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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ITALIANISTICA

TESI DI LAUREA

«Ai Romani d’oltre i Carpazi»


La ricezione di Giosue Carducci in Romania

CANDIDATO RELATORE
Marco Paoli Chiar.ma Prof.ssa Emilia David

CORRELATORE
Chiar.mo Prof. Luca Curti

ANNO ACCADEMICO 2018/2019


INDICE

INTRODUZIONE 4
CAPITOLO I LA STORIA CIVILE E LETTERARIA DELLA ROMANIA FRA
OTTOCENTO E NOVECENTO 9

1.1 Introduzione 9
1.2 Storia della Romania dal dominio asburgico all’inizio del periodo
delle dittature 9
1.2.1 Alcune precisazioni preliminari 9
1.2.2 I territori romeni fino alla rivoluzione del 1848 12
1.2.3 La generazione del 1848 e la rivoluzione romena 14
1.2.4 Dalla rivoluzione del 1848 alla guerra per l’unità nazionale 16
1.2.5 La guerra per l’unità nazionale 19
1.2.6 Dalla fine del conflitto all’inizio del periodo delle dittature 20
1.3 Storia della letteratura romena fra Ottocento e inizio Novecento 23
1.3.1 Dagli inizi al periodo di Carol I (1800-1866) 24
1.3.2 Il periodo di Carol I (1866-1914) 27
1.3.3 Dalla fine del regno di Carol I al periodo
delle dittature (1914-1938) 35
1.4 Conclusioni 37

CAPITOLO II GIOSUE CARDUCCI E IL MONDO ROMENO 39

2.1 Introduzione 39
2.2. Giosue Carducci: la vita e le opere 40
2.2.1 Profilo biografico 40
2.2.2 La produzione letteraria 45
2.2.3 La Romania nell’opera di Carducci 52
2.3 I contatti di Giosue Carducci con il mondo romeno 54
2.3.1 Le traduzioni romene dell’Inferno e del Purgatorio
nella biblioteca personale del poeta 54
2.3.2 Il messaggio di Giosue Carducci a Vasile Alexandrescu Urechia 55
2.3.3 I numeri di Liga Română nella biblioteca personale di Carducci 62

2
2.3.4 Il cartoncino con la traduzione de Il bove 63
2.4 Materiale afferente alla romenistica o riguardante
la Romania presente in “Casa Carducci” 66
2.4.1 Il poemetto Italia e Romania di Severino Attilj 66
2.4.2 La conferenza in Romania di Pier Emilio Bosi 67
2.5 Conclusioni 72

CAPITOLO III L’OPERA DI GIOSUE CARDUCCI NELLA CULTURA E NELLA


LETTERATURA ROMENA 75

3.1 Introduzione 75
3.2 Ramiro Ortiz e la conoscenza di Carducci in Romania 75
3.2.1 Ramiro Ortiz: un profilo bio-bibliografico 76
3.2.2 La prolusione di Ramiro Ortiz al corso di letteratura italiana
a Bucarest del 20 novembre 1909 78
3.2.3 Altri lavoro in Romania di Ramiro Ortiz su Carducci 85
3.3 Traduzioni di opere carducciane e testi romeni
di critica letteraria su Carducci 89
3.3.1 Le principali traduzioni in romeno
delle opere di Giosue Carducci 90
3.3.2 Opere di critica letteraria romena su Carducci 104
3.4 La letteratura romena e Giosue Carducci:
vicinanza di temi e forme poetiche 111
3.4.1 Giosue Carducci e Mihai Eminescu 111
3.4.2 Giosue Carducci e Duiliu Zamfirescu 122
3.4.3 Giosue Carducci e Octavian Goga 125
3.5 Conclusioni 129

CONCLUSIONI 132
TAVOLE 137
BIBLIOGRAFIA 142
SITOGRAFIA 150
RINGRAZIAMENTI 152

3
INTRODUZIONE

L’idea di studiare la ricezione di Giosue Carducci1 nella cultura romena prende le mosse dalla
lettura di alcune traduzioni di opere romene tratte dal manuale di Ramiro Ortiz.
In diverse occasioni Ortiz avvicina opere e autori romeni alla figura di Carducci;2 così pure
Gino Lupi, nel suo storico manuale, non esita a sottolineare contatti di figure intellettuali della
Romania con il Nostro, ponendo l’accento su eventuali imitazioni letterarie o apprezzamenti che
esponenti della cultura romena hanno manifestato nei riguardi del poeta-vate.3
Considerando questi come possibili punti di partenza, si è cercato di analizzare come fosse già
stata studiata la ricezione di Carducci all’estero.
Già Marco Veglia ha sottolineato che

ciò che pare oltranza erudita, da Juvenilia a Rime e ritmi, non è altro che una consapevole cittadinanza
europea. Questo spiega pure la fortuna, la «traducibilità» del Carducci, a differenza di altri scrittori italiani
[…]. Né Alfieri, né Foscolo o Leopardi o Manzoni ebbero la ventura infatti di essere amati, cercati, studiati,
tradotti, come accadde a Giosue Carducci […] in tutte le lingue nazionali del vecchio continente.4

È necessario quindi, per dirla con Benozzo, parlare di un «Carducci europeo»,5 sia per quello
che concerne le sue letture, sia per quanto riguarda la ricezione delle sue opere.
La critica ha indagato la ricezione del Carducci in Francia,6 in Germania,7 studiando le prime
traduzioni e imitazioni; “per quanto riguarda la penisola iberica – suggerisce Benozzo – le prime
traduzioni da Carducci si ebbero nel 1876 per opera di Manuel del Palacio”,8 fino ad arrivare a un
pubblico omaggio nell’università di Madrid nel 1906, in occasione del Nobel.9

1
Malgrado all’anagrafe sia registrato come ‘Giosuè’, nel corso di questa trattazione seguiremo la dicitura ‘Giosue’,
adottata da Carducci stesso dopo il 1891. Se sia più corretto ‘Giosue’ o ‘Giosuè’ è argomento assai discusso (cfr. Riccardo
Bacchelli, Saggi critici, Mondadori, Milano, 1962, p. 162; Manara Valgimigli, Il fratello Valfredo, Cappelli, Bologna,
1961, p. 11, nota 1 a favore della dicitura “Giosuè” e Carlo Tagliavini, Giosuè e Giòsue, in «Oggi», 28 febbraio 1957 e
Ancora su Giosuè o Giòsue, ivi, 28 febbraio 1957 a favore della dicitura “Giosue”). Qui, come Mario Saccenti dice,
“rispettando l’ultima volontà dell’autore, scriviamo ‘Giosue’, mentre conserviamo la forma ‘Giosuè’ nei luoghi dove essa
compaia”. (in Giosue Carducci, Opere scelte, a cura di Mario Saccenti, UTET, Torino, 1993, p. 61, nota 61).
2
Cfr. Ramiro Ortiz, Letteratura romena, Signorelli, Roma, 1941, pp. 84, 88, 188.
3
Cfr. Gino Lupi, Storia della letteratura romena, Sansoni, Firenze, 1955, pp. 172, 173, 245, 246, 323, 325, 350.
4
Marco Veglia, Prefazione, in Poesie di Giosue Carducci, pp. IV-V.
5
Francesco Benozzo, Carducci, Salerno edizioni, Roma, 2015, p. 269.
6
Cfr. Gabriel Maugain, Carducci et la France, Champion, Paris, 1914.
7
Cfr. Giovanna Cordibella, Carducci e la cultura tedesca, in Emilio Pasquini, Vittorio Roda (a cura di), Carducci nel
suo e nel nostro tempo, Bologna University Press, Bologna, 2009, pp. 355-383.
8
Francesco Benozzo, Carducci, cit., p. 271.
9
Cfr. Ivi, p. 272. Si veda anche: Miguel de Unamuno, A proposito de Josuè Carducci, in Idem, Obras completas, Aguado,
Madrid, 1958, pp 898-913; Miguel Edo i Julia, Nova bibliografia carducciana, Ixaliae Libri, Barcelona, 2007.

4
Vi sono degli studi sull’accoglienza dell’opera carducciana in Inghilterra;10 risultò, inoltre, “il
poeta italiano più studiato dall’aristocrazia culturale croata”11 e anche “il poeta europeo più tradotto
in lingua bulgara (in particolare da Konstantin Veličjov nel 1907), e uno di quelli più noti in lingua
slovena.12
Il saggio che sicuramente offre più piste di indagine è quello, citato da Benozzo in nota,13 di
Maria Dell’Isola, dal titolo Carducci nella letteratura europea.
La studiosa che ha redatto l’opera, se ha lasciato poche notizie di sé, ha arricchito la comunità
accademica con numerosi lavori critici carducciani e non.14 Inoltre la stessa Maria Dell’Isola ha dato
preziose informazioni sulla complessa vicenda editoriale che ha coinvolto il saggio in oggetto.
Carducci nella letteratura europea è stato pubblicato per la prima volta nel 1936 presso la casa
editrice ‘Les presses françaises’ a Parigi, non in Italia, in quanto, come spiega l’autrice stessa nella
prefazione alla medesima edizione, “del volume pubblicato, la censura di Roma vietò la circolazione
[…] – secondo la relazione dell’On. Amicucci – perché contenente elementi contrari agli ordinamenti
politici, sociali ed economici dello Stato, od offensivi alla pubblica morale”.15
Il testo, nonostante dovesse andare in stampa l’anno precedente, nel primo centenario della
nascita di Carducci, fu quindi pubblicato nel 1936; nel 1938, sulla rivista La Critica, ebbe il plauso
di Benedetto Croce, che così sentenziò:

Il libro contiene la più minuta ed esatta informazione che si possa desiderare di tutto quanto intorno al
Carducci fu scritto, nel corso di circa sessanta anni, in tutti i paesi d’Europa, compresi quelli di lingue
europee nelle Americhe, e delle traduzioni delle sue poesie, e anche di qualche sua prosa, in queste varie
lingue. Vero monumento d’amore verso l’ultimo nostro poeta schietto e grande, nel quale la signorina
Dell’Isola ha speso molte fatiche di ricerche, dando prova d’intelligenza nello esporre in discorso una
materia alquanto arida e tendente alla bibliografia e nell’accompagnarla di buone osservazioni.16

Lo stesso Croce specifica che “non si credè dicevole di mettere fuori il volume in Italia, perché
(obiettarono quei troppo delicati e trepidi direttori ed editori dell’azienda letteraria carducciana) vi si
trattava di studi fatti intorno al Carducci in paesi che allora avevano preso parte alle sanzioni
riguardanti l’Italia per l’affare etiopico”.17

10
Cfr. Lando Ferretti, Carducci e la letteratura inglese, Stige, Milano, 1927.
11
Bartolomeo Calvi, Giosuè Carducci presso gli slavi meridionali, Lattes, Torino, 1933, p. 15.
12
Francesco Benozzo, Carducci, cit., p. 272.
13
Ibid.
14
Maria Dell’Isola, Etudes sur Montaigne, Mattei, Pavia, 1913, Maria Dell’Isola, Poche parole intorno al Futurismo,
Unione Editoriale, Roma, 1913; Maria Dell’Isola, Napoleòn dans la poèsie italienne à partir de 1821, Gamber, Paris,
1928; Maria Dell’Isola, Victor Hugo et Giosue Carducci, Galeati, Imola, 1930; Maria Dell’Isola Napoleòn, Helleu, Paris,
1934; Maria Dell’Isola, L’epopeé garibaldienne en France, Saint-Blase, Paris, 1945.
15
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, Les presses françaises, Paris, 1936, pp. VII-VIII.
16
Benedetto Croce, Recensione, in «La critica», 20 marzo 1938, pp. 148-149 in Maria Dell’Isola, Carducci nella
letteratura europea, Malfasi, Milano, 1951, p. I-II.
17
Ibid.

5
Il lavoro di Maria Dell’Isola, nell’edizione definitiva, edita da Malfasi nel 1951, è composto da
undici capitoli nei quali l’autrice passa in rassegna le maggiori traduzioni e i più importanti lavori
critici che sul Nostro sono stati redatti nei paesi europei.
Il volume dedica i primi due capitoli all’Inghilterra e alla Francia per poi passare ai Paesi
Germanici (Austria, Germania, Svizzera), all’Olanda e ai Paesi di Lingua Spagnola. I capitoli centrali
sono dedicati alla Scandinavia, all’Ungheria, ai paesi Slavi del Sud (Croati, Sloveni e Bulgari), del
Nord e dell’Ovest (Cecoslovacchia, Polonia, Russia) e si chiude con la Grecia.
Alla Romania Maria Dell’Isola riserva il sesto capitolo, compilando ventidue pagine di possibili
contatti, traduzioni, imitazioni e opere critiche dedicate al Nostro.18
In queste pagine la studiosa dedica molto spazio a figure di primo piano della letteratura e della
critica romena, quali Duiliu Zamfirescu, Nicolae Iorga, all’opera di Ramiro Ortiz, citando altri minori
lavori critici e cercando di riprodurre il luogo di pubblicazione anche di poesie isolate.
Inoltre la curatrice ci consegna un messaggio inviato da Carducci «allo storico romeno
Ureche»,19 ci dà notizia di una conferenza tenuta da un tenente di nome Pier Emilio Bosi a Bucarest
nel 1902 e di una lettera inviata a quest’ultimo da Carducci; ci informa infine di un cartoncino,
recapitato direttamente da Bucarest al poeta, con la traduzione de Il bove e un bozzetto di Ludovic
Bassarab.
Tutti questi spunti, assieme alle notizie pervenute dai manuali di storia della letteratura romena
consultati, hanno fornito i primi strumenti per una ricerca che, nei testi dell’epoca digitalizzati dalla
biblioteca di Cluj, ha trovato conferma delle prime informazioni apprese; la biblioteca di Casa
Carducci, che ha permesso la pubblicazione in questo lavoro del cartoncino con la traduzione de Il
bove, è stato invece il luogo dove si sono scoperti ulteriori momenti di incontro fra Carducci e il
mondo romeno e ulteriori traduzioni e testi di provenienza romena ad argomento carducciano, che
non sono state ancora studiate nell’ambito degli studi di Italianistica.
Il materiale reperito, fatta eccezione per pochi elementi che riportiamo, si esaurisce in gran
parte con i primi anni quaranta del Novecento, periodo in cui in Romania andava imponendosi il
regime dittatoriale.
Il lavoro che presentiamo, quindi, si articola in tre capitoli che tentano di illustrare il materiale
secondo un’argomentazione che procede dal generale al particolare.
Il primo capitolo, di natura compilativa, ha il fine di esporre, in una prima parte, le vicende
storiche della Romania fra Ottocento e inizi Novecento, con un accenno iniziale alle origini del
popolo romeno e a minimi elementi di linguistica romena. Una seconda parte del capitolo, poi,

18
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., pp. 169-171.
19
Ivi, p. 169.

6
ripercorre a grandi linee la storia della letteratura romena fino al periodo delle dittature, facendo fin
da questa sede cenno ai contatti fra autori ed intellettuali romeni con Carducci, col fine di poter
mettere in relazione la ricezione dell’opera carducciana con l’intero assetto del patrimonio letterario
romeno.
Il secondo capitolo, invece, espone minuziosamente il materiale che testimonia contatti diretti
fra Giosue Carducci e intellettuali romeni. Suddiviso in due blocchi, il capitolo presenta in una prima
parte una sintesi della biografia e dell’opera di Carducci, in una seconda parte, invece, ricostruisce i
contatti diretti di Carducci con il mondo romeno e, per completezza di argomentazione, presenta dei
contatti indiretti, vale a dire quel materiale in possesso del poeta di argomento affine alla romenistica
ma non direttamente a lui giunto da esponenti della cultura romena.
È in questo capitolo che abbiamo ricostruito le vicende storico-politiche che hanno spinto
Carducci a inviare il messaggio allo storico Vasile Alexandrescu Urechia – l’«Ureche» della
Dell’Isola – e sempre qui descriviamo il cartoncino di Nicolae Ținc con la traduzione de Il bove. Di
entrambi questi materiali forniamo una copia come testimonianza preziosa per la nostra tesi.
Il terzo capitolo, infine, è il più complesso. Dopo aver fornito un quadro d’insieme sulla storia
civile e letteraria della Romania e aver reso chiara la relazione intercorsa fra Carducci e quest’ultima,
in questa sede si analizzano le opere di traduzione e di critica sul Nostro pubblicate sul suolo romeno.
Si sono cercate le opere già elencate dalla Dell’Isola e qui vengono sintetizzate e descritte, ma anche
altre opere.
Una prima sezione del capitolo offre una sintesi degli studi compiuti su Carducci da Ramiro
Ortiz, primo docente di letteratura italiana a Bucarest e fondamentale divulgatore dell’italianistica in
Romania nella prima metà del Novecento. La sua prima lezione di letteratura italiana, il 20 novembre
1909, ebbe come tema Della figurazione storica del Medio Evo italiano nell’opera di Giosuè
Carducci e fu solo il primo di diversi interventi da lui tenuti sul Nostro nell’ateneo romeno, pubblicati
poi sulla rivista Roma di Ramiro Ortiz. Abbiamo avuto la possibilità di leggere e di riproporre in
italiano in questa parte del nostro lavoro il corso tenuto da Ortiz a Bucarest nell’anno accademico
1919-1920, di cui la Dell’Isola sintetizza solamente l’ultima lezione.
Una seconda sezione del capitolo ripercorre in ordine cronologico le principali traduzioni di
Carducci reperibili in Romania. Là dove è stato possibile si sono riprodotti i testi ed eventuali note di
traduzione, fornendo sempre l’originale di Carducci per effettuare un confronto col testo romeno.
Prime fra tutti spiccano le traduzioni di Duiliu Zamfirescu e soprattutto quella dell’ode Alle fonti del
Clitumno, pubblicata nel 1895 e custodita a Casa Carducci; inoltre abbiamo traduzioni anche di
Octavian Goga e Pimen Constatinescu, nonché di Ștefan Octavian Iosif e di Heinric Frollo.

7
L’ultima parte del capitolo analizza, a mo’ d’esempio, come temi carducciani siano stati
sviluppati nella letteratura romena: se Eminescu illustra alcuni stessi temi propri del Carducci (e su
questo si citano studi di Ramiro Ortiz, Napoleone Crețu e dell’italiano Giuseppe Minnitta), Duiliu
Zamfirescu scrive poesie imitando Carducci e tentando di riprodurre in romeno il metro barbaro
carducciano; infine, Octavian Goga segue Alle fonti del Clitumno per comporre l’ode Oltul [L’Olt] di
cui forniamo testo, traduzione e un’analisi che mette in parallelo il testo romeno con quello del poeta
maremmano.
Precisiamo ancora che in questo nostro lavoro si è tenuto conto del materiale reperibile
sull’argomento in Italia e dall’Italia, rimandando ad una fase successiva della ricerca tutta quella
possibile documentazione attualmente conservata negli archivi romeni.

Legenda delle abbreviazioni in nota:

OEN = Giosue Carducci, Edizione Nazionale delle Opere, Zanichelli, Bologna,


1935-1940, 30 volumi.
L = Giosue Carducci, Lettere, Zanichelli, a cura di Manara Valgimigli,
Bologna, 1938-1968, 22 volumi.

8
CAPITOLO I

LA STORIA CIVILE E LETTERARIA DELLA ROMANIA


FRA OTTOCENTO E NOVECENTO

1.1 Introduzione

Per poter meglio inquadrare la ricezione dell’opera di Giosue Carducci nel panorama culturale
e letterario romeno è necessario avere conoscenza di quelle che sono essenziali coordinate storiche e
culturali dell’attuale Repubblica di Romania. Questo capitolo si suddivide in due paragrafi. Dopo
aver dato conto di alcuni cenni di lingua romena e aver fornito alcuni contenuti storici del periodo
antico, medievale e moderno, il primo paragrafo ripercorre la storia civile e politica della Romania
fra XIX e XX secolo.
Il secondo paragrafo, invece, sintetizza i contenuti e le opere dei principali movimenti culturali
romeni dagli inizi dell’Ottocento al 1938, mettendo in evidenza gli autori più importanti e i titoli delle
opere principali pubblicate. Per quanto riguarda l’excursus storico ci fermeremo alle soglie della
seconda guerra mondiale, termine ultimo dopo il quale la ricezione dell’opera carducciana in
Romania sembra perdere vigore; anche la trattazione di autori e scuole poetiche romene si esaurisce
con l’inizio del periodo delle dittature, un contesto politico e letterario molto particolare e lontano
dall’argomento di cui intendiamo trattare.

1.2 Storia della Romania dal dominio asburgico all’inizio del periodo delle dittature

1.2.1 Alcune precisazioni preliminari

La lingua romena è una lingua neolatina, “parlata oggi, principalmente a nord del Danubio, da
circa 26.000.000 di persone, sui territori delle attuali Romania e Repubblica di Moldavia e zone
limitrofe”.1 Questa lingua è la naturale evoluzione del latino popolare parlato dalla popolazione del
basso Danubio nei primi secoli del primo millennio dopo Cristo e lì diffusosi durante la dominazione
romana, iniziata ad opera di Traiano.

1
Ion Bulei, Breve storia dei Romeni, Edizioni dell’Orso, Alessandria, 1999, p. 39.

9
Sia morfologicamente che sintatticamente, la base linguistica è il latino con una influenza non
esattamente definibile dell’elemento autoctono. Le declinazioni, la comparazione, i pronomi, i
numerali, gli avverbi, le preposizioni e congiunzioni, le coniugazioni e le più importanti costruzioni
sintattiche sono di formazione latina.
Per quanto riguarda il lessico, dal latino derivano i vocaboli più comuni e più corretti dalla vita
giornaliera, alla natura e i suoi fenomeni, dall’abitazione, alla religione, la vita e la morte. L’influsso
più importante nel lessico fu esercitato dallo slavo, seguito da quello greco.2
Quando è nata la lingua romena? Se delle altre lingue neolatine abbiamo delle precoci
attestazioni della loro origine, “in pratica, escludendo singole parole, toponimi o antroponimi, e la
discussa espressione torna, torna, fratre, la prima attestazione della lingua romena è la breve lettera
del boiaro3 Neacșu al jude di Brașov, Hans Benkner, datata 1521, che presenta una lingua ormai
completamente formata”.4
I territori che attualmente compongono la repubblica semipresidenziale della Romania sono
stati oggetto, nel corso dei secoli, di numerose invasioni e conquiste. Dopo la rinuncia dei romani alla
Dacia nel 271, si è potuta stabilire l’esistenza, a nord del Danubio, di aree di cultura differente: la
Transilvania, la Moldavia, la Muntenia e l’Oltenia. La popolazione tornò dapprima ad uno stile di
vita agro-pastorale, poi feudale.
Georges Castellan sintetizza:

Quale che sia la teoria accettata, la storia della regione carpatico-danubiana dal IV al X secolo rimane molto
oscura. Gli storici romeni a tal proposito parlano di periodo pre-feudale durante il quale, in assenza di
un’autorità statale duratura, le popolazioni della regione vivevano in comunità rurali più o meno autonome.5

Dopo questo iniziale periodo di strutturazione della società romena antica abbiamo una lunga
fase della storia dei territori romeni caratterizzata da numerose invasioni di popoli vicini e di
importanti potenze europee e mediorientali. Nel X secolo d.C. si ebbe l’invasione ungherese della
Transilvania; i territori al di qua dei Carpazi, invece, subirono altre invasioni: per primi i peceneghi
(intorno al 900), poi gli udi (1065 circa), i cumani (fino al 1241) e infine i tartari, che arrestarono
l’espansione ungherese verso oriente. Tra il corso del basso Danubio, il Delta e il Mar Nero troviamo
una formazione politica vassalla dell’Impero bizantino, separata dallo stato bulgaro, chiamata
Dobrugia. L’organizzazione feudale dei territori romeni continuò più o meno influenzata dal regno
d’Ungheria e ha permesso la conservazione dell’individualità dei romeni, della lingua, della

2
Cfr. Gino Lupi, Storia della letteratura romena, Ed. Sansoni, Firenze, 1968, pp. 17-18, nota 1.
3
Il termine boiaro, tra il X e il XVII secolo, ma fino al XX secolo in Romania, indicava un membro dell’alta aristocrazia
feudale russa e rumena, che per potere e influenza era inferiore solo ai principi regnanti (cfr. Geroges Castellan, Storia
del popolo romeno, Argo, Lecce, 2011, p. 439).
4
Ion Bulei, Breve storia dei Romeni, cit., p. 38, nota 6.
5
Geroges Castellan, Storia del popolo romeno, Argo, Lecce, 2011, p. 33.

10
tradizione, della cultura loro proprie. Intanto l’unificazione, nel XIV secolo, di vari organismi politici
(voivodati, knezat, “regioni”) esistenti fra i Carpazi e il Danubio, dette vita allo stato feudale della
Valacchia (o Muntenia) che con la Transilvania e la Moldavia sarà una delle regioni storiche della
Romania.
Dalla seconda metà del XIV secolo in poi fecero la loro comparsa i turchi ottomani che rimasero
sul suolo romeno fino agli inizi dell’Ottocento. I turchi invasero la Dobrugia (1484), la Valacchia
(1462) e la Moldavia (1484). Gli obblighi di questi territori nei riguardi della Sublime Porta passarono
dal tributo alla dominazione. Diversa sorte ebbe la Transilvania, dapprima inglobata nel regno
d’Ungheria, poi, dopo l’ingresso a Buda delle truppe turche (1541), conquistata dall’impero turco.
Sotto la dominazione turca, le relazioni tra Valacchia, Moldavia e Transilvania crebbero. “Su una
base di interessi comuni – scriveva Nicolae Iorga – la prima unificazione dei romeni ebbe luogo,
quando ancora nella mente degli intellettuali questa idea non aveva preso forma”.6
Nei secoli XVI e XVII nessuno metteva in discussione la dominazione ottomana sui Principati
Romeni. Solo fra il 1599 e il 1600, Valacchia, Moldavia e Transilvania si trovarono unite sotto un
unico scettro grazie all’opera di Michele il Bravo. Michele iniziò la sua azione anti-ottomana fin dal
1593, quando salì sul trono della Valacchia. Riuscì a diventare padrone della Transilvania nel 1599 e
nel 1600 della Moldavia. Ad opera della Polonia, dell’Impero ottomano e dell’Impero asburgico la
sua formazione statale crollò nel 1600. Questa esperienza politica suscitò grande fascino nelle
generazioni romene dei secoli successivi.
Alla fine del XVII secolo, il quadro politico mutò radicalmente. Nel 1683 si arrestò, nei pressi
di Vienna, l’espansione ottomana in Europa, mentre invece continuavano ad avanzare gli Asburgo.
La Transilvania venne subordinata all’Impero asburgico il 14 dicembre 1691, con il ‘Diploma
leopoldino’; i Principati Danubiani (Valacchia e Moldavia), invece, cercavano di liberarsi dal
vassallaggio ottomano stringendo alleanze e negoziati con Vienna e Mosca.
Nei Principati Danubiani gli ottomani, che non riponevano più fiducia nei principi locali dopo
i vari tentativi di alleanze con l’Austria e la Russia, decisero di nominare i principi fra i dragomanni
greci del Fanar (un quartiere di Costantinopoli). Ebbe così inizio dal 1711 in Moldavia e dal 1716 in
Valacchia il regime fanariota che durò fino al 1821;7 con la morte dell’ultimo principe Alexandru
Suțu, la rivoluzione greca dell’Eteria e quella romena di Tudor Vladimirescu (1780-1821) questo
periodo della storia romena è ritenuto concluso.

6
Nicolae Iorga in Ion Bulei, Breve storia dei Romeni, cit., p. 67.
7
Cfr. Geroges Castellan, Storia del popolo romeno, cit., pp. 91-114.

11
“Sorte diversa” – specifica il Lupi nella sua letteratura – “ebbe in quest’epoca la Transilvania,
unita all’impero austro-ungarico dopo la pace di Carlovitz (1699)”8 che portò vantaggi culturali ma
non certo economici.

Per un apparente paradosso fu il XVIII secolo, quello della dominazione dei fanarioti e degli Asburgo, che
generò la decisiva presa di coscienza. Sollecitati dalle guerre della Russia e dell’Austria, dal 1772 i boiari
dei principati osarono sottoporre alle potenze il problema dell’indipendenza della Moldavia e della
Valacchia, mentre in Transilvania il vescovo uniate Inocențiu Micu Klein reclamava dal despotismo
illuminato l’uguaglianza di trattamento per le sue pecorelle romene. Entrambe le rivendicazioni si
fondavano sull’idea della romanità, che diventava così una ideologia politica, mentre l’evoluzione sociale
permetteva la formazione di una piccola casta, intellettuali e mercanti, che avrebbero fatto suo questo
credo.9

È in quest’ultimo periodo della storia romena, a cavallo fra XVIII e XIX secolo, che abbiamo
un risveglio nazionale tale da dar vita al cosiddetto ‘risorgimento rumeno’10 e che culminerà con
l’unità della nazione Romena nel 1862.
Da questo momento è utile, ai fini della nostra argomentazione, soffermarsi con più attenzione
sugli eventi storici, cercando di comprendere cosa avvenne prima nei principati di Moldavia,
Valacchia e Transilvania, poi nel regno di Romania, arrestando il nostro excursus nel 1940, con
l’inizio del periodo delle dittature.

1.2.2 I territori romeni fino alla rivoluzione del 1848

Il nuovo dominio asburgico in Transilvania, provincia storica romena unita all’impero austro-
ungarico nel 1699, aveva bisogno di alleati al fine di modificare i rapporti di forza all’interno del
Principato a sfavore della nobiltà protestante. Cominciò dunque una serie di trattative miranti
all’unione della Chiesa ortodossa con quella cattolica che approdò ai Diplomi leopoldini (1699 e
1701). Anche se le disposizioni del secondo Diploma non furono mai applicate, i romeni uniti ebbero
la possibilità di vedersi aperte le porte delle scuole e dello spirito europeo: “se nel XVII secolo gli
intellettuali romeni di origine transilvana erano solo l’11,2% rispetto al 40% di Moldavia e Bassarabia
e al 36,4% della Valacchia, nel XVIII secolo la percentuale di Transilvania e Bucovina salì al 49%”.11
Andò così formandosi una nuova élite culturale e politica dei romeni transilvani. È in questo
periodo che possiamo trovare l’opera di Inocențiu Micu Klein, un vescovo unito (1729-1751), che
ebbe il merito, oltre ad aver tentato di far valere i diritti dei popoli della Transilvania sugli Asburgo,
di aver fondato il centro ecclesiastico-culturale di Blaj.

8
Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., p. 30.
9
Geroges Castellan, Storia del popolo romeno, cit., p. 136.
10
Cfr. Nicolae Iorga, Breve storia dei Rumeni, Lega di Cultura Rumena, București, 1911, p. 149.
11
Cfr. Ion Bulei, Breve storia dei Romeni, cit., pp. 79-80.

12
Con la dominazione asburgica cominciò in Transilvania il processo di modernizzazione in
campo agricolo, minerario, manifatturiero, ma anche nell’organizzazione istituzionale. L’avvio di
queste riforme contribuì alla presa di coscienza politica delle nazionalità che componevano l’Impero
che procedeva in parallelo al risveglio nazionale.
È del 2 novembre 1784 la rivolta dei contadini romeni, guidata da Holea, Cloșca e Crișan che
chiedevano un rovesciamento del sistema feudale fino ad allora imposto. La rivolta fu sedata nel
sangue, ma questo evento segnò l’inizio di un impegno da parte degli intellettuali romeni per la causa
nazionale. L’élite intellettuale del periodo elaborò il Supplex Libellus Valachorum (1791) da
presentare al sovrano: “ben costruito e fondatamente argomentato, il Supplex fu il primo programma
nazionale dei romeni”,12 ma “non ottenne – sintetizza Gino Lupi – miglior risultato di fronte alla
decisa ostilità della Dieta”.13
I Principati Danubiani, invece, vedevano da un lato indebolirsi il potere della Sublime Porta,
dall’altro crescere l’influenza della Russia.
Nel 1806 cominciò la guerra russo-turca che si svolse sui territori dei Principati e terminò con
le trattative di pace di Bucarest del 1811-1812. Il trovarsi in un territorio così conteso fece svegliare
nell’élite locale l’idea che la soluzione migliore per i Princpati Danubiani fosse diventare stati-
cuscinetto neutrali tra Russia, Austria e Impero ottomano. Questa idea, nata alla fine del XVIII secolo,
guadagnò terreno dopo il 1812: nei programmi politici di quell’anno era prevista l’autonomia dei
Principati (l’allontanamento dei fanarioti e il ritorno ai vecchi privilegi) ma non la loro indipendenza.
Questo fu l’obiettivo, ad esempio, della rivolta capeggiata da Tudor Vladimirescu nel 1821 a cui già
abbiamo fatto cenno.14
Il movimento di Tudor fu sconfitto ma come evidenzia Castellan “malgrado il fallimento,
l’operazione [di Vladimirescu] ebbe conseguenze importanti: segnò la fine del regime fanariota e gli
storici romeni fanno cominciare da questo momento l’epoca moderna della Romania”.15
Una delegazione di boiari di Valacchia e Moldavia ottenne da Istanbul la restaurazione dei
principati nazionali, anche se questi territori tornarono ad essere teatro dello scontro russo-turco
(1827); la Valacchia e la Moldavia passarono così sotto il protettorato russo. L’occupazione russa
portò con sé i due Regolamenti organici che hanno condotto alla riorganizzazione della vita politica.
“Paradossalmente – scriveva Georges Castellan – lo zar della Santa Alleanza fu l’artefice della
modernizzazione degli stati romeni”.16

12
Ivi, p. 83.
13
Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., p. 31.
14
Cfr. Ion Bulei, Breve storia dei Romeni, cit., pp. 83-86.
15
Cfr. Georges Castellan, Storia del popolo romeno, cit., p. 146.
16
Georges Castellan in Ion Bulei, Breve storia dei Romeni, cit., pp. 87-88.

13
“L’occupazione russa e il Regolamento costituirono quindi per la Moldavia e la Valacchia un
importante passo sulla via dell’unità, che la Russia fece di tutto per promuovere in vista di una futura
completa annessione”:17 concentrarono il potere nelle mani dei grandi boiari, introdussero il principio
della separazione dei poteri dello stato, abolirono il monopolio delle corporazioni, introdussero
l’imposta unica e diedero vita a una struttura istituzionale moderna. Con il Trattato di Adrianopoli
(1829) fu abolito il monopolio turco sul commercio e i paesi danubiani entrarono così in contatto con
l’Occidente: gli scambi commerciali con Francia, Inghilterra e Austria resero necessario un
adeguamento delle istituzioni pubbliche e del sistema politico romeno con quello occidentale.
Si aprì così un periodo di novità per i principati danubiani: aumentò il numero delle città,
migliorarono i trasporti, mutarono le mode nell’abbigliamento e nel cibo. Significativo è l’aumento
esponenziale del numero dei boiari che entrarono in conflitto con i grandi boiari storici; nello stesso
tempo cominciò a manifestarsi con vivacità sempre maggiore una classe borghese, formata da
mercanti, artigiani, intellettuali e funzionari.
In questo periodo è possibile scorgere un mutamento anche delle ideologie, della cultura e
dell’istruzione: vennero istituzionalizzati gli insegnamenti in lingua romena nei licei e nelle
Università di Iași e Bucarest; i giovani si recano in numero sempre maggiore a studiare in Occidente;
nel 1829 iniziano ad apparire giornali in lingua romena e nel 1838 il primo quotidiano in rumeno
(«Rumânia») apparve a Bucarest. Dopo il 1830 si sviluppò il teatro in lingua romena e nel 1852 fu
costruita nella futura capitale una grande sala teatrale.
Siamo così giunti alle soglie del 1848, anno fondamentale per la storia europea e per la storia
della Romania.

1.2.3 La generazione del 1848 e la rivoluzione romena

In questi anni emerge la cosiddetta ‘generazione del 1848’, “una generazione di giovani, tutti
intorno ai trent’anni, legata all’analoga generazione europea attraverso le organizzazioni massoniche,
fu la promotrice di mutamenti innovatori all’interno della società romena”.18 Nei Principati, ma anche
in Transilvania, cominciarono a fare la loro comparsa società segrete e non: la Società Filarmonica,
il Partito Nazionale, la Società Letteraria, la Fratellanza, l’Associazione Letteraria, la Costituzione,
la Società Nazionale Romena di Pest. Nel 1861 venne creata in Transilvania l’Associazione
Transilvana per la Letteratura Romena e la Cultura del Popolo Romeno (ASTRA), che svolse un
ruolo importante nel movimento nazionale dei romeni transilvani.

17
Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., p. 23.
18
Ion Bulei, Breve storia dei Romeni, cit., p. 92.

14
Questa generazione di inizio Ottocento preparò la rivoluzione che avvenne a metà del secolo:
gli echi della rivoluzione parigina di febbraio e di Vienna del marzo 1848 furono avvertiti anche nei
territori romeni. “La Transilvania, da parte sua, risentì direttamente dell’impatto della rivoluzione di
Vienna con la caduta di Metternich. Così, sotto forme e gradi diversi, tutti i Paesi romeni vennero a
contatto con la Primavera dei Popoli”.19
I nazionalisti di Iași promossero fra il 28 marzo e l’8 aprile 1848 una petizione al principe
Sturdza, reclamando la libertà secondo il modello francese; il movimento venne schiacciato con
brutalità.
Una rivoluzione vera e propria si ebbe in Valacchia, grazie all’intervento dei fratelli Brâtianu
e Golescu. Questi, assieme ad altri intellettuali romeni, elaborarono un programma di rivoluzione sul
modello dei moldavi, “con in più la rivendicazione, da parte dei rivoluzionari di Bucarest,
dell’emancipazione dei contadini e dell’assegnazione di terre in proprietà, dell’abolizione del
protettorato straniero – cioè russo –, dell’elezione di un principe per cinque anni e dell’emancipazione
degli ebrei e degli zingari”.20
Questo programma fu letto a Izlaz fra il 9 e il 21 giugno 1848; il 23 giugno il principe
Gheorghe Bibescu (1842-1848) firmò un progetto di Costituzione comprendente tutte queste
rivendicazioni, ma abdicò appena due giorni dopo. Venne creato un governo rivoluzionario che resse
il paese per più di un mese; dopo varie trattative con russi e turchi, le truppe avversarie entrarono
prima in Moldavia, poi in Valacchia, sbaragliando Bucarest nel settembre 1848.
In Transilvania, il risveglio nazionalistico portò ad una forte opposizione del progetto di
inserire l’ungherese come lingua ufficiale: la presa di coscienza nazionale romena diventò un
fenomeno di massa, attraverso la scuola, la chiesa e la stampa. Il 15 maggio 1848, indipendentemente
dalle differenze confessionali, tutti aderirono al programma politico formulato da Simion Bârnuțiu
(1808-1864) che prevedeva “la parità dei diritti dei romeni con quelli delle altre nazioni di
Transilvania, la rappresentanza proporzionale in tutti gli ambiti della vita pubblica, il carattere
ufficiale della lingua romena etc”.21 Il vero scontro fra romeni e ungheresi si ebbe però sulla proposta
ungherese di annettere pienamente la Transilvania all’Ungheria. I leader romeni chiedevano il
riconoscimento dei loro diritti nazionali, conditio sine qua non per qualsiasi collaborazione. La Dieta
di Cluj votò, il 29 maggio 1848, l’unione della Transilvania con l’Ungheria, sancita dall’imperatore
Ferdinando I il 10 giugno.
I Romeni passarono così all’organizzazione di un esercito per respingere questa decisione: un
accordo fra Avram Iancu, capo di quest’esercito, e Lajos Kossuth permise ai romeni di veder

19
Georges Castellan, Storia del popolo romeno, cit., p. 150.
20
Ion Bulei, Breve storia dei Romeni, cit., p. 94.
21
Ivi, p. 95.

15
riconosciuti dei diritti nazionali. Il 19 luglio, però, l’armata zarista entrava in Transilvania,
costringendo i rivoluzionari ungheresi a capitolare a Șiria (13 agosto 1849).22

1.2.4 Dalla rivoluzione del 1848 alla guerra per l’unità nazionale

Con la sconfitta della rivoluzione in Transilvania si ebbe un ritorno del regime asburgico e
l’unica conquista durevole fu l’abolizione dei vincoli feudali. Negli altri due Principati ritornarono a
occupare i territori i Turchi, i Russi e gli Austriaci fino al 1856. In questo periodo lo sviluppo
capitalistico seguì una curva dinamica in continua ascesa. In Moldavia e in Valacchia si aprirono
ampie prospettive di sviluppo economico e tra il 1850 e il 1863 furono create quasi ottomila imprese.23
Si ebbe inoltre un notevole miglioramento delle tecniche produttive grazie all’impiego delle
macchine, all’introduzione dell’insegnamento tecnico-industriale, alla creazione delle scuole di arti e
mestieri di Iași e Bucarest e all’apparizione di una editoria e di una letteratura specializzata in studi
economici. “Per la prima volta nella loro storia, la Moldavia e la Valacchia parteciparono ad una
manifestazione internazionale di carattere economico, l’Esposizione universale dell’industria e del
commercio di Londra”.24
Dal canto loro gli esuli romeni, intellettuali ben preparati e attivi al di fuori dei Principati
occupati, riuscirono a far diventare la questione romena una questione europea anche grazie agli
eventi storici dell’Europa dell’epoca, certamente favorevoli alle cause romene.
Dopo la guerra di Crimea (1853-1855) e col congresso di Parigi (1856) ebbe termine il
protettorato russo sui Principati. Al congresso di Parigi fu deciso di chiedere il parere dei Principati
su quale fosse, a loro avviso, la decisione migliore per i territori romeni; i due Divani25 eletti per
l’occasione presentarono le medesime richieste, come ricorda Ion Bulei

autonomia e neutralità dei due Principati, la loro unione in un unico stato, la Romania, retto da un principe
ereditario, straniero e proveniente da una delle famiglie regnanti europee (escluse quella russa e austriaca),
un governo rappresentativo e costituzionale e la garanzia collettiva delle sette grandi potenze europee.26

La Conferenza di Parigi (1858) previde alcuni enti governativi in comune, ma ciascun paese
doveva avere principe, governo e Parlamento propri. Sfruttando però il fatto che la Convenzione di
Parigi, pur prevedendo distinti Principati, non specificava che dovessero essere governati da autorità

22
Cfr. Ivi pp. 95-97; Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., pp. 34-35; Nicolae Iorga, Breve storia dei Rumeni,
cit., pp.139-141.
23
Cfr. Ion Bulei, Breve storia dei Romeni, cit., pp. 100-105.
24
Ion Popescu-Puturi, Augustin Deac (a cura di), Romania 1918, Editori Riuniti, Roma, 1972, p. 116.
25
Divan: «Consiglio del governo, in particolare quello del sultano». Georges Castellan, Storia del popolo romeno, cit., p.
439.
26
Cfr. Ion Bulei, Breve storia dei Romeni, cit., p. 101.

