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Ordine dei Dottori Commercialisti


e degli Esperti Contabili di Treviso
 

Compensi in natura e rimborsi spesa

A cura della
COMMISSIONE DI STUDIO DI DIRITTO TRIBUTARIO
NAZIONALE E INTERNAZIONALE

 
Componenti la commissione di studi di diritto tributario nazionale ed internazionale:
Presidente: Dott. Roberto Baggio
Segretario: Dott. Adriano Pietrobon
Membri: Dott. Lorenzo Boer, Dott.ssa Laila Bortolomiol, Dott. Fabio Cavallino, Dott.
Nicola Cendron, Dott. Federico Luigi Contessotto, Dott.ssa Federica Da Rios, Dott. Paolo
Dalle Carbonare, Dott. Alberto De Luca, Avv. Marco Francescon, Dott. Stefano
Filippetto, Dott. Luca Girotto, Dott. Gianfranco Lorenzon, Dott.ssa Barbara Marazzi,
Avv. Francesco Novello, Dott.ssa Rossella Porfido, Dott.ssa Claudia Rottin, Dott.
Roberto Turchetto, Dott. Ennio Vial, Dott. Gianluca Zinno.

 
 

 
PREFAZIONE
Questo secondo Quaderno ha per oggetto una tematica spesso guardata dagli
studiosi di diritto tributario con una certa supponenza, in quanto considerata poco
interessante dal punto di vista scientifico. Più che altro è considerata una materia di
appannaggio dei “pratici” e lasciata agli stessi essenzialmente priva di un’impostazione
sistematica.

Eppure, come tutti noi sappiamo, al di là del diffusissimo interesse dei


contribuenti e dei loro consulenti verso la stessa, talora necessariamente incrocia istituti e
principi di diritto tributario degni della massima attenzione (pensiamo all’esistenza o
meno di un principio di simmetria tra il reddito del lavoro dipendente e quello del
soggetto erogatore), i quali, seppure incidentalmente, vanno definiti e correttamente
inquadrati prima di dare una risposta al singolo quesito pratico.

Sui rimborsi spese e sui compensi in natura sono stati pubblicati negli ultimi anni
diversi volumi, i quali, tuttavia, non sempre sono stati in grado di rispondere alle
aspettative del lettore. Questo Quaderno cerca di proporre un quadro esaustivo e
sistematico della materia e di coprire, nel limite del possibile, la casistica emergente dalla
realtà operativa delle imprese. Non sappiamo se siamo riusciti perfettamente in questo
compito ambizioso, ma confidiamo che il lettore darà almeno atto del forte impegno che
abbiamo profuso in questo senso.

L’elevato numero di autori che hanno contribuito alla realizzazione del Quaderno,
la dimensione dello stesso, il lungo tempo di elaborazione e la mole delle fonti consultate
hanno posto non secondari problemi di coordinamento e di redazione. Saremo pertanto
grati a coloro che vorranno segnalarci eventuali omissioni o refusi, dei quali daremo
evidenza nell’apposito spazio dedicato ai Quaderni di approfondimenti dal sito del nostro
Ordine di Treviso, scusandoci fin d’ora per gli stessi.

Un ringraziamento speciale, per la realizzazione di questo Quaderno, va al dott.


Paolo Dalle Carbonare (prezioso e infaticabile coordinatore degli autori), al dott.
Gianluca Zinno, alla dott.ssa Claudia Rottin, alla dott.ssa Laila Bortolomiol, alla dott.ssa
 

 
Rossella Porfido, al dott. Nicola Cendron, alla dott.ssa Barbara Marazzi ed al dott.
Lorenzo Boer, estensori dei vari capitoli.

Treviso, lì 20 dicembre 2010

Roberto Baggio

 
PARTE PRIMA

COMPENSI IN NATURA

 
 

 
1

PRINCIPI GENERALI

1.1 La nozione di reddito di lavoro dipendente: il progressivo rafforzamento del


principio di onnicomprensività

Il legislatore tributario, sin dalla riforma del 1972, ha espresso una definizione
molto ampia del concetto di reddito di lavoro dipendente. I successivi interventi
normativi, poi, non hanno fatto che confermare la volontà di estendere sempre più i
confini dell’imponibilità di tale tipo di reddito, alla ricerca del maggior gettito possibile 1.

Immediata testimonianza di questa intenzione si rileva dalla lettura dell’articolo


49 del TUIR 2 che, rispetto alla corrispondente formulazione prevista nell’articolo 46 del
D.P.R. 597/1973 3, sposta il focus della definizione di rapporto di lavoro dall’attività
prestata (“derivante dal lavoro prestato”) al rapporto negoziale che ha per oggetto la
prestazione di lavoro (“derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di
lavoro”) 4. La puntualizzazione, secondo la stessa relazione ministeriale 5, è stata effettuata
con lo scopo di far rientrare nel concetto di lavoro dipendente anche i compensi e le
                                                            
1
Tale circostanza non è stata, nel corso degli anni, esente da critiche. Vedasi, in tal senso, dottrina tra gli altri,
PERSIANI, Il tramonto del principio di onnicomprensività e il problema dei poteri del giudice nella
contrattazione collettiva, in “Il Diritto del lavoro”, 1984, II, pag. 390; VALLEBONA, Sul c.d. principio di
onnicomprensività della retribuzione tra legge e contratto, in “Rivista trimestrale diritto Procedura Civile”,
1983, pag. 328; EVANGELISTA, Onnicomprensività: un principio sconosciuto alla retribuzione, in “Dir.
Giust.”, 2001, n. 40, pag. 39.
2
Art. 49, DPR 917/86: “Reddito di lavoro dipendente. Sono redditi di lavoro dipendente quelli che derivano
da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la
direzione di altri, compreso il lavoro a domicilio quando è considerato lavoro dipendente secondo le norme
della legislazione del lavoro (…)”.
3
Art. 46, DPR 597/73: “Reddito di lavoro dipendente. Il reddito di lavoro dipendente è quello derivante dal
lavoro prestato con qualsiasi qualifica alle dipendenze e sotto la direzione di altri, compreso quello a
domicilio quando sia considerato lavoro dipendente secondo le norme della legislazione sul lavoro (…)”.
4
Vedasi, in tal senso, D’AMATI, Il lavoro nel diritto tributario in D’AMATI, a cura di, La disciplina
tributaria del lavoro dipendente, Padova, 2003, pag. 21.
5
Relazione governativa di accompagnamento al TUIR. Vedasi anche Circolare 30 luglio 1988, n. 20/8/1078.

 
indennità conseguiti sulla base del rapporto, ma indipendentemente dall’effettiva
prestazione di lavoro.

La definizione attribuita dal legislatore tributario al lavoro dipendente, seppur


mutuata dall’articolo 2094 del codice civile 6, non lo richiama espressamente,
consentendo, secondo la prassi amministrativa, di poter includere in tale nozione tutti i
redditi derivanti da rapporti nei quali sia possibile ravvisare un prestatore di lavoro
dipendente, a prescindere dalla qualifica da questi assunta 7.

Elementi essenziali per la qualificazione del lavoro dipendente sono, secondo la


disciplina giuslavoristica, l’esistenza di un rapporto di lavoro nella quale un soggetto
agisca alle dipendenze e sotto la direzione di altri. La dipendenza va identificata nella
soggezione del lavoratore al potere direttivo (lo svolgimento della prestazione sulla base
di istruzioni), disciplinare (applicazione di sanzioni disciplinari in caso di inadempimento
della prestazione lavorativa) e di controllo (verifica dell’attività svolta e che deve essere
svolta) esercitati dal datore di lavoro, l’inserimento del dipendente nell’organizzazione
produttiva aziendale, lo svolgimento della prestazione attraverso l'utilizzo di strumenti
professionali messi a disposizione dal datore di lavoro, l'insussistenza di un rischio di
impresa in capo al dipendente, la retribuzione periodica, l'obbligo di comunicazione delle
proprie presenze ed assenze dal posto di lavoro, l'osservanza di un orario di lavoro, la
necessità di concordare con il datore di lavoro i periodi per il godimento delle ferie 8.

La volontà del legislatore di attrarre nell’ambito dei redditi da assoggettare a


tassazione tutti i compensi percepiti in relazione del rapporto di lavoro, che si intravvede,
come accennato, nella riscrittura della definizione di reddito di lavoro dipendente prevista
dal TUIR, appare ancor più evidente analizzando le successive formulazioni della norma

                                                            
6
Art. 2094 c.c.: “Prestatore di lavoro subordinato. E’ prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga
mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle
dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”.
7
Circolare 23 dicembre 1997, n. 326.
8
Cassazione 14 aprile 2008, n. 9812: “(…) Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte l'elemento
decisivo che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato dal lavoro autonomo è l'assoggettamento del
lavoratore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro ed il conseguente inserimento
del lavoratore in modo stabile ed esclusivo nell'organizzazione aziendale. Costituiscono poi indici sintomatici
della subordinazione, valutabili dal giudice del merito sia singolarmente che complessivamente, l'assenza del
rischio di impresa, la continuità della prestazione, l'obbligo di osservare un orario di lavoro, la cadenza e la
forma della retribuzione, l'utilizzazione di strumenti di lavoro e lo svolgimento della prestazione in ambienti
messi a disposizione dal datore di lavoro (…)”.

 
che regola la determinazione di tali redditi. L’attuale enunciato del primo comma
dell’articolo 51 del DPR 917/86 9 è il frutto di una serie di modifiche legislative che hanno
portato dalla definizione dell’articolo 48 del D.P.R. 29.09.1973 n. 597, all’originaria
enunciazione del TUIR, successivamente modificata con l’articolo 3 del decreto
legislativo 2 settembre 1997, n. 314 10.

La struttura della norma prevede, al primo comma, una definizione generale di


redditi di lavoro dipendente ed una lunga serie di deroghe, stabilite al secondo comma,
che saranno oggetto nel prosieguo di specifica analisi del presente lavoro.

La definizione prevista nel DPR 597/73 11 prevedeva che fossero assoggettati a


tassazione i compensi e gli emolumenti percepiti “in dipendenza del lavoro prestato”.
L’espressione della norma introduceva, pertanto, la necessità di un sinallagma tra
prestazione di lavoro e l’emolumento. Al fine della qualificazione del reddito di lavoro
dipendente vi era, pertanto, la necessità di un lavoro prestato e della derivazione e
dipendenza giuridica della somma erogata dal lavoro prestato. Tale enunciazione,
prevedendo l'assoggettamento a prelievo delle sole somme che si ponevano in un rapporto
di corrispettività con la prestazione lavorativa, comportava dubbi interpretativi – ed il
conseguente contenzioso – per quegli emolumenti che, seppur corrisposti nell’ambito del
rapporto lavorativo, non erano direttamente connessi al lavoro prestato. La giurisprudenza
ha dovuto, di volta in volta, occuparsi di una serie di casi nei quali non era
particolarmente evidente il rapporto sinallagmatico tra erogazione e prestazione di lavoro
quali, ad esempio, l’indennità corrisposta al dipendente dirigente per l’ingiusto

                                                            
9
DPR 917/86, articolo 51: “Determinazione del reddito di lavoro dipendente. Il reddito di lavoro dipendente
è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche
sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Si considerano percepiti nel periodo
d’imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposte dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di
gennaio del periodo d’imposta successivo a quello cui si riferiscono (…)”.
10
In attuazione della delega contenuta nell’art. 3, commi 19 e 134 della L. 662/96 (legge finanziaria per il
1997) volta all’uniformazione del concetto di base imponibile ai fini fiscali ed ai fini contributivi.
11
DPR 597/73, articolo 48: “Determinazione del reddito di lavoro dipendente. Il reddito di lavoro dipendente
è costituito da tutti i compensi ed emolumenti, comunque denominati, percepiti nel periodo d’imposta in
dipendenza del lavoro prestato, anche sotto forma di partecipazione agli utili e a titolo di sussidio o
liberalità. (…)”.

 
licenziamento 12, il risarcimento dei danni da infortunio imputabile al datore di lavoro13,
la rivalutazione monetaria di spettanze retributive tardivamente corrisposte 14.

Il testo unico delle imposte sui redditi, nella sua originaria formulazione del 1986,
ha abbandonato il concetto di sinallagma tra prestazione ed emolumento, estendendo la
definizione di reddito da lavoro dipendente anche ai compensi, in denaro o in natura,
percepiti dal lavoratore “in dipendenza del rapporto di lavoro” 15. Il passaggio da un
concetto di “dipendenza del lavoro prestato” del DPR 597/73 a quello di “dipendenza del
rapporto di lavoro”, ha comportato un notevole ampliamento dell’ambito di applicazione
della disciplina del reddito di lavoro dipendente, rendendo possibile scardinare il
sinallagma lavoro - remunerazione, estendendo l’imponibilità anche ad erogazioni che,
pur essendo effettuate nell’ambito del rapporto di lavoro dipendente, trovavano la loro
causa in aspetti diversi dalla mera prestazione lavorativa. L’intento del legislatore era
giustificato dal tentativo di porre un limite alla consistente mole di contenzioso generato
dalla difficoltà di qualificazione della natura delle somme percepite, ad esempio, nei
periodi di assenza dal lavoro o quelle erogate indipendentemente dall’effettiva
prestazione di lavoro.

L’attuale formulazione del primo comma dell’articolo 51 del TUIR 16 prevede


l’imponibilità di “tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel
periodo di imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di
lavoro”, testimonia l’intenzione del legislatore di allargare l’imponibilità del reddito di
lavoro dipendente, tanto da potersi affermare il principio generale di “onnicomprensività
del reddito di lavoro dipendente” 17. La sostituzione dei termini “dipendenza” con
                                                            
12 Vedasi, ex multis, Cassazione 26 ottobre 1991, n. 11417; Cassazione 23 novembre 1992, n. 12511;
Cassazione 20 marzo 1998, n. 2931; Cassazione 21 ottobre 1998, n. 10419; Cassazione 14 dicembre 1999, n.
14008; Cassazione 17 marzo 2000, n. 3122; Cassazione 12 aprile 2000, n. 4730; Cassazione 02 febbraio
2001, n. 1467.
13
Vedasi, ex multis, Cassazione 26 settembre 1994, n. 7868
14
Cassazione 27 gennaio 1989 n. 498. Contra Cassazione 15 maggio 1991, n. 5441
15
L’articolo 48 (ora 51) del DPR 917/86, nella formulazione del 1986 (precedente alla modifica effettuata
dal D. LGS. 314/1997), recitava: “Determinazione del reddito di lavoro dipendente . Il reddito di lavoro
dipendente e` costituito da tutti i compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo d'imposta anche sotto
forma di partecipazione agli utili in dipendenza del rapporto di lavoro, comprese le somme percepite a titolo
di rimborso di spese inerenti alla produzione del reddito e le erogazioni liberali”.
16
Vedasi, in tal senso, la relazione al DPR 917/86, commento all’articolo 51.
17
Sul principio di onnicomprensività del reddito di lavoro dipendente vedasi BIANCHI - D’URSO,
Onnicomprensività e struttura della retribuzione, Camerino-Napoli, 1984, pag. 94.

 
“relazione” testimonia infatti un rapporto ancor meno stretto e vincolante con il rapporto
di lavoro 18. Per essere in presenza di un reddito qualificabile come derivante da lavoro
dipendente, e come tale assoggettabile a tassazione, è sufficiente che vi sia una
erogazione di un qualsiasi elemento suscettibile di valutazione economica che trovi la
propria causa, diretta o indiretta, nel rapporto di lavoro dipendente, tale da poter
affermare che il compenso non sarebbe stato erogato in assenza di tale rapporto 19. Il
concetto di reddito di lavoro dipendente sembra non trovare limiti neanche nella
dimensione temporale, tanto da far ricomprendere in tale tipologia di reddito anche quelli
corrisposti agli ex dipendenti in relazione ad un rapporto di lavoro cessato 20.

L’espressione “a qualunque titolo percepiti” sembrerebbe addirittura autorizzare


un’estensione del concetto di reddito di lavoro dipendente anche al di là del necessario
collegamento con il rapporto di lavoro. La giustificazione dell’inserimento di tale
espressione nel testo normativo, tuttavia, sembra essere quella di ricomprendere nel
reddito di lavoro dipendente le somme che, pur trovando la loro ragion d’essere nel
rapporto di lavoro, hanno fondamento in un titolo diverso, come nel caso delle
emolumenti corrisposti a seguito di transazione nelle controversie di lavoro.

                                                            
18
D’AMATI, Il lavoro nel diritto tributario in D’AMATI, a cura di, La disciplina tributaria del lavoro
dipendente, Padova, 2003, pag. 32: la sostituzione “non modifica la fattispecie, sempre risalente al rapporto
di lavoro, ma la svincola dalla stretta osservanza delle clausole contrattuali, per considerare la situazione
nella globalità dei comportamenti delle parti, ampliando, conseguentemente, il nesso causale tra le somme e
i “valori in genere percepiti” e la “prestazione di lavoro”, formante l’oggetto del rapporto”. PURI,
Armonizzazione, razionalizzazione e semplificazione delle disposizioni fiscali e previdenziali, in Commento
agli interventi di riforma tributaria - I decreti di attuazione delle deleghe contenute nell'art. 3 della legge
26.12.1996 n. 662, a cura di M. Maccinesi, Padova, 1999, pag. 292: “la nuova formulazione afferma con
pienezza il principio della onnicomprensività del reddito di lavoro dipendente sia ai fini fiscale che ai fini
contributivi. Viene in sostanza realizzato un notevole ampliamento della nozione, estremizzando la rilevanza
di qualsivoglia attività svolta dal percettore al fine di ricondurre nell’ambito del rapporto di lavoro, e quindi
nella base imponibile, ogni somma o valore (relativo a beni e servizi) sia direttamente che indirettamente
percepiti in forza della mera “relazione” con il rapporto di lavoro invece che “in dipendenza” di esso.
L’imponibilità non è infatti più collegata alla presenza di una causa specifica caratterizzante l’erogazione,
ma piuttosto con il rapporto in base al quale avviene la singola percezione”. Circolare 23.12.1997, n. 326:
risulta “rafforzata la onnicomprensività del concetto di reddito di lavoro dipendente e quindi della totale
imponibilità di tutto ciò che il dipendente riceve”.
19
FALSITTA, Manuale di diritto tributario, Parte generale, Padova, 2000, pag. 129.
20
Risoluzione 29 maggio 2009, n. 137: “(…) costituiscono reddito da lavoro dipendente tutte le somme e i
valori che il dipendente (o pensionato) percepisce nel periodo di imposta, a qualunque titolo, in relazione al
rapporto di lavoro, e, quindi, tutte le erogazioni che siano in qualche modo riconducibili al rapporto di
lavoro, a prescindere dalla esistenza di un attuale vincolo sinallagmatico con la prestazione lavorativa. In
altri termini, vi rientrano a pieno titolo quelle elargizioni che trovano la loro origine e giustificazione nel
rapporto di lavoro dipendente, ancorché la materiale corresponsione avvenga successivamente alla
cessazione del rapporto medesimo (…)”. Vedasi anche Circolare 23 dicembre 1997, n. 326; Circolare 10
giugno 2004, n. 24; Circolare 19 gennaio 2007, n. 1; Risoluzione 12 giugno 2002, n. 186 e Risoluzione 23
maggio 2003, n. 114.

 
Seppur molto estesa, la definizione di reddito di lavoro ha pur sempre dei limiti 21.
La nozione, infatti, non può essere estesa fino a ricomprendere i rimborsi spesa e i
risarcimenti per danni effettivamente subiti dal dipendente. In questo caso soccorrono i
principi generali 22, i quali stabiliscono che, affinché si possa parlare di reddito di lavoro
dipendente, deve concretizzarsi una nuova ricchezza idonea a determinare un incremento
del patrimonio del lavoratore, non potendosi intendere reddito imponibile le
reintegrazioni di perdite patrimoniali subite o il rimborso di spese anticipate. Per effetto
dell’applicazione di tale principio, non sono ricompresi nella nozione di reddito di lavoro
dipendente i rimborsi spesa ai dipendenti. Relativamente al risarcimento danni, invece, si
deve distinguere tra risarcimento per danno emergente, estraneo alla qualifica di reddito,
e per lucro cessante, che invece rientra a pieno titolo nel reddito di lavoro dipendente 23.

1.2 I fringe benefit

Con il termine anglosassone fringe benefit (dall'inglese fringe, indennità


aggiuntiva), ormai entrato nel dizionario comune di chi si occupa della materia tributaria,
si intende il compenso in natura attribuito ad un determinato soggetto in considerazione
del ruolo e dell’importanza rivestiti nell’ambito della vita aziendale. Il compenso per le
attività rese dal lavoratore, anziché essere corrisposto nell’usuale forma del pagamento in
denaro, avviene attraverso la concessione in uso di un determinato bene o attraverso la
somministrazione di un particolare servizio.

                                                            
21
LUPI, Diritto tributario, parte speciale, Milano, 1998, pag. 73: “all’ampia definizione dei proventi che
concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente non possono essere ricondotte erogazioni estranee allo
stesso concetto di reddito”.
22 Art. 6, comma 2,
DPR 917/86: “I proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei
relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni
consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte,
costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti. Gli interessi moratori e gli interessi
per dilazione di pagamento costituiscono redditi della stessa categoria di quelli da cui derivano i crediti su
cui tali interessi sono maturati”.
23
Cassazione 15 settembre 2009, n. 19834: “In tema di imposte sui redditi di lavoro dipendente, dalla lettura
coordinata del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, comma 2, e art. 46 (sul primo dei quali nessuna
innovazione deve ritenersi abbia apportato il D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, art. 32 - convertito nella L. 22
marzo 1995, n. 85 -...), si ricava che, al fine di poter negare l'assoggettabilità ad IRPEF di una erogazione
economica effettuata a favore del prestatore di lavoro da parte del datore di lavoro, è necessario accertare
che l'erogazione stessa non trovi la sua causa nel rapporto di lavoro, e, se ciò non viene positivamente
escluso, che l'erogazione stessa, in base all'interpretazione della concreta volontà manifestata dalle parti,
non trovi la fonte della sua obbligatorietà né in redditi sostituiti, né nel risarcimento di danni consistenti
nella perdita di redditi futuri, cioè successivi alla cessazione od all'interruzione del rapporto di lavoro".
Vedasi anche Cassazione 10 dicembre 2007, n. 25759; Cassazione 17 agosto 2004, n. 16014; Cassazione 24
luglio 2003, n. 11501; Cassazione 25 giugno 2003, n. 10085; Cassazione 5 maggio 2002, n. 11687;
Cassazione 2 febbraio 2001, n. 1467.

 
L’Agenzia delle entrate ha definito 24 i fringe benefit "compensi in natura,
consistenti in beni o servizi, anche prodotti dallo stesso datore di lavoro, ovvero in sconti
particolari sull'acquisto di tali beni e servizi".

Non sempre, a fronte di beni e servizi concessi gratuitamente al dipendente, si


configura l’erogazione di un fringe benefit. A volte, infatti, i beni erogati risultano
chiaramente strumentali rispetto all’attività lavorativa svolta (come, ad esempio, la
fornitura di abbigliamento da lavoro, l’attrezzatura da impiegare nell’attività), mentre in
altri casi possono risultare di natura promiscua, risultando sia costi aziendali che fringe
benefit (come ad esempio nel caso di utilizzo dell’autovettura o di corsi di formazione). In
tali fattispecie, il criterio distintivo tra fringe benefit e costi relativi all’impresa va
ricercato, secondo un’autorevole opinione 25, nell’interesse perseguito con l’erogazione: se
effettuata nell’interesse dell’impresa l’elargizione di beni e servizi non è tassabile in capo
al dipendente. Se invece viene effettuata al fine di soddisfare un bisogno del lavoratore,
siamo in presenza di fringe benefit. Nel caso convivano entrambe le finalità (ad esempio
bene in uso promiscuo), l’imponibilità va ammessa parzialmente 26.

Affinché si configuri un fringe benefit tassabile in capo al dipendente non è


addirittura necessaria l’erogazione diretta da parte del datore di lavoro. E’ infatti
sufficiente che l’imprenditore si sia attivato per far ottenere un beneficio (ad esempio uno
sconto) al dipendente da parte di un soggetto terzo per determinare l’esistenza del fringe
benefit. Il coinvolgimento del datore di lavoro nell’operazione, infatti, fa comunque
scattare il presupposto impositivo del reddito di lavoro dipendente in capo al lavoratore, il
quale verrà dunque tassato per il beneficio ottenuto come se l’avesse ricevuto dal datore
di lavoro 27. In tal caso, tuttavia, è necessario, secondo alcuni 28, verificare se il datore di
lavoro rifonda o meno ai fornitori una determinata percentuale dei prezzi praticati. Solo in
presenza di un concorso del datore di lavoro si potrebbe parlare di fringe benefit. In caso
contrario, si tratterebbe solo di una strategia commerciale di chi concede lo sconto e

                                                            
24
Risoluzione 29 maggio 2009, n. 137/E.
25
Circolare Assonime 11/2009.
26
URICCHIO, La determinazione del reddito di lavoro dipendente, in La disciplina tributaria del lavoro
dipendente, Padova, 2003, pag. 257. CARPENTIERI, Redditi in natura e valore normale ai
27
CROVATO, Il lavoro dipendente nel sistema delle imposte sui redditi, Padova, 2001, pag. 344; Circolare
16 luglio 1998, n. 188/E; Circolare Assonime 11/09.
28
CROVATO, Il lavoro dipendente nel sistema delle imposte sui redditi, Padova, 2001, pag. 182.

 
l’intervento dell’imprenditore varrebbe solo ad identificarne i fruitori. Secondo altra
dottrina, affinché si possa parlare di fringe benefit è sufficiente l’esistenza di un accordo
tra il datore ed il terzo erogante 29.

L’amministrazione finanziaria, sul tema, ha dichiarato che “la fattispecie in


esame si verifica (…) allorquando un terzo cede beni o presta servizi (…) a dipendenti di
un datore di lavoro per effetto di un qualunque collegamento esistente con quest’ultimo o
con il sottostante rapporto di lavoro sebbene non in forza di un accordo o di una
convenzione che questi abbia con lui stipulato” 30.

L’esperienza aziendale testimonia un sempre maggior ricorso alle remunerazioni


sotto forma di fringe benefit. La riprova della rilevanza dell’argomento è testimoniata
anche dall’interesse manifestato dall’Amministrazione finanziaria, che ha prodotto una
ricca serie di risoluzioni e circolari in materia.

A solo fine esemplificativo si ricordano alcune delle più ricorrenti forme di fringe
benefit, molte delle quali saranno analizzate nel dettaglio nei capitoli che seguono:

Autovetture: assegnazione per uso promiscuo in forma gratuita o su pagamento di un


prezzo, pagamento della tassa di circolazione, copertura dei rischi
assicurativi;

Premi indennità e rimborsi spese: buoni benzina e carte benzina, carta di credito in uso
al dipendente, indennità e rimborso spese per il tragitto casa-lavoro,
rimborso delle spese di vitto o alloggio per familiari in occasione di
trasferimento, maggiorazione di rimborsi spese a forfait in occasione di
trasferte, assistenza professionale per la dichiarazione dei redditi da
presentare in uno Stato estero;

Casa: abitazione di proprietà dell’azienda o da questa affittata e data in uso al dipendente,


abitazione in uso al dipendente all’interno di locali dell’azienda,
sostenimento o rimborso delle spese relative alla manutenzione ed alla
gestione dell’abitazione, concessione dell’abitazione di rappresentanza,
                                                            
29
TOGNONI, I fringe benefits, in I redditi di lavoro dipendente, Torino, 2003, pag. 64, nota 20.
30
Circolare 23 dicembre 1997, n. 326/E, par. 2.3.1.

 
casa al dipendente durante le ferie, rimborso delle spese per il trasloco in
relazione ai trasferimenti della sede di lavoro.

Nucleo familiare: abbonamento a quotidiani, periodici, a circoli, associazioni, cinema,


teatro, palestre e impianti ricreativi, iscrizioni a club d’affari, assistenza
sanitaria integrativa, check-up medico periodico, autovettura con autista a
disposizione per necessità familiari, borse di studio o corsi di formazione
extraprofessionale, rimborso spese scolastiche, viaggi e vacanze-studio
all’estero, premi o sconti per acquisti, consulenza fiscale, legale, bancaria e
assicurativa.

Previdenza e assistenza: assicurazione invalidità e vita, assistenza sanitaria integrativa,


piano pensionistico integrativo.

Agevolazioni finanziarie: prestiti diretti o tramite enti convenzionati ad interesse


agevolato, stock option.

L’attribuzione di fringe benefit a dipendenti e collaboratori comporta, ai fini


fiscali e contributivi, la necessità della loro valorizzazione, della determinazione
dell’imponibilità a fini fiscali e contributivi e della deducibilità della spesa sostenuta per
il datore di lavoro erogante.

Relativamente alla determinazione del valore di alcuni dei fringe benefit più
diffusi, che sarà oggetto di trattazione in un paragrafo successivo 31, la normativa
fiscale ha fissato per alcuni una determinazione su base "convenzionale" 32, in deroga al
principio generale del “valore normale”. Per altri, addirittura, ha fissato un regime
“privilegiato”, stabilendone la detassazione totale o parziale.

Va ricordato che tutte le considerazioni che verranno fatte in termini di


trattamento fiscale dei fringe benefits, sono da considerarsi, salvo circoscritte eccezioni,
estese anche in ambito previdenziale e ciò per effetto dell’armonizzazione dei criteri per

                                                            
31
Vedi infra, paragrafo 1.4.
32
Come accade, ad esempio nel caso della percentuale da applicare alle tariffe chilometriche Aci e della
determinazione della fascia annua di percorrenza per le auto.

 
la determinazione della base imponibile fiscale e previdenziale, introdotta dal D.LGS. n.
314/97.

1.3 Prestazioni e servizi resi nei confronti della generalità dei dipendenti o di Comment [VAC1]: Paragrafo inserito 
nel capitolo relativo ai soggetti assimilanti 
categorie omogenee di dipendenti
La norma fiscale prevede che alcune erogazioni, per essere escluse dalla base
imponibile, devono comunque interessare la generalità di dipendenti o intere categorie di
essi. Per effetto del richiamo dell’articolo 52 del TUIR alla disciplina prevista
dall’articolo 51, la generalità o le intere categorie possono essere riferite anche ai
collaboratori.

Ci si è interrogati sulle possibili interpretazioni da attribuire al termine “intere


categorie”. La stessa Amministrazione finanziaria ha interpretato il concetto in modo più
estensivo rispetto alle categorie di lavoratori identificati dal codice civile (dirigenti,
quadri, impiegati, operai), intendendo che possano ravvisarsi “intere categorie” ogni volta
che vengono erogati prestazioni e servizi nei confronti di tutti i dipendenti in possesso di
una determinata caratteristica, come, a solo titolo di esempio, il tipo di qualifica, il livello
contrattuale, tutti i dipendenti di uno stesso stabilimento, etc. 33

Quando le prestazioni in esame non riguardino almeno una categoria omogenea


di dipendenti (o collaboratori), l’importo della stessa deve essere considerato compenso
assoggettato a tassazione.

Il limite dell’erogazione alla generalità o ad una categoria omogenea di


dipendenti (o di collaboratori) è previsto per le prestazioni di servizi di trasporto, per le
somme erogate per frequenza di asili nido e di colonie climatiche, per borse di studio e
per le stock option.

Anche se non espresso dalla norma, si ritiene inoltre che tanto il servizio di mensa
quanto le prestazioni sostitutive devono essere comunque rivolte alla generalità dei
                                                            
33
La Circolare 23 dicembre 1997, n. 326, ha già chiarito che l'espressione "categorie di dipendenti",
utilizzata dal legislatore, non va intesa soltanto con riferimento alle categorie previste nel codice civile
(dirigenti, operai, ecc.), bensì "a tutti i dipendenti di un certo tipo (ad esempio, tutti i dirigenti, o tutti quelli di
un certo livello o una certa qualifica)". La Circolare 16 luglio 1998, n. 188, riferisce che anche il
raggruppamento costituito da "tutti gli operai del turno di notte" è idoneo ad individuare una categoria di
dipendenti nel senso richiesto dal legislatore. La ratio della norma è infatti di impedire la detassazione delle
concessioni “ad personam”.

 
dipendenti o a categorie di dipendenti: in caso contrario si tratta di erogazione di
retribuzione in natura.

1.4 Prestazioni e servizi rese a dipendenti o familiari

Per alcune erogazioni nei confronti dei dipendenti (e dei collaboratori), l’articolo
51 del TUIR prevede che possano essere escluse dalla formazione della base imponibile
anche se a fruirne siano i familiari 34.

L’elencazione di questi casi fatta dalla norma è da ritenersi esaustiva. Al di fuori


delle previsioni espresse dalla norma, le erogazioni fatte nei confronti dei familiari non
possono essere escluse dalla base imponibile. I casi previsti sono:

‐ l'utilizzo di opere e servizi utilizzabili dai dipendenti per specifiche finalità di


educazione, ricreazione, istruzione, culto assistenza sociale e sanitaria 35;
‐ le somme erogate dal datore di lavoro per borse di studio, asili nido e colonie
climatiche.
‐ le spese di viaggio connesse con il trasferimento della sede di lavoro.

Il legislatore, per identificare i familiari ai quali è estensibile il beneficio, fa


espresso riferimento all’articolo 12 del TUIR, ovvero:

‐ coniuge
‐ figli naturali, riconosciuti, adottivi, affidati o affiliati e, in loro mancanza, i
discendenti prossimi, anche naturali;
‐ genitori e, in mancanza, gli ascendenti prossimi, anche naturali; gli adottanti, i generi
e le nuore;
‐ suocero e suocera;
‐ fratelli e sorelle germani o unilaterali.

                                                            
34
Sono invece completamente estranee al reddito di lavoro dipendente le attribuzioni fatte nell’interesse di
persone diversa dal lavoratore o dei suoi familiari come, ad esempio i beni concessi ai dipendenti
nell’esclusivo interesse del datore di lavoro (tuta da lavoro, attrezzatura da utilizzare nello svolgimento del
lavoro, etc).
35
Diverso è il caso in cui il datore di lavoro, anziché assicurare direttamente al lavoratore ed ai familiari
l’utilizzo di opere o servizi, corrisponda delle somme al dipendente affinché i suoi familiari possano utilizzare
tali infrastrutture. In questo caso l’erogazione è imponibile.

 
Il richiamo effettuato dal legislatore all’articolo 12 del TUIR (rubricato
“Deduzioni per oneri di famiglia”) deve essere inteso solo come individuazione dei
soggetti, a nulla valendo il riferimento alla situazione di familiare fiscalmente a carico 36.
E’ quindi possibile la fruizione dei benefici anche da parte di familiari che, sebbene non
fiscalmente a carico o non conviventi, rientrino tra quelli previsti dall’articolo 12 del
TUIR.

1.5 Determinazione del valore dei compensi

Come già evidenziato nei paragrafi precedenti, uno dei problemi che comporta
l’attribuzione di compensi in natura è la loro valorizzazione al fine della determinazione
dell’imponibile fiscale. Per farlo il legislatore è ricorso ad un principio generale,
prevedendo, tuttavia, alcune deroghe e specificazioni.

L’articolo 51 del TUIR, al terzo comma, individua quale criterio generale per la
determinazione del valore dei compensi in natura quello del “valore normale”, facendo
espresso rinvio a quanto previsto dall’articolo 9 del TUIR. La stessa norma specifica,
inoltre, cosa deve intendersi per valore normale nel caso di beni e servizi prodotti
dall’impresa, oltre a stabilire alcune deroghe, mediante la fissazione di criteri
convenzionali per alcune categorie di compensi in natura. E’ previsto, inoltre, un regime
di esenzione per erogazioni di importo limitato.

Il principio generale per la valorizzazione dei fringe benefit è dunque il “valore


normale” dei beni e servizi, definito dall’articolo 9 del DPR 917/86, come “il prezzo o
corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in
condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo
e nel luogo in cui i beni o servizi sono stato acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel
tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa
riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o
i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle
tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso. Per i beni e i servizi soggetti a
disciplina dei prezzi si fa riferimento ai provvedimenti in vigore”.

                                                            
36
Vedasi Circolare 23 dicembre 1997, n. 326.

 
Per i beni prodotti dall’impresa e ceduti ai dipendenti, la norma prevede che la
valorizzazione del compenso in natura sia fatta sulla base del prezzo mediamente
praticato dalla stessa azienda nelle cessioni al grossista. Il tenore letterale del precetto
normativo, che parla di prezzo mediamente praticato, esclude che si possa far riferimento
a prezzi scontati o adottati solo in particolari periodi dell’anno. Si dovrà far riferimento,
ove possibile, ai listini dell’imprenditore. La norma fa inoltre riferimento esclusivamente
ai “generi in natura”, escludendo pertanto i servizi da questo tipo di valutazione. Dalla
lettura del testo, che fa riferimento al prezzo applicato ai grossisti 37, si evince che tale
disposizione non è applicabile ai professionisti, alle imprese che producono
esclusivamente per la vendita al dettaglio ed a quelle che effettuano la mera
commercializzazione dei beni.

Relativamente ai prodotti finanziari, invece, il TUIR dispone che il valore


normale sia pari:

a) per le azioni, obbligazioni ed altri titoli quotati nelle borse italiane od estere, alla
media aritmetica dei prezzi rilevati nell'ultimo mese, ossia nel periodo di tempo che
intercorre tra il giorno dell'assegnazione/sottoscrizione dei titoli ai dipendenti ed il
medesimo giorno del mese immediatamente precedente;
b) per le azioni non quotate ed altri titoli diversi dalle azioni, alla parte proporzionale del
patrimonio netto ovvero per le società di nuova costituzione, all'ammontare
complessivo dei conferimenti;
c) per le obbligazioni e per gli altri titoli diversi dai precedenti, al valore normale di titoli
aventi analoghe caratteristiche negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri e, in
mancanza, in base ad altri elementi determinabili in modo obiettivo.

E’ il caso di notare che il valore normale dei beni erogati a dipendenti (e


collaboratori) ed ai loro familiari, come sopra determinato, è integralmente assoggettato a
tassazione solo nei casi di elargizione gratuita. Nei casi in cui il dipendente contribuisca
versando parte del valore del bene o del servizio ricevuto, la base imponibile è costituita
solo dalla differenza tra il valore normale e la somma erogata dal dipendente (o
collaboratore).

                                                            
37
Vedasi Circolare Assonime 2 aprile 1998, n. 25, par. 5.

 
Come ricordato, per alcune categorie di beni, il legislatore adotta un criterio
forfetizzato di determinazione del valore dei beni erogati ai dipendenti. E’ il caso degli
autoveicoli, degli immobili e dei prestiti, che saranno analizzati in dettaglio nei rispettivi
capitoli.

Il regime fiscale per la tassazione dei compensi in natura prevede una soglia di
esenzione per erogazioni il cui valore annuale non superi Euro 258,23. Tale limite
costituisce una soglia di esenzione da tassazione che deve essere considerata in
riferimento al singolo dipendente e all'intero periodo d'imposta.

Per verificare il superamento della soglia di esenzione prevista dalla norma, si


dovrà accertare in capo a ciascun lavoratore l'insieme dei redditi in natura percepiti
dallo stesso nel corso del periodo d'imposta, comprese le somme e i valori corrisposti
entro il 12 del mese di gennaio dell'anno successivo, se riferiti all'anno precedente. La
verifica deve tener conto, inoltre, anche dei fringe benefit derivanti da rapporti di
lavoro eventualmente intrattenuti dal dipendente con altri datori di lavoro nello stesso
periodo di riferimento. Il parametro assunto dal legislatore è assoluto e indipendente
dalla durata del periodo d'imposta del singolo lavoratore, cosicché qualora quest'ultimo
risultasse inferiore all'anno solare, non sarebbe necessaria alcuna operazione di
conguaglio 38.

Al superamento della soglia annuale di Euro 258,23, il fringe benefit percepito


dal dipendente costituisce per intero base imponibile da assoggettare a tassazione, a
partire dal periodo di paga di superamento della predetta soglia.

1.6 La limitata applicabilità del principio generale di “simmetria fiscale” del


sistema impositivo

Dall’interpretazione sistematica dell’ordinamento tributario emerge il principio


generale non scritto della “simmetria fiscale” del sistema impositivo 39. Secondo tale

                                                            
38
DE PIRRO – COMPETIELLO, “Fringe benefits ed erogazioni liberali”, in Pratica fiscale e professionale
n. 6/2010, pag. 34.
39
Sul concetto di “simmetria fiscale” vedasi LUPI, Diritto Tributario, parte speciale, Milano, 2007, pag. 21;
LUPI, Società diritto e tributi, Milano, 2005, pag. 235; LUPI, Il coordinamento della tassazione della società
e dei soci dal credito d’imposta alla pex, in “Dialoghi di diritto tributario”, 2006, pag. 1247; BEGHIN,
Dividendi, plusvalenze, minusvalenze e simmetrie fiscali, in “Corriere Tributario”, 12/2007, pag. 937.
 

 
principio, l’imponibilità di un determinato provento in capo al percipiente, comporta,
come conseguenza diretta, la deducibilità della spesa per il soggetto erogante.

Non si tratta tuttavia di un principio assoluto: l’applicazione dello stesso in


modo acritico ed automatico potrebbe portare a risultati fuorvianti l’interprete che
volesse trarre da questo principio generale la soluzione di un problema pratico sulla
deducibilità o tassabilità di un compenso.

In tema di imponibilità degli emolumenti erogati ai dipendenti e della loro


deducibilità in capo all’impresa, il principio della “simmetria fiscale” è molto spesso, e
non sempre a proposito, assunto quale criterio guida dall’interprete fiscale. Ciò che è
imponibile in capo al dipendente, si ritiene, è deducibile per l’impresa erogatrice. E la
stessa regola viene applicata in senso negativo: ciò che non comporta tassazione in
capo al dipendente non è deducibile per chi corrisponde l’emolumento. Capita spesso,
nella pratica, di constatare che l’impresa, non avendo assoggettato a tassazione un
compenso erogato al dipendente, cerchi di porvi rimedio non deducendo il relativo
costo nella determinazione del reddito imponibile.

L’espediente è stato più volte criticato dalla dottrina 40 e dalla giurisprudenza 41,
che intravvede (giustamente) in questo meccanismo una illegittima ed arbitraria
modalità per spostare la tassazione di un reddito dal soggetto passivo del tributo ad un
altro. Nel caso prospettato si verificherebbe lo spostamento della tassazione dal
soggetto percipiente, assoggettato ad IRPEF progressiva (oltre che al versamento
obbligatorio di contributi sulle somme percepite) ad un soggetto passivo IRES
proporzionale. A nulla varrebbe, ovviamente, l’asserzione di chi tentasse di giustificare
tale comportamento sostenendo che se, a fronte della mancata deduzione del costo in
capo all’impresa, si assoggettasse a tassazione il compenso erogato al dipendente, si
verificherebbe un caso di doppia imposizione. La mancata deduzione del compenso
erogato da parte dell’imprenditore non può, ovviamente, comportare l’eliminazione
della natura reddituale della stessa per il percettore. Il reddito percepito dal dipendente
                                                            
40
LUPI - PALESTINI: “La mancata deduzione in capo all’erogante non esclude la tassazione del
percettore” in Dialoghi tributari 4/2009, pag. 425. LUPI, in modo colorito ma efficace, sostiene che “La
rinuncia a dedurre queste somme dal reddito della società sembra loro come una offerta alla divinità-Fisco,
grazie alla quale evitare la ritenuta d'acconto, l'inevitabile IRPEF progressiva e, se del caso, i contributi
previdenziali”.
41
Cassazione 21.11.208, n. 27646.

 
rimane sempre tale, indipendentemente dalla deduzione del compenso erogato da parte
del datore di lavoro. Così facendo si violerebbe, secondo autorevole dottrina 42, il
principio di indisponibilità dell’oggetto economico dell’imposizione fiscale.

Il concetto di “simmetria tributaria”, quindi, se può di certo soccorrere


l’interprete nei casi di valutazione della deducibilità di un onere non espressamente
disciplinato, può rivelarsi fuorviante nei casi in cui esista, come nel caso della
determinazione del reddito di lavoro dipendente, una esplicita norma che impone la
tassazione del provento.

Pertanto non è consentito, in presenza di una specifica norma che impone


l’assoggettamento a tassazione di un compenso erogato, mutare la natura reddituale del
compenso erogato rinunciando alla deduzione del relativo costo.

                                                            
42
LUPI - PALESTINI, opera citata.

 
2

LE AUTOVETTURE

TRATTAMENTO FISCALE PER IL PERCIPIENTE

La tematica dell’utilizzo di auto aziendali da parte dei dipendenti o degli


amministratori dell’impresa, ma anche da parte della stessa azienda, suscita da sempre un
fervente dibattito tra gli operatori professionali, soprattutto per quanto riguarda la via più
conveniente, dal punto di vista fiscale, per la gestione dei costi afferenti l’acquisto e
l’utilizzo dell’autovettura.

Ad alimentare tale dibattito sono soprattutto i numerosi interventi normativi del


legislatore che più volte hanno inteso limitare, in varia misura, la deducibilità dei costi
afferenti i veicoli, proprio in considerazione della rilevanza, in termini “numerici”, che
l’impiego degli stessi riveste nella vita quotidiana dell’impresa e dell’attività
professionale.

Sono palese dimostrazione di ciò le recenti modifiche operate all’art. 164 del
TUIR, che disciplina la deducibilità, ai fini delle imposte sui redditi, delle spese per
autovetture ed altri mezzi di trasporto a motore posseduti da imprese ed esercenti arti e
professioni, norma che avremo modo di illustrare più approfonditamente nel prosieguo,
ma anche gli interventi in materia di imposta sul valore aggiunto in termini di detraibilità
di tale imposta.

Vale la pena, quindi, a scopo introduttivo, ripercorrere in maniera sintetica i


principali e più recenti interventi legislativi in materia, che traggono origine, tutti, dalla
ormai nota sentenza della Corte di Giustizia UE, di cui alla causa C-228/05 del 14
settembre 2006, in tema di contrasto fra la normativa italiana in materia di detraibilità

 
IVA dei costi afferenti l’acquisto di autoveicoli e relativi costi di gestione e la normativa
comunitaria 43.

Le esigenze, quindi, di contenere le conseguenti perdite di gettito erariali


derivanti dalla sentenza in parola, hanno indotto il legislatore ad emanare dapprima il
D.L. 262/2006 (collegato alla Finanziaria 2007), convertito dalla L. 286/2006 e,
successivamente, il D.L. 81/2007, convertito dalla L. 127/2007.

In particolare, il D.L. 262/2006 aveva incrementato la percentuale prevista per il


calcolo del fringe benefit relativo all’autovettura concesso in uso promiscuo ai dipendenti
e modificato in senso restrittivo le percentuali di deducibilità dei costi relativi ai veicoli
indicati nell’art. 164 del TUIR.

Si ricorda che le modifiche in parola avevano avuto effetto dal periodo d’imposta
in corso alla data di entrata in vigore del D.L. (3 ottobre 2006), salvo per quanto concerne
l’incremento del fringe benefit tassabile in capo al dipendente, che sarebbe, invece,
dovuto decorrere dal 2007.

Successivamente la Commissione UE, con lettera del 21 settembre 2006, aveva


preso atto delle motivazioni addotte dall’Italia per sostenere la richiesta di stabilire, in
deroga alle norme comunitarie, un tetto alla detrazione pari al 40% dell’imposta assolta.

A seguito, pertanto, dell’autorizzazione a limitare la detraibilità dell’IVA


riferibile all’acquisto delle autovetture e dei relativi costi di gestione nella misura del
40%, concessa all’Italia (con decorrenza 28 giugno 2007) dal Consiglio dell’Unione
Europea ai sensi dell’art. 27 della Direttiva 77/388/CEE, è venuta meno l’esigenza di
salvaguardia del gettito erariale e si è quindi reso necessario un nuovo intervento
legislativo, operato mediante l’emanazione del citato D.L. 81/2007.

Quest’ultimo ha previsto, da un lato, il ripristino della percentuale originaria per


il calcolo del fringe benefit relativa all’autovettura concessa in uso promiscuo ai
dipendenti e, dall’altro, l’incremento delle percentuali di deducibilità dei costi relativi ai
veicoli indicati nell’art. 164 del TUIR.

Passiamo ora a commentare le principali fattispecie che vedono coinvolti aziende,


lavoratori dipendenti e collaboratori dell’impresa nell’impiego dei veicoli di proprietà
della medesima.

                                                            
43
 Si veda al riguardo la Circolare 19 gennaio 2007, n. 1/E, § 17. 
 

 
2.1 Auto aziendale concessa ad uso promiscuo al dipendente

L’art. 51, comma 4, lettera a) del TUIR prevede che, per gli autoveicoli indicati
nell’art. n. 54, comma 1, lettere a), c), ed m) del D.LGS. n. 285/1992 44, i motocicli e i
ciclomotori concessi in uso promiscuo al dipendente, costituisce benefit un ammontare
pari al “30% dell’importo corrispondente ad una percorrenza convenzionale di 15 mila
chilometri calcolato sulla base del costo chilometrico di esercizio desumibile dalle
tabelle nazionali che l’Automobile Club d’Italia (ACI) deve elaborare entro il 30
novembre di ogni anno e comunicare al Ministero delle Finanze, che provvede alla
pubblicazione entro il 31 dicembre, con effetto dal periodo d’imposta successivo, al netto
degli ammontari eventualmente trattenuti al dipendente”.

Per quanto concerne il concetto di “uso promiscuo”, la Circolare 23 dicembre


1997, n. 326 ha chiarito che detto impiego ricorre con riferimento ai mezzi di trasporto
“che il datore di lavoro abbia assegnato ad uno specifico dipendente per espletare
l'attività di lavoro e per i quali abbia consentito anche l'uso personale da parte dello
stesso, ad esempio per recarsi al lavoro”.

Relativamente, invece, alla determinazione dell’importo “figurativo” da


assoggettare a tassazione, deve essere evidenziato come lo stesso abbia carattere
esclusivamente forfetario, prescindendo da qualunque valutazione degli effettivi costi di
utilizzo del mezzo e anche della percorrenza che il dipendente effettua realmente.

                                                            
44
L’art. 54, comma 1 del D.LGS. 285/1992 (“nuovo codice della strada”), richiamato, solo per le lettere a) ed
m), anche dal successivo art. 164 del TUIR, così dispone: “Gli autoveicoli sono veicoli a motore con almeno
quattro ruote, esclusi i motoveicoli, e si distinguono in:
a) autovetture: veicoli destinati al trasporto di persone, aventi al massimo nove posti, compreso quello del
conducente;[…omissis…]
c) autoveicoli per trasporto promiscuo: veicoli aventi una massa complessiva a pieno carico non superiore
a 3,5 t o 4,5 t se a trazione elettrica o a batteria, destinati al trasporto di persone e di cose e capaci di
contenere al massimo nove posti compreso quello del conducente; […omissis…]
m) autocaravan: veicoli aventi una speciale carrozzeria ed attrezzati permanentemente per essere adibiti
al trasporto e all'alloggio di sette persone al massimo, compreso il conducente; […omissis…]
Deve essere evidenziato che, per effetto del disposto del D.M. 4 agosto 1998, a decorrere dal 1° ottobre 1998
non è più possibile omologare un autoveicolo “per trasporto promiscuo”. La Circolare 10 febbraio 1998 n.
48/E ha affermato che, da un punto di vista prettamente fiscale, un autoveicolo può essere riconosciuto come
adibito a trasporto promiscuo, anche se così immatricolato, solo se è dotato di pianale di carico esterno
all’abitacolo o l’abitacolo è riservato in modo permanente al trasporto di cose per almeno la metà della sua
superficie.

 
Ai fini dell'utilizzo delle tabelle predisposte dall'ACI, nel caso in cui il veicolo
ricercato non risulti disponibile, occorre far riferimento ad un veicolo con caratteristiche
similari o analoghe.

Vale la pena inoltre precisare che, poiché i valori delle tabelle ACI sono
determinati su base annua, è necessario effettuare il ragguaglio temporale in relazione al
periodo durante il quale il dipendente ha in uso promiscuo il veicolo, indipendentemente
dal suo effettivo utilizzo.

Nel caso in cui, a fronte dell’uso anche personale del veicolo venga addebitato al
dipendente un corrispettivo 45, laddove lo stesso risulti pari o superiore al “compenso in
natura” come sopra determinato, nessun importo deve concorrere a determinare il reddito
di lavoro dipendente. Diversamente, nell’ipotesi in cui le somme corrisposte siano
inferiori all’ammontare del compenso in natura, la differenza costituirà reddito da
assoggettare a tassazione.

Nella circostanza in cui oltre all'auto aziendale siano forniti altri beni o servizi
accessori (gratuitamente o meno), come ad esempio il box per custodire l'auto, questi
vanno separatamente valutati al fine di stabilire l'importo da assoggettare a tassazione in
capo al dipendente 46.

2.2 Auto concessa ad uso esclusivamente aziendale

Trattandosi di utilizzo del veicolo per soli scopi aziendali, non si genera in capo
al dipendente alcun compenso in natura. I costi relativi all’acquisto e impiego del veicolo
saranno quindi soggetti unicamente alla disciplina prevista dal TUIR in materia di reddito
d’impresa, commentato nello specifico paragrafo della presente sezione.

2.3 Auto aziendale concessa ad uso esclusivamente privato

Nel caso in cui l’autovettura aziendale sia utilizzata dal dipendente solo per scopi
personali, non è possibile procedere al conteggio del fringe benefit in base al criterio
forfetario previsto dall’art. 51, comma 4, lettera a), del TUIR, stabilito esclusivamente per
l’ipotesi di uso promiscuo dell’automezzo. Pertanto al dipendente deve essere attribuito
un compenso in natura valutabile secondo le regole del “valore normale”, così come

                                                            
45
In relazione alle somme corrisposte dal dipendente, vale la pena evidenziare che l’Amministrazione
finanziaria ha avuto modo di chiarire che, ai fini della comparazione con il compenso in natura, i corrispettivi
risultanti da regolare fattura debbono essere computati al lordo dell’IVA.
46
In tal senso la Circolare 19 gennaio 2007, n. 1/E.

 
stabilito dall’art. 51, comma 3 del TUIR, determinato ai sensi del precedente art. 9 del
medesimo Testo Unico.

In particolare, si evidenzia che per valore normale si intende il prezzo o il


corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in
condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo
e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati e, in mancanza, nel tempo
e nel luogo più prossimi.

Con riferimento alla fattispecie in oggetto, il valore normale può essere calcolato,
per esempio, prendendo a riferimento le tariffe di noleggio praticate dalle aziende
specializzate operanti nel settore.

Nel caso in cui l’impresa addebiti al dipendente un corrispettivo, laddove lo


stesso risultasse inferiore all’ammontare del fringe benefit tassabile in capo al lavoratore,
come sopra determinato, si renderà necessario assoggettare ad imposizione il
differenziale.

2.4 Auto aziendale concessa in uso a collaboratori ed amministratori


dell’impresa

Il trattamento fiscale relativo alle fattispecie finora esposte (utilizzo personale,


assegnazione ad uso promiscuo, uso esclusivamente privato), trova applicazione anche
con riferimento all’ipotesi di veicoli concessi in uso ai collaboratori ed amministratori
della società.

Merita precisare che l'Agenzia delle Entrate ha più volte avuto modo di chiarire
che l’assimilazione operata dalla L. 342/2000 del reddito percepito dall’amministratore al
reddito di lavoro dipendente rileva solo ai fini della determinazione del reddito in capo ai
soggetti ai fini delle imposte sui redditi e non si configura come assimilazione degli stessi
a tutti gli effetti di legge 47.

Vedremo, infatti, in seguito che tale assimilazione non opera nell’ambito della
determinazione del reddito d’impresa 48.

Nell’ambito, quindi, della determinazione del reddito in natura in capo ai


percettori di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente previsti dall'art. 50, comma 1,

                                                            
47
Si veda in particolare la Circolare 26 gennaio 2001, n. 5/E.
48
Vedi infra, paragrafo 2.4 e, più in generale per i redditi assimilati al lavoro dipendente, paragrafo 10.1

 
lettera c bis) del TUIR (ivi inclusi gli amministratori), le regole sono analoghe a quelle
previste per i redditi di lavoro dipendente.

Ne deriva, quindi, per esempio, che nel caso di veicolo aziendale assegnato in uso
promiscuo all’amministratore dell’impresa, il componente in natura oggetto di tassazione
dovrà essere determinato nella misura del 30 per cento dell'importo corrispondente ad una
percorrenza convenzionale di 15 mila chilometri, calcolato sulla base del costo
chilometrico di esercizio desumibile dalle tabelle nazionali messe a disposizione
dell'ACI.

Nel caso, invece, dell’utilizzo promiscuo da parte di un soggetto libero


professionista, il compenso in natura deve essere determinato in base al suo valore
normale, calcolato sulla base delle indicazioni fornite dall’art. 9, commi 2 e 3 del TUIR 49.

TRATTAMENTO FISCALE PER L’IMPRESA

2.5 Deducibilità ai fini delle imposte dirette

Al fine della individuazione del corretto trattamento fiscale da riservare, in


materia di imposte sui redditi, ai costi inerenti i veicoli posseduti in regime d’impresa, si
rende necessario, come già brevemente enunciato in premessa, fare riferimento all’art.
164 del TUIR, così come novellato dall’art. 15-bis, comma 7 e 8, del D. L. 81/2007 50.

Vale la pena evidenziare che tale norma è stata collocata nell’ambito delle
“Disposizioni comuni”, Titolo III, del TUIR, in quanto diretta a disciplinare in maniera
unitaria la materia. Quindi la disposizione di legge vale non solo nei confronti dei
soggetti titolari di reddito d’impresa (cui si concentrerà la presente trattazione), ma anche
dei titolari di reddito di lavoro autonomo derivante dall’esercizio di arti e professioni.

A titolo di premessa deve essere evidenziato che le disposizioni di cui al citato


art. 164 del TUIR si applicano esclusivamente alle seguenti tipologie di veicoli:

‐ gli aeromobili da turismo, navi ed imbarcazioni da diporto;

                                                            
49
Per la individuazione del “valore normale” si veda il paragrafo precedente. 
50
Con la disposizione di cui al citato art. 15-bis, comma 7 e 8, del D. L. 81/2007 il legislatore ha inteso,
sostanzialmente, ripristinare, ai fini delle imposte sui redditi, la deduzione parziale dei costi relativi ai veicoli
aziendali già prevista in passato e temporaneamente “sospesa”. Richiamando quanto già evidenziato nella
parte introduttiva della presente sezione, si ricorda, infatti, che il D.L. 262/2006, convertito, con
modificazioni, dalla L. 286/2006, introdusse, quale disposizione “compensativa” degli effetti (in termini di
gettito fiscale) derivanti dalla sentenza della Corte di Giustizia UE del 14 settembre 2006, - causa C-228/05 -
in tema di contrasto fra la normativa italiana in materia di detraibilità IVA dei costi afferenti l’acquisto di
autoveicoli e relativi costi di gestione e normativa comunitaria, l’indeducibilità totale dei costi inerenti gli
autoveicoli aziendali.

 
‐ le autovetture disciplinate dall'art. 54, comma 1, lettera a) del D.LGS. n. 285/1992
(“Codice della strada”);

‐ gli autocaravan disciplinati dall'art. 54, comma 1, lettera m) del D.LGS. n. 285/1992;

‐ i ciclomotori e motocicli disciplinati dall'art. 52 e 53, comma 1, del D.LGS. n.


285/1992.

Sono esclusi, pertanto, dalla disciplina recata dall’art. 164 del TUIR, tutti i mezzi
di trasporto non a motore, nonché gli autoveicoli individuati dall’art. 54, comma 1, del
codice della strada che non sono espressamente richiamati dalla medesima disposizione
del Testo Unico. 51

Deve essere inoltre evidenziato che l’art. 35, comma 11, del D.L. 223/2006,
convertito, con modificazioni dalla L. 248/2006 (c.d. “Manovra d’estate”), al fine di
contrastare eventuali abusi delle norme tributarie disciplinanti il settore dei veicoli,
prevede una limitata deducibilità fiscale per quei mezzi di trasporto che, a prescindere
dalla categoria di omologazione, risultano da adattamenti che non ne impediscono
l’utilizzo per il trasporto privato di persone 52. In tal caso detti veicoli debbono essere
assoggettati al regime proprio degli autoveicoli di cui al comma 1, lettera b), dell’art. 164
del TUIR (deducibilità dei costi, come si avrà modo di illustrare in seguito, nella misura
del 40%), per quanto concerne la determinazione del reddito d’impresa, ed alla disciplina
prevista dal comma 1, lettera c) dell’art. 19-bis 1 del DPR 633/1972, ai fini dell’imposta
sul valore aggiunto (detrazione nella misura del 40%).

Atteso quanto finora esposto, individuata la tipologia di veicoli che rientrano


nell’ambito della disciplina in parola, passiamo ad esaminare le fattispecie a cui il
legislatore ha condizionato la deducibilità, totale o parziale, delle spese e dei componenti
negativi di reddito afferenti l’acquisto e l’impiego di tali mezzi di trasporto.
                                                            
51
Trattasi, in particolare, degli autobus, autocarri, trattori stradali, autoveicoli per trasporti specifici,
autoveicoli per uso speciale, autotreni, autoarticolati, mezzi d’opera.
52
L’articolo di legge ha inteso, in particolare, limitare i comportamenti elusivi derivanti dall’impiego di
autovetture immatricolate come autocarro. In passato, infatti, poteva accadere che i contribuenti, apportando
determinati interventi al veicolo, riuscissero ad ottenere una diversa e più vantaggiosa immatricolazione dello
stesso, con un conseguente miglior trattamento ai fini fiscali. In attuazione del citato art. 35, comma 11, D.L.
223/2006, il Direttore dell’Agenzia delle Entrate, con Provvedimento del 6 dicembre 2006 (prot. 184192), ha
fornito un criterio per l’individuazione dei veicoli che, a prescindere dalla categoria di omologazione,
risultano da adattamenti che non ne impediscono l’utilizzo per il trasporto privato di persone. Trattasi in
particolare di quei veicoli che, pur immatricolati o reimmatricolati come N1, abbiano codice di carrozzeria
F0, quattro o più posti e un rapporto tra potenza del motore (Pt), espressa in KW, e la portata (P) del veicolo,
ottenuta quale differenza tra la massa complessiva (Mc) e la tara (T), espressa in tonnellate, uguale o
superiore a 180.

 
Veicoli destinati ad essere utilizzati esclusivamente come beni strumentali nell’attività
propria dell’impresa.

La deduzione integrale dei componenti negativi di reddito, stabilita dall'art. 164,


comma 1, lettera a), del TUIR, si applica, quando il veicolo è utilizzato esclusivamente
come bene strumentale nell'attività propria dell'impresa.

L’Amministrazione finanziaria ha avuto modo di precisare che per beni


strumentali nell’attività propria dell’impresa debbano intendersi “i veicoli senza i quali
l'attività stessa non può essere esercitata”, rientrando in tale fattispecie, ad esempio, “le
autovetture impiegate dalle imprese che effettuano attività di noleggio delle stesse, gli
aeromobili da turismo e le imbarcazioni da diporto utilizzati dalle scuole per
l’addestramento al volo e alla navigazione” 53.

Secondo il parere dell’Amministrazione, pertanto, il concetto di strumentalità


“nell’attività propria dell’impresa” è riconducibile esclusivamente a quei casi in cui il
conseguimento dei ricavi caratteristici di un’impresa dipendano direttamente dall’impiego
di tali beni 54.

Al fuori di tali fattispecie, si deve necessariamente far riferimento alle percentuali


di deducibilità previste dall’art. 164, comma 1, lettera b) del TUIR (c.d. “autoveicoli
aziendali”), non essendo ammissibile la “prova contraria”, ossia la possibilità, da parte del
contribuente, di dimostrare un diverso è più intenso utilizzo del bene in relazione
all’attività esercitata.

In tal senso la Risoluzione 27 luglio 2007, n. 190/E con la quale l’Agenzia delle
Entrate ha riconosciuto alla norma di cui all’art. 164 del TUIR la qualifica di norma di

                                                            
53
Si vedano al riguardo la Circolare 13 febbraio 1997, n. 37/E e la Circolare 10 febbraio 1998, n. 48/E,
nonché il § 8.2 della Circolare 16 febbraio 2007, n. 11/E.
54
Deve rilevarsi come l’interpretazione data alla norma da parte dell’Amministrazione appaia piuttosto
restrittiva rispetto alle fattispecie in cui - de facto - il veicolo possa effettivamente trovare impiego
nell’ambito dell’attività propria dell’impresa. Se da un lato infatti, non può non essere evidenziato che, stante
i contenuti letterali, la strumentalità come definita dall’art. 164 del TUIR (“nell’attività propria
dell’impresa”), rappresenti sicuramente un concetto di strumentalità “più ristretto” rispetto a quella definita
dall’art. 102, comma 1 del TUIR in materia di ammortamento dei beni materiali (“per l’esercizio dell’attività
d’impresa”), dall’altro lato non si ravvisa come il medesimo concetto non possa essere ricondotto a tutti le
ipotesi in cui un bene, seppur rappresenti uno strumento solo indiretto ai fini della determinazione del reddito
d’impresa, sia pur sempre necessario, per la produzione dei ricavi. Si pensi al caso degli autoveicoli impiegati
da un’impresa di ristorazione che offre servizi a domicilio, da un’impresa che fornisce assistenza per la
manutenzione e riparazione di computer, da imprese che forniscono servizi di pronto intervento, ecc.
(Circolari Assonime 20 maggio 1997, n. 60 e 13 settembre 2007, n. 51).

 
“sistema” e, in quanto tale, non suscettibile di essere disapplicata ai sensi del comma 8
dell’art. 37-bis del DPR 600/1973 55.

Veicoli concessi in uso promiscuo ai dipendenti per la maggior parte del periodo
d’imposta

Ai sensi dell’art. 1, lettera b bis) dell’art. 164 del TUIR, “per i veicoli dati in uso
promiscuo ai dipendenti per la maggior parte del periodo d’imposta” le spese e gli altri
componenti negativi ad essi riferibili sono deducibili “nella misura del 90 per cento”.

Il veicolo viene considerato assegnato in “uso promiscuo” ai dipendenti quando il


relativo utilizzo è previsto in parte per scopi aziendali e in parte per scopi personali, con
possibilità, quindi, di un utilizzo per finalità extralavorative.

La maggior parte del periodo di imposta implica che il veicolo deve essere
assegnato ai dipendenti per un lasso temporale non inferiore a 183 giorni (ovvero la metà
di 365 giorni). Nel caso di veicoli acquistati nel corso dell’esercizio e dati in uso
promiscuo ai dipendenti, la maggior parte del periodo d’imposta deve esser riferita al
periodo intercorrente tra il momento dell’acquisto ed il termine del periodo d’imposta 56.

L’Amministrazione ha inoltre precisato che, ai fini del conteggio della durata


dell’utilizzo del veicolo da parte del dipendente nel periodo d’imposta, non è necessario
che tale utilizzo sia avvenuto in modo continuativo, né che il veicolo sia stato utilizzato
da uno stesso dipendente.

Deve essere inoltre evidenziato che, sempre secondo l’interpretazione


ministeriale, “allo scopo di evitare comportamenti elusivi posti in essere al solo fine di
fruire della deduzione [per intero] delle spese sostenute per l'utilizzo dei veicoli che
vengono dati in uso promiscuo al dipendente, si ritiene che l’utilizzo da parte del
dipendente stesso debba essere provato in base a idonea documentazione che ne attesti
con certezza l’utilizzo (a esempio, qualora ciò risulti da specifica clausola del contratto
di lavoro del dipendente)” 57.

                                                            
55
Il comma 8 dell'art. 37-bis del DPR 600/1973, prevede che le "norme tributarie le quali, allo scopo di
contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d'imposta o altre posizioni
soggettive altrimenti ammesse dall'ordinamento tributario, possono essere disapplicate qualora il
contribuente dimostri che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non potevano verificarsi”.
56
Circolare 16 luglio 1998, n. 188/E.
57
Circolare 10 febbraio 1998 n. 48/E. In appendice sono forniti alcuni esempi di lettere di autorizzazione
rilasciate dall’impresa al dipendente.

 
Infine appare utile sottolineare che, per i veicoli assegnati ai dipendenti per la
maggior parte del periodo d’imposta, il legislatore non ha previsto alcun limite di
deducibilità dei costi, siano essi afferenti l’acquisto, la locazione (anche finanziaria) ed il
noleggio, nonché relativi alla manutenzione e gestione degli stessi.

Deve ritenersi ragionevole ammettere la deducibilità delle spese e degli oneri in


misura integrale nei limiti del compenso in natura che concorre a formare il reddito
imponibile del dipendente a fronte dell’utilizzo del veicolo o, laddove venga addebitato
dall’impresa un corrispettivo, nei limiti dell’ammontare del corrispettivo medesimo. La
parte che eventualmente ancora residua delle spese e degli oneri in questione è invece
deducibile nella misura del 90 per cento 58.

Autoveicoli dell’impresa

L'art. 164, comma 1, lettera b) del TUIR prevede che, le spese e ogni altro
componente negativo relativo all’utilizzo di auto aziendali, non strumentali e non
assegnate ad uso promiscuo ai dipendenti per la maggior parte del periodo d’imposta,
siano deducibili dal reddito d'impresa nella misura del 40%.

Al limite percentuale di cui sopra si affiancano differenti limiti di valore,


determinati in funzione del titolo giuridico in base al quale l’autoveicolo si trova nella
disponibilità aziendale.

In particolare:

a) Acquisto dell’autovettura in proprietà: l’auto aziendale acquistata in proprietà,


comporta l’indeducibilità della parte di costo di acquisto che eccede l'importo di
Euro 18.075,99. Ai fini della determinazione del costo rilevante per l’applicazione
                                                            
58
In tale senso Guido e Andrea VASAPOLLI in Dal bilancio d’esercizio al reddito d’impresa, Milano, XV
Edizione – 2008, pagg. 1632 e segg., ove viene fatto rilevare che l’interpretazione de quo trova conforto nel
disposto dell’art. 95 del TUIR in base al quale “le spese per prestazioni di lavoro dipendente deducibili nella
determinazione del reddito comprendono anche quelle sostenute…in natura a titolo di liberalità a favore dei
lavoratori” e nel disposto dell’art. 163 del TUIR che dispone che “la stessa imposta non può essere applicata
più volte in dipendenza dello stesso presupposto, neppure nei confronti di soggetti diversi” (presupposto che
si verrebbe a verificare nel caso in cui il fringe benefit, assoggettato a tassazione in capo al dipendente che
utilizza il veicolo anche a fini personali, non producesse un corrispondente onere deducibile in capo
all’impresa). Inoltre si evidenzia che l’Agenzia delle Entrate, con la Circolare 19 gennaio 2007, n. 1/E
(paragrafo 17.2 B), ha chiarito che “nel caso in cui il dipendente corrisponda delle somme a fronte
dell’utilizzo del veicolo per rimborsare in tutto o in parte il relativo costo sostenuto dall'impresa, si ribadisce
che dette somme vanno a decurtare il reddito di lavoro dipendente. In tal caso, considerato che le somme
rimborsate dal dipendente concorrono a formare il reddito dell'impresa, è da ritenere che i costi
effettivamente sostenuti dall'impresa, per un ammontare corrispondente a dette spese, possano essere portati
in deduzione dal reddito in quanto strettamente correlati al componente positivo tassato. In ogni caso
l'importo complessivamente deducibile dall'impresa, a titolo di fringe benefit e di altri costi, non può
eccedere quello delle spese sostenute per l'autoveicolo dato in uso promiscuo.”

 
del limite devono comprendersi anche gli oneri di diretta imputazione (per esempio
l’IVA indetraibile).

b) Leasing: con il contratto di locazione finanziaria, ai fini della deducibilità al 40%


dei relativi costi, i canoni sono rilevanti per la parte proporzionalmente
corrispondente al costo del bene non eccedente Euro 18.075,99 59. Si ricorda che ai
sensi e per gli effetti del disposto di cui al comma 7 dell’art. 102 del TUIR, per i beni
di cui all'art. 164, comma 1, lettera b), la deducibilità dei canoni di locazione
finanziaria è ammessa a condizione che la durata del contratto non sia inferiore al
periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente stabilito con decreto del
Ministro dell'economia e delle finanze.

c) Noleggio: il limite fissato dal legislatore per la deducibilità dei canoni di noleggio è
di Euro 3.615,20, ragguagliato ad anno. Per quanto riguarda i contratti di noleggio
c.d. full service 60, il costo da prendere a base deve essere considerato al netto dei
costi riferibili alle prestazioni accessorie. Affinché ciò sia possibile è necessario che
nel contratto di noleggio sia specificamente indicata la quota della tariffa di noleggio
depurata delle spese per i servizi accessori di cui si fruisce. In mancanza di tale
                                                            
59
Merita precisare che il limite deve essere ragguagliato alla durata dell’anno. Inoltre, per quanto concerne la
determinazione del costo del bene, si evidenzia che lo stesso è rappresentato dal costo sostenuto dalla società
concedente. A titolo esemplificativo, nell’ipotesi di leasing di un veicolo del costo di acquisto (per il
concedente) di Euro 60 mila, i canoni risultanti dal contratto di locazione saranno deducibili nella misura che
deriva applicando la percentuale che si ottiene a seguito del seguente calcolo: limite imposto dal legislatore
diviso il costo sostenuto dal concedente, moltiplicato per cento. Pertanto, nell'esempio proposto, i canoni sono
deducibili nell’ammontare massimo del 30,13 per cento del costo del veicolo (18.075,99/60.000 x 100).
Come e` stato anticipato, se il bene è stato locato nel corso del periodo di imposta il valore dei canoni relativi
alla locazione finanziaria dovrà` essere ragguagliato al periodo di utilizzazione del veicolo nell'esercizio.
Sulla base di quanto esposto in precedenza, si ipotizzi il caso di un'impresa con periodo di imposta
coincidente con l’anno solare, che debba corrispondere canoni di locazione per un ammontare complessivo di
70 mila Euro (rilevante nella percentuale del 30,13 per cento).
In tal caso, per il periodo di imposta in esame, la deduzione del canone dovrà avvenire sulla base delle
seguenti operazioni: ammontare dei canoni proporzionalmente corrispondente al costo fiscalmente rilevante
dell'autovettura (70.000 per 30,13 per cento = 21.091) diviso il numero dei giorni di durata del contratto di
locazione finanziaria e moltiplicato per il numero dei giorni del periodo d'imposta nel quale si e` avuta
l'utilizzazione del bene stesso solare (es. dal 1 luglio 2009 al 31 dicembre 2009); al risultato così ottenuto
andrà applicato il criterio di deduzione del 40 per cento previsto dalla lettera b), comma 1, dell'art. 164 bis del
TUIR. Pertanto, nell'esempio finora proposto l'operazione da compiersi e` la seguente: 21.091 diviso 1.460
(numero ipotizzato dei giorni di durata del contratto di locazione finanziaria corrispondente ad un contratto di
durata di 4 anni) moltiplicato 184 (numero dei giorni durante i quali si e` avuto l'utilizzo del bene nel 2009) =
2.658 per il 40 per cento = 1.063 (costo deducibile).
60
Trattasi di contratti nei quali, oltre alla locazione, viene prevista la fornitura di una serie di prestazioni
accessorie quali la manutenzione ordinaria, l’assicurazione, la tassa di proprietà, ecc.

 
specificazione, la tariffa corrisposta rileverà per intero ai fini del raggiungimento del
limite di deducibilità. E’stato, inoltre, precisato che la parte del canone di noleggio 
full service riferibile alle prestazioni accessorie è deducibile secondo le regole fiscali
proprie dei costi e degli oneri in cui tali prestazioni accessorie si estrinsecano 61.

Quanto sopra ai fini della individuazione del limite massimo ammesso dal
legislatore ai fini della deducibilità dei costi di acquisto, locazione finanziaria o noleggio
afferente gli autoveicoli.

Per quanto concerne le spese di impiego, manutenzione, nonché di gestione dei


veicoli in trattazione, non sussistono limiti massimi di importo fissati dalla legge in
termini di deducibilità dal reddito d’impresa (ovviamente nel rispetto del più “ampio”
principio dell’inerenza prevista dal TUIR). L’importo delle spese sostenuto sarà
deducibile nella misura del 40%.

Vale la pena inoltre ricordare che l’Agenzia delle Entrate, con la Circolare 18
giugno 2008, n. 47/E, ha affermato che tutte le componenti di spesa che riguardano gli
autoveicoli disciplinati dall’art.164 del TUIR devono essere trattate esclusivamente in
funzione di questa normativa speciale. Pertanto, gli interessi passivi su finanziamenti
contratti relativamente ai veicoli in questione sfuggono alla regola generale dell’art. 96
del TUIR e potranno essere:

- interamente dedotti, se relativi ai mezzi di trasporto di cui al comma 1, lettera


a), nn. 1) e 2), dell'articolo 164 del TUIR (i.e. veicoli destinati ad essere
utilizzati esclusivamente come beni strumentali nell'attività propria
dell'impresa o, rispettivamente, adibiti ad uso pubblico);

- dedotti nella misura del 40 per cento del loro ammontare (80 per cento
qualora utilizzati da agenti o rappresentanti di commercio) se riferibili ai
mezzi di trasporto richiamati nel comma 1, lettera b), dell'articolo 164 del
TUIR (i.e. veicoli a motore il cui utilizzo è diverso da quello indicato alla
lettera a), 1);

                                                            
61
L’Amministrazione finanziaria, con la Circolare 10 febbraio 1998, n. 48/E, ha ulteriormente precisato che
allo scopo di evitare manovre elusive volte ad operare una sperequazione tra la parte di costo attribuito al
noleggio dell'autovettura e quella che fa riferimento alle prestazioni accessorie garantite dal locatore con il
noleggio full service, un criterio idoneo di ripartizione può essere rappresentato dal riferimento ai listini che
riportano le tariffe mediamente praticate per i veicoli della stessa specie o similari in condizioni di libera
concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione nel tempo e nel luogo più prossimi relativi ai
contratti di noleggio o di locazione che non prevedono le suddette prestazioni accessorie.

 
- dedotti nella misura del 90 per cento se sostenuti relativamente a mezzi di
trasporto dati in uso promiscuo ai dipendenti per la maggior parte del periodo
d'imposta (comma 1, lettera b bis), dell'articolo 164 del TUIR).

Da ultimo, riteniamo utile fornire alcuni chiarimenti in merito al corretto


trattamento fiscale da riservare, ai fini della determinazione del reddito d’impresa, alle
plusvalenze e minusvalenze che dovessero emergere a seguito della cessione del
veicolo.

Ai sensi del comma 2 del citato art. 164 del TUIR, dette componenti di reddito
rilevano nella stessa proporzione esistente tra l’ammontare dell’ammortamento
fiscalmente dedotto e quello complessivamente effettuato (ammortamento civilistico) 62.

Nel caso di cessione di un contratto di locazione finanziaria, risulta necessario far


riferimento alla disposizione di cui al comma 5 dell'art. 88 del TUIR, secondo la quale “in
caso di cessione del contratto di locazione finanziaria il valore normale del bene
costituisce sopravvenienza attiva”.

Pertanto, per effetto della citata disposizione, indipendentemente da quale sia il


corrispettivo di vendita, il cedente dovrà tassare un importo pari al valore normale del
bene che va a cedere, ridotto dei canoni residui e dal prezzo di riscatto attualizzati 63.
Qualora il prezzo di cessione sia inferiore a tale importo, la differenza sarà oggetto di
variazione in aumento in dichiarazione, ai fini IRES; diversamente, nel caso opposto, non

                                                            
62
A maggior chiarimento si riporta un esempio di calcolo (si veda anche l’esempio riportato al § 3 della
Circolare 10 febbraio 1998, n. 48/E):
Costo di acquisto dell’autoveicolo pari a 30.000,00 Euro deducibile nel limite del 40%; aliquota annuale di
ammortamento 25%.
I esercizio: ammortamento ai fini civilistici pari ad Euro 3.750,00 (30.000,00 x 12,5%); ammortamento
fiscalmente deducibile pari ad Euro 903,79 (18.075,99 x 40% x 12,5%).
II esercizio: ammortamento ai fini civilistici pari ad Euro 7.500,00 (30.000,00 x 25%), ammortamento
fiscalmente deducibile pari ad Euro 1.807,59 (18.075,99 x 40% x 25%).
III esercizio: cessione del veicolo ad Euro 25.000.
Tale cessione determina una plusvalenza civilistica pari ad Euro 6.250,00 rappresentata dalla differenza fra il
prezzo di vendita (€ 25 mila) ed il valore netto contabile (€ 18.750,00). Detta plusvalenza rileverà, ai fini
della determinazione del reddito d’impresa nella proporzione esistente tra l’ammontare dell’ammortamento
fiscalmente dedotto (€1.991,38) e quello complessivamente effettuato (€11.250,00), e ovverosia nella misura
del 17% e quindi per € 1.062,50.
63
Circolare 3 maggio 1996, n. 108/E.

 
dovrà essere operata alcuna rettifica ai fini della determinazione del reddito imponibile
dell’esercizio 64.

Deve essere precisato che, attenendosi al dettato della norma, e non trovando
alcun rinvio, nell’art. 164, comma 2 del TUIR, all’art. 88, comma 5 del medesimo Testo
Unico, sembrerebbe necessario far concorrere per intero il valore della sopravvenienza al
reddito d'impresa 65.

Infine, sempre con riferimento ai veicoli detenuti in forza di contratti di leasing,


ricordiamo la posizione dell’Agenzia delle Entrate relativamente al trattamento da
riservare alla plusvalenza in ipotesi di cessione di un’autovettura riscattata.

Al riguardo, l’Agenzia ha chiarito che 66, nell’ipotesi di cessione intervenuta entro


il periodo d’imposta in cui viene riscattato il bene, la plusvalenza è imponibile nello
stesso rapporto tra canoni dedotti e canoni pagati.

Diversamente, laddove la cessione avvenga in un periodo successivo, in cui la


vettura è stata ammortizzata, la plusvalenza è imponibile nel rapporto esistente tra
ammortamenti dedotti e ammortamenti totali stanziati a conto economico.

Utilizzo promiscuo dell’autovettura da parte dei collaboratori e degli amministratori

Per i veicoli concessi in uso promiscuo agli amministratori o ai soggetti legati


all’impresa da rapporti di collaborazione ai sensi dell’art. 50, comma 1, lettera c bis) del
TUIR, si osserva che l’Amministrazione finanziaria non ritiene ammissibile la deduzione
dei relativi costi nella misura prevista per l’assegnazione del veicolo ai lavoratori
dipendenti (90%).

Ciò in quanto l’assimilazione del reddito percepito da tale figure a quello di


lavoro dipendente concerne le modalità di determinazione del reddito del collaboratore ai

                                                            
64
Pertanto, ad esempio, nel caso di valore normale del bene alla data di cessione pari a 10 mila Euro, di
canoni a scadere attualizzati per 3 mila Euro e ad un prezzo di riscatto attualizzato di mille Euro, la
sopravvenienza attiva sarà pari ad Euro 6 mila. Laddove, pertanto, il prezzo di cessione fosse inferiore a tale
ammontare (es. 4 mila Euro), la differenza (Euro 2 mila) deve essere oggetto di variazione in aumento, ai fini
IRES, in dichiarazione.
65
Risulta, tuttavia, evidente il diverso trattamento tributario riservato all’operazione di leasing rispetto
all’acquisto in proprietà da sempre considerate, anche dalla stessa Amministrazione finanziaria, del tutto
identiche da un punto di vista fiscale.
66
Circolare 18 giugno 2008, n. 47/E.

 
fini delle imposte dirette, ma non si configura come assimilazione delle due tipologie di
rapporto di lavoro a tutti gli effetti di legge 67.

Nel caso in cui, pertanto, l’impresa non addebiti al collaboratore o amministratore


alcun corrispettivo per l’utilizzo personale del bene, la fattispecie configura un compenso
in natura 68 che deve concorrere a formare il reddito imponibile di tali soggetti ai sensi
degli artt. 52, comma 1 e 54, comma 1 del TUIR. Le spese e gli oneri relativi al mezzo di
trasporto sono comunque deducibili interamente nei limiti del compenso in natura che
concorre a formare il reddito imponibile del collaboratore o dell’amministratore a fronte
dell’utilizzo promiscuo del mezzo di trasporto. La parte che eventualmente ancora residua
delle spese e degli oneri in questione è invece deducibile nella misura del 40 per cento 69.

Nel caso in cui, invece, l’impresa addebiti al collaboratore o all’amministratore


un corrispettivo per l’utilizzo personale del bene, se il corrispettivo pattuito è pari o
superiore al compenso in natura, nessun importo deve concorrere a formare, a titolo di
fringe benefit, il reddito del collaboratore o dell’amministratore. Se, invece, il
corrispettivo pattuito è inferiore al compenso in natura, quest’ultimo deve concorrere a
formare il reddito imponibile del collaboratore o dell’amministratore limitatamente alla
parte di esso che eccede il corrispettivo pattuito. Anche in questo caso è da ritenere che il
corrispettivo in parola non concorra a formare il reddito d’impresa fino a concorrenza dei
costi e degli oneri non dedotti, ovvero che i costi e gli oneri non deducibili, o meglio
parzialmente deducibili, siano determinati dopo aver dedotto un ammontare pari al
corrispettivo.

Vale la pena, infine, precisare che, nel caso in cui un dipendente rivesta, per lo
stesso periodo, anche la carica di amministratore di altra società e che tale ufficio rientri
nei compiti istituzionali compresi nell’attività di lavoro dipendente, è ammessa la
deducibilità secondo i criteri dell’art. 164, comma 1, lettera b bis) del TUIR, in quanto i
redditi percepiti in relazione a tale qualità sono attratti nel reddito di lavoro dipendente e

                                                            
67
In tale senso la Circolare 26 gennaio 2001, n. 5/E come confermata dalla Circolare 18 giugno 2001, n.
57/E.
68
  Per la determinazione del compenso in natura si veda lo specifico paragrafo relativo al trattamento fiscale
per il percepiente. 
69
  L’interpretazione di cui sopra ha trovato conferma al punto 17.2 della Circolare 17 gennaio 2007, n. 1/E,
dove è stato affermato che “qualora un’autovettura venga data in uso promiscuo all’amministratore,
l’ammontare del fringe benefit che concorre a formare il reddito dell’amministratore è deducibile per
l’impresa, ai sensi dell’art. 95 del TUIR, fino a concorrenza delle spese sostenute da quest’ultima.” 

 
quindi tutte le somme e i valori percepite saranno qualificati e determinati come redditi di
lavoro dipendente 70.

Analogamente, tali disposizioni risultano applicabili anche nel caso di dipendente


che rivesta la qualifica di consigliere di amministratore della stessa società di cui è
dipendente, purché l’utilizzo promiscuo del veicolo risulti da specifica clausola del
contratto di lavoro (dipendente), ovvero da altro documento che ne autorizzi l’impiego
esclusivamente nella funzione dirigenziale che riveste e non in relazione alla qualifica di
amministratore.

Utilizzo del mezzo proprio del dipendente

Nell’ipotesi in cui il dipendente utilizzi la propria autovettura per ragioni attinenti


il rapporto di lavoro (es. trasferte aziendali), l’indennità chilometrica riconosciuta,
nell’ipotesi in cui sia conforme alla percorrenza effettuata ai fini aziendali ed al tipo di
mezzo impiegato, non concorre a formare reddito di lavoro dipendente ai sensi dell’art.
51, comma 5 del TUIR.

Come chiarito dalla Circolare 23 dicembre 1997, n. 326, affinché le predette


indennità siano assimilabili a meri rimborsi spese e non ricollegabili a integrazioni della
retribuzione da assoggettare a tassazione, è necessario che, in sede di liquidazione,
l’ammontare dell’indennità medesima sia determinato avuto riguardo alla percorrenza, al
tipo di automezzo utilizzato dal dipendente ed al costo chilometrico ricostruito secondo il
tipo di autovettura.

Vale la pena altresì precisare che, con la sopra menzionata Circolare, il Ministero
delle Finanze ha affermato la non necessità del rilascio, da parte del datore di lavoro, di
un’espressa autorizzazione scritta all’impiego dell’autovettura privata.

Ai fini delle imposte sui redditi la spesa sostenuta è deducibile dal reddito
d’impresa, purché inerente all’attività svolta e con i limiti di cui all’art. 95, comma 3 del
TUIR, ovverosia al costo di percorrenza relativa ad autoveicoli di potenza non superiore
ai 17 cavalli fiscali (20 se con motore diesel).

Nelle ipotesi in cui l’autoveicolo del dipendente superi i predetti limiti, la


deducibilità è in ogni caso limitata alle indennità indicate nelle tariffe ACI relative alle
autovetture con 17 cavalli fiscali (20 se con motore diesel).

                                                            
70
Circolare 19 gennaio 2007, n. 1/E.

 
Vale la pena infine evidenziare che i limiti di deducibilità sopra esposti
riguardano soltanto le trasferte effettuate fuori dal territorio comunale, caso che si verifica
quando il dipendente sia chiamato a svolgere un’attività fuori dalla sede naturale in cui è
tenuto contrattualmente a svolgere il proprio lavoro 71.

Utilizzo di veicolo a noleggio

Analogamente a quanto illustrato per l’utilizzo del veicolo di proprietà del


dipendente, nell’ipotesi in cui lo stesso sia stato espressamente autorizzato a noleggiare
un veicolo, la spesa di viaggio deducibile dal reddito d’impresa del datore di lavoro è
limitata alle tariffe di noleggio relative ad autoveicoli di potenza non superiore a 17
cavalli, ovvero 20 se con motore diesel.

Mezzi di trasporto dati a dipendenti, collaboratori o amministratori per un utilizzo


esclusivamente personale

Nel caso in cui i veicoli siano assegnati al dipendente, al collaboratore o


all’amministratore per un utilizzo esclusivamente personale, le spese e gli oneri relativi
agli stessi devono essere considerati, in linea di principio, indeducibili per mancanza del
requisito dell’inerenza di cui all’art. 109, comma 5 del TUIR.

Nell’ipotesi in cui all’utilizzatore non venga richiesto alcun corrispettivo per


l’utilizzo del bene, la fattispecie configura, in capo al dipendente, come già avuto modo di
illustrare nello specifico paragrafo, un compenso in natura che concorre a formare il
reddito imponibile del medesimo secondo il principio del “valore normale”.

Per quanto concerne la determinazione del reddito d’impresa, le spese e gli oneri
relativi al mezzo di trasporto sono deducibili nei limiti del compenso in natura che
concorre a formare il reddito imponibile del dipendente, del collaboratore o
dell’amministratore e ciò in considerazione della qualificazione di “spese per prestazioni
di lavoro dipendente e di collaborazione” che gli oneri medesimi vengono ad assumere 72.

Nel caso in cui, diversamente, l’impresa addebiti al lavoratore un corrispettivo


per l’utilizzo personale del bene, detto corrispettivo non concorre a formare il reddito
d’impresa fino a concorrenza dei costi e degli oneri non dedotti.

2.6 Detraibilità ai fini IVA


                                                            
71
Circolare 16 novembre 2000, n. 207/E.
72
Si vedano al riguardo la Circolare 13 febbraio 1997 n. 37/E e la Circolare 10 febbraio 1998 n. 48/E
(§2.1.2.1).

 
Come già avuto modo di ricordare, la decisione del Consiglio dell’Unione
Europea del 18 giugno 2007, pubblicata nella GUUE del 27 giugno 2007, serie L165/33,
rettificata successivamente con una nota riportata nella Gazzetta n. 252 del 27 settembre
2007, ha autorizzato l’Italia a limitare al 40% il diritto a detrarre l’IVA sulle spese
relative ai veicoli stradali a motore non interamente utilizzati a fini professionali.

La decisione riguarda quindi tutte le spese relative ai veicoli interessati


dall’autorizzazione e cioè quelle concernenti l’acquisto, anche intracomunitario, del
veicolo, l’importazione, il leasing o noleggio, le modifiche, le riparazioni e le
manutenzioni, nonché le spese relative a cessioni o prestazioni effettuate in relazione ai
veicoli e al loro uso, compresi lubrificanti e carburanti e pedaggi autostradali.

