . E anche quando non si giungesse propriamente ad interventi di fatto, le parole di Sua Maest erano recise e calorose, nel senso dellamicizia con limpero asburgico.

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Sera allora in piena campagna irredentistica; ma il re non esitava a sconfessarla apertamente ne suoi colloqui con il rappresentante di Vienna presso il Quirinale. Gi al Gravenegg, lultimo giorno del 76, aveva dichiarato che la polemica di stampa sul Trentino, originata dal notissimo articolo de LOpinione, il 3 ottobre 1876, gli aveva causato la pi penosa impressione; ma chessa traeva origine da gente miserabile2347 e muoveva da intenti ostili al ministero Depretis dunque, era ispirata anzitutto da ragioni di politica interna. Quando poi il nuovo ambasciatore, lo Haymerle, affront risolutamente, nella sua prima udienza, lo scabroso tema, il re, dopo aver gi inizialmente dichiarato di non volerne sapere di tutte le polemiche e dimostrazioni provocate dagli irredentisti2348 , interruppe con un ma certo! oltremodo significativo il suo interlocutore, che chiedeva allItalia di considerare, in ogni evenienza, interamente chiusi i conti con lAustria2349 . Nonostante tutto questo la crisi diveniva sempre pi acuta, le polemiche di stampa pi aspre; n valeva che il re, a mezzo del Robilant prima di passaggio a Roma e quindi dellAghemo facesse nuovamente sapere allo Haymerle, nel novembre, la sua ferma volont di tutelare i buoni rapporti tra i due Stati2350 . Negli ultimi giorni di dicembre, come gi si rammentato, ad opera della Neue Freie Presse scoppiava la grana delle asserite dichiarazioni dellAndrssy dinanzi alla delegazione cisleitana in senso ostile, anzi addirittura minaccioso per lItalia; e malcontento, eccitato, seccato soprattutto perch a Vienna non si credesse alla sua parola, Vittorio Emanuele si lasciava andare ad una di quelle espressioni forti e fanfaronesche non infrequenti in lui: luomo, che nel 1850 aveva dichiarato il suo disprezzo per la canaglia popolare2351 , che nel 67 lamentava non gli fosse stato possibile effettuare il suo piano, lasciar i garibaldini entrare in Roma, concentrarvisi in venti o trenta-

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mila, e poi marciare contro di essi e massacrarli, in modo che non ne rimanesse traccia2352 , nel 77, affermando di non pensare n al Trentino n allAlbania, diceva allambasciatore dAustria che coloro i quali nutrivano tali mire in Italia venivano considerati come cani2353 . Che non erano cose da dire in quella forma, da parte di un Sovrano, e nemmeno in quel momento, ad un ambasciatore dAustria-Ungheria. E s vero che in bocca ad un uomo come re Vittorio, compiaciuto del parlare grosso, popolaresco e anche smargiasso, affermazioni di tal genere suonavano, per linterlocutore attento, meno gravi di quanto non sarebbe successo in bocca ad altri2354 , anche vero che da questo suo modo di fare, da questa faciloneria, spesso voluta e calcolata per impressionare linterlocutore con la crudezza delle espressioni, il re veniva trascinato oltre il segno, cos da umiliare in modo non degno movimenti didee e daffetti cherano, allora, intempestivi e pericolosi, ma che non erano da cani. E qui appunto era il pericolo di simili interventi personali del re, al di sopra e al di fuori dei suoi ministri; qui gli imbrogli chegli combinava alle loro spalle potevano diventare fonte di guai grossi. Che egli si preoccupasse assai delle relazioni con lAustria-Ungheria e le desiderasse su piano amichevole e si opponesse agli schiamazzi intempestivi delle dimostrazioni di piazza, questa era una gran prova di seriet e di buon senso: di quel buon senso o meglio intuito politico che gi altre volte gli aveva fatto scorgere la via giusta, anche contro il parere dei ministri perfino contro lo scatto violento di un Cavour, comera successo a Monzambano nel luglio del 59. Non solo legittimo, dal punto di vista costituzionale, ma giustissimo, politicamente, che alloccorrenza egli invitasse i ministri a considerare con molta attenzione i rapporti con la Duplice Monarchia e li ammonisse sui pericoli di una politica troppo disposta ad oscillare secondo gli influssi della piazza. Ma estremamente grave chegli si inol-

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trasse su di una via di rapporti personali, dei quali i ministri responsabili erano perfettamente alloscuro e che avrebbero anche potuto condurlo, e con lui il paese, in una situazione tale da rendere ancora pi minaccioso il pericolo che si voleva evitare. Nulla, ancora, di riprovevole politicamente segli si facesse inviare rapporti personali, dal conte di Robilant o dal de Launay o dal Menabrea; ma che egli poi ordinasse al Robilant, ad insaputa del ministro degli Esteri, di muovere osservazioni al governo di Vienna, questo era un grosso pasticcio politico, anche a prescindere dalla scorrettezza costituzionale. Se ottime dunque erano le intenzioni, malfida era la via seguita per attuarle. Ma non cera poi nemmen troppo da stupirne; ch rispondeva in tutto e per tutto al carattere di Vittorio Emanuele II, re costituzionale, si diceva, e galantuomo, ma in cuor suo convinto che i gravi affari di Stato, cheran politica estera e questioni militari, i laici, i borghesi non li avrebbero mai capiti bene, tranne, proprio, si trattasse di un uomo come il Cavour e ancora, anche con lui era bisognato stare attenti. Era una concezione ancora affatto personalistica dello Stato: il moi continuava a risuonare in bocca al re non troppo diversamente, poi, da come era risuonato in bocca ad un Carlo Alberto prima dello Statuto; e i rapporti personali fra sovrani continuavano ad essere considerati il pi valido anello tra i diversi Stati2355 . Concezione, questultima, chera daltronde allora tuttaltro che rara e propria del nostro, essendo invece comune, ben comune, agli altri monarchi dellEuropa continentale, da Guglielmo I di Germania allo zar Alessandro II e, naturalmente, a Francesco Giuseppe; persino, almeno sotto forma di velleit non mai del tutto sopite, a Vittoria dInghilterra, che pur aveva dovuto chinar pi degli altri il capo di fronte ai suoi ministri. Non ci si appellava forse allaffetto fra zio e nipote, fra Guglielmo I e Alessandro II, alla tradition sculaire, al legs sacr, que

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nos pres dauguste mmoire nous ont transmis, per mantener buoni i rapporti tedesco-russi ancor quando il Bismarck lottava per imporre al suo re e signore lalleanza con lAustria, contro la Russia?2356 Anche fuor de sovrani, non solo gli uomini di corte o vissuti a lungo nellintimit della corte, ma, in genere, i militari e spesso i diplomatici come, nel caso nostro, un de Launay e un Robilant, consideravano elemento di molta e talora decisiva importanza i rapporti dinastici e lamicizia personale de monarchi. Il vincolo dinastico era ancora un fattore non interamente trascurabile nei rapporti internazionali; la sua epoca stava per chiudersi, non era ancor chiusa del tutto: che i due occhi di un monarca di dinastia legittima fossero pi sicuri che quelli di un ministro transeunte2357 , questa era convinzione non del solo Vittorio Emanuele II; che la persona del Sovrano potesse, sola, offrir la necessaria garanzia ai buoni rapporti fra due paesi, mentre la politica di un ministero non impegnava i suoi successori, questo lo doveva ripetere, ancora nellottobre 1881, il Blanc, segretario generale agli Esteri, gran propugnatore del viaggio a Vienna di Umberto I2358 Nessuna meraviglia, pertanto, che un re a fondo imperioso e autoritario, sotto lapparenza da bonaccione, come Vittorio Emanuele II, ben convinto di essere il Re, cio il capo per secolare tradizione e per diritto divino, credesse, dando la sua parola, di assicurare lamicizia italo-austriaca; e che, al crescer dei sospetti in Austria contro lItalia, anche dopo la sua parola, si ritenesse personalmente offeso e lo dichiarasse senza ambagi. La sua parola. Lo Haymerle ci credeva; ma qualcuno avrebbe potuto obbiettare: e come conciliare queste dichiarazioni di amicizia per limperatore dAustria, di fedelt alla parola data, di avversione alle mene irredentistiche, con la missione Crispi, che cadeva proprio in quello stesso anno 1877 cos ricco di regali attestazioni?

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Il dubbio nasce infatti spontaneo, quando si richiami alla memoria la lettera che il Crispi scriveva da Torino al Depretis, il 27 agosto 1877, subito dopo il suo colloquio col re e prima della partenza alla volta di Parigi. Il re, chera di buon umore osserva il Crispi nulla spera da una combinazione in conseguenza della guerra di Oriente, perch ormai tardi per noi; tuttavia mi raccomand di fare tutto il possibile per vedere di entrarci con qualche profitto. Diverso fu il suo linguaggio circa, lo scopo vero del viaggio, cio lalleanza con la Germania. Il re sente il bisogno di coronare i suoi giorni con una vittoria per dare al nostro esercito la forza e il prestigio che in faccia al mondo gli mancano. linguaggio da soldato e lo comprendo... E il re ha purtroppo ragione. Se nel 1866 i generali non ci fossero mancati ed avessimo vinto nel Veneto e nellAdriatico, gli austriaci non oserebbero parlare e scrivere di noi siccome fanno.2359 Poteva esserci, in questespressione, un po di Vittorio Emanuele e un po di Crispi: luomo politico siciliano non era, sicuramente, un fedelissimo e preciso riferitore di cose udite o viste, come che la sua personalit tendesse sempre a sovrapporsi su quella altrui2360 . Per lo meno, poco adatto a rendersi conto della psicologia dei suoi interlocutori e poco avvezzo in particolare a Vittorio Emanuele, riaveva aver preso troppo alla lettera taluna di quelle frasi alla spaccona che Vittorio Emanuele era solito buttare nel discorso, e che bisognava cogliere con beneficio dinventario. Ma nessun dubbio pi possibile, quando si rileggano le istruzioni segrete del Depretis al Crispi, di quello stesso 27 agosto. Perch in esse veniva esplicitamene dichiarato che il volere del re, daccordo col presidente del Consiglio, era di stringere in modo pi intimo i rapporti amichevoli dellItalia con la Germania addivenendo ad un accordo concreto e completo col mezzo di un trattato di alleanza che fondandosi nei comuni interessi provveda a tutte le even-

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tualit. Glinteressi italiani possono essere offesi non solo dalla prevalenza del partito oltramontano [in Francia], ma anche dallingrandimento dellAustria collannessione di alcune provincie ottomane, possibile conseguenza della guerra dOriente. desiderabile che i due governi si mettano daccordo anche su questo punto2361 . Interessi italiani minacciati dalleventuale occupazione austriaca della Bosnia-Erzegovina: ma era proprio questo il leit-motiv di tutta la campagna di stampa italiana, a cominciare dal celebre articolo dellOpinione il 3 ottobre del 76, che aveva messo a rumore gli ambienti viennesi e che il re aveva apertamente condannato nei suoi colloqui col Gravenegg e con lo Haymerle; era proprio questo lappiglio a cui si afferravano gli irredentisti, per chiedere i compensi nel Trentino e sullIsonzo, per rispolverare i vecchi pensieri del Balbo, per spingere il governo a tutelare energicamente i diritti italiani! Lalleanza chiesta alla Germania doveva servire, per lItalia, anzitutto contro lAustria, non contro la Francia: questa era la grave questione e la pi urgente che impensieriva il Depretis2362 , anche se il Crisp, viste inutili le insistenze sul problema dellAustria e dei compensi, con rara imperizia insistesse poi per unalleanza contro la sola Francia, che avrebbe servito essenzialmente alla Germania2363 . Ora, il Sovrano voleva anchegli lalleanza germanica: il colloquio col Crispi a Torino, prima della partenza, e laltro a viaggio compiuto, il 23 ottobre2364 ; i continui telegrammi e rapporti con cui il presidente della Camera informava via via il Sovrano dei risultati del suo viaggio, i ringraziamenti di Vittorio Emanuele, il suo preoccuparsi per gli interessi italiani minacciati a Oriente, parlano un linguaggio a sufficienza chiaro. E dunque, Vittorio Emanuele, che nella primavera del 77 aveva pi volte dato la sua parola di rimanere fedele e leale amico dellimperatore dAustria, nellagosto-settembre dello stesso anno

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non fu alieno dal combinare un giuoco che, riuscendo, avrebbe messo con le spalle al muro lamico Francesco Giuseppe, salvo poi ad infuriarsi, a fine danno, perch a Vienna non si faceva abbastanza conto della sua parola. Si deve certo sottolineare che il re (e meno che meno il Depretis) non voleva spingere la sua azione sino alle armi. Nella fanfara guerresca riprodotta dal Crispi le parole del Sovrano assumevano intonazione che poi, in pratica, Vittorio Emanuele non avrebbe certo mantenuto, proprio lui che, a viaggio compiuto, si rammaricava col Crispi che governo e Parlamento gli avessero lasciato un piccolo esercito buono soltanto alla difesa del territorio nazionale e, con unaltra delle sue spacconate, lamentava di non poter muovere duecentomila uomini per sciogliere, lui, la questione dOriente. Che al re prudessero le mani, di fronte a quel gran parapiglia balcanico, era naturale; ed era della sua natura che egli sognasse un qualche profitto, poter arraffare qualche cosa, ranch quaich cosa, come aveva detto al Sella a fine settembre del 70. Naturale, anche, chegli, al par di tanti altri Italiani, sognasse una gran vittoria militare per riscattare Lissa e Custoza: egli che appena posate le armi nel 66, imprecando contro i ministri incapaci e i generali bestie, sognava gi allora di poter far vedere unaltra volta di che cosa fosse capace2365 . Al riaprirsi della questione dOriente egli avrebbe voluto che lItalia agisse decisamente in primo piano2366 ; poi, sera calmato, ma certo non senza che tratto tratto, a seconda delle vicissitudini internazionali, non riaffiorassero, desideri, aspirazioni, sogni di gloria. Ma che simili desideri e velleit premessero gi al punto da poter far sognare unazione di forza, in quel momento, questo da escludere con piena sicurezza. Ancor pochi mesi pi tardi, alla vigilia della morte, le parole chegli pronunzi per il ricevimento di Capodanno a Corte destarono allarme: lItalia deve farsi temere, laccenno al fosco orizzonte politico generale, alla neces-

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sit delle spese per lesercito, parvero di sapor bellicoso; ma quando Depretis gli accenn allinterpretazione che sera data alle sue parole, Vittorio Emanuele, stupito, ribatt che aveva detto cose sempre da lui ripetute (ed era vero), che non eran nuove, e non erano allarmanti2367 . Le parole grosse dovevano servire a premere sui deputati, che fossero pi larghi di crediti militari. Probabilmente, Vittorio Emanuele pensava che spingendo innanzi il principe di Bismarck e facendogli inarcare il sopracciglio, come a Giove Olimpio, lAndrssy a Vienna avrebbe desistito dal suo non possumus riguardo agli eventuali compensi. Fare tutto il possibile onde vedere di entrarci con qualche profitto; ma anche il re credeva che fosse ormai tardi, che non vi fosse pi posto per lItalia, e quindi era proprio un tentativo azzardato alla meglio. In fondo in fondo, vera gi un sentimento mezzo rassegnato allinsuccesso. Era un po come se Vittorio Emanuele pensasse, che tanto valeva lasciar tentare al Crispi: forse, qualche bene poteva risultarne, allestero, e intanto si aveva un bene sicuro allinterno, accontentando un uomo che, in Parlamento, poteva sempre costituire un pericolo grosso per il ministero. Che questi o simili pensieri passassero per la mente del re, prova il fatto che a pi riprese, rispondendo al Crispi il quale gli parlava di Decazes Bismarck Derby, egli accennava esplicitamente alle aspirations ministrielles2368 , e gli augurava que les esprances ministrielles se ralisent2369 : quasi volesse sviare il discorso dai fatti esterni e riportarlo alla lotta parlamentare, quasi cercasse di accarezzare e ammansire in anticipo il focoso uomo politico, di cui prevedeva imminente lascesa al governo. E sarebbero, certo, assai strani quegli accenni e quel modo di toccar argomenti e quel parlare di aspirazioni ministeriali ad uno che prospettava il pericolo di una guerra con la Francia o riferiva che Bismarck e Derby, offrivano lAlbania allItalia qualora non si pensasse che il re avesse consentito a

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servirsi del Crispi come missus dominicus anche per aver finalmente pace allinterno e per legar destramente alla sua persona uno dei maggiori tra gli uomini politici italiani, pericoloso s ma non difficile da sedurre col fascino dellautorit2370 . Non diversamente, daltronde, aveva fatto il presidente del Consiglio. Il Depretis, proclive a valersi di uomini di sua fiducia per missioni confidenziali allestero2371 , fiducioso allora come gli uomini della Sinistra in genere in presunte solidariet internazionali per ideologia di partito2372 , diffidente verso i diplomatici di professione, che non erano certo degli uomini di sinistra, era anche lui tratto a tentare un po di diplomazia segreta e a combinar inutili imbrogli alle spalle degli ambasciatori, sostituendo al segreto del re il segreto di partito: un segreto che doveva rivelarsi ben presto assai pi inconsistente del primo e naufragare, con la faccenda di Tunisi, nella delusione dei politici italiani di sinistra per lazione dellamico Gambetta. Il segreto del re qualche peso laveva avuto nelle relazioni internazionali; il segreto di partito non serv che a generare illusioni e delusioni. Or dunque il Depretis sin dalla primavera del 1877 aveva pensato di inviare presso il Bismarck un tuttaltro uomo, Domenico Farini, suo abituale coadiutore diplomatico per i contatti non ufficiali2373 . Poi, incalzando gli eventi, forse anche preoccupato dellinsufficienza del Melegari, ministro degli Esteri2374 , e perci deciso ad assumere nelle sue mani la direzione effettiva della politica estera, si era risolto nellestate, probabilmente sollecitato dalla sua ninfa Egeria per i problemi internazionali, e vale a dire il Tornielli segretario generale agli Esteri2375 : n giovava che in una lunga conversazione fra il Keudell e il Tornielli, il luglio, lambasciatore di Germania, il quale pure aveva agitato il pericolo francese chiedendo persino che cosa avrebbe fatto lItalia qualora la Germania fosse stata attaccata, alle argomentazioni del Tornielli contro lAustria e un suo ingrandimento territoria-

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le nei Balcani rispondesse ammonendo: io temo... che se voi cercate di legare insieme le due cose, cio la posizione identica che lItalia e la Germania hanno in faccia alla cospirazione clericale e la situazione vostra speciale nella questione orientale, voi potreste avere dal principe di Bismarck una risposta che non vi piacerebbe2376 . Questa doccia fredda2377 , che avrebbe dovuto mettere in guardia da ulteriori insistenze, diveniva invece motivo per confermare il Depretis nellutilit dellinvio in Germania di una persona sicura, che cercasse di conoscere, se possibile, le vere intenzioni del Bismarck riguardo alla questione dOriente, quella cio per cui finora non stato possibile venire ad uno scambio didee, dalle quali desumere la possibilit di un accordo preventivo2378 . Cos il Depretis, primo e maggiore responsabile di tutta la faccenda, aveva proposto il Crispi come persona sulla cui saviezza e discrezione il re poteva star pienamente tranquillo2379 : e aveva scelto il Crespi sia perch premuto dalle sue insistenze2380 , sia anche perch pensasse di poter cos legare alla politica del governo il pericoloso amico, rendendolo parzialmente corresponsabile della politica estera. La situazione interna del governo preoccupava gi allora il Depretis, tuttaltro che soddisfatto, tra laltro, del modo in cui si profilavano i rapporti con lo anardelli nella gran questione dellesercizio delle ferrovie2381 ; forse egli gi prevedeva prossimi guai ministeriali e parlamentari, e Crespi bisognava tenerselo buono2382 . Luomo di Stradella, maestro di strategia parlamentare, che i problemi di politica estera vedeva sempre anche, per non dire soprattutto, in funzione della politica interna2383 , facendo piacere al Crispi legava in realt le mani al possibile e pericoloso oppositore del ministero, di lui tanto meno sottile elucubratore di manovre parlamentari2384 . Cos dovette pensare anche il re, sempre attento, anche lui, alla situazione interna: tentar non nuoce e, comunque, anche se il viaggio non conduce a nulla, avremo almeno ac-

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contentato il presidente della Camera, ci che utile per le cose interne. Tutto questo si pu, dunque, si deve anzi ammettere. Ma insomma fin con lessere un giuoco a partita doppia non molto simpatico; e fu anche un grosso errore politico, in quel particolare momento. Perch, quale si fosse il sentimento intimo del Re nei riguardi di tale missione, maggiore o minore fosse la sua fiducia nellesito, certo che lasciando andare in giro per lEuropa, a trattare di cose delicatissime e in un momento in cui cera ben poco da trattare, il presidente della Camera italiana, commetteva uno sproposito. E se era da lodare, non per il modo, ma almeno per la sostanza dei pensieri che lo avevano indotto a parlare e ad agire contro le perturbazioni irredentistiche, tanto pi era da biasimare la leggerezza con cui lasciava parlare ora al Bismarck, a nome del governo italiano, di alleanze contro lAustria, di diritti italiani a compensi sulle Alpi e simili cose, gi irrimediabilmente condannate e dal Bismarck e dagli altri governi europei2385 . Non era pi il caso di tentare, di fare il possibile per vedere di entrarci con qualche profitto, in quella maniera: perch, cos comportandosi, si continuava quella politica del voglio e non voglio, dico e non dico, tutta incertezza e va e vieni continui, che fu il grande errore del governo italiano tra il 76 e il 78 e che, non arginando le attese dellopinione pubblica in possibili combinazioni future sullAdige e sullIsonzo e protestando a Londra e a Berlino contro i piani austriaci doccupazione della Bosnia e della Erzegovina, ma nello stesso tempo dichiarando a Vienna di voler mantenere i migliori rapporti con la Duplice Monarchia e sconfessando ogni velleit annessionistica2386 , fin con larmar di sospetti e diffidenze non ingiustificate il governo austriaco, e, alle sue spalle, quelli di Londra e di Berlino, nel mentre lasciava profondamente deluse le

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grandi speranze alimentate in patria e conduceva cos alla crisi violenta dellestate 1878. Accettando la missione Crispi (e con un altro al posto del Crispi, sarebbe stato lo stesso) il re accett, anchegli, quella politica, contraddicendo ai pi sani pensieri di alcuni mesi innanzi. Che il miraggio di qualche acquisto territoriale potesse, di quando in quando, riaccendergli lanimo, specialmente quando il fragore della guerra, nei Balcani e nellArmenia, risvegli la sua eccitabilit soldatesca e gli fece, chiss, pensare con nostalgia alle belle cariche contro il nemico, a Palestro e a San Martino, era naturalissimo: anima di soldato egli era nato e rimaneva, e il sogno della bella vittoria per coronare i suoi giorni umano potesse turbare il suo riposo. Chegli sperasse di poter trar vantaggio finale dalla crisi dOriente, questo era pi che logico; e non era il solo, n aveva con s solo Crispi a pensar cos. Ma il momento non era ancor giunto che permettesse di sfruttare la situazione generale a vantaggio anche dellItalia; e, soprattutto, nessun vantaggio avrebbe mai potuto ottenersi, se lo si continuava a cercare in una rettifica di confini a spese dellAustria, con lo sguardo fisso su Trento. Questera cacciarsi in un vicolo cieco, senza possibilit di uscita. E proprio il Robilant, che pure aveva pensato per primo ad abbinare questione dOriente e questione delle terre irredente2387 , e, anche pi tardi, dichiarava che lannessione del Trentino doveva essere uno degli obbiettivi che la nostra politica estera non dovr mai perdere di mira2388 , ma che sapeva pure veder chiaro nella situazione, quale sera andata svolgendo, aveva additato come stessero le cose nel suo rapporto personale a re Vittorio del 26 gennaio di quellanno, il rapporto che tanto era piaciuto al Sovrano. In oggi scriveva il nostro ambasciatore a Vienna larrivo a Roma del barone di Haymerle come ambasciatore di S. M. Apostolica, mette apparentemente almeno

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termine a quello stato di tensione nelle relazioni fra i due governi, che gi s vivamente cominciava a preoccupare lopinione pubblica in Italia. Dico apparentemente, poich in fondo la questione che occasion il dissenso resta aperta sino acch non venga definitivamente composta la questione dOriente n sembra ci possa verificarsi cos presto. Essa sta nei termini seguenti. Il governo di V. M. crede sii contrario agli interessi dellItalia che lAustria aumenti la sua potenza sullAdriatico collannessione della Bosnia e dellErzegovina. Il governo di S. M. Imperiale dal canto suo mentre afferma non essere affatto nei suoi desideri di annettersi Provincie Turche dichiara solennemente ed in modo anche minaccioso, che ove contro i suoi intendimenti ci dovesse verificarsi, neppur un pollice di terreno intenderebbe cedere in compenso allItalia. A mio avviso la ragione sta da parte nostra ma ritengo del pari fermamente sii inutile aver ragione quando non si ha il mezzo di farla prevalere. LAustria forte dellalleanza della Germania non ci teme, e quindi pu sfidarci impunemente. A me non risulta lItalia abbia alleati tali che in caso di bisogno siano disposti ad appoggiar colle armi le sue eventuali pretese, potrebbe quindi molto probabilmente capitarci ci che tocc alla Francia colla Germania nel 1870. Di necessit quindi conviene rassegnarci a vedere eventualmente il nostro vicino aumentar la sua potenza senza compromettere il nostro prestigio ed anche forse la nostra esistenza con inutili conati. Ci che noi dobbiamo cercare di fare si di prepararci utili ed efficaci alleanze studiandoci intanto di mantenere corrette relazioni collAustria, evitando dal canto nostro non solo inopportune discussioni intorno alla questione di cui caso ma anche tutte quelle pubbliche manifestazioni che possono dar appiglio a reclami a fronte dei quali come sempre per lo passato non abbiamo altro mezzo di sortirne se non facendo poco dignitose mal velate scuse. Ove dal

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canto nostro si segua questo cauto procedere potremo forse affrontare senza pericoli la soluzione della questione dOriente e finir per trarne qualche vantaggio. Ferma mantiensi fin qui lalleanza dei Tre Imperatori che di tutta convenienza per la Germania. Essa non sar per eterna ed il giorno verr non prossimo per in cui si scioglier; glinteressi tedeschi e russi non potendo procedere indefinitivamente concordi. Allorch ci si verificher non conviene farci illusioni: lAustria restando come sono in oggi le cose in Europa, cio perdurando lindebolimento della Francia locch dobbiamo desiderare, si manterr per necessit della sua conservazione unita alla Germania. N per conto mio vorrei altrimenti succedesse, poich ben pi paventerei unalleanza fra una rediviva Francia e lAustria collappoggio della Russia. Il nostro interesse sarebbe si potesse stabilire e mantenere lalleanza fra la Germania Austria ed Italia e comune col nostro, sarebbesi pure quello dellEuropa tutta che non avrebbe cos a temer guerre, le tre potenze riunite essendo abbastanza forti da imporre la pace alle altre. Intanto in questo momento pi ancora forse che non lOriente desta preoccupazione lattitudine reciprocamente ostile assunta dalla Germania e dalla Francia in conseguenza del contegno tenuto in seno alla conferenza [di Costantinopoli] dai rispettivi plenipotenziari e dalle voci a cui si diede luogo nella stampa dei due paesi. per mio avviso i tempi non siano ancora maturi per una nuova guerra Germano-Franca, con tutto ci non devesi tener in poco conto i sintomi che gi si palesano siccome precursori di nuova futura lotta fra quelle due potenti nazioni.2389 . Da questo quadro, cos ricco di senso della realt, emergeva chiaramente la saldezza dellamicizia austrotedesca e quindi la conseguenza era ovvia linutilit di cercar lappoggio di Berlino contro Vienna. Se Vittorio Emanuele avesse ben meditate queste assennate osservazioni del suo ambasciatore a Vienna,

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avrebbe potuto risparmiare, nellestate del 77, a s il non mantenere, di fatto, la parola tante volte pronunziata ed invocata, ed al suo paese gli esperimenti, allora inutili anzi dannosi, sul tipo del viaggio circolare in Europa del presidente della Camera dei Deputati. Vittorio Emanuele ci ha trascinati lontano. In quei primi anni dopo il 70, non savevano ancora da temere i suoi collegamenti diretti con il governo di Vienna, e la politica estera restava effettivamente nelle mani di chi ne aveva la piena responsabilit. Visconti Venosta e Lanza, Visconti Venosta e Minghetti, ma soprattutto, nel disbrigo normale degli affari, Visconti Venosta e i suoi collaboratori diretti, Artom e i ministri allestero. Tra questi ultimi, come s detto, verano bens difformit di vedute, divergenze che, nel caso del de Launay, erano assai pi che di sfumature. Eppure, la politica estera del Regno dItalia fu e diede anche lapparenza di essere una e unitaria; e la direzione suprema rimase di fatto nelle mani del ministro, per esitante, cauto e incerto che questi potesse sembrare. Visconti Venosta accordava piena libert di discussione e di critica ai suoi dipendenti, che ne usavano largamente e perfino vivacemente; accoglieva consigli, abbisognava anzi, nei momenti decisivi, di impulsi provenienti dal di fuori: nel 73, per il viaggio a Vienna e a Berlino, limpulso gli pervenne da varie parti, Robilant e de Launay dallestero, Minghetti decisivo dallinterno. Ma consigli e impulsi, intuizioni proprie e adattamento a eccitamenti altrui, tutto finiva col fondersi, con limprontarsi ad uno stile, unito e continuo2390 ; e unit e continuit fondamentali ebbe in quegli anni la politica estera dellItalia, che, dalla tranquillit e dignit dei sentimenti del ministro e dalla costanza sicura dei propositi, trasse quasi aria dantica ed era appena decenne2391 .

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NOTE

1 Il par. III del primo capitolo della prima parte riprende, ma qua e l ritoccato e parecchio ampliato, lart. Il pensiero europeo della Destra di fronte alla guerra franco-prussiana, pubbl. ne La Comunit Internazionale, gennaio-aprile 1946. 2 BCB, Carte Minghetti, cart. XV, fasc. 66. 3 R. B ONGHI (per la Nuova Antologia), 30 settembre 1870 (ora in Opere, X, Nove anni di storia di Europa nel commento di un italiano (1866-1874), a cura di M. Sandirocco, II, Milano, 1942, p. 385). 4 Al suo andare in casa Cavour alle 5 del mattino, con lArtom, per lavorar sotto la guida del gran Conte, accenna il Blanc in una lettera al Mancini del 15 dicembre 1882 (MRR, Carte Mancini, busta 638, n. 8/15). 5 Lett. 10 settembre 1870 (BCB, Carte Minghetti, cart. XV fasc. 66). Contrariamente al detto del Blanc, il Minghetti non vide per mai nella scienza positiva e nella forza le sole cose solide e sicure: cfr. qui appresso, pp. 259, 406-7, 413, 416. 6 Halte dich an das Reelle (E. L AVISSE, La jeunesse du grand Frdric, Parigi, 1891, p. 134). 7 Occorre tuttavia sottolineare che com ben noto il realismo del Bismarck sera affermato come avversione allideologismo legittimistico: cfr. soprattutto le bellissime lettere a Leopoldo von Gerlach, nel maggio 1857, Ges. Werke, Friedrichsruher Ausg., 14, p. 464 sgg., soprattutto p. 470: Das Prinzip des Kampfes gegen die Revolution erkenne auch ich als das meinige an aber ich ... halte es nicht fr mglich, das Prinzip in der Politik als ein solches durchzufhren ..., che significherebbe ignorare die Realitten, g. 464. (Anche, Erinnerung und Gedanke, Ges. Werke, 15, p. 110 sgg.) E. M ARCKS, Otto von Bismarck, Stoccarda, 1935, pp. 37-8; con maggiore limitazione del valore generale di quelle lettere, e giustamente, nel senso che spesso poi anche il Bismarek si lasci influenzare da motivi di politica interna, cio ideologici E. E YCK, Bismarck, I, Erlenbach-Zurigo, 1941, p. 271 sgg. In genere, cfr. le acute osservazioni di L. S ALVATORELLI, Bismarck, in Rivista Storica Italiana, LX (1848), p. 56 sgg., soprattutto p. 63. Non persua-

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sivo invece in genere, anche perch troppo astraente dai problemi specifici del tempo, che danno il loro pieno significato ai princpi del Gerlach (o di altri e alla realt del Bismarck, O. V OSSLER, Bismarcks Ethos, in Historische Zeitschrift, 171 (1951), p. 263 sgg. Cio: nel realismo di Bismarck, attento solo alla forza, lelemento propriamente politico rimane sempre assolutamente, quasi totalmente soverchiante; mentre lelemento economico, cos vivo invece nel realismo posteriore (si veda gi nello stesso Blanc), rimane invece assai pi nellombra. 8 Lett. del 10 settembre cit. 9 ib. ib. 10 ib. ib. 11 Cfr. gli articoli La pace (24 ottobre 1870), e soprattutto Allestero (19 febbraio 1871). Nella Nuova Antologia, gli articoli Lantico e il nuovo impero in Germania (XVI, p. 807 sgg., XVII, p. 34 sgg.), e la lettera, postuma, Agli elettori del collegio di Pistoia (XIX, 1872, p. 435 sgg.), dove il Civinini afferma di non essere n cattolico n latino di ritenere che ufficio dellItalia distruggere il Papato, e che per la sicurezza e il progresso morale e intellettuale dellItalia necessaria unintima alleanza colla Germania ed unassoluta separazione dalla Francia. Alla morte del Civinini, nel gennaio 1872, il ministro di Prussia, Brassier de Saint-Simon, inviava al Massari una lettera (La Nazione, 27 genn.) di condoglianze, esaltando nel defunto un ami, qui avait compris les avantages dun rapprochement des deux nations [Germania e Italia] trop peu connues lune lautre, e trasmetteva una offerta di 1000 lire per la sottoscrizione aperta a favore del figlio del Civinini. Il fatto colpiva come assez caractristique lattenzione del ministro austriaco, Wimpffen (r. Wimpffen, 3 febbraio 1872, n. 4 F; Saw, P. A., XI/80). Il gesto del Brassier de Saint-Simon segnalato anche dal ministro inglese A. Paget (r. 29 gennaio 1872, n. 24; F. O., 45, 197). 12 Sullattaccamento del de Launay alla sua terra dorigine, e la sua tristezza, nel 60, a dover optare fra la sua Savoia e il suo Re, cfr. in G. G REPPI, Lettres du comte Ed. de Launay ... au comte J. Greppi, in Revue dItalie, dicembre 1906, p. 738. 13 Cavour al de Launay, ministro a Berlino 23 novembre 1858. Per i motivi che spinsero il Cavour a questo passo, presso il governo prussiano della nuova ra, e per latteggiamento

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di questultimo, cfr. F. V ALSECCHI, La politica di Cavour e la Prussia nel 1859, in Archivio Storico Italiano, XCIV (1936), I, p. 39 sgg. E cfr. anche la lettera del Cavour al Manteuffel, il 18 febbraio 1858, Lettere, ed. Chiala, VI, p. 177; e L. C HIALA, Pagine di storia contemporanea, I, Torino-Roma, 1892, pp. 14 e 28. 14 AE, Ris., cart. 10. Il Visconti Venosta esprime al de Launay idee del tutto analoghe a quelle che, due settimane pi tardi, Lanza esprime a S. Jacini (S. J ACINI, Un conservatore rurale della nuova Italia, II, Bari, 1926, p. 43). 15 L. P. de Launay a Visconti Venosta, 29 luglio 1870 (AE, Ris., cart. 10). Nellaccenno ai tempi del Sacro Romano Impero, ormai lontani, il de Launay non fa che ripetere, come affermazione propria, quel che due giorni innanzi il Bismarck gli aveva detto: vous nauriez tien craindre dune Allemagne victorieuse. Celle-cine sinspirera pas des traditions surannes du St. Empire (l. p. de Launay a Visconti Venosta, 27 luglio 1870, AE, Ris., 10. Considerazioni analoghe verranno svolte dalla pubblicistica tedesca: cfr., p. es., lart. di W. L ANG, Deutsche and italienische Einheit, in Preussische Jahrbcher, XXVII, 1871, p. 219 sgg., tradotto poi in italiano, Lunit tedesca e lunit italiana, Roma, 1871). Anche lira del de Launay contro lostentazione francese di superiorit, abilmente rinfocolata dallo statista prussiano: Vous auriez cependant une occasion unique peut-tre, de battre en brche cette affectation des Francais, de vous croire sous leur dpendance (l. c.). 16 Cfr. p. es. l. p. a Visconti Venosta, 26 marzo 1871: ... quand la Frante se pavanait comete la puissance prpondrante, et visait trop nous le faire sentir. Il fallait lcarter de notte route, puisquelle diminuait la libert de nos allures (AE, Ris., cart. 10); allo stesso, 20 luglio 71 je regrette que nous ne laissions pas comprendre notte voisin, que nous traitons aver lui sur le pied dune parfaite rciprocit ... je vous cric tue-tte: osez (ib., ib.). Contro le pretese francesi de dominer, de morigner lEurope cfr. gi l. p. de Launay al Visconti Venosta 5 gennaio 1870 (ACR, Caste Visconti Venosta, pacco 4, fasc. 4). 17 Lett. cit. del 29 luglio; e cfr. r. de Launay, 27 febbraio 1871, n. 788: V. E. se souviendra que je nai pas vari depuis 1867 ... sur les chances de victoire de la Prusse et de lAllemagne, en cas de conflit arm avec la France.

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18 r. de Launay, 23 settembre 1870, n. 660. Tout porte prvoir que bientt les rapports entre Vienne et Berlin se modifieront dans un sens trs-amical. 19 Il Misogallo, prosa prima, Opere, ed. Torino, 1903, IV, p. 124. E cfr. G. G ENTILE, Leredit di Vittorio Alfieri, Venezia, 1926, p. 106 sgg. Sulle orme dellAlfieri, oltre al Foscolo, anche il Leopardi Dove non odio nazionale, quivi non virt (Zibaldone, ed. Flora, Milano, 1937, I, p. 1165 e cfr. 585 sgg.), e la insistente polemica leopardiana contro linflusso francese, per cui lindole dei costumi italiani divenuta al tutto francese (ib., I, p. 998). ... la Francia scellerata e nera aveva scritto il poeta (Sopra il monumento di Dante) poi modificando: ... la pi recente e la pi fera, Per cui presso alle soglie Vide la patria tua lultima sera. 20 Sul misogallismo del Gioberti cfr. G ENTILE, op. cit., p. 127 sgg. Quanto al Pisacane, si veda la sua polemica contro gli Italiani che tessono lapologia della Francia (Saggio su la Rivoluzione, a cura di G. P INTOR, 2 ed., Torino, 1944, p. 154 sgg. [nuova ed. rivista da F. Pintor, Torino, 1956, N, d. E. ]). 21 C. B ALBO, Della monarchia rappresentativa in Italia, Firenze, 1857, p. 93. Balbo non per avverso allimitazione, anche in ci staccandosi dal Gioberti: cfr. le sue osservazioni contro la smania doriginalit, che segno certo di piccolezza dingegno, Pensieri sulla storia dItalia, Firenze, 1858, p. 295. 22 Lett. del 17 settembre 1870 a Francesco Borgatti (Lettere e documenti del barone Bettino Ricasoli, ed. Tabarrini-Gotti, X, Firenze, 1895, pp. 128-29). Nuovamente il 31 marzo 1871, di fronte alla Comune di Parigi, egli ripete al Borgatti: ... chiunque non voglia partecipare a quelle rovine, dovr cessare dal prendere dalla Francia quello spirito infecondo e dissolvente, che inform tutta quanta la sua opera legislativa e sociale. Chi riescir, io mi domando, chi riescir a far ritornare lItalia al suo proprio spirito, al suo proprio genio, e a darle ordini conformi a questo suo genio? (ib., p. 220). 23 Si veda la lettera al Nigra, del 30 agosto 1871 (Lettere e documenti, X, p. 229); e il suo preoccuparsi perch lItalia dimostri la sua gratitudine a Napoleone III, almeno dopo morto, con lerezione di un monumento a Milano (ib., p. 275 sgg.). 24 Lett. 3 settembre 1870 a Luigi Torelli (Lettere e documenti, X, p. 124).

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25

Cfr. C. M ORANDI, La Sinistra al potere, Firenze, 1944, p.

40.
26 Lett. a Francesco Borgatti, 5 marzo 1876: se prima le nostre scuole erano inoculate della filosofia francese, oggi lo sono di quella germanica, ambedue disadatte allo spirito italiano; ma la seconda, mi pare, anche pi della prima (Lettere e documenti, X, p. 362). E gi prima aveva scritto che la filosofia tedesca era stata anche pi perniciosa al fondamento della morale delle massime socialistiche e delle idee francesi con la differenza che nella Germania manca la forza e linfluenza del clero cattolico, che pu salvare la Francia e si rende necessaria per la Germania la spada civile della Prussia (Carteggi, ed. Nobili-Camerani, III, Roma, 1945, p. 460; cfr. G. G ENTILE, Gino Capponi e la cultura toscana nel secolo decimonono, 3 ed., Firenze, 1942, pp. 76-77). 27 Lett. del 2 settembre 1870 a Francesco Borgatti (Lettere e documenti, X, p. 117). 28 Lett. al conte di Robilant, 7 marzo 1871 (AE, Carte Robilant). 29 C. B ON C OMPAGNI, Francia e Italia, lett. VIII, ne LOpinione, del 27 novembre 1871. 30 Cos disse la regina al Farini, presidente del Senato, nel ricevimento a corte per il Capodanno del 1894 (F ARINI, Diario, I, Milano, 1942, p. 402). Che Margherita fosse danimo, sovente, battagliero e la mitezza e gentilezza regali celassero anche pi plebee voglie di menar le mani, dimostra anche lespressione di una lett. al Minghetti che voglia verrebbe di picchiare addosso a quei farabutti!, e cio ai repubblicani di Forl i quali, il 10 settembre 1883, presi a sassate alcuni lampioncini con su dipinto lo stemma sabaudo, avevano poi tumultuato (Lettere fra la regina Margherita e Marco Minghetti, ed. L. Lipparini, Milano, 1947, p. 99). Logico che da ultimo ammonisse Francesco Ruffini che ci voleva il bastone: Il bastone, caro Ruffini, il bastone ci voleva (B. C ROCE, Incontri con Vittorio Emanuele III, nel Corriere della Sera, 5 aprile 1949). 31 Taine scriveva questo nel 1864, Voyage en Italie, 3 ed., Parigi, 1876, I, p. 407. 32 La politica, trad. ital., Bari, 1918, IV, p. 186.