16
diverse, i romeni dei due paesi trovarono una felice soluzione eleggendo entrambi lo stesso principe
nella persona di Alexandru Ioan Cuza (5/17 gennaio 1859 in Moldavia e 24 gennaio/5 febbraio 1859
in Valacchia).
Cuza discendeva da una vecchia famiglia di boiari moldavi. Studiò a Parigi, dove frequentò il
Circolo rivoluzionario riunito intorno a Michelet, poi partecipò alla rivoluzione del 1848 in Moldavia.
Dopo un breve esilio, rientrò a Iași dove prestò servizio nell’esercito del principe. Nel 1858 ne
divenne il comandante in capo con il grado di colonnello. Senza precisi legami politici, aveva la fama
d’essere liberale e faceva parte della massoneria. La doppia elezione fu accettata senza resistenze.
“Fino ad allora molto defilato, il principe Cuza, durante i sette anni del suo regno, gettò le basi della
vita politica, economica, sociale e culturale della Romania moderna”.27
Il 2 dicembre 1861 la Sublime Porta riconobbe l’unione politica e amministrativa dei due paesi,
così Cuza, fra il 24 gennaio e il 5 febbraio 1862, poté aprire a Bucarest (d’ora in poi capitale) le sedute
del primo Parlamento di Romania (da questo momento nome ufficiale dello stato).

Bucarest divenne una città aperta a tutte le correnti del pensiero, della scienza e dell’arte d’Europa. Ma
questo scenario moderno nascondeva campagne sovrapopolate, una classe contadina arretrata che pagava
con il suo tenore di vita le impressionanti esportazioni di grano, un’industria debole malgrado lo sviluppo
del petrolio, comunque insufficiente per soddisfare i bisogni del proletariato rurale. 28

Grazie a Cuza fu recuperato un quarto del territorio nazionale, precedentemente in possesso dei
monasteri del Monte Athos, della Terra Santa e del Monte Sinai e del Patriarcato di Costantinopoli;
inoltre, grazie alla legge del 14 agosto 1864,29 più di mezzo milione di famiglie divenne proprietario
di due milioni di ettari di terreno, facendo diventare le terre proprietà dei braccianti che fino ad allora
le avevano solo lavorate.
Le sconfitte subite dall’impero asburgico nelle guerre contro Francia e Piemonte (1859)
determinarono Francesco Giuseppe a rinunciare al sistema amministrativo assolutista: con il Diploma
d’Ottobre inaugurava l’era liberale e la Transilvania riacquistò istituzioni politiche proprie. Dopo la
sconfitta da parte della Prussia e dell’Italia (1866), però, l’Austria spartì con la nobiltà ungherese il
governo dell’Impero a danno degli altri popoli, annullando così l’autonomia della Transilvania,
accentuando la politica di snazionalizzazione cominciata già all’epoca del riformismo liberale
anteriore al 1848.30
Nel 1866 Cuza abbandonò il trono. Con l’aiuto di Napoleone III, interpellato dal primo ministro
Ion Brătianu, fu possibile nominare principe di Romania Carlo di Hohenzollern-Sigmaringen, che

27
Georges Castellan, Storia del popolo romeno, cit., p. 164.
28
Ivi, p. 163.
29
Cfr. Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., p. 37.
30
Cfr. Ion Bulei, Breve storia dei Romeni, cit., pp. 103-105.

17
all’epoca aveva 27 anni. Durante il suo regno la Romania riuscì ad avere una nuova Costituzione,
modellata sulla costituzione belga del 1831. La presenza sul trono di Carol I per mezzo secolo garantì
una stabilità politica che, a sua volta, favorì un fruttuoso lavoro legislativo, istituzionale e la nascita
di numerosi partiti democratici.

La Costituzione del 1866 rimase in vigore fino al 1938, con alcune modifiche, tra le quali la più importante
fu quella del 1923, occasione in cui si parlò addirittura di una nuova costituzione. Sotto Carol I il Paese fu
governato, di volta in volta, dal Partito Liberale o dal Partito Conservatore, i due partiti fondati
ufficialmente nel 1875 e nel 1880, ma di fatto preesistenti, ai quali si era affiancato dal 1908 il Partito
Conservatore Democratico.31

Grazie all’azione di Carol I fu possibile dichiarare la piena indipendenza della Romania (1877),
nonostante il Congresso di Berlino del 1878 concesse alla Russia, uscita vittoriosa dal breve conflitto
russo-ottomano dello stesso anno, i distretti di Cahul, Bolgrad e Ismail e quindi uno sbocco sul delta
del Danubio. Venne affrontata, su istanza del Congresso, la delicata questione della concessione della
cittadinanza agli ebrei che fu risolta in via definitiva solo nel 1919, alla fine della prima guerra
mondiale.32
Dopo l’indipendenza, “il Parlamento romeno nel marzo 1881 innalzò a Regno la Romania e il
10 maggio dello stesso anno il principe Carol e la consorte Elisabetta furono solennemente
incoronati”.33 In questi anni la Romania assunse sempre più visibilmente un aspetto europeo
moderno, con una esportazione di prodotti agricoli che era la terza in Europa anche se il tenore di
vita, in miglioramento nelle città, peggiorava sempre di più nelle campagne, tanto da portare a delle
rivolte nel 1888 e nel 1907. La vita politica continuò a svilupparsi secondo il modello parlamentare
occidentale. I partiti politici – Partito conservatore e Partito liberale –, ormai organizzati, erano i
portavoce di categorie sociali distinte: grandi proprietari terrieri sostenuti dalla Chiesa per il primo
partito, borghesia d’affari e funzionari per quanto riguarda il secondo.
Nel 1883 la Romania dichiarò la sua adesione alla Triplice Alleanza formata da Germania,
Austria-Ungheria e Italia che resistette fino al 1914. Lo stato romeno prosperava: i vecchi principati
oppressi da dominazioni straniere erano diventati un Regno organizzato secondo i principi della
monarchia costituzionale e un partner apprezzato in Europa. Questo Regno, appena nato, fu un polo
di attrazione per i romeni rimasti al di fuori dei suoi confini. Rimaneva imperante il problema della
Transilvania, apparentemente risolto con l’adesione della Romania alla Triplice Alleanza.34
Nel 1868 i romeni si radunarono ancora a Blaj chiedendo lo statuto autonomo della
Transilvania, dando vita negli anni a partiti propri e stringendo legami con gli uomini politici del

31
Ivi, p. 107.
32
Cfr. Ivi, pp. 108-111.
33
Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., p. 132.
34
Cfr. Ibid.

18
Regno della Romania. I romeni di Transilvania furono appoggiati nella loro azione dall’opinione
pubblica di tutto il Regno e ribadendo un orientamento sempre più deciso verso la Romania, che ha
portato alla nascita di un gruppo di ‘irriducibili’, guidati da Octavian Goga, futuro uomo politico della
Grande Romania. La posizione dei romeni si fece più salda anche grazie all’appoggio che cominciò
ad accordare l’erede al trono Francesco Ferdinando, sostenitore dell’organizzazione federale
dell’Impero, che visitò la Romania nel 1909.35
In Bucovina, nonostante le autorità austriache favorissero l’immigrazione di altri popoli per
diminuire la maggioranza romena, “la coscienza nazionale dei romeni si fece strada in mezzo ai
compromessi con il governo asburgico e le incomprensioni tra i gruppi politici e i partiti […] e senza
l’energia militante con cui si manifestò in Transilvania”.36
In Bessarabia, invece, i romeni continuarono a rimanere maggioritari, ma le loro possibilità di
movimento nazionale furono soffocate sul nascere dall’amministrazione russa:

La coscienza nazionale romena, nonostante tutti gli ostacoli che incontrò sulla strada della propria
affermazione, era, all’epoca in cui scoppiò la prima guerra mondiale, una realtà. Sia che si trovassero
all’interno di uno stato proprio, come i romeni del Regno, sia che si trovassero all’interno degli Imperi
vicino ad esso, i romeni costituivano una nazione. La speranza nutrita da molti di creare uno stato nazionale
unico rimaneva però in balia degli eventi, che i romeni potevano provocare ma non potevano controllare.37

1.2.5 La guerra per l’unità nazionale

Quando nel 1914 scoppiò la prima guerra mondiale, la Romania dichiarò la propria neutralità
liberandosi dagli obblighi della Triplice Alleanza. Il 10 ottobre 1914 morì Carol I e gli succedette il
nipote Ferdinando che riconfermò la neutralità, anche se le numerose offerte, sia da parte degli Imperi
Centrali, sia da parte dell’Intesa facevano orientare l’interesse del Paese verso quest’ultima. L’Intesa,
in particolare, offriva alla Romania, qualora si fosse alleata nel conflitto, tutti i territori austroungarici
abitati dai romeni.
Nel giugno 1916 cominciò una nuova offensiva russa in Galizia. Su pressione degli Alleati,
dopo aver firmato le trattative a Bucarest nell’agosto 1916, che univano lo stato romeno alla Francia,
Gran Bretagna e Russia, la Romania entrò in guerra dopo dieci giorni con la promessa del
riconoscimento di tutti i territori abitati dai romeni. Il 15 agosto 1916 la Romania dichiarò guerra
all’Austria-Ungheria, ma le mosse politiche e militari furono disastrose: il 23 novembre l’esercito
austro-ungaro-tedesco entrò a Bucarest, mentre il governo e tutte le autorità si ritirarono a Iași in

35
Cfr. Ion Bulei, Breve storia dei Romeni, cit. pp. 113-120.
36
Ivi, p. 121.
37
Ivi, p. 122.

19
Moldavia. Qui nel 1917 fu modificata la Costituzione e in quell’anno la Romania, che aveva
rinvigorito le sue forze, ottenne numerose vittorie militari sui russi fino alla firma dell’armistizio,
proposto ai tedeschi dai russi il 20 novembre 1917. La Romania fu costretta ad aderirvi e il 26
novembre 1917, con l’armistizio di Focșani, le operazioni militari cessarono. Le condizioni di pace,
fissate nel 1918, per la Romania furono disastrose condannando il Paese alla paralisi militare e
diplomatica.38
Nel 1918 la guerra terminò nell’Europa occidentale ma non in quella orientale. La sconfitta
militare portò alla dissoluzione degli Imperi Centrali, con la trasformazione dell’impero austro-
ungarico in stato federale. I Romeni di Transilvania ebbero così la possibilità di autodeterminarsi: il
3 novembre 1918 i rappresentanti del Partito Nazionale Romeno e del Partito Social Democratico
crearono il Consiglio Nazionale Romeno Centrale, che prese il controllo della Transilvania. Le
trattative con il governo ungherese portarono i romeni a convocare un’Assemblea nazionale dei
romeni di Transilvania ad Alba Iulia.
L’idea di convocare un’assemblea nazionale, che costituisse l’espressione dell’unanime volontà
di unire la Transilvani alla Romania, venne dai socialisti. Questa Assemblea, formata da 1128
deputati, sancì all’unanimità l’unione della Transilvania, del Banato, della Crișana e del Maramureș
con la Romania. La Bucovina, dal canto suo, espresse il desiderio di unirsi alla Romania e questo
avvenne il 28 novembre 1918. L’11 dicembre 1918 Ferdinando emanò un decreto che sanciva
l’unione, comprendente Transilvania, Bucovina e Bessarabia.39
I preparativi per far riconoscere l’unione dalla Conferenza di pace di Parigi iniziarono nel 1917
e furono presentati nel dicembre 1918: la Commissione territoriale riconobbe però solo l’unione di
Bessarabia e della Bucovina, mentre il Banato venne diviso tra Serbia e Romania, da nord a sud; i
confini con l’Ungheria furono decisi solo nel 1920 dopo violente lotte fra i romeni e gli ungheresi e
la firma del trattato del Trianon (4 giugno 1920).40

1.2.6 Dalla fine del conflitto all’inizio del periodo delle dittature

Come ricorda Georges Castellan

La nuova Romania nata dai trattati di pace aveva più che raddoppiato il suo territorio e la sua popolazione.
Gli storici di Bucarest la definiscono «Grande Romania unita». Di fatto, essa riuniva nelle sue frontiere
praticamente tutte le popolazioni romene ad eccezione dei valacchi balcanici, ma essa era anche cresciuta
del 30% di allogeni.41

38
Cfr. Ivi, pp. 123-130.
39
Cfr. Geroges Castellan, Storia del popolo romeno, cit, pp. 199-203.
40
Cfr. Ion Bulei, Breve storia dei Romeni, cit., pp. 133-135.
41
Geroges Castellan, Storia del popolo romeno, cit, p. 205.

20
Nel 1920 la «superficie della nuova Romania raggiunse i 295.049 Km2»42 e «per quel che
riguarda la popolazione […] contava 16.267.177 abitanti»:43 la popolazione rurale rappresenta, nel
1930, il 79,9% del totale, quella urbana il 20,1% con Bucarest come capitale e città più grande
(639.000 abitanti). “Il nuovo quadro territoriale avrebbe, da solo, sconvolto l’antica suddivisione delle
forze politiche”.44
Fu concesso il diritto all’emigrazione e all’immigrazione e si strutturarono nuovi punti di
riferimento sociali e politici; resistette il Partito Liberale, gli si affiancò il Partito Nazional-Contadino,
sparì invece il Partito Conservatore. Fu fondato il Partito Comunista Romeno nel 1921, che ebbe
scarso successo rispetto ai partiti di destra.
Il Paese, nel periodo interbellico, occupò il quinto posto a livello mondiale nella produzione
agricola e l’agricoltura sosteneva il mondo industriale, che non riusciva ad assorbire se non in minima
parte la popolazione agricola. Il tenore di vita crebbe anche se non proporzionalmente ai progressi
economici.
Il 75% della popolazione era ortodossa (nel 1925 fu eretto il Patriarcato Ortodosso di Romania),
esisteva una piccola percentuale greco-cattolica, mentre gli ungheresi erano sia cattolici che calvinisti
e i tedeschi cattolici e luterani. Nel 1927 una convenzione col Vaticano assicurò ai cattolici romeni
alcuni vantaggi, nonostante tutte le minoranze religiose godessero degli stessi diritti degli ortodossi
romeni, come previsto dalla Convenzione di pace di Parigi, dalla Costituzione romena e dalla legge
sulla nazionalità del 1924.
A livello di politica estera la Romania rinsaldò l’alleanza con Francia e Gran Bretagna, stipulò
i trattati di amicizia con Italia e Francia nel 1926, l’adesione al protocollo di Mosca del 1928-1929 e,
fra le altre cose, la costituzione nel 1934 dell’Intesa balcanica, allo scopo di tenere a freno la Bulgaria.
Tre quarti della popolazione rumena era, nel 1930, alfabetizzata, avendo triplicando il bilancio
dell’istruzione pubblica; furono istituite quattro università (Iași, Bucarest, Cluj e Cernăuți):

Una notevole fioritura conobbe anche la cultura in generale. Si affermò una generazione la cui identità non
era più determinata storicamente, com’era invece successo per le generazioni del 1848 e del 1918, votate
alla realizzazione dell’ideale nazionale. Si trattò, come l’ha definita Mircea Eliade, una delle figure chiave
di questa generazione, di una generazione culturale, che si aprì totalmente all’universalismo […].45

Questi anni furono comunque segnati da problemi dinastici piuttosto importanti. Nel 1925 il re
Ferdinando avanzava in età e la sua salute non era delle migliori. Carlo, erede al trono messo alle

42
Ion Bulei, Breve storia dei Romeni, cit., p. 137.
43
Ibid.
44
Geroges Castellan, Storia del popolo romeno, cit., p. 205.
45
Ion Bulei, Breve storia dei Romeni, cit., p.147.

21
strette dal padre, il re Ferdinando, dopo che quest’ultimo scoprì una sua relazione extraconiugale,
rinunciò al trono in favore del figlio Michele e se ne andò dalla Romania.
La decisione, presa sul finire del 1925, fu ratificata il 4 gennaio 1926. Alla morte di re
Ferdinando, il 20 luglio 1927, Michele, che aveva sei anni, divenne Mihai I, anche se un Consiglio
di Reggenza avrebbe detenuto il potere fino alla maggiore età dell’erede al trono. I contadini furono
i beneficiari della politica governativa e sul piano industriale si fece appello ai capitali esteri. Il crollo
di Wall Street del 1929, però, segnò la fine delle speranze. Dal 1930, la crisi mondiale si tradusse in
un crollo dei mercati agricoli, del grano in particolare.
Fu ordito uno stratagemma che permise a Carlo, figlio del vecchio re Ferdinando, di rientrare a
Bucarest e prendere le redini del Regno col nome di Carol II. “Per un decennio – scriverà Seton-
Watson – la storia della Romania è caratterizzata da gesti eclatanti e dalle manovre astute di
quest’uomo in contrasto con un grigio scenario di miseria contadina e di oppressione poliziesca”.46
Carlo, che aveva l’ambizione di essere il riformatore del suo paese, dette all’inizio prova di scaltrezza
e pazienza. Chiamò al potere in sette anni i principali capi partito che furono eliminati per volontà
del re, sicché all’inizio del 1938 egli aveva via libera per imporre il suo potere personale: fu la
dittatura reale.
Il 10 febbraio 1938 Carol destituiva Octavian Goga e metteva a capo del governo il patriarca
Miron Cristea.

La maggior parte dei leader politici rifiutarono di parteciparvi e denunciarono quella che è rimasta alla
storia come la «dittatura reale». In tutto il paese venne proclamato lo stato d’assedio, seguito, il 20 febbraio
1938, dalla pubblicazione di una nuova Costituzione, che riconosceva ufficialmente il primato del re. Questi
vedeva la sua autorità oltrepassare il campo legislativo e quello giudiziario, e ciò gli permetteva di ridurre
il Parlamento a una camera di registrazione delle ordinanze reali e di instaurare giurisdizioni eccezionali.
Il 31 marzo tutti i partiti e le associazioni furono sciolti e sostituiti, alla fine dell’anno, da un’organizzazione
unica, il «Fronte della rinascita nazionale» (FNR) […].47

La divisione amministrativa del paese venne modificata e i distretti, raggruppati in dieci regioni,
amministrati da residenti reali aventi ampi poteri. Sul piano sociale, gli operai e gli impiegati furono
organizzati in corporazioni.
Con l’ascesa al potere di Carol II inizia, secondo Ion Bulei, il ‘Periodo delle dittature’ che
attraverserà tutta la seconda guerra mondiale con il generale Ion Antonescu (1882-1946) e il periodo
successivo, con l’abdicazione del re (1947). Successivamente è possibile riscontrare la creazione delle
basi di un sistema stalinista (1948-1950), seguito dal governo di Gheorghiu-Dej (1948-1965) e infine

46
Hugh Seton Watson, Eastern Europe between the wars, 1918-1914, Archon Books, Hamden, Connecticut, 1962, pp.
203-204.
47
Geroges Castellan, Storia del popolo romeno, cit, p. 213.

22
quello di Nicolae Ceaușescu (1965-1989). Quest’ultima parte della storia della Romania interessa
meno al nostro lavoro.
La vita del Carducci (1835-1907) si snoda in pieno Ottocento e la ricezione della sua opera in
Europa e in Romania si colloca sul finire del XIX e i primi decenni del XX secolo. Quindi, per noi,
era fondamentale conoscere quali eventi coinvolgessero i territori romeni in quegli anni per riuscire
a comprendere su quale tessuto storico e culturale si collocasse l’ingresso del Nostro nella cultura
romena.

1.3 Storia della letteratura romena fra Ottocento e inizio Novecento

È nostra premura, a questo punto, fornire una struttura basilare della storia letteraria romena di
questo periodo, tralasciando, per le ragioni di cui sopra, la letteratura nel periodo delle dittature.
“La letteratura romena – sentenzia, senza avere l’accordo di tutta la critica, Gino Lupi – se per
letteratura si intende un complesso di originali creazioni artistiche, ha inizio soltanto col secolo XIX.
Tutto il periodo precedente fra il secolo XV e il XIX può interessare soltanto il filologo e lo storico e
può essere considerato come un lungo periodo delle origini”.48
Anche Ioan Guția ribadisce l’origine recente della letteratura romena, fornendo ulteriori
elementi per una periodizzazione più precisa:

La letteratura romena è molto più giovane delle letterature romanze occidentali e ha avuto uno sviluppo
diverso e molto più lento. In senso rigorosamente letterario, inizia soltanto nell’Ottocento, ma la sua
gestazione risale al Cinquecento, che col Seicento forma l’epoca antica, mentre il Settecento rappresenta,
in un certo senso, la transizione all’epoca moderna.49

Inoltre Ramiro Ortiz (1879-1947), docente di letteratura italiana a Bucarest, agli inizi del
Novecento, specifica:

L’antica letteratura romena sorge […] dai monasteri, soprattutto di Bucovina e di Transilvania, dove si
determinò un importante movimento di coltura slavo-bizantina da principio, il paleoslavo essendo la lingua
ufficiale della chiesa e delle corti, poi, a mano a mano, slava solo nelle forme esteriori (parlo anche delle
arti figurative), ma già nazionale e romena come ispirazione, e finalmente romena, pur con vestigi slavi,
anche nell’espressione formale.50

Fin da questo paragrafo specificheremo se gli autori trattati hanno avuto in un qualche modo
contatto con l’opera carducciana. Le varie forme di influenze del Carducci sui poeti e critici letterari

48
Gino Lupi, Storia della della letteratura romena, cit., p. 9.
49
Ioan Guția, Introduzione alla letteratura romena, Bulzoni, Roma, 1971, p. 5.
50
Ramiro Ortiz, Letteratura romena, Signorelli, Roma, 1941, p. 38.

23
romeni saranno approfondite nel terzo capitolo, ma già in queste pagine non sarà inutile ripercorrere
la sua presenza nel patrimonio culturale della Romania.

1.3.1 Dagli inizi al periodo di Carol I (1800-1866)

Per quanto riguarda il periodo fanariota nei principati di Valacchia e Moldavia, l’aspetto
culturale ha caratteristiche contrastanti: fino alla seconda metà del XVIII secolo non si rileva alcun
arricchimento, i segni che preludono a un rinnovamento dell’insegnamento e della produzione scritta
compaiono solo dopo il 1770. Sorgono certamente elementi nuovi ma non si impongono in maniera
spettacolare, costituiscono piuttosto uno sviluppo naturale dell’eredità lasciata dal XVII secolo. Il
dominio fanariota porta con sé l’influenza di Costantinopoli, in particolare di quell’ambiente greco
ottomanizzato di cui erano l’emanazione.51
Furono aperte scuole greche nelle quali l’insegnamento filosofico, letterario e scientifico
sostituì l’educazione teologica tradizionale in slavone; il greco divenne la lingua ufficiale
dell’amministrazione, introducendo nel lessico romeno numerosi neologismi ellenici. Attraverso il
mondo neogreco la Romania venne a contatto con i testi dell’Illuminismo francese, tradotti in romeno
solo dopo 1771. Continuò a svilupparsi il genere della storiografia con figure del calibro di Dimitrie
Cantemir, Ioan Neculce e Gradu Greceanu. La letteratura religiosa espresse un’intensa attività di
traduzione con il vescovo Damaschin Rîmnic che sostituì con il romeno lo slavone nei riti liturgici.52
In Transilvania, invece, sussisteva nel principato una cultura popolare del gruppo etnico
romeno, di carattere essenzialmente contadino. La partecipazione dei romeni alla cultura feudale fu
più significativa che nel passato. Grazie alla diffusione di testi a stampa il romeno divenne una lingua
scritta che raggiunse unità e stabilità. Oltre ai testi sacri furono tradotti in rumeno Ovidio dal poeta
sassone Frank von Frankestein (1649-1697). Con il sinodo di Alba Iulia (1675) i preti ortodossi che
celebravano in slavone vennero sospesi: il linguaggio dei contadini si elevava al rango di lingua della
liturgia. Nacque così in Transilvania una cultura romena dotta, a carattere borghese.53
Il vero punto di svolta si ha nel XIX secolo quando “i contatti coll’Occidente (Roma e Parigi)
si moltiplicano, e ciò serve a ridestar nelle masse, illuminate dagli scritti degli storici e dei filosofi, la
coscienza nazionale”.54
In Transilvania, sotto l’influsso della politica austriaca, un certo numero di romeni erano
diventati cattolici e giovani romeni, avviati agli studi religiosi, erano stati inviati a Vienna e a Roma

51
Cfr. Geroges Castellan, Storia del popolo romeno, cit, pp. 110-114.
52
Cfr. Ibid.
53
Cfr. Ivi, pp. 132-134.
54
Ivi, p. 47 e cfr. Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., p. 37.

24
a completare i loro studi. Questo fatto diede origine ad un risveglio nazionalistico su basi storico-
filologiche, per cui sorse la cosiddetta Scuola latinista transilvana, avente lo scopo di dimostrare la
continuità dell’elemento latino nella Dacia e l’unità etnico-linguistica di tutti i Romeni, al di fuori di
qualsiasi frontiera politica.

Samuil Micu, detto anche tedescamente Klein (1774-1806), Gheorghe Șincai (1753-1816) e Petru
Maior (1755-1821), tornati in patria, riprendon la tesi dell’origin romana del popolo romeno già sostenuta
da’ cronisti moldavi e combatton le teorie degli storici e filologi tedeschi e ungheresi che negavan la
continuità e la persistenza dell’elemento romano sulla riva sinistra del Danubio (la famosa «teoria del
Ròsler»), cercando di mostrare con argomenti storici e filologici che anche dopo l’abbandono della Dacia
da parte dell’Imperatore Aureliano, un gran numero di Daci romanizzati rimase sulla riva sinistra del
Danubio, non potendo ammettersi una deportazione in massa sulla riva destra di tutta una popolazione.55

La scuola latinista di Transilvania contribuì fortemente alla sostituzione dell’alfabeto latino al


cirillico e alla diffusione degli studi filologici. Non produsse poeti, se non Ion Budai-Deleanu (1760-
1820) autore del poema Țiganiada [La Zingareide], pubblicato postumo nel 1877.
Mentre in Transilvania si guardava all’Occidente come culla di un classicismo erudito, per un
ricongiungimento alle origini latine, nei Principati, governati dai Fanarioti, la cultura era dominata da
un influsso neogreco e francese, diffuso anche dai Russi, che avevano francesizzato tutta la classe
nobiliare, il governo e i comandi militari. Espressione di questa situazione in Valacchia furono i pochi
poeti lirici e specialmente Ienăchiță Văcărescu (1740-1798), i suoi figli Alecu (1762-1800) e Nicolae
(1784-1827); in Moldavia, invece, si trovano lirici di cultura e preparazione più vasta come Matei
Millo (1750-1801), Costache Conachi (1777-1849) e Iancu Văcărescu (1791-1863), figlio di Alecu,
nelle cui opere notiamo «l’influsso dei minori francesi e italiani del XVIII secolo».56 Altri nomi di
questo periodo sono quelli di Anton Pann (1797-1854) e Dinicu Golescu (1777-1830).
Nel campo della cultura, però, gravava la pesante cappa della tradizione orientale; occorreva
quindi un movimento di innovazione che facesse entrare anche nel campo letterario uno spirito nuovo
e formasse un contesto culturale nel quale gli scrittori avrebbero potuto manifestarsi. Nel 1818 la
principessa Dominița Ralu fondò a Bucarest un teatro dove si recitava in lingua greca.57
Data la natura del lavoro, che vuole mettere in relazione il mondo romeno e quello italiano, è
da notare che “sulle scene di questo teatro, furono rappresentati, rispettivamente il 1819 e il 1820,
l’Oreste e il Filippo di Vittorio Alfieri. Per l’Oreste mi riesce precisare persino il giorno, che fu il
21 novembre 1819; non così per il Filippo, del quale sappiamo soltanto che andò in scena nel maggio
dell’anno seguente”.58 Il rinnovamento iniziò allora in Valacchia ad opera di Gheorghe Lazăr (1779-

55
Ramiro Ortiz, Letteratura romena, cit., pp.47-48.
56
Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., p. 49.
57
Cfr. Ibid.
58
Ramiro Ortiz, Per la storia della cultura italiana in Rumania, Sfetea, București, 1918, pp. 297-298.

25
1823) e di un suo discepolo, Ion Heliade Rădulescu (1802-1872), che “l’8 aprile 1829 poté far uscire
il primo giornale in lingua romena, «Curierul românesc»,59 prese parte ai moti del 1848 e si preoccupò
della lingua letteraria, facendo stampare una grammatica nel 1828 e pubblicando studi sull’origine
latina dei romeni. Oltre a raccolte di poesie liriche ed epiche, Rădulescu compose anche favole e
satire politiche che pubblicava nel suo giornale.
Non interessando, ai fini del nostro lavoro, il patrimonio letterario romeno anteriore al XIX
secolo, il romanticismo in Romania prese vigore nella prima metà dell’Ottocento, insieme con le
opere delle letterature occidentali di epoca e valori vari.
I poeti della stagione del 1848 vengono detti ‘romantici’ oltre a prendere spunto dal classicismo
italiano o neogreco, si ispirarono, con prevalenza al romanticismo, agli scrittori tedeschi o francesi,
dato che, per buona parte del secolo, la cultura di questi due paesi si dividerà l’influsso su quella
romena. Sono di questo periodo Costache Stamati (1786-1869), Vasile Cârlova (1809-1831),
Alexandru Hrisoverghi (1811-1837), Mihail Cuciuran (1819-1844). Accanto a questi nomi minori
spiccano, come personalità di rilievo: Grigore Alexandrescu (1810-1885), Dimitrie Bolintineanu
(1819-1872) e Gheorghe Asachi (1788-1869). “L’importanza dell’opera di Alexandrescu consiste
nell’aver dato alla letteratura romena esempi di nuovi generi letterari imitando i poeti francesi, ma
con una nota personale”60, mentre “l’opera del Bolintineanu […] suscitò forte entusiasmo e non solo
per motivi nazionalistici, ma perché offerse nuovi spunti ai contemporanei e ai posteri”61 e inoltre,
come ricorda Ioan Guția, “con lui la parola acquista un valore pittoresco, musicale ed evocativo, che
preannuncia Eminescu”.62
Le vicende politiche del periodo impediscono lo sviluppo di una prosa letterari; i primi prosatori
sono specialmente storici politici a scopo nazionalistico. Chi però in questo periodo getta le basi della
prosa letteraria fu Mihail Kogălinceanu (1817-1891):

storico e uomo politico moldavo, lanciò una teoria letteraria nazionale, basata sulla metafisica, sulla mistica
della storia, tipica del romanticismo tedesco, preconizzando una letteratura di e per tutti i romeni, non a
imitazione dei modelli classici occidentali, che soffocano il carattere nazionale, ma ispirata all’aspetto
nazionale stesso della vita.63

Altri prosatori del periodo, i cui nomi vale la pena citare, furono Alecu Russo (1819-1859),
Nicolae Bălcescu (1819-1852), Costache Negruzzi (1808-1868), Nicolae Filimon (1819-1865), Ion
Ghica (1816-1897) e Ion Codru Drăgușanu (1818-1884).

59
Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., p. 53.
60
Ivi, p. 73.
61
Ivi, p. 78.
62
Ioan Guția, Introduzione alla letteratura romena, Bulzoni, Roma, 1971, p. 19.
63
Ivi, p. 16.

26
In questi anni di formazione della letteratura romena, il primo notevole scrittore che, pur
orientandosi verso le forme della moderna società europea, le volle adatte alle esigenze sociali e
politiche del suo paese, fu Vasile Alecsandri (1819-1890). Alecsandri si avvicinò alla letteratura
scrivendo dapprima prosa e teatro, e solo dopo cominciò a scrivere i primi testi poetici, sotto l’influsso
della poesia popolare che stava raccogliendo. Dopo essere stato assorbito dalla rivoluzione del 1848
e dalla lotta per l’unità dei principati romeni, iniziò un’esperienza poetica del tutto nuova e di
maggiore impegno artistico, anche se da lui stesso considerata poco impegnativa; cercò quindi di
rinnovare l’epica scrivendo lunghe narrazioni ispirate al passato con l’idea di formare un’epopea
romena basata sul folklore, come ad esempio Dumbrava roșie [Il bosco rosso, 1872] o Legende
[Leggende, 1880]. Alecsandri scrisse una cinquantina di opere teatrali, per la maggior parte
adattamenti, rifacimenti e imitazioni.

La vita e l’opera di Vasile Alecsandri, svoltesi nel periodo importante tra l’unione dei Principati e la
proclamazione a regno della Romania, furono un riflesso degli avvenimenti politici e delle condizioni
sociali dell’epoca, ma servirono nello stesso tempo di incitamento e di direttiva al pensiero e all’attività
nazionale. La sua raccolta di poesie popolari contribuì a rendere simpaticamente nota all’Europa la
Romania e controbilanciò l’asservimento della letteratura romena a quella francese.64

1.3.2 Il periodo di Carol I (1866-1914)

Con l’elezione di Carol I l’8 aprile 1866 la Romania iniziò un nuovo periodo della sua storia.
Le lotte politiche si placarono e l’attività rivoluzionaria cedette il posto all’attività costruttiva. Nel
periodo precedente la letteratura si era incanalata nella corrente dei latinisti e quella dei patriottico-
romantici di imitazione francese; nessuna seria direttiva artistica aveva guidato gli scrittori, convinti,
come dettava appunto il romanticismo, che l’arte dovesse essere al servizio delle idee politiche e
sociali e accessibile a tutti. Era quindi più che mai necessaria una mente energica che avviasse le
nuove generazioni a creare una vera letteratura romena.
Questo compito fu assunto da Titu Liviu Maiorescu (1840-1917). Formatosi all’università di
Berlino, divenne rettore dell’università di Iași e poi ministro dell’Istruzione pubblica (1874). Il primo
problema affrontato da Maiorescu fu quello della lingua e dell’ortografia, perché la sostituzione
dell’alfabeto latino al cirillico presentava numerose difficoltà. Assorbito da insegnamento,
avvocatura e politica, Maiorescu ha scritto poco. La sua fama è legata alle Critice (1866-1907) con
cui inaugurò nella letteratura romena una critica basata su principi filosofici e estetici.

64
Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., p. 109.

27
Alla base della sua critica sta il principio dell’unità della forma e del fondo, unità che suppone, tra idea e
realtà, un rapporto in cui la forma non è scissa dal fondo, ma unita a quello di cui è l’oggettivazione. Forte
di questo principio, Maiorescu critica la cultura romena del suo tempo, presa a prestito dall’Occidente e
assoggettata alla politica, perché «forma senza fondo», cioè «forma» che non ha nulla di vero.65

Nel 1863 alcuni giovani letterati di Iași si riunirono con Maiorescu per tenere un ciclo di
conferenze popolari; Theodor Rossetti, membro del gruppo, propose il nome di Junimea. Ramiro
Ortiz descrive accuratamente la natura di questi incontri:

La società letteraria […] si raccoglieva […] in casa or dell’uno or dell’altro de’ suoi membri, quasi tutti
boieri o, in ogni caso, persone che vivevan largamente, in conversazioni e letture letterarie, storiche e
filosofiche, con intermezzi di aneddoti gustosi («l’aneddoto ha la precedenza» era uno degli articoli del
regolamento) per togliere alla riunione ogni carattere pedantesco, che alla natura equilibrata e armoniosa
del Maiorescu ripugnava. Una copiosa mensa, imbandita con thè, vini squisiti e dolciumi svariati, attendeva,
secondo le buone tradizioni dell’ospitalità romena, gl’invitati alla fine delle sedute, che si protraevano quasi
sempre oltre la mezzanotte.66

Da queste riunioni nacque, nel gennaio del 1867, una rivista letteraria a cui fu dato il titolo di
«Convorbiri literare» [Discorsi letterari]. La rivista uscì mensilmente per i primi cinque anni, poi col
sesto divenne quindicinale ed ebbe una propria tipografia. Fin dal loro apparire le «Convorbiri
literare» suscitarono polemiche che si svolsero specialmente su alcune riviste, esponenti di correnti
più o meno vitali. Quattro di queste correnti ebbero una certa importanza non tanto per il valore delle
teorie, quanto per la personalità dei loro capi: il tradizionalismo romantico, i latinisti, il socialismo e
il simbolismo.
Il tradizionalismo romantico prese le mosse nel 1873 a Bucarest, quando un gruppo di studenti,
avversari delle «Convorbiri literare», sostenendo la popolarità dell’arte e il prevalere del contenuto
sulla forma a scopo fondamentalmente nazionale, fondò la «Revista contimporană» [Rivista
contemporanea] e che nel 1876 prese il nome di «Revista contimporană litirară și științifică» [Rivista
contemporanea letteraria e scientifica]. Alle attività di questa rivista parteciparono letterati del calibro
di G. Sion, Panthazi Ghica, Vasile Alexandrescu Urechiă (1834-1901) che, come vedremo, ebbe uno
scambio epistolare con Carducci. Le polemiche si svolsero sostenute specialmente da Bogdan
Petriceicu Hasdeu (1838-1907).67
I latinisti della Transilvania si opposero agli attacchi della «Convorbiri literare» oltre che nella
rivista «Familia» (fondata a Budapest nel 1865), soprattutto nella rivista «Orientul latin» [Oriente
latino], creata a Brașov da Ioan Al. Lăpedatu (1844-1878) e da Aron Densușianu (1837-1900). La
principale differenza fra il tranquillo regno di Carlo e la Transilvania, che inevitabilmente modificava
le priorità fra gli intellettuali dei principati e quelli soggetti al dominio asburgico, stava nel fatto che

65
Ioan Guția, Introduzione alla letteratura romena, cit., p. 23.
66
Ramiro Ortiz, Letteratura romena, cit., p. 77.
67
Cfr. Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., pp. 133-137.

28
se nel regno di Romania poteva avere preminenza la questione artistico-letteraria, in Transilvania di
rilievo era ancora la questione nazionale.
Le idee socialiste entrarono in Romania nell’ultimo ventennio del XIX secolo, ma non ebbero
diffusione perché l’ambiente risultava inadatto. Riunitisi attorno alla rivista «Contemporanul» di Iași
(1881-1891), i pochi socialisti romeni si schierarono subito apertamente contro lo spirito aristocratico
della Junimea.
Il simbolismo in Romania fu iniziato da Alexandru Macedonski (1854-1920) e, secondo Gino
Lupi, “avendo la letteratura romena trovato in se stessa il proprio rinnovamento con scrittori eminenti
come Eminescu e Creangă, […] si esaurì per il momento con il suo caposcuola”:68 anche Ioan Guția
ribadisce che “l’estetismo di Macedonski non ebbe udienza nella letteratura romena del suo tempo”.69
Questo movimento si raccolse attorno alla rivista «Literatorul» [Il Letterato] fondata i 20 gennaio
1880 dallo stesso Macedonski. Attorno alla stessa rivista che ebbe carattere internazionale per i testi
francesi, italiani, tedeschi e greci pubblicati, si formò una società letteraria che ebbe una sede a
Bucarest, con presidente onorario il già incontrato Vasile Alexandrescu Urechiă.70
Poeta di questo periodo è Mihai Eminescu (1849-1889), definito da Ramiro Ortiz «genio poetico
più grande che abbia mai avuto la Romania» e da Ioan Guția «il più grande poeta […] di tutta la letteratura
romena dell’Ottocento».71 La sua opera, completamente nuova, profonda, personale, inizia nel 1872 con
la pubblicazione dei suoi testi su «Convorbiri literare». La nuova poesia sta sotto l’influsso del
romanticismo tedesco e soprattutto della filosofia di Schopenhauer, con cui egli venne in contatto negli
anni dei suoi studi a Vienna e a Berlino. La maggior parte della sua produzione riguarda l’amore come
esperienza personale, le altre sono allegorie, storie d’amore o solo riflessioni sull’amore. Egli “canta per
così dire l’amore dell’amore, l’amore ideale, un amore che, prima di essere sentimento di realtà, è
desiderio, sogno, idealizzazione, e, dopo, è dolore, delusione, malinconia”.72 Un primo nucleo di
componimenti, non ancora dominati dal pessimismo, rievocano un amore felice della giovinezza, come
Floare albastră [Fiore azzurro, 1873], Înger și demen [Angelo e demone, 1878] o Freamăt de codru
[Fremito del bosco, 1878]; a questo amore felice della giovinezza subentra l’amore infelice
dell’immaturità, come in Noaptea [La notte, 1871], Singurătate [Solitudine, 1878]. L’opera di Eminescu,
che approfondiremo ulteriormente in altra sede confrontando alcune sue opere con produzioni

68
Ivi, p. 142.
69
Ioan Guția, Introduzione alla letteratura romena, cit., p. 42.
70
Ramiro Ortiz, Letteratura romena, cit., p. 79.
71
Ioan Guția, Introduzione alla letteratura romena, cit., p. 26.
72
Ivi, p. 27.