Il legislatore nazionale ha pertanto, con la Legge Finanziaria 2008, adeguato


l’ordinamento italiano a quanto stabilito in sede comunitaria procedendo così a
modificare le disposizioni contenute nell’art. 19-bis1, DPR 633/1972, lettere c) e d) 73.

In particolare, la riformulazione attiene, oltre alla fissazione di una nuova percentuale di


detrazione che riguarda anche le spese di gestione, l’eliminazione della storica distinzione
tra autovetture, autoveicoli ed autocarri, adottando, in recepimento della normativa
comunitaria, il nuovo concetto di “veicoli stradali a motore” intendendo per tali “tutti i
veicoli a motore diversi dai trattori agricoli o forestali normalmente adibiti al trasporto
stradale di persone o beni la cui massa massima autorizzata non supera 3.500

                                                            
73
Le lettere c) e d) dell’art. 19-bis1 del DPR 633/1972, così recitano:
“c) l'imposta relativa all'acquisto o all'importazione di veicoli stradali a motore, diversi da quelli di cui alla
lettera f) dell'allegata tabella B, e dei relativi componenti e ricambi è ammessa in detrazione nella misura del
40 per cento se tali veicoli non sono utilizzati esclusivamente nell'esercizio dell'impresa, dell'arte o della
professione. La disposizione non si applica, in ogni caso, quando i predetti veicoli formano oggetto
dell'attività propria dell'impresa nonché per gli agenti e rappresentanti di commercio. Per veicoli stradali a
motore si intendono tutti i veicoli a motore, diversi dai trattori agricoli o forestali, normalmente adibiti al
trasporto stradale di persone o beni la cui massa massima autorizzata non supera 3.500 kg e il cui numero di
posti a sedere, escluso quello del conducente, non è superiore a otto;
d) l'imposta relativa all'acquisto o all'importazione di carburanti e lubrificanti destinati ad aeromobili,
natanti da diporto e veicoli stradali a motore, nonché alle prestazioni di cui al terzo comma dell'articolo 16 e
alle prestazioni di custodia, manutenzione, riparazione e impiego, compreso il transito stradale, dei beni
stessi, è ammessa in detrazione nella stessa misura in cui è ammessa in detrazione l'imposta relativa
all'acquisto o all'importazione di detti aeromobili, natanti e veicoli stradali a motore.”

 
chilogrammi ed il cui numero di posti a sedere, escluso quello del conducente, non è
superiore ad otto” 74.

Con il concetto, pertanto, di “veicoli stradali a motore” si è inteso omogeneizzare


la categoria dei veicoli senza più nessun riferimento all’art. 54 del Codice della strada, né
alle varie categorizzazioni fra autovetture, veicoli ad uso promiscuo ed autocarri. I mezzi
di trasporto a motore sono tutti riallineati (ad esclusione dei motocicli con motore di
cilindrata superiore a 350 cc. di cui alla lettera f) della tabella B).

In altre parole è decaduta ogni distinzione, ai fini della norma sulla detraibilità
dell’IVA, collegata alle caratteristiche costruttive o all’omologazione dei veicoli, così
come pure è venuta meno ogni distinzione collegata alla cilindrata ai fini della
identificazione dei beni di lusso.

La detraibilità dell’IVA, quindi, diventa indipendente dalla classificazione del


veicolo ai fini del codice della strada, che rimane rilevante solo ai fini delle imposte
dirette 75.

Inoltre vale la pena sottolineare che con la definizione “utilizzati esclusivamente


nell’esercizio dell’impresa, dell’arte o della professione” presente nel disposto di cui al
richiamato art. 19-bis 1 del DPR 633/1972 viene a mutarsi radicalmente la situazione, ai
fini della detraibilità dell’imposta, rispetto al passato: non più il riconoscimento di un
diritto per le teoriche caratteristiche costruttive del bene, ma specifico riferimento al
concreto utilizzo di esso che deve essere esclusivo cioè unicamente destinato alla
produzione del reddito 76.

                                                            
74
 Art. 19-bis 1 DPR 633/1972. 

75
La questione appare molto delicata, posto che rientrano nel regime di detrazione limitata anche gli
autocarri di cui alla lett. d) dell’art. 54 del Codice della strada con massa massima autorizzata non superiore a
3.500 Kg. Relativamente a tali veicoli, prima della Finanziaria 2008, non sussistevano limiti oggettivi alla
detrazione dell’IVA; sulla base dell’attuale assetto normativo, invece, la detrazione è ammessa solo qualora
gli stessi possano essere considerati esclusivamente destinati all’attività d’impresa. Ricordiamo che, per
arginare il fenomeno dei "falsi autocarri", cioè di quei veicoli che venivano immatricolati come autocarri pur
avendo le caratteristiche di un'autovettura, con il provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate 6
dicembre 2006, emanato in attuazione dell'articolo 35 comma 11, del D.L. n. 223 del 2006 (si veda nelle note
precedenti), sono state individuate le caratteristiche dei veicoli che, a prescindere dalla categoria di
omologazione, risultano da adattamenti che non ne impediscono l'utilizzo per il trasporto privato di persone.
Tali veicoli per espressa previsione dell'art. 35 comma 11, del D.L. n. 223 del 2006, devono essere
assoggettati al regime proprio degli autoveicoli di cui al comma 1, lettera c), dell'articolo in commento.

76
Spetta al contribuente provare che l'autoveicolo è utilizzato esclusivamente per lo svolgimento dell'attività.
 

 
Riassumendo, pertanto, in base alla nuova formulazione della disposizione sopra
riportata, l’imposta pagata per l’acquisto e/o l’importazione risulta detraibile:

ƒ Nella misura forfettaria del 40% se i veicoli sono utilizzati solo


parzialmente nell’esercizio dell’impresa, dell’arte o della professione;

ƒ Per l’intero importo se i veicoli:

o formano oggetto dell’attività propria dell’impresa (ad esempio,


autonoleggio, autoscuola, concessionario, etc.);

o in ogni caso, per agenti e rappresentanti di commercio;

o sono utilizzati esclusivamente nell’esercizio dell’impresa,


dell’arte o della professione.

Ricordiamo inoltre che non è possibile dimostrare, ai fini di una maggiore


detraibilità dell’imposta, un utilizzo maggiore del bene o del servizio.

Vale la pena evidenziare che il Dipartimento delle finanze, a seguito di numerose


richieste di chiarimenti sulle modalità applicative delle nuove norme, con particolare
riguardo all’utilizzo dei veicoli in questione per fini privati ed alla messa a disposizione
degli stessi da parte del datore di lavoro nei confronti di lavoratori dipendenti, ha
precisato quanto segue 77:

- è detraibile al cento per cento l’IVA sugli acquisti di beni e servizi relativi ai veicoli
stradali a motore indicati alla lettera c) dell'art. 19-bis 1 del decreto IVA, utilizzati dal
datore di lavoro che, nell'esercizio di impresa, li mette a disposizione dei propri
dipendenti dietro pagamento di un corrispettivo regolarmente fatturato e per i quali va
attivata la rivalsa di cui al precedente art. 18 del DPR 633/1972;

- per i veicoli messi a disposizione dei dipendenti da considerare utilizzati


esclusivamente nell’esercizio dell'impresa, la base imponibile non deve essere,
comunque, inferiore al valore normale equivalente per tali beni al fringe benefit ai fini
IRPEF (30% della tabella ACI dei quindicimila chilometri). Pertanto, nel caso di
addebito di un corrispettivo minore di tale valore, il datore di lavoro dovrà fatturare
l’eccedenza fino a raggiungere tale importo;

                                                            
77
Risoluzione 20 febbraio 2008, n. 6.

 
- è detraibile nella misura forfetaria del 40 per cento, senza alcuna possibilità di prova
contraria, l’IVA relativa ai veicoli stradali a motore utilizzati promiscuamente, cioè
adoperati dall'imprenditore ad uso familiare o personale oppure messi a disposizione
dei dipendenti senza pagamento di alcun corrispettivo. Per tali veicoli non è possibile
detrarre integralmente l’imposta sull’acquisto e successivamente applicare l’IVA,
sulla base del valore normale, per l’uso privato degli stessi;

- i veicoli che costituisco oggetto dell’attività propria dell’impresa seguono le ordinarie


regole di detrazione dell’imposta: l’imposta detraibile, pertanto, è quantificata sulla
base del reale utilizzo dei veicoli nell’attività aziendale. Tuttavia, in caso di detrazione
integrale all’atto dell’acquisto, la successiva utilizzazione privata del mezzo sarà da
assoggettare ad IVA quale autoconsumo.

Per quanto concerne, i costi sostenuti per l’acquisto di carburanti e lubrificanti, per le
prestazioni di custodia, manutenzione, riparazione e impiego, compreso il transito
stradale dei veicoli stradali a motore, come sopra definiti, si evidenzia che ai sensi
dell’art. 19-bis 1 del DPR 633/1972 c. 1 lett. d), “l’imposta è ammessa in detrazione nella
stessa misura in cui è ammessa in detrazione l’imposta relativa all’acquisto dei veicoli
medesimi”.

Ricordiamo, inoltre, che in ipotesi di cessione del veicolo, all’atto della cessione
sarà necessario applicare l’IVA sulla parte del corrispettivo proporzionale alla
percentuale detratta dall’impresa, e ciò in considerazione del c.d. “principio di simmetria”
ex art. 13, comma 4, del DPR 633/72 in vigore con effetto dal 01/03/2008 78.

Vale la pena evidenziare in tale contesto che secondo la Circolare n. 55/E del 12
ottobre 2007, confermata dalla successiva Circolare n. 8/E del 13 marzo 2009, il criterio
di determinazione della base imponibile commisurata alla percentuale di detrazione
operata, deve essere assunto in via generale: questo vuol dire che vale non soltanto per la
prima rivendita dell’autovettura ma anche per quelle successive potendosi operare, in
ogni fase, la detrazione del 40% dell’imposta addebitata in fattura dal cedente

                                                            
78
Pertanto, per le auto con imposta detratta solo al 40%, la cessione sconterà l’IVA solo nella stessa misura.
A titolo esemplificativo nell’ipotesi di un prezzo di cessione di 10 mila Euro, 4 mila saranno assoggettati ad
IVA al 20%, la differenza costituisce importo fuori campo IVA ex art. 13 comma 3, DPR 633/1972.

 
Infine è opportuno rilevare che la cessione del contratto di leasing rappresenta ai
fini Iva una prestazione di servizi (art. 3, comma 2, n. 5 del DPR n.633/72) e non, invece,
una cessione di beni.

Secondo un’interpretazione letterale, quindi, per la cessione del contatto non


troverebbe applicazione l’art. 13, comma 5, del DPR n.633/72 (principio di simmetria) in
base al quale “per le cessioni che hanno per oggetto beni” per il cui acquisto o
importazione la detrazione è stata ridotta ai sensi dell'art. 19-bis 1 o di altre disposizioni
di indetraibilità oggettiva, la base imponibile è determinata applicando la medesima
percentuale. L’Agenzia delle Entrate 79 ritiene, tuttavia, che la cessione dei contratti di
leasing in oggetto debba essere trattata alla stregua di una cessione di beni, almeno ai fini
dell’applicazione della disposizione contenuta nel menzionato comma 5 del decreto IVA..

Si evidenzia, infine, che la Commissione Europea, in data 4 ottobre 2010, ha


indirizzato al Consiglio la proposta di prorogare, fino al 31 dicembre 2013, la detrazione
Iva forfetaria del 40% sulle spese relative agli autovetture ad uso promiscuo.
L’autorizzazione rilasciata da Bruxelles il 18 giugno 2007, infatti, scade alla fine
dell’anno. La richiesta di proroga, avanzata dalla Commissione, si basa sulla
considerazione che le condizioni dell’Italia non sono cambiate rispetto a tre anni fa.

2.7 Deducibilità ai fini IRAP

A seguito della soppressione dell'art. 11-bis del D.LGS. 446/1997 istitutivo


dell'IRAP per effetto dell'art. 1 comma 50 lett. g) della L. 244/2007, dal periodo
d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007, i componenti positivi e
negativi che concorrono alla formazione del valore della produzione ai fini IRAP si
assumono senza apportare ad essi le variazioni in aumento e in diminuzione previste ai
fini delle imposte sui redditi, purché inerenti lo svolgimento dell’attività aziendale.

Per effetto, quindi dell’intervento normativo in parola, la rilevanza ai fini IRAP


dei componenti positivi e negativi segue il principio di derivazione dalle voci rilevanti del
conto economico e pertanto segue il criterio di inerenza rilevante ai fini civilistici.

In tale senso anche l’interpretazione data dall’Agenzia delle Entrate 80 che,


rettificando quanto affermato con un precedente chiarimento 81, precisa che i componenti
                                                            
79
Circolare 13 marzo 2009, n. 8/E, § 6.1.
80
Circolare 22 luglio 2009, n. 39/E.
81
Circolare 16 luglio 2009, n. 36/E.

 
negativi, imputati a conto economico in ragione della corretta applicazione dei principi di
natura civilistica e dei principi contabili, soddisfano il requisito dell’inerenza rilevante ai
fini IRAP.

Tuttavia, l’Amministrazione potrà valutare e contestare la deducibilità dei


componenti negativi quando e nella misura in cui gli stessi non si riferiscono ad attività o
beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il valore della
produzione IRAP, cioè nella misura in cui non risultino inerenti al valore della
produzione. La valutazione di tale requisito deve essere ispirata ai criteri di inerenza di
natura civilistica desumibili dalla corretta applicazione dei principi contabili.

In tale ambito, l’Agenzia delle Entrate esprime una semplificazione prevedendo


che il “requisito dell’inerenza” è da ritenersi soddisfatto quando siano stati dedotti importi
di ammontare non superiore a quelli determinati applicando le disposizioni previste per
l’applicazione delle imposte dirette.

Pertanto, i limiti forfetari di inerenza individuati dal TUIR costituiscono una


soglia di sicura deducibilità ed individuano un’area di sicurezza all’interno della quale i
contribuenti possono liberamente posizionarsi.

In conclusione, l’Agenzia delle Entrate, correggendo quanto espresso con la


precedente Circolare 36/E del 2009, afferma che, qualora il contribuente, applicando
correttamente i principi contabili, rilevi una deduzione, in ordine ai componenti negativi
per i quali il TUIR prevede una deducibilità forfetizzata, integrale o comunque superiore
a tali limiti, l’Aamministrazione non potrà far valere e utilizzare nella fase di
accertamento i limiti di forfetizzazione indicati dal TUIR.

2.8 Classificazione contabile

Di seguito è proposta la corretta classificazione dei principali componenti positivi


e negativi di reddito riferiti all’impiego dei veicoli nell’ambito dell’attività d’impresa:

A – Valore della produzione

A5) Altri ricavi e proventi

Si rilevano in questa voce le eventuali plusvalenze derivanti dalla cessione dei veicoli di
proprietà aziendale, nonché dalla cessione di contratti di locazione finanziaria. Debbono inoltre
essere contabilizzati fra gli atri ricavi e proventi anche i componenti positivi di reddito derivanti
dall’addebito al dipendente di eventuali corrispettivi per l’utilizzo dell’autovettura aziendale.

B - Costi della produzione

 
B7) Per servizi

Si rilevano in questa voce tutti i costi inerenti la gestione dei veicoli, quali, a titolo
esemplificativo, gli oneri per l’acquisto dei carburanti, lubrificanti, premi assicurativi, per la
riparazione e manutenzione eseguite da imprese esterne. Sono inoltre iscritti nei costi per servizi
le indennità chilometriche riconosciute dall’impresa per l’utilizzo a scopo aziendale del veicolo
di proprietà del dipendente.

B8) Costi per il godimento di beni di terzi

Si rilevano in questa voce gli oneri per canoni di locazione finanziaria ed il noleggio. Si
evidenzia che nel caso di noleggio full service la quota riferita al costo dei servizi accessori
deve correttamente essere classificata nella voce B7.

B10b) Ammortamento delle immobilizzazioni materiali

Debbono essere riportate in questa voce le quote di ammortamento degli autoveicoli di


proprietà.

B14) Oneri diversi di gestione

Rientrano nella voce i costi per la tassa di proprietà dei veicoli, nonché le eventuali
minusvalenze relative alla cessione dei veicoli.

Nel contesto in trattazione vale la pena precisare che l’assegnazione


dell’autovettura aziendale ad uso promiscuo al dipendente non determina il sorgere di
particolari scritture contabili. Il corrispettivo in natura, infatti, che si crea in capo al
lavoratore dipendente assume rilievo solo ai fini fiscali ed, in particolare, ai fini della
corretta determinazione dell’imposizione personale del dipendente medesimo 82. I costi
sostenuti per i veicoli assegnati ai dipendenti dovranno essere contabilizzati in relazione
alla natura del costo medesimo (pedaggi, parcheggi, carburanti, ecc.) e classificati a conto
economico secondo lo schema sopra proposto.

Si consiglia, ad ogni modo, l’adozione di specifici conti di contabilità generale


che consentano di rappresentare nel modo migliore la rilevanza fiscale dei costi sostenuti

                                                            
82
Ovviamente ciò nell’ipotesi in cui non vi sia il riaddebito di alcun corrispettivo da parte dell’impresa nei
confronti del lavoratore, nel qual caso si origina, come visto, un ricavo da classificare nella voce A5) del
conto economico.
 

 
dall’impresa in relazione alle singole fattispecie che possono verificarsi e ciò al fine di
agevolare la corretta determinazione dell’imponibile fiscale al termine dell’esercizio. 83

SOMMINISTRAZIONI DI VITTO

TRATTAMENTO FISCALE PER IL PERCIPIENTE

Come specificato nel capitolo 1, in ossequio al principio di onnicomprensività, la


quantificazione del reddito di lavoro dipendente impone di includere in tale concetto tutte
le somme ed i valori in genere (beni e servizi in natura) che il dipendente riceve nel
periodo di imposta, a qualunque titolo, con riferimento al rapporto lavorativo.

In materia di somministrazioni di alimenti e bevande 84 ai dipendenti, tuttavia, il


legislatore 85 prevede alcune deroghe al principio generale di onnicomprensività e, nel
contempo, disciplina il trattamento tributario da riservare alle distinte ipotesi mediante le
quali un datore di lavoro può somministrare il vitto 86 a favore dei propri dipendenti e
precisamente:

                                                            
83
Per esempio distinguendo i costi in relazione al fatto che siano sostenuti per autovetture assegnate ad uso
promiscuo ai dipendenti (deducibili nella misura del 90%), ad auto aziendali (deducibili nella misura del
40%) o a veicoli strumentali (integralmente deducibili).
84
Col termine somministrazione si intendono tutte quelle operazioni che consentono la consumazione in loco
di alimenti e bevande.
85
L’art. 51, comma 2 lett. c), DPR 917/86 stabilisce che: “2. Non concorrono a formare il reddito di lavoro
dipendente … c) le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro, nonché quelle in mense
organizzate direttamente dal datore di lavoro o gestite da terzi, o, fino all’importo complessivo giornaliero di
lire 10.240 (Euro 5,29), le prestazioni e le indennità sostitutive corrisposte agli addetti ai cantieri edili, ad
altre strutture lavorative a carattere temporaneo o ad unità produttive ubicate in zone dove manchino
strutture o servizi di ristorazione”.
86
Si precisa che il DPR n. 597/1973 non prevedeva nulla di particolare in materia di trattamento delle
prestazioni derivanti dai servizi mensa messi a disposizione dei dipendenti dai datori di lavoro. Di
conseguenza, concorrevano alla formazione del reddito di lavoro dipendente tutti i compensi ed emolumenti,
sia che fossero corrisposti in denaro (se, ad esempio, veniva corrisposta un’indennità sostitutiva di mensa) o
in natura (se, ad esempio, veniva organizzato un servizio di mensa gestito direttamente dall’impresa o se ci si
avvaleva di ditte specializzate convenzionate), percepiti nel periodo di imposta in dipendenza del lavoro
prestato. Il rinnovato Testo Unico delle Imposte sui Redditi (DPR n. 917/1986) ha introdotto importanti
modificazioni al regime impositivo delle somministrazioni di alimenti e bevande a favore dei dipendenti (e,
 

 
a) la gestione diretta di una mensa da parte del datore di lavoro ovvero la
somministrazione di pasti in mense gestite direttamente o appaltate a terzi, anche a
mezzo di convenzioni con pubblici esercizi o mediante fornitura di “cestini”
preconfezionati;
b) la prestazione di servizi sostitutivi di mense aziendali (ticket restaurant);
c) la corresponsione di una somma di denaro a titolo di indennità sostitutiva di mensa.

La ratio di tale previsione normativa deve essere ravvisata nella particolare


considerazione che il legislatore riserva alle esigenze del personale dipendente che abbia
necessità di consumare il proprio pasto durante il normale orario di lavoro.

L’Amministrazione finanziaria, tuttavia, ha dato un’interpretazione piuttosto


restrittiva della norma in questione, spiegando che, affinché le somministrazioni di vitto
non concorrano a formare il reddito, non è sufficiente che siano poste in essere
unicamente secondo una delle modalità suddette, ma tali prestazioni di vitto debbono
interessare la generalità dei dipendenti o intere categorie omogenee di essi, e non essere
rivolte ad un dipendente specifico 87. Il riconoscimento della prestazione in oggetto ad una
categoria omogenea ha come obiettivo quello di impedire in senso teorico che siano
concesse erogazioni ad personam in esenzione totale o parziale da imposte.

Nei paragrafi che seguono emergerà come la collocazione di una fattispecie di


somministrazione in una delle suddette categorie a), b) o c) sia di estrema importanza,
giacché a ciascuna di esse corrisponde un diverso trattamento tributario, sia per il
percipiente che per il datore di lavoro.

3.1 Il servizio di mensa e servizi assimilati: convenzioni con ristoranti, cestini


preconfezionati

                                                                                                                                                                   
conseguentemente, anche dei collaboratori) prevedendo che non concorrono a formare il reddito di lavoro
dipendente “le somministrazioni in mense aziendali, o le prestazioni sostitutive”.
87
A conferma il Ministero delle Finanze, con la Circolare 23 dicembre 1997, n. 326/E e successivamente con
la Circolare 16 luglio 1998, n. 188/E ribadisce che l’espressione categorie di dipendenti non va intesa
soltanto con riferimento alle categorie previste nel Codice Civile (dirigenti, operai, ecc.) o alle ulteriori
classificazioni individuate dalla contrattazione (tutti i lavoratori di un certo livello o una certa qualifica) bensì
a tutti i dipendenti di un certo tipo. Ad esempio, il gruppo di lavoratori formato da tutti gli operai del turno di
notte è di per sé idoneo ad individuare una categoria di dipendenti nel senso richiesto dal legislatore poiché è
sufficiente ad impedire in senso teorico che siano concesse erogazioni ad personam in esenzione totale o
parziale da imposte.

 
In generale, le principali forme di servizio di mensa aziendale “in senso stretto”
sono:

1. la somministrazione diretta di vitto da parte del datore di lavoro: in questo caso è


l’azienda che organizza in proprio il servizio di ristorazione mediante l’acquisto di
generi alimentari, la cottura degli alimenti e la successiva distribuzione,
provvedendo anche agli adempimenti amministrativi e sanitari collegati con l’attività
di somministrazione di alimenti e bevande.
2. somministrazione di vitto all’interno dei propri locali, attraverso la somministrazione
di pasti direttamente preparati dall’azienda attrezzatasi con mezzi e personale
specificatamente dedicato (è ad esempio il caso dell’azienda che nella fornitura
diretta della mensa ai propri dipendenti può prevedere anche l’assistenza tecnica
dell’impresa di ristorazione, ad esempio per l’attività di capocuoco) o acquistati già
confezionati da terzi (ad esempio i cibi precotti confezionati o i cibi crudi). Si tratta
di ipotesi in cui l’azienda accorcia il processo di “produzione del pasto”, acquistando
normalmente nelle stesse imprese di ristorazione collettiva i “semilavorati” (ad
esempio: fornitura di cibi crudi o precotti e confezionati) e/o la consulenza tecnica, e
si preoccupa unicamente del processo di distribuzione o di allestimento finale.
3. somministrazione di vitto, all’interno dei propri locali, con gestione affidata a terzi, a
seguito di un contratto di appalto 88 con una società di ristorazione specializzata.
4. somministrazione di vitto presso una società di ristorazione collettiva, a seguito di un
contratto di appalto: le somministrazioni non sono effettuate presso i locali
dell’impresa,ma presso società di ristorazione collettiva in esecuzione di contratti di
appalto stipulati dall’azienda.

Secondo l’Amministrazione finanziaria sono assimilate ai servizi di mense


aziendali 89 anche gli esercizi pubblici, limitatamente alle prestazioni di somministrazione
di alimenti e bevande realizzate sulla base di specifiche convenzioni con i datori di
lavoro; a nulla rileva, pertanto, il luogo in cui è situata la mensa aziendale, potendosi

                                                            
88
L’art. 1655 c.c. definisce l’appalto “il contratto mediante il quale una parte assume, con organizzazione
dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un
corrispettivo in denaro”.
89
Cfr. la Circolare 23 dicembre 1997, n. 326/E.

 
dunque configurare quale mensa anche il bar o il ristorante previa preventiva convenzione
stipulata tra il datore di lavoro e l’esercizio pubblico stesso 90.

Le principali forme di “servizio assimilato a quello di mensa aziendale” sono:

1. convenzione stipulata dal datore di lavoro con un generico ristorante: l’impresa


stipula un contratto non con una società di ristorazione ma con l’esercente di un
pubblico esercizio 91 e concede in appalto la gestione del servizio di mensa per i
propri dipendenti che possono usufruirne nei locali convenzionati dietro la
presentazione di un buono (buono pasto o buono valore 92).
2. fornitura di cestini preconfezionati contenenti il pasto dei dipendenti.

Dal punto di vista fiscale, sia nel caso di gestione diretta di una mensa che di
somministrazione di pasti in mense gestite direttamente dal datore di lavoro o appaltate a
terzi, il servizio non concorre a formare il reddito del lavoro dipendente ai sensi del già
citato art. 51, comma 2, lett. c) del TUIR.

Non concorrono alla formazione del reddito imponibile del dipendente, per il loro
intero ammontare, nemmeno le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro, al
di fuori del servizio di mensa: si tratta, ad esempio, dei pasti consumati dai camerieri o
dal cuoco di un ristorante, dai collaboratori domestici e dal personale su aerei e navi 93.

                                                            
90
Cfr. la Risoluzione 20 giugno 2002, n. 202. L’Amministrazione finanziaria ha definito “mense aziendali,
quelle la cui gestione è data in appalto ad un’impresa specializzata ovvero effettuata direttamente
dall’azienda, indipendentemente dal luogo in cui è situata la mensa”.
91
Per pubblico esercizio si deve intendere qualsiasi locale (bar, self-service, free-flow, ristorante, ristorante
interaziendale, spaccio interno) che sia in possesso di un’apposita autorizzazione amministrativa per la
somministrazione di cibi e bevande.
92
La convenzione può prevedere la corresponsione di un buono pasto o di un buono valore. Il buono pasto
prevede che l’impresa cliente intervenga totalmente nel pagamento di una determinata composizione di pasto;
eventuali extra, non compresi nel contratto, sono a carico del dipendente. Il buono valore si ha nel caso in cui
il datore di lavoro stabilisca un prezzo fisso indipendentemente dai prezzi di listino e dalla composizione del
pasto.
93
Cfr. FESTA, Somministrazioni di alimenti e bevande ai dipendenti: una panoramica generale, in “Il fisco”
2005/6, pag. 1-828 e segg: “L’art. 3 D. LGS. 2 settembre 1997, n. 314, modificativo dell’art. 51 (ex 48),
comma 2, lett. c), del TUIR ha disposto l’esclusione dei pasti consumati dai dipendenti dal novero dei fringe
benefit, sul presupposto che lo spostamento del dipendente dal luogo di lavoro alla propria abitazione per la
pausa pranzo, avrebbe determinato, per il datore di lavoro, un pregiudizio economico superiore rispetto al
costo dalla stessa sostenuto per la somministrazione del pasto. La fattispecie in esame, riguarda quelle
ipotesi di somministrazione del vitto in favore dei camerieri, dai cuochi del ristorante, ovvero dai
collaboratori domestici. Siffatte prestazioni, dunque, non costituendo compensi in natura sono esclusi
completamente dalla formazione del reddito del lavoratore dipendente”.

 
Se la somministrazione viene affidata a terzi, l’Amministrazione richiede, oltre ad
uno specifico contratto di appalto, anche che l’appaltatore possegga spazi idonei ad
espletare la funzione di ristorazione dei dipendenti del soggetto appaltante. Questa regola
vale anche per le convenzioni stipulate con pubblici esercizi ed anche per la fornitura
tramite cestini preconfezionati.

3.2 Le prestazioni di servizi sostitutivi: i ticket restaurant

Le prestazioni sostitutive del servizio di mensa rappresentano delle modalità


alternative che la legge riserva al datore di lavoro al fine di somministrare pasti ai propri
dipendenti.

L’esempio tipico è rappresentato dai ticket restaurant o buoni pasto 94.

La norma 95 definisce “buono pasto” un "documento di legittimazione, anche in


forma elettronica", avente determinate caratteristiche, "che attribuisce al possessore, ai
sensi dell'art. 2002 del Codice Civile, il diritto ad ottenere dagli esercizi convenzionati la
somministrazione di alimenti e bevande e la cessione di prodotti di gastronomia pronti
per il consumo, con esclusione di qualsiasi prestazione in denaro".

Dal punto di vista formale il suddetto decreto richiede che siano riportati sui
buoni pasto determinati elementi 96, ed in particolare che “i buoni pasto:

                                                            
94
Secondo l’art. 4, Legge 77/1997, per “servizi sostitutivi di mensa resi a mezzo buoni pasto”, di cui al DM
Lavoro e Previdenza Sociale del 3 marzo 1994, devono intendersi “le somministrazioni di alimenti e bevande
effettuate dai pubblici esercizi, nonché le cessioni di prodotti di gastronomia pronti per il consumo
immediato effettuate da mense aziendali, interaziendali, rosticcerie e gastronomie artigianali, pubblici
esercizi e dagli esercizi commerciali muniti di autorizzazione di cui all’articolo 24 della legge 11 giugno
1971, n. 426, per la vendita dei generi compresi nella tabella I dell’allegato 5 al decreto del Ministro
dell’industria, del commercio e dell’artigianato 4 agosto 1988, n. 375, nonché dell’autorizzazione di cui
all’articolo 2 della legge 30 aprile 1962, n. 283, per la produzione, la preparazione e vendita al pubblico di
generi alimentari, nonché su area pubblica, e operate dietro commesse di imprese che forniscono servizi
sostitutivi di mensa aziendale”.
95
Cfr. il DPCM 18 novembre 2005, articolo 2, comma 1, lett. c). Il provvedimento, pubblicato nella G.U. del
17 gennaio 2006, ed emanato in attuazione della L. n. 80/2005 ed in esecuzione della previsione contenuta
nella L. 17 agosto 2005 n. 168, reca disposizioni in materia di affidamento e gestione dei servizi sostitutivi
del servizio di mensa.
96
L’art. 5, comma 2 DPCM 18 novembre 2005 prevede che “i buoni pasto devono riportare: a) il codice
fiscale o la ragione sociale del datore di lavoro; b) la ragione sociale e il codice fiscale della società di
emissione; c) il valore facciale espresso in valuta corrente; d) il termine temporale di utilizzo; e) uno spazio
riservato all’apposizione della data di utilizzo, della firma dell’utilizzatore e del timbro dell’esercizio
convenzionato presso il quale il buono pasto viene utilizzato; f) la dicitura “il buono pasto non è cumulabile,
 

 
a) consentono all’utilizzatore di ricevere un servizio sostitutivo di mensa di importo pari
al valore facciale del buono pasto;
b) costituiscono il documento che consente all’esercizio convenzionato di provare
l’avvenuta prestazione nei confronti delle società di emissione;
c) sono utilizzati, durante la giornata lavorativa anche se domenicale o festiva,
esclusivamente dai prestatori di lavoro subordinato, a tempo pieno e parziale, anche
qualora l’orario di lavoro non prevede una pausa per il pasto, nonché dai soggetti
che hanno instaurato col cliente un rapporto di collaborazione anche non
subordinato;
d) non sono cedibili, commercializzati, cumulabili o convertibili in denaro;
e) sono utilizzabili esclusivamente per l’intero valore facciale”.

Dal punto di vista del trattamento tributario da riservare a questo “servizio


sostitutivo di mensa”, l’art. 51, comma 2, lett. c), già citato, stabilisce che il buono pasto
non concorre a formare il reddito del lavoratore dipendente nel limite di euro 5,29
giornaliero, né comporta a carico di quest’ultimo oneri previdenziali connessi. Soltanto
l’importo che eccede Euro 5,29 assumerà rilevanza dal punto di vista fiscale e
contributivo.

3.3. Indennità sostitutiva di mensa per addetti ai cantieri edili, strutture lavorative a
carattere temporaneo o unità produttive situate in zone prive di servizi di
ristorazione.

Alle indennità di mensa erogate ai dipendenti o ai collaboratori dell’impresa è


riservato un particolare trattamento fiscale, che ne prevede l’esclusione totale o parziale, a
seconda dei casi, dal reddito tassabile in capo allo stesso dipendente o collaboratore.

Ricordiamo, per comodità di lettura, che l’art. 51, comma 2 lett. c) del TUIR
prevede che non concorrano a formare reddito di lavoro dipendente “fino all’importo
complessivo di lire 10.240 (Euro 5,29), le prestazioni e le indennità sostitutive
corrisposte agli addetti ai cantieri edili, ad altre strutture lavorative a carattere
temporaneo o ad unità produttive ubicate in zone dove manchino strutture o servizi di
                                                                                                                                                                   
né cedibile né commerciabile, né convertibile in denaro; può essere utilizzato solo se datato e sottoscritto
dall’utilizzatore”.

 
ristorazione”. In alternativa, quindi, alla fornitura del pasto attraverso il servizio mensa e
attraverso i cosiddetti “buoni pasto”, il datore di lavoro può corrispondere al dipendente
una somma di denaro (cd. indennità sostitutiva di mensa). Anche in questo caso, così
come per i ticket restaurant, il legislatore ha fissato il limite giornaliero all’esclusione dal
reddito di lavoro dipendente in Euro 5,29. L’importo che eccede tale limite assume
rilevanza per il dipendente, sia ai fini fiscali che contributivi.

A differenza dei cosiddetti “buoni pasto”, che sono sempre esclusi dalla
tassazione fino all’importo di Euro 5,29, le indennità di mensa fruiscono della citata
soglia di esclusione solo quando l’attività del lavoratore percipiente sia eseguita presso
cantieri edili o in altre strutture lavorative a carattere temporaneo o, ancora, in unità
produttive ubicate in zone dove manchino strutture o servizi di ristorazione. Qualora le
predette indennità vengono erogate al di fuori dei casi indicati, queste concorrono a
formare l’imponibile per l’intero ammontare.

Dipendenti non assegnati ad una sede

Non essendo possibile individuare criteri di carattere generale per stabilire la


sussistenza di “unità produttive ubicate in zone dove manchino strutture o servizi di
ristorazione“ ed essendo necessaria una verifica dei singoli casi concreti, l’Inps 97,
rifacendosi alla posizione assunta anche dal legislatore fiscale 98, ha chiarito che, dal 1
gennaio 1998, “l’esclusione dell’importo fino ad Euro 5,29 opera soltanto nei confronti
di quelle categorie di lavoratori per le quali ricorrano contemporaneamente le seguenti
condizioni:

‐ avere un orario di lavoro che comporti la pausa per il vitto;


‐ essere addetti ad un’unità produttiva;
‐ l’unità produttiva che non deve consentire di recarsi, senza l’utilizzo di mezzi di
trasporto, al più vicino luogo di ristorazione”.

Conseguentemente l’esenzione fino ad Euro 5,29 dell’indennità sostitutiva della


mensa non è applicabile per i dipendenti:
                                                            
97
Vedasi Circolare Inps del 26 aprile 2000, n. 84.
98
Vedasi Risoluzione 30 marzo 2000, n. 41.

 
‐ ai quali, proprio in funzione della particolare articolazione dell’orario di lavoro,
che non consente di fruire della pausa pasto, viene attribuita dal datore di lavoro
una somma in sostituzione della mensa;
‐ non stabilmente assegnati ad una unità produttiva, intesa come sede di lavoro;
‐ occupati presso unità produttive ubicate in luoghi che, in relazione al periodo di
pausa concesso per il vitto, consentono di recarsi in tempo utile al più vicino luogo
di ristorazione.

Con riferimento ai ticket restaurant e alle indennità sostitutive della mensa


aziendale, l’Agenzia delle Entrate 99 ha recentemente fornito alcune importanti
precisazioni in occasione del Forum Lavoro che si è tenuto a Roma il 17 marzo 2010.

L’Amministrazione ha infatti precisato che la parte che eccede il limite di


esenzione di Euro 5,29, che il TUIR prevede sia per i ticket che per le indennità, non può
essere considerato assorbibile dalla franchigia di esenzione prevista dal comma 3 dell’art.
51 100, e quindi, concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente, in quanto
quest’ultima disposizione normativa si riferisce esclusivamente ai compensi in natura.

Secondo l’Agenzia infatti sia i ticket restaurant che e le indennità sostitutive


costituiscono delle erogazioni in denaro per le quali resta applicabile il principio generale
secondo cui qualunque somma che il dipendente percepisce con riferimento al rapporto di
lavoro costituisce reddito di lavoro dipendente, salvo alcune eccezioni specificatamente
previste 101.

3.4 Approfondimenti

La compresenza di più sistemi di somministrazione

Se da un lato l’interpretazione che l’Amministrazione dà all’art. 51 comma 2 lett.


c) del TUIR non lascia dubbi circa la pluralità dei soggetti verso cui deve essere

                                                            
99
  Vedasi Risoluzione 29 marzo 2010, n. 26/E.
100
  L’art. 51, comma 3, ultimo periodo, del TUIR stabilisce che “Non concorre a formare il reddito (di
lavoro dipendente) il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati se complessivamente di importo non
superiore nel periodo di imposta a lire 500.000 (258,23 Euro); se il predetto valore è superiore al citato
limite, lo stesso concorre interamente a formare il reddito”.
101
  E’“l’evidenziazione del valore nominale” che “porta a ritenere che i ticket restaurant non costituiscano
erogazioni in natura”. Cfr. sempre Risoluzione 29 marzo 2010, n. 26/E.
 

 
applicata, dall’altro l’Amministrazione lascia libero il datore di lavoro di scegliere le
modalità di erogazione del servizio che meglio rispondono alle esigenze della propria
struttura organizzativa aziendale, permettendo al medesimo di utilizzare, addirittura, più
sistemi contemporaneamente 102. Il legislatore fiscale, infatti, si limita a disciplinare
l’incidenza o meno delle spese sostenute dall’azienda per i pasti dei dipendenti sul reddito
imponibile di questi ultimi, senza, tuttavia, imporre alcun limite alla libertà di scelta, da
parte dell’azienda, tra le diverse opzioni disponibili.

Il datore di lavoro è libero di scegliere la modalità che ritiene più opportuna per la
somministrazione del vitto, in funzione delle proprie esigenze organizzative e dell’attività
svolta, sino a poter prevedere più sistemi contemporaneamente.

Ad esempio, il datore di lavoro può istituire il servizio di mensa per una categoria
di dipendenti, il sistema dei ticket restaurant per un’altra categoria e provvedere
all’erogazione di un’indennità sostitutiva per un’altra ancora.

Tra le prestazioni di vitto e le somministrazioni in mense aziendali, anche gestite


da terzi, sono comprese anche le convenzioni con i ristoranti e la fornitura di cestini
preconfezionati contenenti il pasto dei dipendenti. Si tratta di una possibilità innovativa
rispetto alla previgente interpretazione ministeriale, che consente al datore di lavoro di
sentirsi svincolato nella scelta delle diverse modalità con le quali può essere effettuato il
servizio, adottando appunto il sistema più adatto alle esigenze organizzative della propria
azienda.

In via generale, è consentito l’utilizzo contemporaneo di sistemi diversi a seconda


delle varie categorie, come ad esempio: servizio di mensa per alcune categorie; indennità
sostitutive per altre categorie; ticket restaurant per altre ancora. In alternativa è possibile:
istituire il servizio di mensa per i lavoratori in sede e offrire i ticket restaurant per gli
impiegati che per esigenze di servizio non possono consumare la mensa aziendale.

Utilizzazione di sistemi diversi da parte del dipendente nella stessa giornata

                                                            
102
Cfr. Circolare 23 dicembre 1997, n. 326/E, par. 2.2.3.

 
L’Amministrazione finanziaria 103 ha affrontato il tema della possibilità per il
dipendente di utilizzare diversi sistemi nell’arco di una stessa giornata lavorativa,
chiarendo che “ un dipendente che abbia un’indennità sostitutiva pari ad Euro 1,55 e
ticket restaurant con un valore nominale di Euro 3,10, non può, con riferimento alla
stessa giornata, cumulare le due prestazioni sostitutive fino a raggiungere la predetta
soglia di esclusione, ma è necessario assoggettare a tassazione integralmente una delle
due”.

Questo significa che è escluso che lo stesso dipendente, con riferimento alla
medesima giornata lavorativa, possa fruire del servizio mensa ed utilizzare anche il ticket
restaurant o ricevere anche l’indennità sostitutiva del servizio mensa, fruendo
dell’esclusione dalla formazione del reddito di Euro 5,29.

Buoni pasto per le giornate non lavorative

La gestione dei servizi sostitutivi di mensa, come già precedentemente visto nel
paragrafo 2, è stata regolamentata dal DPCM. 18 novembre 2005, che ha definito meglio
l’attività di emissione dei buoni pasto, le procedure di aggiudicazione del servizio
sostitutivo di mensa nonché i rapporti tra le società di emissione e gli esercizi
convenzionati.

Per effetto della già citata armonizzazione delle basi imponibili e fiscali 104, i
ticket restaurant sono esclusi da contributi previdenziali e assistenziali fino all’importo
complessivo giornaliero di Euro 5,29 ai sensi dell’art. 51 del TUIR.

La Circolare INPS 18 gennaio 1994, n. 15 illustra il regime contributivo


introdotto anche per la mensa a decorrere dal 1° gennaio 1994 105. Il Ministero del Lavoro

                                                            
103
Vedasi Circolare 326/1997, paragrafo 2.2.3.
104
L’art. 12 D. LGS 314/97 prevede che: “1. Costituiscono redditi di lavoro dipendente ai fini contributivi
quelli di cui all’art. 49, comma 1, del TUIR, …(omissis)…, maturati nel periodo di riferimento. 2. Per il
calcolo dei contributi di previdenza e assistenza sociale si applicano le disposizioni contenute nell’art. 51 del
TUIR”.
105
Si richiama a tal proposito l’art. 17 D. LGS 503/1992 concernente la riforma Amato, cioè la prima riforma
del sistema previdenziale, che ha stabilito che: “1. A decorrere dal periodo di paga in corso alla data del 1
gennaio 1994, sono esclusi dalla base imponibile per il computo dei contributi di previdenza e assistenza
sociale e per gli effetti relativi alle conseguenti prestazioni i corrispettivi dei servizi di mensa e di trasporto
predisposti dal datore di lavoro con riguardo alla generalità dei lavoratori per esigenze connesse con
l’attività lavorativa, nonché i relativi importi sostitutivi entro determinati tetti stabiliti con decreto del
Ministro del lavoro e della previdenza sociale di concerto con il Ministro del tesoro (Inciso aggiunto con
 

 
e della Previdenza Sociale, di concerto col Ministero del Tesoro, ha equiparato, ai fini
contributivi, l’adozione dei buoni pasto al servizio di mensa vero e proprio, ritenendo
ininfluente che i datori di lavoro garantiscano il pasto ai dipendenti nella mensa
predisposta sul luogo di lavoro, ovvero attraverso i buoni pasto, utilizzabili presso mense
aziendali altrui o interaziendali, pubblici esercizi o terzi ristoratori in genere.

Con il medesimo è stata anche data indicazione delle caratteristiche che deve
avere il servizio dei buoni pasto. “L’adozione dei buoni pasto deve, ovviamente,
caratterizzarsi di requisiti omogenei all’utilizzo di una mensa, per cui detti buoni, oltre a
non essere spendibili come denaro liquido, devono essere debitamente datati e sottoscritti
e rilasciati ai dipendenti per le giornate lavorative e per esigenze connesse all’attività
lavorativa”.

Generalmente il datore di lavoro consegna il blocchetto dei ticket al dipendenti in


concomitanza con l’inizio o con la fine del periodo di paga, con l’intesa che venga
utilizzato in via univoca dal medesimo per la consumazione di un pasto nel corso di una
giornata di svolgimento normale ed effettivo della prestazione di lavoro.

Il connotato dell’esclusività, riportato anche sul retro del ticket, è strettamente


correlato alla necessità di dimostrare il rispetto dei divieti di cumulabilità, cedibilità,
commerciabilità e convertibilità in denaro: divieti tutti posti a presidio della finalità stessa
per la quale il buono pasto è distribuito, vale a dire l’obbligazione del datore di lavoro di
fornire solo la provvista di buoni pasto necessaria e sufficiente rispetto al numero di
giornate spese sul lavoro.

Questo significa che in sede di consegna o in altro ambito idoneo il buono pasto è
accordato per ogni giorno effettivo di presenza in sede.

Le carte elettroniche

                                                                                                                                                                   
l’art. 11, comma 24, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, ndr). Con decreto del Ministro del lavoro e della
previdenza sociale di concerto con il Ministro del tesoro, sentite le organizzazioni sindacali dei datori di
lavoro e dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale, sono individuati ulteriori servizi
parimenti connessi con l’attività lavorativa aventi carattere di generalità per i lavoratori interessati, i relativi
importi sostitutivi ed i rispettivi tetti, ai fini della loro esclusione dalla base contributiva previdenziale ed
assistenziale e per gli effetti relativi alle conseguenti prestazioni, salvaguardando gli equilibri finanziari
delle gestioni interessate”.

 
Merita di essere segnalato che, nelle realtà aziendali più sofisticate, l’erogazione
del servizio sostitutivo della mensa può avvenire mediante l’uso di carte elettroniche o dei
cosiddetti “buoni pasto elettronici”.

Le carte elettroniche sono contraddistinte dai requisiti 106 propri dei ticket
restaurant (non sono infatti cedibili, né cumulabili, né commerciabili, o convertibili in
denaro) e dalla presenza di un intermediario che si frappone tra il datore di lavoro ed il
soggetto che effettua la somministrazione 107.

Il loro utilizzo da parte del dipendente, che deve avvenire esclusivamente presso
esercizi convenzionati, è limitato ad una sola prestazione giornaliera e solo nei giorni di
sua effettiva presenza al lavoro. Non sono consentiti successivi recuperi delle prestazioni
non fruite nel giorno in cui essa è maturata. Ne consegue che anche se il dipendente ha
maturato il diritto alla prestazione, non consumando il pasto, non potrà più recuperarlo
nei giorni successivi, né al medesimo verrà riconosciuto altro analogo diritto
riconducibile al servizio di mensa aziendale.

Le carte elettroniche non rappresentano un titolo di credito, ma sono uno


strumento identificativo del dipendente volto a scongiurare fenomeni fraudolenti come,
ad esempio, la richiesta di somministrazione in un giorno in cui il dipendente risulti
ammalato, o semplicemente in una fascia oraria diversa da quella prevista
contrattualmente per la pausa pranzo.

Secondo l’Agenzia delle Entrate il buono elettronico assolve alla funzione di


rappresentare esclusivamente il pasto cui ha diritto il dipendente e non il corrispondente
valore monetario utilizzabile presso l’esercizio convenzionato per l’acquisto di altri beni.
In questo senso rappresenta una modalità di somministrazione diversa dal ticket
restaurant: la carta elettronica è infatti inquadrabile come parte del “sistema di mensa
aziendale”. Le prestazioni rese attraverso di essa non concorrono a formare il reddito di
lavoro di pendente, a prescindere dal superamento o meno del limite di Euro 5,29, riferito
esclusivamente alle prestazioni ed alle indennità sostitutive di mensa.

                                                            
106
Individuati con la Circolare 23.12.1997, n. 326.
107
Cfr. Risoluzione 17 maggio 2005, n. 63/E.

 
E’ evidente che nell’ipotesi in cui le carte elettroniche venissero dotate di
funzioni diverse, come ad esempio quelle di titoli di credito e/o documenti contenenti
importi di spesa predeterminati, alle prestazioni ad esse collegate dovrà essere attribuita
una qualificazione diversa da quella che la equipara a mensa aziendale.

Orario di lavoro e ticket restaurant: il dipendente senza pausa per il vitto

Con riferimento alle prestazioni sostitutive di mense, tra le quali rientrano i


cosiddetti “buoni pasto”, l’Agenzia delle entrate ha affrontato e, nel corso del tempo,
chiarito, il trattamento tributario da riservare nell’ipotesi specifica di ticket restaurant
corrisposti a dipendenti assunti con contratto part time.

Inizialmente l’Amministrazione finanziaria sosteneva che, in assenza di una


specifica previsione normativa, soltanto i dipendenti che osservavano un orario di lavoro
che prevedesse la pausa pranzo avevano diritto ai buoni pasto ed erano ammessi a
beneficiare dell’agevolazione fiscale di cui all’art. 51, comma 2, lett. c) 108 .

La posizione dell’Amministrazione, che si rifaceva anche a precedenti documenti


di prassi amministrativa 109, riteneva che i buoni pasto avessero lo scopo principale di
consentire l’espletamento della prestazione sostitutiva di mensa nei confronti dei
dipendenti che ne avevano il diritto; in questo senso riteneva la fruizione di una pausa per
il pranzo condizione necessaria per l'applicazione dell'agevolazione.

Successive disposizioni normative, tuttavia, sono intervenute modificando in


parte la disciplina dei servizi sostitutivi di mensa aziendale mediante buoni pasto. A tal
riguardo, è stato emanato il DPCM del 18 novembre 2005 110, recante disposizioni in
materia di affidamento e gestione dei servizi sostitutivi del servizio di mensa. Lo stesso
decreto, infatti, ha previsto all'articolo 5, comma 1, lettera c), che i "buoni pasto sono
                                                            
108
La Risoluzione 15 dicembre 2004, n. 153/E specifica che: “ove l'orario di lavoro non preveda la fruizione
della pausa pranzo, i buoni pasto eventualmente corrisposti da parte del datore di lavoro, non essendo
destinati a realizzare una prestazione sostitutiva del servizio di vitto, concorreranno alla determinazione del
reddito di lavoro dipendente (e della base imponibile contributiva), al pari degli altri compensi in natura
percepiti”.

109
Secondo la Circolare 23 dicembre 1997, n. 326/E, al punto 2.2.3, “i buoni pasto devono consentire
soltanto l’espletamento della prestazione sostitutiva nei confronti dei dipendenti che ne hanno diritto”.
110
Pubblicato nella G.U. del 17 gennaio 2006, emanato in attuazione della L.80/2005 ed in esecuzione della
previsione contenuta nella L. 17 agosto 2005 n. 168.

 
utilizzati, durante la giornata lavorativa anche se domenicale o festiva, esclusivamente
dai prestatori di lavoro subordinato, a tempi pieno o parziale, anche qualora l'orario di
lavoro non prevede una pausa per il pasto, nonché dai soggetti che hanno instaurato con
il cliente un rapporto di collaborazione anche non subordinato".

Tale previsione normativa, probabilmente introdotta quale diretta conseguenza


del mutato contesto degli ambiti lavorativi, sempre più caratterizzati da forme di lavoro
flessibili, ha quindi esteso la possibilità di erogare buoni pasto anche ai soggetti assunti a
tempo parziale, che hanno un'articolazione dell'orario di lavoro che non prevede una
pausa pranzo. Nonostante l'ambito di intervento del provvedimento in questione sia
estraneo alla materia fiscale, l'Agenzia delle entrate ha voluto trarne conseguenze anche
ai fini tributari, allo scopo di coordinare le varie discipline vigenti.

L’Agenzia 111 ha chiarito che anche i lavoratori subordinati a tempo parziale, la


cui articolazione dell'orario di lavoro non preveda il diritto alla pausa per il pranzo, ove
fruiscano di buoni pasto, sono ammessi a beneficiare della previsione agevolativa di cui
all'articolo 51, comma 2, lettera c), del TUIR. “Tali buoni pasto non concorreranno,
quali compensi in natura, nei limiti dei 5,29 Euro giornalieri, alla formazione della base
imponibile contributiva e fiscale del lavoratore subordinato anche se assunto con
contratto a tempo parziale”.

In definitiva i buoni pasto possono essere destinati a tutto il personale: sia


dipendenti a tempo pieno che a part time, sia a collaboratori che a stagisti, anche quando
il contratto di lavoro non preveda una pausa pranzo. .

Il limite dell'indennità di mensa nel caso di quota a carico del dipendente

Tra le forme meno frequenti di retribuzione figurano, secondo le indicazioni del


comma 3 112 dell'art. 2099 del codice civile, le retribuzioni in natura 113. La loro rilevanza
                                                            
111
Con Risoluzione 30 ottobre 2006, n. 118/E l’Agenzia delle Entrate ha fornito risposta all'istanza di
interpello avanzata da una associazione in merito all'interpretazione dell'art. 51 del DPR 917/86,
relativamente ad una ravvisata contraddizione tra la precedente Risoluzione dell'Agenzia (15 dicembre 2004,
n. 153) e il Decreto del Presidente del Consiglio del 18 novembre 2005.
Cfr. anche la Circolare INPS 3 gennaio 2007, n. 1.
112
L’art. 2099, comma 3, c.c. stabilisce che: “Il prestatore di lavoro può anche essere retribuito in tutto o in
parte con partecipazione agli utili o ai prodotti, con provvigione o con prestazioni in natura”.
113
Cfr. CROVATO, Riflessioni sul trattamento tributario dei compensi in natura, in Rassegna Tributaria n.
 

 
emerge particolarmente in relazione alla necessità di effettuarne una valutazione
monetaria ai fini di altri istituti retributivi, quali soprattutto il trattamento di fine rapporto
e l'indennità di preavviso per il caso di licenziamento. La relativa problematica è affidata
normalmente alla contrattazione collettiva.

Per quanto riguarda il servizio mensa, si segnala il comma 3 dell'art. 6 del DL 11


luglio 1992, n. 333 114, e successive modifiche, che prevede che il valore del servizio di
mensa comunque erogato o gestito non faccia parte della retribuzione e non debba
pertanto essere considerato ai fini della determinazione delle mensilità aggiuntive o del
trattamento di fine rapporto.

Le indennità sostitutive di mensa non sono imponibili fino ad un importo


complessivo giornaliero di Euro 5,29 soltanto se corrisposte agli addetti ai cantieri edili,
ad altre strutture lavorative a carattere temporaneo o ad unità produttive ubicate in zone
ove manchino strutture o servizi di ristorazione.

L'importo di Euro 5,29, determinato sul valore nominale del buono pasto per
singolo giorno lavorativo, deve intendersi al netto del contributo previdenziale e di un
eventuale importo a carico del dipendente 115.

Si ipotizzi, a titolo esemplificativo, che un datore di lavoro riconosca ai propri


dipendenti, occupati presso unità produttive ubicate in zone prive di strutture o servizi di
ristorazione, una indennità sostitutiva della mensa pari ad Euro 7,50 al giorno.

                                                                                                                                                                   
9,1990, parte I, pag. 663 e segg.: “Prive di una definizione legislativa, consistono solitamente nella
concessione, fatta al lavoratore da parte del datore di lavoro, di beni o servizi utili, quali, ad esempio,
l'alloggio per i portieri o i domestici, il vitto e il vestiario, l'uso del riscaldamento e il servizio mensa.
Specialmente quando i beneficiari sono dei dirigenti, si parla di fringe benefit e riguardano, per lo più, la
concessione di un'autovettura di proprietà del datore di lavoro utilizzabile anche per fini personali dal
prestatore di lavoro, della casa di abitazione, di prestiti agevolati”.
114
Precisamente il comma 3 dell’art. 6 D.L. 333/1992 prevede che: “Salvo che gli accordi ed i contratti
collettivi, anche aziendali, dispongano diversamente, stabilendo se e in quale misura la mensa è
retribuzione in natura, il valore del servizio di mensa, comunque gestito ed erogato, e l'importo della
prestazione pecuniaria sostitutiva di esso, percepita da chi non usufruisce del servizio istituito
dall'azienda, non fanno parte della retribuzione a nessun effetto attinente a istituti legali e
contrattuali del rapporto di lavoro subordinato”.
115
La Circolare. 7 febbraio 1997 n. 29/E ha chiarito che: “Il limite di Euro 5,29 deve intendersi al netto dei
contributi previdenziali e assistenziali versati in conformità a disposizioni di legge e delle somme
eventualmente poste a carico del lavoratore dipendente”.

 
Nel mese di ottobre 2009, il dipendente Mario Bianchi percepisce
complessivamente Euro 165,00 (Euro 7,50 per 22 giorni, avendo una distribuzione della
propria attività lavorativa dal lunedì al venerdì). Poiché l’importo dell’indennità
giornaliera (Euro 7,50) eccede il limite di esenzione giornaliero fissato dal legislatore
(Euro 5,29), l’eccedenza concorre alla formazione del reddito imponibile.
Complessivamente, in relazione ai 22 giorni lavorati, nel mese di ottobre 2009,
l’imponibile previdenziale e fiscale dovranno essere incrementati di un importo pari ad
Euro 48,62(2,21 x 22).

TRATTAMENTO FISCALE PER L’IMPRESA

3.5 Deducibilità ai fini delle imposte dirette

Ai fini della determinazione del reddito di impresa, i componenti negativi riferiti


agli acquisti di beni o servizi connessi alla mensa aziendale o alle prestazioni sostitutive
di questa sono qualificate spese per prestazioni di lavoro dipendente 116, la cui disciplina
fiscale è contenuta nell’art. 95, comma 1, del DPR 917/86 117.

Sono, invece, considerate non deducibili dal reddito d’impresa, le spese generali
relative a opere e servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o da categorie di
dipendenti volontariamente sostenute per specifiche finalità di educazione, istruzione,
ricreazione, ecc., per la parte eccedente il limite fissato dall’art. 100 del TUIR.

Le somministrazioni di pasti ai dipendenti in occasione dell’espletamento


dell’attività lavorativa, sia mediante l’istituzione di mense aziendali, sia mediante
prestazioni sostitutive, ancorché erogate volontariamente dal datore di lavoro (vale a dire
indipendentemente dall’esistenza di un obbligo contrattuale in tale senso), sembrano
essere escluse dalle fattispecie contemplate dall’art. 100, comma 1 DPR 917/86 118. Esse,

                                                            
116
Vedasi BRUSADIN, Mense aziendali e prestazioni sostitutive. Aspetti fiscali ed elementi contabili, in Il
fisco 2009/46 pag. 2-7678 e segg..”Nella redazione del bilancio d’esercizio la classificazione contabile dei
costi riferiti alla mensa aziendale per i dipendenti o ai servizi sostitutivi di questa, viene data rilevanza alla
natura del costo e non alla sua destinazione (ad esempio, in bilancio, il costo per buoni pasto distribuiti ai
dipendenti non è classificato tra i costi del personale, ma tra i costi per servizi”.
117
L’art. 95, comma 1 DPR 917/86 prevede che “Le spese per prestazioni di lavoro dipendente deducibili
nella determinazione del reddito comprendono anche quelle sostenute in denaro o in natura a titolo di
liberalità a favore dei dipendenti, salvo il disposto dell’art. 100, comma 1”.
118
Precisamente l’art. 100, comma 1 DPR 917/86 stabilisce che: “Le spese relative ad opere o servizi
utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti volontariamente sostenute per specifiche
 

 
inoltre, sono deducibili anche nell’eventualità in cui la somministrazione non risulti avere
le caratteristiche per essere escluse dalla base imponibile del reddito del lavoratore
dipendente ai sensi dell’art. 51, comma 2, lett. c), del TUIR (infatti, ove non operi tale
esclusione, l’erogazione può configurarsi alla stregua un compenso in natura, deducibile
per l’impresa ai sensi dell’art. 95, comma 1, del TUIR).

Difficoltà d’inquadramento e d’interpretazione ha suscitato la disposizione


contenuta nel comma 2 dell’art. 95 dove, da un lato, si stabilisce che non siano deducibili
i canoni di locazione anche finanziaria e le spese di funzionamento di strutture recettive e,
dall’altro, si fa salva la deducibilità di quelle relative ai servizi di mensa destinati alla
generalità dei dipendenti.

Il contesto in cui tale disposizione è inclusa, ove ogni espressione richiama una
situazione di utilizzo di un bene immobile, lascia intendere che le spese di funzionamento
di cui trattasi siano quelle strettamente connesse con l’uso della struttura recettiva e non,
quindi, le spese propriamente riguardanti la somministrazione dei pasti. In pratica,
dovrebbe trattarsi delle spese relative all’utilizzo dei locali ove si presta il servizio di
mensa (canoni di locazione, manutenzioni, utenze ecc.)..

L’art. 95, comma 2, del TUIR prevede, come detto, che siano sottratte al regime
dell’indeducibilità, prevista in generale per le spese relative al funzionamento di strutture
recettive, le spese connesse con i servizi di mensa destinati alla generalità dei dipendenti.

Secondo alcuni, posto che la legge richiama i servizi mensa destinati alla
generalità dei dipendenti, non sarebbero deducibili le spese delle strutture ad uso mensa
aziendale destinata solamente a specifiche categorie di dipendenti 119.

Secondo altri, invece, possono essere estesi alla disposizione in esame i


chiarimenti espressi con la Circolare n. 326/1997 in merito alla tassazione, in capo ad

                                                                                                                                                                   
finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, sono deducibili per un
ammontare complessivo non superiore al 5 per mille dell’ammontare delle spese per prestazioni di lavoro
dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi”.
119
LEO, Le imposte sui redditi nel testo unico, Milano, 2006, pagg. 1437. Partendo da tale assunto, altri
hanno sostenuto, in modo ancor più restrittivo, che non sarebbero deducibili le spese relative a strutture
recettive destinate a servizio di mensa nel caso esistano mense separate per categorie di dipendenti autonome
e collocate in distinte strutture recettive. Non così, invece, sempre secondo tale opinione, qualora esistano
mense separate per categorie di dipendenti servite da un’unica cucina (VASAPOLLI, Dal bilancio di
esercizio al reddito d’impresa, Milano, 2006, 1312).
 

 
dipendente, dei servizi di somministrazione in mense aziendali e, pertanto, sarebbero
deducibili dal reddito d’impresa anche le spese sostenute per l’uso delle strutture in parola
purché l’attività di mensa sia destinata alla generalità dei dipendenti o ad intere categorie
omogenee di dipendenti 120.

La conclusione cui perviene tale secondo orientamento appare maggiormente


condivisibile. Del resto, si faticherebbe a comprendere un diverso trattamento, ai fini
della deducibilità dal reddito d’impresa, tra le spese per la somministrazione di pasti
all’interno di servizi di mensa e quelle accessorie alle stesse, riguardanti l’uso dei locali
dove tali somministrazioni avvengono materialmente, nelle situazioni in cui il favor del
legislatore per questo tipo di servizi (sottratti, come detto, anche dall’ambito di
applicazione dell’art. 100) risulti confermato da disposizioni come quella contenuta
nell’art. 51, comma 2, lett. c), disponenti la non imponibilità in capo al dipendente del
valore rappresentato dalla somministrazione del pasto in mense aziendali.

Come sopra rilevato, si ritengono non comprese nella preclusione sopra citata, a
prescindere dalla platea di personale che può usufruire del servizio di mensa, le spese
riguardanti gli acquisti di alimenti e bevande o i corrispettivi dei servizi di appalto per la
somministrazione di questi (sia per le mense interne che interaziendali) né i corrispettivi
per l’acquisto delle prestazioni sostitutive di mensa che rientrano, ai fini della loro
deducibilità, nella disposizione generale dettata all’art. 95, comma 1, del TUIR.

Ai fini della determinazione del reddito d’impresa è ininfluente la modalità di


somministrazione di alimenti e bevande scelta dall’imprenditore, così come non rileva il
luogo in cui la mensa è situata, potendo la stessa essere istituita, tramite apposite
convenzioni, anche presso locali di terzi. A tal proposito l’Amministrazione finanziaria ha
chiarito 121 che tra le somministrazioni in mense aziendali, anche gestite da terzi, sono
comprese, tra l’altro, le convenzioni con i ristoranti. Anche la convenzione stipulata con
un ristorante, pertanto, costituisce una delle modalità a disposizione del datore di lavoro
per garantire alla generalità dei dipendenti il servizio di mensa. Ne consegue che
l’importo che, in base alla convenzione stipulata, il datore di lavoro paga all’esercente un
pubblico esercizio, quale corrispettivo per i pasti consumati dai dipendenti, costituisce un
                                                            
120
GUIDA OPERATIVA – Leggi d’Italia, sub art. 95; ABRITTA-CACCCIAPAGLIA ed altri, Testo Unico
delle imposte sui redditi – Commentario, Milano, 2009, 2016.
121
Vedasi Circolare 23 dicembre 1997 n. 326, paragrafo 2.2.3.

 
costo che non subisce limitazioni alla deducibilità, in quanto lo stesso è sostenuto per
l’acquisizione di un servizio di mensa (esterna), cioè di un servizio complesso, non
riconducibile alla semplice somministrazione di alimenti e bevande.

Anche gli oneri sostenuti per le indennità sostitutive di mensa sono integralmente
deducibili ai sensi dell’art. 95, comma 1 del TUIR.

Particolari novità in materia di prestazioni alberghiere e di ristorazione sono state


recentemente introdotte sia ai fini Iva 122 sia ai fini delle imposte sui redditi. Trascurando
gli aspetti innovativi che hanno coinvolto anche la determinazione del reddito di lavoro
autonomo, l’attenzione qui si rivolge unicamente alle importanti novità in tema di reddito
di impresa.

Ai fini della determinazione dei redditi di impresa, è stata introdotta una


riduzione, nella misura del 75%, alla deducibilità dei costi sostenuti per prestazioni
inerenti le somministrazioni di alimenti e bevande. La norma dispone espressamente che
le nuove limitazioni si applicano alle “spese relative alle prestazioni alberghiere e
somministrazioni di alimenti e bevande diverse da quelle di cui al comma 3 dell’art. 95123
…”. In dottrina si è subito posto il problema se la limitazione operasse anche per le spese
sostenute dal datore di lavoro per i servizi di mensa (interna-esterna) e per i servizi
sostitutivi (buoni pasto) a favore dei propri dipendenti. Sul punto è intervenuta l’Agenzia
delle entrate 124 chiarendo che la disposizione che limita la deducibilità al 75% delle spese
per somministrazioni di alimenti e bevande 125 opera solo nei casi in cui la spesa si
riferisca all’acquisizione di servizi alberghieri e di ristorazione che, alla luce dell’oggetto
dell’attività imprenditoriale, concorrono solo in maniera indiretta alla produzione dei
ricavi. In altre parole, la norma che pone il suddetto limite non si estende alle ipotesi in
cui l’azienda sostiene costi per la gestione diretta di un servizio di mensa. In tal caso,
infatti non si è di fronte ad una spesa per la somministrazione di alimenti e bevande, ma
ad una serie di costi sostenuti dal datore di lavoro per l’acquisto di beni, servizi ed
                                                            
122
Art. 83, commi da 28 bis a 28 quater, D.L. 25 giugno 2008, n. 112 convertito dalla L. 6 agosto 2008, n.
133.
123
La limitazione alla deducibilità non si applica alle spese di vitto e alloggio sostenute per le trasferte
effettuate fuori del territorio comunale da lavoratori dipendenti o da collaboratori, per le quali continuano ad
operare i limiti previsti dall’art. 95, comma 3, del TUIR.
124
Vedasi Circolare 3 marzo 2009 n. 6/E.
125
Cfr. Art. 109, comma 5, TUIR.

 
“eventualmente per la manodopera da utilizzare per la preparazione di pasti da
somministrare”.

Il limite del 75% non opera nemmeno quando:

‐ la mensa è gestita da terzi;


‐ l’impresa stipula una convenzione con un esercizio pubblico per fornire il servizio di
mensa ai propri dipendenti;
‐ il datore di lavoro acquista ticket restaurant.

In tutte queste fattispecie, infatti, la spesa si intende riferita all’acquisizione di un


servizio complesso, non riconducibile alla semplice somministrazione di alimenti e
bevande.

In conclusione, la ratio perseguita dal legislatore con l’introduzione di queste


modifiche consiste nel porre un “freno” ogni qual volta l’inerenza dei costi in questione
sia incerta. Dubbi che non devono esistere nel caso in cui il sostenimento delle predette
spese sia intimamente connesso all’oggetto dell’attività dell’impresa. Ragion per cui, la
limitazione non trova applicazione nemmeno in relazione agli esercizi convenzionati (ad
esempio ristoranti e bar) dell’importo del ticket da parte dell’azienda distributrice degli
stessi.

Tab. 1 – La deducibilità dei costi afferenti le diverse tipologie di somministrazioni di


alimenti e bevande

Percentuale deducibilità
Tipologie di somministrazioni di dei costi per il datore di Motivazioni
alimenti e bevande lavoro

Non si applicano le limitazioni dell'art.


109, comma 5 del TUIR (deducibilità
al 75% dei costi dal periodo di imposta
MENSA INTERNA: servizi di
successivo a quello in corso al 31
somministrazione resi nei locali 100% dicembre 2008) in quanto le spese
dell'impresa o in locali adibiti a
sostenute dal datore di lavoro
mensa aziendale o interaziendale
riguardano l'acquisto di beni e servizi
da utilizzare per la preparazione di
pasti da somministrare e non anche
 

 
l'acquisto diretto delle
somministrazioni.

Anche in questa fattispecie le


MENSA ESTERNA: servizi di limitazioni di cui all'art. 109, comma
somministrazione resi in pubblici 5, del TUIR non si devono applicare in
esercizi sulla base di contratti 100% quanto rappresentano il costo per
l'acquisizione di un servizio complesso
stipulati direttamente dal datore di non riducibile alla semplice
lavoro somministrazione di alimenti e
bevande.
1 - Nella CM 3 marzo 2009, n. 6,
l'Amministrazione ha chiarito che la
limitazione della deducibilità non trova
applicazione per i costi sostenuti (nei
confronti dei pubblici esercizi
convenzionati) dalla società emittente
dei buoni pasto in quanto l'importo
corrisposto costituisce un costo per
l'acquisizione di servizi
BUONI PASTO: servizi (somministrazione di alimenti e
100% (deducibilità per il
sostitutivi di mense aziendali bevande) che concorrono direttamente
datore di lavoro) alla produzione dei ricavi della stessa
società emittente: si tratta in sostanza
di spese che costituiscono l'oggetto
dell'attività di impresa;
2 - La limitazione della deducibilità al
75% non è applicabile relativamente
alle spese sostenute dal datore di
lavoro per le stesse motivazioni di cui
sopra, a proposito della mensa esterna
3.6 Detraibilità ai fini IVA

Aliquota IVA applicabile alle somministrazioni e detrazione dell’imposta

Prescindendo dalle indennità sostitutive 126, come espressamente previsto al n.


37), della Parte II, Tabella A, allegata al DPR 633/72, la misura dell’aliquota Iva
applicabile nelle fatture emesse dal datore di lavoro, dall’esercizio convenzionato o
dall’esercente prestazioni sostitutive di mensa per le somministrazioni di alimenti e
bevande effettuate a favore dei dipendenti è sempre del 4%.

                                                            
126
FESTA, Somministrazione di alimenti e bevande ai dipendenti: una panoramica generale, in “Il fisco”
n.6, 2005, pag. 1-828 e segg..

 
L’aliquota IVA del 4% torna applicabile se la somministrazione di alimenti e
bevande a favore dei dipendenti viene effettuata nelle mense aziendali ed interaziendali
(anche scolastiche, per indigenti, ecc.), mediante distributori automatici, in pubblici
esercizi a favore esclusivamente di lavoratori dipendenti e sulla base di specifiche
convenzioni con il datore di lavoro (l’agevolazione si applica solo se l’esercizio è munito
di apposita licenza e di appositi locali o spazi destinati a fungere da mensa esterna per le
imprese), mediante “ticket restaurant ovvero mediante carte elettroniche 127. La stessa
aliquota si applica anche quando la somministrazione avviene sulla base di un contratto di
appalto o di apposite convenzioni, nonché quando i pasti sono realizzati, confezionati e
recapitati giornalmente al domicilio delle imprese che provvedono alla loro distribuzione
anche mediante servizi a vassoio.

Nell’ipotesi dei buoni pasto occorre distinguere il diverso rapporto che si viene a
creare tra i soggetti che partecipano al contratto di somministrazione, dal momento che
ciò rileva sia ai fini delle aliquote applicabili che della detraibilità dell’imposta.
L’Amministrazione finanziaria, infatti, è intervenuta a proposito ponendo in evidenza
che, nell’ipotesi dei ticket restaurant 128, vengono ad instaurarsi:

1. Rapporto tra datore di lavoro e società emittente i buoni pasto (ticket company): in
questo caso l’aliquota IVA applicata alla cessione del ticket è sempre pari al 4%, non
detraibile per il datore di lavoro 129 fino al 31 agosto 2008. La base imponibile sulla
quale applicare l’imposta è costituita dal prezzo convenuto tra le parti senza che abbia
rilievo il fatto che tale prezzo sia pari, inferiore o superiore al valore facciale indicato
sul buono pasto.
2. Rapporto tra società emittente (ticket company) e pubblico esercizio convenzionato: in
questo caso l’aliquota IVA applicata è del 10%, ed è interamente detraibile per la
società emittente i ticket. In questo caso viene di regola contrattualmente previsto in

                                                            
127
Si precisa tuttavia che il riferimento normativo, che consente alle ipotesi di somministrazioni rese in
dipendenza di contratti, anche di appalto, aventi ad oggetto servizi sostitutivi di mensa aziendale, di fruire
dell’aliquota agevolata del 4% è l’art. 75 della L. 413/1991 che stabilisce che: “L’aliquota dell’imposta sul
valore aggiunto del 4 per cento di cui al n. 37 della Parte II della Tabella A allegata al decreto del
Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, prevista per l e somministrazioni di alimenti e bevande
rese nelle mense aziendali deve ritenersi applicabile anche se le somministrazioni stesse sono rese in
dipendenza di contratti, anche di appalto, aventi ad oggetto servizi sostitutivi di mensa aziendale, sempre che
siano commesse da datori di lavoro”.
128
Cfr. Risoluzione 3 aprile 1996 n. 49/E.
129
Ai sensi dell’art. 19-bis 1, comma 1, lett. e) del DPR 633/72.

 
favore della società emittente i buoni uno “sconto incondizionato” rapportato allo
stesso valore facciale del buono pasto.

Dal punto di vista dell’IVA, l’Amministrazione finanziaria ha preso posizione


anche nell’ipotesi in cui una società esercente prestazioni di servizi sostitutivi di mense
aziendali ceda ai datori di lavoro carte elettroniche utilizzabili dai propri dipendenti
presso appositi esercizi convenzionati. In tal caso infatti vanno osservate le seguenti
regole in sede di fatturazione, essendo le carte assimilate al sistema di mensa aziendale:

‐ la società che emette le carte applica in fattura l’aliquota del 4%, trattandosi di una
fattispecie riconducibile nell’ambito applicativo di cui al n. 37) della Tabella A –
Parte II. Per il datore di lavoro l’ IVA è detraibile ai sensi dell’art. 19 – bis 1, comma
1, lettera e);
‐ l’esercizio pubblico convenzionato per il servizio di somministrazione emette fattura
nei confronti della società emittente le card con l’aliquota del 10%, ai sensi del n.
121) della Tabella A – Parte III, allegata al D.P.R. 633/72. La società emittente può
detrarre l’IVA alla stessa addebitata.

Approfondimento normativo.

Fino alla riforma recentemente introdotta al fine di uniformare la normativa


nazionale a quella comunitaria 130, la nostra disciplina IVA prevedeva l’indetraibilità
dell’Iva per le prestazioni alberghiere e le somministrazioni di alimenti e bevande, nonché
per le prestazioni di trasporto di persone, con un ristretto numero di eccezioni, limitate
alle ipotesi in cui le prestazioni alberghiere e di somministrazioni formassero oggetto
dell’attività propria dell’impresa, o fossero effettuate nei confronti dei datori di lavoro nei
locali dell’impresa o in locali adibiti a mensa scolastica, aziendale o interaziendale e per
le somministrazioni commissionate da imprese che forniscono servizi sostitutivi di mensa
aziendali ai loro dipendenti.

                                                            
130
Vedasi art. 83, commi da 28 bis a 28 quater, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla L. 6 agosto
2008, n. 133

 
A partire dal 1° settembre 2008 131 sono state introdotte introdotto rilevanti novità
in materia di prestazioni alberghiere e di ristorazione ai fini IVA, eliminando la
previsione di indetraibilità oggettiva disposta per le prestazioni in esame 132.

Per effetto della nuova formulazione della lett. e) dell’art. 19-bis1 del DPR
633/72, l’imposta relativa alle prestazioni alberghiere e di ristorazione è detraibile nella
misura in cui tali servizi risultino inerenti all’attività imprenditoriale o professionale
esercitata e sempre che la detrazione non sia preclusa (in tutto o in parte) da ragioni legate
al tipo di attività economica svolta dal soggetto passivo. Rispetto alla previgente
disciplina, quindi, non assume più rilevanza il fatto che l’acquisizione della prestazione
costituisca oggetto dell’attività di impresa. L’Amministrazione finanziaria, a tal
proposito, ha chiarito che, in virtù della nuova disposizione, l’imposta relativa
all’erogazione di tali servizi è ora detraibile, oltre che nei casi di servizi resi a datori di
lavoro nei locali dell’impresa o in locali adibiti a mensa aziendale 133, ovvero a imprese
che forniscono servizi sostitutivi di mensa aziendale (per i quali anche in base alla
previgente formulazione dell’art. 19 – bis1 non era esclusa la possibilità di operare la
detrazione), anche in tutte le altre ipotesi di prestazione di servizi di mensa: ad esempio
quando il servizio di ristorazione a favore di dipendenti è prestato presso soggetti terzi,
ma non in locali specificatamente adibiti a mensa 134. Allo stesso modo quindi è possibile
anche la detrazione in relazione all’acquisto dei c.d. “buoni pasto”.

Poiché la nuova norma non modifica l’art. 19 - bis1, lett. f) ed h) del DPR 633/72
continuano a rimanere vigenti le limitazioni alla detrazione dell’Iva nei casi di:

‐ acquisto o importazione di alimenti e bevande (salvo che gli stessi non formino
oggetto dell’attività propria dell’impresa o di somministrazioni in mense scolastiche,
aziendali o interaziendali o mediante distributori automatici collocati in locali
dell’impresa);

                                                            
131
Vedasi nota precedente.
132
L’intervento normativo è stato realizzato al fine di eliminare il contrasto tra la normativa nazionale e l’art.
168 Direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006 n. che aveva indotto la Commissione UE ad attivare la
procedura di infrazione n. 2006/5040.
133
Rientrano fra i servizi di mensa anche le somministrazioni di pasti rese dal datore di lavoro ai dipendenti
mediante l’utilizzo di carte elettroniche.
134
Cfr. la Circolare 5 settembre 2008 n. 53/E e la Circolare 21 ottobre 2008 n. 55/E.

 
‐ imposta relativa alle prestazioni alberghiere e di ristorazione qualificabili come spese
di rappresentanza secondo le definizioni adottate ai fini delle imposte sul reddito.

Tab. 2 – La detraibilità Iva dei costi afferenti le diverse tipologie di


somministrazioni di alimenti e bevande

Tipologia di somministrazioni di alimenti e bevande Aliquota Detrazione

Effettuate in mense aziendali e interaziendali anche sulla 4% Detraibile per il datore di lavoro
base di contratti di appalto o di apposite convenzioni

Rese in pubblici esercizi a beneficio dei lavoratori 4% Detraibile per il datore di lavoro
dipendenti sulla base di convenzioni con il datore di lavoro
(a condizione che il pubblico esercizio sia munito di
apposita licenza e di appositi locali o spazi destinati a
fungere da "mensa esterna per l'impresa"; in caso
contrario si applica l'aliquota del 10% con Iva non
detraibile)
10% Detraibile per il datore di lavoro
dallo 01.09.2008
Ticket Restaurant: 4%
1. rapporto tra società emittente - datore di lavoro Detraibile per il datore di lavoro
dallo 01.09.2008
2. rapporto tra società emittente - esercizio convenzionato 10% Detraibile per la società emittente

Carte Elettroniche: 4%
1. rapporto tra società emittente - datore di lavoro Detraibile per il datore di lavoro
2. rapporto tra società emittente - esercizio convenzionato 10% Detraibile per la società emittente

Effettuate in luoghi diversi dai pubblici esercizi (escluse le 10% Detraibile per il datore di lavoro
mense aziendali di cui sopra e quelle scolastiche) anche se dallo 01.09.2008
dipendenti da contratto di appalto

Un caso particolare riguarda il trattamento IVA della fornitura a titolo


gratuito di pasti da parte delle mense aziendali al personale nel corso di riunioni di lavoro.
A tal proposito la Corte di Giustizia Europea 135 si è pronunciata favorevolmente alla
totale detraibilità ai fini Iva dei pasti gratuiti forniti nelle mense aziendali, nell’ipotesi in
cui sia il datore di lavoro ad organizzare dei “pranzi di lavoro” per garantire la continuità

                                                            
135
In tal senso si richiama la sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, Sezione 4, 11
dicembre 2008, causa 371/07.

 
nel lavoro dei dipendenti, o limitare interruzioni in riunioni con agenti, dipendenti o
clienti.

In tali occasioni (oltre a non dover emettere la fattura per autoconsumo esterno),
la fornitura dei pasti (ad esempio piatti freddi, panini, ecc. serviti nella sala riunione), non
soddisfa le esigenze private dei dipendenti o dei terzi, ma ottimizza l’attività dell’impresa
e neppure è effettuata per scopi non estranei all’attività di impresa. Il perseguimento di
interessi economico-gestionali dell’impresa conferisce il carattere di inerenza alle
prestazioni di servizi rese dal datore di lavoro per i dipendenti, rendendo del tutto
legittima la detrazione integrale dell’IVA assolta.

3.7 Deducibilità ai fini IRAP

Al fine della determinazione del valore della produzione netta sono previsti criteri
diversi a seconda della natura che riveste il soggetto passivo d’imposta 136. Sono previste
poi delle disposizioni comuni che stabiliscono la deducibilità di determinati costi, anche
in deroga a quanto sancito dalle norme in questione ed al verificarsi di specifiche
condizioni 137.

La deducibilità delle spese per somministrazione di alimenti e bevande ai fini Irap


è strettamente correlata alla loro collocazione a conto economico. Partendo dalla corretta
classificazione contabile dei costi relativi ai servizi di mensa, emerge che ai fini Irap le
uniche voci contabili chiaramente indeducibili risultano essere quelle riferite al costo del
personale (B9), salvo quanto previsto all’art. 11 D.LGS. 446/1997.

In particolare:

‐ la spesa per servizi di mensa (anche gestite da terzi), unitamente alla spese per
acquisto dei buoni pasto, sono inserite nella voce “B.7) Costi per servizi” (ovvero
B14, se società di capitali o società di persone che ha optato per la determinazione del
valore della produzione netta ai sensi dell’articolo 5-bis, comma 2, del D.Lgs.
                                                            
136
Art. 5 del D. LGS. 15 dicembre 1997, n. 446, per le società di capitali e art. 5-bis medesimo decreto per le
società di persone e le ditte individuali, così come modificati dalla Legge Finanziaria 2008. Cfr. BRUSADIN,
Mense aziendali e prestazioni sostitutive. Aspetti fiscali ed elementi contabili, in “Il fisco” 2009/46 pag. 2-
7678 e segg..
137
Tali disposizioni, che in questa sede non sono trattate, sono contenute nell’art. 11 del citato D.LGS. n.
446/1997.

 
n446/97, quando si tratta di mensa gestita direttamente dal datore di lavoro): in tal
caso la stessa può interamente essere portata in riduzione del valore della produzione;
‐ le indennità sostitutive in denaro, che rientrano nella voce “B.9a) Spese per il
personale”, sono indeducibili.

L’Amministrazione finanziaria, 138 ribadendo che l’impianto normativo


dell’imposta in commento è strutturato in modo da rendere indeducibili in capo al
soggetto passivo quei costi che non costituiscono, ai fini del tributo, componenti positivi
imponibili per il soggetto percettore, ritiene che le spese sostenute dall’azienda per
acquisire beni e servizi da destinare ai dipendenti per lo svolgimento dell’attività
lavorativa, continuino ad essere deducibili nella misura in cui costituiscono spese
funzionali all’attività di impresa e non assumono natura retributiva per il dipendente.

Tra i costi deducibili, pertanto, sono compresi i servizi di mensa e assimilati:


unica eccezione, come nella previgente formulazione della norma, è rappresentata dal
erogate denaro versato al dipendente o al collaboratore/ amministratore a titolo di
indennità e tutti gli altri elementi che compongono la retribuzione lorda.

3.8. Classificazione contabile e scritture

Di seguito è proposta la corretta classificazione dei principali costi riferiti alla


gestione del servizio di mensa o dei servizi sostitutivi a favore dei dipendenti 139.

B - Costi della produzione


B6) Per materie prime, sussidiarie, di consumo e merci

Si rilevano in questa voce anche i costi per acquisti di beni destinati a mense per il personale

B7) Per servizi


Si rilevano in questa voce anche i costi per prestazioni di servizi riguardanti il personale, ma non
rilevabili in B9, come le seguenti:
- prestazioni di personale esterno e altre prestazioni d'opera per mense aziendali;
- costi per mense gestite da terzi in base a contratti di appalto o di somministrazione o di altre
forme convenzione al netto dei costi addebitati ai dipendenti;
- costi di buoni pasto distribuiti ai dipendenti.
B9a) Salari e stipendi

                                                            
138
Si veda la Circolare 26 maggio 2009, n. 27/E.
139
Si veda il Documento Oic 13 luglio 2005, n. 1, interpretativo del Principio contabile n. 12 –
Classificazione nel conto economico dei costi e ricavi.

 
Si comprendono in questa voce tutti gli elementi che compongono la retribuzione lorda figurante
in busta paga (es. indennità sostitutiva di mensa)
B14) Oneri diversi di gestione

Questa voce di tipo residuale comprende tutti i costi della gestione caratteristica non iscrivibili
nelle altre voci dell'aggregato B) ed i costi delle gestioni accessorie (diverse da quella finanziaria),
che non abbiano natura di costi straordinari. In questa voce vanno inclusi anche i costi per la mensa
gestita internamente dall’impresa al netto dei costi per il personale impiegato direttamente e degli
altri costi “esterni” imputati ad altre voci.

Talvolta si potrebbero presentare diverse tipologie di costi afferenti


all’organizzazione del servizio prescelto dal datore di lavoro.

Quindi più analiticamente:

Tipologia
somministrazione B6) B7) B9a) B14)
costi per salari e
Somministrazioni di vitto servizi acquisiti stipendi del altri costi
costi per l'acquisto
in mense organizzate all'esterno per personale interni per
di generi alimentari
direttamente dal datore di l'approntamento della direttamente gestire la
necessari
lavoro mensa assunto per mensa
gestire la mensa
Somministrazioni di vitto costi per l'acquisto servizi acquisiti
effettuate in mense dei generi all'esterno per
aziendali con gestione alimentari (se l'approntamento della
affidata a terzi previsto) mensa
Somministrazioni di vitto servizi acquisiti
effettuate in mense totalmente all'esterno
interaziendali gestite da per l'approntamento
terzi della mensa
Convenzioni stipulate
servizio reso
con i ristoranti
interamente
direttamente dal datore
all'esterno
di lavoro
Fornitura di cestini se oggetto del
se vengono
preconfezionati contratto prevede la
acquistati generi
contenenti il pasto dei somministrazione di
alimentari
dipendenti pasti preconfezionati
servizio reso
Prestazioni sostitutive di
interamente
mensa
all'esterno
va ad
Indennità sostitutive di incrementare la
mensa spesa per il
personale

 
Infine si riportano di seguito le scritture contabili 140 da rilevare a seconda della
scelta modalità effettuata dal datore di lavoro per somministrare gli alimenti e le bevande
a favori dei propri dipendenti.

Mensa aziendale. Gestione diretta

1.Acquisti di beni e servizi

Diversi
-mense c/acquisti a Debiti 100
-iva a credito

2.Corrispettivi incassati dai dipendenti

Diversi
Cassa a -ricavi per mense 100
-iva a debito

Mensa aziendale. Gestione di terzi

Diversi
-spese per mense a Debiti 100
-iva a credito

Convenzione con pubblico esercizio per la fornitura del servizio di mensa

Diversi
-spese per mense a Debiti 100
-iva a credito

                                                            
140
Cfr. DEZZANI, Mense, vitto e alloggio: scritture contabili, in Il fisco 2009-11, pag. 1-1649 e segg. e
DEZZANI, Ticket restaurant – Scritture contabili, in Il fisco 1997-9, pag. 2376 e segg.

 
Ticket restaurant o “buoni pasto”

1. Acquisto di ticket da parte del datore di lavoro

Diversi
-spese per buoni pasto sostitutivi
a Debiti 100
di mensa
-iva a credito

2. Costi per l'acquisto del servizio da parte della Ticket


Company

Diversi
-spese per servizio buoni pasto a Debiti 100
-iva a credito

3. Ricavi derivanti dalla cessione dei "buoni pasto" per la


Ticket Company

Diversi
Crediti a -ricavi da buoni pasto 100
-iva a debito

 
4

PRESTAZIONI DI SERVIZI DI TRASPORTO COLLETTIVO

TRATTAMENTO FISCALE PER IL PERCIPIENTE

4.1 Il trasporto collettivo

Molte aziende offrono ai propri dipendenti un servizio di trasporto collettivo dalle


loro abitazioni private alla sede di lavoro. La finalità è quella di facilitare ai propri
lavoratori il raggiungimento della sede lavorativa, nel caso in cui vivano in zone distanti,
monitorare il loro arrivo al lavoro ed ottenere una maggior puntualità. Con ciò l’azienda
migliora la propria immagine e crea con i dipendenti una sorta di fidelizzazione che
contribuisce all’aumento della produttività.

Dal punto di vista fiscale 141 “le prestazioni di servizi di trasporto collettivo alla
generalità o categorie di dipendenti, anche se affidate a terzi ivi compresi gli esercenti
servizi pubblici” non concorrono a formare il reddito del dipendente.

Le condizioni 142 necessarie affinché tali prestazioni siano, per il dipendente, da


considerarsi irrilevanti ai fini reddituali sono che il servizio:

                                                            
141
Art. 51, comma 2, lettera d, DPR 917/86.
142
Circolare 23 dicembre 1997, n. 326/E, paragrafo 2.2.4.

 
- sia rivolto alla generalità o a intere categorie di dipendenti;
- sia prestato direttamente dal datore di lavoro:
• attraverso l’utilizzo di mezzi di proprietà dell’azienda;
• attraverso l’utilizzo di mezzi noleggiati;
- ovvero sia fornito da terzi sulla base di apposita convenzione o accordo stipulato
dallo stesso datore di lavoro;
- non deve coinvolgere il dipendente, che rimane estraneo al rapporto con il
vettore.

Le eventuali indennità sostitutive del servizio di trasporto vanno assoggettate a


tassazione, in quanto manca il requisito essenziale dell’affidamento a terzi 143 del servizio
di trasporto da parte del datore di lavoro 144.

Pertanto sono assoggettate a tassazione:

‐ le indennità sostitutive dei servizi di trasporto collettivo;


‐ le somme corrisposte ai dipendenti a titolo di rimborso spese per i costi da loro
sostenuti per l’acquisto di biglietti o di tessere di abbonamento, per l’utilizzo del
servizio;
‐ gli sconti o le facilitazioni per l’ottenimento di tali abbonamenti o tessere 145.