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33 B ON C OMPAGNI, Francia e Italia, cit., lett. VII, l. c., 20 novembre 71. 34 Discorso De Sanctis alla Camera, il 23 aprile 1874 (parz. ripubbl. dal C ROCE, Dai Discorsi politici ... di Francesco De Sanctis, in La Critica, XI, 1913, pp. 331-32) 35 Pensieri sulla politica italiana, Firenze, 1889, p. 69. 36 Osservava acutamente Antonio Callenga: indubitato che in fondo a tutta la irrequietezza, la gelosia, la esigente suscettibilit degli Italiani in ogni questione relativa alla loro posizione nel concerto europeo, sta nascosta, dolorosa ed irritante, la memoria delle disfatte patite a Custoza ed a Lissa ... Lantica accusa, crudele e sotto alcuni aspetti addirittura ingiusta, che glItaliani non si battono, lacera ancora lorecchio loro, ed essi sentono che il battesimo di sangue col quale pu effettuarsi la vera rigenerazione di un popolo non stato nel caso loro tale da togliere tutte le macchie che molti secoli di avvilimento avevano lasciato sul loro carattere morale e sociale. Per quanto possano amare la pare, glItaliani dovrebbero quasi chiamarsi contenti se ad essi si presentasse loccasione di una lotta per la lotta soltanto (LItalia presente e futura, Firenze, 1886, pp. 24-25). Stesso sentire nel Guiccioli la guerra sempre una sventura, ma gioverebbe molto al nostro spirito nazionale. Bisogna che il popolo italiano acquisti coscienza delle sue virt militari (Diario, in Nuova Antologia, 16 luglio 1935, p. 224). 37 Cos, nel luglio 1882, R OCCO D E Z ERBI (Difendetevi!, Napoli, 1882, p. 49). 38 Che questo fosse il desiderio di Vittorio Emanuele II, non si pu dubitare, anche se si pub dubitare che pensasse a tradurlo in realt nellestate del 1877: cfr. C RISPI, Politica estera, 2 ed., I, Milano, 1929, p. 9 e qui appresso, p. 683. 39 l. p. Nigra a Robilant, 9 agosto 1886 (AE, Carte Robilant). 40 I doveri del Gabinetto del 25 marzo, in Scritti e discorsi politici, Torino-Roma, 23 ed., s. a. [1891], pp. 381-82. 41 Discorso alla Camera del 21 marzo 1881 (Discorsi Parlamentari di F. Cavalloni, Roma, 1914, I, p. 273). 42 Cos Domenico Farini (Diario, MRR, sub 14 febbraio 1897). 43 P. T URIELLO, Governo e governati in Italia, Bologna, 1882, 11, p. 337.

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Fino a Dogali, ed. Bologna, 1912, p. 146. A. L A M ARMORA, Un po pi di luce sugli eventi politici e militari dellanno 1866, 2 ed., Firenze, 1873, p. 312. 46 Cos il Foscolo, nella dedica al generale Caffarelli delle Illustrazioni alle Opere di Raimondo Montecuccoli. 47 Cfr. p. es., nella VI ed ultima Lettera ai suoi antichi commilitoni, del 16 ottobre 1855: Noi Italiani siamo stati, e saremoin avvenire, i maestri di guerra del mondo ... Suscitiamo in noilantica baldanza (Epistolario, a cura di A. R OMANO, Milano-Genova-Roma-Napoli, 1937, p. 237 sgg., e cfr. anche p. 218). 48 M. D E R UBRIS, Confidenze di Massimo dAzeglio, Milano,1930, p. 304. 49 Lettere di politica e letteratura, Firenze, 1855, p. 439. 50 Cfr. su ci lo sdegno del dAzeglio, nel 48 (Scritti e discorsi politici, ed. M. De Rubris, Firenze, 1936, II p. 10 e nota 1). E per la riluttanza dei Toscani, nel 59, a prender parte alla guerra sui campi di Lombardia, F. M ARTINI, Confessioni e ricordi 1859-1892, Milano, 1929, p. 6 sgg. Al Villari, che gli aveva chiesto lesenzione dalla coscrizione per gli alunni della Scuola Normale di Pisa, lAmari ministro rispondeva chiaro e tondo: Vi dichiaro che io non ci metter mai una parola. La coscrizione la base dellItalia, ondio amerei cambiare un paio di alunni della Scuola e una dozzina di professori di Scuole secondarie per un sol fantaccino. Datemi del barbaro quanto volete (Carteggio di Michele Amari, II, Torino, 1896, p. 181; 5 maggio 1864). 51 l. p. de Launay a Visconti Venosta, 24 gennaio 1872 (AE, Ris., cart. 10). 52 Saggio su la rivoluzione, cit., p. 139. 53 Op. cit., p. 156. Su questa reazione antifrancese del Pisacane, con un qualcosa dellamante tradito cfr. G. F ALCO, Note e documenti intorno a Carlo Pisacane, in Rivista Storia Italiana, XLIV (1927), p. 293. 54 r. de Launay, 27 febbraio 1871, n. 788. Cfr. anche qui appresso, p. 760, n. 220. 55 l. p. 5 gennaio 1870 al Visconti Venosta, e cfr. anche ll. pp. 6 e 12 gennaio (ACR, Carte Visconti Venosta, pacco 4, f. 4).
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Gi allora consigliava una stretta intesa, non unalleanza con la Germania. 56 l. p. de Launay al Visconti Venosta, 19 marzo 1872 (ACR, Carte Visconti Venosta, pacco 5, fasc. 2). Le Prince de Bismarck est lhomme dEtat le plus sceptique, le moins scrupuleux, mais il est dou dune rare intelligence de ses propres convenances politiques. Cest l la meilleure, je nose dire, la seule garantie de sa bonne foi en ce qui nous concerne l. p. al Visconti Venosta, 22 settembre 1872 (ib. ib.). 57 P. es., il 21 luglio 1874, seccato per il discorso pronunziato dal Nigra tre giorni innanzi, a Vaucluse, in occasione delle feste per il V centenario della morte del Petrarca, nel quale discorso rinveniva les clichs jet continu de la communaut de race, de notre reconnaissance pour la part prise la libration de lItalie, il de Launay tornava sulla sua idea fissa: Pour que cette reconnaissance devienne sincre et sans arrire pense, il faudrait avant tout rev enir sur la cession de la Savoie et de Nice, cession qui nous a t extorque par le droit du plus fort sous les apparences trompeuses du suffrage universel. Il y a l une oeuvre de rparation laquelle pour mori compte je serais heureux et fier dattacher mori nom, et jespre bien vivre assez longtemps pour contribuer amener un pareil rsultat (l. p. n. 2 al Visconti Venosta ACR Carte Visconti Venosta, pacco 8, f. 3). Significativo che il de Launay, nel suo disdegno per linno petrarchesco e francofilo del Nigra, si trovasse a concordar pienamente con gli organi della Sinistra (cfr. Il Diritto, 22, 23, 25, 28 luglio 1874). Sulla netta propensione del de Launay per la Germania e la malevolenza per la Francia cfr. anche Lettres du comte Ed. de Launay ... au comte J. Greppi, cit., pp. 739 e 754 (lett. de Launay, 17 giugno 1867: vu le caractre franais, sa manie dominante de gloriole et de chauvinisme). 58 Si le cabinet de Berlin, comme il faut lesprer en tenant compte de la perspicacit du comte de Bismarck, ne tombe pas dans la mme faute de lempereur Napolon et de ses conseillers maladroits qui taient trop enclins rgenter lEurope ...; r. cit. del 27 febbraio 1871, n. 788. 59 de Launay 4 marzo 1871, n. 789 il est vident ... quen suite de cette perspective [de complications ultrieurs], lopinion a prvalu ... de chercher des srets, non dans les dispositions du peuple franais, mais dans des garanties matrielles .... Il de Launay ripeteva quasi la stessa formula di cui il Bi-

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smarck si era valso, gi il 22 agosto 1870, durante un colloquio con Moritz Busch: Unser Schutz gegen dieses Uebel liegt nicht in fruchtlosen Versuchen, die Empfindlichkeit der Franzosen momentan abzuschwchen, sondern in der Gewinnung gut befestigter Grenzen (B ISMARCK, Ges. Werke, 7, p. 321). 60 Nel discorso agli elettori di Masserano, il 13 novembre 1870, il Sella ricorda le sue impressioni giovanili, quando studiava in quel focolaio di scienza ch la Germania, e gli appassionati conversari con studenti tedeschi: Nel nostro ardore giovanile ci pareva allora che lItalia e la Germania erano due nazioni sorelle, le quali potevano essere libere ed integre non solo senza danno o pericolo, ma con grande utile reciproco: ed ora non seppi, ministro, combattere le aspirazioni dello studente, e diedi il mio voto in favore della neutralit (LOpinione, 17 novembre 70). 61 Tra questi, si pu annoverare Oreste Baratieri, che scriveva allora nel Fanfulla, sotto lo pseudonimo di Fucile (M ARTINI, op. Cit., p. 87). 62 ... dora inanzi una barriera insuperabile ci divider dai Francesi. N io provo questa soddisfazione perch tal fatto sia in armonia coi sentimenti del mio cuore, ma perch io ho sempre temuto che lItalia si trovasse sotto linfluenza francese ed in tal caso, essendo noi ancora bambini ed ineducati, ne avremmo almeno per lunga pezza sposato lo spirito e la patria nostra avrebbe per lungo tempo fatta falsa via che lavrebbe condotta di nuovo a perdizione ... Qui lItalia riguardata come ausiliare naturale della Francia, destinata a darle i suoi uomini, i suoi tesori, le sue campagne ... capirai come ... tenga per uno dei pi gran mali che possa minacciare lItalia linfluenza francese ... (lett. al fratello del luglio 1849 in A. G UICCIOLI, Quintino Sella, 2 ed., Roma, 1887, I, pp. 24-25 e 26-27. E cfr. G. F INALI, La vita politica di contemporanei illustri, Torino, 1895, pp. 339-40). Certamente per influsso del Sella (e non del Mazzini!) simili idee venivano accolte anche da altri moderati: cosa dal suo biografo, il Guiccioli, pel quale linfluenza francese stata e sar la nostra disgrazia. Vorrei innalzare una muraglia della Cina tra noi e la Francia (Diario, in Nuova Antologia, 16 luglio 1935, p. 242). 63 Ancora il 16 marzo 1880, alla Camera, controbattendo il Cairoli, che aveva parlato severamente della politica della Destra nel 70, il Sella affermer di gloriarsi dessere rimasto

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fedele nei limiti del possibile allamicizia con la Francia, con un governo per cui lItalia aveva doveri infiniti di gratitudine (Discorsi Parlamentari di Q. Sella, I, Roma, 1887, pp. 19596). Qui la necessit polemica fa diventare il Sella assai pi ... fedele alla Francia di quanto non lo fosse stato in realt nel 70; ma pur sempre notevole comegli a differenza non solo dei Crispi, Cairoli ecc., s anche del de Launay non cercasse mai di negare o sminuire le benemerenze di Napoleone III verso lItalia. 64 Sella ad Amari, 25 aprile 1882 (Carteggio di M. Amari, cit., II, p. 276). 65 G UICCIOLI, op. cit., II, p. 6. Che il Sella fosse un ammiratore del Bismarck, contrastando cos al modo di sentire dei francofili della Destra, un Bonghi, un Visconti Venosta, altro significativo indizio del suo modo di pensare. 66 Sul M. storico, cfr. B. C ROCE, Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono, Bari, 1921, II, p. 172 sgg. 67 Cfr. La rivoluzione parlamentare del marzo 1876, Torino,1876, pp. 107 e 127 sgg. Per le critiche alla Destra, pp. 11-12,53, 63, 75, 91. Ilprogetto del Marselli fu poi delineato pienamente nella Lettera agli elettori sulla situazione parlamentare, ch del 1880. Cfr. anche La politica dello Stato italiano, Napoli, 1882, p. 54 sgg.; e C. O. P AGANI, Per Nicola Marselli nel primo anniversario della sua morte, in Nuova Antologia, 1 ottobre 1900, p. 462. 68 Gli avvenimenti del 1870-71, l. II, Torino, 1871, pp. 198, 200-01. 69 Op. cit., I. II, p. 202. Contro il miracolismo radicale alla francese, che non ha fatto avanzare la Francia dun passo nelleducazione e nelluso della libert, e per un indirizzo totalmente opposto a quello francese, il Marselli insiste nuovamente nel 1876 (La rivoluzione parlamentare, cit., p. 84 sgg.). 70 Op. cit., l. II, p. 208. 71 Op. cit., l. II, pp. 204-08. 72 Gli avvenimenti del 1870-71, p. 86. 73 Gli avvenimenti del 1870-71, l. II, p. 202, nota I. 74 Op. cit., l. II, pp. 209-10.

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75 Va notato per, chegli combatteva apertamente il gi nato razzismo germanico e la pretesa della superiorit germanica (op. cit., l. II, p. 205): egli non avrebbe mai voluto che lo chez-nous trasmettesse leredit al bei uns. 76 Cfr. C. A NTONI, La lotta contro la ragione, Firenze, 1942, p. 10 sgg. 77 Cfr. p. es.La Nazione, 9 settembre 1870, 12 e 27 marzo e 25 giugno 1871 (Ammaestramenti; Le condizioni della Francia; Cose di Francia; Lavvenire). 78 Cos aveva scritto, nel 37, il Cavour, che pur non si atteggiava a predicatore e si trovava anzi bene fra quelle delizie (Lettere, V., pp. 69 e 266). 79 Cfr. B. N OLDE, Lalleanza franco-russa, trad. it., Milano, 1940, p. 25. 80 Lettere di Gino Capponi e di altri a lui, ed. Carraresi, IV, Firenze, 1885, p. 260. 81 E. R ICOTTI, La libert e il sapere, Torino, 1871, p. 19. 82 Marselli a Robilant, 7 gennaio 1873 (AE, Carte Robilant). I presentimenti del Marselli sono oscuri, oscurissimi. Stesse idee in altra lettera del 25 marzo 73: ... dei miei presentimenti, tremo. Mi arrovello sempre sulla questione se noi statu vecchi o se siamo giovani con grande avvenire dinanzi (ib.). E gi negli Avvenimenti del 1870 sera chiesto se siamo una giovane nazione che riprende il moto o una vecchia a cui furono gittate due stampelle (p. 140). 83 Pourquoi laspiration Rome tait-elle le symbole si vivant de lindpendance italienne? Parceque nos sentiments taient juste otre froisss par laction violente et oppressive de lintervention trangre: parceque la France entendait placer sa volont seule entre lItalie et Rome (l. p. de Launay al Visconti Venosta, 2 maggio 1871, AE, Ris., c. 10). 84 Bonapartismo, ne La Riforma, 7 settembre 1870. 85 ... scendete nelle piazze delle citt italiane, andate nelle campagne, nelle officine, e voi saprete che, senza essersi cancellata la ricordanza dei benefizi che lItalia ha ottenuto dalla Francia, e senza credersi sciolta dalla gratitudine pei prestati compensi, nondimeno tutta la nazione italiana si senti [dopo Mentana] ingiuriata dal suo amico e protettore, si sent mutilata, fatta impotente, condannata per calcolo ad un eterno vassal-

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laggio dallimpero francese; e spontanea in tutti gli animi sorse e si and sempre pi propagando una singolare alienazione negli affetti del popolo italiano, non dir verso la Francia, verso quella generosa nazione a cui ci stringono vincoli indissolubili, e che ha inaugurato i princpi di libert ed propagatrice feconda di civilt nel mondo, ma verso il suo Governo, che aveva decretato e fatto eseguire quellodioso intervento. Discorso di P. S. Mancini alla Camera dei Deputati, il 19 agosto 1870 (Discorsi Parlamentari di P. S. Mancini, Roma, 1894, III, pp. 350-51). Il de Launay, invece, era stato fin dubbioso che, dati i difetti insiti nella nazione francese, e cio la pretesa a padroneggiar lEuropa, il regime della libert non li avrebbe favoriti ancor pi (l. p. 5 gennaio 1870 al Visconti Venosta, cit.). 86 La Capitale, 6 febbraio 1871 (Il martirio della Francia). E cfr. 2 febbraio (Parigi): sotto la bandiera repubblicana la Francia si rigenerata, dimostrando unaltra volta che la servit corrompe, la libert fortifica. 87 Leducazione bonapartista, ne La Riforma, 15 settembre 1870. E gi il 28 luglio La Riforma aveva insistito sul bonaparttismo che corrode ogni nerbo vitale della politica italiana, e la fa debole e servile ..., e l8 agosto aveva ribadito che la nostra forza morale sta dunque in gran parte collocata nella separazione della nostra causa da quella dellimpero napoleonico. E cfr. nel Gazzettino Rosa lingiuria contro Visconti Venosta valletto di tutte le potenze e contro il governo italiano domestico del padrone Napoleone III (in P. M. A RCARI, La Francia nellopinione pubblica italiana dal 59 al 70, Milano, 1938, p. 134). Della servilit verso la Francia dei governi della Destra discorrono, daltronde, anche i meno intemperanti uomini politici della Sinistra: cos il Mancini, nel discorso alla Camera dei Deputati, il 19 agosto 1870: quegli uomini i quali non hanno conosciuto altra politica che quella della docile e servile clientela del Governo imperiale di Francia (Discorsi Parlamentari di P. S. Mancini, cit., III, p. 375, cfr. anche p. 386). 88 La celebre frase, pronunziata nella seduta alla Camera del 31 gennaio 1891, e che provoc le dimissioni del secondo ministero Crispi, infatti da ricollegare a tutto il giudizio che la Sinistra aveva dato, sin da ventanni innanzi, della Destra. 89 La Repubblica a Parigi, ne La Riforma, 6 settembre 1870. Gi prima, Il Popolo dItalia di Napoli, democratico e repub-

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blicano, sin dallagosto ostile alla Prussia monarchica e feudale aveva detto Limpero non la Francia (11, 19 agosto): il 5 settembre la prima pagina Viva la repubblica a Parigi. 90 Scritti e Discorsi politici e Militari (Ed. Naz., VI), III, Bologna, 1937, p. 44. 91 Op. cit., p. 46. 92 Op. cit., pp. 50-51 (agli amici di Grecia, 4 ottobre 1870). 93 Carducci a Garibaldi, primi di maggio del 1871, Lettere (Ed. Naz.), VII, Bologna, 1943, p. 4. 94 Ad Adolfo Borgognoni, 21 febbraio 1878 (Lettere, XI, p. 256). 95 Dopo Aspromonte. 96 Opere (Ed. Naz.), XIX, Bologna, 1943, pp. 24-26, 29. 97 Scritti inediti, I, Carteggio inedito, a cura di A. Monti, Milano, 1925, p. 245. 98 Nel discorso alla Camera il 19 agosto 1870, ora in La disfatta della Francia, a cura di U. G UANDA, Modena, 1943, p. 19. 99 A. P., Camera, p. 259. Contro le opinioni espresse dal Sineo si schier subito La Riforma (Italia e Francia, 23 gennaio 1871). Il Sineo invi pure, il 15 febbraio, una lettera al ministro di Francia, Rothan, per protestare, anche a nome di un gran numero di colleghi, contro certe affermazioni della Riforma sui rapporti passati e futuri tra Italia, Francia e Prussia. Egli considerava lItalia come legata indissolubilmente alla Francia dalla comunanza di interessi, oltre che dalla gratitudine (G. R OTHAN, LAllemagne et lItalie 1870-7I, II, LItalie, Parigi, 1885, p. 275 n. 1 e cfr. p. 295). 100 Discorsi Parlamentari, Roma, 1913, p. 128. 101 M AZZINI, Epistolario, LVII (Scr. Ed. In., Ed. Naz., XC), p. 241 e cfr. 239. Naturalmente, Mazzini scattava ... tutta lanima mia si ribella contro una simile asserzione proferita da te. La Francia perduta dal 1815; non guida; segue. 102 Art. Le nostre contraddizioni!, 22 gennaio 1871. 103 Cos, nellindirizzo a Jules Favre del Comitato di Reggio Emilia della Lega Internazionale della pace e della libert, l8 settembre 1870 (AEP, C. P., Italie, t. 379, f. 207).

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104 La guerra franco-germanica (Scr. Ed. In., XCII, p. 122). Sullinflusso della parola repubblica cfr. Ferrari, La disfatta..., p. 58. Annotava sarcasticamente La Nazione: appena pochi Francesi hanno potuto sostituire al nome dImpero, il nome di repubblica, mutato dun tratto, sulla presente guerra, il giudizio e il linguaggio dei nostri savii e meravigliosi radicali (10 settembre 1870, Amenit radicali). 105 Cos, sin dal 20 agosto, il Bonghi ne La Perseveranza (Lopinione pubblica in Italia), che batte sul chiodo: nemici della Francia nemici della monarchia e cio dellunit dItalia. (Lattribuzione al Bonghi degli articoli di fondo, non firmati, de La Perseveranza, fatta in base allo schedario Bonghi, di cui ho potuto prender visione grazie alla gentilezza della sig.na Maria Sandirocco, che ringrazio vivamente.) 106 Gi il 29 luglio il Dina scriveva al Castelli Mi pare che lopinione venga migliorando; non c affetto in generale alla Francia, ma si comincia ad intendere che la vittoria della Prussia sarebbe un danno gravissimo per noi, Carteggio politico di Michelangelo Castelli, Roma-Torino-Napoli, II, 1891, p. 472. Pi tardi, il Visconti Venosta parlava di questo gran cambiamento dellopinione pubblica europea allincaricato daffari francese, De la Villestreux, il quale, per conto suo, segnalava al suo governo il notevole mutamento di tono della stampa italiana (r. 19 dicembre 1870; AEP, C. P., Italie, t. 379, ff. 384-385). 107 Caduto Napoleone Dio non fu pi coi Prussiani. LaFrancia repubblicana rappresenta in questo momento quella giustizia per cui lEuropa faceva voti in favore della Prussia, La Capitale, 20 gennaio 1871 (La religione di re Guglielmo e il bombardamento di Parigi). E gi il 17 dicembre 1870: in Francia sventola ora una simpatica bandiera, fra le cui pieghe religiosamente conservasi il codice della libert (Le tradizioni). 108 Cfr. gli articoli de Il Lombardo, diretto da Felice Cavallotti, del 16, 18, 20 gennaio 1871. Alcune espressioni di questo giornale di Sinistra avanzata sembrano dettate dal moderato Bonghi: implacabile ferocia dei Prussiani; la nostra epoca tornata indietro di parecchi secoli e non ha pi nulla da invidiare alla ferocia medievale. E cfr. anche giudizi simili in F. E NGELS, Notes sur la guerre de 1870-1871, trad. franc., Parigi, 1947, pp. 95 sgg., 185 sgg., 225 (sono gli articoli che Engels inviava alla Pall Mall Gazette).

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109 Per lopinione pubblica inglese favorevole alla Germania sino a Sedan, e orientatasi poi a pro della Francia cfr. K. M EINE, England und Deutschland in der Zeit des Ueberganges vom Manchestertum zum Imperialismus 1871 bis 1876, Berlino, 1937, pp. 26, 28, 30, 31-32, 39-41. Anche, J. M ORLEY,The life of William Ewart Gladstone, Londra, 1903, II, p. 357. Il mutamento sottolineato dalla Perseveranza del 26 ottobre (Lopinione pubblica inglese). Il 17 gennaio 1871 il ministro a Londra, Carlo Cadorna, riferiva al Visconti Venosta che lopinione pubblica inglese si era sensibilmente modificata dallinizio della guerra allorquando nella Francia altro non si vedeva che la Nazione che aveva provocata una guerra che riputavasi ingiusta, e che soprattutto influiva in tal senso il bombardamento di Parigi (r. Cadorna, 17 gennaio 1871, n. 187). In Russia uguale mutamento dellopinione pubblica, determinato da preoccupazioni politiche per leccessiva potenza della Prussia, e da sentimenti di compassione per i francesi. Tal rivolgimento nellopinione generale della stampa, financo nella Gazzetta Russa di Pietroburgo, che tenea dapprima per la causa Germanica, ancora pi visibile e pi vivo nella cittadinanza e nel popolo di Russia, e sarebbe impossibile il non vederne i segni nel linguaggio che tengono tutto giorno i mercatanti, i contadini e i borghigiani di questo paese (r. Caracciolo, Pietroburgo, 1-13 febbraio 1871, n. 217). Per la stampa svizzera cfr. H. U. R ENTSCH, Bismarck im Urteil der schweizerischen Presse 1862-1898, Basilea, 1945, p. 101 sgg. 110 Violentissimo, ad es., il Piccolo Corriere di Bari, che il 14 gennaio attaccava addirittura re Guglielmo di Prussia: Oh, noi chiamiamo re Bomba Ferdinando Borbone ... E non sar giusto chiamare oggi Guglielmo di Prussia re bombone?. Per questo, protest il vice console a Bari della Confederazione Germanica del Nord. 111 Ministero Istruzione Pubbl. a Ministero Esteri, 27 gennaio 1871 (AE, Rapp. Germania). 112 R. de Launay, 31 dicembre 1870, n. 747. La risposta del Dove nello Staatsanzeiger del 18 dicembre e, riassunta (La risposta dellUniversit di Gottinga), nella Perseveranza del 30 dicembre. Si noti: Il popolo tedesco che nelle sue aspirazioni intellettuali si studia sempre di realizzare la superba sentenza di Paracelso: Inglesi, Francesi, Italiani, seguite me; non io voi, stato obbligato ad abbandonare il lavoro pacifico

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da unaggressione. Ma esso combatte per la sua esistenza nazionale, la sua coscienza morale, il suo onore, e anche per la pace del mondo e per la moralit umana; giacch queste cose sarebbero distrutte, se lidea duna Giustizia vendicatrice dovesse cancellarsi dalla coscienza dei popoli. Se il mondo serba tuttavia la fede in cotesta giustizia, lo deve, dopo Dio, al popolo tedesco 113 Proprio contro lopera funesta dei dotti tedeschi, i quali, anzich concorrere allutile e doveroso apostolato di pace e di libert volsero ingegno, dottrina e autorit ad inasprire le ire, insorgeva M. M ACCHI, I dottrinarii dAlemagna, Milano, 1871, p. 6 sgg. 114 Altro significativo indizio dello stato danimo della maggioranza, ormai, liniziativa per venire in soccorso degli agricoltori francesi, con linvio di sementi o di danaro, presa da un Comitato Italiano alla cui testa stava il senatore Luigi Torelli, prefetto di Venezia, e, in Lombardia, dalla Societ Agraria (cfr. La Perseveranza, 11 febbraio 1871). 115 La voce della Francia, ne La Riforma del 9 settembre 1870. Gi il 6 settembre nellarticolo La Repubblica a Parigi si poteva leggere: La guerra prolungandosi, diverrebbe guerra di razze, e sarebbe impossibile di prevederne la fine. tempo che gli odii si spengano, che vengano meno anche i ricordi onde furono suscitati. 116 Il conflitto franco-germanico, ne La Riforma, 29 settembre 1870. Anche il Roma e il Pungolo di Napoli temperarono assai il loro atteggiamento antifrancese. Al momento delle trattative di pace, La Riforma osserva che le condizioni imposte dalla Germania costituiscono un grandissimo errore, e se possono essere approvate dallo stretto diretto, sono condannate dalla magnanimit e dalla prudenza politica, derivandone una pace che cova e matura la guerra (La Pace, 1 marzo 71). 117 La neutralizzazione delle provincie renane, ne La Riforma del 30 agosto 1870. Cfr. Ultimi scritti e discorsi extraparlamentari (1891-1901), Roma, 1913, p. 394. 118 Il quale scriveva nella Perseveranza del 13 novembre (LEuropa e la guerra): pi vero anche ci che molti, diventati barbari a un tratto, dimenticano che quando un popolo civile ha vinto, ha salvato colla vittoria tutti glinteressi legittimi suoi, e non continua, per stravincere, una guerra; della quale

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vede limpossibilit di menarla a termine senza venir meno ad ogni umanit! e senza fare un infinito ed irreparabile danno a s medesimo 119 Perfino un uomo di stato come lAndrssy credeva ad un noch nicht erschpften Streit zwischen den lateinischen und deutschen Vlkerstmmen (nellistruzione segreta al Beust, del 1 aprile 1872, per un accordo intimo con lInghilterra, in F. L EIDNER, Die Aussenpolitik Oesterreich-Ungarns vom deutschfranzsischen Kriege bis zum deutsch-sterreichischen Bndnis, 1870-1879, Halle, 1936, p. 15). La Perseveranza del 29 luglio 1870 vedeva nella guerra la lotta di razza, tramandatasi da secoli di padre in figlio, tra Francesi e Tedeschi, da duemila anni fa fra Latini e Teutoni. Un po di consolazione qualcuno la trovava almeno nel fatto che fra le nazioni latine lItalia era quella che stava meglio (LOpinione, 25 febbraio 71, La razza latina); che teneva alta la bandiera latina (P. V ILLARI, La guerra presente e lItalia, Firenze, 1870, p. 23). Nettamente pessimistiche invece le considerazioni di C. A LFIERI, Considerazioni a proposito della guerra del 1870, in LItalia liberale, Firenze, 1872, p. 437 sgg. 120 Cfr. B. C ROCE, La letteratura della nuova Italia, 4 ed., Bari, 1943, III, p. 359 sgg. Quanto al Ferrero noto chegli ne LEuropa giovine (1897) contrappose lEuropa giovine dei Germani e degli Slavi allEuropa invecchiata dei Latini. 121 Correspondance, 4 serie, Parigi, 1904, p. 44 e cfr. p. 42. 122 Lalliance latine, Parigi, 1871, specialmente p. 72 sgg. Anche ne La Perseveranza del 18 ottobre 70 si parla dellutilit di stringer insieme Spagna, Italia e Francia, le stirpi latine che possano un giorno opporre i loro 80 milioni di uomini ai 60 milioni delle stirpi tedesche; e nel numero del 25 novembre si saluta nellelezione del duca dAosta a re di Spagna il principio duna pi intima ... unione tra la stirpe spagnola e litaliana nel comune nome latino, che divenga il focolaio di una civilt pi mite, pi sostanziale, pi vera di quella tedesca (Bonghi), Anche prima tali idee avevan trovato sostenitori: cfr. p. es., G. D E S IMONE, La pace di Vienna e lItalia, Napoli, 1866, p. 34; ID., Del principio di nazionalit come fondamento delle nuove alleanze e dellequilibrio europeo, Napoli, 1867, p. 46 (con accessione dellAustria allalleanza delle genti latine).

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123 Rome et la rpublique franaise, Parigi, 1871, p. 201 sgg. e soprattutto p. 206. 124 Il Gazzettino Rosa aveva scritto, il 28 luglio 1870: Non amo i Prussiani perch sono di razza tedesca, eterna nemica della latina. Non amo i Francesi perch odio generalmente chi vuol farla da padrone in casa daltri, per la loro blague, e per Mentana (A RCARI, op. cit., p. 131). 125 La Riforma prende apertamente posizione, il 27 dicembre 1871 (Lalleanza latina), contro le idee dellOrsini approvate dalla Perseveranza (Lalleanza latina, 11 dicembre): limpero latino, idea napoleonica, deve esser relegato tra i sogni; lopuscolo dellOrsini unaberrazione. un funestissimo errore lelevare a ragione determinante unalleanza il principio della razza, tanto pi che un errore il parlare di razze latine, come di razze germaniche. (La frase riferita nel testo, nellart. del 29 sett. 70.) 126 Non neppure che si abbia a temere che la civilt sia irremissibilmente perduta col declino politico della Francia ... e non neppure che col cadere della Francia la causa della libert sarebbe perduta nel mondo: no; pur troppo di libert non la Francia che fu maestra alle genti, sotto qualunque nome e forma di governo chessa abbia adottato o vagheggiato. 127 C RISPI, Pensieri e profezie, Roma, 1920, p. 133. 128 La Riforma, 21 febbraio 1871 (Italia e Francia). Lo ripeter il Crispi: la Francia detesta lItalia, e tutti i governi, Direttorio, Consolato, Impero, monarchico, repubblicano ne hanno alimentato gli odi (Pensieri e profezie, p. 123). 129 Si vedano le dichiarazioni Mancini alla Camera, il 19 agosto 1870 (qui appresso, p. 167-68, n. 158). 130 Delliniziativa rivoluzionaria in Europa, Scr. Ed. In., IV, pp. 163, 170-71. E cfr. Fede e avvenire, ib., VI, p. 317; e, proprio nel 71, Sulla rivoluzione francese del 1789. Pensieri, Scr. Ed. In., XCII, p. 217 sgg. 131 ib., IV, p. 178. 132 Fede e avvenire, ib., VI, p. 339 (e cfr. ancora Sulla rivoluzione francese ... , ib., XCII, p. 218-19). Ripreso, quasi identico, dal C RISPI, Pensieri e profezie, cit., p. 130.

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133 Cfr. A. O MODEO, Primato francese e iniziativa italiana, in Figure e passioni del Risorgimento, Palermo, 1932, p. 51 sgg. [ora in Difesa del Risorgimento, 2 ed., Torino, 1955. N. d. E.]. 134 Agli Italiani (1853), ib., LI, pp. 37-38. 135 Epistolario, LVII (Scr. Ed. In., XC), p. 162. 136 ib. ib., p. 264. Ma gli esempi si potrebbero moltiplicare; cfr. p. es., ivi, pp. 267, 300-01, 318, 321-22. 137 ib., LVII (XC), p. 179; LVIII (XCI), p. 176. 138 Epistolario, LI (Scr. Ed. In., LXXXII), pp. 157-58 (29 maggio 1866). Cfr. anche F. Q UINTAVALLE, La politica internazionale nel Pensiero e nella Azione di Giuseppe Mazzini Milano, 1938, pp. 208 e 210. 139 La Guerra, ib., LXXXIII, p. 243, (in Il Dovere del 14 maggio 66). 140 Cfr. le giuste osservazioni del M ENGHINI nellintroduzione al vol. LXXXVI degli Scr. Ed. In., p. XXI sgg. 141 Je ne partage pas les vues politiques du Comte de Bismarck: sa mthode dunification na pas mes sympathies. Mais jadmire sa tnacit, son nergie, et son esprit dindpendance vis vis de ltranger je crois lunit de lAllemagne, et je la dsire, comme je dsire celle de ma Patrie. Jabhorre lEmpire et la suprmatie que la France s arroge sur lEurope (Scr. Ed. In., LXXXVI, pp. 107-08). In questa formulazione chiarito perfettamente latteggiamento mazziniano di fronte alla Germania. E cfr. la lettera a Carlo Blind, il 1 agosto 70, Nous voulons lunit Germanique comme lItalienne; et nous haissons lEmpire (Epistolario, LVI, Scr. Ed. In., LXXXIX, p. 337). 142 La guerra franco-germanica, Scr. Ed. In., XCII, pp. 124125, 139. E si veda laccenno al militarismo [prussiano], contrapposto allanarchia e al vuoto didee [francesi], nella lettera a Camillo Finocchiaro-Aprile, del 5 aprile 1871 (Epistolario, LVIII, Scr. Ed. In., XCI, p. 3); e nello scritto Agli Italiani (1871): ... la Germania minaccia disterilire la vasta potenza di pensiero che in essa saccoglie, commettendo lazione che dovrebbessere collettiva e la formazione della propria Unit a una Monarchia militare ostile alla libert (Scr. Ed. In., XCII, p. 88). 143 I fatti che seguirono diedero un altro grave insegnamento allEuropa ed che un popolo , in parte almeno e quando

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tollera lungamente, responsabile dellingiusta immorale politica del suo Governo che deve, per legge di cose, soggiacere alle conseguenze che non basta a evitarle la caduta di quel Governo, quando determinata, non da fede e sacrificio spontaneo del popolo, ma da un errore o da un atto codardo di quel Governo medesimo (Scr. Ed. In. XCII, pp. 130-31). 144 Epistolario, LVI (Scr. Ed. In., LXXXIX), p. 320. 145 Io, caro Nicol, ho lanima a bruno ... noi abbiamo lasciato che escisse forse per poco liniziativa dalla Francia e che si compisse la profanazione di Roma colla Monarchia. Il duplice mio sogno sfumato (a Nicol Le Piane, 17 ottobre 70, Epistolario, LVII, Scr. Ed. In., XC, p. 63; e cfr. lett. agli operai di Genova, 24 ottobre, ib., pp. 81-82: Liniziativa repubblicana, che doveva ribattezzare lItalia alla sua terza missione, sorta per durarvi o no dalla Francia. E Roma, patria dellanima, profanata da una Monarchia; e lett. a Giorgina Saffi, 6 novembre, ib. ib., p. 111: Nessuno di voi ha potuto capire la condizione dellanimo mio, uscendo da Gaeta ... lideale della vita, sfumato!). 146 Repubblica non che di nome (La guerra francogermanica, Scr. Ed. In., XCII, p. 128 e cfr. p. 123). E cfr. nellEpistolario: non credo che la Francia possa ora incarnare il principio e liniziativa in s. Dove sentissi altrimenti, sarei ... in Francia (LVII, Scr. Ed. In., XC, p. 132, cfr. pure pp. 57-58). 147 Cos nel 34, nello scritto Delliniziativa rivoluzionaria in Europa (Scr. Ed. In., IV, p. 163 sgg. e specialmente p. 168 e nota 1); cos nel 71, soprattutto Sulla rivoluzione francese del 1789. Pensieri, gi cit. 148 Cfr. lasprissimo giudizio del 5 giugno 71, ad Emilia Venturi (Epistolario, LVIII, Scr. Ed. In., XCI, p. 74): non ero davvero ottimista sulla Francia; ma non avrei mai pensato che sarebbe caduta tanto in basso. E lultimo scritto del Mazzini pubblicato nella Roma del Popolo tra il 22 febbraio e il 7 marzo 1872, doveva essere quasi simbolo la severa critica della Rforme intellectuelle et morale di E. R ENAN (Scr. Ed. In., XCIII, p. 229 sgg.). Il credere che la Rivoluzione francese costituisse linizio di una nuova epoca e che liniziativa fosse ancora della Francia, erano i due errori fondamentali che

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falsavano i caratteri del moto progressivo e lo indugiavano in Francia e in Europa (ib., XCIII, p. 232). 149 Scr. Ed. In., (ib., XCII, pp. 137-39). 150 ... vedo oggi ancora pi vivo e potente chio non credeva leccessivo prestigio esercitato dalla Francia e dai ricordi della sua grande Rivoluzione sulle menti dei nostri giovani ... (Sulla rivoluzione francese del 1789, Scr. Ed. In., XCII, p. 218). 151 Su questa mancanza di coscienza di s degli Italiani, come sulla causa di ogni male il Mazzini ritorna assai spesso tra il 70 e il 71: cfr. Epistolario, LVII (Scr. Ed. In., XC), p. 88 abbiamo tutto in noi, fuorch la coscienza della nostra missione e della nostra potenza, p. 294 lItalia sembra dormire nel sonno dei sette dormienti; LVIII (XCI), 3-4, 34 ecc. 152 Scr. Ed. In., LXXXVI, pp. 109-10. 153 Scr. Ed. In., XCIII, p. 231. 154 Epistolario, LVIII (Scr. Ed. In., XCI), p. 163. 155 Giuseppe Garibaldi, Un anno dopo. 21 gennaio 1872, in Opere, XIX, pp. 23-24. Motivo del tutto identico nel Canto dellItalia che va in Campidoglio: S, s, portavo il sacco a gli zuavi E battevo le mani Ieri a Turcs: oggi i miei bimbi gravi Si vestono da ulani. Al cappellino, o a lelmo, in ginocchione Sempre: ma lesta e scaltra Scoto la polve di unadorazione Per cominciarne unaltra. Scr. Ed. In., VI, p. 318. Gran sostenitore del parallelismo di sviluppo del principio di nazionalit nei due paesi fu, sempre, il Mancini, che nel discorso alla Camera sulla legge delle Guarentigie, il 28 gennaio 1871, ricord le opinioni espresse dal Bismarck sulla stretta affinit tra questione italiana e questione germanica, costituenti una questione sola, o due aspetti di una medesima questione; non essere possibile separarle e combattere contro luna, senza offendere e rinnegare anche laltra, e vi ader per questa naturale comunanza degli interessi e dei programmi nazionali dellItalia e della Germania (Discorsi Parlamentari di P. S. Mancini, III, p. 426. Cfr. F. R UFFINI, Nel primo centenario della na156 157

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scita di P. S. Mancini, in Nuova Antologia, 16 marzo 1917, p. 13 dellestratto). E gi il 25 luglio 1870 un altro dei leaders della Sinistra, il Miceli, aveva affermato che lItalia obbedendo ai suoi princpi era attratta verso la Germania (A. P., Camera, p. 3681). 158 La Riforma, 16 gennaio 1873 (Laboremus). 159 Se nel discorso del 19 agosto 1870 questi aveva fatta la solenne distinzione tra Francia e Napoleone III (cfr. qui sopra p. 159, n. 84), poco pi innanzi, nella stessa occasione, cominciava a dimostrare diffidenza per la Francia in s: la Convenzione di Settembre nelle mani dellimperatore Napoleone III minspira molto minor timore, che nelle mani di qualunque altro Governo che potrebbe in Francia succedergli, perch colui il quale ha combattuto a Magenta ed a Solferino ... troverebbe sempre nei suoi precedenti un morale impedimento a disfare lopera sua, ed a trascorrere al di l di certi limiti, anche quando volesse compiacere i nostri nemici. Ma, signori, un titolo di quella natura ed efficacia in mani di un altro Governo francese qualsiasi, non escluso anche quello di una repubblica francese, permettete che ve lo dica da buono italiano, mi farebbe spavento (M ANCINI, Discorsi Parlamentari, III, p. 357). Tra le due posizioni assunte a cos breve intervallo, c una profonda contraddizione di cui il M. non sembra accorgersi: ma quest appunto il momento significativo, come che segni il trapasso inavvertito dallantibonapartismo allantifrancesismo, dal motivo soprattutto ideologico a quello che muove essenzialmente da considerazioni di potenza. 160 Lo ha gi osservato G. S ALVEMINI, La politica estera della Destra (1871-1876), in Rivista dItalia, XXVII (1924), vol. III, p. 362. 161 Cfr. larticolo di fondo della Riforma del 28 luglio 1870; e soprattutto i due articoli Le nostre Alleanze nei numeri del 22 e 23 ottobre. 162 Die auswrtige Politik Preussens, 1858-1871, IX, Oldenburg i. O., 1936, p. 774 (Bismarck, a Usedom, 9 marzo 1868). La Germania naturale alleata ecc., riappare un mese pi tardi, nel noto memoriale al Mazzini ([E. D IAMILLA -M ULLER], Politica segreta italiana 1863-1870, Torino, 1880, p. 364 sgg.), di cui per la paternit mi sembra assai dubbia.

