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Critica del giudizio

È la critica in cui non compare la parola “ragione”. Kant si rivolge all’Illuminismo, ma anticipa
anche l’età successiva che è il romanticismo. Infatti, la critica del giudizio è proprio l’opera che
preannuncia alcune idee e concetti che poi saranno dominanti nel romanticismo. È evidente che
quando diciamo che Kant è un illuminista, nelle prime due critiche, la ragione dell’uomo, è molto
forte, può conoscere. Infatti è la ragione che conosce ed è legislatrice della natura: dà le regole e
le norme alla natura, in quanto attraverso le sue forme pure a priori; l’uomo può conoscere il
mondo, l’oggetto, la natura, anche se ci sono degli limiti nella conoscenza, (noumeno). Anche
nella seconda critica, c’è sempre la ragione e anche qui la ragione dell’uomo è molto forte perché
è la ragione che, attraverso la volontà, non fa altro che portare all’azione e l’azione è morale: è la
ragione che comanda attraverso un imperativo categorico. Nella “ragion pratica” ha come
fondamento la libertà; le idee metafisiche, nei momenti in cui l’uomo agisce, sono ritrovate. Nella
“critica del giudizio” abbiamo l’uomo che sente, (l’uomo che conosce, che agisce e che sente). Il
giudizio di cui parla, non è più il giudizio della critica della ragion pura, e non è il giudizio sintetico
a priori, è un altro tipo di giudizio. Kant in questa critica dice: “io tratterò del giudizio; quello che
ho trattato nella critica della ragion pura, ora lo chiamo giudizio determinante. Adesso mi
riferisco ad un giudizio che chiamerò riflettente”. La parola chiave della critica del giudizio è
“finalità”. Giudizio riflettente: è quel giudizio che viene elaborato dal soggetto, nel senso che il
soggetto riflette su qualcosa e formula un giudizio, riflettendo nella sua interiorità, rispetto a un
progetto o a una cosa che ha visto. Questo giudizio viene formulato in quanto ha riflettuto su sé
stesso. Il giudizio riflettente si distingue in giudizio estetico e teleologico, (la parola “estetica”
l’abbiamo già incontrata nell’estetica trascendentale). Il giudizio estetico riguarda il bello e il
sublime. Un paesaggio che quando abbiamo visto, abbiamo detto “che bello”, lo abbiamo
ammirato e poi abbiamo formulato questo giudizio. Questo giudizio lo abbiamo formulato in
seguito ad aver ammirato il paesaggio nel complesso, (non ogni suo singolo dettaglio), e ha
determinato una sensazione. Il giudizio riflettente è quel giudizio che riflette la mia interiorità e
che trova in me una sensazione, una finalità. Quel paesaggio io l’ho visto, l’ho contemplato, ho
espresso un giudizio e in qualche modo sono io che ho trovato una finalità nell’unione di tante
parti che costituiscono il mio paesaggio, e dentro di me questo paesaggio è fatto proprio per me,
io ho trovato una finalità, è stato messo lì per me, per quella sensazione che sto provando, (se mi
rimaneva tutto indifferente il paesaggio, passavo e me ne andavo). Sono io che trovo in me la
finalità. Il giudizio estetico non va confuso con quello che è il giudizio di gusto: qualcosa di
soggettivo che si esprime con il “mi piace o non mi piace“, (giudizio soggettivo). Il giudizio
estetico: è un giudizio che ha la caratteristica dell’universalità. È quel giudizio per cui si elabora il
concetto di bello. Il bello deriva da una sensazione di armonia che si prova in sé stessi, (una
scultura del Canova, la contempla e dico che è bella perché in qualche modo determina in me
una sensazione di armonia e equilibrio). È una sensazione che tutti possono provare,
(universalità). Se nel giudizio estetico della bellezza c’è il bello, siamo ormai nell’età romantica, e
Kant non fa altro che anticipare il concetto di sublime. Il sublime è il contrario del bello, infatti
produce un sentire in noi che è disarmonico, e a volte produce pure una sensazione di sgomento,
paura. Kant distingue il sublime matematico e il sublime dinamico. Il sublime matematico è quella
sensazione di sgomento che si prova alla vista di spazi sconfinati infiniti, (deserto, mare). In una
distesa desertica e limitata ci sentiamo minuscoli, avvertiamo in noi questa piccolezza, non
siamo in una situazione di pericolo, siamo solo degli osservatori. Kant però sostiene che con la
nostra ragione riusciamo a dominare la spazialità illimitata, anche se proviamo un sentimento di
piccolezza di fronte ad essa. Sublime dinamico: ci troviamo di fronte alla potenza della natura, e
l’uomo di fronte ad essa è sempre minuscolo e la forza della sua ragione non può nulla di fronte
alla forza della natura. L’uomo però trova la potenza della libertà. L’uomo di fronte alla forza della
natura trova in sé stesso questa sorta di infinità perché lui è un soggetto libero e può agire. Il
bello: Kant distingue anche il bello aderente e bello libero. Il bello aderente è quel bello che nella
produzione artistica aderisce perfettamente alla realtà. Il bello libero è quel bello che non è
aderente ad una forma compiuta nella natura, (motivo geometrico che si ripete; arte astratta).
Genio, (artistico): figura amata prettamente nel romanticismo perché è colui che sa cogliere la
finalità, può anche arrivare alle idee trascendentali, se ne appropria, e poi riproduce la finalità
sotto una forma artistica, (un dipinto, una scultura, una poesia). Il genio non ti sa spiegare
razionalmente la sua ispirazione. Il genio coglie il noumeno, la finalità sembra qualcosa che è
nascosto e io la ritrovo in me, che non conosco razionalmente, ma è un sentire, il cogliere la cosa
in sé. Le caratteristiche del genio: originale, creativo, e deve diventare un modello per gli altri,
non deve imitare nessuno. Giudizio teologico: Kant ha cominciato ad avere i primi sentori per una
disciplina che si stava difendendo, che era la teologia. È un giudizio che prende in
considerazione il fine di un organismo; il fine può essere la vita, il buon funzionamento
dell’organismo, e questo fine è raggiunto grazie all’unione di tutte le parti dell’organismo.

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