Nel caso di un contribuente che chiedeva delucidazioni sul trattamento fiscale dei
“ticket di trasporto” che un’azienda forniva ai propri dipendenti, la soluzione
interpretativa fornita dall’amministrazione finanziaria 146 si è rivelata alquanto restrittiva.
I ticket includevano tragitti estranei alla tratta casa-lavoro ed erano effettuati anche in
giorni non lavorativi.

In questo caso non solo manca il già richiamato affidamento a terzi del trasporto,
ma è necessario valutare l’ammontare dell’importo del “ticket di trasporto” concesso.
L’art. 51, comma 3, ultimo periodo del DPR 917/86, infatti, afferma che “non concorre a
                                                            
143
Risoluzione 23 marzo 1999, n. 54/E
144
Risoluzione 5 giugno 2007, n. 126 e Circolare 326/E/1997 par. 2.3.1.
145
In base alla circolare 7 marzo 2008, n. 19/E, vige ora la possibilità di effettuare delle detrazioni per gli
abbonamenti ai mezzi di trasporto pubblico, se si soddisfano determinati requisiti, vedasi paragrafo 4.3 (art. 1,
comma 309, L. n. 244, 27 dicembre 2007).
146
Risoluzione 5 giugno 2007, n. 126.

 
formare il reddito, il valore dei beni ceduti o dei servizi prestati se complessivamente di
importo non superiore nel periodo d’imposta ad Euro 258,23; se il predetto valore è
superiore al citato limite, lo stesso concorre interamente a formare il reddito”.

Il controllo del superamento della soglia di Euro 258,23 deve essere effettuato
“considerando gli importi tassabili in capo al percettore del reddito, al netto di quanto il
dipendente ha corrisposto per tutti i beni o servizi di cui ha usufruito nello stesso periodo
d’imposta, tenendo conto di tutti i redditi percepiti, anche se derivati da altri rapporti di
lavoro eventualmente intrattenuti nel corso dello stesso periodo d’imposta” 147.

La norma, quindi, richiede che il limite non debba essere superato considerando
l’insieme di tutti i beni e servizi di cui il dipendente ha usufruito a titolo di fringe benefit
nel medesimo periodo d’imposta, tenuto conto di tutti i redditi percepiti.

Nel caso in cui tale limite sia superato, il sostituto d’imposta, in sede di
tassazione alla fonte del reddito di lavoro dipendente, deve applicare la ritenuta.

4.2 Convenzioni con servizi pubblici

Le aziende possono contribuire alle spese per il trasferimento dall’abitazione al


luogo di lavoro dei dipendenti attraverso la stipulazione di convenzioni dirette, oppure
usufruendo di servizi di outsourcing.

Le soluzioni che si prospettano per l’azienda, sono di due tipi:

‐ Outsourcing;
‐ Convenzione diretta (mediante Mobility Manager).

Outsourcing

La prima soluzione, impone l’introduzione di più figure: a) un soggetto terzo si


occupa della sottoscrizione di convenzioni con gli operatori del trasporto ed emette i
”buoni”; b) l’azienda che vuole usufruire di tale soluzione acquista i “buoni” dal soggetto
terzo e li distribuisce al personale dipendente; c) i dipendenti utilizzano i “buoni” per
l’acquisto dei titoli di viaggio validi per i vettori convenzionati.
                                                            
147
Circolare 326/E/1997 par. 2.3.1. 
 

 
Tali costi per l’azienda sono prestazioni di lavoro interamente deducibili 148,
mentre per il dipendente non costituiscono reddito di lavoro.

Convenzione diretta

In Italia, con il Decreto della mobilità sostenibile nelle aree urbane 149, è stato
stabilito che le Aziende situate in zone a rischio di inquinamento atmosferico e con più di
300 dipendenti per unità locale o con più di 800 dipendenti distribuiti su più unità,
devono nominare la figura di un Mobiliy Manager. L’obiettivo principale di tale figura è
quello di ridurre l’utilizzo di auto circolanti, aumentare l’uso di mezzi di trasporto
alternativi, migliorare il grado di accessibilità delle aree urbane e ridurre l’inquinamento
atmosferico.

La strategia, sulla quale si concentra tale figura, è quella di redigere dei Piani di
Spostamento Casa-Lavoro (PSCL), atti a programmare le modalità di spostamento dei
dipendenti. I percorsi seguiti per ottenere questo piano migliorativo sono effettuati
attraverso interventi di persuasione (finalizzati a modificare le abitudini quotidiane dei
dipendenti), di concessione (fornendo dei servizi agevolativi o degli incentivi) e di
restrizione (attraverso la disincentivazione all’uso dell’auto privata, o la limitazione alla
circolazione stradale).

Per l’implementazione di un PSCL l’azienda (o, nel caso sia nominato, un


Mobility Manager) deve porre attenzione alla realtà locale ed alla rete di trasporto
pubblico. Tale studio permette di individuare le stazioni più vicine alla sede (ferroviaria,
autobus o metropolitana), di valutare la compatibilità degli orari dei servizi con quello
lavorativo e di stipulare particolari convenzioni con i gestori del Servizio Pubblico.

L’azienda mira ad ottenere il blocco dei prezzi da sostenere ed uno sconto rispetto
alle normali tariffe a seguito della sottoscrizione degli abbonamenti dei dipendenti.

La convenzione viene redatta in forma pubblica, ha per oggetto la finalità di


promuovere l’utilizzo del mezzo pubblico tra i dipendenti e prevede la forma e la durata
del servizio stesso.

                                                            
148
Art. 95 DPR 917/86.
149
Decreto del Ministero dell’Ambiente del 27 marzo 1998. 
 

 
L’erogazione degli abbonamenti può avvenire, sia attraverso la compilazione di
moduli cartacei, sia attraverso la compilazione di appositi moduli on-line.

4.3 Rimborsi di biglietti o tessere di abbonamento per il trasporto

Per le spese sostenute fino al 31 dicembre 2009 150 per l’acquisto degli
abbonamenti ai servizi di “trasporto pubblico locale, regionale e interregionale”, per un
importo non superiore ad Euro 250,00 viene riconosciuta una detrazione IRPEF pari al
19% dall’imposta lorda 151, fino a concorrenza del suo ammontare.

La detrazione spetta anche se le spese sono sostenute nell’interesse dei familiari


che risultino a carico 152, a condizione che le stesse non siano deducibili nella
determinazione dei singoli redditi che concorrono a formare il reddito complessivo.

Per quanto concerne i beneficiari di tale detrazione la relazione tecnica alla legge
finanziaria fa riferimento “agli studenti ed ai lavoratori che utilizzano il trasporto
pubblico per recarsi presso il luogo di studio e di lavoro.”

Le spese che danno diritto alla detrazione sono quelle sostenute per gli
abbonamenti a servizi di trasporto pubblico (treni, autobus, metropolitane), intendendo
con ciò un titolo di trasporto che consente al titolare autorizzato di poter effettuare, in un
periodo di tempo preciso e specifico, un numero illimitato di viaggi, su un determinato
percorso oppure in una rete intera.

Servizi di trasporto pubblico sono quelli resi da enti pubblici o da soggetti privati
affidatari dei servizi, in base a particolari convenzioni, che operino in modo continuativo
con orari, percorsi prestabiliti, con ampio riferimento all’ambito “locale, regionale ed
interregionale”.

                                                            
150
  Per il periodo di imposta 2010 alla data attuale la Finanziaria 2010, non ha previsto proroghe per tale
disposizione.
151
In base a quanto stabilito dalla Circolare7 marzo 2008 n. 19/E, ribadito poi in seguito anche dal
Comunicato Stampa 8 marzo 2008, la L. 27 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008), all’art. 1, comma
309, ha introdotto per l’anno 2008, con proroga al 31 dicembre 2009, la possibilità di effettuare una
detrazione IRPEF per gli abbonamenti ai mezzi pubblici.
152
Art. 12 del D.P.R. 917/86.
 

 
Non possono beneficiare dell’agevolazione sopra menzionata, i biglietti di
viaggio che abbiano una durata oraria ben individuata, a volte superiore a quella
giornaliera, né tantomeno le cosiddette carte di trasporto integrate che, oltre al trasporto,
includono altri servizi.

Nel caso in cui il soggetto beneficiario non intenda usufruire di tale agevolazione,
perde lui stesso il beneficio, senza la possibilità di rinviare la fruizione all’anno
successivo.

Per fruire della detrazione IRPEF è necessario che i contribuenti che compilano la
dichiarazione dei redditi conservino la documentazione da esibire nel caso venga loro
richiesta.

Se il titolo di viaggio è nominativo, il contribuente deve conservarlo unitamente


alla fattura richiesta al gestore del servizio di trasporto, e devono essere specificate la
durata dell’abbonamento, la spesa e la data di pagamento.

Nel caso di titolo di viaggio non nominativo, il contribuente deve comunque


conservarlo ed accompagnarlo da una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, che
dichiari che l’abbonamento è stato acquistato per il contribuente o per un suo familiare a
carico.

In ogni caso il biglietto di trasporto deve contenere queste indicazioni:

‐ ditta, denominazione o ragione sociale o nome e cognome della persona fisica


ovvero il logos distintivo dell’impresa e numero di partita IVA del soggetto
emittente il titolo di viaggio o che effettua la prestazione di trasporto;
‐ descrizione delle caratteristiche del trasporto;
‐ ammontare dei corrispettivi dovuti;
‐ numero progressivo;
‐ data da apporre al momento dell’emissione o della utilizzazione.

Le indicazioni di cui alle lettere b) e c), possono essere espresse anche in codice
alfanumerico la cui decodificazione sia stata preventivamente comunicata al competente
ufficio dell’Agenzia delle Entrate ovvero stampata sul titolo di trasporto stesso.

 
Le imprese che intendono avvalersi della menzionata facoltà di esporre in codice
alfanumerico l’ammontare dei corrispettivi dovuti e/o la descrizione delle caratteristiche
dei trasporti, sono tenute a rendere pubblica la decodificazione di tali codici, anche
avvalendosi di canali telematici.

TRATTAMENTO FISCALE PER L’IMPRESA

4.4 Deducibilità ai fini delle imposte dirette

Ai fini della deducibilità di spese in oggetto dal reddito di impresa, è necessario


che il servizio di trasporto, come già precedentemente ribadito 153, sia destinato alla
generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti. Per “categorie di dipendenti”, si
devono ricomprendere “... tutti i dipendenti di un certo tipo (ad esempio tutti i dirigenti) o
tutti quelli di un certo livello o una certa qualifica”; mutuando l’esempio proposto dal
menzionato intervento di prassi ministeriale, rientra nella definizione di “categoria di
dipendenti” anche il gruppo di lavoratori formato da tutti gli operai del turno di notte. Di
converso, ove il servizio fosse rivolto ad personam si configurerebbe il presupposto di
tassazione ai fini del reddito di lavoro dipendente. Ulteriore requisito imposto dalla norma
in commento è la volontarietà del sostenimento della spesa.

In tale caso, la spesa sostenuta risulta interamente deducibile ai sensi dell’art. 95


del TUIR in quanto spesa inerente alle prestazioni di lavoro dipendente sostenute dalla
stessa.

4.5 Detraibilità ai fini IVA

A seguito dell’introduzione della “manovra estiva” 154 sono state introdotte


rilevanti novità ai fini della detrazione IVA.

‐ Al riguardo è stato modificato l’art. 19-bis 1, comma 1 lettera e), del DPR 633/72 ed
eliminata la previsione di indetraibilità oggettiva in relazione alla materia di
prestazioni alberghiere e di ristorazione.

                                                            
153
Vedasi capitolo 6, paragrafo 6.1.
154
Art. 83 commi da 28-bis a 28-quater, D.L. 25 giugno 2008 n. 112 (convertita dalla L. 6 agosto 2008, n.
133).

 
Rimane invece l’indetraibilità oggettiva per il trasporto di persone, salvo che
formino oggetto dell’attività propria dell’impresa.

4.6 Deducibilità ai fini IRAP

Poiché i costi in argomento sono classificati tra i costi del personale (B9e) Altri
costi di conto economico), in quanto aventi natura strettamente accessoria agli stessi, gli
stessi risultano indeducibili ai fini IRAP.

4.7 Classificazione contabile e scritture

Secondo il documento interpretativo n. 2 dell’OIC, che ha rivisitato il Principio


Contabile n. 12, nella voce B9e) Altri costi, si iscrivono tutti quei costi relativi,
direttamente o indirettamente, al personale dipendente, che non siano stati iscritti nelle
precedenti sottovoci o nella voce B6), B7) o B8) , o che non trovino più appropriata
collocazione nella voce B14).

Servizi di trasporto a Debiti vs fornitori di 50


dipendenti (B9e C.E.) trasporto (D7 S.P.)

 
5

CONTRIBUTI ASSISTENZIALI NON OBBLIGATORI PER


LEGGE, ASSISTENZA SANITARIA INTEGRATIVA ED
OBBLIGATORIA

TRATTAMENTO FISCALE PER IL PERCIPIENTE

5.1 La funzionalità delle forme pensionistiche complementari

Le finalità della previdenza pubblica sono sempre state quelle di tutelare i diritti
dei lavoratori e consentire loro, attraverso le prestazioni erogate, di ottenere un’adeguata
copertura in caso di infortuni, malattie, invalidità, vecchiaia o disoccupazione
involontaria.

Da ciò sorge la necessità di verificare se l’azione di tutela pubblica, possa


reputarsi, da sola, in grado di perseguire, con mezzi finanziari idonei, il bene
dell’interesse pubblico con rendimenti adeguati a salvaguardare quello della collettività.

Le “forme pensionistiche complementari” sorgono in questo contesto ed il loro


ruolo è finalizzato a garantire un reddito futuro inseribile nel concetto di retribuzione
differita 155. Gli istituti previdenziali erogano al lavoratore un trattamento pensionistico, il
cui finanziamento è basato sul principio della capitalizzazione: l’ammontare delle
prestazioni erogate ad un soggetto iscritto sono direttamente proporzionali e correlate ai
contributi versati a favore della forma pensionistica stessa.

Attraverso la riforma attuata dal D.LGS. 252/2005, i fondi pensione hanno


assunto sempre maggiore importanza nel contesto della previdenza complementare. Essi
si avvalgono di forme gestionali private, ispirandosi però, nel contempo, a finalità che li

                                                            
155
FERRARI, Il ruolo dei fondi pensione nell’evoluzione della previdenza sociale, in “Foro it.”, 1997, p. 119.

 
ricollegano alla previdenza pubblica. Questa ottimale sinergia di elementi ha ottenuto
ampio consenso tra i lavoratori, i quali hanno aderito a tali forme pensionistiche nella
speranza di mantenere inalterato il tenore e lo stile di vita.

La partecipazione ai fondi stessi è libera e volontaria 156 e dal momento che i


lavoratori possono “liberamente circolare” hanno il diritto di iscrizione e di
partecipazione a forme pensionistiche che si trovano anche al di fuori del territorio dello
Stato.

La normativa dei vari Paesi membri è vasta e talvolta presenta elementi di


disparità di trattamento. Proprio in considerazione di ciò, il Consiglio dell’Unione nel
1998, ha emanato la direttiva Comunitaria 98/49/Ce 157 e, nel 2003, la direttiva
Comunitaria 2003/41/Ce 158.

Nonostante questo intervento normativo, a livello europeo rimangono ancora


notevoli diversità di trattamento fiscale, in quanto correlate allo schema di tassazione
adottata nei diversi Paesi.

I fondi pensione sono contraddistinti da un determinato percorso, sia nella loro


formazione, sia nel differente trattamento fiscale. Possono esserci le seguenti fasi:

− fase contributiva: per cui ogni singolo iscritto versa dei contributi al fondo stesso, (il
trattamento contributivo segue delle regole non sempre omogenee);
− fase accumulativa: ogni singolo contributo versato alla forma pensionistica,
determina la formazione di rendimenti sulle attività medesime, questo reddito

                                                            
156
Art. 2, comma 2, D.LGS. 252/2005.
157
La direttiva comunitaria 98/49/Ce è relativa alla salvaguardia dei diritti a pensione complementare dei
lavoratori subordinati e dei lavoratori autonomi che si spostano all'interno dell’Unione Europea (G.U.C.E. 25
luglio 1998). La tutela della direttiva mira a :
− garantire parità di trattamento per quanto concerne la tutela dei diritti;
− salvaguardare i pagamenti transfontalieri;
− iscrizione transfontaliera dei lavoratori distaccati;
− informazione dei soggetti iscritti
158
  La direttiva comunitaria ha introdotto una disciplina comune per gli Enti Pensionistici Aziendali o
Professionali (EPAP) dal momento che le normative degli Stati membri erano variegate.
 
 

 
generato è tassabile. La tassazione può essere immediata oppure differita ad un
secondo momento;
− fase erogativa: la prestazione previdenziale viene tassata al momento
159
dell’erogazione .

I modelli a cui si ispirano i Paesi membri 160 sono quattro e si contraddistinguono


per caratteristiche diverse:

− Modello EET (modello esenzione – esenzione – tassazione) che prevede l’esenzione


fiscale dei contributi sia nel momento iniziale, sia in un momento successivo in fase
di accumulazione dei rendimenti, e la tassazione delle prestazione pensionistica nel
momento dell’erogazione;
− Modello ETT (modello esenzione – tassazione – tassazione) questo modello è
applicato in Italia e prevede l’esenzione fiscale dei contributi e la tassazione sia dei
rendimenti in fase di accumulazione, sia delle prestazioni pensionistiche in fase
erogativa;

                                                            
159
  Le nuove norme prevedono che le prestazioni erogate dalle forme pensionistiche, sia in forma periodica
che in forma di capitale, rientrano nella categoria dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente (si veda
in proposito quanto previsto dall’articolo 50, comma 1, lett. h bis) del TUIR). Tuttavia, mentre in precedenza
il regime fiscale di tali prestazioni si differenziava in funzione della tipologia di prestazione erogata (capitale
o rendita) ora è previsto un unico regime di tassazione. In particolare, facendo riferimento solo alle
disposizioni applicabili sui montanti delle prestazioni maturate dal 1° gennaio 2001 si ricorda che:
− le prestazioni in forma periodica erano disciplinate dalla lettera d) dell’articolo 52, comma 1, del TUIR;
− le prestazioni in forma di capitale a seguito di riscatto della posizione individuale diverso da quello
esercitato per effetto del pensionamento o per la cessazione del rapporto di lavoro per mobilità o per
altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti, erano disciplinate dalla lettera d bis) dell’articolo 52,
comma 1, del TUIR;
− le prestazioni in forma di capitale, compresi il riscatto anche parziale esercitato per effetto del
pensionamento o per la cessazione del rapporto di lavoro per mobilità o per altre cause non dipendenti
dalla volontà delle parti, comprese le anticipazioni erano soggette a tassazione separata ai sensi degli
articoli 17, comma 1, lettera a bis), e 20 del TUIR.
La normativa tributaria, a seguito quindi dell’entrata in vigore del D.LGS. 252/2005, appare alquanto
complessa in quanto è necessario effettuare una mediazione tra le varie disposizioni normative, e si intendono
quindi applicabili le disposizioni pro-tempore vigenti in relazione ai periodi di maturazione. Per quanto
concerne le prestazioni erogate, il prelievo dovrà essere segmentato in base alle norme vigenti nei periodi:
− ammontare maturato fino al 31 dicembre 2000 (Circolari 238/E del 1998 e 14 del 1986);
− ammontare maturato dal 1° gennaio 2001 al 31 dicembre 2006 (Circolari 29/E e 78/E del 2001);
− ammontare maturato dal 1° gennaio 2007 (D.LGS. 2005).
 
160
Modello EET applicato in Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Paesi Bassi e
Portogallo; Modello ETT applicato in Danimarca, Italia e Svezia; Modello TEE applicato in
Lussemburgo,Ungheria e Lituania.

 
− Modello TTE (modello tassazione – tassazione – esenzione) che prevede la
tassazione contributiva e dei rendimenti in fase di accumulazione, mentre dispone
l’esenzione delle prestazioni pensionistiche in fase erogativa;
− Modello TEE (modello tassazione – esenzione – esenzione) che prevede la tassazione
contributiva e la totale esenzione nelle fasi successive.

E’ facile comprendere come queste diversità, creano problemi ogni qualvolta un


lavoratore, residente in un Paese che adotta il sistema EET, si trasferisce in altro Paese
Membro con sistema TEE Da una parte non può dedurre immediatamente i contributi, ma
deve aspettare l’erogazione pensionistica, dall’altro, in caso si dovesse ritrasferire in un
Paese membro con sistema EET, subirebbe l’assoggettamento a tassazione della
prestazione pensionistica senza mai aver beneficiato della deduzione dei contributi ed in
questo caso sarebbe soggetto ad un duplice danno

Queste diversità di modelli hanno imposto ai Paesi membri una armonizzazione


legislativa per consentire la deduzione dei contributi destinati ai fondi pensione.

5.2 I Fondi Pensione

Nuovi e Vecchi Fondi Pensione a confronto

I nuovi fondi pensione sono enti collettivi di natura associativa dotati o meno di
personalità giuridica e sono riconosciuti quali Enti non Commerciali. Non possono essere
destinatari di finanziamenti, né tanto meno gestire le risorse degli aderenti o erogare
rendite, a patto che non siano espressamente autorizzati dalla Covip 161. I servizi prestati si
materializzano in gestione e registrazione dei conti dei vari iscritti, nei quali devono
essere indicati in modo analitico i vari contributi affluiti (evidenziando se il versamento è
stato effettuato dal datore di lavoro o dal dipendente) ed indicando l’ammontare dei
contributi non dedotti.

La normativa fiscale 162 li include tra i soggetti passivi IRES, disponendo che sono
soggetti passivi gli enti pubblici e privati “non aventi per oggetto esclusivo o principale,

                                                            
161
Commissione di Vigilanza dei Fondi Pensione.
162
Art. 73, comma 1, lettera c), DPR 917/86.

 
l’esercizio di attività commerciali che hanno nel territorio dello Stato la sede legale o
amministrativa o l’oggetto principale”.

In quanto soggetti IRES sono obbligati ad operare le ritenute d’acconto sulle somme da
essi corrisposti. 163 Le limitazioni previste per i nuovi fondi non sono invece imposte a
quelli vecchi, già istituiti a partire dal 15 novembre 1992. Questi possono gestire
trattamenti pensionistici complementari, previdenziali ed assistenziali. I fondi preesistenti
possono:

‐ effettuare investimenti in forma diretta, sia attraverso partecipazione che di controllo


in società immobiliari, sia tramite quote di fondo immobiliare anche in deroga
dell’art. 4, comma 1, lettera b) del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze
del 21 novembre 1996, n. 703;
‐ continuare a concedere prestiti strettamente connessi all’attività del fondo, per un
ammontare limitato disposto dai parametri fissati dalla Covip;
‐ assumere prestiti per garantire liquidità su base temporanea.

L’ampia possibilità di azione dei “vecchi fondi” mal si concilia con le limitazioni
poste a quelli nuovi, anche se assoggettati ad obblighi di vigilanza da parte della Covip.
Dal punto di vista fiscale la normativa li considera soggetti IRES con obbligo di operare
le ritenute d’acconto sulle somme da loro corrisposte.

I destinatari della previdenza complementare

L’articolo 2 del D.LGS 252/2005 rubricato “Destinatari” non può reputarsi


esaustivo nell’annoverare la platea di soggetti che hanno il diritto di accedere alla
previdenza complementare, in quanto non include alcune categorie di soggetti, che sono
invece individuati in altre parti del Decreto 164.

Esso prevede che alle forme pensionistiche complementari possono aderire in


modo individuale o collettivo:

                                                            
163
Art. 23 DPR 600/73: i fondi pensione sono obbligati ad operare, sulle somme corrisposte, le ritenute
d’acconto a titolo d’imposta per i redditi maturati a decorrere dal 1° gennaio 2007, mentre per le somme
maturate in precedenza deve essere applicata la disciplina della tassazione separata.
164
Artt. 8, commi 1 e 5, e 13, comma 2.

 
‐ i lavoratori dipendenti, sia privati sia pubblici, anche secondo il criterio di
appartenenza alla medesima impresa, ente, gruppo di imprese, categoria, comparto o
raggruppamento, anche territorialmente delimitato, o diversa organizzazione di
lavoro e produttiva, ivi compresi i lavoratori assunti in base alle tipologie contrattuali
previste dal D.LGS. 10 settembre 2003, n. 276 165;
‐ i lavoratori autonomi e i liberi professionisti, anche organizzati per aree professionali
e per territorio;
‐ i soci lavoratori di cooperative, anche unitamente ai lavoratori dipendenti dalle
cooperative interessate;
‐ i soggetti destinatari del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 565 166, anche se
non iscritti al fondo ivi previsto.

Tale articolo non menziona invece la possibilità di accedere alla previdenza


complementare che viene concessa ad altri soggetti quali:

‐ le persone fiscalmente a carico 167;


‐ i titolari di redditi diversi da quelli di lavoro o di impresa 168;

                                                            
165
Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 14 febbraio 2003, n.
30.
166
“Art. 1. Istituzioni del fondo e soggetti interessati
1. Il presente decreto legislativo, in attuazione della delega conferita ai sensi dell’art. 2, comma 33, della
legge 8 agosto 1995, n. 335, è diretto ad armonizzare la disciplina della gestione “Mutualità pensioni”,
istituita in seno all’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) dalla legge 5 marzo 1963, n. 389, con
le disposizioni recate dalla citata legge n. 335 del 1995.
2. A decorrere dal 1° gennaio 1997, la gestione “Mutualità pensioni” di cui al comma primo assume la
denominazione di “Fondo di previdenza per le persone che svolgono lavori di cura non retribuiti derivanti
da responsabilità familiari”, di seguito denominato “Fondo”. Al Fondo sono iscritti i soggetti già iscritti
nella gestione “Mutualità pensioni” di cui alla legge 5 marzo 1963, n. 389, utilizzando, come premio unico di
ingresso, i contributi versati nella predetta gestione. Al Fondo possono altresì iscriversi, su base volontaria, i
soggetti che svolgono, senza vincolo di subordinazione, lavori non retribuiti in relazione a responsabilità
familiari e che non prestano attività lavorativa autonoma o alle dipendenze di terzi e non sono titolari di
pensione diretta.
3. L’iscrizione al Fondo è compatibile con lo svolgimento di un’attività lavorativa ad orario ridotto, anche se
prestata con carattere di continuità, tale da determinare la contrazione del corrispondente periodo
assicurativo ai fini della determinazione del diritto alla pensione nel regime generale obbligatorio.
4. Nel Fondo di cui al comma secondo confluiscono, secondo criteri, modalità e termini stabiliti con decreto
del Ministro del lavoro e della previdenza sociale di concerto con il Ministro del Tesoro, le provvidenze
concesse nell’ambito dei provvedimenti a sostegno della famiglia per i soggetti di cui al comma secondo e
compatibili con la natura del Fondo.”
167
Art. 8, commi 1 e 5, D.LGS. 252/05.
168
Art. 8, comma 1, D.LGS. 252/05.

 
‐ “soggetti diversi da quelli indicati nell’art. 2” 169 limitatamente alle sole adesioni su
base individuale.

L’ insorgenza del diritto alla prestazione pensionistica complementare

A seguito dell’emanazione della normativa ora in vigore 170, viene stabilito che il
diritto alla prestazione pensionistica si acquisisce “al momento della maturazione dei
requisiti di accesso alle prestazioni stabiliti nel regime obbligatorio di appartenenza, con
almeno cinque anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari 171”.

La normativa in questione ha eliminato l’espresso riferimento al concetto di


pensione di anzianità, anche se l’erogazione anticipata del trattamento di vecchiaia
continua ad essere ammesso.

Attualmente nella modalità di accesso non viene riconosciuta la possibilità di


anticipare l’erogazione delle prestazioni relative alla previdenza complementare al
momento dell’acquisizione del diritto alla pensione di vecchiaia.

Si verifica comunque un’identificazione del momento in cui sorge il diritto alla


riscossione della prestazione pensionistica complementare con quell’afferente al settore
pubblico.

Tale presupposto si evince dal contenuto normativo 172 in base al quale “per i
lavoratori i cui trattamenti pensionistici sono liquidati esclusivamente secondo il sistema
contributivo, le pensioni di vecchiaia, di vecchiaia anticipata, di anzianità sono sostituite
da un’unica prestazione denominata pensione di vecchiaia”. I soggetti in questione sono:
                                                            
169
Art. 13, comma 2, D.LGS. 252/05.
170
Art. 11, D.LGS 252/2005. 
171
La normativa previgente, in base all’art. 7 D.GLS 124/2003, riconosceva che l’accesso alle prestazioni
momenti diversi a seconda delle caratteristiche del beneficiario.
Le somme potevano essere erogate:
‐ in occasione del compimento dell’età pensionabile per le prestazioni pensionistiche di “vecchiaia” così
come previsto nel regime obbligatorio di appartenenza, purchè il beneficiario avesse partecipato al
finanziamento del fondo con almeno 5 anni di contribuzione;
‐ in occasione del compimento dell’età che dà diritto alle prestazioni pensionistiche per anzianità, solo
nell’ipotesi di cessazione dell’attività lavorativa implicante la partecipazione al fondo pensione, purchè il
beneficiario avesse partecipato a finanziare il fondo con almeno 15 anni di contribuzione. Il beneficiario
in questione, inoltre doveva avere un’età di non più di dieci anni inferiore a quella prevista dal regime
obbligatorio di appartenenza per fruire della pensione di vecchiaia.

172
Art. 1, comma 19, L. 335/1995.

 
‐ soggetti che percepiranno la pensione da prestazione pubblica in base al regime
contributivo e solo se in possesso dei requisiti per la pensione di vecchiaia;
‐ soggetti che percepiranno la pensione da prestazione pubblica in base al sistema
retributivo, al momento in cui avranno i requisiti sia per la pensione di vecchiaia, sia
per quella di anzianità;
‐ soggetti che percepiranno la pensione da prestazione pubblica col sistema misto
quindi saranno in possesso dei requisiti per la pensione sia di vecchiaia che di
anzianità e senza aver optato per il calcolo della pensione esclusivamente col sistema
contributivo.

In determinate situazioni, l’aderente può richiedere l’erogazione della prestazione


in modo anticipato. Tali situazioni si verificano al momento della:

‐ cessazione dell’attività lavorativa, per un periodo superiore a 48 mesi con un anticipo


di cinque anni rispetto ai requisiti necessari per la partecipazione al regime di
appartenenza;
‐ la morte del titolare della prestazione pensionistica. In questa particolare fattispecie i
soggetti ereditari del defunto possono richiedere anticipatamente la restituzione del
montante residuo o in alternativa, può essere erogata loro una rendita calcolata sul
residuo ammontare.

In ogni caso le somme percepite a titolo di anticipazione non possono mai


eccedere il 75 per cento 173 del totale dei versamenti effettuati alle forme pensionistiche
complementari a decorrere dal primo momento di iscrizione (comprese le quote di TFR
ed aumentate dei rendimenti realizzati).

5.3 Deducibilità ai fini delle imposte dirette

I finanziamenti della previdenza complementare avvengono attraverso i


versamenti di contributi la cui possibilità di deduzione si può ricavare da un combinato
disposto normativo. Dalla lettura sistematica dell’art. 8 del D.LGS. 252/2005 e dell’art.
10, comma 1, lett. e-bis) del TUIR può individuarsi uno schema che, nel solco della
continuità con la normativa vigente, demanda all’art. 10, comma 1, lett. e-bis), del TUIR
il compito di dettare la norma generale, affidando all’art. 8 del D.LGS. 252/2005 la
                                                            
173
Art. 11, co. 7 D.LGS 252/2005. 
 

 
disciplina speciale, avente per oggetto, oltre ai contributi propri, anche i contributi versati
in conto terzi.

La facoltà di contribuire a forme pensionistiche complementari è ammessa per


tutti, indipendentemente dalla circostanza che un soggetto percepisca o meno reddito e
dalla tipologia del reddito stesso; viene inoltre garantita la possibilità contributiva anche
per i soggetti che sono fiscalmente a carico e per i dipendenti di prima occupazione.

A decorrere dal 1° gennaio 2007, la normativa ha previsto una modifica a livello


di deduzione spettante 174. Gli aderenti alle forme pensionistiche complementari,
indipendentemente dalle categorie e dall’ammontare del loro reddito, possono dedurre i
contributi ad esse versati nella misura massima di Euro 5.164,67. La deduzione
menzionata spetta anche nel caso in cui non siano state versate le quote di TFR. I
contributi versati dal datore di lavoro concorrono alla formazione del plafond utilizzabile
in capo al lavoratore 175.

                                                            
174
La L. 133/99 recante “Disposizione in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale”
ha imposto l’emanazione entro nove mesi dalla data di entrata in vigore uno o più decreti legislativi finalizzati
a:
a) incrementare la deduzione fiscale per i lavoratori dipendenti ed autonomi per ammontare
complessivo non superiore al 12 per cento del reddito e comunque fino ad Euro 5.164,67;
b) estendere la possibilità di adesione alle forme pensionistiche complementari e riconoscere la
medesima deduzione fiscale anche a soggetti non titolari di reddito;
c) prevedere, in caso di incapienza del proprio reddito, la deduzione del soggetto cui sono fiscalmente
a carico;
d) prevedere l’applicazione della deduzione fiscale anche ai soci lavoratori e delle cooperative di
produzione e lavoro, qualora osservino a favore dei lavoratori le disposizioni previste dall’art. 2120
del codice civile;
e) riordinare il regime dei fondi pensione;
f) disciplinare forme di risparmio individuale vincolate a finalità previdenziali;
g) modificare il trattamento fiscale dei contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione;
h) modificare il regime fiscale del TFR e delle indennità.
Il Governo ha attuato la delega nei termini previsti dalla legge attraverso il D.LGS. 47/2000.
Le modifiche apportate al trattamento dei contributi diretti alle forme pensionistiche complementari non sono
state reputate sufficienti. Per tale ragione, in attuazione con la legge delega 243/2004, è stato emanato il D.
LGS. 252/2005 con il quale è stata consentita la deduzione dei contributi fino al limite di Euro 5.164,67 ed è
stato eliminato il riferimento al 12 per cento del reddito complessivo. Tale misura è stata favorevolmente
accolta in quanto eliminava una evidente disparità di trattamento dei soggetti passivi d’imposta. Infatti prima
delle modifiche apportate, la misura percentuale di deduzione favoriva i soggetti con più elevato reddito
imponibile.
175
Art. 51, comma 2, lettera h), del TUIR.

 
Per quanto riguarda il regime fiscale applicabile al TFR destinato ai fondi
pensione, viene prevista la neutralità sia del TFR maturando, sia di quello maturato 176. E’
opportuno ricordare che è necessario effettuare una comunicazione al fondo dei contributi
non dedotti o che saranno eventualmente dedotti nella dichiarazione dei redditi, e che il
termine per tale comunicazione è fissato al 31 dicembre dell’anno successivo a quello in
cui è stato effettuato il versamento.

Con riguardo ai lavoratori dipendenti, si reputa utile sollevare due questioni, che
riguardano da una parte l’inserimento dell’art. 51 lettera h) del TUIR nel complesso
impianto normativo e dall’altro l’espressione indicata nel D.LGS. 252/2005 all’art. 8
comma 4, in relazione ai “contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro o dal
committente”.

La problematica sorge dal fatto che l’art. 51, lettera h), del TUIR richiama
esplicitamente l’art. 10 della stessa norma e che quest’ultimo articolo cita, alla lettera e-
bis), il D.LGS. 252/2005.

                                                            
176
La Circolare 18 dicembre 2007 n. 70, in tema di conferimento di TFR, al punto 2.1 sostiene che “Per
espressa previsione dell'articolo 19, comma 4, del TUIR, le somme e i valori destinati alle forme
pensionistiche di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124 non costituiscono anticipazioni e, pertanto,
non sono imponibili come tali.
A questo riguardo, la circolare n. 29/E del 2001 ha chiarito che il testo della citata norma - riformulato, per
questo aspetto, dall'articolo 1, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 47 del 2000 - contiene due
novita' di rilievo rispetto al previgente comma, il quale prevedeva la non imponibilita' della quota di
accantonamento annuale al TFR destinata alle forme pensionistiche complementari:
- la previsione della "quota di accantonamento annuale al TFR" e' stata sostituita con la locuzione
"somme" e cio' supera il problema della devoluzione al fondo pensione di una parte del fondo TFR,
come, ad esempio, gli accantonamenti fatti in anni precedenti. Infatti, venendo meno il puntuale
riferimento alla quota di accantonamento annuale, si deve ritenere che non si considera anticipazione
e, quindi, non e' imponibile la destinazione non solo della quota di accantonamento annuale ma anche
delle quote pregresse;
- l'inserimento della locuzione "valori" ha la finalita' di neutralizzare fiscalmente il trasferimento al
fondo pensione anche se non relativo a somme, come, ad esempio, l'eventuale trasferimento del TFR
trasformato in titoli.
Si ritiene che, in assenza di modifiche normative all'articolo 19, comma 4, del T.u.i.r., la predetta norma
continui a trovare applicazione. Peraltro il riferimento contenuto in tale articolo al decreto legislativo n. 124
del 1993 deve intendersi effettuato oggi al decreto, atteso che in esso e' stata interamente trasfusa la
disciplina della previdenza complementare.
Conseguentemente, il trasferimento al fondo del TFR sia maturando che di quello maturato non costituisce
anticipazione e, quindi, non assume rilevanza fiscale al momento del trasferimento”.

 
Da una lettura combinata della disposizione normativa, si può comprendere che
non esiste un conflitto tra le disposizioni in esame. L’art. 10, lettera e-bis), del TUIR
stabilisce esclusivamente il diritto alla deduzione dei contributi versati, mentre l’art. 8 del
D.LGS. 252/2005, in particolare nei commi 4 e 6, rimane ai fini tributari, la norma
tecnica di individuazione dei limiti e delle modalità di deduzione.

Inoltre, l’espressione “contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro o


dal committente” contenuta nell’art. 8 del D.LGS. 252/2005 non impone un obbligo di
bilateralità del versamento contributivo, e la congiunzione “e” va interpretata nel senso
più restrittivo. Esiste un dovere di versamento contributivo, da parte del datore di lavoro o
da parte del lavoratore, ma tale dovere non è imposto contemporaneamente ad entrambe
le parti, bensì vige un principio di libertà di versamento dei flussi contributivi.

Per quanto concerne la deduzione dei contributi versati a favore delle persone
fiscalmente a carico 177, viene consentita la deduzione fino ad un ammontare di Euro
5.164,57.

La deduzione contributiva, di cui può beneficiare il pater familias nel proprio


reddito, può essere effettuata anche se questi non risulta formalmente in alcun modo
presente nel rapporto di adesione del familiare fiscalmente a carico alla forma
pensionistica complementare.

Le circostanze che permettono la deduzione contributiva in capo al pater


familias 178 possono comunque essere effettuate se riconducibili a pagamenti relativi a:

‐ contributi versati alle forme pensionistiche, sia collettive che individuali disciplinate
dal D.LGS. 252/2005;
‐ favore di familiari fiscalmente a carico.

                                                            
177
Circolare 18 dicembre 2007, n. 70, punto 2.5.
178
La Circolare 18 maggio 2006, n. 17/E, sostiene che diritto alla detrazione è stato, infatti, riconosciuto in
capo al soggetto a cui carico si trova il familiare assicurato anche nell’ipotesi in cui tale soggetto (il c.d. pater
familias) non appaia nel rapporto contrattuale assicurativo e, dunque, anche se il familiare fiscalmente a
carico del contribuente risulti essere, nel rapporto assicurativo, soggetto contraente e, al tempo stesso,
soggetto assicurato. Precedentemente l’Agenzia delle Entrate aveva optato per una visione più limitativa,
consentendo la detrazione per il pater familias solo quando risultava contraente del contratto assicurativo nel
quale compariva assicurato il familiare a carico. Successivamente l’Agenzia delle Entrate ha modificato tale
visione, dando rilevanza all’effettivo sostenimento economico del contratto assicurativo piuttosto che l’essere
parte effettiva dell’oggetto del contratto.

 
Un’ulteriore agevolazione è prevista per i giovani di prima occupazione
successiva al 1° gennaio 2007 179. A tali soggetti è stata riconosciuta la possibilità di
recuperare la deduzione annua (che non è stata utilizzata fino al massimale nei primi
cinque anni di adesione al fondo pensione) nei venti anni successivi. “I soggetti di prima
occupazione” vengono reputati quelli che all’entrata in vigore del decreto legislativo non
erano titolari di una posizione contributiva e, per prima occupazione, si intendono quelli
che alla data di pubblicazione del decreto in esame non erano titolari di alcuna posizione
contributiva. Desta perplessità comunque il fatto che la loro iscrizione debba essere
successiva al 1° gennaio 2007: in quest’ottica risulterebbero ingiustamente esclusi coloro
che all’entrata in vigore di tale decreto erano a cavallo del quinquennio contributivo. Per
tale ragione si reputa corretto estendere la disposizione contenuta nel D.LGS. 252/2005
anche a coloro che hanno iniziato a lavorare nel periodo compreso tra la pubblicazione di
suddetto decreto ed il 1° gennaio 2007.

Il presupposto per usufruire di tale agevolazione è che l’ammontare dei


versamenti eseguiti nei primi cinque anni non risulti superiore ad Euro 5.164,67 per
ciascun annuo. Il lavoratore può quindi, in seguito, dedurre nei venti anni successivi,
ulteriori contributi rispetto a quelli versati, pari alla differenza tra Euro 25.823 e quanto
effettivamente versato. Ne deriva che l’importo massimo annuale, complessivamente
deducibile, è pari ad Euro 7.746,86.

La prosecuzione volontaria contributiva oltre il termine previsto per l’accesso alla


prestazione contributiva

Una tematica che non deve essere trascurata riguarda la possibilità che potrebbe
essere concessa al lavoratore-aderente di continuare ad effettuare versamenti contributivi
al fondo previdenziale, anche qualora fosse scattato il momento all’ottenimento della
prestazione pensionistica. Nel decreto in esame si evidenzia una disparità di trattamento
laddove viene prevista, da una parte, la possibilità di contribuzione oltre il periodo
pensionabile mentre dall’altra si impone il riscatto totale o parziale delle somme, laddove
venissero meno i presupposti di partecipazione al fondo.

                                                            
179
Art. 8, comma 6, D.LGS. 252/2005.

 
Un’interpretazione estensiva fornita da Covip permette comunque ai soggetti
aderenti la prosecuzione contributiva al fondo stesso. La prosecuzione contributiva, oltre
il termine previsto, ha contribuito a far proliferare differenti visioni in relazione al
trattamento fiscale dei rendimenti finanziari maturati presso un fondo, successivamente al
perfezionamento del diritto di accesso alla prestazione pensionistica.

A tale proposito, l’Agenzia delle Entrate 180 ha stabilito che i rendimenti finanziari
maturati sulla posizione contributiva del soggetto iscritto al fondo, al momento della
maturazione al diritto di accesso alla prestazione pensionistica e fino alla sua concreta
erogazione, debbano essere considerati quali redditi di capitali e di conseguenza tassati in
base alle disposizioni di legge previste per gli stessi 181. La presentazione della richiesta
all’erogazione, da parte dell’interessato ne rafforza quindi, la natura previdenziale della
posizione esistente nel fondo.

La reintegrazione delle anticipazioni

La disciplina prevede la possibilità di reintegrare le somme per le quali si è


ottenuto il diritto all’anticipazione, anche per l’ammontare superiore al limite massimo di
Euro 5.164,57. Sulle anticipazioni reintegrate che superano il suddetto limite, viene
riconosciuto un credito di imposta pari all’imposta pagata al momento dell’ottenimento
della suddetta anticipazione. Una riflessione appropriata riguarda la natura da attribuire
alle somme versate a titolo di reintegro e la conseguente trattazione fiscale delle stesse.

La reintegrazione delle somme deve essere considerata una mera ricostruzione


delle somme anticipate e, per tale ragione, devono essere ripristinate le posizioni esistenti
ante-anticipazione. La posizione del fondo può essere composta da contributi dedotti
(imponibili in sede di erogazione delle prestazione), da contributi non dedotti (non
imponibili in sede di erogazione delle prestazione) e da rendimenti finanziari (non
imponibili in sede di erogazione della prestazione).

                                                            
180
Risoluzione 18 gennaio 2005 n. 8/E.
181
Di diverso parere risulta la Covip, la quale reputa (in base alla Direttiva del 28 giugno 2006) che per
prestazioni maturate debbano intendersi quelle per le quali siano stati conseguiti i requisiti di accesso e sia
stato esercitato il relativo diritto da parte dell’interessato mediante esplicita richiesta.

 
 

 
Nel caso in cui la posizione di reintegro comporti versamenti non eccedenti il
plafond di Euro 5.164,67, le somme sono da considerarsi totalmente deducibili anche se
afferenti a posizioni non imponibili. D’altra parte, invece, nel caso in cui il reintegro
imponga versamenti superiori al suddetto limite, l’eccedenza risulta deducibile essendo
riconosciuto un credito d’imposta pari all’imposta pagata al momento dell’ottenimento
della suddetta anticipazione. Tale deduzione spetta anche nel caso in cui sia volta a
reintegrare somme riconducibili a componenti imponibili in fase di erogazione.

Il regime fiscale delle prestazioni pensionistiche

La disciplina tributaria delle prestazioni pensionistiche è stata significativamente


modificata generando una sensibile diminuzione delle aliquote applicabili alle
prestazioni, mentre restano invariate le modalità di calcolo della base imponibile.

Il quadro del trattamento tributario delle prestazioni, in capitale e in rendita, a


seguito della riforma prevede che:

‐ le prestazioni pensionistiche complementari sia in rendita che in capitale sono


assoggettate ad un’imposta sostitutiva dell’imposta sui redditi mediante applicazione
di una ritenuta alla fonte nella misura del 15%;
‐ sia effettuata una riduzione dell’aliquota di base a decorrere dal 16° anno di
contribuzione alla forma pensionistica complementare, in misura dello 0,30% per
anno, fino al limite massimo del 9%, corrispondente ad una contribuzione di 35 anni
di iscrizione ad una o più forme pensionistiche complementari;
‐ sia determinata un’imposta sostitutiva sull’imponibile maturato alla data di accesso
alla prestazione pensionistica complementare, pari al montante maturato ad
esclusione dei contributi non dedotti e dei rendimenti finanziari già assoggettati ad
imposta nel corso del piano pensionistico complementare;
‐ in ipotesi di prestazione in capitale la tassazione sostitutiva avvenga al momento di
erogazione della prestazione;
‐ in ipotesi di prestazione in rendita l’imposta sostitutiva sia applicata di volta in volta
sull’ammontare della prestazione erogata;
‐ sempre in caso di prestazione in rendita continua ad applicarsi l’imposta del 12,50%
sui redditi finanziari maturati successivamente all’erogazione della rendita stessa.

 
Una novità riguarda l’attribuzione della figura di sostituto d’imposta che, nel caso
di erogazione di somme, coincide con il soggetto erogatore. Nel caso di prestazione di
rendita effettuata con convenzione stipulata con assicurazioni, il compito di operare la
ritenuta spetta alla compagnia di assicurazione.

La disciplina del riscatto delle somme prevede due differenti regimi fiscali:

‐ applicazione della ritenuta a titolo di imposta nella misura del 15%, ridotta
progressivamente fino al 9% in relazione alla durata del periodo di partecipazione alle
forme pensionistiche complementari nelle ipotesi di inoccupazione, invalidità e
premorienza;
‐ ritenuta a titolo di imposta nella misura del 23% per riscatti dovuti a cause diverse da
quelle precedenti 182.

TRATTAMENTO FISCALE PER L’IMPRESA

5.4 Deducibilità ai fini delle imposte dirette

I contributi versati sono deducibili per il datore di lavoro nel reddito d’impresa in
base all’art. 95, comma 1, del TUIR. In passato, erano sorte delle perplessità riguardo
alla deducibilità di tali contributi in relazione alla loro inerenza al reddito d’impresa. Il
nesso di correlazione, afferenza e causalità tra il contributo versato e la partecipazione
dello stesso al reddito d’impresa, poteva ricavarsi dalla circostanza che la spesa del
personale era una spesa effettiva. L’imprenditore poteva, di conseguenza, ricorrere ad un
sistema previdenziale complementare per il proprio dipendente. Il datore di lavoro ha
inoltre la possibilità di dedursi ai fini IRES il 4% del TFR devoluto alla previdenza
complementare; tale importo è aumentato al 6% nelle imprese con meno di 50 addetti. 183

5.5 Deducibilità ai fini Irap

Sulla deducibilità dei contributi assistenziali non obbligatori per legge dalla base
imponibile IRAP, vi sono posizioni contrastanti. La Circolare dell’Agenzia delle Entrate
                                                            
182
Le Direttive emanate dalla Covip hanno risolto l’interpretazione dell’art. 14, comma 5 del D.LGS. 252/05,
riconoscendo ammissibile che gli statuti e i regolamenti delle forme pensionistiche possano prevedere delle
situazioni di riscatto della posizione individuale in occasione della perdita dei requisiti di partecipazione, che
risultino anche svincolate dall’esistenza di periodi minimi di inoccupazione.
183
 Art. 10 D.LGS. 252/2005.
 

 
19 novembre 2007 n. 61/E ha consentito la deduzione dei contributi versati alle forme
pensionistiche complementari dalla base imponibile IRAP, in virtù del fatto che
l’ampiezza della lettura della norma consente la deduzione anche dei contributi
assistenziali e previdenziali versati dal datore di lavoro. Di diverso parere è, invece, parte
della dottrina 184, che rinviene la natura di “costo del personale” del contributo in esame e
quindi la sua riconducibilità a reddito da lavoro dipendente, a nulla rilevando la natura
previdenziale del contributo stesso.

5.6 Classificazione contabile e scritture

A partire dal 1° gennaio 2007, i lavoratori devono decidere se mantenere il


proprio TFR presso l’azienda o se destinarlo ad un fondo di previdenza complementare.
La scelta riguarda il TFR dopo tale data quindi:

‐ per i lavoratori in forza presso un’azienda prima di tale data, la scelta riguarda
esclusivamente il TFR maturato dopo il 01/01/2007;
‐ per i lavoratori assunti dopo l’01/01/2007, la scelta riguarda l’intero TFR maturato.

Se l’impresa ha almeno 50 dipendenti, anche nel caso in cui questi decidano di


mantenere il TFR presso l’azienda, essa deve effettuare il versamento di tale importo al
Fondo di tesoreria gestito dall’INPS.

Si possono verificare le seguenti situazioni:

Azienda con meno di 50 dipendenti:

- TFR trattenuto in azienda;


- TFR versato ad un fondo di previdenza complementare.

Azienda con 50 o più dipendenti:

- TFR versato al fondo di tesoreria gestito dall’INPS;


- TFR versato ad un fondo di previdenza complementare.

                                                            
184
Vedasi PROCOPIO, Fondi Pensione e TFR Profili Giuridici e Disciplina Tributaria, IPSOA, pag. 204.
 

 
Vediamo come tutto ciò si riflette sulle scritture di accantonamento al fondo TFR
da redigere al termine dell’anno.

Qualora il TFR venga trattenuto in azienda (ipotesi ammissibile solamente se


l’azienda ha meno di 50 dipendenti) si procede effettuando scritture di accantonamento al
fondo TFR.

Nel caso in cui il TFR sia versato al fondo di tesoreria gestito dall’INPS, è
opportuno che in contabilità siano distinti due Fondi di accantonamento: il Fondo TFR,
accantonato prima dell’01/01/2007, distinto da quello accantonato successivamente e
trasferito all’INPS.

Il versamento del TFR al fondo di tesoreria deve essere effettuato e contabilizzato


ogni mese con il modello DM/10 insieme al pagamento dei contributi previdenziali
dovuti per il mese precedente.

La scrittura, dunque, va effettuata mensilmente, ed è:

Quota accantonamento TFR a Fondo (C S.P.) 50


(B9c C.E.)

Un contributo dello 0,50% destinato al fondo adeguamento pensioni, viene


detratto ogni mese, salvo conguaglio a fine anno. La somma residua deve essere versata
al fondo di tesoreria.

Quindi, avremo la seguente scrittura:

Fondo TFR (C S.P.) a Diversi 150


a Fondo trasferito all’INPS
(B1 S.P.)
a INPS c/competenze (D13
S.P.)

 
Segue, quindi, il versamento all’INPS con il quale sorge un credito nei confronti
dell’ente, come segue:

Credito verso INPS (C II 5) S.P.) a Banca c/c (D4 S.P.) 150

Fondo TFR c/tesoreria (C S.P.)

Dal momento che il trasferimento all’INPS riguarda la sola quota di TFR e non la
rivalutazione, l’azienda a fine anno deve:

‐ sia rivalutare il TFR accantonato in azienda sia il TFR accantonato presso l’INPS;
‐ accantonare la rivalutazione nel conto Fondo TFR e procedere al calcolo dell’acconto
dell’imposta sostitutiva.

. Nel caso in cui il TFR venga destinato ad un fondo di previdenza complementare,


il datore di lavoro non ha più l’obbligo di liquidare il TFR al momento della cessazione
del rapporto di lavoro.

Le scritture da contabilizzare sono le seguenti:

Quota accantonamento a Debito verso fondo di 150


TFR (B9c C.E.) previdenza
complementare (D13 S.P.)

Per rilevare il debito verso il fondo di previdenza complementare;

Oneri sociali (B9b C.E.) a Debito verso fondo di 150


previdenza
complementare (D13 S.P.)

Per rilevare l’eventuale contribuzione aggiuntiva a carico del datore di lavoro.

Alla fine si procede al versamento di quanto dovuto al fondo:

 
Debito verso fondo di a Banca c/c (D4 S.P.) 150
previdenza complementare
(D13 S.P.)

L’ASSISTENZA SANITARIA INTEGRATIVA

5.7 L’ assistenza sanitaria integrativa

In base all’art. 51 lettera a) del TUIR, i fondi sanitari oggetto di analisi sono
destinati a realizzare un livello di copertura assistenziale aggiuntiva, garantendo una
copertura previdenziale complementare rispetto a quella garantita dal sistema pubblico.

Tali fondi integrativi includono dei servizi di prestazione sanitaria e socio-


sanitaria, prevenzione, cura e riabilitazione 185.

                                                            
185
D.M. 31 marzo 2008 art. 1 Ambiti di intervento delle prestazioni sanitarie e socio sanitarie erogate dai
Fondi sanitari integrativi del servizio sanitario nazionale e da enti e casse aventi esclusivamente fine
assistenziale.
1. Il presente decreto, per le finalita' di cui all'art. 10, comma 1, lettera e-ter, nonche' dell'art. 51, comma 2,
lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986 e successive modificazioni,
individua gli ambiti di intervento dei Fondi sanitari integrativi del servizio sanitario nazionale e degli enti e
casse aventi esclusivamente finalita' assistenziali
2. Gli ambiti di intervento dei Fondi sanitari integrativi del servizio sanitario nazionale, istituiti o adeguati ai
sensi dell'art. 9 del decreto legislativo 20 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni, comprendono le
prestazioni sanitarie e socio-sanitarie di prevenzione, cura e riabilitazione definite nei commi 4 e 5 del
medesimo art. 9. Gli ambiti di intervento comprendono inoltre:
a) prestazioni socio-sanitarie di cui all'art. 3-septies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e
successive modificazioni, nonche' le prestazioni di cui all'art. 26 della legge 8 novembre 2000, n. 328 in
quanto non ricomprese nei livelli essenziali di assistenza e quelle finalizzate al recupero della salute di
soggetti temporaneamente inabilitati da malattia o infortunio per la parte non garantita dalla normativa
vigente;
b) prestazioni di assistenza odontoiatrica non comprese nei livelli essenziali di assistenza per la prevenzione,
cura e riabilitazione di patologie odontoiatriche.
3. Gli ambiti di intervento degli enti, casse e societa' di mutuo soccorso aventi esclusivamente fine
assistenziale, di cui all'art. 51, comma 2, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre
1986, n. 917, e successive modificazioni, che non rientrano nell'ambito di operativita' dei Fondi sanitari
integrativi del servizio sanitario nazionale di cui al comma 2, comprendono il complesso delle prestazioni
sanitarie e socio-sanitarie da essi assicurate secondo i propri statuti e regolamenti, nonche' i costi di
compartecipazione alla spesa sostenuti dai cittadini nella fruizione delle prestazioni del servizio sanitario
nazionale e gli oneri per l'accesso alle prestazioni erogate in regime di libera professione intramuraria. A
partire dall'anno 2010, gli ambiti di intervento di cui al presente comma si intendono rispettati a condizione
che i medesimi enti, casse e societa' di mutuo soccorso attestino su base annua di aver erogato,
singolarmente o congiuntamente, prestazioni coincidenti con quelle di cui alle lettere a) e b) del comma 2,
erogate presso strutture autorizzate all'esercizio, in base alla vigente normativa regionale, anche se non
accreditate, nella misura non inferiore al 20 per cento dell'ammontare complessivo delle risorse destinate
alla copertura di tutte le prestazioni garantite ai propri assistiti.
 

 
TRATTAMENTO FISCALE PER IL PERCIPIENTE

5.8 Deducibilità ai fini delle imposte dirette

L’art. 51, comma 2, lettera a), del TUIR, così come modificato dalla Legge
Finanziaria 2008 186, stabilisce l’esenzione dalla tassazione:

‐ per i contributi di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro o dal lavoratore ad
enti o casse aventi esclusivamente fine assistenziale in conformità a disposizioni di
contratto o di accordo o di regolamento aziendale, che operino negli ambiti di
intervento stabiliti con il decreto del Ministero della salute di cui all’art. 10, comma
1, lettera e-ter), ovvero i contributi versati fino ad un massimo di Euro 3.615,20, ai
fondi Integrativi del SSN, cosiddetti “fondi doc”, che erogano prestazioni ai sensi del
D.M. 31 marzo 2008.

Il trattamento da riservare ai versamenti per i contributi per l’assistenza


sanitaria integrativa ha suscitato non pochi dibattiti. A tale proposito la circolare del 10
giugno 2004, 24/E al quesito 4.3 ha effettuato un excursus normativo:

‐ Circolare 19 giugno 2002, 54/E ha escluso la deducibilità dal reddito dei contributi
versati dai pensionati, dal momento che, trattandosi di rapporto di lavoro ormai

                                                                                                                                                                   
4. Con decreto del Ministro della salute sono definiti i criteri e le modalita' per il calcolo della misura del
limite percentuale di cui al comma 3, le procedure per la verifica del rispetto della misura medesima,
l'aggiornamento della misura stessa.
Art. 2. Anagrafe dei Fondi sanitari
1. E' istituita presso il Ministero della salute, ai sensi dell'art. 9, comma 9, del decreto legislativo 30
dicembre 1992, n. 502, e senza oneri a carico dello Stato, l'anagrafe dei Fondi sanitari.
2. I Fondi sanitari integrativi del servizio sanitario nazionale di cui all'art. 1, comma 2, nonche' gli enti,
casse e societa' di mutuo soccorso di cui all'art. 1, comma 3, comunicano annualmente all'anagrafe dei
Fondi sanitari la seguente documentazione:
a) atto costitutivo;
b) regolamento;
c) nomenclatore delle prestazioni garantite;
d) bilancio preventivo e consuntivo;
e) modelli di adesione relativi al singolo iscritto ed eventualmente al nucleo familiare.
3. Con decreto ministeriale sono definite le procedure e le modalita' di funzionamento dell'anagrafe dei
Fondi, nonche' i termini di presentazione della documentazione richiesta dal comma 2.
Art. 3. Disposizioni finali

1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

186
L. 24 dicembre 2007, n. 244.
 

 
concluso, non erano riconducibili a quelli individuati nell’art. 51, comma 2, lettera a)
del TUIR;
‐ Risoluzione 23 maggio 2003, 114/E ha equiparato i redditi da pensione a quelli da
lavoro dipendente e di conseguenza ha ammesso la deduzione dei contributi versati
dai pensionati, rendendo applicabile per estensione l’art. 51, comma 2) lettera a) del
TUIR;
‐ Risoluzione 28 maggio 2004, 78/E, riferita al FASI (Fondo di Assistenza Sanitaria
Integrativa), sostiene che se le modalità di funzionamento del fondo non consentono
la diretta imputazione del contributo posto a carico dell’azienda al pensionato, i
dirigenti pensionati, diversamente da quelli in servizio, non possono beneficiare delle
previsioni ex art. 51, comma 2) lettera a) del TUIR.

La Risoluzione 11 luglio 2008, 293/E, pur riconoscendo la piena


equiparazione dei redditi di pensione con quelli di lavoro dipendente, e quindi la piena
applicabilità dell’art. 51, comma 2) lettera a) del TUIR, effettua una distinzione la tra le
diverse modalità di funzionamento dei fondi o casse. A tale proposito sostiene che:

‐ I contributi versati a fondi che prevedono, a favore del pensionato, un versamento


contributivo effettuato dal datore di lavoro, senza che sia possibile verificare un nesso
di causalità tra il versamento effettuato e la posizione del singolo pensionato, non
sono deducibili e quindi non trovano applicazione le disposizioni ex art. 51, comma
2) lettera a) del TUIR;
‐ I contributi versati ai fondi per i quali, in base a disposizioni di legge non è previsto
alcun intervento da parte dell’ex datore di lavoro, sono deducibili in quanto
totalmente a carico del pensionato.

TRATTAMENTO FISCALE PER L’IMPRESA

5.9 Deducibilità ai fini delle imposte dirette

Le somme versate a titolo contributivo dal datore di lavoro ai fini del


riconoscimento dell’assistenza sanitari integrativa del dipendente, sono interamente
deducibili dal reddito d’impresa in base all’art. 95 comma 1) del TUIR, anche per la parte
eccedente i 3.615,20 Euro.

 
5.10 Deducibilità ai fini IRAP

Poiché i costi in argomento sono classificati tra i costi del personale (B9d)
Trattamenti di quiescenza e simili di conto economico, gli stessi risultano indeducibili ai
fini IRAP.

5.11 Classificazione contabile e scritture

Secondo il documento interpretativo n. 2 dell’OIC, che ha rivisitato il Principio


Contabile n. 12, nella voce (B9d) Trattamenti di quiescenza e simili si iscrivono tutti quei
costi relativi a fondi di previdenza integrativi diversi dal T.F.R. e previsti da contratti
collettivi di lavoro, da accordi aziendali o da norme aziendali interne.

Trattamento di quiescenza e a Debito verso fondo di 150


simili (B9d C.E.) previdenza complementare
(D13 S.P.)

L’ASSISTENZA SANITARIA OBBLIGATORIA

TRATTAMENTO FISCALE PER IL PERCIPIENTE

In base all’art. 51 comma 2) lettera h) del TUIR non concorrono a formare il


reddito di lavoro dipendente le erogazioni effettuate dal datore di lavoro in conformità a
contratti collettivi o ad accordi e regolamenti aziendali a fronte di spese sanitarie di cui
allo stesso articolo 10, comma 1, lettera b).

TRATTAMENTO FISCALE PER L’IMPRESA

5.12 Deducibilità ai fini delle imposte dirette

Sono deducibili dal reddito, senza limiti di importo in base art. 95 comma 1 del
TUIR, i contributi obbligatori previdenziali ed assistenziali versati in ottemperanza a
disposizioni di legge,

5.13 Deducibilità ai fini IRAP

 
Si conferma, anche in questo caso, la classificazione dei contributi tra i costi del
personale (voce B.9.b) di conto economico) e ne consegue l’indeducibilità delle stesse ai
fini IRAP.

5.14 Classificazione contabile e scritture

Secondo il documento interpretativo n. 2 dell’OIC, che ha rivisitato il Principio


Contabile n. 12, nella voce B9b) Oneri sociali, si iscrivono tutti quegli oneri a carico
dell’impresa da corrispondere ai vari enti previdenziali e assicurativi (INPS, INAIL,
INPDAP, ecc) al netto degli “importi fiscalizzati” in base a disposizioni di legge sulla
fiscalizzazione degli oneri sociali.

Oneri sociali (B9b C.E.) a Debito verso istituti di 150


previdenza e sicurezza sociale
(D13 S.P.)

 
 

 
6

UTILIZZO DI OPERE E SERVIZI E CESSIONE DI BENI

Come meglio esposto nelle premesse generali del presente lavoro, il primo
comma dell’art. 51 187 del DPR 917/86 definisce il principio di “onnicomprensività” del
reddito di lavoro dipendente e, pertanto, l’assoggettamento a tassazione di tutte le somme
ed i valori che il dipendente riceve nel corso del periodo di imposta.

Ad integrazione della retribuzione corrisposta in denaro, possono, quindi, essere


attribuiti dei “vantaggi accessori”, costituiti dall’utilizzazione di beni o servizi (prodotti, o
meno, dall’azienda stessa) a titolo gratuito o a condizioni più favorevoli rispetto a quelle
di mercato che, in quanto tali, vengono attratti nell’alveo del reddito di lavoro dipendente.

A seconda della tipologia di benefit concesso, il legislatore tributario ha


individuato specifiche deroghe al suddetto principio della totale tassabilità, elencando
alcune fattispecie che non concorrono a formare il reddito (comma 2), o che vi
concorrono soltanto in parte (commi 3 e seguenti).

Rinviando ai singoli paragrafi la descrizione più approfondita delle regole di


determinazione dei compensi in natura in rassegna e dei requisiti soggettivi ed oggettivi
richiesti ai fini della tassazione “mitigata” dei relativi redditi, in questa sede ci limitiamo
a premettere che:

‐ il secondo comma dell’art. 51 individua, tra le fattispecie che non concorrono alla
formazione del reddito, l’utilizzazione di opere e servizi c.d. di “utilità sociale” (lett.
f) del comma 2) e l’erogazione di somme da parte del datore alla generalità, o
categorie, di dipendenti per frequenza di asili nido e colonie climatiche e per borse di
studio a favore dei familiari dei dipendenti (lett. f-bis) del comma 2);

                                                            
187
Art. 51, comma 1, del TUIR: “1. Il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in
genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in
relazione al rapporto di lavoro. Si considerano percepiti nel periodo d'imposta anche le somme e i valori in
genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d'imposta
successivo a quello cui si riferiscono.”.

 
‐ il terzo comma dell’art. 51 fissa la regola generale ai fini della determinazione in
denaro dei valori dei compensi in natura, operando un rinvio recettizio all’art. 9 del
TUIR (criterio del “valore normale”);
‐ il quarto comma dell’art. 51 individua i criteri di determinazione del valore
convenzionale di alcuni beni e servizi in natura, tra cui, alla lett. b), figura la
concessione di prestiti ai dipendenti.

Dal punto di vista soggettivo, si evidenzia che tra i beneficiari dei suddetti
compensi figura non solo il dipendente, ma anche il coniuge del dipendente ed i familiari,
così come meglio identificati dall’art. 12 del TUIR.

Sotto un profilo oggettivo, occorre sin d’ora rilevare che gli elementi da
valorizzare sono costituiti sia dai beni ceduti e dai servizi prestati dal datore di lavoro, sia
dal diritto di ottenerli da terzi.

Ciò premesso, nei paragrafi che seguono verranno esaminate le fattispecie di


benefit (opere, servizi, assegnazione di beni, ...) seguendo - per ragioni di ordine
sistematico - il dettato della norma in commento e specificando, per singole fattispecie, il
regime fiscale in capo al lavoratore ed il trattamento dei correlati costi in capo
all’azienda.

COMPONENTI CHE NON CONCORRONO A FORMARE IL REDDITO

6.1 Utilizzazione da parte del dipendente e dei suoi familiari delle opere e servizi
c.d. di “utilità sociale”

Trattamento fiscale per il dipendente

Come accennato, il secondo comma del più volte menzionato art. 51 reca
l’elencazione tassativa delle somme e valori che – ancorché percepiti in relazione al
rapporto di lavoro dipendente – non concorrono a formare il reddito del lavoratore. Tra
questi, figura l’utilizzazione da parte dei dipendenti e dei suoi familiari di opere e servizi
aventi specifiche finalità, meglio individuate - per effetto del rinvio operato dalla lett. f)
del comma 2 - dall’art. 100 del TUIR.

 
Più in particolare, l’attuale 188 formulazione della menzionata lett. f) dell’art. 51
prevede che “Non concorrono a formare il reddito ... l’utilizzazione delle opere e dei
servizi di cui al comma 1 dell’art. 100 da parte dei dipendenti e dei soggetti indicati
nell’art. 12”. Il primo comma dell’art. 100 del TUIR – rubricato “Oneri di utilità
sociale” – statuisce che “Le spese relative ad opere o servizi utilizzabili dalla generalità
dei dipendenti o categorie di dipendenti volontariamente sostenute per specifiche finalità
di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, sono
deducibili per un ammontare complessivo non superiore al 5 per mille dell’ammontare
delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione dei
redditi”.

Con riguardo al rinvio operato dalla lett. f) al citato art. 100 del TUIR, si precisa
che già la Circolare n. 326/E/1997 189 aveva chiarito che il menzionato richiamo deve
intendersi effettuato soltanto per individuare le finalità in esso previste, senza che questo
comporti anche l’osservanza, ai fini dell’esclusione dalla formazione del reddito di lavoro
dipendente, delle ulteriori condizioni ivi contenute 190, quali, ad esempio, il rispetto del
limite del 5 per mille, ovvero il richiamo ai requisiti imposti dall’art. 12 del TUIR,
rubricato “Deduzioni per oneri di famiglia”.

Sotto il profilo soggettivo, quindi, l’esclusione dal reddito dell’utilizzazione delle


opere in parola concerne sia il lavoratore dipendente, sia i suoi familiari 191 [rectius: i
soggetti indicati nell’art. 12] e, in particolare:

                                                            
188
La lettera f) dell’articolo in commento è stata novellata, con effetto 1° gennaio 2000, ad opera dell’art. 13,
primo comma, lett. b), n.1), del D.LGS. 23 dicembre 1999, n. 505, disposizione ha che contestualmente
introdotto la successiva lett. f-bis), di seguito commentata.
In questa sede, ci si limita ad accennare che, per effetto della modifica normativa - finalizzata a circoscrivere
l’ampio ambito applicativo della norma alle erogazioni in denaro - la disciplina dell’utilizzazione delle opere
e dei servizi, messi a disposizione dal datore di lavoro, da parte dei dipendenti è regolata (dalla lett. f)
distintamente rispetto a quella attinente le somme corrisposte dal datore di lavoro medesimo, per specifiche
finalità (cfr. lett. f-bis).
189
Principio ritenuto tuttora valido, ancorché detta Circolare sia cronologicamente precedente alle modifiche
apportate al testo normativo in commento dal D.LGS. 505/99.
190
Cfr., per tutti, LEO, Le imposte sui redditi nel Testo Unico Tomo I, Giuffrè, Milano, 2006, pag. 824 e
segg.
191
È appena il caso di precisare che non tutti i fringe benefit “detassati” concessi dal datore di lavoro ai propri
dipendenti sono estensibili ai loro familiari, giacché questi ultimi ne possono usufruire (in “esenzione” dal
reddito) solo se le disposizioni dell’art. 51 del TUIR, ivi compresi i relativi rinvii ad altre norme, lo
prevedano espressamente.

 
‐ il coniuge, non legalmente ed effettivamente separato;
‐ i figli naturali riconosciuti, i figli adottivi e gli affidati o affiliati;
‐ i genitori;
‐ i generi e le nuore;
‐ il suocero e la suocera;
‐ i fratelli e le sorelle germani o unilaterali.

Come accennato, il rinvio all’art. 12 del TUIR è da intendersi operato


limitatamente all’individuazione dei soggetti beneficiari delle opere e servizi de quibus,
essendo irrilevante, ai fini che qui interessano, che gli stessi siano o meno fiscalmente a
carico del lavoratore 192, o di questi conviventi.

Sempre in ordine alle condizioni soggettive per beneficiare del regime di


esclusione dal reddito di lavoro dipendente, la norma richiede che la disponibilità
all’utilizzo delle opere e dei servizi sia perentoriamente concessa alla generalità dei
dipendenti, ovvero ad intere categorie omogenee di dipendenti. In proposito, la Circolare
23 dicembre 1997, n. 326/E, ha precisato che la condizione viene a realizzarsi quando il
datore assicura la generica disponibilità verso un gruppo omogeneo di dipendenti, a nulla
rilevando, quindi, che alcuni di questi, poi, di fatto non ne fruiscano; di converso, la
concessione delle opere e dei servizi solo a taluni lavoratori dipendenti configurerebbe, in
capo agli stessi, reddito di lavoro dipendente assoggettato a tassazione.

Quanto al profilo oggettivo, il legislatore tributario richiede che le opere e i


servizi de quibus abbiano specifiche finalità di:

‐ educazione;
‐ istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria
‐ culto.

Rinviando ai paragrafi che seguono per un maggior approfondimento delle


singole fattispecie di servizi ed opere utilizzabili, in questa sede ci si limita a rammentare
il sopravvenuto mutamento interpretativo da parte dell’Amministrazione finanziaria in

                                                            
192
Simili condizioni sono, invece, previste per le indennità di trasferimento, disciplinate dal settimo comma
dell’art. 51, ove è espressamente richiesto, ai fini della tassazione “mitigata”, che i familiari siano “...
fiscalmente a carico ai sensi dell’art. 12...”.

 
ordine al fornitore dei servizi in parola. Sul punto era intervenuta, in un primo momento,
l’Agenzia delle Entrate, che, con la Circolare 22 dicembre 2000, n. 238/E, aveva
affermato che l’esclusione dalla tassazione de qua era limitata alle sole opere e ai soli
servizi messi a disposizione dei dipendenti e dei loro familiari per mezzo di strutture di
“proprietà dell’impresa”; di conseguenza – sempre secondo la richiamata pronuncia
ministeriale - i benefici in esame non sarebbero stati riconosciuti nell’ipotesi in cui
l’utilizzo da parte del lavoratore dipendente fosse stato reso possibile solo attraverso il
sostenimento da parte dell’azienda dei costi di iscrizione presso la struttura stessa o
mediante la corresponsione di canoni dei locazione a terzi 193.

Tale interpretazione è stata successivamente superata con la Risoluzione 10


marzo 2004, n. 34/E 194 - riconfermata anche dalla più recente Risoluzione 29 marzo 2010,
n. 26/E - che, in ordine alle condizioni necessarie per fruire dell’esclusione dal reddito di
lavoro dipendente relativamente all’utilizzazione delle opere e servizi di cui alla lett. f) in
commento, ha affermato che:

– deve trattarsi di opere e servizi messi a disposizione dalla generalità dei dipendenti o
di categorie di dipendenti;
– dette opere e servizi devono perseguire specifiche finalità di educazione, istruzione,
ricreazione, assistenza sociale, sanitaria o culto;
– la spesa deve essere sostenuta volontariamente, non già in adempimento di un
vincolo contrattuale.

La suddetta Risoluzione n. 34/E/2004 chiarisce quindi, da un lato, l’impatto delle


modifiche apportate dal menzionato D.LGS. 505/99 alla norma in commento, in ordine al
rinvio operato all’art. 100 del TUIR; in particolare, secondo il pensiero
dell’Amministrazione finanziaria, i costi sostenuti dall’azienda per mettere a disposizione

                                                            
193
Circolare n. 238/E/2000: “Così, ad esempio, non si pongono dubbi in merito alla non concorrenza alla
formazione al reddito di lavoro dipendente dell’utilità derivante dalla fruizione dei servizi offerti da un
circolo ricreativo o sportivo di proprietà aziendale o da un ambulatorio medico costituito dal datore di
lavoro presso l’azienda. Viceversa, nel caso di frequentazione di un circolo tennistico non appartenente al
datore di lavoro, resasi possibile, ad esempio, attraverso il sostenimento da parte di quest’ultimo dei costi di
iscrizione al circolo o di quelli derivanti dall’affitto di campi non si integra la fattispecie oggetto della
previsione normativa in commento ...”.
194
La Risoluzione in commento risponde ad un’istanza di interpello, con la quale il contribuente istante
chiedeva di conoscere il corretto trattamento fiscale applicabile alla fattispecie in cui in datore di lavoro
intendeva fornire a categorie di dipendenti un servizio di check-up medico-sanitario, da utilizzare presso
strutture mediche specializzate convenzionate.

 
le opere ed i servizi – di cui al più volte richiamato art. 100 – devono originare da un atto
liberale del datore di lavoro, non già dal rispetto di un preciso obbligo contrattuale o di un
accordo o regolamento aziendale 195. La pronuncia ministeriale in commento supera
l’interpretazione in precedenza espressa nella citata Circolare n. 238/E/2000 anche sotto
un ulteriore profilo, in quanto conferma – come peraltro il tenore letterale delle
disposizioni lascia chiaramente intendere – che il dettato della lett. f) non impone che
detti servizi ed opere siano resi disponibili ai dipendenti tramite il ricorso a strutture di
proprietà dell’azienda, ben potendo il datore di lavoro avvalersi anche di strutture esterne,
facendo ricorso, ad esempio, all’outsourcing: una diversa interpretazione risulterebbe
ultronea rispetto al dettato normativo, oltre che discriminatoria 196.

In tale contesto, viene, invece, confermato che il rapporto contrattuale con il terzo
fornitore del servizio (l’outsourcer) deve intercorrere direttamente con il datore di lavoro:
resta, quindi, estranea alla fattispecie di cui alla lett. f) la corresponsione di eventuali
somme in denaro, concesse dal datore di lavoro al fine di contribuire o rimborsare certe
tipologie di spese (sanitarie, sportive, etc.) ai dipendenti e che comporterebbe, invece, un
rapporto diretto tra il terzo prestatore del servizio ed il dipendente medesimo. Tali ipotesi
- trattandosi di erogazioni in denaro - sarebbero, infatti, classificate nella successiva lett.
f-bis) del secondo comma dell’art. 51.

Trattamento fiscale per l’impresa

L’interesse del datore di lavoro nell’erogare detta tipologia di servizi può


configurarsi tanto in un’ottica di miglioramento dell’immagine dell’azienda, quanto nella
fidelizzazione del dipendente stesso.

La disciplina tributaria delle spese sostenute dal datore di lavoro in relazione alla
messa a disposizione della generalità dei dipendenti di opere e servizi aventi “utilità
sociale” è contenuta nell’art. 100, primo comma, del TUIR, a mente del quale “Le spese
relative ad opere o servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o categorie di
                                                            
195
Al riguardo, la previgente (rispetto alla novella del D.LGS. 505/99) formulazione dell’art. 51 (rectius: art.
48) lasciava qualche dubbio sulla sostenibilità di tale interpretazione, giacché con la precedente formulazione
venivano richiamate solo le finalità di cui all’art. 100 del TUIR, mentre quella vigente opera un rinvio
indistinto a tale ultima norma e, quindi, alle tre condizioni sopra richiamate, tra cui appunto anche la
volontarietà della spesa da parte dell’impresa.
196
Cfr. DAN - GABELLI, Fringe benefit esentasse: il Fisco apre all’outsourcing dei servizi di utilità sociale,
in “Pratica fiscale e professionale” 2004-14, pag. 39 e segg.

 
dipendenti volontariamente sostenute per specifiche finalità di educazione, istruzione,
ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, sono deducibili per un ammontare
complessivo non superiore al 5 per mille dell’ammontare delle spese per prestazioni di
lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi”.

Ai fini della deducibilità delle spese de quibus dal reddito di impresa, è


necessario che i servizi e le opere siano destinate alla generalità dei dipendenti o
categorie di dipendenti. Oltre a quanto già chiarito nei paragrafi che precedono, si
rammenta che la prassi amministrativa 197, ha confermato come la locuzione “categorie di
dipendenti” non faccia riferimento alle categorie previste dal codice civile (dirigenti,
quadri, etc.), ma debba comprendere “... tutti i dipendenti di un certo tipo ad esempio tutti
i dirigenti, o tutti quelli di un certo livello o una certa qualifica” 198; mutuando l’esempio
proposto dal menzionato intervento di prassi ministeriale, rientra nella definizione di
“categoria di dipendenti” anche il gruppo di lavoratori formato da tutti gli operai del turno
di notte. Di converso, ove il servizio fosse rivolto ad personam, si configurerebbe il
presupposto di tassazione ai fini del reddito di lavoro dipendente.

Ulteriore requisito imposto dalla norma in commento è la volontarietà del


sostenimento della spesa per la messa a disposizione delle opere e servizi di “utilità
sociale”, giacché, ove le spese in parola fossero sostenute dal datore di lavoro in
ottemperanza ad un obbligo di legge, o da contratti collettivi di lavoro o da accordi
aziendali, le stesse si considererebbero integralmente deducibili.

Infine, in ordine al limite quantitativo di deducibilità – fissato dal legislatore nel 5


per mille delle spese per prestazioni di lavoro dipendente – si deve far riferimento al dato
risultante dalla dichiarazione dei redditi. Nel dettaglio, avendo a riferimento il modello di
dichiarazione per gli enti e le società di capitali (UNICO SC 2010), dovrà assumersi il
valore indicato nel rigo RS36 (“Costi della produzione per il personale”); l’ammontare
eventualmente indeducibile a causa dell’incapienza rispetto al plafond disponibile delle
spese de quibus andrà riportato nel rigo RF18, colonna 2, del medesimo modello.

                                                            
197
Circolare 16 luglio 1998, n. 188/E
198
Cit. Circolare n. 188/E/1998.

 
Le regole sopra esposte valgono, in generale, per tutti quei benefit riconducibili,
sotto il profilo oggettivo, alle opere e servizi aventi utilità sociale, così come sopra
ampiamente dettagliati. Tuttavia, per un contributo più pragmatico al presente lavoro, si
riportano, di seguito, le fattispecie che più frequentemente possono trovare applicazione
nella prassi aziendale, fermo restando il rispetto dei requisiti e delle condizioni imposte
dalla norma al fine di beneficiare dell’esclusione, in capo al lavoratore, dalla tassazione
del reddito di lavoro dipendente.

6.2 Gli impianti sportivi e l’iscrizione a circoli sportivi

Tra le varie “utilità” che il datore di lavoro può offrire ai dipendenti – con
precipuo scopo, evidentemente, di fidelizzazione - può figurare anche la messa a
disposizione di impianti sportivi, ovvero l’iscrizione a circoli sportivi. Anche in queste
fattispecie, ai fini della non concorrenza alla formazione del reddito di lavoro
dipendente e della correlata deducibilità in capo all’azienda, valgono le regole
sopra descritte (i.e.: 1. offerta alla generalità dei dipendenti o di categorie di
dipendenti; 2. perseguimento di specifiche finalità di educazione, istruzione,
ricreazione, ...; 3. sostenimento volontario della spesa).

Come detto in precedenza, deve ritenersi espressamente superata l’affermazione


secondo cui, ai fini della detassazione delle spese de qua, gli impianti sportivi debbano
essere di proprietà del datore di lavoro, in quanto l’Amministrazione finanziaria 199 –
ancorché con riferimento alla fattispecie delle spese servizi di assistenza sanitaria - ha
confermato l’irrilevanza che le strutture messe a disposizione siano di proprietà
dell’azienda, ovvero che quest’ultima si avvalga di un terzo per la fornitura del medesimo
servizio.

In questo contesto, giova, peraltro, precisare che se il datore di lavoro - in luogo


di mettere a disposizione l’utilizzo degli impianti o dei servizi sportivi - erogasse al
lavoratore delle “somme” allo stesso scopo, detti ammontari costituirebbero reddito
tassabile in capo al dipendente, ai sensi del primo comma dell’art. 51 del TUIR, in quanto

                                                            
199
Cit. Risoluzione n. 34/E/2004.
 

 
non rientranti nelle specifiche fattispecie (borse di studio, retta di asilo nido ovvero di
colonie climatiche) espressamente esonerate dall’imposizione 200.

Sempre con riferimento all’iscrizione di dipendenti a circoli, si osserva che, ove


si tratti di club o circoli privati “particolarmente esclusivi” - per i quali difficilmente
l’azienda provvederebbe all’iscrizione di tutti i dipendenti o di intere categorie di essi - le
quote di iscrizione verrebbero considerate reddito tassabile se il sostenimento delle spese
(di iscrizione) fosse limitato solo a taluni dipendenti.

Trattamento contabile

Secondo il documento interpretativo I1 dell’OIC, che ha rivisitato il Principio


Contabile n. 12, le erogazioni liberali di cui all’art. 100 del TUIR devono essere
classificate alla voce B.9.e) del conto economico, tra gli “altri costi del personale”. Nel
caso in cui il datore di lavoro si avvalga di strutture sportive di “terzi” (i.e.: non di
proprietà dell’azienda), le relative spese 201, quali, ad esempio, canoni di locazione,
abbonamenti di ingresso ai circoli sportivi, etc., vanno inserite tra i costi del personale:

Abbonamenti circoli sportivi Fornitore impianto sportivo 100


a
[voce B.9.e) di C.E.] [voce D.7) di S.P.]

Deducibilità ai fini IRAP

Poiché i costi in argomento sono classificati tra i costi del personale (voce B.9) di
conto economico), gli stessi risultano indeducibili ai fini IRAP 202.

Trattamento ai fini IVA

                                                            
200
Sul punto, vedasi infra § “Somme erogate dal datore di lavoro per frequenza di asili nido, colonie
climatiche, nonché per borse di studio a favore dei familiari”.
201
Nel caso, invece, di strutture di proprietà dell’azienda, il discorso non muta, facendosi riferimento, ad
esempio, alle eventuali spese di manutenzione.
202
Resta fermo, ovviamente, il principio generale di inerenza: ove cioè si trattasse di spese inerenti lo
svolgimento dell’attività di impresa (si pensi, ad esempio, al noleggio di un campo da calcio per una società
sportiva) e non già di benefit in capo al lavoratore, sarebbe garantita sia la totale deducibilità ai fini delle
imposte dirette (non più, quindi, nel limite del 5 per mille), sia ai fini IRAP.

 
L’iscrizione a palestre e centri sportivi rientra, in linea generale, nell’ambito delle
prestazioni di servizi nell’esercizio di impresa, se ed in quanto svolta da imprenditori
individuali o da società commerciali e risulta – di norma - soggetta alla disciplina
dell’IVA (art. 3, DPR 633/72). Poiché, in linea di principio, tale attività non evidenzia
particolari eccezioni rispetto alla normativa vigente, in questa sede ci si limita a segnalare
che, trattandosi di attività di servizi, le relative prestazioni si considerano effettuate ai fini
IVA al momento dell’incasso del corrispettivo 203.

In capo alla società (quale datore di lavoro), si ritiene che l’imposta addebitata in
fattura in relazione alle prestazioni “qualificabili” come spese per prestazioni di lavoro
dipendente sia detraibile, in quanto rispondente al principio generale di inerenza, fatte
salve, evidentemente, le eventuali limitazioni oggettive alla detrazione previste dal DPR
633/72.

Tali considerazioni si ritengono valide anche con riguardo alle singole fattispecie
esaminate nel prosieguo.

6.3 Biglietti e abbonamenti per eventi sportivi, ricreativi e culturali

Altra fattispecie riconducibile alla messa a disposizione di opere di “utilità


sociale” è l’acquisto, da parte del datore di lavoro, di biglietti e/o abbonamenti per
l’ingresso ad eventi sportivi, ricreativi (spettacoli teatrali, cinema, …) o culturali (mostre,
etc. …).

Anche per queste ipotesi, ai fini della riconducibilità alla disciplina di cui all’art.
51, secondo comma, lett. f) - per quanto concerne il reddito di lavoro dipendente - e
all’art. 100, primo comma, del TUIR - dal lato del reddito di impresa - è necessario che
siano verificate le seguenti condizioni:

                                                            
203
Con riferimento allo specifico caso dei corrispettivi versati dai soci di “centri sportivi” per l’utilizzo degli
impianti, si segnala una datata pronuncia del Ministero delle Finanze (Risoluzione 1 gennaio 1975, n.
502166), con la quale veniva riconosciuto che l’attività svolta dal “centro sportivo” poteva essere
legittimamente considerata una “prestazione di servizi resi al pubblico con carattere di uniformità, frequenza
ed importo limitato”, riconoscendo così l’esonero dall’obbligo di emissione di fattura per tali operazioni e
consentendo, quindi, che le stesse venissero documentate mediante l’istituzione di apposito registro dei
corrispettivi.

 
‐ gli abbonamenti devono essere destinati alla generalità dei dipendenti o a
categorie di essi;
‐ gli stessi devono rispondere a specifiche finalità ricreative, educative, di
istruzione, etc.;
‐ le spese devono essere volontariamente sostenute dal datore di lavoro;
‐ il lavoratore deve risultare “estraneo” al rapporto tra il datore di lavoro ed il
prestatore del servizio.

Si rammenta, in proposito, che, ove non venissero rispettate tutte le sopraelencate


condizioni, il relativo costo sostenuto dall’azienda verrebbe a costituire, a tutti gli effetti,
reddito di lavoro dipendente da assoggettare integralmente a tassazione – secondo i criteri
individuati dal terzo comma dell’art. 51 del TUIR – sempreché l’ammontare complessivo
dei compensi in natura erogati al (singolo) dipendente siano, su base annua, superiori alla
franchigia di Euro 258,23.

Trattamento contabile

Analogamente a quanto precisato in relazione al caso precedente, anche i costi


sostenuti dal datore di lavoro per l’acquisto di biglietti e/o abbonamenti agli eventi
ricreativi in parola costituiscono “oneri di utilità sociale” di cui all’art. 100 del TUIR e, in
quanto tali, vanno classificati alla voce B.9.e) del conto economico, tra gli “altri costi del
personale”.

Biglietti per eventi ricreativi Fornitore biglietti 100


a
[voce B.9.e) di C.E.] [voce D.7) di S.P.]

Deducibilità ai fini IRAP

Coerentemente con quanto più sopra descritto, in ragione della classificazione


delle spese in parola tra i costi del personale (voce B.9) di conto economico), le stesse
risultano indeducibili ai fini del tributo regionale.

Trattamento ai fini IVA

 
In linea generale, le prestazioni di servizi riconducibili alla fattispecie delle
attività spettacolistiche sono assoggettate ad IVA secondo il regime “speciale” di cui
all’art. 74-quater del DPR 633/72. Le prestazioni di servizi di cui trattasi sono quelle
indicate nella tabella C (attività di spettacolo), incluse quelle accessorie, allegata al
menzionato decreto IVA; dette prestazioni si considerano effettuate nel momento in cui
ha inizio l’esecuzione della manifestazione, eccettuate quelle eseguite in abbonamento,
per le quali l’imposta è dovuta all’atto del pagamento del corrispettivo.

Quanto alla detrazione in capo al datore, valgono le assunzioni già esposte al


paragrafo precedente.

6.4 Abbonamenti a riviste, giornali e periodici

Nella prassi aziendale può accadere che il datore offra ai propri dipendenti
abbonamenti a riviste, giornali e periodici; tale fattispecie, per rientrare nella disciplina di
cui all’art. 51, secondo comma, lett. f) - per quanto concerne il reddito di lavoro
dipendente - e all’art. 100, primo comma, del TUIR - dal lato del reddito di impresa -
deve rispondere alle precise condizioni già affermate dalla più volte menzionata Circolare
n. 34/E/2004, vale a dire:

‐ gli abbonamenti devono essere destinati alla generalità dei dipendenti o a


categorie di essi;
‐ gli stessi devono rispondere a specifiche finalità educative, di istruzione, etc.;
‐ le spese devono essere volontariamente sostenute dal datore di lavoro;
‐ il lavoratore deve risultare “estraneo” al rapporto tra il datore di lavoro ed il
prestatore del servizio: diversamente, ove, ad esempio, egli sottoscrivesse
direttamente l’abbonamento e il datore provvedesse al “ristoro” della somma a tal
titolo corrisposta, questa costituirebbe un compenso interamente tassato in busta
paga, ai sensi del primo comma dell’art. 51 del TUIR.