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163 ... non dimenticate lalleanza naturale della nostra nazione (nella prima Lettera agli Italiani pubblicata ne La Perseveranza del 10 agosto 1870). Ma poich il Mommsen parlava anche dei nostri gridi dammirazione per i combattenti di Novara, dello scoppio dentusiasmo [in Germania], quando i Lombardi scossero le catene austriache, La Perseveranza osservava che nella lettera del Mommsen prevaleva una facolt che propria dei Tedeschi, la fantasia, ricordando invece latteggiamento del Parlamento di Francoforte nel 48 e del governo prussiano nel 59 (la confutazione del Mommsen fatta dal Bonghi). 164 La Riforma, 21 febbraio 71 (Italia e Francia). Anche qui, Crispi riprende il motivo: Le alleanze, che direi naturali, sono quelle delle potenze che hanno un medesimo interesse a difendere, un medesimo fine a raggiungere. Siamo noi in tali condizioni con la Francia? Sventuratamente fra i due paesi esistono due quistioni, che da sole bastano a tenerli divisi: il Mediterraneo e il Papa, Pensieri e profezie, p. 128. Non sar inutile osservare che se il Cavour, nel 58 e nel 61 aveva parlato della Prussia come di un alleato naturale dellItalia (C HIALA, l. c.), ci era avvenuto a prescindere dalle necessit tattiche del momento, che valevano per un Cavour non meno che per un Bismarck non certo facendo della Prussia il solo alleato naturale e contrapponendo come poi i Crispi e compagni tale naturalit alla opposta naturalit del contrasto con la Francia! 165 Per questo, rinvio al secondo volume di questopera [LA. rinvia qui al volume che, nel piano originario, avrebbe dovuto seguire a questo delle Premesse, e che non fu mai scritto. N.d.E.] 166 G. R ATTI, Le alleanze dItalia, 2 ed., Milano, 1866, p. 13 e cfr. pp. 9, 19, 20 sgg., 53 sgg. Il motivo base per il fatale urto italofrancese , naturalmente, il contrasto per il dominio del Mediterraneo. Cfr. anche nel Blanc, qui sopra pp. 25-26. Pure nel Turiello gran sostenitore dellespansione coloniale italiana, della riconquista dellequilibrio nel Mediterraneo lavversione alla Francia muove dallidentico presupposto (op. cit., ma 21 ed., II, Bologna, 1890, p. 235, che precisa e accentua la la ed., II, p. 335). 167 Cfr. larticoloLe spedizioni di volontari in Francia nella Riforma del 19 settembre 1870: in Italia, non in Francia ora la

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causa della libert del mondo, in Italia: qui il posto assegnato ai credenti nella libert, al dovere dei patrioti italiani. E si veda pure una lettera di Benedetto Cairoli ad Orazio Dogliotti del 9 novembre 1870: soggiunsi [a Garibaldi] aver io la convinzione che il suo sacrificio non solo sarebbe inutile, ma pericoloso, perch togliendoci le simpatie della Germania non ci avrebbe restituito quelle della Francia, la quale ancor oggi si vanta nostra creditrice malgrado le antiche e recenti offese. Vorrei ingannarmi ... ma temo che Garibaldi si pentir poi amaramente della sua subitanea risoluzione (L. C. B OLLEA, Documenti inediti della famiglia Cairoli, in Bollettino della Societ Pavese di Storia Patria, XV, 1915, p. 270). Invece Il Diritto approvava la decisione di Garibaldi (13 ottobre: Garibaldi e la quistione di Nizza). 168 Cos La Riforma del 23 luglio 1870. 169 Cos Il Diritto del 23 settembre 1870 (Le condizioni della pace e la lettera di T. Mommsen). Kulturkampf aiutando, questa missione della Germania fu esaltata a lungo: nella Riforma del 16 gennaio 1873 (Laboremus) la Germania era raffigurata come face e faro di civilt e di progresso, contro i vieti princpi e dottrine del passato, che si attribuiscono alla razza latina. 170 Cfr. ne La Riforma del 21 agosto 1871 (AllOriente): Se vi ... una nazione costituita con vera base democratica, precisamente la Germania, dove le armi sono in mano della nazione, e la rappresentanza politica esce dalle viscere di un larghissimo suffragio, dove la scienza e la virt costituiscono lautorit, dove listruzione diritto e dovere comune. Vi ha in ci lavvenire sicuro di una libert vera: ben altro che le convulsioni perpetue di unanarchia morale, a cui il pregiudizio delleducazione francese possa attribuire il falso nome di libert e di democrazia. E si rammenti che il Marselli auspicava il trionfo della democrazia armonica di stampo germanico (cfr. sopra p. 37). 171 Il risveglio della Francia dopo tanti anni di letargo, mi esalta; ma non posso illudermi. Auguro con tutta lanima che le evocate memorie del 92 inspirino la energia della fede in questa titanica lotta: auguro, non spero, non chiudo gli occhi allevidenza. Anche i prodigi hanno un confine, e temo quindi effimera la Repubblica che prende per base del suo risorgimento limpossibilit di una rivincita contro linvasione

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straniera. (Lett. alla cugina Fedelina, 6 settembre 1870, in M. Rosi, I Cairoli, 2 ed., Bologna, 1929, 11, p. 266.) 172 La Riforma del 6 settembre, in polemica con LItalie
173 bene tener presente che La Riforma fu fondata nel 1867 da Crispi, Cairoli, Bertani, e altri (C RISPI, Politica interna, Milano, 1924, p. 32), che la sua direzione rimase nelle mani di Crispi e Oliva, e pi tardi, anche di Miceli e di Lazzaro (J. W HITE M ARIO, Agostino Bertani e i suoi tempi, II, Firenze, 1888, pp. 333 e 337); e dopo la breve sospensione della pubblicazione, fra il 10 e il 16 dicembre 1872, la riprese con un consiglio direttivo composto da Colonna di Cesar, Crispi, Nicotera, Oliva, Seismit-Doda (La Riforma, 17 dicembre 1872). Una volta, il 26 aprile 1874, Crispi ebbe a manifestare, in una lettera aperta al giornale, il suo dissenso (anche per alcuni articoli del passato che non esprimevano esattamente le mie opinioni): ma si trattava di problemi di politica interna. 174 Cfr. infatti Il Diritto del 13 ottobre 70 (Garibaldi e la quistione di Nizza): lItalia non pu n favorire lagitazione nizzarda, per non rendersi rea di slealt verso la Francia, al momento in cui questa sopraffatta dal nemico, e per non negare quel diritto plebiscitario che la base del nostro diritto pubblico; e non pu, daltra parte, combatterla, perch codesta agitazione , in sostanza, una prova affettuosa .... 175 Nice nous tendrait les bras, et, quant la Savoie, il nous conviendrait de la dtacher de la France, si non pour en rentrer en possession, du moins, ce qui vaudrait peut-tre mieux, pour la constituer en tat neutre en union personnelle avec la Suisse (l. p. de Launay a Visconti Venosta, 24 gennaio 1872, gi cit.). 176 Il 27 luglio 1870, in un momento cio assai critico dei rapporti Prussia-Italia, il Bismarck, dopo aver affermato che la Germania, nonch ispirarsi alle tradizioni del Sacro Romano Impero, avrebbe un immenso vantaggio a veder aumentare la potenza dellItalia, insinuava: Pourquoi nenverriez-vous pas un corps dobservation vers Nice? (l. p. de Launay a Visconti Venosta, 27 luglio 1870, gi cit.). E le sue trame con la Sinistra e la missione Holstein in Italia sfruttavano largamente il motivo Nizza italiana. Agli approcci tedeschi accennava apertamente lArtom, col Rothan: ... on nous a fait maintes fois ... des insinuations au sujet de Nice; nous les avons toujours repousses avec indignatin (R OTHAN, LAllemagne et

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lItalie, cit., II, p. 169, e cfr. p. 277 ma sotto la data 23 febbraio, mentre il r. n. 44 del 21, AEP, C. P., Italie, t. 380, ff. 266-266 v.); e con sdegno respingeva simili eccitamenti La Perseveranza del 30 ottobre 70 (La stampa francese): nessuno uomo di senno e di cuore in Italia ha pensato che dovessimo dare de calci alla Francia poich non potevamo darle la mano!. E cfr. anche 19 dicembre (Siamo parziali?): i due art. sono entrambi del Bonghi. 177 In un lungo colloquio col de Launay, il 23 marzo 1871, Blsmarck me laissa entendre quil net dpendu que de nous, de profiter de cette guerre pour revendiquer la Savoie et le comt de Nice. Il et suffi dune sunple manifestation, appuye par 4/m hommes de troupes. (l. p. de Launay a Visconti Venosta, 24 marzo 1871. AE, Ris., 10). 178 Nel 1872 il tenente generale conte Petitti di Roreto, che aveva assistito alle manovre della Guardia prussiana, si sentiva dire dal Moltke stesso: Je nai jamais compris pourquoi vous nayez pas alors [durante la guerra franco-prussiana] repris Nice; vous n aviez qu vouloir; et maintenant ce serait fait. E tal frase, annotava il Petitti, rispondeva ad un sentimento assai comune nellesercito germanico (r. Petitti di Roreto al ministero della Guerra, 20 ottobre, trasmesso agli Esteri il 30 ottobre). E cfr. le dichiarazioni dellintendente generale dellesercito prussiano Stosch, al Robilant, il 14 ottobre 1870, in S ALVEMINI, La politica estera della Destra, l. c., 1924, p. 365 n. 2. 179 ... voi sapete pure, che la culla dei vostri re ora dipartimento francese, e il vostro eroe francese di nascita ex-post. T. M OMMSEN, Agli italiani, Firenze, 1870, p. 6. Questo nella prima lettera alla Perseveranza (10 agosto 70). Successivamente, il Mommsen trov anchegli che forse era convenevole e giusto non servirsi di questoccasione per rivendicare i territori italiani passati alla Francia (ib., p. 26). 180 Contro il Weber protesta recisamente il M ACCHI, op. cit., p. cit., 24 sgg. 181 A un certo punto, si affacci anche un irredentismo crso: Mauro Macchi si rec dal Rothan per dirgli che dei Corsi, giunti a Firenze e probabilmente aizzati dalla Prussia, si sarebbero incontrati con deputati dellestrema Sinistra, per organizzare un Comitato separatista simile a quello di Nizza (r. Rothan,

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4 marzo 1871, n. 56; AEP, C. P., Italie, t. 381, f. 103. Cfr. R OTHAN, LAllemagne et lItalie, cit., II, p. 362, ma sotto la data 25 marzo [sic!] e senza il nome del Macchi). Su questi tentativi, D. S PADONI, Perch la Corsica nel 1870-71 non torn allItalia, in Arch. Storico di Corsica, XIV, 1938, pp. 1-20; e cfr. G. V OLPE, Italia moderna 1815-1915, I, Milano, 1943, pp. 67-68. Ma tutto con molto minore eco che non la questione di Nizza. 182 La questione riappare ancora, seppure meno vivamente, pi tardi: cfr. Il Diritto, 17 giugno 1872. 183 Art. Le nostre alleanze, II. 184 Scr. Ed. In., XCIII, p. 85. Ancora una volta bisogna attentamente distinguere fra lettera e spirito per capire la differenza di posizione fra il Mazzini e lambiente Crispino (del Crispi, daltronde, il genovese trovava meschina la condotta nel maggio 71, Epistolario, LVIII, Scr. Ed. In., XCI, p. 44). Anche Mazzieri voleva Nizza: Nizza e Roma sono i due nomi accomunati, nel programma chegli traccia nellagosto 70 e che ripete ostinatamente (Nous voulons Rome et Nice Epistolario, LVI, Scr. Ed. In., LXXXIX, p. 337; 1 agosto 1870). Ma Nizza, come Roma, sono viste nel quadro di un generale rivolgimento repubblicano in Italia (a cui potrebbe seguire anche quello in Spagna, cfr. Epistolario, LVIII, Scr. Ed. In., XCI, p. 141): sono parti di un pi compiuto, profondo, generale riscatto, morale e politico. Tant vero, che, nel caso di un moto a Nizza da lui daltronde non ritenuto opportuno penso che sarebbe bene manifestare altamente desiderio dunione allItalia e fare appello ad essa, per dare un punto dappoggio al levarsi contro il Governo che rifiuterebbe in Italia (a Luciano Mereu, 14 aprile, 1871, ib. ib., p. 19); e che, venuta meno la speranza nel rinnovamento organico, generale, lagitatore pu scrivere sanche Trento, Trieste e Nizza fossero nostre, noi avremmo il contorno materiale, lorganismo inerte dItalia: manca laltro fecondatore di Dio, lanima della Nazione (ib. ib., p. 162). La questione di Nizza sempre indissolubilmente collegata col movimento generale in Italia, per la repubblica, con un rinnovamento generale europeo; non mero acquisto territoriale in s e per s e sia pur rivendicazione di terra gi italiana quale appariva per il Crispi e gli altri agitatori del Comitato di Firenze.

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185 Il 19 agosto 1870 (C RISPI, Discorsi Parlamentari, Roma, 1915, II, p. 78). Sulle proteste di tenerezza del Crispi per la Francia e sulle lacrime del cocodrillo della Riforma, dopo il 4 settembre, cfr. larguta nota del B ONGHI (Contraddizioni, ne La Perseveranza del 12 settembre 1870). 186 Scrivendo a Giovanni Bovio il 17 luglio 1889, perch si evitino le agitazioni irredentistiche per Trento e Trieste, Adriano Lemmi, gran difensore della politica crispina, dice infatti: nella coscienza dei migliori st che la questione di Trento e Trieste, come quella di Nizza, non si risolve con un colpo di mano. E il 23, ad Aurelio Saffi, contro gli agitatori: Mica parlano, sai, di Nizza ma ti pare? Quella non terra Italiana ... (MRR, Carte Crispi, b. 660, n. 7/7, e b. 664, n. 13/10). 187 Il 19 agosto 1870 (Discorsi Parlamentari, II, p. 78). 188 La moralit dellidea nazionale (La Riforma, 25 settembre, 1870). 189 Lora solenne (La Riforma, 3 ottobre 1870). 190 Si veda soprattutto lo scritto sulla Nationalit (Scr. Ed. In., VI, p. 123 sgg.); ed anche quello Delliniziativa rivoluzionaria in Europa (ib. ib., IV, p. 180). E cfr. A. L EVI, La filosofia politica di G. Mazzini, Bologna, 1917, p. 217 sgg.; G. S ALVEMINI, Mazzini, 48, ed., Firenze, 1925, pp. 43-44; L. S ALVATORELLI, Il pensiero politico italiano dal 1700 al 1870, 3 ed., Torino, 1943, pp. 215-36, 243, 246 [6 ed. riveduta, Torino, 1959, N.d.E.]; O. V OSSLER, Mazzinis politiches Denken und Wollen in den geistigen Strmungen seiner Zeit, Monaco-Berlino, 1927, p. 73; ID., Lidea di nazione dal Rousseau al Ranke, trad. it., Firenze, 1949, pp. 115-16; H. K OHN, Profeti e popoli, trad. it., Milano, 1949, p. 97. 191 Le fratellanze universali, le democrazie cosmopolite saranno bellissime cose, ma senza la primordiale idea della patria, senza il principio di nazionalit, sono idee illogiche e vacue (La Riforma, 25 settembre). E si paragoni col credo mazziniano: Il faut que rattache la loi gnrale de lhumanit, source de toute nationalit (la traduzione del Saffi meno incisiva: Scr. Ed. In., VI, p. 134). Come si vede, il rapporto fra i due termini , nella crispina Riforma, mutato nei confronti della formulazione mazziniana. E anche se, altre volte, il pensiero del Mazzini appoggia pi de-

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cisamente sul termine patria, la validit di questa pur sempre in funzione dellumanit: senza patria non umanit; ma luna e laltra sono egualmente sacre: e la nazione lo strumento con cui raggiungere lintento ultimo e la patria il punto dappoggio dato alla leva che deve operare a pro dellumanit (La Santa Alleanza dei Popoli, in Scr. Ed. In., XXXIX, p. 214). Nella formulazione della Riforma rimane, invece, solo il disprezzo per lo incerto indefinito cosmopolitismo della seconda met del secolo XVIII, condannato s dal Mazzini, perch privo dellidea di patria, e con particolare veemenza polemica proprio nel 1871, contro gli internazionalisti dogni genere (Scr. Ed. In., XCIII, p. 85); ma senza che questo anticosmopolitismo attenui in lui il senso dellumanit. (Cfr. sempre i Doveri delluomo, ib., LXIX, pp. 47-69.). Senza Patria, non possibile ordinamento alcuno dellUmanit dice, nel 71, il Mazzini; ma ripete pure LUmanit il fine, la Nazione, il mezzo. Per i Crispi, gli Oliva ecc., invece, lUmanit anche come fine sta scomparendo. 192 28 aprile 1871. 193 La politica italiana in Oriente, 1 settembre 72. 194 Cfr., dopo lart. del 5 giugno 71 sulla situazione austriaca, la serie di articoli fra lagosto e lottobre 1871: 14 agosto; AllOriente (21 e 27 agosto); Il problema austriaco (7 settembre); Il partito liberale austriaco (19 settembre); Il problema austriaco sul tappeto (21 settembre); Il principio di nazionalit (11 ottobre); La Dieta di Trieste e lAustria (18 ottobre). 195 Cfr. La questione del Trentino (26 agosto 1871, cfr. 7 ottobre 71): i nostri fratelli trentini, pensino che essi fan parte integrale e carissima della famiglia italiana; che fra le loro montagne sono le porte della casa comune, e che, se la fortuna non ci fu propizia finora, ci non toglie che dovremo rivendicarle, e che un giorno dovranno essere restituite. Si tenga presente che nellestate del 71 la questione del Trentino era riapparsa nella stampa italiana (A. S ANDON, Lirredentismo nelle lotte politiche e nelle contese diplomatiche italo-austriache, I, Bologna, 1932, pp. 95-96). 196 La dieta di Trieste e lAustria (18 ottobre 71): ...affetto che i Triestini sentono per la stirpe alla quale appartengono [litaliana] e loro forti aspirazioni, alle quali riservato il compimento nellavvenire.

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197 bene tener presenti queste considerazioni sullAustria della Riforma per intendere come poi, nel 77, durante il suo celebre colloquio col Bismarck a Gastein, Crispi potesse tentare di allettare il cancelliere germanico parlandogli dellAustria tedesca, dellunit germanica non compita, uscendo addirittura nella frase A voi non dispiace il territorio austriaco (C RI SPI , Politica estera, cit., p. 27). A chiarir meglio ancora tali grossi errori di prospettiva politica pu essere addotto il fatto che anche tra i moderati, in Italia, vera chi paventava fatale e non lontano lassorbimento dellAustria nel Reich (B ONGHI, ne La Perseveranza, 13 agosto 70, 15 gennaio 71); che anche in Inghilterra si credeva allora e ancora nel 75, agli appetiti bismarckiani nei riguardi dellAustria tedesca; e vi credeva, fra gli altri, lambasciatore britannico a Berlino, lord Odo Russell (cfr. M EINE, op. cit., pp. 69, 164, 166, 176, 187). Ancora nel 1878, dopo il Congresso di Berlino, il segretario generale agli Esteri, Maffei di Boglio, riteneva che lobbiettivo del Bismarck non poteva essere che quello di rivendicare ogni particella di territorio tedesco, e di trasferire per conseguenza la sede delledificio Austro Ungarico da Vienna a Pest (l. p. Maffei a Robilant, 9 settembre 1878; AE, Carte Robilant). 198 AllOriente, II (27 agosto 71). 199 Cfr. V. V ALENTIN, Geschichte der deutschen Revolution von 1848-1849, II, Berlino, 1931, p. 125 sgg.; L. B. N AMIER, 1848: The Revolution of the Intellectuals (Proceedings of the British Academy, 1944, XXX), p. 88. 200 Il Bismarck alla Magdeburgische Zeitung, 20 aprile 1848: io avrei compreso, che nel primo impeto di forza nazionale tedesca si fosse chiesta lAlsazia alla Francia e piantata la bandiera tedesca sul duomo di Strasburgo; ma baloccarsi con il cavalleresco e il romanzesco, liberar e applaudire i Polacchi prigionieri a Berlino [allude ai fatti del 20 marzo] perch poi i Polacchi insorgano contro i Tedeschi ... (Ges. Werke, 141 pp. 105-06). Sullimportanza di questo scritto, cfr. E. M ARCKS, Bismarck und die deutsche Revolution, 1848-1851, ed. da W. Andreas, Stoccarda-Berlino, 1939, p. 41 sgg. 201 Notevole che al partito liberale austriaco La Riforma muovesse rimproveri: la democrazia viennese, come quella parigina, ha la mania del centralismo, e questo lequivoco in cui saggira (Il partito liberale austriaco, 19 settembre 71).

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202 Sin dal 5 giugno 71 la parte tedesca e la parte italiana dellimpero fra non molto tempo dovranno congiungersi ciascuna alla propria famiglia, colle quali sono chiamate a vivere dalla voce irresistibile della natura e dei pi vitali interessi. 203 Perfino dopo la caduta del ministro Hohenwart, La Riforma continu a credere nellimminenza di una soluzione radicale, crollo o profonda trasformazione politica e territoriale dellimpero asburgico (Le due crisi austriache, 12 novembre 71). 204 Il sentimento nazionale (25 giugno 72). 205 Quest infatti il succo delle affermazioni del Mazzini sulla nazionalit. Ed palese tanto negli scritti rammentati del 34 e del 35, quanto e forse ancor pi negli ultimi. Nel 1859 La Patria la vostra vita collettiva la vita che annoda in una tradizione di tendenze e daffetti conformi tutte le generazioni che sorsero, oprarono e passarono sul vostro suolo ... la Patria la fede nella Patria Ai giovani dItalia (Scr. Ed. In., LXIV, pp. 165-66). Nel 71 ... Ia Nazione , non un territorio da farsi pi forte aumentandone la vastit, non una agglomerazione duomini parlanti lo stesso idioma ... ma un tutto organico per unit di fine e di facolt ... Lingua, territorio, razza non sono che gli indizi della Nazionalit, mal fermi quando non sono collegati tutti e richiedenti a ogni modo conferma dalla tradizione storica, dal lungo sviluppo duna vita collettiva contrassegnata dagli stessi caratteri. Nazionalismo e nazionalit (Scr Ed. In., XCIII, pp. 92-93). Nei Doveri delluomo, esplicito laccenno al voto (Scr. Ed. In., LXIX, p. 67). Non qui il caso di discutere se la dottrina della nazionalit come fatto morale (un but commun) debba o meno essere rivendicata al Buchez e al sansimonismo, come vuole R. T REVES, La dottrina sansimoniana nel pensiero italiano del Risorgimento, Torino, 1931, p. 71 sgg. E cfr. invece, su questa natura spirituale e volontaria della nazione, soprattutto V. G. G ALATI, Il concetto di nazionalit nel Risorgimento italiano, Firenze, p. 50 sgg.; anche G. G ENTILE, I profeti del Risorgimento italiano, Firenze, 1928, p. 39. 206 Moltiplicate quanto volete i punti di contatto materiale ed esteriore in mezzo ad unaggregazione di uomini; questi non formeranno mai una nazione senza la unit morale di un pensiero comune, di una idea predominante che fa una societ quel chessa , perch in essa vien realizzata. Linvisibile possanza di siffatto principio di azione come la face di Prometeo che sveglia a vita propria ed indipendente largilla, onde crearsi un

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popolo: essa il Penso, dunque esisto de filosofi, applicato alle Nazionalit. (Della Nazionalit come fondamento del diritto delle genti, in P. S. M ANCINI, Diritto Internazionale. Prelezioni, Napoli, 1873, pp. 35-36.) E proprio nellestate del 70 il Mancini conferma le sue idee: nel discorso del 19 agosto 70, alla Camera, egli ricorda le sue precedenti affermazioni: Il medesimo principio, che nel diritto pubblico interno si chiama Sovranit nazionale, e si realizza nel suffragio universale, quello che nel diritto internazionale chiamasi principio di nazionalit. Gi questequivalenza basterebbe a dimostrare la importanza del fattore volont nel principio di nazionalit: ma poco pi oltre il pensiero ancora pi esplicito: Fu come conseguenza di queste premesse, che si adoper la magnifica formola che rendevasi Roma dei Romani, e, quando i Romani il volessero, dellItalia (M ANCINI, Discorsi Parlamentari, III, pp. 341 e 347; ma gi nel discorso alla Camera del 18 novembre 1864, ib., II, p. 119. Qui il fattore volont appare dunque decisivo. Cfr. F. L OPEZ D E O ATE, pref. a P. S. M ANCINI, Saggi sulla nazionalit, Roma, 1944, p. XIV sgg.). La tesi ultimamente sostenuta dal C URCIO (Nazione Europa Umanit, Milano 1950, pp. 154, 161, 189), che nel Mancini la nazione sia una realt soprattutto naturale, apprezzabile in quanto ha posto in rilievo la non organicit di principi della teoria nazionalitaria, il frammischiamento di elementi eterogenei nel Mancini, e soprattutto il fatto che il fattore natura e le dottrine giusnaturalistiche abbiano in lui ben altra importanza che non nel Mazzini, non senza poi che la natura si alterni con la Provvidenza, oscillandosi dunque fra giusnaturalismo e una specie di misticismo. Ma, a sua volta, il Curcio ha poi nettamente sottovalutato la coscienza, di cui, nella prolusione romana del 1872, il Mancini torner a parlare come dellelemento precipuo fra quelli che costituiscono una nazionalit, dello spirito vivificatore di essa, ecc. (Prelezioni, cit., pp. 189 e 203). Posizione pienamente, totalmente giusnaturalistica quella del Crispi: non quella del Mancini. 207 Cfr. P. E. T AVIANI, Problemi economici nei riformatori sociali Risorgimento Italiano, Genova, 1940, p. 239 sgg. 208 Cfr. p. 128 n. 3. Gi il 28 settembre, il Bonghi ne La Perseveranza aveva sostenuto che prima di una decisione gli Alsaziani e i Lorenesi avevano il diritto di poter esprimere il loro voto (Le condizioni della pace).

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209 Tale preoccupazione palese allinizio e nel finale dellarticolo: Se le dottrine della Perseveranza e dellOpinione dovessero applicarsi, ne verrebbe la conseguenza che lunit del nostro paese sarebbe esposta a sfasciarsi per la volont scismatica di alcuna delle sue popolazioni. una teoria che ai separatisti pu piacere, ma che il partito unitario deve respingere con ogni possa. 210 Lo aveva detto il Mommsen il 17 settembre 70: si dice che i romani siano in gran maggioranza neri e preferiscano i ceppi del Papato e del cardinalato alla libert italiana. Fosse pur ci vero, gli italiani hanno ugualmente diritto a Roma capitale, perch la nascita dellItalia anteriore ai plebisciti (nel Diritto, 22 settembre; e poi in op. cit.). 211 Il principio di nazionalit (La Riforma, 20 dicembre 70). Gi il 30 agosto 70 idee analoghe sul principio unitario ... anteriore e superiore ad ogni forma di governo. Da esso trae la sua legittimit la rivoluzione italiana. E sulla questione dellAlsazia-Lorena La Riforma torner l8 ottobre 1872, a proposito dellemigrazione in Francia dei patrioti delle due regioni (Il principio di nazionalit): anche ora, sostenendo le stesse idee sui diritti imprescrittibili della nazione, che sussistono sempre finch durino i naturali confini che separano nazione da nazione, ed in mancanza di questi, finch sorviva una razza, una storia, una lingua comune; sulla unit nazionale chesiste per se stessa indipendentemente da ogni voto e da ogni plebiscito. 212 Il 17 settembre 1870 tale concetto era stato ripreso ancora da La Perseveranza (art. Landata a Roma) per affermare necessario il voto del popolo per aggiungere il territorio romano agli altri: proprio quel che metteva in furore il Crispi! 213 Cos, felicemente, La Perseveranza del 23 agosto 1870 (Le condizioni della pace secondo i Tedeschi). 214 Si veda infatti la polemica fra Il Diritto, laltro organo magno della Sinistra, e il Mommsen, nel settembre del 70, proprio a proposito dellAlsazia-Lorena: Il Diritto si appella alla volont delle due regioni, le cui popolazioni sole devono risolvere la questione, e proclama il plebiscito come base del diritto pubblico moderno, polemizzando anche apertamente con certi giornali democratici italiani, della democrazia giacobina che negano tali princpi (12, 22, 23, 24 e 25 settembre 70).

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Il Mancini stava in una via di mezzo, piuttosto contraddittoria in s: mentre da un lato dichiarava non dipendere dalla volont lappartenere ad una pi che altra nazione e il suffragio non essere che prova estrinseca della unit ed identit nazionale posizione Crispi e La Riforma dallaltro difendeva lutilit dei plebisciti, augurandosi che divenisse canone obbligatorio nel Diritto delle Genti il subordinare la legittimit di ogni territoriale aggregazione allapprovazione del suffragio delle popolazioni de cui destini si dispone posizione dei moderati e del Diritto (Prelelezione del 1872, l. c., pp. 202-03). Il Mancini era poi reciso nel sostenere lindispensabilit del plebiscito pe casi di nazionalit dubbia; e questo nemmeno La Riforma lo negava, nellart. del 20 dicembre. 215 Cfr. La Perseveranza, 1 novembre 1870 (Lo spirito crociato dei Tedeschi). 216 Si veda infatti gi nel De Maistre la giustificazione della guerra, come origine delle grandi cose, arti, scienze ecc.: le sang est lengrais de cetre piante quon appelle gnie (Considrations sur la France, c. III, ed. Lione-Parigi, 1860, p. 41 sgg.). E dopo il 70, si veda Renan (qui sopra, pp. 86-87). 217 Lattivit nazionale, ne La Riforma del 28 dicembre 70. 218 Recisamente antirazzistico in genere larticolo, gi ricordato, sullAlleanza latina, del 17 dicembre 1871. 219 Non per nulla abbiamo sempre professato ... lunit e lindivisibilit della sovranit nazionale come diritto anteriore e superiore al suffragio stesso delle diverse popolazioni dItalia (Gli avvenimenti di Parigi, ne La Riforma del 24 marzo 1871). 220 Scritti e discorsi politici di Francesco Crispi, cit., pp. 329330. 221 Ib., p. 723. La formula riappare anche nella lettera a Primo Levi, 16 novembre 1891: Del resto, ho detto pi volte, che la nostra nazione esiste quia nata; e non aveva bisogno dei plebisciti per essere; e in altra lettera allo stesso, 16 agosto 1892 Natio quia nata, ricordatevelo: Carteggi politici inediti di Francesco Crispi (1860-1900), Roma, 1912, pp. 466 e 471. 222 Crispi a Raiberti, 14 novembre 1891 (Carteggi politici inediti, cit., p. 461). 223 La esistenza di una nazione o la negazione di essa non possono dipendere dal voto di un popolo. La nazione , perch

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Dio lha fatta. Un plebiscito pu costituire un fatto giuridico, ma non creare un fatto contrario alla natura, Pensieri e profezie, cit., p. 148: dove riaffiora anche il concetto pure espresso nella lett. a Primo Levi, il 4 novembre 1891: ... i plebisciti sono nulli, quando sono contro il diritto di nazionalit e contro la libert. Siccome vietato il suicidio alluomo, vietato alla nazione (Carteggi politici inediti, cit., p. 459). Questa una posizione gi del Mancini (prolus. del 1872, cit., p. 203): impossibile che una nazione possa rinnegare il fatto della propria nazionalit. 224 Discorsi Parlamentari di Marco Minghetti, VIII, Roma, 1890, p. 124. 225 Cfr. L. R USSO, Ritratti e disegni storici, serie prima, DallAlfieri al Leopardi, Bari, 1946, pp. 98-99 [3 ed., Firenze, 1963 N.d.E.]. 226 Basti, per tutti, il mazziniano appello ai Giovani dItalia, nel 1859: Adorate la Libert. Rivendicatela fin dal primo sorgere e serbatela gelosamente intatta ... Quei che vi dicono: voi dovete avere prima Indipendenza, poi Patria, poi Libert, o sono stolti o pensano a tradirvi e a non darvi n Libert n Patria n Indipendenza. Per che lIndipendenza lemancipazione della tirannide straniera e la Libert ... dalla tirannide domestica; or, finch, domestica o straniera, voi avete tirannide, come potete aver Patria? La Patria la causa dellUomo, non dello schiavo (Scr. Ed. In., LXIV, pp. 182-83). Daltronde, gi il Manifesto della Giovine Italia era stato esplicito: ... tre basi inseparabili dellIndipendenza, della Unit, della Libert. 227 Cfr.L. S ALVATORELLI, Pensiero e azione del Risorgimento, 2 ed., Torino, 1544, p. 174 [7 ed., Torino, 1962. N.d.E.]. 228 Discorsi Parlamentari, l, p. 700; e cfr. W. M ATURI, Ruggero Bonghi e i problemi di politica estera, in Belfagor, luglio 1946, p. 416. 229 Nel discorso alla Camera del 18 novembre 1864, e, nuovamente, il 19 agosto 1870 (Discorsi Parlamentari, II, p. 119, III, p. 341). Sulla nazionalit come svolgimento del principio della libert, nel Mancini, cfr. L OPEZ D E O ATE, l. c., p. LIV sgg., LXIII sgg.

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230 C. C ARACCIOLO D I B ELLA, Dieci anni di politica estera, Citt di Castello, 1888, p. 20. ( il discorso pronunziato al Senato il 4 maggio 1878, A. P., Senato, p. 134.). 231 Scritti politici, ed. Ferrarelli, Napoli, 1889, p. 220. Cfr. B. C ROCE, La commemorazione di Francesco de Sanctis, ora in Pagine sparse, II, Napoli, 1943, p. 362 [ora in Pagine sparse, 2 ed., Bari, 1960. N.d.E.]. 232 Considrations sur le gouvernement de Pologne, c. III (Oeuvres compltes, ed. Parigi, 1826, p. 358). 233 Il Carducci ha colto perfettamente questo momento: ... in altri i tristi odii nazionali installati dagli storici e dagli scrittori dei tempi di servit o di sventura, sublimemente appassionati, fermentavano pi che mai freddi e atroci, fino a divenire teoriche di politica (Giuseppe Garibaldi. Un anno dopo, 21 gennaio 1872, in Opere, XIX, p. 24). Dove finissima, anche, la contrapposizione fra la passione dun tempo (Alfieri) e la freddezza dottrinaria delloggi. 234 L. M AGAGNATO (Nazione e rapporti internazionali nel pensiero di Mazzini, Vicenza, 1943, p. 25 sgg.) e il K OHN (Profeti e popoli, cit., pp. 87, 88, 101-02), hanno insistito sui pericoli nazionalistici che lesaltazione della nazione (e del primato di Roma) fatta da Mazzini celava. Ora, non c alcun dubbio che in tale glorificazione il pi tardo nazionalismo potesse trovar quegli spunti che non trovava certo, non diciamo in un Cattaneo, ma nemmeno nei moderati. Senonch, sarebbe ingiusto ed errato giudicare troppo Mazzini da quel che avvenne poi (secondo capita soprattutto, forse, al Kohn), dimenticando che la nazione in Mazzini sempre connessa indissolubilmente con lumanit (cio, per lui, (Europa: per vago che sia il concetto e non politicamente concretato) e con la libert, che ne costituivano ad un tempo i due limiti. E dellinfrangimento di questi limiti Mazzini non responsabile. 235 La eredit politica del 1870 (2-3 gennaio 1871). 236 Difendetevi!, cit., p. 55. 237 Politica Internazionale (1871), Scr. Ed. In., XCII, p. 153 sgg., 164-65. 238 Lonorevole Miceli, alla Camera, 18 aprile (A. P., Camera, p. 344).

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239 C ARACCIOLO D I B ELLA, op. cit., p. 19. Il Caracciolo di Bella, gi ministro dItalia a Costantinopoli e Pietroburgo, si era poi schierato nelle file della Sinistra da senatore, dal maggio 1876. Lespressione su riferita si trova nel discorso al Senato del 4 maggio 1878. 240 Cos, nella seduta della Camera del 18 dicembre 1876, lon. Miceli, uno degli specialisti della Sinistra nelle discussioni di politica estera, tanto da esser designato dal Bonghi come il ministro degli Esteri della Sinistra allora quando la Sinistra era allopposizione (A. P., Camera, pp. 407-08; qui appresso p. 599). Dichiarazioni simili il Miceli far anche pi tardi, ritenendo che la costituzione delle nazionalit balcaniche fosse (unica soluzione degna dellepoca, e attendendosi i pi grandi risultati da una politica volta a tutelare il principio di nazionalit (8 e 9 aprile 1878 A. P., Camera, pp. 343, 346, 383). 241 Cfr. qui appresso, p. 716. 242 r. Wimpffen, 10 giugno 1881, n. 27 A; Saw, P. A., XI/91. Daltronde, gi nella prolusione di Roma del 1872 il Mancini aveva cercato di rassicurare: il principio di nazionalit non imporre menomamente (obbligo di bandire novelle crociate per isconvolgere gli Stati esistenti e rifare la carta territoriale di Europa Prelezioni, cit., p. 199). 243 Il Governo italiano non ha abbandonato n i principi ai quali deve la sua origine, n le loro conseguenze, Depretis alla Camera, 18 dicembre 1876 (A. P., Camera, p. 414, non riportato nei Discorsi Parlamentari). Nello stesso discorso Depretis alla Camera il 23 aprile 1877, ripresa del programma ministeriale: allaffermazione che lItalia deve continuare nella politica pacifica, prudente, dignitosa che fin qui le ha cattivato le simpatie delle Potenze europee seguiva la limitazione senza che, per prudenza eccessiva, rinunzi alla sua devozione ai grandi princpi della civilt e dellumanit. (Ib., p. 2716, c. s.). 244 Il Wimpffen, infatti, non attribuiva eccessivo valore alle suddette dichiarazioni del Mancini. 245 Nella seduta del 9 aprile 1878 alla Camera: nei limiti prescritti dai trattati esistenti e dai riguardi dovuti alle potenze amiche, la nostra azione diplomatica sar dunque diretta eziandio ad appoggiare, quanto pi efficacemente si potr, glinteressi di quelle nazionalit alle quali gli italiani portano s viva simpatia (A. P., Camera, p. 383).