29
carducciane,73 risulta vastissima, “ma le poesie pubblicate da li furono ben poche: il suo senso autocritico
era severissimo”.74

Egli seppe creare […] il linguaggio poetico lirico romeno, per l’elegantissima forma, la ricchezza delle
immagini, l’armonia inimitabile, la scelta preziosa dei vocaboli e delle rime la varietà dei ritmi e delle
strofe. E lo studio formale fu così assiduo in lui, che riuscì a rendere naturali le frasi più ricercate, le rime
più rare. Poeta universale, fu l’espressione dell’anima del mondo, tormentata da problemi eterni di cui
invano si cerca la soluzione, ma fu anche e soprattutto l’interprete dell’anima secolare della stirpe romena.75

Fra i prosatori dell’epoca possiamo ricordare Alexandru Obodescu (1834-1895), Ion Creangă
(1837-1889), figlio di contadini, che si stacca dallo spirito romantico dell’epoca descrivendo la
condizione dei contadini non da punto di vista borghese, ma sempre mostrandosi spiritualmente alla
classe da cui proviene. Inoltre è possibile ricordare Ion Slavici (1848-1925), autore di romanzi e
componimenti teatrali.76
Ion Luca Caragiale (1852-1912), invece, “ha impresso un indirizzo realistico al giovane teatro
rumeno, inaugurato da Alecsandri”.77 Nel suo teatro svela la commedia celata dietro la facciata della
borghesia romena in pieno movimento d’ascesa, presentandoci una galleria di tipi e il processo di
trasfigurazione che subisce il modello della borghesia occidentale. Fra le sue commedie possiamo
ricordare O noapte furtunoasă [Una notte tempestosa, 1878], Conu Leonida față cu reacțiunea [Don
Leonida alle prese con la reazione, 1879], O scrisoare pierdută [Una lettera smarrita, 1884], D’ale
carnavalului [Scene di carnevale, 1885] e Năpasta [La calunnia, 1890], unico dramma da lui
composto.
Dopo la produzione teatrale, Caragiale si dedicò alla novellistica e “compose invece alcune
novelle che sono fra le più notevoli della letteratura romena”78 come O făclie de Paști [Un cero
pasquale, 1889], pubblicata proprio su «Convorbiri literare», o Păcat [Peccato, 1892]. Altri suoi
scritti sono stati raccolti in un volume dal titolo Momente [Istantanee, 1901].
Accanto ai maggiori scrittori, che fanno parte di questo periodo dell’epoca classica della
letteratura romena, si raccolsero attorno alla Junimea poeti e prosatori minori che collaborarono con
le «Convorbiri literare».
Fra i poeti ricordiamo Samson Bodnărescu (1840-1902), Theodor Șerbănescu (1839-1901),
Dimitrie Petrino (1844-1878), Anton Naum (1829-1917) che tradusse Miramar e Jaufré Rudel di

73
Cfr. Ramiro Ortiz, Letteratura romena, cit., p. 84; Giuseppe Manitta, Mihai Eminescu e la «Letteratura Italiana», Il
Convivio, Castiglione di Sicilia, 2017, pp. 87-103 e Napoleone N. Crețu, Un motiv comun in Eminescu și Carducci [Un
motivo comune in Eminescu e Carducci] in «Roma», București, agosto – settembre, 1925.
74
Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., p. 164.
75
Ibid.
76
Cfr. Ivi, pp. 185-186.
77
Ioan Guția, Introduzione alla letteratura romena, cit., p. 34.
78
Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., p. 193.

30
Carducci,79 Nicolae Nicoleanu (1835-1871), Matilda Cugler-Poni (1852-1931), Veronica Micle
(1850-1889); fra i prosatori, invece, Iacob Negruzzi (1843-1932), Leon Negruzzi (1840-1890),
Nicolae Gane (1835-1916).
Anche le altre correnti letterarie attrassero a loro poeti e prosatori. Fra i tradizionalisti è
possibile ricordare Mihail Zamfirescu (1839-1879), Nicolae Orășanu (1833-1890) e Nicolae
Scurtescu (1844-1879); fra i socialisti che ruotavano attorno alla rivista «Contemporanul» (1881-
1891) vale la pena menzionare Nicolae Beldiceanu (1844-1896), Vasile Morțun (1860-1919). La
rivista «Literatorul», che seguì e sostenne le varie idee del fondatore, fra i suoi redattori e collaboratori
vide Carol Schrob (1856-1913), Mircea Demetriade (1861-1915) Nicolae Țincu (1846-1927) e
Dimitru Teleor (1858-1920).80
La Junimea nel 1885 si trasferì a Bucarest con Maiorescu e i suoi esponenti. La nuova
generazione restava disorientata fra l’imitazione di Eminescu e una prosa oscillante fra un
romanticismo convenzionale e un realismo pieno d’arte. In questo periodo di transizione fra l’epoca
della critica Junimista e quella di nuove correnti letterarie vi sono quattro buoni scrittori da
menzionare: Duiliu Zamfirescu e Ion Al. Brătescu-Voinești sono gli epigoni della direttiva junimista;
Barbu Ștefănescu Delavrancea e Alexandru Vlahuță, espressioni dei tempi nuovi, cercano originali
affermazioni in campi diversi.81
Duiliu Zamfirescu (1858-1922) visse in Italia per dodici anni e fu tra i primi a leggere Carducci
e presentarlo al pubblico letterario romeno.82 Scrisse poesie e romanzi, anche se la sua opera
fondamentale è considerato il ciclo Istoria Comăneștenilor [Storia dei Comăneșteanu, 1894-1910] si
compone di cinque romanzi.

Dalle prefazioni alle varie edizioni si può conoscere il processo intellettuale, psicologico e artistico e i
principali criteri letterari e nazionali dell’autore di questo ciclo, il quale, componendolo, allo scopo artistico
di ridare nella realtà la vita di un’epoca e di alcune classi sociali, univa quello di creare una letteratura
oggettivamente e soggettivamente indipendente dalle imitazioni e insieme quello, per lui importantissimo,
di contribuire al componimento dell’unità nazionale con la liberazione della Transilvania.83

Ion Alexandru Brătescu-Voinești (1868-1946), dopo alcuni tentativi poetici, passò alla prosa,
scrivendo novelle e racconti, presentando personaggi generalmente in uno stato d’animo e in una
condizione psicologica definita, tranne Andrei e Niculăiță in În lumea dreptății [Nel mondo della
giustizia, 1906] sono studiati in un progressivo svolgimento. Il mondo da cui ha tratto i suoi
personaggi è quello della sofferenza provocata dall’ingiustizia prepotente e sopportata in silenzio,

79
Cfr. Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, Malfasi, Milano, 1951, p. 184.
80
Cfr. Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., pp. 221-242.
81
Ivi, pp. 243-244.
82
Cfr. Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., pp. 169-176.
83
Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., p. 233.

31
che scava solchi profondi di un animo sensibile. Personaggi di alta cultura o semplici contadini non
sono però dei vinti, perché anche quando tutte le apparenze ce li farebbero sembrare tali, si affermano
con la superiorità dei loro valori morali.84
“Arriviamo così a Barbu Delavrancea (1858-1918), novelliere, drammaturgo, oratore ed uomo
politico, che fu uno dei pochi romeni che alla cultura francese aggiungesse quella italiana, il cui
influsso dà alla sua opera di scrittore una particolar fisionomia”.85 Oltre a drammi e novelle, scrisse
anche numerose poesie, tra cui nel 1884 una Odă barbară satirica, in risposta a Duiliu Zamfierescu.
Nel 1907 commemorò il Carducci86 in occasione della morte sulle «Convorbiri literare», come ci dà
informazione in una nota Ramiro Ortiz87 e ribadisce nel suo saggio Maria Dell’Isola.88
Intanto in Romania, negli ultimi venti anni del XIX secolo, sorgevano numerose riviste sulle
quali pubblicavano autori di ogni genere. Sulle «Convorbiri literare» Maiorescu valorizzava poeti
come Ioan Popovinci-Bănățeanu (1869-1893) o Victor Vlad-Delamarina (1870-1896). Sulle
«Convorbiri literare» scrisse anche Alexandru Cuza (1857-1947) facendo conoscere al pubblico
romeno il genere epigrammatico.
Fra le riviste che sorsero in questo periodo possiamo ricordare «Țara nouă» [La nuova patria,
1884-1887], della quale fu redattore Ioan Nenițescu (1854-1901) e «Lupta literară» [La lotta
letteraria, 1887]. La rivista «Vieața» [La vita, 1893-1896] apparve a Bucarest sotto la direzione di
Alexandru Vlahuță e di Alexandrescu Urechiă e mirò a rendere gli scrittori indipendenti dai partiti
politici. Con questa rivista collaborarono Ion Gorun (1863-1928) e Constanța Hodoș (1860-1934) e
ad altre principali riviste Radu Rosetti, Grigore Haralamb Grandea (1843-1897) e Lucreția Suciu
(1859-1900).
Il 2 dicembre 1901 uscì la rivista «Semănătorul» [Il seminatore] che cercò di unire le ideologie
nazionali e quelle sociali. “Ritornare alla fede dei padri, non disprezzare le aspirazioni della patria,
avvicinare la cultura cittadina alla massa del popolo e far in modo che non fosse più estranea al paese,
ma si esprimesse con un linguaggio inteso da tutti, furono le idee, non certo nuove del programma”89
della rivista.
I due direttori furono Alexandru Vlahuță (1858-1919) – poeta influenzato da Eminescu e
intellettuale che ribadì nei suoi scritti la missione nazionale, morale e sociale dell’artista – e Geroghe
Coșbuc (1866-1918) che scrisse varie liriche e poesie raccolte nel volume Nunta Zamfirei [Le nozze

84
Cfr. Ivi, pp. 256-262.
85
Ramiro Ortiz, Letteratura romena, cit., p. 126.
86
Barbu Delavrancea, Giosuè Carducci, in «Convorbiri literare», București, aprile 1907.
87
Ramiro Ortiz, Letteratura romena, cit., p. 126, nota 21: «Nel 1907 commemorò con una nobile orazione Giosuè
Carducci».
88
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 291.
89
Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., p. 284.

32
di Zamfira, 1890] e in Ziarul unui pierde-vară [Il giornale di un perdigiorno, 1902]. Importanti sono
le sue numerose versioni tra cui quella, da lui iniziata, ma ultimata da altri, della Divina Commedia.
Attorno alla rivista «Semănătorul» iniziò la sua collaborazione Nicolae Iorga, figura
fondamentale di questo periodo, che puntualizzò il programma del ‘seminatorismo’, il movimento
culturale nato attorno alla rivista di Vlahuță e Coșbuc:

Culturalizzazione della campagna mediante la storia e le tradizioni popolari. In questa visione politico-
sociale elusiva e quietistica, l’estetico viene confuso con l’etico e con l’etnico. Evitando i problemi politici
e sociali attuali, cioè invece di denunciarne la miseria, il ‘seminatorismo’ idealizza oleograficamente la
struttura sociale feudale patriarcale della campagna, come appunto voleva la classe dominante
conservatrice. Di questa facevano il giuoco, del resto, anche i simbolisti astraendosi dalla realtà.90

Nicolae Iorga (1871-1940), il più importante critico e sostenitore del ‘seminatorismo’, ha scritto
una quarantina di opere teatrali, alcune di argomento italiano – come Moartea lui Dante [La morte di
Dante, 1922] o O ultimă rază [Un ultimo raggio, 1932] con protagonista Duccio di Boninsegna –
altri di argomento classico – ad esempio abbiamo Cleopatra (1928), Cassandra (1931) o Ovidiu
(1931). Certamente sentiti sono i drammi che fanno rivivere la storia nazionale come Constantin
Brâncoveanu (1914) o Cantemir băntrânul [Il vecchio Cantemir, 1920]. Oltre ad opere teatrali ha
composto numerose prose, fra le quali risulta interessante l’Italia vista da un romeno (1930). Ci ha
lasciato numerose opere di critica letteraria, commentò e tradusse – come vedremo nei capitoli
successivi di questo nostro lavoro – Carducci fin dal 1895.91

La sua opera drammatica rimarrà, soltanto come lettura, per chi vorrà conoscere le sue originali
interpretazioni di personaggi e di epoche. La sua opera di critico letterario resterà come rappresentazione
soggettiva di ambienti e di lotte ideologiche; la sua opera storica, la più imponente, resterà come una
miniera di documenti e di fatti da cui potranno attingere gli storici, che vi troveranno la notizia importante
sepolta fra masse di materiale inutile e l’acuta interpretazione accanto al giudizio di parte. Oppostamente
giudicato dai contemporanei, nessuno potrà certo prescindere dalla sua opera nello studio dello sviluppo
culturale romeno del periodo che chiude il diciannovesimo e inizia il ventesimo secolo.92

Il ‘seminatorismo’ vede operare numerosi critici – ad esempio Ilarie Chendi (1872-1913) e Ion
Scurtu (1877-1922) – dei prosatori, fra i quali possiamo citare Alexandru Ciura (1876-1936), Emil
Gârleanu (1878-1914), Constatin Sandu-Aldea (1874-1927), Radu Rossetti (1853-1926), Ioan
Dragoslav (1875-1928). Al ‘Seminatorismo’ si possono avvicinare anche scrittori di teatro del calibro
di Alexandru Davila (1869-1929) e Zaharia Bârsan (1879-1948).

90
Ioan Guția, Introduzione alla letteratura romena, cit., p.48.
91
Cfr. Nicolae Iorga, Amintiri din Italia: Giosue Carducci [Memorie d’Italia: Giosue Carducci], Steimberg, București,
1895.
92
Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., p. 312.

33
I due poeti certamente più importanti legati a questo movimento sono Ștefan Octavian Iosif
(1875-1913) e Octavian Goga (1881-1938).
Il temperamento del primo può essere accostato a quello dei nostri minori del secondo
romanticismo di fine Ottocento. Ha per note fondamentali la sincerità e la limpidezza. Tra gli scritti
migliori di Iosif sono le poesie che rievocano leggende popolari; alle sue liriche brevi riesce a dare
una forma chiara e armoniosa nella varietà dei ritmi e nella scelta dei vocaboli.93 Sulla rivista
«Tălmciri» [Versioni, 1909], pubblica una imitazione dei Colloqui sugli alberi di Carducci.94
Anche Octavian Goga, i cui componimenti sono caratterizzati da un “desiderio nostalgico che
ispira anche le liriche più personali”,95 tradusse Carducci,96 in particolare Profonda solitaria immensa
notte.97
Parallelamente allo sviluppo del ‘seminatorismo’, sorsero altri movimenti. Il ‘poporanismo’
non fu una corrente puramente letteraria, ma piuttosto un movimento sociale e politico, che vede
nell’amore verso il popolo, interpretato come l’eterno martire sul cui sangue si regge la società, il suo
caposaldo principale. Fanno parte di questo movimento Constatin Stere (1865-1936), Garabet
Ibrăileanu (1871-1936), Calistrat Hogaș (1847-1917).
Contro il diffondersi dei nazionalismi, sorse in questo periodo un movimento che basava i suoi
principi innovatori sull’imitazione dei simbolisti francesi e si legava all’eredità di Alexandru
Macedonski. Propugnatore di queste idee fu Ovid Densușianu (1873-1938), che fondò la rivista
«Vieața nouă» [Vita nuova, 1905-1925]. La letteratura “non doveva rimanere circoscritta nell’ambito
rurale e primitivo, presentando anche la classe cittadina e colta, elementi e caratteri degni di essere
presi ad argomento”.98 È da ricordare inoltre che la rivista di Densușianu “pubblicò opere di poeti
dell’Occidente europeo e dell’America latina, facendo conoscere anche, fra gli italiani, Carducci,
Pascoli, Chiesa allo scopo di ridestare nei Romeni la coscienza latina”.99
Oltre a Densușianu, possono essere collocati in questo movimento Dimitrie Anghel (1872-
1914), Ștefan Petică (1877-1904) e Elena Farago (1878-1954), scrittori simbolisti.
Le teorie estetiche di Maiorescu furono rivalutate dal critico Mihail Dragomirescu (1868-1942).

Professore di Estetica letteraria all’Università di Bucarest, autore di diversi volumi (Stiința literaturii,
Critica științifică și Eminescu, De la misticism la raționalism, Dramaturgia română), che, staccatosi a un
certo punto dal Maiorescu e dalle «Convorbiri literare», fondò e diresse le «Convorbiri critice»,
inaugurando un sistema basato sulla teoria del «capolavoro» con accentuata tendenza a sistematizzare e a
classificare le opere d’arte con distinzioni un po’ artificiali di plasticità, emotività, tonalità, ecc., ma che

93
Cfr. Ivi, p. 320.
94
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 183.
95
Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., p. 323.
96
Cfr. Ibid.
97
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 291.
98
Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., p. 350.
99
Ibid.

34
scoperse anche molti talenti di prosatori, poeti e autori drammatici, che poi si svilupparono indipendenti da
ogni scuola e son oggi tra i migliori rappresentanti della letteratura romena contemporanea.100

Assieme a lui operarono Ion Trivale (1889-1916), Dimitrie Nanu (1873-1943), Mihail Săulescu
(1888-1916) e George Murnu (1868-1957).

1.3.3 Dalla fine del regno di Carol I al periodo delle dittature (1914-1938)

Il ‘900 inizia dopo la prima guerra mondiale, quando la letteratura romena, nazionalista e provinciale, si
apre improvvisamente agli impulsi occidentali, che assimila e rielabora, raggiungendo presto un tono e un
livello europeo. L’epoca fra le due guerre diventa la più ricca e la più interessante di tutta la letteratura
romena. Riunite tutte le province romene, gli scrittori, liberi da impegni extra-letterari, affermano il diritto
dell’autoespressione, difendendo la fantasia individualistica e l’arte pura. Procedono al rinnovamento della
forma, alla quale danno molta importanza sia i veri e propri innovatori sia gli stessi tradizionalisti.101

Con questo paragrafo Ioan Guția sintetizza l’ultimo periodo della storia letteraria romena, che
analizzeremo e che vede il formarsi di due direttive, il tradizionalismo e il modernismo.

Fra i modernisti è possibile includere il critico Eugen Lovinescu (1881-1943), che esortava gli
scrittori romeni a imitare la letteratura francese moderna. Tra i poeti modernisti sono Ion Barbu
(1895-1961), certamente il più noto, Alexandru Philippide (1900-1933) e il meno importante Mihail
Celarianu (1893-1985). Ion Barbu “ha inserito l’ermetismo nella poesia romena, sollecitandola a
nuove esperienze. Punto d’arrivo di un lento sviluppo, il matematico Barbu ha perseguito l’ermetismo
sino a toccarne il fondo”.102

Fra i poeti tradizionalisti possiamo annoverare Ion Pillat (1891-1946), Aron Cotruș (1891-
1961) e, in parte, Lucian Blaga (1895-1961). “Le opere filosofiche di Blaga […] sostengono
l’impossibilità per l’uomo di penetrare i misteri dell’Assoluto e la dipendenza dell’opera d’arte
dall’orizzonte spaziale e temporale a cui nel subconscio dell’autore si uniforma”.103 Nei suoi testi
giovanili, infatti, vuole sondare i misteri dell’Assoluto, si vedano ad esempio le raccolte Poemele
luminii [I poemi della luce, 1919] o Pașii profetului [I passi del profeta, 1921].

Le tre raccolte successive În marea trecere [Nel gran passaggio, 1924], Lauda somnului
[Elogio del sonno, 1929] e La cumpăna apelor [Allo spartiacque, 1933] segnano l’adattamento
dell’espressionismo di Blaga a motivi lirici più personali. “Nella poesia di Blaga riscontriamo
l’aspirazione alla fusione col divino e, nello stesso tempo, l’impossibilità da parte dell’uomo di

100
Ramiro Ortiz, Letteratura romena, cit., p. 160.
101
Ioan Guția, Introduzione alla letteratura romena, cit., p. 63.
102
Ivi, p. 77.
103
Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., p. 374.

35
realizzarla. È questa coscienza che determina la sua tristezza metafisica”.104 In tutta la sua poesia c’è
il ritorno al mito, al pensiero di tipo mitico come forma di espressione essenziale della poesia anche
in epoca contemporanea.

La poesia simbolista continuò con Ion Minulescu (1881-1944), Georghe Vasiliu, in George
Bacovia (1881-1957) che nelle sue opere, dove imita fino alla consapevole deformazione i moduli
simbolisti francesi, inserisce elementi di desolazione decadente, accettata senza ribellione né
rimpianto.

Fra i maggiori prosatori modernisti di questo periodo si possono ricordare Hortensia Papadat-
Bengescu (1878-1955), Camil Petrescu (1894-1957) e il ben noto Mircea Eliade (1907-1986). È per
merito suo che l’esistenzialismo penetrò nella letteratura romena.105 Fra le opere principali di Eliade
possiamo ricordare Maitrey (1933), Lumina ce se stinge [La luce che si spegne, 1934], Huliganii [I
giovani ribelli, 1935], la Domnișoara Cristina [Signorina Cristina, 1936], Șarpele [Il Serpente,
1937].

Come prosatori tradizionalisti, invece, possiamo ricordare Cezar Petrescu (1892-1961), Ionel
Teodoreanu (1897-1954) e George Zamfirescu (1898-1939).

Questi anni sono anche quelli delle avanguardie. Tristan Tzara (1896-1963) trattava temi
simbolisti prima del suo espatrio, cioè prima della scoperta del dadaismo. I primi testi predadaisti si
devono a Urmuz (1883-1923), pseudonimo di Demetru Demetrescu-Buzău, raccolti dopo il suicidio
dell’autore. Negli anni 1922-1932, dopo la scomparsa di Urmuz (1923), la rivista «Contimporanul»
promosse il costruttivismo che mitizzava la tecnica moderna come realtà universale, al di sopra delle
classi e dei sistemi sociali, chiedendo forme nuove, pure, astratte. “Elegiaca, vicina al canto puro, la
poesia di Ion Vinea (1895-1964) – uno dei poeti costruttivisti, direttore di «Contimporanul» – è
piuttosto una poesia di isolamento e oscilla tra la protesta e la contemplazione”.106
Nel panorama poetico, la figura più importante di rinnovamento dell’ispirazione, della tecnica
e del valore estetico è quella di Tudor Arghezi (1880-1967). Il suo linguaggio comprende tutte le
possibilità liriche ed espressive. Come ricorda Guția

È evidente che senza Baudelaire la poesia di Arghezi sarebbe inconcepibile. Però, del poeta francese egli
ha approfondito soprattutto gli aspetti più facilmente assimilabili del suo spirito. Diversamente, parecchie
delle sue caratteristiche più rilevanti risalgono a peculiarità di origine e di cultura. Che Arghezi, per la sua
poesia, si sia rivolto alla lingua contadinesca non è un caso. Per la mentalità romena, il limite dell’esoterico
e del magico, reclamato dalla mistica baudelairiana, si trova nella poesia popolare del cui stile si è, appunto,
appropriato Arghezi.107

104
Ioan Guția, Introduzione alla letteratura romena, cit., p. 87.
105
Cfr. Ivi, cit. p. 91.
106
Ivi, p. 84.
107
Ivi, p. 63.

36
Il poeta raccoglie in Cuvinte potrivite [Accordi di parole, 1927] quasi tutte le sue poesie
composte fino a quel momento. Sono componimenti eterogenee e nella loro disposizione non c’è un
ordine interno che, invece, non mancherà nelle raccolte successive. Vi sono poesie che hanno come
argomento gli stati d’animo delicati e labili, altre affrontano il tema della coscienza dell’antichità,
altre ancora quello dell’evasione della fantasia e infine il tema della fede in Dio. Un quinto nucleo è
“quello della rivolta satanica sotto l’aspetto sociale: odio del ricco, il cui punto d’ascesa è la
redenzione umana, e sotto l’aspetto metafisico: aspirazione dell’assoluto (mediante l’arte), come polo
di tensione, ideale, sogno”.108 Arghezi ricorre anche alla prosa, formata soprattutto da pamphlets,
ricordi, notazioni, e romanzi, come gli Ochii Maicii Domnului [Occhi della madonna, 1934] o Lina
del 1943. La sua è una prosa che si distingue per la elaborazione raffinata, ma deformante e non di
rado grottesca nei particolari.

1.4 Conclusioni

Il presente capitolo, come si intuisce dall’impostazione, è di natura strettamente storica e


letteraria. Con questa presentazione, svolta in ordine cronologica, si è profilato lo svolgimento della
storia civile e letteraria romena fra Ottocento e Novecento, con le varie tendenze che abbiamo
descritto, in modo sintetico ma comunque oculato.

Il fine di un simile lavoro è riuscire ad avere un quadro d’insieme, nel quale vanno ad inserirsi
contatti personali di Carducci stesso con esponenti della cultura romena, nonchè traduzioni e opere
di critica letteraria sul Nostro compiuti da romeni che vivevano in Italia e in Romania.

Inoltre, già alla fine di questo nostro percorso attraverso la storia civile e letteraria romena tra
Ottocento e Novecento, è possibile vedere quali eventi coinvolsero i territori dell’attuale Romania,
mentre in Italia svolgeva la sua attività professionale e letteraria Giosue Carducci.

La biografia di Carducci e la sua produzione letteraria saranno presentate nel secondo capitolo.
Qui, in linea di massima, basti notare che, mentre Carducci era in vita, vale a dire dal 1835 in poi, la
Romania viveva una delle fasi più importanti della sua storia: dalla rivoluzione del 1848 all’unità del
1862, all’avvento della monarchia. Carducci muore nel 1907, proprio mentre il regno romeno era
governato da re Carol I.

108
Ivi, p. 65.

37
La ricezione della sua opera – come vedremo meglio nel terzo capitolo – inizia nell’ultimo
ventennio del XIX secolo, attraversa la prima guerra mondiale e giunge alle soglie del periodo delle
dittature (1938).

Da un punto di vista letterario è da notare, anche solo ripercorrendo la storia della letteratura
romena di questo periodo, che Carducci sia stato letto, tradotto e studiato da autori che difendevano
posizioni diverse, alle volte addirittura opposte, sul piano letterario e politico. Fu accolto dagli
‘Junimisti’, la sua opera è accostata a quella di Eminescu, principale autore dell’Ottocento rumeno,
fu studiato e apprezzato da Duiliu Zamfirescu, da Anton Naum, commemorato l’anno della morte da
un autore teatrale come Delavrancea. Fu letto, tradotto e commentato dagli esponenti del
‘Seminatorismo’ quali Nicolae Iorga, Ștefan Iosif e Octavian Goga e venne presentato al pubblico
romeno anche da Ovid Denșusianu, erede dell’opera di Macedonski.

Da questa sintesi è possibile vedere come l’opera carducciana abbia avuto una eco vasta sul
suolo romeno. Sarà nostra premura nel secondo capitolo sviscerare i possibili contatti fra il Carducci
stesso e la Romania e nel terzo rendere conto delle sue influenze su alcuni autori del patrimonio
letterario romeno.

38
CAPITOLO II

GIOSUE CARDUCCI E IL MONDO ROMENO

2.1 Introduzione

Se nel primo capitolo abbiamo cercato di presentare il contesto politico e culturale nel quale si
colloca la ricezione dell’opera di Giosue Carducci in Romania, qui desideriamo esaminare i contatti
fra il poeta stesso ed esponenti della politica e della cultura romena in un arco di tempo che va dal
1888 al 1902.
Nel reperire materiale bibliografico che metta in evidenza i punti di incontro fra il Nostro e il
mondo romeno, abbiamo tenuto in considerazione i suggerimenti di Maria Dell’Isola, ma anche il
fondo documentario presente in “Casa Carducci”. Qui riportiamo tutto ciò che lega Carducci alla
Romania dell’epoca e che è stato possibile reperire: da lettere e massaggi inviati da intellettuali
romeni a lui contemporanei, a materiale di argomento afferente alla lingua e alla civiltà romena
presente nella sua biblioteca personale.
Maria Dell’Isola, nel suo saggio,1 offre degli spunti che tenteremo di seguire e approfondire:
lei stessa riporta un breve messaggio di Carducci «allo storico rumeno Ureche»2 dell’11 giugno 1894;
ci dà notizia di una versione della poesia Il bove, tradotta in romeno da «Tinc»3, che “il poeta stesso
[…] ricevette in omaggio, manoscritta, nel dicembre 1902”;4 ci informa infine che Carducci, in una
lettera che la saggista trascrive, manifestò apprezzamento per la relazione che il tenente Pier Emilio
Bosi tenne in Romania nel 1902, elogiandolo davanti a un vasto pubblico.5
Oltre ai suggerimenti di Dell’Isola, è possibile consultare in “Casa Carducci” a Bologna
numerosi riferimenti alla Romania e al mondo romeno: vi sono le prime traduzioni romene
dell’Inferno e del Purgatorio di Dante, due testi di informazione politica sulla situazione dei romeni
in Transilvania, un appello sulla situazione degli ebrei romeni nell’impero Austro-ungarico, un
poemetto di un italiano, Severino Attilj, che esalta il regno di Carol I e quasi tutti i numeri di due
annate della rivista Liga Română.

1
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., pp. 169-192.
2
Ivi, p.169.
3
Ivi, p. 182.
4
Ibid.
5
Ivi, p. 191.

39
In una prima sezione del capitolo ricostruiamo la vita e le opere di Carducci, dedicando una
parte del paragrafo in questione a quei cenni al mondo romeno che il Nostro fa nella produzione in
prosa e in versi. I paragrafi rimanenti sono dedicati ai contatti del Vate con la Romania:
approfondiamo gli spunti forniti di Maria Dell’Isola, definendo l’identità di mittenti e destinatari dei
messaggi e ricostruendo le circostanze e le modalità con cui questi contatti sono avvenuti, e
presentiamo del nuovo materiale consultabile nella casa del poeta.
Nell’elencare tale materiale seguiremo un ordine cronologico, abbracciando un lasso di tempo
di un quindicennio, dalle copie dell’Inferno e del Purgatorio di Dante tradotte in romeno da Maria
Chițiu e a lui inviate dalla traduttrice stessa nel 1888, al cartoncino con la traduzione de Il bove giunto
a Bologna nel dicembre 1902.
Tuttavia, per una ulteriore precisione di argomentazione, abbiamo preferito separare
l’esposizione in due parti fondamentali: la prima (paragrafo 2.3) affronta i contatti diretti fra Carducci
e il mondo intellettuale romeno e comprende le traduzioni da lui ricevute della Divina Commedia, il
messaggio a Vasile Alexandrescu Urechia, i numeri conservati nella sua biblioteca personale di Liga
Română e il cartoncino da lui ricevuto con la traduzione romena della poesia Il bove; la seconda,
invece, (paragrafo 2.4) raccoglie quel materiale presente in “Casa Carducci” che, pur non essendo
provenuto da un diretto contatto con intellettuali romeni, ha argomento affine alla romenistica e
fornisce un prezioso contributo su quella che poteva essere la consapevolezza del mondo romeno
posseduta dal Nostro.

2.2 Giosue Carducci: la vita e le opere

Nel presente paragrafo forniamo, per completezza di trattazione, un profilo biografico di Giosue
Carducci e una sintetica esposizione della sua produzione letteraria.
Nell’elencare le opere principali di Carducci poeta e prosatore, cercheremo, fin da questa sede,
di fornire sintetiche indicazioni su quali opere sono state maggiormente tradotte e recepite in
Romania, nonostante questo aspetto della ricezione del Nostro nella cultura romena sia maggiormente
approfondita nel terzo capitolo.

2.2.1 Profilo biografico6

6
Per la stesura della presente biografia di Giosue Carducci si sono tenute in considerazione le cronologie presenti nei
volumi: Giosue Carducci, Opere scelte, a cura di Mario Saccenti, UTET, Torino, 1993, pp. 61-76; Giosue Carducci, Tutte
le poesie, a cura di Pietro Gibellini, Newton-Compton, Roma, 2011, pp. 14-17.

40
Giosue Alessandro Giuseppe Carducci nasce a Valdicastello, nel comune di Pietrasanta
(Lucca), la sera del 27 luglio 1835, da Michele, un medico liberale affiliato alla Carboneria che lavora
presso una società mineraria francese, e Ildegonda Celli.
Nell’ottobre 1838, dopo essere passato per Seravezza e Ponte di Stazzema, si stabilisce a
Bolgheri, nel comune di Castagneto, nella Maremma pisana, dove il padre ha ottenuto una condotta.

Negli undici anni passati tra Bolgheri e Castagneto manifestò già quell’istinto rivoluzionario e quell’indole
insofferente a ogni imposizione che avrebbe sempre caratterizzato i suoi rapporti umani e sociali, facendo
di lui uno dei poeti e degli individui «più scorbutici e intrattabili che si fossero mai veduti». (…) Lettore
precocissimo, dai nove ai tredici anni, di Manzoni, dell’Iliade, dell’Eneide, della Gerusalemme liberata,
delle opere francesi sulla Rivoluzione, di Dante e Ovidio.7

In conseguenza del fallimento dei moti rivoluzionari del 1848, collegati con la prima guerra di
indipendenza, la famiglia Carducci si trasferisce a Firenze (aprile 1849). Qui, Giosue comincia una
intensa formazione culturale, presso le Scuole Pie degli Scolopi di San Giovannino, come allievo di
padre Michele Benetti e padre Geremia Barsottini e, già all’epoca, manifesta un’accesa avversione
per il ‘manzonismo’; è di questo periodo il fidanzamento con sua cugina Elvira Menicucci.
Nel marzo 1852 fonda l’Accademia dei Filomusi, con il fine di combattere la corruzione delle
lettere e delle arti in Italia; supera, nel settembre dello stesso anno, gli esami di licenza e, nel maggio
dell’anno successivo, il 1853, durante un’accorata lettura in pubblico, proprio all’Accademia da lui
fondata, de La Gerusalemme liberata, viene preso in considerazione dal canonico Ranieri Sbragia,
direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa; il mese successivo, sostenendo un esame di italiano,
di latino e filosofia, vince il concorso della Scuola Normale Superiore dove entra, nel novembre dello
stesso anno, come alunno convittore.
Sono anni importanti, fatti di studio intenso e di amicizie profonde e vere, tra le quali spicca
quella con Giuseppe Chiarini che ci regalerà una biografia accurata di Carducci.8
Si laurea il 16 giugno 1855 e, dopo un breve soggiorno a Firenze e dai suoi a Piancastagnaio
(Siena), dove il padre era stato nominato medico condotto, torna a Pisa e qui, con Chiarini, Nencioni,
Targioni Tozzetti e Cavaciocchi, fonda la Società degli ‘Amici pedanti’.
Nel novembre del 1856 va ad insegnare retorica al ginnasio di San Miniato dove avrà non pochi
problemi sia sentimentali (si innamora infatti di Emilia Orabuona, guastandosi con la famiglia di lei
e con la famiglia Menicucci, alla fine tuttavia riconciliandosi con la futura moglie), sia economici
(pubblica le Rime per sanare i numerosi debiti contratti). Benozzo scrive:

7
Francesco Benozzo, Carducci, Salerno, Roma, 2015, p. 22.
8
Cfr. Giuseppe Chiarini, Memorie della vita di Giosue Carducci / raccolte da un amico (Giuseppe Chiarini), Barbèra,
Firenze, 1903.

41
Tutti questi elementi possono servire per individuare nell’anno vissuto a San Miniato quello realmente
cruciale per la sua “iniziazione” poetica. La sensazione è infatti che proprio in quanto riscatto dalle
amarezze, dalle insofferenze, dai contrasti violenti con la realtà, che la poesia, intesa come sguardo di
rinnovamento sul mondo, avesse modo in lui di manifestarsi e vivere. San Miniato fu il piccolo mondo che
ne rispecchiò l’esistenza come un microcosmo, dal primo all’ultimo giorno: una rappresentazione della sua
intera vita fatta di battaglie, di risolutezze, di feroci batoste, e cupe malinconie, di impennate improvvise e
allegrie insperate.9

Chiusa nell’agosto 1857 la triste parentesi sanminiatese, si trasferisce a Firenze dove comincia
a collaborare con l’editore Gaspero Barbèra e dove vive il primo dei lutti più tristi, il suicidio del
fratello Dante a Santa Maria a Monte, il 4 novembre dello stesso anno; il secondo lo colpisce qualche
mese dopo, il 15 agosto 1858, quando perde il padre Michele.
Alla fine del 1858 fonda, con numerosi suoi amici, la rivista «Il Poliziano» e il 7 marzo 1859
sposa Elvira Menicucci dalla quale attende subito la primogenita Beatrice che verrà alla luce il 12
dicembre dello stesso anno. Intanto il professor Carducci ottiene la cattedra di lingua ed eloquenza
greca ad Arezzo a poi a Pistoia, al liceo ‘Niccolò Forteguerri’.
I mesi di Pistoia, quei pochi mesi del 1860, lo vedono amico di Louisa Grace Bartolini, moglie
dell’ingegner Francesco e appassionato sostenitore dell’impresa dei Mille. Nell’agosto dello stesso
anno il ministro dell’istruzione Terenzio Mamiani gli offre la cattedra di eloquenza italiana presso
l’Università di Bologna; pochi giorni dopo risponderà accettando e si trasferisce a Bologna in
novembre dando inizio alle lezioni presso la facoltà di Lettere.
I primi anni del decennio 1860-70 sono trascorsi dal Carducci fra l’insegnamento e le letture di
scrittori francesi, da Hugo a Sainte Beuve, passando per Michelet, Proudon, Quinet, Blanc e Thierry.
Nel 1863 nasce la sua secondogenita Laura e compone il famoso Inno a Satana pubblicato a Pistoia
nel 1865 con lo pseudonimo di Enotrio Romano, usato fino alle prime Odi Barbare.
Nel 1866 entra nella Massoneria, l’anno successivo invece viene trasferito d’ufficio dal
manzoniano ministro Emilio Broglio da Bologna a Napoli, ma le numerose e irruente proteste di
Enotrio Romano bloccano il provvedimento. Tuttavia non finiscono i problemi: in seguito ad una
commemorazione della Repubblica Romana e un indirizzo a Mazzini, una commissione ministeriale
viene inviata a Bologna e stende una relazione per il Consiglio superiore d’Istruzione, ottenendo una
sospensione dall’insegnamento e dallo stipendio per un paio di mesi del Carducci e di altri due suoi
colleghi, Giuseppe Ceneri e Pietro Piazza; continua intanto lo studio della lingua tedesca traducendo
opere di Goethe, Schiller e Heine.
Un altro anno di lutti, il 1870, segna la vita del Carducci con la morte della madre il 3 febbraio
e quella dell’ultimogenito Dante il 9 Novembre, un bambino di pochi anni.

9
Francesco Benozzo, Carducci, cit., p. 44.

42
Entra in corrispondenza con Carolina Cristofori Piva (Lina o Lidia nelle sue poesie), mentre
attende la quarta figlia, Libertà, (Titti) che nascerà il primo marzo 1872. Il 9 aprile dello stesso anno
conosce di persona Lina ed intrattiene con lei una relazione amorosa intensa e lunga, la più intensa e
lunga al di là del matrimonio con Elvira e, assieme a quella con Annie Vivanti in età senile, una di
quelle relazioni che lasciano il segno nelle opere di Carducci.
È questa una fase della vita del poeta-vate assai intensa per quanto riguarda la produzione
poetica: una viaggio di ritorno da Civitavecchia a Bologna (agosto 1874), facendolo transitare davanti
i cipressi di San Guido, presso Bolgheri, gli fornisce l’occasione per una delle sue più celebri poesie
(Davanti San Guido); l’epidemia difterica a Bologna del 1875 ispira la stesura di una poesia poi
entrata a far parte de Le Odi Barbare (Mors – Nell’epidemia difterica).
Stringe amicizia con Nicola Zanichelli e i suoi figli, con i quali manterrà rapporti lavorativi per
tutto il resto della sua vita, tanto da affidare loro la pubblicazione delle Odi Barbare (1877). Viaggia
molto: a Roma con Lina, a Venezia, a Trieste e il vicino castello di Miramare; come ispettore
scolastico si reca invece nelle Marche, in Umbria e in Toscana.
Nel 1878, in occasione di una visita di re Umberto e della regina Margherita a Bologna, ha il
piacere di conoscere i reali. Questo è il periodo della conversione del Carducci alla monarchia, una
conversione su cui si è molto discusso e argomentato10 e che lo stesso poeta ha modo di motivare:

Crede bene Ella, e lo dica a quei signori francesi, che nel ritorno mio alla Monarchia italiana della quale
non dissi mai male, la Regina può averci avuto la parte bella ed esteriore della bontà, ma la ragione fu che
la piccola fazione repubblicana, mal d’accordo, senza più ingegno, menava a rovinare, guastava, come
rovinerebbe e guasterebbe, volentieri, aiutandosi pur dei socialisti che la odiano e disprezzano, la unità, che
fu ed è l’amore, la fede, la religione della mia vita.11

Oltre a questo importante passaggio politico, rilevante è la presenza, fra i suoi allievi, di figure
di spicco quali Severino Ferrari e Giovanni Pascoli; degna di nota è poi la chiusura della relazione
con Lidia (1878) che morirà nel 1881.
A cavallo fra gli anni Settanta e gli anni Ottanta vi sono, nella vita del Carducci, numerosi
viaggi e incarichi scolastici e ministeriali a Roma, Verona e Livorno, nonché un’intensa attività
letteraria: sono di questi anni Fuori dalla Certosa di Bologna (1879), Una sera di San Pietro e Sogno
d’estate (1880) e Nevicata nonché la celebre prosa Eterno femminino regale (1881) stesa dopo un
Consiglio superiore dell’istruzione a Roma.
Nel 1885 inizia per lui, con una lieve paresi al braccio, un decadimento fisico lungo un
ventennio; l’anno successivo diviene accademico della Crusca e rientra nella Massoneria, dopo

10
Cfr. Umberto Carpi, Carducci. Politica e poesia. Edizioni della Scuola Normale, Pisa, 2010, pp. 241-337.
11
Giosue Carducci, Lettera a Camillo Antona-Traversi del 13 Settembre 1897, in L, vol. XX, p. 74.