Ovviamente, ove l’abbonamento a riviste, piuttosto che l’acquisto di libri,


giornali e periodici, abbia ad oggetto materiale “specializzato” 204, le relative spese, da un

                                                            
204
Ad esempio, l’acquisto di un quotidiano economico-finanziario per il responsabile dell’ufficio tesoreria di
un’azienda, ovvero un periodico di moda per il personale dell’ufficio acquisti di un’azienda di distribuzione e
commercializzazione di prodotti per l’abbigliamento.

 
lato, non configurano un benefit in capo al lavoratore e, dall’altro, sono da considerarsi
interamente deducibili ai fini del reddito di impresa, in quanto spese inerenti il
conseguimento degli scopi aziendali.

Trattamento contabile

Secondo il menzionato documento interpretativo n. I1 dell’OIC, le erogazioni


liberali di cui all’art. 100 del TUIR devono essere classificate alla voce B.9.e) del conto
economico, tra gli “altri costi del personale”.

Abbonamenti a riviste a Fornitore riviste 100

[voce B.9.e) di C.E.] [voce D.7) di S.P.]

Deducibilità ai fini IRAP

Stante la classificazione delle spese in parola tra i costi del personale (voce B.9)
di conto economico), le stesse risultano indeducibili ai fini IRAP.

Diversamente, ove si trattasse di spese inerenti lo svolgimento dell’attività di


205
impresa – non già, quindi, di benefit in capo al lavoratore – sarebbe garantita la
deducibilità IRAP.

Trattamento ai fini IVA

In linea generale, le fattispecie in rassegna rientrano nel novero delle operazioni


riconducibili al regime speciale del commercio dei prodotti editoriali di cui all’art. 74 del
DPR 633/72; in tale settore, l’applicazione dell’IVA avviene secondo il c.d. “sistema
monofase”, a mente del quale gli obblighi formali e sostanziali fanno capo
esclusivamente al soggetto che produce i beni o servizi, il quale assolve l’imposta sulla
base del prezzo finale di vendita al pubblico.

                                                            
205
Vd. sub nota 283.
 

 
Stante la specialità del regime “monofase” di cui si discute, per il datore di
lavoro, in relazione al sostenimento delle spese de quibus, non si pone evidentemente
alcun problema in termini di detrazione IVA.

6.5 Vacanze e viaggi

Al fine di poter inquadrare correttamente il trattamento tributario dei costi


sostenuti in relazione all’organizzazione di viaggi e vacanze, occorre preliminarmente
distinguere tra le seguenti due casistiche:

‐ i viaggi sono correlati ad esigenze di lavoro, come, ad esempio, l’addestramento


professionale, la partecipazione a meeting e congressi: in questo caso trovano
applicazione le disposizioni in tema trasferte, di cui all’art. 51, quinto comma, del
TUIR;
‐ l’azienda offre alla generalità dei dipendenti un viaggio a scopo ricreativo: in tal
caso, viene ad integrarsi la fattispecie di cui alla lett. f) in esame, con la
conseguente non tassabilità del compenso in natura in capo al lavoratore e
deducibilità, pur sempre nei limiti del 5 per mille delle spese per personale
dipendente, ai fini del reddito di impresa.

Si rammenta, in proposito, che detta fattispecie viene integrata anche nel caso in
cui il beneficiario del viaggio o soggiorno sia un familiare del dipendente, non solo il
lavoratore stesso (vedasi infra “Utilizzazione da parte del dipendente e dei suoi familiari
delle opere e servizi c.d. di “utilità sociale” – Trattamento in capo al dipendente”).

Trattamento contabile

Come sopra più ampiamente descritto, ove le spese in parola siano qualificabili
tra le fattispecie di cui all’art. 100 del TUIR, le stesse devono essere classificate alla voce
B.9.e) del conto economico, tra gli “altri costi del personale”.

Deducibilità ai fini IRAP

Si conferma, anche in questo caso, la classificazione delle spese de quibus tra i


costi del personale (voce B.9.e) di conto economico), cui consegue l’indeducibilità delle
stesse ai fini IRAP.
 

 
Trattamento ai fini IVA

In linea di principio, il regime IVA delle operazioni effettuate dalle agenzie di


viaggio e turismo è regolato dalle disposizioni di cui all’art. 74-ter del DPR 633/72.

Il momento impositivo delle operazioni effettuate dalle agenzie di viaggio e


turismo e rientranti nella disciplina speciale dell’art. 74-ter coincide con il pagamento
integrale del corrispettivo o, se antecedente, con l’inizio del viaggio o del soggiorno 206.

Per la detrazione dell’imposta (ove addebitata in fattura) da parte del datore di


lavoro, valgono le considerazioni esposte al sub paragrafo 6.4.

6.6 Servizi di educazione ed istruzione: i corsi di formazione e l’iscrizione ad albi


professionali

Nell’ambito delle opere e dei servizi messi a disposizione dal datore di lavoro ai
dipendenti possono essere annoverate diverse attività aventi finalità di educazione,
piuttosto che di istruzione o ricreazione.

Si pensi, ad esempio, all’iscrizione a corsi di formazione di natura extra-


professionale a favore di categorie di dipendenti i cui costi sono posti a carico
dell’azienda e che, a determinate condizioni, possono rientrare nell’egida della lett. f)
dell’art. 51 del TUIR (per quanto concerne l’esclusione dal reddito di lavoro dipendente)
e, correlativamente, dell’art. 100, primo comma, del TUIR (per quanto attiene la
deducibilità dal reddito di impresa).

Anche in questo caso, occorre, tuttavia, che siano rispettate le condizioni di


erogazione alla generalità dei dipendenti 207, che i servizi abbiano finalità ricreative o di
istruzione e che il datore provveda ad erogarli su base volontaria, non già in
adempimento ad un obbligo contrattuale.

                                                            
206
Non assumono rilevanza, quindi, i pagamenti in acconto.
207
I servizi di istruzione in parola possono, come detto, essere estesi anche ai familiari dei dipendenti.

 
L’analisi del trattamento tributario delle spese in parola non può, tuttavia,
prescindere da un corretto inquadramento della fattispecie tra gli “oneri di utilità sociale”,
piuttosto che tra i costi “inerenti” lo svolgimento dell’attività di impresa (e, in quanto tali,
integralmente deducibili); a tal fine, è opportuno verificare se il corso di formazione sia
funzionale allo svolgimento dell’attività lavorativa 208, ovvero non sia in alcun modo
legato alla stessa. Solo in tale ultima ipotesi, le spese sostenute dal datore di lavoro
possono essere annoverate tra gli “oneri di utilità sociale” e, come tali, seguire il
trattamento fiscale dettato dal combinato disposto dell’art. 51, secondo comma, lett. f) e
dell’art. 100, primo comma, del TUIR.

A titolo esemplificativo, può tornare utile la seguente suddivisione:

‐ corsi di formazione a carattere professionale: i corsi di lingue, di internet, di


marketing, o, più in generale, i corsi eminentemente tecnici non rappresentano mai
reddito per il beneficiario e sono considerati spese di produzione del reddito di
impresa (voce B.7) del conto economico), sia che essi siano offerti alla generalità dei
dipendenti, sia che siano svolti in forma individuale; alla stessa stregua dovrebbero
essere considerati i costi, direttamente sostenuti dal datore di lavoro, per l’iscrizione
del dipendente a particolari albi, condizione indispensabile per l’esercizio di
un’attività lavorativa (fattispecie di seguito meglio specificata);
‐ corsi di formazione a carattere extra-professionale: se offerti alla generalità dei
dipendenti, ovvero a categorie di essi, non costituiscono reddito tassabile per i
beneficiari e si considerano spese di lavoro deducibili dal reddito di impresa nel
limite del 5 per mille, secondo quanto disposto dall’art 100, primo comma, del
TUIR;
‐ corsi di formazione a carattere extra-professionale offerti ad personam e, quindi,
solo ad alcuni dipendenti: in questo caso, si configura fringe benefit tassabile come
reddito di lavoro dipendente per il beneficiario, mentre, in capo all’azienda,
costituiscono spese di lavoro deducibili dal reddito di impresa, ai sensi dell’art. 95
del TUIR.

                                                            
208
In questo caso, ovviamente, non rientrano i corsi di formazione, istruzione, etc. rivolti ai familiari del
dipendente, non potendo – per definizione – integrarsi il requisito di inerenza.

 
Come accennato, nell’ambito dei servizi ad “utilità sociale” aventi finalità di
istruzione può essere ricompresa anche l’ipotesi di iscrizione ad albi professionali, il cui
costo è rappresentato, ad esempio, dal tributo annuale per l’iscrizione ad un ordine
professionale. In questo caso, se il datore provvede a corrispondere al lavoratore
un’integrazione in busta paga a titolo di indennità o “ristoro” per la predetta iscrizione,
detta somma costituisce, a tutti gli effetti, retribuzione e, in quanto tale, concorre
interamente alla formazione del reddito di lavoro dipendente. Si è dell’opinione che,
anche nell’ipotesi in cui sia il datore di lavoro a sostenere direttamente il costo
dell’iscrizione all’albo professionale venga integrata la fattispecie del reddito in natura e,
pertanto, il lavoratore debba essere tassato secondo il criterio del “valore normale” (che,
nel caso di specie, si ritiene venga a coincidere con il costo di iscrizione medesimo).

Tuttavia, è ragionevole sostenere che, ove l’iscrizione all’albo professionale sia


strumentale allo svolgimento delle mansioni lavorative da parte del dipendente 209, i
relativi costi, se direttamente sostenuti dall’azienda, non configurino un compenso in
natura in capo al lavoratore e debbano essere considerati interamente deducibili, in quanto
inerenti.

In questa sede ci limitiamo, infine, ad accennare che eventuali somme erogate dal
datore di lavoro a titolo di borsa di studio a favore dei familiari dei dipendenti rientrano
nella regolamentazione di cui alla successiva lett. f-bis) del secondo comma dell’art. 51,
sulla cui trattazione si tornerà più ampiamente nel prosieguo; si tratta, invero, di una
fattispecie dettagliatamente disciplinata dalla predetta lett. f-bis) che, ove integrata,
consente di godere dell’esclusione dal reddito di lavoro dipendente del relativo benefit. Al
di fuori di quella specifica ipotesi (i.e.: somme a titolo di borsa di studio a favore dei
familiari dei dipendenti), la disciplina di cui alla lett. f) torna applicabile - lo si ribadisce -
solo nel caso in cui il datore di lavoro sostenga “direttamente” dei costi per l’iscrizione
dei dipendenti (rectius: della generalità dei dipendenti) o dei familiari degli stessi a corsi
aventi finalità di istruzione, educazione, etc., secondo le regole più ampiamente sopra
descritte.

Trattamento contabile
                                                            
209
Potrebbe essere il caso di un avvocato che, pur assunto alle dipendenze della società, sia autorizzato a
rappresentare, per determinate pratiche, la società medesima avanti i tribunali, per il cui accesso ed esercizio
è, evidentemente, necessaria la regolare iscrizione al relativo Ordine professionale di appartenenza.

 
I costi relativi a quote associative o di iscrizione ad albi professionali sono, per
espressa menzione ad opera del Documento Interpretativo del Principio Contabile n. 12,
iscritti nella voce B.9.e) di conto economico; si legge, infatti, nel menzionato Documento
che “… in questa voce si iscrivono tutti gli altri costi relativi, direttamente o
indirettamente, al personale dipendente, che non siano stati scritti nelle precedenti
sottovoci o nelle voci B6, B7 o B8… A titolo esemplificativo si indicano le seguenti: …
quote associative (es: quote di iscrizione ad ordini professionali, ad associazioni e circoli
privati vari)…”. Si ritiene che analogo trattamento contabile debba essere riservato anche
alle spese per l’iscrizione a corsi extra-professionali, così come sopra definiti.

Quote associative Debito vs/Ordine professionale 100


a
[voce B.9.e) di C.E.] [voce D.9) di S.P.]

Deducibilità ai fini IRAP

Si conferma, anche in questo caso, la classificazione delle spese in parola tra i


costi del personale (voce B.9.e) di conto economico), cui consegue l’indeducibilità delle
stesse ai fini IRAP.

6.7 Servizi di check-up medico-sanitari

Con la già menzionata Risoluzione 10 marzo 2004, n. 34/E, l’Agenzia delle


Entrate ha risposto ad un’istanza di interpello, con la quale il contribuente chiedeva di
conoscere il corretto trattamento fiscale applicabile all’ipotesi in cui il datore di lavoro
intendeva fornire a categorie di dipendenti (dirigenti e quadri) la possibilità di usufruire di
un servizio di check-up medico-sanitario, da utilizzare presso strutture mediche
specializzate, con le quali la società era intenzionata a stipulare apposite convenzioni.

In particolare, da un lato, il dipendente - peraltro non obbligato a usufruire del


servizio medico offerto - poteva rivolgersi direttamente alla struttura convenzionata più
vicina alla propria sede di lavoro, concordando con la stessa tempi e modalità di

 
prestazione del servizio; dall’altro, il datore di lavoro avrebbe provveduto al pagamento,
nella misura concordata, dei check-up effettivamente eseguiti dalle strutture mediche 210.

In relazione alla fattispecie esposta, la società istante chiedeva conferma


dell’esclusione dalla formazione della reddito di lavoro dipendente del “valore normale”
(rectius: delle somme corrisposte alle strutture mediche) per i servizi resi a favore dei
propri dipendenti.

Come si è già avuto modo di accennare, con detta pronuncia ministeriale


l’Agenzia delle Entrate ha superato le precedenti interpretazioni sul punto (vedasi per
tutte, Circolare 22 dicembre 2000, n. 238/E) - secondo cui l’agevolazione sarebbe stata
limitata alle sole opere e ai soli servizi messi a disposizione dei dipendenti e dei loro
familiari per mezzo di strutture di proprietà dell’impresa - ammettendo, invece, che
l’esclusione dalla tassazione va concessa anche nel caso in cui le strutture utilizzate siano
di “terzi” (c.d. servizi in outsourcing).

Trattamento contabile

Anche in quest’ipotesi, i costi in parola - qualificabili tra le fattispecie di cui


all’art. 100 del TUIR - devono essere classificati alla voce B.9.e) del conto economico,
tra gli “altri costi del personale”. Precisa, in proposito, il Documento Interpretativo del
Principio Contabile n. 12 che “… in questa voce si iscrivono tutti gli altri costi relativi,
direttamente o indirettamente, al personale dipendente, che non siano stati scritti nelle
precedenti sottovoci o nelle voci B6, B7 o B8… A titolo esemplificativo si indicano le
seguenti: … borse di studio a favore dei dipendenti e dei loro familiari”.

Borse di studio familiari dipendenti Cassa (o debito vs/dipendente) 100


a
[voce B.9.e) di C.E.] [voce D.9) di S.P.]

Deducibilità ai fini IRAP

                                                            
210
In tal modo, i dipendenti non sarebbero venuti a conoscenza del costo del servizio usufruito e non
avrebbero ricevuto, né direttamente, né indirettamente, alcuna somma di denaro da parte della società per
l’utilizzo di tali servizi.

 
Si conferma, anche in questo caso, la classificazione delle spese in parola tra i
costi del personale (voce B.9.e) di conto economico), cui consegue l’indeducibilità delle
stesse ai fini del tributo regionale.

Trattamento ai fini IVA

In linea di principio, le prestazioni sanitarie sono considerate operazioni esenti ai


sensi dell’art. 10, punto 18), del DPR 633/72, il quale sancisce il regime di esenzione da
IVA per le prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione rese alla persona
nell’esercizio delle professioni e arti sanitarie soggette a vigilanza (tra le quali, si ritiene,
possano essere ricondotte anche le prestazioni in commento). Pertanto, l’azienda che si
assume l’onere di provvedere al pagamento delle spese mediche per il check-up usufruito
dal dipendente riceverà una fattura recante il titolo di esenzione di cui sopra.

6.8 Somme erogate ai dipendenti per frequenza di asili nido e di colonie climatiche
da parte dei familiari dei dipendenti, nonché per borse di studio a favore dei
medesimi familiari

Come si è già avuto modo di accennare commentando la disposizione di cui alla


lett. f) dell’art. 51, con la modifica normativa apportata dal D.LGS. 505 del 1999, il
legislatore tributario ha novellato - razionalizzandola - la disciplina delle erogazioni
liberali con specifiche finalità (asili nido, colonie climatiche, borse di studio) rispetto a
quella della messa a disposizione dei dipendenti (e familiari di questi) delle c.d. “opere di
utilità sociale”.

Ed invero, l’art. 13, primo comma, lett. b), del menzionato D.LGS. 505 del 1999
ha, da un lato, riformulato la disposizione di cui alla lett. f) dell’art. 51 211, dall’altro,
introdotto - tra le somme che non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente -
la lett. f-bis) nell’ambito del medesimo art. 51, secondo comma, del TUIR.

La vigente formulazione della lett. f-bis) in commento prevede, quindi, che sono
escluse da tassazione in capo al lavoratore dipendente le somme (i.e.: denaro, assegni,
sussidi, …) “... erogate dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti per frequenza

                                                            
211
Sul punto, cfr. quanto precisato al sub paragrafo 6.1.

 
di asili nido e di colonie climatiche da parte dei familiari indicati nell’art. 12, nonché per
borse di studio a favore dei medesimi familiari”.

Rinviando a quanto più ampiamente descritto in precedenza a commento


dell’ambito soggettivo di applicazione della lett. f), in questa sede ci si limita a
rammentare che l’esclusione dal reddito delle somme de quibus è garantita nel caso in cui
le stesse siano destinate:

‐ alla generalità dei dipendenti, ovvero ad intere categorie omogenee di dipendenti;


‐ per la frequenza (di asili nido, di colonie climatiche e per l’erogazione di borse di
studio) a favore dei familiari dei dipendenti, così come indicati nell’art. 12 del
TUIR.

Sotto il profilo oggettivo, il tenore letterale della norma non lascia spazio a dubbi
interpretativi, consentendo la detassazione esclusivamente qualora si tratti di somme (i.e..
denaro, ...) destinate alla frequenza di:

‐ asili nido;
‐ colonie climatiche;
‐ borse di studio.

L’Amministrazione finanziaria, con la già citata Circolare n. 238/E, ha avuto


modo di chiarire che l’esclusione dal reddito di lavoro dipendente è concessa a
condizione che il datore di lavoro acquisisca e conservi la documentazione comprovante
l’utilizzo delle somme, per le finalità per le quali le stesse sono state corrisposte, da parte
del dipendente 212. Detta condizione risulta applicabile tanto nel caso in cui il datore di
lavoro provveda ad erogare direttamente le somme ai dipendenti, sia qualora l’azienda
rimborsi l’onere sostenuto – anticipatamente – dai lavoratori medesimi.

Trattamento fiscale per l’impresa

                                                            
212
Si tratta, ad esempio, della copia della ricevuta per il pagamento della retta di iscrizione annuale dei figli
agli asili nido, ovvero di quella attestante il pagamento del soggiorno del familiare alla colonia climatica. Ai
fini dell’esclusione in parola è, pertanto, opportuno che dalla citata documentazione risultino chiaramente i
nominativi del familiari dei dipendenti.

 
Per effetto di quanto disposto dall’art. 95, primo comma, del TUIR 213, le somme
erogate ai dipendenti ai sensi della lett. f-bis) in commento costituiscono spese per
prestazioni di lavoro e, in quanto tali, integralmente deducibili dal reddito di impresa.

Trattamento contabile

Le spese di cui trattasi, costituendo “liberalità” a favore dei dipendenti, integrano


la definizione di “altri costi”, da iscrivere alla voce B.9.e) di conto economico.

Trattamento ai fini IRAP

Le somme erogate dal datore di lavoro ai dipendenti ai sensi della lett. f-bis),
comma 2, dell’art. 51 costituiscono a tutti gli effetti parte integrante delle spese per
prestazioni di lavoro e, quindi, risultano indeducibili ai fini del tributo regionale.

6.9 Erogazioni liberali e sussidi occasionali: l’abrogazione della lett. b) del secondo
comma dell’art. 51 del TUIR

Sino al 28 maggio 2008, le erogazioni liberali concesse dal datore di lavoro ai


propri dipendenti in occasione di ricorrenze o festività 214 erano escluse dalla formazione
del reddito di lavoro dipendente, se di importo non superiore a Euro 258,23annui.

                                                            
213
Art. 95, comma 1, del TUIR: “Le spese per prestazioni di lavoro dipendente deducibili nella
determinazione del reddito [di impresa] comprendono anche quelle sostenute in denaro o in natura a titolo di
liberalità a favore dei lavoratori, salvo il disposto dell’art. 100, comma 1”.
214
Per effetto della sua abrogazione, la disposizione in commento risulta, ad oggi, non più applicabile. In
questa sede ci limitiamo a rammentare per sommi capi gli elementi principali richiesti dalla norma de qua. Al
riguardo, era stato affermato che la locuzione “festività o ricorrenze” dovesse essere intesa nella sua
accezione più ampia, comprendendo, quindi, tutte quelle situazioni in cui oggettivamente si è soliti celebrare
(festività religiose, civili, ricorrenze e festività del dipendente o dell’azienda, raggiungimento di particolare
anzianità, apertura di una nuova sede, fusione con un’altra società, matrimonio o nascita di un figlio). Dette
erogazioni dovevano, tuttavia, essere rivolte a tutti i dipendenti o categorie di dipendenti che si fossero trovati
nella medesima situazione di fatto (ad esempio, nei casi in cui il datore di lavoro è solito fare un regalo a tutti
i dipendenti che si sposano o a tutti quelli ai quali nasce un figlio). Per il requisito della “generalità o
categorie di dipendenti”, tornava utile l’ormai consolidata interpretazione ministeriale, secondo cui il
riferimento è a tutti i dipendenti di un certo tipo (ad esempio, tutti i dirigenti, o tutti quelli che hanno un certo
livello o una certa qualifica). In relazione alla precipua fattispecie dei sussidi, era stato precisato che il
sussidio doveva far fronte ad uno stato di bisogno del dipendente, cioè di un soggetto che si fosse trovato in
momentanee e difficili condizioni economiche a causa di “rilevanti” esigenze personali o familiari (ad
esempio, lutto familiare, malattia del dipendente o di un familiare che avesse richiesto cure molto costose,
eventi eccezionali quali incendio, furto, alluvione, etc. che avessero comportato il danneggiamento
dell’abitazione, ...). Trattandosi di liberalità, le erogazioni ed i sussidi in parola non dovevano, ovviamente,
essere previsti come obbligatori da contratti collettivi, accordi o regolamenti aziendali.

 
Più precisamente, la lett. b) del secondo comma dell’art. 51 – abrogata ad opera
della L. 27 maggio 2008, n. 93 – disponeva che fossero escluse da tassazione le “...
erogazioni liberali concesse in occasione di festività o ricorrenze alla generalità o a
categoria dei dipendenti non superiori nel periodo di imposta a Euro 258,23 nonché i
sussidi occasionali concessi in occasione di rilevanti esigenze personali o familiari del
dipendente e quelli corrisposti a dipendenti vittime dell’usura ai sensi della legge 7
marzo 1996, n. 108, o ammessi a fruire delle erogazioni pecuniarie a ristoro dei danni
conseguenti a rifiuto opposto a richieste estorsive ai sensi del decreto-legge 31 dicembre
1991, n. 419, ...”.

Con la disposizione (abrogata) di cui alla lett. b) in commento, al lavoratore


dipendente era, quindi, consentito beneficiare di una “duplice” soglia di esenzione
complessivamente pari a Euro 516,46 215, giacché costituita dal predetto importo di Euro
258,23 per le erogazioni liberali concesse in occasione di festività o ricorrenze e a quello
generale di Euro 258,23 per i compensi in natura 216.

A partire, quindi, dal 29 maggio 2008, ogni sussidio o erogazione liberale


concesso dal datore di lavoro ai propri dipendenti, sia esso erogato ad personam o nei
confronti della generalità di essi, ed indipendentemente dalla ricorrenza o festività, rientra
nel novero generale dei “compensi in natura”, escluso dalla formazione del reddito di
lavoro dipendente se ed in quanto compreso – unitamente a tutti gli altri benefit – nel
plafond complessivo di Euro 258,23.

COMPONENTI CHE CONCORRONO A FORMARE IL REDDITO

Come si è avuto più volte modo di sottolineare, il primo comma dell’art. 51 del
TUIR definisce il principio di “onnicomprensività” del reddito di lavoro dipendente e
attrae a tassazione tutte le somme ed i valori - intendendo con tale locuzione la
quantificazione dei beni e dei servizi - che il lavoratore percepisce nel periodo d’imposta,
a qualunque titolo, in relazione al rapporto di lavoro.

                                                            
215
In tal senso, Circolare Assonime n. 11/2009, pag. 8 e segg.
216
Giova, peraltro, rammentare che mentre l’importo di Euro 258,23 delle liberalità di cui all’abrogata lett. b)
in commento costituiva una “franchigia”, al superamento della quale solo gli importi eccedenti veniva
assoggettati ad imposizione, nel caso di superamento del limite generale (sempre pari a Euro 258,23) di cui al
terzo comma dell’art. 51 vi è il concorso a tassazione dell’intero importo del benefit.

 
Il successivo terzo comma dell’art. 51 del TUIR individua i criteri generali di
quantificazione dei redditi in natura, richiedendo che gli stessi siano valorizzati secondo il
criterio del “valore normale” di cui all’art. 9, terzo comma, del TUIR. Rinviando al primo
capitolo del presente lavoro per un’analisi più puntuale della nozione di “valore normale”,
in questa sede ci si limita a rammentare che la determinazione del valore di beni ceduti e
dei servizi prestati al dipendente è operata avendo quale riferimento il prezzo o
corrispettivo “... mediamente praticato per i beni ed i servizi della stessa specie o
similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di
commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquistati e,
in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi”.

Nei paragrafi che seguono, verranno esaminati più in dettaglio i criteri di


determinazione del “valore normale” di specifici beni ceduti e servizi prestati a favore dei
dipendenti e analizzate le fattispecie più in uso nella prassi aziendale o maggiormente
significative ai fini dell’individuazione del “valore normale”; in particolare, saranno prese
in esame le seguenti ipotesi:

‐ cessione ai dipendenti di beni (e servizi) prodotti o commercializzati


dall’azienda:
o gli sconti operati sulle cessioni di beni;
o gli sconti tariffari sulle prestazioni di servizi (il caso degli ex dipendenti);
‐ concessione in uso di beni strumentali dell’azienda:
o i cellulari e i personal computer;
o gli accessori e gli indumenti da lavoro.

6.10 La cessione ai dipendenti di beni prodotti o commercializzati dall’azienda

Tra le aziende, è alquanto diffusa la prassi di cedere ai propri dipendenti,


gratuitamente ovvero a condizioni agevolate, i beni prodotti o commercializzati
dall’azienda medesima.

 
In questo contesto, il criterio della determinazione del “valore normale” assume
una fondamentale importanza, giacché diviene il termine di paragone utilizzato ai fini
della quantificazione dell’eventuale fringe benefit in capo al lavoratore dipendente.

Ed invero, l’art. 51 del TUIR considera come facenti parte della base imponibile
da assoggettare a tassazione IRPEF “… tutte le somme e i valori in genere, a qualunque
titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in
relazione al rapporto di lavoro”. Pertanto, se è vero che qualsiasi somma (i.e.: denaro)
erogata dal datore di lavoro in relazione al rapporto di lavoro medesimo – e non
riconducibile alle tassative esenzioni di cui al secondo comma dell’art. 51 del TUIR –
concorre a formare la base imponibile del reddito di lavoro, è altresì vero che ove al
lavoratore venga erogato un compenso in natura, questo, per essere tassato, debba essere
“quantificato in denaro”, giacché solo in tal caso verrà a costituirsi un benefit.

Il terzo comma del menzionato art. 51 del TUIR individua due criteri per la
determinazione del valore da assoggettare a tassazione dei beni concessi ai dipendenti (e
ai collaboratori), distinguendo, a tal fine, il caso in cui i beni ed i servizi siano prodotti
dall’impresa, dal criterio generale riguardante tutti gli altri beni. Più in dettaglio, facendo
– come già detto – espresso rinvio alle disposizioni di cui all’art. 9, terzo comma, del
TUIR, viene sancito che:

- per i beni prodotti dall’impresa e ceduti ai dipendenti, la norma definisce quale


“valore” il “prezzo mediamente praticato dalla stessa azienda nelle cessioni al
grossista”. In tale ipotesi, si deve, quindi, avere riguardo, ove possibile, ai listini
praticati dell’imprenditore. Dal tenore letterale della disposizione - che fa
riferimento al prezzo applicato ai grossisti - si ritiene che la norma non sia
applicabile alle imprese che producono esclusivamente per la vendita al dettaglio
e a quelle che effettuano la mera commercializzazione dei beni. Il dettato
normativo – nella parte in cui fa riferimento al prezzo mediamente praticato –
esclude, altresì, che in questa ipotesi si possa tener conto degli sconti d’uso (così
come degli sconti adottati solo in particolari periodi dell’anno) 217;
- per gli altri beni (diversi, cioè, da quelli prodotti dall’azienda), occorre riferirsi al
criterio del “valore normale”, identificato, per effetto del rinvio operato all’art. 9
                                                            
217
In tal senso, cfr. la più volte menzionata Circolare n. 326/E/1997.

 
del TUIR, nel “prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi
della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo
stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono
stati acquisiti o prestati e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi”. La
norma prescrive che, quando possibile, si devono assumere i listini o le tariffe del
soggetto che ha fornito i beni o servizi e, in mancanza, le mercuriali e i listini
delle camere di commercio ed alle tariffe professionali. Diversamente da quanto
previsto nel caso dei beni “prodotti” dall’azienda, in questa fattispecie è, invece,
possibile tener conto degli sconti d’uso 218, nonché di apposite convenzioni
ricorrenti nella prassi commerciale stipulate dal datore di lavoro 219.

Sconti concessi ai dipendenti sulla cessione di beni

Si è già avuto modo di precisare che per i beni prodotti dall’azienda e ceduti ai
dipendenti il “valore normale” è determinato in misura pari al prezzo mediamente
praticato dalla stessa azienda nelle cessioni ai grossisti senza tener conto degli sconti
d’uso; di converso, nel caso della cessione di altri beni per “valore normale” si deve
intendere il prezzo mediamente praticato per i beni della stessa specie o similari, ceduti in
condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, facendo
riferimento ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni e tenendo conto degli
sconti d’uso.

La tematica della “scontistica” operata dal datore di lavoro in relazione alla


cessione dei beni o alla prestazione di servizi al personale dipendente in ragione delle
modalità e dei parametri quantitativi con cui viene operata, rileva tanto ai fini della
determinazione del reddito di lavoro dipendente (in termini di determinazione di un
eventuale fringe benefit), quanto ai fini della deducibilità del relativo costo dal reddito di
impresa.

Pertanto, nel caso in cui, ad esempio, il datore di lavoro decida di concedere in


via esclusiva ai propri dipendenti uno sconto 220 sull’acquisto di beni (prodotti o

                                                            
218
Sul punto, si veda quanto approfondito nei paragrafi che seguono.
219
Si veda, in tal senso, la recente Risoluzione 29 marzo 2010, n. 26/E, meglio commentata nel prosieguo.
220
Sulla rilevanza dello “sconto” quale forma di integrazione della retribuzione in denaro corrisposta al
lavoratore, si veda la recente Risoluzione 29 maggio 2009, n. 137/E – più oltre commentata - ove
l’Amministrazione ha precisato che “… trattasi, in particolare, di compensi in natura, consistenti in beni o
 

 
commercializzati), l’ammontare dello sconto medesimo, rispetto al normale prezzo di
vendita praticato (rispettivamente, al grossista, per i beni prodotti, o al “pubblico”, per
quelli commercializzati dall’azienda), viene considerato reddito in natura in capo al
dipendente, qualora superi, nell’anno, l’importo di Euro 258,23.

Peraltro, secondo la Circolare 16 luglio 1998, n. 188/E, così come richiamata


dalla nota Assonime n. 11/2009, “costituisce reddito per il lavoratore dipendente
qualsiasi beneficio che lo stesso ottenga, in relazione al rapporto di lavoro, anche da
soggetti terzi. Non rileva, dunque, il fatto che non sia il datore di lavoro a concedere il
benefit in prima persona ma si attivi per farlo concedere da un soggetto terzo: il
coinvolgimento del datore di lavoro nell’operazione, infatti, fa comunque scattare il
presupposto impositivo del reddito di lavoro dipendente in capo al lavoratore, il quale
verrà dunque tassato per il beneficio ottenuto né più né meno che se l’avesse
direttamente ricevuto dal datore di lavoro”.

La citata nota Assonime n. 11/2009 afferma, inoltre, che “nell’ipotesi in cui gli
sconti non provengano dal datore di lavoro ma siano concessi da terzi, diventa, tuttavia,
necessario verificare se il datore di lavoro rifonda o meno ai fornitori una determinata
percentuale dei prezzi praticati. Solo se vi è un concorso del datore di lavoro alla spesa,
si può sostenere con sicurezza l’emersione di un reddito imponibile in capo ai dipendenti
che usufruiscono dello sconto. Se tale concorso non vi è, non dovrebbe ravvisarsi, in
linea di principio, alcun collegamento con il rapporto di lavoro: lo sconto potrebbe,
infatti, essere determinato esclusivamente da politiche commerciali degli esercizi che li
concedono e il rapporto di lavoro avrebbe l’unica e occasionale funzione di identificarne
i fruitori. Questo, secondo autorevole dottrina, sarebbe l’unico vero parametro per
escludere l’inerenza di questo beneficio al contesto lavorativo e, conseguentemente,
l’imponibilità. Per altri autori sarebbe, invece, sufficiente, per configurare l’imponibilità
del benefit, l’esistenza di un accordo tra il datore e terzo erogatore, non risultando
necessario che il coinvolgimento del datore di lavoro giunga fino al sostenimento di
oneri a proprio carico”.

                                                                                                                                                                   
servizi, anche prodotti dallo stesso datore di lavoro, ovvero in sconti particolari sull’acquisto di tali beni e
servizi”.

 
Con riferimento alla quantificazione del fringe benefit, l’Amministrazione
finanziaria (con Risoluzione 16 marzo 2000 n. 35/E e Risoluzione 18 gennaio 2002 n.
13/E) 221 ha precisato che le agevolazioni, rappresentate da “sconti” concessi ai
dipendenti, costituiscono reddito tassabile in capo a questi ultimi per la differenza tra il
prezzo e/o la tariffa applicato al pubblico 222 - che può risultare maggiormente similare 223,
tenuto conto dei servizi offerti - e l’importo pagato dal dipendente 224. Inoltre, con la
recente Risoluzione 29 marzo 2010, n. 26/E, par. 3, l’Agenzia delle Entrate ha affermato
che “ai fini della determinazione del valore normale, la medesima disposizione rinvia, tra
l’altro, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o servizi, tenendo conto,
altresì, di eventuali sconti d’uso. In considerazione del tenore letterale delle riportate
disposizioni, non è possibile attribuire rilevanza, in via interpretativa, a criteri alternativi
di valorizzazione dei beni o servizi offerti ai dipendenti. In conformità alla regola
generale prevista dall’art. 9, comma 3 - che tiene conto, ai fini della determinazione del
valore normale, anche degli sconti d’uso – si può, peraltro, ritenere che il valore normale
di riferimento, per i beni e servizi offerti dal datore di lavoro ai dipendenti, possa essere
costituito dal prezzo scontato che il fornitore pratica sulla base di apposite convenzioni
ricorrenti nella prassi commerciale, compresa l’eventuale convenzione stipulata con il
datore di lavoro”.

La Risoluzione da ultimo menzionata parrebbe, quindi, fornire un’interpretazione


di più ampio respiro ai fini della determinazione del “valore normale” - e, più
precisamente, della rilevanza dello sconto - superando in parte le indicazioni fornite
dall’Amministrazione finanziaria nella Risoluzione n. 13/E/2002, ove era stato affermato
che “… la scrivente non ritiene condivisibile la tesi secondo cui la vendita dei biglietti
                                                            
221
I casi sottoposti dalle società istanti all’attenzione dell’Amministrazione finanziaria riguardavano l’ipotesi
di vendita ai propri dipendenti di biglietti aerei a prezzi scontati (anche fino al 90%).
222
I menzionati interventi di prassi ministeriale si riferscono a beni/servizi diversi da quelli prodotti
dall’impresa, per i quali invece – come detto – il parametro di riferimento per la determinazione del “valore
normaleӏ il prezzo praticato ai grossisti.
223
Vedasi, in proposito, commento di MACCARONE, Il fringe benefit deve valutare anche gli sconti, in “Il
Sole-24 Ore” del 18 marzo 2010, pag. 34.
224
In questo contesto, si riporta l’intervento di Assonime, con propria circolare 7 aprile 1998 n. 25 “... avrà
rilievo l’intendimento del datore di lavoro, che potrebbe anche essere diverso da quello meramente
retributivo, intendendo, invece, attraverso cessioni ai propri dipendenti, aumentare il proprio fatturato di
vendita o smaltire il magazzino o ricercare un ampliamento delle quote di mercato, trovando così,
l’erogazione del bene giustificazione nell’ambito di un normale rapporto di fornitura, di vendita, ecc. ...”.
Tale interpretazione normativa, ancorché apprezzabile sotto il profilo dell’analisi ermeneutica della norma,
appare alquanto rischiosa, giacché – in fase di contradditorio o verifica promossa dall’Amministrazione
finanziaria – dimostrare il vero “intendimento” del datore di lavoro potrebbe risultare oltremodo difficoltoso.

 
del settore … effettuata a prezzi favorevoli esclusivamente ai dipendenti delle [altre]
compagnie di volo non sia collegata alla sussistenza del rapporto di lavoro ma
rappresenti un autonomo mercato di vendita” 225.

In definitiva, alla luce di quanto si può astrattamente desumere dalle citate


interpretazioni fornite dall’Amministrazione finanziaria, nel caso in cui l’azienda conceda
ai propri dipendenti “sconti” sull’acquisto di beni (siano essi prodotti o commercializzati
dall’azienda stessa) per un importo più vantaggioso rispetto al prezzo mediamente
praticato al grossista (per i beni prodotti) o nella “prassi commerciale” 226 (per gli altri
beni), si verrà a configurare un benefit aggiuntivo e, quindi, il presupposto di
assoggettamento ad IRPEF dello stesso; ovviamente, qualora il dipendente contribuisca al
pagamento, anche parziale, del bene, la base imponibile è costituita solo dalla differenza
tra il “valore normale” e la somma erogata dal dipendente.

Infine, lo si ribadisce anche in questa sede, non concorre alla formazione del
reddito di lavoro dipendente, per espressa previsione normativa, il valore dei beni ceduti,
se di importo complessivamente non superiore, nel periodo di imposta, ad Euro 258,23 227;
se il predetto valore è superiore al citato limite, lo stesso concorre interamente a formare
il reddito.

Sconti tariffari sulle prestazioni di servizi (il caso degli ex dipendenti)

Il concetto di fringe benefit rappresentato dagli sconti concessi su beni e servizi


forniti ai dipendenti assume rilievo - come detto - se concesso “in relazione al rapporto di
lavoro” 228; secondo l’Amministrazione finanziaria, a detta locuzione non deve essere data
lettura riduttiva e, quindi, limitata sotto il profilo oggettivo, estendendo la stessa tanto agli
emolumenti percepiti in costanza di rapporto di lavoro, quanto a quelli conseguiti dopo la
cessazione del rapporto di lavoro.
                                                            
225
Resta, in ogni caso, valido il principio, ribadito nella menzionata Risoluzione n. 13/E/2002, secondo cui
ogniqualvolta l’attribuzione dello “sconto” al lavoratore rappresenti la concessione di una sostanziale
gratificazione collegata al rapporto di lavoro e solo a lui esclusivamente concessa, lo “sconto”, da un punto di
vista fiscale, concorre alla formazione del reddito imponibile del dipendente medesimo.
226
Tenendo conto – come detto – anche di apposite eventuali convenzioni stipulate dal datore di lavoro con il
fornitore del bene/servizio.
227
Nel computo va considerata anche l’IVA a carico del dipendente.
228
A mente dell’art. 51 del TUIR, che assoggetta a tassazione tutte “... le somme e i valori in genere …
percepiti nel periodo di imposta … in relazione al rapporto di lavoro …”.

 
In questo senso si è espressa l’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione 29
maggio 2009, n. 137/E; ivi l’istante (un Ente previdenziale) ha chiesto se, in qualità di
sostituto di imposta, dovesse continuare ad operare, sulla prestazione pensionistica, le
ritenute per quella parte di reddito qualificabile come fringe benefit, erogato sotto forma
di sconto tariffario sul prezzo di somministrazione dell’energia elettrica. Nella
menzionata Risoluzione si legge, infatti, che “… costituiscono reddito da lavoro
dipendente tutte le somme e i valori che il dipendente (o pensionato) percepisce nel
periodo di imposta, a qualunque titolo, in relazione al rapporto di lavoro, e, quindi, tutte
le erogazioni che siano in qualche modo riconducibili al rapporto di lavoro, a
prescindere dalla esistenza di un attuale vincolo sinallagmatico con la prestazione
lavorativa. In altri termini, vi rientrano a pieno titolo quelle elargizioni che trovano la
loro origine e giustificazione nel rapporto di lavoro dipendente, ancorché la materiale
corresponsione avvenga successivamente alla cessazione del rapporto medesimo. In tali
ipotesi, ha specificato la richiamata Circolare n. 1 del 19.01.2007, qualora l’ex datore di
lavoro continui ad erogare compensi in natura all’ex dipendente pensionato, il primo
sarà tenuto a comunicare all’ente pensionistico il valore dei compensi in natura erogati,
al fine di consentirne l’assoggettamento a tassazione unitamente al reddito derivante dal
trattamento pensionistico erogato”.

Sotto il profilo operativo, un’azienda che “eroghi” lo sconto tariffario all’ex


dipendente è, quindi, tenuta a fornire all’ente previdenziale il valore del fringe benefit
(determinato secondo le disposizioni di cui all’art. 9 del TUIR), affinché quest’ultimo
operi il prelievo fiscale, unitamente alla pensione, secondo le stesse modalità che
verrebbero applicate al dipendente in servizio 229.

6.11 La messa a disposizione di beni strumentali dell’azienda

È, altresì, frequente che, nella prassi aziendale, il datore di lavoro conceda in uso
al dipendente determinati beni; a differenza delle fattispecie analizzate nei paragrafi
precedenti, in questo caso si tratta non già di “cessione” di beni o servizi, bensì di

                                                            
229
Cfr. la rivista telematica a cura dell’Agenzia delle Entrate “Fiscooggi” (www.fiscooggi.it) del 29 maggio
2009.

 
“concessione in uso” (ad esempio, mediante un contratto di comodato 230) dei beni
medesimi.

In tale contesto, quindi, assume rilievo fondamentale verificare se i cespiti messi


a disposizione del lavoratore siano utilizzati per finalità esclusivamente aziendali, ovvero
se tali beni possono essere utilizzati dal dipendente anche per scopi personali.

Nella prima delle sopraelencate ipotesi (scopo esclusivamente aziendale), è


evidente che non si generi, in capo al dipendente, alcun benefit e che la disciplina
applicabile, ai fini della deducibilità dal reddito di impresa per le spese inerenti il bene
concesso, non subisca alcuna deroga rispetto a quella ordinaria che consente l’integrale
deduzione del costo in parola dall’imponibile.

Diversamente, nel caso in cui la concessione del cespite, gratuita o parzialmente


gratuita, assuma anche carattere personale, per il dipendente si può configurare un
compenso “in natura”, che concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente
secondo il più volte menzionato criterio del “valore normale” di cui all’art. 9 del TUIR.

Nei paragrafi che seguono, ci si limiterà a descrivere solo alcune delle fattispecie
che possono essere comunemente adottate dalle aziende, ben sapendo che la casistica
riscontrabile nella prassi possa risultare ben più differenziata.

In questa sede, giova ribadire che, al fine qualificare correttamente le ipotesi che
configurano benefit rispetto a quelle che rappresentano un costo “strumentale” per
l’azienda, risulta oltremodo necessario individuare sin d’origine le reali finalità che
intende perseguire il datore di lavoro all’atto della messa a disposizione del cespite e,
contestualmente, l’esistenza di un beneficio in capo al lavoratore.

Telefoni cellulari e personal computer

                                                            
230
Con il contratto di comodato, regolato dall’art. 1803 del codice civile, una parte (comodante) consegna
all’altra (comodatario) una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o uso determinato, con
l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta. Il comodato è un contratto essenzialmente gratuito; tuttavia, si
ritiene che il requisito della gratuità non venga meno qualora sia posto a carico del comodatario il “ristoro” di
alcune prestazioni accessorie.

 
Nel contesto imprenditoriale, l’assegnazione di telefoni cellulari ai lavoratori
dipendenti configura indubbiamente uno strumento utile, cui fanno ricorso sempre più
aziende, al fine di garantire un adeguato grado di efficienza.

La concessione in uso del telefono cellulare al personale dipendente solleva,


peraltro, talune problematiche di carattere fiscale, in relazione alla quantificazione
dell’eventuale reddito in natura tassabile in capo al lavoratore stesso, sia per quanto
riguarda la mera assegnazione del cespite, sia in merito all’utilizzo del servizio di
telefonia (utenza). E se è vero che l’utilizzo, per finalità personali, del cellulare da parte
del lavoratore configura astrattamente un benefit da assoggettare a tassazione, è alquanto
problematico procedere alla determinazione del quantum tassabile (i.e.: della
quantificazione in denaro del compenso in natura), soprattutto se si tiene conto che con
l’utilizzo delle nuove tecnologie 231 può risultare oggettivamente difficile individuare un
importo riconducile all’uso personale del predetto bene.

Più in dettaglio, in ragione delle modalità con cui viene utilizzato l’apparecchio
telefonico è possibile distinguere le seguenti fattispecie:

‐ utilizzo per finalità professionali: nel caso di assegnazione del cellulare


esclusivamente per svolgere l’attività lavorativa, dal punto di vista fiscale non si
configura alcun benefit in quanto il telefono rappresenta unicamente il mezzo
necessario per l’espletamento dell’attività lavorativa; infatti, la possibilità di
utilizzare il telefono cellulare sarebbe limitata alle comunicazioni “da e verso” la
sede della società, le filiali, uffici o, più in generale, gli stabilimenti dell’azienda,
nonché da e verso soggetti legati all’azienda concedente per le comunicazioni di
lavoro 232;
‐ utilizzo per finalità esclusivamente personali: l’assegnazione del telefono cellulare a
fini esclusivamente personali determina l’insorgere in capo al dipendente di un
reddito tassabile; in questo caso, il “valore normale” può essere ragionevolmente
quantificato assumendo la tariffa che il dipendente sosterrebbe sul mercato per poter

                                                            
231
Ci si riferisce, ad esempio, alla possibilità di navigazione in internet, invio di SMS e MMS, etc.
232
L’utilizzo meramente aziendale del servizio di telefonia mobile potrebbe essere, peraltro, garantito dalla
messa a disposizione di telefoni cellulari dotati di codici di blocco per le telefonate in uscita, esterne, cioè, al
circuito aziendale.

 
usufruire dei medesimi servizi 233. Anche con riferimento all’assegnazione 234 del
cellulare, inteso come hardware, il benefit potrebbe essere quantificato avendo a
riferimento i canoni comunemente praticati dalle imprese di noleggio di
apparecchiature telefoniche, in ragione del periodo di disponibilità degli stessi 235;
‐ utilizzo promiscuo: nel caso, verosimilmente più diffuso nella prassi aziendale, di
concessione di un telefono cellulare utilizzato dal dipendente per finalità anche
private, si viene a configurare un fringe benefit in capo al lavoratore, da quantificarsi
in base al “valore normale”; tuttavia, in questa fattispecie, ove la società non
predisponga un sistema in grado di distinguere puntualmente il traffico telefonico
personale da quello aziendale, risulta alquanto difficoltoso poter individuare il
quantum del beneficio ritraibile in capo al dipendente. Un criterio attuabile potrebbe
essere quello di individuare quale “valore normale” il canone telefonico sostenuto
dall’azienda per quell’utenza e “imputarlo” al dipendente in base a criteri forfetari 236
che possano ragionevolmente rispecchiare la percentuale di utilizzo del traffico
privato rispetto a quello professionale.

Ove, nell’ipotesi di utilizzo promiscuo e di utilizzo esclusivamente personale, il


datore di lavoro provveda a riaddebitare al dipendente il costo, o quota parte del costo,
riferibile al traffico telefonico privato del cellulare, l’eventuale “compenso in natura” è
ovviamente limitato alla differenza tra il “valore normale” ed il rimborso richiesto al
dipendente.

Le considerazioni sopra esposte relative all’assegnazione del telefono cellulare


possono essere assunte anche con riguardo al personal computer concesso in uso al
dipendente. In quest’ipotesi, si può ragionevolmente sostenere che l’utilizzo
dell’hardware non comporti alcun “compenso in natura” (assumendosi, per lo stesso, un
uso strettamente professionale), mentre per la fruizione di eventuali servizi ad esso

                                                            
233
Cfr. FALCONI - MARIANETTI, L’assegnazione di telefoni cellulari a lavoratori dipendenti, in “Corriere
tributario” 2007-40, pag. 3236 e segg.
234
Analoghe considerazioni varrebbero in caso di cessione del cellulare; in tale ipotesi, potrebbero – ove si
integrasse la relativa ipotesi - tornare utili le considerazioni svolte nei precedenti paragrafi in relazione alla
cessione di beni aziendali o alla tematica degli sconti.
235
Cfr. SIROCCHI, in Tutto Trasferte, rimborsi e fringe benefit, Il Sole 24 Ore, 2009, pag. 90.
236
In proposito, si suggerisce di adottare una procedura aziendale che risulti applicabile secondo criteri
omogenei ed oggettivi per tutti i dipendenti (o categorie di essi). Si ritiene, peraltro, che l’onere di provare
una diversa “percentuale di utilizzo” gravi sull’Amministrazione finanziaria.

 
correlati possono trovare applicazione, ove se ne ipotizzi un utilizzo promiscuo, le regole
sopradescritte (si pensi, ad esempio, all’uso della rete internet per finalità extra-
professionali, alla gestione di e-mail personali, etc.).

Deducibilità ai fini del reddito d’impresa delle spese di telefonia e dei personal
computer

Come noto, la Legge Finanziaria per il 2007 237 ha aumentato, con decorrenza dal
periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2006, il limite di
deducibilità delle spese di telefonia mobile dal 50% all’80% 238. Detta limitazione si
applica indipendentemente dal fatto che il telefono cellulare sia concesso, o meno, in uso
ai dipendenti.

L’Amministrazione finanziaria ritiene che il limite imposto dalla norma abbia


carattere di presunzione assoluta e non ammette, quindi, prova contraria 239.

Sotto il profilo della tipologia dei costi, l’Agenzia delle Entrate ha avuto modo di
chiarire che il predetto limite dell’80% si applica anche ai costi relativi a beni (materiali
ed immateriali, ivi compreso il software) utilizzati per la connessione telefonica operata
nell’ambito dell’attività imprenditoriale, limitatamente a quelli indispensabili per il
collegamento a tali linee telefoniche.

I costi relativi ai computer e personal computer si considerano, invece,


interamente deducibili secondo le disposizioni generali di cui all’art. 102 del TUIR. In
merito a tali tipologie di spesa, giova, tuttavia, rammentare che l’Agenzia delle Entrate 240
- interpellata sul corretto trattamento dei costi di telefonia in relazione all’ipotesi del
modem o del router Adsl “contenuto” all’interno di un personal computer - ha avuto
modo di chiarire che, in dette fattispecie, occorre distinguere tra:
                                                            
237
Art. 1, commi 401 e 402, della L. 296/2006.
238
In tal senso, il comma 9 dell’art. 102 del TUIR: “… Le quote d'ammortamento, i canoni di locazione
anche finanziaria o di noleggio e le spese di impiego e manutenzione relativi ad apparecchiature terminali
per servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico di cui alla lettera gg) del comma 1 dell'articolo 1
del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 , sono
deducibili nella misura dell'80 per cento. La percentuale di cui al precedente periodo è elevata al 100 per
cento per gli oneri relativi ad impianti di telefonia dei veicoli utilizzati per il trasporto di merci da parte di
imprese di autotrasporto limitatamente ad un solo impianto per ciascun veicolo”.
239
Risoluzione 27 luglio 2007, n. 190/E e Risoluzione 23 maggio 2008, n. 214/E.
240
Risoluzione 17 maggio 2007, n. 104/E.

 
‐ i costi relativi ad un personal computer che “include” il modem o il router Adsl: in
questo caso, il personal computer concorre alla formazione del reddito di impresa
secondo le ordinarie disposizioni di cui all’art. 102 del TUIR;
‐ i costi dei servizi telefonici, compresi quelli afferenti a beni strettamente correlati
alla telefonia (ammortamenti, canoni di locazione anche finanziaria e di noleggio,
spese di impiego e manutenzione) relativi a beni (materiali, immateriali, compreso
il software) utilizzati per la “connessione telefonica”, che si considerano, invece,
deducibili limitatamente all’80% del costo.

Trattamento ai fini IVA delle spese di telefonia e dei personal computer

Il comma 261, lett. e), della Legge Finanziaria 2008 ha abrogato la lett. g)241
dell’art. 19-bis1, DPR 633/72, cancellando, con effetto dal 1° marzo 2008, i previgenti
limiti oggettivi che consentivano la detrazione dell’IVA sull’acquisto e utilizzo di telefoni
cellulari limitatamente al 50%; con le nuove disposizioni, la detraibilità dell’IVA
afferente alle spese de quibus sostenute nell’ambito dell’attività di impresa è ammessa in
misura piena, purché le spese siano rispondenti alle regole generali di inerenza 242, di cui
all’art. 19 del decreto IVA.

                                                            
241
L’abrogata lett. g) dell’art. 19-bis1 del DPR 633/72 così recitava: “In deroga alle disposizioni dell’art. 19:
[…] g) l'imposta relativa all'acquisto, all'importazione, alle prestazioni di servizi di cui al terzo comma
dell'articolo 16, nonché alle spese di gestione, di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile
pubblico terrestre di comunicazioni soggette alla tassa sulle concessioni governative di cui all'articolo 21
della tariffa allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641, come sostituita dal
decreto del Ministro delle finanze 28 dicembre 1995 , pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 303 del 30
dicembre 1995, è ammessa in detrazione nella misura del 50 per cento; la predetta limitazione non si applica
agli impianti di telefonia dei veicoli utilizzati per il trasporto di merci da parte delle imprese di autotrasporto
limitatamente ad un solo impianto per ciascun veicolo”.
242
Sul concetto di inerenza, vedasi quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare 19 febbraio
2008, n. 12/E, in risposta ad un quesito in merito alla detrazione IVA: “D. Una società ha dato in uso ai
propri dipendenti cellulari aziendali. Il costo del traffico telefonico per le chiamate tra dipendenti o tra i
dipendenti d alcuni numeri di rete fissa aziendali è ha carico della società, mentre i dipendenti hanno la
possibilità di effettuare del traffico "privato" che viene fatturato direttamente a loro dalla compagnia
telefonica. Si chiede se sia corretto detrarre interamente l'imposta sia per il traffico "aziendale" che per
l'acquisto del telefono cellulare in quanto l'utilizzo privato da parte dei dipendenti è assoggettato a IVA
direttamente dalla compagna telefonica.
R. Con l’abrogazione della lett. g) dell'art. 19-bis1 del D.P.R. n. 633/1972 per effetto del comma 261, lett. e),
n. 3, dell'art. 1 della legge finanziaria 2008, scompare la limitazione al 50 per cento della detrazione IVA sui
telefoni cellulari e sulle relative spese di gestione. A partire dal 1 gennaio 2008, la detrazione potrà quindi
avvenire secondo la regola generale dell'inerenza contenuta nell'art. 19 del D.P.R. n. 633/1972.
Con riferimento alla fattispecie prospettata si conferma la integrale detraibilità dell'IVA relativa al solo
traffico di telefonia mobile "aziendale" ai sensi dell'art. 19 in quanto effettivamente afferente all'esercizio
dell'impresa.
 

 
Si ribadisce, che la detraibilità al 100% dell’IVA è limitata all’ipotesi in cui il
cellulare sia usato solo per attività d’impresa; nel caso, infatti, di utilizzo promiscuo, la
detrazione deve essere rapportata “all’effettivo utilizzo nell’ambito dell’attività
d’impresa” 243 244
.

Peraltro, l’Amministrazione finanziaria, al fine di evitare abusi, ha confermato


che - sulla scorta di quanto previsto dal comma 255 della Legge Finanziaria 2008 citata -
gli Uffici sono legittimati ad effettuare specifici controlli sui contribuenti che
computeranno in detrazione l’imposta in misura superiore al 50% 245.

Un’ulteriore questione si pone, peraltro, nel caso in cui la concessione dei


cellulari ai dipendenti avvenga a titolo oneroso, cioè qualora il datore provveda a
riaddebitare o trattenere al dipendente una quota parte del costo sostenuto per la gestione
del telefono cellulare. Infatti, la menzionata Legge Finanziaria 2008 ha provveduto a
novellare anche la nozione di “base imponibile” IVA (art. 13 del DPR 633/72) per
particolari operazioni attive, ivi comprese quelle relative alla messa a disposizione, dietro
corrispettivo, di mezzi di trasporto 246 e telefonini a favore dei dipendenti. In particolare,
per effetto delle modifiche apportate dalla lett. c) del predetto comma 261 all’art. 13
citato, in caso di messa a disposizione di telefoni cellulari e relative prestazioni di
gestione da parte del datore di lavoro nei confronti del proprio personale dipendente, la
base imponibile IVA è costituita dal “valore normale” dei beni e dei servizi, “… se è
dovuto un corrispettivo inferiore a tale valore”. Ne consegue che, in ragione di quanto
sopra descritto, in caso di assegnazione di cellulari al personale dipendente, non può
essere detratta l’IVA (addebitata in fattura dal gestore di telefonia) attinente l’eventuale
traffico privato se questo non viene “ribaltato” al dipendente per un corrispettivo
calcolato secondo la regola del “valore normale”; di converso, ove l’assegnazione

                                                                                                                                                                   
Per quanto riguarda, invece, la detrazione dell'IVA assolta per l'acquisto dei cellulari aziendali, poiché è la
stessa società a evidenziarne l'utilizzo promiscuo da parte dei dipendenti, dovrà essere operata una
limitazione della detrazione tenendo conto dell'effettivo utilizzo nell'ambito dell'attività d'impresa”.
243
In tal senso, cit. Circolare n. 12/E/2008.
244
Salvo il caso del riaddebito al dipendente, secondo quanto più oltre specificato.
245
A tal fine, nella dichiarazione IVA deve essere data separata indicazioni delle spese di acquisto e di
gestione dei “terminali per il servizio radiomobile di telecomunicazione” nel caso in cui si proceda alla
detrazione dell’IVA sulle predette spese in misura superiore al 50% (cfr. rigo VA5 – Mod. IVA 2010).
246
Per il trattamento IVA dei mezzi di trasporto assegnati ai dipendenti, si rinvia al relativo capitolo “Le
autovetture”.

 
avvenga a titolo gratuito, il datore non può portarsi in detrazione l’IVA relativa al traffico
privato [rectius: all’uso non aziendale] del cellulare medesimo 247.

Accessori e indumenti da lavoro

Sovente si assiste al caso in cui l’azienda fornisce ai propri dipendenti gli


indumenti, attrezzi o accessori di lavoro, necessari allo svolgimento delle mansioni
lavorative. In dette ipotesi, il costo relativo al bene assegnato al lavoratore è, di norma,
sostenuto direttamente dall’azienda; quest’ultima può, altresì, richiedere al dipendente di
indossare quel tale indumento o accessorio durante l’orario di lavoro, seguendo le
modalità dettagliate in appositi regolamenti aziendali, che il lavoratore è tenuto a
248
rispettare .

Tenuto conto, da un lato, delle finalità perseguite dall’azienda a mezzo della


messa a disposizione dei beni in parola e, dall’altro, dei criteri di determinazione della
base imponibile del reddito di lavoro dipendente, è ragionevole ritenere che il costo
sostenuto dal datore per la fornitura degli indumenti, vestiario, accessori, etc. costituisca
un costo aziendale afferente la produzione del reddito di impresa, in quanto
“strumentale” 249 per lo svolgimento dell’attività in azienda da parte del lavoratore. In
questi termini si è espressa anche l’Agenzia delle Entrate con la Circolare 26 maggio
2009, n. 27/E, che - pur se in tema di IRAP - ha affermato che le spese sostenute
dall’azienda per acquisire beni e servizi da destinare ai dipendenti per lo svolgimento
dell’attività lavorativa sono “… deducibili nella misura in cui costituiscono spese
funzionali all’attività d’impresa e non assumono natura retributiva per il dipendente. A
titolo esemplificativo, rientrano tra i costi deducibili quelli sostenuti per l’acquisto di tute
e scarpe da lavoro …”.

                                                            
247
Ovviamente, se il costo del traffico privato viene sostenuto direttamente dal dipendente, che, ad esempio,
anticipa le telefonate “in uscita” (private) con un codice, così da ottenere una fatturazione diretta a proprio
carico, il problema dell’IVA sul riaddebito del datore di lavoro non si pone. In tal senso, LEDDA, Le novità
IVA della legge finanziaria 2008, in “Azienda & Fisco” 2008-4, pag. 31 e segg.
248
È raccomandabile, quindi, che le norme di comportamento e di condotta del lavoratore durante l’orario di
lavoro siano appositamente formalizzate, anche per quanto concerne l’attrezzatura da utilizzare e gli
indumenti da indossare nello svolgimento delle proprie mansioni; si pensi al caso delle attrezzature anti
infortunistiche utilizzate dal personale di aziende edili e di costruzioni, ma anche all’ipotesi
dell’abbigliamento (ivi comprese scarpe, accessori, etc.) delle commesse dei negozi.
249
In tal senso, Assonime nota n.11/2009, pag. 4.

 
Al riguardo, giova, altresì, precisare che non rileva la circostanza che sul bene
assegnato vi sia, o meno, il logo o lo stemma aziendale, né che lo stesso sia direttamente
prodotto (o commercializzato) dall’azienda, piuttosto che acquisito presso terzi; né,
analogamente, è di alcun rilievo l’eventualità che vi siano “costi differenziati”, ad
esempio, di indumenti assegnati in relazione alle varie e diverse categorie di
dipendenti 250. In tutti questi casi, deve sempre aversi a riferimento, da un lato, la
strumentalità all’attività lavorativa e, dall’altro, il principio generale di “inerenza” alla
produzione del reddito di impresa (sotto forma di reddito di lavoro dipendente) 251.

Da quanto detto, risulta evidente che, al fine di poter puntualmente distinguere le


fattispecie qualificabili come costi “strumentali” e necessari al conseguimento
dell’attività produttiva dell’impresa rispetto a quelle che potrebbero, invece, costituire
“compensi in natura”, è fondamentale verificare l’interesse concretamente perseguito
dalla società medesima 252.

Diverse considerazioni devono farsi nel caso in cui l’azienda, anziché dotare
direttamente di indumenti di lavoro i propri dipendenti, provveda a riconoscere loro una
indennità (i.e.: denaro) al fine di coprire o integrare la spesa sostenuta dal lavoratore per
dotarsi di attrezzature ed indumenti idonei allo svolgimento delle proprie mansioni; in
tale ipotesi, la somma corrisposta dal datore concorre alla formazione della base
imponibile del reddito di lavoro dipendente, in quanto riconducibile al rapporto di lavoro,
ai sensi del più volte menzionato art. 51 del TUIR (in tal senso, Circolare 23 dicembre
1997, n. 326/E, par. 2.1) 253.

                                                            
250
Si veda, in proposito, CARNEVALE MIINO, in Casi e questioni della Riforma Tributaria – Caso n. 573,
ove si afferma che “… ai camerieri di un grande albergo può essere fornita in dotazione una divisa senza
particolarità di pregio, mentre il direttore di sala può essere dotato di uno smoking di buona fattura, senza
che, per questo, le regole fiscali mutino”.
251
Cfr. CARNEVALE MIINO, op. cit., “diverso è il caso in cui l’azienda fornisca di uno smoking il direttore
amministrativo che, per svolgere le sue funzioni non ne ha assolutamente bisogno: stavolta la spesa sostenuta
dall’azienda è nient’altro che una retribuzione in natura a tutti gli effetti …”.
252
Cfr. Assonime, nota n. 11/2009, p. 5: “l’attribuzione di beni e servizi non è tassabile in capo al
dipendente se effettuata nell’interesse dell’impresa; la medesima attribuzione rientra invece nell’ambito del
reddito di lavoro dipendente se disposta al fine di soddisfare un bisogno del lavoratore. Nel caso in cui
convivano entrambe le finalità (es. bene in uso promiscuo), l’imponibilità va ammessa parzialmente”.
253
Infatti, a mente del principio generale di cui all’art. 51 del TUIR, tutte le somme e i valori in genere
corrisposte in relazione al rapporto di lavoro concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente.

 
Differente è, altresì, l’ipotesi in cui il datore di lavoro rifonda al dipendente
quanto da quest’ultimo anticipato - e analiticamente documentato - per conto del datore
(che avrebbe, ad esempio, dovuto provvedere direttamente all’acquisto di tutte, scarpe,
etc.) 254, ipotesi che evidentemente non comporta alcun rilievo, sotto il profilo della
tassazione, in capo al lavoratore.

Nella prassi aziendale può rinvenirsi, altresì, un terzo genus, diverso rispetto a
quelli sopradescritti, sempre più diffuso (soprattutto tra le società operanti nel settore
della moda) e consistente nell’assegnare - gratuitamente o a condizioni agevolate - al
personale dipendente dei capi di vestiario o accessori, normalmente prodotti o
commercializzati dall’azienda 255. Al riguardo, è opportuno distinguere le seguenti ipotesi:

1) se i beni vengono ceduti al lavoratore gratuitamente o ad un prezzo inferiore al


“valore normale” (così come sopra definito), si può configurare un fringe benefit,
quantificabile come differenza tra quanto corrisposto dal dipendente per
l’acquisto del bene ed il “valore normale” del medesimo (prezzo o corrispettivo
mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari …) da
assoggettare a tassazione ai sensi dell’art. 51 del TUIR;
2) se i beni vengono assegnati (ad esempio, a titolo di comodato d’uso), con obbligo
di restituzione al termine di un determinato arco temporale e nel rispetto di ben
determinati standard comportamentali 256, non dovrebbe configurarsi alcun fringe

                                                            
254
In tal senso, si veda Cassazione 26 maggio 1995, n. 5859, ove è stato precisato che “… per stabilire se
determinate somme corrisposte dal datore di lavoro al lavoratore durante lo svolgimento del rapporto
abbiano, in tutto o in parte, natura retributiva, non basta accertare che esse siano state versate nel contesto
di un rapporto di lavoro, ma occorre anche verificare, con riguardo alla causale concreta, alla funzione ed
ai requisiti dei versamenti, se le somme medesime integrino vere e proprie componenti retributive (in quanto
tali tassabili) o costituiscano rimborso di spese effettivamente sostenute dal lavoratore (cioè anticipate per
conto del datore di lavoro) e non soggette a tassazione”.
255
Le motivazioni di tale politica aziendale possono essere rinvenute nel rafforzamento del senso di
appartenenza del lavoratore all’azienda, nel miglioramento della conoscenza delle problematiche legate ai
beni venduti, nella rappresentazione indiretta dell’immagine dell’azienda, sia all’interno che all’esterno della
stessa.
256
Si torna a ribadire che, anche in questi casi, è raccomandabile che le aziende provvedano a predisporre un
apposito regolamento che individui e qualifichi le caratteristiche:
- soggettive (quali sono i dipendenti/le categorie di dipendenti ai quali vengono assegnati i capi di
abbigliamento);
- oggettive (quantità e tipologia di capi di abbigliamenti, accessori, etc. concessi ai dipendenti/categorie
di cui sopra);
- temporali (ogni quanto tempo vengono assegnati i capi di abbigliamento e in che contesto lavorativo i
dipendenti sono tenuti ad indossarli: nelle riunioni, nelle filiali, nel corso di fiere, stage, etc.).

 
benefit; tuttavia, se allo scadere del “comodato” fosse prevista, in alternativa alla
restituzione del bene, la possibilità di acquisto da parte del dipendente del bene
medesimo, occorrerebbe raffrontare – analogamente a quanto previsto al sub 1) –
il prezzo corrisposto dal dipendente per l’acquisto del bene con il relativo “valore
normale”, definito, ai sensi del più volte citato art. 9 del TUIR, come
corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o
similari, … al medesimo stadio di commercializzazione, tenendo conto che, nel
caso di specie, si tratterebbe di “beni usati”.

6.12 I prestiti

Nell’ambito dei componenti che concorrono a formare il reddito del lavoratore


dipendente, il legislatore fiscale ha individuato alcune fattispecie che, pur costituendo
“compenso in natura”, sono quantificate in base a criteri forfetari; in particolare, si è già
avuto modo di accennare al fatto che il quarto comma dell’art. 51 del TUIR sancisce delle
modalità speciali di determinazione dei valori da assoggettare a tassazione per alcuni beni
e servizi che più frequentemente vengono concessi ai dipendenti; si tratta, in particolare,
dell’assegnazione in uso promiscuo degli autoveicoli, motocicli e ciclomotori 257,
l’assegnazione di immobili e fabbricati 258, la concessione di prestiti.

Con riguardo a quest’ultima fattispecie, è evidente come la concessione di


finanziamenti, prestiti, mutui ai propri dipendenti possa rivelarsi un benefit nel caso in cui
l’erogazione avvenga ad un tasso di interesse agevolato rispetto a quello di mercato 259 260
.

Il legislatore fiscale ha individuato, quindi, un regime di particolare favore per la


fattispecie in rassegna, stabilendo, all’art. 51, quarto comma, lett. b), del TUIR, che “... in
                                                                                                                                                                   
I dipendenti ivi individuati saranno, pertanto, tenuti a prendere visione del predetto regolamento, accettare le
regole ivi precisate e rispettarle nell’ambito del rapporto di lavoro.
257
Si rinvia, in proposito, al capitolo 2.
258
Si rinvia, in proposito, al capitolo 7.
259
Le ragioni che spingono le parti ad adottare tale soluzione possono essere sia “interne” (rapporto fiduciario
intercorrente tra datore e lavoratore, maggior legame e fidelizzazione da parte del lavoratore verso l’azienda
concedente), sia di carattere oggettivo (maggior forza contrattuale dell’azienda con l’istituto di credito, minori
formalità per la concessione e la gestione degli adempimenti, etc.).
260
I prestiti erogati dai datori di lavoro non integrano l’ipotesi della “raccolta di risparmio”, attività
esercitabile in via esclusiva ad opera del mercato bancario e finanziario, secondo le regole dettate dal TUB
(D.LGS. 385/93).

 
caso di concessione di prestiti si assume il 50 per cento della differenza tra l’importo
degli interessi calcolato al tasso ufficiale di sconto vigente al termine di ciascun anno e
l'importo degli interessi calcolato al tasso applicato sugli stessi”.

Sotto il profilo oggettivo, la norma si applica sia nel caso in cui sia l’azienda a
concedere direttamente il prestito al dipendente, sia per i finanziamenti erogati da terzi
con i quali il datore di lavoro abbia stipulato accordi o convenzioni, anche in assenza di
oneri specifici da parte di quest’ultimo 261; a titolo meramente esemplificativo, rientrano
nell’ambito di questa previsione, i prestiti concessi sotto forma di scoperto di conto
corrente, di mutuo ipotecario e di cessione dello stipendio, mentre ne restano escluse le
dilazioni di pagamento previste per beni ceduti o servizi prestati direttamente dal datore
di lavoro, nonché agli acconti o anticipazioni di retribuzione ordinaria 262. Inoltre, la
disposizione si applica a tutte le forme di finanziamento comunque erogate dal datore di
lavoro, indipendentemente dalla loro durata e dalla valuta utilizzata 263.

Sotto il profilo della quantificazione su base forfetaria del benefit, la norma


prevede - come detto - che il tasso ufficiale di riferimento (T.U.R.) 264 265
da assumere

                                                            
261
Sul punto, si è recentemente espressa l’Agenzia delle Entrate con Risoluzione 28 maggio 2010, n. 46/E;
nel caso di specie, il contribuente aveva chiesto se la fattispecie di cui al comma 4, lettera b), dell’art. 51 del
TUIR si applicasse anche al caso in cui l’azienda (datore di lavoro) lasci al dipendente la scelta della banca di
fiducia presso cui contrarre il mutuo, per provvedere, poi, all’erogazione di un contributo in conto interessi
direttamente sul conto del lavoratore a copertura di una quota degli interessi maturati. L’Amministrazione
finanziaria ha, quindi, confermato che “… le modalità di iscrizione in avere illustrate portano a ritenere che
il vantaggio economico concesso al dipendente - in termini di minore importo della rata da corrispondere
alla banca - possa concorrere alla formazione del reddito di lavoro dipendente secondo il criterio di
valorizzazione previsto dall'art. 51, comma 4, lett. b), del TUIR, in quanto le stesse realizzano un
collegamento immediato e univoco tra l'erogazione aziendale e il pagamento degli interessi tale per cui
l'importo corrisposto dal datore di lavoro non entra, di fatto, nella disponibilità del dipendente”..
Quanto, poi, alla quantificazione del benefit in capo al dipendente, l’Agenzia ha affermato che “… concorrerà
alla formazione del reddito di lavoro dipendente il 50 per cento dell'ammontare risultante dalla differenza tra
gli interessi calcolati al tasso ufficiale di sconto vigente al 31 dicembre di ciascun anno e gli interessi al
tasso praticato dalla banca mutuante, calcolati al netto del contributo erogato dall'azienda”.
262
In tal senso, Circolare 17 febbraio 1997, n. 29/E.
263
Tale precisazione è stata espressamente formalizzata nella più volte citata Circolare n. 326/E/1997. Non
trovano, pertanto, più fondamento i rilievi di “antielusività” che prima della riforma del 1997 erano sorti in
merito alla durata dei prestiti (cfr. BUZZONETTI, in I fringe benefits, Roma, 1995, ove era stato osservato
che “…considerato che la norma in esame ha finalità antielusive, ecco che la presenza di validi motivi per la
concessione del prestito, la brevità della durata e l’entità dell’importo risultano elementi necessari per
giustificare tale regime di favore; non rientrerebbe infatti in tale previsione un prestito chiesto dal
dipendente per poi investire tale somma in titoli di Stato, al fine di speculare sul differenziale di interesse”).
264
A decorrere dal 1° gennaio 1999, per effetto dell’introduzione dell’euro, in sostituzione del tasso di sconto,
è stato determinato il tasso di riferimento, inizialmente pari al tasso di sconto del 3% vigente a tale data (art. 2
del D.LGS. 213/98).

 
come parametro per il raffronto con il tasso effettivamente applicato è quello vigente al
termine di ciascun anno 266; l’importo da far concorrere nella formazione del reddito
imponibile del lavoratore viene determinato, quindi, effettuando la differenza tra gli
interessi calcolati in base al suddetto tasso ufficiale di riferimento e gli interessi calcolati
al tasso effettivamente praticato sui prestiti, riducendo, infine, l’ammontare così risultante
della metà 267. Tale differenza concorre alla formazione del reddito del dipendente se
positiva (qualora assumesse un valore negativo, non vi sarebbe evidentemente alcun
benefit). L’importo così determinato deve essere assoggettato a tassazione alla fonte sin
dal momento del pagamento delle singole rate del prestito stabilite dal relativo piano di
ammortamento. Più in particolare, il momento impositivo dell’eventuale fringe benefit
derivante dall’applicazione delle suddette norme è quello del pagamento delle singole rate
di prestito come stabilito dal relativo piano di ammortamento, di talché il sostituto di
imposta è tenuto a procedere nel seguente modo 268:

‐ in sede di scadenza delle rate durante i singoli periodi di paga, si assume il T.U.R.
vigente alla fine del periodo d’imposta precedente;
‐ in sede di conguaglio di fine anno, si tiene conto del T.U.R. vigente alla fine del
periodo d’imposta.

                                                                                                                                                                   
265
A partire dal 1° gennaio 2004, decorso il termine previsto dal citato D.LGS. 213/98 di cinque anni dal 1°
gennaio 1999, la Banca d’Italia non provvede più a stabilire i tassi, in quanto si devono utilizzare quelli
disponibili sul sito internet della BCE (www.ecb.int) e sul sito della Banca d’Italia (www.bancaditalia.it). In
particolare, il tasso di riferimento è stato da ultimo fissato al:
- 4,25% a decorrere dal 9 luglio 2008;
- 3,75% a decorrere dal 15 ottobre 2008;
- 3,25% a decorrere dal 12 novembre 2008;
- 2, 50% a decorrere dal 10 dicembre 2008;
- 2,00% a decorrere dal 21 gennaio 2009;
- 1,50% a decorrere dall’11 marzo 2009;
- 1,25% a decorrere dall’8 aprile 2009;
- 1,00% a decorrere dal 13 maggio 2009.
266
In questa sede, si rammenta che nella versione dell’allora art. 48 del TUIR, in vigore sino al 1° gennaio
2000 (antecedente, quindi, le modifiche apportate dall’art. 13, comma 1), lett. b), n. 4), D.Lgs. 505/99), la
norma aveva quale riferimento il parametro fisso del “tasso vigente alla data in cui il contratto di mutuo era
stato stipulato”; devono, quindi, ritenersi superate le precisazioni assunte dall’Amministrazione finanziaria
nella Circolare n. 326/E/1997, secondo cui “... a nulla rilevano le eventuali variazioni intervenute
successivamente nella durata del prestito”, giacché oggi occorre raffrontare al termine di ogni anno il TUR
con il tasso effettivamente applicato.
267
Ai fini della quantificazione del compenso in natura occorre tener conto - come detto - anche di eventuali
contributi erogati dall’azienda al dipendente a titolo di copertura di una quota degli interessi maturati (cfr. cit.
Risoluzione n. 46/E/2010).
268
Cfr. CINIERI, Fringe benefits e compensi in natura corrisposti ai dipendenti, in “Pratica fiscale e
professionale” 2005-1, pag. 5 e segg.

 
Tenendo conto delle ipotesi più frequentemente rinvenibili nella prassi e delle
fattispecie oggetto di chiarimento da parte dell’Amministrazione finanziaria 269, può
tornare utile, in questa sede, precisare quanto segue:

‐ prestiti in valuta estera: occorre mettere a confronto gli interessi calcolati al predetto
tasso di sconto e quelli calcolati al tasso di interesse effettivamente praticato,
operando la conversione nella valuta di conto (euro) sulla base del rapporto di
cambio vigente alla data di scadenza delle singole rate del prestito;
‐ prestiti a tasso variabile (caratterizzati da una variazione del tasso di interesse
iniziale): il prelievo alla fonte deve essere effettuato, alle scadenze delle singole rate
di ammortamento del prestito, tenendo conto anche delle variazioni subite dal tasso
di interesse iniziale;
‐ prestiti a “tasso zero”: il calcolo dell’importo da assoggettare a tassazione deve
essere effettuato alle scadenze delle singole rate di ammortamento della quota
capitale, secondo quanto già precisato.

Nei casi di restituzione del capitale in un’unica soluzione oltre il periodo


d’imposta, l’importo maturato va comunque assoggettato a tassazione in sede di
conguaglio di fine anno 270.

Il legislatore fiscale ha individuato specifiche eccezioni alla regola sopra


descritta, giacché la lett. b) del quarto comma dell’art. 51 sancisce che la modalità di
determinazione dell’importo da far concorrere a tassazione in capo al dipendente non si
applica nel caso di:

a) prestiti concessi anteriormente al 1° gennaio 1997;


b) prestiti aventi durata inferiore a 12 mesi, concessi sulla base di accordi aziendali a
dipendenti in contratto di solidarietà o in C.I.G.;
c) prestiti concessi alle vittime dell’usura (L. 108/96);
d) prestiti concessi a quei dipendenti ammessi a fruire delle erogazioni pecuniarie a
ristoro dei danni conseguenti a rifiuto opposto a richieste estorsive (D.L. 172/92).
                                                            
269
Cfr., per tutte, Circolare n. 326/E/1997, par. 2.3.2.2.
270
La Circolare 23 dicembre 1997 n. 326/E ha affrontato anche l’ipotesi in cui la cessazione del rapporto di
lavoro non coincida con l’estinzione del prestito e, quindi, il dipendente continui a beneficiarne anche
successivamente. In tal caso, è previsto che l’ex datore di lavoro comunichi il valore convenzionale del
prestito al nuovo datore di lavoro o all’ente pensionistico.

 
Le eccezioni di cui ai sub punti b), c) e d) rientravano nella previsione normativa
della lett. b), secondo comma, dell’art. 51, disposizione che - come si già è avuto modo di
accennare nei precedenti paragrafi - è stata abrogata con effetto dal 29 maggio 2008. Si
ritiene, pertanto, che in ragione della novella normativa, tali specifiche tipologie di
prestiti siano assoggettati a tassazione secondo la regola generale del “valore normale” 271.

Trattamento fiscale per l’impresa

Nel caso in cui il prestito sia erogato direttamente dal datore di lavoro, gli
interessi attivi maturati concorrono a formare il reddito imponibile IRES secondo il
principio generale di competenza, indipendentemente dalla percezione degli stessi.
Qualora, invece, il prestito sia concesso al dipendente da un istituto terzo e, in virtù di uno
specifico accordo con il datore di lavoro, l’ente erogatore riaddebiti a quest’ultimo una
parte dell’onere, il riaddebito è da classificare come onere finanziario deducibile ai fini
IRES nei limiti di cui all’art. 96 del TUIR 272.

Quanto all’IRAP, gli eventuali interessi (attivi o passivi) non sono rilevanti ai fini
del tributo regionale.

Esempio

Si assuma il caso di un prestito concesso ad un dipendente per € 10.000 con


obbligo di restituzione in rate mensili continuative di € 500 cadauna al tasso dello
0,75%, concesso nel mese di maggio 2009. Il T.U.R. al 31 dicembre 2008 è pari a 2%,
mentre il T.U.R. al 31 dicembre 2009 è pari a 1,8%.

Si avrà, quindi:

‐ fringe benefit sulle rate 2009: (TUR 2% - tasso applicato 0,75%) x 50% = 0,62%

                                                            
271
Cfr. SERNIA, Tipologia e trattamento fiscale dei fringe benefits, in “Azienda & Fisco” 2006-16, pag. 3 e
segg.
272
Tale assunto è stato recentemente confermato dall’Agenzia delle Entrate, con propria Circolare 23 giugno
2010, n. 38/E, ove è stato precisato che “… i prestiti ai dipendenti rientrino nell’ambito di applicazione
dell’articolo 96 del TUIR se presentano le caratteristiche enunciate nella Circolare n. 19/E del 21 aprile
2009 (paragrafo 2.2) e cioè devono scaturire da una messa a disposizione di una provvista di denaro per la
quale sussiste l’obbligo di restituzione e in relazione alla quale è prevista una specifica remunerazione”.

 
‐ fringe benefit da calcolare in sede di conguaglio di fine anno = (TUR 1,8% - tasso
applicato 0,75%) x 50% = 0,52%. Dalla somma così ottenuta dovranno essere
detratti gli importi del benefit già assoggettati ad imposizione fiscale nei singoli
mesi del 2009 ed il risultato, se positivo, dovrà a sua volta essere assoggettato ad
IRPEF. Qualora il risultato dovesse essere negativo, si dovranno operare gli
opportuni conguagli a favore del dipendente.

Scritture contabili

Concessione del prestito

Diversi
a
-dipendente A c/prestiti Banca c/c 100

-interessi passivi

Rimborso prestito

Diversi

Banca c/c a -dipendente A c/prestiti 100

-interessi attivi

Appendice: comunicazione del valore del prestito erogato dalla banca

Nel caso in cui l’azienda stipuli una convenzione con un istituto di bancario, al
fine di concedere un prestito a tasso agevolato ad un proprio dipendente, è necessario che
la banca comunichi all’azienda il valore del tasso di interesse applicato sul finanziamento
medesimo, affinché quest’ultima, in qualità di sostituto di imposta, provveda a calcolare
le dovute ritenute sul reddito erogato al dipendente, ivi compreso il “compenso in natura”
(prestito), determinato secondo le regole di cui all’art. 51, quarto comma, lett. b), del
TUIR.

 
BANCA XY

Spett. Le ......................

Via .....................

Città ...................

Oggetto: Comunicazione ai fini dell'applicazione delle ritenute sul finanziamento n.


........... concesso al Sig. ........

Il presente Istituto di credito, con riferimento alla pratica n. ............... intestata a


....................., nato a ....................., residente in ..................... via .............................

COMUNICA

Ai sensi dell'articolo 51, comma 4 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, che l'importo del
suddetto finanziamento ammonta a euro ............, rimborsabili in n. ..... rate mensili:

tasso annuo netto (TAN) pari a .............;

un tasso annuo effettivo globale (TAEG) pari a .....................

..........., lì ..............

6.13 Polizze assicurative per i dipendenti e per gli amministratori

 
Le polizze assicurative stipulate a favore di dipendenti possono, in ragione della
tipologia e delle caratteristiche precipue del contratto, avere riflessi - sotto il profilo
fiscale, oltre che previdenziale 273 - sia in capo ai lavoratori, sia all’impresa.

Più in particolare, in ragione dell’assenza di una norma al riguardo, ci si è posti il


problema se, stante il concetto “panretributivo” 274 del reddito di lavoro dipendente, le
polizze assicurative, stipulate dal datore di lavoro a favore del dipendente possano creare
in capo a quest’ultimo un “compenso in natura” 275 276.

Sotto il profilo dell’inquadramento normativo, si segnala che il previgente testo


dell’art. 48, secondo comma, lett. c), del TUIR 277 sanciva la non concorrenza, nei limiti
della corrispondente deduzione IRPEF 278, alla formazione della base imponibile del
reddito in capo al lavoratore dipendente dei premi per le assicurazioni vita e contro gli
infortuni versati dal datore di lavoro, in conformità ad accordi o contratti collettivi; detta
disposizione prevedeva, quindi, espressamente che le polizze assicurative extra-
professionali 279 non fossero imponibili per il contribuente, nel rispetto dei limiti
quantitativi suddetti. Tuttavia, con la riforma operata dal legislatore tributario nel 1997

                                                            
273
L’art. 6 del D.LGS. 314/97 ha sostituito l’art. 12 della L. 153/69, sancendo che per la determinazione dei
redditi di lavoro dipendente ai fini previdenziali e contributivi si assumono i criteri fiscali di cui agli artt. 50 e
segg. del TUIR. Per un maggior approfondimento del trattamento previdenziale delle polizze assicurative, si
rinvia alla Circolare INPS 24 dicembre 2005, n. 263, e Circolare INPS n. 69 del 2004; si veda, altresì,
CINERI, Polizze assicurative stipulate a favore dei dipendenti, in “Guida alle paghe” 2005-6, pag. 421 e
segg.
274
Il termine è stato adottato da Assonime nella nota n. 11/2009, al fine di meglio definire il principio di
“onniconmprensività” del reddito di lavoro dipendente, nel senso che vengono attratte a tassazione, salvo
specifiche deroghe, tutte le somme “a qualunque titolo percepite” in relazione al rapporto di lavoro.
275
Per un’analisi della materia, cfr. BARISON – CANTELLI, Polizze assicurative responsabilità civile,
infortuni o vita per gli amministratori, in “La settimana fiscale” 2008-43, pag. 23 e segg. e CASTELLANI, I
Casi n. 7, in “Pratica Professionale” 2004-8, pag. 13 e segg.
276
Sul punto, si segnalano i seguenti interventi di prassi amministrativa, meglio commentati nel prosieguo.
Circolare 23 dicembre 1997, n. 326/E; Circolare 4 marzo 1999, n. 55/E; Risoluzione 4 dicembre 2001, n.
200/E; Risoluzione 9 settembre 2003, n. 178/E.
277
Art. 48, comma 2, lett. c), del TUIR, nella versione antecedente le modifiche apportate dal D.LGS.
344/2003: “ c) nel limite di importo e alle condizioni di cui alla lettera m) del primo comma dell'art. 10, i
premi per assicurazioni sulla vita e contro gli infortuni versati dal datore di lavoro, con o senza ritenuta a
carico del lavoratore, in conformità a Contratti collettivi o ad accordi e regolamenti aziendali purché
indicati nel certificato del datore di lavoro …”.
278
Il riferimento normativo era all’allora art. 10, comma 1, lett. m), del TUIR ante Riforma di cui al D.LGS.
344/97.
279
Per quelle professionali era già pacifica la deducibilità dei premi da parte del datore di lavoro che
sosteneva il costo e, in quanto obbligatori ex lege, la non tassazione quali fringe benefit in capo al dipendente.
 

 
(ad opera del D.LGS. n. 314/1997) è venuto meno, nel predetto testo normativo, il
riferimento ai premi assicurativi versati dal datore di lavoro.

Tanto premesso, ai fini che qui interessano, si ritiene opportuno procedere con
l’analisi del trattamento fiscale delle fattispecie de quibus distinguendo le seguenti
tipologie di polizze assicurative. Invero, nella prassi aziendale si possono riscontrare
differenti tipologie contrattuali: le polizze per assicurazioni volte a coprire i rischi
derivanti da infortuni lavorativi o extra-lavorativi, o da malattie professionali, o extra-
professionali o miste, stipulate a favore del dipendente al fine di assicurarlo in caso si
verifichi l’evento, o, ancora, quelle che prevedono un indennizzo in caso di morte o
inabilità (c.d. “polizze vita” o “infortuni”), o le polizze che assicurano una rendita alla
scadenza del periodo di assicurazione (c.d polizze “a capitalizzazione” o “ad
accumulo”) 280.

Polizze per rischi professionali

I rischi di natura professionale sono coperti da una forma di assicurazione


obbligatoria di carattere pubblicistico (assicurazione INAIL), destinata a garantire la
responsabilità anche oggettiva del datore di lavoro in ordine al risarcimento dei danni
subiti dal dipendente nell’ambito dello svolgimento della sua attività lavorativa.

In questa ipotesi, la stessa Amministrazione finanziaria, con la più volte


menzionata Circolare n. 326/E/1997, par. 2.1, ha sottolineato che il premio assicurativo
versato per la copertura di rischi aziendali costituisce un costo che tende a tutelare
l’organizzazione della società e, in quanto tale, è deducibile dal reddito di impresa; d’altro
lato, il relativo versamento non costituisce fringe benefit per il soggetto percipiente.

Nelle altre polizze (diverse da quella sopramenzionata) stipulate per la copertura


di infortuni subiti dai lavoratori, i soggetti coinvolti sono:

‐ il datore di lavoro che, quale contraente, si assume l’obbligo di corrispondere i premi


di assicurazione;

                                                            
280
Cfr. FERRAU’, La stipulazione di polizze assicurative a favore del lavoratore, in “Corriere Tributario”
2003-46, pag. 3806 e segg.

 
‐ l’assicurato - di norma, il dipendente - è la persona il cui infortunio costituisce
l’evento che determina, da parte della compagnia di assicurazione, l’obbligo di
pagare le somme pattuite;
‐ il beneficiario, cioè il soggetto al quale la compagnia di assicurazione, al verificarsi
dell’evento assicurato, è tenuta a corrispondere le somme contrattualmente previste.

Nell’ipotesi in cui il premio assicurativo versato copra esclusivamente gli


infortuni incorsi nello svolgimento delle mansioni lavorative, è come se la società
assicurasse se stessa dal rischio di dover corrispondere un indennizzo al verificarsi
dell’evento dannoso 281. Sul punto, si segnala l’intervento di prassi dell’Amministrazione
finanziaria, che, con la Circolare 4 marzo 1999, n. 55/E 282, ha distinto il caso in cui il
versamento discenda dall’adempimento di un obbligo derivante da contratto, accordo o
regolamento aziendale (di talché i contributi sono da considerarsi parte integrante della
retribuzione e, quindi, concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente), dall’ipotesi
in cui, invece, il contratto, l’accordo o il regolamento aziendale prevedano soltanto
l’obbligo per il datore di lavoro di fornire talune prestazioni al verificarsi di determinati
eventi futuri di incerta realizzazione: in questo caso, l’impresa si trova di fronte
all’alternativa di attendere l’evento e sopportarne interamente il carico, ovvero di
garantirsi una copertura economica per tali, eventuali, pagamenti. In quest’ultima
fattispecie, il costo della polizza assicurativa diviene deducibile ai fini della
determinazione del reddito d’impresa, giacché risponde ad un interesse proprio del datore
di lavoro e, corrispondentemente, il pagamento del premio non concorrere a formare il
reddito di lavoro dipendente 283 284.