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246 Discorso del 23 aprile 1877 (A. P., Camera, pp. 2693-94). Identico tono nel discorso dell8 aprile 1878 (A. P., Camera, p. 374 sgg.). 247 Discorso dell8 aprile 1878 (A. P., Camera, pp. 355-56). 248 Discorso alla Camera del 9 aprile 1878 (Discorsi Parlamentari di Felice Cavallotti, I, p. 85 sgg.). 249 Dellinsurrezione di Milano nel 1848 e della successivaguerra, Lugano, 1849, p. 306 [33 ed., Torino, 1949, N.d.E.]. 250 Nel discorso Cairoli, il 28 maggio 1876 a Milano, rivendicazione anche di Nizza, oltre che di Trento e Trieste (S ANDO N , op. cit., I, p. 124). 251 La questione dOriente, 16 novembre 1870. 252 La eredit politica del 1870, 2-3 gennaio 1871. 253 Cfr. il discorso di Torino, del 25 ottobre 1887, Scritti e discorsi politici, pp. 709-10, e i discorsi alla Camera, del 3 febbraio 1879 (Discorsi Parlamentari, II, p. 339), del 15 marzo 1880, ib., II, p. 408, dove si riprende il disegno mazziniano della confederazione, e del 4 maggio 1894, ib., III, p. 746. E cfr. C RISPI, Politica estera, I, p. 296 sgg., e Questioni internazionali, Milano, 1927 (ristampa), p. 231 sgg., dove la sua posizione dal P ALAMENGHI -C RISPI, ordinatore del Diario e documenti del Crispi ed editore di queste opere, tratteggiata sempre come quella dellantico mazziniano. 254 C RISPI, Questioni internazionali, p. 241 sgg. (intervista col Figaro del febbraio 1897). 255 Pensieri e profezie, p. 6 (1900). Ma quandera al governo, Crispi dubitava della possibilit di attuazione, in Europa, dellarbitrato internazionale (Discorsi Parlamentari, III, pp. 589-90). E si veda la sua discussione col Desmarest, nel settembre-ottobre 1891, dove il riconoscimento dei grandi vantaggi dellunione europea sopraffatto dalla discussione sui rapporti Italia-Francia, sulla Triplice e dalla polemica contro gli alleati attuali della Francia, lo Czar e il Papa. Per far lunione europea, la Francia si associ alla Triplice Alleanza, che , ormai il primo nodo della confederazione europea (!). Le dichiarazioni finali sono molte chiare nella politica pratica, bisogna prendere il mondo qual ... non si deve perdere il tempo nella discussione di ipotesi alla cui effettuazione necessaria lopera dei secoli ... rimettiamo ai nostri successori il co-

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ronamento dellopera di progresso ... (Ultimi scritti e discorsi extra-parlamentari, cit., pp. 381-97). 256 G. P., IX, p. 54 sgg. e 56 n. I. Cfr. H. K RAUSNICK, Holsteins Geheimpolitik in der Aera Bismarck, 1886-1890, Amburgo, 1942, p. 73. 257 Colloquio col Nigra, 25 gennaio 1896: Nostro desiderio , che non si muti lo statu-quo territoriale nella penisola balcanica. Vogliamo per che, ove qualche mutamento avvenga, ove un riparto si faccia dello impero turco, lItalia debba aver la sua parte. Il conte Nigra conviene in tutto ci (MRR, Carte Crispi, b. 668, n. 1/4). La parte dellItalia doveva essere Tripoli (colloquio con il vice-ammir. Accinni e il capitano di vascello Bettolo, 16 novembre 1895, MRR, Carte Crispi, b. 667, n. 35/10. In Questioni internazionali, p. 253, questa parte del colloquio non viene riportata). 258 Il Diritto, 9 febbraio 1877 (La Costituzione in Turchia). 259 Limpero austro-ungarico una necessit per noi. QuellImpero e la Confederazione elvetica ci tengono a giusta distanza da altre nazioni che noi vogliamo amiche ... ma il di cui territorio bene non si trovi in immediato contatto con lItalia (Discorsi Parlamentari, II, p. 408. Quasi con le stesse parole in Pensieri e Profezie, p. 3, questa silloge di pensieri che spesso servirono come appunti preparatori ai discorsi). Le prime dichiarazioni sulla necessit dellAustria, elemento di civilt verso lOriente, furono fatte e si capisce il perch nel viaggio a Vienna, lottobre del 77, ai redattori di giornali austriaci (Politica estera, I, p. 63: da notare, come nei colloqui col Bismarck, alcune settimane prima, non v un solo accenno in tal senso, ivi, pp. 25 sgg., 46. Pieno riconoscimento della necessit dellAustria per lequilibrio europeo il Crispi far invece, col Bismarck, dieci anni appresso, il 2 ottobre 1877, ivi, p. 290). 260 Se lAustria si dissolvesse, allItalia sarebbe tolto un baluardo verso Oriente. Nellorbita dellImpero non una nazione, fra quelle che lo costituiscono, non una nazione che abbia per popolazione e per ragioni politiche tanta forza da poter costituire una potenza tale da resistere alle invasioni che verrebbero da destra o da sinistra dellImpero austro-ungarico. E allora? LItalia sarebbe in contatto di quelle grandi Potenze, le quali, nellattrito, potrebbero dominarla, come gi fu essa dura-

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mente dominata nei secoli passati (Discorsi Parlamentari, III, p. 746). 261 La Perseveranza, 17 giugno 1871. LItalie ha detto che se lAustria non esistesse, bisognerebbe inventarla, tanto cotesto stato sembra a lei necessario; crede per che i Tedeschi dellAustria si uniranno alla Germania. Ma se questo si verificasse, continua La Perseveranza, la Germania gi troppo poderosa avrebbe un incremento notevolissimo, e lAustria gi troppo infiacchita, cadrebbe al rango di potenza di secondordine. E lequilibrio europeo, cos enormemente sbilanciato dallultima guerra, sarebbe completamente sconvolto e lItalia si troverebbe ad avere vicino a s, nellAdriatico, la giovane e vigorosa Germania, con la quale ogni gara pacifica come ogni eventuale ostilit sarebbe assai pi ardua che con lAustria. Ecco quindi come nellinteresse di tutta lEuropa e pi specialmente nellinteresse italiano, non si possa veder senza apprensioni il progressivo indebolimento della potenza austriaca. 262 Nel discorso di Firenze dell8 ottobre 1890 (Scritti e discorsi politici, p. 760). 263 Nel discorso di Firenze dell8 ottobre 1890 Scritti e discorsi politici, p. 750). 264 Ib., pp. 750-52. 265 Discorso alla Camera, il 4 maggio 1894 (Discorsi parlamentari, III, p. 746). 266 Colloquio del Crispi con lambasciatore dAustria, Pasetti, 25 ottobre 1896: Pasetti dichiara che limperatore ha molta stima di Ciispi; e Crispi: In verit, io sento vera devozione pel vostro sovrano. Ricordandomi le origini del suo regno, le difficolt chegli seppe superare, ritengo Francesco Giuseppe come il principe, che per mente e cuore primeggia su gli altri principi di Europa. Quando fui a Vienna e Buda-pest, ebbi a costatare, chegli amato dai suoi popoli. E dissi a me stesso, bisogna che limperatore avesse delle speciali qualit, perch i suoi popoli, dimenticando le severit di regno del 18-18 e del 1849, lo amassero (appunti autogr. Crispi, MRR, Carte Crispi, b. 668, n. 2/10). 267 4 maggio 1894 (Discorsi parlamentari, III, p. 746). Laccenno allumanit che si svolge con quella libert e quella vigoria che le nazionalit divise non potrebbero avere qui, ve-

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ramente, mero espediente oratorio, senza alcuna connessione con tutto il ragionamento precedente. 268 MRR, Carte Crispi, b. 668, n. 14/6. 269 Ultimi scritti e discorsi extra-parlamentari, cit., p. 396. 270 Nel discorso al Crystal Palace del 1872 (W. L ANGER, La diplomazia dellimperialismo, trad. it., I, Milano, 1942, pp. 120-21). 271 Per questo prussianizzarsi, non solo esteriormente, del sentimento nazionale tedesco, cfr. F. M EINE, Johann Gustav Droysen. Sein Briefwechsel und seme Geschichtsschreibung, in Historische Zeitschrift, 141 (1929), p. 249 sgg.; e anche K AEGI, Historische Meditationen, I, Zurigo, 1942, p. 290 sgg. Ma soprattutto F. G ILBERT, Johann Gustav Droysen und die preussischdeutsche Frage, Monaco-Berlino, 1931, p. 120 sgg. 272 De lAllemagne, ed. Parigi, 1857, p. 6. 273 La riorganizzazione della societ europea, 1945, p. 95 sgg. e soprattutto 100. 274 Su Michelet e la Germania cfr. W. K AEGI, Michelet und Deutschland, Basilea, 1936, e anche Der junge Michelet, in Historische Meditationen, II, Zurigo, 1946, pp. 115 e 117 sgg. [trad., it., in Meditazioni storiche, Bari, 1960, pp. 239-71. N.d.E.]. 275 Su tutto il problema, cfr. J. M. C ARR, Les crivains franais et le mirage allemand, Parigi, 1947. 276 C ARR, op. cit., p. 63 sgg. 277 Cfr. O. J. H AMMEN, The Failure of an Attempted FrancoGerman Liberal Rapprochement, 1830-1840, in The American Historical Review, LII, n. 1, ottobre 1946, p. 54 sgg.; C ARR, op. cit., p. 72 sgg. Ed tipico che proprio nella Renania, in cui i nazionalisti francesi credevano di trovar appoggio ed in cui realmente, fino allora, cerano state forti simpatie per la Francia, la crisi europea del 1840 e latteggiamento francese provochino una violenta reazione antifrancese, e nazionale-germanica (cfr. J. D ROZ, Le libralisme rhnan, 1815-1848, Parigi, 1940, p. 208 sgg). 278 Cit. in F. R UFFINI, La giovinezza del conte di Cavour, II, Torino, 1912, p. 230. 279 R UFFINI, op. cit., II, pp. 229-30.

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280 Lettre M. Strauss, nel Journal des Dbats del 16 settembre 1870, ripubbl. ne La rforme inteltectuelle et morale, Parigi, 1871, p. 168. Su Renan e la Germania, cifr. Soprattutto, oltre al Carr, op. cit., p. 81 sgg., T RONCHON, Ernest Renan et ltranger, Parigi, 1928, p. 155 sgg. 281 R ENAN, Correspondance, 1846-1871, Parigi, 1926, p. 341. 282 Menzel der Franzosenfresser, Berna, 1844, p. 53 sgg., in F. F EDERICI, Der deutsche Liberalismus, Zurigo, 1946, pp. 110-71. 283 Cfr. N AMIER, op. cit., p. 3. Nel parlamento di Francoforte, le sinistre vedranno sempre nella Francia la Francia dell89, rinnovandosi anche ora, come dopo il 1830, il dissidio con le destre: cfr. E. S ESTADI, La Costituente di Francoforte (1848-1849), Firenze, 1946, p. 70 sgg. 284 Cifr. A. C ORNU, Karl Marx, Lhomme et loeuvre. De lhglianisme au matrialisme historique, Parigi, 1934, p. 259 sgg.; K. V ORLAENDER , B. N ICOLAJEVSKI, Karl Marx, trad. it., Torino, 1947, p. 80 sgg., e ancor sempre F. M EHERING, Karl Marx. Geshichte seines Lebems, 2 ed., Lipsia, 1919, p. 53 sgg. Nessuno di questi studiosi ha per visto come il programma franco-tedesco del Marx 1843 rientri nellatmosfera generale cara gi ai liberali e ai sansimoniani, del concorde lavoro frnco-tedesco per il bene dellEuropa: muta radicalmente lideologia, rimane il gran quadro europeo, che Mrx eredita dalla civilt liberale del primo Ottocento. 285 Si confrontino i passi seguenti: la nazione tedesca ... destinata ad esercitare il primo ruolo in Europa, appena sar riunita sotto un governo libero (S AINT -S IMON, La riorganizzazione della societ europea, cit., p. 100); i comunisti rivolgono la loro attenzione soprattutto alla Germania, perch la Germania alla vigilia duna rivoluzione borghese, e perch essa compie queste rivolgimento in condizioni di civilt generale europea pi progredita, e con un proletariato molto pi evoluto che non lInghilterra nel decimosettimo e la Francia nel decimottavo secolo; perch dunque la rivoluzione borghese tedesca pu essere soltanto limmediato preludio duna rivoluzione proletaria (Manifesto del partito comunista, IV, trad. E. Cantimori Mezzomonti, Torino, 1948, p. 227). 286 Cfr. soprattutto M ENCHEN -H ELFEN , N ICOLAJEVSKI, op. cit. p. 171 sgg.; anche V ORLAENDER, op. cit., pp. 155-56.

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ben noto che il Marx invece si oppose recisamente a simili progetti come inutili, anzi dannosi. 287 N AMIER, op. cit., p. 88. E si veda anche nel Bismarck lostilit al movimento nazionale italiano, e la paura che per amor di fantastiche teorie si finisse col perdere ci che nel corso dei secoli le armi tedesche avevano conquistato in Polonia e in Italia (alla Magdeburgische Zeitung, cit., Ges. Werke, 141 , p. 106). Per lostilit dellassemblea di Francoforte nei confronti delle aspirazioni nazionali italiane con pochissime eccezioni, fra gli uomini di estrema sinistra cfr. Sestan, op. cit, p. 82 sgg. 288 Cos il S AINT -S IMON, op. cit., p. 95. Per il giudizio del Cousin, cfr. qui sopra, p. 79. E per la tradizione secolare cfr. E. H LZLE, Die Idee einer altgermanischen Freiheit vor Montesquieu, Monaco-Berlino, 1925; A NTONI, op. cit., p. 80 sgg., 172. 289 Esprit des Lois, l. XXVIII, c. 27. Tale concetto riappare nuovamente in R ENAN (Philosophie de lhistoire contemporaine, in Revue des Deux Mondes, 1 luglio 1859; ora in Oeuvres compltes, I, Parigi, 1947 p. 34 sgg.), ed in Montalembert (lett. a Renan, 9 agosto 59; R ENAN, Correspondance, 1846-1871, p. 382) 290 Cfr. G. S OREL, Germanesimo e storicismo di Ernesto Renan, in La Critica, XXIX (1931), p. 200. 291 La rforme intellectuelle et morale, cit., pp. 93-94. 292 E. R ENAN -M. B ERTHELOT, Correspondance, 18471892, Parigi, 1929, p. 56 (contrapposizione tra la profonda anima tedesca e la brillante e plastica superficialit italiana); R ENAN, Correspondance, 1846-1871, p. 276 (la Germania si suprieure dans lei choses de lesprt). 293 Correspondance 1846-1871 cifr., p. 276 e cfr. p. 285. 294 La rforme intellectuelle et morale, cit., p. V e cfr. p. 42. Su questa triplice alleanza anglo-franco-tedesca, come base necessaria della grandezza intellettuale e morale dellEuropa, cfr. anche lart. La guerre entre la France et lAllemagne, nella Revue des Deux Mondes del 15 settembre 1870, poi ripubblicato nella Rforme, p. 123 sgg. 295 D. H ALVY, La fin des notables, Parigi, 1930, p. 68.

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296 M. R ECLUS, Lavnement de la 3 rpublique, Parigi 1930, p. 138. 297 Cfr. V. G IRAUD, Essai sur Taine, son oeuvre et son influence, Parigi, 1902, p. 85 sgg. 298 La rforme intellectuelle et morale, cit., p. VI sgg. E cfr. il giudizio di Taine: la guerre a mis jour le mauvais et vilain ct de leur caractre que recouvrait une corce de civilisation. Lanimal germanique est au fond brutal, dur, despotque, barbare ... tout cela vient dapparatre la lumire et fait horreur (H. Taine. Sa vie et sa correspondance, Parigi, 1905, III, p. 49); e di Flaubert: quoi dono sert la science, puisque ce peuple, plein de savants, commet des abominations dignes des Huns et pires que les leurs, car elles sont systmathiques, froides, voulues, et nont pour excuse ni la passion ni la faim? (Correspondance, cit., 4 serie, p. 42 e cfr. p. 46). 299 La contrapposizione fra la Germania, con il suo spirito largo, poetico, filosofico, e la Prussia, macchina militare e politica, infatti tema dobbligo per gli scrittori francesi, non solo per il M ICHELET, La France devant lEurope, Firenze, 1871, pp. X, 91 sgg., ma anche per il R ENAN, Lettre M. Strauss, l. c., p. 171 sgg. 300 Cit. in K AEGI, Historische Meditationen, cit., I, p. 313. 301 La rforme intellectuelle et morale de la France, ne La rforme ... , cit., p. 42; La guerre entre la France et lAllemagne, ib., pp. 124-25 302 Correspondance, 1846-1871, cit., pp. 317 e 320. 303 Nouvelle lettre M. Strauss, 15 settembre 1871, pubblicata ne La rforme intellectuelle et morale, p. 209. 304 La rforme, p. 59. 305 La rforme, p. 24 sgg. 306 La selezione del ceto dirigente a mezzo della nascita preferibile alla selezione mediante elezioni (La rforme, p. 45). Une socit nest forte qu la condition de reconnatre le fait des supriorits naturelles, lesquelles au fond se rduisent une seule, celle de la naissance, puisque la supriorit intellectuelle et morale nest elle-mme que la supriorit dun germe de vie clos dans des conditons particulirement favorises (ib., p. 49).

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307 Se il 19 agosto 1854 il Renan accettava la tesi fondamentale del Gobineau, ma formulava riserve sullapplicazione, il 26 giugno 1856 accentuava fati riserve, affermando che limportanza del fattore razza immensa allorigine ma perde poi sempre pi in efficacia, sino a cessare completamente, come in Francia (motivo ripreso, nel 1882, in Quest-ce quune nation, Oeuvres, I, pp. 895 e 898). E concludeva che, lasciate da parte le razze propriamente inferiori, il cui mescolarsi con le grandi razze avrebbe soltanto avvelenato il genere umano, per lavvenire si doveva prospettare una umanit omogenea, dove ogni ricordo di diversa origine sarebbe stato spento (Corresporrdance, 1846-1871, cit., pp. 84 e 120-21). Ma gi nel 59 la valutazione di fattori etnici chiara: la Rivoluzione francese, guardata con sempre minor simpatia, la vittoria dellelemento romano sul germanico (G. S TRAUSS, La politique de Renan, Parigi, 1909, p. 157). Nel 1890: lingalit des races est constate (pref. a LAvenir de la Science). 308 caratteristico infatti come, diversamente da Renan, il Tocqueville affermasse allo stesso Gobineau la sua irriducibile opposizione ai principi della dottrina sostenuta nellEssai sur lingalit des races humaines (Correspondance entra Alexis de Tocqueville et Arthur de Gobineau, 1843-1859, 2 ed., Parigi, 1908, pp. 253-54 e 287). 309 Per comprendere appieno La rforme ... de la France, si deve tener presente che, come osserv Sorel (l. c., p. 362), Renan era sempre molto sottile, abilissimo nel non urtar troppo di petto lopinione pubblica; che perci si servi anche (pp. 64-84) di due personaggi immaginari per far loro svolgere due tesi diverse, rimanendo cos libero di dichiarare, in caso di polemiche, quale dei due rappresentava la sua vera concezione. E infatti, di fronte alla vivace critica di Mazzini (Scr. Ed. In., XCIII pp. 229 sgg.), Renan dichiar che n luno n laltro degli interlocutori rappresentavano il suo pensiero. Egli li aveva fatti parlare per meglio mostrare i vari lati della questione, i modi opposti con cui si poteva concepire la riforma della Francia (lett. 7 aprile 1874 al sig. Yung, direttore della Revue politique et littraire, nella Correspondance, 1872-1892, pp. 53-54). 310 Lart. De la manire dcrire lhistoire en France et en Allemagne depuis cinquante ans, apparso nella Revue des Deux Mondes del 1 settembre 1872, ripubb. in Questions Historiques, Parigi, 1893, apparso ora in trad. it., con altri scritti relativi agli

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eventi del 1870, in un vol. dal titolo La guerra franco-prussiana, Roma, 1945 (p. 59 sgg.). 311 G. M ONOUD, rivedendo le lezioni tenute a Strasburgo dal Fustel de Coulanges fra il 1861 e il 1868, ha trovato che la notissima teoria sia carattere romano della monarchia merovingica era pi piena ed intera prima del 70; ed egli non crede pertanto che linnegabile ostilit politica di Fustel contro la Germania e, anche, il suo scarso apprezzamento degli eruditi tedeschi, abbiano influito sulle concezioni dellHistoire (Portraits et souvenirs, Parigi, 1897, p. 148 sgg.). Ma fuori dubbio che tono e risolutezza di posizioni furono profondamente influenzati dagli eventi del 70: prima, lo storico francese non avrebbe scritto frasi come queste: ... oggi noi viviamo in unepoca di guerra. quasi impassibile che la scienza storica conservi la serenit daltri tempi. Ogni cosa lotta intorno a noi e contro di noi; inevitabile che anche la scienza sarmi di scudo e di spada. Sono cinquantanni che la Francia assalita e bersagliata dalla schiera degli eruditi. La si pu rimproverare perch pensa un poco a difendersi dai colpi? (Del modo di scrivere la storia, l. c., p. 74). E cfr. appunto nel senso qui indicato, G. H ANOTAUX, Sur les chemins de lhistoire, II, Parigi, 1924, p. 236 sgg. Daltronde, gi il decennio a Strasburgo, sulla frontiera, era fatto per alimentar inquietudini e suggerir pensieri: lo ha osservato, acutamente, A. S OREL, Notes et portraits, Parigi, 1909, pp. 13-14. 312 Correspondance, IV, p. 37. Pi tardi, nel luglio 1871, riprende: On commence har la Prusse duna faon naturelle, cest--dire quon rentre dans la tradition franaise. On ne fait plus de phrases la louange de ses civilisations (ib., p. 67). 313 Cfr. H. F ISHER, French nationalism, in Studies in History and Politics, Oxford, 1920, p. 149 sgg.; G. P. G OOCH, Franco-German Relations, 1871-1914, in Studies in Diplomacy and Statecraft, 4 ed., Londra, 1948, pp. 3-4. I versi cit. sono in Vive la France! 314 R ENAN -B ERTHELOT, Correspondance, p. 39. 315 La guerre entra la Franca et lAllemagne, l. c., pp. 139, 152, 164. 316 R ENAN -B ERTHELOT, Correspondance, p. 467 (1878). E cfr. anche la prefazione a LAvenir de la Science, ch del 1890.

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317 Nel 1879 Renan pensava per un premio dellAcadmie ai Chants du soldat, preferendo Droulde ad altri concorrenti notoriamente superiori come poeti: mais ... nous faisons une simple dmonstration patriotique pour des sentiments quil est bon dencourager (Correspondance, 1872-1892, cit., p. 181). Viceversa, nell88 protesta contro lattribuzione di un premio dellAccademia alla traduzione francese del von Sybel: Je crois que lAcadmie franaise et obblige dtre un peu patriote (Correspondance, 1872-1892, p. 325). 318 Cartegio, cit., II, p. 198 (13 marzo 1871). 319 Correspondance, IV, p. 29 (3 agosto 1870). 320 J. A DAM, Nos amitis politiques avant labandon de la Revanche, Parigi, 1908, p. 213. 321 Cfr. gli scritti vari ora tradotti solo il titolo La guerra franco-prussiana, cit., soprattutto pp. 15, 17, 21 sgg., 38 sgg., 47 sgg. Eppure anche in Fustel de Coulanges non mancavano certo le preoccupazioni per lavvento della democrazia, cfr. P. G UIRAUD, Fustel de Coulanges, Parigi, 1896, pp. 84-85. 322 LEsprit Nouveau, Parigi, 1875, p. 125. 323 op. cit., p. 120 e cfr. p. 127. 324 La haine du peuple, du proltaire, cest--dire le quatrime ordre, condamm comete un flau, le suffraga universel bafou, une voix accorde aux riches, un dixime de voix lartisan; la noblesse et la haute bougeoisie matresses de tout; la monarchie prsente comete le salar ... (op. cit., p. 114). E cfr. p. 132 sgg. 325 Journal des Goncourt, IV, ed. Parigi, 1903, pp. 25-28, 235. E cfr., nella prefazione al volume V, la replica di G. a Renan che lo aveva accusato di aver alterato completamente la verit. ben vero che le affermazioni del Journal sono state molto discusse: ma anche vero che Taine, ad esempio, tirato in causa anche lui e anche lui assai irritato, pi che contro i fraintendimenti in questioni storiche e filosofiche (une fois ou deux, on me fair dire le contraine de ce qua je pensais et de ce qua je pense ... faute de culture suffisante) protestava contro lindiscrezione: parler devant lui [Goncourt], cest sexposer retrouver dans un livre ou dans un feuilleton des paroIes quon na pas dtes pour le public T AINE, Correspondance, cit., IV, pp. 254-57. Nel caso specifico, la sostanza delle parole che

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Goncourt mette in bocca a Renan corrisponde nellinsieme a quanto Renan stesso scrisse, per il pubblico nella Rforme, e per gli amici, nelle lettere private (cfr. S TRAUSS, op. cit., p. 197). chiaro che dato il carattere di Renan, cos avido di popolarit, la pubblicazione del Goncourt, avvenuta in periodo gi di pieno nazionalismo francese, dovesse metterlo su tutte le furie (cfr. Correspondance, 1872-1892, pp. 347-48). Sulla questione Renan nel 70 cfr. ora i due lavori antitetici, di H. P SICHARI, Renan et la guerre de 70, Parigi, 1947, che ha ragione nel parlare del dramma interno di Renan (cfr. specialmente pp. 42, 46, 57), ma naturalmente accentua troppo la difesa dello scrittore; e del can. L. V I, Renan, La guerre de 70 et la Rforme de la France, Parigi, 1949, il quale, viceversa, accentua con spirito nazionalistico e con evidente partito preso tutto ci che possa danneggiare Renan, pur avendo ragione in vari punti (cos, per la Rforme, p. 315 sgg.). Cfr. la mia recens. in Rivista Storica Italiana, LXI (1949), p. 446 sgg., dove tocco anche la questione Goncourt. 326 Sin dal 52: la causa della stanca sonnolenza della Francia la democrazia jusquici, le monde a appartenu la pense, laction, la classe qui sous une forme ou sous une autre vivait le plus; la tte gouvernait, maintenant la ventre lemporte et le ventre aime le repos Correspondance 1846-1871, pp. 57-58 e cfr. p. 66. Cfr. la prefazione agli Essais de morale et de critique (28 aprile 1859), ora in Oeuvres compltes, II, p. 16 sgg. 327 La rforme intellectuelle et morale, pp. 25 sgg., 31 sgg., 47 e 49, 115 un pays dmocratique ne peut tre bien gouvern, bien administr, ben command, p, 43. 328 Journal des Goncourt, IV, p. 28. Preferisco i contadini come i tedeschi dice Renan a cui si dan calci nel sedere, che contadini come i nostri di cui il suffragio universale ha fatto i nostri padroni; contadini quoi, llment inferieur de la civilisation, qui nous ont impose ... ce gouvernement [Secondo Impero]. Anche qui Renan conferma, suo verbo, il racconto di Goncourt la moralit suprieure du peuple allemand vient de ce quil a t jusqu nos jours trs-maltrait La rforme, p. 40. E cfr. p. 15: il suffragio universale del 48 non servito che a cinque milioni di contadini, estranei ad ogni idea liberale; e p. 68: le peuple proprement dit et les paysans, aujourdhui matres absolu de la maison, y sont en ralit des

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intrus, des frelons impatroniss dans une ruche quils nont pas construite. 329 Cfr. R ECLUS, Lavnement de la 3 Rpublique, cit., p. 137; H ALVY, La fin des notables, cit., p. 71; A. B ELLESSORT, Les intellectuels et Lavnement de la troisime Rpublique, Parigi, 1931, p. 135 sgg. 330 Per Renan, soltanto Prussiani e Russi si salvano da cette voie de matrialisme, de rpublicanisme vulgaire vers la quelle tout le monde moderne ... parat se tourner La rforme, p. 82. 331 Al Droulde, che lo pregher di unirsi alla Ligue des Patriotes, Renan risponder: Jeune homme, la France se meurt, ne troublez pas son agonie, F ISHER, op. cit., p. 151. 332 La rforme, pp. 54-55 e cfr. anche pp. 66, 76 (con puntate polemiche contro i Francs tireurs, cio contro i volontari alla Gambetta). 333 R ENAN -B ERTHELOT, Correspondance, cit., p. 395 (26 febbraio 71; cfr. anche La rforme, p. 47. 334 La rforme, p. 111. 335 Correspondance, cit., III, p. 55. 336 Corres pondance, III, pp. 272, 225, 284, 326 sgg., 348 sgg. E cfr. lopuscolo sul Suffrage universel (Parigi, 1871). 337 Les origines de la France contemporaine, I, prefazione. 338 Correspondance, III, pp. 48, 90, 115, 175 (la decisione di scrivere le Origines presa tra aprile e maggio 1811). Cfr. G IRAUD, op. cit., p. 90 sgg., 190 sgg. 339 La ripresa da parte del Taine di motivi antirivoluzionari alla Burke, osservata dallO MODEO (La cultura francese nellet della Restaurazione, Milano, 1946, pp. 235 e 249 n. 3; anche G IRAUD, op. cit., p. 95) e daltronde affermata dal Taine stesso (Correspondance, IV, p. 122), appunto da ricollegare allimpostazione e allo stato danimo del Taine, per cui la Rivoluzione era linsurrection des mulets et des chevaux contre les hommes sous la conduite de singes qui ont des larynx de perroquets (Correspondance, III, p. 266. E. cfr. G. H ANO TAUX, Mon temps, II, Parigi, 1938, pp. 164-65). Ma tale stato danimo non era solo di Taine, bens di quasi tutta lintellettualit francese dopo il 70 (cfr. anche R. S TADELMANN, Hippolyte Taine und die politische Gedankenwelt des franzsischen Br-

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gertums, in Deutschland und Westeuropa, Schloss Laupheim, 1948, p. 61 sgg.). Renan, che nel settembre 1847 aveva difeso, contro lamico Berthelot, il sublime della rivoluzione (R ENAN -B ERTHELOT, Correspondance, cit., pp. 31-32), che ancora allinizio del 51 aveva sulla Rivoluzione les prjugs ordinaires en France (Essais de morale et de critique, in Oeuvres compltes, II, p. 16), portando a compimento la revisione del suo giudizio iniziata sotto lImpero e a causa dellImpero (Correspondance 1846-187I, pp. 50 e 154; Essais ... , cit., I. c.), trova ora che il sec. XIX per la Francia lespiazione della rivoluzione (La monarchie constitutionelle en France, 1869, ripubb. ne La rforme, p. 237 sgg.). 340 Je hais la dmocratie. Legualitarismo democratico gli sembra un elemento di morte nel mondo (Correspondance, IV, pp. 55 e 232). La fede dei gambettiani nel suffragio universale rendeva Flaubert furibondo (J. Adam, Mes angoisses et nos luttes, 1871-73, Parigi, 1907, p. 384), mentre La rforme di Renan gli pareva, trs bien, cest- dire dans mes ides (Correspondance, IV, p. 87). Cfr. anche in genere R ECLUS, op. cit., p. 139; H ALVY, op. cit., p. 72 B ELLESSORT, op. cit., p 34 sgg. 341 Correspondance, IV, p. 42 e cfr. p. 46: le ne me croyais pas progressiste et humanitaire, cependant. Nimporte; javais des illusions! Quelle barbarie! Quelle reculade! Jen veux mes contemporains de mavoir donn des sentiments dune brute dudouzime sicle! Le fiel mtouffe!. La conclusione che non bisogna credere a nulla ... cest le commencement de la sagesse (ib., p. 55). 342 Correspondance, IV, p. 74 e cfr. anche 29, 79, 82. 343 Nous pataugeons dans larrire-faux de la Rvolution, qui a t un avortement, une chose rate, un four, quoi quon dise ib., p. 73. La Rivoluzione francese deve cessare di essere un dogma e rientrare nella scienza, come il resto delle cose umane (ib., p. 48): che esattamente la posizione di Taine. 344 Ah, comme je suis las de lignoble ouvrier, de linepte bourgeois du stupide paysan et de lodieux ecclsiastique! (ib. IV, p. 71). 345 Ib., p. 44. 346 Journal des Goncourt, IV, passim, p. e., pp. 150-51.

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347 Vi insiste molto il B ELLESSORT, il quale per apporta nella sua analisi uno spirito, parzialissimo, in senso antidemocratico. 348 Cfr. il dsespoir set e la collera muta di Taine di fronte alla Comune (Correspondance, III, p. 77). Thophile Gautier ripeteva je crve de la Commune e, secondo Flaubert, mor per la charognerie moderne (F LAUBERT, Correspondance, IV, p. 123). 349 Cfr. O MODEO, La cultura francese nellet della Restaurazione, cit., p. 47. 350 O MODEO, op. cit., p. 48 n. 1. questo uno dei temi cari al C ONSTANT, De lesprit de conqute et dusurpation. 351 Correspondance, IV, pp. 55-56 e cfr. p. 73. Anche Renan, una volta, aveva pensato che forse un giorno o laltro si sarebbe avuto qualcosa di analogo allistituzione dei lettrs chinois, il governo diventando appannaggio dei competenti di una specie di accademia delle scienze morali e politiche (cfr. H. J ASPAR. Ernest Renan et sa rpublique, Parigi, 1934, p. 65). Ma ora, certo, era rinvenuto dai rves e dalle illusioni della sua giovinezza; come diceva egli stesso, nel 90, nella prefazione a LAvenir de la Science. 352 D UC D E B ROGLIE, Mmoires, III (1870-1875), Parigi, 1941, p. 16. Per le critiche mosse dal de Broglie al principio di nazionalit nel 1863 e nel 1868, cfr. G. F AGNIEZ, Le duc de Broglie, 1821-1901, Parigi, 1902, p. 64 sgg. 353 A. S OREL, Histoire dplomatique de la guerre francoallemande, Parigi, 1875, I, pp. 372-73. 354 Cos pensava Sorel, con Taine (H ANOTAUX, Montemps, cit., II, p. 155 e cfr. la prefazione del S OREL, alla Histoire diplomatique de la guerre franco-allemande) Anche per il duca di Broglie, Napoleone III aveva messo sossopra tutte le tradizioni della politica francese (l. c.). Quanto a Thiers, il suo giudizio era che in politica estera Napoleone III non capiva nulla: ctait un rveur qui avait sur les affaires de lEurope des conceptions absurdes et qui ne savait rien (E. L. G. D E M AR CRE , Lassemble nationale de 1871, II, Parigi, 1907, p. 43: dichiarazioni Thiers al De Marcre). 355 Cfr. N OLDE, Lalleanza franco-russa, cit., p. 20.

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356 Questo stato danimo ben espresso dallo H ANOTAUX, op. cit., I, Parigi, 1933, pp. 249-50. 357 Tale intento gi palese nella Histoire diplomatique de la guerre franco-allemande, I, prefazione. Per Sorel, questa fu realmente una missione di vita, a cui sacrific ogni cosa, anche la possibilit di azione politica diretta: cfr. H ANOTAUX, op. cit., I, pp. 330-31, II, p. 154 sgg., e anche Sur les chemins de lhistoire cit., II, pp. 213-14, 218. 358 Cfr. C H . G AVARD, Un diplomate Londres. Lettres et notes, 1871-1877, Parigi, 1895, p. 9. 359 D E B ROGLIE, Mmoires, I, Parigi, 1938, p. 330. 360 Un simile stato danimo percepibilissimo nello Hanotaux, che cominci ad entusiasmarsi per Enrico IV e Richelieu e fin, ministro degli Esteri, con lentusiasmarsi per la politica di espansione coloniale (Mon temps., cit., I, pp. 315-17, II, pp. 34-37). 361 Appunti di Michelet del 1854, G. M ONOD, Jules Michelet, Parigi, 1905, pp. 33 e 35. 362 Cos il Chaudordy, che nellinverno del 70-71 diresse, da Tours, la politica estera del governo della Difesa Nazionale (La France la suite de la guerre de 1870-71, 2 ed., Parigi, 1887, p. 95). 363 H ANOTAUX, Sur les chemins de lhistoire, cit., II, pp. 211-212. 364 Per linflusso di Taine su Barrs, cfr. infatti P. H. P ETIT BON , Taine, Renan, Barrs. tude dinfluence, Parigi, [1935] p. 98 sgg. 365 Lre du positivisme en golitique va commencer F LAU BERT , Correspondance, IV, p. 67: tant de crimes ont t commis par lidal en politique quil faut sen lenir pour longtemps la grance des biens (ib., p. 77 e cfr. p. 79). Questo un Leitmotiv di Flaubert, cupo e disperante, e convinto di precipitare in un periodo di abbrutimento dellumanit: je suis convaincu que nous entrons dans un monde hideux o les gens comete nous nauront plus leur raison dtre. On sera utilitaire et militaire, conome, petit, pauvre, abject (ib., pp. 34, 39, 41, 46). E perci egli si irrita per gli entusiasmi altrui: vous maffiigez, vous, avec votre enthousiasme pour la Rpublique. Au moment o nous sommes vaincus par le positivisme le plus nel,

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comment pouvez-vous croire encore des fantmes? Georges Sand, ib., p. 32. 366 R ECLUS, op. cit., p. 143.
367 notevole come uno scienziato del valore di un Berthelot deplorasse, nel 1873, questo trionfare della scienza applicata e dellindustrialismo; e lo deplorasse proprio a proposito dellItalia, chegli, dopo lunit, aveva sperato riprendesse lo slancio spirituale dellItalia del Rinascimento, mentre doveva ora constatare tristemente che si limitava a seguir lesempio degli Stati Uniti, curando le applicazioni della scienza (Journal des Goncourt, V. p. 95). 368 Cfr. W. K AEGI, Der Kleinstaat im europischen Denken, in Historische Meditationen, cit., I, p. 251 [ trad. it., cit., PP. 33-90. N.d.E.], e il mio Lidea di Europa, in Rassegna dItalia, II, 5 (maggio 1947), p. 33 sgg. 369 De lesprit de conqute et dusurpation, in Cours de politique constitutionnelle, ed. Laboulaye, II, Parigi, 1861, pp. 140-141, 179. 370 Della economia pubblica e delle sue attinenze colla morale e col diritto, 2 ed., Firenze, 1881, pp. 494-95. 371 Cfr. P. R. R OHDEN, Die klassische Diplomatie von Kaunitz bis Metternich, 2 ed., Lipsia, 1939, pp. 35-36. 372 Su questinizio di una nuova ra in tutti i campi, intellettuale, economico e politico, cfr. fini osservazioni in R. C. Binkley, Realism and Nationalism 1852-1871, New York-Londra, 1935 (The Rise of Modern Europe, ed. da W. L. Langer, XVI), p. 306. 373 A Luigi Torelli, 21 ottobre 1886 [non 87!], in A. M ONTI, Il conte Luigi Torelli, 1810-1887, Milano, 1931, p. 322. Analogamente, nella lett. alla regina Margherita del 22 settembre 1886: ... il sentimento morale ha perduto e perde ogni d terreno nella politica per far luogo alla forza e alla sola forza (Lettere fra la regina Margherita e Marco Minghetti, cit., p. 268). 374 Historik, ed. Hbner, Monaco-Berlino, 1937, p. 352. 375 La politica, cit., I, pp. 87, 99. E cfr. F. M EINE, Die Idee der Staatsrson in der neueren Geschichte, Monaco-Berlino, 1924, pp. 508-09.

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376 Cos la contessa Alessandrina Tolstoi al generale von Schweinitz, nel febbraio 1871 (Briefweschsel des Botschafters General von Schweinitz, Berlino, 1928, p. 72). 377 Cfr. la brillante analisi del L ANGER, La dipl. dellimperialismo, cit., I, p. 145 sgg.; e R. H OFSTADTER, Social Darwinism in American Thougth, Filadelfia, 1945, p. 147 (non mi stato possibile vedere C. J. H. H AYES, A Generation of Materialism, 1871-1900, New York, 1941). 378 Governo e governati in Italia, cit., II, pp. 311-12 (con alcuni ritocchi nella 2 ed., cit., II, pp. 215-16). 379 op. cit., II, pp. 313, 320, 326. Identica applicazione della terminologia darviniano-spenceriana a proposito delle istituzioni organiche, che adattano massimamente le capacit al limite. Non sufficientemente svolto laccenno a questi motivi in E. T AGLIACOZZO, Voci di realismo politico dopo il 1870, Bari, 1937, p. 59: cfr. invece le giuste considerazioni di C. C URCIO, nellintroduzione a P. T URIELLO, Il secolo XIX ed altri scritti di politica internazionale e coloniale, Bologna, 1947, p. XIX sgg. N il Turiello solo: c chi si proclama, non conservatore, non radicale, non monarchico, non repubblicano, ma evoluzionario (DI C AGNO -P OLITI, Saggi di politica positiva, Napoli, 1881, p. 7); e altri indagano le conseguenze dellevoluzionismo sulla politica (A. V ALDAMINI, Dottrina dellevoluzione e sue principali conseguenze teoriche e pratiche, Firenze, 1882). 380 C URCIO, l. c., p. 20 Sgg. 381 L ANGER, op. cit., I, p. 147. 382 Fino a Dogali, p. 146. 383 Certa il sopradominio delle teorie filosofiche ed atomistiche, nellantropologia e nella storia, legittimando la lotta per lesistenza, che spiega come le razze animali pi altamente dotate e pi forti debbano di necessit sostituirsi alle razze deboli, ha finito per creare una filosofia saturnica, secondo la quale, se i padri non divorano i figli, i figli divorano i padri. Queste cose sono state dette, ripetute e confutate pi volte, merc quellaltra filosofia che riconosce neglistinti umani una forza creatrice, la quale non si rassegna alla brutalit della natura fisica (Scritti e discorsi politici, cit., p. 674). 384 Sprche und Epigramme, Zeitgemsses (Der ewige Grillparzer, Linz, 1947, p. 591).