43
vent’anni di separazione. Nello stesso 1886 accetta la candidatura politica in Maremma, ma,
nonostante il discorso al popolo nel Teatro Nuovo di Pisa il 19 maggio, non viene eletto. Si sposano
intanto le due figlie, Laura (1887) e Libertà (1889). Alla fine del 1889 inizia la sua ultima importante
relazione amorosa con la poetessa ventitreenne Annie Vivanti, per la quale scriverà la prefazione alle
sue poesie e che lo accompagnerà in diversi viaggi e vacanze.
Nel 1890 viene nominato senatore a vita e fa il suo ingresso in senato l’anno successivo; nei
primi mesi dello stesso anno è vittima di due manifestazioni anticarducciane degli studenti
repubblicani e socialisti sotto le finestre della sua abitazione e all’Università, compensato, qualche
anno dopo (1896) dai festeggiamenti per il primo giubileo di magistero, celebrati sia dagli studenti,
sia dalle istituzioni pubbliche, sia dalla “Deputazione di Storia Patria”.
La morte del genero Carlo Bevilacqua (1898) fa sì che in casa si debba riaccogliere la figlia
Beatrice con i suoi cinque figli.
Il primo anno del nuovo secolo Carducci lo trascorre come ospite di alcuni amici a Firenze, a
Faenza e a Lizzano. Nel 1902 la regina Margherita acquista la biblioteca e la casa di Carducci affinché
siano donate, alla morte di quest’ultimo, al Comune.
Lascia definitivamente la cattedra di letteratura italiana nell’ateneo bolognese (1904), sulla
quale salirà al suo posto Giovanni Pascoli e riesce ad ottenere dal ministro della Pubblica Istruzione
Vittorio Emanuele Orlando una pensione annua di dodicimila lire (pari a quella che ricevette
Manzoni).
Nello stesso anno Severino Ferrari, suo allievo, viene ricoverato in manicomio a Villa Sbertoli
(Pistoia). La sua morte, avvenuta nel 1905, sarà per il suo maestro un grande dolore.
Il 10 dicembre 1906 il barone de Bildt, ambasciatore in Italia del re di Svezia Oscar II, consegna
a Giosue Carducci il premio Nobel per la letteratura italiana.

Per il «fanciullo di Valdicastello», per il poeta assetato di libertà, era arrivato un riscatto che radunava in
un unico momento le travagliate vicende della sua «vita in costante lotta», nella quale aveva alla fine
pubblicato più di settanta volumi tra poesie e prose, oltre agli ulteriori tomi dell’opera omnia in cui si era
fatto filologo di se stesso.12

Pochi mesi dopo, la notte tra il 15 e il 16 febbraio 1907, muore nella sua casa bolognese;
il 19 Febbraio, con solenni funerali, viene sepolto nel cimitero della Certosa di Bologna.

Chi tra i poeti non poté esserci mandò versi, saluti, omaggi: Christian Morgenstern compose la poesia Zu
Carduccis Tod (‘In morte di Carducci’), d’Annunzio inviò un ramo di pino con un nastro nero, da lui stesso
tagliato guardando il monte Gabberi sotto il quale era nato il poeta, Ceccardo Roccatagliata Ceccardi inviò
un articolo inquieto e fiero (pubblicato due giorni prima sul «Popolo» di Firenze) in cui, salutando

12
Francesco Benozzo, Carducci, cit., p. 96.

44
commosso l’«unico Maestro di chi si dice o altri dicono poeta», si augurava che presto fossero spazzate via
«le generazioni dei nani e dei coboldi» contro le quali si ergeva da sempre l’esempio carducciano.13

2.2.2 La produzione letteraria

I. LE POESIE

La prima raccolta di poesie pubblicate da Barbèra, nel 1871, ha titolo Juvenilia ed è al suo
interno suddivisa in sei libri. Queste poesie giovanili furono pubblicate in edizione autonoma da
Zanichelli nel 1880 e, in redazione definitiva, nel volume VI delle Opere del 1891, dove il poeta
operò una drastica selezione, raggruppandole in sei libri ed estendendo al contempo il limite
cronologico fino alle poesie composte nel 1860.
Per quanto si riscontrino nuclei di diversa ispirazione, è certamente il dialogo coi classici la
caratteristica dominante della poesia carducciana fin dalle sue origini.

Questa sua propensione – sentenza Benozzo – talvolta rigida e anche eccessiva, è la stessa che ha creato
molti degli stereotipi che ancora perdurano: l’oltranza erudita di Carducci, la sua provincialità, la sua
lontananza dal presente […]. Nelle cento poesie di Juvenilia il classicismo carducciano si apre a possibilità
liriche sempre in bilico tra l’osservazione diretta della realtà e il filtro percettivo dei poeti, con echi spesso
virgiliani e omerici. 14

Per comprendere cosa intenda con questo giudizio, Benozzo, nel suo saggio, utilizza come
esempio il sonetto VIII del primo libro di Juvenilia (del 1852, composto quando aveva diciassette
anni), Profonda solitaria, immensa notte.15 Come documenta Maria Dell’Isola questo sonetto ha
ispirato un rifacimento di Octavian Goga, letterato e uomo politico romeno di inizio Novecento.16 I
dettagli di questa ricezione saranno affrontati nel prossimo capitolo, qui basti notare come in territorio
romeno non si leggesse solamente il Carducci della produzione matura, ma fosse studiato e tradotto
anche il Carducci giovane.
Carducci dialoga con i classici della tradizione latina, quali Catullo, Orazio e Lucrezio, e
italiana, come Petrarca, Alfieri, Parini, Foscolo, Metastasio, Leopardi.17
Particolarmente importante è il giudizio di Luigi Russo, che sintetizza e rende chiara
l’importanza della raccolta nel complesso della produzione poetica del Nostro:

Questi Juvenilia ci possono essere cari non soltanto per ragioni erudite, ma per quella vena di virile
malinconia che qua e là affiora in diversi componimenti. Sicchè bisogna pur riconoscere che coi Juvenilia

13
Ivi, pp. 98-99.
14
Francesco Benozzo, Carducci, cit., p. 100.
15
OEN, vol. VI, p. 18.
16
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., pp. 184-185.
17
Cfr. Francesco Benozzo, Carducci, cit., pp. 101-103.

45
il Carducci nasce poeta, e correggere il giudizio che la pigrizia dei lettori ha consacrato, saltando questa
sezione di componimenti, come pure e sorde esercitazioni scolastiche.18

Lo spunto per il titolo della raccolta Juvenilia fu fornito al Carducci da un verso di Ovidio («Ad
leve rursus opus, iuvenilia carmina veni»)19 che ispirò anche il titolo della raccolta successiva, Levia
gravia, composta da due libri. In una lettera a Felice Tribolati del 24 settembre 1868, il poeta fornisce
alcune chiavi di lettura del titolo: “cose leggere per sentimento e per stile, mescolate ad altre gravi
per le stesse ragioni, cose leggere […] che tuttavia son difficili e gravi a fare, […] cose che gli Italiani
del ’68 le parranno leggerezze e sciocchezze pedantesche e fastidiose”.20
Levia gravia comprende poesie scritte tra il 1861 e il 1871 e testimonia il connubio di studi e
vocazione rivoluzionaria del primo periodo bolognese. La raccolta (che includeva quarantaquattro
poesie) fu pubblicata a Pistoia nel 1868, a Firenze da Barbèra nel 1871 e da Zanichelli, in volume
autonomo nel 1881, e infine, accanto a Juvenilia, nel volume VI delle Opere.

Il tema della libertà – specifica Benozzo – che preannuncia la ribellione illuministica dell’inno A Satana
[…] è dominante […]. Questa vena, che porterà al periodo più esplicitamente giambico e «rivoluzionario»,
è quella predominante, sicuramente quella più nuova, dei Levia gravia.21

Nella raccolta compaiono poi alcuni componimenti d’occasione, scritti per la morte di amici e
personaggi pubblici o per matrimoni di altri e il polimetro Poeti di parte bianca, “una specie d’idillio
storico critico – come specifica lo stesso poeta in una nota – nel quale si volle rappresentare certe
maniere e tendenze della poesia italiana su ’l finire del sec. XIII”.22
Del settembre 1863 è l’inno A Satana, stampato in versione definitiva nel 1867 a Pistoia e
pubblicato sulla rivista «Il popolo», in polemica coincidenza con il Concilio Ecumenico Vaticano
aperto da Pio IX. Satana incarna, per Carducci, il libero pensiero, la natura, il progresso. A Satana,
nel quale si fondono per la prima volta l’ispirazione classica, o neopagana, e l’anelito civile e politico,
rappresenta la svolta intellettuale dei primi anni bolognesi, consacrando Carducci e la sua fama.
Dopo gli epodi e l’inno A Satana, Carducci compose fra il 1871 e il 1872 le Primavere elleniche
che comparvero in volume nel 1872 presso Barbèra e costituiscono un’unica trilogia (I. Eolia; II.
Dorica; III. Alessandrina) dedicata a Lidia (l’amante Carolina Cristofori Piva) e quindi, secondo
alcuni critici, un’unica raccolta.23

18
Luigi Russo, Carducci senza retorica, Laterza, Bari, 1999, p. 149.
19
«Tornai di nuovo all’opera leggera di carmi giovanili», da Ovidio, Tristia II-339.
20
L, vol. V, pp. 260-61.
21
Francesco Benozzo, Carducci, cit., p. 108.
22
Giosue Carducci, Poesie, Zanichelli, Bologna, 1906, p. 309, nota 1.
23
Cfr. Giorgio Bàrberi Squarotti, Le ‘Primavere elleniche’, in Un centenario per Carducci, a cura di Umberto Carpi,
numero monografico di Per leggere, anno XIII, 2007, pp. 65-97.

46
Alla pubblicazione delle tre odi è affidato un compito essenziale: dimostrare al pubblico e alla critica – un
pubblico e una critica che sostanzialmente non lo comprendono – che il poeta polemico, rissoso e petroliere
dei Giambi ed epodi è capace di fare anche la grande poesia ideale e artistica. E in questo c’è, evidente,
l’intenzione di segnare uno stacco con una stagione che sta volgendo al termine, e insieme ricondurre
all’amore appena scoperto una soluzione di continuità che si celebra nella prospettiva del ritorno ai classici
(Petrarca, Foscolo) e della grecità ritrovata: ritrovata fondamentalmente in Lidia e attraverso Lidia.24

Con questi componimenti Carducci vuole abbandonare la poesia politica e civile composta fino
a quel momento per «tornare all’arte pura».25

Nelle Primavere elleniche siamo lontani dal neoclassicismo di inizio Ottocento, specialmente per il fatto
che qui manca ogni nostalgia romantica per un mondo ineluttabilmente perduto. La restituzione dello spirito
pagano è per Carducci possibile e doverosa. Il viaggio reale è costantemente vagheggiato […]. La
compenetrazione – anche fisica – con l’amata diventa la prima soglia di un panteismo contemporaneo, di
una confusione con la natura che rende possibile un ritorno effettivo al paganesimo edenico della Grecia.26

Nel 1882 Carducci pubblica da Zanichelli la raccolta Giambi ed epodi, composta, come Levia
gravia, da due libri, richiamando nel titolo le poesie satiriche in metri giambici di Archiloco e gli
Epodi di Orazio. Qui il poeta riunisce le poesie politiche scritte fra il 1867 e il 1872, anche se
nell’edizione definitiva il limite ultimo delle poesie raccolte sarà esteso al 1879. Sono poesie nelle
quali si esaltano i grandi ideali di giustizia e libertà, in cui Carducci si esprime contro i compromessi
dell’Italia unificata e soprattutto contro il papato. Sono poesie, quelle di Giambi ed epodi, che
prendono le mosse dalla questione romana, la liberazione di Venezia, le sconfitte di Custoza e Lissa,
gli scontri di Villa Glori e Mentana, la Rivoluzione francese. Come ben sintetizza Pietro Gibellini “il
problema che assilla il Carducci giambico è quello di riuscire a calare la scottante novità del contenuto
in una forma adatta, di raggiungere cioè l’effetto della rappresentazione realistica senza tradire il
rigore e la dignità delle forme classiche”.27
Il poemetto Ça ira (cioè ‘andrà, riuscirà, si farà’), costituito da dodici sonetti, prende il titolo
da un canto della Rivoluzione francese. Composto fra il 27 febbraio e il 27 aprile 1883, fu pubblicato
da Sommaruga nel maggio dello stesso anno. Carducci, ribadendo l’importanza del 1792 francese,
concepì la struttura del poemetto, dopo aver letto un saggio di Ruggiero Bonghi, I pretendenti in
Francia. In questo saggio Bonghi commentava la delicata situazione politica francese dell’epoca e
auspicava per la Francia un futuro politicamente stabile, possibile solamente sotto la guida di un
sovrano anche facendo marcia indietro sull’esito della rivoluzione.

Quando nel 1883 uscì il Ça ira, anche se i sonetti rimati non battevano le barbare ali dell’alcaica […] parve
davvero fosse tornato fuori il poeta petroliero e barricadero, quello che all’apologia ‘giacobina’ della

24
Ivi, p. 71.
25
L, vol. VII, p. 71.
26
Francesco Benozzo, Carducci, cit., p.114.
27
Pietro Gibellini in Giosue Carducci, Tutte le poesie, Newton-Compton, Roma, 2011, p. 242.

47
rivoluzione francese […] aveva già consacrato – e nei mesi postcomunardi – giambi politicamente fra i più
violenti, anche poeticamente tra i memorabili.28

Secondo Luigi Russo, di quei dodici sonetti i migliori sono il primo (Lieto su i colli di Borgogna
splende), il quarto, il sesto, mentre invece “il quinto sonetto, Udite, udite o cittadini, secondo il canone
di poesia e non poesia, è meno bello, ma anch’esso ha la sua efficacia e si direbbe che tutti i dodici
sonetti non mancano mai di efficacia”.29 Inoltre, sempre Luigi Russo, specifica che “sono dei sonetti
eloquenti, quando non sono poetici: non sono insomma dei sonetti accademici, perché scritti in un
momento di sincero impeto”.30
Altro poemetto, invece, è Intermezzo. Composto da 400 versi in quartine di endecasillabi e
settenari alternati, fu concepito in dodici anni, dal 1871 al 1883.

Il titolo fa riferimento da un lato all’‘intermezzo’ cinquecentesco, cioè a un «breve divertimento di


canzonette e balletti figurati», e dall’altro al Lyrisches intermezzo di Heine […]. Lo stesso Carducci precisa:
«intermezzo metaforicamente chiamai io questa serie di rime che doveva nel mio pensiero segnare il
passaggio dai Giambi ed epodi alle Rime nuove e alle Odi barbare» (O, vol. IX p. 163).31

Centrale, nel poemetto, è la derisione dei languori e del sentimentalismo della poesia
tardoromantica, con un atteggiamento dissacratorio che tocca tanto la propria produzione quanto la
tradizione stessa. Le caratteristiche sperimentali, l’«autoironia professionale»,32 l’esporre emozioni e
sentimenti in bilico fra diverse tensioni rendono Intermezzo sostanzialmente isolato nella parabola
poetica carducciana.33

Una sorta di cuscinetto, dunque, l’Intermezzo, dieci anni di faticosa elaborazione, prima stampa integrale
nelle Rime nuove 1887 in posizione finale subito prima del Congedo […]. Nel 1887 l’atto e l’altro fra cui
l’Intermezzo segna il passaggio sono esplicitamente da un lato i Giambi ed epodi e le Nuove poesie, cioè la
conclusa stagione poetico-politica di Enotrio (repubblicano), dall’altro le Odi barbare, cioè il presente
poetico-classico di Carducci (monarchico).34

La raccolta Rime nuove, composta da nove libri, comprende centocinque componimenti scritti
in 26 anni, dal 1861 al 1887 e viene pubblicata nella versione definitiva nel 1894. Secondo Benozzo
“il suo fascino e la sua forza fondamentale attuale consistono forse proprio nel fatto […] di presentarsi
come una struttura coesa ma aperta, in divenire, strutturalmente acentrica e asimmetrica”.35

28
Umberto Carpi, Carducci politica e poesia, cit., pp. 291-292.
29
Luigi Russo, Carducci senza retorica, cit., p. 266.
30
Ibid.
31
Francesco Benozzo, Carducci, cit., p.143.
32
Lorenzo Tomasin, «Classica e odierna». Studi sulla lingua di Carducci, Olschki, Firenze, 2007, p. 102.
33
Cfr. Luca Serianni, Giosuè Carducci, ‘Intermezzo’, in Filologia e storia letteraria. Studi per Roberto Tissoni, a cura di
Carlo Caruso e William Spaggiari, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2008, p. 526.
34
Umberto Carpi, Carducci: politica e poesia, cit., pp. 313-316.
35
Francesco Benozzo, Carducci, cit., p.153.

48
Contenuto essenziale è proprio la riflessione costante sulla poesia che affianca tematiche
memorialistiche (Davanti San Guido, Traversando la Maremma toscana, Nostalgia), amorose,
storiche, paesaggistico-naturalistiche (che include poesie celebri quali Il bove, Fiesole, Visione, In
riva al mare, Mattino alpestre, San Martino, In Carnia, Idillio maremmano) e quello
dell’introspezione e delle memorie familiari (Funere mersit acerbo, Pianto antico, Tedio invernale,
Visione) con un capitolo denso di traduzioni di poeti stranieri, quali Herder, Goethe, Uhland, Platen,
Heine. Gibellini dice:

Ciò che contraddistingue la nuova fioritura poetica è piuttosto la disposizione elegiaca; lo stesso amore per
il passato storico, che pure tocca momenti di estrema purezza, cede volentieri alla memoria autobiografica,
mentre sale il numero delle liriche di ispirazione paesistica […]. Il registro della raccolta è essenzialmente
lirico, e, detto in breve, le Rime nuove sono soprattutto la raccolta della malinconia e del rimpianto, espressi
però carduccianamente, cioè senza cedimenti lacrimevoli. Si approfondisce la meditazione sull’amore e
sulla morte, trasferita dal piano individuale a quello cosmico. La morte diventa un leit-motiv del Carducci
maturo, che riflette sempre più sulla caducità delle cose umane.36

L’opera che però segna in modo imprescindibile l’attività poetica di Carducci è la raccolta Odi
barbare. L’aggettivo ‘barbare’, suggerito, secondo Papini,37 dai Poèmes barbares di Leconte de Lise
(1862), è utilizzato per la prima volta dal poeta in una lettera a Lidia del 18 aprile 1875 («Intanto
leggi questa poesia che ti mando: un’asclepiadea barbara»38).39
Una prima edizione delle Odi barbare uscì nel 1877 presso Zanichelli e comprendeva
quattordici poesie; nell’82 furono pubblicate, sempre per Zanichelli, invece le Nuove odi barbare e
nell’89, infine, le Terze odi barbare grazie ancora all’editore bolognese. Questi tre volumi furono
accorpati in un unico volume nel 1893 – suddiviso in due libri – insieme a traduzioni del Carducci
dal tedesco e a nuove versioni in latino e tedesco delle odi carducciane.
La motivazione del titolo è poi spiegata dal Carducci stesso, in una nota all’edizione del 1877:

Queste odi le intitolai barbare, perché tali suonerebbero agli orecchi e al giudizio dei greci e dei romani, se
bene volute comporre nelle forme metriche della loro lirica, e perché tali soneranno pur troppo a moltissimi
italiani, se bene composte e armonizzate di versi e di accenti italiani.40

I metri presi a modello sono tratti da Orazio, Properzio, Tibullo e Catullo, tenendo conto anche
di autori tedeschi e italiani quali Gabriello Chiabrera, Paolo Antonio Rolli, Giovanni Fantoni e

36
Pietro Gibellini in Giosue Carducci, Tutte le poesie, cit., p. 330.
37
Cfr. Gianni A. Papini, Introduzione a Giosue Carducci, Odi barbare, ed. critica a cura di Gianni A. Papini, Mondadori,
Milano, 1988, p. XVII.
38
L, vol. X p. 7.
39
Francesco Benozzo, Carducci, cit., p.169.
40
OEN, vol. XI p. 235.

49
Tommaso Campanella, che già avevano tentato di trasportare nella poesia italiana l’andamento
ritmico del verso latino.41

Nella redazione definitiva in due libri […] si può riconoscere un ordinamento preciso, che fa confluire nel
secondo le poesie nate da occasioni private, da episodi personali, da riflessioni e sensazioni più intime,
mentre riserva al primo quelle dedicate alle grandi memorie storiche, ai miti classici e a fatti salienti del
tempo presente.42

All’interno del primo libro è possibile individuare alcuni raggruppamenti tematici, dalle
poesie di argomento e ambientazione bolognese o veneta come Nella piazza di san Petronio,
Fuori dalla Certosa di Bologna, Le due torri e Davanti al Castel Vecchio di Verona, a
componimenti di ispirazione risorgimentale-garibaldina e odi ‘civili’, come Alle fonti del
Clitumno, di cui abbiamo diverse traduzioni in lingua romena.43
Le reazioni alla pubblicazione furono diverse, segno che si trattava davvero di un’opera
rivoluzionaria: vi era chi riteneva illegittimi i nuovi metri e chi invece vi riconobbe un
incoraggiamento a lasciare un solco nella tradizione.
Il dato più importante da tenere a mente delle Odi barbare, al di là dei contenuti e delle forme
specifiche, è quello della modernità (intesa come contemporanea al poeta, ovviamente). Benozzo, per
l’appunto, afferma:

Se infatti nelle poesie giovanili – e fino alle Primavere elleniche – i classici erano stati per Carducci un
modo di guardare il mondo proprio attraverso una forma di intimità, ostentata finché si vuole, con autori
letti e studiati fin dall’infanzia, e cioè con quella parte di se stesso in cui si era da sempre riconosciuto, nelle
Odi barbare metteva adesso in campo un ardito tentativo di dare forma a uno rêverie più che altro filologica,
che va intesa come un altro segno, non fraintendibile della «voracità di fratellanza, attraverso il tempo e lo
spazio, con la tradizione» (Marco Veglia). Nel segno della contemporaneità, della proposta (o sfida) ai
contemporanei, accanto a quello metrico, andrebbe sottolineato allora lo sperimentalismo nell’uso della
lingua, dei soggetti trattati e delle fonti. La complicata costrizione metrica dei classici serve al poeta per
farsi interprete di una sensibilità nuova e in qualche caso modernissima, resa possibile, almeno in partenza,
soltanto da quella che Carducci definì una volta «una certa vanità sua di essere insieme poeta e filologo»
(L, vol. VIII p. 263).44

L’ultima raccolta di Carducci fu pubblicata presso Zanichelli nel 1899 ed ha titolo Rime e ritmi.
Comprende ventinove componimenti scritti fra il 1887 e il 1898 e non suddivisi in libri, dove si ha la

41
Cfr. Francesco Benozzo, Carducci, cit., pp. 170-171.
42
Ivi, p. 171.
43
Cfr. Duilio Zamfirescu in «Ateneul Român», 15 settembre 1894; Mihail Dragomirescu in «Convorbiri critice», n. 4,
1907; George Murnu in «Flacăra», novembre 1913; Dumitru Iacobescu in «Ramuri», settembre 1920; Adolfo Stern in
«Adevărul literar», luglio 1922.
44
Francesco Benozzo, Carducci, cit., pp. 174-175.

50
commistione di metri romanzi (‘rime’, appunto) e barbari (‘ritmi’) con l’alternanza di un registro
storico-politico-civile e uno lirico-soggettivo.45
L’ordinamento strutturale della raccolta si può intravedere nella disposizione dei
componimenti, sia a livello formale, sia contenutistico. La prima poesia sembra collegata all’ultima
per forma e brevità, la seconda (Nel chiostro del Santo) alla penultima (Presso una Certosa) per
l’identica estensione e per l’ambientazione (entrambe si svolgono in un luogo sacro). Vi sono poi
nuclei di poesie storiche (Piemonte e Bicocca di San Giacomo), irredentiste e nazionaliste (Cadore,
La mietitura del Turco), gli Idilli alpini e Jaufré Rudel, «la cui unicità e complessità lo rende
rappresentativo dell’intera raccolta».46
Secondo alcuni47 un tratto caratteristico della poesia senile di Carducci è un ripiegamento
malinconico, con tratti che ricordano il poeta iroso dei Giambi e delle grandi odi storiche. “Anche in
Rime e ritmi Carducci si rivela, a tratti, poeta-vate […], poeta-professore o poeta-moralista […]”48,
si accentua però la sottile inquietudine già presente in altre raccolte, ora incline a tonalità quasi
decadenti e crepuscolari.

II. LE PROSE

La caratteristica dello sperimentalismo poetico vale anche per il Carducci prosatore. La


produzione in prosa risulta essere vastissima, imprendibile ed estremamente diversificata, sfiorando
le quarantamila pagine.
Anzitutto si può dire che “la prosa di Carducci […] vive di un rapporto osmotico con la sua
poesia, con riscontri e scambi ineludibili e costanti, attuati su diversi livelli, ma anche con un forte
senso di compenetrabilità”.49
Saccenti fornisce una valida sintesi dei contenuti delle prose:

Prosa di esegesi, di commento, di celebrazione, di memoria, di cronaca, di narrazione, di descrizione, di


confessione, di raccoglimento, di divagazione, di battaglia, di protesta; che trapassa dalla catafratta galleria
dell’erudizione all’incantata dilatazione paesistica, dallo spettacolo grottesco alla scena intrisa di cupa
tristezza, dalla tenerezza degli affetti familiari al rapimento e allo sfogo amoroso, dalle traiettorie dell’ironia
e dell’irrisione alle tempeste dello sdegno; che accoglie nel suo amalgama e compone e in timbro
carducciano le voci di tanti ascendenti, dagli storici ai moralisti del Cinquecento e del Seicento ai poligrafi,
giornalisti e libellisti del Settecento, agli onnipresenti nostri classici fra Sette e Ottocento, e Gioberti e
Mazzini, Guerrazzi e Giusti, Heine e Strente, Michelet e Courier. Prosa insomma che conosce tutti gli slanci

45
Cfr. Francesco Bausi, «Ella è volta fuori de la veduta mia». Per una rilettura di ‘Rime e ritmi’, in Emilio Pasquini-
Vittorio Roda, Carducci nel suo e nel nostro tempo, Atti del Convegno di Bologna, 23-26 maggio 2007, a cura di Emilio
Pasquini e Vittorio Roda, Bologna University Press, Bologna, 2009, pp. 225-259.
46
Francesco Benozzo, Carducci, cit., p. 186.
47
Cfr. Pietro Gibellini in Giosue Carducci, Tutte le poesie, cit., pp. 523-524.
48
Ivi, p. 523.
49
Francesco Benozzo, Carducci, cit., p. 205.

51
e le pause, le svolte e gli estri del pensiero e della fantasia, e che, evolvendo dal giovanile classicismo
giordaniano e fruendo del parallelo e a lungo confermato antimanzonismo […], s’apre con discernimento
ad ogni esperienza letteraria nonché al linguaggio popolare e familiare mentre appunto sollecita la poesia e
si confronta con essa e vi si rispecchia.50

Per quanto riguarda l’assetto linguistico, non si notano tratti di evoluzione nella lingua delle
prose carducciane dagli scritti giovanili a quelli della vecchiaia, ma si può ammirare un alternarsi di
registri stilistici, osservabile tanto all’interno delle singole prose quanto nella scrittura di prose di
genere diverso.51

Sul piano del lessico e della sintassi il modello carducciano si oppone, potremmo dire spudoratamente, a
quello manzoniano: se la prosa di Manzoni tendeva a uniformarsi a una lingua toscana viva, quella di
Carducci si mostra spregiudicata e pronta a mescolarsi di elementi di toscano contemporaneo con tratti
tipici del toscano letterario, attingendo spesso al registro popolare e non disdegnando l’inclusione di
elementi dialettali di provenienza diversa.52

Sicuramente singolare è il vastissimo epistolario carducciano che, pubblicato a partire dal 1938,
è certamente “uno dei più importanti e imponenti della tradizione italiana”.53 Gli interlocutori di
Carducci sono circa duemila: fra questi spiccano Chiarini (653 lettere), Cesare Zanichelli (371
lettere), Lidia (583 lettere).
Dopo una prima silloge di lettere edite nel 1911 e la stampa di alcune epistole ad opera dei
destinatari nel 1938, nel 1968 fu terminata la pubblicazione dell’Edizione Nazionale delle lettere
presso Zanichelli in ventidue volumi. Caratteristica essenziale dell’epistolario è “l’attenzione […]
che egli presta verso i propri usi linguistici, che non esita a commentare, ricorreggere e valutare,
introducendo notazioni metalinguistiche di vario tipo”.54 Anche la scrittura epistolare, quindi, è per
Carducci una messa alla prova delle proprie idee sulla questione linguistica, sull’italiano da utilizzare,
sulla polemica contro i forestierismi e lo fa con uno sfoggio di erudizione e cultura continui.

2.2.3 La Romania nell’opera di Carducci

Per completezza di trattazione, diamo conto dei luoghi dell’opera carducciana in cui si fa cenno
al popolo romeno o al territorio dove questo vive. I riferimenti di Carducci al mondo romeno sono
solamente due, uno nelle poesie e l’altro nelle prose.

50
Mario Saccenti, in Giosue Carducci, Opere scelte, a cura di Mario Saccenti, UTET, Torino, 1993, vol. II, p. 50.
51
Cfr. Lorenzo Tomasin, Sulla lingua di Carducci prosatore, in «Nuova rivista di letteratura italiana», X, 2007, pp. 57-
68.
52
Francesco Benozzo, Carducci, cit., pp. 209-210.
53
Ivi, p. 221.
54
Ivi, p. 225.

52
Per quanto riguarda le poesie, Carducci parla dei popoli dei Carpazi in una strofa del
componimento Sicilia e la rivoluzione, definitivamente collocato in chiusura di Juvenilia, prima della
Licenza.55
“Il componimento fu scritto a Pistoia tra maggio e giugno 1860 per celebrare l’impresa
garibaldina dei Mille”.56 Costituito da diciassette strofe di quartine geminate di decasillabi, l’ode
ripercorre le vicende del Risorgimento italiano con versi densissimi di storia, facendo cenno a eventi
di natura patriottica propri della storia d’Italia. Carducci rammenta Milano, le sue riscosse (la
57
battaglia di Legnano del 1176, le cinque giornate del 1848 e la lotta a lui contemporanea),
l’insurrezione di Genova,58 i vespri siciliani del 1282,59 il quarantotto bolognese,60 le dieci giornate
bresciane del 1849.61
Dopo aver presentato Garibaldi e la sua impresa,62 nella parte conclusiva dell’ode possiamo
leggere l’esortazione del poeta a tutti i popoli ancora sottomessi affinché lottino contro i dominatori:

Su, da’ monti Carpazi a la Drava,


Da la Bosnia a le tessale cime,
Dove geme la Vistola schiava,
Dove suona di pianti il Balcan!
Su, d’amore nel vampo sublime
Scoppin l’ire de l’alme segrete!
Genti oppresse, sorgete, sorgete!
Ne la pugna vi date la man!63

vv. 105-112

Fra i popoli che vivono “da’ monti Carpazi a la Drava” vi erano i romeni che, in quel periodo
(1860), stavano lottando per unire i principati di Valacchia e Moldova e, in Transilvania, subivano il
domino del regno austro-ungarico.64

55
Cfr. OEN, vol. II, pp. 232-237.
56
Marina Salvini in Giosue Carducci, Tutte le poesie, Newton-Compton, Roma, 2010, p. 163.
57
OEN, vol. II, p. 237. «O Milan, la tua pingue pianura | crebbe pur de le bianche lor ossa, | e i destrieri sferzò la paura |
quando inerme il tuo popol ruggì: | O Milano, alla terza riscossa | gitta l’ultima sfida, e t’affretta; | il drappel de la morte
t’aspetta, | ch’è risorto al novissimo dì» (vv.41-48).
58
Ibid. «Bello il sangue che ancor su la gonna | tua ducale rosseggia e sfavilla! | Non forbirlo, o de’ Liguri donna». (vv.49-
51)
59
Ibid. «Odi, a vespro Palermo sonò». (v. 52)
60
Ibid. «Dove sono o Bologna i possenti | i guerrier de la tua Montagnola?». (vv. 57-58)
61
Ibid. «O del Mella viragine forte | batti pur su le incudi sonanti, | stringi pur in arnesi di morte | del tuo ferro il domato
rigor; | ma rammenta i tuoi pargoli infranti | su le soglie, i tuoi vecchi scannati, | ed i petti materni frugati | da le spade, e
l’irriso dolor». (vv.65-72)
62
Ibid. «Chi è costui che cavalca glorioso | In tra i lampi del ferro e del foco, | Bello come nel ciel procelloso | Il sereno
Orïone compar? | Ei si noma, e a’ suoi cento diêr loco, | Le migliaia da i re congiurate: | Ei si noma, e città folgorate | Su
le ardenti ruine pugnâr - Come tuono di nube, disserra | Ei li sdegni che Italia raguna: | Ei percuote d’un piede la terra, |
E la terra germoglia guerrier. | Garibaldi!... Da l’erma laguna | Leva il capo, o Venezia dolente: | Tu raccogli, o de l’itala
gente | Madre Roma, lo scettro e l’imper». (vv. 89-104)
63
Ibid.
64
Cfr. Georges Castellan, Storia del popolo romeno, cit., pp. 163-185.

53
Altro riferimento lo abbiamo nelle prose, nel discorso Vittore Hugo del 31 maggio 1885, 65
scritto a pochi giorni dalla morte dello scrittore francese, avvenuta il 22 maggio 1885.
Dopo il solenne preludio, Carducci invita ad alzare nel sole le bandiere delle nazioni in segno
di lutto per la morte del poeta («Su dunque in alto le bandiere delle nazioni…»);66 nel rivolgere questo
invito a numerosi Paesi, Egli, in un paragrafo, cita anche la Romania:

E tu, Francia, di cui egli fu l’anima, l’anima che si comunicò al mondo, forte, ardente, serena! E tu, Italia,
che nella etrusca isola del ferro desti al divino fanciullo il primo accenno della parola parlata, che dalla
Campania felice imprimesti all’estatica fantasia le prime visioni della natura, che all’ultimo poeta
producesti l’ultimo eroe, Garibaldi! E tu, Spagna, ov’egli imparò prima ad amare e a combattere, tu che
vestisti con le tue tradizioni le prime armi al Cid della poesia giovinetto! E tu, vecchia Grecia, di cui egli
cantò agli eroi risorgenti; e tu, giovane Romania, a cui divinò l’avvenire.67

Anche qui Carducci, se pure in modo marginale, cita la Romania come una terra la cui sorte
sarebbe stata vaticinata da Victor Hugo nelle sue opere.
Se nella produzione letteraria Carducci non sembra dare molto rilievo al popolo romeno, questo
non si può dire della sua corrispondenza privata, nella quale troviamo interessanti punti di contatto
fra il Nostro e la Romania.

2.3 I contatti di Giosue Carducci con il mondo romeno

2.3.1 Le traduzioni romene dell’Inferno e del Purgatorio dantesco nella biblioteca personale
del poeta

Negli anni ottanta dell’Ottocento in Romania viene pubblicata la prima traduzione in romeno
della Divina Commedia dantesca ad opera di Maria Chițiu (1846-1930).
Nata nel 1846, fu moglie dell'avvocato Petre Chițiu e madre di Lucia Chițiu, dedicandosi, fin
da giovane, allo studio della lingua e la letteratura italiana. Dopo alcune traduzioni frammentarie di
Ion Heliade Rădulescu e Aron Densușianu della Divina Commedia, è la prima a fornire la traduzione
integrale dell’Inferno (1883) e del Purgatorio (1888), stampate presso la tipografia Samitca di
Craiova. Copie di quest’opera sono state accolte nelle Biblioteche dell’Università di Roma e del
Vaticano. Nel 1927 ha tradotto anche alcune opere di Gabriele D’Annunzio.68 È morta nel 1930.

65
Cfr. OEN, vol. XXVIII, pp. 203-208.
66
Ibid.
67
Ibid.
68
www.aman.ro (consultato in data 13 novembre 2019).

54
Con tanto di lettera autografa della traduttrice,69 in italiano, del 16 ottobre 1888, i volumi
dell’Inferno70 e del Purgatorio71 furono inviati al Carducci, che li ha conservati fino alla sua morte.72
La Chițiu, in occasione della spedizione dell’opera al Carducci, scrisse:

Craiova (Romania), lì 16 ottobre 1888

Illustre signore
Grande è il mio ardire di presentare al Poeta, il quale ne’ nostri tempi sovra gli altri come aquila vola un
Dante direi in sacco! Ma tuttavia mi piace credere che mio lavoro, quantunque meschino, troverà grazia,
dinanzi a lei per il mio grande amore al sovrano vostro Poeta, di cui mi pregio essere io la prima traduttrice
in questa Italia del Danubio.
Accolga illustre Signore l’espressione della mia alta stima e della mia viva ammirazione.
Maria P. Chitiu

Il fatto che un’opera così importante e impegnativa venisse inviata direttamente dalla curatrice
al Carducci è un’ulteriore testimonianza della considerazione che il mondo intellettuale romeno aveva
per Carducci e l’ennesimo momento di contatto fra il poeta e la Romania. L’autrice designa Carducci
con l’epiteto di «Poeta» con la maiuscola, manifestando per lui «alta stima» e «viva ammirazione»,
spendendo quindi per la personalità del poeta maremmano parole di compiacimento e vera
considerazione.

2.3.2 Il messaggio di Giosue Carducci a Vasile Alexandrescu Urechia

Maria Dell’Isola inizia il capitolo dedicato agli studi carducciani in Romania citando un
messaggio di Carducci “allo storico rumeno Ureche. Ne aveva ricevuto un appello in favore dei
Rumeni di Transilvania, e subito, in nome della remota origine comune, prendeva posizione
schierandosi accanto a loro, davanti all’opinione pubblica europea”.73
Il testo del messaggio, riportato anche nel volume XXVIII dell’edizione nazionale delle opere,
è il seguente.

11 giugno 1894

Ai Romani d’oltre i Carpazi,


da piè della Colonna Traiana,
un saluto per la fede

69
Collocazione in “Casa Carducci”: Corrispondenti: cartone XXXIII, fascicolo 41.
70
Dante Alighieri, Infernulu, «traducțiune depre originalu de Domna Maria P. Chitiu», Samitca, Craiova, 1883.
71
Dante Alighieri, Purgatoriul, «traducțiune cu note dupe principalii comentatori», Samitca, Craiova, 1888.
72
Collocazione in “Casa Carducci”: 3 c 154’ (stanza 3, scaffale c, numero 154) e ‘3 c 159’.
73
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 169.