                                                            
281
Cfr. NESSI, La polizza assicurativa a favore dell’amministratore, in “Azienda & Fisco” 2004-1, pag. 55 e
segg.
282
Con questo intervento, l’Agenzia ha esaminato la (diversa) fattispecie dei contributi per assistenza sociale.
283
Cfr. CHIRICHIGNO - STANCATI, Le polizze assicurative stipulate per gli amministratori, in “Corriere
tributario” 2004-10, pag. 757 e segg. Proseguono, peraltro, gli Autori affermando che “Al riguardo
l’Amministrazione, preso atto che nel caso specifico il datore può liberamente scegliere di garantirsi una
copertura economica per gli impegni assunti, giunge a riconoscere la riconducibilità del contratto
assicurativo ad un esclusivo interesse datoriale e, quindi, l'irrilevanza reddituale, in capo al dirigente, del
premio all’uopo pagato dal suo datore. Ove si ravvisi un impegno contrattuale della società a tenere indenne
l’amministratore in caso di sopravvenuta invalidità o di morte, con facoltà di ricorrere alla copertura
assicurativa, potrebbe sostenersi l’irrilevanza reddituale, in capo all'amministratore, del premio oltre che
delle indennità assicurative (ex art. 6, comma 2, del TUIR)”.
284
In tal senso, si veda anche la Nota dell’Agenzia delle Entrate 14 novembre 2001 prot. 2001/191882, ove si
affronta la tematica afferente l’applicazione dell’art. 12 del Contratto collettivo nazionale di lavoro dei
dirigenti di aziende industriali, il quale prevede l’erogazione, a carico del datore, di una indennità aggiuntiva
 

 
Quanto alla nozione di “rischi professionali”, si segnala la Risoluzione 9
settembre 2003, n. 178/E, con la quale l’Agenzia delle Entrate ha precisato che i premi
pagati per la sottoscrizione di polizze assicurative stipulate a favore di amministratori e
finalizzate alla copertura degli atti compiuti dagli stessi nell’esercizio dei relativi incarichi
e funzioni (e le conseguenti perdite patrimoniali derivanti da eventuali azioni civili
promosse da terzi contro tali soggetti o i relativi datori di lavoro) non costituiscono fringe
benefit in capo a questi ultimi, poiché la stipula dei contratti di assicurazione sottostanti
risponde ad un interesse esclusivo della società. Infatti, nella fattispecie esaminata
dall’Amministrazione, la società istante, quale datore di lavoro, da un lato, si faceva
carico dell’obbligo di risarcire il danno patrimoniale subito dagli amministratori (in
seguito ad azioni di responsabilità civile intentate nei loro confronti o direttamente nei
confronti della società dai terzi lesi) a causa di un’attività da cui trae beneficio la società;
dall’altro, consentiva agli amministratori il perseguimento di politiche aziendali più
efficaci in ragione “... di un’attività di gestione snella e libera da remore, grazie alla
tranquillità psicologica dei stessi, non frenati dal timore di eventuali ripercussioni
patrimoniali” 285.

Coerentemente, l’Amministrazione finanziaria ha confermato che - sul fronte del


reddito del dipendente - i rimborsi corrisposti dalla società di assicurazione sarebbero
esclusi dalla nozione di fringe benefit, in quanto non costituenti un arricchimento per i
percipienti, bensì una mera reintegrazione del danno patrimoniale subito a seguito del
rimborso dovuto al terzo danneggiato per effetto dello svolgimento dell’attività
professionale.

Polizze per rischi extra-professionali e per decesso (c.d. polizze key-man)

Le considerazioni sopra riportate potrebbero mutare nel caso in cui il premio


assicurativo fosse versato dalla società a fronte della generica copertura di qualsiasi
tipologia di infortunio subito dal dipendente, sia esso di carattere professionale o extra-
professionale, ovvero in caso di decesso del dipendente stesso 286.

                                                                                                                                                                   
da corrispondersi al dipendente - ovvero ai suoi eredi - in caso di sua sopravvenuta invalidità permanente o
morte.
285
Cit. Risoluzione n. 178/E/2003.
286
Ovviamente per cause estranee allo svolgimento delle mansioni di lavoro.

 
Si osserva, in proposito, che nella prassi è molto frequente che il datore di lavoro
stipuli polizze assicurative a favore di talune tipologie di dipendenti, che ricoprono ruoli
apicali in azienda - quali, ad esempio, i propri amministratori - nella convinzione che
dette figure rappresentino un fulcro economico e gestionale dell’impresa (c.d. polizze
“key-man”). In questo caso, la società (in qualità di soggetto contraente) sottoscrive una
polizza assicurativa sulla vita (rectius: caso di morte) impegnandosi a versare dei premi
annui di ammontare predeterminato e assicurando in tal modo l’azienda per la copertura
di un evento (ovvero, la morte dell’amministratore) ritenuto produttivo di un danno.

Sul precipuo tema delle polizze vita e infortuni stipulate in relazione al possibile
verificarsi di tali eventi in capo all’amministratore di una società, è intervenuta
l’Associazione Dottori Commercialisti di Milano con la norma di comportamento n. 154
del gennaio 2004. Nella norma di comportamento testè menzionata, vengono distinte le
seguenti due ipotesi:

‐ il contratto assicurativo stipulato dalla società in relazione al rischio di morte o


infortunio di un proprio amministratore prevede, quali beneficiari,
l’amministratore/dipendente stesso o i suoi eredi: in tal caso, secondo
l’Associazione, il pagamento dei premi comporta il sorgere di un fringe benefit in
capo al dipendente da assoggettare a tassazione 287; dall’altro lato, i premi corrisposti
dalla società costituiscono per la stessa un componente negativo fiscalmente
deducibile;
‐ ove, invece, la società stipuli un contratto che copre il rischio di morte o infortunio di
un dipendente, individuando quale il beneficiario la società stessa, i premi pagati,
non determinano alcun beneficio reddituale nei confronti
dell’amministratore/dipendente e, pertanto, non costituiscono reddito tassabile in
capo al medesimo 288; dal lato dell’azienda, i premi pagati alla società di
assicurazione divengono deducibili, in quanto rispondenti ad un interesse, ancorché

                                                            
287
L’unica eccezione – come più ampiamente descritto in precedenza - è relativa ai premi per assicurazioni
che coprano esclusivamente il rischio di infortuni professionali, che sono esclusi dall’ambito di
determinazione del reddito di lavoro dipendente.
288
Quindi, secondo un’affermazione di portata più ampia non concorrerebbero alla formazione della base
imponibile le somme che non costituiscono un arricchimento per il lavoratore (ad esempio, gli indennizzi
ricevuti a mero titolo di reintegrazione patrimoniale) e, parimenti, non sono fiscalmente rilevanti, in capo al
dipendente medesimo, le erogazioni effettuate per un esclusivo interesse del datore di lavoro, venendo in tal
caso a mancare il nesso di causalità che lega il benefit medesimo al rapporto di lavoro.

 
indiretto, del datore a garantirsi economicamente contro il rischio, causato dal venire
meno, per infortunio o morte, della figura determinante dell’amministratore o del
dirigente 289. Peraltro, l’eventuale percezione dell’indennizzo assicurativo
determinerebbe, in capo alla società, una sopravvenienza attiva tassabile sia ai fini
IRES, sia ai fini IRAP 290.

In sostanza, in base alla citata norma di comportamento, il discrimen del


ragionamento è costituito dal fatto che, nel caso in cui il lavoratore rappresenti
meramente il soggetto in capo al quale il rischio è assicurato, da tale legame non possono
derivare conseguenze di tipo reddituale 291. Inoltre, la deducibilità del costo per la società
contraente e beneficiaria allo stesso tempo viene giustificata – come detto – dall’inerenza
del costo, fondata sulla ragionevolezza del comportamento di chi sostituisce a potenziali
danni futuri incerti anche nella loro quantificazione, un costo attuale e certo nell’an e nel
quantum: ed invero, mutuando l’espressione utilizzata dall’ADC, il decesso, o
l’infortunio dell’amministratore costituiscono “eventi forieri di conseguenze sfavorevoli
per la società” 292.

Polizze a corresponsione (o ad “accumulo”)

                                                            
289
Cfr. CHIRICHIGNO - STANCATI, op. cit. : “Laddove, quindi, la determinazione alla stipula della
polizza sia il frutto di una autonoma valutazione del datore di lavoro, l’interesse esclusivo (o assolutamente
preponderante) potrebbe essere colto nell’ambito di quelle aree di rischio che anche solo per via di regresso
possono vederlo coinvolto. E’ questo, secondo l’Amministrazione finanziaria, il caso delle polizze volte a
garantire la copertura delle perdite di carattere patrimoniale che gli amministratori e i dipendenti della
società dovessero subire in seguito ad azioni di responsabilità civile intentate, nei loro confronti o
direttamente nei confronti della società, da soggetti terzi lesi da atti compiuti dagli stessi amministratori o
dipendenti nell'esercizio dei loro incarichi e funzioni (fatta eccezione per gli atti dolosi o fraudolenti e al di
fuori delle ipotesi in cui gli assicurati abbiano ottenuto profitti o vantaggi personali o ricevuto compensi cui
non avevano diritto)”.
290
In tal senso, NESSI, op. cit.
291
In questo contesto, si segnala che parte della dottrina (CHIRICHIGNO - STANCATI, op. cit.) ha ravvisato
nella classificazione operata dall’ADC una suddivisione “fin troppo lineare; ciò che purtroppo difetta -
specie sotto il profilo argomentativo - è un secondo livello di indagine che si interroghi su quelle attribuzioni
che, pur rivolte all’amministratore, nella veste di beneficiario, rispondano esclusivamente (o in misura
assolutamente prevalente) ad un interesse della società contraente. In siffatta prospettiva, volendo
restringere il campo di analisi alle ipotesi in cui torni applicabile il regime dei redditi di lavoro dipendente
ed assimilati, appare centrale il nesso di causalità (e non di mera occasionalità) che deve legare
l’attribuzione ed il “rapporto di lavoro” per poter configurare nella prima un reddito, in denaro o in natura
che sia”.
292
Per una puntuale e critica disamina della Norma di Comportamento ADC n. 154 citata, cfr.
CHIRICHIGNO - STANCATI, op. cit.

 
Le distinzioni sopra descritte tra infortuni professionali ed extra-professionali non
assumono rilevanza in ipotesi di sottoscrizione delle c.d. “polizze a corresponsione” (o ad
accumulo), in cui il soggetto beneficiario, alla scadenza prevista, matura sempre il diritto
a percepire una somma di denaro, indipendentemente dal verificarsi dell’evento; infatti, in
questa ipotesi, i premi vengono versati proprio per acquisire il diritto alla percezione di
tali somme alla scadenza, rappresentando una vera a propria forma di investimento
finanziario.

Nell’ambito di tali polizze (con beneficiaria la società stessa), i relativi premi


assicurativi versati:

‐ devono essere registrati nell’attivo dello stato patrimoniale della società tra le
“immobilizzazioni finanziarie” (e non spesate a conto economico) 293, in quanto
costituenti un investimento duraturo (conseguentemente in capo alla società non si
presenterà alcun problema di deducibilità fiscale);
‐ non sono tassabili in capo ai dipendenti (indipendentemente dal fatto che la polizza
sia professionale o extra-professionale), nel caso in cui il beneficiario della polizza
sia la società; diversamente, se i beneficiari di tali polizze sono gli amministratori, i
relativi premi versati concorrono alla formazione del reddito tassabile in capo agli
stessi.

                                                            
293
Per ogni approfondimento del trattamento contabile delle polizze in esame, cfr. BERGERO -
CRISTOFORI, Le polizze vita intera caso morte per gli amministratori, in “Contabilità, Finanza e Controllo”
2002-7, pag. 694 e segg.

 
 

 
7

UTILIZZO DI FABBRICATI

Come si è ampiamente avuto modo di evidenziare nei capitoli precedenti, per


ciascuna erogazione extra-stipendio si pone, sotto il profilo fiscale, il problema della
imponibilità in capo al dipendente e, per il datore di lavoro in qualità di sostituto
d’imposta, quello del tempestivo assoggettamento alle ritenute alla fonte ed ai contributi.
Anche la concessione - in comodato, diritto d’uso o in locazione - da parte del datore di
lavoro ai dipendenti di un alloggio, sia esso di proprietà dell’azienda, ovvero di terzi, può
costituire un fringe benefit 294 in capo a quest’ultimo. Tuttavia, in questo caso, il
legislatore fiscale ha ritenuto detta fattispecie come meritevole di tutela e, pertanto,
assoggettabile a tassazione, in capo al lavoratore, secondo criteri di “favore”.

Per quanto concerne le fonti normative della materia oggetto del presente
capitolo, l’ordinamento tributario individua negli artt. 51, quarto comma, lett. c), e 95 del
DPR 22 dicembre 1986, n. 917 il trattamento ai fini dell’imposizione diretta e nell’art. 19-
bis1, comma 1, lett. i), del DPR 633/72, per ciò che attiene all’imposta sul valore
aggiunto.

TRATTAMENTO FISCALE PER IL PERCIPIENTE

7.1 Limiti per la tassazione: fabbricati iscritti e non iscritti al catasto

Il sopra menzionato art. 51, comma 4, lett. c), del TUIR, rubricato
“Determinazione del reddito di lavoro dipendente”, sancisce che “.... per i fabbricati
concessi in locazione, in uso o in comodato, si assume la differenza tra la rendita
catastale del fabbricato aumentata di tutte le spese inerenti il fabbricato stesso, comprese
le utenze non a carico dell'utilizzatore e quanto corrisposto per il godimento del
fabbricato stesso. Per i fabbricati concessi in connessione all'obbligo di dimorare

                                                            
294
Come approfondito nel primo capitolo del presente lavoro, col termine fringe benefit si intendono,
comunemente, i “vantaggi accessori” che il lavoratore dipendente può ottenere ad integrazione dell’ordinaria
remunerazione in denaro (i.e.: lo “stipendio”). Le tipologie di possibili concessioni o erogazioni varia da
azienda all’altra e, anche all’interno della stessa società, in funzione delle ”categorie“ di dipendenti.
 

 
nell'alloggio stesso, si assume il 30 per cento della predetta differenza. Per i fabbricati
che non devono essere iscritti nel catasto si assume la differenza tra il valore del canone
di locazione determinato in regime vincolistico o, in mancanza, quello determinato in
regime di libero mercato, e quanto corrisposto per il godimento del fabbricato...”.

Preme sin d’ora rilevare che l’ambito oggettivo di applicazione della disposizione
in commento opera con riguardo a qualsiasi tipologia immobiliare, sia essa ad uso
abitativo, sia nell’ipotesi in cui il datore di lavoro conceda un’unità immobiliare ad uso
diverso: è, ad esempio, il caso, richiamato anche nella nota Circolare 23 dicembre 1997,
n. 326/E (par. 2.3.2.3), di un garage concesso al dipendente, affinché questi vi custodisca
l’autovettura propria, o di proprietà dell’azienda ma concessa in uso promiscuo al
dipendente stesso.

Quanto, invece, al profilo soggettivo della norma, in questa sede ci si limita ad


accennare che, per effetto del rinvio operato dall’art. 52, primo comma, del TUIR - in
tema di determinazione dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente - all’art. 51 del
TUIR, ai fini del calcolo del fringe benefit in capo al “collaboratore” valgono le
medesime regole applicabili al lavoratore dipendente 295 296
.

Ai fini della quantificazione del reddito di lavoro dipendente la norma sopra


riportata prevede sostanzialmente che, nel caso in cui il datore di lavoro conceda
permanentemente 297 in locazione 298, uso 299, o comodato 300 un fabbricato ad un

                                                            
295
Per una più approfondita analisi della tematica della quantificazione del reddito dei “collaboratori”, vedasi
infra capitolo 10.
296
Alcune discrasie emergono, invece, dal lato della deducibilità dei costi in parola in capo all’azienda. Si
rinvia, in proposito, al successivo paragrafo “Trattamento fiscale per l’impresa”.
297
Sulla differenza tra la concessione permanente e temporanea di un alloggio, cfr. infra par. 5.
298
Il contratto di locazione è regolato dall’art. 1571 del codice civile, a mente del quale “la locazione è il
contratto col quale una parte si obbliga a far godere all'altra una cosa mobile o immobile per un dato tempo,
verso un determinato corrispettivo”.
299
La disponibilità dell’immobile può essere concessa al lavoratore anche mediante la costituzione, in suo
favore, del diritto d’uso, regolato dall’art. 1021 del codice civile. L’uso consiste nel diritto di servirsi di un
bene limitatamente ai bisogni propri e della propria famiglia; il diritto d’uso non può essere ceduto o dato in
locazione e - avendo ad oggetto l’utilizzazione limitata della cosa - deve necessariamente essere di natura
temporanea (non, cioè, indeterminata).
300
Con il contratto di comodato (art. 1803 del codice civile) una parte (comodante) consegna all’altra
(comodatario) una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o uso determinato, con
l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta. Il comodato è un contratto essenzialmente gratuito (l’eventuale
previsione di un corrispettivo per l'uso della cosa farebbe ricadere la fattispecie nello schema del contratto di
locazione); in ogni caso, il requisito della gratuità non verrebbe meno ove fosse posto a carico del
 

 
dipendente, è necessario far concorrere alla formazione del reddito di lavoro un importo
pari alla rendita catastale del fabbricato, aumentata di tutte le spese inerenti il fabbricato
stesso, comprese le utenze che non siano a carico dell’utilizzatore. Qualora il lavoratore
corrisponda (mediante versamento o trattenuta) per il godimento dell’alloggio un importo
inferiore a quello della rendita sopra citata, costituisce reddito in natura - da assoggettare
a tassazione IRPEF - la mera differenza tra la rendita del fabbricato e la somma
corrisposta dal dipendente.

La menzionata Circolare n. 326/E/1997 ha chiarito che in caso di concessione di


fabbricati iscritti al catasto, ma privi di rendita attribuita – in quanto, ad esempio, non
ancora censiti, ovvero perché rurali - occorre avere riguardo alla rendita presunta
determinata a norma dell’art. 37 301, quarto comma, del TUIR, ovvero “comparativamente
a quella delle unità similari già iscritte”.

Un criterio diverso è stabilito, invece, per i fabbricati che non devono essere
iscritti nel catasto 302, per i quali il valore da far concorrere alla formazione del reddito di
lavoro dipendente è dato dalla differenza tra il valore del canone di locazione determinato
in regime “vincolistico” 303 o, in mancanza, quello determinato in regime di libero
mercato 304 e quanto corrisposto o trattenuto per il godimento del fabbricato. Questo

                                                                                                                                                                   
comodatario il “ristoro” di alcune prestazioni accessorie, quali, ad esempio, le spese necessarie all’uso, alla
custodia, alla conservazione ed alla manutenzione, gli oneri condominiali, etc.
301
Invero, il rinvio operato dalla menzionata Circolare è all’art. 34, quarto comma, del TUIR; tuttavia, per
effetto delle modifiche apportate al DPR 917/86 dal D.LGS. 344/2003 (c.d. Riforma del Sistema Fiscale
Statale) in vigore dal 1° gennaio 2004, il richiamo normativo deve intendersi operato con riferimento all’art.
37, quarto comma, del TUIR.
302
Il Catasto può essere definito come l’inventario generale dei beni immobili siti in un determinato territorio
(DM 2 gennaio 1998, n. 28) e si presenta distinto in Catasto dei Fabbricati e Catasto dei Terreni. Il Catasto
dei Fabbricati comprende tutte le unità immobiliari presenti nel territorio urbano e che sono autonomamente
suscettibili di reddito proprio. Risultano, pertanto, non iscrivibili al Catasto Urbano le unità immobiliari
ubicate all’estero.
303
La disciplina delle locazioni ad uso abitativo è dettata dalla L. 431 del 1998 che ha abolito il regime c.d.
“vincolistico”, in precedenza previsto dalla L. 392 del 1978 (meglio conosciuta come legge sull’“equo
canone”), che obbligava ad affittare gli immobili ad un canone prestabilito. Si ritiene, pertanto, che il
riferimento al regime c.d. “vincolistico” debba oggi essere inteso – mutatis mutandis - al c.d. “canone
concordato” (in tal caso, il corrispettivo viene pattuito in base ad alcuni criteri stabiliti in accordi stipulati tra
le organizzazioni degli inquilini e quelle dei proprietari).
304
Si tratta, a mente della già citata L. 413 del 1998, del c.d. “canone libero”, tipologia di locazione in base
alla quale i contraenti possono decidere liberamente l’ammontare del canone e le altre condizione della
locazione, con l’unico obbligo di rispettare la durata minima (4 anni + 4 di rinnovo obbligatorio, salvo i casi
tassativamente previsti, tra cui il subentro del proprietario, la vendita o l’integrale ristrutturazione
dell’immobile).
 

 
criterio si applica, senza alcuna riduzione, anche ai fabbricati concessi in connessione
all’obbligo di dimorare nell’alloggio stesso.

Infine, qualora l’unità immobiliare sia concessa permanentemente in locazione,


uso, o comodato a più dipendenti, l’importo come sopra individuato deve essere ripartito
tra gli utilizzatori in parti uguali, o in relazione alla parte di fabbricato a ciascuno
assegnata, se queste risultano differenziate. Analoga ripartizione va applicata nel caso in
cui al dipendente sia concesso in locazione, uso o comodato una o più stanze in una unità
immobiliare.

Si ribadisce, infine che – ai fini della determinazione del reddito di lavoro


dipendente - non è rilevante la circostanza che l’immobile sia di proprietà della società
(datore di lavoro), o che questa lo abbia assunto in locazione, poiché, in entrambe le
ipotesi, il fringe benefit deve essere calcolato con le modalità sopra indicate (avente a
riferimento la rendita catastale e gli oneri accessori), essendo irrilevante l’importo del
canone di locazione eventualmente corrisposto dal datore di lavoro al locatore.

7.2 Le spese inerenti il fabbricato

Come si è avuto modo di accennare, per espressa previsione normativa, alla


rendita devono essere aggiunte tutte le spese inerenti il fabbricato che non siano sostenute
direttamente dall’utilizzatore, comprese, quindi, eventuali utenze pagate dal datore di
lavoro (ad esempio, luce, gas, telefono, TARSU, spese condominiali, ecc.); non rileva,
invece, l’imposta comunale sugli immobili 305. Al riguardo, l’Amministrazione
finanziaria, nella più volte menzionata Circolare n. 326/E del 1997, ha precisato che non
si considerano incrementative del valore dell’alloggio le spese che convenzionalmente
sono già comprese nella rendita catastale, come, ad esempio le spese di ordinaria
manutenzione, di assicurazione, di amministrazione del fabbricato.

Di converso, è ragionevole sostenere che le eventuali spese sostenute dal datore


per l’arredamento dell’immobile debbano rientrare fra quelle rilevanti per la
determinazione della rendita catastale, da utilizzare, pertanto, ai fini del calcolo del fringe
benefit, quantificato, in questo caso, secondo la regola generale del “valore normale” ex

                                                            
305
Cfr., in tal senso, LEO, Le imposte sui redditi nel Testo Unico, Tomo I, Giuffrè, Milano, 2006, pag. 840.
 

 
art. 9 del TUIR. Più precisamente, trattandosi, nel caso di specie, di beni acquistati dal
datore di lavoro, questi costituiscono, per lo stesso, cespiti soggetti ad ammortamento,
secondo le percentuali previste dall’apposito Decreto Ministeriale 28 dicembre 1988; si
ritiene, pertanto, che per la determinazione del “valore normale” da tassare in capo al
dipendente dei mobili e degli arredi dell’alloggio assegnato, possa essere assunta la
relativa quota di ammortamento che il datore di lavoro deduce dal reddito d’impresa.

Allo stesso modo, le ulteriori eventuali indennità (si pensi, ad esempio, alla c.d.
“diaria di prima sistemazione” 306) corrisposte dal datore di lavoro al dipendente in
occasione del trasferimento ad altra sede di lavoro, a titolo di rimborso delle spese
sostenute per la ricerca di una nuova abitazione, devono essere assoggettate a tassazione.

In sintesi, ai fini del calcolo del fringe benefit, può tornare utile la seguente regola
generale:

FABBRICATO ISCRITTO IN CATASTO SENZA OBBLIGO DI DIMORA


Fringe benefit = Rendita catastale + Spese inerenti (sostenute dal - Riaddebito (o trattenuta) in
datore di lavoro) capo al dipendente

                                                            
306
Sulla tassabilità delle indennità in parola, si è espressa più volte la Corte di Cassazione (vedasi, per tutte,
Cassazione 18 febbraio 2000, n. 1842; Cassazione 16 maggio 2000, n. 6292; Cassazione 7 giugno 2000, n.
7703; Cassazione 22 settembre 2000, n. 12578; Cassazione 30 ottobre 2001, n. 13482 e Cassazione 10 aprile
2003, n. 5621), consolidando il proprio orientamento ed affermando l’imponibilità delle somme corrisposte
dal datore di lavoro al dipendente trasferito, per le spese conseguenti alla ricerca di una nuova abitazione, a
titolo di “diaria di prima sistemazione”. Tale orientamento trova la propria motivazione nel fatto che le spese
sostenute dal dipendente trasferito per far fronte alle esigenze abitative, proprie e della propria famiglia, in
nessun modo possono essere riferite a prestazioni eseguite a favore dell’impresa datrice di lavoro e
nell’esclusivo interesse delle stessa. Le somme riconosciute al lavoratore subordinato, per assicurarsi la
sistemazione abitativa presso la sede delle propria attività o per fronteggiare altri bisogni di vita,
costituiscono, a giudizio della Corte di Cassazione, delle spese propedeutiche alla prestazione lavorativa,
indispensabili per porsi in condizione di svolgerla e non effetto patrimoniale negativo della prestazione stessa
e tantomeno pregiudizio arrecato dal datore di lavoro.
Le somme riconosciute al dipendente dal datore di lavoro esprimono, quindi, una chiara funzione
“incentivante e compensativa” di una prestazione che viene resa al di fuori dell’ambito lavorativo. Ne
consegue che l’ammontare che il datore di lavoro abbia erogato a titolo di “diaria di prima sistemazione”
costituisce per il dipendente una componente reddituale imponibile, cui consegue l’obbligo, in capo al datore
di lavoro che corrisponde tale indennità, di applicazione delle ritenute alla fonte previste dall’art. 23 del DPR
600/73.
Peraltro, l’importo della erogazione de qua va cumulato con le altre voci che compongono la retribuzione
ordinaria percepita dal lavoratore nel corrispondente periodo di paga. Il sostituto d’imposta deve tener conto
dell’indennità sia ai fini del conguaglio di fine anno, sia ai fini della compilazione del modello di
certificazione (ex art. 7-bis del DPR 600/73), sia ai fini del Mod. 770.
 

 
A titolo esemplificativo, si assuma il caso di un alloggio assegnato gratuitamente
ad un dipendente (o collaboratore) con le utenze (luce, gas, telefono, TARSU) a carico
del dipendente.

Canone locazione annuo (a carico del datore) 20.000,00 Euro


Spese condominiali (a carico del datore) 3.000,00 Euro
Rendita catastale 500,00 Euro
Quota riaddebitata (o trattenuta) al dipendente 0,00 Euro

FABBRICATO ISCRITTO IN CATASTO SENZA OBBLIGO DI DIMORA

Fringe benefit Rendita + Spese inerenti (sostenute dal - Riaddebito (o


= catastale datore di lavoro) trattenuta) in capo al
dipendente
(€ 3.500) (€ 500) (€ 3.000)
(€ 0)

In quest’ipotesi, il compenso in natura tassabile in capo al dipendente è pari a


Euro 3.500, corrispondente alla rendita catastale (Euro 500) aumentata di tutte le spese
inerenti il fabbricato non considerate - come detto in precedenza – ai fini della
formazione della rendita catastale stessa e addebitate al dipendente, ma al netto della
quota parte trattenuta o comunque pagata dal dipendente per il godimento dell’alloggio
stesso (nel caso di specie, pari a Euro 0).

Solo per completezza di trattazione - giacché, nella realtà pratica, può risultare
un’ipotesi di difficile realizzazione - qualora la rendita catastale aumentata delle spese
citate risultasse essere superiore al canone di locazione riaddebitato al dipendente non si
realizzerebbe alcun benefit tassabile ai fini del reddito di lavoro dipendente.

7.3 Obbligo di dimora nel fabbricato

Il più volte menzionato art. 51, quarto comma, lett. c), del TUIR individua
un’ulteriore agevolazione correlata alla quantificazione del benefit, in capo al dipendente,
ove a quest’ultimo sia imposto l’obbligo di dimorare nell’alloggio assegnatogli (si pensi

 
al classico caso del custode). La disposizione da ultimo citata, infatti, dispone che “... per
i fabbricati concessi in connessione all’obbligo di dimorare nell’alloggio stesso, si
assume il 30 per cento della predetta differenza”. In questa ipotesi, dunque, il reddito per
il dipendente è costituito dal 30 per cento della differenza tra la rendita catastale del
fabbricato - aumentata di tutte le spese inerenti al fabbricato stesso, comprese le utenze
non a carico dell’utilizzatore (lavoratore) - e quanto corrisposto per il godimento
dell’immobile. Anche in questo caso, ove l’immobile sia privo di rendita catastale,
occorre tener conto della rendita presunta attribuibile allo stesso.

Il criterio descritto in precedenza 307, circa le modalità di quantificazione del


fringe benefit in ipotesi di assegnazione di fabbricato non iscritto in catasto 308, si applica
indistintamente anche al caso di assegnazione di un alloggio con obbligo di dimora,
senza, tuttavia, che trovi applicazione il beneficio de quo consistente, appunto, della
riduzione al 30 per cento dell’imponibile tassabile.

Giova, infine, precisare che il trattamento fiscale appena descritto non riguarda le
ipotesi in cui al dipendente è fatto soltanto obbligo di dimorare in una certa “località”: il
tenore letterale della norma sopra riportata non lascia, invero, spazio ad
un’interpretazione estensiva della disposizione riferendosi, perentoriamente, all’obbligo
di dimora “nell’alloggio stesso”.

7.4 Trasferimento di residenza del lavoratore

La mobilità del personale costituisce, da tempo, uno dei principali motivi di


discussione in ambito aziendale e, più in generale, nel mondo del lavoro. Il legislatore
fiscale ha colto dette peculiarità ed ha individuato una forma di tassazione più mitigata,
ovvero di vere e proprie forme “agevolative”, sia in capo al lavoratore, sia in capo
all’azienda l’azienda concedente 309, nel caso di fabbricati assegnati a dipendenti che
trasferiscono, per motivi di lavoro, la loro residenza nel Comune in cui prestano l’attività

                                                            
307
Cfr. sub par. 7.1.“Limiti per la tassazione: fabbricati iscritti e non iscritti al catasto”.
308
Come detto, per i fabbricati che non risultano iscritti nel catasto, il valore da far concorrere alla formazione
del reddito di lavoro dipendente è dato dalla differenza tra il valore del canone di locazione determinato in
regime vincolistico o, in mancanza, quello determinato in regime di libero mercato, e quanto corrisposto o
trattenuto per il godimento del fabbricato medesimo.
309
L’aspetto della deducibilità dei costi per l’azienda verrà analizzata nei successivi paragrafi (vd. infra
“Trattamento fiscale per l’impresa - Deducibilità ai fini delle imposte dirette”).
 

 
lavorativa. Più in dettaglio, la Legge Finanziaria per il 2001 310 ha introdotto un’ulteriore
detrazione d’imposta all’allora art. 13-ter del TUIR (oggi il riferimento è all’art. 16 del
TUIR, rubricato “Detrazioni per canoni di locazione”) a favore dei soggetti che
trasferiscono la residenza per motivi di lavoro: non si tratta, dunque, dell’individuazione -
e, pertanto, del conseguente criterio di tassazione ai fini della determinazione del reddito
di lavoro dipendente - di un qualche benefit in capo al lavoratore, bensì di una ulteriore
detrazione dall’IRPEF complessiva, che può, tuttavia, essere connessa all’assegnazione
dell’alloggio da parte del datore di lavoro.

La disposizione si rende applicabile nei confronti di quei dipendenti che


trasferiscano, o abbiano trasferito, la propria residenza nel Comune di lavoro o in uno
limitrofo e siano titolari di qualunque tipo di contratto di locazione di unità immobiliari
adibite ad abitazione principale; in questi casi, spetta una detrazione, rapportata al periodo
dell’anno durante il quale sussiste tale destinazione, pari ai seguenti importi:

‐ Euro 991,60 se il reddito complessivo non supera Euro 15.493,71;


‐ Euro 495,80 se il reddito complessivo è superiore a Euro 15.493,71, ma non a Euro
30.987,41.

Tale agevolazione è riconosciuta per i tre anni antecedenti a quello della richiesta
della detrazione, purché il nuovo Comune di residenza disti dal vecchio almeno 100
chilometri e sia, comunque, al di fuori della Regione di provenienza del dipendente.

Si avrà modo di vedere nel prosieguo come per la fattispecie degli immobili
assegnati a dipendenti che trasferiscano la residenza per motivi di lavoro, siano previste
analoghe agevolazioni, in termini di maggior deducibilità delle spese anche in capo al
datore di lavoro che abbia concesso l’alloggio al dipendente trasferitosi.

7.5 Concessione congiunta a più dipendenti (le c.d. “foresterie”)

Nella prassi aziendale è, altresì, frequente che una società conduca in locazione
un fabbricato in base ad un contratto c.d. ad “uso foresteria” 311, per poi concederlo in uso
                                                            
310
Art. 2, comma 1, lett. h), n. 3, della L. 388/2000.
311
La locazione a uso “foresteria” costituisce il prodotto di una elaborazione interpretativa, non essendo - ad
oggi - normativamente disciplinata tale specifica fattispecie; il termine “foresteria” è ricollegato al concetto di
ospitalità occasionale e di alloggio temporaneo per gli ospiti. Nell’ex regime di equo canone, le locazioni ad
 

 
ai propri dipendenti in occasione di missioni e trasferte. In sostanza, la scelta operata
dall’azienda consiste nel servirsi di tale tipo di alloggio allo scopo di ospitare i propri
lavoratori in trasferta temporanea 312, anziché utilizzare - a tal fine - una struttura ricettiva
alternativa (ad esempio, un albergo).

Nel caso di specie, il trattamento fiscale in capo al lavoratore muta rispetto a


quanto descritto in precedenza; ciò in quanto, nei confronti di coloro che utilizzano
l’alloggio, non si configura alcun fringe benefit, giacché la concessione in uso
dell’immobile al lavoratore avviene a mero titolo transitorio, legato ad esigenze
temporanee di spostamento del personale dell’azienda: in detta ipotesi, quindi, la
fattispecie è inquadrabile nel concetto generale di trasferta, disciplinato dall’art. 51,
quinto comma, del TUIR 313.

TRATTAMENTO FISCALE PER L’IMPRESA

7.6 Deducibilità ai fini delle imposte dirette

                                                                                                                                                                   
uso foresteria rientravano concettualmente nell’ambito delle locazioni transitorie esentate dall’equo canone, ai
sensi dell’art. 26, comma 1, lett. a), della L. 392/78. Nella prassi, il contratto a uso “foresteria” era riferito a
un alloggio non direttamente utilizzato dal conduttore (ente o società di capitali), ma all’uso di altri soggetti -
collegati con il conduttore per l’attività svolta o per le funzioni ricoperte presso il conduttore - in qualità di
terzi beneficiari. Nel contratto ad uso “foresteria”, era dunque peculiare la distinzione tra conduttore - titolare
del contratto - e terzo beneficiario effettivo della locazione.
A seguito dell’abrogazione dell’art. 26 della L. 392/78 ad opera dell’art. 14 della L. 431/98, stante la
persistente assenza di una specifica disciplina nella L. 431/98, la dottrina, seppur non univoca sul punto,
ricondurrebbe il contratto ad “uso foresteria”:
- al novero delle cosiddette locazioni atipiche, disciplinate dagli artt. 1571 e seguenti del codice
civile;
- al contratto ad uso “transitorio” ex art. 5 della più volte menzionata L. 413/98, il quale, tuttavia, non
contempla la partecipazione al contratto, di un soggetto terzo.
La convinzione che la tipologia della “foresteria” non sia stata - di fatto - “abrogata” parrebbe rafforzata,
seppur in via indiretta, dall’intervento della Legge Finanziaria per il 2001 (L. 388/2000), che - come si avrà
meglio modo di analizzare nel prosieguo - ha introdotto, nell’articolo 95, comma 2, del TUIR, una norma che
rende integralmente deducibili dal reddito d’impresa i canoni di locazione e le spese per i fabbricati “concessi
in uso a dipendenti che abbiano trasferito la loro residenza anagrafica per esigenze di lavoro nel comune in
cui prestano l'attività, per il periodo d'imposta in cui si verifica il trasferimento e nei due periodi successivi”.
In via combinata, l’ultimo periodo del secondo comma dell’art. 43 del TUIR afferma che tali fabbricati si
considerano strumentali per il periodo temporale ivi indicato.
Da ciò ne conseguirebbe, secondo i più, che le c.d. “foresterie” continuino, de facto, ad esistere.
312
La trasferta non viene considerata temporanea nel caso in cui il datore di lavoro comunichi al dipendente
che la sua sede di lavoro è, per un periodo specificamente individuato, in un Comune diverso rispetto a quello
in cui abitualmente presta la propria attività. Peraltro, nel caso in cui la trasferta non sia considerata
temporanea, è necessario che il datore di lavoro si attivi per adempiere, a tutti i relativi obblighi (INPS,
INAIL e tutti quelli concernenti la tenuta dei registri obbligatori ai sensi della normativa sul lavoro).
313
Cfr., Parte Seconda del presente lavoro, capitolo “Trasferte e rimborsi spese”.
 

 
La qualificazione degli immobili ai fini del reddito d’impresa (cenni)

Prima di analizzare la deducibilità in capo all’azienda delle spese correlate


all’alloggio concesso al dipendente, è opportuno accennare brevemente i principi di base
della disciplina fiscale degli immobili (ci si riferisce, in particolare, ai fabbricati di “civile
abitazione”) appartenenti a società commerciali.

Ai fini della determinazione del reddito di impresa, l’art. 90 del TUIR 314 sancisce
che i redditi degli immobili che non costituiscono beni strumentali per l’esercizio
dell’impresa, né beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa
(c.d. “immobili merce”), concorrono a formare l’imponibile nell’ammontare determinato
secondo le disposizioni in materia di redditi fondiari 315, non già, quindi, in base al criterio
analitico dei costi e ricavi risultanti dal conto economico.

Ne consegue che, le spese e gli altri componenti negativi relativi ai beni immobili
non strumentali non sono ammessi in deduzione, per effetto dell’espressa previsione in tal
senso disposta dal secondo comma del menzionato art. 90 del TUIR.

Quanto alla definizione di “strumentalità” ai fini delle imposte sui redditi, l’art.
43 del TUIR qualifica come strumentali gli immobili utilizzati esclusivamente per
l’esercizio dell’arte o professione o dell’impresa commerciale da parte del possessore
(c.d. beni immobili strumentali “per destinazione”). Indipendentemente dall’utilizzo – e,
quindi, anche se non utilizzati o anche se dati in locazione o comodato – sono, in ogni
caso, considerati strumentali gli immobili relativi ad imprese commerciali che per le loro
caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni
(c.d. immobili strumentali “per natura”). Sulla scorta della prassi amministrativa
susseguitasi nel tempo sul punto, emerge che gli immobili di categoria catastale da A/1 a
                                                            
314
Art. 90 del DPR 917/86: “Proventi immobiliari - 1. I redditi degli immobili che non costituiscono beni
strumentali per l’esercizio dell’impresa, né beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività di
impresa, concorrono a formare il reddito nell’ammontare determinato secondo le disposizioni del Capo II del
Titolo I per gli immobili situati nel territorio dello Stato e a norma dell’art. 70 per quelli situati
all’estero.[...] In caso di immobili locati, qualora il canone risultante dal contratto di locazione ridotto, fino
ad un massimo del 15 per cento del canone medesimo, dell’importo delle spese documentate sostenute ed
effettivamente rimaste a carico per la realizzazione degli interventi di cui alla lettera a) del comma 1 dell’art.
3 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, risulti superiore al reddito medio ordinario dell’unità immobiliare, il
reddito è determinato in misura pari a quella del canone di locazione al netto di tale riduzione. 2.Le spese e
gli altri componenti negativi relativi ai beni immobili indicati nel comma 1 non sono ammessi in deduzione.”
315
Per effetto del rinvio operato dall’art. 90, primo comma, del TUIR alle disposizioni contenute nel Capo I
del Titolo I del DPR 917/86.
 

 
A/11, esclusa la A/10 (e, quindi, le abitazioni o immobili civili) non costituiscono beni
strumentali “per natura”, né - pur se dati in uso a dipendenti 316 - “per destinazione”; da
ciò consegue - lo si ribadisce – l’indeducibilità delle spese e componenti negative
sostenute in relazione a detti fabbricati.

Fabbricati iscritti in catasto e non iscritti al catasto: deducibilità dei canoni di


locazione

Per quanto riguarda la determinazione del reddito d’impresa per il datore di


lavoro che concede in uso il fabbricato al dipendente, la normativa di riferimento è
rappresentata – come accennato nelle premesse – dall’art. 95, secondo comma, del TUIR,
rubricato “Spese per prestazioni di lavoro”, a mente del quale “Non sono deducibili i
canoni di locazione anche finanziaria e le spese relative al funzionamento di strutture
recettive, salvo quelle relative a servizi di mensa destinati alla generalità dei dipendenti o
a servizi di alloggio destinati a dipendenti in trasferta temporanea. I canoni di locazione
anche finanziaria e le spese di manutenzione dei fabbricati concessi in uso ai dipendenti
sono deducibili per un importo non superiore a quello che costituisce reddito per i
dipendenti stessi a norma dell' articolo 51, comma 4, lettera c). Qualora i fabbricati di
cui al secondo periodo siano concessi in uso a dipendenti che abbiano trasferito la loro
residenza anagrafica per esigenze di lavoro nel comune in cui prestano l’attività, per il
periodo d’imposta in cui si verifica il trasferimento e nei due periodi successivi, i predetti
canoni e spese sono integralmente deducibili” 317.

Il secondo periodo della norma citata ripropone, quindi, il principio di “simmetria


impositiva”, giacché dispone che, per i fabbricati concessi in uso, locazione o comodato
ai dipendenti, i relativi canoni di locazione, anche finanziaria, e le spese di manutenzione
siano deducibili dal reddito di impresa per un importo non superiore a quello che
costituisce reddito per i dipendenti stessi. In altre parole, in virtù di tale principio, (in base
al quale tutto ciò che costituisce reddito di lavoro dipendente è deducibile in capo al

                                                            
316
Fatta salva l’eccezione del trasferimento di residenza del lavoratore di cui al combinato disposto dell’art.
95, secondo comma, ultimo periodo, del TUIR e dell’art. 43, secondo comma, ultimo periodo, del TUIR (vd.
infra).
317
Il riferimento normativo prima dell’entrata in vigore della riforma di cui al D.LGS. 344/2003 era all’art.
62, comma 1-bis, del TUIR.
 

 
datore di lavoro), la quota che quest’ultimo può portare in deduzione, quale componente
negativo di reddito, è pari a quanto costituisce reddito per il dipendente 318.

Nei capitoli relativi la quantificazione del compenso in natura in capo al


lavoratore, si è avuto modo di precisare che ai fini del calcolo del fringe benefit deve
tenersi conto anche degli eventuali importi addebitati (o trattenuti) allo stesso, nel senso
che qualora il datore riaddebiti al dipendente una somma complessivamente superiore alla
rendita catastale dell’alloggio e delle spese inerenti non si determina alcun compenso in
natura e, pertanto, alcun ulteriore reddito di lavoro dipendente tassabile. In ragione di
quanto descritto in relazione alla suddetta ipotesi e seguendo un’interpretazione
strettamente letterale della norma, ne discenderebbe, da un lato, l’indeducibilità in capo
all’azienda, ai fini della determinazione del reddito di impresa, dei canoni e delle spese
inerenti il fabbricato - non essendovi alcun reddito di lavoro dipendente assoggettato a
tassazione - dall’altro, il concorso alla formazione del reddito di impresa, quale ricavo
tassato, delle somme riaddebitate al dipendente, assunzione questa che comporterebbe
un’indebita duplicazione di imposta, contraria ai principi fondamentali dell’ordinamento
tributario. Considerazioni di ordine logico-sitematico inducono, tuttavia, a ritenere che, a
fronte della tassazione dei ricavi scaturenti dal ribaltamento dei costi in capo al
dipendente, sia concesso alla società dedurre le correlate spese inerenti il fabbricato,
almeno fino a concorrenza di quanto riaddebitato al lavoratore 319. Tale assunto troverebbe
conferma anche nella Circolare 16 febbraio 2007, n. 11/E, ove l’Amministrazione
finanziaria ha precisato che “... considerato che le somme rimborsate dal dipendente
concorrono a formare il reddito dell’impresa, è da ritenere che i costi effettivamente
sostenuti dall’impresa, per un ammontare corrispondente a dette spese, possano essere

                                                            
318
Cfr. par. “Trattamento fiscale per il percipiente – 7.2. Spese inerenti il fabbricato” nel presente capitolo.
319
Di diverso avviso parrebbe G. VASAPOLLI A. VASAPOLLI, Dal bilancio di esercizio al reddito di
impresa, IPSOA, Milano, 2008, pag. 1519, ove si afferma che “Il limite di deducibilità di cui sopra, pertanto,
riguarda soltanto la parte del canone di locazione anche finanziaria e delle spese di manutenzione del
fabbricato che eccede l’ammontare corrisposto dal dipendente per il godimento del fabbricato. In caso
contrario, se, ad esempio, l’impresa ottiene in locazione da terzi un alloggio per euro 9.000, lo sub-loca ad
un dipendente per euro 8.000 e la rendita catastale di tale alloggio, aumentata di tutte le spese inerenti,
ammonta a euro 6.000, l’intero canone di locazione passiva di euro 9.000 sarebbe per l’impresa
indeducibile, in quanto essendo la rendita catastale dell’alloggio, aumentata di tutte le spese inerenti
(complessivi euro 6.000), inferiore a quanto corrisposto dal dipendente per il godimento dello stesso (euro
8.000), non esiste un importo che costituisce reddito per il dipendente”.
Ad avviso di chi scrive, invece, a fronte del ricavo tassato pari ad euro 6.000, la società può correlativamente
dedurre canoni di locazione almeno fino a concorrenza del predetto importo, pur in assenza di un fringe
benefit tassato in capo al dipendente.
 

 
portati in deduzione dal reddito in quanto strettamente correlati al componente positivo
tassato”.

Sotto il profilo oggettivo – è bene ribadirlo – per fabbricato 320 non va inteso
semplicemente l’abitazione, bensì anche le altre unità che possono essere concesse ai
dipendenti, quali il box auto, la cantina, il retrobottega, etc 321.

Ai fini della deducibilità fiscale in capo alla società delle componenti in esame, è
opportuno, altresì, distinguere fra:

‐ fabbricati concessi in uso ai lavoratori e


‐ altre strutture recettive 322 date in uso ai dipendenti.

Al riguardo, si segnala che, secondo parte della dottrina 323, l’elemento


discriminante tra le “strutture ricettive” - intese in senso di alloggio - ed i “fabbricati
concessi in uso” ai dipendenti parrebbe consistere nel fatto che mentre le strutture
ricettive sono normalmente destinate impersonalmente ed in via non permanente ad una
certa categoria di soggetti (i quali, ad esempio, ne possono usufruire a rotazione per
finalità aziendali), i fabbricati di cui all’art. 95, comma 2, secondo e terzo periodo,
sarebbero quelli concessi ai dipendenti per uso individuale, personale o familiare. Solo
nel caso da ultimo citato, il legislatore fiscale ha previsto la deducibilità, ai fini del
reddito di impresa, delle spese correlate, secondo la più volte menzionata regola di
“simmetria impositiva” e, quindi, per un importo corrispondente a quello che costituisce
reddito per il dipendente.

                                                            
320
In proposito, si rammenta che gli immobili sono identificati in base alla tipologia di costruzione in
categorie catastali; sulla base delle categorie catastali gli immobili assumono diversa rilevanza di fronte
all'Amministrazione finanziaria, sia per quanto concerne le imposte dirette, sia le indirette. La categoria
catastale influisce anche sulla modalità di determinazione della rendita e, quindi, del valore catastale. Tali
valori costituiscono termini di riferimento per la tassazione nelle imposte dirette, dell’ICI e delle imposte di
registro, ipotecarie e catastali. Gli immobili sono suddivisi in cinque categorie catastali, a loro volta articolate
in sottocategorie.
321
Cit. Circolare n. 326/E/1997.
322
Nella nozione di “altre strutture ricettive” rientrano, ad esempio, i fabbricati destinati a mensa aziendale,
così come – ai fini che qui interessano - le c.d. “foresterie”. In senso più ampio, la norma intende ovviamente
riferirsi a tutti quei locali destinati ad accogliere persone per finalità extra-lavorative
323
GALLIO, “Problematiche fiscali relative alle spese sostenute da una società per un appartamento
concesso in uso ad un collaboratore”, in “Il fisco” 2003-1, pag. 1-44 e segg. e FANELLI, “Fabbricati
abitativi destinati ai dipendenti”, in “Corriere Tributario” 2001-44, pag. 3308 e segg.
 

 
Ai fini della deducibilità dei costi in capo all’azienda, la distinzione tra fabbricati
iscritti in catasto e quelli non iscritti in catasto assume rilevanza solo indiretta giacché,
nei suddetti casi, il fringe benefit tassabile in capo al lavoratore è quantificato in misura
differente. Si rammenta, infatti, che per la concessione di fabbricati iscritti in catasto
assume rilievo la rendita catastale, mentre nel caso di fabbricati non iscritti in catasto si
prende in considerazione il canone di locazione (determinato in regime vincolistico o, in
mancanza, quello determinato in regime di libero mercato).

Ne consegue che, nell’ipotesi in cui, ad esempio, al dipendente non venga


riaddebitato o trattenuto alcun importo per la concessione dell’alloggio, la società può
dedurre:

‐ la rendita catastale, nel caso di immobili iscritti in catasto, dovendo operare una
variazione in aumento, in sede di dichiarazione dei redditi, per il differenziale tra il
canone di locazione pagato e l’ammontare del fringe benefit (rectius: della rendita
catastale) tassato in capo al lavoratore;
‐ il canone di locazione, in caso di immobili non iscritti in catasto, determinato in
regime vincolistico (e costituente, appunto, il benefit in capo al dipendente), che, se
coincidente con il canone effettivamente pagato dall’azienda, comporta una perfetta
simmetria ai fini della deducibilità dal reddito di impresa, da un lato, e della
tassazione del reddito da lavoro dipendente, dall’altro.

In questo contesto, pare opportuno soffermarsi sull’obbligo (non già, quindi,


facoltà) di tassazione del fringe benefit in capo al lavoratore, ai fini del diritto alla
deduzione dei correlati costi di alloggio sostenuti dall’azienda. Si è avuto ampiamente
modo di vedere come il secondo comma dell’art. 95 in questione consente la deducibilità
dei costi de quibus nella misura in cui - e a condizione che – gli stessi siano
“parallelamente” imputati ai fini della quantificazione del reddito di lavoro del
dipendente. Tale principio è, perciò, da interpretarsi nel senso che, ove la società non
provveda all’addebito in busta paga del fringe benefit, la stessa non può dedurre, come
costo, la correlata differenza tra canone e spese sostenute in relazione al fabbricato e
quanto - teoricamente - concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente. Detta
affermazione, ritraibile dalla lettura combinata delle disposizioni contenute negli artt. 51 e

 
95 del TUIR, è stata, vieppiù, confermata dalla Corte di Cassazione 324, secondo cui, ai
fini della deducibilità dei costi in parola, è necessario il presupposto sostanziale della loro
imputazione ai fini del reddito di lavoro dipendente, con effettuazione contestuale delle
dovute ritenute.

In questo ambito, merita, altresì, proporre alcune considerazioni in relazione al


profilo soggettivo di applicazione della norma in commento. Si osserva, infatti, che,
anche nella formulazione successiva al D.LGS. 344/2003, il legislatore ha mantenuto il
riferimento - ai fini del trattamento fiscale in capo alla società - dei costi da essa sostenuti
per i soli “dipendenti”, senza nulla stabilire in merito al caso in cui gli immobili de quibus
vengano utilizzati dai “collaboratori”. Dal momento che per la determinazione dei redditi
percepiti dai collaboratori si fa riferimento alle norme relative alla determinazione dei
redditi di lavoro dipendente 325, si potrebbe sostenere che le limitazioni alla deducibilità
previste in relazione a taluni emolumenti, individuati dal TUIR, corrisposti ai lavoratori
dipendenti, debbano - in via generale - ritenersi operanti anche nelle ipotesi in cui i
medesimi siano erogati a percettori di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente.
Tuttavia, secondo dottrina maggioritaria 326, tale interpretazione non risulterebbe coerente
con il dettato letterale della norma, così come peraltro sostenuto dall’Amministrazione
finanziaria 327, la quale ha affermato che l’assimilazione dei redditi derivanti da rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa a quelli di lavoro dipendente concerne le
modalità di determinazione del reddito del collaboratore ai fini delle imposte dirette,
senza che ciò comporti in alcun modo l’assimilazione delle due tipologie di rapporto.
Detto principio – ancorché espresso dall’Agenzia delle Entrate in relazione alla fattispecie
di assegnazione dell’autovettura ad un collaboratore (amministratore) – sarebbe
                                                            
324
Corte di Cassazione, Sentenza 29 marzo 2006, n. 7299.
325
Cfr. sub par.7.1.
326
Vd., per tutti, ALBRITTA - CACCIAPAGLIA - CARBONE - DE FUSCO - SIRIANNI, Testo Unico
delle Imposte sui Redditi – Commentario, IPSOA, Milano, pag. 2017.
327
Ed invero, la Circolare 26 gennaio 2001, n. 5/E, par. 10, in risposta ad un quesito concernente le modalità
di tassazione del fringe benefit – nel caso di specie, l’auto assegnata all’amministratore, qualificato come
“collaboratore”- ha precisato che “… L’art. 34 della legge 342 del 2000 ha modificato il trattamento fiscale
applicabile ai redditi derivanti da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, disponendone
l'assimilazione ai redditi di lavoro dipendente. Tale assimilazione concerne le modalità di determinazione del
reddito del collaboratore ai fini delle imposte dirette, ma non si configura quale assimilazione delle due
tipologie di rapporto di lavoro a tutti gli effetti di legge. Poiché la legge 342 del 2000 non ha modificato il
disposto dell'art. 121-bis comma 1 lettera a), numero 2) del TUIR, che prevede la deducibilità integrale dei
veicoli "dati in uso promiscuo ai dipendenti per la maggior parte del periodo d'imposta", per i veicoli
concessi in uso ai collaboratori coordinati e continuativi devono essere applicate le disposizioni della
successiva lettera b) della norma citata”.
 

 
agevolmente estensibile anche al caso che qui interessa, quello, cioè dell’assegnazione dei
fabbricati ai collaboratori. Tale conclusione sarebbe confermata dall’ancor più stringente
successiva interpretazione fornita dall’Amministrazione finanziaria con la Circolare 18
giugno 2001, n. 57/E (par. 7.2) 328; ivi l’Agenzia delle Entrate, in merito all’applicabilità
del rinvio operato all’allora art. 65, primo comma, del TUIR (oggi art. 95, primo comma,
del TUIR) in relazione alla deducibilità, nel limite del 5 per cento, delle “spese relative a
opere o servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti”, ha
sostenuto che detta norma non risulterebbe applicabile ai collaboratori, dal momento che
le disposizioni de quibus farebbero un rigido riferimento ai dipendenti. Del resto,
argomentando a contrariis, ogni qualvolta il legislatore ha voluto disciplinare la
deducibilità fiscale di alcune spese relativamente ai collaboratori, lo ha esplicitamente
previsto (si pensi alle spese di vitto e alloggio sostenute in occasione di trasferte). In
forza, quindi, del noto brocardo “ubi lex voluit dixit”, è ragionevole sostenere che le
disposizioni di cui al secondo comma dell’art. 95 in commento, relative alla deducibilità
dei costi degli immobili concessi in uso ai dipendenti, non siano applicabili anche con
riferimento ai collaboratori.

In definitiva, mentre per i fabbricati concessi ai “dipendenti” le correlate


componenti negative sono deducibili dal reddito di impresa nei limiti del fringe benefit
tassato in capo al lavoratore (secondo il c.d. principio di “simmetria impositiva”), in caso
di assegnazione gratuita di un alloggio ad un collaboratore, le relative spese risulterebbero
totalmente indeducibili.

Le spese inerenti il fabbricato

                                                            
328
Circolare 18 giugno 2001, n. 57/E, §7.2: “Spese relative a opere o servizi utilizzabili dalla generalità dei
dipendenti. D. L'art. 65 del TUIR prevede la deducibilità nel limite del 5 per cento delle spese relative a
opere o servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti.
Il rigido riferimento della norma ai "dipendenti" esclude la possibilità che tale regola sia applicata anche
con riguardo ai collaboratori coordinati e continuativi? R. L'art. 34 della legge n. 342 del 2000 ha
modificato il trattamento fiscale applicabile ai redditi derivanti da rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa, disponendone l'assimilazione ai redditi di lavoro dipendente.
Tale assimilazione concerne le modalità di determinazione del reddito del collaboratore ai fini delle imposte
dirette, ma non si configura quale assimilazione delle due tipologie di rapporto di lavoro a tutti gli effetti di
legge. L'art. 65 del TUIR prevede che le spese relative ad opere o servizi utilizzabili dalla generalità dei
dipendenti o categorie di dipendenti volontariamente sostenute per specifiche finalità di educazione,
istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto siano deducibili per un ammontare complessivo
non superiore al 5 per mille dell'ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultante dalla
dichiarazione dei redditi. Pertanto, il dettato della norma non può essere esteso ai collaboratori coordinati e
continuativi.”
 

 
Si è avuto modo di vedere come, in ordine alle spese di manutenzione, il secondo
comma dell’art. 95 del TUIR sancisca che le stesse “… sono deducibili per un importo
non superiore a quello che costituisce reddito per i dipendenti” 329.

Al riguardo è stato osservato che la deducibilità, seppure limitata ai predetti


importi, dovrebbe riguardare soltanto quelle di manutenzione ordinaria 330; di converso,
quelle di manutenzione straordinaria, dovendo essere capitalizzate a diretto incremento
del costo dell’immobile ovvero, se effettuate su beni di terzi, fra i beni immateriali,
seguirebbero lo stesso regime delle quote di ammortamento dei fabbricati.

Da ciò deriva che le altre spese correlate al fabbricato medesimo diverse da


quelle individuate dal più volte menzionato secondo comma dell’art. 95 del TUIR non
sono deducibili dal reddito di impresa; è il caso, ad esempio, delle (eventuali) quote di
ammortamento imputate a conto economico relativamente ad un immobile non
strumentale assegnato in uso ad un dipendente che non possono essere dedotte dal reddito
di impresa, in quanto si considerano ricomprese nella determinazione forfetaria del
reddito fondiario 331 332.

A titolo esemplificativo, si consideri il caso di un immobile (non di proprietà


dell’azienda), concesso in uso gratuito al dipendente senza obbligo di dimorarvi e per il
quale la società paghi un canone di locazione annuo di Euro 8.000. La rendita catastale
dell’immobile è pari a Euro 1.500, mentre le spese annue complessive per utenze pagate
da datore di lavoro ammontano a Euro 2.000. In tale ipotesi, il fringe benefit tassato in
capo al dipendente è pari a Euro 3.500 (rendita Euro 1.500 + spese Euro 2.000); di
                                                            
329
È fatta salva, di converso, l’integrale deducibilità delle spese di manutenzione in relazione ai fabbricati
concessi in uso ai dipendenti che abbiano trasferito la loro residenza anagrafica per esigenze di lavoro nel
comune in cui prestano l’attività (art. 92, secondo comma, ultimo periodo, del TUIR).
330
Cfr. FANELLI – MAROTTA, “Pratica fiscale e professionale” 2004-17, pag. 16 e segg.
331
Si ricorda, in particolare, che, ai sensi del citato art. 90 del TUIR – rubricato “Proventi immobiliari” - per
gli immobili di proprietà il parametro di riferimento ai fini della determinazione del reddito di impresa è la
rendita catastale, o, se sono concessi in locazione, il maggior valore tra il canone, abbattuto del 15 per cento,
e la rendita catastale. Da ciò deriva che la deduzione dei costi relativi ad immobili non strumentali non è
consentita sulla base di una determinazione analitica, ma si considera compresa all’interno della rendita
catastale, che attribuisce un valore forfetario dell’immobile alla formazione del reddito d’impresa, o
nell’abbattimento forfetario del 15 per cento del canone di locazione. La “sterilizzazione” dei costi e dei
ricavi afferenti gli immobili non strumentali deve avvenire in dichiarazione dei redditi mediante le
opportune variazioni in diminuzione ed in aumento, mentre si rende necessario effettuare una rettifica in
aumento pari al reddito dell’immobile determinato secondo la disciplina dei redditi fondiari.
332
In tal senso, cfr. art. 90, secondo comma, del TUIR: “Le spese e gli altri componenti negativi relativi ai
beni immobili indicati nel comma 1 [i.e.: immobili non strumentali] non sono ammessi in deduzione”.
 

 
conseguenza, il datore di lavoro può dedurre - ai fini della determinazione del reddito di
impresa - la sola somma di Euro 3.500, mentre la parte eccedente il costo di locazione
sostenuto (pari a Euro 4.500 = canone annuo Euro 8.000 – fringe benefit Euro 3.500),
costituisce componente negativo indeducibile, oggetto di variazione in aumento in sede di
dichiarazione dei redditi.

Trasferimento di residenza del lavoratore

Si è già avuto modo di accennare 333 come l’attuale ordinamento preveda una
forma di tassazione di favore, sia in termini di ulteriori detrazioni in capo al lavoratore,
sia in termini di deducibilità dal reddito di impresa, nell’ipotesi in cui vengano concessi in
uso fabbricati ai dipendenti che trasferiscono, per motivi di lavoro, la loro residenza nel
Comune in cui prestano l’attività lavorativa.

In deroga, quindi, al criterio generale di parziale deducibilità delle spese per la


concessione di alloggi ai dipendenti, l’art. 145, comma 98, della Legge Finanziaria per il
2001 (L. 388/2000) ha inserito un ultimo periodo all’allora art. 62, comma 1-bis, del
TUIR (oggi art. 95, secondo comma, del TUIR 334), stabilendo che, qualora i fabbricati
siano concessi in uso ai dipendenti che abbiano trasferito la loro residenza anagrafica per
esigenze di lavoro nel Comune in cui prestano l’attività, per il periodo d’imposta in cui si
verifica il trasferimento e nei due periodi successivi, i predetti canoni e spese sono
integralmente deducibili dal reddito del datore di lavoro. Condizione necessaria per
l’applicabilità della norma è, quindi, il trasferimento di residenza del dipendente nel
Comune in cui presta l’attività. A tale proposito, si rammenta che per residenza deve
intendersi la dimora abituale 335, per cui è necessaria l’iscrizione presso l’anagrafe del
Comune in cui si è avuto il trasferimento per motivi di lavoro.

Inoltre, con il successivo comma 99 del menzionato art. 145 della Legge
Finanziaria per il 2001, il legislatore fiscale è intervenuto con un’analoga modifica,

                                                            
333
Cfr. sub “Trattamento fiscale per il percipiente - 4. Trasferimento di residenza del lavoratore”.
334
In particolare, è stato inserito al menzionato secondo comma dell’art. 95 del TUIR un ultimo periodo: “…
Qualora i fabbricati di cui al secondo periodo siano concessi in uso a dipendenti che abbiano trasferito la
loro residenza anagrafica per esigenze di lavoro nel comune in cui prestano l'attività, per il periodo
d'imposta in cui si verifica il trasferimento e nei due periodi successivi, i predetti canoni e spese sono
integralmente deducibili”.
335
Cfr. art. 43, secondo comma, del codice civile.
 

 
inserendo un ultimo periodo al secondo comma dell’allora art. 40 del TUIR (ora, il
riferimento è all’art. 43, secondo comma, del TUIR 336), che prevede una deroga alla
generale classificazione degli immobili per l’impresa e qualifica come “strumentali” –
ancorché limitatamente all’arco temporale di un triennio – gli immobili de quibus.

In questo modo, il duplice intervento legislativo ha reso coerente, nel suo


insieme, il quadro normativo di riferimento, equiparando - seppur limitatamente ad un
triennio - il trattamento degli immobili destinati alla sistemazione dei dipendenti, sia nel
caso in cui questi siano detenuti in locazione, sia nel caso in cui siano di proprietà
dell’impresa. Con riferimento all’agevolazione in parola, l’Agenzia delle Entrate 337 ha
avuto modo di chiarire che la previsione normativa si rivolge sia ai soggetti neo-assunti
(siano essi italiani o stranieri), sia a coloro che, successivamente all’instaurazione del
rapporto di lavoro, debbano trasferirsi in un’altra sede situata in un Comune diverso.
Tuttavia, nella medesima pronuncia, l’Amministrazione ha chiarito che “… qualora entro
lo scadere del triennio previsto il dipendente lasci l’unità immobiliare che gli è stata
concessa in locazione, da quel momento la stessa non potrà più essere considerata
strumentale ai sensi dell’ultimo periodo dell'articolo 40 del TUIR [leggasi, art. 43 del
TUIR], ovvero, se assunta in locazione, i canoni e le spese di manutenzione non potranno
più essere integralmente dedotti”.

Concessione congiunta a più dipendenti (le c.d. “foresterie”)

Nei capitoli che precedono si è precisato che la disciplina fiscale degli alloggi
assegnati ai dipendenti muta in funzione del soggetto fruitore dell’alloggio e delle
modalità di utilizzo del medesimo. Infatti, ove il fabbricato venga concesso
permanentemente in uso al dipendente, si realizza, in capo al medesimo, un compenso in
natura, con la conseguente deducibilità per l’azienda dell’importo corrispondente al fringe
benefit tassato in capo al lavoratore.

Differente fattispecie si configura, invece, nel caso in cui, l’azienda intenda


utilizzare un alloggio, in alternativa ad altre strutture ricettive, quali, ad esempio,

                                                            
336
Art. 43, secondo comma, ultimo periodo, del TUIR: “Si considerano, altresì, strumentali gli immobili di
cui all'ultimo periodo del comma 1-bis dell'articolo 62 per il medesimo periodo temporale ivi indicato”.
337
Risoluzione 3 luglio 2002, n. 214/E.
 

 
l’albergo, allo scopo di ospitare i propri lavoratori in trasferta temporanea 338; per tale
ipotesi - che rientra, dunque, nel concetto più generale di trasferta - non risulta
applicabile il trattamento fiscale descritto in precedenza, giacché la concessione in uso
dell’abitazione non è autonomamente tassata in capo al dipendente. Il caso di specie viene
comunemente ricollegato alle c.d. “foresterie” 339, contratti nei quali - di norma - il
conduttore è rappresentato dalla società che concede l’immobile ai propri dipendenti per
esigenze abitative aventi carattere transitorio.

Ai fini della determinazione del reddito di impresa in dette fattispecie, l’art. 95,
secondo comma, del TUIR individua un’eccezione rispetto alla regola generale di
indeducibilità dei canoni di locazione e delle spese relative al funzionamento di strutture
recettive 340 sancendone, di converso, l’integrale deducibilità qualora le spese siano
relative ad “... alloggi destinati a dipendenti in trasferta temporanea”. Si ribadisce, anche
in questa sede, che il regime fiscale sopra descritto riguarda esclusivamente la
concessione di immobili da parte del datore di lavoro per esigenze temporanee: è
necessario, pertanto, valutare attentamente la sussistenza del requisito della temporaneità,
condizione questa che costituisce l’elemento distintivo della trasferta rispetto al
trasferimento e che risulta strettamente connessa ad un’esigenza di carattere transitorio,
che si verifica allorché il lavoratore abbia una sede fissa di lavoro cui debba far ritorno al
termine del periodo di trasferta.

7.7 Detraibilità ai fini IVA

                                                            
338
Sul concetto di “temporaneità”, cfr. nota sub 379.
339
Esula dal presente esame la fattispecie dell’alloggio condotto in locazione per essere destinato ad
alloggiare soggetti “terzi” all’azienda (ad esempio, clienti, fornitori, ...). In questa sede, ci limitiamo a
rammentare la Risoluzione 17 settembre 1998, n. 148/E, nella quale l’Amministrazione finanziaria ha
ascritto alla tipologia delle spese di rappresentanza i costi sostenuti per la locazione di un immobile da
adibire a foresteria per la clientela (secondo le regole di deducibilità allora previste dall’art. 74, comma 2,
del DPR n. 917/1986, nella versione anteriore le modifiche recate dal D.LGS. 344/2003). Questa posizione è
stata successivamente confermata nella Risoluzione 8 settembre 2000, n. 137/E, dove si è ribadito che tutte
le spese caratterizzate dall’assenza di un corrispettivo devono necessariamente essere assoggettate ad un
regime di deducibilità limitata - come previsto per le spese di rappresentanza - al fine di limitare possibili
abusi nella deduzione di costi di incerta inerenza all’attività d’impresa. Si è ritenuto, infatti, che la
sussistenza dell’inerenza dei costi all’attività d'impresa, in relazione all’idoneità potenziale alla
realizzazione di ricavi imponibili, debba essere considerato requisito essenziale, ma non sufficiente per
l’integrale deduzione delle spese de quibus . Di avviso contrario, invece, la Corte di Cassazione (Sentenza 7
giugno 2000 - 9 ottobre 2000, n. 13408) che ne ha invece ammesso l’integrale deduzione, considerando tali
spese come costi diretti ad agevolare il collocamento dei prodotti dell’impresa sul mercato.
340
Art. 95, comma 2, del TUIR: “Non sono deducibili i canoni di locazione anche finanziaria e le spese
relative al funzionamento di strutture recettive, salvo quelle relative a servizi di mensa destinati alla
generalità dei dipendenti o a servizi di alloggio destinati a dipendenti in trasferta temporanea”.
 

 
Ai fini della disciplina IVA, l’art. 19-bis1, comma 1, lett. i), del DPR 26 ottobre
1972, n. 633 341 sancisce l’indetraibilità dell’imposta relativa all’acquisto di fabbricati, o
di porzioni di fabbricato, “a destinazione abitativa” (e, quindi, di norma, quelli concessi
in uso a dipendenti) e dell’IVA relativa alla locazione, alla manutenzione, al recupero o
alla gestione dei predetti fabbricati.

Nel caso di immobili abitativi assunti in locazione e concessi in uso al


dipendente, l’operazione passiva è, generalmente, esente da IVA (ex art. 10, n. 8), del
DPR 633/72) 342; nell’ipotesi in cui il fabbricato sia acquisito mediante un contratto di
leasing, i canoni relativi sono normalmente soggetti ad imposta.

La concessione in uso gratuito ai dipendenti di fabbricati a destinazione abitativa


non dà luogo ad un’operazione rientrante nel campo di applicazione dell’imposta, qualora
l’imposta afferente agli acquisti di beni e servizi relativi alla sua esecuzione non sia
detraibile (cfr. art. 3, terzo comma, del DPR 633/72).

Nel caso, invece, di concessione in uso non completamente gratuita occorre


chiedersi se i pagamenti compiuti dal dipendente (normalmente periodici) assumano
rilevanza sotto il profilo IVA per l’azienda che li riceve: qualora al dipendente sia
addebitata una parte del canone, l’operazione è esente da IVA ai sensi dell’art. 10, primo
comma, n. 8), del DPR 633/72; l’assoggettamento ad imposta dell’operazione di
riaddebito del canone – ancorché in regime di esenzione – fa ovviamente scattare, in capo
all’azienda, i correlati obblighi di fatturazione 343.

                                                            
341
Art. 19-bis1, comma 1, lett. i), del DPR 633/72: “i) non è ammessa in detrazione l'imposta relativa
all'acquisto di fabbricati, o di porzione di fabbricato, a destinazione abitativa né quella relativa alla
locazione o alla manutenzione, recupero o gestione degli stessi, salvo che per le imprese che hanno per
oggetto esclusivo o principale dell'attività esercitata la costruzione dei predetti fabbricati o delle predette
porzioni. La disposizione non si applica per i soggetti che esercitano attività che danno luogo ad operazioni
esenti di cui al numero 8) dell' articolo 10 che comportano la riduzione della percentuale di detrazione a
norma dell' articolo 19, comma 5, e dell' articolo 19-bis”.
342
Infatti, l’art. 10, comma 1, n. 8) del DPR 633/72, sancisce il regime di esenzione per le locazioni e gli
affitti, relative cessioni, risoluzioni e proroghe, di fabbricati abitativi, comprese le pertinenze.
L’eccezione al regime generale di esenzione – e, quindi, l’imponibilità dell’operazione – è, invece, prevista
nel caso di locazioni di fabbricati abitativi effettuate in attuazione di piani di edilizia abitativa convenzionata
dalle imprese che li hanno costruiti o che hanno realizzato sugli stessi interventi di ristrutturazione entro
quattro anni dalla data di ultimazione della costruzione o dell’intervento e a condizione che il contratto abbia
durata non inferiore a quattro anni.
343
Cfr. per tutti, LEDDA, Problematiche iva nei fringe benefits e nei rimborsi spese, in “Azienda & Fisco”
2005-16, pag. 14 e segg.
 

 
7.8 Deducibilità ai fini IRAP

Come noto, con la Legge Finanziaria 2008 (L. 244/2007) sono state
completamente riformulate le disposizioni di cui al D.LGS. 446 del 1997 in tema di
determinazione della base imponibile IRAP, individuando - in via generale - un principio
di stretta derivazione dell’imponibile IRAP dalle risultanze di conto economico e
sganciandosi, così, dalla correlazione con i criteri fiscali utilizzati, per le imposte dirette,
ai fini della determinazione del reddito d’impresa.

Più in particolare, la menzionata L. 244/2007 ha, da un lato, novellato l’art. 5 del


decreto IRAP sulla determinazione della base imponibile dell’imposta de qua, dall’altro,
ha abrogato l’art. 11-bis del medesimo decreto, sollevando dubbi in ordine al trattamento
ai fini del tributo regionale dei costi per il personale. Si rammenta, in proposito, che la
disciplina ante Legge Finanziaria 2008 disponeva l’indeducibilità ai fini IRAP dei costi
per il personale classificati, ai sensi dell’art. 2425 del codice civile, nelle voci B.9) e
B.14) del conto economico. Pertanto, in base alle previgenti disposizioni, tutti i costi,
ancorché relativi al personale, classificabili “per natura” in poste di conto economico
diverse dai predetti nn. 9) e 14) 344, risultavano deducibili.

Di converso, il vigente art. 5 del decreto IRAP prevede che tra i componenti
negativi non si considerano comunque in deduzione le spese per il personale dipendente e
assimilato classificate in voci diverse da quelle di cui alla predetta posta B.9). Sulla
portata della novella normativa – così come succintamente descritta - era stato, in un
primo momento, sostenuto che per effetto dell’intervenuta abrogazione del secondo
comma dell’art. 11 del D.LGS. 446/1997 non fosse più consentita la deduzione di alcune
specifiche spese relative al personale dipendente e ai collaboratori, in precedenza, invece,
deducibili: ci si riferisce, in particolare, ai costi per servizi - solo indirettamente riferibili
al personale - classificati, ad esempio, nella posta B.7) di conto economico, quali le spese
di vitto e alloggio dei dipendenti in trasferta.

                                                            
344
A titolo esemplificativo, si pensi ai costi per gli acquisti di beni destinati a mense, asili o circoli ricreativi
per il personale, ai costi per vestiario, generi alimentari, farmaci, divise da lavoro, contabilizzati - secondo il
criterio della classificazione “per natura” - nella voce B.6) di conto economico.
 

 
345
Tuttavia, la stessa Amministrazione finanziaria ha avuto modo di confermare
che all’intervenuta abrogazione del secondo comma dell’art. 11 non sottende alcuna
volontà legislativa di mutare il trattamento fiscale delle spese in questione; più in
particolare, il par. 1.4 della menzionata Circolare ha affermato che “... l’impianto
normativo dell’IRAP è strutturato in modo da rendere indeducibili in capo al soggetto
passivo quei costi che non costituiscono, ai fini del tributo, componenti positive
imponibili per il soggetto percettore. [...] Le spese sostenute dall’azienda per acquisire
beni e servizi da destinare ai dipendenti per lo svolgimento dell’attività lavorativa
continuano ad essere deducibili nella misura in cui costituiscono spese funzionali
all’attività di impresa e non assumono natura retributiva per il dipendente”.

In sostanza, l’Agenzia ha confermato, da un lato, la deducibilità delle spese


sostenute dall’azienda per acquisire beni e servizi da destinare ai dipendenti per lo
svolgimento dell’attività lavorativa, sia in quanto funzionali all’attività stessa, sia perché
non assumono rilevanza retributiva per il dipendente 346; dall’altro, ha sancito
l’indeducibilità di tutte quelle somme, corrisposte al lavoratore, che costituiscono la
retribuzione lorda per il dipendente stesso 347.

Nel suddetto intervento di prassi amministrativa non è stata, tuttavia, affrontata la


precipua questione correlata alla disciplina – ai fini del tributo regionale – delle spese e
degli altri componenti negativi che costituiscono, vis a vis, compenso in natura in capo al
dipendente 348, quali, ad esempio, i costi riferibili all’alloggio concesso al lavoratore

                                                            
345
Circolare 27 maggio 2009, n. 27/E.
346
Risultano, quindi, deducibili i rimborsi spesa analitici (a “piè di lista”), così come le spese sostenute per
l’acquisto di tute, scarpe dal lavoro, corsi di aggiornamento professionale, etc.
347
Trattasi, ad esempio, delle indennità di trasferta, dei premi aziendali, etc.
348
Sul regime vigente sino al periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2007, vedasi la Circolare n. 141/E
del 1998, nella parte dedicata alle Spese per fabbricati concessi in uso ai dipendenti e canoni di locazione
finanziaria: “Si ricorda che l’art. 62, comma 1-bis), secondo periodo, del TUIR, prevede la deducibilità dei
canoni di locazione anche finanziaria e le spese di manutenzione dei fabbricati concessi in uso ai dipendenti
per un importo non superiore a quello che costituisce reddito per i dipendenti stessi a norma dell'articolo 48,
comma 4, lett. c), del TUIR. Pertanto, le anzidette spese rileveranno ai fini della determinazione della base
imponibile IRAP per un ammontare corrispondente a quello derivante dall'applicazione della menzionata
disposizione in materia di imposte sui redditi. Si precisa che per i canoni di locazione finanziaria relativi ai
predetti immobili non sarà altresì deducibile la parte di essi riferibile agli interessi passivi. In merito a
questa voce, occorre segnalare che relativamente ai predetti canoni di locazione finanziaria è necessario far
riferimento alla disciplina prevista all'art. 67, comma 8, del TUIR e, per gli autoveicoli, a quella di cui
all'art. 121-bis del TUIR. Pertanto, la deducibilità ai fini IRAP per tali valori è ammessa nei limiti previsti ai
fini delle imposte sui redditi...”.
 

 
medesimo. Al riguardo, non può ritenersi più attuale 349 il principio contenuto nella
Circolare 12 novembre 1998, n. 263/E, a mente del quale i costi per beni e servizi
classificabili in voci diverse dalla B.9) e che costituiscono fringe benefit in capo al
dipendente erano considerati deducibili dal reddito di impresa fino a concorrenza
dell’importo tassato quale reddito di lavoro dipendente; infatti - come già affermato nelle
premesse - è venuto meno il regime vigente ante Legge Finanziaria 2008, in base al
quale, ai fini del calcolo dell’imponibile IRAP, occorreva operare le medesime variazioni,
in aumento e in diminuzione, richieste ai fini delle imposte sul reddito 350. Ne
conseguirebbe che - tenuto conto anche del fatto che la ratio legis della novella normativa
è stata proprio quella di semplificare le regole di determinazione della base imponibile
IRAP - le spese sostenute dalla società (datore di lavoro) inerenti un fabbricato messo a
disposizione del dipendente e classificato nelle voci di costo rilevanti ai fini del tributo
regionale potrebbero essere dedotte, indipendentemente dalla sorte loro riservata
nell’ambito delle imposte sul reddito.

In questo contesto, non può, tuttavia, sottacersi l’estrema complessità


interpretativa della questione, soprattutto se si considera la sopravvivenza, anche ai fini
IRAP, del principio generale di “inerenza” sancito per le imposte dirette 351.

In conclusione, a parere di chi scrive, è opportuno che le aziende – in assenza di


un’interpretazione ufficiale in proposito da parte dell’Amministrazione finanziaria –
assumano un comportamento prudente che, pur in linea con il nuovo regime di
derivazione diretta dell’imponibile IRAP dalle risultanze contabili, sia coerente con il
menzionato criterio di “inerenza”, tenuto anche conto che Assonime, con propria
Circolare n. 25 del 12 giugno 2009, ha affermato che “orientamenti in favore
dell’applicabilità del concetto di inerenza delineato dal TUIR anche ai fini del nuovo
regime IRAP sono stati manifestati anche in ambienti vicini all’Amministrazione
finanziaria”.

                                                            
349
In tal senso, LIBURDI, Circolare n. 27/E del 26 maggio 2009 – Le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate
sulla determinazione della base imponibile Irap delle società di capitali, in “Il fisco” 2009-23, pag. 3787 e
segg. Di diverso avviso parrebbe, invece, MIELE, Base imponibile IRAP 2008 per società di capitali ed enti
commerciali, in “Corriere Tributario” 2008-29, pag. 2337 e segg.
350
Di conseguenza, i canoni di locazione e le altre spese inerenti l’alloggio concesso in uso al dipendente
erano deducibili nei limiti del fringe benefit imponibile in capo al lavoratore.
351
Cfr. PETRANGELI, La problematica applicazione all’IRAP dei principi di competenza e inerenza,
“Corriere Tributario” 2009-27, pag. 2163 e segg.
 

 
7.9 Classificazione contabile e scritture

Il valore del fringe benefit che concorre alla formazione del reddito di lavoro
dipendente in capo al lavoratore deve essere correttamente quantificato, ai sensi del più
volte menzionato art. 51 del TUIR, ed iscritto, ad opera del sostituto di imposta (datore di
lavoro), nell’apposito libro paga, ad integrazione della retribuzione corrisposta in denaro
al lavoratore medesimo. In ossequio ai criteri generali di classificazione del conto
economico, dettati dall’art. 2425 del codice civile, l’imputazione del benefit in natura allo
stipendio corrisposto avviene esclusivamente in via extra-contabile e non anche in
contabilità generale. Infatti, lo schema di conto economico adottato dal legislatore - in
sede di recepimento, con il D.LGS. 127/91, della IV Direttiva CEE - risponde ad una
classificazione delle voci “per natura”. Ne consegue che i costi sostenuti dal datore di
lavoro per fornire dei benefit ai propri dipendenti non possono essere classificati nella
posta di conto economico contenente le spese per il personale (voce B.9) Costi della
produzione – per il personale), bensì devono essere rilevati autonomamente in base alla
propria natura.

Più precisamente, nel caso dei fabbricati, il Documento n. 16 del Consiglio


Nazionale Dottori commercialisti e Ragionieri [rectius: Documento OIC del 13 luglio
2005] precisa che i fabbricati civili di proprietà dell’azienda vanno iscritti nella voce B.
II.1) dello stato patrimoniale (“Immobilizzazioni materiali – terreni e fabbricati”) e,
corrispondentemente, nella voce B.10.b) di conto economico (“Ammortamenti e
svalutazioni – ammortamento delle immobilizzazioni materiali”). Giova a questo
proposito precisare che il menzionato documento OIC n. 16 dispone che solo fabbricati
civili aventi carattere accessorio rispetto a quelli strumentali ed indirettamente
strumentali all’impresa sono assimilati ai fabbricati industriali e conseguentemente
devono essere ammortizzati. Di converso, i fabbricati civili che rappresentino un’altra
forma di investimento possono non essere ammortizzati.

Nel caso, invece, di fabbricati presi in locazione o in leasing, i relativi canoni


devono essere imputati alla voce B.8) del conto economico (“Costi della produzione –
per godimento di beni di terzi”).

Sotto il profilo delle componenti positive, gli eventuali rimborsi richiesti al


dipendente che occupa l’alloggio per spese anticipate dall’azienda e che questa ha
 

 
precedentemente imputato a conto economico vanno iscritti alla voce A.5) del conto
economico (“Altri ricavi e proventi”) 352.

Voci di contabilità Voci di bilancio


Personale c/addebiti D.13) altri debiti (Stato Patrimoniale
Passivo)
Inps c/retribuzioni D.12) debiti verso istituti di
previdenza sociale (Stato
Patrimoniale Passivo)
Erario c/ritenute dipendenti D.11) debiti tributari (Stato
Patrimoniale Passivo)
Erario c/addizionali regionali D.11) debiti tributari (Stato
Patrimoniale Passivo)
Erario c/addizionali comunali D.11) debiti tributari (Stato
Patrimoniale Passivo)

Personale retribuzioni B.9. a) salari e stipendi (Conto


Economico)
Compensi agli amministratori B.9.a) salari e stipendi (Conto
Economico)
Banca D. 4) debiti verso banche (Stato
Patrimoniale Passivo)

Spese di alloggio per amministratore B.8) per godimento di beni di terzi


(Conto Economico)

Riaddebito spese anticipate A.5) altri ricavi e proventi (Conto


Economico)

Esemplificazioni

Prima di procedere all’illustrazione di un caso esemplificativo, può tornare utile


schematizzare le fattispecie più ricorrenti nella prassi aziendale, secondo la seguente
suddivisione:
1) immobile non strumentale (i.e.: di civile abitazione) di proprietà dell’azienda: la
società, ove ne ricorrano le condizioni, imputa a conto economico le quote di
ammortamento del costo del fabbricato e delle eventuali spese di manutenzione
straordinaria sostenute in relazione allo stesso; vengono, altresì, imputate a conto
economico le spese di ordinaria manutenzione;

                                                            
352
Documento interpretativo I1 del Principio Contabile n. 12, del CNDC e CNR.
 

 
2) immobile condotto in locazione: la società imputa a conto economico le quote di
ammortamento delle spese sostenute in relazione alla manutenzione straordinaria
realizzata su fabbricati di terzi. Quanto al canone di locazione, occorre
distinguere i seguenti casi:
2.1) contratto di locazione intestato al lavoratore: se la società (datore) rifonde
al dipendente una somma corrispondente al canone di locazione, detta
somma costituisce compenso tassato in capo a quest’ultimo.
Diversamente (ove, cioè, non sia previsto alcun “ristoro” per il
lavoratore), la società non rileva alcunché a conto economico e,
corrispondentemente, non si realizza alcun benefit in capo al lavoratore;
2.2) contratto di locazione intestato all’azienda: tornano utili le regole di cui
all’art. 95 del TUIR e, quindi, i canoni e le spese di manutenzione
dell’alloggio (concesso in uso al dipendente) sono deducibili per un
importo non superiore a quello che costituisce fringe benefit tassato in
capo al dipendente medesimo.

Il caso

Una società concede in uso gratuito a due dipendenti due immobili abitativi presi
in locazione. Uno dei due dipendenti (dipendente A) trasferisce la propria residenza
anagrafica per esigenze di lavoro nel Comune in cui presta l’attività. Nel contratto, viene
stabilito che le utenze, ivi compreso il condominio, sono a carico esclusivo del
dipendente. I canoni di locazione degli immobili sono pari rispettivamente a Euro 10.000
annui, per l’alloggio concesso al dipendente A e a Euro 15.000 annui per il dipendente B.
Le rendite catastali, pari a Euro 2.500 per il primo immobile e Euro 5.000 per il secondo
immobile. Le utenze a carico del dipendente, ma anticipate dall’impresa, sono pari a:

‐ Euro 1.000 per spese condominiali e Euro 200 per consumi (ad esempio,
riscaldamento), per il primo immobile;
‐ Euro 1.100 per spese condominiali e Euro 300 per consumi (ad esempio,
riscaldamento), per il secondo immobile.

Si ipotizzi, infine, che l’azienda sostenga spese di manutenzione relativamente al


primo immobile per Euro 3.500, oltre ad IVA (pari a Euro 700) non detraibile.

 
Canone Rendita Spese Spese Fringe benefit
annuo annua anticipate manutenzione

1° immobile € 10.000 € 2.500 € 1.200 € 4.200 € 2.500 353


(dipendente A)

2° immobile € 15.000 € 5.000 € 1.400 - € 5.000


(dipendente B)

La società imputa a conto economico il canone di locazione e le spese di


manutenzione. Gli oneri condominiali anticipati dall’azienda (e precedentemente già
addebitati a conto economico) vengono iscritti, a seguito dell’accredito del rimborso da
parte del dipendente, nella voce A.5 di conto economico.

CE B.8) Canone di locazione 25.000


SP D.13) Debiti 25.000

CE B.7) Manutenzione ordinaria 4.200


SP D.13) Debiti 4.200

SP C.II.5) Crediti v/s dipendente A 1.200


SP C.II.5) Crediti v/s dipendente B 1.400
SP D.13) Debiti 2.600

Reddito di impresa

I canoni di locazione e le spese di manutenzione relative all’immobile concesso

                                                            
353
Ai fini del calcolo del fringe benefit del dipendente A, il cui fabbricato concesso in uso ha subito delle
spese di manutenzione per Euro 4.200, si rammenta che il l’Agenzia delle Entrate ha precisato che le spese da
computare in aumento della rendita catastale non comprendono quelle considerate in sede di determinazione
della rendita medesima, fra i quali sono contemplate anche le spese di ordinaria manutenzione (cfr. Circolare
23 dicembre 1997, n. 326/E, par. 2.3.2.3).
 

 
in uso al dipendente A, che ha trasferito la propria residenza anagrafica per esigenze di
lavoro nel Comune in cui presta l’attività, sono interamente deducibili (per il periodo
d’imposta in cui si verifica il trasferimento e nei due periodi successivi). Pertanto, gli
importi di Euro 10.000 (canone di locazione) e Euro 4.200 (spese di manutenzione)
possono essere interamente dedotti dal reddito di impresa e, quindi, non devono formare
oggetto di variazioni in aumento.

Il canone di locazione dell’immobile concesso in uso al dipendente B (Euro


15.000) può essere portato in deduzione per un ammontare non superiore al valore del
fringe benefit di tassato in capo al dipendente B. Pertanto, l’impresa, in sede di
dichiarazione dei redditi, deve operare una variazione in aumento di Euro 10.000, pari
alla differenza tra Euro 15.000 e Euro 5.000 (fringe benefit di B).

Le spese condominiali e per il riscaldamento, essendo riaddebitate ai dipendenti


per espressa previsione contrattuale, sarebbero – in ragione delle considerazioni mosse
nei paragrafi precedenti - integralmente deducibili ai fini della determinazione del reddito
d’impresa, in quanto direttamente correlate ad un provento che concorre per intero alla
formazione della base imponibile.

Tabella di sintesi

Fringe benefit Spese (effettivamente) Costi dedotti ai Costi indeducibili


sostenute dall’azienda fini fiscali

Dipendente A/ € 2.500 € 14.200 € 14.200*


1° fabbricato

Dipendente B/ € 5.000 € 15.000 € 5.000** € 10.000


2° fabbricato

Totale € 7.500 € 29.200 € 19.200 € 10.000

* Qualora il dipendente A non si fosse trasferito per esigenze di lavoro, l’azienda


avrebbe potuto dedurre fiscalmente, con riferimento a quest’ultimo, solo l’importo del
fringe benefit pari a Euro 2.500 e, più in generale, solo l’importo complessivo di Euro
7.500 (di conseguenza, la spesa indeducibile sarebbe stata paria Euro 21.700).