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385 Cfr. Bonghi ne La Perseveranza, in polemica con La Riforma, dell11 agosto 1870, La monarchia italiana e limpero francese. Niente padrone e vassallo, come affermano i Sinistri; ma non ostante.. dispareri e differenze, che erano il risultato e il suggello dellindipendenza reciproca, rimasta ferma quellintima intelligenza ed alleanza tra due Governi, ch stata la causa della formazione successiva dellItalia. 386 l. p. Visconti Venosta al de Launay, 7 marzo (ACR, Carte Visconti Venosta, pacco 5, fase. 2). Anche in altri punti della lettera, il ministro degli Esteri insiste sullo stesso concetto: lItalia [mantenendosi neutrale] ... mostr ... di essere una potenza moralmente autonoma ed indipendente nel concerto europeo. Idee del tutto analoghe in l. p. id. a id., 18 ottobre 1870 (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA); e nel Minghetti, che, scrivendo il 22 ottobre 1870 al Visconti Venosta, osserva: la scomparsa dellImperatore (e che miserabile scomparsa!) ci ha lasciato molto pi liberi di azione (ib.). 387 Artom a Visconti Venosta, da Vienna, 17 agosto 1870 (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). Il 24 febbraio 1871 lo Artom conferma al Nigra il suo modo di vedere: ... allItalia furto degli avvenimenti ... dellanno scorso avrebbe costato lunit e la vita. Abbiamo con una non colpevole inerzia salvata la nostra esistenza (AE, Carte Nigra). 388 Artom a Visconti Venosta, da Vienna, 30 luglio 70 (A R CH . V ISCONTI V ENOSTA ). 389 Cfr. Guiccioli, op. cit., I, p. 263 sgg. 390 Sulle condizioni della cosa pubblica in Italia dopo il 1866, Firenze, 1870, p. 82. Per il Ricasoli cfr. qui sopra, p. 29. 391 r. Nigra 30 gennaio 1871, n. 1386. Idee simili anche nel Ricasoli (Lettere e documenti, X, p. 123) e nellAmari, pure legato personalmente da tanti vincoli alla Francia (Carteggio, cit., II, p. 198). 392 P. es., ll. pp. Visconti Venosta a de Launay, 7 marzo 71, gi cit., e Visconti Venosta al Nigra, 27 febbraio 71: sinora tutto fu coperto dal frastuono delle catastrofi francesi. Ora che si rif silenzio in Europa e che si dissipa il fumo della battaglia, ogni Governo getta intorno lo sguardo per riconoscere questa nuova Europa e per esaminare in quali condizioni si trova nella situazione che succede a cos grandi vicende (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA).

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393 l. p. Nigra a Visconti Venosta, 6 marzo 1871 (ib. lascio la cit. del testo). 394 Si veda infatti il proclama del partito dazione, pubblicato il 21 luglio 1870 nel Gazzettino Rosa e sottoscritto, fra gli altri, dal Cavalloni e dal Martora: considerando che i servizi resi dal Secondo Impero allItalia in una causa giusta ... non obbligano punto lItalia a far atto di solidariet in una causa ingiusta; tanto pi che quei servigi se da una parte furono il tardo corrispettivo del tanto sangue italiano versato per il primo impero, vennero, dallaltra, pagati ad usura anche di poi a prezzo di altro sangue, di denaro e di territori ... (in A RCARI, op. cit., p. 135). 395 Mentana ... liber il popolo nostro da una servit morale che avevamo contratto Discorso Crispi alla Camera, 3 febbraio 1871 (Discorsi Parlamentari di F. Crispi, II, p. 88). Identico atteggiamento nel Rattazzi (M. L. R ATTAZZI, Rattazzi et son temps, Parigi, 1881, II, p. 339) e nel De Sanctis (E. C IONE, Francesco De Sanctis Messina-Milano, 1938, pp. 194-95). 396 Per la Destra lo riconosce esplicitamente il Longhi, sin dal 31 luglio 1870: LImperatore non solo ha avuta tanta parte nella formazione dellItalia a nazione e Stato indipendente, ma la natura e la forza del suo Governo in Francia stata la principal causa che in Italia il moto politico non si convertisse in una vera rivoluzione. Non gi egli quello che ha governato lItalia; ma se qui la parte moderata rimasta, in fin dei conti, sempre di sopra, si deve a ci che in Francia egli ha contenuto gagliardamente tutti gli umori cattivi, con che ha scemato il veleno e lacredine di quelli che serpeggiavano presso di noi. Anche dove la sua azione, come nella quistione di Roma, riuscita talvolta amara e rincrescevole alla stessa parte moderata, nella realit ha contribuito a rafforzarle il potere tra le mani. Poich chi vuol parlare sinceramente, deve convenire che la bandiera francese a Roma, seda una parte irritava, dallaltra conteneva quelli stessi che irritava, e infine, sforzava e radicali e moderati a causare le vie ed i modi della rivoluzione in quella delle questioni nostre, che pi sarebbe stata suscettibile di diventare perturbatrice e violenta, una volta che si fossero abbandonati i temperamenti della pazienza e luso delle influenze morali (Nove anni di storia di Europa, cit., II, pp. 356-57). Per la Sinistra, lo affermer esplicitamente La Riforma, ancora alla morte di Napoleone III: il partito moderato ha dovuto il suo potere al defunto sovrano, senza il cui appoggio non avrebbe potuto reggere

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un anno solo; Napoleone III stato il vero fondatore, il potente sostegno del partito moderato in Italia (Una difesa precoce e Mazzini e Napoleone III, 25 gennaio e 2 febbraio 1873). 397 Lo dichiar alla stessa regina Margherita il 2 gennaio 1897: lunit non si sarebbe costituita in Italia se Garibaldi e Mazzini non si fossero posti alla testa del movimento e se Vittorio Emanuele non vi avesse aderito e lavesse capitanato (Politica Estera, cit., p. 281, n. 1). 398 Vittorio Emanuele, Garibaldi, Mazzini (Ultimi scritti e discorsi extra-parlamentari, cit., p. 219). 399 Un giorno, dopo aver affermato che i tre grandi a cui lItalia doveva maggior riconoscenza erano Vittorio Emanuele, Garibaldi e soprattutto Mazzini, al Martini che gli chiedeva: e il Cavour?, rispose scrollando le spalle: Il Cavour? Che cosa fece il Cavour? Niente altro che diplomatizzare la rivoluzione (M ARTINI, Confessioni e ricordi, 1859-1892, cit., p. 151). il giudizio sottointeso nel discorso sul Gianicolo. Assai pi attenuato esso riappare anche nel discorso alla Camera del 18 maggio 1883, nel senso che laver diplomatizzato la rivoluzione diviene un merito del Cavour, il quale, con il Minghetti moderatori della nostra impazienza, forse poterono impedire che, con lopera nostra audace ed improvvisa, lItalia fosse caduta nel precipizio ... (Discorsi Parlamentari, II, p. 647). Ma ci fu dovuto, soprattutto, al riguardo per il Minghetti, che era presente e che venne messo alla pari dei Cavour. Per il Crispi, la grande colpa del Cavour fu sempre di non esser stato unitario alla vigilia. 400 Il Cavour se non avr altro merito vero di cui possa tener conto la storia imparziale, certo avr come titolo donore quello di aver creduto nella scienza e di aver voluto il traforo del Cenisio! Cos La Riforma del 28 dicembre 1870 (Lattivit nazionale). Qualche altra volta si concede qualche cosa di pi allo statista piemontese al quale, bench offuscato dal peso delle tradizioni, delle abitudini e del partito cui fatalmente era legato, non facea difetto il vigore della sacra scintilla ... (ib., 25 giugno 72, II sentimento nazionale). Ancora il 29 ottobre 72 il giornale riconosce che Cavour seppe sorger talora ad altezza pari agli eventi e bench ligio a Napoleone III non fu mai servile come i suoi eredi Visconti Venosta e Nigra.

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401 Italia e Germania, ne La Riforma dell8 agosto 1870: ... finch liniziativa della politica antinapoleonica e nazionale si spieg senza reticenze e in tutta la sua chiarezza colla spedizione di Quarto e la proclamazione dellunit. 402 Il principio di nazionalit, ne La Riforma, 20 dicembre 1870. 403 Cfr. LOpinione del 12 marzo 1872: il nome di Giuseppe Mazzini indissolubilmente associato alla causa nazionale ... Quanti che ora seggono ne consigli della nazione, i quali impararono a balbettare ne suoi scritti il nome sacro dItalia! Egli ebbe merito di por fine alla rettorica eunuca e di invitar la giovent al culto della grande idea della patria ... Propugn il principio dellunit dItalia allorch pareva lontana e difficilissima impresa la sua liberazione. Sono parole del Dina (lattribuzioneal Dina personalmente degli articoli di fondo, non firmati, de LOpinione fatta in base a L. C HIALA, Giacomo Dina e lopera sua nelle vicende del Risorgimento italiano III, Torino-Roma, 1903. Naturalmente quelli accennati dal Chiala non sono tutti gli articoli del Dina, cfr. ivi p. 348). 404 Si veda il giudizio del Visconti Venosta: ma anche vero che se Garibaldi rappresent limpulso della rivoluzione italiana mancava per di quelle qualit che erano necessarie per ordinare questa rivoluzione in un modo qualunque e per farne uscire un risultato possibile e duraturo lett. al fratello Giovanni, 28 giugno 1882 (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 405 Cos il M ASSARINI, che in questo interprete dei sentimenti della quasi totalit dei moderati (Cesare Correnti nella vita e nelle opere, Roma, 1890, p. 277). 406 l. p. Visconti Venosta a Minghetti, 13 ottobre 1877 (BCB, Carte Minghetti, cart. XX, fasc. 93. Pubbl. daW. M ATURI, Un buon europeo. Emilio Visconti Venosta, in La Nuova Europa, II, 1945, n. 34, p. 9). Riecheggia in queste espressioni il pensiero gi manifestato dal Cavour, nella relazione alla Camera il 2 ottobre 1860 (Discorsi Parlamentari, pubb. dalla Camera dei Deputati, Roma, 1872, XI, p. 240). 407 Dichiarazioni Visconti Venosta al ministro di Francia Rothan (R OTHAN, LAllemagne et lItalie, cit., II, p. 277, ma cfr. qui sopra, p. 170, n. 175; il r. Rothan n. 44, in cui sono riportate le dichiarazioni dei Visconti Venosta, del 21 febbraio, non 23).

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408 Cos il Visconti Venosta (cfr. Blow, Memorie, trad. it., Milano, 1931, IV, p. 170). 409 La Marmora a Lanza, 3 dicembre 70 (Le carte di Giovanni Lanza, VI, Torino, 1938, p. 306). 410 La Marmora ad Achille Arese, 1 settembre 70 (in G. M ASSARI, IL generale Alfonso La Marmora, Firenze, 1880, pp. 410-411). Per latteggiamento del La Marmora di fronte alla guerra, ib., p. 409; C HIALA, Pagine di storia contemporanea, cit., I, p. 54; S. C ASTAGNOLA, Da Firenze a Roma. Diario storico-politico del 1870-71, Torino, 1896, p. 6, n.; G UICCIOLI, op. cit., I, p. 287. Nella Commemorazione di Alfonso La Marmora (5 gennaio 79), di V ERAX, pubbl. prima nel Fanfulla e poi ampliata e pubblicata in volume (Firenze, 1879) si accentua invece il desiderio del generale di aiutare la Francia sulla base di quel che lo stesso La Marmora disse pi tardi, accentuando anchegli la sua posizione dellestate 70 in senso filofrancese, pur limitandola al periodo dopo i primi disastri (I segreti di Stato nel governo costituzionale, 2 ed., Firenze, 1877, p. 32). 411 L. L UZZATTI, Memorie, I, Bologna, 1931, p. 307. Queste lacrime travisate nel motivo diedero origine ad un ironico accenno del Crispi alla Camera nel 1880 e a polemiche sui giornali (cfr E. T AVALLINI, La vita e i tempi di Giovanni Lanza, Torino, 1887, p. 179 sgg.; A. C OLOMBO, in Il Risorgimento Italiano, XXII [1929], p. 132 sgg.). 412 Lanza a La Marmora, 8 dicembre 70 e 13 gennaio 71 (Le carte di Giovanni Lanza, VI, p. 31-f, VII, p. 34). 413 La grande catastrophe de lempire sexplique pour quiconque avait mdit les conditions de la France depuis queiques annes Minghetti a lord Acton, 23 settembre 70 (BCB, Carte Minghetti, cari XV, fase. 107). 414 Carteggio tra M. Minghetti e G. Pasolini, Torino, 1930, IV, p. 196. 415 Minghetti (Vienna), 10 ottobre 1870, n. 16, ris. 416 Io deploro la situazione della Francia, e dico che se noi fossimo certi di decidere la questione mettendo come Camillo la spada sulla bilancia, forse direi andiamo. Ma andare, e farsi battere dai Prussiani e non portare alla Francia verace sollievo, e avere allinterno tutti i diavoli che la Prussia susciterebbe, mi pare politica piena dimprudenza ... comunque io vi consiglio

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e vi prego di usare al Thiers i maggiori riguardi, e di mostrargli la maggiore simpatia l. p. Minghetti a Visconti Venosta, 9 ottobre 70 (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). Simpatia platonica, certo: il 20 ottobre infatti il Minghetti si dice rassicurato per lesito della missione Thiers non gi che io temessi nello stato attuale delle cose un intervento nostro armato: ma si trattava di mostrare il buon volere senza venire ad atti, e di non disgustare il Thiers senza impegnarsi (ib.). E il 22, ancor pi decisamente (si vede che leco delle commoventi parole del Thiers si era affievolita), dice di deplorare le sventure della Francia, ma di non aver mai creduto che noi dovessimo rendercene solidali (ib.). 417 Dina a Castelli, 15 luglio, 14 settembre e 17 ottobre 1870 (Carteggio politico di Michelangelo Castelli, cit., II, pp. 471, 484, 487). Gli articoli di fondo dellOpinione, sono la testimonianza eloquente del modo di sentire del Dina, che voleva la mediazione delle potenze neutrali. Pi tardi, certe sue recise parole nei riguardi della Germania gli attirarono un rimbrotto del Sella: che diavolo di un gusto hai di stuzzicare ed offendere Bismarck, luomo il pi vendicativo che esista? (C HIALA, G. Dina, cit., III, pp. 288-89). Che LOpinione potesse esser considerata, entro certi limiti, lunico giornale ufficioso, ammetteva persino il cautissimo Visconti Venosta, sia pure con un a forse (l. p. al Nigra, 30 maggio 1871, A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). I dissensi tra il Dina e il governo sorgevano infatti sul terreno finanziario, a proposito dei progetti del Sella (cfr. C HIALA, G. Dina, cit., III, p. 311 sgg.). E cfr. invece ivi, pp. 240, 316, per i rapporti tra il Visconti Venosta (o anche, pp. 293-94, il Lanza) e il Dina. 418 Ricordi di Michelangelo Castelli, Torino, 1888, p. 192 e cfr. p. 185. 419 Carteggio, cit., III, p. 288. 420 Vivo Cavour lItalia non si sarebbe fatta legar le mani dai neutri per poter assistere tranquillamente alla straziante agonia della Nazione che sola faceva rispettare la razza latina, Borromeo a Minghetti, 17 novembre 1870 (BCB, Carte Minghetti, cart. XV, fasc. 69). E in altra lettera del 26 febbraio 71: Vi sentireste voi in grado di giustificare se non i fatti per se stessi [occupazione di Roma e accettazione della corona spagnuola da parte del duca dAosta], almeno la moralit del tempo e del modo scelti per sciogliere due questioni della massima importanza per la Francia? Vi pare che potrete sostenere che era-

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vamo proprio noi, che era proprio Chi due volte firm la Convenzione, quelli che dovevano profittare dellagonia della Francia per fare i propri affari, perfino dare i Pirenei a chi ha gi le Alpi? (Ib., ib., cart. XVI, fasc. 4). 421 Nigra ad Artom, 19 gennaio 1868 (AE, Carte Nigra). 422 Les revers partiels de la France nont pas chang mes ides. Aux autres raisons il sajoute maintenant une raison dquilibre europen menac. En portant immdiatement secours la France nous ne risquons rien et nous faisons jouer lItalie un rle grand gnereux digne delle, utile ses intrts (AE, Ris. 48). E cfr. il tel. precedente, pure del 7 agosto, con cui riferiva sulla richiesta di Napoleone III al governo italiano per un soccorso di 60.000 uomini: je najoute rien ce que je viens de dire. Vous connaissez mes sentiments ... (Ricordi di Michelangelo Castelli, cit., p. 185; ma testo e data esatti in T AVALLINI, op. cit., I, p. 509). 423 Cfr. qui sopra p. 96. 424 Artom a Nigra, 29 settembre 1870 (AE, Carte Nigra). 425 Cfr. i Carteggi Verdiani, III, Roma, 1947, p. 121. Anche R. B ARBIERA, Il salotto della Contessa Maffei, 123 ed., Firenze, 1918, p. 380. 426 Io avrei amato una politica pi generosa, e che si pagasse un debito di riconoscenza. Centomila de nostri potevano salvare forse la Francia e noi. In ogni modo avrei preferito segnare una pace vinti coi francesi, a questa inerzia che ci far disprezzare un giorno. Lett. 30 settembre 70 in A. L UZIO, Profili biografici e bozzetti storici, II, Milano, 1927, pp. 528-29. E cfr. lett. 10 agosto 1870 (Carteggi Verdiani, I, Roma, 1935, p. 122; anche A. L UZIO, Garibaldi, Cavour, Verdi, Torino, 1924, p. 33). Verdi biasimava la morgue, linsolenza dei Francesi, che li rendeva insopportabili: ma chi pensa seriamente, e chi si sente vero Italiano, deve essere superiore a queste puntate di amor proprio e deve rammaricarsi per la vittoria prussiana, grave di pericoli per lItalia. Cfr. anche la lettera di Giuseppina Strepponi, del 2 settembre 1870, Carteggi, I, pp. 122-23. 427 La politica francese, ne LOpinione, 9 agosto 1871. 428 La Perseveranza, 30 luglio 1870. 429 l. p. al Nigra, 22 maggio 1871 (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA).

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430 l. p. al Nigra, 26 aprile 1885 (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 431 Cfr. S ALVATORELLI, Il pensiero politico italiano, cit., p. 263. 432 Cos lo A RTOM (introduzione a I. A RTOM e A. B LANC, Il conte di Cavour in Parlamento, Firenze, 1868, p. XIII). 433 Visconti Venosta al de Launay, 11 agosto 1870 (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). Come si vede, il Visconti Venosta non era stato completamente convinto dalle dichiarazioni del Bismarck al de Launay e dallottimismo di questultimo (cfr. qui sopra, p. 27 e pp. 152-53 n. 14). Per tali preoccupazioni sul rinascere del vecchio Impero germanico, cfr. La Perseveranza del 23 luglio 1870 (Bonghi) e la lett. di Vittorio Imbriani al De Meis, nellagosto del 70 (in B. C ROCE, Dal carteggio inedito di Angelo Camillo De Meis, in Atti Acc. Pontaniana, 1915, p. 31 dellestratto). Non le condivideva, invece, lArtom che non sapeva perch lItalia dovesse allarmarsi dellunit germanica pi dellAustria che minacciata di perdere 8 milioni di tedeschi (l. p. al Visconti Venosta, da Vienna, 17 agosto 1870, gi cit.). LArtom aveva simpatia per lunit germanica (l. p. al Visconti Venosta, 7 agosto 1870, da Vienna; A RCH . V ISCONTI V ENO STA ). 434 La France devant lEurope, cit., p. III sgg., p. 94 sgg., e tutto il capitolo Ce que cest que la Russie, p. 99 sgg. Solo dopo la sconfitta, preoccupandosi dellavvenire, Michelet pens, anche lui, come Thiers e tanti altri, alla Russia come augurabile collaboratrice contro la Germania; in una nota del 4 maggio 71, del suo Journal, dice di aver visto in sogno donde poteva venire la salvezza per la Francia: Cela est tout contraire ce que javais prvu jusquici. Le salut vierdra dune alliance avec la Russie (in J. M. C ARR, Michelet et son temps, Parigi, 1926, p. 232). 435 La Perseveranza, 23 agosto 1870 (Le condizioni della pace secondo i Tedeschi). La diminuzione territoriale della Francia costituirebbe il principio di questa nuova e dannosa alterazione della situazione europea. 436 Lett. al Robilant del 1 luglio 1875, in S ALVEMINI, La poitica estera della Destra, cit., in Rivista dItalia, XXVIII (1925), vol. I, p. 194.

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437 Istruzioni del Visconti Venosta al Cadorna, ministro a Londra, per la Conferenza sul Mar Nero, 28 dicembre 1870: gran ventura per lEuropa che unalleanza offensiva e difensiva fra la Prussia e la Russia non esista ancora attualmente: urgente interesse dellEuropa dimpedirne la formazione (AE, Missioni allEstero, cart. 2). Che unalleanza russo-tedesca costituisse il pi gran pericolo per lEuropa, era preoccupazione anche di altri governi, e anzitutto di quello di Vienna: si veda il pensiero dellAndrssy, nel 1872, in L EIDNER, op. cit., p. 17. 438 Lunica unione che paia salda al Bonghi in Europa, quella tra Russia e Prussia, tanto salda da non poter essere solleticata da nessuna promessa tanto da allentarsi o disciogliersi (Nove anni di storia dEuropa, cit., II, p. 439, fine dicembre 1870). 439 B ONGHI, La risposta del Beust, ne La Perseveranza, 28 novembre 1870. 440 Frappolli a Visconti Venosta, da Angoulme, 23 settembre 70 (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 441 La pace, ne La Perseveranza, 17 gennaio 71 (Bonghi). 442 l. p. Minghetti a Visconti Venosta, 22 ottobre 70 ... n tampoco sono di quelli che paventano la barbarie irruente in Europa (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). Giudizio identico nella lettera, stessa data, al Pasolini: Io poi non partecipo alla paura dei nostri amici che nel trionfo della Prussia vedono la barbarie irruente (Carteggio Minghetti-Pasolini, cit., IV, p. 196). Lo stesso Nigra non condivideva il pregiudizio volgare che la Francia sia decaduta in guisa da non potersi rilevare fra qualche anno, n che la Germania unificata debba portare la servit e la barbarie in Europa (r. 30 gennaio 1871, n. 1386, gi cit.). 443 Minghetti a Beust, 14 aprile 71 (BCB, Carte Minghetti, cart. XVI, fasc. 22). Gi il 30 settembre del 70 il Minghetti sera espresso in modo identico con il Luzzatti: credo che sia per lEuropa un male che la Francia rimanga schiacciata e umiliata (L UZZATTI, Memorie, cit., I, p. 309). 444 G. Capponi al Reumont, 12 ottobre 1870 (Lettere, cit., IV, p. 260). 445 LAmari sperava soltanto, nellottobre del 70, che si potesse persuadere il vicario tedesco di Monna Provvidenza a far

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una pace da barbaro moderato Carteggio, cit., III, p. 290 e cfr. II, p. 199. Quanto poco ci si attendesse ad una politica di prudenza e di conservazione dello status quo da parte della Germania, conferma il Marselli, nel 72: Diciamocelo francamente ... non si credeva che la Germania fosse cos raccolta e inoffensiva dopo strepitose vittorie, perch il caso sarebbe stato un po nuovo nella storia. Eppure cos ... Francia, Italia e Germania, in Nuova Antologia, XX, luglio 1872, p. 541...
446 singolarmente istruttivo, al riguardo di quanto andiamo dicendo, che nel 1871 un uomo come il Bonghi, non certo sospetto di essere un reazionario, un antipatriota ecc., potesse parlare della mitezza e della prudenza degli stati europei nel 1815, ad eccezione della Prussia (Nove anni di storia di Europa, cit., II, p. 453). Dove si vede appunto come la guerra francoprussiana e la pace che la segu sembrassero cosa nuova, che solo poteva trovare un precedente nelle conquiste di Napoleone I. 447 Cfr. per questo R OHDEN, op. cit., pp. 117-18. 448 Cfr. A. O MODEO, Lopera politica del Conte di Cavour, 2 ed:, Firenze, 1941, I, p. 246. 449 Per i timori prussiani circa la politica despansione francese in Italia, cfr. F. V ALSECCHI, La politica di Cavour e la Prussia nel 1859, cit., p. 41 sgg.; In., Il 1859 in Germania: la stampa e i partiti, in Studi Germanici, I (1935), p. 98; ID., Il 1859 in Germania: idee e problemi, in Archivio Storico Italiano, XCIII (1935), I, p. 273 sgg. Degno di nota, che anche in Svizzera (intervento di Napoleone III raffreddasse gli entusiasmi per la causa italiana, sollevando preoccupazioni per lordine europeo (M. B AUER, Die italienische Einigung im Spiegel der schweizerischen Oeffentlichkeit, Basilea, 1944, pp. 20-21, 25, 124, 183-84). 450 largomentazione della Riforma, in polemica contro il Cialdini che nel suo famoso discorso al Senato, del 3 agosto 70, aveva affermato lostilit della Germania allunit italiana: la Germania si era allarmata perch vedeva lItalia in preda allimperialismo napoleonico, il movimento nazionale strumento delle ambizioni altrui; ... bast che la rivoluzione italiana affermasse senza ambagi, francamente, altamente che essa voleva essere e rimanere italiana e non al servizio di ambizioni francesi, perch il vecchio antagonismo, le antiche antipatie politi-

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che della Germania verso di noi cessassero: Italia e Germania, ne La Riforma dell8 agosto 1870. Dov esatta limpostazione, che la Prussia (e con essa altri stati, in primis lInghilterra) avevano visto una minaccia allequilibrio europeo nellintervento napoleonico, non nel movimento italiano in s. 451 Sullo spirito di moderazione con cui apparivano terminate le guerre europee, dalla Crimea al 66, mentre ora tutto mutava, e le condizioni di pace della Germania empivano il cuore di sgomento, cfr. Le basi della pace, ne LOpinione, 5 febbraio 1871. 452 Cfr., per es., la polemica tra H. Homberger e La Perseveranza (nn. del 12, 25 e 26 agosto 1870); o La Riforma, ancora il 7 luglio 1873 (Sadowa), o La Nazione, l11 settembre 1873 (Il viaggio del Re a Berlino e il presente momento storico) 453 La guerra, ne LOpinione, 28 dicembre 1870. 454 Noi italiani che ci siamo fatti nazione ... tra le feste, i canti e la gioia universale, non possiamo comprendere come la Prussia voglia arrotondarsi colle cannonate, far ritornare nel seno della madrepatria le pecorelle smarrite a furia di stragi ...: LOpinione, 2 ottobre 1870. Questo violento articolo provoc aspro risentimento in Germania (l. p. de Launay, 17 ottobre; AE, Ris. 10) e una replica della Augsburger Allgemeine Zeitung, secondo cui la spontaneit del movimento italiano era dovuta allintrigo, alla corruzione, e al pugnale dellassassino, che era stato anchesso uno degli strumenti di Cavour. Eran gentilezze consuete aIlAugsburger Zeitung, gi nel 47 battezzata dal Ricasoli nemica perfino del nome italiano (Carteggi, II, p. 298), nel 48 denigratrice del movimento nazionale italiano, che sarebbe stato solo un raggiro di pochi nobili, di pochi individui della razza bianca che spolpavano la razza bruna di contadini (C ATTANEO, Dellinsurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra, cit., p. IV); nel 59 apertamente ostile alla causa italiana, alla libera Italia che avrebbe dovuto fondarsi sugli assassini e sullaiuto francese, cfr. V ALSECCHI, Il 1859 in Germania: la stampa e i partiti, cit., p. 109). Anche lo storico Reuchlin, irritato dal linguaggio dellOpinione, parl dei mezzi poco onorevoli grazie a cui lItalia aveva compiuta la sua unit (cfr. G. G REPPI, Une coulisse du thtre de la guerre (1870), in Revue dItalie, maggio 1906, p. 367). Una nuova polemica tra LOpinione e un tedesco fu provocata dallarticolo del Dina 11 diritto della forza (9 dicembre) e condusse ad un altro arti-

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colo, Conquista e nazionalit (15 dicembre) e aduna nota il 20 dicembre. Solito tasto: la Germania confonde il diritto della nazione col diritto della forza. Ancora il 3 luglio 71 LOpinione ribadiva il carattere del moto italiano: siamo il paese del plebiscito per eccellenza, perch la nostra vita politica un plebiscito continuo ... Questo il carattere del nostro moto nazionale ... Non abbiamo lutti domestici, non abbiamo citt n villaggio che morda sdegnoso il freno a lui imposto (Il Re a Roma). 455 B ONGHI, Nove anni, cit., II, p. 440 (31 dicembre 70). 456 B ONGHI, l. c., p. 354 (31 luglio 70). Cfr. la polemica della Perseveranza, 12 agosto. 457 Il diritto delle nazioni (Bonghi), ne La Perseveranza del 31 agosto 1810. 458 Siamo parziali?, ne La Perseveranza del 17 dicembre 1870, e cfr. anche 19 dicembre. Larticolo in polemica con il corrispondente fiorentino della solita Augsburger Zeiturtg. 459 G. D URANDO, Della nazionalit italiana, Losanna, 1846, p. 58 sgg. 460 Agli italiani, cit., pp. 22-23. Contro il Mommsen polemizza LOpinione del 4 ottobre 70. 461 B ONGHI, Nove anni, cit., II, p. 407. 462 Lett. di C. Guerrieri Gonzaga ne La Perseveranza del 28 agosto 1870. 463 J. T ER M EULEN, Der Gedanke der Internationalen Orgarsisation in seiner Entwicklung, II, 2, LAja, 1940, pp. 44-45. 464 La prima e la seconda lettera dello Strauss al Renan vennero pubblicate, tradotte, nel Diritto del 26 agosto, 16 e 17 ottobre 1870. Il ragionamento dello Strauss era perfettamente identico a quello del Bismarck (cfr. qui sopra, p. 157, n. 58), ed era condiviso pienamente da altri dotti tedeschi, come da Alberto Weber nella lettera al De Gubernatis, nel Diritto del 18 novembre 1870. 465 Lart. del von Sybel fu pubblicato, tradotto, ne La Perseveranza del 24 settembre 1870. 466 Il testo ne La Perseveranza, 11, LOpinione, 12 e 13 novembre 1870.

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467 Ora in Ritratti e profili di contemporanei, III (Opere, VI), Firenze, 1935, pp. 147, 150, 157, 159, 161. Gi il De Simone aveva battezzato il Bismarck, sin dal 67 Io sono ferro e fuoco (Del principio di nazionalit come fondamento delle nuove alleanze e dellequilibrio europeo, cit., p. 38). Luno e laltro si rifacevano dunque alla espressione bismarckiana durch Blut und Eisen del settembre 1862, che aveva sollevato tanto scalpore, e che daltronde ripeteva il ferro ignique del 1859 (cfr. E YCK, Bismarck, cit., I, p. 429; caratteristica la difesa di A. O. M EYER, Bismarck, Stuttgart, 1949, pp. 185-86). 468 B ONGHI, Nove anni, cit., II, pp. 448-49, 453-54, 460. Cfr. anche A MARI, Carteggio, cit., II, p. 199. 469 Su questo, LOpinione insiste per pi mesi; e cos il Bonghi, il quale una volta afferma, molto acutamente, che lAlsazia e la Lorena non saranno una minor piaga nel corpo della nuova Germania, di quello che la Lombardia e la Venezia sono state nel corpo della vecchia Austria. Anzi, saranno una piaga molto pi amara e pericolosa. Poich in Italia non vera gi costituita ai lati della Lombardia e della Venezia una nazione cos forte, come pur resterebbe la Francia ai fianchi dellAlsazia e della Lorena. (E Parigi?, ne La Perseveranza del 26 novembre 1870). E altri, sempre osservando che per effetto della pace il vincitore peser troppo sul vinto, dice che la Francia star nel centro dellEuropa R come una piaga che la far tutta febbricitante, fino al giorno in cui coglier unoccasione, in cui creder venuta lora della rivincita (ib., 30 gennaio 71). 470 H. A. L. F ISHER, Storia dEuropa, trad. ital., III, Bari, 1937, p. 226. Lo disse allora, pi volte, soprattutto il Bonghi: La pace sar, certo, una tregua; qualunque ne saranno i patti. Una pace che leva alla Francia due provincie, non ha pi speranze di durare di quella che Napoleone dopo la campagna del 1806 impose alla Prussia. Questo il fato della Francia e di tutta quanta lEuropa; e del pericolo della guerra non ci saremo salvati, se non sospenderlo per molti altri anni su capi nostri. Sar la prima delle pene, a cui dovranno soggettarsi gli Stati, i quali hanno ora mostrato una serenit cos schiva da ogni rischio (Un amaro consiglio, ne La Perseveranza, 10 dicembre 1870). 471 Nelle Philosophische Vorlesursgen aus dem Jahrers 1804 bis 1806 di F. S CHLEGEL: ... quanto pi antico e puro il ceppo, tanto pi lo sono i costumi; e quanto pi lo sono i

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costumi ... tanto pi grande sar la Nazione (cit. in F. M EINE, Cosmopolitismo e Stato nazionale, trad. ital., Perugia-Venezia, 1930, I, p. 81). E cfr. le acute osservazioni dellA NTONI, a proposito dello Herder, sullidea tedesca di nazione, che non fu lidea della volont nazionale, bens della natura nazionale, antecedente al volere umano (La lotta contro la ragione, cit., p. 179). Nello Herder stesso, sintromettono di gi fattori naturalistici nel senso biologico (ivi, p. 160; diverso il giudizio di H. K HON, The Idea of Natiorzalism, 4 ed., New York, 1948, p. 430). 472 E YCK, op. cit., l. c. 473 G ILBERT, op. cit., l. c. 474 Per questa diversit fondamentale tra unit italiana e germanica, cfr. B. C ROCE, Storia dEuropa nel secolo decimonono, 2 ed., Bari, 1932, p. 247 sgg.; E. S ESTAN, in Primato, 15 dicembre 1942. Vi aveva insistito su gi il N OVICOV, La missione dellItalia, Milano, 1902, p. 292 sgg. Per la lotta continua fra liberalismo e nazionalismo nel movimento tedesco, con spiccata tendenza verso il secondo, S ESTAN, La Costituente di Francoforte, cit., p. 11 sgg.; e si veda un tentativo di spiegazione della minore attrattiva dellidea di libert in S TADELMANN, Deutschland und die Westeuropischen Revolutionen, in Deutschland und Westeuropa, cit., p. 11 sgg. 475 Questa presa di posizione nel 48, si chiarisce ancor meglio ove si tenga presente la difdenza dellopinione pubblica tedesca, gi negli anni precedenti, verso unalterazione dello status quo territoriale in Italia (cfr. S. B ORTOLOTTI, La stampa germanica nei riguardi del movimento nazionale italiano negli anni 1814-1847, in Rassegna Storica del Risorgimento, XXV [ 1938]; p. 519 sgg. Sul dileguarsi improvviso, nel 48, delle vive simpatie della corte di Berlino per il regno sardo, cfr. F. C ATALUCCIO, Piemonte e Prussia nel 1848-49, in Arch. Storico Italiano, CVI [1948], p. 62 sgg.). E per la missione Arese a Monaco di Baviera e la sua immediata fine, R. B ONFADINI, Vita di Francesco Arese, Torino-Roma, 1894, p. 78 sgg. 476 De Launay a Cavour, 25 dicembre 1858 (cit. in V ALSEC CHI , La politica di Cavour e la Prussia nel 1859, cit., p. 45). 477 Cfr. V ALSECCHI, Il 59 in Germania: la stampa e i partiti, cit., p. 97 sgg., p. 231 sgg.; ID., Il 1859 in Germania: idee e problemi, cit., p. 268 sgg.

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478 H. V ON T REITSCHKE, Briefe, III, Lipsia, 1920, p. 300. Pi che naturale che il Treitschke combattesse allora Garibaldi: ma il punto significativo questo andar oltre il momento e il fatto in s, levocazione di Giovanna dArco cio il dire che ciascuno deve combattere per il proprio paese, e solo per esso. 479 B ONGHI, Nove anni, cit., II, p. 433. E cfr. p. 440: avanti a questeccesso duso della forza [della Germania] si vede tutta lEuropa allibita; e dallacre interesse di ciascuna nazione spezzato il consorzio morale di tutte (31 dicembre 70). 480 Paura e vilt dellEuropa, dice il B ONGHI, op. cit., p. 448, e cfr. pp. 411-13, 453. Cfr. anche La Perseveranza del 23 agosto 1870 (Le condizioni della pace secondo i Tedeschi); e altri una volta trova ch doloroso il vedere lEuropa ridotta ad unimpotenza che piglia laspetto della timidezza e della paura. Se le potenze neutre non si muovono non sapremmo pi davvero a che abbia a ridursi la societ europea. Sarebbe una disgregazione, che scioglierebbe ogni vincolo di solidariet fra popoli, e ci minaccerebbe uno stato di guerra permanente (La politica estera ne LOpinione del 21 gennaio 1871). Ma gi prima LOpinione aveva insistito sulla necessit di unazione dei neutri, dato che il problema della Francia interessa tutta quanta lEuropa (LOpinione, 7 ottobre 1870, ma molta pi cautela il 3 novembre). N erano solo i giornalisti ad esprimere apertamente simili preoccupazioni: il 13 gennaio 1871, come gi si detto, il presidente del Consiglio, Lanza, che scrive al La Marmora: Nulla qui di rimarchevole se non che lorrore che desta il bombardamento di Parigi? LEuropa non se ne commuove per, come se si trattasse di un fuoco dartificio! Le conseguenze potranno per essere fatali anche per le generazioni future (Le carte di G. Lanza, cit., VII, p. 34). 481 C. B ON C OMPAGNI, Francia e Italia, Lett. IX, ne LOPINIONE , 2 dicembre 1871. 482 La Perseveranza, 24 settembre 1870 (Le condizioni della pace secondo i Tedeschi). E cfr. anche 28 settembre, 4 e 20 ottobre, 13 novembre (gli art. del 28 settembre, 20 ottobre, 13 novembre sono del Bonghi). 483 B ONGHI, Nove anni, cit., II, pp. 412, 436-37; La Perseveranza, 2, 20 e 21 ottobre 70 (Bonghi), 1 gennaio, 21 febbraio (Bonghi), 1 marzo 71 (Bonghi); LOpinione (Lattitudi-

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ne dellInghilterra, 19 novembre 70, La rassegnazione dellInghilterra, 8 dicembre 70, La politica inglese, 8 gennaio 71, La politica dellInghilterra, 11 marzo 71). Il 15 gennaio 71 il bombardamento di Parigi ispirava losservazione che in Inghilterra si cominciava a capire che, per adempiere la propria missione, non basta essere una grande manifattura; bisogna pur essere una grande nazione ed avere una grande politica, quella politica cio che Gladstone e Granville erano stati incapaci di perseguire e attuare. Come la pensasse il Dina sullInghilterra, in genere, in quel periodo, rivela, con linguaggio naturalmente pi crudo, la lettera al Castelli del 19 novembre 70: LInghilterra strepita per laffare dOriente e poi caler le brache. Ha lasciato disfare la Francia e minaccia la guerra. Con chi? Non ho mai veduta una politica pi meschina (Carteggio politico di ili. A. Castelli, cit., II, p. 492). N era solo in questa idea: lo stesso Visconti Venosta aveva osservato al de Launay, sin dal 23 luglio 1870: temo che lInghilterra, la quale si dovrebbe sempre trovare in prima linea quando si tratta di situazioni simili a questa, dopo aver fatto poco per impedire la guerra, faccia poco per ottenere questo secondo risultato [che la guerra sia circoscritta] (AE, Ris., c. 10). Giudizi simili nel Minghetti (Luzzatti, Memorie, cit., I, p. 309). N solo gli uomini della Destra cos giudicavano, con meraviglia e rammarico, la politica inglese; assai pi severo era con la solita sua intransigente nettezza il Mazzini, che trovava aver lInghilterra abdicato deliberatamente alliniziativa inaugurando sotto nome di non-intervento una politica dinteresse locale (Agli italiani, [1871], in Scr. Ed. In., XCII, p. 88), e cfr. Politica Internazionale (1871), ivi, pp. 144 e 149: la teorica del non intervento, propugnata dallInghilterra, negazione di tutti i princpi conquistati fino a noi intellettualmente dallUmanit ... Ateismo trasportato nella vita internazionale o deificazione, se vuolsi, dellEgoismo .... 484 M EINE, op. cit., p. 56. 485 A RCH . V ISCONTI V ENOSTA. 486 [Febbraio 1871] (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 487 LEurope a un intrt majeur ce quaucune des deus nations ne soit ni trop victorieuse ni trop vaincue ... La paix ne peut tre tablie et maintenue que par lintrt commun de lEurope, ou, si lon aime mieux, par la ligue des neutres passant une attitude comminatoire: E. R ENAN, La guerre entre la France et lAllemagne, l. c., p. 152 e 156. E cfr. la circolare

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Chaudordy del 15 gennaio 1871: lEuropa intende firmare la sua abdicazione e abbandonarsi ciecamente al destino che le stabilir la Prussia? La socit europenne en train de se dissoudre, voil la situation! (Archives Diplomatiques, XI-XII [1871-1872], t. IV, n. 1112, p. 1515). 488 Questa preoccupazione espressa sin dal 29 luglio 1870 dal Dina al Castelli: la vittoria della Prussia sarebbe un danno gravissimo per noi (Carteggio politico di M. A. Castelli, cit., II, p. 472); riappare il 25 agosto 70, nelle parole di Ercole Oldofredi al Dina: Rotto lequilibrio europeo ... sentiremo pi di ogni altro Stato il peso che ci verr addosso (e il vecchio amico di Cavour esprimeva la sua desolazione per limpotenza dellItalia, C HIALA, G. Dina, cit., III, pp. 248-49); continua nel Cialdini, che teme lavvento della reazione, con la Prussia e la Russia (Carteggio politico di M. A. Castelli, cit., II, p. 481), e in R. Bonfadini, che scrive allamico Visconti Venosta il 15 novembre 1870: ... lo stravincere dei Prussiani pieno di minaccie per lavvenire europeo. LInghilterra mi par destinata a sentire per la prima gli effetti del vuoto che ha lasciato la Francia; ma noi, temo, saremo i secondi. Spero che tu farai del tuo meglio per tenerci immuni dai danni prevedibili e preveduti (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 489 Questo disorientamento palese, per es., nella lett. dellOldofredi al Dina, sopra cit. 490 Marselli, Gli avvenimenti del 1870-71, cit., l. II, p. 118 sgg., soprattutto p. 126; e cfr. anche nella polemica con il Bon Compagni, nel 1872: Francia, Italia e Germania, cit., in Nuova Antologia, luglio 1872, pp. 551-52. Dottrinalmente, le idee del Marselli ricondurrebbero al Mazzini (nazione ed Europa-umanit), se non fosse che nel Marselli mancano del tutto il presupposto e il fine rivoluzionario mazziniano. 491 La Perseveranza, 26 agosto 1870 (replica al tedesco Homberger). Lunit germanica dovrebbe esser condizionata ad una rettifica di confini a favore di Francia ed Italia. 492 Ib., 9 e 29 agosto (Bonghi). Il pericolo non per ora sicuro. 493 Cos il Bonghi, a proposito delle lotte nazionali dellOriente europeo (Rassegna politica del 30 settembre 1871, in Nuova Antologia, XVIII, p. 452). 494 Lettere, cit., IV, p. 260.