55
nella vita immortale di nostra gente

Giosue Carducci74

Nostro compito è cercare di capire chi sia il destinatario della lettera e quali circostanze abbiano
portato Carducci a rispondere – come dice la Dell’Isola – al messaggio di ‘Ureche’.
Nonostante Maria Dell’Isola parli dello «storico rumeno Ureche»75 siamo ormai certi trattarsi
di Vasile Alexandrescu Urechia.
Nessuna letteratura presenta l’opera di uno storico, di nome ‘Ureche’, vissuto alla fine del XIX
secolo; è esistito Grigore Ureche (1590-1646), vissuto però nella prima metà del XVII secolo, autore
di un’opera dal titolo Domnii Țării Moldovei și viața lor [I principi della Moldavia e la loro vita]
dove si narrano, in 33 capitoli, gli avvenimenti storici dal 1359 al 1594.76
Consultando più attentamente testi di storia della letteratura romena, è invece possibile
rintracciare un Vasile Alexandrescu (1834-1901)77 che aggiunse al suo nome ‘Urechia’ in onore dello
storico del Seicento.78 L’epiteto ‘Urechia’ si può trovare scritto anche ‘Urechea, Urechiă o Ureche’,79
quindi la segnalazione della Dell’Isola non è del tutto sbagliata, malgrado la dicitura ‘Ureche’ sia
secondaria rispetto a ‘Urechia’, che è quella con cui si firmava, siglava le sue opere e sotto il cui
nome è archiviata la corrispondenza con il Nostro nella biblioteca di “Casa Carducci”.
Quello di Urechia è un nome che si inserisce in un contesto storico preciso della storia di
Romania; infatti vive e opera negli anni dell’unione dei principati di Moldova e Valacchia sotto il
regno di Carol I (1862) e assiste ai numerosi tentativi della Transilvania di diventare parte del regno
romeno.
Vasile Popovic nacque a Piatra Neamț, nel nord-est della Romania attuale, il 15 febbraio 1834
da Alexandru Popovic e Eufrosina Manoliu.80
Studiò in Francia, laureandosi in lettere alla Sorbona di Parigi il 18 agosto 1856;81 un anno dopo
(agosto 1857), sempre a Parigi, si sposò con la spagnola Françoise Dominique Josephine Plano.82

74
OEN, vol. XXVIII, p. 281.
75
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 169.
76
Cfr. Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., p. 21; Ioan Guția, Introduzione alla storia della letteratura romena,
cit., pp. 9 e 14; Ramiro Ortiz, Letteratura rumena, cit., pp. 42-43.
77
Cfr. Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., p. 133.
78
Cfr. AA.VV, Dicționarul literaturii române de la origini până la 1900, Editura Academiei, București, 1979, p. 877.
79
Cfr. Ibid.
80
Cfr. Alexandru Piru, Istoria litiraturii române, Editura Minerva, București, 1982, p. 302.
81
Cfr. George Călinescu, Istoria literaturii române de la origini până în prezent, Editura Minerva, București, 1986, p.
599.
82
Cfr. Alexandru Piru, Istoria litiraturii române, cit., p. 302.

56
Dal 1860 fu docente di lettere romene a Iași e, il 2 novembre 1864, divenne professore di storia
della letteratura romena a Bucarest e poi decano della Facoltà di Lettere,83 nonché Ministro della
Pubblica Istruzione.
Urechia fu un autore molto prolifico, vantando 600 titoli di opere; redasse prose e testi teatrali,
tra cui Vornicul Buciuc [Il giudice Buciuc] un dramma storico in tre atti rappresentato il 1° aprile
1867, e la commedia in tre atti Odă la Elisa [Ode a Elisa] del 188084.
Una delle sue opere più imponenti è l’Istoria Românilor [Storia dei Romeni], esito della sua
attività accademica e dei suoi corsi universitari, in 14 volumi, pubblicati fra il 1891 e il 1902.
Sappiamo che fu collaboratore della «Revista contimporană»85 e presidente onorario della
società affiliata alla rivista «Literatorul». Fu «avversario della ‘Junimea’ che lo aveva criticato»,86
nonostante fino al 1870 simpatizzasse per gli junimisti e i loro ideali.87 Fu amico e collega di Nicolae
Țincu,88 direttore della rivista Vieața [La vita] dal 1893 al 1896 nonché autore del volume che ospita
il messaggio autografo del Carducci.89
Da sempre vicino al mondo della politica, Anișoara Popa, in un suo saggio, ricorda che “V. A.
Urechia was one of the most active Cuza’s collaborators”;90 dopo la fine di Cuza e l’ascesa di Carol
I, fu eletto fra i membri del Parlamento (1866) e vi rimase, passando dalla camera al senato, per i
successivi trentaquattro anni.
Liviu Bordaș mette in risalto come Urechia fosse in contatto con esponenti della cultura italiana;
celebre è l’amicizia, risalente addirittura al 1879, con Angelo de Gubernatis (1840-1913), “pioniere
e organizzatore in Italia degli studi orientali (specialmente indiani) e promotore del comparativismo
negli studi di mitologia, di antropologia e di etnologia”.91
Come ricorda Piru nella sua letteratura “morì il 22 novembre 1901, senatore, console generale
nella Repubblica dell’Equador”92
Nel suo saggio A Romanian Aspirant to the Nobel Prize for Peace - V. A. Urechia, Popa mette
in evidenza che:

83
Cfr. George Călinescu, Istoria literaturii române de la origini până în prezent, cit., p. 599.
84
Cfr. Ibid.
85
Cfr. Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., p. 133.
86
Ivi, p. 154.
87
Cfr. Zigu Ornea, Junimea şi junimismul, Vol. II, Editura Minerva, București, 1998, pp. 281-284.
88
Cfr. Ivi, p. 235.
89
Cfr. Vasile Alexandrescu Urechia, Voci latine, Sociecù, București, 1894.
90
Anișoara Popa, Personalities, Cultural Identity, Intercultural Dialogue: V.A. Urechia, in «Acta universitatis danubius»,
vol. VI, 2014, p. 15.
91
Liviu Bordaș, Etnologia ed orientalistica romantica nei nuovi stati Italia e Romania: Angelo de Gubernatis, Dora
d’Istria e gli studiosi romeni nella seconda metà dell’Ottocento, in «Annali dell’Istituto Orientale di Napoli (AION)»,
65, 2005, p. 104.
92
La versione originale della citazione riportata nel testo nella mia traduzione è: „a murit la 22 noiembrie 1901, senator,
consul general al Republicii Equador”. Alexandru Piru, Istoria litiraturii române, cit., p. 302.

57
Beaucoup plus apprécié à son époque que dans la postérité, V. A. Urechia (1834 – 1901) a vibré aux besoins
de son temps, «un polyhistorien, préoccupé par l’histoire et la philologie, par l’éducation et la politique,
par la littérature et le messianisme culturel». (Zub, 2000, p. 72) Ceux qui se sont arrêtés sur l’activité de V.
A. Urechia, ont émis des opinions contradictoires concernant l’originalité et la valeur scientifique de son
image sur le passé, l’importance de ses démarches politiques et sociales. Sa situation est, on a pu l’observer
(Nechita, 1974, p. 501), paradoxale en quelque sorte: celui qui pouvait ajouter au-dessous de son nom toute
une liste de titres scientifiques, de reconnaissances nationales et internationales de ses mérites en tant
qu’historien et homme politique, a été ensuite recouvert sous les critiques, les signes d’oubli, ce qui fit que
son œuvre ne fut pas apprécié à sa juste mesure. Il convient de dire que V. A. Urechia n’est pas oublié,
mais plutôt c’est un certain aspect de lui que nous est parvenu.93

Urechia fece dell’origine latina del popolo romeno il centro di gran parte della sua attività, come
ricordano in numerosi contributi Vistian Goia,94 Ana-Maria Cheșcu95 e come ancora Pope sintetizza:

Urechia contributed to the development of a classical strategy of identification based on the collective
action through the medium of some positive differentiations achieved through the reflexivity of integration.
It is about emphasizing the feeling regarding the affiliation to the large pan-Latin movement without losing
the previous affiliations and obtaining a recognition and representation not sufficiently maintained until
then, and also indistinct because of the Ottoman suzerainty. The ideas of Latinity and unity were constant
values of his thinking and actions; on such a basis he would define the Romanian spirit as a movement of
advancing the national identity, part of the large pan-Latin movement of the time. In the Introduction to the
Course of Romanians’ History, taught at the University of Bucharest, in 1865, Urechia approached the
concept of nation and offered a general view of its connections with the notions of individual, family,
people and distinguished the particular features for a good definition.96

All’inizio del 1890 Urechia fece sua la causa dei romeni della Transilvania, ancora sottomessi
all’impero austro-ungarico, avvicinandosi al Partito Nazionale Romeno [‚Partidul Național Român’].
Il Partito Nazionale Romeno era sorto nel 1881, quando le organizzazioni elettorali dei romeni del
Banato, d’Ungheria e di Transilvania si riunirono a Hermannstadt (Sibiu) i 149 deputati ne decisero
la fondazione. Il programma rivendicava l’autonomia della Transilvania, l’uso della lingua romena
nell’insegnamento, nell’amministrazione e nella giustizia. Nel conflitto di tendenze ebbe il
sopravvento il ‘passivismo’ e, nonostante questo, il Partito fu denunciato dal governo ungherese come
pericolo per lo Stato.97
Nel 1890 il ‘Partito Nazionale Romeno’ cominciò a cambiare tattica e ad abbandonare il
‘passivismo’, mentre professori e studenti del Regno di Romania fondarono una ‘Lega culturale per
tutti i romeni’ [Liga culturală pentru unitatea tuturor românilor] il cui leader fu proprio Vasile
Alexandrescu Urechia.98
Fra il 20 e il 21 gennaio 1892, durante un’assemblea del partito, fu eletto come nuovo

93
Anișoara Popa, A Romanian Aspirant to the Nobel Prize for Peace - V. A. Urechia in «Acta universitatis danubius»,
Vol. II, 1, 2009, p. 5.
94
Vistian Goia, V. A. Urechia, Editura Minerva, București, 1979.
95
Ana-Maria Cheșcu, Un apologet al latinităţii. Vasile Alexandrescu Urechia in «Spiritus Rector. Buletilul Fundației
Urechia», numero 12, Galați, 2011, pp. 111-115.
96
Anișoara Popa, Personalities, Cultural Identity, Intercultural Dialogue: V.A. Urechia, in «Acta universitatis danubius»,
Vol. VI, 2014, p. 15.
97
Cfr. Georges Castellan, Storia del popolo romeno, cit., pp. 178-179.
98
Cfr. Liviu Bordaș, Romania qua Oriens. Subiect și agent în orientalismul francez din secolul XIX, in «Modelul francez
și experiențele modernizării. România secolelor 19-20», Institutul Cultural Român, București, 2006, p. 140.

58
presidente Ioan Rațiu e si decise l’elaborazione di un Memorandum indirizzato all’imperatore, per
denunciare la politica di oppressione di Budapest e per ricordare le rivendicazioni dei romeni sudditi
della doppia monarchia.99
Il Memorandum doveva essere consegnato a Francesco Giuseppe a Vienna, ma l’imperatore
si rifiutò di ricevere i romeni e rigirò il testo, con le firme della petizione, al governo di Budapest.
Il governo ungherese accusò i membri del Partito Nazionalista Romeno di “provocazione
contro la nazione ungherese”. Gli accusati furono arrestati e sottoposti a processo, per poi essere
condannati nel maggio del 1894 a un totale di trentadue anni di prigione.
Nel mese di luglio dello stesso anno il Partito Nazionale Romeno fu sciolto con un’ordinanza
del Ministero dell’Interno.100

Il processo sollevò una grande agitazione in Transilvania e una viva reazione, non solo in Romania ma
anche nell’opinione pubblica internazionale. La condanna degli accusati e la messa fuori legge del Partito
Nazionale testimoniarono, di fronte all’Europa, il carattere oppressivo del regime ungherese, cioè proprio
quello che il Memorandum aveva voluto mettere in evidenza. Ci fu bisogno del re Carol I affinchè gli
accusati venissero presto rimessi in libertà. In quell’occasione, i romeni ricevettero l’appoggio dei serbi e
degli slovacchi d’Ungheria (Congresso delle nazionalità di Budapest del 1896).101

In quella circostanza “V. A. Urechia faceva insistentemente interventi per ottenere l’appoggio
di alcune personalità italiane a favore dei Romeni transilvani”,102 chiedendo “il sostegno dei popoli
europei per la causa dei romeni dell’Austria-Ungheria, «popolo che è nell’Oriente europeo il
depositario della civiltà occidentale latina».103 In una nota, Bordaș specifica: “Tra le firme anche
alcuni nomi di italiani importanti: Graziadio Ascoli, G[iovanni] Capellini, Giosuè Carducci, […],
A[ttilio] Brunialti, Luigi Palma, Roberto Fava, Ugo Laragna e altri”.104
Nella biblioteca personale di Carducci a Bologna è possibile consultare105 il testo che Urechia
pubblicò presso la casa editrice Socecù di Bucarest nel 1894, con gli autografi di tutti coloro che in
Europa risposero al suo appello.
È doveroso precisare che la questione romena non era estranea al Carducci. Sempre nella sua
biblioteca personale106 è possibile reperire un testo, in italiano, dal titolo La questione romena nella
Transilvania ed Ungheria.

99
Cfr. Georges Castellan, Storia del popolo romeno, cit., p. 180.
100
Cfr. Ibid.
101
Ion Bulei, Breve storia dei romeni, cit., p. 119.
102
Alexandru Zub, Un capitolo della storia dei rapporti culturali romeno-italiani: Vasile Pâravan (1882-1972), in
«Columna – Annuario dell’Accademia di Romania in Roma», Ed. Informația, București, 1972, p. 62.
103
Liviu Bordaș, Etnologia ed orientalistica romantica nei nuovi stati Italia e Romania: Angelo de Gubernatis, Dora
d’Istria e gli studiosi romeni nella seconda metà dell’Ottocento, in «Annali dell’Istituto Orientale di Napoli (AION)»,
65, 2005, pp.107-108.
104
Ivi, p. 108, nota 8.
105
Collocazione in “Casa Carducci”: Busta 395-47.
106
Collocazione in “Casa Carducci”: Busta 365.56.

59
Il sottotitolo (Replica della gioventù accademica romena di Transilvania ed Ungheria alla
risposta data dalla gioventù accademica magiara al memoriale degli studenti universitari di
Romania) approfondisce ulteriormente i contenuti dell’opera, pubblicata a Vienna, Budapest, Gratz
e Klausenberg (Cluj) nel 1893.
L’edizione italiana, conservata in altre dodici biblioteche sul territorio nazionale,107 fu stampata
a Parma, presso la Tipografia Ferrari e Pellegrini, nello stesso anno. Il comitato di redazione ha
inserito nell’opera un tagliandino, specificando i termini di diffusione del lavoro in Italia:

La prima edizione di questa Replica, tradotta in italiano e stampata a Bucarest, fu spedita direttamente a
Parigi per essere poi di là distribuita in Italia. Ma la polizia ungherese, senza il minimo titolo di diritto,
confiscò l’intera edizione. Un simile atto di brutalità contro il diritto internazionale è inaudito nel mondo
civile! È per questo motivo frattanto che noi abbiamo stampato in Italia la seconda edizione italiana.108

Il libro, di 140 pagine, ripercorre la storia del popolo romeno, ribadendo l’origine latina di
quest’ultimo e la latinità della lingua romena,109 ed elenca i torti subiti dalla popolazione romena
trovandosi governata dall’impero ungherese. Nelle poche pagine di conclusione troviamo l’appello
dei romeni: “I Romeni chiedono di essere nazione libera di Ungheria, nazione avente esistenza
giuridica e coordinata colla magiara, tanto nei doveri tutti quanto in tutti i diritti”.110
La monografia è poi arricchita da una carta etnografica a colori, ad opera di Heinrich Kiepert,
che illustra la distribuzione delle popolazioni nell’est d’Europa e mette in evidenza l’unità del popolo
romeno in Transilvania, Valacchia e Moldova.
Il volume di Urechia, invece, disponibile anche in rete sul sito della biblioteca digitale
dell’Universita di Cluj,111 ha titolo Voci latine – de la frați la frați! Latina ginte i-o regină! 1a
culegere de adhesiuni a le gintei latine la mişcarea naţională din Transilvania și Banat ilustrată cu
autografe şi diverse stampe prin V. A. Urechia, preşedintele ligei pentru unitatea culturală a
Românilor [Voci latine – Dai fratelli ai fratelli! La gente latina è regina! Prima raccolta di adesioni
del popolo latino al movimento nazionale della Transilvania e del Banato, illustrato con autografi e
diverse stampe da V. A. Urechia, presidente della lega per l’unità culturale dei Romeni].112
Sfogliando il libro, composto da 187 pagine, è possibile rintracciare gli autografi di illustri
personaggi della politica e della cultura europea che risposero all’appello di Urechia. Consultando
l’indice113 rintracciamo, ad esempio, i nomi di Angelo De Gubernatis, come abbiamo visto personale

107
In www.opac.sbn.it (consultato il 27 novembre 2019).
108
Foglio inserito dal comitato di redazione in AA. VV. La ques romena nella Transilvania ed Ungheria, Tip. Ferrari e
Pellegrini, Parma, 1893.
109
Cfr. AA. VV. La questione romena nella Transilvania ed Ungheria, cit., pp. 21-30.
110
Ivi, p. 136.
111
Cfr. www.despace.cucluj.ro (consultato in data 13 novembre 2019).
112
Vd. Frontespizio in tavola 1, p. 137.
113
Vasile Alexandrscu Urechia, Voci latine, cit., pp. 173-174.

60
amico dell’autore,114 di Graziadio Ascoli, „prof., senateur du Royaume d’Italie”,115 di Emile Zola116
e del Nostro, nominato ‘Giosue’, e non ‘Giosuè’, come si firmava nell’ultima parte della sua vita.
È a pagina 17 che compare l’autografo di Carducci,117 il cui testo è quello riportato dalla
Dell’Isola e dall’Edizione Nazionale. Il messaggio fu inviato da Carducci su carta intestata del senato
del Regno e, nel libro di Urechia, è presentato da una breve introduzione: „Marele și gloriosul poet
al Italiei moderne Giosue Carducci, ne-a trămis admirabilul autograf ce dăm aci”, cioè “Il grande e
glorioso poeta dell’Italia moderna Giosue Carducci ha trasmesso a noi un ammirevole autografo che
diamo qui”.118
La relazione che in questo caso il Nostro ha intrattenuto con il mondo romeno, per quanto breve
e telegrafica, non è però di scarso interesse, visti il contesto nel quale si inserisce e la posizione che
assume.
Carducci non solo manifesta vicinanza al popolo romeno – come del resto aveva già fatto in
versi nel 1860 in Sicilia e la rivoluzione, esortando le popolazioni ancora sottomesse, tra cui i romeni,
a ribellarsi – ma ne rivendica l’origine latina («Ai romani d’oltre i Carpazi»),119 schierandosi
apertamente fra coloro che sostenevano la latinità dei romeni, la loro vicinanza al mondo europeo e
il diritto, per i romeni della Transilvania, di avere la propria autonomia in nome della loro identità.
La notizia dell’appoggio da parte dei politici italiani ai romeni della Transilvania fornisce
l’occasione al deputato Bloch di inviare, nel 1895, una lettera aperta al parlamento italiano sulla
situazione degli ebrei romeni in Ungheria.
Questa lettera, stampata a spese dell’autore e costituita da 36 pagine riassuntive sulla storia
degli ebrei romeni in Ungheria e la loro condizione all’epoca, era in possesso del Carducci e ancora
oggi è possibile leggerla nel museo di Bologna. Le parole con cui Bloch dà inizio al suo messaggio
richiamano l’appello di Urechia.

Secondo notizie pubblicate dai giornali, avanzavasi addì 25 dello spirato mese, alla Presidenza della
Camera italiana dei deputati, una mozione segnata da 250 onorevoli di tutti i partiti, tendente ad esprimere
le simpatie della Camera per i rumeni, difensori dell’indipendenza della comune nazionalità latina. –
Premessa l’esattezza di questa notizia, io mi rivolgo ai rappresentanti del popolo italiano, sempre generoso,
colla preghiera di voler ricordare, discutendo tale mozione, le sorti dei miei correligionari, da secoli
domiciliati in Rumania.120

114
Cfr. Liviu Bordaș, Etnologia ed orientalistica romantica nei nuovi stati Italia e Romania: Angelo de Gubernatis, Dora
d’Istria e gli studiosi romeni nella seconda metà dell’Ottocento, in «Annali dell’Istituto Orientale di Napoli (AION)»,
65, 2005, pp.107-108.
115
Vasile Alexandrescu Urechia, Voci latine, cit., p. 174.
116
Ibid.
117
Vd. tavola 2, p. 138.
118
Vasile Alexandrescu Urechia, Voci latine, cit., p. 17.
119
Cfr. Ibid.
120
Ibid.

61
Nel 1896 – successivo quindi di due anni all’appello di Urechia – viene dato alle stampe un
altro testo121 in possesso di Carducci riguardante la questione della Transilvania.122
La questione romena in Transilvania ed Ungheria di Eugenio Brote, pubblicato dagli Editori
Roux Frassati di Torino, è un testo di 330 pagine, articolato in dodici capitoli: nel primo capitolo si
mettono in rapporto le varie “razze” della popolazione d’Ungheria, ponendo l’accento sui romeni e il
loro numero; nel secondo si affronta il tema dell’indipendenza e il diritto di costituzione della
Transilvania, ripercorrendo poi – nel capitolo quarto – basi della politica nazionale magiara in
raffronto – nel capitolo quinto – con la politica nazionale dei romeni. All’azione repressiva dei
magiari è dedicato il capitolo quinto, mentre allo sviluppo della popolazione romena il capitolo sesto;
dell’‘ausgleich’ (cioè ‘compromesso’) ungherese con i magiari si occupa il capitolo settimo, invece
l’ottavo presenta l’‘ausgleich’ con i romeni; l’aggressività dei magiari è denunciata nel capitolo nono
e nel decimo è presentata la difesa dei romeni. Nell’undicesimo capitolo sono descritte le relazioni
intercorse fra i romeni d’Ungheria e quelli di Romania. Nell’ultimo capitolo, poi, si descrivono gli
effetti interni ed esterni della politica di magiarizzazione.

2.3.3 I numeri di «Liga Română» nella biblioteca personale di Carducci

Gli eventi del 1890 portarono, come abbiamo visto, studenti e professori a fondare una ‘Lega
culturale per tutti i romeni’ [Liga culturală pentru unitatea tuturor românilor] il cui leader fu proprio
Vasile Alexandrescu Urechia.123
Nel 1896 nacque, su iniziativa della Lega, un settimanale dal titolo «Liga Română: revista
saptaminala» [Lega romena: rivista settimanale] con la precisazione „Edițiunea și proprietatea Ligii
pentru unitatea culturală a tuturor Românilor” [“Edizione a cura e proprietà della Lega per l’unità
culturale di tutti i Romeni”]. Era una rivista di cultura e politica che, come scopo principale, voleva
informare gli interessati sulla situazione politica e culturale dei romeni della Transilvania e desiderava
promuovere, con articoli di cultura e di attualità, la piena unità di tutti i romeni.
Ad oggi, in Italia, è possibile consultare questa rivista solo in tre biblioteche:124 nella biblioteca
universitaria di Milano,125 nella biblioteca universitaria di Bologna126 e a “Casa Carducci”.

121
Eugenio Brote, La questione romena in Transilvania ed Ungheria, Ed. Roux Frassati, Torino, 1896.
122
Collocazione in “Casa Carducci”: 2-h-259.
123
Cfr. Liviu Bordaș, Romania qua Oriens. Subiect și agent în orientalismul francez din secolul XIX, in «Modelul francez
și experiențele modernizării României secolelor 19-20», Institutul Cultural Român, București, 2006, p. 140.
124
Cfr. www.opac.sbn.it (consultato il 27 novembre 2019).
125
Anni 1897-1899 lac 1897.
126
Anni 1897-1899.

62
Nella biblioteca personale di Carducci, con collocazione stanza 7, scaffale c, numeri 54-55,
sono conservate due annate della rivista, entrambe lacunose nei numeri, la terza e la quarta: dell’anno
III (1898-1899) è possibile visionare i numeri 15, 20, 24, 27-35, 37, 40, 49; dell’anno IV (1899-1900)
i numeri 1, 2, 5, 13, 16, 20, 21, 23, 25, 36, 50-52.127
I numeri presenti nell’archivio bolognese sono rilegati in due volumi, sulla cui costola è
stampato il nome della rivista e l’annata di edizione.

2.3.4 Il cartoncino con la traduzione de Il bove

Maria Dell’Isola, ancora una volta, offre un ulteriore spunto per verificare la quantità e la natura
dei contatti fra il Carducci e la Romania. Nel suo saggio descrive un cartoncino recapitato al Poeta
con la traduzione in romeno della poesia Il bove.
Il sonetto, datato 23 novembre 1872, apparve per la prima volta nella «Strenna bolognaese» (22
dicembre 1872), col titolo Contemplazione della bellezza. Quasi contemporaneamente fu pubblicato
dalla rivista Il mare col titolo Il bue, per poi entrare nelle Nuove poesie del 1873 col titolo
definitivo.128
Il bove fu tradotto in francese da Julien Lugol, a cui il Carducci scrive, il 29 dicembre 1883:
“Voi avete tradotto Il bove in modo che non si poteva meglio. Io mi son piaciuto a me stesso nella
vostra traduzione: nelle terzine vostre per poco non mi sono ammirato: ma poi mi accorsi che
l’incanto era tutto dei vostri versi”.129
Nella sua introduzione al testo dell’edizione Zanichelli, Trompeo precisa inoltre che:

Si è preteso che il Carducci si sia ispirato per questo sonetto alla poesia di V. Hugo, La vache (nella raccolta
Les voix intérieures): in realtà fra i due componimenti non vi ha di comune che il potente senso georgico:
senza dire che la poesia di V. Hugo ha una «morale» aggiunta che ha del didascalico e appesantisce la
poesia stessa, bellissima nella sua prima parte.130

Ecco il testo del sonetto, così come compare pubblicato nell’edizione nazionale delle opere:

T’amo, o pio bove; e mite un sentimento


Di vigore e di pace al cor m’infondi,
O che solenne come un monumento
Tu guardi i campi liberi e fecondi,

O che al giogo inchinandoti contento


L’agil opra de l’uom grave secondi:

127
Cfr. www.opac.sbn.it (consultato il 27 novembre 2019).
128
Cfr. Pietro Paolo Trompeo in Giosue Carducci, Rime nuove, Zanichelli, Bologna, 1961, p. 37.
129
L, vol. XIV, p. 223.
130
Pietro Paolo Trompeo in Giosue Carducci, Rime nuove, cit., p. 37.

63
Ei t’esorta e ti punge, e tu co ‘l lento
Giro de’ pazienti occhi rispondi.

Da la larga narice umida e nera


Fuma il tuo spirto, e come un inno lieto
Il mugghio nel sereno aer si perde;

E del grave occhio glauco entro l’austera


Dolcezza si rispecchia ampio e quieto
Il divino del pian silenzio verde.131

La traduzione in romeno – ci informa la Dell’Isola – è stata compiuta ad opera di un certo


«Tinc»132 ed era accompagnata da un disegno dell’animale realizzato da «Bassarab».133

Del Bove abbiamo, nel 1907, ben tre versioni di tre penne diverse. Una tuttavia, quella del Tinc, è anteriore
di oltre quattr’anni; il poeta stesso la ricevette in omaggio, manoscritta, nel Dicembre 1902. La singolarità
del manoscritto interessò indubbiamente il Carducci. Consta di due cartoncini staccati, che un nastrino
verde a doppio nodo tiene avvinti. Sul cartoncino a sinistra un disegno originale, a penna, firmato L.
Bassarab, raffigura il bove. Sul cartoncino a destra, in minutissimi e tersissimi caratteri a stampatello, si
legge il sonetto romeno. Ma il miniaturista volle rappresentare in una sorta di foglio pergamena, corroso in
alto e trattenuto in basso da un gran sigillo di ceralacca rossa su cui spiccano le iniziali L. B.; il sigillo
stesso pende da un cordoncino doppio. Rosse pure le lettere da cui s’inizia ogni strofa, uso pergamene: una
fantasia di calligrafo-pittore che fa bella mostra di sé nel Museo di Bologna.134

Ancora oggi il cartoncino di cui parla la studiosa è conservato nella biblioteca bolognese135 e
lo riproduciamo, per gentile concessione del Museo “Casa Carducci”.136
Quello che possiamo fare è tentare di definire meglio l’identità degli autori dell’opera.
Osservando il cartoncino, oltre al luogo di compilazione apposto in basso a destra alla traduzione
della poesia,137 si può notare che il traduttore si firma col nome di «N.Ținc» e non «Tinc», come
scrive la Dell’Isola.
Si tratta, con ogni probabilità di Nicolae Ținc, antologizzato come «Țincu» 138 da Lupi nel suo
testo.

Nicolae Țincu (1846-1927), nacque a Bucarest, dove fu funzionario della Corte dei Conti. Scrisse versi,
novelle, commedie e drammi storici di modesto valore in collaborazione con V. A. Urechia, T. Miller, ecc.
Fra le sue traduzioni in versi rimane insuperata, per fedeltà al pensiero e al ritmo, quella del Cinque maggio
di Alessandro Manzoni.139

131
OEN, vol. III, p. 172.
132
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 182.
133
Ibid.
134
Ibid.
135
Collocazione in “Casa Carducci”: 5.a.III.135.
136
Vd. Tavole 3-4, pp. 139-140.
137
“Bucureșți str. Țărani, n. 7, Romania”.
138
Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., p. 218.
139
Ibid.

64
Della traduzione in romeno di Nicolae Ținc offriamo una fedele trascrizione, rispettando
l’impaginazione del manoscritto. In nota presentiamo, invece, una traduzione letterale del testo
romeno, cosa necessaria in quanto il lavoro di Nicolae Ținc, più che essere una traduzione del Bove
carducciano, risulta esserne un rifacimento:

BOUL

Mult îmi placi tu, bou blajin și-mi deștepți, cu drag fior,
De putere și de pace o simțire’n suflet mie
Când, solemn ca monumentul care stă impunător,
Îti întinzi a ta privire peste rodnica câmpie.

Ori supus, sub jugul aspru îti pleci capul răbdător,


Ajutând pe om să-și facă munca lui cu hărnicie;
El te’ ndeamnâ, te împunge, vrând la umblet să’ ți dea zor,
Tu’i respunzi rotindu’ți ochii rourând melancolie.

Nara’ți umedă și neagră, respiratea’ți scoate’n fum


Și ca imn de veselie, buciumat p’al vieții drum,
Al tău muget, lung resunet, sub seninul cer se perde,

Iar în ochiu’ ți de mari gene resfirate cercuit


În adânca lui privire se resfrînge liniștit
Câmpul neted peste care stă râsândă tăcerea verde

Traducțiune de
N. Ținc140

Oltre al cartoncino, di Ținc è conservata a “Casa Carducci” un’antologia di traduzioni dai poeti
italiani a lui contemporanei, testi che lo stesso redattore ha scelto e collezionato, traducendoli in
romeno. Vi sono componimenti di Carducci stesso, di Pascoli e d’Annunzio.141
La firma di «L. Bassarab», autore del bozzetto, ci riconduce al pittore Ludovic Bassarab (1868-
1933).
Nato a Galaţi, ha studiato presso l'Accademia di Belle Arti di Iași, con il professor Gheorghe
Pănaiteanu-Bardasare, e a Monaco di Baviera. Ha esposto le sue opere nel 1898 nella capitale della
Baviera, nelle sale del Palazzo di Cristallo, e a Berlino, insieme ad altri pittori, tedeschi e stranieri.142

140
IL BOVE || Molto a me piaci tu, o pio bove e in me risvegli con un caro sussulto | di potere e di pace un sentire nella
mia anima | quando, solenne come un monumento che sta impetuoso, | tu distendi tanto sguardo sopra la campagna
fruttuosa. || O sottomesso, sotto un giogo aspro tu abbassi il capo paziente, | aiutando l’uomo a fare il suo lavoro con tanta
operosità, | lui ti indirizza, ti spinge, volendo dare grinta al tuo passo, | tu rispondi ruotando i tuoi occhi bagnati di
malinconia. || La tua narice è umida e nera, il tuo respiro fa fuoriuscire il fumo | e come inno di allegria, risuoni lungo il
cammino della vita, | il tuo muggito, lungo risuona, sotto il sereno ciel si perde. || E negli occhi, da grandi ciglia circondati
| nel suo sguardo profondo si riflette tranquillamente | il campo liscio sopra il quale sorride il silenzio verde.
141
Cfr. Nicolae Ținc, Poeții Italieni Moderni, Tip. Universitară A. G. Brătănescu, București, 1907.
142
Cfr. Petre Oprea, Artişti participanţi la expoziţiile Societăţii Tinerimea Artistică (1902-1947); Corneliu Stoica,
Dicţionar al artiştilor plastici gălăţeni, Muzeul de artă vizuală Galaţi, 2007 (in www.artindex.ro, consultato il 13
novembre 2019).

65
Al periodo di studio tedesco segue un tirocinio francese, nel 1900, attratto soprattutto dai
maggiori musei d’arte. Rientrato in Romania divenne uno dei membri della Società Tinerimea
Artistica in cui ha costantemente esposto; ha partecipato al Salone Ufficiale e aveva diverse mostre
personali. Il rigore e il realismo tedesco si riflettono nelle scene rurali o nomadi, suoi temi preferiti.143
Al cartoncino non fecero seguito risposte di Carducci, né indirizzate a Ținc, nè a Bassarab.
Risulta comunque un pezzo unico la traduzione de Il bove che il poeta ricevette a Bologna e che ad
oggi è custodita esattamente come la descriveva nel suo saggio Maria Dell’Isola.

2.4 Materiale afferente alla romenistica o riguardante la Romania presente in “Casa


Carducci”

2.4.1 Il poemetto Italia e Romania di Severino Attilj

Severino Attilj, letterato romano vissuto fra fine dell’Ottocento e inizi del Novecento, è stato
autore di numerose opere: ha redatto studi storici,144 monografie sulla storia delle poste e dei
telegrafi,145 è stato conferenziere in più di una occasione.146
Soprattutto, però, Attilj è stato un poeta, autore di diverse raccolte: sono suoi i Dodici sonetti
in dialetto romanesco,147 la raccolta Baci di vergine,148 l’ode A Cori, composta in occasione del
centenario della festa patronale,149 il Sonettiere minuscolo150 e i Sonetti del tramonto,151 pubblicati
nel 1932, vicino alla morte.
Per la Romania ha composto un’ode destinata al canto e data alle stampe nel 1883 con
prefazione di Baccio Emanuele Maineri.152 Nel maggio 1891 Severino Attilj pubblicò presso

143
Cfr. Ibid.
144
Cfr. Severino Attilj, Il tempio d'Ercole e gli altri monumenti di Cori con accenno alle origini, Loescher, Roma, 1904;
Severino Attilj, Sabaudae mulieres: cenni storico-biografici delle spose dei sovrani di Savoia, Loescher, Roma, 1914;
Severino Attilj, I Savoia nell’Urbe – studi storico-archeologici, F.lli Palombi, Roma, 1928.
145
Cfr. Luigi Calvari-Severino Attilj, La vita della posta: nella leggenda, nella storia e nell'attività umana, Laterza, Bari,
1905; Severino Attilj, Dieci anni di vita del Comitato di Azione Patriottica fra il personale Postelegrafonico, Palombi,
Roma, 1929.
146
Cfr. Severino Attili, Pietro Metastasio, inaugurandosi in Roma il monumento a lui eretto / numero unico, compilato
da Clelia Bertini e Severino Attilj (21 aprile 1886), Ed. Perino, Roma, 1886; Severino Attilj, La madre del nostro re:
conferenza tenuta al "Circolo Savoia" il 23 gennaio 1896 anniversario della morte di Maria Adelaide regina di Sardegna,
Loescher, Roma, 1896; Severino Attilj – Luigi Calvari, Les communications internationales et l'Union postale:
conference de m.m. Luigi Clavari et Severino Attilj tenue dans la grande salle du College romàin en occasion du 6.
Congres de l'Union postale, Unione Cooperativa, Roma, 1906; Severino Attilj, Prima mostra artistica postelegrafonica
al teatro nazionale di Roma: discorso inaugurale del Presidente Gr. Uff. Severino Attilj, pronunciato Domenica 29
maggio 1921, conservata presso il Ministero dello Sviluppo Economico.
147
Cfr. Severino Attilj, Dodici sonetti in dialetto romanesco, Sinimberghi, Roma, 1882.
148
Cfr. Severino Attilj, Baci di vergine, Quadrio, Milano, 1884.
149
Cfr. Severino Attilj, A Cori, Tip. A Befani, Roma, 1886.
150
Cfr. Severino Attilj, Sonettiere minuscolo, Tip. A Befano, Roma, 1886.
151
Cfr. Severino Attilj, I sonetti del tramonto, Palombi editore, Roma, 1932.
152
Cfr. Severino Attilj, Alla Romania: canto, Gazzetta d’Italia (Stab. Civelli), Roma, 1883.

66
Loescher un poemetto dal titolo Romania e Italia.153 Il testo, costituito da venti strofe alcaiche, celebra
il venticinquesimo anniversario del regno di Romania ed è proprio dedicato a re Carol I.

A Carol I Re di Romania nel giorno faustissimo che il popolo romeno festeggia il XXV anno di regno del
valoroso suo capo e che la nova Italia ritemperata nell’affetto e nella devozione all’augusta casa di Savoia
per analogia di vicende e fortune ricorda con simpatia ed orgoglio i lontani fratelli del Danubio e delle
sponde del mar Nero.154

Copia del poemetto, che vista la rarità e il pregio del testo trascriviamo in nota,155 è stata inviata
direttamente dall’autore a Carducci, che l’ha custodito nella sua biblioteca personale156 ed è
attualmente consultabile a Bologna; Attilj ha apposto, sulla copertina dell’opera, una dedica di suo
pugno («All’illustre poeta Giosue Carducci con devozione»), rimasta perfettamente leggibile.
Il poemetto inizia con un riferimento ai monti Carpazi («Via pe’ Carpazi nevosi corrono»),
proprio come la strofa di Sicilia e Rivoluzione dove Carducci si riferisce al popolo romeno («Su, da’
monti Carpazi a la Drava»); il metro del poemetto, composto di strofe alcaiche, si avvicina a quei
metri barbari utilizzati e diffusi proprio dal poeta-vate.

2.4.2 La conferenza in Romania di Pier Emilio Bosi

Nel suo saggio, Maria Dell’Isola riporta un biglietto che Carducci inviò al tenente Pier Emilio
Bosi nel quale si congratula per gli elogi che gli sono stati dedicati durante una conferenza in
Romania.157

153
Severino Attilj, Romania e Italia, Loescher, Roma, 1891.
154
Ivi, p. 2.
155
“Via pe’ Carpazi nevosi corrono | I trionfali canti de’liberi | Figli, echeggiando come | Inno, Carlo, il tuo nome. || Sonan
de’prischi Daci le splendide | Geste, e Traiano forte e Decebalo | Alto acclama ogni petto, | caldo di patrio affetto. || Già
sul caduto latino imperio, | franto da barbara mano, Bisanzio | – bella fra novi marmi – | Sorgea di mezzo all’armi. ||
Fulgente all’era di gemme; l’auro | Pioveva sui templi, ove la mistica | Onda grave del canto || Salia per l’aër santo; || e
fra le nubi d’incenso e l’esili | colonne, il Sire, cinto di porpora, | di mille faci di lume | splendea, simile a Nume. || E voi,
voi soli, Romeni, l’anima | Non vinse il fasto del novo imperio, | ma ritemprò nel core | della pugna il furore. || Mentre,
nel nome di Cristo, andavano | Gridando amore, fra l’armi e i gemiti, | e Cirillo e Metodio | maledicenti all’odio. || Né la
possente, stolta tirannide | Di Grecia, spense quel forte palpito; | anzi, di quei di, fra voi | risursero gli eroi. || Le fluttuanti
aste de’barbari | Umiliate si ripiegarono | Alle romene insegne, | della vittoria degne, || allor che Radu Negru, il faticidico
| pensier lanciava traverso i secoli, | e divinava in pria | redenta Romania. || Quale, in un memore di, Berengario | Sognò
la santa gloria Sabauda, | e l’Italia tutt’una | con novella fortuna, || quel condottiero della Muntenia | tale intravide, una e
terribile, | codest’alma e divina | nova gente latina. || Né di ospodari la strage e l’odio | Valse, e le lunghe minacce: libera
| Alfin disciolse il crine, | già impigliato di spine. || E tu, Re Carlo, pugnando a Plewna | Ed a Gravitza, siccome arcangelo
| Di guerra, la romana | Forza evocando arcana, || sugli abborriti, calpesti ruderi, | tinti di sangue d’insegni martiri, | della
novissim’èra | piantasti la bandiera. || Vedi?... Oggi lieto s’accalca il popolo | A te dintorno: ridon le vergini, | di Romania
splendore, | a te liberatore. || E noi d’Italia, dell’alpi gelide | Al risonante mare, che il siculo | Lido carezza, intanto |
Mandiam festoso il canto; || mentre sul colle, dove al romuleo| Quirino s’erse l’ara ed il tempio, | dall’angusta magione |
una bionda visione || sorride ad altra, cui il suol che in lacrime | Ovidio accolse cantore ed esule, | sovra il serto regale, |
non caduca, immortale || volle la sacra foglia di lauro | porre, e con vero, possente orgoglio | chinar la fronte ad essa |
regina e poetessa”.
156
Collocazione in “Casa Carducci”: Busta 78.12.
157
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 191.