 
**Ove, invece, entrambi i dipendenti fossero trasferiti per esigenze di lavoro,
l’azienda avrebbe potuto dedurre tutti i costi relativi agli alloggi concessi in uso,
limitatamente, però, al periodo d'imposta del trasferimento e per i due periodi successivi.

 
8

STOCK OPTION

TRATTAMENTO FISCALE PER IL PERCIPIENTE

Le stock option rappresentano un’importante forma di incentivazione per i


dipendenti e, in particolare negli ultimi anni, si è assistito ad una notevole diffusione di
tale strumento nell'ambito delle società italiane (quotate e non quotate). In estrema sintesi,
attraverso un piano di stock option viene attribuito ad un dipendente il diritto (cd.
opzione) ad acquistare, al termine di un dato periodo, azioni della società di appartenenza
(o di altra società del gruppo), ad un prezzo solitamente pari a quello che i titoli avevano
alla data in cui sono state offerte le opzioni. In un piano di stock option, pertanto, possono
essere distinti i seguenti momenti:

a) data di offerta delle opzioni (cd. granting date);


b) periodo di maturazione del diritto (cd. vesting period);
c) data di maturazione del diritto (cd. vesting date);
d) data di esercizio del diritto (cd. excercise date).

A tali momenti, usualmente, si affianca il momento in cui le azioni sono alienate


(cd. sale date).

La norma fiscale che disciplina il fenomeno e a cui fare riferimento è l'art. 51 del
DPR 22 dicembre 1986, n. 917. Tale articolo distingue, in particolare, due regimi di
favore per la concessione in opzione di azioni a dipendenti:

‐ il regime di cui all'art. 51, comma 2, lett. g), per i piani di "azionariato diffuso";
‐ il regime di cui all'art. 51, comma 2, lett. g-bis), per i piani di stock option
individuali.

Quanto al primo, cd “piani di azionariato diffuso” la norma prevede una


franchigia all'interno della quale il valore delle azioni offerte ai dipendenti non concorre

 
alla formazione del loro reddito. Come si vedrà meglio in seguito, l'agevolazione è
subordinata al contemporaneo rispetto di alcune condizioni 354.

Quanto ai piani di stock option individuali, si sono alternate di recente una serie
di modifiche normative che ne hanno completamente e progressivamente stravolto la
disciplina e di cui pare opportuno, nel paragrafo che segue, percorrerne brevemente
l’evoluzione.

Tali modifiche normative, al contrario, non hanno modificato la disciplina


prevista per i piani di cui si è detto precedentemente, che continuano ad essere regolati
dalla lett. g) del comma 2 dell’art 51 del TUIR..

8.1. L’evoluzione normativa

Il regime fiscale riservato alle offerte di opzioni per l'acquisto/sottoscrizione di


azioni da parte di dipendenti 355 era disciplinato, come ricordato in precedenza, dalla lett.
g-bis) dell'art. 51, comma 2, del TUIR, con cui inizialmente 356 veniva espressamente
sancita la non imponibilità fiscale del valore dei titoli assegnati al lavoratore, sempre che
il prezzo da questi pagato fosse almeno pari al valore delle azioni al momento
dell'offerta 357 e che lo stesso non fosse titolare di diritti di voto esercitabili nell'assemblea
ordinaria o di partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 10%.

                                                            
354 
In estrema sintesi, gli elementi essenziali ai fini dell’applicazione dell’agevolazione fiscale sono:
- le azioni devono essere offerte a tutti i dipendenti con contratto a tempo indeterminato;
- le azioni non devono essere riacquistate dalla società emittente o dal datore di lavoro;
- le azioni devono essere mantenute per un periodo di tre anni a far data dall'assegnazione.
In base all'agevolazione il valore delle azioni sottoscritte o acquistate dai dipendenti è escluso dal reddito per
un importo, al netto di quanto corrisposto dal dipendente a fronte dell'assegnazione, non superiore
complessivamente nel periodo di imposta ad euro 2.065,83.
355
La Risoluzione 25 luglio 2005 n. 97/E ha escluso che possano applicarsi le disposizioni agevolative agli ex
dipendenti, anche se i medesimi risultano aver lavorato per l’azienda per un consistente numero di anni.
Successivamente la Risoluzione 3 luglio 2008 n. 270/E ha invece affermato che si ritiene che la circostanza
che il dipendente non sia legato da alcun rapporto di lavoro al momento dell’esercizio dei diritti di opzione e
della conseguente acquisizione delle azioni, non assuma alcun rilievo ai fini della possibilità di fruire del
regime fiscale agevolato di cui all’art. 51, comma 2, lett. g-bis) del TUIR, fermo restando il rispetto di tutte le
condizioni espressamente previste dalla norma.
356
L’agevolazione è stata introdotta dal D.LGS. 23 dicembre 1999 n. 505 con effetto a partire dai piani
deliberati dal 1° gennaio 2000.
357
La Circolare 17 maggio 2000 n. 98/E ha affermato che la data dell’offerta coincide con quella della
delibera (dell’assemblea dei soci o del consiglio di amministrazione) con la quale vengono fissate tutte le
condizioni del piano di azionariato. Nel caso in cui il prezzo corrisposto dal dipendente per l’esercizio
dell’opzione sia inferiore al limite minimo previsto dalla legge (valore normale delle azioni alla data
 

 
I principali riflessi fiscali collegati, secondo la normativa inizialmente prevista,
all'implementazione di un piano di stock option erano i seguenti:

1. alla data di attribuzione delle opzioni non si verificava, di norma, alcun evento
imponibile in capo al dipendente, a condizione che le opzioni offerte non potessero
essere autonomamente cedute prima del loro esercizio;

2. nel presupposto in cui il dipendente non fosse titolare di diritti di voto esercitabili
nell'assemblea ordinaria o di partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al
10% 358, al momento dell'esercizio si potevano verificare due diverse situazioni:

a) il lavoratore corrispondeva un prezzo di esercizio almeno pari al valore delle azioni


alla data di offerta delle opzioni 359. In tal caso, il compenso in natura, costituito
dalla differenza fra il valore delle azioni (determinato ai sensi dell'art. 9 del TUIR,
cd. "valore normale") al momento della loro assegnazione ed il prezzo pagato dal
lavoratore, non scontava alcuna imposizione fiscale quale reddito di lavoro
dipendente;

b) il lavoratore non corrispondeva alcun corrispettivo per l'acquisto delle azioni


ovvero corrispondeva un prezzo di esercizio inferiore al valore normale delle
azioni alla data di offerta delle opzioni. In siffatta ipotesi, l'intera differenza fra il
valore delle azioni al momento della loro assegnazione ed il prezzo pagato dal
                                                                                                                                                                   
dell’offerta) la Circolare 29 dicembre 1999 n. 247/E, ribadita dalla Circolare 25 febbraio 2000 n. 30/E, ha
stabilito che concorre a formare il reddito la differenza tra il valore delle azioni al momento dell’assegnazione
ed il corrispettivo pagato dal dipendente per l’acquisizione di tali azioni.
Il valore normale è determinato ai sensi dell’art. 9 del TUIR il quale distingue le azioni in:
a) quotate nei mercati regolamentati italiani o esteri;
b) altre azioni o quote.
Nel primo caso il valore normale è determinato in base alla media aritmetica dei prezzi rilevati nell’ultimo
mese che, secondo la posizione ministeriale, non va inteso come mese solare precedente bensì come periodo
che va dal giorno di riferimento (quello dell’assegnazione dei titoli ai dipendenti) allo stesso giorno del mese
solare precedente.
Nel secondo caso il valore normale è fissato in proporzione al valore del patrimonio netto della società o ente
ovvero, per le neo costituite, in proporzione all’ammontare complessivo dei conferimenti.
358
La Circolare 25 febbraio 2000 n. 30/E ha precisato che la verifica del rispetto di tale limite va effettuata,
da un punto di vista temporale avendo riguardo al periodo d’imposta in cui avviene l’assegnazione (e non
l’offerta) delle azioni e quindi bisogna considerare anche i titoli acquisiti per effetto dell’esercizio dei diritti di
opzione.

359
Alternativamente le società potevano ricorrere ai piani di “stock option gratuite (o stock grant)” che
consistevano nell’assegnazione ai managers di azioni senza il pagamento di alcun corrispettivo. Il piano
poteva realizzarsi o mediante emissione di nuove azioni ovvero mediante cessione gratuita di azioni proprie
in portafoglio. In merito al trattamento contabile e fiscale delle cd. stock grant si rinvia all’apposito paragrafo.
 

 
lavoratore era assoggettata ad imposizione fiscale quale reddito di lavoro
dipendente

3. al momento della cessione delle azioni, l'eventuale guadagno realizzato dal dipendente
era tassato quale reddito diverso. In particolare, la plusvalenza doveva essere
determinata come segue:

‐ nel caso in cui l'assegnazione originaria dei titoli non avesse scontato imposizione
fiscale quale reddito di lavoro dipendente (perché si era usufruito delle
disposizioni agevolative previste dall'art. 51 del TUIR), la base imponibile era
data dalla differenza fra ricavi di vendita e prezzo eventualmente pagato dal
dipendente per l'acquisto dei titoli;
‐ nel caso in cui l'assegnazione originaria dei titoli avesse, al contrario, scontato
imposizione fiscale quale reddito di lavoro dipendente, la base imponibile era
data dalla differenza fra ricavi di vendita e valore normale delle azioni alla data di
assegnazione dei titoli.

Una prima modifica normativa è avvenuta con il D.L. n. 223/2006 che aveva
disposto, di fatto, l'eliminazione della lett. g-bis) dal comma 2 dell'art. 51 del TUIR In
sede di conversione del decreto, tenuto anche conto delle pressioni esercitate dalle parti
interessate, il legislatore è tornato sui propri passi mantenendo il trattamento fiscale
agevolato previsto dalla lett. g-bis) del comma 2 dell'art. 51 del TUIR introducendo, nel
contempo, nuove condizioni per poter usufruire della citata disposizione e dettando una
disposizione transitoria in ambito contributivo 360.

Alla luce del nuovo quadro normativo, pertanto, al fine di usufruire


dell'agevolazione era necessario che:

                                                            
360
In particolare, l'art. 36, comma 25, del D.L. 4 luglio 2006 n. 223, così come modificato dalla L. 4 agosto
2006 n. 248, ha aggiunto al comma 2-bis dell'art. 51 del TUIR i seguenti periodi: "la disposizione di cui alla
lettera g-bis) del comma 2 si rende applicabile a condizione che le azioni offerte non siano comunque cedute
né costituite in garanzia prima che siano trascorsi cinque anni dalla data dell'assegnazione e che il valore
delle azioni assegnate non sia superiore complessivamente nel periodo d'imposta alla retribuzione lorda
annua del dipendente relativa al periodo d'imposta precedente. Qualora le azioni siano cedute o date in
garanzia prima del predetto termine, l'importo che non ha concorso a formare il reddito al momento
dell'assegnazione concorre a formare il reddito ed è assoggettato a tassazione nel periodo d'imposta in cui
avviene la cessione ovvero la costituzione della garanzia. Se il valore delle azioni assegnate è superiore al
predetto limite, la differenza tra il valore delle azioni al momento dell'assegnazione e l'ammontare
corrisposto dal dipendente concorre a formare il reddito". Restano naturalmente operativi i requisiti già
contemplati dalla più volte menzionata lett. g-bis).
 

 
a) la differenza tra il valore delle azioni al momento dell'assegnazione e l'ammontare
corrisposto dal dipendente fosse almeno pari al valore delle azioni stesse alla data
dell'offerta;

b) le partecipazioni, i titoli o i diritti posseduti dal dipendente non rappresentassero una


percentuale di diritti di voto esercitabili nell'assemblea ordinaria o di partecipazione al
capitale o al patrimonio superiore al 10%;

c) le opzioni avessero ad oggetto azioni emesse dall'impresa con la quale il contribuente


intratteneva il rapporto di lavoro ovvero emesse da società che direttamente o
indirettamente controllavano la medesima impresa, ne erano controllate o erano
controllate dalla stessa società che controlla l'impresa;

d) venisse espressamente stabilita l'incedibilità (ovvero la non costituzione in garanzia)


delle azioni per un quinquennio dalla data di assegnazione (qualora le azioni fossero
state cedute o date in garanzia prima del periodo di cinque anni, l'importo che non
aveva concorso a formare il reddito al momento dell'assegnazione era assoggettato a
tassazione nel periodo d'imposta in cui avveniva la cessione ovvero la costituzione
della garanzia) 361;

e) il valore delle azioni non fosse superiore alla retribuzione annua lorda percepita dal
dipendente nel periodo d'imposta precedente (se il valore delle azioni assegnate era
superiore a tale importo, la differenza tra il valore delle azioni al momento
dell'assegnazione e l'ammontare corrisposto dal dipendente concorreva a formare il
reddito).

Suddetta nuova disciplina trovava applicazione alle azioni la cui assegnazione ai


dipendenti fosse effettuata successivamente alla data di entrata in vigore del decreto (4
luglio 2006), coinvolgendo, in questo modo, anche i piani di incentivazione deliberati
prima dell’entrata in vigore del decreto stesso e per i quali il dipendente non avesse
ancora esercitato l’opzione. La L. di conversione 4 agosto 2006 n. 248 ha in parte
mitigato la portata della norma facendo salvi gli effetti previdenziali in quanto le nuove
regole avrebbero esplicato i loro effetti solo dal punto di vista fiscale ma non avrebbero
                                                            
361
La Circolare 19 gennaio 2007 n. 1/E ha stabilito che per i piani già in corso che non prevedono un termine
per l’esercizio dell’opzione o lo prevedono per un termine inferiore a tre anni, si può procedere
all’adeguamento per fruire dell’agevolazione senza che le modifiche costituiscano fattispecie novative.
 

 
avuto alcun rilievo ai fini contributivi (disallineamento tra imponibile fiscale e
contributivo) 362.

Una seconda modifica normativa è avvenuta da parte dell'art. 2, comma 29, del
D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, come modificato dalla L. di conversione 24 novembre 2006,
n. 286 363, in virtù del quale, al fine di beneficiare dell'agevolazione fiscale, un piano di
stock option doveva soddisfare i seguenti requisiti:

1) la differenza tra il valore delle azioni al momento dell'assegnazione e l'ammontare


corrisposto dal dipendente doveva essere almeno pari al valore delle azioni stesse alla
data dell'offerta;

2) le partecipazioni, i titoli o i diritti posseduti dal dipendente non dovevano rappresentare


una percentuale di diritti di voto esercitabili nell'assemblea ordinaria o di
partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 10%;

3) le opzioni dovevano aver ad oggetto azioni emesse dall'impresa con la quale il


contribuente intratteneva il rapporto di lavoro ovvero emesse da società che
                                                            
362
ANELLO, Il regime fiscale delle stock option, in “Corriere tributario” 2006-37, pag. 2983 e segg..
363
Con il susseguirsi delle norme avvenuto nell’anno 2006 si è creato una notevole confusione in merito al
diverso trattamento da assegnare alle azioni assegnate.
Per le assegnazioni effettuate fino al 4 luglio 2006 valgono le condizioni previste dal D.LGS. 23 dicembre
1999 n. 505 per il quale l’agevolazione si applica qualora:
- il dipendente corrisponda un prezzo di esercizio almeno pari al valore delle azioni alla data di offerta delle
opzioni;
- la titolarità di diritti di voto o di partecipazione al capitale sociale da parte del dipendente non superiore al
10%.
Per le assegnazioni effettuate dal 5 luglio al 2 ottobre 2006 valgono invece le disposizioni contenute nella L
n. 248/2006 pertanto l’agevolazione trovava applicazione in presenza, oltre ai presupposti in precedenza
indicati, delle seguenti condizioni:
- vicolo di incedibilità o di costituzione in garanzia di tutte le azioni ricevute per i cinque anni successivi alla
data di assegnazione;
- il valore delle azioni assegnate non doveva essere superiore nel periodo d’imposta alla retribuzione lorda del
dipendente relativa al periodo d’imposta precedente.
Per le assegnazioni effettuate dopo dal 3 ottobre 2006 valgono, infine, le disposizioni del D.L. 3 ottobre 2006
n. 262 pertanto l’agevolazione trovava applicazione in presenza, oltre ai presupposti di cui al D.LGS.
505/1999, delle seguenti condizioni:
- opzioni non esercitabili prima del decorso di tre anni dalla loro attribuzione;
- al momento dell’esercizio dell’opzione, la società emittente deve essere quotata in un mercato
regolamentato;
- mantenimento per almeno cinque anni dall’assegnazione di un investimento in titoli almeno pari alla
differenza tra il valore delle azioni al momento dell’assegnazione e l’ammontare corrisposto dal dipendente
(quindi per un importo almeno pari all’agevolazione).
 

 
direttamente o indirettamente, controllavano la medesima impresa, ne erano
controllate o erano controllate dalla stessa società che controlla l'impresa;

4) le opzioni non potevano essere esercitabili prima che fossero scaduti tre anni dalla loro
attribuzione;

5) al momento in cui le opzioni diventavano esercitabili, la società doveva risultare


quotata in mercati regolamentati 364;

6) il beneficiario era tenuto a mantenere per almeno i cinque anni successivi all'esercizio
delle opzioni un investimento nei titoli oggetto di opzione non inferiore alla differenza
tra il valore delle azioni al momento dell'assegnazione e l'ammontare corrisposto dal
dipendente 365. Qualora detti titoli oggetto di investimento fossero stati ceduti o dati in
garanzia prima che fossero trascorsi cinque anni dalla loro assegnazione, l'importo che
non aveva concorso a formare il reddito di lavoro dipendente al momento
dell'assegnazione era assoggettato a tassazione nel periodo d'imposta in cui avveniva
la cessione ovvero la costituzione in garanzia 366.

                                                            
364
Ai fini del rispetto di tale requisito è necessario che le azioni risultino effettivamente negoziate in mercati
regolamentati al momento in cui l’opzione è esercitabile. Tale condizione va verificata in capo all’emittente le
azioni assegnate, quindi l’agevolazione opera anche nel caso in cui il piano di stock option sia deliberato da
una società non quotata, qualora le azioni da essa assegnate siano emesse da una società del Gruppo con
azioni quotate.
365
L’oggetto del vincolo è la differenza tra il valore normale dei titoli assegnati e l’ammontare pagato dal
dipendente assegnatario, che quindi può smobilizzare la parte corrispondente dei titoli acquisita con il proprio
esborso monetario. Il calcolo del numero di azioni che non possono essere cedute va fatto alla data di
assegnazione delle azioni (come rapporto tra la citata differenza ed il valore unitario del titolo alla data di
assegnazione) e tale numero deve essere mantenuto invariato indipendentemente dalla circostanza che
successivamente il valore delle azioni subisca modifiche nel corso del quinquennio. Qualora l’investimento
minimo non venga mantenuto, in tutto o in parte, l’importo che non ha concorso a formare il reddito di lavoro
dipendente alla data di assegnazione è assoggettato a tassazione nel periodo d’imposta in cui è avvenuta la
cessione o la costituzione in garanzia.
366
Come chiarito con le Circolari 4 agosto 2006 n. 28/E e 19 gennaio 2007 n. 1/E ai fini dell’individuazione
del momento impositivo assume rilevanza la notizia, acquisita dal datore di lavoro, dell’avvenuta cessione
delle azioni da parte del dipendente, sempreché il cessionario non sia stato lo stesso datore di lavoro o la
società emittente. Pertanto il datore di lavoro dovrà applicare le relative ritenute nel primo periodo di paga
utile, successivo all’avvenuta conoscenza del presupposto impositivo, anche per effetto di un’apposita
comunicazione del dipendente. Il datore di lavoro ha inoltre l’obbligo di informare i destinatari
dell’assegnazione agevolata circa l’obbligo di comunicare tempestivamente allo stesso le eventuali cessioni
delle predette azioni, anche successivamente all’eventuale cessazione del rapporto di lavoro dipendente.
Particolare attenzione merita il caso della cessione “non volontaria” delle azioni prima della maturazione del
cd. “vesting period”. Secondo quanto stabilito con la Risoluzione 12 agosto 2005 n. 118/E e la Circolare 16
febbraio 2007 n. 11/E il trasferimento obbligatorio delle azioni prima dello scadere del vincolo quinquennale,
non lasciando alcun margine di scelta alle parti del rapporto di lavoro, non configura una fattispecie elusiva e
 

 
A chiudere l’iter modificativo della normativa è intervenuto, infine, l’art. 82,
comma 23, del D.L. 25 giugno 2008 n. 112 ha disposto la definitiva abrogazione della
lett. g-bis) del comma 2 dell'art. 51 del TUIR. Le azioni assegnate dalla data di entrata in
vigore del citato D.L. (25 giugno 2008), non godranno più di alcuna agevolazione
dunque, i redditi ritratti dai lavoratori dipendenti a fronte della partecipazione ad un piano
di stock option sono stati ricondotti nell'alveo delle previsioni generali regolanti il reddito
di lavoro dipendente.

8.2. Piani di stock option individuali

Nel paragrafo precedente si è ricordato come la fase finale dell’evoluzione


normativa che ha interessato il trattamento fiscale delle “stock option” abbia determinato
l’abrogazione della lett. g-bis) del comma 2 dell’art. 51 del TUIR e quindi la cessazione
di ogni agevolazione con riguardo a tale forma retributiva.

In particolare le "azioni assegnate" dalla data di entrata in vigore del D.L. n.


112/2008 (25 giugno 2008) non godranno infatti più di alcuna agevolazione.
L'agevolazione continuerà invece a produrre i propri effetti con riferimento ai diritti di
opzione esercitati (vale a dire azioni già assegnate) prima del 25 giugno 2008,
naturalmente avendo accortezza di rispettare - laddove necessario - i requisiti e le
condizioni volta per volta in vigore al momento dell'assegnazione e di cui in precedenza
si è dato conto commentando l’evoluzione normativa che ha interessato la materia.

                                                                                                                                                                   
quindi non comporta la decadenza del beneficio fiscale dell’assegnazione. Sull’argomento va comunque
evidenziata anche la Risoluzione 20 luglio 2007 n. 174/E secondo la quale, in tema di assegnazioni ex art. 51
comma 2 lett. g), invece, ancorché la cessione delle azioni da parte dei dipendenti avviene sulla base di
disposizioni di carattere regolamentare contenute nel piano di assegnazione delle azioni, in forma obbligatoria
e senza lasciare alcun margine di scelta ai dipendenti, in tale caso non verrebbero rispettati i requisiti previsti
dall’art. 51 del TUIR per l’applicazione della tassazione agevolata. Infatti le disposizioni regolamentari che
disciplinano l’assegnazione delle azioni ai dipendenti non possono essere equiparate a disposizioni di legge
che consentirebbero una tassazione agevolata come chiarito con i documenti di prassi citati in principio.
In particolare la citata risoluzione prendeva in esame il caso in cui i dipendenti siano obbligati a cedere le
azioni, per espressa previsione del piano, in caso di interruzione del rapporto di lavoro.
In particolare, nel caso di specie, il piano di azionariato prevedeva che la qualifica di socio potesse essere
rivestita esclusivamente da persone fisiche che risultassero alle dipendenze della società istante o di altre
società appartenenti al gruppo. Veniva inoltre previsto che, nel caso in cui il socio avesse perso lo status di
dipendente di una società del gruppo (come, ad esempio, nel caso di pensionamento), le azioni fossero
coattivamente cedute o riscattate.
Ad avviso dell'Agenzia delle Entrate, in questo caso, anche se i titoli venivano obbligatoriamente ceduti a
seguito di interruzione del rapporto di lavoro per pensionamento, qualora la cessione fosse intervenuta prima
del compimento del triennio, il valore delle azioni doveva essere assoggettato ad imposizione come reddito di
lavoro dipendente.
 

 
Pertanto, per tali assegnazioni, non concorre alla formazione del reddito di lavoro
dipendente la differenza tra il valore delle azioni al momento dell’assegnazione, cioè
quando è esercitata l’opzione, e l’ammontare corrisposto dal dipendente.

La decorrenza è quindi immediata con buona pace della tutela dell'affidamento di


chi ha aderito ai piani confidando che, rispettando le condizioni previste (si pensi in
particolare al vesting triennale e alla quotazione della società al momento di esercitabilità
delle opzioni), avrebbe conseguito l'agevolazione all'esercizio delle opzioni.

D'ora in avanti, invece, a nulla influendo che le opzioni siano state attribuite in
base a piani già deliberati ("vecchi piani"), la differenza fra il valore normale delle azioni
assegnate al dipendente e il corrispettivo pagato (prezzo di esercizio) concorrerà a
formare il reddito imponibile del dipendente, in base alle aliquote progressive IRPEF, ma
non rileverà anche ai fini contributivi 367. Il momento impositivo, ovviamente, si verifica
nel periodo in cui il dipendente esercita il diritto di opzione che gli è stato assegnato.

La successiva cessione delle azioni determinerà poi, come accadeva già in


precedenza, la tassazione dell'eventuale capital gain. In questo caso il valore normale
delle azioni assegnate costituirà costo fiscalmente riconosciuto, da sottrarre dal
corrispettivo della successiva vendita delle azioni 368.

Quanto alla decorrenza del’abrogazione del regime agevolato previsto per le


stock option, il D.L. 25 giugno 2008 n. 112 all'art. 82, comma 24, prevede che "la
disposizione di cui al comma 23 si applica in relazione alle azioni assegnate ai
dipendenti a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto".

                                                            
367
Si veda a questo riguardo quanto si dirà meglio oltre.
368
Il costo fiscale, da contrapporre al corrispettivo di cessione ai fini della determinazione della plusvalenza
imponibile, in caso di cessione di azioni ricevute in assegnazione è pari al valore normale delle azioni alla
data di assegnazione (articolo 68, comma 6, del TUIR e Circolare 25 febbraio 2000 n. 30/E).
La Risoluzione 12 giugno 2002 n. 186/E ha confermato che nel caso in cui il dipendente abbia in portafoglio
azioni soggette a regimi fiscali diversi, in caso di cessione si può fare riferimento al criterio del FIFO, ossia il
criterio che consente di riferire la cessione agli acquisti meno recenti. Tale criterio può essere riferito
esclusivamente alle azioni assegnate per effetto di piani di stock option e non anche alle azioni che il
dipendente ha eventualmente acquisito autonomamente sul mercato. In quest’ultimo caso, infatti, si dovrà far
riferimento al criterio del LIFO.
Se il dipendente intenderà poi avvalersi dell'applicazione dei regimi opzionali del risparmio amministrato o
del risparmio gestito, dovrà quindi consegnare all'intermediario abilitato una dichiarazione sostitutiva nella
quale attesterà il valore delle azioni assoggettato a tassazione come reddito di lavoro dipendente, cosicché tale
valore possa essere assunto quale costo di riferimento delle azioni (cd. valore di carico).
 

 
Conseguentemente, a prescindere dalla data in cui è stato deliberato il piano, qualsiasi
esercizio di opzioni che avvenga successivamente al 25 giugno 2008 non può usufruire
del previgente regime fiscale agevolato 369.

Diventa quindi di assoluta importanza capire quale sia il momento di


assegnazione delle azioni, atto che si intende effettuato quando viene rilasciata, dal
titolare del diritto di opzione, la dichiarazione di esercizio del diritto di opzione
medesimo mentre è assolutamente irrilevante la data di emissione o di consegna dei
titoli 370.

8.3. Trattamento contributivo

Nel nostro ordinamento vige il principio di armonizzazione delle basi imponibili


fiscale e contributiva 371. Pertanto, in virtù del richiamato principio (salvo le eccezioni
tassativamente stabilite dall’art. 12) della L. 30 aprile 1969 n. 153, l'individuazione, da
parte della normativa tributaria, della retribuzione da assoggettare ad imposta ha valenza
anche sotto il profilo contributivo.

A fronte dell'abrogazione in commento, pertanto, il reddito ritratto dalla


partecipazione a piani di stock option dovrebbe astrattamente scontare l'imposizione
contributiva sia in capo al lavoratore che al datore di lavoro. Questa situazione si è
puntualmente verificata con l'emanazione del D.L. 25 giugno 2008 n. 112 il quale nulla
prevedeva in merito agli aspetti contributivi. In sede di conversione, tuttavia, il legislatore
ha ritenuto opportuno introdurre un'apposita disposizione volta a rendere neutrale, da un
punto di vista contributivo, l'abrogazione della norma fiscale di favore 372.

                                                            
369
L'alternativa, evidentemente, poteva essere quella di applicare il novello regime solo ai piani di stock
option deliberati successivamente alla sua introduzione.
370
Conformemente a tale indicazione si è espressa anche l’Amministrazione finanziaria con la Circolare l9
settembre 2008 n. 54/E e la Risoluzione 12 dicembre 2007 n. 366/E.
371
L'art. 12 della L. n. 153/1969, (che, tra l'altro, ha sostituito l'art. 27 del D.P.R. 30 maggio 1955 n. 797)
stabilisce, infatti, che costituiscono redditi di lavoro dipendente ai fini previdenziali ed assistenziali quelli
indicati dall'art. 49 del TUIR e determinati a norma del successivo art. 51.
372
Ai sensi dell'art. 82, comma 24-bis, del D.L. n. 112/2008 (così come introdotto dalla legge di
conversione), infatti, "al comma 4 dell'art. 27 del Testo Unico delle norme concernenti gli assegni familiari,
di cui al D.P.R. n. 797/1955, e successive modificazioni, è aggiunta, infine, la seguente lett. g-bis) i redditi da
lavoro dipendente derivanti dall'esercizio di piani di stock option".

 
Non si tratta di una normativa transitoria ma, più propriamente, di una norma di
sistema volta, quindi, a disciplinare anche i piani di stock option deliberati dopo l'entrata
in vigore del D.L. n. 112/2008. Pertanto, a decorrere da tale data i redditi derivanti
dall'esercizio di opzioni (e quindi la differenza tra il valore normale dei titoli al momento
dell’assegnazione ed il prezzo pagato dal lavoratore) saranno assoggettati a tassazione
ordinaria e non sconteranno imposizione contributiva.

Sulla questione è intervenuto l’INPS che ha sciolto ogni riserva 373. In sintesi il
documento dell’Istituto Previdenziale prevede che:

‐ per i piani deliberati prima del 5 luglio 2006, se le azioni sono state assegnate entro il
24 giugno 2008, ai fini contribuitivi è esente la differenza tra il valore delle azioni al
momento dell’assegnazione ed il prezzo pagato dal dipendente, a patto che il
dipendente versi un prezzo minimo almeno pari al valore delle azioni al momento
dell’offerta e che non possieda una partecipazione rilevante nella società;
‐ per i piani deliberati dal 5 luglio al 2 ottobre 2006, con azioni assegnate entro il 2
ottobre 2006, non è soggetta a contribuzione la differenza tra il valore delle azioni al
momento delle assegnazioni ed il prezzo pagato dal dipendente, sempre che il
lavoratore, oltre alle condizioni già indicate al punto precedente, detenga per almeno
5 anni le azioni ed il valore delle azioni non sia superiore alla retribuzione lorda
annua percepita dal lavoratore stesso. Se le azioni sono invece assegnate dal 3
ottobre 2006 al 24 giugno 2008 si applica ugualmente l’esenzione contributiva ma
l’opzione deve essere esercitata solo dopo tre anni dall’attribuzione, la società deve
essere quotata in mercati regolamentati al momento dell’opzione, e il dipendente
deve mantenere per almeno cinque anni successivi all’esercizio dell’opzione un
investimento nei titoli oggetto di opzione non inferiore alla differenza tra il valore
delle azioni al momento dell’assegnazione e l’ammontare corrisposto dal dipendente;
‐ per i piani deliberati dal 3 ottobre 2006 al 24 giugno 2008 è ugualmente prevista
l’esenzione contributiva, purché vengano rispettate le condizioni indicate al punto
precedente;

                                                                                                                                                                   
Ai sensi del successivo comma 24-ter "l'esclusione dalla base imponibile contributiva, disposta ai sensi della
lett. g-bis) del comma 4 dell'art. 27 del citato Testo Unico di cui al D.P.R. n. 797/1955, introdotta dal comma
24-bis del presente articolo, opera in relazione alle azioni assegnate ai dipendenti a decorrere dalla data di
entrata in vigore del presente decreto".
373
Circolare INPS 11 dicembre 2009 n. 123.
 

 
‐ per le azioni assegnate dal 25 giugno 2008, indipendentemente dalla data di delibera
del piano, è prevista l’esenzione contributiva totale senza alcuna condizione 374.

L’INPS ha inoltre chiarito che, non essendo prevista nella legislazione italiana
una definizione giuridica di stock option, il regime di esonero si applica anche ai piani
non generalizzati che prevedono, previo rispetto di determinate condizioni (termine per
l’esercizio di opzione, raggiungimento di determinati livelli di performance aziendali,
essere dipendenti della società al momento dell’esercizio dell’opzione) l’assegnazione
gratuita di azioni, purché siano rispettate le condizioni normative.

Infine, per come è stata concepita l'esenzione contributiva, si ritiene non possono
avvalersi della stessa i titolari di redditi assimilati al lavoro dipendente (quali, ad esempio,
i collaboratori a progetto o i membri del consiglio di amministrazione) che versano i
contributi alla Gestione separata INPS 375.

8.4 Piani di azionariato diffuso

Come già anticipato in precedenza, l'art. 51, comma 2, lett. g), del TUIR dispone
che è escluso dal reddito "il valore delle azioni offerte alla generalità dei dipendenti per
un importo non superiore complessivamente nel periodo d'imposta a euro 2.065,83".

L'accesso al regime di tassazione agevolato è peraltro subordinato al rispetto di


ulteriori condizioni. In particolare per un periodo di tre anni dal momento
dell'attribuzione, le azioni:

‐ non devono essere riacquistate dalla società emittente o dal datore di lavoro;
‐ non devono essere cedute dal dipendente.

                                                            
374
Nello stesso documento l’INPS ha precisato che il termine per procedere ad eventuali regolarizzazioni
mediante il modello DM10/v, in riferimento ad azioni assegnate fino al 24 giugno 2008 e per le quali non si è
poi verificato il rispetto delle condizioni previste per il trattamento agevolato riservato alle stock option, è il
16 marzo 2010 (senza oneri aggiuntivi).
375
Per tali soggetti, infatti, la contribuzione, ai sensi dell'art. 2, comma 29, delle L. 8 agosto 1995 n. 335, è
applicata "sul reddito delle attività determinato con gli stessi criteri stabiliti ai fini dell'imposta sul reddito
delle persone fisiche, quale risulta dalla relativa dichiarazione annuale dei redditi e dagli accertamenti
definitivi". Sarebbe chiaramente auspicabile un'estensione dell'agevolazione contributiva anche a questi
contribuenti considerando che gli stessi, soprattutto con riferimento agli amministratori, sono generalmente i
naturali destinatari dei piani di incentivazione basati su azioni. In senso analogo FALCONI – MARIANETTI,
“Stock option”, piena tassazione quale reddito di lavoro dipendente, in “Corriere tributario” 2008-35, pag.
2821 e segg..
 

 
L'esclusione dal reddito riguarda le azioni emesse:

‐ dall'impresa con la quale il contribuente intrattiene il rapporto di lavoro;


‐ da società che direttamente o indirettamente controllano l'impresa con la quale il
contribuente intrattiene il rapporto di lavoro, ne sono controllate o sono controllate
dalla stessa società che controlla l'impresa (art. 51, comma 2-bis, del TUIR) 376.

L'accesso al regime di tassazione agevolato in capo ai dipendenti prevede il


rispetto di due condizioni:

‐ le azioni devono essere offerte alla generalità dei dipendenti 377;


‐ il dipendente non deve cedere le azioni per un periodo di 3 anni dal momento
dell'attribuzione.

Al verificarsi di questi presupposti, le azioni attribuite, nel limite di 2.065,83 euro


per periodo d'imposta, sono escluse da tassazione in capo al dipendente.

Per l'applicazione del regime agevolato, le azioni non devono essere inoltre:

‐ essere riacquistate dalla società emittente o dal datore di lavoro;

                                                            
376
Ai fini della definizione di controllo, la Circolare 23 dicembre 1997 n. 326/E (par. 2.2.7) precisa che
occorre fare riferimento all'art. 2359 c.c., il quale individua due forme di controllo, vale a dire il controllo di
diritto e il controllo di fatto.
Si ha controllo di diritto quando una società dispone (direttamente o indirettamente) della maggioranza dei
voti esercitabili nell'assemblea ordinaria di un'altra società.
Il controllo di fatto ricorre invece quando:
- una società dispone (direttamente o indirettamente) dei voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante
nell'assemblea ordinaria di un'altra società;
- una società esercita influenza dominante su un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali.
La Risoluzione 17 dicembre 2007 n. 376/E ha quindi ribadito che al fine di correttamente individuare le
società la cui assegnazione di azioni è in linea di principio agevolabile occorre fare riferimento alla nozione di
controllo contenuta nell’art. 2359 c.c., sia di diritto che di fatto, escludendo, peraltro, ipotesi di controllo
congiunto.
377
Quanto alla nozione di generalità dei dipendenti, l'offerta di azioni deve riguardare "tutti i dipendenti"
(Circolare 29 dicembre 1999 n. 247/E). Ad avviso di Assonime (Circolare 22 febbraio 2000 n. 7), detta
condizione può "considerarsi soddisfatta, in coerenza con le finalità della disciplina in esame, quando l'offerta
coinvolga tutti i dipendenti legati all'impresa da un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, anche se ne
risultino eventualmente esclusi altri soggetti legati all'impresa da rapporti lavorativi temporalmente definiti".
Il momento rilevante ai fini dell'individuazione della generalità dei dipendenti è quello dell'offerta ai
medesimi, vale a dire la data della delibera dell'assemblea con la quale vengono fissate tutte le condizioni del
piano azionario (Circolare 17 maggio 2000 n. 98/E, risposta 5.1.6).
 

 
‐ essere cedute dal dipendente prima che siano trascorsi almeno tre anni dalla
percezione 378.

Il superamento della soglia di 2.065,83 euro configura una presunzione di


corrispettività dell'attribuzione, determinando, conseguentemente, l'applicazione delle
regole ordinarie sulla differenza tra l'importo attribuito e la soglia 379.

La franchigia trova applicazione in tutte le ipotesi di attribuzione di azioni alla


generalità dei dipendenti, sia nel caso essa sia totalmente che nel caso sia parzialmente
gratuita 380.

La franchigia deve essere determinata sulla base del valore normale di cui all'art.
9 del TUIR, calcolato al momento dell'assegnazione.

In caso di cessione delle azioni prima del triennio, concorre a formare il reddito di
lavoro dipendente il solo importo che inizialmente era stato escluso da imposizione al
momento dell'assegnazione (art. 51, comma 1, lett. g, ultimo periodo del TUIR).

                                                            
378
Le Risoluzioni 12 agosto 2005 n. 118/E e 4 gennaio 2008 n. 5/E hanno affermato che qualora le azioni
siano cedute prima del termine del triennio, l’importo che non ha concorso a formare il reddito di lavoro
dipendente al momento dell’acquisto è assoggettato a tassazione nel periodo d’imposta in cui avviene la
cessione, quale compenso in natura di lavoro dipendente. Un analogo recupero a tassazione è previsto nel
caso di riacquisto da parte del datore di lavoro e della società emittente a prescindere dal periodo di possesso.
La condizione del vincolo triennale va infatti riferita esclusivamente all’acquisto da parte di terzi delle azioni
mentre in nessun caso spetta l’agevolazione nell’ipotesi in cui i titoli vengano riacquistati dalla società
emittente o dal datore di lavoro. Il trattamento riferito alle azioni emesse dall'impresa con la quale il
dipendente intrattiene il rapporto di lavoro è esteso anche alle azioni emesse da società che direttamente o
indirettamente controllano la medesima impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società
che controlla l'impresa. Con la conseguenza che la revoca dell'agevolazione si ha non solo nell'ipotesi di
cessione a favore della società emittente, ma anche di cessione delle azioni oggetto di agevolazione a favore
della società che abbia, tra l'altro, il controllo della società emittente.
379
FORNERO, Azionariato popolare dei dipendenti: cessione delle azioni nel triennio per interruzione del
rapporto di lavoro, in “Pratica fiscale e professionale” 2007-36, pag. 18 e segg..
380
Nel caso in cui al dipendente venga richiesto un corrispettivo, il limite dei 2.065,83 euro deve essere
riferito all'importo complessivo oggetto di sconto (Circolare 17 maggio 2000 n. 98/E, risposta 5.1.5).

Esempio

Se il valore normale delle azioni assegnate è pari a 5.000,00 euro e l'importo corrisposto dal dipendente è pari
a 2.000,00 euro, il reddito da assoggettare a tassazione in capo al lavoratore sarà pari a 934,17 euro [(5.000,00
- 2.000,00) - 2.065,83].
 

 
Questo significa che, se la plusvalenza conseguita dal lavoratore supera 2.065,83
euro, l'eccedenza determina il realizzo di un reddito diverso e come tale è assoggettato ad
imposizione secondo le regole degli artt. 67 e 68 del TUIR.

Con il superamento del triennio, la cessione delle partecipazioni assegnate ai


dipendenti non assume più rilievo ai fini della determinazione del reddito di lavoro
dipendente. Troveranno, tuttavia, applicazione le regole previste per il capital gain dagli
artt. 67 e 68 del TUIR.

Ai fini in esame, assume particolare rilievo l'art. 68, comma 6, del TUIR, in base
al quale le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni sono costituite dalla
differenza tra:

‐ il corrispettivo percepito ovvero la somma od il valore normale dei beni rimborsati;


‐ il costo o il valore di acquisto assoggettato a tassazione, aumentato di ogni onere
inerente alla loro produzione, con esclusione degli interessi passivi.

TRATTAMENTO CONTABILE E FISCALE PER L’IMPRESA

Ai fini dell’esame delle problematiche relative alla rappresentazione in bilancio


per l’impresa concedente i piani di stock option 381, è utile distinguere tra gli aspetti di
contabilizzazione dei piani e gli aspetti relativi alle informazioni da inserire nel bilancio.

Quanto al trattamento fiscale, invece, esso ha ad oggetto unicamente l’IRES, non


rilevando i piani di stock option né ai fini IRAP né ai fini dell’IVA, ed ovviamente gli
obblighi quale soggetto sostituto d’imposta 382.

8.5 Contabilizzazione dei piani


                                                            
381
Per maggiori apprendimenti in merito alle problematiche contabili, sia secondo i principi contabili
nazionali che internazionali, vedasi, tra gli altri, CENTRO STUDI ERNST & YOUNG, Paper Stock Options,
anno 2001.
382
Per effetto dell’abrogazione della lett. g-bis) del comma 2 dell’art. 51 del TUIR, la differenza tra il valore
delle azioni al momento dell’esercizio del diritto di opzione ed il prezzo corrisposto dal dipendente concorre a
formare il reddito imponibile da lavoro dipendente, pertanto il relativo compenso in natura andrà assoggettato
a ritenuta d’acconto. A tal fine il datore di lavoro dovrà cumulare tale compenso in natura con la retribuzione
del periodo di paga nel quale è avvenuta l’assegnazione dei titoli azionari. In caso di incapienza dei
contestuali pagamenti in denaro sui quali il datore di lavoro possa esercitare il diritto di rivalsa sulle ritenute
da operare, il dipendente sarà tenuto a versare al datore di lavoro stesso l’ammontare delle ritenuta per la
quale la rivalsa non sia stata operata, ai sensi dell’art. 23, primo comma ultimo periodo del DPR 600/1973.
 

 
L’analisi degli aspetti contabili e fiscali di un piano di stock option richiede
l’esame di due distinti momenti:

‐ l’emissione del piano,


‐ l’acquisto/sottoscrizione delle azioni.

Mentre con riferimento a quest’ultimo aspetto la prassi contabile italiana ha


individuato specifiche modalità di contabilizzazione, la rappresentazione in bilancio
dell’emissione di un piano non è stata oggetto di definizione.

In particolare, con riferimento all’acquisto/sottoscrizione delle azioni, ad ognuna


delle tipologie previste dalla normativa civilistica si legano le seguenti differenti modalità
di contabilizzazione:

‐ nell’assegnazione gratuita ex art. 2349 c.c. (azioni e strumenti finanziari a favore dei
prestatori di lavoro) o 2432 c.c. (partecipazione agli utili) si procederà all’iscrizione
in dare di un conto acceso alle riserve di utili (a fronte della assegnazione degli utili)
e all’iscrizione in avere del conto “capitale sociale” (per l’avvenuto aumento di
capitale sociale). In questa fattispecie il costo dell'intera operazione, se si escludono
gli oneri relativi ai professionisti (spese notarili, legali, ecc.), ricade di fatto sui soci,
che vedono diluito il valore delle proprie partecipazioni e rinunciano, senza
corrispettivo, al sovrapprezzo ordinariamente pagato dai nuovi soci in
considerazione dell'avviamento o delle plusvalenze latenti esistenti nella società nel
cui capitale fanno il loro ingresso. Posto che l’assegnazione degli utili verrebbe
effettuata a favore dei dipendenti non in qualità di soci, non trova applicazione la
disciplina prevista per l’ordinaria distribuzione di dividendi 383;
‐ nell’assegnazione ex art. 2441 c.c. (diritto di opzione) si procederà alla rilevazione di
un credito nei confronti dei dipendenti/collaboratori con iscrizione in dare della voce
“crediti verso soci” o “azionisti conto sottoscrizione” (in relazione alla sottoscrizione
dell’aumento di capitale sociale) ed al contestuale incremento del “capitale sociale”,
nonché, per l’eventuale eccedenza del prezzo da corrispondere rispetto al valore
nominale, della “riserva sovrapprezzo azioni”. In questa fattispecie il costo
dell'intera operazione, è posto in capo ai dipendenti/collaboratori destinatari del

                                                            
383
In questo senso si è espressa la Circolare 23 dicembre 1997 n. 326/E.
 

 
piano che provvederanno a versare il corrispettivo previsto per la sottoscrizione dei
titoli, ma sarà in parte anche a carico dei soci stessi nei limiti in cui l’aumento del
capitale destinato ai dipendenti/collaboratori non preveda un sovraprezzo o lo
preveda in misura inferiore al valore normale dei titoli emessi. Anche in questa
situazione, infatti, i soci vedrebbero diluito il valore delle proprie partecipazioni e
rinuncerebbero, senza corrispettivo, al sovrapprezzo ordinariamente pagato dai nuovi
soci in considerazione dell'avviamento o delle plusvalenze latenti esistenti nella
società nel cui capitale fanno il loro ingresso;
‐ nel caso di vendita di azioni proprie, ovvero di azioni di società controllanti,
controllate o consociate ai dipendenti o ai collaboratori, ex artt. 2357 e 2358 c.c., si
procederà alla rilevazione dell’incasso, mediante iscrizione in dare del conti
“banche”, ed al contestuale iscrizione in avere del conto “azioni proprie”; l’eventuale
differenza tra il valore pagato della società per l’acquisto delle azioni proprie ed il
prezzo corrisposto dai dipendenti/collaboratori determinerà l’iscrizione in dare del
conto “minusvalenze” oppure l’iscrizione in avere del conto “plusvalenze”;
contestualmente dovrà registrarsi la liberazione della riserva indisponibile creata in
sede di acquisto delle azioni proprie, mediante addebito del conto “riserva
indisponibile” ed accredito del conto “riserva disponibile”. Nel caso di cessione di
titoli propri detenuti in portafoglio o acquistati sul mercato, si renderebbe imputabile
a conto economico e deducibile fiscalmente la differenza tra il valore di carico delle
azioni e l'eventuale minore prezzo corrisposto dai dipendenti, ovvero tassabile la
plusvalenza realizzata 384.

Nessun riferimento è presente, tanto nella disciplina civilistica quanto nell’ambito


dei Principi Contabili, circa le modalità di rappresentazione in bilancio (e tanto meno
all’opportunità di procedere alla rappresentazione stessa) degli effetti economici che
vengono a prodursi in sede di emissione del piano, ossia al momento dell’individuazione
                                                            
384
Appare utile sottolineare sul punto anche quanto indicato con la Circolare 17 maggio 2000 n. 98/E. Il
documento di prassi stabilisce che ai fini della determinazione del reddito d'impresa, nei casi di assegnazione
gratuita di azioni emesse da altre società del gruppo ai propri dipendenti, il costo sostenuto per l'acquisizione
di dette azioni è deducibile quale spesa per prestazioni di lavoro dipendente.
Diversamente, nel caso in cui l'assegnazione gratuita viene effettuata dalla società A nei confronti dei
dipendenti della società B, pur se appartenente allo stesso gruppo, venendosi a configurare per la società A
una destinazione di beni a finalità estranee all'esercizio dell'impresa, il valore normale delle azioni stesse
concorre a formare il reddito della società A.
Qualora, invece, sia stato previsto un corrispettivo in favore della società A da parte della società B, esso
concorre alla formazione del reddito della società A secondo le regole ordinarie, mentre costituisce costo
deducibile per la società B.
 

 
delle condizioni dello stesso e dei destinatari quando non è ancora avvenuto il
trasferimento delle azioni 385.

Stante, quindi, la citata mancanza di riferimenti normativi e di prassi contabile,


appare evidente come gli operatori italiani siano legittimati a rinviare qualsiasi
registrazione in contabilità generale al momento dell’eventuale esercizio delle opzioni e
che ogni riferimento ai piani in essere (che non hanno dato luogo ad assegnazione di
azioni) sia rimandato alle informazioni accessorie eventualmente richieste per la
predisposizione del bilancio.

8.6. Informazioni in bilancio

Per quanto concerne l’informativa che deve essere fornita nei documenti di
bilancio, oltre alle informazioni che la normativa civilistica, con gli artt. 2427 e 2428 c.c.
prevede debbano essere contenute nella Nota Integrativa e nella Relazione sulla Gestione
(in merito alle movimentazioni delle voci del patrimonio netto della società), vanno
fornite anche le notizie richieste dai principi contabili.

Il principio contabile n.28, pur non specificando disposizioni per la rilevazione e


la determinazione del valore dei compensi retributivi legati al patrimonio netto, fornisce
molte indicazioni per la nota integrativa.

Le indicazioni richieste hanno lo scopo di consentire al lettore del bilancio


d’esercizio di valutare l’effetto dei compensi retributivi legati al patrimonio netto sulla
situazione finanziaria, il risultato economico e i flussi finanziari dell’impresa.

I compensi retributivi legati al patrimonio netto possono avere effetto:

                                                            
385
Tale tema è stato affrontato negli Stati Uniti e queste esperienze sono sfociate nelle seguenti tecniche di
rappresentazione contabile:
- metodo dell’intrinsic value: prevede che le società debbano registrare un costo per l’emissione di un piano
di stock option soltanto nel caso in cui il valore di mercato dell’azione sia superiore al prezzo di esercizio, in
quanto la società incorre (per incentivare i propri dipendenti) in un depauperamento economico. Tale costo
deve essere rettificato, in ogni esercizio, per tenere conto di eventuali modifiche nel numero di opzioni che
giungeranno a maturazione (Opinion n. 25 dell’Accounting Principles Board).
- metodo del fair value: pur adottando la medesima logica di rappresentazione del metodo dell’intrinsic value,
esso prevede una diversa modalità di determinazione del valore del piano, ossia dell’eventuale costo che la
società deve registrare, sulla base dell’individuazione del fair value dello stesso alla data di emissione
utilizzando specifici modelli finanziari di valutazione (Statement n. 23 del F.A.S.B.).
 

 
‐ sulla situazione finanziaria con il richiedere che l’impresa emetta stock option o
converta strumenti finanziari esistenti;
‐ sul risultato economico e i flussi finanziari con l’evidenziare la necessità per
l’impresa di ridurre l’ammontare delle disponibilità liquide o di altri benefici che
corrisponde ai propri dipendenti per il loro lavoro.

In nota integrativa un’impresa deve illustrare:

‐ la natura e le condizioni ( inclusa ogni disposizione per l’acquisizione del diritto )


dei programmi retributivi legati al patrimonio netto;
‐ i criteri contabili per i programmi retribuiti legati al patrimonio netto;
‐ gli ammontari rilevati nel bilancio d’esercizio per i programmi retribuiti legati al
patrimonio netto;
‐ il numero e le condizioni ( inclusi i diritti di voto e i dividendi, i diritti di
conversione, le date e i prezzi di esercizio nonché le date di scadenza ) di stock
option dell’impresa che sono posseduti dai programmi retributivi legati al patrimonio
stesso all’inizio e alla fine dell’esercizio. Deve essere precisata la misura in cui i
diritti dei dipendenti a quegli strumenti finanziari vengono acquisiti all’inizio e alla
fine dell’esercizio;
‐ il numero e le condizioni (inclusi i diritti di voto e i dividendi, i diritti di
conversione, le date e i prezzi di esercizio nonché le date di scadenza ) di stock
option che sono posseduti dai programmi retributivi legati al patrimonio stesso
durante l’esercizio e il valore corrente di qualsiasi corrispettivo erogato ai dipendenti
dai suddetti programmi.

Inoltre un’impresa deve anche indicare:

‐ il valore corrente all’inizio e alla fine dell’esercizio, di stock option ( diversi dai
diritti di opzione ) dell’impresa posseduti dai programmi retributivi;
‐ il valore corrente, alla data di emissione, di stock option emessi durante l’esercizio
dall’impresa a favore di programmi retributivi legati al patrimonio netto o ai
dipendenti. Qualora non fosse possibile determinare il valore corrente, se ne deve
dare informazione nella nota integrativa.

 
Con riferimento alle società quotate, inoltre, il Regolamento Consob, all’art. 78
dispone che gli enti emittenti devono indicare in Nota Integrativa “nominativamente e
secondo i criteri stabiliti nell’allegato 3C i compensi corrisposti agli amministratori, ai
sindaci ed ai direttori generali a qualsiasi titolo e in qualsiasi forma anche da società
controllate”.

L’allegato 3C prevede due distinti schemi. Nel primo (Schema 1) 386, la società
deve indicare tutti i compensi corrisposti agli amministratori, ai sindaci ed ai direttori
generali dell’ente emittente e delle società controllate, compresi eventuali benefici di
natura non monetaria, bonus ed altri tipi di incentivi attribuiti, nonché tutte le altre
eventuali retribuzioni derivanti dal rapporto di impiego, da altre prestazioni fornite,
gettoni di presenza e rimborsi spese forfettari. Il secondo (Schema 2) 387 è da compilarsi
nel caso di attribuzione di piani di incentivazione ad amministratori e direttori generali,
che prevedano l’assegnazione gratuita di azioni o l’offerta di opzioni per l’acquisto o la
sottoscrizione di titoli societari. In tale schema dovranno essere indicate, per ciascun

                                                            
386
Fac simile Schema 1 - Compensi corrisposti agli amministratori, ai sindaci ed ai direttori generali

soggetto descrizione carica compensi

cognome e carica durata emolumenti benefici bonus ed altri Altri


nome ricoperta carica per carica non incentivi compensi
monetari

387
Fac simile Schema 2 - Stock option attribuite agli amministratori e direttori generali

soggetto: cognome e nome


diritti di assegnazione o opzioni attribuite nel corso dell’esercizio
assegnazione gratuita di azioni:
n. di azioni assegnabili
data di assegnazione
opzioni di acquisto o sottoscrizione:
n. di azioni acquistabili o sottoscrivibili
prezzo di esercizio opzione
periodo di esercizio
assegnazioni di azioni o esercizio delle opzioni realizzzate nel corso dell’esercizio
assegnazione gratuita di azioni
n. azioni assegnate
opzioni di acquisto o sottoscrizione
di azioni acquistate o sottoscritte
prezzo di esercizio

 
beneficiario, le condizioni previste dai piani emessi nel corso dell’esercizio ed un
rendiconto dell’effettiva realizzazione dei piani in essere.

L’ente emittente deve inoltre fornire una descrizione dei principali elementi dei
vari piani, per illustrare i principi e gli obiettivi

L’art. 79 del Regolamento prescrive inoltre che nella Relazione sulla Gestione
vengano indicate, secondo lo specifico schema previsto dall’allegato 3C (Schema 3) 388, le
partecipazioni detenute da amministratori, sindaci e direttori generali, nonché membri
della diretta famiglia di questi, nell’ente emittente e nelle sue controllate, anche per il
tramite di società fiduciarie o per interposta persona

La Consob ha disposto che nella Relazione sulla Gestione vengano inserite


almeno le seguenti informazioni 389:

‐ indicazione dei piani di stock option adottati o ancora in essere nell’esercizio e delle
ragioni alla base dell’adozione di tali piani;
‐ sintetica descrizione delle caratteristiche dei piani, con indicazione dell’ammontare
delle azioni per le quali è ancora pendente l’offerta (anche in percentuale rispetto al
capitale sociale), dei destinatari, della durata e delle modalità di assegnazione ed
esercizio;
‐ indicazione delle eventuali operazioni effettuate per favorire l’acquisto o la
sottoscrizione di azioni ai sensi dell’art. 2358 c.c., con evidenze che agevolino il
raccordo con i dati di bilancio relativamente ad eventuali crediti e garanzie prestate.

                                                            
388
Fac simile Schema 3 - Partecipazioni degli amministratori, sindaci e direttori generali

cognome e società n. azioni n. azioni n. azioni n. azioni possedute a


nome partecipata possedute a fine acquistate vendute fine esercizio in corso
esercizio
precedente

389
Il regime informativo è stato previsto con la Comunicazione 15 febbraio 2000 n. 11508.
 

 
Inoltre, per i piani significativi, in relazione alla percentuale di capitale coinvolta
o al controvalore complessivo delle azioni assegnate, la Comunicazione prevede che
vengano indicati nella Relazione sulla Gestione dati relativi a:

‐ diritti di opzione esistenti ed esercitabili all’inizio ed alla fine dell’esercizio,


‐ diritti di opzione attribuiti, esercitati e scaduti nell’esercizio,
‐ i prezzi medi ponderati relativi a tali voci e i prezzi medi di mercato, ciò anche al
fine di consentire la rilevazione del beneficio goduto globalmente dagli assegnatari e
di quello latente a fine esercizio.

8.7. La disciplina delle stock option secondo i principi contabili internazionali

L’assegnazione di strumenti di patrimonio netto della società a propri dipendenti


come parte della loro retribuzione rientra nell’ambito di applicazione dell’ IFRS 2
"Pagamenti basati su azioni" 390.

L'IFRS 2 definisce i pagamenti basati su azioni come transazioni nelle quali una
società riceve beni o servizi in cambio di propri strumenti di patrimonio netto o di importi
la cui determinazione è basata sul prezzo delle proprie azioni o altri strumenti di
patrimonio netto 391.

Nei gruppi avviene frequentemente che la società controllante estenda i piani di


stock option a dipendenti di altre società del Gruppo. In questi casi, i dipendenti delle
controllate ricevono strumenti di patrimonio netto della società controllante.

Lo IFRS 2.3 prevede che ricadano sotto l'ambito di applicazione anche quei piani
che prevedono:

‐ il trasferimento di strumenti di patrimonio della società da parte di azionisti della


società;

                                                            
390
Per maggiori approfondimenti vedasi, tra gli altri, BERTONI, Pagamenti basati su azioni:
contabilizzazione delle stock option e IFRS 2, in “Contabilità, Finanza e Controllo” 2005-10, pag. 797 e
segg..
391
Lo Standard introduce la distinzione tra:
ƒ pagamenti basati su azioni regolati tramite l’assegnazione di strumenti di patrimonio netto, che
originano la rilevazione di un incremento di patrimonio netto in contropartita al costo per servizi;
ƒ pagamenti basati su azioni regolati tramite cassa, che originano la rilevazione di un debito.
 

 
‐ il trasferimento di strumenti di patrimonio della controllante o di altre società del
Gruppo.

Tuttavia, l'IFRS 2 non precisa quale debba essere il trattamento contabile di tali
transazioni nei bilanci separati della controllante o della controllata. Soccorre in tal senso
l'Interpretazione IFRIC 11 392. Ai sensi dell’IFRIC 11 un’operazione con la quale l’entità
si impegna a consegnare azioni ai propri dipendenti si contabilizza nel bilancio dell’entità
come operazione regolata in azioni, anche se l’entità può scegliere, oppure ne ha
l’obbligo, di procurarsi le azioni acquistandole da terzi: le azioni proprie non possono mai
essere considerate un’attività da parte dell’emittente.

Questo metodo di contabilizzazione si applica anche quando l’assegnazione del


diritto alle azioni o il pagamento in azioni non sono effettuati dell’entità ma dai propri
azionisti, purché il piano di stock option sia classificato come operazione regolata in
azioni anche nel bilancio consolidato.

È opportuno distinguere le seguenti fattispecie:

1. Bilancio della controllata. L'IFRIC 11 prevede che se una controllante assegna ai


dipendenti di una controllata dei diritti sui propri strumenti di patrimonio, la società
controllata debba contabilizzare tale transazione nel proprio bilancio separato come un
pagamento basato su azioni regolato tramite la concessione di strumenti di proprio
patrimonio netto 393.

2. Bilancio della controllante. Lo IAS 27.37 prevede che nel bilancio separato della
controllante le partecipazioni in società controllate siano iscritte in base al costo
oppure al fair value. Ove si utilizzi il metodo del costo, il fair value relativo agli

                                                            
392
Pubblicata nel novembre 2006, disciplina i seguenti casi:
ƒ una società attribuisce ai propri dipendenti diritti sui propri strumenti di patrimonio netto, e può
scegliere, oppure ne ha l’obbligo, di acquistarli da terzi per estinguere l'obbligazione alla data di
maturazione;
ƒ una società o i suoi soci assegnano ai dipendenti della società diritti sugli strumenti di patrimonio
netto della società, ed i soci conferiscono gli strumenti per estinguere l'obbligazione;
ƒ una società o la propria controllante assegnano ai dipendenti della società stessa diritti sugli
strumenti di patrimonio netto della controllante.
393
Si precisa che in tal caso la società controllata dovrà iscrivere il costo per la prestazione ricevuta dal
dipendente e in contropartita un incremento di patrimonio netto che rappresenta una contribuzione di valore
da parte del socio.

 
strumenti di patrimonio assegnati a beneficio dei dipendenti delle controllate, deve
quindi essere portato ad incremento del costo della partecipazione nella controllata
interessata al piano, trattandosi di una contribuzione in natura della controllante, in
contropartita dell'incremento di patrimonio netto nel corso del periodo di maturazione
dello strumento, cioè del periodo nel quale il dipendente della controllata presta il
servizio remunerato con la concessione dello strumento stesso 394.

3. Accordi di riaddebito. L'IFRIC 11 non stabilisce il trattamento contabile degli accordi


di riaddebito. Si può presentare la fattispecie che la controllante riaddebiti alla società
controllata gli strumenti di patrimonio netto assegnati ai dipendenti della stessa in base
ad un valore diverso rispetto a quello riflesso in contabilità. L'importo riaddebitato
deve essere contabilizzato a rettifica del valore della contribuzione contabilizzato
come specificato in precedenza, e, pertanto, portato a deduzione del valore contabile
della partecipazione nel bilancio separato della controllante 395.

8.8. Soluzioni alternative alla concessione di stock option

E' abbastanza evidente che le modifiche normative apportate e commentate, dopo


aver in prima battuta notevolmente ridotto l'appeal fiscale dei piani di stock option, con
l’attuale disciplina hanno completamente eliminato ogni vantaggio connesso ai piani
azionari individuali, eccezion fatta per l’esenzione contributiva. Questo inevitabilmente
porta a ricercare soluzioni alternative.

Si propongono, nel proseguo, alcune soluzioni alternative.

Sottoscrizione di azioni da parte dei dipendenti con opzione di rivendita


                                                            
394
In Gruppi a struttura complessa, può avvenire che la capogruppo assegni propri strumenti di patrimonio
netto a dipendenti di società non direttamente partecipate dalla capogruppo: ad esempio, la capogruppo può
assegnare strumenti a dipendenti di una controllata di secondo livello. In tal caso, la capogruppo dovrà
incrementare il costo della partecipazione nella controllata di primo livello, anche se quest'ultima non
partecipa alla transazione. Tale incremento riflette il fatto che la contribuzione gratuita alla controllata di
secondo livello ha indirettamente aumentato il valore economico della controllata di primo livello attraverso
un arricchimento della società da questa partecipata.
Analogo trattamento dovrà essere seguito anche nelle altre controllate interessate.
395
L'importo eventualmente addebitato in eccesso rispetto al valore della contribuzione misurato in base ai
criteri dell'IFRS 2 rappresenta una distribuzione di dividendi da parte della controllata che dovrà essere
contabilizzato in conformità con lo IAS 27.4 e allo IAS 18.32. Pertanto saranno imputati a conto economico
della controllante nella misura in cui provengono da utili generati successivamente alla data di acquisizione.
Nel bilancio separato della società controllata, l'importo del riaddebito dovrà essere contabilizzato a
deduzione del patrimonio netto.
 

 
Una prima ipotesi potrebbe essere la sottoscrizione di azioni da parte dei
dipendenti con opzione di rivendita 396. In questo caso la società delibera la vendita di
parte delle proprie azioni ai dipendenti (o l'aumento del capitale sociale con sottoscrizione
delle nuove azioni a favore degli stessi), con contestuale assegnazione di un diritto di
rivendita (put) ad una scadenza prefissata. La put potrà essere assegnata o a titolo gratuito
o a titolo oneroso. Nel primo caso, al momento di assegnazione dell'opzione, il valore
della stessa comporta per il dipendente l'emersione di un reddito in natura che si aggiunge
ai componenti monetari della retribuzione, nel periodo di paga in cui avviene
l'assegnazione. Tale reddito in natura rappresenta un fringe benefit per il dipendente e,
come tale, sarà soggetto a tassazione ai sensi dell'art. 51 del T.U.I.R. L'ammontare del
fringe benefit formerà inoltre base imponibile per i contributi previdenziali. Nel caso la
put sia concessa, invece, a titolo oneroso, nessuna tassazione sarà dovuta sul valore della
stessa al momento della relativa assegnazione (ipotizzando che l'acquisto avvenga a
valore di mercato). Una volta assegnata la put, il dipendente avrà la possibilità di
esercitarla o meno. Nel caso di esercizio del diritto di vendita delle azioni, andrà
confrontato il prezzo di cessione delle azioni con il valore di carico fiscale delle stesse
(pari al costo di acquisto/di sottoscrizione). Qualora il primo valore sia superiore al
secondo, il dipendente realizzerà un capital gain 397.

"Phantom stock"

Un altro possibile strumento a cui ricorrere in sostituzione delle tradizionali stock


option sono le cd. phantom stock. In questo caso la società programma l'erogazione di un
bonus in danaro al dipendente collegandolo alle variazioni del prezzo di listino delle
azioni in un dato periodo di tempo. In realtà, il phantom stock plan non costituisce
un'operazione per assegnare azioni ai dipendenti, in quanto non determina alcuna
                                                            
396
Le principali differenze della sottoscrizione di azioni da parte dei dipendenti con opzione di rivendita
rispetto ai s.o.p. (stock option plan) tradizionali si possono così identificare:
Sottoscrizione azioni con opzione put
- il dipendente diventa immediatamente azionista;
- i sottoscrittori non hanno la certezza del valore delle azioni alla data di esercizio della put;
- la tassazione è immediata, sul valore della put se non acquisita al valore di mercato.
S.o.p. tradizionali
- il dipendente ha la possibilità di diventare azionista alla data di esercizio dell'opzione;
- la sottoscrizione delle azioni avviene ad un prezzo prefissato;
- la tassazione è differita (al momento di sottoscrizione delle azioni).
397
Provento da tassare quale reddito diverso ai sensi dell'art. 67, comma 1, lett c-bis), del TUIR. Trattandosi
di partecipazione presumibilmente non qualificata, la tassazione avverrà con imposta sostitutiva del 12,5% (a
titolo definitivo) sul 100% del capital gain realizzato.
 

 
attribuzione di titoli, ma solo l'erogazione di una somma di danaro legata all'andamento
delle azioni.

Le phantom stock sono quindi stock option "virtuali" in cui non vi è l'effettiva
acquisizione delle azioni, bensì solo l'attribuzione del diritto a ricevere una mera somma
di denaro parametrata all'incremento del valore delle azioni di riferimento.

Il vantaggio principale rispetto alle tradizionali stock option è rappresentato dalla


possibilità per la società emittente di dedurre il costo fiscale del compenso corrisposto,
ovviamente limitatamente all’IRES 398.

Emissione di un prestito obbligazionario con rendimento premiante

Anche l'emissione di un prestito obbligazionario con rendimento premiante


potrebbe consentire di raggiungere l'effetto di incentivazione tipico delle stock option. Le
cd. obbligazioni partecipanti (ex art. 2411, secondo comma, c.c.) prevedono una
remunerazione periodica del capitale commisurata, in tutto o in parte, agli utili di bilancio
della società emittente. La società dovrà, ovviamente, rispettare i limiti di emissione di
cui all'art. 2412 c.c.

Gli interessi relativi alle obbligazioni emesse da società le cui azioni non sono
quotate sono soggetti alla ritenuta prevista dall'art. 26, primo comma, del DPR 29
settembre 1973, n. 600.

Formerà base imponibile anche la differenza tra la somma percepita o il valore


normale dei beni ricevuti alla scadenza ed il prezzo di emissione (per le obbligazioni, cd.
disaggio di emissione). Nel caso in cui tale differenza sia determinabile, in tutto o in
parte, in funzione di eventi o parametri non ancora certi o determinati alla data di
emissione dei titoli o certificati, la parte di detto importo, proporzionalmente riferibile al
periodo di tempo intercorrente tra la data di emissione e quella in cui l'evento o il
parametro assumono rilevanza ai fini della determinazione della differenza in questione,
si considera interamente maturata in capo al possessore a tale ultima data (art. 45, comma
1, del TUIR).

                                                            
398
  DEZZANI – DEZZANI, Circolare n. 1/E del 19 gennaio 2007. L..24 novembre 2006, n. 286: stock
option, stock grant, phantom stock. Diversi regimi fscali, in “Il fisco” 2007-20, pag. 2872 e segg.. 
 

 
Strumenti finanziari

Si tratta dell'ipotesi del ricorso agli strumenti finanziari. Ai sensi dell'art. 2349
c.c. l'assemblea straordinaria ha la possibilità di assegnare ai dipendenti della società
strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche amministrativi, escluso il voto
nell'assemblea generale degli azionisti. La dottrina ammette tra i diritti patrimoniali anche
diritti aventi natura di interessi o anche di partecipazione agli utili, di restituzione del
capitale in tutto o in parte, di partecipazione alla distribuzione di eccedenze patrimoniali,
sia durante la vita della società, sia alla sua liquidazione, così come qualsiasi altra forma
di remunerazione, garantita o aleatoria, dell'investimento o comunque di ritorno
economico dell'apporto effettuato 399.

Ai fini fiscali 400 gli strumenti finanziari la cui remunerazione è costituita


totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente sono
assimilati alle azioni. Ne consegue che la remunerazione di tali strumenti finanziari è
soggetta al regime fiscale previsto per gli utili/dividendi. Pertanto, per la società tale
remunerazione non è deducibile, limitatamente alla parte parametrata ai risultati
economici della società 401.

I conferimenti non proporzionali

La nuova disciplina del diritto societario, introdotta con il D.LGS. 17 gennaio


2003, n. 6 innova la normativa precedente sotto il profilo della necessaria proporzionalità
tra il valore dei conferimenti e l'entità della partecipazione al capitale sociale delle
società.

                                                            
399
Lo statuto dovrà disciplinare le modalità e le condizioni di emissione, i diritti che conferiscono, le sanzioni
in caso di inadempimento delle prestazioni e, se ammessa, la legge di circolazione. Tali strumenti incontrano
però alcuni precisi limiti:
- non possono rappresentare una partecipazione al capitale sociale;
- non conferiscono il diritto di voto nell'assemblea;
- nel caso in cui i tempi e l'entità del rimborso del capitale siano legati all'andamento economico della società,
si applica la disciplina dettata in materia di obbligazioni.
400
Dal punto di vista fiscale, l'art. 44, comma 2, lett. a), del TUIR afferma che "si considerano similari alle
azioni, i titoli e gli strumenti finanziari la cui remunerazione è costituita totalmente dalla partecipazione ai
risultati economici della società emittente o di altre società appartenenti allo stesso gruppo o dell'affare in
relazione al quale i titoli e gli strumenti finanziari sono stati emessi".
401
Da non sottovalutare l'opportunità di evitare remunerazioni eccessivamente premianti, per ridurre il rischio
che il rendimento venga riqualificato come reddito da lavoro dipendente.
 

 
Le precedenti disposizioni del codice civile prevedevano che la partecipazione di
un socio al capitale sociale di una società di capitali fosse sempre proporzionale al valore
del conferimento eseguito.

Con il D.LGS. n. 6/2003, entrato in vigore dal 1° gennaio 2004, la necessità di


rispettare tale correlazione viene meno, prevedendosi che le partecipazioni possono anche
essere svincolate dal rigido criterio della proporzionalità 402.

Significativo è quanto riportato nella relazione al D.LGS. n. 6/2003, in cui, nel


richiamare l'art. 4, quinto comma, lett. a), ultimo periodo, della L. 3 ottobre 2001, n. 366,
contenente la riforma del diritto societario e la possibilità per i soci, ivi prevista, di
"regolare l'incidenza delle rispettive partecipazioni sociali sulla base di scelte
contrattuali", riferisce che per effetto del nuovo art. 2346, quarto comma, c.c., si è
provveduto a precisare che il principio della proporzionalità tra valore dei conferimenti e
numero delle azioni assegnate al socio è derogabile con scelta statutaria.

                                                            
402
Si richiama in particolare, in materia di società per azioni, l'art. 2346 c.c., il quale al quarto comma, dopo
avere disposto, in via di regola generale, che "a ciascun socio è assegnato un numero di azioni proporzionale
alla parte del capitale sociale sottoscritta e per un valore non superiore a quello del suo conferimento"
stabilisce, in deroga alla regola generale, che "l'atto costitutivo può prevedere una diversa assegnazione delle
azioni".
Per effetto di tale ultima previsione l'assegnazione delle azioni tra i soci potrà, dunque, avvenire sulla base di
scelte contrattuali autonome, potendo i soci derogare al principio della proporzionalità tra i conferimenti
effettuati ed il numero delle azioni assegnate.
Il discorso è più articolato in tema di società a responsabilità limitata.
L'art. 2468, secondo comma, c.c., prevede in particolare che "... i diritti sociali spettano ai soci in misura
proporzionale alla partecipazione da ciascuno posseduta. Se l'atto costitutivo non prevede diversamente, le
partecipazioni dei soci sono determinate in misura proporzionale al conferimento".
Tale disposizione deve essere necessariamente letta in correlazione con il successivo terzo comma del
medesimo art. 2468 secondo cui "resta salva la possibilità che l'atto costitutivo preveda l'attribuzione a singoli
soci di particolari diritti riguardanti l'amministrazione della società o la distribuzione degli utili".
Dal contenuto delle disposizioni sopra richiamate, sebbene queste non siano di pronta e facile lettura,
apparendo piuttosto contorte e poco lineari e difettando anche di necessario tecnicismo, sembra potersi
evincere che la norma abbia inteso confermare, in mancanza di contrarie previsioni statutarie, la regola
generale secondo cui:
a) le quote di partecipazione dei soci devono essere determinate in misura proporzionale al conferimento;
b) i diritti sociali spettano ai soci in misura proporzionale alla quota di partecipazione da ciascuno posseduta.
La stessa normativa consente, tuttavia, in via di eccezione, di prevedere, nell'ambito dell'autonomia statutaria,
da un lato quote di partecipazione non proporzionali rispetto ai conferimenti, dall'altro lato, l'attribuzione ai
singoli soci di diritti sociali non corrispondenti all'entità delle quote.
Per quanto riguarda i diritti sociali attribuibili non in misura corrispondente all'entità della quota di
partecipazione si deve trattare, nella specie, alla luce di quanto disposto dal terzo comma dell'art. 2468 c.c.
("resta salva la possibilità che l'atto costitutivo preveda l'attribuzione ai singoli soci di particolari diritti
riguardanti l'amministrazione della società o la distribuzione degli utili"), o di diritti amministrativi,
concernenti i poteri riconosciuti al socio nell'ambito della società (tra i quali dovrebbe anche essere
ricompreso il diritto di voto), oppure di diritti inerenti alla percezione degli utili.
 

 
Ancora nella relazione al D.LGS. n. 6/2003, in tema in particolare di S.r.l., si
legge che "per quanto concerne la disciplina della partecipazione sociale, adottata con il
secondo comma dell'art. 2468, in relazione alla soluzione indicata nella legge di delega
che consente una sua attribuzione al socio non necessariamente proporzionale al
conferimento, si è ritenuto coerente con le caratteristiche personali del tipo societario
della società a responsabilità limitata, da un lato, non prevedere la possibilità di
categorie di quote, che implicherebbe una loro oggettivizzazione e quindi una perdita del
collegamento con la persona del socio richiesta dal primo comma, lettera a), art. 3 della
legge di delega, dall'altro consentire con il quarto comma dell'art. 2468 che l'atto
costitutivo preveda l'attribuzione ai singoli soci, quindi, in considerazione della loro
posizione personale, particolari diritti concernenti sia i poteri nella società sia la
partecipazione agli utili".

Ammessa, quindi, con assoluta certezza in ambito civilistico la possibilità di


realizzare conferimenti non proporzionali nell’ambito delle società di capitali, occorre
verificarne il relativo trattamento fiscale.

La Commissione Gallo (costituita in occasione dell'esame dei riflessi fiscali a


seguito della riforma del diritto societario) ha osservato che, nel caso di conferimenti non
proporzionali non si realizza alcuna relazione diretta tra socio e società, trattandosi
piuttosto di rapporti che intercorrono tra i soci che si accordano nel senso dell'attribuzione
delle quote di partecipazione in modo non proporzionale ai conferimenti da ciascuno
effettuati.

Di conseguenza non si ravvisano gli estremi per la generazione di alcun


presupposto imponibile in capo al socio che riceve una partecipazione non proporzionale
al conferimento effettuato in società, viceversa il presupposto imponibile si genererà nel
successivo momento in cui la partecipazione viene eventualmente realizzata.

Per il socio che riceve una partecipazione di valore inferiore all'ammontare del
proprio conferimento, il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione è da
intendersi pari al (maggior) valore del conferimento e non al (minor) valore della
partecipazione ricevuta in cambio.

 
L’Amministrazione finanziaria, mediante documenti di prassi 403, ha avuto modo
al riguardo di ribadire le conclusioni della Commissione Gallo di affermare alcuni
fondamentali principi in tema di conferimenti non proporzionali:

1. poiché ai sensi dell'art. 9, comma 2, del TUIR "In caso di conferimenti o


apporti in società o in altri enti si considera corrispettivo conseguito il valore normale
dei beni e dei crediti conferiti" 404, il costo fiscale della partecipazione coincide
necessariamente con il denaro e/o i beni conferiti, ancorché inferiore o superiore al
numero di azioni assegnate;

2. le azioni non proporzionali assegnate al conferente non determinano in capo


allo stesso alcuna sopravvenienza attiva 405;

                                                            
403
Trattasi in particolare della Risoluzione 16 febbraio 2006 n. 29/E in risposta ad un’istanza di interpello ex
art. 11 della L. 27 luglio 2000 n. 212. Il caso sottoposto all’esame dell’amministrazione finanziaria con
l’istanza viene di seguito brevemente riassunto. La società istante, residente in Italia e non quotata nei mercati
regolamentati, svolge attività di produzione e distribuzione di energia elettrica. La compagine sociale è
composta da una società olandese, che detiene il 91% delle azioni dell'istante, da un ingegnere libero
professionista, che possiede l'8%, mentre il rimanente 1% è di proprietà di un'altra persona fisica residente nel
territorio dello Stato.
L'ingegnere è amministratore delegato della società e, per lo svolgimento di tale funzione, percepisce un
compenso deliberato dall'assemblea degli azionisti.
La società istante, inoltre, si avvale delle consulenze di una società di servizi esterna, avente specifiche
competenze nel settore dell'energia, ed il proprio sviluppo è in gran parte dovuto al prezioso contributo della
suddetta società e dell'ingegnere amministratore delegato.
In previsione dell'ingresso in società di un nuovo socio (un fondo comune d'investimento o una banca
d'affari), la società istante intende deliberare un aumento di capitale in misura non proporzionale, ai sensi
dell'art. 2346, quarto comma, secondo periodo, del codice civile, al fine di riconoscere il contributo, in
termini di opere e servizi, dell'ingegnere amministratore delegato e della società di servizi esterna.
In altre parole, a seguito dell'aumento di capitale dell’istante, a tali ultimi soggetti verrà attribuito un numero
di azioni maggiore di quello corrispondente al loro apporto di denaro, mentre al nuovo socio (banca d'affari o
fondo comune d'investimento) verranno assegnate azioni in numero inferiore rispetto al conferimento in
denaro effettuato.
L'aumento di capitale sociale dell'istante sarà sottoscritto, in definitiva, dall'ingegnere amministratore
delegato, dalla società di servizi esterna e dal nuovo socio finanziatore, ma verrà liberato, in denaro,
prevalentemente da quest'ultimo investitore.
404 
La regola del cosiddetto "valore normale", dal momento che prescinde dall'esistenza di un rapporto di
proporzionalità, vale sia per i conferimenti proporzionali che per quelli non proporzionali, trovando una
deroga solo nell'ipotesi in cui le azioni del soggetto emittente siano negoziate nei mercati regolamentati
italiani o esteri e l'assegnazione sia proporzionale; in tal caso, poiché assume rilievo il valore delle azioni
attribuite al conferente, il corrispettivo non può essere inferiore alla media aritmetica dei prezzi rilevati
nell'ultimo mese.
405
Difatti, il conferimento assume natura "permutativa", nel senso che si concretizza nel mero scambio,
inidoneo a produrre nuovi valori fiscalmente riconosciuti presso la conferitaria, tra il denaro o i beni apportati
dal soggetto conferente e le azioni emesse dalla società.
La circostanza che il conferente riceva azioni in numero superiore al denaro o ai beni apportati attiene
unicamente alla struttura, liberamente determinata dai soci, del conferimento non proporzionale ed ai rapporti
tra conferente e conferitaria e non dà luogo ad una operazione di gestione dell'impresa.
 

 
3. in capo alla persona fisica conferente non emerge materia imponibile, né può
trovare applicazione l'art. 50, comma 1, lett. c-bis), del TUIR, ai sensi del quale sono
assimilati ai redditi di lavoro dipendente " le somme e i valori in genere, a qualunque
titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in
relazione agli uffici di amministratore ….. ", in quanto le azioni assegnate rappresentano
solamente il corrispettivo dell'apporto in denaro e/o in beni e non appaiono collegate al
ruolo lavorativo ricoperto 406;

4. con riferimento alle plusvalenze e ai dividendi generati dalle azioni non


proporzionali, in assenza di una norma che in subiecta materia operi una distinzione tra
azioni proporzionali e non proporzionali, trova applicazione l'ordinaria disciplina fiscale
vigente;

5. il conferente una prestazione di servizi non deve emettere fattura soggetta ad


IVA contestualmente alla ricezione delle azioni non proporzionali, poiché, ai sensi
dell'art. 3 del DPR n. 633/1972, i conferimenti non sono considerati prestazioni di servizi
e, pertanto, viene a mancare il presupposto oggettivo dell'imposta sul valore aggiunto 407.

                                                                                                                                                                   
In definitiva, avendo il conferimento in denaro natura "permutativa" sia per il conferente che per la
conferitaria, l’Amministrazione ha ritienuto che le azioni non proporzionali assegnate al conferente non
costituiscano sopravvenienza attiva per la stessa e che, in modo speculare, la società istante non possa dedurre
tale importo dal proprio reddito imponibile
406
Anche in questo caso, la circostanza che il predetto soggetto percepisca azioni in numero più elevato
rispetto al denaro conferito attiene esclusivamente ai rapporti con la conferitaria e con gli altri azionisti, ma
ciò, non comportando l'iscrizione di maggiori valori fiscali presso la società che emette i titoli, non determina
alcun reddito imponibile per il conferente
407
Le eventuali prestazioni d'opera rese dai soci conferenti rilevano, già sotto l'aspetto civilistico, in modo
distinto ed autonomo rispetto al conferimento; anche sotto l'aspetto fiscale, esse rilevano autonomamente alla
stregua delle ordinarie disposizioni in materia di imposte sui redditi e IVA.
 

 
8.9 Appendice

Si riporta qui di seguito una check list di controllo riassuntiva della disciplina che
tiene conto dell’evoluzione normativa utile al fine di individuare il corretto trattamento da
riservati ai piani di stock option.

Il piano è stato deliberato dopo il 25 giugno 2008 SI NO NO NO NO

Le azioni sono state assegnate entro il 24 giugno N/A SI NO SI NO


2008
Sono soddisfatte le condizioni richieste dalla legge N/A SI SI NO NO
286/2006 e quindi:
- differenza tra il valore delle azioni al momento
dell'assegnazione e ammontare corrisposto dal
dipendente almeno pari al valore delle azioni
stesse alla data dell'offerta;
- partecipazioni non superiore al 10%;
- presenza di un rapporto di lavoro con l’emittente
ovvero con società direttamente o indirettamente
controllanti, controllate o controllate dalla
medesima partecipante;
- opzioni non esercitabili prima di tre anni dalla
loro attribuzione;
- al momento in cui le opzioni diventano
esercitabili, la società deve risultare quotata in
mercati regolamentati;
- holding period quinquennale
Benefit imponibile fiscale SI NO SI SI SI
Benefit imponibile contributivo NO NO NO SI NO
Costo deducibile per l’impresa SI SI SI SI SI

 
Si riporta un esempio numerico per comprendere gli effetti in capo al dipendente
dell’abrogazione dell’agevolazione prevista dall’abrogato art. 51 comma 2 lett. g-bis).

Prezzo complessivo di esercizio 60.000


Valore normale azioni alla data di esercizio 100.000
Valore azioni alla data di cessione 150.000
Vecchio regime Nuovo regime
Guadagno derivante dall'esercizio 40.000 40.000
Reddito di lavoro dipendente 0 40.000
Imposte (aliquota media 33%) 0 13.200
Guadagno dalla cessione 50.000 50.000
Capital gain imponibile 90.000 50.000
Imposte (partecipazione non qualificata 11.250 6.250
- 12,5%)
Guadagno complessivo 90.000 90.000
Carico fiscale complessivo 11.250 19.450
Guadagno netto 78.250 70.550

 
 

 
PARTE SECONDA

TRASFERTE E RIMBORSI SPESA

 
 

 
9

RIMBORSI SPESE AI DIPENDENTI

TRATTAMENTO FISCALE PER IL PERCIPIENTE

9.1 Principi generali

Nozione di rimborso spese

Nell’ambito del rapporto di lavoro, il rimborso consiste nel rifondere il


dipendente delle somme pagate in occasione o in dipendenza dell’esecuzione della
prestazione lavorativa 408. Come già precisato in precedente paragrafo 409, la disposizione
riportata nel comma 1 dell’art. 51 del TUIR, che si occupa della “Determinazione del
reddito di lavoro dipendente” 410, evidenzia il cosiddetto “principio di omnicomprensività”
della nozione di reddito di lavoro dipendente, ovvero la totale imponibilità (come criterio
di fondo) di tutto ciò che il dipendente riceve in relazione al suo rapporto contrattuale di
lavoro subordinato.

In ragione di tale principio generale, come precisato dalla stessa Amministrazione


finanziaria 411, rientrano nel reddito di lavoro dipendente anche i rimborsi spese, con
esclusione soltanto di quanto disposto a proposito delle trasferte, dei trasferimenti e delle
spese anticipate dal dipendente ma sostenute nell’esclusivo interesse del datore di
lavoro 412.

                                                            
408
  Si richiama la Circolare Unione Camere di Commercio, turismo e servizi, della Provincia di Milano, 30
novembre 1993, n. 507/72 secondo cui: “la locuzione rimborso spese è utilizzata sia per designare
emolumenti diretti a rifondere le spese che i dipendenti sostengono nell'interesse esclusivo dell'impresa di
appartenenza, sia per indicare veri e propri elementi integrativi della retribuzione base o somme dirette a
coprire oneri inerenti la produzione del reddito del dipendente. Va distinta, quindi, una funzione
restitutoria del rimborso da una funzione retributiva”.
409
Vedasi infra, capitolo 1.
410
Art. 51, comma. 1 del TUIR: “Il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori
in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in
relazione al rapporto di lavoro. (…)”.
411
Cfr. Circolare Dir. AA.GG. e Cont. Trib. 23 dicembre 1997, n. 326/E-III-5-2643.
412
Nella prassi, in dottrina e giurisprudenza, è stata tracciata una netta linea di demarcazione tra le somme
destinate a compensare il lavoratore per i disagi o per le esigenze conseguenti all'esplicazione dell'attività
lavorativa e quelle che consentono allo stesso di recuperare le somme anticipate per conto del datore di
 

 
È pacifico, quindi, che la rifusione di spese sostenute da un dipendente può far
emergere, in capo allo stesso, materia imponibile ai fini IRPEF e, di conseguenza, ai fini
previdenziali.

Per assicurare l’intangibilità del livello retributivo raggiunto (c.d. principio di


irriducibilità), tuttavia, lo stesso art. 51 del TUIR, al comma 5, contiene l’eccezione alla
regola che, per comodità di lettura, si riporta integralmente di seguito:

“Le indennità percepite per le trasferte o le missioni fuori del territorio comunale
concorrono a formare il reddito per la parte eccedente lire 90.000 (euro 46,48 n.d.r.) al
giorno, elevate a lire 150.000 (euro 77,47, n.d.r.) per le trasferte all’estero, al netto delle
spese di viaggio e di trasporto; in caso di rimborso delle spese di alloggio, ovvero di
quelle di vitto, o di alloggio o vitto fornito gratuitamente il limite è ridotto di un terzo. Il
limite è ridotto di due terzi in caso di rimborso sia delle spese di alloggio che di quelle di
vitto.

In caso di rimborso analitico delle spese per trasferte o missioni fuori del
territorio comunale non concorrono a formare il reddito i rimborsi di spese documentate
relative al vitto, all’alloggio, al viaggio e al trasporto, nonché i rimborsi di altre spese,
anche non documentabili, eventualmente sostenute dal dipendente, sempre in occasione
di dette trasferte o missioni, fino all’importo massimo giornaliero di lire 30.000 (euro
15,49, n.d.r.) elevate a lire 50.000 (euro 25,82, n.d.r.) per le trasferte all’estero. Le
indennità o i rimborsi di spese per le trasferte nell’ambito del territorio comunale, tranne
i rimborsi di spese di trasporto comprovate da documenti provenienti dal vettore,
concorrono a formare il reddito”.

                                                                                                                                                                   
lavoro. In questa prospettiva è stato ritenuto che sono soggette ad imposizione le somme versate al
dipendente per le spese sostenute e per il tempo perduto per recarsi dal luogo di residenza a quello di
lavoro, cfr. Risoluzione Ministero finanze 8 maggio 1979, n. 8/1104, secondo cui “per i viaggi effettuati
dal lavoratore dipendente per recarsi dalla propria abitazione al luogo di lavoro e viceversa, i rimborsi
vanno interamente assoggettati a ritenuta”. In dottrina vedasi LIZZUL, Rimborsi per spese di trasporto
sostenute nel comune sede di lavoro, in Bollettino Tributario 1976, pag. 512. Le stesse conclusioni sono
state raggiunte ai fini previdenziali, sostenendo l'imponibilità delle diverse forme di rimborso delle spese
di trasporto sostenute dal lavoratore per raggiungere il luogo di lavoro e per tornare a casa; sul punto
vedasi Circolare Inps 18 maggio 1992, n. 133. Si vedano ancora: Cassazione 16 luglio 1985, n. 4200
secondo cui è imponibile un’indennità forfetaria per rimborso delle spese di trasporto; Pretura di Caserta
16 giugno 1988, secondo cui è tassabile la c.d. Indennità di macchina; Cassazione 2 maggio 1981, n.
2666, secondo cui è imponibile l’indennità di concorso alle spese per il tram.