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495 In una lettera al Luzzatti del 16 giugno 1874 (L UZZATTI, Memorie, cit., I, p. 496 496 L UZZATTI,Memorie cit., II, Bologna, 1935, p. 96. 497 Politica estera e Difesa nazionale, in Nuova Antologia, LVIII (1881), p. 142. 498 ... noi sapevamo, o signori, che il corso della storia non si pu arrestare. LItalia sin da quando essa era rappresentata dal Piemonte, si mostr sempre protettrice e benevola per le popolazioni e per le nazionalit dellOriente. questa una tradizione che noi non possiamo abbandonare, perch, mi affretto a dirlo, crederei sventurato pel nostro paese quel giorno in cui esso ponesse contro di s i grandi princpi liberali e morali che sono lonore dellepoca nostra (9 aprile 1878, A. P., Camera, p. 363). 499 Visconti Venosta, nel discorso alla Camera il 23 aprile 1877 (A. P., Camera, p. 2687). 500 J ACINI, Pensieri sulla politica italiana, cit., p. 65. 501 E di non averlo fatto il Jacini muoveva rimprovero ad una falange considerevole, ascritta alle classi dirigenti (op. cit., p. 66). 502 Visconti Venosta, nel discorso cit., del 23 aprile 1877. 503 sempre il Visconti Venosta, nel discorso del 9 aprile 1878, a definire: Questa politica non aveva nulla di perturbatore; essa procedeva col rispetto dei trattati, ma quando le occasioni si presentavano, quando era possibile laccordo dellEuropa, essa concorreva a promuovere, rollo sviluppo civile e col progresso delle popolazioni, anche lavvenire di quelle nazionalit le quali erano chiamate a fornire gli elementi di un nuovo equilibrio di cui glinteressi dellEuropa avrebbero potuto accomodarsi, di un equilibrio destinato a prendere il posto dellantico quando gli elementi di questi avessero cessato di esistere (A. P., Camera, pp. 363-64). Non potrebbe darsi testimonianza pi chiara e precisa delle aspirazioni dei moderati di congiungere Europa e nazionalit. Naturalmente, era una concezione molto alta, tale da richiedere notevole equilibrio di giudizio e, anche, notevole preparazione culturale: ond che non stupisce linterruzione dellon. Mazzarella Questa una politica troppo sottile

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504 Al Cattaneo, in Parigi, nella tarda estate del 48, queste cose venivano predicate da molti come avrebbero potuto fare a un Egiziano (Dellinsurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra, cit., p. IV). 505 C FR . S ALVATORELLI, Il pensiero politico italiano dal 1700 al 1870, cit., p. 224 sgg.; anche Pensiero e azione del Risorgimento, cit., p. 115. 506 Delliniziativa rivoluzionaria in Europa, in Scr. Ed. In., IV, pp. 155, 163, 167, 176 sgg. Cfr. C. M ORANDI Lidea dellunit politica dEuropa nel XIX e XX secolo, p. 51 sgg. 507 Cfr. anche G. O. G RIFFITH, Mazzini profeta di una nuova Europa, trad. ital., Bari, 1935, pp. 108-109. 508 S ALVATORELLI, Il pensiero politico italiano, cit., pp. 299300; Pensiero e azione del Risorgimento, cit., p. 122 sgg. 509 Sul juste milieu, uno dei fondamentali concetti politici dellEuropa occidentale dopo il 1830, cfr., per il Cavour, D. Z ANICHELLI, Cavour, ed. Firenze, 1926, p. 40 sgg.; R UFFINI, la giovinezza del conte di Cavour, cit., I, pp. 162 sgg. e 247; II, p. 297; O MODEO, Lopera politica ... , cit., I, p. 13; S ALVATORELLI, Il pensiero politico italiano, cit., p. 292 sgg. 510 Le creazione duna Italia un intento che, raggiunto, deve mutare le sorti dellEuropa e dellUmanit, M AZZINI, La situazione (1857), Scr. Ed. In., LIX, p. 121. 511 Cos, sin dal 1826 lesule piemontese G. B. M AROCHET TI , compromesso nei moti del 21, dava alle stampe un volume su lIndpendance de lItalie; moyen de ltablir dans lintrt gnral de lEuroper considr specialement sous le point de vue de lquilibre politique (2 ediz. riveduta e corretta 1830). Cfr. M. P ETROCCHI, Equilibrio politico ed indipendenza dItalia, in Arch. Storico Italiano, XCVIII (1940), II, p. 131 sgg. Come noto, poi, il Balbo si appellava anche lui allinteresse dellEuropa e della cristianit per sostenere le sue idee sullinorientamento dellAustria e lindipendenza italiana (oltre alle Speranze dItalia, cfr. anche Meditazioni storiche, 3 ed., Firenze, 1855, p. 534 sgg.). 512 La Rivoluzione Francese del 1789 e la Rivoluzione Italiana del 1859, introduzione. (Tutte le opere di A. Manzoni, ed. Lesca, Firenze, 1923, pp. 994 e 998.)

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513 Gi il Cavour, nella relazione del 2 ottobre 1860 alla Camera, aveva affermato che lo scioglimento della questione italiana avrebbe chiuso per sempre nel Mezzogiorno dEuropa lra delle guerre e delle evoluzioni (Discorsi Parlamentari, pubblicati dalla Camera dei Deputati, Roma, 1872, XI, p. 240). N questo era mero espediente tattico, s rispondeva ad una convinzione sincera e a un desiderio. 514 Nel discorso al Senato sullannessione del Mezzogiorno, il 16 ottobre 1860 (Discorsi Parlamentari pubblicati dalla Camera dei Deputati, XI, p. 277). 515 A Giuseppe Chiarini, 26 luglio 1877 (Lettere, XI, p. 161). 516 Delliniziativa rivoluzionaria in Europa, in Scr. Ed. In., IV, p. 177. 517 Ib. ib., p. 155-56. 518 B ONGHI, Nove anni, cit., II, p. 453. 519 La pace, ne LOpinione, 12 aprile 1871. 520 O MODEO, op. cit., I, p. 171. 521 Ne LOpinione del 2 dicembre 1871. Queste lettere, con laggiunta, di altre due al Marselli pubbl. nella Nuova Antologia, furono poi raccolte in volume, Francia e Italia, Torino, 1873. 522 A NTONI, op. cit., p. 114 sgg.; K AEGI, Historische Meditationen, cit., I, pp. 283-85. 523 Mmoires, I, pp. 30-31. Nella trad. ital. (Torino, 1943), pp. 38-39. Sulle concezioni europee del Cancelliere cfr. H. V ON S RBIK, Metternich, Monaco, 1925, I, p. 350 sgg.; R OHDEN, op. cit., passim, e soprattutto pp. 138-39. 524 Mmoire, I, p. 127, n. 1 (trad. ital., p. 143, n. 1). 525 Cfr. p. e. Castlereagh a Liverpool (1818): et donne aux conseils des grandes puissances lefficacit et presque la simplicit des volonts dun seul Etat in C. K. W EBSTER, Castlereagh et le systme des congrs (1814-1822), in Revue des tudes napoloniennes, 1919, p. 79 e cfr. 80; ID., The Foreign Policy of Castlereagh, Londra, 1931, I, pp. 427 sgg. E cfr. soprattutto British Diplomacy 1813-1815. Select Documents Dealing with the Reconstruction of Europe, ed. da C. K. W EBSTER, Londra, 1921, pp. 93, 101, 116,126, 141, 194-95, 218, 233, 238-39, 256, 270, 275, 397, ecc.

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526 Il termine grandi potenze infatti pochissimo usato ancora nella seconda met del 700, quando ci si attiene in genere allo schema della lotta fra puissance dominante e puissance rivale, le due potenze di primordine affiancate da quelle di second ordre; per quanto gi nel M ABLY ci sia il contrasto fra grandes puissances e puissances subalternes (Oeuvres compltes, ed. Lione, 1796, V, p. 19). Certo, a Vienna nel 1815 il rappresentante dellOlanda, Hans von Gagern, osservava che de ce terme nouvellement invent, les Grandes Puissances, il ne connaissait ni le sens prcis, ni lintention. Cfr. C H . D OWNER H AZEN, Le Congrs de Vienne (1814-15), in Revue des tudes napoloniennes, 1919, p. 69. Cfr. anche M. H. W EIL, Les dessous du Congrs de Vienne, I, Parigi, 1917, pp. 219, 276. 527 Lo scritto, celebre, Die grossen Mchte del 1833. 528 Cfr. Fontes furia gentium, ed. da V. B RUNS, Berlino, 1932, serie B, sezione I, tomo I, parte I, fast. 2, pp. 971-74. , questa, la pi chiara e completa esemplificazione di che sintendesse per grande potenza nel set. XIX. Sul valore dei termini bilancia di potere e concerto europeo a mezzo il set. XIX cfr. fini osservazioni in B INKLEY, op. cit., p. 157 sgg.; sulla fine della idea, della politica federativa proprio col 1870-71, ib., p. 299 sgg. 529 Il 1871, ne La Perseveranza del 1 gennaio 1871. Pensieri non diversi in uno scritto apparso anonimo a Bologna, nel 1870, La Nazionalit e lequilibrio europeo, dove si sostiene la possibilit e necessit dellaccordo fra i due princpi di nazionalit e di equilibrio, in guisa da evitare i due estreme, delle eccessive agglomerazioni di popoli, e del soverchio loro frazionamento (p. 16 sgg., 29). 530 N, M ARSELLI, La politica dello Stato italiano, cit., pp. 374-380 (le preoccupazioni del Marselli riguardano il panslavismo). 531 Cfr. T ER M EULEN, op. cit., I, LAja, 1917, p. 42. Si noti che per il Mazzini, invece, questi tentativi di equilibrio europeo furono menzogna senza durata (Nazionalismo e nazionalit, in Scr. Ed. In., XCIII, p. 95 lo scritto del 1871); e la Rivoluzione Francese non mut nulla, non fu capace di sradicare quella meschina e indegna politica. Ancora una volta, dunque, opposizione totale di vedute.

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532 Sullequilibrio in Mazzini acute considerazioni sono state fatte dal S ALVATORELLI, Mazzini e gli Stati Uniti dEuropa, in Rassegna storica del Risorgimento, XXXVII (1950), pp. 457-58, [ora in Miti e storia, Torino, 1965, pp. 337-47. N.d.E.]. 533 Lespressione dello stesso Cavour, nel discorso del 16 ottobre 1860, in Senato (Discorsi Parlamentari, XI, p. 277). 534 G RIFFITH, op. cit., p. 468. 535 Giuste osservazioni in H. G. KELLER, Das Junge Europa, 1834-1836, Zurigo-Lipsia, 1838, p. 80. 536 Cfr. F. B ALDENSPERGER, Le grand schisme de 1830: Romantisme et Jeune Europe, in Revue de littrature compare, X (1930), p. 6 sgg. 537 Sulle origini razionalistiche, in genere, della tradizione moderata, cfr. S ALVATORELLI, Il pensiero politico italiano, cit., p. 261. 538 Su questo declino della politica dei princpi in Europa cfr. le acute osservazioni dellO MODEO, Lopera politica del conte di Cavour, cit., I, pp. 244-45. 539 A. P., Senato, p. 776. 540 A. P., Camera, pp. 3388-89. E cfr. anche il discorso del 14 maggio 1872 (ib., p. 2121). 541 Pubbl. ne LOpinione del 30 ottobre. 542 A. P., Camera, p. 2687. 543 Art. I partiti parlamentari, ne LOpinione del 20 luglio 1871. 544 Carteggio Minghetti-Pasolini, cit., IV, p. 195 (22 ottobre 1870). 545 Nel discorso tenuto a Napoli il 29 ottobre 1874 (pubbl. nel Supplemento de LOpinione del 7 novembre, e, a parte, Roma, 1874, p. 9). 546 G. Borromeo a Minghetti, 3 marzo 1871 (BCB547 , al Jacini che tutte queste idee avrebbe lucidamente riassunte, assai pi tardi, muovendo rimprovero a coloro i quali dopo lunit non avevano saputo ispirarsi a criteri europei, prendendo invece per sola norma i propri desideri e dando cos origine alla megalomania politica548 .

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Fede inconcussa nel principio della libert, che rimaneva pur sempre il motivo centrale della vita spirituale e morale: e qui era labisso che separava leuropeismo dei nostri dalleuropeismo reazionario alla Metternich. Di questo incrollabile attaccamento ai grandi princpi liberali, nessuno doveva esser interprete pi schietto e deciso del ministro degli Esteri, Emilio Visconti Venosta, sia che, nel 71, augurasse alla Francia di rinnovare la sua tradizione liberale, per non porsi contro le forze vive dei tempi nostri549 ; sia che, discutendosi nel novembre 1873 alla Camera la mozione Mancini sullarbitrato internazionale, esprimesse la sua convinzione che una grande guarentigia in favore della pace si trovi nelle istituzioni libere ... e che la pratica sincera e aperta delle istituzioni libere favorisce il sentimento della giustizia550 , sia che, non pi ministro, riaffermasse dinanzi alla Camera il credo suo e della sua parte, col ritenere sventurato pel nostro paese quel giorno in cui esso ponesse contro di s i grandi princpi liberali e morali che sono lonore dellepoca nostra551 . Sarebbe stato difficile cogliere sulla bocca di un ministro degli Esteri, che non facesse parte di un gabinetto Gladstone, affermazioni in cui il credo liberale fosse esaltato con tanta nettezza e sincerit, come quelle chegli pronunziava alla Camera, il 27 novembre 1872: Oggi in Europa il bisogno precipuo pi altamente sentito e confessato quello della conservazione della pace. LEuropa e vuol essere liberale. Essa non vuol gettarsi in mano della reazione, ma sfugge la demagogia. Ebbene, signori, per lItalia la pace e sar sempre uno dei suoi grandi e permanenti interessi. Per la natura stessa delle questioni che noi siamo chiamati a risolvere, perch sono collegate con la nostra esistenza nazionale, la nostra causa solidale della causa della libert in Europa. Lopinione liberale sa che le nostre vittorie sono vittorie sue, come le nostre sconfitte sarebbero sue sconfitte ...552 . Qui, veramente, celebrava il suo trionfo la religione della libert, quella chera stata la poesia dei grandi giorni del Risorgimento, e rimaneva la poesia dei nuovi giorni, pi modesti e grigi allapparenza, non infuocati da appelli guerrieri e canto di inni per le strade delle citt insorte o appena liberate, eppure tanto utilmente spesi nel creare, pacatamente ma continuativamente, una solida base alle fortune della Patria unificata. La libert, il voto spontaneo dei popoli, nonch esser ributtati lontano, si fondevano con il senso europeo, rafforzandone

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le basi; onde, annotava il Bonghi, la stessa pratica dei plebisciti era appropriatissima a servire di freno a qualunque violenta alterazione territoriale in avvenire. una salvaguardia, che tutta Europa dovrebbessere interessata a mantenere. Poich se labbandonarla e il disprezzarla giova oggi alla Prussia, e nuoce soltanto alla Francia, nuocer domani ad altri, e, ad ogni modo, riconduce sino da ora il diritto pubblico a quella mera ragione della forza, dalla quale pareva essersi sollevato oramai553 . E quindi, ben fermo restando lideale della libert, attenuare, smorzare, relegare in uno sfondo lontano tutto quanto potesse condurre ad urti internazionali, e quindi, in primo luogo, attenuare e smorzare il principio di nazionalit, accettando dunque, per questo lato, i principi cari alleuropeismo diplomatico della Restaurazione. E se nebbe una prova proprio gi nellinverno del 1870-1871, allorquando alla guerra franco-prussiana venne ad mancarsi nuovamente la questione di Oriente per la denunzia russa delle clausole riguardanti la neutralizzazione del Mar Nero: ch, mentre il gruppo Crispino, fedele in questo al programma mazziniano, patrocinava la sparizione del Sultano, lassurdo della vita internazionale, e chiedeva lintegrazione della Grecia, lautonomia degli Albanesi, dei Bulgari, dei Serbi, dei Rumeni, uniti in confederazione con sede a Costantinopoli554 , il governo italiano si preoccup soltanto, giustamente, di evitare ad ogni costo che il gesto russo fosse il punto di partenza di una nuova crisi internazionale, e di salvare la pace, anche a costo di compromessi, tenendo cosa in piedi luomo malato. La politica dei principi, nettamente e rigidamente contrapposti, con tanta veemenza sentita nellEuropa dellet metternichiana e mazziniana, era venuta meno dopo il 48, dopo il fallimento della rivoluzione generale europea555 . Prima, dire libert significava dire Europa nuova e leuropeismo diplomatico alla Metternich era stato tuttuno con la reazione, sicch ogni nazione sembrava aver compreso il segreto del suo essere, vedendo che la libert delle altre era condizione necessaria alla sua556 ; ora si poteva mantenersi fermi nellatteggiamento liberale, pur accettando di buon grado di far parte della vecchia Europa diplomatica, pur compiacendosi del concerto delle grandi potenze, dellequilibrio e di simili accomodamenti pratici che erano stati immorali ed assurdi per il Mazzini. Era il necessario adattamento ai tempi e alle circostanze, un adattamento daltronde generale in Europa, come che, proprio

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allopposto del Metternich, assai sprezzante dei principi e attento solo a valutare la convenienza pratica, caso per caso, fosse il principe di Bismarck, luomo cio che influiva cos potentemente sulla vita del continente. Anche in questa parte, operava in profondit laspirazione al realismo, di cui i Prussiani trionfanti avevano dato lesempio557 : realismo, e cio ripudio di unastratta politica di princpi. Gi allinizio lo aveva proclamato, crudamente, la fiorentina Nazione, non ancora divenuta amica del cuore della Prussia: a che scaldarsi il sangue per Francia o Prussia, credendo che luna o laltra rappresentino qualche grande principio? impossibile parlare di princpi, laddove linteresse domina nella sua forma pi grossa e brutale. una questione di utilit, di tornaconto; ed anche lItalia, quando fosse costretta ad uscir dalla neutralit, non dovrebbe aver n scrupoli, n rimorsi, ma pigliare quella parte che pi ci torna, dove speriamo guadagnar pi, o perdere meno, ora che il signor di Bismarck e il signor Benedetti ci hanno felicemente liberato dalle patriottiche effusioni e dalle scene sentimentali degli ammiratori della Prussia liberale, e degli spasimanti della Francia umanitaria558 . Sacro egoismo in anticipo; realismo a tutto spiano. Del che doveva dar prova ancora in seguito proprio il Bismarck; e insieme a lui gli altri, e massime il Disraeli, altro prototipo di un mondo ben diverso dal liberalismo manchesteriano e gladstoniano, vero campione della ormai nata et dellimperialismo: tanto che il secolo poteva chiudersi con lalleanza tra la repubblicana Francia e limpero zarista, non senza orrore appunto di quelli che avrebbero voluto tener fede sempre ai princpi e rifiutavano di contaminarsi con accordi impuri. E, al confronto, i nostri erano ancora molto attaccati ai princpi, siccome dovevano dimostrare, di l a poco, le vicende difficili fra il 74 e il 75, quando, pur di non lasciarsi trascinare in un Kulturkampf italiano e di non dover cos rinnegare la propria anima liberale, il Visconti Venosta e i suoi colleghi preferirono affrontare un periodo di freddezza, anzi addirittura di tensione nei rapporti con lonnipotente Germania bismarckiana. N ladattamento dei princpi alla realt era destinato a rimaner limitato ai rapporti internazionali, come che dovesse imporsi anche nella politica interna dei vari paesi europei, ne quali le contese di parte non ebbero pi, nemmeno esse, negli ultimi decenni del secolo e oltre ancora, quel carattere di assolutezza, intransigenza, consequenziariet, che avevano caratterizzato il

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pensiero politico della Restaurazione559 e poi ancora, contrapposto, come diavolo ed acqua santa, liberali e reazionari. Questi ultimi rimasero ancora, per qualche tempo, irriducibili nella loro opposizione fanatica alla rivoluzione: legittimisti francesi, carlisti spagnuoli, clericali italiani, continuarono a veder nel liberalismo il peccato mortale dellumanit e solo con la politica del ralliernent in Francia cominci levoluzione ufficiale, non di singoli, ma di gruppi, verso posizioni meno retrive. E anche gli anticlericali dellaltra parte continuarono, per alcun tempo, lintransigenza dei loro padri. Ma sul piano propriamente politico, la Destra italiana fu, forse, lultimo esempio di un attaccamento ai propri principi, nel complesso rigido, a costo di giocarsi popolarit e favore del corpo elettorale, un attaccamento che, certo, irrigidiva e staticizzava, una volta per sempre, la posizione che il Cavour aveva invece assunta proprio grazie ad un compromesso tattico. Poi, fu la Sinistra, la cui tante volte dichiarata minor levatura morale fu, appunto, questo maggior senso del compromesso tattico e questo pi facile transigere, in pratica, alle esigenze della realt anche contro le idee; e infine, fu il trasformismo, che signific il trionfo del nuovo metodo di condurre la lotta politica in regime parlamentare. Il pessimista Bonghi lo deplorava altamente: oggi, sembra che gli stessi parati che sintitolano pi Progressivi non ostentino princpi che per avere lopportunit dabbandonarli e di disdirli, quando lor convenga o una qualunque simpatia li commuova. Il fine di ciascuno diverso da princpi che pronuncia, e questi valgono o no, insino a che conferiscono a conseguire quel fine e vi servono. Il giorno che appariscono o superflui o dannosi, si gettano tra le ciarpe, per ricercargli unaltra volta poi, se loccasione si ripresenta560 . Chera, naturalmente, giudizio eccessivo e peccante, come tanti altri del Bonghi, di quel continuo umore polemico contro uomini e cose del suo tempo in cui rimaneva impigliato lo spirito del brillante giornalista; ma, come sempre in lui, nellesagerazione cera il fondo di vero, acutamente colto, e sicuramente si fecero sempre pi rari coloro cherano disposti a ripetere, con il Lambruschini del 49, restar soli, noi puri, noi savi, noi antiveggenti, e non scender mai a transazione alcuna con le sette opposte, neppure per conseguire un fine determinato e comune561 . Fu, in non piccola parte, conseguenza del nuovo modo di intendere la vita ed i valori della vita nel clima europeo postromantico: trionfo delleconomia capitalistica, della tecnica, de-

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gli affari, di un mondo cio dove i principi non dicono nulla e tutto invece la convenienza pratica del caso per caso, dove la trattativa di compromesso costituisce elemento centrale delle vicende, e, anzich rigidi, occorre essere duttili. Tramontavano ideali e modi di vita del Romanticismo; e saffermavano in loro vece ideali e modi di vita differentissimi, con un indubbio abbassamento di tono morale e culturale, ma con parimenti indubbio allargamento quantitativo. Lo stesso ampliarsi della sfera dazione e dattivit dello Stato, il suo intromettersi sempre pi ampio e continuo in questioni prima meno prementi in primis, le questioni economiche il suo leviatanizzarsi, traevano con s, fatalmente, un minor attaccamento alle dottrine e una maggior considerazione del caso, della questione singola, tanto pi che, assai spesso, simponevano problemi che i vecchi princpi non avevano contemplato e la dottrina non aveva sistemato. Fu, anche, la lezione dellesperienza, la quale aveva insegnato che gli uomini dei principi nella prima met del secolo troppo avevano fatto affidamento sulle forze morali e in troppo poco conto tenuto la potenza materiale: donde le delusioni del 48 e del 49, il sogno della rivoluzione europea infranto, lo stesso moto per lunit nazionale, nel caso dellItalia, portato poi al successo grazie a combinazioni di politica europea, in cui il fattore potenza aveva avuto parte preponderante, il diplomatizzarsi, come fu detto, della rivoluzione italiana, cio il suo accettare, allato delle forze morali, la forza di eserciti regi e di alleati imperiali. Il trionfo della soluzione monarchica, proprio nel Risorgimento, aveva gi costituito un compromesso, per i dottrinari, e vi avevan fatto corona le conversioni di vecchi mazziniani e repubblicani alla fede monarchica, che il Mazzini poteva battezzar per tradimenti, ma che, molto al disopra dei casi personali, erano frutto della lezione delle cose e significavano lavvento di et meno ripide sui principi. Tutto questo traeva, dunque, verso il riconoscimento di una politica senza principi: e gi lo si era visto assai chiaramente dopo il 48. Ma limpressionante spettacolo di potenza e il modo come la forza aveva trionfato nel compimento dellunit germanica, davano il suggello definitivo a quanto gi sera appreso in ventanni di storia: si trattava soltanto, ormai, di sapere sino a qual punto si potesse giungere coi compromessi e con gli adattamenti. Su questa via marci risoluto il principe di Bismarck, con i suoi ben calcolati ma anche repentini cambia-

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menti di fronte, quando loccasione lo richiedesse; con il passare dalle velleit di appoggio al Papa, nel novembre del 1870, al Kulturkampf e poi nuovamente ad amichevoli rapporti con Leone XIII; oppure con laccettar prima e poi il rompere lalleanza con i liberali; o, ancora, in campo internazionale, con il trascorrer dalle proposte di Schnbrunn allAustria, nel 64, contro lItalia, allalleanza con lItalia contro lAustria, nel 66, dalle ostilit contro la Francia, sino al 78, alle blandizie verso la Francia, sino all85, e poi di nuovo allostilit, dalle ingiurie verso lItalia, nel 1879 e nel 1880 allalleanza con lItalia. E veramente pu dirsi chegli espresse ed incarn, come nessun altro, lo spirito nuovo della nuova Europa. Lidea di nazionalit aveva potuto separare i moderati italiani dai moderati di altri paesi; lidea di Europa che aveva la valeur dune patrie562 li ricongiungeva e li ritrovava daccordo: proprio come si trovavano daccordo uomini di destra francesi e liberali inglesi563 , e come si dovevano trovare daccordo, ancora nel 1875, al momento della famosa crisi di primavera, il marchese di Noailles, ministro di Francia a Roma, e il nostro Visconti Venosta, tipico moderato italiano, nonostante la lontana origine mazziniana, daccordo dico nel constatare che luna delle cause maggiori dei pericoli della situazione europea tait labsence de ce quon appelait nagure une Europe564 . Che pi? Nelle deplorazioni sulla carenza di spirito europeo e sul dissolversi del vecchio senso politico-diplomatico del corps de lEurope, si trovavano pienamente daccordo, nella tragica estate del 1870, i Visconti Venosta, i Bonghi, i Bon Compagni565 e il cancelliere dellImpero austro-ungarico, il sassone conte Federico di Beust, che consegnava ad un dispaccio ufficiale, pubblicato nel Libro rosso austriaco, il suo celebre motto: ... je ne vois plus dEurope, e ancora in seguito ritornava su quel suo concetto, fermamente convinto chesso racchiudesse il segreto de molti guai sopravvenuti566 , Pi tardi, spettava al suo successore, lungherese conte Giulio Andrssy, cos da lui dissimile, laffermare daver operato per retrouver une Europe, per reconstituer un sentiment europen567 : anchegli, dunque, uomo della buona tradizione diplomatica europea. Italiani e Austriaci e Francesi, uomini della pi varia origine: ma, quando gli Italiani fossero dei moderati, in fatto di Europa uno era il loro sentire e quello dei diplomatici dellantica scuola asburgica o del Quai dOrsay, e labdicazione dellEuropa davanti alla onnipotenza prussiana scoraggiava, disgustando

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tanto un Bonghi quanto uno dei tipici rappresentanti delle alte caste europee e della, diplomazia antica, il principe Riccardo di Metternich568 . Anzi, nemmeno solo i diplomatici delle varie cancellerie e gli uomini dei partiti moderati sentivano allo stesso modo lEuropa e la sua unit morale: perfino uomini che in politica interna passavano per radicali, per demagoghi per esaltatori di novit, non appena parlavano del consorzio europeo si rivelavano, su questo terreno, ligi alle tradizionali concezioni; e un Gambetta diventava, al riguardo, altrettanto conservatore quanto i diplomatici educati alla scuola del Quai dOrsay e inviati allestero dal duca di Broglie569 , e anche in Francia la patria europea costituita dalla sofferenza, dallesilio, dallemigrazione, che Michelet aveva mazzinianamente esaltato570 , svaniva nellEuropa dellequilibrio politico, delle grandi potenze, dellordine e dei governi costituiti. Tanto lenti a produrre tutti i loro effetti sono, nella storia, i sommovimenti ideali, e tanto poco lidea di nazionalit, nelleccezione dei pi, si intendeva destinata a buttar sossopra tutto il vecchio bagaglio della ideologia politico-diplomatica della Restaurazione. Una eccezione vera per, che rompeva risolutamente i legami con quel mondo del passato, e, da realpolitico e sprezzatore dei princpi, disdegnava quelle chegli chiamava parole, non riconoscendo pi alcuna sostanza al mito dellEuropa come unit morale, come corps politique: e, manco a farlo apposta, era proprio costituita dal Bismarek, il quale, accusato dallopinione media europea, nellinverno del 70-71, di distruggere il senso dellEuropa, doveva effettivamente, alcuni anni pi tardi, in piena crisi di Oriente, esprimere, chiara e netta, la sua incredulit per la cosiddetta Europa. Prima, nelle annotazioni marginali alla lettera del Gorciacov a lui, in data 2 novembre 1876; poi, nel Diktat di Varzin, in data 9 novembre, il gran cancelliere dava infatti libero sfogo al suo scetticismo571 . Dov lEuropa? Qui parie Europe a tort. Notion gographique. Finzione, parole che il Bismarck sempre ha sentito risuonar in bocca di uomini politici bramosi di ottenere qualcosa, ma senza coraggio per chiedere in nome proprie; nettamente e chiaramente; finzione pi volte adoperata contro la Germania, e proprio nel 70, o per far servire la Germania ad interessi altrui. Ipotetico dovere di europei, soddisfacendo al quale non s ottiene il ringraziamento di alcuno! Se la Germania do-

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vesse impegnarsi per qualcosa al di fuori dei suoi propri interessi, lo dovrebbe fare non per adempiere a siffatti ipotetici obblighi di europei, bens per compiacere una potenza amica, da cui lecito attendersi la contropartita. Finzione, lEuropa: anche se il signore di Bismarck, nella circolare del 16 settembre 1870, avesse una volta pure lui fatto appello allinteresse dellEuropa, per cui lavorava la Prussia in lotta con la Francia, turbatrice della pace e quindi dellEuropa572 . Ma forse era proprio perch la sua era stata pura mossa tattica, strumento di una lotta in cui di tutto occorreva valersi; forse era proprio per questa sua personale esperienza che il Bismarck non credeva nella sincerit europea degli altri. E nel caso specifico del Gorciacov aveva anche ragione; ma sintomatico era che egli dal caso specifico risalisse ad una decisa affermazione generale, di principio, per negare il valore dellidea in s. Era un credo politico, che veramente costituiva lantitesi piena della tradizione europea di mezzo secolo, segnando un momento rivoluzionario. Nozione geografica era stata, un cinquantennio innanzi, per il principe di Metternich, lItalia, cio lidea di nazione; nozione geografica diventava ora, per contrapposto, lideale del gran signore renano, il corps politique de lEurope, al cui posto sarebbe dovuta rimanere, sola, lidea dello Stato singolo, della nazione bene individuata, con le sue peculiari necessit e i suoi interessi specifici. Il Metternich aveva rifiutato i diritti della nazionalit, cio dellindividualit, in nome del suo principio di conservazione dellordine europeo, cio della collettivit; ora, il Bismarck negava il consorzio dellEuropa per affermare, di contro ad esso, duro e aspro nella sua figura isolata, lo Stato singolo avviato ad ascendere sul trono dellAssoluto. Mutamento totale di prospettiva, in poco pi di mezzo secolo! Questa era una vera rivoluzione, in senso antitetico allideale mazziniano: una rivoluzione che cercava di porre una pietra tombale sulla politica dei principi, non riconoscendo pi se non la convenienza pratica, momento per momento, caso per caso, che spazzava via ogni tentativo di creare, al di sopra dei singoli organismi statali, almeno lapparenza di una unit morale e civile, liquidando ogni sopravvivenza della vecchia idea del corpus christianum, come di una necessaria solidariet di princpi e di sentimenti fra i popoli europei. Era la fine delleuropeismo e linizio dei nazionalismi e degli imperialismi, del pangermanesimo e del panslavismo; e vi dava lavvio, col

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suo modo di pensare e la sua eccessiva aderenza alla realt materiale dei fatti, anche un uomo che temette, per tutto il resto della sua vita politica, lo chauvinismo francese e il panslavismo, come i maggiori pericoli concepibili per la patria tedesca573 , e che non fu, certo, nemmeno un pangermanista. Ma Bismarck era proprio luomo contro cui il senso europeo dei liberali e dei conservatori italiani ed inglesi, francesi ed austriaci, insorgeva nellinverno del 70-71, giustamente presentendo il pericolo. Soltanto, nel 1876 anche il Bismarck non era pi solo nellaperto rifiuto di ogni considerazione che non fosse linteresse preciso del momento, e nello sprezzo per le grandi parolone, doveri di europei o di cristiani o che altro si fosse. Da oltre Manica, dove nel 1870 dominava lumanitarismo, la sentimentalit del Gladstone, che il Bismarck scherniva, gli veniva ora incontro, similia similibus, il nuovo artefice delle fortune imperiali britanniche, il Disraeli, che in fatto di indifferenza ai princpi, di esclusivo apprezzamento della gloria e potenza, non aveva nulla da apprendere, nemmeno da un Bismarck. Ma Disraeli sin dal 72 aveva intonato la fanfara dellimperialismo; e pure Disraeli urtava gli ideali dei moderati, e massime del Bonghi, che anche attraverso luomo di Stato britannico vedeva avanzarsi unepoca nuova, quella della pura potenza, tramontando il suo vecchio mondo574 . Da questo punto di vista, dunque, i Visconti Venosta, i Bonghi, i Dina, i Minghetti, i Lanza erano assai pi vicini, spiritualmente, ai moderati e fin ai conservatori doltrAlpe che non ai Crispi e compagni, per i quali, come s visto, quel presunto tramonto della vecchia Europa costituiva motivo non di rimpianto accorato, s di giubilo, come che significasse la fine dellEuropa diplomatica, cio lEuropa degli effimeri compromessi, degli assurdi trattati, per lasciar libero corso alle forze sprigionantesi dalle potenze che hanno un avvenire, in cui fermentava un moto di emancipazione, per cos dire personale, che tende a dare il massimo sviluppo alla iniziativa delle politiche nazionali575 . Ch era ancora, e in perfetta concordanza con lirrigidirsi del principio di nazionalt in un a priori metafisico lannunzio dellet dei nazionalismi esasperati: singolare coincidenza di modo di sentire fra il politico tutto, o almeno molto ragione e calcolo chera il Bismarck, e limpetuoso Crispi, che qui usciva completamente fuori non soltanto dal quadro delleuropeismo alla maniera della Restaurazione, bens dalla stessa concezione mazzi-

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niana dellEuropa futura, e, frantumando lideale della missione comune, dellumanit, lasciava solo sussistere, ingigantendolo quindi ed esasperandolo, lideale della nazione, ormai posto come fine a s stesso, non pi, mazzinianamente, come mezzo. Ecco perch, nellaffermazione della potenza germanica contro la Francia, i moderati italiani scorsero non gi unaltra affermazione di quello stesso principio di nazionalit, per cui essi avevano lottato, sofferto e vinto, bens una nuova incarnazione dello spirito di conquista, la prima dai tempi di Napoleone il Grande: con Bismarck e Moltke riappariva la mala bestia che per cinquantanni sera riusciti a tenere lontano dallEuropa, la pace imposta dalla Germania era uno schiaffo dato ai princpi, che da cinquantanni avevano prevalso nel diritto pubblico dEuropa576 . Conservatore comera, leuropeismo politico di cui si parlato una cosa infatti doveva sopra tutte aborrire: i tentativi di egemonia continentale, o, come aveva detto gi il Metternich, le systme de conqute577 . Lo aveva aborrito in Napoleone I; ed era non piccolo indizio del modo di pensare dei moderati che proprio lombra minacciosa del gran Crso venisse rievocato come precedente dellimpero germanico578 . Rinasceva il vecchio, ma sempre ricorrente schema dellequilibrio europeo, unica garanzia della pace e quindi della civilt, minacciato dalle ambizioni e dallo spirito di conquista di un paese: schema su cui gi una volta sera vittoriosamente appoggiata loffensiva antinapoleonica. Ora, vero, riviveva fiaccamente: discorde o distratta, lEuropa del 70-71 non avrebbe permesso, nemmeno ad un Metternich redivivo, le manovre del 1813-14. E ben presto daltronde il Bismarck stesso si sarebbe incaricato di attenuare i timori e render meno acuta la minaccia, con quella sua politica di conservazione, che gi s visto come impressionasse subito, gradevolmente, i nostri uomini: donde il venir meno dello spettro della conquista, che solo ulteriori eventi e mutate circostanze avrebbero, decenni pi tardi, fatto risorgere, incarnato in altre fattezze; donde il sospiro di sollievo che dovevan trarre i partigiani del sistema europeo, i buoni europei delle varie destre, in Italia e fuori dItalia, come che anche in altri paesi lallarme fosse stato grande per i troppo strepitosi successi bellici prussiani e si fosse, anche altrove, trepidato per le sorti dellequilibrio e del concerto delle potenze579 . Non ultima prova, anche questa, della vera natura delleuropeismo politico deimoderati italiani.

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Ma un simile riaffiorare di motivi politico-ideologici dei tempi della lotta antinapoleonica, era pur sempre assai caratteristico come quello che ricordava un modo di concepire i problemi della vita internazionale (equilibrio contro egemonia) ormai ben radicato e destinato ad affrontare ancora altre e maggiori prove, in un avvenire che gli uomini del 70 potevano temere, non certo precisare. Era un po come la struttura organica di quel che si diceva Europa: entit statali nettamente differenziate, ma concordi in uno scopo sostanzialmente negativo, assai pi che positivo impedire le monarchie universali, frenare gli eccessivi ingrandimenti di una sola potenza, magari a mezzo di compensi ai terzi. Era, soprattutto, il timore dello spirito di conquista, del predominio della forza bruta, che conduceva i liberali a mettere un freno al principio di nazionalit, il quale altrimenti, lasciato libero di s stesso, avrebbe anche potuto mettere a soqquadro lEuropa. Ora, appunto, per i moderati dItalia il movimento germanico, come per i suoi precedenti contrastava con lo spirito animatore del Risorgimento, opponendo al voto spontaneo dei popoli il diritto della forza, cos contrastava con leuropeismo, il secondo contrasto divenendo, anzi, fatale conseguenza del primo. L dove ci si appellava alla forza pura, l era anche il pericolo per lEuropa: il diritto nazionale, attuato nella penisola, non aveva turbato la vita europea; il diritto di conquista, oltre che ledere il principio stesso di nazionalit, minacciava di buttar per aria lEuropa580 , sovvertendo il sistema su cui riposava la possibilit di convivenza delle nazioni. La ricognizione del diritto delle nazioni di costituirsi a Stato scriveva il Bonghi parsa un effetto del progresso dello spirito sociale, perch sembrato il pi sicuro vincolo, la pi salda base dun consorzio tranquillo e durevole tra le societ civili di Europa. Perch tenga questa sua promessa, necessario, che la sua applicazione sia accompagnata da molta equit, e che nessuna nazione pretenda di costituirsi siffattamente da rendersi minacciosa alle altre. Altrimenti ... non gi la pace e la concordia, che questo diritto sar venuto ad assicurare nel mondo, ma bens la gelosia e la discordia, una gelosia ed una discordia indomabili.581 . Antitesi totale di idee e di metodi. Noi siamo nati e vissuti proclamava, polemicamente e ben pensando a Prussiani, il Bonghi, nel suo gran discorso alla Camera sulla legge delle

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Guarentigie, il 31 gennaio 1871 asserendo precisamente i diritti nostri e rispettando scrupolosamente quelli di tutte le altre nazioni. Siamo venuti al mondo con una promessa di pace e di giustizia. Noi abbiamo gettato un lampo di luce nel sorgere, non labbiamo accompagnato col triste rombo dei cannoni, non labbiamo fatto precedere dal lampo dei manipoli, dallonda dei cavalli e dal mortale luccichio delle spade, e non abbiamo predicata la dottrina del ferro e del fuoco. Noi abbiamo chiesto allEuropa che ci desse il posto che ci spettava, e labbiamo preso senza ledere i diritti altrui; abbiamo detto di volerlo tenere senza neanche ledere le coscienze, glinteressi morali di nessuna nazione dEuropa.582 . Molti anni pi tardi, quando gi sera in piena gara di potenza fra le grandi nazioni europee e la pace armata disvelava, ogni giorno pi, inquietanti crepe, il vecchio moderato, che di molte e troppe cose soccupava, ma tenacissimo era nelle sue idee, avrebbe ancora una volta ribadito il modo di vedere suo e dei suoi antichi compagni di fede: Abbiamo costituito le nazioni perch fossero le naturali membra delluman genere e operassero da tali. Il pensiero di dare base nazionale agli Stati, e che s effettuato per tanta parte durante il secolo ed stato il meglio dellopera sua, era pensiero di concordia e di pace. Le nazioni, rizzate di nuovo in piedi, non dovevano, nel concetto della nostra generazione, affrontarsi in armi le une le altre, e guardarsi arcigne e sfidarsi; ma vivere, poich sera fatto loro giustizia, amiche, e gareggiare nel bene e nel portare ad effetto la maggior somma di felicit e di virt, di cui sia capace luomo. Era forse un ideale troppo alto, e che credemmo soprattutto troppo prossimo; ma non giova glideali abbassarli, e cacciarli con la mano troppo lontano. Vha forse giovani a cui parr un ideale de vecchi; ma cotali giovani sono decrepiti. invece ideale che bisogna rialzare. E a ci devono cooperare e cooperano, lente ma sicure, la coscienza popolare da una parte, e le menti elette dallaltra. Se gli uomini di Stato non sanno se non brancolare nelle tenebre dei lor pregiudizi e nelle reminiscenze pallide del lor passato, peggio per essi. Non sar la prima volta nella storia, che la luce balenata a loro occhi di dove meno laspettavano, e alla luce, rassegnati pur di mantenersi di sopra, hanno ceduto583 . I Tedeschi, invece, gente di cui non vha la pi disadatta a distinguere nel desiderio suo quello ch giusto da quello ch ingiusto B ONGHI, Nove anni, cit., II, p. 409.