67
Sempre la Dell’Isola ci dà testimonianza dell’eco che questa conferenza ebbe nel mondo
intellettuale romeno:

Il professor Alexandru Marcu, nel volume «Romanticii Italieni și Români», ci fornisce alcune notizie
curiose e vive circa l’interesse destato in Romania dal poeta. Riferisce, fra l’altro, di una certa conferenza
tenuta a Bucarest nel 1901 da un ufficiale italiano, Pier Emilio Bosi. Dall’illustrazione delle maggiori glorie
nostre, Alighieri, Colombo, Galileo, passa il conferenziere ai moderni, e, com’è naturale, si sofferma di
preferenza a tratteggiare la figura del Carducci. Con quali elogi, possiamo desumerlo dal biglietto che il
Carducci stesso gli inviò.158

Cercheremo di identificare meglio la figura di Pier Emilio Bosi e di ricostruire la sua relazione
con Carducci, per comprendere la considerazione che egli ebbe, in questa circostanza, della Romania
e della conferenza tenuta anche su di lui dal tenente.
Su Pier Emilio Bosi esistono scarse informazioni. Di una generazione successiva al Carducci,159
sappiamo dall’Edizione Nazionale delle lettere che “il Bosi era ufficiale dei bersaglieri”.160 Inoltre è
possibile apprezzare la sua copiosa attività letteraria: autore di una raccolta di poesie, Spade
azzurre,161 ha redatto testi di studio (La lingua italiana nella politica, nella burocrazia e nell’esercito
– con una prefazione di Francesco D’Ovidio),162 drammi teatrali (L’altro volto,163 L’imperatrice dei
Balcani,164Il distruttore165 ), versi destinati alla musica.166
Il 27 febbraio 1901 tenne a Bucarest una conferenza dal titolo Italia e Romania che fu
pubblicata prima in romeno e poi in italiano;167 conobbe Urechia e redasse su di lui un articolo
nell’ottobre 1901, pubblicato sulla Revue franco-italienne et du monde latin e recentemente tradotto
in romeno da Valentina Oneț.168

158
Ivi, pp. 190-191.
159
In una lettera autografa spedita al Carducci, Pier Emilio Bosi rammenta di quando lo vedeva camminare per le vie di
Bologna e lui era ancora bambino, quindi sicuramente dopo il 1860 (“Rammento ancora quando, da bimbo, la vedevo
passare per la mia Bologna, mia città d’azione. La vedevo passare e il cuore mi batteva forte e la seguivo con l’immenso
desiderio di parlarle, trepidante d’ammirazione e d’affetto”. Pier Emilio Bosi a Giosue Carducci, il 7 giugno 1897;
Collocazione in “Casa Carducci”: Corrispondenza 5053).
160
L, vol. XX, p. 41, nota 2.
161
Cfr. Pier Emilio Bosi, Spade azzurre, Voghera, Roma, 1897.
162
Cfr. Pier Emilio Bosi, La lingua italiana nella politica, nella burocrazia e nell’esercito, Voghera, Roma, 1900. (Il
testo era in possesso di Carducci e nel suo Archivio è ad oggi conservato).
163
Cfr. Pier Emilio Bosi, L’altro volto, Barbini, Milano, 1914.
164
Cfr. Pier Emilio Bosi, L’imperatrice dei Balcani, Tip. Fratelli Jovane, Salerno, 1918.
165
Cfr. Pier Emilio Bosi, Il distruttore, Tip. Fratelli Jovane, Salerno, 1923.
166
Cfr. Pier Emilio Bosi e Giovanni Lanzalone, Il tentatore e l’eroe – contrasto drammatico per musica, Ed. Fossataro,
Napoli, 1908.
167
Cfr. Pier Emilio Bosi, Italia e Romania: conferenza tenuta a Bukarest, li 27 febbraio 1901, Tip. G. Errico e figli,
Napoli, 1902.
168
Valentina Oneț, V. A. Urechia în viziunea contemporanilor marî Români: (Vasile Alexandru Urechia), in «Buletilul
fundației Urechia», numero 12, anno 2011, pp. 147-151. [V.A. Urechia nella visione dei contemporanei dei grandi
Romeni].

68
L’ultima opera da lui pubblicata è una raccolta di versi, Virgilio e l’Italia nova: Garibaldi e
Mussolini, edito nel 1932.169
Al museo di “Casa Carducci” di Bologna sono conservate sei lettere autografe di Pier Emilio
Bosi al Poeta. Tre di queste lettere, quelle del 1898, del 1899 e del 1905, sono poco più che biglietti
di auguri. Altre tre, invece, contengono informazioni e richieste del tenente a Carducci.
Con la prima lettera, consegnata al poeta il 7 giugno 1897,170 Bosi accompagna l’offerta del
proprio volume di poesie Spade azzurre, avvertendo un forte senso di inadeguatezza per i versi che
ha composto:

[…] Ora io, questo senza volerlo, mi sono accorto d’aver fatto qua e là (non della poesia, aimè) ma dei versi
soldateschi. […] Ella, illustre poeta (non si senta, la prego, la tentazione di darle uno schiaffo… ma non
oso chiamarla maestro per la povertà dello scolare), ella scrisse una volta che la poesia doveva essere
aristocratica. Io sento la verità di questa asserzione e sento che non le piacerà il mio libro, perché troppo
spesso (quest’attenzione)171 sembrai obbliarla […]. Le mando ogni modo questo volumetto come piccolo
omaggio […]. Non si incomodi a rispondermi, specialmente se nulla di buono troverà nel volume.172

Carducci risponde quasi un mese dopo, il 5 luglio 1897:

Caro signore. Io vorrei permettere soltanto ai militari di far poesia. Agli oziosi che frignano o rigano le lor
vigliaccherie in versi più o meno lunghi, calci.
Nel volume che ella mi manda sono cose nobilissime e belle e che mi hanno dato gran piacere. Ma son
troppe quasi seicento pagine. Bisogna condensare, vibrare più raccolto.
Salve.173

In un’altra lettera,174 recapitata a Carducci il 2 febbraio 1898, Bosi informa il poeta sul successo
del volume e lo ringrazia ancora del parere che gli ha dato precedentemente.
Particolarmente interessante per il nostro lavoro, è invece la lettera giunta al Carducci il 28
maggio 1901,175 con la quale il tenente Pier Emilio Bosi informa il Nostro della conferenza da lui
tenuta a Bucarest alla fine di febbraio dello stesso anno. La trascriviamo integralmente:

Illustre Maestro
Non per festeggiarvi (poiché so che non volete) ma semplicemente per darvi una notizia che riguarda più
la nostra Italia che voi, vi dirò – un po’ tardi a dir vero – che nel grande Ateneo romeno di Bukarest, verso
la fine di Febbraio, tenni una conferenza dal titolo “Italia e Romania” che ho ragione di credere servisse
assai ad accrescere l’affetto di quella nobile terra verso la patria nostra.
In quella conferenza, che presto o tardi verrà stampata anche in Italiano (lo fu già in romeno) io lessi e
feci ammirare il vostro magnifico “Piemonte” e parlai molto di voi. Permettendomi alla fine d’inviarvi un
saluto, mille e due cento persone applaudirono il vostro nome “freneticamente”.

169
Cfr. Pier Emilio Bosi, Virgilio e l’Italia nova: Garibaldi, Mussolini, Ed. Giacomo, Salerno, 1932.
170
Collocazione in “Casa Carducci”: Corrispondenza, numero 5053.
171
Aggiunta in un secondo momento dall’autore.
172
Ibid.
173
L, vol. XX, pp. 41-42.
174
Collocazione in “Casa Carducci”: Corrispondenza, numero 5054.
175
Collocazione in “Casa Carducci”: Corrispondenza, numero 5057.

69
Andato, dopo, per due volte da Carmen Sylva, inutile dire che parlai anche di Voi…
(io, ripeto, mi permetto scriverVi perché mi pare doveroso. Nella mia piccolezza ho fatto anch’io quel
che ho potuto perché il nome della terra nostra, coi raggi delle sue glorie intemerate, riscaldi sempre più
l’affetto già vivo della terra a Traiano.
Auguri perenni dal perennemente
devoto
Pier Emilio Bosi176

La conferenza tenuta da Pier Emilio Bosi a Bucarest il 27 febbraio 1901 fu stampata a Napoli
nel mese di Ottobre 1902 presso la Tipografia Errico177 e una delle poche stampe ancora conservate
è custodita sempre nel museo bolognese.
Carducci scrive a Bosi il 7 dicembre 1902, un anno e mezzo dopo aver ricevuto la lettera che
abbiamo trascritto, ma, quasi certamente, in seguito alla lettura del volume nel quale si pubblica la
conferenza del tenente nell’ateneo romeno.
L’Edizione Nazionale indica la lettera 6043 come indirizzata a «Paolo Emilio Bosi»,178 anziché
Pier Emilio Bosi, ma, dai contenuti del messaggio, risulta chiaro trattarsi di una svista dei redattori,
visto che in nota, nella stessa pagina, si cita il volume di Bosi con la conferenza del 27 febbraio 1901.

Bologna, 7 dicembre 1902

Signor tenente, Grazie delle nobili cose che Ella ha detto dell’Italia in Romania. Quelle che ha dette di me
passano il segno: ma pur ho caro che suonassero care alla nobile e fraterna gente rumena. Salve.179

Il libretto con il testo della conferenza (17 x 10 cm) è composto da 60 pagine e fu recapitato al
Carducci sempre su iniziativa di Bosi. Nella dedica manoscritta possiamo leggere

A Giosue Carducci
superbo che questo tenuissimo lavoro
nella lontana Bukarest
abbia potuto destare i più vivi applausi
al Suo nome immortale

con venerazione
il Tenente P. E. Bosi
8° bersaglieri_NAPOLI180

176
Ibid.
177
Cfr. Pier Emilio Bosi, Italia e Romania: conferenza tenuta a Bukarest, li 27 febbraio 1901, Tip. G. Errico e figli,
Napoli, 1902.
178
L, vol. XXI, p. 99.
179
Ibid.
180
In frontespizio di Pier Emilio Bosi, Italia e Romania: : conferenza tenuta a Bukarest, li 27 febbraio 1901, Tip. G.
Errico e figli, Napoli, 1902.

70
Con le parole “ho caro che suonassero care alla nobile e fraterna gente rumena”,181 il Nostro
commenta i “più vivi applausi al Suo nome immortale” di cui Bosi fa menzione nella dedica.
Il tenente stesso ci informa che questa conferenza è stata pubblicata in romeno nella rivista
«Literatura și arta» [Letteratura e arte] e alcuni riassunti dell’intervento furono divulgati in francese
dai giornalisti romeni di Bucarest.182
La lectio fu tenuta nell’Ateneul român, “uno dei più bei templi dell’arte – dice l’autore – ch’io
abbia mai visto, tutto raggiante di marmi, di luce, di beltà, di ricchezza, adorno d’oro sin
all’esagerazione nelle rotonde pareti”.183
Alla conferenza assistettero Spiru Haret, ministro dell’Istruzione, il poeta Alexandru Vlahuță,
Constantin Mille, il politico Take Ionescu, Elena Ghika (cioè Dora d’Istria), il poeta Alexandru
Macedonski, e una «folla di oltre mille persone».184
Fin da subito Bosi tenta di accostare la Romania e l’Italia in eventi e valori comuni; dopo aver
paragonato il 1848 bolognese con il ’48 romeno185 conclude:

Ma che importano infine le rassomiglianze? Perché noi, italiani, amiam voi, o Romeni, basta ricordiamo la
vostra mirabile tenacia nel conservar nome, tradizioni e sin l’orgoglio della gente latina, resistendo all’urto
delle invasioni, fra mille nemici, Goti, Longobardi, turchi, fanarioti, ungari, di ogni sorta. Basta noi
ricordiamo che voi siete, in Oriente, la sentinella della latinità, la gentile e forte isola latina emergente
maestosa del mare slavo dell’Europa orientale.186

Il tenente poi passa a fornire un “piccolo quadro dell’Italia artistica odierna”187e lo fa parlando
di Carducci «il colosso», D’Annunzio, Fogazzaro e Pascoli.

Chi è Giosuè Carducci? Un colosso, ve l’ho detto. Il più grande dei nostri poeti odierni, che per fierezza fu
paragonato a Capanéo e per la robustezza di verso, fatto quasi sempre con intendimenti civili, a Dante. Non
vi meravigliate dell’altissimo paragone. Non fui io il primo che lo feci e non sarò certo l’ultimo. Incredibile
è infatti ciò che fece il Carducci per la patria nostra. Dopo Mazzini, in epoca di lotte maggiori, Giosuè
Carducci fu veramente l’educatore, il maestro [in corsivo nel testo]. Egli si servì dell’arte per rinnovamento
civile del nostro paese e la sua arte produsse spesso gli stessi effetti del colpo di scudiscio. Ah se l’aveste
conosciuto qualche anno fa quando era veramente pieno di forza! Saldo, dal collo taurino, dalle quadrate
spalle, dalla ispida barba, era veramente colui che disse dovere il poeta aver muscoli d’acciaio.188

181
L, vol. XXI, p.99.
182
Cfr. Pier Emilio Bosi, Italia e Romania, cit., p.3.
183
Ivi, p. 4.
184
Ivi, p. 5.
185
Cfr. Ivi, p. 10.
186
Ivi, p. 11.
187
Ivi, p. 18.
188
Ibid.

71
Dopo aver illustrato la concezione della poesia di Carducci nelle Odi barbare, citandone il
Preludio,189 dopo aver ricostruito la formazione stessa del poeta facendo cenni all’Idillio maremmano
e alla ripresa Avanti, avanti! dei Giambi ed epodi,190 Bosi specifica:

Il Carducci non ha, all’estero, tutta intera la fama che merita e di cui gode presso noi. Difficilissimo da
tradurre, egli non può veramente essere inteso che nel suo idioma originale ed io che ho promesso d’esser
breve, finirò senz’altro con alcuni brani di un’altissima poesia che riguarda il mio argomento: l’Italia.191

Con questa introduzione presenta all’uditorio l’ode Piemonte che legge quasi per intero e –
prima di passare a D’Annunzio, Fogazzaro, Pascoli e alla presentazione di altri artisti e scienziati
italiani – conclude:

Onore all’altissimo maestro! Ch’egli oggi, risalito sulla cattedra, abbia lunga vita e ch’egli canti ancora le
pure glorie latine. Sono lieto di potergli mandare il mio omaggio da Bukarest, la più forte conservatrice
della latinità. E son ben certo che voi tutti v’unirete al mio saluto.192

E in una nota a piè di pagina, completando questo discorso, conclude:

Sarebbe vanità stupida il segnare qui le tante volte che l’elettissimo pubblico dell’Ateneo interruppe le mie
parole applaudendo, ma mi par doveroso il dire che a questo punto, in onore dell’illustre cantore italiano vi
fu, più che un applauso, una vera dimostrazione.193

La corrispondenza fra Giosue Carducci e Pier Emilio Bosi mette in luce nuovi momenti di
incontro fra il Nostro e la Romania: per quanto la conferenza del tenente in cui cita il poeta sia più da
riferirsi alla ricezione dello stesso nel regno romeno, il fatto che fosse a conoscenza di questo evento,
che lo abbia apprezzato e che abbia manifestato parole di vicinanza per i romeni, aggiunge un ulteriore
elemento di chiarezza fra i possibili contatti del Vate e i “romani d’oltre i Carpazi”.194

2.5 Conclusioni

Per quanto l’opera del poeta risuti povera di riferimenti al mondo romeno (sono solo due i
richiami, uno in versi e uno in prosa), questo non significa che a Carducci fossero estranee la
Romania, la condizione e la storia del popolo romeno.
I contatti con il mondo romeno sono iniziati, non per iniziativa del poeta, nel 1888 con la lettera
di Maria Chițiu e i volumi delle sue traduzioni della Divina Commedia in romeno, da lei spediti a

189
Cfr. Ivi, p. 19.
190
Cfr. Ivi, pp. 19-20.
191
Ivi, p. 21.
192
Ivi, p. 24.
193
Ibid, nota 1.
194
OEN, vol. XXVIII, p. 281.

72
Carducci. I due volumi sono stati custoditi dal poeta nella sua biblioteca personale e ancora oggi sono
consultabili nel museo bolognese.
È interessante notare come, nella lettera di Maria Chițiu che accompagna le copie dell’Inferno
e del Purgatorio tradotte in romeno, la curatrice sottolinei la stima e l’ammirazione per Carducci da
parte sua, chiamandolo «Poeta» e parlando di sentimenti di alta considerazione per il Nostro.
È quindi possibile intuire che, fin dagli anni ottanta dell’Ottocento, nel contesto accademico e
culturale romeno, Carducci era riconosciuto come figura di riferimento italiana per la letteratura e
lingua del nostro Paese, tanto da spingere la curatrice di un’opera innovativa quale la prima traduzione
integrale della Commedia a inviargli una copia dedicata.
Di altra natura è il poemetto Italia e Romania di Severino Attilj. L’ode, inviata da Attilj a
Carducci con dedica autografa, è un ulteriore segno della conoscenza che il Nostro può essersi
costruito sulla Romania e la storia del Paese romeno.
Il rimando intertestuale, presente nell’ode di Attilj, al verso di Sicilia e Rivoluzione che richiama
i popoli romeni, è un segno che l’attenzione di Carducci per la Romania – se pur marginale nella sua
opera di poeta – non è passata inosservata nella ricezione del pubblico italiano dell’epoca ed è stata
letta come fonte di ispirazione per successivi lavori italiani di omaggio alla Romania.
Particolarmente importante è il messaggio che il Nostro ha inviato a Vasile Alexandrescu
Urechia l’11 giugno 1894: la chiara presa di posizione a fianco dei romeni di Transilvania denota una
consapevolezza della questione romena sicuramente particolare nell’Europa Occidentale dell’epoca.
La presenza, nella biblioteca personale di Carducci, di un ampio testo illustrativo sulla situazione dei
romeni transilvani, edito nel 1893195 – quindi precedente la data dell’11 giugno 1894, giorno in cui
scrive a Urechia – sembra essere la prova che il grado di informazione del poeta sul momento storico
affrontato dai “romani d’oltre i Carpazi”196, come li chiama lui, fosse quantomeno considerevole.
Oltre al testo del 1893, particolarmente pregevole è anche il volume successivo, del 1896,197
nel quale si approfondisce la storia e la condizione dei romeni in Transilvania.
Inoltre, la presenza in “Casa Carducci” dei numeri della terza e quarta annata della rivista Liga
Română può far presupporre che l’informazione sull’argomento da parte di Carducci non fosse di
circostanza, ma approfondito e curato.
Il messaggio da lui inviato a Urechia e riportato da Maria Dell’Isola nel suo saggio, quindi,
risulta essere solo il punto di approdo di una partecipazione alla vicenda iniziata precedentemente e
continuata anche negli anni successivi.

195
AA. VV. La questione romena nella Transilvania ed Ungheria, Tip. Ferrari e Pellegrini, Parma, 1893.
196
Giosue Carducci a Vasile Alexandrescu Urechia, in Vasile Alexandrescu Urechia, Voci latine, cit., p. 17.
197
Eugenio Brote, La questione romena in Transilvania ed Ungheria, Ed. Roux Frassati, Torino, 1896.

73
Di altra natura è il riferimento fatto alla Romania nel carteggio con Pier Emilio Bosi. Il tenente
dei bersaglieri, come abbiamo visto dalla sua prima lettera indirizzata al poeta, aveva grande stima
per Carducci e, grazie a lui, a Bucarest si tenne una conferenza nella quale si parlò anche del poeta
della Maremma. Ciò che arriva al Nostro è la notizia di questa conferenza198 e il suo contenuto;199 i
due elementi non furono indifferenti al poeta che non tardò a rispondere. Se qui il contatto con il
mondo romeno non è diretto, si ha comunque, da parte di Carducci, un interesse per chi ha parlato di
lui in Romania e per chi ha visitato quella terra; in ogni caso manifesta vicinanza e affetto al popolo
romeno, definendo «nobile e fraterna»200 la «gente rumena».201
Nonostante da parte di Carducci non vi sia stata risposta, il cartoncino inviatogli nel dicembre
del 1902 con la traduzione de Il bove è materiale apprezzabile e degno di studio.
È anzitutto la testimonianza di un ennesimo contatto del poeta con la Romania; è il segno che
il Nostro era lì letto e tradotto e si sentiva il desiderio di omaggiarne il talento con un dono pregiato,
ornato da un disegno di un pittore specializzato.
Questi momenti di vicinanza fra Carducci e la Romania sono il punto di partenza per poter
capire quanto il poeta maremmano sia stato apprezzato, letto e tradotto sulle rive della Dâmbovitza.
L’ordine con cui custodiva il suo materiale ha permesso ancora oggi di apprezzare la stima che
la Romania ha nutrito per lui quando era ancora in vita, anche prima del conferimento del Premio
Nobel (1906), e di notare come da parte sua le vicende politiche romene fossero seguite con interesse
e partecipazione.
Il materiale presente nel museo bolognese è il segno di un’apertura della Romania a Carducci
già durante la sua vita. La cultura romena nutriva stima e considerazione per la sua personalità e
desiderava scorprine l’opera e apprezzarla fin dagli anni della sua prima attività di docente
all’Università di Bologna.
Approfondiremo nel prossimo capitolo la ricezione della sua opera; qui ci siamo soffermati
sull’interesse da lui nutrito per il popolo romeno e su come esponenti del mondo romeno abbiano
cercato di entrare in contatto con lui, tenendo di conto il suo ruolo, apprezzando le sue parole e
stimando le sue qualità culturali.

198
Lettera di Pier Emilio Bosi del 28 maggio 1901 (Collocazione in “Casa Carducci”: Corrispondenza nr. 5057).
199
Cfr. Pier Emilio Bosi, Italia e Romania: conferenza tenuta a Bukarest, li 27 febbraio 1901, Tip. G. Errico e figli,
Napoli, 1902.
200
L, vol. XXI, p. 99.
201
Ibid.

74
CAPITOLO III

L’OPERA DI GIOSUE CARDUCCI


NELLA CULTURA E NELLA LETTERATURA ROMENA

3.1 Introduzione

Dopo aver ripercorso gli eventi storici nei quali la produzione letteraria di Giosue Carducci
incontra la cultura romena e dopo aver messo in evidenza quei punti di contatto fra la Romania e il
poeta di Valdicastello, in questo capitolo ci concentriamo sul modo in cui l’opera del Nostro si sia
diffusa nel mondo romeno.
Analizzeremo anche alcuni esempi di componimenti ed opere del patrimonio letterario romeno
che hanno risentito dell’opera di Giosue Carducci.
Nel primo paragrafo presenteremo la figura di Ramiro Ortiz, primo docente di letteratura
italiana a Bucarest, che dedicò la sua prima lezione nell’Ateneo romeno a Carducci; esamineremo i
contenuti della prolusione al corso e presenteremo la sua attività letteraria nell’Università di Bucarest.
Inoltre ci soffermeremo su alcuni interventi di critica carducciana da lui effettuati nella facoltà
romena, ripercorrendo così un decennio della sua attività accademica.
Nel secondo paragrafo elencheremo e andremo a descrivere esempi di opere critiche su
Carducci e traduzioni di alcune sue poesie, raccolte poetiche e prose. Riprodurremo i testi romeni là
dove è stato possibile reperirli, offrendo in ogni circostanza, in nota, il testo originale di Carducci.
Nel terzo ed ultimo paragrafo del capitolo, invece, metteremo in luce temi e fonti comuni fra
Mihai Eminescu, principale poeta romeno dell’Ottocento, con Carducci; inoltre non tralasceremo di
analizzare componimenti poetici romeni che hanno preso ispirazione da opere del Nostro,
proponendo gli esempi di Duiliu Zamfirescu e Octavian Goga.

3.2 Ramiro Ortiz e la conoscenza di Carducci in Romania

Maria Dell’Isola ci informa che Ramiro Ortiz inaugura le sue lezioni a Bucarest nel 1909 con
una dissertazione su Carducci1 e che dedica al poeta Vate corsi e letture.

1
Cfr. Maria Dell’Isola, Carducci nelle letterature europee, cit., p. 183.

75
Dalla viva voce del loro insegnante, i giovani imparano ad ammirare il nostro grande [Carducci]; più tardi,
professori alla loro volta nei licei della nazione, insegneranno ai giovinetti per quali molteplici ragioni egli
meriti sì vasto consenso, e perché abbia diritto di cittadinanza ovunque esistano nobili intelletti e cuori
magnanimi.2

In un primo sottoparagrafo, inquadreremo la vita e le opere di Ramiro Ortiz; in un secondo


sottoparagrafo presenteremo successivamente le sue opere di critica carducciana in Romania.

3.2.1 Ramiro Ortiz: un profilo bio-bibliografico

Ramiro Ortiz3 nasce a Chieti il 1°luglio 1879, dove trascorre l’infanzia. Trasferitosi a Napoli
con la famiglia, lì frequenta il liceo classico Umberto I e, nell’ateneo napoletano si laurea in Lettere
nel 1902 con una tesi in filologia romanza.4

Dopo un periodo di perfezionamento a Firenze sotto la guida di Pio Rajna, torna in Campania
per insegnare nelle scuole superiori di Lucera, a Salerno e al liceo Vittorio Emanuele di Napoli. Il 20
luglio 1908 sposa la cugina Bice Ortiz e l’anno dopo parte per la Romania,5 dove rimarrà per ventitré
anni, fino al 1932.6
A Bucarest si dedica da subito allo studio della penetrazione della cultura italiana in Romania,
imparando il romeno e inserendosi profondamente nella cultura locale.

Carmen Burcea e Doina Derer hanno ricordato i lenti progressi dell’insegnamento di italiano di Ramiro
Ortiz a Bucarest; in un ambiente irrimediabilmente francofilo, o, qualche volta germanofilo, lo spazio per
la lingua e la cultura italiana era poco e andava conquistato palmo a palmo. Per Ortiz era una vera missione,
che nei momenti di scoraggiamento gli sembrava di avere mancato. In realtà il giovane italiano si era andato
via via inserendo così profondamente nell’ambiente romeno da arrivare a dedicare alla letteratura romena
una parte considerevole della sua attività di studioso, orientata originariamente alla letteratura italiana, al
provenzale, allo spagnolo, alla comparatistica letteraria romanza.7

2
Ivi, p.186.
3
Come recente monografia sull’argomento in lingua romena cfr. Carmen Burcea, Ramiro Ortiz, Editura alternativă,
București, 2004. “L’autrice si è servita in particolare della stampa romena del tempo, che non aveva cessato di seguire la
parabola di Ortiz nemmeno dopo il suo trasferimento a Padova, degli atti accademici dell’Università di Bucarest, e infine
della testimonianza di più di sessanta lettere di Ortiz” (in Lorenzo Renzi, Ramiro Ortiz fra Italia e Romania, in
www.uniroma1.it, p. 1, nota 1, consultato il 19 novembre 2019). Ricordiamo anche: Angelo Monteverdi, Ricordo di
Ramiro Ortiz, in «Cultura neolatina», anno VIII, numero 1-2, 1948; Carlo Tagliavini, Ramiro Ortiz (1879-1947), in
«Annuario dell'Università di Padova», Padova, 1949; Rosa del Conte, Profilo di Ramiro Ortiz, in «Cultura neolatina»,
anno XXVII, numero1-2, 1967; Mircea Popescu, Ramiro Ortiz, in «Letteratura italiana - I Critici», volume quarto,
Marzorati, Milano, 1970.
4
Cfr. Violeta Popescu, Ramiro Ortiz (1879-1947). Una vita tra Romania e Italia, in www.culturaromena.it (consultato il
19 novembre 2019).
5
Cfr. Lorenzo Renzi, Ramiro Ortiz fra Italia e Romania, cit., p. 1.
6
Ibid.
7
Ivi, p. 2.

76
Riesce a redigere due studi importanti sulla penetrazione in Romania di Vittorio Alfieri e Pietro
Metastasio, in cui, tuttavia, non si esaurisce la sua attività di ricerca. Nel 1916, a causa della guerra,
Ramiro Ortiz lascia la Romania per tornare in Italia. Il viaggio di ritorno si rivela molto avventuroso:
vaga dieci mesi attraverso la Russia, il Mar Bianco, la Scandinavia, l’Inghilterra.8
Dopo aver soggiornato a Napoli, dove insegna nei licei, nell’autunno del 1919 torna a Bucarest.
Qui riprende i corsi universitari e dà avvio a tutta una serie di iniziative feconde per lo sviluppo dei
rapporti culturali italo-romeni. Nel 1921 fonda, infatti, la rivista «Roma» che rimarrà attiva fino al
1933.9
Fra i suoi allievi a Bucarest spiccano i nomi di George Călinescu, futuro critico letterario
romeno di primo piano della prima metà del Novecento, autore di studi italiani e spagnoli, romanziere
e redattore della immensa e monumentale Istoria literaturii române de la origini până în prezent
[Storia della letteratura romena dalle origini al presente], nonché Nina Façon e Alexandru Marcu,
l’ultimo essendo colui che prenderà il suo posto sulla cattedra di letteratura italiana a Bucarest nel
1933.10

A un certo punto, nel 1933, proprio quando si era inserito a fondo nell’ambiente romeno, Ortiz è chiamato
in Italia: il ritorno in patria era stato un suo sogno, adesso è una realtà, e lo studioso non sa se rallegrarsene
o dispiacersi. Viene chiamato in Italia con tutti gli onori, a ricoprire una cattedra di Filologia romanza
all’Università di Padova, su segnalazione di Giulio Bertoni e di Vincenzo De Bartholomeis, professori di
Filologia romanza rispettivamente a Roma e a Bologna. Si trattava, come si ricava con precisione
dall’articolo di Tagliavini, di una chiamata per ‘alta fama’, prevista, accanto ai concorsi ordinari, dalla
legge Gentile. Una nomina fascista. Ma ricordiamo che, accanto ad alcune designazioni di carattere politico,
le nomine senza concorso spettarono spesso a persone di merito, come era il caso del nostro Ortiz, e, come
si vede, la proposta veniva da due professori illustri, anche se il primo molto esposto politicamente.11

Giunto a Padova,12 inizia la sua attività accademica suscitando “lo stupore dei suoi studenti
padovani nel sentirlo cominciare la lezione non in italiano, ma, per inveterata abitudine, in romeno”.13
Nel 1937 istituisce un lettorato di romeno a Padova e fa giungere come lettrice la giovane Nina
Façon, sua allieva e futura cattedratica di Letteratura italiana a Bucarest. L’anno dopo, Nina Façon,
ebrea, colpita dalle leggi razziali italiane, aveva dovuto lasciare Padova per rientrare a Bucarest, dove
avrebbe discusso, nel 1938, una tesi di dottorato sulla poesia di Michelangelo.14

8
Ibid.
9
Cfr. Violeta Popescu, Ramiro Ortiz (1879-1947). Una vita tra Romania e Italia, in www.culturaromena.it (consultato il
19 novembre 2019).
10
Cfr. Lorenzo Renzi, Ramiro Ortiz fra Italia e Romania, cit., p. 2.
11
Ivi, p. 2.
12
Sull’attività di Ramiro Ortiz a Padova si veda Alberto Limentani, Cento anni di filologia romanza a Padova, in
«Medioevo romanzo», anno XII, 1987, pp. 13-44.
13
Lorenzo Renzi, Ramiro Ortiz fra Italia e Romania, cit., p. 2.
14
Cfr. Ivi, p. 4.

77
“Nel 1940, a riconoscimento dei suoi alti meriti di studioso e di pioniere della cultura italiana
in Romania, è solennemente elogiato dall’Accademia d’Italia. Nel 1947, il 26 luglio, colpito
nuovamente dal male che l’aveva colto poco dopo il rientro in Italia, Ramiro Ortiz si spegne a
Padova”15 all’età di 68 anni.
La sua produzione accademica è sterminata. Inizialmente si adopera per pubblicare opere
comparatistiche, come ad esempio Per la fortuna del teatro alfieriano in Rumania (1911), Per la
fortuna del Petrarca in Rumania (1930) e Per la storia della cultura italiana in Rumania (pubblicato
a Bucarest nel 1916, poi anche a Roma nel 1943).16
Da ricordare è anche Medioevo rumeno (1928), un tentativo di descrivere e trovare punti di
contatto tra la vita e l’arte dei principati nei secoli XVI-XVIII e il Medioevo Occidentale.17
Il Manualetto rumeno (1936, II ed.1945) era uno strumento didattico che riprendeva il titolo di
quello dedicato da Vincenzo Crescini all’antico provenzale. Infine, assieme al grande filologo romeno
Nicolae Cartojan pubblica nel 1943 Un grande erudito romeno a Padova: lo Stolnic Constantin
Cantacuzino. Lorenzo Renzi precisa:

Ortiz ha pubblicato la prima grande raccolta italiana di traduzioni di poesie di Eminescu (Poesie, Firenze,
Sansoni, 1928; poi 1950), cui seguiranno quella di Rosa Del Conte e altre ancora […]. Della vasta
produzione dedicata al mondo romanzo occidentale, ricordiamo brevemente solo qualche opera: ancora due
lavori di comparatistica, dedicati, questa volta, alla fortuna di un motivo in diverse letterature: “Fortuna
labilis”, storia di un motivo medievale, 1927; Banchetti tragici nelle letterature romanze, 1947 […];
Francesco da Barberino e la letteratura didattica neolatina, Roma 1948. Nel volume Varia romanica
(1932) aveva raccolto un foltissimo gruppo di studi di vario argomento, che dimostra le sue enormi
conoscenze.18

Si è occupato di Dante Alighieri con la pubblicazione, nel 1923, di Studii sul canzoniere di
Dante: le ballate primaverili e il servizio d'amore di Dante e ha collaborato alla traduzione romena
della Divina Commedia di George Coșbuc nel 1933.19

3.2.2 La prolusione di Ramiro Ortiz al corso di letteratura italiana a Bucarest del 20


novembre 1909

Prima di esporre i contenuti della prolusione al corso di letteratura italiana a Bucarest del 20
novembre 1909, primo intervento di Ramiro Ortiz in Romania su Carducci, ci sembra doveroso

15
Violeta Popescu, Ramiro Ortiz (1879-1947). Una vita tra Romania e Italia, in www.culturaromena.it (consultato il 19
novembre 2019).
16
Cfr. Lorenzo Renzi, Ramiro Ortiz fra Italia e Romania, cit., p. 3.
17
Cfr. Ibid.
18
Ibid.
19
Cfr. Mircea Popescu, I Contributi danteschi di Ramiro Ortiz, in «L'Alighieri», anno IX, numero 1, gennaio-giugno
1968.

78
rendere conto di un contatto diretto avvenuto fra il filologo e il nostro poeta, ancora oggi testimoniato
dal materiale custodito a “Casa Carducci” a Bologna.
È del 2 agosto 1900, infatti, una lettera inviata da Ortiz a Giosue Carducci mentre quest’ultimo
si trovava in vacanza a Madesimo,20 nella quale chiede al Nostro di visionare un suo lavoro. Nel
messaggio possiamo leggere:

Egregio Signore, lo studio che mi pregio d’inviarLe non è che un primo saggio di un giovane innamorato
degli studi neolatini e desideroso d’imparare. Non vorrà quindi accusarlo d’essere importuno, se,
ammirando il suo ingegno e i suoi pregevoli lavori di critica, si azzarda a domandare a Lei, cui tante cure
incombono un qualsiasi giudizio sulla modestissima opera sua e due righe di risposta. Egli tiene a un suo
giudizio più che a qualsiasi lode; voglia quindi accontentarlo e crederlo sempre di Lei devotissimo.
Ramiro Ortiz.21

L’opera inviata da Ortiz a Carducci è uno studio da lui effettuato su alcune poesie del Codice
Vaticano Latino 3793 ed è ancora oggi conservato nella biblioteca bolognese.22
Come già accennato, il primo intervento di Ramiro Ortiz su Giosue Carducci in Romania risale
al 20 novembre 1909, quando “inaugurando il suo corso di letteratura italiana all’ Università di
Bucarest […] tratta un tema dal singolare interesse: Della figurazione storica del Medio Evo italiano
nella poesia di Giosuè Carducci”.23 La conferenza fu pubblicata a Napoli l’anno seguente e vide la
luce anche in romeno nella rivista «Convorbiri literare».24
Il tema del Medioevo in Carducci è un argomento sul quale molto è stato scritto.25 Benozzo,
infatti, afferma:

Si sono indagati i rapporti con i medievalisti a lui contemporanei, si è studiato il magistero carducciano nel
settore della filologia romanza, si è affrontato il problema della rielaborazione in chiave poetica di temi e
motivi medievali, si sono ricercate le trame dell’idea risorgimentale di un medioevo all’origine dell’Europa,
si è riscoperto il medioevo d’archivio di quei documenti poetici portati da lui alla luce per la prima volta
[…] unitamente alla sua capacità di convertire la storia letteraria medievale in exemplum etico-politico.26

Benozzo ha modo di analizzare l’autorevole spregiudicatezza mostrata dal Carducci nel modo
di rileggere e utilizzare le fonti medievali: analizza la visione carducciana del medioevo come luogo

20
Nella cartolina, conservata a “Casa Carducci” (corrisp. LXXXIII, 71) possiamo leggere inizialmente l’indirizzo di
Bologna, poi cancellato e corretto con la dicitura «Madesimo (sullo Spluga)».
21
Trascrizione dell’autografo, conservato a “Casa Carducci” in corrispondenza LXXXIII, 71.
22
Cfr. Ramiro Ortiz, Sulle poesie CCLXI-CCLXVIII del Codice Vaticano 3793 attribuite a Ciacco dell’Anguillara, in
Flegrea - 20 luglio, Detken & Rocholl, Napoli, 1900 (“Casa Carducci”, Busta 254.26).
23
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 138.
24
Ibid.
25
Cfr. Francesco Benozzo, Carducci, cit., pp. 253-261; Aurelio Roncaglia, Carducci, il Medio Evo e le Origini romanze
(con un prologo su Carducci e Montale), pp. 115-140 e Gianfranco Folena, Carducci maestro di retorica, pp. 142-170,
in Mario Saccenti, Carducci e la letteratura italiana, Antenore, Padova, 1988; Luigi Blasucci, Carducci e la poesia
cavalleresca, in AA.VV., Carducci poeta, Atti del Convegno di Pietrasanta-Pisa, 26-28 settembre 1985, a cura di
Umberto Carpi, Pisa, Giardini, 1987, pp. 169-191.
26
Ivi, p. 254.

79
di una forza incorrotta del pensiero, le considerazioni di Carducci sul paganesimo sensuale delle genti
latine che si contrappone al paganesimo naturale dei popoli germani e la matrice letteraria della
cavalleria, con la quale Carducci si confronta, che culmina nella cavalleria cortese.27
Sul tema in questione, Marcello Ciccuto, in un suo «dotto e folgorante studio»,28 ha sintetizzato:

Sarà bene avvertire che il riferimento al Medioevo è costante in Carducci, ma il mito (del Medioevo) appare
disseminato per frammenti nell’opera lirica: come se attraverso la ripetizione si segnalassero gli effetti ora
del desiderio ora della censura: «le texte du mythe, puzzle ou miroir brisé, ne peut être qu’une
reconstruction hypothétique».29 È uno dei motivi per cui non dovremo stupirci se all’individuazione storica
precisa dell’età comunale, sin dall’epoca della tesi di laurea, si alterna in partenza la promozione
dell’immagine di un Medioevo tenebroso, reliquato della storiografia settecentesca già presente al Foscolo
e comunque aggregabile a un eventuale dossier vichiano filtrato sulle carte carducciane anche tramite la
Storia delle belle lettere in Italia di Paolo Emiliani Giudici (1844).30

Il lavoro di Ortiz, quindi, si inserisce in un ampio percorso critico sul ruolo del medioevo in
Carducci e, il 20 novembre 1909, ha studiato come l’autore abbia rappresentato il Medioevo italiano
nella sua produzione poetica.
Nel presentare l’argomento del suo studio definisce il Medioevo italiano nell’opera carducciana
così:

un buon terzo dell’opera poetica carducciana, e meriterebbe una trattazione compiuta da parte di un
medievalista di professione, che sapesse lumeggiarlo coi brani delle prose e integrarlo con uno studio
dell’attività del poeta nel campo della Filologia romanza, disciplina ch’egli fu dei primi in Italia a coltivare
con intendimenti d’arte e sicurezza di metodo.31

Ortiz, citando un distico della poesia Presso l’urna di Percy Bysshe Shelley32 (“L’ora presente
è in vano, non fa che percuotere e fugge; | sol nel passato è il bello, sol ne la morte è il vero” vv.3-
4),33 comparsa nelle Terze Odi Barbare del 1889, sostiene che Carducci “non poteva, nei suoi versi,
intendere solo del grande passato classico di Grecia e Roma, egli, che, poco dopo, accenna con tanta
sicurezza a Sigfrido, a Rolando, a Re Marco, a Isotta la bionda”.34
Poco più che diciottenne Carducci scrisse un poemetto di ambientazione medievale dal titolo
Amore e morte35 nel quale, secondo Ortiz, è possibile scorgere “una concezione della donna

27
Cfr. Francesco Benozzo, Carducci, cit., p.255.
28
Ivi, p. 254, nota 36.
29
Anne-Marie Roux, Nodier et l’âge d’or. La quête de l’origine, in «Littérature», anno 25, 1977, p. 100.
30
Marcello Ciccuto, Mito del medioevo carducciano, in AA.VV., Carducci poeta, Atti del Convegno di Pietrasanta-Pisa,
cit., pp. 103-132.
31
Ramiro Ortiz, Della figurazione storica del Medioevo Italiano nella poesia di Giosuè Carducci, Tip. Pierro, Napoli,
1910, pp. 4-5.
32
OEN, vol. IV, p. 129.
33
Ibid.
34
Ramiro Ortiz, Della figurazione storica…, cit., p. 5.
35
OEN, vol. I, p. 107.

80
medievale ben diversa da quella in onore presso i romantici”.36 La donna medievale dei romantici era
descritta come una vergine di colorito pallido, dai capelli biondi, che vive l’amore come
un’esperienza di senso raffinato e quasi angelico.