 
Il rimborso delle spese di trasferta, quindi, alle condizioni e con i limiti posti
derivanti da quanto sancito dall’art. 51, comma 5, del TUIR, può essere escluso dal
reddito del percettore.

È tuttavia utile avere ben presente che, trattandosi di eccezione alla regola
generale contenuta nel comma di apertura dell’art. 51 del TUIR, essa trova applicazione
solo qualora si rispettino i criteri in essa previsti.

Evidentemente non può tralasciarsi, in tale attività interpretativa, di verificare


mano a mano quale sia l’orientamento dell’Amministrazione finanziaria 413.

Nel prosieguo del capitolo si avrà come riferimento la disciplina relativa alle
trasferte dei dipendenti, precisando tuttavia sin d'ora che ai fini della presente disanima, la
stessa sarà valida anche per i collaboratori, in seguito all'assimilazione dei redditi delle
due categorie, avvenuta con D.LGS. 314/1997 414.

Concetti di trasferta e sede di lavoro

Il comma 5 dell’art. 51 del TUIR stabilisce il trattamento fiscale dei rimborsi


delle spese sostenute dal lavoratore dipendente nell’ambito di una trasferta lavorativa.

La delimitazione del concetto di trasferta richiede la preliminare definizione della


nozione di sede di lavoro, da intendersi come il territorio che, ai fini fiscali, si identifica
con la circoscrizione comunale ove è ubicata la sede dell’impresa da cui il lavoratore
dipende (detta sede può essere, ovviamente, sia la sede amministrativa che una qualsiasi
sede secondaria, come una filiale, uno stabilimento, eccetera).

La sede di lavoro può essere indicata nel contratto di lavoro subordinato (o altra
documentazione ad esso riconducibile) o può essere desumibile dalle concrete modalità di

                                                            
413
Fra le prese di posizione ufficiali del Ministero delle finanze e, successivamente, dell’Agenzia delle
Entrate, si annoverano le seguenti: Circolare 23 dicembre 1997, n. 326/E, cit. (capofila, ancora per molti
versi attuale, della prassi amministrativa in materia di reddito di lavoro dipendente successivamente alla
riforma operata dal D.LGS. 2 settembre 1997, n. 314); Circolare 16 luglio 1998, n. 188/E; Circolare 16
novembre 2000, n. 207/E; Risoluzione 16 luglio 2002, n. 232/E; Risoluzione 21 marzo 2003, n. 69/E;
Circolare 16 febbraio 2007, n. 11/E; Risoluzione 7 luglio 2008, n. 284/E; Circolare 5 settembre 2008, n.
53/E; Circolare 3 marzo 2009, n. 6/E; Circolare 13 luglio 2009, n. 34/E.
414
Le eventuali particolarità relative ai collaboratori e amministratori sono trattate nel successivo capitolo
inerente i rimborsi spese riservati a tali soggetti.

 
prestazione dell’attività lavorativa 415. In altri termini, si potrebbe dire che è il domicilio
del rapporto di dipendenza; oppure, in un’altra prospettiva, il luogo aziendale in cui il
dipendente deve recarsi per mettere la sua prestazione lavorativa a disposizione del
datore di lavoro.

Sul punto il Ministero delle finanze 416 si è espresso osservando che


l’individuazione della sede di lavoro è rimessa alla libera decisione delle parti
contrattuali, decisione sulla quale né il Legislatore, né tanto meno l’Amministrazione
finanziaria, hanno la possibilità di intervenire, così come non è consentito sindacare le
modalità di erogazione o gli importi all’uopo stabiliti 417.

È fondamentale stabilire dove sia la sede di lavoro, perché in mancanza di una


sede di lavoro ben individuabile il dipendente, non potendosi dire in trasferta, non potrà
neppure applicare la disciplina di favore stabilita all’art. 51, comma 5, del TUIR con
riguardo alle somme che dovessero essergli elargite a titolo di rimborso delle spese
sostenute in rapporto agli spostamenti effettuati per lavoro.

La trasferta, infatti, può essere definita come la dislocazione, provvisoria e


temporanea, del lavoratore in un luogo diverso da quello in cui si svolge normalmente la
prestazione lavorativa, per espletare funzioni derivanti dagli obblighi contrattuali di
lavoratore subordinato 418.

Per esservi una trasferta ai sensi dell’art. 51, comma 5, del TUIR devono essere
presenti i seguenti elementi:

                                                            
415
È pur vero infatti che in molti contratti collettivi, come ad esempio quello del commercio, la sede non è
menzionata tra gli elementi da specificare, come invece espressamente stabilito per la data di assunzione,
la durata del periodo di prova, la qualifica e per il trattamento economico. In tali casi è tuttavia fortemente
consigliabile stabilire quale sia la sede di lavoro in un apposito e successivo accordo in forma scritta
redatto su carta intestata del datore di lavoro e controfirmato da ambedue le parti.
416
Circolare 326/E/1997.
417
Al riguardo si cita anche il pensiero di nota dottrina, cfr. LEO, Le imposte sui redditi nel Testo Unico,
Milano, 2006, pag. 843, secondo cui le parti contrattuali dovrebbero essere in ogni caso “tenute
normalmente ad adottare, quale sede di lavoro, una sede del datore di lavoro, pertanto, salvo il caso del
lavoro a domicilio, del telelavoro o di altre consimili ipotesi, non si dovrebbe ammettere la possibilità di
individuare, quale sede di lavoro, l'abitazione del dipendente”.
418
Sono pertanto escluse da tassazione le somme che rimborsano al dipendente le spese sostenute per
spostarsi dal luogo di lavoro in un luogo diverso, per motivi di ufficio, come è il caso della c.d. indennità
di locomozione. Così D'AMATI, La disciplina tributaria del lavoro dipendente, Cedam 2003 pagg. 283-
284.

 
‐ la dislocazione, vale a dire lo spostamento fisico da un luogo ad un altro, in
particolare, dalla sede di lavoro del dipendente (essendo tale sede individuata alla
luce del contratto di lavoro subordinato, o individuabile perché a tale luogo il
dipendente fa sistematicamente riferimento per svolgere la sua attività) a un
diverso luogo, nel medesimo comune o anche di fuori di esso (o all’estero), in cui
il dipendente deve svolgere un determinato incarico per conto del datore di
lavoro;
‐ la provvisorietà e temporaneità dello spostamento dalla sede, che si verificano
quando, mancando la definitività, resta inteso che, ultimato il servizio, il
dipendente dovrà fare ritorno al luogo in cui è fissata la sede di lavoro originaria
(in questo senso la trasferta si distingue dal trasferimento, perché in questo
secondo caso cambia la sede di lavoro in via definitiva).
La durata della dislocazione non è un elemento determinante, potendosi avere
anche trasferte di lunga durata, a seconda del tempo necessario per portare a termine il
particolare incarico al di fuori della sede di lavoro che rimane invece immutata.

Differenze tra trasferta, missione e trasferimento

I viaggi che vengono contemplati in occasione di una trasferta sono quelli


compiuti dai lavoratori subordinati nell’espletamento delle mansioni previste dal contratto
individuale di prestazione d’opera (vedasi articoli 2094 e segg. del c.c.).

Come precisato da autorevole dottrina 419, il termine trasferta ha preso il


sopravvento su altri con significato identico o analogo, come diaria (parola riferita al
rimborso) o missione. In taluni ambienti si fanno ancora delle distinzioni, attribuendo ad
esempio al termine diaria il significato di dislocazione che si esaurisce nell’arco di un
giorno ed al termine missione una dislocazione che richiede, invece, un esteso arco di
tempo.

Caratteristica comune alla trasferta e alla missione è la provvisorietà del lavoro da


svolgere fuori sede 420. Quando la provvisorietà viene a mancare, non si ha pertanto né

                                                            
419
GHINI, Il rimborso delle spese nelle aziende, Maggioli, 2007, pag. 41.
420
A fronte della regola esistono tuttavia le eccezioni: per gli addetti alle vendite (viaggiatori, piazzisti,
ispettori ecc.) la provvisorietà infatti non sussiste o, almeno, non sarà da intendere nel modo suddetto.

 
trasferta né missione, bensì trasferimento che implica definitività della nuova
dislocazione.

La nozione di trasferimento si distingue infatti da quella di trasferta per il


carattere definitivo, essendo quest’ultima ravvisabile nel mutamento temporaneo e
transitorio del luogo di lavoro con la certezza del rientro nell’abituale sede di lavoro in
base a scelte di carattere contingente 421.

Da questo punto di vista i due istituti, trasferta (o missione) e trasferimento


risultano caratterizzati da una sostanziale modifica del luogo della prestazione 422,
trovandosi pertanto affini sotto il profilo dell’incidenza dell’elemento spaziale. La
differenza tra i due istituti va invece ravvisata nella diversa incidenza del fattore
temporale: tipico connotato della trasferta è infatti il temporaneo e provvisorio
mutamento del luogo abituale e normale di lavoro mentre carattere peculiare del
trasferimento è la definitività di tale mutamento tale da richiedere una riorganizzazione
della vita familiare e sociale del prestatore 423.

Anche in giurisprudenza 424 si è affermato il principio che la “temporaneità


dell’assegnazione del lavoratore ad una sede diversa 425 da quella abituale costituisce
requisito indefettibile della c.d. trasferta o missione, il quale trova adeguato riscontro
nella circostanza che, all’esito della stessa, si determina il rientro del dipendente nella
sede precedente”.

                                                            
421
Così DE ANGELIS, Rassegna critica della giurisprudenza degli anni '90 sul trasferimento del
lavoratore, Il lavoro nella giurisprudenza, n. 11/1997, Ipsoa, pag. 891.
422
Tuttavia, mentre è sempre possibile che un dipendente sia mandato in trasferta in un qualunque luogo di
lavoro, anche se diverso da una delle sedi dell'azienda stessa, ciò non è possibile in caso di trasferimento.
423
Cfr. ROMA, La retribuzione, Utet 1993, pagg. 138-139. Concorda con tale impostazione anche GHINI,
opera cit., pag. 43, il quale precisa tuttavia che l'elemento temporale non appare determinante potendosi
avere una trasferta di ampia durata contro un trasferimento di durata contenuta.
424
Così Cassazione, Sezione Lavoro, 2 novembre 1999, n. 12225; Cassazione, Sezione Lavoro, 22 agosto
1997, n. 7872.
425
Commentando la citata giurisprudenza, l'autore GHINI, op. cit., pag. 43, segnala che non può tuttavia
parlarsi, nella trasferta, di mutamento di sede, ma soltanto di mutamento del luogo di lavoro.

 
La durata della trasferta può non essere prestabilita ma dipendere dal materiale
svolgimento delle mansioni attribuite al lavoratore 426.

Si osservi 427 tuttavia che il carattere della temporaneità deve essere inteso come
limite per evitare che venga riservato il trattamento fiscale relativo ai rimborsi spese delle
trasferte per periodi troppo lunghi, in quanto tali somme non sarebbero più giustificabili
per l'acquisto di beni e servizi in ragione della missione, ma diversamente dovrebbero
essere inquadrati come benefit concessi al lavoratore.

Il Ministero, con la citata Circolare 428 ha chiarito che il requisito della


temporaneità deve essere verificato caso per caso, non trovando diretta applicazione, nel
settore privato, il limite secondo cui la missione eseguita in una medesima località non
può superare i 240 giorni (regola prevista per i dipendenti pubblici dalla L. 836 del 1973).

Pertanto, nello spirito di dettare un riferimento di massima, per il settore privato,


si potrebbe ritenere legittima quella trasferta la cui durata non si protendesse oltre il
raggiungimento dell’obbiettivo della missione stessa, anche se, considerate le particolari
circostanze, questa si estendesse per più di 240 giorni 429.

Per ritenere dunque che un elemento abbia natura di indennità di trasferta,


secondo la Cassazione 430 “il giudice di merito deve accertare che esso venga corrisposto
solo quando il lavoratore venga inviato, sia pure di frequente, a prestare la propria

                                                            
426
In tal senso cfr. Cassazione, Sezione Lavoro, 5 ottobre 1998, n. 9870, ove si afferma che “non costituisce
connotazione essenziale della missione la predeterminazione della sua durata, che può anche essere a
tempo indeterminato...e quindi l'elemento differenziale essenziale della trasferta rispetto al trasferimento
è solo la circostanza che lo spostamento della sede o residenza, che sia stata assegnata al momento
dell'assunzione, sia di durata meramente temporanea, ancorchè indeterminata”. Ribadendo il concetto
della temporaneità per differenziare la trasferta dal trasferimento, la Cassazione, Sezione Lavoro, 14
agosto 1998, n. 8004, si è spinta sino ad affermare che “non spetta l'indennità di trasferta a chi non
esplica in maniera fissa e continuativa la propria attività presso una determinata località, anche se la
sede di servizio risulti formalmente fissata in un luogo diverso, dove, peraltro, il lavoratore non ha
alcuna necessità di recarsi per l'espletamento delle mansioni affidategli”.
427
In tal senso cfr. SIROCCHI, Tutto trasferte, rimborsi e fringe benefit, Ed. Gruppo Il Sole 24 ore, 2009,
pag.141.
428
Circolare 23 dicembre 1997, n. 326, par. 2.4.1.
429
La stessa Corte di legittimità riferisce che “la missione del prestatore d’opera è caratterizzata dal fatto
che il suo spostamento dalla sede alla quale egli sia stato destinato all’atto dell'assunzione è, a differenza
del trasferimento (art. 2103 c.c.), di durata meramente temporanea, ancorché indeterminata,ma
determinabile con l’esaurimento dello scopo per il quale tale spostamento viene disposto”, cfr.
Cassazione, Sezione Lavoro, 22 agosto 1997, n. 7872; Cassazione 21 gennaio 1995, n. 683.
430
Cassazione 20 marzo 1990, n. 2306.

 
opera, in luogo diverso da quello abituale di esecuzione della prestazione, individuata
attraverso l’interpretazione del contratto, collettivo od individuale, e, soprattutto, alla
stregua delle concrete vicende del rapporto, non solo riguardo alla sede dell'azienda o
ad una sua unità produttiva, ma anche nell’ambito territoriale”.

Concetto di trasfertista

La figura del lavoratore "in trasferta" non deve essere confusa con quella del
cosiddetto "trasfertista".

I trasfertisti infatti sono quei lavoratori tenuti per contratto all'espletamento


dell'attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, ai quali, in funzione delle
modalità di svolgimento dell'attività, vengono attribuite delle somme non in relazione ad
una specifica trasferta (quest'ultimo istituto presuppone che il lavoratore, più o meno
occasionalmente, venga destinato a svolgere un'attività fuori della propria sede di
lavoro) 431.

In quest'ottica infatti, mentre il lavoratore inviato in trasferta presta la sua attività


soltanto temporaneamente in un luogo diverso da quello contrattualmente stabilito, il
"trasfertista" si impegna a prestare la sua attività in luoghi sempre diversi 432.

Ci si avvicina all'individuazione del concetto di trasfertista affermando che si


tratta di lavoratori che non dispongono di un luogo fisso di lavoro (di una sede di lavoro
sì) e che per la natura stessa delle prestazioni che sono chiamati ad esercitare, sono portati
a recarsi in maniera continuativa in luoghi differenti.

Per questa categoria di lavoratori la giurisprudenza 433 ha precisato che “la


trasferta in senso stretto – postulando la predeterminazione di un luogo fisso per la
prestazione lavorativa e un mutamento meramente provvisorio del luogo stesso... - non è
                                                            
431
Così Circolare 23 dicembre 1997, n. 326. È prevista inoltre la possibilità di stabilire, con apposito decreto
del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con quello del lavoro (art. 51, comma 6, DPR
917/1986), categorie di lavoratori e condizioni di applicabilità della disposizione in questione. Ad oggi
tuttavia detto decreto non è ancora stato emanato.
432
Cassazione 28 gennaio 1987, n. 818.
433
Corte Costituzionale 13 maggio 1993, n. 329. Anche per Cassazione, Sezione Lavoro, 16 maggio 1995, n.
5355 “il diritto all’indennità di trasferta ...non sussiste quando la prestazione lavorativa fuori sede sia
normalmente espletata in modo itinerante e quindi costituisca l'elemento abituale, precipuo e
caratterizzante”.

 
ravvisabile quando... - pur con fondamentale riferimento a una sede aziendale fissa – la
prestazione di lavoro, per sua natura, si svolge fuori dalla sede stessa” ovvero quando “i
dipendenti espletano, in via ordinaria, un’attività che non prevede una stabile sede di
lavoro ...”.

Documentazione necessaria delle spese di trasferta e adempimenti richiesti

Esaminando, in via preliminare, la questione dei rimborsi spese dal punto di vista
del datore di lavoro, si segnala che per la deduzione delle spese sostenute dai dipendenti,
come per ogni altro onere, occorre la presenza di un’idonea documentazione.

Da sempre il Ministero delle finanze ha cercato di fornire indicazioni


sull’argomento specifico. Con la nota n. 21208 datata 8 luglio 1975, la cessata Direzione
Generale delle Imposte Dirette ha infatti chiarito che “può riconoscersi, in via generale,
la deducibilità dei costi emergenti da documentazione anche informale allorché questa,
debitamente quietanzata, contenga gli elementi di individuazione dell’emittente che ha
prestato il servizio e quelli di individuazione dell’impresa o dell’esercente arti e
professioni cui la documentazione stessa è rilasciata, e ciò indipendentemente dai
requisiti stabiliti ai fini dell'IVA, per gli atti concernenti le operazioni soggette a tale
tributo. Quanto ai documenti di spesa che non contengono gli elementi di individuazione
di cui innanzi (ad esempio: biglietti ferroviari, ricevute di pedaggi autostradali e simili),
non si può ammettere la deduzione dei costi da essi rappresentati stante la mancanza di
una sicura riferibilità all'utente che voglia farli valere in deduzione”.

Questa drastica prescrizione, nel tempo, si è andata ammorbidendo, come


dimostrato dalla stessa norma dell'art. 51, comma 5 del TUIR che consente la deduzione
delle spese di trasporto documentate da biglietti di viaggio, notoriamente anonimi.

Successivamente gli Uffici Ministeriali hanno attenuato il rigore della normativa


pubblicando la Risoluzione n. 9/1108 datata 21.09.1979, a fronte della richiesta formulata
da alcune società, di conoscere se i documenti di spesa rilasciati ai dipendenti, ancorché
non contenenti alcun riferimento all’azienda cui appartenevano, potessero ritenersi idonei
ai fini della deducibilità.

 
Si riportano i passi salienti del citato atto amministrativo: “In proposito, va
osservato che la corretta impostazione del problema consente di superare la formale
intestazione dei documenti di spesa alle imprese che di volta in volta conferiscono
l’incarico della trasferta, di cui alla nota n. 21208 dell'8 luglio 1975. In effetti, tutte le
volte che le spese sostenute dai dipendenti si riferiscono all’esecuzione della trasferta nel
tempo e nel luogo indicati nella lettera di incarico, è necessaria e sufficiente, per la
deducibilità dei relativi costi da parte della società, la documentazione che i dipendenti
consegnano ai fini del rimborso a piè di lista delle spese sostenute. Conseguentemente, la
deducibilità delle spese in parola in relazione alle trasferte dai medesimi effettuate
discende dal collegamento tra l’incarico della trasferta e i documenti occorrenti per il
rimborso analitico delle spese necessarie all’espletamento dello stesso incarico”.

Nel caso di rimborso spese c.d. analitico (ricomprendendo anche le spese di vitto
e alloggio e quelle rimborsabili in esenzione di imposta fino ad un importo massimo
giornaliero di Euro 15,49 o Euro 25,82 per le trasferte all’estero 434), queste ultime
possono ritenersi validamente documentate anche attraverso scontrini fiscali non indicanti
il nome dell'acquirente 435, a patto che le stesse risultino sostenute nei luoghi e nel tempo
di svolgimento della trasferta stessa e che siano attestate dal dipendente mediante nota
riepilogativa 436.

In questo modo quindi, la nominatività del documento viene raggiunta in modo


indiretto, con l’allegazione ad altro documento 437. Resta inteso che dovrà trattarsi di spese
coerenti con le esigenze della trasferta e che le stesse potranno altresì essere documentate
                                                            
434
Con riguardo al rimborso analitico, dette spese oltre a non essere “imponibili in capo al dipendente fino
ad Euro 15,49 o Euro 25,82 nel caso di trasferta estera, non devono neppure essere documentate, almeno
da un punto di vista fiscale, purchè analiticamente attestate dal dipendente. Si veda SIROCCHI, Tutto
trasferte, rimborsi e fringe benefit, Ed. Gruppo Il Sole 24 ore, 2009, pagg. 155-156.
435
La spesa per il pranzo (la “somministrazione di alimenti e bevande”), quindi, potrà essere certificata dal
dipendente tramite lo scontrino, poiché il documento che consente la deducibilità del costo sarà costituito,
nel caso di rimborso tramite il sistema del piè di lista, dalla “nota spese” compilata dal dipendente. È
tale documento che assume primaria rilevanza fiscale per il datore di lavoro. Vedasi, per approfondimenti
sul punto, LEDDA-GHINI, Rimborsi spese di trasferta alla luce delle novità introdotte dalla Manovra
d'Estate, Il Fisco n. 41 del 3/11/2008 pag. 7436.
436
Così testualmente la Circolare n. 188 del 1998. Un’annotazione riguarda le spese documentate
analiticamente quando la trasferta si svolge all'estero: sul punto è stata infatti emanata la Circolare n. 20
del 1984, la quale ha precisato che qualora non sia possibile ottenere la documentazione con tutti i
requisiti necessari perché non prevista dallo stato estero neppure su esplicita richiesta, è sufficiente un
documento con l’indicazione della data, del prezzo dell’operazione, la natura dei beni acquistati o delle
prestazioni di servizio usufruite, ed il nome della ditta fornitrice che lo rilascia.
437
GHINI, Il rimborso delle spese nelle aziende, Maggioli, 2007, pag. 92.

 
attraverso fatture o ricevute fiscali intestate a nome del dipendente – come normalmente
accade – oppure a nome del datore di lavoro.

Le note spese predisposte dal lavoratore dipendente 438 devono essere considerate
esenti dall’imposta di bollo anche quando l’importo in esse indicato sia superiore a Euro
77,47 439.

Anche e soprattutto nei casi di corresponsione di indennità di trasferta forfetaria


(Euro 46,48 in Italia ed Euro 77,47 all’estero) sarà necessario desumere dalla richiesta di
rimborso compilata dal dipendente, ed eventualmente anche dalla lettera di incarico del
datore di lavoro se presente, gli elementi che danno certezza al luogo e tempo oggetto del
viaggio e che qualificano il contenuto della prestazione effettuata dal lavoratore in
trasferta.

Come verrà più diffusamente trattato nel prosieguo, laddove si volesse esercitare
il diritto alla detrazione dell’IVA in relazione alle spese di albergo e ristorazione, allora si
renderebbe necessaria la richiesta della fattura nonché il rispetto di alcuni obblighi
formali 440.

Sotto il profilo degli adempimenti necessari per poter escludere da tassazione i


rimborsi spese percepiti dai dipendenti, si precisa che nella previgente normativa (in

                                                            
438
Detto ragionamento differisce invece nel caso di rapporti di collaborazione dal momento che “il
documento prodotto per il rimborso deve essere (in tal caso) assoggettato all’imposta di bollo in quanto
l'art. 26 della Tabella - Allegato B – annessa al DPR n. 642/1972, dispone l’esonero dal tributo
soltanto per "Quietanze degli stipendi, pensioni, paghe, assegni, premi, indennità e competenze di
qualunque specie relative a rapporti di lavoro subordinato", cfr. MOGOROVICH, La gestione delle
trasferte per gli amministratori di società, Il fisco n. 12 del 26 marzo 2001, pag. 4629.
439
Si rinvia per una compiuta trattazione sul punto a GHINI, Il rimborso delle spese nelle aziende, Maggioli,
2007, pagg. 77-78, dove si fa una distinzione tra le ricevute che i dipendenti esibiscono al datore di lavoro
a fronte di somme ricevute a titolo di fondo spese o anticipazioni delle spese per beni e servizi e le c.d.
note spese che rappresentano invece degli estratti conto. Nella prima fattispecie (ricevute dei dipendenti a
fronte di somme anticipate dal datore di lavoro), si ricadrebbe nell’esenzione dall’imposta di bollo per
effetto dell'art. 15 della Tabella – Allegato B – annessa al decreto n. 642/72, ove è previsto che siano
esenti: “le ricevute delle somme affidate da enti ed imprese ai propri dipendenti e ausiliari ...per spese da
sostenere nell’interesse dell’ente o del’'impresa”. Nella seconda fattispecie, caratterizzata dalla
presentazione di nota spese da parte del dipendente, l’esistenza di un estratto conto quale è appunto, per
sua natura la nota spese, richiamerebbe in un primo momento l’applicazione dell’art. 13 della parte prima
della Tariffa – Allegato A, dove si considerano soggette ad imposta di bollo le “fatture, note, conti e
simili documenti, recanti addebitamenti o accreditamenti, anche non sottoscritti ma spediti o consegnati
pure tramite terzi..”. Esiste però una nota marginale all’art. 13 dalla quale emerge che l’estratto conto
(alias la nota spese) non è soggetto ad imposta di bollo quando è relativo a rapporti tra enti e imprese e
propri dipendenti.
440
Quali l’obbligo di cointestazione, la registrazione dei documenti nei registri IVA etc..

 
vigore fino al 31 dicembre 1997), era necessaria una preventiva autorizzazione scritta
rilasciata dal datore di lavoro inerente alle modalità di svolgimento della trasferta.

Con la Circolare n. 326/E del 1997, al punto 2.4.1, il Ministero (seppure con
riferimento al rimborso dell’indennità chilometrica) nell’intento di semplificare gli
obblighi formali a carico del contribuente, ha chiarito che non è più necessario che il
datore di lavoro provveda al rilascio di una espressa autorizzazione scritta contenente i
dati relativi alla percorrenza e al tipo di autovettura ammessa per il viaggio. Con una
successiva Circolare (n. 188 del 1998 441), è stato ulteriormente specificato che
l’autorizzazione preventiva alla trasferta non è più richiesta neppure per gli altri tipi di
indennità, essendo sufficiente che la trasferta stessa e le relative spese risultino dalla
normale documentazione conservata dal datore di lavoro.

Sotto il profilo operativo, si segnala che resta invece necessaria la richiesta di


rimborso da parte del dipendente, nella quale dovranno essere annotati i dati relativi alla
trasferta, la lista analitica delle spese di viaggio e trasporto nonché le altre spese che
devono essere riportate analiticamente e i cui documenti vanno allegati singolarmente
(come nel caso del rimborso analitico e del rimborso misto, relativamente alle spese che
devono essere documentate).

Come verrà precisato nell’apposito paragrafo, da un punto di vista fiscale per il


rimborso forfetario le uniche spese da inserire nella richiesta di rimborso sono quelle di
viaggio e di trasporto 442.

                                                            
441
Nella citata Circolare, si è ritenuto infatti “che l’obbligo in questione costituisse un adempimento che
complicava la gestione dell'azienda senza assicurare all'Amministrazione finanziaria garanzie in merito
all’inerenza della spesa, superiori a quelle fornite dalla ordinaria documentazione relativa alle spese
stesse”.
442
Per tutti i casi di trasferte effettuate fuori dal Comune di lavoro, e per qualsiasi forma di rimborso il
datore decida di adottare, sarà opportuno pertanto prevedere un sistema con cui il datore di lavoro
comunichi al dipendente le date di inizio e di fine della trasferta, il luogo e la motivazione della trasferta.
Inoltre, al momento del rientro, sarà necessario che il dipendente rilasci al datore di lavoro una
dichiarazione con cui specifichi con esattezza la natura delle spese sopportate e a cui alleghi i
giustificativi di spesa. La documentazione per il rimborso dovrà essere acquisita per le spese di viaggio
nonché, in caso di rimborso a piè di lista, per tutte le spese sopportate dal dipendente durante la trasferta
e, in caso di rimborso misto, per le spese di alloggio e/o di vitto. Per quanto concerne i rimborsi
chilometrici dovranno essere indicati: la data, il percorso, società - enti o persone visitati e chilometri
percorsi.
La documentazione dovrà essere in linea con le disposizioni fiscali e i rimborsi dovranno essere indicati
nel libro paga di cui all'art. 21, DPR 600/1973.

 
Riepilogando dunque, i documenti da compilare e conservare sono:

‐ lettera di incarico da parte dell’azienda (non obbligatoria);

‐ richiesta di rimborso sottoscritta dal dipendente con dettaglio degli elementi che
diano certezza al luogo e tempo oggetto del viaggio e che qualifichino il contenuto
della prestazione effettuata dal lavoratore in trasferta (obbligatoria per tutte le
tipologie di rimborso);

‐ raccolta della documentazione analitica (ove richiesta dalla specifica tipologia di


rimborso).

L’utilizzo della carta di credito aziendale

Già con Circolare 4 aprile 1997, n. 97/E, il Ministero delle finanze aveva chiarito,
con riferimento alla documentazione delle spese sostenute dai dipendenti
nell’espletamento delle attività svolte nell’interesse dell’impresa (i cosiddetti rimborsi
analitici), che potevano essere “... ancora adottati i sistemi di semplificazione di
documentazione delle spese consentiti in passato da questa Amministrazione (a titolo
esemplificativo, l’utilizzo delle carte di credito intestate a studi o a aziende secondo le
precisazioni della R.M. 8/727 del 5 ottobre 1985; … l’esecuzione dei rimborsi a piè di
lista con le precisazioni contenute nelle R.M. n. 9/1108 del 21 settembre 1979 e n. 9/2796
del 5 gennaio 1981, ecc.)”.

In particolare, con il rinvio alla Risoluzione del 5 ottobre 1985, prot. 8/727, il
Ministero delle finanze ha riconosciuto la deducibilità, in capo al datore di lavoro, dei
rimborsi analitici delle spese documentate da moduli-fattura, ricevute a fronte
dell’utilizzo di una carta di credito, da cui risultino gli acquisti effettuati presso gli
esercizi convenzionati. Peraltro, come già precisato, l’Amministrazione finanziaria,
richiamando le Risoluzioni 21 settembre 1979, n. 9/1108, e 5 gennaio 1981, n. 9/2796, ha
fatto salva la procedura che ammette la deducibilità delle spese sostenute dal dipendente,
in relazione a trasferte determinate nel tempo e nel luogo, sulla base della mera
attestazione di spesa del dipendente medesimo effettuata attraverso la redazione di
apposita nota spese, alla quale deve essere allegata la documentazione raccolta ai fini del
rimborso.

 
A tali fini, può costituire un valido giustificativo di spesa, se allegato (quale parte
integrante) ad una corrispondente nota spese relativa ad una particolare trasferta, anche
l’estratto conto della carta di credito intestata alla società concessa in dotazione al
dipendente. In tali ipotesi il titolo di deducibilità non sarà costituito dal documento di
spesa, bensì dall’attestazione del dipendente e dalla dimostrabile riconducibilità della
spesa alla trasferta.

Le carte di credito aziendali sono degli strumenti di pagamento comodi e


vantaggiosi, pensati per facilitare e supportare la gestione amministrativa delle spese
aziendali. Possono essere emesse a favore dell’intestatario del conto corrente, di persone
delegate o dipendenti di aziende. Rispetto al contante, agli assegni o alla nota spese,
offrono una maggiore flessibilità e una precisa rendicontazione delle spese grazie al
dettagliato estratto conto che classifica, per singola carta e per tipologia, tutte le spese
effettuate. Alla semplificazione contabile si affiancano altri vantaggi quali l’eliminazione
degli anticipi di contanti o dei rimborsi di spese documentate da scontrini. Non da
sottovalutare infine: il risparmio in termini di valuta; la possibilità di fissare un plafond
individuale ad ogni singola carta consentendo di avere un costante controllo delle spese;
la centralizzazione del controllo amministrativo e del pagamento delle spese.

9.2 Deducibilità ai fini delle imposte dirette

Nell’individuare quali siano le conseguenze fiscali della rifusione di somme di


denaro a dipendenti in trasferta, oltre i concetti preliminari indicati in precedenza, è
opportuno “isolare” le seguenti variabili:

‐ area della dislocazione;


‐ modalità di erogazione del rimborso;
‐ natura delle spese sostenute.

L’area della dislocazione identifica in prima battuta la stessa ipotesi di una


trasferta, ma, in tale contesto, ai fini fiscali, è basilare distinguere anche tra:

− dislocazione all’interno del medesimo Comune in cui c’è la sede di lavoro del
dipendente (c.d. trasferta infracomunale);
− dislocazione al di fuori di tale Comune (trasferta extracomunale);

 
− dislocazione al di fuori del territorio nazionale (trasferta extracomunale-
estera).

Altrettanto importante è individuare il sistema di rimborso che, ai fini fiscali,


deve essere riconducibile a uno dei seguenti:

− piè di lista (o sistema di rimborso analitico);


− forfait (o sistema di rimborso tramite indennità o diaria);
− misto.

Anche la natura delle spese da rimborsare è importante. Sono spese “da trasferta”
soggette alla particolare disciplina dell’art. 51, comma 5, del TUIR:

‐ le spese per i pasti (vitto);


‐ le spese per l’eventuale pernottamento (alloggio);
‐ le spese di viaggio e/o trasporto;
‐ eventuali altre piccole spese, anche non documentabili, comunque connesse con le
necessità di spese derivanti dalla particolare trasferta (ad esempio, parcheggio,
mance al cameriere, lavanderia albergo).

Le caratteristiche di ciascuno di tali sistemi sono riepilogate in forma sinottica


nella Tavola 1.

Tipologia di rimborso  Caratteristiche

Analitico o a piè di lista   Rifusione delle sole spese documentate.
Presentazione di nota spese dettagliata, documentata, nominativa 
e sottoscritta dal dipendente interessato. 

Forfetario  Indennità  forfetaria  a  copertura  di  tutte  le  spese  di  trasferta, 
eccezion fatta per quelle di viaggio e trasporto (rimborsabili solo 
se analiticamente documentate). 

Misto  Rifusione  delle  spese  in  parte  a  piè  di  lista  e  in  parte  con 
un’indennità in denaro forfetaria. 

 
La somma ricevuta dal dipendente a titolo di rimborso delle spese da trasferta può
essere totalmente o parzialmente esclusa da IRPEF (e contributi) ai sensi dell’art. 51,
comma 5, del TUIR. Per effetto del combinato disposto di tale norma e del comma 1 del
medesimo art. 51, può tuttavia anche concorrere, in tutto o in parte, a formare
l’imponibile.

L’esclusione da IRPEF dipende dalla combinazione dei seguenti fattori:

‐ luogo della dislocazione (infracomunale, extracomunale e, in questo secondo


ambito, nazionale o estera);
‐ sistema di rimborso prescelto (analitico, forfetario, misto);
‐ natura della spesa da rimborsare (vitto, alloggio, viaggio/trasporto);
‐ rispetto delle regole e procedure previste per il sistema di rimborso prescelto (ad
esempio, nota spese correttamente compilata e documentata, per il sistema analitico).

Trasferte fuori dal Comune dove si trova la sede di lavoro, nel territorio nazionale o
all'estero

E' possibile distinguere tre sistemi, l’uno alternativo all’altro, che possono essere
riassunti nel modo che segue:

Rimborso analitico o a piè di lista

La rifusione delle spese da trasferta con il sistema del piè di lista si caratterizza
per il fatto che il dipendente può ricevere somme anche elevate senza subire alcun
prelievo alla fonte, in quanto esenti da IRPEF proprio ai sensi dell’art. 51, comma 5, del
TUIR 443. L’azienda datore di lavoro, tuttavia, potrebbe subire, come si vedrà in
                                                            
443
Si riporta nuovamente il contenuto dell’art. 51, comma 5, TUIR secondo cui: “Le indennità percepite per
le trasferte o le missioni fuori del territorio comunale concorrono a formare il reddito per la parte eccedente
lire 90.000 (euro 46,48, n.d.r.) al giorno, elevate a lire 150.000 (euro 77,47, n.d.r.) per le trasferte all’estero,
al netto delle spese di viaggio e di trasporto; in caso di rimborso delle spese di alloggio, ovvero di quelle di
vitto, o di alloggio o vitto fornito gratuitamente il limite e' ridotto di un terzo. Il limite e' ridotto di due terzi in
caso di rimborso sia delle spese di alloggio che di quelle di vitto. In caso di rimborso analitico delle spese
per trasferte o missioni fuori del territorio comunale non concorrono a formare il reddito i rimborsi di spese
documentate relative al vitto, all’alloggio, al viaggio e al trasporto, nonché i rimborsi di altre spese, anche
non documentabili, eventualmente sostenute dal dipendente, sempre in occasione di dette trasferte o missioni,
fino all’importo massimo giornaliero di lire 30.000, elevate a lire 50.000 per le trasferte all’estero. Le
indennità o i rimborsi di spese per le trasferte nell’ambito del territorio comunale, tranne i rimborsi di spese
di trasporto comprovate da documenti provenienti dal vettore, concorrono a formare il reddito”.
 

 
seguito 444, una limitazione alla deducibilità del rimborso ai sensi dell’art. 95, comma 3,
del TUIR.

Il rimborso analitico delle spese di vitto e alloggio, ha luogo quando il lavoratore


dipendente elenca analiticamente, in un’apposita nota, tutte le diverse voci di spesa,
allegando la documentazione che ne comprova il sostenimento.

Al fine di impedire problemi nel caso di controllo, è opportuno che nel rendiconto
siano indicati espressamente i tempi ed i luoghi di effettuazione della spesa (ove non
risultanti dalla documentazione prodotta), anche al fine di consentire la verifica
dell’inerenza rispetto all’attività aziendale.

A far data dal 1998 non è più richiesta alcuna autorizzazione preventiva alla
trasferta essendo sufficiente che la trasferta stessa e le relative spese risultino dalla
normale documentazione conservata dal datore di lavoro 445.

Per comprendere il meccanismo di funzionamento del sistema di rimborso


analitico o a piè di lista si riporta la seguente tabella di sintesi.

Tipo di spesa  Documentazione  Limite max non  Limite max deducibile per 


imponibile per  impresa 
dipendente 

Viaggio  e  trasporto  Spese  documentate  Nessun limite Nessun  limite  ad  eccezione  dei 
(comprese le inden‐ analiticamente  rimborsi  chilometrici 447  se  l’auto 
nità  è  del  dipendente  o  da  questi 
chilometriche) 446  presa a noleggio 

Vitto e alloggio 448  Spese  documentate  Nessun limite Euro  180,76  giornalieri  se  in 
analiticamente  Italia / Euro 258,23 giornalieri se 
all’estero 

                                                            
444
Si rinvia al par. 9.7.
445
Circolare 16.07.1998, n. 188/E-III-6-101224.
446
La dizione di viaggi e trasporti deve essere intesa in senso ampio, ricomprendendo le spese di trasporto
ferroviario, aereo, a mezzo taxi, e anche quelle relative ad auto a noleggio o di proprietà del dipendente,
secondo rimborso chilometrico.
447
Per cui si rinvia al par. 2.4.
448
Secondo la Circolare Assonime n. 25/1998, tra le spese di vitto possono rientrare anche le piccole
consumazioni come quelle relative al frigobar e quelle della colazione.

 
Altre spese 449  Spese  attestate  analiti‐ Euro  15,49  giornalieri  Nessun limite
camente  dal  dipenden‐ se in Italia / Euro 25,82 
te  giornalieri se all’estero 

Dalla tabella di sintesi sopra riportata, emerge che i rimborsi analitici delle spese
di vitto e alloggio, quelli delle spese di viaggio, anche sotto forma di indennità
chilometrica e di trasporto, non concorrono in nessuna misura a formare il reddito
imponibile del dipendente. Tali spese, come già rilevato, dovranno tuttavia risultare da
idonea documentazione (costituita dalla scheda relativa alla trasferta con richiesta di
rimborso a piè di lista delle spese sostenute, singole ricevute e, biglietti di viaggio etc..)
ed essere coerenti con le esigenze della trasferta, sia nel genere che nella misura 450.

E’, inoltre, escluso da imposizione il rimborso di altre spese (ulteriori rispetto a


quelle di viaggio, trasporto, vitto e alloggio, ad esempio, la lavanderia, il telefono, il
parcheggio, le mance, etc. 451), anche non documentabili, se analiticamente attestate dal
dipendente in trasferta, fino ad un importo di Euro 15,49 al giorno, elevato a Euro 25,82
per le trasferte all’estero.

L’Amministrazione finanziaria 452 ha inoltre precisato che “l’eventuale


corresponsione, in aggiunta al rimborso analitico, di una indennità, indipendentemente
dall’importo, concorre interamente a formare il reddito di lavoro dipendente”.

Rimborso forfetario

                                                            
449
Trattasi di spese non riferibili alla categoria di viaggio e trasporto né a quelle di vitto e alloggio, o
comunque non documentabili. Tali spese, ove superiori ai limiti giornalieri di Euro 15,49 (o Euro 25,82 se
all'estero) saranno tassabili in capo al dipendente per la parte eccedente la soglia consentita o per la parte non
coerente.
450
Nel rispetto dell’imprescindibile principio di inerenza sancito nell'art. 109, comma 5 del TUIR.
451
Così Circolare n. 326/E del 1997 par. 2.4.1 Secondo la Circolare Assonime n. 25/1998, invece, le spese di
parcheggio non andrebbero incluse tra le spese non documentabili (il cui rimborso non sarebbe pertanto
tassato se nei limiti dei citati Euro 15,49 o Euro 25,82), bensì tra le spese di viaggio, in quanto accessorie, con
conseguente non tassabilità del relativo rimborso, in capo al dipendente, solo ove analiticamente
documentate. A favore dell’impostazione ministeriale si richiama pensiero di LEO, Le imposte sui redditi nel
Testo Unico, Milano, 2006, pag. 845, mentre per la coesistenza delle due impostazioni cfr. Sirocchi, Tutto
trasferte, rimborsi e fringe benefit, Ed. Gruppo Il Sole 24 ore, 2009, pag. 147.
452
Circolare Ministeriale cit.

 
Sotto il profilo operativo, il rimborso forfetario è certamente più agevole da
gestire per il datore di lavoro, ma, considerata l’anacronicità degli attuali limiti posti
dall’art. 51, comma 5, primo periodo, del TUIR, il dipendente potrebbe subire la
tassazione sull’eccedenza del rimborso ricevuto rispetto ai limiti predetti.

In questo caso le indennità percepite per trasferte o missioni fuori dal territorio
comunale, concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente per la parte eccedente
Euro 46,48 al giorno, che diventano Euro 77,47 per le trasferte estere, con esclusione
delle spese di viaggio e trasporto che, invece, non hanno limiti di spesa se adeguatamente
documentate.

Per comprendere il meccanismo di funzionamento del sistema di rimborso


forfetario si riporta la seguente tabella di sintesi.

Tipo di spesa  Documentazione  Limite max non  Limite max deducibile per 


imponibile per  impresa 
dipendente 

Viaggio  e  trasporto  Spese  documen‐ Nessun limite Nessun  limite  ad  eccezione  dei 
(comprese  le  indennità  tate analiticamente  rimborsi  chilometrici 453  se  l'auto 
chilometriche)  è  del  dipendente  o  da  questi 
presa a noleggio 

Vitto,  alloggio  e  altre  Richiesta  di  rim‐ Euro  46,48  giornalieri  Nessun limite
spese  borso  se in Italia / Euro 77,47 
giornalieri se all’estero 

L’indennità giornaliera in questione (sino all’importo di Euro 46,48 elevato ad


Euro 77,47 per le trasferte all’estero) non è soggetta ad essere ridotta in relazione alla
durata della trasferta stessa, neppure se inferiore alle 24 ore e neppure se non dovesse
comportare alcun pernottamento 454.

Dalla tabella di sintesi sopra riportata emerge che restano assoggettati a


tassazione tutti i rimborsi di vitto, alloggio e altre spese eccedenti complessivamente la
somma di Euro 46,48 (o Euro 77,47 se all’estero) anche se analiticamente documentati
(ad eccezione dei rimborsi analitici delle spese di viaggio, anche sotto forma di indennità

                                                            
453
Per cui si rinvia al par. 2.4.
454
Così Circolare n. 326/E del 1997 par. 2.4.1.

 
chilometrica, e di trasporto 455 ove le spese siano rimborsate sulla base di idonea
documentazione).

Rimborso misto

Il sistema misto è una combinazione dei sistemi suddetti e, ovviamente, presenta


sia i pregi che i difetti di entrambi. Per la componente rimborsata a forfait i tetti appena
menzionati previsti per il rimborso forfetario vanno ridotti secondo le modalità fissate
dall’art. 51, comma 5, del TUIR.

Nel caso venga corrisposta, unitamente al rimborso analitico delle spese di vitto e
alloggio, anche un’indennità di trasferta, le franchigie giornaliere di Euro 46,48 (ed Euro
77,47 in caso di trasferta all’estero) risultano ridotte:

‐ di un terzo in caso di rimborso delle spese di alloggio o di vitto, nonché nei casi di
alloggio o di vitto fornito gratuitamente dal datore di lavoro o da terzi (caso 1); in
questa fattispecie la franchigia giornaliera ammonterà dunque ad Euro 30,99 per le
trasferte in Italia ed Euro 51,65 per le trasferte all’estero;
‐ di due terzi in caso di rimborso sia delle spese di alloggio che di quelle di vitto o di
vitto e alloggio forniti gratuitamente dal datore di lavoro o da terzi (caso 2); in questa
fattispecie la franchigia giornaliera ammonterà dunque ad Euro 15,49 per le trasferte
in Italia ed Euro 25,82 per le trasferte all’estero.

I rimborsi analitici delle spese di viaggio, anche sotto forma di indennità


chilometrica, e di trasporto non concorrono comunque a formare il reddito quando siano
effettuati sulla base di idonea documentazione, mentre ogni altro eventuale rimborso di
spese (ulteriori rispetto a vitto, alloggio, viaggio e trasporto) è assoggettato interamente a
tassazione.

Per comprendere il meccanismo di funzionamento del sistema di rimborso misto


si riportano le tre seguenti tabelle di sintesi

Tabella relativa al caso 1 con rimborso a piè di lista delle sole spese di vitto
(oltre alle spese di viaggio e trasporto)
                                                            
455
Che non concorrono pertanto a formare il reddito imponibile, cfr. Circolare n. 326/E del 1997.

 
Tipo di spesa  Documentazione  Limite max non  Limite max deducibile per impresa 
imponibile per 
dipendente 

Viaggio  e  trasporto  Spese  documentate  Nessun limite Nessun  limite  ad  eccezione  dei 
456
(comprese  le  indennità  analiticamente  rimborsi  chilometrici   se  l’auto  è 
chilometriche)  del dipendente o da questi presa a 
noleggio 

Vitto  Spese  documentate  Nessun limite Nessun limite


analiticamente 

Alloggio e altre spese  Richiesta di rimborso  Euro  30,99  Nessun limite


giornalieri  se  in 
Italia  /  Euro  
51,65  giorna‐
lieri  se 
all’estero 

A titolo di esempio, si precisa che se le spese di alloggio sono fornite


gratuitamente dal datore di lavoro o da terzi, il rimborso delle spese per il vitto sarà non
imponibile in capo al dipendente se inferiore o pari ad Euro 30,99 (Euro 51,65 nel caso di
trasferta estera).

Tabella relativa al caso 1 con rimborso a piè di lista delle spese di alloggio (oltre
alle spese di viaggio e trasporto).

Tipo di spesa  Documentazione  Limite max non  Limite max deducibile per 


imponibile per  impresa 
dipendente 

Viaggio  e  trasporto  Spese  documentate  anali‐ Nessun limite Nessun  limite  ad  eccezione 
(comprese  le  ticamente  dei  rimborsi  chilometrici 457 
indennità  se  l’auto  è  del  dipendente  o 
chilometriche)  da questi presa a noleggio 

Vitto e altre spese  Richiesta di rimborso  Euro  30,99  giornalieri  Nessun limite


se in Italia / Euro  51,65 
giornalieri se all’estero 

Alloggio   Spese  documentate  anali‐ Nessun limite Nessun limite

                                                            
456
Per cui si rinvia al par. 2.4
457
Per cui si rinvia al par. 2.4

 
ticamente 

Considerando il caso 2, ovvero la situazione in cui oltre alle spese di viaggio e


trasporto, anche il vitto e l’alloggio sono documentati analiticamente e interamente
rimborsati, il legislatore ha previsto la tassabilità in capo al dipendente per le ulteriori
somme percepite superiori ad Euro 15,49 (Euro 25,82 nel caso di trasferta estera).

Tabella relativa al caso 2 con rimborso a piè di lista delle spese di vitto e delle
spese di alloggio (oltre alle spese di viaggio e trasporto)

Tipo di spesa  Documentazione  Limite max non  Limite max deducibile per 


imponibile per  impresa 
dipendente 

Viaggio  e  trasporto  Spese  documentate  Nessun limite Nessun  limite  ad  eccezione  dei 
458
(comprese  le  analiticamente  rimborsi chilometrici  se l'auto 
indennità  è  del  dipendente  o  da  questi 
chilometriche)  presa a noleggio 

Vitto   Spese  documentate  Nessun limite Nessun limite


analiticamente 

Alloggio   Spese  documentate  Nessun limite Nessun limite


analiticamente 

Altre spese  Richiesta di rimborso  Euro  15,49  giorna‐lieri  Nessun limite


se in Italia / Euro  25,82 
giornalieri se all’estero 

Approfondimenti: le indennità chilometriche

Particolari problematiche, sia interpretative che di calcolo, sussistono per la


rifusione delle spese dei viaggi effettuati tramite un’autovettura privata messa a
disposizione dal dipendente. Detta circostanza dovrà risultare dalla documentazione
interna conservata dal datore di lavoro. Sia ai fini fiscali che previdenziali, l’indennità
chilometrica di cui trattasi è, “pacificamente”, quella elaborata dall’Aci.

                                                            
458
Per cui si rinvia al par. 2.4.

 
Relativamente all’indennità chilometrica, è stato precisato che, al fine di
consentire l’esclusione dalla formazione del reddito di lavoro dipendente dell’indennità
chilometrica, non è necessario che il datore di lavoro provveda al rilascio di una espressa
autorizzazione scritta che contenga tutti i dati relativi alla percorrenza e al tipo di
autovettura ammessa per il viaggio. È invece necessario, come precisa autorevole
dottrina 459, che in sede di liquidazione, l’ammontare dell’indennità sia determinato avuto
riguardo alla percorrenza, al tipo di automezzo usato da dipendente e al costo
chilometrico ricostruito secondo il tipo di autovettura (con la precisazione che detti
elementi dovranno risultare dalla documentazione interna conservata dal datore di
lavoro).

9.3 Trasferte nel Comune dove si trova la sede di lavoro

Nel caso di trasferte nell’ambito del territorio comunale dove si trova la sede di
lavoro, il rimborso delle spese, con l’esclusione delle sole spese di trasporto comprovate
da documenti provenienti dal vettore, è tassabile in capo al dipendente e, in correlazione,
l’impresa potrebbe dedurlo integralmente ai sensi del comma 1 dell’art. 95 del TUIR
(fatto salvo quanto si dirà nel prosieguo in relazione alla recente ipotesi generale di
indeducibilità fissata dall’art. 109, comma 5, del TUIR).

Per ammissione della stessa Amministrazione finanziaria 460, la scelta legislativa


di applicare un trattamento sfavorevole alle trasferte effettuate nel territorio comunale,
rispetto a quelle svolte fuori dal territorio comunale, “è stata certamente influenzata dalla
considerazione che per i lavoratori dipendenti è stata prevista contestualmente, da parte
dello stesso legislatore, l’attribuzione di una specifica detrazione di imposta anche per
tener conto degli oneri inerenti alla produzione del reddito”.

                                                            
459
cfr. LEO, Le imposte sui redditi nel Testo Unico, Milano, 2006, pag. 845. In tal senso si è espressa la più
volte citata Circolare n. 326/E del 1997 specificando che “le spese (…) per i viaggi compiuti con propri
mezzi devono essere determinate dallo stesso datore di lavoro sulla base di elementi concordanti, sia diretti
che indiretti”. Il Ministero, con successiva Risoluzione 11 luglio 2000, n. 107/E, ha precisato che non
rientrano nella disciplina dettata dall’art. 48 (ora art. 51), comma 5, del TUIR, le somme erogate ai medici
specialisti ambulatoriali a titolo di “rimborso per spese di accesso” e a titolo di “indennità di disagiatissima
sede” atteso che mentre tali somme sono corrisposte in funzione degli spostamenti del medico dal comune di
residenza al luogo di lavoro, le indennità di trasferta per le quali è disposta la non tassabilità entro determinati
limiti sono corrisposte al lavoratore che svolge l’attività lavorativa in comuni diversi da quello della sede di
lavoro. Pertanto le c.d. indennità di disagiatissima sede saranno imponibili per il loro intero ammontare.
460
Così Circolare 23 dicembre 1997, n. 326, par. 2.4.1.

 
Secondo quanto chiarisce l’Amministrazione, inoltre, non assume alcuna
rilevanza l’ampiezza del Comune in cui il dipendente ha la sede di lavoro, neppure
nell’ipotesi in cui esista una legge che preveda la corresponsione di una indennità per
coloro che si recano in missione fuori dalla sede di servizio in località distanti almeno 10
chilometri 461. Concorrono infatti a formare il reddito le indennità e i rimborsi spese per
trasferte in località comprese nel territorio comunale, anche se più distanti di 10 Km dal
centro abitato o dalla località in cui hanno sede l’ufficio o l’impianto, con la sola
esclusione dei rimborsi delle spese di trasporto, comprovate da documenti provenienti dal
vettore, e non assume alcun rilievo la eventuale ripartizione del territorio in entità
subcomunali, come le frazioni, dovendosi comunque aver riguardo al territorio comunale.

9.4 Spese di trasporto e indennità chilometriche

L'art. 51, co. 5 del TUIR precisa che “le indennità o i rimborsi di spese per le
trasferte nell’ambito del territorio comunale, tranne i rimborsi di spese di trasporto
comprovate da documenti provenienti dal vettore 462, concorrono a formare il reddito”.
Dalla lettura della norma è agevole comprendere che le indennità chilometriche non
dovrebbero rientrare in questo ambito di estromissione in quanto il dipendente che emette
la nota per il rimborso non è vettore ai sensi dell'art. 1678 c.c. 463.

                                                            
461
Legge 26 luglio 1978, n. 417.
462
Per quanto concerne la documentazione che, provenendo dal vettore, legittima l’esclusione del rimborso
della spesa dal reddito imponibile, con la citata Circolare 23 dicembre 1997, n. 326, par. 2.4.1., il Ministero
precisa che “oltre alla documentazione rilasciata dal vettore (biglietti dell’autobus. ricevuta del taxi), sia
necessario soltanto che dalla documentazione interna risulti in quale giorno l’attività del dipendente è stata
svolta all’esterno della sede di lavoro”. Dal punto di vista operativo dunque, i biglietti di viaggio su mezzi
pubblici e le ricevute fiscali dei taxi dovranno essere acclusi alle note spese del dipendente da presentare
all’impresa.
463
In tal senso GHINI, Il rimborso delle spese nelle aziende, Maggioli, 2007, pag. 52; SIROCCHI, Tutto
trasferte, rimborsi e fringe benefit, Ed. Gruppo Il Sole 24 ore, 2009, pag.153. Contra si segnalano LEO, Le
imposte sui redditi nel Testo Unico, Milano, 2006, pag. 843 e DODERO-FERRANTI-ZACCARIA, I redditi
di lavoro dipendente e assimilati, Giuffrè 1999, pag. 127, secondo cui sarebbero da escludere da imposizione
(oltre ai rimborsi delle spese di trasporto sopra citate) anche le indennità chilometriche corrisposte a seguito
di trasferte all’interno del territorio comunale. Osservano infatti questi ultimi Autori che la Circolare 326/E
del 1997 non ha richiamato, tra le risoluzioni confermate, quelle con le quali l'Amministrazione finanziaria
aveva affermato la concorrenza al reddito imponibile delle indennità chilometriche corrisposte al dipendente
in trasferta nell'ambito del comune in cui si trova la sede di lavoro. Ne deriva dunque secondo i medesimi
Autori che l’Amministrazione finanziaria avrebbe “mutato orientamento, valorizzando il principio generale
secondo il quale non costituiscono reddito per il dipendente le somme e i valori erogati nell’esclusivo
interesse del datore di lavoro (illustrato nel paragrafo 2.1.), e che, quindi, il rimborso chilometrico concesso
al dipendente non concorra alla formazione del reddito anche se si tratta di indennità chilometrica
corrisposta per una trasferta svolta all’interno del comune in cui il dipendente ha la sede di lavoro (e
semprechè si tratti di una vera e propria trasferta, sia pure all’interno del territorio comunale, e non del
rimborso di percorrenza del tragitto dall’abitazione del dipendente al luogo di lavoro)”.
 

 
Si ritiene opportuno richiamare in tal senso l’orientamento del Ministero che, con
la datata Circolare n. 13/R.T. (prot. n. 10/1702) del 20 novembre 1974 - Dir. II. DD), ha
introdotto un principio (successivamente recepito dallo stesso legislatore) secondo cui le
spese sostenute nel Comune dove si trova la sede di lavoro del dipendente debbono essere
considerate delle spese di produzione, mentre le spese sostenute fuori dal comune
costituiscono invece delle pure spese di trasferta.

Di seguito si riportano i passi salienti della citata Circolare: “....Da più parti e'
stato chiesto che ai rimborsi delle spese di viaggio e di vitto sostenute da dipendenti per
l’espletamento di attività lavorativa fuori della sede di lavoro ma nell’ambito del comune
in cui la sede stessa si trova venga esteso lo speciale trattamento tributario riservato ai
rimborsi di spese connesse a trasferte fuori del territorio del comune. Al riguardo si
ricorda quanto già precisato nella circolare n. 1/R.T. e cioè che i rimborsi delle spese di
viaggio e di vitto vanno esenti da ritenuta allorché siano collegati al riconoscimento di
una trasferta del dipendente. E poiché la trasferta ha riguardo ad una attività svolta fuori
del comune sede di lavoro, ne discende, come si evince dalla circolare medesima, che i
rimborsi di spese, anche se a piè di lista, relative a prestazioni di lavoro nell’ambito del
comune non può applicarsi lo stesso trattamento esonerativo riservato alle trasferte nel
senso innanzi precisato. Ciò perché trattasi di spese connesse allo svolgimento
dell’attività lavorativa del dipendente e, come tali, in mancanza di particolari
disposizioni, non possono che rientrare nell’ambito delle spese di produzione. Per le
stesse ragioni va esclusa altresì la possibilità di estendere alle spese sostenute per
trasferimenti nell’ambito del comune sede di lavoro il regime esonerativo previsto per le
indennità chilometriche.”

9.5 Indennità e maggiorazioni di retribuzione ai “trasfertisti”

La differenza tra lavoratore inviato in trasferta e il c.d. trasfertista è apprezzabile,


oltre che sul piano della conformazione dell’attività lavorativa, anche e precipuamente
sotto il profilo del trattamento fiscale e contributivo 464 delle somme percepite dal
lavoratore.

                                                            
464
Per effetto dell’armonizzazione delle basi imponibili fiscale e contributiva (art. 6, D.LGS. 314/1997),
l'obbligazione contributiva sulle somme erogate ai lavoratori trasfertisti deve essere calcolata sull’ammontare
così come definito ai fini fiscali (INPS, Circolare 24 dicembre 1997, n. 263; INAIL, Circolare 30 marzo
1998, n. 19).
 

 
Sotto il profilo fiscale, l’art. 51, co. 6, DPR 917/1986 stabilisce che le indennità e
le maggiorazioni di retribuzione spettanti ai lavoratori tenuti per contratto
all’espletamento delle attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi, anche se
corrisposte con carattere di continuità, concorrono a formare il reddito imponibile nella
misura del 50% del loro ammontare. Si devono comprendere nell’ambito di questa
disposizione 465 tutti quei soggetti ai quali viene attribuita una indennità, chiamata o meno
di trasferta, ovvero una maggiorazione di retribuzione che, in realtà, non è precisamente
legata alla trasferta poiché è attribuita, per contratto, per tutti i giorni retribuiti, senza
distinguere se il dipendente si sia effettivamente recato in trasferta e dove si sia svolta la
trasferta. È irrilevante ai fini della tassazione cercare le motivazioni di detta decisione
contrattuale, se cioè dipenda da una volontà delle parti di semplificare le modalità di
calcolo della retribuzione, trattandosi comunque di soggetti che per l’attività svolta sono
di frequente in trasferta, ovvero se dipenda dal fatto che si tratta di soggetti il cui contratto
o lettera di assunzione non prevede affatto una sede di lavoro predeterminata, cosicché
non è possibile individuare quando il dipendente sia in trasferta né, tanto meno, se è in
trasferta all’interno del territorio comunale o all’esterno del territorio stesso, cfr.
Ministero delle finanze, Circolare n. 326/1997. In queste ipotesi, cioè quando l'indennità
o la maggiorazione di retribuzione è attribuita con carattere continuativo e senza alcun
controllo circa l’effettuazione o meno di prestazioni in trasferta o del luogo di trasferta (e,
in assenza di specifiche disposizioni agevolative, il legislatore avrebbe dovuto prevedere
l’integrale tassazione), tenuto conto, evidentemente, delle particolari modalità di
svolgimento della prestazione stessa e delle esigenze di semplificazione, è stata prevista
una riduzione al 50% della base imponibile. In linea di principio, per i soggetti cui si
rende applicabile la predetta disposizione non dovrebbe mai verificarsi anche l’ipotesi
della trasferta vera e propria; tuttavia, ove, con riferimento ad uno o più specifici
incarichi, ricorrano tutte le condizioni previste per le trasferte ordinarie, il lavoratore
dipendente avrà diritto, in quanto non espressamente escluso, per le indennità e i rimborsi
spese riferibili a quegli incarichi, al trattamento previsto per le indennità di trasferta. Il
Ministero delle finanze (Circolare 27.6.2000, n. 129) ha altresì precisato, ribadendo
quanto già indicato nella risoluzione 9.5.2000, n. 56 e nella Circolare 19.5.2000, n. 101
(p. 7.1), che gli autotrasportatori non sono trasfertisti e quindi, in relazione all’indennità
da essi percepita, possono fruire del più favorevole regime stabilito per le trasferte.

                                                            
465
Così Circolare 23 dicembre 1997, n. 326, paragrafo 2.4.2.

 
Il tema degli spostamenti del dipendente si arricchisce di spunti peculiari 466 in
relazione alle somme versate in cifra fissa ai lavoratori c.d. trasfertisti tenuti per contratto
a trasferirsi continuamente in località diverse. Pur se non mancano orientamenti in cui si
ripropone la tradizionale distinzione tra parte risarcitoria e componente retributiva, pare
maggiormente condivisibile la posizione di chi 467 afferma che l’indennità ai trasfertisti
esula dallo schema classico dell’indennità di trasferta e va ascritta interamente all’area
retributiva. I continui spostamenti rappresentano infatti per il trasfertista una modalità
essenziale e costante della prestazione lavorativa dedotta nel contratto di lavoro;
l’indennità ha in questo caso la funzione di controbilanciare i maggiori oneri e le elevate
spese sostenute dal lavoratori in occasione dei continui trasferimenti.

Secondo la giurisprudenza le somme corrisposte al "trasfertista" per compensarlo


dell’obbligo di adempiere la propria prestazione in luoghi sempre diversi, contrariamente
ai rimborsi corrisposti in caso di trasferta, hanno natura retributiva, siccome dirette a
remunerarlo delle spese sopportate e dei disagi patiti in relazione al peculiare atteggiarsi
della prestazione lavorativa 468.

9.6 Indennità di volo e indennità ai messi notificatori

Il comma 6 dell’articolo 51 del TUIR 469 stabilisce il medesimo trattamento


previsto per le indennità e le maggiorazioni di retribuzioni corrisposte ai "trasfertisti",
anche per le indennità di navigazione e di volo previste dalla legge o dal contratto
collettivo e per le indennità corrisposte ai messi notificatori (art. 133 del DPR n. 1229 del
                                                            
466
Si segnala ad esempio che ai fini del computo dell’indennità di fine rapporto (e di altre competenze
indirette) l’accertamento, da parte del giudice del merito, della natura retributiva dell’indennità corrisposta ai
cosiddetti trasfertisti in relazione alle modalità della prestazione abitualmente fuori sede, in quanto
espressione di un apprezzamento di fatto, è sottratto al sindacato di legittimità in assenza di vizi giuridici e
logici (Cassazione 10 novembre 2003, n. 16852; nella specie la Corte ha confermato la sentenza di merito che
aveva accertato l’esistenza di un’indennità fissa aggiunta al rimborso spese computandola, ai fini delle
competenze indirette, come indennità distinta dal rimborso spese, previsto dall'art. 27 del CCNL dei
metalmeccanici, e dall’indennità alternativa al rimborso spese, prevista dalla normativa aziendale).
467
CROVATO, Il lavoro dipendente nel sistema delle imposte sui redditi, Cedam 2001, pag. 165.
468
Cassazione 21 novembre 1991, n. 12513.
469
Si riporta l'art. 51, comma 6 del TUIR: “Le indennità e le maggiorazioni di retribuzione spettanti ai
lavoratori tenuti per contratto all'espletamento delle attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi,
anche se corrisposte con carattere di continuità, le indennità di navigazione e di volo previste dalla legge o
dal contratto collettivo, nonché le indennità di cui all'articolo 133 del decreto del Presidente della
Repubblica 15 dicembre 1959, n. 1229 concorrono a formare il reddito nella misura del 50 per cento del loro
ammontare. Con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza
sociale, possono essere individuate categorie di lavoratori e condizioni di applicabilità della presente
disposizione”.

 
15.12.1959). Pertanto, anche per queste indennità viene riconosciuta una riduzione del 50
per cento della base imponibile 470. Va rilevato che la previsione della riduzione della base
imponibile delle indennità di volo e navigazione non riguarda soltanto le indennità di volo
e quelle di cui al codice della navigazione, già esonerate in base all’articolo 6 del DPR 5
aprile 1978, n. 131, ma tutte le indennità di volo e le indennità di navigazione (di ogni
tipo e, quindi, percepite da dipendenti pubblici o privati, o dal personale militare e tecnico
del registro Aeronautico Italiano compresa la panatica dei marittimi imbarcati).

L'Amministrazione finanziaria ha avuto modo di precisare 471 che la percezione


dell’indennità di imbarco è legata all’effettiva prestazione del servizio sui mezzi navali
atti alla navigazione non potendo competere l’indennità al personale collocato a riposo.
Relativamente a detti soggetti 472, non si è in presenza di indennità di imbarco, bensì di
una valutazione dei periodi di servizio nei quali le indennità stesse sono state percepite ai
fini del calcolo del trattamento di quiescenza spettante al personale a riposo che durante
la propria carriera ha trascorso periodi in posizione di imbarco; pertanto non è possibile
applicare il comma 6 dell’articolo 51.

La disposizione in esame, è, invece, applicabile a tutte le indennità sia del settore


marittimo che del settore aereo, tanto se previste dalla legge quanto se previste dai
contratti collettivi di lavoro, che premiano l’effettivo imbarco, con lo svolgimento delle
funzioni connesse 473.

Per quanto riguarda, invece, le indennità di cui all’articolo 133 del DPR 15
dicembre 1959, n. 1229, corrisposte ai messi notificatori, la previsione
dell’assoggettamento a tassazione nella misura del 50 per cento, come osservato
dall’Amministrazione nella sua Circolare 326/E del 1997, è del tutto innovativa e di
favore, atteso che in precedenza le stesse concorrevano integralmente a formare il reddito

                                                            
470
Si legge in LEO, Le imposte sui redditi nel Testo Unico, Milano, 2006, pag. 848 che “per le indennità di
navigazione e volo la riduzione è inferiore a quella del 60 per cento prevista dal comma 5 dell’articolo 48
vigente prima della riforma operata dal D.LGS. n. 314 del 1997 e, peraltro, a seguito dell’unificazione, ha
effetto anche a fini previdenziali. A tale proposito, si ricorda che le indennità in questione, prima
dell’unificazione, erano integralmente assoggettate a contribuzione”.
471
Con Circolare n. 326/E del 1997, par. 2.4.3
472
Così sempre la cit. Circolare 326/E del 1997.
473
Con Risoluzione 4 maggio 2004, n. 67/E, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto, in conformità con quanto
affermato dalla Cassazione con sentenza n. 6000 del 17.06.1999, che la “quota della suddetta indennità di
volo che confluisce nella tredicesima mensilità debba godere del regime agevolato previsto dall’art. 51”.

 
imponibile. La stessa Corte di Cassazione, (Sez. I civ. del 9 maggio 1991, sentenza n.
5197) aveva precisato che l'indennità attribuita agli Ufficiali giudiziari per il servizio di
notifica era tassabile ai fini dell’IRPEF in quanto "all’ufficiale giudiziario compete la
predetta indennità non per ogni uscita dall'edificio ove l’ufficio ha sede, ma per ogni atto
che compie fuori dall’edificio predetto; ed è chiaro, allora, che se è prevista una
pluralità di introiti (corrispondenti al numero di atti) anche a fronte di una spesa unica,
si è in tema di indennità di tipo retributivo, non di rimborso spese." La stessa Corte aveva
osservato che la circostanza che l’indennità in questione fosse comprensiva anche del
rimborso spese non legittimava la conclusione dell’intassabilità, in quanto il legislatore
fiscale, nell'articolo 48 (ora 51) del TUIR, non dettava in questo caso i criteri per stabilire
quale parte dell'indennità dovesse essere considerata tassabile e quale, invece, fosse
esclusa. In senso conforme, si era espresso anche il Ministero delle finanze. La questione
risulta ora definitivamente risolta in quanto, appunto, per le indennità corrisposte ai messi
notificatori 474, è stata stabilita, a decorrere dal 1° gennaio 1998, una riduzione al 50 per
cento dell’importo da assoggettare a tassazione. E’ appena il caso di ribadire, invece, che
la tassa del dieci per cento dovuta sui proventi degli ufficiali giudiziari e loro aiutanti ai
sensi dell’articolo 154 del medesimo decreto presidenziale n. 1229 del 1959, mentre resta
esclusa dalla base imponibile ai fini dell’applicazione della ritenuta alla fonte, non può
essere considerata come acconto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta
dagli ufficiali giudiziari.

9.7 Indennità di trasferimento, di prima sistemazione ed equipollenti

Il comma 7 dell’articolo 51 del TUIR 475 fissa uno speciale regime per le somme
corrisposte in occasione del trasferimento della sede di lavoro del dipendente. Infatti, al

                                                            
474
Con Risoluzione 16 luglio 2002, n. 232/E, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che i rimborsi spese e le
indennità per notifiche e atti esecutivi, percepiti dagli ufficiali di riscossione dei concessionari del servizio
riscossione non possono fruire della disposizione agevolativa prevista per la tassazione delle indennità e
maggiorazioni di retribuzione spettanti ai lavoratori tenuti per contratto all'espletamento dell'attività
lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi in quanto i predetti ufficiali dispongono di una sede di lavoro
specificamente individuata. I medesimi rimborsi spese e indennità non possono neppure essere ricondotti
nell’ambito applicativo della disposizione agevolativa prevista a favore degli ufficiali giudiziari atteso che “il
disposto letterale dell’art. 48 (ora art. 51), comma 6, del TUIR, tramite il rinvio all’art. 133 della legge n.
1229 del 1959, riferisce la previsione di tassazione agevolata alla sola indennità di notifica percepita dagli
Ufficiali Giudiziari, senza possibilità di estensione analogica agli Ufficiali della riscossione”.
475
Art. 51, comma 7, del TUIR: “Le indennità di trasferimento, quelle di prima sistemazione e quelle
equipollenti, non concorrono a formare il reddito nella misura del 50 per cento del loro ammontare per un
importo complessivo annuo non superiore a lire 3 milioni per i trasferimenti all'interno del territorio
nazionale e 9 milioni per quelli fuori dal territorio nazionale o a destinazione in quest’ultimo. Se le indennità
in questione, con riferimento allo stesso trasferimento, sono corrisposte per più anni, la presente disposizione
 

 
fine di tener conto delle reali esigenze dei lavoratori trasferiti e per evitare che fattispecie
di tal genere vengano fatte confluire nell'ambito della disciplina delle trasferte, è stato
disposto che le indennità di trasferimento ed equipollenti, fruiscano di un abbattimento al
50% della base imponibile. L’importo escluso da tassazione non può superare un importo
massimo, diversificato a seconda che il trasferimento avvenga all’interno del territorio
nazionale o dal territorio nazionale all’estero e viceversa o estero su estero, e
rispettivamente: Euro 1.549,37 annui per il territorio nazionale ed Euro 4.648,11 annui
per quelli con l’estero (Euro 6.197,48 annui se nello stesso anno il dipendente subisce un
trasferimento all’estero e uno in Italia).

Contestualmente, è stato espressamente previsto che tale trattamento di favore


non può essere riconosciuto che per il primo anno, intendendosi per anno un periodo di
365 decorrente dalla data del trasferimento 476.

La disposizione contenuta nell’art. 51, comma 7, del TUIR, stabilisce inoltre che
il rimborso di talune spese da parte del datore di lavoro, in aggiunta alla corresponsione
dell’indennità, se analiticamente documentate, non costituisce reddito imponibile. Si
tratta, in particolare, delle spese di viaggio, sostenute anche per i familiari fiscalmente a
carico ai sensi dell’articolo 12 del TUIR, e di trasporto delle cose, strettamente collegate
al trasferimento 477.

Per espressa previsione normativa, non costituisce reddito il rimborso


analiticamente documentato da parte del datore di lavoro, delle spese e degli oneri

                                                                                                                                                                   
si applica solo per le indennità corrisposte per il primo anno. Le spese di viaggio, ivi comprese quelle dei
familiari fiscalmente a carico ai sensi dell’articolo 13, e di trasporto delle cose, nonché le spese e gli oneri
sostenuti dal dipendente in qualità di conduttore, per recesso dal contratto di locazione in dipendenza
dell’avvenuto trasferimento della sede di lavoro, se rimborsate dal datore di lavoro e analiticamente
documentate, non concorrono a formare il reddito anche se in caso di contemporanea erogazione delle
suddette indennità”.
476
Così Circolare n. 326/E del 1997 cit. Con la stessa Circolare l'Amministrazione finanziaria ha chiarito che,
una volta fissato l’importo della indennità e la relativa quota esente, la materiale erogazione può anche
avvenire in più periodi d’imposta se ciò è più agevole per la parti. Si precisa inoltre che “se per il
trasferimento avvenuto nel territorio nazionale è stata stabilita una indennità di lire 10 milioni, la quota
teoricamente esente dovrebbe essere di lire 5 milioni, ma poiché superiore all’importo massimo esentabile, la
detta quota esente va ridotta a lire 3 milioni. Supponendo che l’indennità, per esigenze di liquidità del datore
di lavoro, venga corrisposta in due rate, la prima nell’anno di trasferimento, pari a lire 2 milioni, e la
seconda, pari a lire 7 milioni l’anno successivo, nel primo anno tutto l’importo erogato sarà escluso da
tassazione e nel secondo anno sarà esentato il primo dei sette milioni corrisposti”.
477
Precisa LEO-MONACCHI-SCHIAVO, Le imposte sui redditi, Milano, 2006, pag. 850, che non rientrano
tra le suddette spese analiticamente documentate, quelle per i successivi viaggi che il dipendente dovesse
sostenere per visitare la famiglia che non si fosse eventualmente trasferita con lui.

 
sostenuti dal dipendente in qualità di conduttore, per recesso dal contratto di locazione in
dipendenza dell’avvenuto trasferimento della sede di lavoro.

Il Ministero 478 precisa infine che la disposizione normativa non subordina il


trattamento di favore previsto per tali indennità a circostanze particolari che originano il
trasferimento della sede di lavoro, né al trasferimento della residenza anagrafica. Si deve
ritenere, pertanto, che lo stesso possa essere applicato anche nell’ipotesi in cui la
corresponsione di indennità di prima sistemazione o equipollente avvenga in occasione di
un trasferimento a richiesta del dipendente, così come se, invece, il trasferimento fosse
dovuto ad una assegnazione del dipendente ad una sede diversa da quella originaria in
relazione al trasferimento in altro comune del datore di lavoro stesso ovvero di parte dei
propri uffici.

TRATTAMENTO FISCALE PER L'IMPRESA

9.8 Deducibilità ai fini delle imposte dirette

Ai fini della deducibilità dal reddito imponibile ai fini dell’imposizione diretta, i


rimborsi spese per le trasferte dei lavoratori dipendenti, oltre a dover essere
opportunamente documentati, devono anzitutto possedere il requisito dell’inerenza. Per
quanto riguarda la documentazione delle spese si fa rinvio al precedente paragrafo 9.1,
mentre per quanto concerne l’inerenza il riferimento è al principio previsto dal comma 5
dell’articolo 109 del TUIR 479. Secondo la norma, la deducibilità delle spese è subordinata
alla connessione con attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono
a formare il reddito dell’imprenditore, o non vi concorrono in quanto esclusi. La norma
utilizza la formula “se e nella misura in cui si riferiscono ad attività”, così stabilendo
l’esigenza di proporzionalità tra le spese sostenute e le reali necessità che la trasferta
                                                            
478
Circolare n. 326/E del 1997 par. 2.4.4.
479
Art. 109, comma 5, DPR 917/1986: “Le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi
passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si
riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che
non vi concorrono in quanto esclusi. Se si riferiscono indistintamente ad attività o beni produttivi di proventi
computabili e ad attività o beni produttivi di proventi non computabili in quanto esenti nella determinazione
del reddito sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto tra l'ammontare dei ricavi e altri proventi
che concorrono a formare il reddito d'impresa o che non vi concorrono in quanto esclusi e l'ammontare
complessivo di tutti i ricavi e proventi. Le plusvalenze di cui all'articolo 87, non rilevano ai fini
dell'applicazione del periodo precedente. Fermo restando quanto previsto dai periodi precedenti, le spese
relative a prestazioni alberghiere e a somministrazioni di alimenti e bevande, diverse da quelle di cui al
comma 3 dell'articolo 95, sono deducibili nella misura del 75 per cento”.

 
comporta. Potrebbe pertanto essere sindacata una spesa di consistente entità sostenuta a
fronte di una trasferta determinata da necessità di scarso interesse per l’impresa.

Come si è avuto modo di illustrare relativamente al trattamento fiscale per i


percipiente, anche con riferimento alla deducibilità di tali spese dal punto di vista
dell’impresa si rende opportuna l’analisi di dette spese secondo diverse variabili che, si
ricorda, sono:

‐ destinazione della trasferta (nel comune della sede di lavoro del dipendente,
extracomunale, ovvero oltre i confini nazionali);
‐ modalità di determinazione del rimborso (analitico, forfetario o misto);
‐ natura delle spese sostenute (vitto, alloggio, viaggio e altre spese non
documentabili).

Trasferte fuori dal territorio comunale ove si trova la sede di lavoro, nel territorio
nazionale o all’estero

La disciplina riguardante il rimborso delle spese di vitto e alloggio sostenute per


trasferte effettuate al di fuori del territorio comunale è contenuta nel comma 3
dell’articolo 95 del TUIR 480. La norma in esame, che prevede una limitazione della
deducibilità delle spese di vitto, alloggio e di trasferimento effettuato con la propria
autovettura in relazione alle trasferte effettuate dai dipendenti, va interpretata come
deroga al principio generale che prevede l’integrale deducibilità dal reddito d’impresa
delle spese per prestazioni di lavoro. Tutto ciò che non è espressamente limitato, pertanto,
va considerato integralmente deducibile.

La norma pone un limite massimo di deducibilità per l’impresa, consentendo una


deduzione dei rimborsi per spese di vitto e alloggio per un ammontare giornaliero non
superiore ad Euro 180,76, aumentato a Euro 258,23 per le trasferte all’estero. Il limite è

                                                            
480
Art. 95, comma 3, DPR 917/86: “Le spese di vitto e alloggio sostenute per le trasferte effettuate fuori dal
territorio comunale dai lavoratori dipendenti e dai titolari di rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa sono ammesse in deduzione per un ammontare giornaliero non superiore ad euro 180,76; il
predetto limite e' elevato ad euro 258,23 per le trasferte all'estero”.

 
riferito solo alla modalità di rimborso analitico, non trovando applicazione, invece, sia nel
caso di rimborso forfetario che in quello di rimborso misto di vitto ed alloggio 481.

Ai rimborsi delle spese sostenute per le trasferte effettuate fuori dal territorio
comunale dai lavoratori dipendenti non si applica la limitazione, recentemente
introdotta 482, alla deducibilità delle spese per prestazioni alberghiere e somministrazione
di alimenti e bevande. L’ultimo periodo del comma 5 dell’articolo 109, infatti, prevede
espressamente che la limitazione al 75% della deducibilità delle spese per prestazioni
alberghiere e somministrazioni di alimenti e bevande, non si applichi ai casi previsti dal
comma 3 dell’articolo 95, e quindi ai rimborsi delle spese sostenute per le trasferte dei
dipendenti al di fuori del territorio comunale, sia in Italia che all’estero.

L’esclusione da tale limitazione di deducibilità, espressamente prevista dalla


norma relativa ai redditi d’impresa, deve ritenersi applicabile anche al reddito di lavoro
autonomo 483.

L’articolo 95, comma 3, del TUIR pone delle limitazioni anche alla deducibilità
delle spese di trasporto nel caso in cui il dipendente rimborsato utilizzi il proprio veicolo.
La deducibilità è limitata, in questo caso, al costo di percorrenza o alle tariffe di noleggio
relative ad autoveicoli di potenza non superiore a 17 cavalli fiscali ovvero 20 se con
motore diesel. La quota eccedente va invece ripresa a tassazione.

Anche in questo caso la limitazione prevista dalla norma va letta nel senso che, al
di fuori dell’ipotesi di limitazione espressamente prevista, vige il principio generale di
integrale deducibilità delle prestazioni di lavoro. Sono quindi deducibili le spese di

                                                            
481
Tale importante chiarimento è stato fornito con le istruzioni alla compilazione della dichiarazione dei
redditi per l’anno 1996 e successivamente ribadita dalla Circolare 16 luglio 1998, n. 188, paragrafo 9, nella
quale si afferma che, benché il rimborso misto sia molto simile a quello analitico, la limitazione della
deducibilità vale solo per quest’ultimo sistema di determinazione del rimborso.
482
Con art. 83, comma 28-quater, DL 112/2008. La norma che, modificando il comma 5 dell’articolo 109 del
DPR 917/1986, ha previsto la deducibilità delle spese per prestazioni alberghiere e somministrazioni di
alimenti e bevande, è stata introdotta per compensare la diminuzione di gettito provocata dall’eliminazione
della norma che stabiliva l’indetraibilità IVA di tali prestazioni.
483
Circolare 5 settembre 2008, n. 53/E: “Sono altresì escluse dal limite di deducibilità del 75 per cento le
spese di vitto e alloggio sostenute per le trasferte effettuate dai dipendenti e dai collaboratori coordinati e
continuativi, disciplinate dal successivo comma 6 dell’articolo 54, le quali restano deducibili secondo i
criteri speciali dettati dall’articolo 95, comma 3, del TUIR, in materia di spese per prestazioni di lavoro”.
Vedasi anche Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, circolare 27 aprile 2009,
n. 9/IR, paragrafo 6.

 
trasporto sostenute per viaggi aerei, a mezzo ferrovia, taxi, purché opportunamente
documentate meditante i relativi biglietti, anche se non nominativi.

Il dipendente che abbia utilizzato la propria autovettura per la trasferta 484, al


rientro dalla missione, deve attestare esattamente quale itinerario ha percorso e con quale
autovettura (tipo, cilindrata e targa) in un documento che deve essere conservato nelle
evidenze interne dell'impresa.

Il comma 4 dell’articolo 95 del TUIR detta una disciplina particolare per le


imprese autorizzate all’autotrasporto di merci le quali, in alternativa al rimborso analitico
delle spese di trasferta fuori dal territorio comunale sostenute da ciascun dipendente,
possono dedurre un importo forfetario giornaliero di Euro 59,65 per ogni giorno di
trasferta, aumentato ad Euro 95,80 in caso di trasferte all’estero. La deduzione forfetaria
si applica in aggiunta alle spese di viaggio e di trasporto analiticamente documentate dal
dipendente.

Trasferte nel territorio comunale ove si trova la sede di lavoro

In mancanza di una specifica disposizione derogatoria, come previsto per le


trasferte al di fuori del territorio comunale, nessun limite di deducibilità è invece previsto
in relazione alle spese rimborsate al dipendente a fronte di trasferte effettuate da questi
nell’ambito del territorio comunale nel quale è stabilita la sede di lavoro.

Relativamente al limite del 75% di deducibilità delle spese per prestazioni


alberghiere e somministrazione di alimenti e bevande, l’Agenzia delle entrate sostiene 485
che l’articolo 109, comma 5, nella sua nuova formulazione, esclude da tale meccanismo
esclusivamente i rimborsi per trasferte dei dipendenti fuori dal territorio comunale. Il
limite alla deducibilità rimarrebbe pertanto applicabile alle spese per trasferte effettuate
nel territorio comunale. In senso opposto si è pronunciata l’Assonime 486, sostenendo che
sostiene che tali spese “concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente o di
collaborazione e, di conseguenza, costituiscono spese per prestazioni di lavoro che

                                                            
484
Circolare 23 dicembre 1997, n. 326
485
Circolare 3 marzo 2009, n. 6/E, paragrafo 5.
486
Circolare Assonime 7 agosto 2008, n. 50

 
devono ritenersi del tutto inerenti alla produzione del reddito e, quindi, interamente
deducibili per l’impresa”.

Ad analoga conclusione, seppur con argomentazioni diverse, giunge chi 487,


superando l’interpretazione letterale e risalendo alla ratio della norma ha sostenuto “come
rilevato dalla stessa Agenzia delle Entrate 488”, che sia “ragionevole ritenere che il
legislatore abbia inteso limitare la deducibilità delle spese per prestazioni alberghiere e
di ristorazione solo nelle ipotesi in cui risulti dubbia l’inerenza di dette spese all’attività
esercitata. Se tale è l’intento perseguito dal legislatore, è evidente che il regime di
deducibilità limitata in commento si renda inapplicabile ogniqualvolta l’inerenza delle
spese in oggetto non possa essere messa in discussione, ivi compreso dunque il caso in
cui le spese siano sostenute per trasferte di dipendenti o collaboratori nell’ambito del
territorio comunale”. Il limite del 75% di deducibilità delle spese alberghiere e per la
somministrazione di alimenti e bevande non sarebbe pertanto applicabile, oltre che alle
trasferte al di fuori del territorio comunale, anche per quelle effettuate all’interno dello
stesso.

Indennità ai trasfertisti e indennità di trasferimento

Come affermato in precedenza, l’articolo 95 del TUIR deve essere letto


considerando deducibili dal reddito d’impresa tutte le spese per prestazioni di lavoro,
salvo le limitazioni e le esclusioni previste nella norma. Accettata tale considerazione di
carattere generale è agevole affermare, pur in assenza di specifiche indicazioni nella
prassi amministrativa, che sia le indennità corrisposte ai trasferisti, sia le indennità di
trasferimento sono integralmente deducibili ai fini della determinazione del reddito
imponibile.

9.9 Detraibilità ai fini IVA

La disciplina IVA in materia di prestazioni alberghiere e di ristorazione ha


recentemente subito importanti cambiamenti 489, che hanno comportato la modifica
                                                            
487
Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, circolare 27 aprile 2009, n. 9/IR,
paragrafo 6.
488
Circolare 3 marzo 2009, n. 6/E, paragrafo 9.
489
Introdotte con articolo 83, comma 28-bis, DL 25 giugno 2008, n. 133, volto ad eliminare il contrasto tra la
normativa nazionale e l’articolo 168 della direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006 che aveva indotto la
 

 
dell’articolo 19-bis1 del DPR 633/72. La variazione ha soppresso del tutto, a partire dal
1° settembre 2008, la limitazione della detraibilità IVA per le prestazioni alberghiere e di
somministrazione di alimenti e bevande. Il diritto alla detrazione può, ovviamente, essere
esercitato soltanto se, e nella misura in cui, sia dimostrabile l'inerenza dei servizi
acquistati all'attività d'impresa o di lavoro autonomo esercitata, secondo la regola
generale stabilita dall'art. 19 del DPR n. 633 del 1972 490.

La possibilità di detrazione dell’IVA sulle prestazioni alberghiere e sulle


somministrazione di alimenti e bevande ha posto una serie di dubbi applicativi ed
interpretativi che hanno comportato la necessità per l’Amministrazione finanziaria di dare
delle interpretazioni ufficiali 491.

Dal punto di vista della certificazione della spesa sostenuta è stato chiarito che la
detrazione dell’IVA presuppone il possesso della fattura che, non essendo documento
obbligatorio per le prestazioni alberghiere e di somministrazione di vitto e alloggio, deve
essere dunque espressamente richiesta dal fruitore del servizio al momento di
effettuazione dell’operazione.

Nel caso in cui non vi sia coincidenza tra il soggetto che acquista il servizio
nell’esercizio dell’impresa o di lavoro autonomo (il datore di lavoro) ed il fruitore della
prestazione (il dipendente), la fattura deve essere intestata al soggetto beneficiario della
detrazione, al fine di consentirgli l’esercizio del relativo diritto. I dati del dipendente
fruitore potranno invece essere indicati nella fattura ovvero in apposita nota ad essa
allegata 492.

                                                                                                                                                                   
commissiona UE ad attivare la procedura di infrazione n. 2006/5040. La precedente formulazione
dell’articolo 19-bis1, vigente sino la 31 dicembre 2006, prevedeva la quasi generale indetraibilità dell’Iva per
le prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande, con qualche eccezione.

490
Restano naturalmente ferme le cause di indetraibilità, totale o parziale, dell'imposta derivanti, ad esempio,
dall'effettuazione da parte del contribuente di operazioni esenti di cui all'art. 10 del DPR n. 633/1972 che
comportino l'applicazione del cosiddetto pro-rata di detraibilità ai sensi del quinto comma del successivo art.
19.
491
Circolari 5 settembre 2008, n. 53/E e 3 marzo 2009, n. 6/E.
492
In tal senso la Circolare 3 marzo 2009, n. 6/E, paragrafo 2, che ha modificato le istruzioni fornite con
Circolare 5 settembre 2008, n. 53/E, nella quale si raccomandava una doppia intestazione della fattura, nei
confronti del committente e del fruitore.

 
Altra questione della quale l’Amministrazione finanziaria ha dovuto intervenire
più volte, modificando drasticamente la propria posizione a distanza di pochi mesi, è
quella relativa alla deducibilità ai fini delle determinazione del reddito dell’IVA
volontariamente non detratta. Il caso è quello del contribuente che ometta la richiesta
della fattura, ovvero quello del soggetto che, pur in possesso di fattura, rinunci alla
detrazione dell’imposta. L’Agenzia delle Entrate ha dapprima sostenuto 493 che in questi
casi la scelta del contribuente non avrebbe potuto condizionare la determinazione del
reddito, derivando l’indetraibilità IVA non da cause oggettive di preclusione, ma da una
sua valutazione discrezionale. Nel caso il contribuente avesse deciso di non richiedere la
fattura ovvero, pur in possesso di tale documento, avesse scelto di non detrarre il tributo –
sosteneva nella sua prima interpretazione l’Amministrazione finanziaria - l’IVA non
detratta non avrebbe potuto essere compresa nel costo sostenuto per le prestazioni
alberghiere e di ristorazione. Ciò avrebbe comportato che, in sede di registrazione di un
documento diverso dalla fattura, sarebbe stato necessario scorporare dall’importo
complessivamente pagato il tributo IVA, che avrebbe costituito un costo indeducibile.