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Carte Minghetti, cart. XVI, fasc. 4). Pensieri sulla politica italiana, cit., p. 66 sgg. 549 l. p. al Nigra, 5 agosto 1871 (A RCH . V ISCONTI V ENO STA ). 550 A. P., Camera, p. 34. Nello stesso giorno, identico inno alla libert levava il Boselli (ib., pp. 35-36). 551 Nel discorso del 9 aprile 1878 (A. P., Camera, p. 363). 552 A. P., Camera, p. 3888. E cfr. qui sopra p. 135. 553 Il Thiers in Firenze, ne La Perseveranza, 14 ottobre 1870. 554 Cfr. qui sopra, p. 72. 555 Sul cambiamento profondo della politica europea dopo il 48 cfr. S ALVATORELLI, Storia dEuropa dal 1871 al 1914, Milano, 1941, 1, pp. 34-35. 556 Sono le note espressioni del C ATTANEO, nel programma del Cisalpino, il 17 marzo.1848 (Scritti politici ed epistolario, a cura di G. Rosa e J. White Mario, I, Firenze, 1892, p. 123). 557 Cfr. C ROCE, Storia dEuropa, cit., p. 254 sgg. 558 6 agosto 1870 (La nostra politica). 559 Cfr. O MODEO, La cultura francese nellet della Restaurazione, cit., pp. 53 sgg. e 63. 560 Il Thiers in Firenze, ne La Perseveranza del 14 agosto 1870. 561 Lambruschini a Ricasoli, 9 maggio 1849 (Carteggi Ricasoli, III, p. 388). 562 Metternich a Wellington, nel 1824: Cest que depuis longtemps lEurope a pris pour moi la valeur dune patrie, (in S RBIK, op. cit., I, p. 320). 563 Charles Gavard annota: Tout le monde est ici [in Inghilterra] atterr ... Il ny a plus dEurope, plus de socit de peuples, si on laisse ainsi la force aller jusquau bout (Un diplomate Londres, cit., p. 6). 564 Noailles Decazes, 11 maggio 1875 (D.D.F., serie l, I, n. 411, p. 448). Il serait temps de penser la reconsttuer [lEutopel, mais on ne peut marcher dans cette voie quavec une extrme prudence. 565 Anche il M ARSELLI condivideva simili preoccupazioni: Questo ragionamento fondato sulla credenza che vi sia an547 548

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cora una Europa. Se questa unillusione, se davvero lInghilterra continuer a nicchiare, i Latini a decadere, lAustria a tremare, allora due potenze costituiranno lEuropa: Germania e Russia (Gli avvenimenti del 1870-71, cit., p. 121, n. 1). 566 B EUST, Trois Quarts de Sicle, Mmoires, trad. franc., Parigi, 1888, II, pp. 392 e 414. Anche La Perseveranza del 3 ottobre 1870 annota: LEuropa!. Chi pu asserire oramai se essa politicamente esiste?. 567 Dichiarazioni dellAndrssy allambasciatore di Francia a Vienna, de Vog, il 29 aprile 1878 (D.D.F., serie l, II, p. 307). Per il persistere di simile credenza nella societ europea, ancora pi tardi e nella stessa diplomazia, cfr., p. es., il rapporto dellambasciatore francese a Costantinopoli, Bompard, il 3 ottobre 1912: Le Congrs de Paris [ 1856] avait bien ... fait entrer en principe la Turquie dans la socit des nations europennes ... mais dans le fait il sen tait toujours fallu de beaucoup que lassimilation ft relle et la Turquie continuait en ralit tre considre par lEurope comme un Etat dun genre particulier contre lequel les Puissances avaient des intrts communs dfendre (D.D.F s. 3, IV, p. 35). 568 Cfr. la sua lett. al Beust del 26 settembre 1870, in H. S ALOMON, Lambassade de Richard de Metternich Paris, Parigi, 1931, p. 276. 569 Anche Gambetta osserva infatti, in una lettera del 27 gennaio 1877 a Juliette Adam, che tant quil nv aura pas une Europe, non si potr essere al sicuro da una aggressione bismarckiana: ed Europa vuol dire, per lui, concert europen contro la Germania (cio, la vecchia idea gi secentesco-settecentesca delle potenze unite contro laspirante allegemonia, per tutelare la libert dei singoli stati), ricostruire lancien quilibre des puissances, lquilibre europen base della scurit commune e alterato dalla Prussia che ha imposta la sua supremazia, lacerando le vieux droit public. Par di sentire Metternich: ed invece il creatore della repubblica francese, laica e democratica! (Lettres de Gambetta 1868-82, ed. da D. H ALVY ed E. P ILLIAS, Parigi, 1938, n. 300.) Gambetta daltronde rimase sempre tenace assertore dellequilibrio europeo, cos come lavevano concepito i diplomatici alla fine del sec. XVIII (cfr. P. D ESCHANEL, Gambetta, trad. ital., Milano, 1935, p. 253).

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In una annotazione del 4 aprile 1854, pubbl. dal M O Jules Michelet, cit., p. 35 e cfr. p. 33. 571 G. P., II, pp. 87-88, e cfr. anche p. 98. E si veda anche con quale ironia il Bismarck si riferisca alla celebre frase del Beust sullEuropa, Erinnerung and Gedanke, Gesamm. Werke, 15, p. 317. Acuto commento nello E YCK, op. cit., III, pp. 242-45. 572 B ISMARCK, Gesamm. Werke, 6 b, p. 501. 573 Sullostilit del Bismarck verso il panslavismo, cfr. anche S. A. K AEHLER, Bermerkungen zu einem Marginal Bismarcks von 1887, in Hist. Zeitschrift, 167 (1942), p. 106. 574 Cfr. il saggio sul Disraeli, in Ritratti e profili di contemporanei, II, Firenze, 1935, pp. 255-56 e soprattutto 272 sgg. E cfr. W. M ATURI, Ruggero Bonghi e i problemi di politica estera, in Belfagor, I (1946), p. 419, n. 1. 575 Cfr. qui sopra, p. 67. Anche ne La Nazione di Firenze, moderata ma filoprussiana, aperto il dispregio delle solite teorie grandi e profonde dellequilibrio europeo, che potrebbero aver per conseguenza il sacrificio dei veri interessi italiani. a Bel successo sarebbe il nostro, se, assicurato lequilibrio europeo e affermato il primato latino mediante la solita prevalenza della Francia, equilibrio europeo e primato latino finissero col cacciarci da Roma!, 24 attobre 1870 (La pace). 576 La Perseveranza, 28 febbraio 1871. 577 Mmoires, I, pp. 200-01 (trad. ital., p. 219). 578 Lazione dei neutri, ne LOpinione del 3 novembre 1870: il nascente impero germanico minaccia lequilibrio europeo come Napoleone I: ma una lega come quella formatasi contro Napoleone non ora possibile. Il sospetto dellEuropa contro la Francia era antico; mentre questo potente impero germanico un fatto recente. Nessuno pu precorrere i tempi: siamo nel 1870, non nel 1900. Giudizio analogo nel Taine: Guglielmo I e Bismarck assolvono in questo momento la parte di Napoleone I, parte detestabile e che condurr forse anche loro ad una catastrofe finale (Correspondance, III, p. 15 e anche 125). Cfr. anche nella stampa svizzera, R ENTSCH, Op. cit., p. 103. Contro questi giudizi, il M EYER, op. cit., p. 668. 579 Si veda ancora, p. es., il discorso Kuranda alla Delegazione Cisleitana a Pest, il 17 gennaio 1871: anche qui, rievocazio570

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ne della pentarchia delle grandi potenze, che aveva diretto la vita europea negli ultimi 30-40 anni, e timori per il presente, dato che lInghilterra egoisticamente pensa a se stessa e si disinteressa del continente, e che la Francia fuori giunco. Preoccupazioni, come si vede, del tutto simili a quelle dei Bonghi, Dina ecc. (il discorso, nella Wiener Abendpost del 18 gennaio 1871). 580 Mai nella storia si presentato lesempio di unEuropa che sta spettatrice impassibile della propria disfatta, ch tale la rovina de nostri antichi alleati. Il diritto del pi forte riprende il suo cammino, ch la scienza prussiana non la civilt latina. E. Oldofredi a Dina, 7 novembre 1870 (in C HIALA, G. Dina, cit., III, p. 275). 581 Nellart. il diritto delle nazioni, ne La Perseveranza del 31 agosto 1870. 582 Discorsi Parlamentari di R. B ONGHI, I, Roma, 1913, p. 236. 583 La situazione europea e la pace, in Nuova Antologia, 16 settembre 1891, pp. 225-26. 584 B ONGHI, Nove anni, cit. II, p. 448. 585 Discorso alla Camera, 20 ottobre 1848: Il germanismo appena nato e gi minaccia di turbare lequilibrio europeo, gi manifesta pensieri di predominio e di usurpazione. Discorsi Parlamentari a cura di A. Omodeo, Firenze, I,. 1932, p. 64. 586 In una lett. al Comitato del parato social-democratico, poco dopo linizio della guerra (Histoire de la diplomatie, a cura di V. P OTIEMKINE, trad. franc, I, Parigi, 1946, p. 529). E cfr. in F. E NGELS, Le rle de la violence dans lhistoire, Parigi, 1946, pp. 77 sgg. (lo scritto, tradotto, Violence et conomie dans ltablissement du nouvel empire allemand, probabilmente del 1887-1888) [trad. ital., Roma, 1951. N.d.E.]. E per le proteste dei socialdemocratici in Germania contro lannessione, e larresto dei cinque di Brunswick e di Johann Jacoby a Knigsberg, F. M EHRING, Geschichte des deutschen Sozialdemokratie, II, Stuttgart, 1898 p. 297 sgg. 587 Cfr. V. V ALENTIN, Bismarcks Reichsgrndung im Urteil englischer Diplomaten, Amsterdam, 1937, p. 453. 588 d. Visconti Venosta a Cadorna (Londra), 13 marzo 1871:egli [Beust] crede che le condizioni generali del mercato pecuniario saranno talmente disquilibrate da quella enorme

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cifra dindennit, da accrescere le difficolt finanziane di ogni Stato che in avvenire dovesse ricorrere al credito pubblico. Il conte Beust crede quindi che sarebbe giovare agli interessi comuni dellEuropa il fare uffici perch quella cifra venisse diminuita oppure si trovasse modo, nei negoziati del trattato di pace definitivo, di non gravar troppo la Francia di oneri che fossero impari alle sue forze economiche ... Le considerazioni economiche esposte dal conte Beust nel suo dispaccio al conte Appony [a Londra, e fatte comunicare al Visconti Venosta per mezzo del Kbeck, ministro austro-ungarico a Firenze] sono invero giustissime, e lItalia quanto lAustria nella necessit di tenerne il debito conto. Parigi fu negli ultimi venti anni il principale mercato monetario del continente. Una grande solidariet dinteressi commerciali esiste tra la Francia e lItalia: ogni minaccia di disastri finanziari in Francia eserciterebbe sulle Borse italiane una perniciosa influenza, e certo nostro vivo desiderio che la Francia ... non sia stremata dogni sua forza economica e non sieno distrutte le fonti della sua ricchezza pubblica e privata. LInghilterra, che ha interessi non dissimili da quelli italiani, dovrebbe vedere di trovare un espediente per render meno grave per il vinto il pagamento dellindennit. Il d. Beust a Kbeck del 10 marzo 1871, Saw, P. A., XI/79; la risposta Kbeck dei 18 marzo, ivi, XI/77, n. 21 B. Sul contrecoup le plus regrettable per lItalia delle stipulazioni finanziarie della pace aveva per richiamata lattenzione del Visconti Venosta gi il ministro francese Rothan, sin dal 2 marzo; e lart. dellOpinione fu, a suo dire, leffetto del suo colloquio col ministro degli Esteri. Anche il Sella si lament del contrecoup fcheux della pace, dal punto di vista finanziario (t. Rothan 2 marzo e rr. 3 marzo, n. 53, 16 marzo n. 68; AEP, C. P., Italie, t, 381, ff. 32 v., 191 v. E cfr. R OTHAN, LAllemagne et lItalie, II, cit., pp. 296-97). 589 Il credito pubblico, ne LOpinione, 3 marzo 1871. Il 14 ottobre il giornale annotava i primi effetti della perturbazione economica prodotta dalla guerra e dallenorme indennit: aumento del tasso di sconto da parte della Banca dInghilterra ecc. (Il mercato pecuniario dEuropa). Due anni dopo il giornale constatava gli effetti purtroppo assai reali della grossa indennit di guerra: per far fronte ai prestiti di guerra il mercato francese si era disfatto dei titoli esteri, fra cui gli italiani; e poich nessun altro mercato era in grado di riassorbirli, i valori italiani tornavano in patria. Ribasso della rendita, aggio cresciuto, difficolt di sconto e ristrettezze

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di credito erano, per lItalia, effetto della crisi internazionale determinata anche dal pagamento dei 5 miliardi alla Germania (LOpinione, 26 ottobre 1873, La crisi finanziaria). 590 Cfr. B ONGHI, Ritratti e profili di contemporanei, III, p. 165; e M ATURI, Ruggero Bonghi e i problemi di politica estera, cit., p. 419. 591 Notes sur la guerre de 1870-1871, cit., p. 219. 592 Lettere e documenti, X, p. 123 (3 settembre 1870). 593 Nuova Antologia, LXXXIX (16 settembre 1886), pp. 298299, 305. 594 B ONGHI, Nove anni, cit., II, p. 382 (1 settembre 1870). E si veda il giudizio del G REGOROVIUS: In altre circostanze questo avvenimento [ingresso delle truppe italiane a Roma] avrebbe commosso il mondo, oggi non che un piccolo episodio del grande dramma universale Diari Romani, cit., p. 451. 595 Comincia La Riforma sin dal 24 settembre 70 (art. Limpenitenza) a proclamare che a Roma si deve finalmente installare unamministrazione la quale non sia altro che italiana, in modo da dar luogo a quella vera fusione che sino ad ora fu piuttosto un desiderio che una realt. Segue il Roma di Napoli, del 10 novembre, che pi esplicito assai: proprio questione di posti, di impieghi. Bisogna abbattere la prevalenza piemontese nellamministrazione; bisogna eleggere deputati dellopposizione, impadronirsi del potere e allora ristabilire lequilibrio dei posti (e ci, fra laltro, spiega, anche i successi elettorali della Sinistra nel Mezzogiorno). Pi tardi, nelle discussioni al Senato sul trasporto della capitale a Roma, il 24 gennaio 1871, Antonio Scialoja trova benefico lavvicinamento della capitale alle provincie meridionali, sin qui troppo poco attive nella vita pubblica; e anche per leminente uomo la capitale a Roma contribuir a ristabilire lequilibrio delle influenze nellindirizzo dellamministrazione pubblica (A. P., Senato, p. 141). Infine il Minghetti, di passaggio a Napoli, a notare dopo un colloquio col Pisanelli le velleit di costituire un partito napoletano che imitando i centri, e i piemontesi della Camera passata, metta il suo voto decisivo nella bilancia ... Comunque, essi sentono che la importanza loro va a crescere col trasferimento della capitale, e vorrebbero profittarne. (Minghetti a Visconti Venosta, 11 gennaio 1871, A RCH . V ISCONTI V ENOSTA .)

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596 Nella seduta della Camera del 22 dicembre 1870, lon Toscanelli affermava che legemonia piemontese per lui benefica era una realt, nellamministrazione come nel governo: otto segretari generali dellegemonia e nella questione di Roma gli incarichi essenziali conferiti a piemontesi, il conte di San Martino, il gen. Cadorna, il La Marmora. (A. P., Camera, p. 176.) Nuovamente nel 1875 lon. Mazzoleni dichiarava che la presidenza della Camera era feudo esclusivo dei piemontesi (LXI Legislatura, Memorie di un defunto, Milano, 1875, p. 103, n. 1). Il Roma del 10 novembre cit. (Glinteressi meridionali davanti allurna, di G. Lazzaro) osserva che uno solo dei direttori generali di ministero meridionale (quello dei Telegrafi), e che su 70 prefetti solo 8 sono meridionali. E cfr. anche gli altri artt. Pure del Lazzaro, del 14 e 21 novembre (Fatti e non ipotesi; AllOpinione di Firenze. Predica a braccia). 597 Chi si lamenta di pi il conte Guido Borromeo: quel Mezzogiorno che a Roma sar potente pur troppo e forse troppo! Sar questo uno dei pi grandi guai che sincontreranno a Roma, dove trionfer il Mezzogiorno, agitato dallelemento romano.(Al Minghetti, 12 giugno e 14 settembre 71. BCB, Carte Minghetti, cart. XVI, fasc. 4.) Il Bon Compagni pensoso: per lui, anzi, ministri napoletani e siciliani hanno peggiorato le condizioni dello Stato in ordine alla distribuzione degli impieghi. Nel ministero della Giustizia sovrabbondano gli impiegati meridionali onde riesce difficile ad un ministro di quelle stesse provincie sottrarsi alla loro influenza. Si approfitti quindi delle dimissioni del Raeli per non chiamare pi a quel dicastero un ministro nativo di quelle provincie in cui lidea della legalit fu pi svigorita (al Lama, 20 febbraio 1871, in Le carte di G. Lanza, cit., VII, p. 60). Si noti chi il Borromeo, lombardo e minghettiano, era ostile al predominio piemontese (cfr. lett. al Minghetti, 31 luglio 1871, ib.): egli teme quindi lascesa del Mezzogiorno a danno del Settentrione in genere, non del solo Piemonte. Fosche previsioni emetteva il Rattazzi (Rattazzi et son temps, II, pp. 374, 426, 428-29); e il Carutti di Cantogno, lo storico di Casa Savoia, si preoccupava anche egli dello spostamento del centro di gravit politico, quale sarebbe esultato dal trasferimento della capitale a Roma (A. P., Camera, 21 dicembre 1870, p. 127); e Jacini deplorava linevitabile diminuzione dellinfluenza piemontese perch la tenacita di quel popolo sarebbe per molti anni necessaria allItalia (A. P., Senato, p. 122). Linviato francese a Firenze, Rothan, annotava, il 10

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gennaio 1871, il malcontento dei settentrionali, che temevano lamministrazione si meridionalizzasse, a Roma (LAllemagne et lItalie, II, cit., p. 193). 598 Cos il Pasolini (Carteggio Minghetti-Pasolini, cit., IV, p. 193). Minghetti daccordo (ib., p. 195); e lo scrive anche al Visconti Venosta, il 27 ottobre 1870 (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA): ... certo che a Roma bisogner portare il meno possibile di affari e lasciarne il pi possibile alle amministrazioni locali. In effetti, subito dopo il 1870 fu un gran parlare e discutere, anche nei giornali della Sinistra (cfr. La Riforma, 11 Luglio e 30 novembre 1871) di decentramento amministrativo. 599 Governo e governati in Italia, cit., I, l ed., pp. 379 e 383. 600 B ONGHI Nove anni cit II p 417. 601 Sella a Minghetti, 21 settembre 1870 (BCB, Carte Minghetti, cart. XV, fasc. 127). 602 In un lungo memoriale Sulle condizioni attuali di Roma e sui rapporti attuali col Papato e allestero per quanto possa di Roma giudicarsene 10 maggio 71 (A RCH . V ISCONTI V ENO STA ), Diomede Pantaleoni, che non aveva smessa labitudine di dar consigli (Artom a Nigra, 19 giugno 1871, AE, Carte Nigra; il maestro Cavour aveva giudicato il Pantaleoni un po vanesio e chiacchierone, La questione romana negli anni 1860-61. Carteggio del Conte di Cavour con D. Pantaleoni, C. Passaglia, O. Vimercati, Bologna, 1929, II, pp. 187, 199 e 201), cos dipingeva al Visconti Venosta la borghesia: la borghesia territoriale in Roma non esiste, salvo come proprietaria di qualche vigna ... qualche caseggiato ... di fabbriche e dindustrie Roma non ha quasi traccia; e la sola borghesia potente ma ristrettissima quella dei mercanti di campagna o grandi affittuari di tenute. Tutto il resto della borghesia dunque rimasta povera, si dovuta dedicare alle arti, alle scienze, alle professioni liberali; e come queste tutte dipendono per limpiego loro dai ricchi e possidenti, questa borghesia non ha avuto la menoma indipendenza, ed diventata servile, falsa, invidiosa altrettanto che bisognosa per la numerosa concorrenza in ogni ramo dimpiego. Della arrogante servilit del medio ceto, contrapposta alla fierezza di modi e indipendente di concetti del basso popolo, il Pantaleoni parla anche in seguito. In conclusione, lo stato di cose sarebbe gravissimo se laccorrere di una eletta e nuova popolazione da tutte le provincie dItalia non Basse [sic!] la

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sicurezza, che sar ben presto ... modificato. Auspicio analogo a quello di Nicomede Bianchi, per il quale bisognava portare nella morta terra del Lazio loperosit della vita subalpina. Gli antichi abitatori sono destinati a lasciare il posto ai figli veri dellItalia moderna (Carteggio politico di M. Castelli, cit., II, p. 498). Il Castelli, per conto suo, lamentava linerzia del municipio e lassenza di iniziativa nella popolazione abituata a non vedere che il governo (Carteggio, cit., II, p. 497). Un quadro poco confortevole di Roma e dei Romani anche quello delineato da G. R AIMONDI, Roma tre mesi dopo loccupazione, Milano, 1871, p. 9 sgg. 603 ... I Romani invece di ringraziare Iddio che senza virt loro, sono esciti da una situazione intollerabile per un popolo che senta un poco di s, sono in piazza di continuo disposti ad agitarsi e ad agitare, e ad imporsi, ultimi aggiunti, alla grande famiglia, con le loro impazienze, con le loro bambocciate. V dunque in questa Roma una fatalit, che deve rendersi maledetta per lItalia? Ricasoli a Luigi Torelli, 20 novembre 1870 (in M ONTI, Il conte Luigi Torelli, 1810-1887, cit., p. 297. Nel testo pubbl. in Lettere e Documenti, X, p. 169 mancano queste frasi). Identico giudizio ne La Perseveranza del 20 novembre: impazienze dei Romani, i quali non hanno altra idea di uno Stato civile, liberale e laico: che quella duno Stato, in cui qualunque gruppo di persone che schiamazza per le strade, si chiama popolo, e a qualunque pressione o grido o desiderio di questo popolo il Governo cede subito. 604 Se i romani anzich essere liberati dagli Italiani, avesser loro fatta lItalia, non avevano ancor il diritto, di elevare tante pretese, e imporsi orgogliosamente alle rimanenti provincie. A furia di gridare che senza Roma capitale lItalia non poteva sussistere questi Signori lhanno preso sul serio. Ma non mi stupirebbe che tali smodate pretese provocassero una reazione contro Roma. La Marmora a Lanza, 19 novembre 1870 (Le carte di G. Lanza, cit.; VI, p. 271). In un opuscolo Dal Reno al Tevere di un cittadino romano, Napoli, 1870, ma datato da Roma 10 agosto 1870, cera gi latteggiamento che doveva poi tanto urtare: Venite [o Italiani, a Roma], ma rammentate che Roma fin dalla culla annunzia luniverso, perch annunzia un popolo ch il popolo dei popoli (p. 27 e cfr. p. 26). 605 Urtato dal manifesto elettorale dei liberali romani che, nel novembre 1870, offrivano la candidatura a Quintino Sella, co-

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me al solo propugnatore zelante del programma nazionale in seno al governo, e in segno di protesta contro il ministero che, ad eccezione appunto del Sella, non voleva limmediata andata del Re a Roma, vi fu chi scrisse chiaro e netto: Nessuno ha avuto pi desiderio di Roma che noi; nessuno la venera pi; nessuno pi inclinato a volerla capo della penisola. Ma a un patto, che questo si senta membro della penisola, e non presuma desserne tutto il corpo, solo perch ha affaticato meno dogni altro membro a trovarvi il suo posto; a un patto, che nel capo il cervello abbondi, e non gi, come pare, manchi quasi affatto. LItalia padrona di Roma; non Roma dItalia. Diciamo il vero; se in Roma, diventata capitale dItalia, non si dovesse ritrovare quella sobriet di spirito pubblico, per la quale Torino rimasta meravigliosa in sino ad una ultima ora fatale, e Firenze rimasta e rimane ammirabile sempre, sarebbe malinconico e triste quel giorno che la sede del Governo dovesse trasmigrare per la terza volta! (Il Sella e i Romani, ne La Perseveranza, 21 novembre 1870. E cfr. anche La Nazione, 17 e 22 novembre 1870). Ancora anni pi tardi, lo osservava il G UICCIOLI: Questi vecchi romani sono curiosi. Credono di aver fatto un grande onore allItalia e alla Casa di Savoia con laccoglierle nella loro citt (Diario, in Nuova Antologia, 1 agosto 1935, p. 433). 606 Le maniere alquanto dure e asciutte e perentorie di taluni dei primi incaricati del Governo, eccitarono molto malcontento; ma pi grande dassai lo produsse in alcune classi il vedere che dal resto dellItalia, anzich da Roma, si prendessero glindividui per la Cattedra Universitaria e per glimpieghi distinti. questa una piaga ancora sanguinosa, specialmente fra la classe media, che di tutte la pi numerosa, la pi indigente, dotata spesso di molta intelligenza, ma ben di rado di uneguale dignit. Si grid allinvasione, alla conquista; e lopposizione municipale trov un plauso generale ... Unopposizione della stessa natura quella che lavora in mezzo alla Deputazione Provinciale ... Memoriale Pantaleoni, cit., cfr. anche La Marmora a Lanza, 9 dicembre; Vigliani a Lanza, 14 dicembre, Lanza a La Marmora, 15 dicembre 70 (Le carte di G. Lanza, cit., VI, pp. 315, 321, 323). 607 Annotava sempre il Pantaleoni (Memoriale, cit.) che la sola, vera, temibile opposizione era quella degli interessi: Lopposizione che muove dalle opinioni in Roma poco conta perch

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le convinzioni sono fiacche e povero il sentimento. Perci, il malcontento di quelli che, a Roma, avevano favorito il nuovo ordine di cose con la speranza di cavarne vantaggio personale, era molto pi ... rimarchevole del malcontento di quelli che avevan perso con la caduta del potere papale. 608 ... un notabile malcontento stato sviluppato dalle nuove tasse, tanto pi gravi delle antiche, e venute sopra al popolo e borghesia, prima che lo sviluppo degli interessi e gli accresciuti guadagni le rendessero non solo leggiere a portarsi, ma vantaggiose Memoriale Pantaleoni, cit. 609 Lo stesso Gadda, commissario del governo a Roma, trovava che in pochi mesi noi non abbiamo finora guadagnato terreno in Roma e ne abbiamo invece perduto. Ai clericali abbiamo strappato poche o punte persone di quelle che contino per influenza; e dei nostri abbiamo resi tiepidi tutti quelli che speravano grandi cose per il paese, e noi abbiamo potuto nulla fare, tranne che imporre tasse: abbiamo avversari al Governo, tutti coloro che volevano impieghi, guadagni e simili grazie, che noi non abbiamo per nessuno, e chi gli avversari fanno intravvedere e sperare. Ove poi si formata una nuova classe di malcontenti si negli impiegati ex-pontifici che furono posti a riposo e che hanno una estesi; diramazione di aderenti che fanno echeggiare dappertutto le loro strida. Questo un guaio serio ed il governo non trova un cangi che lo difenda su questo terreno. E quello che vi ha di peggio in ci si che il Vaticano invita costoro e li alletta col dare e promettere le differenze di stipendio che perdono. Al Visconti Venosta, 8 febbraio 1871 (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA 610 Per es., linc. di affari di Francia presso la S. Sede, Lefebvre de Bhaine, insisteva sui vantaggi economici che lesercito pontificio largo nello spendere assai pi di quello italiano apportava allUrbe (rr. 4 gennaio e 29 marzo 1871, nn. 1 e 58, AEP, C. P., Rome, t. 1049, f. 7 e t. 1050, f. 168 v. Sui danni economici, per la fine del potere temporale, rr. 11 gennaio e 8 aprile, nn. 5 e 67, t. 1049, f. 46 v., t. 1050, f. 236 sgg.). 611 Temo pur troppo, che la questione Romana racchiudesse molti inganni, che ora si svelano. La Marmora a Lanza, 14 novembre 70 (Le carte di G. Lanza, cit., VI, p. 248). E cfr. il duro giudizio del Rattazzi (Rattazzi et son temps, II, p. 429).

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612 ... corruzione profonda che si alligna in codesta terra promessa. Lanza a La Marmora, 16 gennaio 1871 (Le carte di G. Lanza, cit., VII, p. 36). Lanza era poi inquieto anche per le spese: ... certe teste sono cos esaltate da credere che con Roma abbiamo acquistato una California. Se ne accorgeranno quando saremo ai conti (a La Marmora, 8 dicembre 70, ib., VI, p. 313). Poco pi tardi, Guido Borromeo trover che da Roma non ancora uscito un solo uomo che valga qualcosa, per la vita pubblica italiana. Disgraziatamente non mi pare che la Terra promsa, ora conquistata fornisca, almeno finora, un Bipede spiumato che valga pi dun altro colle piume. Quando penso che Doria e Pallavicini sono due grandi uomini, mi domando se non sia il caso di secolarizzare varii Cardinali e Monsignori (Lett. gi cit. Borromeo a Minghetti, 12 giugno 1871, BCB, Carte Minghetti, cart. XVI, fase. 4). Giudizio analogo, ancora anni pi tardi, in stranieri: quel che a Roma si designa per borghesia d prova; da quattro anni, di una continua mediocrit nellamministrazione cittadina (r. Tiby, inc. daffari francese, 21 settembre 1874, n. 66; AEP, C. P., Italie, t. 390, f. 160). Soltanto il Sella stava fermo nel suo romanesimo: I Romani sono una popolazione degna di esser, capitale scriveva il 28 luglio 71 al Castelli (Carteggio di M. Castelli, cit., II, p. 512). 613 Cfr. ne La Nazione del 21 aprile 1871 (Lettere Romane):Di tutti i popoli che hanno una storia, il popolo romano il solo, chio sappia, che non ha mai sopportato la condanna comune a tutto il genere umano di vivere mediante il lavoro. Esso non ha mai lavorato, n per s, n per gli altri. 614 Il quale La Marmora poi, dazeglianamente, non era favorevole a far di Roma la capitale dItalia (Alfonso La Marmora. Commemorazione, 5 gennaio 1879, di V ERAX, cit., p. 130; Carteggio politico di M. Castelli, cit., II, p. 484). E cfr. la lett. al Torelli, in G. P ALADINO, Roma. Storia dItalia dal 1866 al 1871 con particolare riguardo alla Questione Romana, Milano, 1933, p. 202. Non nascondeva, anzi, a Roma stessa, chegli era stato contrario al Venti Settembre (r. Lefebvre de Behaine, 15 novembre 1870, n. 106; AEP, C. P., Rome, t. 1048, f. 166 v.). 615 Dunque, domani sera io sar a Roma. Non lo posso credere ancora; certo, quando un tal desiderio sar soddisfatto, che cosa potr desiderare ancora? E il grido di trionfo: S, sono arrivato finalmente in questa capitale del mondo!. G OE -

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THE , Viaggio in Italia, 28 ottobre e 1 novembre 1786 (cit. dalla trad. Zaniboni, Firenze, s. a., I, pp. 144-45). 616 Il mio carattere poco suscettivo dentusiasmo ... Ma dopo 25 anni io non posso n dimenticare, n esprimere le vive commozioni che agitarono il mio spirito nellavvicinarmi, e nel mio primo entrare nella citt eterna ... io perdetti o godetti molti giorni dinebriamento, prima dessere in grado di passare ad un esame freddo e minuto. (G IBBON, Memorie, trad. it., Milano, 1825, pp. 144-45.) 617 M AZZINI, Note autobiografiche (Scr. Ed. In., LXXVII), p. 341. 618 Id., ib., p. 346. 619 Cos il Denina e, limitatamente allunione letteraria e scientifica, anche il Bettinelli (C. C ALCATERRA, Il nostro imminente Risorgimento, Torino, 1935, pp. 159-60). 620 Discorsi Parlamentari di Q. Sella, I, p. 292; G UICCIOLI op. cit., I, p. 353. 621 Diari Romani, cit., pp. 75, 105, 129, 140. Egli cerc anche di guadagnare alla causa italiana, nel 59, la redazione dellAugsburger Zeitung sino allora ostile, ib., p 117. 622 Diari Romani, cit., p. 442; e cfr. p. 450: e io avrei veduto tanto volentieri ragli occhi la caduta del papato. Lo Stato della Chiesa era una mummia, ib., p. 66. 623 Ib., pp. 460 e 462. Idee simili eran gi venute al Gregorovius nel 1861, quando si attendeva il destino di Roma, pp. 157-58. Appunto per salvare il carattere cosmopolitico di Roma e dar soddisfazione, ad un tempo, al sentimento nazionale italiano, il Gregorovius aveva architettato non primo n ultimo una stramba combinazione, che consisteva nel lasciare al Papa la citt e il suo distretto e nel dare ai Romani la cittadinanza italiana (p. 262). 624 Questo motivo, dellunit italiana dono della sorte e per larga parte (Venezia e Roma) dei successi prussiani, risuona infatti largamente anche nel G REGOROVIUS, l. c., pp. 460, 463, 478-79. 625 Diario di uno scrittore, trad. it., Milano, 1943, p. 645. 626 Correspondance 1872-1892, pp. 26-27.