Invece la donna, che abbiamo innanzi nelle strofe giovanili del Carducci, non è una vergine morente di
languore, come le romantiche protagoniste del Grossi e del Prati, non è un fantoccio senz’anima, come la
maggior parte delle eroine dell’Aleardi e del Rossetti; ma, una volta tanto, una donna in carne ed ossa, che
vive, ed ama, e dell’amore risente pur nei turbamenti del senso, quando le accade di sfiorar colle dita la
capigliatura fluente del bel vincitore.37

Ramiro Ortiz, passando in esame l’opera del Carducci, suddivide la sua rappresentazione del
Medioevo in quattro periodi e di ogni periodo fornisce abbondanti esempi di testi poetici carducciani.
Il primo periodo è quello dell’«attesa impaziente»:38 “L’Italia appare al poeta, ignaro del gran
fuoco che si nascondeva sotto quel po’ di cenere, la più degenere e vile tra le nazioni contemporanee;
dimentica del passato, incurante dell’avvenire, ipocrita e corrotta al tempo stesso”.39
Di questi sentimenti sono testimoni, secondo Ortiz, i due sonetti Non vivo io, no40 e Poi che
l’itale sorti e la vergogna.41 “In tali momenti di sconforto, il medioevo gli appar naturalmente come
l’età dell’oro del popolo italiano, quando Patria e Libertà trovavan degno ricetto ne’cuori magnanimi
de’nostri vecchi del buon tempo antico […], allora le generazioni novelle crescevano alla patria
cittadini intemerati, strenui difensori, artigiani industri”.42
Nei primi cinque libri di Juvenilia i riferimenti al medioevo sono scarsi, manifestando tuttavia
una predilezione per l’età dei comuni, come nell’Ode alla Beata Diana Giuntini43 con la quale,
nell’alludere agli Ordinamenti di giustizia, “si mostra – sempre nella visione di Ortiz – fin dai suoi
primi passi poetici, assai poco tenero della nobiltà feudale”.44
Il secondo periodo poetico carducciano è quello dell’“entusiasmo sabaudo e della speranza
nell’avvenire della patria; un periodo così breve da sembrar quasi un intermezzo”.45 Questo periodo
inizia con l’ode Alla croce di Savoia,46 prosegue con Plebiscito47 e Sicilia e rivoluzione,48 l’ode nella
quale, come abbiamo visto, Carducci fa cenno alle popolazioni che abitavano i Carpazi.

36
Ramiro Ortiz, Della figurazione storica del Medioevo…, cit., p. 8.
37
Ivi, pp. 8-9.
38
Cfr. Ivi, pp. 12-20.
39
Ivi, p. 12.
40
OEN, vol. II, p. 98.
41
OEN, vol. II, p. 100.
42
Ramiro Ortiz, Della figurazione storica del Medioevo…, cit., pp. 14-15.
43
OEN, vol. II, p. 71.
44
Ramiro Ortiz, Della figurazione storica del Medioevo…, cit., p. 18.
45
Ibid.
46
OEN, vol. II, p. 210.
47
OEN, vol. II, p. 225.
48
OEN, vol. II, p. 231.

81
Il Carducci è esultante: inneggia a Vittorio Emanuele, canta una per una le vittorie degli eserciti alleati,
protesta contro le stragi consumate a Perugia dagli svizzeri pontificii, esalta la rivoluzione di Sicilia, tuona
contro gli Austriaci invasori del Piemonte, leva un inno alato e commosso al tricolore d’Italia sventolante
sulla torre d’Arnolfo.49

Il terzo periodo della poesia carducciana è siglato da Ortiz come “un periodo di sconforto cupo,
di dolore rabbioso”.50 È il periodo dei Giambi ed epodi, nei quali

Il medioevo nelle mani del poeta sdegnato dell’insulto fatto a Garibaldi e della politica remissiva – più
nell’apparenza invero che nella sostanza – dei nuovi padroni del Campidoglio, diventa un’arma potente, di
cui si serve a difesa e ad offesa: a difesa dei suoi ideali, ad offesa contro gli avversari di quelli […]. Il
medioevo non gli apparirà più come una volta tutto bello e nobile e poetico, e la nobiltà feudale gli si
presenterà sotto un aspetto repugnante di brutal prepotenza, di sensualità rozza, di feroce valore.51

Il medioevo feudale e religioso è in questo periodo, secondo l’appassionata presentazione di


Ramiro Ortiz, bersaglio delle critiche del poeta e sarà descritto con simpatia solo nelle Rime Nuove e
in Rime e ritmi.52

Ora il poeta non ha né può avere la serenità necessaria a giudicar equamente di quegli aspetti della vita
medievale: in un sonetto a Dante si meraviglierà con sé stesso di nutrir tanta reverenza e ammirazione per
un poeta, i cui ideali politici e religiosi furon così diversi da’ suoi, e, nell’ode Per le nozze di Alessandro
D’Ancona parlerà dell’età media come di una «dannosa etade», nemica della luce e dell’amore, su cui la
morte incombe con mille aspetti e l’uomo esce dalle tenebre del chiostro solo per quelle del sepolcro.53

Nella poesia Consulta araldica54 fa cenno ai molti feudatari che nel tempo si sono arricchiti
sfruttando il popolo, ai vescovi avidi di denaro, alle origini non sempre nobili dei titoli gentilizi e
questo per irridere contro un regio decreto del 10 ottobre 1869 che istituiva un’adunanza per dare un
parere sui titoli nobiliari.55

In questo periodo poetico egli adopera, per ciò che riguarda il medioevo, due procedimenti efficacissimi
l’uno e l’altro al fine satirico che si propone di conseguire. Il primo, assolutamente nuovo nell’arte
carducciana, consiste nel rimpicciolire alla dimensione degli uomini contemporanei i più grandi e fieri
italiani dei secoli scorsi, il secondo nell’esaltare i personaggi meno simpatici e più abietti dell’età media,
come necessaria conseguenza dell’abbandono di ogni grande ideale, dell’oblio di ogni grande virtù.56

Esalta quindi Cante de’Gabrielli da Gubbio, che scagliò contro Dante una condanna per
baratteria, e Vanni Fucci che rubava sotto gli occhi di Dio e in pieno giorno, senza nascondersi;

49
Ramiro Ortiz, Della figurazione storica del Medioevo…, cit., p. 19.
50
Ivi, p. 20.
51
Ibid.
52
Cfr. Ivi, p. 22.
53
Ibid.
54
OEN, vol. III, p. 42.
55
Ramiro Ortiz, Della figurazione storica del Medioevo…, cit., pp. 23-24.
56
Ivi, pp. 25-26.

82
Carducci, in Meminisse horret,57 “la più violenta forse delle poesie scritte in quel torno di tempo”,58
riporta in vita figure importanti del medioevo quali Francesco Ferrucci, Dante Alighieri e persino
Niccolò Machiavelli e fa sì che si adattino ai costumi corrotti del 1869-1870.59
Ortiz, senza mezzi termini, definisce questi come “versi terribili, che fan correre un fremito per
l’ossa; sono anche versi ingiusti, perché né l’Italia era vile come il poeta la rappresentava, né gli
uomini che la governavano «piccioletti ladruncoli bastardi»”.60
Lasciando i Giambi ed epodi, Ramiro Ortiz analizza alla presenza del pubblico romeno riunito
nell’Università di Bucarest, la raccolta Rime nuove, dove il medioevo “ritorna materia d’arte, oggetto
di sereno e imparzial godimento dello spirito […], Si fa cultore delle letterature straniere, riprende lo
studio del tedesco […], s’interessa alla poesia dei trovatori, ammira i grandi capolavori delle arti
figurative, di cui scorge con finissimo intuito i rapporti con le forme letterarie”.61
Nelle sue poesie descrive chiese gotiche,62 fa accenni alle storie delle vetrate multicolori,63 ai
portali arcuati64 ed è, secondo Ortiz, “l’architettura, fra le arti del disegno, quella che più fortemente
colpisce la fantasia del poeta, e, dopo l’architettura, la scultura”.65 La pittura è appena citata nell’opera
di Carducci e i riferimenti a Tiziano e Raffaello sono più letterari che artistici, anche se

nella poesia di nessun poeta i colori han tanta parte come in quella del Carducci, che fa anzi un poeta della
luce, un innamorato sole […]. La pittura del trecento, delicata e spirituale, lo interessava, non lo
conquistava, senza dire ch’era pittura d’angeli e di Madonne e il poeta non intravvide che assai di rado e in
confuso il lato poetico della speranza cristiana e della fede.66

L’ultima concezione del medioevo italiano affiora nelle grandi odi storiche del Carducci dove
emerge una “serena e suggestiva descrizione d’interno feudale”.67
Vengono citati una quarantina di versi della poesia Poeti di parte bianca.68 Il componimento è
raccolto nei Levia gravia ed è ambientato nel castello di Mulazzo in Lunigiana, dove il marchese
Malaspina accoglie gli esuli fiorentini di parte bianca. Nella poesia prende la parola Sennuccio del

57
OEN, vol. III, p.9.
58
Ramiro Ortiz, Della figurazione storica del Medioevo…, cit., p. 26.
59
Cfr. Ivi, pp. 26-27.
60
Ibid.
61
Ivi, p. 30.
62
Cfr. In una chiesa gotica, in OEN, IV, p. 37.
63
Ideale, in OEN, vol. IV, p. 9: «tale ne i gotici | delúbri, tra candide e nere | cuspidi rapide salïenti || con doppia al cielo
fila marmorea, | sta su l’estremo pinnacol placida | la dolce fanciulla di Jesse | tutta avvolta di faville d’oro» (vv. 18-24).
64
Ibid.: «Da la porta arcuata, che i leoni | Millenni di granito ama carcar» (vv. 5-6).
65
Ramiro Ortiz, Della figurazione storica del medioevo…, cit., pp. 31-32.
66
Ivi, p. 32.
67
Ivi, p. 34.
68
OEN, vol. II, p. 318.

83
Bene, amico di Petrarca, che parla pieno di tristezza e malinconia, avvertendo come un presentimento
di non rivedere più la patria.69
In questo testo vediamo come Carducci “con mezzi semplicissimi […] riesce a infondere la vita
nella materia inerte, a innalzare a dignità di poesia l’aridità di una dedica o di una data […]. Ogni
figura, nel mirabile quadro, vive di una vita che non è solo materiale, ma psicologica ed affettiva”.70
Un altro testo preso in esame è la Leggenda di Teodorico,71 dove Carducci fonde insieme la
leggenda germanica e quella italiana cattolica, ispirandosi ai bassorilievi scolpiti sulla facciata della
basilica di San Zeno di Verona.
La leggenda cattolica medievale fa sprofondare il re Teodorico di Verona nell’inferno, dove
viene condotto da un cavallo nero e gettato nella voragine infernale alla presenza di Simmaco e papa
Giovanni. “A Simmaco e al pontefice Giovanni della leggenda cattolica – precisa il filologo a
Bucarest – il poeta ha sostituito un’altra vittima di Teodorico, Marco Anicio Severino Boezio, l’autore
del De consolatione philosophie, il dottore di Dante, l’ultimo dei romani”.72
Ulteriori considerazioni sono offerte da Faida di comune,73 che Ortiz analizza nell’ultima parte
della sua conferenza.74

Più ancora che nella Leggenda di Teodorico, l’anima e l’arte del medioevo italiano sembrano rivivere in
questa, ch’è assolutamente fra le più perfette cose del Carducci. Il ritmo non rifuggente dalle ripetizioni e
dalla semplicità scultoria della poesia narrativa popolare, qualche verso dall’armonia volutamente stanca,
le assonanze magistralmente alternate alle rime vere […] danno al lettore esperto delle movenze dell’antica
lirica popolare, l’illusione di leggere uno di quei serventesi che i giullari cantavan sulle piazze italiane, e a
gran sollazzo del popolo sempre assetato di poesia e di avventure.75

69
Ecco i versi citati in Ramiro Ortiz, Della figurazione storica del Medioevo…, cit., pp. 34-35: “e fósco in tanto | Battea
la ròcca di Mulazzo il nembo, | E la tristezza del morente autunno | Umida e grigia empiea le vaste sale | Di Franceschino
Malaspina. Acuta | Guaiva a’ tuoni una levriera, e il capo | Arguto distendea, l’occhio vibrando | Dardeggiante e le orecchie
erte, a le verdi | Gonne de l’alta marchesana. A lei | D’ambo i lati sedean donne e donzelle, | Fior di beltà, fior di guerresche
altiere | Ghibelline prosapie. E di rincontro, | Ardendo in mezzo d’odorata selva | Il focolar, tu dritto in piedi tutta | Ergei
la testa su i minor baroni, | Caro | a gli esuli e a’ vati, o Malaspina. | Posava in pugno al cavaliere un bello | Astor maniero,
e, quando varia al vento | Saltellante la grandine picchiava | Le vetrate e imbiancava il fuggitivo | Balen le appese a’ muri
armi corusche, | Ei l’ale dibatteva, il serpentino | Collo snodando, e uno stridor mettea | Rauco di gioia: ardeagli nel
grifagno | Occhio l’amor de le apuane cime | Natie, libere: ardea, nobile augello, | In tra i folgori a vol tender su’ nembi.
| E fiso un paggio lo guatava, a’ piedi | Seduto del signor: fuggiasi anch’esso | In su l’ale de’ venti co’l desio | Fuor de la
sala, e valicava i monti | Da l’insana procella esercitati | E le selve grondanti, e tra ’l tonante | Romor de le lontane acque
lo scroscio | Del fiume ei distinguea cui siede a specchio | La capanna di sua madre vassalla” vv 29-64, in OEN, vol. II,
pp. 319-320.
70
Ramiro Ortiz, Della figurazione storica del Medioevo…, cit., p. 35.
71
OEN, vol. III, p. 297.
72
Ramiro Ortiz, Della figurazione storica del Medioevo…, cit., p. 40.
73
OEN, vol. III, p. 307.
74
Cfr. Ramiro Ortiz, Della figurazione storica del Medioevo.., cit., pp. 41-44.
75
Ivi, p. 44.

84
In chiusura vengono dati alcuni cenni ad altri componimenti poetici di Carducci che hanno a
che fare con il medioevo, come Il comune rustico,76 Sui campi di Marengo77 e La canzone di
Legnano.78
Il Carducci è – secondo Ortiz – un poeta che è riuscito a rievocare il medioevo con le sue luci
e le sue ombre e merita di essere chiamato ‘poeta della storia’ e ‘poeta d’Italia’, poiché ha dato, con
i suoi versi, un’educazione politica e morale all’Italia.79

Non è che un tributo di riconoscenza – conclude lo studioso nell’ateneo di Bucarest – ch’io sciolgo qui,
oggi, parlando di lui, in questa terra rumena, che ha fatta l’ammirazione del mondo per la lotta tenace, che
ha saputo combattere per la conservazione della sua fisionomia di popolo latino, per il progresso
rapidissimo sulle grandi via della civiltà, per il culto amoroso e tenace delle grandi idee di Giustizia, di
Libertà, di Democrazia.80

La conferenza è poi chiusa da Ramiro Ortiz con parole pronunciate in segno di stima e vicinanza
al popolo romeno, alla sua storia e a tutti quei popoli ancora impegnati per costruire il proprio
avvenire.

Legittimo argomento di compiacenza deve essere per voi, che soli qui, dove ancora come ai tempi del
Carducci «suona di pianti il Balcan», siate giunti a formare un gran popolo rispettato e temuto, che, nelle
sante opere della pace, cresce vigoroso nei campi, nelle officine e nelle scuole! Ma non è da per tutto così,
ed io mi sentirei troppo indegno dei santi ideali umanitarii del poeta, l’opera del quale ho cercato con
disadorna parola di lumeggiare in uno de’suoi molteplici aspetti, se non invitassi la gioventù studiosa a
rivolgere un pensiero di simpatia a quanti, vicini e lontani, lottano ancora per un grande ideale di Patria, di
Libertà, d’Uguaglianza.81

Nelle ultime battute del suo discorso inaugurale, il professor Ortiz cita un verso della poesia
Sicilia e rivoluzione («suona di pianti il Balcan» v. 108)82 nel quale, come abbiamo visto, il poeta
maremmano vuole riferirsi anche al popolo romeno.

3.2.3 Altri lavori in Romania di Ramiro Ortiz su Carducci

La prolusione al corso di letteratura italiana del 20 novembre 1909 sul medioevo nell’opera
carducciana non è l’unico lavoro che Ortiz, durante il suo lungo soggiorno in Romania, ha condotto
sul Carducci.

76
OEN, vol. III, p. 302.
77
Ivi, p. 304.
78
OEN, vol. IV, p. 259.
79
Cfr. Ramiro Ortiz, Della figurazione storica del Medioevo…, cit., p. 46.
80
Ibid.
81
Ibid.
82
OEN, vol. II, p. 232.

85
Di Ortiz sono disponibili traduzioni e commenti in romeno dell’opera del Nostro; inoltre Maria
Dell’Isola ci informa che il professore, nell’anno accademico 1919-1920, ha dedicato un intero corso
al poeta-vate.83
Il corso, in lingua romena, è disponibile sul sito della biblioteca digitale dell’università di Cluj84
dove sono consultabili i numeri della rivista che ha pubblicato le lezioni in romeno di Ramiro Ortiz.
Il corso di Ortiz è stato suddiviso in quattro parti, pubblicate il 20 novembre, il 27 novembre, il
4 dicembre e l’11 dicembre 1920 sulla rivista «Sburătorul».85
Nella prima parte pubblicata, Ramiro Ortiz, dopo aver esaltato il valore dell’arte e della
letteratura ribadendo che Carducci è un uomo che più di altri è riuscito a render ragione alla bellezza
della poesia,86 presenta il Nostro come il primo della celebre triade di poeti assieme a Pascoli e
D’Annunzio: „Sunt cele – ribadisce Ortiz - «tre corone» ale epocii noastre”.87
Carducci, con la cui data di nascita si chiude questa prima parte, è presentato contestualizzando
la sua formazione nel panorama letterario e culturale italiano dell’epoca, facendo riferimento ad autori
quali Arrigo Boito, Giovanni Prati e Alessandro Manzoni.88
Nella seconda parte, edita la settimana successiva, il 27 novembre 1920,89 Ortiz si concentra
sull’infanzia e l’adolescenza di Carducci, cercando di far entrare il lettore romeno nel paesaggio
maremmano e l’importanza che riveste nella poesia del Nostro. È qui che il professore di Bucarest
cita poesie quali Idillio maremanno90 o Davanti san Guido,91 senza tralasciare la formazione
patriottica del Carducci per il quale, a dire di Ortiz, „Patria era totul; forma de guvernământ venea pe
al doilea plan”.92
Dopo aver ripercorso la formazione accademica a Pisa, questa sezione si chiude elencando gli
amici dell’epoca, come Giuseppe Chiarini, Giovanni Nencioni, Antonio Targioni-Torzetti, e
dipingendo gli anni dell’insegnamento a San Miniato e a Pistoia prima di giungere nell’ateneo
bolognese.93

83
Cfr. Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., pp. 186-188.
84
www.dspace.cluj.ro (consultato il 19 novembre 2019).
85
Cfr. Ramiro Ortiz, Carducci, in «Sburătorul», anno II, numero 28, 20 novembre 1920, [editura Alcalai, București],
1920, pp. 24-26; Ramiro Ortiz, Carducci, in «Sburătorul», anno II, numero 29, 27 novembre 1920, cit., pp. 43-46; Ramiro
Ortiz, Carducci, in «Sburătorul», anno II, numero 30, 4 dicembre 1920, cit., pp. 61-64; Ramiro Ortiz, Carducci, in
«Sburătorul», anno II, numero 31, 11 dicembre 1920, cit., 1920, pp. 76-79.
86
Cfr. Ramiro Ortiz, Carducci, in «Sburătorul», anno II, numero 28, 20 novembre 1920, cit., pp. 24-25.
87
Ivi, p. 25: “Sono queste tre corone dell’epoca nostra” [traduzione nostra].
88
Cfr. Ivi, p. 26.
89
Cfr. Ramiro Ortiz, Carducci, in «Sburătorul», anno II, numero 29, 27 novembre 1920, cit., pp. 43-46.
90
OEN, vol. III, p. 271.
91
Ivi, p. 280.
92
Cfr. Ramiro Ortiz, Carducci, in «Sburătorul», anno II, numero 29, 27 novembre 1920, cit., p. 44: “La Patria era tutto;
la forma di governo veniva in secondo piano” [traduzione nostra].
93
Cfr. Ivi, p. 46.

86
La penultima sezione, pubblicata il 4 dicembre 1920,94 si apre dedicando un paragrafo alle
prime antologie di poeti curate dal Carducci e alla nomina a professore di letteratura italiana
all’Università di Bologna.95
Parte cospicua di questo passaggio argomentativo è dedicata da Ortiz alle polemiche che
portarono il Carducci ad essere trasferito all’Università di Napoli per poi essere richiamato a Bologna
e alla nascita della raccolta Giambi ed epodi.96 Superato questo delicato passaggio, per Ortiz „da aci
încolo Carducci nu mai era un om, era un simbol, o idee, un drapel în același timp și un simulacru al
Patriei”.97
I paragrafi finali di questa sezione presentano i versi della raccolta Rime nuove, il capolavoro
delle Odi barbare, e l’ultima raccolta, Rime e ritmi; qui si ripercorre la nomina a senatore, il ruolo da
lui rivestito nell’Italia postunitaria e il conferimento del Premio Nobel nel 1906.98 „În acel timp –
chiosa Ortiz – ieși reunită înt’un singur volum de peste 1000 de pagini toată opera sa de poet atât de
vastă și totuși atât de rafinată”.99
Con la data di morte del poeta, il 16 febbraio 1907, si chiude questa terza parte del lavoro del
professor Ortiz.
La lezione conclusiva del corso su Carducci, tenuta presso l’università di Bucarest nella
primavera del 1920, fu pubblicata in romeno sulla rivista «Sburătorul» l’11 dicembre 1920100 e
riassunta in italiano da Maria Dell’Isola nel suo saggio. Riportiamo il riassunto della studiosa per
avere un’idea il più possibile completa dell’argomentazione di Ortiz.

Ricorderò la lezione che chiude il corso dell’Ortiz nel 1920. Il Carducci artista ispira il massimo rispetto;
egli si mostra autentico discendente dei grandi Italiani della Rinascenza, che non trascuravano la tradizione,
possedevano la tecnica e seppero essere discepoli prima di venir salutati maestri. L’Ortiz getta poi
un’occhiata sulle condizioni della nostra letteratura immediatamente precedente al poeta, occhiata che
permette di comprendere perché egli inveisca contro la «scapigliatura» quanto contro i bolsi imitatori dei
versi manzoniani o del minor romanticismo leopardiano, quello del «Consalvo». L’invettiva nei Juvenilia
e dell’Intermezzo compie la funzione del ferro rovente sulla piaga. Riconducendo gli scrittori a Orazio e a
Dante, egli riporta le lettere nella vera tradizione nazionale. Calda e sana è la sua propria poesia, sana
benchè melanconica e selvaggia, piena di luce, di sole; pertanto il bel sereno s’infosca a momenti, un velo
di passione e d’odio ricopre ogni cosa, foriero di tempesta. Secondo l’Ortiz, le Nuove poesie rivelano nel
Carducci un periodo di crisi: periodo che ai più sfugge inosservato ed è tuttavia interessantissimo, periodo
che la critica filosofica si compiace d’ignorare, onde potergli muovere l’accusa d’indifferenza circa i misteri
della psiche. Eppure egli visse codesta crisi, come la visse il Petrarca; chi cerchi, ne troverà la traccia nei
componimenti posteriori alla morte del figlio. Uscì tosto dalle strette dell’angoscia, innalzandosi col canto

94
Cfr. Ramiro Ortiz, Carducci, in «Sburătorul», anno II, numero 30, 4 dicembre 1920, cit., pp. 61-64.
95
Cfr. Ivi, p. 61.
96
Cfr. Ivi, pp. 62-63.
97
Ivi, p. 63: “Da questo momento in poi Carducci non era più un uomo, era un simbolo, un’idea, una bandiera allo stesso
tempo e un simulacro dell’Italia” [traduzione nostra].
98
Cfr. Ivi, pp. 63-64.
99
Ivi, p. 64: “In quel periodo è stata raccolta in un unico volume di quasi 1000 pagine tutta la sua opera di poeta così
vasta e tuttavia così raffinata” [traduzione nostra].
100
Cfr. Ramiro Ortiz, Carducci, in «Sburătorul», anno II, numero 31, 11 dicembre 1920, cit., 1920, pp. 76-79.

87
dell’allodola che s’invola, ma noi non dobbiamo dimenticarla, se ci ha valso quelle fra le sue poesie che
possono considerarsi di valore universale. Osservazione inconsueta, che può divenire germe fecondo.101

Dopo aver contestualizzato l’opera del Nostro nel panorama culturale italiano dell’epoca,
quindi, Ortiz espone dei personali giudizi sulla poesia di Carducci; inoltre Maria Dell’Isola riassume
con chiarezza con quanta originalità il professore di Bucarest abbia presentato la poetica carducciana
al pubblico romeno:

Ramiro Ortiz, d’altronde, si scosta volentieri dai sentieri battuti. Per lui, ad esempio, la radice prima
dell’anticlericalismo, del rivoluzionarismo, del classicismo carducciani va ricercata nelle famigerate letture
inflitte al ragazzo dal Dr. Michele Carducci. E non gli si riparli poi dell’ode alla regina, né del discorso in
presenza del re! Ma gli studenti non ignorino sopra tutto quanta copia di dottrina, nonché di critica
personale, contenesse già la tesi di dottorato del Carducci di Pisa. Fin d’allora, polemizzando col Botta a
proposito dell’influenza provenzale sulla lirica italiana del secolo XIII, riabilitata il Medio Evo dall’accusa
di essere ignorante e oscuro. Lo definirà più tardi «tempo di civiltà fermentata dalla corruzione»: comunque,
l’Ortiz nota con giustezza che fin dalla prima gioventù il Carducci erudito ne conosceva l’importanza e la
valutava.102

Per concludere, poi, la Dell’Isola mette in rilievo che Ortiz sceglie Davanti San Guido e Alle
fonti del Clitumno come poesie emblematiche della produzione del poeta maremmano: la sua opera
continua in quella dei suoi allievi che hanno raccolto l’eredita del maestro, strenuo difensore dei
classici:

Nell’opera poetica di lui, l’oratore sceglie come tipiche due sole composizioni: Davanti San Guido e Alle
fonti del Clitumno. Pertano la sua impronta peculiare: nessun altro poeta avrebbe saputo crearle. E con
ardito confronto, al Carducci artefice pone accanto l’artefice Michelangelo [...]. Vivo, emanava da lui una
specie di fascino, che lasciò tracce anche negli scritti lontani dei discepoli indiretti; ma l’influsso che se ne
sprigiona, che si potrebbe chiamare «carduccianesimo» si esercita anche a distanza, al di là della scolaresca,
sugli Italiani tutti, ai quali fu maestro di vita nel più largo senso della parola. La sua esistenza d’uomo, la
sua esistenza d’artista si compendiano in un aforisma: sopra ogni cosa la poesia classica, sopra ogni cosa
fermezza e sincerità.103

Oltre ai lavori di critica citati, nel gennaio 1923, pubblicò sulla rivista «Cugetul Românesc»
uno studio dal titolo Carducci și tinerii [Carducci e i giovani]. Sulla rivista «Roma» (anno III,
numero3-4-5) pubblicò una presentazione del testo Traducerile în limba română din Giosue Carducci
ale lui Giuseppe Cifarelli [Traduzione in lingua romena di Giosue Carducci redatta da Giuseppe
Cifarelli]; sulla stessa rivista, poi, ha dato alle stampe una Bibliografia carducciană română
[Bibliografia carducciana romena] e un piccolo intervento dal titolo O curiozitate carducciana [Una
curiosità carducciana].104

101
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 186.
102
Ivi, p. 187.
103
Ivi., p. 188.
104
Ivi, p. 297.

88
In romeno ha poi pubblicato studi comparatistici fra la poesia del Carducci, l’opera di
Alessandro Manzoni e i versi di Gabriele D’Annunzio. Influențe manzoniene in poezia lui Carducci
[Le influenze manzoniane sulla poesia di Carducci] e Poezia lui Gabriele d’Annunzio în comparație
cu poezia lui Carducci [La poesia di Gabriele d’Annunzio in comparazione con poesia di Carducci]
sono state pubblicate sulla rivista Roma (aprile-giugno, 1928).105
Non ha mai cessato di studiare e celebrare Carducci in Romania; come ricorda Maria Dell’Isola,
un passo latino, tratto da una sua prolusione romena, riassume l’importanza del Nostro ed offre “la
chiave del rigoglioso fiorire di tanti lavori Carducciani”.106 “Verba autem huiusmodi – dice Ortiz –
dulci poeseos melle condita, saepissime in Carducci poetae carminibus recurrunt, qua de re cum non
Italiae tantum, sed etiam omnium latinarum gentium vatem est hodie, hoc mihi fausto die,
celebrandum”107 ovvero “Nei canti del poeta Carducci ricorrono spessissimo parole adornate da un
così dolce miele poetico, per la qual cosa, oggi, in questo giorno per me propizio, è da celebrarsi
come vate non solo d’Italia, ma anche di tutte le genti latine” [traduzione nostra].
Un passaggio, tratto dall’ultima lezione del corso del 1919-1920, riassume bene il suo personale
giudizio sul valore dell’opera di Carducci.
Egli, nel descrivere le emozioni che si provano gioendo di un’opera d’arte, manifesta questi
sentimenti: „Cu o nesfârșită recunoștință pentru nobila satisfacție estetică, ce ne procură încă, cu tot
mersul nestrămutat al vremei acea artă care va procura aceiași, satisfacție și copiilor noștri și copiilor
copiilor noștri Carducci a intrat în mod definitiv în Panteonul Nemoriturilor”.108
È importante aver studiato che cosa Ramiro Ortiz abbia prodotto su Carducci in romeno durante
la sua attività accademica. Il suo ruolo culturale è stato fondamentale all’epoca e alla sua scuola si
sono formati numerosi letterati e uomini di cultura della Romania di inizio Novecento.
La sua produzione critica su Carducci è uno strumento utile per riuscire a comprendere come
l’opera del Nostro sia stata conosciuta a Bucarest in quel periodo e che cosa della sua produzione
possa aver colpito il pubblico romeno.

3.3 Traduzioni di opere carducciane e testi romeni di critica letteraria su Carducci

105
Ivi, p. 298.
106
Ivi, p. 192.
107
Ramiro Ortiz, Prolusione, in Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 192.
108
Ramiro Ortiz, Carducci, in «Sburătorul», anno II, numero 31, 11 dicembre 1920, cit., 1920, p. 79: “Con un’infinita
gratitudine per la nobile soddisfazione estetica, che ci procura ancora, con tutto il cammino immutabile del tempo,
quell’arte che procurerà la stessa soddisfazione ai nostri figli e ai figli dei nostri figli, Carducci è entrato in modo definitivo
nel Panteon dell’immortalità” [traduzione nostra].

89
In questo paragrafo tenteremo di offrire uno sguardo d’insieme su quella che è stata la ricezione
dell’opera del Nostro in lingua romena.
Dopo aver offerto alcuni esempi di traduzione e aver collezionato, con le relative fonti, qualche
volta anche solo i titoli delle poesie che del poeta maremmano sono state tradotte, descriveremo quelle
opere di critica romena più importanti che hanno contribuito alla conoscenza della figura di Giosue
Carducci.

3.3.1 Le principali traduzioni in romeno delle opere di Giosue Carducci

Stilare anche solo un elenco delle traduzioni in lingua romena delle poesie di Carducci non è
un lavoro semplice; in questo paragrafo presentiamo alcune delle traduzioni più importanti, cercando
sopratutto di ricostruire un quadro d’insieme su come la critica di Bucarest abbia tradotto il Nostro e
quali componimenti abbia preferito offrire al pubblico romeno.
Per tentare di dare un ordine alle traduzioni delle poesie, seguiremo una trattazione per decenni,
questo per favorire una maggiore comprensione dell’evolversi della ricezione di Carducci nel mondo
culturale romeno.

I – TRADUZIONI DELLE POESIE

1890-1900.

Duiliu Zamfirescu (1858-1922),109 “già nelle sedute della Junimea aveva letto alcuni pastelli
del ciclo dei mesi, seguendo l’Alecsandri, ma in forma più accurata e con immagini nuove, però
soltanto nell’atmosfera di Roma potè sviluppare la sua personalità poetica, influenzato dall’opera del
Leopardi e più ancora del Carducci”.110
Inoltre “tradusse anche discretamente varie poesie del Leopardi, di cui ripete l’eco nella sua
lirica; del Carducci, oltre ad altri minori, quasi letteralmente Alle fonti del Clitumno”;111 oltre Alle
fonti del Clitumno “s’era provato a tradurre Fantasia”.112

109
Cfr. Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., pp. 221-233.
110
Ivi, p. 223.
111
Ivi, p. 224.
112
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit, p. 169.

90
La traduzione di Fantasia è stata pubblicata su «Convorbiri literare» il 1° maggio 1893, quella
di Alle fonti del Clitumno è stata data alle stampe sulla rivista «Ateneul Român» il 15 settembre
1894.113 Entrambi i testi sono reperibili, in fotocopia, a “Casa Carducci”, donati da Ioan Adam.114
Sulla copertina che contiene le prime stesure di Fantasia, Carducci aveva apposto il titolo di
La voce, datando il componimento 14-16 aprile 1875; il titolo divenne Fantasia già dalle Prime Odi
Barbare del 1877.115
Il componimento, inviato a Lidia (Carolina Cristofori Piva) il 18 aprile 1875,116 veniva
presentato dal poeta all’amante come «asclepiadea barbara»117 e doveva segnare la tregua dei loro
contrasti dei giorni precedenti.118
Ecco la traduzione di Fantasia di Duiliu Zamfirescu, mentre in nota riportiamo il testo originale
di Carducci.119 Nel trascrivere il testo romeno abbiamo corretto, fra parentesi quadre, quelle
trascrizioni ortografiche ottocentesche non pienamente conformi alle regole attuali.

Tu vorbești; și, ademenit molcomul glas | De zefirul dulce, se lasă sufletul | Graiului te[ă]u pe undele
legănătoare, | Și spre necunoscute țě[ă]rmuri plutește. || Plutește în caldul apus de soare | Ce rîde albastrelor
singurătăți: | Între cer și mare albe paseri sboară, | Insule verzi trec, || Și pe primejdioase vîrfuri strălucesc
templele | De candidă marmoră în roșiatecul apus, | Chiparoșii țě[ă]rmului sună din ramuri, | Și mirții
parfum rě[ă]spîndesc. || Rătăcește departe parfumul pe adieri de mare | Și se amestecă cu molecomul cântec
al pescarilor | Pe când o corabie în fața portului fîlfîie | Strîngendu-și roșele pînze. || Vě[ă]d copile coborînd
de pe acropoli | În lung șir; și au albe, frumoase pepluri, | Cununi poartă pe cap, in mâini ramuri de laur, |
Întind brațele și cântă. || Înfigê[â]nd sulița în pămîntul strămoșese, | Sare pe țě[ă]rm un om splendid în arme:
| Să fie oare Alceu întorcê[â]ndu-se din bătălii | La fecioarele lesbiene?120

Alle fonti del Clitumno, invece, è un’ode in strofa saffica minore composta tra il 12 luglio e il
21 ottobre 1876. Fra i foglietti che riportano le prime prove poetiche del componimento, vi è la data
del 14 giugno 1876, giorno in cui Carducci visitò le fonti del Clitumno per la prima volta, e
un’annotazione storica sul ruolo della divinità Clitumno per gli etruschi e i romani.121

113
Ivi, p. 290.
114
Collocazione in “Casa Carducci”: BB00 00095 e BB00 00096.
115
Cfr. Manara Valgimigli in Giosue Carducci, Odi barbare, Zanichelli, Bologna, 1960, p. 195.
116
L, vol. X, p. 7.
117
Ibid.
118
Cfr. Manara Valgimigli in Giosue Carducci, Odi barbare, cit., p. 195.
119
OEN, vol. IV, p. 91: “Tu parli; e, de la voce a la molle aura | lenta cedendo, si abbandona l’anima | del tuo parlar su
l’onde carezzevoli, | e a strane plaghe naviga. || Naviga in un tepor di sole occiduo | ridente a le cerulee solitudini: | tra
cielo e mar candidi augelli volano, | isole verdi passano, || e i templi su le cime ardui lampeggiano | di candor pario ne
l’occaso roseo, | ed i cipressi de la riva fremono, | e i mirti densi odorano. || Erra lungi l’odor su le salse aure | e si mesce
al cantar lento de’ nauti, | mentre una nave in vista al porto ammaina | le rosse vele placida. || Veggo fanciulle scender da
l’acropoli | in ordin lungo; ed han bei pepli candidi, | serti hanno al capo, in man rami di lauro, | tendon le braccia e
cantano. || Piantata l’asta in su l’arena patria, | a terra salta un uom ne l’armi splendido: | è forse Alceo da le battaglie
reduce | a le vergini lesbie?”.
120
Duiliu Zamfirescu, Fantasia traducere din Giosue Carducci, Odă barbară, in «Convorbiri literare», anno XXVII,
numero1, [Bucuresți], 1° maggio 1893, pp. 68-69.
121
Cfr. Manara Valgimigli in Giosue Carducci, Odi barbare, cit., p. 37.

91
Nell’ode, Carducci, dopo una introduzione descrittiva e una serie di evocazioni storiche, si
sofferma sul tacere del tempo e l’inabbissarsi degli eventi riportati a memoria, descrivendo
accuratamente il paesaggio a lui circostante; Duiliu Zamfirescu, secondo Maria Dell’Isola, ha saputo
mantenere intatti i valori del testo.122
La traduzione dell’ode fu pubblicata su «Ateneul Român» il 15 settembre 1894 e fu corredata
da una corposa nota dell’autore sulle modalità da lui seguite per tradurre in romeno il testo del Nostro.
Ecco la nota:

Incercăm a da publicului romanâsc o traduceere a acestei minunate poezii, cea mai complecta, ca forma, 1i
ca imagini, a marelui poet. După părerea celor mai reumiți critici (intre care trebuie nuerat și istoricul
Mommsen), Carducci este poetul cel mai puternic pe care l-a produs Italia, de la Leopardi. Carol Hillebrand
merge mai departe el socotește că de la mortea lui Heine, Europa, chiar nu a vezut născându-se un altul mai
puternic de cât Carducci, - mai mult, lumea intreagă nu l-a intrecut cu un alto poet, de ore-ce Bret Harte,
steaua cea limpede a Occidentului, cu, il numește Hillebrand, pălește față cu splendoarca lui Carducci. Noi
socotim acestă părere cu atât ma puțin exagerată, cu cât credem că Carducci este cu mult superior lui Heine
in perfecțiunea impecabilia a formei (imitațiunea metrului antic: alcaic asclepiadeu și chiar saphic) și in
coloritul tablourilor clasice, pe care țera sa i la infațișeză cu prisos. Negreșit că limba italiană care singură
printre limbele neolatine a păstrat accentele latine și grece in vorbele ce s’au transmis sau s’au format cu
ințelesul lor clasic, prezintă mai puține greutăti de cât cele-l’alte, in imitațiunea formelor vechi; totuși
meritul lui Carducci e mare și greutațile de invins imense, de ore-ce a fost silite l insuși să recurgă adesca
la invesiuni latine, neobicinuite in limba italiana, cum bună-oră in inceputul poeziei de fața: Ancor dal
monte che di foschi ondeggia | frassini al vento mormoranti e lunge | er l’aure odora fresco di silvestri |
Salvie e di timi, etc. Poeziă de față e tradusă fără metru, ceea ce ridică o parte din farmecul originalului. O
asemenca lucrare ar cere multă muncă, tot-de-auna prea multa pentru o traducere. – Noi, o prezentăm ast-
fel, pentru a ajuta pe cei ce incearcă a ceti originalul și pentru a da un exemplu poeților tineri de poezie
lirică obiectivă. Clitumnus era un riu al Umbrici, ce se vărsa in Tinias, affluent al Tibrului. Astăzi e un
piriiaș pierdut in vâlcele provinciei Perugia nu departe de localitățile menționate in poezie, Todii, Spoleto.
Virgiliu vorbește despre Clitumno in Cartea a 2-a a Georgicelor: Hinc bellator equus campo sese arduus
inferi | Hinc alibi Clitumne greges etc. după cum indică autorul insuși, in versurile puse ca motto. Aceste
trei versuri sunt aproape textual traduse in straofa 28-a.123

122
Cfr. Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 173.
123
Duiliu Zamfirescu, La isvòrele Clitumno, in «Ateneul Român – Revistă mensuală», [Tip. Basilescu, București], 15
settembre 1894, p. 671, nota 1: “Proviamo a fornire al pubblico romeno una traduzione di questa meravigliosa poesia, la
più completa dal punto di vista della forma e delle immagini del grande poeta. Secondo il parere di molti critici rinnomati
tra cui bisogna elencare lo storico Mommsen, Carducci è il poeta più potente che ha prodotto l’Italia dopo Leopardi. Carlo
Hildebrand si spinge più avanti con questo giudizio e lui considera che dalla morte di Heine, l’Europa non ha proprio
visto un altro poeta più forte del Carducci, di più nel mondo intero non c’è un altro poeta che lo superi, poiché Bret Harte,
la stella più lucente dell’Occidente, come lo denomina Hillebrand, impallidisce rispetto allo splendore di Carducci.
Dunque noi crediamo che questo parere sia ancor più esagerato poiché crediamo che Carducci è di gran lunga superiore
a Heine nella perfezione impeccabile della forma (nell’imitazione del metro antico: l’asclepiadeo alcaico e anche quello
saffico) e nella colitura dei quadri classici dei paesaggi che il suo paese gli mette davanti con abbondanza. Indubbiamo
l’italiano, che è l’unica fra le lingue neolatine ad aver mantenuto l’accentuazione latina e greca nelle parole che si sono
trasmesse a loro o che si sono formate con il loro senso classico, presenta meno difficoltà rispetto alle altre nell’imitare
forme antiche. Tuttavia il merito di Carducci è grandissimo e le difficoltà da superare immense poiché è stato costretto a
fare spesso ricorso a inversioni latine inconsuete in italiano come per esempio all’inizio della presente poesia: Ancor dal
monte che di foschi ondeggia | frassini al vento mormoranti e lunge | er l’aure odora fresco di silvestri | Salvie e di timi,
etc. Questo poema è scritto in verso libero, questione che toglie una parte del fascino dell’originale. Un tale lavoro
richiederebbe troppo lavoro, sempre troppo per una traduzione. Noi la presentiamo in questo modo per aiutare coloro che
provano a leggere l’originale e per dare ai poeti giovani un esempio di poesia lirica oggettiva. Il Clitumno era un fiume
dell’Umbria, che si riversa fino a Tinia, affluente del Tevere. Oggi è un ruscello perso nelle valli della provincia di
Perugia, non lontano dalle località menzionate dalla poesia, Todi, Spoleto. Virgilio parla di Clitumno nel libro II delle
Georgiche Hinc bellator equus campo sese arduus inferi | Hinc alibi Clitumne greges etc. come indica l’autore stesso nei
versi messi in epigrafe. Questi tre versi quasi testualmente tradotti nella ventottesima strofa” [traduzione nostra].