L’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate non ha convinto sin dal principio


gran parte della dottrina. In senso opposto si è subito schierato il Consiglio nazionale dei
dottori commercialisti e degli esperti contabili 494 ha sostenuto che, nel caso di possesso di
una fattura da parte del contribuente, il diritto alla detrazione sia potenzialmente privo del
requisito di certezza fino allo spirare del termine previsto dalla norma per l’esercizio del
diritto 495. La mancata deduzione dell’IVA si configurerebbe pertanto, allo scadere del
termine per la detrazione, come una sopravvenuta insussistenza di attività iscritte in
bilancio in precedenti esercizi, e pertanto deducibile a titolo di sopravvenienza passiva.
Alle medesime conclusioni si arriverebbe, secondo lo stesso autore, nel caso di
certificazione della spesa alberghiera e di ristorazione con ricevuta fiscale o scontrino. In
tal caso, il costo derivante dall’indetraibilità dell’IVA sarebbe qualificabile come onere
accessorio di diretta imputazione della spesa principale e sarebbe pertanto da considerare
deducibile in aggiunta al costo riconosciuto del servizio acquistato.

                                                            
493
Circolare 3 marzo 2009, n. 6, paragrafo 1.
494
Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, circolare 27 aprile 2009, n. 9/IR,
paragrafo 6.
495
Ai sensi dell’art. 19, comma 1, DPR 633/1972, l’IVA è detraibile, al più tardi, con la dichiarazione relativa
al secondo anno successivo a quello in cui l’imposta diviene esigibile.

 
Più convincente è subito parsa la posizione della dottrina 496 che ha ritenuto
deducibile (nel limite del 75%) l’intero importo addebitato per le prestazioni alberghiere e
di somministrazione di alimenti e bevande, comprensivo di IVA. L’autore giunge a tale
conclusione considerando l’IVA come costo inerente, in quanto derivante dalla scelta di
convenienza economica rappresentata dalla volontaria rinuncia a chiedere la fattura per
evitare l’aumento dei costi amministrativi derivanti dalla registrazione di un gran numero
di fatture di modico importo e dai connessi adempimenti fiscali. Non potrebbe essere
censurato, secondo tale interpretazione, un comportamento basato sull’economicità delle
scelte imprenditoriali e sull’inerenza delle spese sostenute. La mancata richiesta della
fattura non andrebbe letta come comportamento negligente del contribuente, quanto come
libera scelta economica degna di essere tutelata dal sistema giuridico tributario.

Sul tema è ritornata l’Agenzia delle Entrate 497 che, invertendo drasticamente la
propria rotta, ha riconosciuto la deducibilità dell’IVA non detratta, anche se limitatamente
al caso in cui la mancata detrazione dipenda dalla scelta del contribuente di non
richiedere la fattura, optando per una certificazione della spesa diversa (ricevuta o
scontrino). Rimane indeducibile, secondo l’Amministrazione, l’IVA che il contribuente
in possesso di fattura sceglie di non detrarre.

A sostegno della nuova tesi l’Agenzia delle Entrate rispolvera una datata
Risoluzione 498 in base alla quale “l’inerenza – quale condizione necessaria ai fini della
deducibilità fiscale di un costo – va riconosciuta per il solo fatto che detto costo è
valutato dall’imprenditore nell’ambito di una scelta di convenienza economica, vale a
dire quando l’obiettivo è pur sempre quello di pervenire al maggior risultato economico
possibile”. L’inerenza del costo, pertanto, deve essere riconosciuta al contribuente per il
solo fatto che la sua scelta di non richiedere la fattura è giustificata dalla ragione che i
costi da sostenere per eseguire gli adempimenti connessi alle fatture sono stimati in

                                                            
496
Sirocchi, Tutto Trasferte, rimborsi e finge benefit, Milano, 2009, pag. 180; Deotto, Trasferte, la chance
inerenza, “Il Sole 24 Ore”, 7 marzo 2009, pag. 21.
497
Circolare 19 maggio 2010, n. 25.
498
Risoluzione 6 settembre 1980, n. 517.

 
misura superiore rispetto al vantaggio economico costituito dall’importo dell’IVA
detraibile 499.

L’Agenzia delle Entrate, come ricordato, rimane ferma nel non riconoscere il
diritto alla deduzione dell’IVA non detratta dal contribuente in possesso di fattura,
trovando sul punto la censura della dottrina 500 che intravvede nel diverso trattamento
fiscale, giustificato esclusivamente dal possesso di una diversa documentazione
probatoria della spesa sostenuta (ricevuta anziché fattura), addirittura una violazione del
principio costituzionale di uguaglianza.

Il pranzo del dipendente o dell’amministratore che invita un ospite

L’applicazione dei principi sopra descritti può comportare, nella pratica


aziendale, la soluzione di alcuni problemi pratici. Un caso molto frequente è
rappresentato dal dipendente che invita a pranzo un ospite (ad esempio, un cliente, ma
anche un fornitore o un tecnico). Questa fattispecie comporta il problema della
qualificazione della spesa e del corretto inquadramento contabile e fiscale.

Si tratta di una spesa che in parte (ad essere rigorosi non è detto che si tratti
esattamente del 50%) sarebbe qualificabile come spesa di trasferta, mentre per il
rimanente come spesa di rappresentanza (o di ospitalità).

Si ritiene che il principio base da seguire per risolvere le molteplici fattispecie che
si manifestano nella realtà aziendale, sia quello di individuare con chiarezza chi siano i
beneficiari della spesa e, soprattutto, quali siano le finalità che intende perseguire
sostenendo la stessa.

Dalle definizioni fornite dall’Amministrazione finanziaria 501 e dalla dottrina 502


risulta evidente che le spese di rappresentanza, come quelle di ospitalità (e, ancor più,

                                                            
499
Santacroce, L’Iva non detratta per vitto e alloggio ritorna deducibile, in “Il Sole-24 Ore” 20 maggio 2010,
pagina 35.
500
Fondazione Studi Consulenti del lavoro, Circolare 3 giugno 2010, n. 9.
501
Circolare 13.07.2009, n.34/E: "assolvono a una funzione di promozione e consolidamento degli affari
dell'impresa analoga a quella riconducibile per definizione alle tradizionali forme di pubblicità e di
propaganda in senso stretto", differenziandosi da queste ultime per l'assenza di un corrispettivo e di una
generica controprestazione”.

 
quelle di pubblicità) sono caratterizzate da una finalità “promozionale”, essendo
finalizzate a realizzare l’obiettivo implicito, ma diretto, di stimolare il conseguimento di
ricavi. Le spese di trasferta, invece, sono riferite a spostamenti dovuti a motivi di servizio
(restando escluso, ad esempio, il pranzo tra colleghi o tra dipendenti e amministratori che
non sia motivato dallo svolgimento fuori sede di attività lavorative).

L’Amministrazione finanziaria è intervenuta recentemente 503 nel merito della


qualificazione delle spese sostenute nei confronti di soggetti diversi, affermando che “nel
caso in cui le spese per viaggio, vitto o alloggio siano sostenute in maniera indistinta sia
per i clienti che per altri destinatari (si pensi alle spese per un buffet offerto in occasione
di una fiera o di una mostra, al quale partecipano sia i clienti, attuali o potenziali, sia
dipendenti, giornalisti o autorità invitate all'evento) tali spese vengono attratte dal
regime delle spese di rappresentanza per cui possono essere dedotte nei limiti delle
percentuali di ricavi e proventi stabiliti dal comma 2” (dell’articolo 108 del TUIR).
Il criterio della ricerca della finalità per la quale le spese sono state sostenute è
stato seguito anche da chi 504 ha affermato che “le spese di ospitalità (vitto, alloggio e
viaggio) sostenute per finalità diverse dalla promozione e dalle pubbliche relazioni, a
favore di soggetti diversi dai clienti e potenziali clienti, non sono da comprendere nel
novero delle spese di rappresentanza”. Il trattamento di tali spese dovrebbe essere,
secondo l’autore, individuato “in base al principio di inerenza di cui all’art. 109 del
Testo Unico delle Imposte sui Redditi e alle regole di detrazione dell’IVA di cui all’art.
19, comma 1, del Decreto Presidente della Repubblica nr. 633 del 26 ottobre 1972”.

Il criterio della ricerca della finalità della spesa al fine dell’inquadramento fiscale
della stessa è maggiormente evidente alla luce della definizione che la stessa
Amministrazione finanziaria ha dato alle spese di rappresentanza. Se è vero che le spese
di rappresentanza sono caratterizzate dalla finalità promozionale di stimolo

                                                                                                                                                                   
502
Circolare 13.07.2009, n.34/E: “In particolare, si tratta delle "spese di viaggio, vitto e alloggio sostenute
per ospitare clienti, anche potenziali, in occasioni di mostre, fiere, esposizioni ed eventi simili in cui sono
esposti i beni e i servizi prodotti dall'impresa o in occasione di visite a sedi, stabilimenti o unità produttive
dell'impresa ". “Le spese in questione, connotate dalla gratuità al pari delle altre spese di rappresentanza,
sono quelle rivolte verso una particolare categoria di soggetti, i clienti attuali e potenziali dell'impresa, e
sostenute in occasioni specifiche. Il legislatore, ritenendo che tali spese siano altresì connotate da una forte
caratterizzazione commerciale, ne ha disposto l'assimilazione, quanto al regime di deducibilità fiscale dal
reddito d'impresa, agli ordinari costi di produzione”.
503
Circolare 13.07.2009, n.34/E.
504
Associazione Italiana Dottori Commercialisti, norma di comportamento 3 marzo 2010, n. 177. 

 
all’ottenimento di ricavi, non si comprende per quale ragione potrebbero essere
considerate tali le spese per l’ospitalità sostenute nei confronti di fornitori o altri soggetti
diversi dai clienti, effettivi o potenziali. Mancherebbe infatti, in tal caso, il collegamento
diretto con il conseguimento di ricavi.

Ciò non toglie, ovviamente, che tali spese, sostenute con finalità diverse dallo
stimolo dei ricavi, possano essere giustificate da finalità economico-aziendali
(miglioramento dell’assetto organizzativo, ad esempio) tali da poterne qualificare
l’inerenza con l’attività dell’impresa, e per questa via determinarne la deducibilità ai fini
della determinazione dei redditi e la detraibilità ai fini IVA 505.

9.10. Deducibilità ai fini IRAP

Come già anticipato nei capitoli che precedono, dal periodo d’imposta 2008 506,
per effetto della riformulazione della disciplina IRAP 507, sono cambiate le modalità di
determinazione del tributo a seconda della natura del soggetto contribuente.

Ai fini della determinazione dell’imponibile IRAP, le società di capitali possono


dedurre le spese di vitto e alloggio classificate nelle voci di conto economico da
considerare rilevanti al fine della determinazione del valore della produzione netta.
Essendo i costi classificati in bilancio secondo la loro natura (e non in base al criterio di
destinazione), i rimborsi delle spese sostenute per le trasferte dei dipendenti non saranno
inseriti nei costi relativi ai dipendenti, ma tra i costi per servizi nella voce B.7) del conto
economico

Le norme che hanno riformulato le modalità di determinazione della base


imponibile IRAP, hanno espressamente abrogato quanto originariamente previsto al
comma 2 dell’articolo 11 del D. LGS. 446/97, che escludeva dall’indeducibilità prevista
                                                            
505
Cassazione, 21 gennaio 2009, n. 1465. 
506
L’art. 1, comma 51, L. 244/2007, individua la decorrenza della nuova disciplina da periodo successivo a
quello in corso al 31.12.2007.
507
La L. 24.12.2007, n. 244 ha introdotto, si ricorda, una diversa determinazione della base imponibile a
seconda della natura del soggetto passivo, rimodulando quella relativa alle società di capitali con la nuova
formulazione dell’articolo 5 del D. LGS. 446/1997 e prevedendo una specifica disciplina specifica per società
di persone e ditte individuali all’articolo 5 bis. In estrema sintesi per le società di capitali è stato previsto lo
sganciamento dell’imponibile previsto ai fini IRAP da quello previsto ai fini dell’imposizione diretta e
l’assunzione delle voci del conto economico dell’esercizio a base della determinazione dell’IRAP. Per le
società di persone e per le imprese individuali, invece, continuano a rilevare proventi ed oneri nella stessa
misura prevista per le imposte sui redditi.

 
per i costi del personale dipendente quelli erogati a titolo di rimborso analitico di spese
sostenute nel compimento delle mansioni lavorative. L’abrogazione in esame non va
tuttavia intesa come la volontà di escludere la deducibilità di detti costi, quanto invece
quale esigenza di semplificare la norma, eliminando una regola già desumibile a livello
sistematico 508. Non limita la deducibilità delle spese oggetto del presente capitolo
neppure il comma 3 del comma 5 del D. LGS. 446/97, che prevede l’indeducibilità dei
costi del personale, anche se annotati in voci diversi dalla B.9) 509. La previsione va infatti
intesa come la manifestazione della volontà del legislatore di escludere la deducibilità le
spese per il personale in senso stretto, indipendentemente dalla collocazione attribuita
alle stesse in sede di formazione del bilancio 510.

Le spese sostenute per il rimborso delle spese di trasferta dei dipendenti sono
integralmente deducibili dalla base imponibile IRAP: non valgono pertanto, per questo
tributo, le limitazioni previste per le spese di vitto, di alloggio e di trasporto (nel caso di
utilizzo dell’autovettura del dipendente) ai fini dell’imposizione diretta. Il valore cui far
riferimento è dunque quello iscritto nel bilancio della società.

Pare potersi avallare, in questo caso, la tesi dell’integrale deducibilità dalla base
imponibile IRAP dell’IVA volontariamente non detratta sulle spese alberghiere e di
ristorazione: il riferimento diretto alle risultanze del conto economico per la
determinazione della base imponibile IRAP, rende assolutamente impermeabile questa
disciplina alle considerazioni fatte nei paragrafi precedenti in merito all’“oggettività
necessaria” dell’indetraibilità IVA per potersi configurare l’inerenza del costo.

9.11. Classificazione contabile e scritture

                                                            
508
Analoga considerazione può essere fatta con riferimento all’abrogazione delle norme dello stesso articolo
riguardanti il distacco del personale e il lavoro interinale (Circolare 12 febbraio 2008, n. 2).
509
La disposizione, infatti, riproduce alcune ipotesi di indeducibilità già previste nella precedente versione
della norma, ed in particolare i compensi per attività commerciali e per prestazioni di lavoro autonomo non
esercitate abitualmente, costi per prestazioni di collaborazione coordinata e continuativa, compensi per
prestazioni di lavoro assimilato a quello dipendente, utili spettanti agli associati in partecipazione con apporto
di solo lavoro e gli interessi passivi impliciti nei canoni di leasing.
510
Anche se diversa dalla voce B.9).

 
Di seguito è proposta la corretta classificazione dei principali costi riferiti alle
trasferte dei dipendenti 511.

B - Costi della produzione


B7) Spese per prestazioni di servizi
‐ Costo per vitto e alloggio
‐ Spese di viaggio e di trasporto
‐ Indennità chilometriche

B8) Per godimento di beni di terzi


‐ Spese di viaggio per autovetture noleggiate

B9) Per i dipendenti


‐ Indennità di trasferta

‐ Spese non documentate per trasferte

Infine si riportano le scritture contabili principali relative ai rimborsi spesa.

1. Rimborso analitico spese di vitto e alloggio

Diversi Debiti v/dip.ti


- Spese di vitto e alloggio dip.ti a
-IVA a credito

2. Indennità di trasferta

Indennità di trasferta dip.ti a Debiti v/dip.ti

                                                            
511
Si veda il Documento Oic 13 luglio 2005, n. 1, interpretativo del Principio contabile n. 12 –
Classificazione nel conto economico dei costi e ricavi.

 
 

 
10

RIMBORSI SPESA AI SOGGETTI ASSIMILATI

10.1 Rimborsi ai soggetti che percepiscono redditi assimilati a quelli di lavoro


dipendente

Il legislatore tributario ha previsto una particolare categoria di redditi, quella dei


redditi assimilati a lavoro dipendente, caratterizzati dal fatto che pur non essendo
inquadrabili, per definizione, nel lavoro dipendente, dal punto di vista tributario sono, in
linea generale, equiparati a quest’ultimo. La ratio della norma va ricercata nella volontà
del legislatore di estendere alcuni trattamenti di favore riservati ai lavoratori dipendenti
anche a categorie che, pur non rientrando a pieno titolo nella definizione tracciata di
lavoratori dipendenti, sono ugualmente meritevoli di tutela.

I redditi che per loro natura sono equiparati al reddito di lavoro dipendente sono
elencati tassativamente nell’articolo 50 del TUIR 512.

Particolare interesse, nell’ambito di questa categoria reddituale, rivestono i redditi


derivanti da collaborazioni. Infatti a partire dal 2001 513 il legislatore ha statuito, in linea
generale, che questa tipologia di redditi è assimilata ai redditi di lavoro dipendente,
mentre, in precedenza, essa era attratta alla sfera del lavoro autonomo.

La norma non trova applicazione per quelle collaborazioni che, prevedendo dei
compiti compresi nell'attività di lavoro svolta dal dipendente, sono considerate redditi di
lavoro dipendente, e quelle che rientrano nell’oggetto dell’arte o professione del
contribuente, che vengono attratti nell’ambito dei redditi di lavoro autonomo.

                                                            
512
Sono redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente i compensi percepiti dai lavoratori soci di
cooperative, le indennità ed i compensi corrisposti ai dipendenti da terzi, le borse di studio, i compensi
derivanti da collaborazioni, le remunerazioni dei sacerdoti, i compensi per l’attività libero professionale
intramuraria, le indennità ed i gettoni di presenza per l’esercizio di funzioni pubbliche e per cariche elettive,
le rendite vitalizie e a tempo determinato, le prestazioni pensionistiche complementari corrisposte dai fondi
pensione, gli assegni periodici ed i compensi percepiti da soggetti impegnati in lavori socialmente utili.
513
L’articolo 34 della Legge n. 342 del 21 novembre 2000 ha inserito la lettera c-bis) del primo comma
dell'articolo 47 (ora 50) del TUIR.

 
Quindi, con la riforma del 2001, il legislatore ha equiparato il trattamento dei
redditi assimilati a quelli di lavoro autonomo alla disciplina prevista per il reddito di
lavoro dipendente, che l’articolo 52 del TUIR richiama espressamente 514.

Per quanto concerne l’ambito della nostra indagine, pertanto, la disciplina dei
rimborsi spese ai dipendenti é estesa, in termini generali, ai redditi ai redditi assimilati a
lavoro dipendente 515.

L’unica eccezione a tale assimilazione si trova nella disciplina dell’art. 52,


comma 1, lettera b, del TUIR ai sensi del quale “ai fini della determinazione delle
indennità di cui alla lettera g) del comma 1 dell'articolo 50, non concorrono, altresì, a
formare il reddito le somme erogate ai titolari di cariche elettive pubbliche, nonché a
coloro che esercitano le funzioni di cui agli articoli 114 e 135 della Costituzione, a titolo
di rimborso di spese, purché l'erogazione di tali somme e i relativi criteri siano disposti
dagli organi competenti a determinare i trattamenti dei soggetti stessi”.
I soggetti cui si rivolge la norma sono i Membri del Parlamento nazionale e del
Parlamento europeo (art. 1, Legge 1261/1965 e art. 1, Legge 384/1979), i consiglieri
regionali, provinciali e comunali ex art. 114 Cost., i giudici della Corte costituzionale di
cui all'art. 135 Cost., gli amministratori locali quali sindaci, assessori comunali,
presidente ed assessori provinciali (Legge 816/1985) ed il Presidente della Repubblica 516.
La particolare disciplina di cui sopra trova applicazione anche nel caso di importi
corrisposti agli amministratori locali per le missioni e gli altri impegni istituzionali. In
risposta ad un interpello 517, l’Agenzia delle Entrate ha infatti ritenuto che i rimborsi
forfetari erogati ai sensi dell'art. 84 del TUEL 518 non concorrono alla determinazione del

                                                            
514
Art. 52 del TUIR: “Ai fini della determinazione dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente si
applicano le disposizioni dell’articolo 51, salvo quanto di seguito specificato (…)”.
515
Cfr. Circolare 16 novembre 2000 n. 207/E, par. 1.5.5: “Una volta ricompresa la fattispecie delle
collaborazioni nell'ambito dell'articolo 47 (ora 50) del TUIR, alla medesima si applicano, in virtù del
richiamo operato dall'articolo 48-bis (ora 52) del TUIR, le regole dettate dall'articolo 48 (ora 51) per il
lavoro dipendente”.
516
Cfr. BRAGA, in “La Settimana Fiscale”, Edizione n. 40 del 29 ottobre 2009, pag. 20.
517
Cfr. Risoluzione 13 agosto 2009, n. 224/E.
518
Ai sensi dell’art. 84 del Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli Enti locali "(I)Agli amministratori
che, in ragione del loro mandato, si rechino fuori del capoluogo del comune ove ha sede il rispettivo ente,
previa autorizzazione del capo dell'amministrazione, nel caso di componenti degli organi esecutivi, ovvero
del presidente del consiglio, nel caso di consiglieri, sono dovuti esclusivamente il rimborso delle spese di
viaggio effettivamente sostenute, nonché un rimborso forfettario onnicomprensivo per le altre spese, nella
misura fissata con decreto del Ministro dell'interno e del Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con
la Conferenza Stato-città ed autonomie locali. (II)La liquidazione del rimborso delle spese è effettuata dal
 

 
reddito degli amministratori locali potendo essere ricondotti nell'ambito applicativo
dell'art. 52 del D.P.R. 917/1986 519.
Se i redditi assimilati a quello di lavoro dipendente sono, per il percettore,
assimilati a quello di lavoro dipendente, la medesima assimilazione non vale per i costi
sostenuti dall’ erogante.
Ciò significa che, per quest’ultimo, non potranno trovare applicazione le disposizioni
specificamente previste per le erogazioni a lavoratori dipendente, ma le regole generali 520.
In conclusione, ogniqualvolta sia prevista una particolare disciplina per i lavoratori
dipendenti, essa non potrà essere applicata analogicamente, nella prospettiva del soggetto
erogante, per i soggetti i cui redditi sono assimilati a lavoratore dipendente 521.

                                                                                                                                                                   
dirigente competente, su richiesta dell'interessato, corredata della documentazione delle spese di viaggio e
soggiorno effettivamente sostenute e di una dichiarazione sulla durata e sulle finalità della missione. (III)
Agli amministratori che risiedono fuori del capoluogo del comune ove ha sede il rispettivo ente spetta il
rimborso per le sole spese di viaggio effettivamente sostenute per la partecipazione ad ognuna delle sedute
dei rispettivi organi assembleari ed esecutivi, nonché per la presenza necessaria presso la sede degli uffici
per lo svolgimento delle funzioni proprie o delegate”. Cfr. il decreto 12 febbraio 2009, emanato in attuazione
del comma 1, per la dettagliata indicazione delle misure dei rimborsi spese spettanti agli amministratori locali
che in ragione del proprio mandato si rechino fuori dal capoluogo del comune ove ha sede l'ente presso cui
svolgono le funzioni pubbliche.
519
Si veda anche, per la dottrina, BRAGA, cit., e TROVATO, Rimborsi spese a forfait fuori dall'area Irpef,
in “Il Sole 24 Ore, Norme e Tributi”, Edizione del 14 agosto 2009 pag. 26.
520
Questa conclusione deriva dalle stesse norme del TUIR. Infatti, il comma 1, lett. c-bis, dell’art. 50, recita
“le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di
erogazioni liberali, in relazione (omissis), sempreché gli uffici o le collaborazioni non rientrino nei compiti
istituzionali compresi nell'attività di lavoro dipendente di cui all'articolo 49 , comma 1, concernente redditi
di lavoro dipendente, o nell'oggetto dell'arte o professione di cui all'articolo 53 , comma 1, concernente
redditi di lavoro autonomo, esercitate dal contribuente”. Questa norma sarebbe priva di un significato
positivo, se viene valutata dal punto di vista del percettore, perché il suo reddito è già assimilato al reddito di
lavoro dipendente. Essa, invece, acquista un senso se si interpreta nel senso che per il soggetto erogante
troveranno applicazione le disposizioni generali del TUIR e non quelle specificamente dettate per i lavoratori
dipendenti. Conferma questa interpretazione anche l’art. 95, comma 3, del TUIR che, nell’occuparsi della
deducibilità delle spese per vitto e alloggio, fa riferimento ai redditi di lavoro dipendente ed ai titolari di
rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. Se non vi fosse alcuna differenza tra redditi da lavoro
dipendente e redditi assimilati a lavoro dipendente per quanto concerne il diverso regime applicabile al
soggetto erogante il riferimento ai titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa non avrebbe
contenuto positivo.
Per la prassi cfr. Circolare 18 giugno 2001, n. 57/E, par. 7.2, che ha affermato che “l'art. 34 della legge n.
342 del 2000 ha modificato il trattamento fiscale applicabile ai redditi derivanti da rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa, disponendone l'assimilazione ai redditi di lavoro dipendente. Tale
assimilazione concerne le modalità di determinazione del reddito del collaboratore ai fini delle imposte
dirette, ma non si configura quale assimilazione delle due tipologie di rapporto di lavoro a tutti gli effetti di
legge. L'art. 65 del TUIR prevede che le spese relative ad opere o servizi utilizzabili dalla generalità dei
dipendenti o categorie di dipendenti volontariamente sostenute per specifiche finalità di educazione,
istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto siano deducibili per un ammontare complessivo
non superiore al 5 per mille dell'ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultante dalla
dichiarazione dei redditi. Pertanto, il dettato della norma non può essere esteso ai collaboratori coordinati e
continuativi”.
521
A titolo di esempio si pensi al caso delle autovetture, degli affitti e delle trasferte.

 
10.2 Rimborsi ai collaboratori a progetto e coordinati continuativi

Il trattamento dei collaboratori a progetto e dei collaboratori coordinati e


continuativi è disciplinato dall’art. 50, comma 1, lett. c bis), del D.P.R. 917/1986, in base
al quale “sono assimilati ai redditi di lavoro dipendente (…) le somme e i valori in
genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di
erogazioni liberali, in relazione agli uffici di amministratore, sindaco o revisore di
società associazioni e altri enti con o senza personalità giuridica, alla collaborazione a
giornali, riviste, enciclopedie e simili, alla partecipazione a collegi e commissioni,
nonché quelli percepiti in relazione ad altri rapporti di collaborazione aventi per oggetto
la prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un
determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di
mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita, sempreché gli uffici o le
collaborazioni non rientrino nei compiti istituzionali compresi nell'attività di lavoro
dipendente di cui all'articolo 49 , comma 1, concernente redditi di lavoro dipendente, o
nell'oggetto dell'arte o professione di cui all'articolo 53 , comma 1, concernente redditi di
lavoro autonomo, esercitate dal contribuente”.

Per quanto concerne il percettore, quindi, i rimborsi spese a collaboratori a


progetto e coordinati e continuativi seguiranno la medesima discipline dei redditi
assimilati a quelli di lavoro dipendente, per cui si rinvia al precedente paragrafo 10.1 ed al
capitolo 9.

Per quanto concerne, invece, il soggetto erogante si osserveranno le regole


generali del TUIR, non trovando applicazione le specifiche disposizioni agevolative
dettate per i lavoratori dipendenti.

La regola generale trova applicazione a condizione che la collaborazione non


rientri nei compiti istituzionali del lavoratore dipendente o nell’oggetto dell’arte o
professione.

Pertanto, come ha confermato anche l’ amministrazione finanziaria 522, quando si


è in presenza di una collaborazione si deve verificare se essa, al di là della sua

                                                            
522
Cfr. Circolare 6 luglio 2001, n. 67/E.

 
qualificazione, sia collegata a prestazioni rese nei compiti istituzionali del dipendente 523
ovvero nell’ambito di una professione o arte 524. Va da se che, in questi ultimi casi, il
trattamento dei rimborsi sarà, sia per quanto riguarda il percettore che l’erogante, quello
rispettivamente previsto per le prestazioni di lavoro dipendente o di lavoro autonomo525.
Altrimenti troverà applicazione la regola generale di assimilazione, di cui al paragrafo
10.1, cui si rinvia, con le specifiche differenze di trattamento per il percettore e per
l’erogante, dipendenti dalla regola dell’assimilazione 526.

10.3 Rimborsi ai tirocinanti e ai borsisti

I tirocinanti ed i borsisti sono assimilati, ai sensi dell’art. 50, comma 1, lett. c, del
TUIR, ai redditi di lavoro dipendente, alla cui trattazione si rinvia, con la precisazione
che, ai fini dell’applicazione dell’art. 51, comma 5, del TUIR, la sede di lavoro è
individuata nel luogo ove si svolge il tirocinio o la borsa di studio 527.

10.4 Rimborsi agli amministratori di società


E’ già stato ricordato che, ai sensi dell’art. 50, comma 1, lett. c-bis del TUIR,
l’incarico di amministrazione di società rientra, in via generale, tra i redditi assimilati a
quelli di lavoro dipendente 528, “sempreché gli uffici o le collaborazioni non rientrino nei

                                                            
523
Cfr. Circolare 6 luglio 2001, n. 67/E ove afferma che “rientrano nei compiti istituzionali del lavoro
dipendente e restano pertanto escluse dalla disciplina prevista per i rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa quelle attività che si collocano nelle mansioni proprie del lavoro dipendente”.
524
La Circolare 6 luglio 2001, n. 67/E ha chiarito che “al fine di stabilire se sussista o meno una connessione
tra l'attività di collaborazione e quella di lavoro autonomo esercitata bisognerà, invece, valutare se per lo
svolgimento dell'attività di collaborazione siano necessarie conoscenze tecnico giuridiche direttamente
collegate all'attività di lavoro autonomo esercitata abitualmente. In tale ipotesi i compensi percepiti per lo
svolgimento di tale attività saranno assoggettati alle regole previste per i redditi di lavoro autonomo”.
525
Vale infatti il principio secondo il quale il trattamento da riservare, agli effetti tributari, alle somme
erogate a titolo di rimborso delle spese di viaggio e trasferta , anche diversamente denominate (indennità,
missioni, ecc.), deve essere valutato alla luce dell' inquadramento reddituale da dare al rapporto principale che
ha determinato il diritto per il soggetto alla percezione degli emolumenti per la consequenzialità
dell'applicazione dei diversi trattamenti. Cfr. in questo senso, MAGRINI, Trattamento dei rimborsi spese per
trasferte di personale diverso da quello subordinato, in “Il Sole 24 Ore” - Guida alla Contabilità & Bilancio,
Edizione n. 18 del 7 ottobre 2008 , pag. 12 .
526
Da ultimo la Risoluzione 7 luglio 2008, n. 284/E, in risposta ad un interpello ha affermato che “il
riportato art. 51, comma 5, trova applicazione anche in sede di determinazione dei redditi assimilati a quelli
di lavoro dipendente di cui all'art. 50 del TUIR. Infatti, l'art. 52 del TUIR prevede che, ai fini della
determinazione dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, si applicano le disposizioni dell'art. 51
relative alla determinazione dei redditi di lavoro dipendente, salve le eccezioni previste nel corpo dello stesso
articolo 52”.
527
Cfr. Risoluzione 7 luglio 2008, n. 284/E. Nello stesso senso anche la Risoluzione 21 marzo 2002, n. 95/E.
528
La Circolare 9 aprile 1998, n. 97/E (confermata dalla Circolare 6 luglio 2001, n. 67/E), si è occupata, in
particolare, dell'ufficio di amministratore di società, ritenendo che tale attività non possa essere in genere
 

 
compiti istituzionali compresi nell'attività di lavoro dipendente di cui all'articolo 49 ,
comma 1, concernente redditi di lavoro dipendente, o nell'oggetto dell'arte o professione
di cui all'articolo 53, comma 1, concernente redditi di lavoro autonomo, esercitate dal
contribuente”.
Nel caso di amministratore di società si danno, pertanto, tre possibili situazioni:
‐ l’incarico di amministratore rientra nell’attività di lavoro dipendente 529: il trattamento
dei rimborsi spese è il medesimo dei lavoratori dipendenti;
‐ l’incarico di amministratore rientra nell’attività di lavoro autonomo: il trattamento dei
rimborsi spese è il medesimo dei lavoratori autonomi;
‐ l’incarico di amministratore rientra nell’ambito dei redditi assimilati a quello di lavoro
dipendente: il trattamento dei rimborsi spese è il medesimo dei lavoratori assimilati a
lavoro dipendente 530.
Con riferimento alle trasferte dell’amministratore si ripropone il problema
dell’identificazione della sede di lavoro, per l’individuazione del criterio da adottare per
l’applicazione delle regole relative alle trasferte. In linea generale si possono seguire le
indicazioni fornite per le collaborazioni coordinate e continuative. Pertanto la sede di
lavoro viene identificata con la residenza dell’amministratore, sempreché non risulti
diversamente all’atto della nomina 531.

                                                                                                                                                                   
attratta nell'ambito del lavoro autonomo in quanto per l'esercizio della stessa non è necessario attingere a
specifiche conoscenze professionali. Per un caso specifico si veda invece la Circolare 3 maggio 1996, n.
108/E che si è occupata dell’incarico di Sindaco o Revisore precisando che le relative attività sono
riconducibili al reddito professionale solo se poste in essere da ragionieri o dottori commercialisti. Non è
invece sufficiente la semplice iscrizione nel registro dei revisori, che dà esclusivamente diritto all'uso del
titolo di "revisore contabile" ma non configura un'autonoma figura professionale.
529
Considerati gli scopi del presente documento, si prescinde dall’analisi del delicato tema della compatibilità
tra incarico di amministratore e dipendente.
530
Si ricorda che, dal punto di vista del committente, il fatto di rientrare nell’ambito del lavoro dipendente o
di quello assimilato comporta la sostanziale differenza che, qualora si configuri la prima ipotesi,sono
applicabili le disposizioni agevolative previste per i dipendenti, mentre nel secondo caso si applicano le
regole ordinarie.
531
La Circolare 26 gennaio 2001, n. 7/E, nel par. 5.3 si è così pronunciata: “D. Per determinate categorie di
collaboratori, come ad esempio gli amministratori di società, spesso non viene contrattualmente determinata
la sede di lavoro. In tale ipotesi, ai fini del trattamento tributario delle indennità percepite per le trasferte e
dei rimborsi spese si può far riferimento alla residenza dei collaboratori, come nella previgente disciplina?
R. Per il trattamento fiscale applicabile alle indennità di trasferte e rimborsi spese corrisposti ai
collaboratori coordinati e continuativi, occorre fare riferimento, così come per quelli corrisposti ai
lavoratori dipendenti, alla disciplina contenuta nell'articolo 48, comma 5, del TUIR. In particolare, tale
norma considera trasferta la prestazione dell'attività lavorativa resa fuori dalla sede di lavoro. Tale sede è
determinata dal datore di lavoro ed è generalmente indicata nella lettera o contratto di assunzione. Tuttavia
per alcune attività di collaborazione coordinata e continuativa non è possibile, in virtù delle caratteristiche
peculiari della prestazione svolta determinare contrattualmente la sede di lavoro né identificare tale sede con
quella della società. In tale ipotesi, ai fini dell'applicazione del quinto comma dell'articolo 48 del TUIR
occorre far riferimento al domicilio fiscale del collaboratore. Tale criterio può essere utilizzato ad esempio
 

 
Al fine di evitare ogni possibile contestazione è consigliabile precisare sempre,
all’atto della nomina, la sede di lavoro 532.

                                                                                                                                                                   
per gli amministratori di società o enti sempreché dall'atto di nomina non risulti diversamente individuata la
sede di lavoro”. Nello stesso senso RANOCCHI, Amministratori di società - Diversi regimi per dipendenti,
professionisti o parasubordinati - Il trattamento fiscale dei rimborsi spese varia in base al tipo di
inquadramento, in “Il Sole 24 Ore”, Guida alle Novità Fiscali, Edizione n. 6 del 1 luglio 2007, pag. 45.
532
L’atto più opportuno è, a nostro avviso, costituito dal verbale dell’Assemblea dei soci che nomina
l’amministratore. Si evidenzia che potrebbe essere conveniente, dal punto di vista fiscale, far coincidere la
sede di lavoro con il domicilio dell’amministratore.

 
 

 
11
RIMBORSI SPESA AI PROFESSIONISTI

11.1 Rimborso delle spese sostenute per lo svolgimento della professione

Nel corso degli anni 2006 e 2007 la determinazione del reddito derivante
dall’esercizio abituale di arti e professioni ha subito una profonda rivisitazione. L’intento
del legislatore era quello di “avvicinare” le regole di determinazione di questa tipologia di
reddito, al reddito d’impresa 533.

In linea di principio il rimborso delle spese non può mai costituire, per la sua
natura, un compenso. Tuttavia, il principio tributario di onnicomprensività del reddito di
lavoro autonomo non si presta, nell’attuale formulazione della norma, ad una lettura in
questo senso, con la conseguenza che trova applicazione il principio generale in virtù del
quale concorrono alla formazione del reddito le spese addebitate dal prestatore al
committente.

Infatti il comma 1 dell'articolo 54 del TUIR stabilisce che il reddito derivante


dall'esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra l'ammontare dei
compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di
partecipazione agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell'esercizio
dell'arte o della professione.

L'ultimo periodo del comma 1 della norma in parola prevede, inoltre, che i
compensi sono computati al netto dei contributi previdenziali ed assistenziali. Rinviando
ad un successivo approfondimento la particolarità delle spese di vitto e alloggio, ci
occupiamo della questione in termini generali.

                                                            
533
Merita evidenza la critica mossa, sotto questo profilo, dall’Associazione dottori commercialisti nella
propria circolare 1R/2008, Dalle imprese al lavoro autonomo norme trasposte senza cautele, in cui si sostiene
che “la trasposizione nell'ambito dei redditi di lavoro autonomo di norme espressamente concepite per le
imprese, tuttavia, non sempre è stata operata con gli opportuni adattamenti alle specificità degli esercenti
arti e professioni. Ne è derivato un quadro normativo estremamente complesso che richiede, in più di
un'occasione, un notevole sforzo interpretativo da parte degli operatori al fine di individuare il trattamento
fiscale applicabile nelle singole fattispecie”.

 
Nonostante i tentativi, di parte della dottrina, tendenti ad escludere dal reddito sia
le spese sostenute in nome proprio ma per conto del committente ( di cui ci stiamo ora
occupando) sia quelle sostenute in nome e per conto del committente 534, la dottrina
maggioritaria 535 e la prassi ministeriale 536 ritengono che le spese sostenute in nome

                                                            
534
Si rinvia al capitolo 11.2 per maggiori approfondimenti. In questa sede, con specifico riferimento al tema
che ci occupa, si richiama la Circolare 12 maggio 2008 del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e
degli esperti contabili, n. 1/IR, La determinazione del reddito derivante dall'esercizio abituale di arti e
professioni dopo le modifiche del Dl n. 223 /2006 e della legge n. 296/2006 in cui si sostiene che “La
disciplina in materia di imposte sui redditi non offre una definizione di «compensi». È tuttavia evidente che la
formula legislativa intende riferirsi ai corrispettivi spettanti all'esercente arti o professioni a titolo di
remunerazione dell'attività svolta. Il riferimento più immediato per la delimitazione della fattispecie è
rintracciabile nel Codice civile che, nel disciplinare i criteri di determinazione del «corrispettivo» o del
«compenso» della prestazione d'opera rispettivamente «materiale» o intellettuale (articolo 2225 e 2233 del
Codice civile), tiene ben distinti questi ultimi, aventi funzione remunerativa, dalle «spese occorrenti al
compimento dell'opera» che, salva diversa pattuizione, devono essere anticipate dal cliente al lavoratore
autonomo (articolo 2234 del Codice civile) e devono essere a questi rimborsate in aggiunta al «compenso
per l'opera svolta», in caso di recesso del committente (articolo 2237 del Codice civile). La prassi
dell'amministrazione finanziaria ha tradizionalmente ricondotto alla nozione fiscale di «compenso», sia le
somme e i valori espressamente conseguiti dal lavoratore autonomo a titolo di remunerazione per l'opera
svolta sia le somme da questi percepite a titolo di rimborso delle spese sostenute per conto del cliente o
comunque a questi forfetariamente riaddebitate. Tale assunto è stato, più di recente, ribadito dall'agenzia
delle Entrate che, traendo spunto dalla formulazione letterale del vigente articolo 54, comma 1, del TUIR, ha
affermato che «i compensi per lavoro autonomo sono computati al netto solamente dei contributi
previdenziali e assistenziali», per cui devono ricondursi nella nozione di compenso «anche i rimborsi di
spese inerenti alla produzione del reddito di lavoro autonomo», ivi comprese le somme corrisposte
all'esercente arte o professione a titolo di rimborso delle spese per viaggio, vitto e alloggio da questi
sostenute e documentate. A parere delle Entrate, l'unica eccezione alla tendenziale onnicomprensività della
nozione di compenso è rinvenibile nelle anticipazioni fatte dal lavoratore autonomo in nome e per conto del
committente, debitamente e analiticamente documentate. Le somme corrisposte a tale titolo sono recuperabili
in via di rivalsa in capo al cliente e la «relativa rifusione ha natura esclusivamente restaurativa», per cui
deve escludersi una loro rilevanza nella sfera reddituale del percettore. La medesima natura «restaurativa» è
tuttavia rintracciabile anche nelle somme percepite dall'esercente arti o professioni a titolo di rimborso delle
spese sostenute per conto del cliente, ma in nome proprio. E invero, per tali spese così come per quelle
anticipate in nome e per conto del committente, il rimborso è finalizzato a tenere indenne il prestatore
dell'attività lavorativa delle spese sostenute nel compimento dell'opera, per cui le stesse finiscono, in
entrambe le circostanze, per rimanere a carico del cliente. Nei limiti in cui le somme corrisposte al
prestatore d'opera vanno a reintegrare spese effettivamente da questi erogate nell'espletamento dell'attività
lavorativa, il rimborso si sostanzia, pur sempre, in una «partita di giro» non avente alcunché di
«remunerativo» per il percettore. La presunta onnicomprensività della nozione fiscale di compenso si ritiene
non possa estendersi a tal punto fino a ricomprendere anche le somme non aventi detta funzione
remunerativa”.
Nello stesso senso è anche la norma di comportamento dell’Associazione dei Dottori Commercialisti di
Milano n. 88 del 1986.
Sulla scorta delle predetta interpretazioni dottrinali si dovrebbe,in sostanza, distinguere tra spese sostenute dal
committente per ricompensare, in natura il professionista e spese sostenute per consentire a quest’ultimo di
eseguire il proprio mandato.

535
Per la dottrina cfr. LEO, Le imposte sui redditi nel testo unico, Padova, 2007, commento all’art. 54,
paragrafo 2.6, pag 1023; “Il Sole 24 Ore”, Guida alla Contabilità e Bilancio, del 7 ottobre 2008, nr. 18; “La
settimana fiscale” 7 dicembre 2006, n. 46.
536
Cfr. la Risoluzione 21 giugno 1976, n. 8/785, secondo la quale “gli importi rimborsati forfetariamente ad
un professionista devono essere ricompresi nella base imponibile sulla quale applicare la ritenuta di acconto
(articolo 25 del Dpr 29 settembre 1973 n. 600) in quanto spese non addebitabili in modo specifico al cliente.
Le spese oggetto del rimborso, infatti, sono connesse all'attività svolta dal professionista medesimo”. La
 

 
proprio ma per conto del committente concorrono alla determinazione del reddito
imponibile del professionista.

Pertanto le somme addebitate dal professionista costituiscono, per quest’ultimo,


reddito da un lato e, per la parte documentata, oneri deducibili. Su di esse andrà inoltre
applicata l’iva e la ritenuta d’acconto ai sensi dell’art. 25 dpr 600/1973 537.

Per il committente le somme saranno deducibili, secondo le regole ordinarie.

Si evidenzia che questa impostazione comporta che queste spese, essendo


sostenute direttamente dal professionista, saranno soggette alle limitazioni di cui all’art.
54 del TUIR, in ordine alla loro deducibilità.

11.2 Rimborso delle spese anticipate in nome e per conto del committente

Nella prassi è frequente il caso in cui un professionista sostiene degli oneri che si
riferiscono direttamente al committente. Avvertiamo subito che il tema delle anticipazioni
“in nome e per conto” rileva, allo stesso modo, per le imposte sui redditi, per l’imposta
sul valore aggiunto ed al fine di determinare l’importo su cui applicare le ritenute
d’acconto.

Per questa ragione si può fare, indistintamente, riferimento alle interpretazioni


fornite su tutti e tre gli aspetti per giungere ad un’esaustiva identificazione di tali spese.

                                                                                                                                                                   
Risoluzione 20 marzo 1998, n. 20/E ha ribadito che “la ritenuta di acconto deve essere applicata anche sulla
parte rappresentata dai rimborsi delle spese di viaggio, vitto ed alloggio, nonché della eventuale diaria. Il
momento in cui vanno effettuate le ritenute alla fonte coincide con quello della liquidazione definitiva delle
somme anticipate, posto che l'anticipazione attiene ad un mero aspetto finanziario che non rileva sotto il
profilo reddituale”. Ancora, la Circolare 18 giugno 2001, n. 58/E ha affermato, nel paragrafo 2.2., che “tra i
compensi percepiti rientrano quelli sotto forma di rimborso restando escluse le sole spese anticipate in nome
e per conto del cliente a condizione, peraltro, che i rimborsi di tali ultime spese fossero stati analiticamente
dettagliati”. Infine la Risoluzione 21 marzo 2003, n. 69/E ha ritenuto che “al fine di individuare quali
"somme" sono da ricomprendere tra i "compensi comunque denominati" indicati nell'articolo 25 comma 1,
del Dpr 600/1973 si deve far riferimento alla disciplina dettata per tali redditi dagli articoli 50, comma 1, e
85, comma 2, del TUIR. Dalle norme citate, discenderebbe che i compensi per lavoro autonomo (anche
occasionale) sono computati al netto solamente dei contributi previdenziali e assistenziali; conseguentemente
nella nozione di compenso devono ricondursi anche i rimborsi di spese inerenti alla produzione del reddito di
lavoro autonomo. Pertanto, le somme corrisposte a titolo di rimborso spese inerenti alla produzione del
reddito di lavoro autonomo anche occasionale devono considerarsi, in via generale, quali compensi
"comunque denominati" e devono essere, quindi, assoggettati, ai sensi dell'articolo 25 del Dpr 600/1973, alla
ritenuta alla fonte a titolo di acconto nella misura del 20 per cento”.
537
Cfr. Risoluzione 20 marzo 1998, n. 20/E.

 
Il presupposto è costituito dal fatto che il professionista, per poter sostenere spese
in nome del committente, deve aver ricevuto da quest’ultimo un mandato con
rappresentanza. Tale circostanza ricorre, ai sensi dell’art. 1704 del codice civile, quando
il mandatario fa direttamente ricadere gli effetti giuridici del suo operato sul mandante.
Giova ricordare che il mandato non richiede una forma particolare, e quindi non solo può
essere conferito oralmente ma anche implicitamente con l’attribuzione dell’incarico.

Per meglio chiarire il tema di cui ci stiamo occupando, si può fare riferimento alla
relazione ministeriale al DPR. 633/1972. In quest’ultima è stato chiarito che il legislatore
ha inteso escludere determinate somme dal computo della base imponibile sulla base
della considerazione che determinati importi, pur essendo addebitati alla controparte,
"non hanno natura vera e propria di controprestazione per la cessione del bene o per la
prestazione del servizio". Con particolare riferimento al rimborso delle anticipazioni fatte
in nome e per conto del committente, la relazione precisa che esse "costituiscono semplici
partite di giro che non hanno natura di corrispettivo".

Per le stesse ragioni tali spese non concorrono alla determinazione del reddito del
professionista, e sono escluse dalla ritenuta d’acconto 538.

E’, quindi, netta la differenza tra spese sostenute in nome e per conto e spese
direttamente sostenute dal professionista e riaddebitate al committente: le prime non
rilevano ai fini delle imposte sui redditi, sono escluse dalla base imponibile IVA e non
concorrono alla ritenuta d’acconto; le seconde rilevano sotto tutti i profili.

Questo comporta che è estremamente importante poter distinguere le due ipotesi.

Aiuta, sotto questo profilo, la distinzione concettuale fatta, in linea di principio,


da una prassi a lungo risalente ma ancora attuale: si può ritenere che le spese siano
sostenute in nome e per conto del cliente quando “non costituiscano spese inerenti alla
produzione del reddito di lavoro autonomo” 539. Ciò significa che non costituisce spesa "in
nome e per conto" quella che si unisce alla prestazione professionale resa, entrando a far

                                                            
538
Circolare 15 dicembre 1973, n. 1/RT/505750 e Risoluzione 20 marzo 1998 nr. 20/E. Per la dottrina cfr
BRAGA, Rimborsi spese ai professionisti, trattamento fiscale, in “La Settimana Fiscale” del 7 dicembre 2006
nr. 46.
539
Circolare 15 dicembre 1973, n. 1/RT/505750

 
parte del corrispettivo nel suo complesso. La prassi, occupandosi delle varie situazioni
concrete sottoposte alla sua attenzione, ha progressivamente approfondito il tema
chiarendo, in via esemplificativa, numerosi aspetti problematici; in linea generale si può
ritenere che rientrano senz’altro nelle anticipazioni i rimborsi dovuti per pagamenti di
tasse, diritti di cancelleria, diritti di visura e per acquisto di materiale 540

Specularmente, non costituiscono mai spese sostenute “in nome e per conto”
quelle che, pur sostenute dal professionista, si riferiscono comunque a prestazioni di
servizi di cui quest’ultimo si sia avvalso per la propria opera.

Allo stesso modo non possono considerarsi sostenute “in nome e per conto” le
spese il cui rimborso sia anticipato rispetto al sostenimento del costo.

Si precisa che le spese sostenute in nome e per conto del committente devono
essere analiticamente documentate e la fattura dev’essere direttamente intestata al
committente stesso 541.

Ricorrendo la fattispecie di spesa anticipata in nome e per conto del committente,


quindi, il professionista potrà emettere una semplice nota di addebito, estranea alla
determinazione del suo reddito e sulla quale il committente non applicherà alcuna ritenuta
d’acconto. Nella nota di addebito andrà inoltre precisato che l’operazione è esclusa dal
campo di applicazione dell’iva, ai sensi dell’art. 15, comma 1, n. 3 del DPR 633/1972.

                                                            
540
Alcuni casi, pur non recenti, possono aiutare a meglio circoscrivere una tematica che, chiara in linea di
principio, appare nella pratica scivolosa. La Risoluzione 16 luglio 1975, n. 501233, ha precisato che le
somme per tasse di circolazione e premi di assicurazione, sostenute da una società automobilistica e poi
rimborsate dai clienti, costituiscono somme anticipate in nome e per conto del cliente. La Circolare 23
febbraio 1976, n. 11 è giunta alle stesse conclusioni nel caso dei rimborsi per le imposte di bollo dovute per
l’emissione di tratte o vaglia cambiari, qualora tale sia stata la modalità di pagamento del corrispettivo
pattuito per la fornitura di beni o servizi. La medesima circolare ha però precisato che le provvigioni e le
commissioni bancarie per tali operazioni costituiscono invece corrispettivo. La Risoluzione 22 maggio 1989,
n. 550494, si è invece occupata dell'imposta di bollo, assolta in modo virtuale direttamente dalle aziende di
credito sulle ricevute bancarie emesse sulla base di supporti magnetici forniti dalle aziende creditrici,
chiarendo che "poiché l'imposta stessa viene assolta in nome e per conto dell'impresa creditrice e che il
relativo addebito costituisce il rimborso di una anticipazione, si ritiene che le somme in questione non
concorrono a formare la base imponibile agli effetti dell'Iva". La Risoluzione 15 dicembre 1990, n. 430084
ha analizzato il caso del riaddebito del costo del carburante utilizzato per le prove di collaudo da parte di
un’azienda di revisione di motori, concludendo che tali spese rilevano ai fini dell’imposta sul valore aggiunto.
541
Cfr “La settimana fiscale” del 7 dicembre 2006, n. 46; “Il Sole 24 ore”, Guida alla Contabilità e Bilancio
del 7 ottobre 2008, n. 18. Per la Prassi si vedano la Risoluzione 11 agosto 1994, n. 225/E e la Risoluzione 20
marzo 1998, n. 20/E.

 
Poiché il documento giustificativo di spesa è direttamente intestato al
committente, il suo originale va consegnato a quest’ultimo, che ne dovrà determinare il
corretto trattamento contabile, ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore
aggiunto.

11.3 Le spese sostenute da parte del committente (anche con riferimento alle spese
di vitto e alloggio)
Di sovente il committente si fa direttamente carico di alcune spese per consentire
al professionista di svolgere il proprio mandato. In questi casi il committente sostiene
alcune spese che si riferiscono alla prestazione del professionista (per esempio noleggio
dell’autovettura, pagamento del biglietto aereo o di treno, pagamento del pranzo e
dell’albergo).
Si tratta quindi di verificare il corretto trattamento fiscale di tali spese, sostenute
dal committente.
L’art. 54, comma 1, primo periodo, del TUIR dispone che “il reddito derivante
dall'esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra l'ammontare dei
compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di
partecipazione agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell'esercizio
dell'arte o della professione, salvo quanto nei successivi commi”. Pertanto il sostenimento
della spesa in capo al committente costituisce, per il prestatore, un compenso in natura e,
come tale, rileva ai fini delle imposte dirette, dell’IVA, e della ritenuta alla fonte.
Il tema è stato ulteriormente approfondito nel caso delle spese di vitto e alloggio.
Il DL 223 ha infatti modificato il comma 5 dell’art. 54 del TUIR statuendo che
“Le spese relative a prestazioni alberghiere e somministrazioni di alimenti e bevande
sono deducibili nella misura del 75 per cento e, in ogni caso, per un importo
complessivamente non superiore al 2 per cento dell'ammontare dei compensi percepiti
nel periodo d'imposta. Le predette spese sono integralmente deducibili se sostenute dal
committente per conto del professionista e da questi addebitate nella fattura”.
L’intento del legislatore era quello di rendere indifferente la scelta tra il
sostenimento diretto da parte del professionista di spese che poi saranno riaddebitate al
committente e l’anticipazione da parte del committente stesso.

 
Dal punto di vista procedurale, l'Agenzia delle Entrate 542 ha affermato che: "tali
ultime spese costituiscono per il professionista compensi in natura, che, alla luce della
norma sopra richiamata, rilevano quali componenti positivi nella determinazione della
base imponibile. Il committente, pertanto, dovrà comunicare al professionista
l'ammontare delle spese di vitto e alloggio sostenute, mentre il professionista, dal canto
suo, dovrà inserire l'ammontare di dette spese fra i propri compensi professionali,
addebitandoli alla controparte contrattuale. Solo in tal modo il committente (società
nell'esempio prospettato) ricomprenderà le spese di vitto e alloggio sostenute tra i costi
indeducibili e, naturalmente, dedurrà l'intero costo della prestazione professionale. Per il
professionista, invece, tali somme concorreranno a formare la base imponibile e le spese
sostenute rileveranno quali componenti negativi di reddito per lo svolgimento
dell'incarico. Presupposto indispensabile è la circostanza che la fattura, intestata al
committente (società), contenga l'indicazione del soggetto (professionista) nei cui
confronti la prestazione viene resa".
Pertanto, il corretto comportamento da seguire di fronte a tali spese è il seguente:
i) il soggetto che presta il servizio alberghiero o di ristorazione deve emettere un
documento intestato al committente, con l'esplicito riferimento al professionista che ha
usufruito del servizio; ii) il committente comunica al professionista l'ammontare della
spesa effettivamente sostenuta e invierà allo stesso copia della relativa documentazione
fiscale; iii) in questo momento il costo non è deducibile per l'impresa committente; iv) il
professionista emette la parcella comprensiva dei compensi e delle spese pagate al
committente e considera il costo integralmente deducibile; v) una volta ricevuta la
parcella, l'impresa committente imputa a costo la prestazione, comprensiva dei rimborsi
spese.
Lo stesso comportamento andrà osservato per ogni tipologia di spesa sostenuta
dal committente in nome e per conto del professionista.

                                                            
542
Circolare 4 agosto 2006 n. 28/E. 

 
 

 
APPENDICE

 
 

 
1) Appendice al capitolo 2

LETTERA DI ACCETTAZIONE DELL’ACCORDO DI CONCESSIONE IN USO


PROMISCUO DI AUTO AZIENDALE

Mittente: Dipendente
Destinatario: Azienda

Spettabile Società
………………

Ho preso visione della Vs. del ………. che di seguito qui integralmente trascrivo per
accettazione e conferma:

“ Egregio Signor
…………………

Raccomandata

Data, …………………..

 
2) Appendice al capitolo 2

Concessione in uso promiscuo di auto aziendale (con pagamento del corrispettivo


per il servizio)

Come da accordi verbali intercorsi Le mettiamo a disposizione la nostra autovettura


marca………..
Modello………….. alimentazione……………immatricolata il………………..con telaio
n. ………
………………….targa……………(come da copia della carta di circolazione allegata) (se
trattasi di auto usata indicare lo stato di conservazione e uso) affinché la utilizzi sia per
ragioni di servizio che per ragioni personali.

A fronte dell’utilizzo personale Lei ci corrisponderà un corrispettivo, ricavato dalle


tabelle ACI che sono state approvate dall’Agenzia delle Entrate con provvedimento
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale entro la fine dell’anno precedente a quello di
riferimento, pari al 30% (trenta per cento) del costo (iva inclusa) corrispondente alla
percorrenza annua di Km. 15.000.=.
L’utilizzo del mezzo per un periodo di tempo inferiore all’anno comporterà la
proporzionale riduzione del parametro sopra indicato.

Il corrispettivo per l’utilizzo del mezzo Le verrà addebitato con cadenza mensile e il
pagamento avverrà con trattenuta dal cedolino paga di ogni mese salvo che Lei non
provveda per contanti al pagamento.

Da parte nostra ci impegniamo sin d’ora a:


- corrispondere la tassa di proprietà
 

 
- stipulare e a rinnovare idonea polizza assicurativa per la copertura del mezzo e
dei rischi connessi alla circolazione
- consentire che vengano eseguiti gli interventi di manutenzione programmata e
quelli eventualmente segnalati dal costruttore;
per contro, Lei si impegna sin d’ora a:
- assumere e mantenere a Suo carico ogni sanzione derivante dalla violazione delle
norme del Codice della Strada o di altre prescrizioni normative connesse
all’utilizzo del mezzo
- comunicare con l’immediatezza che il caso richiede ogni incidente in cui dovesse
incorrere, indipendentemente dalle responsabilità e dall’ammontare del danno a
persone e /o cose
- comunicare, senza indugio, la presenza di provvedimenti che dovessero
sospendere, revocare o, comunque limitare, il permesso di guida
- segnalare tempestivamente al proprietario eventuali malfunzionamenti , difetti o
guasti
- utilizzare e gestire il mezzo con la diligenza del buon padre di famiglia.

Il presente accordo è a tempo indeterminato potrà essere da noi revocato in qualsiasi


momento con il semplice preavviso di giorni 15, comunicato a mezzo lettera
raccomandata. L’eventuale sostituzione del mezzo con altro di pari categoria e segmento
non comporta l’obbligo di preavviso da parte nostra.

Vorrà ritornarci copia della presente da Lei trascritta e sottoscritta per accettazione e
conferma.

Distinti saluti”

Lì,………………..

Firmato…………………………….

 
3) Appendice al capitolo 3

CONTRATTO DI SOMMINISTRAZIONE DI SERVIZIO SOSTITUTIVO


DI MENSA

Con la presente scrittura privata tra:

a) Ristorante Alfa Srl, con sede legale in …………………., via


............................., n....., partita Iva ………………………………, codice fiscale
………………………………., nelle vesti del rappresentante legale Signor
…………………………….., nato a ……………………….., il …………, residente a
…………………………. in via ……………………………., codice
fiscale…………………………;
b) Rossi Srl, con sede legale in …………………., via .............................,
n....., partita Iva ………………………………, codice fiscale
………………………………., nelle vesti del rappresentante legale Signor
…………………………….., nato a ……………………….., il …………, residente a
…………………………. in via ……………………………., codice
fiscale…………………………;

Si stipula quanto segue

1. La società ……………… che gestisce il ristorante…………….. si impegna a


somministrare nei propri locali e con mezzi propri, ai dipendenti della società
…………………. uno o più pasti giornalieri costituiti da un primo piatto, un secondo
piatto, un contorno e pane, ¼ di vino oppure bevanda piccola, caffè al prezzo di Euro
10,00 (dieci/00) Iva inclusa.

 
2. Il presente contratto ha valore di commessa avente per oggetto “Servizi
sostitutivi di mensa aziendale”; pertanto sarà applicata l’Iva ad aliquota agevolata del 4%
come previsto dall’art. 7, comma 3. Legge 30.12.1991, n. 413.

3. La durata del presente accordo viene fissata a partire dal ……….......... e sarà
rinnovato automaticamente all’inizio di ogni anno salvo disdetta anche solo verbale di
una delle due parti. In caso di rinnovo potrà essere concordemente rivisto il prezzo del
pasto.

4. Ad ogni somministrazione verrà rilasciata ricevuta fiscale che sarà poi


conteggiata all’emissione della fattura mensile e il pagamento di quest’ultima si intende
…………. (a vista, entro 30 giorni, ecc.).

5. Eventuali sospensioni del servizio di ristorante per chiusura esercizio, per


festività e varie, saranno concordate.

6. Si precisa di seguito l’orario di fruizione del servizio di ristorante:

- dalle ore 11.30 alle ore 14.00;

- dalle ore 18.30 alle ore 21.00.

7. Il pagamento delle fatture potrà essere effettuato a mezzo assegno/bonifico


bancario (versamento c/c ………………, intestato a ……………….., presso l’istituto di
credito …………………….., coordinate bancarie ………………………).

8. Viene concordato il deposito di un assegno a copertura della fruizione mensile


dei pasti da parte dei Vs. dipendenti quantificato in Euro ……………………………….

Letto, firmato e sottoscritto Luogo e data

Ristorante Alfa Srl Rossi Srl

 
4) Appendice al capitolo 3

CONTRATTO DI SOMMINISTRAZIONE DI SERVIZIO SOSTITUTIVO


DI MENSA

Con la presente scrittura privata tra:

a) Ristorante Alfa Srl, con sede legale in …………………., via


............................., n....., partita Iva ………………………………, codice fiscale
………………………………., nelle vesti del rappresentante legale Signor
…………………………….., nato a ……………………….., il …………, residente a
…………………………. in via ……………………………., codice
fiscale…………………………;
b) Rossi Srl, con sede legale in …………………., via .............................,
n....., partita Iva ………………………………, codice fiscale
………………………………., nelle vesti del rappresentante legale Signor
…………………………….., nato a ……………………….., il …………, residente a
…………………………. in via ……………………………., codice
fiscale…………………………;

Si stipula quanto segue

1. La società Ristorante Alfa Srl si impegna a somministrare i pasti ai dipendenti


della società Rossi Srl, mediante il rilascio di buoni pasto del valore di
Euro……..............;

 
2. La somministrazione dei pasti avverrà presso i locali del Ristorante/Bar ubicati
in ………….., via …………, al n. ….. dalle ore ………. alle ore in tutti i giorni
lavorativi dal ………….. al ………………………..

3. Il pasto dovrà comprendere piatti caldi e/o freddi, panini, bibite etc., per un
complessivo importo non superiore a Euro …………....... al pasto; ogni eventuale
pietanza / importo extra,verranno direttamente addebitati al dipendente richiedente.

4. La Rossi Srl si impegna a pagare il corrispettivo di Euro ............... Iva inclusa,


per ogni buono pasto incassato dall’esercente.

5. Il Ristorante Alfa Srl assicura e garantisce il rispetto e l’osservanza da parte del


proprio personale delle norme di tutela igienica e sanitaria stabilite dalla vigente
legislazione; garantisce altresì che la lavorazione dei cibi rispetta la normativa prevista
per la corretta manipolazione e lavorazione degli alimenti dall’arrivo al confezionamento,
alla conservazione, nonché al successivo porzionamento e distribuzione dei pasti.

6. Il Ristorante Alfa Srl si impegna a mantenere indenne e manlevata la società


Rossi Srl da ogni e qualsiasi responsabilità, pregiudizio, richiesta e onere relativi al
servizio oggetto della presente convenzione, siano essi conseguenti a responsabilità
propria o del proprio personale o connessi all'esecuzione del contratto o comunque
nell’ambito delle responsabilità assunte dal Ristorante, anche se dipendenti da caso
fortuito o forza maggiore.

7. Il Ristorante Alfa Srl si impegna ad emettere giornalmente una ricevuta fiscale


elencante il totale dei pasti somministrati, che verrà trasmessa alla Rossi Srl. La ricevuta,
dovrà essere corredata dai buoni pasto utilizzati dai dipendenti. Alla fine del mese, il
Ristorante provvederà ad emettere regolare fattura, assoggettando le proprie prestazioni
all’aliquota IVA, così come previsto dalla vigente legislazione in materia.

8. La Rossi Srl provvederà al pagamento della fattura con valuta 30 giorni data
fattura fine mese.

9. La presente convenzione ha durata indeterminata a far tempo dalla data di


sottoscrizione.

 
10. Ciascuna delle parti potrà risolvere la stessa mediante lettera raccomandata
indirizzata all’altra parte, con un preavviso di almeno 30 giorni dalla data della
risoluzione.

Letto, firmato e sottoscritto Luogo e data

Ristorante Alfa Srl Rossi Srl

5) Appendice al capitolo 4

FAC-SIMILE CONVENZIONE DIRETTA

(da predisporre su carta intestata dell’Azienda richiedente)

Spett.le ATM S.p.A.


Foro Buonaparte, 61
20121 Milano

e p.c. Direzione Mobility Management


Agenzia Mobilità e Ambiente S.r.l.
Via Beccaria, 19
20122 Milano

Milano XX mese XXXX

Considerato che l’Azienda ………….., con riferimento al Decreto


Interministeriale del 27 marzo 1998 sulla Mobilità sostenibile nelle aree urbane, in data
………….. ha nominato il Dr. ………..…….. Mobility Manager Aziendale.

Considerato che, al fine di favorire l’utilizzo diffuso dei mezzi di trasporto


pubblico, la Delibera del Comune di Milano N° 161/03 del 28/01/2003 prevede incentivi,
cofinanziati dal Ministero dell’Ambiente, sugli abbonamenti annuali rientranti nel
 

 
Sistema di integrazione tariffaria denominato SITAM, a favore dei dipendenti delle
aziende che hanno provveduto alla nomina del Mobility Manager e localizzate in Milano
e nei 31 Comuni di prima cintura.

La struttura tariffaria è cosi articolata:

Abbonamento Abbonamento Abbonamento Abbonamento Abbonamento Abbonamento


Annuale Annuale Annuale Area Annuale Area Annuale Area Annuale
Urbano Interurbano Piccola Media Grande Area Plus

Prezzo in vigore (al 300 350 420 555 580 620


lordo di IVA)
Contributo del 41 48 57 76 79 85
Ministero
dell’Ambiente (15%
del prezzo al netto di
IVA)
Contributo 0 33 42 59 59 65
integrativo che deve
essere sostenuto
dalle aziende per
ottenere il contributo
ministeriale (al lordo
di IVA)
Riduzione operata 15 15 15 17 20 20
da ATM S.p.A. (al
lordo di IVA)
Costo unitario netto
per i dipendenti
244 254 306 403 422 450
delle aziende (al
lordo di IVA)
Importo che le
244 287 348 462 481 515
aziende interessate

 
devono versare ad
ATM (al lordo di
IVA)

Considerato che, come evidenziato nello schema precedente, la ripartizione dei


costi relativi alle diverse tipologie di abbonamento annuale, vede come soggetto
economicamente attivo - oltre a ATM SpA, Ministero dell’Ambiente e Comune di Milano
– anche la scrivente Azienda ………che si impegna formalmente a erogare il contributo
relativo agli abbonamenti scelti dal proprio personale, assumendone la relativa
obbligazione, e le conseguenti responsabilità, nei confronti di ATM e dei terzi interessati.

Conseguentemente, assumendo sin d’ora gli obblighi contrattuali conseguenti, la


scrivente Azienda chiede che vengano attivati i seguenti abbonamenti annuali e si
impegna alla rateizzazione del costo degli abbonamenti ai propri dipendenti:

Costo singolo
Tipologia di Abbonamento abbonamento per N. abbonamenti richiesti Costo totale per tipologia di abbonamento
l’azienda
Abbonamento Annuale
244
Urbano
Abbonamento Annuale
287
Interurbano
Abbonamento Annuale
348
Area Piccola
Abbonamento Annuale
462
Area Media
Abbonamento Annuale
481
Area Grande
Abbonamento Annuale
515
Area Plus

Costo totale abbonamenti

 
Il pagamento degli abbonamenti in favore di ATM avverrà a 30 giorni data
fattura, valuta fissa.

Cordiali saluti

Il legale rappresentante

6) Allegato al capitolo 8

NORME DISCIPLINANTI IL PIANO DI STOCK OPTION IN FAVORE DI


DIPENDENTI O COLLABORATORI

Definizioni ed interpretazione

Nel seguito i seguenti termini ed espressioni, ove consentito dal contesto, hanno il
significato di seguito esposto:

Si intendono gli articoli contenuti nel Piano, come di


“Articoli”
volta in volta modificati;

“Azione” Si intende un’azione ordinaria della Società;

“Beneficiario” si intende il Dipendente o Collaboratore del Gruppo che


partecipa al Piano;

“Certificato di Opzione” si intende un certificato di opzione emesso in conformità


all’Articolo 5 del Piano;

“Collaboratore” si intende la persona fisica titolare di un rapporto di


lavoro non subordinato con una o più società del Gruppo

 
oppure la persona fisica membro del Consiglio di
Amministrazione di una o più società del Gruppo;

“Concessione di Opzioni” si intende ciascuna delibera con la quale il Consiglio di


Amministrazione concede ai Beneficiari,
nominativamente individuati, un’Opzione esercitabile,
ad una certa data, su un certo numero di Azioni ad un
Prezzo di Esercizio prefissato;
“Controvalore” si intende il controvalore complessivo di Azioni che
ciascun Beneficiario potrà acquistare;

“Consiglio di si intende il Consiglio di Amministrazione della Società,


Amministrazione” ovvero un apposito Comitato formato da membri del
Consiglio di Amministrazione debitamente delegato ed
autorizzato da quest’ultimo a deliberare in merito alle
fattispecie previste dal Piano;

“Detentore di Opzione” si intende un Beneficiario che abbia accettato l’Opzione


concessagli ai sensi del Piano;

“Gruppo” si intende l’insieme della Società e delle Società


Controllate;

“Opzione” si intende il diritto di acquistare dalla Società, da una


società del Gruppo o da qualsiasi altro soggetto indicato
dalla Società a determinate condizioni, un determinato
numero di Azioni, concesso ai sensi del Piano;

“Opzione Premio” si intende un’Opzione concessa a un Beneficiario in


relazione a particolari fatti e circostanze, come previsto
all’Articolo 5.5 del Piano;

“Periodo di Concessione” si intende il periodo nel corso del quale possono essere

 
concesse Opzioni ai Beneficiari;

“Periodo di Opzione” si intende il periodo in cui le Opzioni possono essere


esercitate, così come individuato dall’Articolo 7;

“Piano” si intende il presente Piano;

“Prezzo di Collocamento” si intende il prezzo al quale saranno offerte le Azioni


all’inizio del primo giorno di Quotazione;

“Prezzo di Esercizio” si intende il prezzo al quale ciascuna Azione oggetto di


Opzione può essere acquistata tramite l’esercizio di tale
Opzione, così come definito all’Articolo 6;

“Quotazione” si intende la quotazione delle Azioni presso il Mercato


Telematico Azionario (MTA) organizzato e gestito da
Borsa Italiana S.p.A.;

“Società” si intende la ……………………. S.p.A.;

“Società Controllate” si intendono le società controllate direttamente o


indirettamente dalla Società, ai sensi dell’art. 2359, n. 1),
c.c.;

“Tranche Complessiva” si intende il numero massimo di Azioni relativamente


alle quali, durante l’intero Periodo di Opzione, ciascun
Detentore di Opzione ha il diritto di esercitare l’Opzione
concessagli.

I riferimenti a qualsiasi disposizione del Piano si intendono relativi a tale


disposizione come di volta in volta modificata e, salvo ove diversamente richiesto dal
contesto, i termini usati al singolare includeranno anche il plurale e viceversa, e i termini al
genere maschile includeranno anche il femminile e viceversa.
 

 
Informazioni generali

Gli Articoli del Piano si riferiscono al Piano di Stock Option che la Società intende
attuare.

Il Piano è stato elaborato ed approvato allo scopo di offrire a taluni Dipendenti o


Collaboratori del Gruppo incentivi mediante concessione di opzioni sulle Azioni della
Società e quindi attrarre e fidelizzare i Beneficiari e consentire loro di partecipare alla
crescita del Gruppo.

Gestione – Selezione dei Beneficiari - Condizione d’Efficacia

3.1 Il Consiglio di Amministrazione, a proprio insindacabile giudizio,


sceglierà i Beneficiari tra i Dipendenti o Collaboratori del Gruppo, e determinerà il
numero complessivo di Azioni che spetteranno a ciascuno di essi.

3.2 Il Consiglio di Amministrazione avrà la facoltà di formulare e modificare di


volta in volta regole, in conformità con il Piano, finalizzate all’attuazione ed alla gestione
dello stesso, così come riterrà opportuno, e avrà inoltre il potere di adottare modifiche al
Piano in conformità all’Articolo 13.

3.3 La decisione della Società sarà vincolante in tutte le questioni relative al


Piano, ed in particolare con riferimento a quelle relative al comma 3.2 del presente Articolo.

3.4 I costi sostenuti per la creazione e la gestione del Piano saranno a carico
della Società.

3.5 L’efficacia e l’attuazione del Piano sono in ogni caso sospensivamente


condizionate alla Quotazione. In assenza di tale condizione, da ritenersi essenziale, e per la
quale non vi è alcuna garanzia, espressa o implicita, il Piano sarà privo di qualsivoglia valore
e né i Beneficiari né alcun altro potranno vantare diritti di alcun tipo in relazione ad esso.

 
Durata del Piano

Il Piano entrerà in vigore al venir meno della condizione sospensiva prevista


all’Articolo 3.5. Il Periodo di Concessione terminerà il …………… (salvo i casi di anticipata
cessazione dell’efficacia del Piano a seguito di delibera del Consiglio di Amministrazione).

Concessione di Opzioni

5.1 La Società concederà un’Opzione a ciascun Beneficiario in qualsiasi


momento durante il Periodo di Concessione, mediante l’emissione in favore di tale
Beneficiario di un Certificato di Opzione (o più Certificati di Opzione) in duplice originale,
il quale, dopo essere stato debitamente sottoscritto dal Beneficiario e restituito alla Società,
avrà efficacia vincolante nei confronti della Società stessa.

5.2 Il Certificato di Opzione dovrà essere redatto nella forma determinata dal
Consiglio di Amministrazione e dovrà specificare:

(a) il nome della Società;

(b) la data a partire dalla quale l’Opzione potrà essere esercitata;

(c) l’ultima data utile entro la quale deve essere comunicato l’esercizio dell’Opzione
(ossia il Periodo di Opzione) e le modalità relative a tale comunicazione;

(d) il Prezzo di Esercizio dell’Opzione ed il numero di Azioni ricevute a seguito


dell’esercizio dell’Opzione. Nel caso in cui il Prezzo di Esercizio fosse
determinabile in base a criteri prefissati, il Certificato di Opzione riporterà
l’indicazione del Controvalore nonché dei predetti criteri. In tal caso, una volta
determinato il Prezzo di Esercizio dell’Opzione, il numero di Azioni sarà pari al
Controvalore diviso il Prezzo di Esercizio: il risultato così ottenuto sarà arrotondato
all’unità inferiore.

5.3 Ciascun Beneficiario potrà accettare l’Opzione mediante sottoscrizione di


un originale del Certificato di Opzione e restituzione dell’originale così firmato alla Società,
ovvero alle persone e con le modalità indicate nel Certificato stesso. A seguito di tale
accettazione, il Beneficiario diverrà Detentore di Opzione. In mancanza di tale accettazione,

 
l’Opzione non potrà più essere esercitata e sarà considerata a tutti gli effetti come se non
fosse mai stata concessa.

5.4 Tutte le Opzioni saranno concesse al Detentore dell’Opzione a titolo


esclusivamente personale e non potranno essere trasferite, cedute o assoggettate a vincoli di
qualsiasi natura, fatto salvo il diritto degli eredi di un Detentore dell’Opzione deceduto di
esercitare un’Opzione nel termine previsto alla lettera b) dell’Articolo 8.

5.5. Potranno essere concesse speciali opzioni premio (“Opzioni Premio”) al


Detentore di Opzione che si impegnerà ad acquistare sul mercato un determinato
quantitativo di Azioni ed a mantenerne la piena proprietà e disponibilità per un periodo
che sarà determinato dalla Società. Tale eventuale concessione di Opzioni Premio avverrà
in base ai parametri ed alle modalità che saranno all’uopo stabilite dal Consiglio di
Amministrazione della Società, sempre a proprio insindacabile giudizio. La Società
comunicherà ai Beneficiari i parametri e le modalità in questione.

Prezzo di Esercizio

Il Prezzo di Esercizio dell’Opzione sarà pari al Prezzo di Collocamento delle


Azioni, eccezion fatta per i beneficiari che saranno inseriti nel Piano successivamente alla
Quotazione per i quali il Prezzo di Esercizio dell’Opzione sarà determinato dal Consiglio
di Amministrazione.

Modalità di Esercizio delle Opzioni

7.1 Il Detentore di Opzione non potrà esercitare l’Opzione prima del


………………, eccezion fatta per i beneficiari che saranno inseriti nel Piano
successivamente alla Quotazione, per i quali la data di inizio del Periodo di Opzione sarà
determinata dal Consiglio di Amministrazione. Salvo il caso previsto alla lettera c)
dell’Articolo 8, i Detentori di Opzione eserciteranno la propria Tranche Complessiva in
un’unica soluzione: l’Opzione su tale Tranche Complessiva dovrà essere esercitata, a pena di
decadenza, entro e non oltre un periodo di trenta giorni dal …………………….. o, per i
beneficiari che saranno inseriti nel Piano successivamente alla Quotazione, dalla diversa
data di inizio del Periodo di Opzione, come determinata dal Consiglio di
Amministrazione ai sensi del presente Articolo.

 
7.2 Salvo diverse disposizioni contenute nel Piano, ciascuna Tranche
Complessiva potrà essere esercitata mediante comunicazione, nella forma di volta in volta
stabilita dal Consiglio di Amministrazione, da inviarsi da parte del Detentore di Opzione alla
Società o ad altra persona eventualmente indicata dalla Società stessa.

7.3 A seguito di ricezione della comunicazione di esercizio dell’Opzione e del


Certificato di Opzione da parte della Società, il Consiglio di Amministrazione: a) verifica
l’adempimento di tutte le condizioni previste dal Piano ai fini dell’esercizio dell’Opzione e
b) richiede al Detentore di Opzione di presentare alla Società, entro trenta giorni, adeguata
ricevuta di rimessa del corrispettivo per l’esercizio dell’Opzione relativa alla Tranche
Complessiva.

7.4 Entro dieci giorni dalla ricezione della predetta ricevuta di rimessa, la
Società assegnerà o provvederà all’assegnazione o alla cessione delle Azioni relativamente
alle quali l’Opzione è stata validamente esercitata. Le azioni assegnate saranno depositate
dalla Società presso un intermediario abilitato, il cui nominativo sarà comunicato al
Beneficiario.

7.5 La Società, a seguito dell’esercizio delle Opzioni, si impegna ad


effettuare tutte le comunicazioni e/o registrazioni relative alle Azioni eventualmente
richieste.

7.6 L’esercizio di qualsiasi Opzione sarà consentito solo a condizione che la


Società, al momento dell’esercizio dell’Opzione, accerti che tutte le condizioni relative a tale
esercizio ai sensi dei presenti Articoli siano state soddisfatte e che tale esercizio non violi le
disposizioni di legge e/o regolamentari applicabili, e/o l’eventuale regolamento interno della
Società.

7.7 Dopo aver accertato che l’Opzione è stata validamente esercitata, la Società,
qualora non disponga, direttamente o indirettamente, di un numero di Azioni sufficiente a far
fronte alle adesioni pervenutele, potrà, in alternativa alla cessione o assegnazione delle
Azioni per l’intera Tranche Complessiva dietro pagamento del complessivo Prezzo di
Esercizio, erogare al Detentore di Opzione un importo in denaro, relativamente a tutta o
parte della Tranche Complessiva, restando inteso che in caso di erogazione in denaro per una
parte della Tranche Complessiva, saranno cedute o assegnate Azioni per la parte restante.

 
Tale importo in denaro sarà pari alla differenza tra il valore di mercato delle Azioni alla data
in cui la Società ha ricevuto la comunicazione di esercizio dell’Opzione per il numero di
Azioni che non sono cedute e/o assegnate al Detentore di Opzione, ed il relativo Prezzo di
Esercizio. Con la predetta erogazione in denaro si intenderanno integralmente adempiuti tutti
gli obblighi della Società ai sensi del Piano, ed il Detentore di Opzione si intenderà
integralmente soddisfatto di ogni suo diritto ai sensi del Piano.

Decadenza di Diritti di Opzione

L’Opzione perderà efficacia al verificarsi di uno dei seguenti eventi:

a) lo scadere del Periodo di Opzione, così come individuato nell’Articolo 7.1;

b) lo scadere del periodo di 12 mesi dalla data del decesso, interdizione o inabilitazione
del Detentore di Opzione;

c) il sopraggiungere della data in cui il Detentore di Opzione cessa di essere Dipendente o


Collaboratore della Società, o di altra società del Gruppo per pensionamento prima
della data di inizio del Periodo di Opzione. Qualora ricorra il caso qui previsto, il
Detentore di Opzione potrà comunque, entro 30 giorni dalla data di pensionamento,
esercitare parzialmente l’Opzione, ottenendo cioè il diritto ad acquistare un numero di
Azioni ridotto rispetto al numero previsto dalla Tranche Complessiva di sua pertinenza,
per una percentuale pari al rapporto tra il numero di giorni nel corso dei quali il
Beneficiario è stato titolare di un rapporto di lavoro dipendente o autonomo, tra la data
della Quotazione e la data di pensionamento, diviso il numero di giorni esistente tra la
Data della Quotazione e la data in cui l’Opzione avrebbe potuto essere esercitata, come
previsto dall’apposito Certificato di Opzione. In casi particolari, il Consiglio di
Amministrazione, a proprio insindacabile giudizio, avrà facoltà di consentire al
Detentore di Opzione l’esercizio della Tranche Complessiva di sua pertinenza per
l’intero numero di Azioni ivi previste;

d) il sopraggiungere della data in cui il Detentore di Opzione cessa di essere Dipendente o


Collaboratore della Società, o di altra società del Gruppo, per qualsivoglia ragione
diversa dai punti b) e c) che precedono;

 
e) il sopraggiungere dell’approvazione di una delibera o dell’emissione di un
provvedimento giudiziario che sottopone la Società a liquidazione (coatta e non), a
fallimento o ad altra procedura concorsuale;

f) il sopraggiungere della data in cui il Detentore di Opzione diventi debitore insolvente o


ometta un adempimento, per il quale egli risulti privato della proprietà legale o del
diritto di proprietà dell’Opzione.

Diritti del Detentore di Opzione e del Beneficiario

9.1 Fino a quando il Detentore di Opzione non eserciti l’Opzione concessagli,


mediante l’acquisto delle Azioni, non avrà alcun diritto sulle Azioni relativamente alle
quali l’Opzione è stata concessa. Di conseguenza, il Detentore di Opzione non potrà
ricevere alcun dividendo e non potrà votare come un effettivo azionista.

9.2 Successivamente al perfezionamento dell’acquisto delle Azioni ed


all’avvenuta esecuzione delle relative iscrizioni e/o registrazioni, il Beneficiario godrà di
tutti i diritti conferiti agli azionisti della Società per le azioni possedute, ivi inclusi i diritti
di voto, il diritto di percepire dividendi ed il diritto di vendere o altrimenti alienare le
Azioni assegnate direttamente e/o acquistate ai sensi del Piano, in conformità a quanto
previsto dall’Articolo 10.

Variazione del capitale sociale

10.1 In caso di aumento o riduzione del capitale sociale della Società o qualora si
verifichi qualsiasi altra variazione nel capitale sociale della Società, ivi inclusi il
frazionamento o il raggruppamento di azioni, la Società avrà facoltà di variare (a) il numero
di Azioni comprese in un’Opzione, (b) il relativo Prezzo di Esercizio, e, nel caso in cui
un’Opzione sia stata esercitata ma non siano state attribuite o cedute Azioni
conseguentemente a tale esercizio, (c) il numero di Azioni che devono essere attribuite o
cedute e il rispettivo Prezzo di Esercizio. Tale variazione sarà effettuata con le modalità
determinate dalla Società, a condizione che non sia effettuata alcuna variazione che possa
risultare in una lesione dei diritti acquisiti dai Detentori di Opzione.

10.2 La Società potrà intraprendere le azioni che riterrà necessarie al fine di


comunicare ai Detentori di Opzioni qualsiasi modifica apportata ai sensi del presente
 

 
Articolo, nonché ritirare, cancellare, girare, emettere o riemettere qualsiasi Certificato di
Opzione in forza di tale modifica.

Cambiamenti nella Società

11.1 Qualora, durante il periodo di durata del Piano venga promossa un’offerta
pubblica totalitaria e/o residuale di acquisto e scambio sulle Azioni, ai sensi del D.Lgs. 24
febbraio 1998, n. 58, in merito alla quale il Consiglio di Amministrazione abbia espresso
valutazione positiva, o la Società venga fusa per incorporazione in altra società, si
intenderanno automaticamente decadute le limitazioni temporali all’esercizio delle
Opzioni detenute dai Beneficiari in esecuzione del Piano, e, per l’effetto, i Beneficiari
stessi avranno facoltà di esercitare immediatamente le Opzioni ad essi spettanti.

11.2 In caso di fusione della Società con altra società, in alternativa a quanto
previsto all’Articolo 11.1, la Società potrà fare in modo che l’Opzione sulle Azioni della
Società sia sostituita da apposita opzione sulle azioni della Società risultante dalla
fusione. Tale assegnazione avverrà in conformità con il rapporto ufficiale di concambio
stabilito in sede di fusione.

Disposizioni generali

12.1 In deroga a qualsiasi altra disposizione contenuta nel Piano:

(a) il Piano non costituisce parte di alcun contratto di lavoro tra una società del
Gruppo e qualsiasi Beneficiario, e i diritti ed obblighi assunti da qualsiasi persona in
conformità ai termini del suo incarico o rapporto di lavoro con una società del Gruppo non
saranno influenzati dalla partecipazione di tale persona al Piano, né qualsiasi diritto che la
stessa abbia a parteciparvi conferirà a tale persona alcun diritto aggiuntivo a rimborso o
indennizzo a seguito della cessazione di tale incarico o rapporto di lavoro per qualsivoglia
motivo;

(b) nessun Detentore di Opzione avrà diritto ad alcun rimborso o risarcimento


per qualsiasi perdita, attuale o potenziale, in cui possa incorrere a seguito della propria
impossibilità di esercitare un’Opzione a causa della perdita o risoluzione del proprio incarico
o rapporto di lavoro con una società del Gruppo per qualsivoglia motivo;

 
(c) il Piano non conferisce alcun diritto (diverso dai diritti che costituiscono le
Opzioni stesse) nei confronti di alcuna società del Gruppo, direttamente o indirettamente.

12.2 Salvo quanto diversamente disposto nel Piano, qualsiasi avviso o


comunicazione da parte della Società a qualsiasi Beneficiario o Detentore di Opzione potrà
essere consegnato personalmente o inviato a mezzo lettera raccomandata all’ultimo indirizzo
conosciuto del destinatario, e in caso di invio di un avviso o comunicazione a mezzo
raccomandata, sarà considerato ricevuto alla data indicata nella ricevuta di ritorno.

12.3 Qualsiasi comunicazione diretta alla Società dovrà essere consegnata o


spedita alla medesima presso la sua sede legale, all’attenzione del Presidente del Consiglio di
Amministrazione ed avrà effetto al momento della ricezione.

12.4 La Società non è tenuta a fornire ai Beneficiari o ai Detentori di Opzione


copia di alcuna comunicazione, circolare o altro documento inviato agli azionisti della
Società.

Modifiche

13.1 Il Consiglio di Amministrazione avrà il diritto di deliberare qualsiasi


modifica al Piano che possa ritenere necessaria od opportuna al fine di migliorare
l’attuazione del Piano. Tuttavia, saranno fatti salvi i diritti acquisiti esistenti alla data di
attuazione di tale modifica. In nessun caso possibili modifiche al Piano, approvate in
conformità ai presenti Articoli, potranno essere interpretate o contestate come novazione
dell’intero Piano o di sue parti sostanziali.

13.2 Di conseguenza, l’adesione al Piano comporta automaticamente, per


ciascun Beneficiario, la rinuncia irrevocabile ad ogni diritto di avanzare qualsiasi
eccezione volta a dimostrare che le modifiche apportate al Piano implicano una
novazione dello stesso.

13.3 Tutti i Beneficiari riceveranno comunicazione scritta di ogni modifica


apportata al Piano.

 
Legge applicabile e foro competente

14.1 Il Piano e tutte le Opzioni concesse ai sensi dello stesso saranno regolati ed
interpretati ai sensi della legge italiana. Qualsiasi controversia che possa insorgere
relativamente al Piano sarà devoluta alla competenza esclusiva di un collegio arbitrale così
composto: ciascuna delle parti nominerà un arbitro, e i due arbitri così nominati eleggeranno
il Presidente; qualora non si dovesse raggiungere alcun accordo, il Presidente del Collegio
Arbitrale sarà nominato dal Presidente del Tribunale di …………….. Qualora le parti in lite
siano in numero maggiore di due, il Collegio Arbitrale sarà composto da tre arbitri, di cui
due nominati dal Presidente del Tribunale di ……………. su ricorso della parte più
diligente, ed il terzo, di comune accordo, dagli arbitri come sopra nominati. In mancanza di
tale accordo, anche il terzo arbitro sarà nominato dal Presidente del Tribunale di
……………...

14.2 Il Collegio Arbitrale agirà ai fini di una composizione amichevole della


controversia e deciderà in merito alle spese e al compenso da corrispondere agli arbitri. Il
voto del Presidente sarà decisivo in caso di parità.

 
7) Allegato al capitolo 8

SCHEDA DI ESERCIZIO

Spettabile

Via

ALLA C.A. DEL PRESIDENTE DELLA SOCIETÀ

Il sottoscritto __________, nella sua qualità di Beneficiario del Piano di


Incentivazione Azionaria organizzato dai soci di ___________ e recepito nella
deliberazione dell’assemblea del ________________

Dichiara irrevocabilmente

1) di esercitare n. ____ Opzioni per l’acquisto di azioni ordinarie della Società,


riportandosi espressamente a quanto contenuto nel Regolamento del Piano;

2) di accettare, nel contesto ed ai fini dell’esercizio delle Opzioni, tutte le norme del
Regolamento del Piano, di cui dichiara di conoscere il contenuto;

3) di impegnarsi, fermo restando il diritto di esercitare o meno le Opzioni, quale


presupposto essenziale e condizione irrinunciabile della stessa, all’esecuzione delle
 

 
disposizioni del Regolamento e al rispetto di tutti gli obblighi di cui al Regolamento
stesso, compresi i divieti di trasferimento delle Opzioni e i limiti al trasferimento dei
Titoli ivi contenuti;

4) di essere a conoscenza delle motivazioni alla base del Piano, delle modalità
tecniche ed organizzative dello stesso, della disciplina fiscale attualmente vigente in
materia, nonché di essere pienamente consapevole dei rischi connessi all’operazione
come disciplinata dal Regolamento, avendoli attentamente valutati.

Milano, il

FIRMA DEL BENEFICIARIO

Per presa visione e accettazione

Il Presidente

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