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627 Gi lo aveva scritto nel 50 Une assemble dlibrant au Capitole des petits intrts de muncipalisme talien sera toujours ridicule R ENAN -B ERTHELOT, Correspondance, p. 116. 628 Lo racconta il Finali, testimone del colloquio (La vita poetica di contemporanei illustri, cit., p. 223). Daltronde, gi nel 1871 il von Schweinitz aveva detto al Minghetti: Ebbene? cosa avete fatto per risanare la campagna romana? ... vi aspetto l per giudicarvi. Minghetti a L. Torelli, 21 gennaio 1883 (in M ONTI, Il conte L. Torelli, cit., p. 485). 629 Nel discorso al Senato il 29 dicembre 1870, sul plebiscito romano (Scritti editi e inediti, a cura di M. Tabarrini, Firenze, 1877, I, p. 461). 630 M EINE, Cosmopolitismo e stato nazionale, cit., pp. 54-55. 631 Considrations sur la France, c. II (ed. cit., p. 9): Chaque nation, comme chaque individu, a reu une mission quelle doit templir. La France exerce sur IEurope une veritable magistrature ...; cfr. p. 29: La Providence ... a prcisement donn la nation franaise deux instruments ... avec lesquels elle remue le monde, sa langue et lsprit de proslytisme qui forme lessence de ton caractre. 632 Cfr. O MODEO, Primato francese e iniziativa italiana, l. c. p. 27 sgg. 633 Cfr. T REVES, op. cit., p. 75. 634 Cfr. L ANGER, La diplomazia dellimperialismo, cit., I, p. 119 sgg. 635 Cfr. soprattutto nello Schiller, il frammento preparatorio di una lirica Deutsche Grsse scritto probabilmente nel 1801: Gli altri popoli saranno stati il fiore caduco, questo [tedesco] far il durevole frutto dorato. Gli inglesi sono avidi di tesori, i francesi di splendore; ai tedeschi spetta in sorte il destino pi alto: vivere a contatto con lo spirito del mondo ... Ogni popolo ha la sua giornata nella storia; la giornata dei Tedeschi messe di tutte le et. (M EINE, op. cit., I, p. 55). 636 Sono espressioni del D E S ANCTIS, nel discorso alla Camera del 22 novembre 1862. (La Critica, XI, 1913, p. 75). 637 Cfr. vari passi nella raccolta di E. R OTA, Il problema italiano dal 1700 al 1815. Milano, 1938, pp. 42, 47. E del R OTA Le origini del Risorgimento italiano (1700-1800),

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Milano, 1938, p. 140 sgg., 532, 540, 583. Anche, G. N ATALI, Lidea del primato italiano prima di Vincenzo Gioberti, in Nuova Antologia, 16 luglio 1917, p. 126 sgg. 638 Cfr. C ALCATERRA op. cit., pp. 282, 412. 639 Nello scritto Nazionalismo e Nazionalit, ch del 1871 (Scr. Ed. In., XCIII, p. 85 sgg.). Lintento polemico dichiaratissimo. 640 Cfr. fra laltro, le Note autobiografiche, cit. p. 32. 641 Politica internazionale (1871), Scr. Ed. In., XCII, p. 143 sgg. Qui, dopo aver nuovamente insistito sul fine comune delle nazioni (umanit, scoperta progressiva della legge morale e incarnazione di quella legge nei fatti), e dopo aver parlato della terza missione dellItalia nel mondo (Roma del popolo ecc.), che ha per fine lassetto pacifico e permanente dellEuropa, il Mazzini prospetta s, come motivo fondamentale della politica estera itliana, quello delliniziativa slavo-ellenica-dacoromana, ma poi parla di schiudere allItalia le vie che conducono al mondo asiatico anche con linvasione colonizzatrice a Tunisi: ... come Marocco spetta alla Penisola Iberica e lAlgeria alla Francia, Tunisi, chiave del Mediterraneo centrale ... spetta visibilmente allItalia. Tunisi, Tripoli e la Cirenaica formano parte ... di quella zona Africana che appartiene vermente fino allAtlante al sistema Europeo. E sulle cime dellAtlante sventol la bandiera di Roma quando, rovesciata Cartagine, il Mediterraneo si chiam Mare nostro. Fummo padroni, fino al V secolo, di tutta quella regione. Oggi i Francesi ladocchiano e lavranno tra non molto se noi non labbiamo, pp. 167-68). Dove basterebbero gli accenni alla bandiera di Roma e al mare nostro, anche senza lesplicito accenno alle mire della Francia, per rivelare la tendenza che pone il problema nei termini stessi con cui lo avrebbe posto un uomo del nazionalismo tanto esecrato dal Mazzini (cfr. K OHN, Popoli e profeti, cit., pp. 87, 88, 101-102, tenendo per presenti le riserve qui sopra cap. I, nota 253 fatte, a proposito del pensiero di Mazzini in generale). Sono queste le pagine che offrono lo spunto a coloro che vanno in cerca di precursori, per veder nel Mazzini il profeta dei giorni in cui viviamo (E. P ASSAMONTI, Lidea coloniale nel Risorgimento italiano, Torino, 1934, p. 15 prima pubbl. nella Rivista delle Colonie Italiane, giugno-luglio 1932). Si avverta per che il Passamonti, per svista, attribuisce al Mazzi-

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ni come diretto al Bismarck il noto memorandum che sarebbe stato diretto invece dalla cancelleria prussiana [?] allUsedom nellaprile 68 (D IAMILLA -M ULLER, Politica segreta italiana, 1863-70, cit., p. 346 sgg.; Mazzini, Scr. Ed. In., LXXXVI, p. xxx, sgg.), capovolgendo cos le posizioni. 642 Agli italiani (1853), Scr. Ed. In., LI, p. 55. 643 Note autobiografiche, p. 32. 644 Ib. ib., p. 341. 645 Ai giovani dItalia (1859), Scr. Ed. In., LXIV, p. 180. 646 Ib. ib., p. 157. 647 E quando lEuropa ingrata vi pose in fondo dividendosi le vostre spoglie, il Genio Italiano, prima di velarsi per un tempo, gett dalla sua croce quasi pegno di ci che un giorno potrebbe, un Nuovo Mondo allEuropa, l. c.
648 vero che, sulla fine del 1846, o nel maggio del 47 (per le discussioni sulla datazione cfr. G. M AMELI, La vita e gli scritti, a cura di A. C ODIGNOLA, ed. del Centenario, Venezia, s. a. [1927], II, p. 40) in Roma il Mameli sembra disprezzare le glorie antiche Ad altri le memorie I secoli che fro,

(e su questo insiste il Calosso, Colloqui col Manzoni, Bari, 1948, pp. 34-35): ma in realt il suo, che il vaticinio della nuova Roma, la terza Roma di Mazzini Ove del mondo i Cesari Ebbero un d limpero, E i sacerdoti tennero Schiavo luman pensiero ... Ondegger fiammante Linsegna dellamore ... Citt delle memorie Citt della Speranza Le cento suore Italiche Chiama e a pugnar ti avanza sempre un appello a Roma, che, dunque, deve essere sempre lantesignana. E cfr. anche lo scritto Roma ritorna al Campidoglio: Dal Campidoglio spuntata la luce. Essa si diffon-

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der per tutta lItalia, perch caduta la Roma dei Pontefici Re, ella torner anche una volta la Roma del popolo! (op. cit., II, pp. 308-309). LItalia e Roma, ne La Riforma del 22 settembre 1870. Lora solenne, ne La Riforma del 3 ottobre 1870. 651 Lora solenne, cit. 652 Dellinsurrezione di Milano del 1848 e della successiva guerra, cit., pp. 298, 300-301. Gi il motto della pref. italiana Italia e Roma! Cfr. Per la Sicilia (1848): DAccordo a quanto mi ragionate della Sicilia, rispondo sempre colle parole di Torquato Tasso: Italia e Roma. La Sicilia deve aggregarsi alla universa Italia in Roma. (Scritti politici ed epistolari, cit., pp. 141-4 E cfr. anche Epistolario, ed. Caddeo, Firenze, I, 1949, p. 356 (Il rimedio Italia e Roma!), cfr. anche p. 346. 653 Alludo, beninteso, al Gioberti del Primato, non al Gioberti del Rinnovamento, dove dilegua il mito del primato italiano e viene accentuata, invece, la iniziativa francese (cfr. A. O MODEO, Vincenzo Gioberti e la sua evoluzione politica, Torino, 1941, p. 104) [ora in Difesa del Risorgimento, 2 ed. Torino, 1955. N.d.E.]. Ma quel che pes sulla storia dItalia fu, appunto, il Primato: perch, allora e poi, sino precisamente allOmodeo, i punti del Rinnovamento che attrassero lattenzione furono la polemica attorno ai casi del 48 e il programma piemontese. Per lesaltazione giobertiana di Roma cfr. A. B RUERS, Roma nel pensiero di Gioberti, Roma, 1937, p. 11 sgg. 654 B ALBO, Della Monarchia rappresentativa in Italia, cit., p. 148. 655 Della Monarchia rappresentativa, cit., p. 173. E cfr. N. VALERI, La boria romana nel pensiero di Cesare Balbo, in Bollettino Storico Bibliografico Subalpino, XLV, (1947), p. 91 sgg. 656 D URANDO, Della nazionalit italiana, cit., p. 10 sgg. 657 Je nattache pas une grande importance aux souvenirs classiques en eux-mmes lett. del 1830, in R UFFINI, La giovinezza del conte di Cavour, cit., I, p. 95. 658 Per le dichiarazioni del Cavour, tante volte ripetute, sulla sua indifferenza per le arti e la sua scarsa cultura letteraria; cfr. Lettere, V, pp. 42 e 93-94; H. DI DEVILLE, Journal dun
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diplomate en Italie ... Turin, 1859-1862, 2 ed., Parigi, 1872, pp. 176 e 218. Ma egli forzava anche la nota, presentandosi assai pi disadorno culturalmente di quanto non fosse in realt (R UFFINI, op. cit., I, pp. XIII e 29, n. 1; Ultimi studi sul Conte di Cavour, Bari, 1936, p. 146). una ritrosia simile a quella che dimostr pi tardi il Giolitti, della cui rozzezza culturale molto si parl, mentre aveva cultura soda e precisa. Ma anchegli non voleva che la letteratura si mischiasse alla politica (cfr. F. C RISPOLTI, Politici, guerrieri, poeti, Milano, 1938, p. 63; G. N ATALE, Giolitti e gli Italiani, Milano, 1949, pp. 72-75; G. A NSALDO, Il ministro della buonavita, Milano, 1949, pp. 49, 308-309. E cfr. anche linteressante episodio narrato dal conte S FORZA, Les btisseurs de lEurope moderne, Parigi, 1931, p. 225). 659 S, o signori, per quanto personalmente mi concerne gli con dolore che io vado a Roma. Avendo io indole poco artistica sono persuaso che in mezzo ai pi splendidi monumenti di Roma antica e di Roma moderna io rimpianger le severe e poco poetiche vie della mia terra natale Discorsi Parlamentari, XI, p. 318 (25 marzo 1861). 660 E. A RTOM, Lopera politica dei senatore I. Artom nel Risorgimento Italiano, I, Bologna, 1906, p. 333 sgg. E cfr. A. O MODEO, Il conte di Cavour e la questione romana, in La Nuova Italia, I, n. 10 (20 ottobre 1930), pp. 409-11. 661 Op. cit., p. 11.
662 chiaro che rtori del calibro di un Guerrazzi e di un Brofferio non potessero capir nulla di tutto ci: di qui il loro disdegno letterario contro la prosaicit del Cavour (cfr. F: V ALSECCHI, Interpretazione di Cavour, in Quaderni dellAlmo Collegio Borromeo, luglio 1946, Pavia, p. 2 sgg. dellestratto, e nuovamente il Risorgimento e lEuropa. Lalleanza di Crimea, Milano, 1948, p. 134 sgg.). 663 Efficace, ma stentato e disadorno oratore il Sella (M AR TINI , Confessioni e ricordi, 1859-1892, cit., p. 130). 664 Chi dunque ci ha fatto quali siamo, chi cinsegn a volere una patria? Roma, niente altro che Roma ... tutto ci che sappiamo, tutto ci che pensiamo, tutto ci che sentiamo in fatto di patriottismo, lo dobbiamo allantica Roma: per conseguenza quando noi vecchi veniamo qui a Roma che fu la nostra maestra, sentiamo una riverenza di cui non potete farvi

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unidea ... Ma non dimenticate ... che siamo Italiani per virt di Roma, perch se non fosse il sacro nome di Roma, le tante sventure, le tante ostilit che ebbe lItalia lavrebbero spezzata, lavrebbero annullata; fu Roma che la tenne viva (Discorsi Parlamentari di Q. Sella, I, pp. 308 e 310-11). 665 Discorsi Parlamentari, I, pp. 229-30 (21 giugno 1876). 666 Lett. al Minghetti 21 settembre 1870, gi. cit.; Discorsi Parlamentari, I, 292. 667 Lett. 21 settembre 1870, gi cit. 668 Cos ne La Nazione del 20 novembre 1870. 669 Discorsi Parlamentari, I, p. 292. 670 Nella Relazione alla Camera sul disegno di legge per il concorso dello Stato nelle opere edilizie e di ampliamento di Roma (Discorsi Parlamentari, I, p. 233). 671 Discorso alla Camera del 14 marzo 1881 (Discorsi Parlamentari, I, p. 304). 672 Lon. Sella, che ci ha parlato tante volte della lente dellavaro, relativamente ai Lincei ha la lente del prodigo. Cos lon. Toscanelli, nella seduta del 9 marzo 1881 (A. P., Camera, p. 4223). 673 Il 30 aprile 18 7 8 scrive al Cairoli, presidente del Consiglio: Un giorno o laltro converr pure che tu ti occupi della Scienza in Roma. quistione grave del pi alto interesse per lavvenire, MRP, Carte Cairoli, pacco 20. E ripete nel discorso alla Camera, il 14 marzo 1881: non ho creduto che vi fosse ufficio pi alto, al quale consacrarmi, se non quello dello sviluppo della scienza in Roma (Discorsi Parlamentari, I, p. 304). Persino in un discorso ai suoi elettori, alla vigilia delle elezioni, parl vox rarissima! della scienza, dellAccademia dei Lincei ecc. (Discorso nel banchetto offertogli il I5 ottobre 1876 dagli elettori ... di Cossato, Roma, 1876, pp. 45-46.) 674 ... tu devi nella capitale del Regno aiutare il movimento scientifico. Gli interessi della scienza e della patria lo richieggono, Sella a Luzzatti, 29 luglio 1875 (L UZZATTI, Memorie, II, p. 8). Anche qui, linflusso del Sella, in alcuni ambienti, fu notevole: cfr. nel Guiccioli lentusiasmo per i nuovi istituti scientifici universitari il miglior modo di prendere possesso di Roma, Diario, in Nuova Antologia, 16 luglio 1935, p. 238.

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675 Cos, tra vivi applausi, nel discorso pronunziato nella seduta reale dellAccademia dei Lincei, il 19 dicembre 1880 (Discorsi Parlamentari, I, p. 836). 676 Cfr. F INALI La vita politica di contemporanei illustri, cit., pp. 223 e 347-48. E cfr. le dichiarazioni del Sella stesso alla Camera, il 21 giugno 1876: Io credo che il miglior contrapposto al Papato sia proprio la scienza come scienza ... se vi una necessit a Roma, gli proprio quella di un contrapposto scientifico al Papato (Discorsi Parlamentari, I, p. 229. Anche nel discorso dellAssociazione Costituzionale delle Romagne, il 10 marzo 1879, ib., p. 818). 677 Discorso alla Camera, 11 marzo 1881 (Discorsi Parlamentari, I, p. 303 e cfr. p. 299 sgg.). Per LOsservatore Romano, Sella era maestro di materialismo (14 settembre 1878: Le soldatesche e linternazionalismo). 678 A. P., Camera, 8-18 marzo 1881, pp. 4175-4469 (concorso dello Stato nelle opere edilizie di Roma). 679 A. P., Camera, p. 4302 (12 marzo 1881). 680 ... non vedete poi che, di fronte a un consesso di pensatori, i quali possono danno in anno, promulgare lindice delle verit accertate, il Vaticano impallidisce? Il mondo guarder a Roma come al faro della civilt; e, davanti a questo faro, la facella morente del Vaticano sparir, e sparir ben presto (A. P., Camera, p. 4245; 10 marzo 1881). Anche per Alberto Mario compito dellItalia doveva essere, a Roma, di spazzar via la polvere cattolica, e nettare il sito per un congresso di sapienti del mondo civile, nel quale si confermassero tutte le conquiste intellettuali compiute da Lutero fin qui cit. da Z ANICHELLI, Monarchia e Papato in Italia, Bologna, 1889, p. 178, n. I. Cfr. la lettera di Salvatore Morelli al Mazzini, pubbl. nel Popolo dItalia di Napoli, il 27 settembre 1865, con lappello a Mazzini, perch convochi un gran concilio di tutti i liberi pensatori del mondo e formuli il nuovo vangelo, il vangelo civile, il vangelo della scienza, in A. R OMANO Storia del movimento socialista in Italia, I, Milano, 1954, p. 142. E per il progetto Ricciardi di un anteconcilio di liberi pensatori in Napoli, ivi, p. 309. 681 Discorsi Parlamentari, I, p. 299. E cfr. le sue dichiarazioni di non voler esagerare il positivismo, per non snaturarne il carattere e cadere in una nuova metafisica, di non voler distruggere o menomare il sentimento religioso e le sue preoccupazio-

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ni di fronte alla corsa ai puri godimenti materiali, conseguenza della negazione assoluta di ogni spirito religioso, (ib., I, pp. 810-811 e 300-301). Sella distingue fra la religione e la tirannia, la violenza religiosa, che hanno atrofizzato lo sviluppo scientifico (ib., p. 827 sgg.). 682 A LFIERI, LItalia liberale, cit., p. 217. 683 La politica della Destra, cit., p. 302. 684 Son cose note: pure non inutile rammentare come il grande storico di Roma antica riuscisse personalmente ostico ai pi per la sua burbanza (G UICCIOLI, Diario, nella Nuova Antologia del 1 agosto 1935, p. 431: e cfr. anche laneddoto narrato dal C ROCE, Intorno al giudizio del Mommsen su Cicerone, in Quaderni della Critica, n. 6, novembre 1946, p. 68). E quanto mordace potesse riuscire, ingiustamente, anche verso i suoi connazionali, anche verso un uomo come il Gregorovius, dimostra (aneddoto narrato dal B LOW (Memorie, cit., IV, pp. 333-34). Nessuno poteva allora immaginarsi il Mommsen del codicillo al testamento (G. P ASQUALI, Il testamento di Teodoro Mommsen, in Rivista Storica Italiana, LXI, 19-19, p. 337 sgg). 685 Da quel che ritraggo, noi ci precipiteremo su la citt di Roma, se il diavolo vorr che ne siano aperte le porte. E questo probabile. Ci precipiteremo, chiudendo gli occhi alle enormi spese, al pericolo dellavvenire ed ai tanti disordini che si incontreranno, fisici e morali, nei sette colli. Sia che si voglia, (andare a Roma oggi necessit ineluttabile (al marchese De Gregorio, 14 settembre 70: Carteggio, cit., II, p. 197). 686 A. P. Senato, pp. 125-26. Argomentazione pressa poco simile nel discorso di Antonio Scialoja, pure polemico contro Jacini, ib., p. 1-11. 687 Lo osservava, giustamente, il G UICCIOLI (Diario, in Nuova Antologia, 16 luglio 1935, p. 222). 688 Cfr. C ROCE, Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono, cit., I, p. 113, sgg. 689 Lespressione, felicissima, del S ALVATORELLI, Pensiero e azione del Risorgimento, cit., p. 156. Cfr. anche L. G INZ BURG , La tradizione del Risorgimento, in Aretusa, II, (1945), n. 8, p. 16 e soprattutto A. M. G HISALBERTI, Popolo e politica nel 49 romano, estr. dal vol. Giuseppe Mazzini e la Repubblica

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Romana, Roma, 1949, soprattutto p. 11 sgg., che ha molto bene colto il trapasso, per opera di Mazzini, dal problema puramente locale, romano, al termine ideale, di Roma centro di una nuova Italia, anzi di una nuova umanit. 690 Lespressione del Cattaneo (l. c.), che appunto la pi significativa prova del pieno rivivere dellidea di Roma grazie al 48. E cfr. il Carducci quelleroica giovent democratica del quarantotto e del quarantanove, la quale si tolse in mano lonore e lavvenire dItalia e lo si strinse al cuore in Roma e in Venezia (A commemorazione di Goffredo Mameli, Opere, VII, p. 439). 691 Cfr. K AEGI, Historische Meditationen, cit., I, p. 273 sgg., 284-85. 692 osservazione giustissima di D. Z ANICHELLI, Studi politici e storici, Bologna, 1893, p. 500. 693 La Perseveranza del 15 ottobre e del 27 settembre 1870. 694 La caduta del potere temporale, ib., 18 settembre 70. 695 Cfr. L. Russo, Francesco De Sanctis e la cultura napoletana (1860-1885), Venezia, 1928 p. 302 sgg. [3 ed., Firenze, 1959. N.d.E.]. 696 La Perseveranza, nellarticolo cit., del 27 settembre 70. 697 Cfr. il mio art. Lidea di Europa, in La Rassegna dItalia, II, 4 (aprile 1947), p. 11 sgg. 698 Cfr. la lett. al duca di Dino, 16 aprile 51. Lettere, V, p. 230, e R UFFINI, Ultimi studi sul conte di Cavour, cit., pp. 22 23 e 54-55. 699 Lo osserv, con grande acutezza, il D E S ANCTIS, nel Discorso alla Camera del 1 luglio 1864 (La Critica, XI, 1913, p. 147). Perci, egli si dichiar poi contro la formula della libert della Chiesa, che era formula da partito conservatore (discorso dell8 luglio 1867, ib., p. 311 sgg.). 700 U. P ESCI, I primi anni di Roma capitale 1870-1878, Firenze, 1907, p. 506. 701 Discorso alla Camera del 14 maggio 1872 (A. P., Camera, pp. 2118-19); e cfr. LOpinione, 17 settembre 1874 (La Conciliazione).

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702 Questo raccont il Visconti Venosta allinc. daffari francese, de Sayve (r. de Sayve, 5 marzo 1872, n. 27; AEP, C. P., Italie, t. 384, ff. 217-217 v.). 703 Noailles, 9 marzo 1875, n. 18; AEP, C. P., Italie, t. 391, f. 253 sgg. 704 Amari a Renan, 23 aprile 1873 (Carteggio, cit., II, p: 2121. E cfr. la risposta di Renan, anche lui daccordo che un Papa alla Benedetto XIV sarebbe stata la peggiore delle soluzioni, e una conciliazione la estrema sventura (ib., p. 213). Concetti analoghi lAmari svolge allo Hartwig, nel 1878, dopo lelezione di Leone XIII: ... la cos detta conciliazione impossibile; e se nol fosse mi spaventerebbe (ib., p. 236); e ancora nel 1887, rallegrandosi per il fallimento delle trattative del padre Tosti (ib., p. 305): il preteso successore di San Pietro stia dov finch la civilt sciolga da quella pastoia le chiese nazionali e separi il concetto religioso da tutti gli incantesimi antichi e moderni. 705 Cfr. W. M ATURI, Prefazione a B ONGHI, Stato e Chiesa I (Opere, XII), Milano, 1942, p. xxv. E cfr. il discorso del Bonghi alla Camera, il 29 aprile 1872 (Discorsi Parlamentari, I, p. 392). 706 Discorso del 13 marzo 72 (A. P., Camera, p. 1183). Sulla concordia spontanea, effetto della libert della Chiesa, fra Stato e Chiesa, cfr. anche il discorso Minghetti alla Camera, il 30 gennaio 1871 (Discorsi Parlamentari, V, p. 146). 707 La politica della Destra, cit., p. 183 sgg.; e cfr. P. R O MANO (pseud. di P. A LATRI ), Silvio Spaventa, Bari, 1942, p. 261 sgg. Per la dichiarazione del Cavour, sulla fine dellra dei concordati, le istruzioni al Passaglia e al Pantaleoni il 21 febbraio 1861 (La questione romana negli anni 1860-61. Carteggio del conte di Cavour, I, p. 313); e cfr. A. O MODEO, Cavour e la questione romana, cit., p. 406. 708 Il Visconti Venosta lo ripet ancora al De Laveleye, in una conversazione nellautunno 1883 (D E L AVELEYE, Nouvelles Lettres dItalie, Milano-Bruxelles, 1884, p. 146). 709 Lo scrisse solo pi tardi il 9 ottobre da Vienna al Visconti Venosta aggiungendo: Oggi non sarebbe pi opportuno, pure manovrando abilmente nella Corte Pontificia si potrebbe riuscire a ci che il Papa ricevesse il Re anche col patto di non parlare di nulla, solo come principe cattolico. In tal caso bisogne-

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rebbe premettere questa cerimonia allaltra dellentrata solenne in citt. Ma badate bene che a lungo non potrete impedirla. Bisogna guardare in faccia questa difficolt e apparecchiarsi a risolverla (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). Al Minghetti quel pensiero era nato dallindole nota del Papa. Il Blanc, nella sua missione a Roma dopo il Venti Settembre, tent di sondare il terreno presso la S. Sede, dicendo al card. Antonelli che il Re si era astenuto per delicatezza dal mandar espressamente dal Pontefice un personaggio, ma se il cardinale riteneva che a Pio IX non dispiacesse ricevere un inviato regio, Vittorio Emanuele gli avrebbe inviato subito uno dei suoi ministri essendo suo vivissimo desiderio fare ogni cosa possibile per rendere la situazione meno penosa per Sua Santit. LAntonelli rispose che era preferibile astenersi, linvio dun ministro o altro personaggio espressamente mandato non potendo attualmente che accrescere le difficolt (r. Blanc, 26 settembre 1870; AE, Libro Verde, riservato, Roma. Settembre-ottobre 1870. Documenti, Roma, tip. di Gabinetto del min. Esteri, 1895, n. 3, p. 9). Di fatto, non furono ricevuti n il marchese Spinola, n pi tardi, nel giugno 71, il generale Bertol Viale (M ONTI, Vittorio Emanuele II, cit., pp. 390-91). 710 Anche il La Marmora dichiarava (a Vittorio Emanuele) che il Re dItalia non pu, massime dopo quanto avvenuto, andarsi a inginocchiare davanti al Pontefice; ma poich egli riteneva pure che tanto meno il Re poteva entrare in Roma come un conquistatore trattando il capo della cattolicit dallalto in basso, cos sconsigliava il trasferimento della capitale a Roma, almeno finch vivesse Pio IX (in P ALADINO, op. cit., p. 202). 711 Dichiarazioni alla Camera del 19 agosto 1870: pu darsi ... che la via seguita dalla nostra politica [gradualismo] sia lunga; rimane a vedere se ce ne sia unaltra pi breve, o se ve siano di quelle che possano chiamarsi tali soltanto perch dopo breve tratto conducono allabisso (A. P., Camera, p. 4027). 712 Dichiarazioni Visconti Venusta alla Camera, genaio 1873 A. P., Camera, p. 6196). 713 Lo osserva ancora lo Z ANICHELLI, Monarchia e Papato in Italia, cit., pp. 99 e 197.

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714 Discorso [di Giuseppe Toscanelli] alla Camera ... 23 gennaio 1871 ... contro il progetto di legge [sulle Guarentigie], Firenze, 1871, p. 40. 715 Cos il R UFFINI specie di atarassia ecclesiastica, in cui si trov piombata la Destra, dopo il gran salto della legge delle Guarentigie, e che io non saprei significare se non dicendo alla buona, che era come il senso di pavido smarrimento di chi pensa di averla fatta proprio grossa (Lelezione popolare dei parroci, in Scritti giuridici minori, Milano, 1936, I, p. 341). Il senso di averla fatta grossa cera; ma il giudizio del Ruffini poi troppo severo, e troppo calcato sulle diatribe del Mancini, a lui molto caro, a proposito della questione dellexequatur (si veda infatti laltro studio del R UFFINI, LExequatur alla nomina dei vescovi, ib., I, p. 329 sgg.). Quanto al F ALCO egli da una parte constata la contraddittoriet, le incertezze, gli errori della politica ecclesiastica dei moderati che avrebbe fallito al suo compito; e daltra parte riconosce leccellenza dellidea politica che essa segu (La politica ecclesiastica della Destra, Torino, 1914, pp. 33-34). 716 Cos G INO C APPONI, Lettere, cit., IV, pp. 259-60. E cfr. anche pp. 264, 266, 272. 717 Nel discorso Jacini al Senato il 23 gennaio 1871 (A. P., Senato, pp. 119-20). Concetti simili nel discorso Toscanelli alla Camera sullo stesso argomento. 718 sintomatico, al riguardo, latteggiamento del Minghetti il quale, di fronte al movimento dei Vecchi Cattolici in Germania, da lui attentamente seguito, riteneva per lo meno problematico il suo avvenire, in senso positivo, ma gravi i suoi effetti in senso negativo perch distaccher molti altri spiriti da Roma e render ancora pi ostili le classi dotte al Pontificato (Carteggio Minghetti-Pasolini, cit., IV, p. 200). 719 Sia il Lambruschini che il Ricasoli, a differenza di un Piero Guicciardini, furono infatti avversi alla propaganda protestante in Italia e alle conversazioni: cfr. A. G AMBARO, Riforma religiosa nel carteggio inedito di Raffaello Lamhruschini, Torino, 1926, I, pp. CLXXVIII-CLXXIX e II, p. 242; Carteggi di Bettino Ricasoli, ed. Nobili-Camerani, III, cit., p. 461. IV, Roma, 1947, pp. 83-84.

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720 Cos si battezz il Ricasoli stesso (Carteggi, II, Bologna, 1940, p. 15). Per il romito di San Cerbone, ib., I, Bologna, 1939, p, 120. 721 Come sia stato decisivo linflusso del Lambruschini sul Ricasoli, dimostra ora con tutta evidenza ledizione completa dei Carteggi: sino al 1837, e cio sino al conoscersi dei due (linizio dellintimit, col trapasso dal voi al tu, fra ottobre-novembre del 38,Carteggi, I, pp. 137-39, 266), le preoccupazioni culturali del Ricasoli sono essenzialmente di agricoltura e scienze naturali e tecniche, oltrech sintende di cultura generale e di politica, con un accentuato interesse ai problemi educativi man mano che la piccola Bettina cresce; e lo dimostrano le ordinazioni di libri, ib., I, pp. 8, 11, 16, 19, 21, 40, 59-60, 66, 71, 74. Dopo comincia linteresse per i problemi religiosi, che rapidamente sale ad un diapason altissimo; e comincian le ordinazioni anche di libri che trattino problemi religiosi, ib., I, pp. 278, 374-75. 722 Cfr. F ALCO, La politica ecclesiastica della Destra, cit., p. 14. Ma cfr. soprattutto, per tutto latteggiamento del Ricasoli, A. C. J EMOLO, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, Torino, 1948, p. 272 sgg. [5 ed. Torino, 1963. N.d.E.]. E si veda anche la lett. 15 giugno 1865 a F. Della Valle di Casanova: Roma col suo sillabo, Roma papale ... corre pel suo pendio con acceleramento di moto. Noi ascendiamo per altro pendio con moto lento ed ancor penoso, ma sicuro, che ci porter alla mta ... laddove laltro ... dovr cadere infine nellabuso da lui stesso scavato (in B. C EVA, Un carteggio inedito di Bettino Ricasoli, in Nuova Rivista Storica, XXIV, 1940, pp. 6-7 dellestratto). 723 Lettere e documenti, X, p. 139 (A Giuseppe Pasolini, 4 ottobre 1870). 724 Ib., p. 147 (A Francesco Borgatti, 2 novembre 1870). 725 Ib., p. 130 (A Francesco Borgatti, 17 dicembre 1870). 726 Cfr. linterpretazione del Lambruschini della formula Libera Chiesa in Libero Stato, G AMBARO, op. cit., I, pp. CDXIV-CDXV. 727 Lambruschini a Ricasoli, 3 novembre 1842 (Carteggi, I, p. 307).

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728 La lett. del Ricasoli al can. Parronchi, di grande interesse, in Carteggi, I, p. 321 sgg. 729 Lettera al canonico Parronchi sopra cit.; e cfr. G ENTILE, Bettino Ricasoli e i rapporti fra Stato e Chiesa, in Gino Capponi e la cultura toscana nel secolo decimonono, cit., p. 61 sgg., A GOTTI, Vita del barone Bettino Ricasoli, Firenze, 1895, pp. 22, 27 sgg., 36, 38 sgg. 730 Cos egli pensava fin dal 1860, lett. al Borgatti, 19 dicembre 1870 (Lettere e documenti, X, p. 203). 731 A Celestino Bianchi, 23 gennaio 1873 (Lettere e documenti X, p. 277). 732 Tra le cose che si vogliono fare pel rumore delle parole, dubito che debba essere questa grande Universit Romana, dove il Governo si getta a corpo perduto, spendendo tesori, e pregiudicando alle altre Universit del Regno. Se cera Universit da sopprimersi, era quella di Roma; o altrimenti trattarla come tutte le altre (Lett. al Bianchi sopra cit.). Contro la centralizzazione, Carteggi, III, pp. 402, 417-20, IV, pp. 33-34. 733 Lett. al Borgatti, 2 novembre 1870 (Lettere e documenti, X, p. 147). 734 Che ne faceva altissimo conto, tanto da porlo col Bismarck fra le personalit di eccezioni (cfr. R. W. S ETON -W ATSON, Die sdslavische Frage im Habsburger Reiche, trad. ted., Berlino, 1913, p. 136. Ivi p. 144 sgg., sulle amicizie europee dello Strossmayer; e pp. 589-630, la sua corrispondenza con Gladstone, fra 1876 e 1886. E cfr. lett. Strossmayer 22 settembre 1873, che a favore dellItalia, alla principessa Troubezko, ma per Thiers, in D. Halvy, Le courrier de M. Thiers, Parigi, 1921 p. 485 sgg.). 735 C ASTAGNOLA, Diario, cit., p. 133 (23 gennaio 1871). Il memoriale sosteneva che lItalia non doveva privarsi di ogni ingerenza nella nomina dei vescovi, ma rinunziarla ai Capitoli, ai parroci ed ai fedeli pi specchiati. Tale idea bene accetta alla maggioranza del Consiglio. Secondo il Castagnola, il memoriale era del segretario dello Strossmayer: in realt, doveva esser stato presentato da mons. Vorsak (cfr. qui appresso), a nome dello Strossmayer. Questo spiega come il W ICKHAM S TEED, che conosceva assai bene il Visconti Venosta, potesse affermare che nellelaborazione della legge delle Guarentigie il nostro ministro degli Esteri aveva chiesto

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il parere dello Strossmayer (Mes souvenirs, 1892-1914, trad. franc., Parigi, 1926, I, p. 106). 736 Mons. Strossmayer il Minghetti e il Visconti Venosta si vedevano a Roma, quando il vescovo ci andava (cos, nellinverno 1871-72); il Minghetti si rec a fargli visita, a Graz, il 25 giugno 1872. Altrimenti, fungeva da intermediario, a Roma, mons. Vorsak, che abitava in via Ripetta 108. Ora, il 12 maggio [1872], lo Strossmayer prega il Vorsak di dire al Minghetti e al Visconti Venosta, ma solo a loro due, chegli, dovendo recarsi a Parigi dove Thiers e Rmusat desiderano vederlo, pronto ad operare a Parigi ed a Versailles in quel medesimo senso, che fu stabilito da noi a Roma; giacch sempre pi e pi vengo persuaso, essere di immensa importanza nei tempi doggi, che il futuro Pontefice sia uomo moderato ed alla pace amico. Nel colloquio col Minghetti, a Graz, la questione del futuro conclave ampiamente discussa: Minghetti dice che il vescovo deve insistere, con i politici francesi, su questi punti principalissimi cio che Roma offre la sola sede conveniente a tenervi il conclave... e che il governo italiano perfettamente al caso di garantirne la sicurezza e la libert. Comunque, mons. Vorsak, prima di partir da Roma per accompagnar lo Strossmayer a Parigi, si recher dal Visconti Venosta, che potr fargli le comunicazioni che riterr. Della questione il Minghetti parla poi a Monaco, con il Dllinger, in rapporti con lord Acton, proprio allora pregato dal governo inglese di esprimere le sue opinioni circa un eventuale conclave e a sua volta rivoltosi al Dllinger: la questione era allora discussa fra i vari governi, e per essa il Minghetti s era, appunto, recato a Vienna, per confideniziale incarico del Visconti Venosta, a parlar con lAndrssy, facendo poi la visita segreta allo Strossmayer (ll. pp. Minghetti a Visconti Venosta, 29 giugno e 9 luglio 1872. BCB,Carte Minghetti, cart. LXXXIII, fasc. b, lett. n. 3 e 6). 737 Stossmayer a monsignor Vorsak, nella lett. gi citata del 12 maggio [1872]: ... penso esser desiderabile ed esce di necessit pei pi importanti interessi europei, che lelemento latino si metta poco a poco in intelligenza collelemento slavo, imperocch fa duopo di frastornare recisamente lelemento germanico dal mare Adriatico e Mar Nero, il che solamente effettuar si pu, rinforzando, incoraggiando lelemento slavo e riscattandolo dal giogo che ne opprime una grati parte. Altrimenti lEuropa ... dovr chinar la testa sotto ... la suprema-

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zia germanica. Tali cose il Vorsak doveva ripetere al Minghetti e al Visconti Venosta (BCB, Carte Minghetti, cartone LXXXIV, fast. III c). E cfr. anche l. Vorsak a Visconti Venosta, del 4 maggio 1872, per comunicargli lett. dello Strossmayer del 29 aprile, nella quale il vescovo conferma lantica sua opinione poter e dover noi e gli Italiani un tempo diventare vicini e fratelli, che concordemente avremo da difendere contro un terzo la nostra indipendenza ... (ACR, Carte Visconti Venosta, pacco 5, fasc. 4). 738 Memoriale Strossmayer, per il Minghetti, Roma, 20 gennaio 1872 (BCB, Carte Minghetti, cart. LXXXIV, fase. III, g). 739 Estratto di lett. Strossmayer [a mons. Vorsak], ricevuta s Roma il 15 luglio [1871], comunicato al Visconti Venosta, con cui lo Strossmayer si riserva di parlare, alla sua venuta a Roma, linverno prossimo (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). Per questa idea fissa dello Strossmayer, di ricreare cio una chiesa universale, ponendo fine al predominio italiano, cfr. in genere S ETON -W ATSON, op. cit., p. 144; e L OISEAU, La politique de Strossmayer, in Le Monde Slave, n. s., IV (1927), p. 394. 740 Il Blanc lo disse perfino al card. Antonelli, in un colloquio il 3 ottobre 1870. Il cardinale osservava che il Pontefice non poteva dimenticare di essere stato spogliato dei suoi dominii; il Blanc rispondeva convenendo ... essere cosa sommamente delicata, anzi necessariamente penosa, una trasformazione inevitabile delle condizioni di un potere sovrano, anche quando tale trasformazione pu inaugurare unra di grandezza novella. Ricordavo che quando Re Carlo Alberto abbandonava al suo popolo parte delle prerogative dellantica sovranit, molti reputavano essere questa una spogliazione ben pi grave che non quella di qualche territorio, poich restringeva lesercizio dellessenza stessa della suprema potest; non pertanto, col restituire al suo popolo luso dei propri diritti, la Casa di Savoia si rese atta a compiere gli alti destini cui la chiamava la divina Provvidenza. Altrettanto fortunato abbandono pu essere ora pel papato quello dellamministrazione di territori i quali, dividendo lItalia e mantenendo un funesto antagonismo fra la Chiesa ed i popoli, impedivano che la suprema autorit spirituale si esercitasse con quella pienezza di splendore e di universale consenso che le dovuta ... Sua Eminenza mi rispose che, quantunque apprezzasse i sentimenti da cui ero mosso, pure non poteva riconoscere una somiglianza tra il mutamento

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delle costituzioni interne di uno Stato e lo spodestamento del Principe stesso (r. Blanc, 3 ottobre 70; Libro Verde riservato Roma, cit., n. 9, p. 15). 741 Discorso alla Camera del 19 agosto 1870 (Discorsi Parlamentari, III, pp. 373-74). 742 S ETTEMBRINI, Epistolario, 2 ed., Napoli, 1894, pp. 261, 283. Che cosa il Settembrini intenda per riformare il Cristianesimo (espressione che formalmente parrebbe simile a qui la del Ricasoli), risulta dal suo affermare che la nuova idea, la nuova religione che lItalia prepara, mostrer al mondo che il gran libro non la Bibbia ma la ragione. 743 Cos il Renan allAmari, sin dal 1865 (Carteggio di M. Amari, cit., II, pp. 187-88; e cfr. anche R ENAN, Correspondance, 1872-1892, p. 27). 744 Lespressione vecchio cancro usata anche dallAmari, politicamente militante con la Destra (Carteggio, cit., II, pp. 232-233). 745 Che lo afferm sin dal 64 (L IONE, op. cit., p. 195). 746 Un accenno a questo, in M ICHELET, La France devant lEurope, cit., p. 47. 747 Cfr. Part del T REITSCHKE, Libera Chiesa in libero Stato, nei Preussische Jahrbcher, XXXVI (I875), pp. 236-37 e, gi prima, il discorso al Reichstag del 23 novembre 1871 (in F EDE RICI , op. cit., pp. 342-43). E anche O. H ARTWIG , Italien und Rom, ib.; XXIX (1872), p. 194 e la Politische Correspondenz del febbraio 1872, ib. XXIX, p. 247. 748 Art. della Kreuz-zeitung, 19 giugno 1871 (cfr. K. B A CHEM , Vorgeschichte, Geschichte und Politik dee deutschen Zentrums-partei, III, Colonia, 1927, p. 218; E YCK, Bismarck, cit., III, p. 87). 749 LItalia che oggid ha comune con la Germania la gloria di rappresentare la Civilt in lotta col Papato M ARSELLI, La Rivoluzione parlamentare del marzo 1876, cit., p. 118. Il Marselli era accanito avversario di ogni accordo col cattolicesimo; bisognava invece ritrovare la forza o per sottoporre il Papato, obbligandolo a trosformarsi, o per liberarcene, obbligandolo ad emigrare (ib., pp. 103-104, 125-27). 750 Nellannuale della fondazione di Roma dellaprile 1877.

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751 Renan ad Amari, nel 73 (R ENAN, Correspondance, 18721892, p. 46; anche, ma abbreviata, in Carteggio di M. Amari, II, p. 214). 752 Correspondance, IV, pp. 48, 55 sgg. 753 Correspondance, IV, p. 47. 754 Nella conferenza Les services que la science rend au peupl (in Mlanges religieux et historiques, Parigi, 1904, p. 149). La scienza avrebbe migliorato il mondo, facendone il regno dello spirito, il regno degli uomini liberi. 755 R EVAN -B ERTHELOT, Correspondance, p. 467. 756 Je navais pas compris ce que cest quune religion populaire, pese bien naivement et sans critique par un peuple; je navais pas compris un peuple crant sans cesse en religion, prenant ses dogmes dune faon vivante et vraie. Ne nous faisons pas illusion, ce peuple est aussi catholique que les Arabes de la mosque sont musulmans. Sa religion cest la religion; lui parler contre sa religion cest lui parler contee un intrt quil sent enlui-mme, tout aussi rellement que tel autre besoin de la nature (a Berthelot, da Roma, 9 novembre 1849, R ENAN -B ERTHELOT, Correspondance, p. 43 e cfr. p. 54: le catholicisme est lme mme de ce pays; le chatolicisme est aussi ncessaire ce pays que la libert, la dmocratie ... lest au ntre). 757 Correspondance, 1872-1892, pp. 15, 24, 27, 131. E cfr. Carteggio di M. Amari, II, p. 213. 758 Ib., p. 26 (1872) e cfr. p. 141: Gomme jaime beaucoup lItalie, et pour elle-mme et pour les services de premier ordre quelle rend lesprit humain (1878). Lunit dItalia e il bene della civilt gli paiono indissolubili (ib., p. 130). 759 Ib., p. 215 sgg. 760 Si veda il pittoresco resoconto di Renan a Berthelot, R ENAN -B ERTHELOT, Correspondance, pp. 450-51. Cfr. Vingt jours en Sicile, in Oeuvres compl., II, pp. 383-84. 761 Cfr. anche lo scritto di due illustri docenti nelle Universit di Palermo e di Roma, P. B LASERNA e C. T OMMASI C RU DELI , LUniversit di Roma. Pensieri di alcuni direttori di stabilimenti scientifici italiani, Roma, 1871, pp. 17-18.

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762 Per le dichiarazioni del Crispi, che si rif espressamente al Sella, in Senato, il 17 luglio 1890, Discorsi Parlamentari di F. Crispi, III, p. 584. Anche per lAccademia dei Lincei Crispi si mosse sulle orme di Sella; e il Sella lo ringrazi nel febbraio 1878, per la benevolenza dimostrata verso lAccademia, come ministro dellInterno, e per il consiglio dato da lui e dal Coppino, e seguito da Umberto I di mostrare favore alle scienze, alle lettere, alle arti, onde il primo od uno dei primi atti personali del nuovo Re era stata listituzione del Premio Reale (Carteggi politici inediti di F. Crispi, cit., pp. 355-56). 763 Cos il relatore Arcoleo, nel difendere il progetto di legge che era stato vivamente attaccato dai senatori Croce, Garofalo, Lanciani, Comparetti, Del Giudice (seduta del 30 maggio 1913, A. P., Senato, p. 11238). E cfr. gi nella relazione Arcoleo al disegno di legge, p. 6; a Roma la scienza ha lalto dovere di combattere e sostituire il dogma (Documenti, n. 879 A). In entrambi i casi, Arcoleo si richiama a Sella. 764 La missione dellItalia, cit., p. 281 sgg. 765 La Riforma, 20 settembre 1871 (Il 20 settembre). 766 Cos [L. G.], Le prisonnier du Vatican. LItalie, la France et la Prusse, Roma, 1872, p. 106. 767 Ib., 26 luglio 1872 (Ancora dellattentato di Spagna). 768 Discorso elettorale del 14 ottobre 1865 (Scritti e discorsi politici, cit., p. 458). 769 G ARIBALDI, Scritti e discorsi politici e militari, cit., III, p. 99 sgg. Lappello fu scritto dal Cairoli (R OSI, I Cairoli, cit., I, p. 245). 770 Lettera a C. Blind, 28 marzo 1875 (G ARIBALDI, Epistolario, ed. Ximenes, II, Milano, 1885, p. 102). 771 Il 14 giugno 1875 (Scritti, cit., pp. 153-54). 772 Cos lon. Mellana, nella seduta alla Camera del 15 maggio 1872 (A. P., Camera, p. 2131). 773 Non ingiustamente osservava il T OMMASEO che quandanco fosse cosa morale il mutare la coscienza del popolo italiano, il figurarsi di poterla mutare dicendo, dal Compidoglio delle impertinenze contro i cardinali o cosa simile, non conseguenza necessaria di cotesta moralit (Roma e lItalia nel 1850

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