92
Questo il testo romeno di Zamfirescu, che traduce la carducciana Alle fonti del Clitumno e
specifica, prima di iniziare la traduzione, che si tratta di una «traducere literală», cioè una «traduzione
letterale».124 In nota riportiamo la poesia originale di Carducci.125 Precisiamo inoltre che, nel
trascrivere il testo di Zamfirescu, abbiamo riportato la grafia originale, malgrado sia difforme da
quella previste dalle vigenti riforme ortografiche romene.
Si ricordi, in particolar modo, che, laddove si riscontri la lettera «ê» debba intendersi il suono
«â», mentre invece la lettera «ě» è da intendersi come suono «ă».

De sus de la munte, ai cărui frasini negri | Se leagănă murmurând in vênt și rěspândesc | Departe prin aer
miros sănătos de păduratec | Faleș și de cimbru, || Se coboară în umedul amurg, o Clitumno, | Către tine

124
Ivi, p. 671.
125
In OEN, vol. IV, pp. 23-30: “Ancor dal monte, che di fóschi ondeggia | frassini al vento mormoranti e lunge | per
l’aure odora fresco di silvestri | salvie e di timi, || scendon nel vespero umido, o Clitumno, | a te le greggi: a te l’umbro
fanciullo | la riluttante pecora ne l’onda | immerge, mentre || vèr’ lui dal seno de la madre adusta, | che scalza siede al
casolare e canta, | una poppante volgesi e dal viso | tondo sorride: || pensoso il padre, di caprine pelli | l’anche ravvolto
come i fauni antichi, | regge il dipinto plaustro e la forza | de’ bei giovenchi, || de’ bei giovenchi dal quadrato petto, | erti
su ’l capo le lunate corna, | dolci ne gli occhi, nivei, che il mite | Virgilio amava. || Oscure intanto fumano le nubi | su
l’Apennino: grande, austera, verde | da le montagne digradanti in cerchio | l’Umbrïa guarda. || Salve, Umbria verde, e tu
del puro fonte | nume Clitumno! Sento in cuor l’antica | patria e aleggiarmi su l’accesa fronte | gl’itali iddii. || Chi l’ombre
indusse del piangente salcio | su’ rivi sacri? ti rapisca il vento | de l’Apennino, o molle pianta, amore | d’umili tempi! ||
Qui pugni a’ verni e arcane istorie frema | co ’l palpitante maggio ilice nera, | a cui d’allegra giovinezza il tronco | l’edera
veste: || qui folti a torno l’emergente nume | stieno, giganti vigili, i cipressi; | e tu fra l’ombre, tu fatali canta | carmi, o
Clitumno. || O testimone di tre imperi, dinne | come il grave umbro ne’ duelli atroce | cesse a l’astato velite e la forte |
Etruria crebbe: || di’ come sovra le congiunte ville | dal superato Cimino a gran passi | calò Gradivo poi, piantando i segni
| fieri di Roma. || Ma tu placavi, indigete comune | italo nume, i vincitori a i vinti, | e, quando tonò il punico furore | da ’l
Trasimeno, || per gli antri tuoi salí grido, e la torta | lo ripercosse buccina da i monti: | ― O tu che pasci i buoi presso
Mevania | caliginosa, || e tu che i proni colli ari a la sponda | del Nar sinistra, e tu che i boschi abbatti | sopra Spoleto verdi
o ne la marzia | Todi fai nozze, || lascia il bue grasso tra le canne, lascia | il torel fulvo a mezzo solco, lascia | ne l’inclinata
quercia il cuneo, lascia | la sposa a l’ara; || e corri, corri, corri! con la scure | corri e co’ dardi, con la clava e l’asta! |corri!
minaccia gl’itali penati | Ànnibal diro. ― || Deh come rise d’alma luce il sole | per questa chiostra di bei monti, quando |
urlanti vide e ruinanti in fuga | l’alta Spoleto || i Mauri immani e i numidi cavalli | con mischia oscena, e sovra loro, nembi
| di ferro, flutti d’olio ardente, e i canti | de la vittoria! || Tutto ora tace. Nel sereno gorgo | la tenue miro salïente vena: |
trema, e d’un lieve pullular lo specchio | segna de l’acque. || Ride sepolta a l’imo una foresta
breve, e rameggia immobile: il diaspro | par che si mischi in flessuosi amori | con l’ametista. || E di zaffiro i fior paiono,
ed hanno | de l’adamante rigido i riflessi, | e splendon freddi e chiamano a i silenzi | del verde fondo. || A piè de i monti e
de le querce a l’ombra | co’ fiumi, o Italia, è de’ tuoi carmi il fonte. | Visser le ninfe, vissero: e un divino | talamo è questo.
|| Emergean lunghe ne’ fluenti veli | naiadi azzurre, e per la cheta sera | chiamavan alto le sorelle brune | da le montagne,
|| e danze sotto l’imminente luna | guidavan, liete ricantando in coro | di Giano eterno e quanto amor lo vinse
| di Camesena. || Egli dal cielo, autoctona virago | ella: fu letto l’Apennin fumante: | velaro i nembi il grande amplesso, e
nacque | l’itala gente. || Tutto ora tace, o vedovo Clitumno, | tutto: de’ vaghi tuoi delúbri un solo | t’avanza, e dentro
pretestato nume | tu non vi siedi. || Non piú perfusi del tuo fiume sacro | menano i tori, vittime orgogliose, | trofei romani
a i templi aviti: Roma | piú non trionfa. || Piú non trionfa, poi che un galileo | di rosse chiome il Campidoglio ascese,
| gittolle in braccio una sua croce, e disse | ― Portala i servi. ― || Fuggîr le ninfe a piangere ne’ fiumi | occulte e dentro i
cortici materni, | od ululando dileguaron come | nuvole a i monti, || quando una strana compagnia, tra i bianchi | templi
spogliati e i colonnati infranti, | procedé lenta, in neri sacchi avvolta, | litanïando, || e sovra i campi del lavoro umano |
sonanti e i clivi memori d’impero | fece deserto, et il deserto disse | regno di Dio. || Strappâr le turbe a i santi aratri, a i
vecchi | padri aspettanti, a le fiorenti mogli; | ovunque il divo sol benedicea, | maledicenti. || Maledicenti a l’opre de la
vita | e de l’amore, ei deliraro atroci | congiugnimenti di dolor con Dio | su rupi e in grotte: || discesero ebri di dissolvimento
| a le cittadi, e in ridde paurose | al crocefisso supplicaro, empi, | d’essere abietti. || Salve, o serena de l’Ilisso in riva, | o
intera e dritta a i lidi almi del Tebro | anima umana! i fóschi dí passaro, | risorgi e regna. || E tu, pia madre di giovenchi
invitti | a franger glebe e rintegrar maggesi | e d’annitrenti in guerra aspri polledri | Italia madre, || madre di biade e viti e
leggi eterne | ed inclite arti a raddolcir la vita, | salve! a te i canti de l’antica lode | io rinnovello. || Plaudono i monti al
carme e i boschi e l’acque | de l’Umbria verde: in faccia a noi fumando | ed anelando nuove industrie in corsa | fischia il
vapore”.

93
turmele: în unda ta | Flăcăul umbru nevolnica oaie | Iși scaldă, pe când || Către dînsul, de la sînul mamei
arsă de soare, | Ce desculță stă lîngă casă și cântă, | Un copil se întoarce și cu obrazul | Plin surîde. || Gânditor
tatăl, cu piei, de capră | Acoperit pênă la brîu, ca faunii antici, | Stăpînește carul văpsit și puterea | Frumoșilor
junci, || A frumoșilor junci cu pieptul voinic, | Mândri pe cap cu coarne lunate, | Blânzi la privire, albi, cum
îi erau dragi | Dulcelui Virgiliu. || Iar per Apennini norii posomorîți | Fumegă: mare, austeră, verde, | De pe
munți ce în cercuri treptat se coboară, | Umbria privește. || Salve, Umbria verde, și tu divinitate a limpedei
| Fôntâni Clitumno! Imi simt în inimă | Antica patrie, și pe fruntea aprinsă fâlfâinfu’mi | Zeii italici. || Cine
pripăși umbrele plângătoarei sălcii | Pe țěrmurile sacre? Te răpească vêntul | Appenninului, o arbor molatec,
iubitor | De umile temple! || Aci să lupte cu iarna, murmurênd tainice povești, | Stejarul verde purtător de
primăvară, | Al cărui trunchiu cu veselă tinerețe | Edera îl îmbracă: || Aicî să stec deși, împrejurul isvorului,
| Chiparoșii, sentinele gigantice; | Īar tu, la | umbră, tu să cânți dureroase | Cânturi o Clitumno. || O tu, martur
a trei imprerii, sune-ne | Cum tăcutul umbru, crîncen în lupte, | A trebuit să se supuie hastatului velit | Și
puternica Etrurie să crească: || Spune cum apoi, peste, orașele unite,| Trecênd muntele Cimin, cu grabnicî
pași | Se cobori Gradivo, împlântând semnele | Mândre ale Romei. || Dar tu, de o potrivă la toți trebuitor |
Zeu italic, tu împăcai pe învingători cu învinși, | Și, când tună punica furoare | De la Trasimen, || Prin
peșterile tale rěsună un strigăt, | Pe care cornul rěsucit îl buciumă din munți: | -«O tu, cel ce paști boii lîngă
Mevania | Intunecoasă, || Tu, cel ce ari corhanele de pe malul | Stîng al Narului, și tu care dobori | Pědurile
verzi de pe Spoleto, or în rěsboinica | Todi petreci, || Lasă boul gras în stuf, lasă | Funcul roșcat în mijlocul
brăzdei, lasă | Despicătorea în ștejarul povîrint, lasă | Nevasta la altar, || Și aleargă, aleargă, aleargă! Cu
securea | Aleargă și cu săgeata, cu măciuca și cu lancea: | Aleargă! Căci amenință crudeul Annibal | Penații
ialici» || Ei! Și cum rîse strălucitorul soare | Prin aceste gâturi de munți, cănd | Ii vězu urlând și dărîmând în
fuga | Innaltul Spoleto, || Pe Maurii cruzi și caii numidici, | Intr’o amestecătură obșenă, și deasupra lor | O
ploaie de fier, valuri de unt-de-lemn aprins, | Și cântecele vitoriei! || Acum totul tace. In limpedea fontână |
Privese vêna subțire cum se urcă: | Tremură, și cu o ușoară gâlgâire descrie | Oglinda apei. || Rîde în fund
o mică pădure | Intinzându’și immobilă ramurele: jaspul | Pare că în legănătoare amoruri se amestecă | Cu
ametista, || De safir par florise [«florile» correzione autografa], și au | Reflexurile rigidului diamant, | Și
străluscesc reci, și chiamă către tăcerile | Verdelui fund. || Pe poalele munților și la a ștejarilor | Umbră cu
rîuri, o Italie, e izvorul poezielor tale. | Trăiră nimfele, trăiră: și un ceresc | Așternut este acesta. || Rěsăreau
subțiratece în udele veșminte | Albastrele noiade, și liniștea serei | Chiemau cu glas mare pe oacheșele surori
| De la munte, || Și învîrteau la jocuri sub luna | Resăritoare, vesele cântând in cor | Nemuritorului Fanus
cum îl birui | Amorul Camesenei. || El din ceruri, dînsa fată voinică de pe acele | Locuri: avură drept pat
Appenninul fumegător: | Acoperiră norii mărețul lor amor, și se născu | Gintea italică. || Acum totul tace, o
věduve Clitumno, | Totul: din nenuměratele tale temple, unul singur | Iți mai rěmâne, și pe acela, zeu
făgăduit, | Tu nu’ locuești. || Și stropiți de rîul těu sacru, | Taurii, mândre victime, nu mai duc | Trofee
romane la strămoșeștele temple: Roma | Nu mai triumfă: || Nu mai triumfă, de când un galileu | Cu perul
roșiu se urcă la Capitul [«Capitol» correzione autografa], | Ii aruncă în brațe o cruce, și’i zise | – Poart’o, și
servă. – || Fugiră nimfele să plângă, ascunse | Prin rîuri și prin grote materne, | Și tânguindu-se se împrăștiară
ca | Norii la munți, || Când o ciundată mulțime, printre albele | Temple prădate și sfărîmatele colonade |
Innaintă domoală, în saci negri îmbrăcată, | Mormăitoare, || Și peste câmpurile rěsunătoare de munca |
Omului și colinele martoare de mărirea trecută, | Se făcu pustiu, iar pustiul se chemă | Impěrăția lui
Dumnezeu. || Ridicară lumea de la sfintele pluguri, o răpiră | Bětrânilor părinți nerăbdători, tinerelor
neveste; | Pe or unde divinul soare binecuvêntà, | Ei blestemau: || Blestemau bunurile vieței | Și ale amorului,
și bâingiuau groaznice | legături de durere cu Dumnezeu | pe rîpi și prin peșteri: || coborîră beți de chinuri
| in orașe, și în fricoase danțuri | cerură în genunchi crucifixului, ei, necredincioșii, | să fie desprețuiți. ||
Salve, o suflet omenesc ce senin stai | Pemalurile Ilissului, întreg și drept pe încântătórele | Țermuri ale
Tribului! Negrele zile trecură, | Redeșteaptă-te și domnește. || Iar tu, milostivă mamă de junci neîntrecuți |
In rěsturnarea brazdei și căratul maldărului, | Și de mânji selbateci rînchezători în resboiu, | Italie mamă, ||
Mamă de holde, și de vii, și de legi eterne, | Și de frumoase arte ce îndulcesc viața, | Salve! Eu cântecele
anticei glorii | Ție reînnoesc. || Aplaudă versul munții și pădurile și apele | Umbriei verde: în fața noastră,
fumând | Și îmbiind la noi industrii în naștere, | Flueră aburul.126

Maria Dell’Isola, nel commentare la traduzione dello Zamfirescu, mette in evidenza come
l’autore romeno tenti di seguire da vicino il testo originale: “Il traduttore-poeta – precisa la saggista

126
Duiliu Zamfirescu, La isvòrele Clitumno, in «Ateneul Român – Revistă mensuală», [Tip. Basilescu, București], 15
settembre 1894, pp. 671-678.

94
– conserva identiche le sfumature e le luci del quadro […]. L’insieme è sommamente poetico, il ritmo
libero ma sonante, semplice e pur maestoso”.127

1900-1910

“Dal giorno della morte in poi si verifica in Romania una vera e propria rinascita degli studii
carducciani; accanto a conferenze, a commemorazioni, a pagine d’occasione prendono posto lavori
d’importanza maggiore, più tutta una fioritura di versioni, quale in prosa, quale in versi”.128
Così Maria Dell’Isola dipinge il quadro romeno degli studi carducciani nel 1907, anno della
morte del poeta. Già il primo gennaio di quell’anno Nicolae Iorga (1871-1940)129 aveva pubblicato
traduzioni di Fantasia,130 Su l’Adda,131 Ideale,132 Ruit hora,133 Mors,134 Passa la nave mia,135 Alla
stazione in una mattina d’autunno136 sulla rivista «Floarea Darurilor» nei numeri 1, 2, 3, 4.137
Mihail Dragomirescu fornisce la traduzione, in prosa, di Alle fonti del Clitumno e Pe’ l chiarore
di Civitavecchia,138 entrambe pubblicate sul quarto numero di «Convorbiri critice».139
È la rivista Luceafărul a fornire alcuni testi interessanti: nel quarto numero viene pubblicato un
«bel sonetto, al quale si converrà meglio la qualifica di rifacimento che di traduzione»;140 questo
sonetto intenderebbe tradurre Profonda solitaria immensa notte ed è attribuito, dalle iniziali della
firma, ad Octavian Goga (1881-1938),141 scrittore e personalità di spicco della politica romena
dell’ultimo periodo monarchico.142 Eccone il testo, riportato dalla Dell’Isola nel suo saggio; in nota
proponiamo anche l’originale di Carducci:143

Adînca noapte-n veci nepricepută, | Odichnă bun-a facerilor toate, | Ce dormi pe stînci de trăznet despicate
| Și-nvălui drag livada-n flori țesute; || Voi, flăcări vii, pe boltă semănate, | Cu mîndra voastră strălucire

127
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 173.
128
Cfr. Ivi, p. 181.
129
Cfr. Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit, pp. 297-312.
130
OEN, vol. IV, p. 91.
131
Ivi, p. 47.
132
Ivi, p. 9.
133
Ivi, p. 93.
134
Ivi, p. 98.
135
OEN, vol. III, p. 222.
136
OEN, vol. IV, p. 95.
137
Cfr. Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 290.
138
OEN, vol. IV, p 101.
139
Cfr. Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 291.
140
Ivi, p. 185.
141
Cfr. Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., pp. 320-328.
142
Cfr. Georges Castellan, Storia del popolo romeno, cit., pp. 181-263.
143
OEN, vol. II, p. 18: “Profonda, solitaria, immensa notte; | Visibil sonno del divin creato | Su le montagne già dal fulmin
rotte, | Su le terre che l’uomo ha seminato; || Alte da i casti lumi ombre interrotte; | Cielo vasto, pacifico, stellato; | Lucide
forme belle, al vostro fato, | Equabilmente, arcanamente, addotte; || Luna, e tu che i sereni e freddi argenti | Antica
peregrina a i petti mesti | Ed a’ lieti dispensi indifferenti; || Che misteri, che orror, dite, son questi? | Che siam, povera
razza de i viventi?... | Ma tu, bruta quïete, immobil resti”.

95
mută, | De-o tainică poruncă neștiută | Pe-aceleași căi de-a pururi îndrumate : || Și lună, tu, tu vitreg
milostivă, | Ce tuturor îți dărui deopotrivă | Tremurătoarea pulbere-argintată : || Răspundeți voi ce-i rostul
lumii noastre, | Ce taină doarme-n bolțile albastre ?… | Nici nu te miști, tăcere blestemată!…144

Sempre in «Luceafărul» viene pubblicata un’altra versione romena della poesia Il bove145 ad
opera di Zaharia Bârsan (1878-1948) con titolo Boul după Carducci [Il bove da Carducci]:

Ce drag mi ești tu...! Șă-mi împrumuți și mie | din pacea ta și din a ta vigoare!... | Ca la un monument ce
măreție | te uiți la câmpurile roditoare... || Cum te supui tu fără de mânie... | Și ajuți pe cel plugar bătut de
soare... | Te mână, te’mboldește... te îmbie...| te’ntorci...și-i spui din ochi că nu te doare... || Din nara ta îți
fumegă viața... | Și’n imn de pace mugetul tău plânge... || Lin în senina liniște se pierde... | Și in ochii buni
strălucitori ca ghiața... | Și umezi de bândețe... se resfrânge... | Tăcerea sfântă din câmpia verde...146

È dello stesso anno (1907) la pubblicazione, nella raccolta Poeți italieni moderni, del
rifacimento de Il bove ad opera di Nicolae Ținc,147 lo stesso che aveva inviato nel 1902 al poeta.
Sempre nel 1907 vengono pubblicate su «Convorbiri Critice», nel mese di dicembre, le
traduzioni di Ad Annie148 e Sul Monte Mario149 redatte da Heinric Frollo.150 In particolare “bella d’una
sua grazia squisitamente poetica e leggera – analizza la Dell’Isola – è la versione di Frollo Su Monte
Mario”.151
Analizzando il testo si può vedere che il traduttore non ha fatto corrispondere al verso romeno
l’esatto ritmo del metro italiano, ma “riproduce una strofe saffica assai comune ai poeti romeni,
accolta con simpatia dal loro pubblico, e consta di tre versi di 14 sillabe, mentre il verso minore un
senario”.152
Nel mese di gennaio del 1908, Frollo pubblica anche la traduzione di Vendette alla luna,153
sempre su «Convorbiri Critice».
Nel mese di agosto del 1909 esce, sulla rivista «Convorbiri Critice», la traduzione in prosa di
Una sera di san Pietro compiuta da Ion Grindina.154

144
Octavian Goga, Noapte (după Carducci), in «Luceafărul», anno VI, numeri 4-5, [Pecurariu, Sibiu], 1° marzo 1907, p.
65; riportato in Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 185.
145
OEN, vol. III, p. 172: “T’amo, o pio bove; e mite un sentimento | Di vigore e di pace al cor m’infondi, | O che solenne
come un monumento | Tu guardi i campi liberi e fecondi, || O che al giogo inchinandoti contento | L’agil opra de l’uom
grave secondi: | Ei t’esorta e ti punge, e tu co ’l lento | Giro de’ pazïenti occhi rispondi. || Da la larga narice umida e nera
| Fuma il tuo spirto, e come un inno lieto | Il mugghio nel sereno aer si perde; || E del grave occhio glauco entro l’austera
| Dolcezza si rispecchia ampïo e quïeto | Il divino del pian silenzio verde”.
146
Zaharia Bârsan, Boul, in «Luceafărul», anno VI, numero 8, [Pecuraru, Sibiu], 15 aprile 1907, p. 145.
147
Nicolae Ținc, Poeți italieni moderni, Tip. Universitara A G. Bratanescu, București, 1907.
148
OEN, vol. IV, p. 188.
149
Ivi, p. 117.
150
Cfr. Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 291.
151
Ivi, p. 182.
152
Ivi, pp. 182-183.
153
OEN, vol. III, p. 276.
154
Cfr. Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 291.

96
Nello stesso anno, sulla rivista Tălmăciri, viene pubblicata la traduzione di Colloqui con gli
alberi155 di Ștefan Octavian Iosif (1875-1913), poeta e autore di drammi teatrali, che ebbe modo, fra
il 1899 e il 1902, di visitare anche l’Italia.156 “Tra i suoi scritti migliori – sintetizza Lupi – sono le
poesie che rievocano leggende popolari, perché il ritmo si fa vivace e agile e il poeta dimentica la
triste realtà, acquistando l’anima serena e umoristica del popolo […]. Riesce a dare alle sue liriche
brevi una forma chiara e armoniosa nella varietà dei ritmi e nella scelta dei vocaboli”.157
Ecco la traduzione di Iosif del componimento di Carducci:

Către copaci - Umbrești culmi repezi, largi singurătăți, | Dar nu-mi ești drag, întunecat stejar: | Cu ramuri
verzi tu-mpodobeai barbari | Pustiitori de tronuri și cetăți. || Tu, laur sterp, și mai prejos îmi pari: | Tu minți,
oricât de falnic verde-arăți | Pe câmpul veșted, sau când, alte dăți, | Luceai pe frunți pleșuve de chesari. ||
Mi-ești dragă, viță, tu ce crești bogată | Din lut pietros, ca să-mi îmbii paharul | Uitării înțelepte-n vremuri
grele. || Mai scump mi-e bradul: el va-nchide-odată | În patru scânduri, neted, tot amarul | Și zbuciumul, și
visurile mele.158

Avendo delle considerazioni stilistiche da offrire, riportiamo nel corpo dell’argomentazione


l’originale carducciano:

Te che solinghe balze e mèsti piani | Ombri, o quercia pensosa, io piú non amo, | Poi che cedesti al capo de
gl’insani | Eversor di cittadi il mite ramo. || Né te, lauro infecondo, ammiro o bramo, | Che mènti e insulti,
o che i tuoi verdi e strani | Orgogli accampi in mezzo al verno gramo | O in fronte a calvi imperador romani.
|| Amo te, vite, che tra bruni sassi | Pampinea ridi, ed a me pia maturi | Il sapïente de la vita oblio. || Ma piú
onoro l’abete: ei fra quattr’assi, | Nitida bara, chiuda al fin li oscuri | Del mio pensier tumulti e il van
desio.159

La versione di Iosif risulta “più semplice dell’originale […] non ha cura di rendere il «non
t’amo più» carducciano. Ma ne conserva talune audace stilistiche, come «verdi orgogli»”. Il titolo
romeno risulta mancante della traduzione del termine «colloquio», infatti «către copaci» vuol dire
«verso gli alberi»; la traduzione, quindi, “manca il primo membro del titolo: perché? Si è forse detto
il traduttore che «colloquio» sembra ingiustificato, non avendo il poeta introdotto una replica degli
alberi?”.160

1910-1920

155
Cfr. OEN, vol. III, p. 171.
156
Cfr. Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., pp. 317-320.
157
Ivi, p. 294.
158
Ștefan Octavian Iosif, Către copaci, in «Tilmăciri», București, 1909, riportato in Maria Dell’Isola, Carducci nella
letteratura europea, cit., p. 259.
159
Giosue Carducci, Colloqui con gli alberi, in OEN, vol. III, p. 171.
160
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 259.

97
La poesia In una chiesa gotica161 viene tradotta da Ion Grindina e Florian Stoenescu e
pubblicata nel numero di febbraio 1910 di «Noua Revistă Română».162
Dimitriu Iacobescu (1883-1913), poeta simbolista romeno,163 pubblica, sempre su Noua Revistă
Română, nel febbraio 1912, la versione metrica di Dietro un ritratto;164 l’ode Alle fonti del Clitumno,
invece, è riproposta nel novembre 1913 su «Flacăra» da George Murnu (1868-1957), fra le altre cose
primo traduttore romeno dei poemi omerici.165
La traduzione dell’ode carducciana di Murnu, “in versi sciolti (giambi dall’andamento assai
libero, 11, 7, talvolta 8 sillabe) rende alcunchè del periodo sintattico proprio del Carducci. Valente
ellenista all’Università di Bucarest, il traduttore ci porge un lavoro accuratissimo, di fedeltà
scrupolosa”.166
Il 1915 è un anno fecondo per le traduzioni carducciane.167 Sulla rivista «Flacăra» vengo
rispettivamente pubblicate, in marzo la traduzione di Heinric Frollo della poesia «Roma»,168 in aprile
quella di Miramar,169 redatta da Alexandru Naum, e in maggio la traduzione di Profonda solitaria
immensa notte170 eseguita da Octavian Goga (1881-1938).171
Naum traduce anche, inserendola nel volume Poezii, la poesia Jaufrè Rudel172 sulla quale Maria
Dell’Isola esprime interessanti considerazioni:

Poesia [Jaufrè Rudel] raramente tradotta: quale gradita sorpresa il leggerla in eccellente trasposizione!
Ritmo netto, assai prossimo a quello dell’originale, lingua ottima, slancio poetico, si può dire che nulla
difetta, e costituisce una delle migliori versioni carducciane in romeno […]. Per seguire tanto da vicino la
stanza carducciana, il Naum ha ricorso alla strofa di un noto poeta romeno, il Coșbuc, le cui ballate e idillii
formano attualmente l’oggetto di studii interessanti.173

La prima e l’ultima strofa sono presenti nel saggio della Dell’Isola e le riportiamo, offrendo in
nota l’originale carducciano:174

161
OEN, vol. IV, p. 37.
162
Cfr. Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 291.
163
Cfr. Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., pp. 354-355.
164
OEN, vol. III, p. 198.
165
Cfr. Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit, pp. 362-363.
166
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 183.
167
Cfr. Ivi, p. 291.
168
OEN, vol. IV, p. 30.
169
Ivi, p. 74.
170
OEN, vol. II, p. 18.
171
Cfr. Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit, pp. 320-328.
172
OEN, vol. IV, p. 177.
173
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 184.
174
Giosue Carducci, in OEN, vol. IV, p. 177: “Dal Libano trema e rosseggia | Su ’l mare la fresca mattina: | Da Cipri
avanzando veleggia | La nave crociata latina. | A poppa di febbre anelante | Sta il prence di Blaia, Rudello, | E cerca co ’l
guado natante | Di Tripoli in alto il castello. || […] La donna su ’l pallido amante | Chinossi recandolo al seno, | Tre volte
la bocca tremante | Co ’l bacio d’amore baciò, | E il sole da ’l cielo sereno | Calando ridente ne l’onda | L’effusa di lei
chioma bionda | Su ’l morto poeta irraggiò” (vv. 1-8; 81-88).

98
Pe marea cu spuma’nroșită | De-a zorilor vie lumină | Din Cirpu sosește grăbită | O navă cruciată latină. |
La pupa ei, bolnav de friguri, | Stă Domnul din Blaia, Rudel. | El cată cu ochii nesiguri | Pe Tripuli naltul
castel[...]. || S’apleacă atunci tremurătoare | Și-l strănge de sânu-i aproape. | De trei ori ea c’o sărutare | De-
amor, gura-i caldă sărută. | Iar soarele iese pe ape | Din ceriu arzător de văpaie, | Dezmiardă cosița bălaie |
Pe mortul poet desfăcută.175

1920-1930

Nel mese di settembre 1920 viene pubblicata su «Ramuri» un’altra traduzione dell’ode Alle
fonti del Clitumno. Maria Dell’Isola attribuisce questa versione ad un non meglio identificato «A.
Iacobescu».176
“Gli anni 1922-23 si mostrano particolarmente ricchi di traduzioni dalle Poesie, visto che se ne
conta il bel numero di trentaquattro”.177
Adolf Stern pubblica, il primo maggio 1921 su «Adevărul literar»,178 una versione di
Congedo;179 nel 1922, sempre Stern, dà alle stampe nel mese di marzo, sulla rivista «Roma»,180 una
traduzione de Il canto dell’amore,181 e nel mese di luglio, su «Adevărul literar»,182 viene fornita da
lui un’altra traduzione di Alle fonti del Clitumno.183 “Il Dr. Adolfo Stern, dopo aver dato Congedo –
Il canto dell’amore – Davanti San Guido si accinge ad un più vasto lavoro della versione del Ça
Ira,184 che presenta al pubblico nel giorno anniversario del poeta, il 27 luglio 1924”185 sulla rivista
«Adevărul literar».
Nel 1926 Luigi Maria Vignali volge in romeno Disperata186 pubblicandola, nel mese di
settembre, su «Convorbiri literare». 187
Il volume più pregevole, però, è senz’altro la traduzione pubblicata nel 1928 che ha come titolo
Giosuè Carducci – Poezii traduse de Giuseppe Cifarelli.188 Cifarelli nacque a Matera nel 1889;
laureatosi in giurisprudenza fu portato in Romania dalla madre, dove divenne un fervente diffusore
della cultura italiana nel mondo romeno.189 Nell’arco della sua carriera Cifarelli ha tradotto anche

175
Alexandru Naum, Jaufrè Rudel, in Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 184.
176
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 291.
177
Ivi, p. 188.
178
Cfr. Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 292.
179
OEN, vol. IV, p. 137.
180
Cfr. Ibid.
181
OEN, vol. IV, p. 23.
182
Cfr. Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 292.
183
OEN, vol. III, p. 107
184
Ivi, p. 323.
185
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 188.
186
OEN, vol. III, p. 232.
187
Cfr. Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 188.
188
Ivi, p. 293.
189
Cfr. Geo Vasile, Dante forever. Note di un lettore romeno della «Divina commedia», in «Orizonturi culturale italo-
române», anno V, numero 9, settembre 2015 in www.orizzonticulturali.it (consultato il 21 novembre 2019).

99
Pascoli190 e D’Annunzio;191 addirittura un volume contenente sue traduzioni della triade Carducci-
Pascoli-D’Annunzio è stato ristampato di recente, nel 1997, a Bucarest da «Jurnalul literar».192
Il volume del 1928 raccoglie una cinquantina di poesie tradotte in romeno, prevalentemente da
Rime nuove e Odi barbare, con una prefazione di Eugen Lovinescu (1881-1943), il più importante
critico romeno del periodo. Maria Dell’Isola così si interroga sulla riuscita del lavoro di Cifarelli:

È riuscito il volume di Cifarelli? Il suo libro rappresenta una somma di lavoro grande, accurato, paziente; i
suoi versi imitano con la maggiore esattezza i versi del modello, ne conservano la strofa, la rima, ne calcano
la metrica barbara. Come dissi, il mondo poetico carducciano vi è rispecchiato: chi legge ne segue i pensieri,
il disegno, la struttura, lo svolgimento. Una sola cosa manca: la poesia. Si sente che il Cifarelli è un
coscienzioso versificatore, il suo volume contiene molti ottimi esercizi stilistici, supera difficoltà gravi,
conserva concetti e pensiero in onorevole misura: eppure l’autore non è poeta […]. Tuttavia noi gli
sappiamo grado del suo lodevole sforzo, che ha dato modo a molti suoi compatrioti di frequentare il
Carducci, in una raccolta bene ordinata, scelta con largo criterio, corredata di note esplicative che ne
facilitano la comprensione.193

Nello stesso anno, il 1928, Mihai Sebastian (1907-1945) offre una recensione del volume su
«Universul literar»: nell’articolo Sebastian apprezza il lavoro di Cifarelli e cita alcuni versi delle sue
traduzioni.194 Mihai Sebastian, membro del gruppo ‘Citerion’ con Emil Cioran, Mircea Eliade e Nae
Ionescu, è stato autore di diversi romanzi, tra cui Accidentul [L’incidente] e Orașul cu salcâmi [La
città con l’albero di acacia]. Sebastian è noto, nella letteratura romena, per le sue commedie, come
Steaua fără nume [La stella senza nome], Jocul de-a vacanța [I giochi delle vacanze] e Ultima oră
[Ultima ora]. Risulta particolarmente pregevole, quindi, che un autore del calibro di Mihai Sebastian,
amico di Emil Cioran, Mircea Eliade e Nae Ionescu, abbia manifestato un interesse spiccato per le
traduzioni di Carducci, tanto da riserbare una recensione al volume di Cifarelli in «Universul
literar».195
Nel 1936, sulla rivista «Blajul», viene recensito da Vlad Stoica il volume di Cifarelli con la
traduzione delle sole Odi Barbare: nell’articolo viene apprezzato lo sforzo del traduttore e le
competenze linguistiche romene acquisite dallo studioso italiano.196

1930-1940

190
Cfr. Giovanni Pascoli, Poezii traduce de Giuseppe Cifarelli, Institutl de arte grafice “Dacia Traiană”, Sibiu, 1943.
191
Cfr. Gabriele D’Annunzio, Poeme – versiune românească de Giuseppe Cifarelli, Jurnalul literar, București, 1997.
192
Cfr. Giosuè Carducci, Giovanni Pascoli, Gabriele D’Annunzio, Poeme - versiune românească de Giuseppe Cifarelli,
in «Jurnalul literar», București, 1997.
193
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 190.
194
Mihai Sebastian, Traducerile [Traduzioni], in «Universul literar», anno XLIV, numero 47, 18 novembre 1928, p. 758.
195
Cfr. Mircea Zaciu, Marian Papahagi, Aurel Sasu, Dicționarul esențial al scriitorilor români [Dizionario essenziale
degli scrittori romeni], Ed. Albatros, București, 2000, pp. 750-752.
196
Cfr. Vlad Stoica, Giosue Carducci – Ode Barbare (in românește de G. Cifarelli), in «Blajul», anno III, numero 6, pp.
58-59.

100
In questo decennio è possibile apprezzare le traduzioni di Pimen Constantinescu (1905-1973),
italianista e docente di italiano a Cluj: nel 1934 pubblica, sulla rivista «Căminul» (Anno IX, numero
9, settembre 1934)197 una traduzione della poesia Alla signorina Maria A.;198 sulla rivista «Sibiul
literar» (anno I, numero 7),199 invece, pubblica le traduzioni di Colloqui con gli alberi e il Bove.
Il 1935 è l’anno del centenario dalla nascita e, per celebrare la ricorrenza, Constantinescu
fornisce, su «Blajul», le traduzioni di Allegoria (pur non traducendo l’ultima terzina) e Profonda
solitaria immensa notte assieme alle traduzioni di Colloqui con gli alberi e Il bove;200 sempre su
«Blajul», 201 ma nel numero successivo, è pubblicata, ad opera di Constantinescu, la traduzione de Il
comune rustico.202
Ecco i testi in romeno delle poesie carducciane tradotte da Constantinescu; riportiamo in nota i
testi originali qualora non siano già stati trascritti precedentemente.

Alegorie203 || Prin apa fortunoasă și’ntre plânsul | De alcioni se luptă nava-mi singură; | O -nvăluie și-o bat
săgeți de fulger, | Vuiri de valuri, dar ea mege ’ntruna. || Atuncea amintirile, spre țărmul | Pierdut și ’ndreaptă
fața ’nlăcrimată, | Și ’nfrântele speranțe, obosite, | Coboară peste vâsla-mi sfărâmată. || Dar drept, la pupă,
geniul meu privește | Spre cer și mare și puternic cântă, | În trăznet de catarguri și de vănturi.204

Profundă noapte...205 || Adâncă, tainică, imensă noapte, | Odihnă a creației divine, | Ce dormi pe munții
despicați de trăznet | Sau pe ogorul semănat de oameni; || O, boltă vastă, pașnică, ’nstelată; | Voi, umbre,
întrerupte de lumină; | Frumoase forme vii, în soarta voastră | Desăvârșit și tainic potrivite; || Și lună, tu,
bătrână călătoare, | Ce ’mparți argintul tău senin și rece | Pe piepturi vesele sau triste, deopotrivă; || Ce
grozăvii, ce taine sunt acestea? | Ce suntem noi, sărmanii muritori?... | Dar tu, tăcere, stai nepăsătoare!206

De vorbă cu copacii207 || Tu, ce umbrești râpi tainice sau triste, | Nu te iubesc, ștejar îngândurat: | Tu dat-ai
blânda-ți creangă pentru fruntea | Nebunilor pustiitori de nații. || Și nici pe tine nu te-admir, sterp laur: | Că

197
Cfr. Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 293.
198
OEN, vol. IV, p. 175.
199
Cfr. Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 293.
200
Cfr. Giosuè Carducci, Alegoria, Profundă noapte, De vorbă cu copacii, Boul, traducere din limba italiană de Pimen
Constantinescu, in «Blajul», anno II, numero 8-9, settembre 1935, pp. 372-374.
201
Cfr. Giosuè Carducci, Comuna rustică, traducere din limba italiană de Pimen Constantinescu, in «Blajul», anno II,
numero 10, ottobre 1935, pp. 457-458.
202
OEN, vol. III, p. 302.
203
OEN, vol. II, p. 83: “Passa la nave mia, sola, tra il pianto | De gli alcïon, per l’acqua procellosa; | E la involge e la
batte, e mai non posa, | De l’onde il tuon, de i folgori lo schianto. || Volgono al lido, omai perduto, in tanto | Le memorie
la faccia lacrimosa; | E vinte le speranze in faticosa | Vista s’abbatton sovra il remo infranto. || Ma dritto su la poppa il
genio mio | Guarda il cielo ed il mare, e canta forte | De’ venti e de le antenne al cigolío: || ― Voghiam, voghiamo, o
disperate scorte, | Al nubiloso porto de l’oblio, | A la scogliera bianca de la morte”.
204
Giosuè Carducci, Alegoria, traducere din limba italiană de Pimen Constantinescu, in «Blajul», anno II, numero 8-9,
settembre 1935, p. 372.
205
OEN, vol. II, p. 18: “Profonda, solitaria, immensa notte; | Visibil sonno del divin creato | Su le montagne già dal fulmin
rotte, | Su le terre che l’uomo ha seminato; || Alte da i casti lumi ombre interrotte; | Cielo vasto, pacifico, stellato; | Lucide
forme belle, al vostro fato, | Equabilmente, arcanamente, addotte; || Luna, e tu che i sereni e freddi argenti | Antica
peregrina a i petti mesti | Ed a’ lieti dispensi indifferenti; || Che misteri, che orror, dite, son questi? | Che siam, povera
razza de i viventi?... | Ma tu, bruta quïete, immobil resti”.
206
Giosuè Carducci, Profundă noapte, traducere din limba italiană de Pimen Constantinescu, in «Blajul», anno II, numero
8-9, settembre 1935, pp. 372-373.
207
OEN, vol. III, p. 171: “Te che solinghe balze e mèsti piani | Ombri, o quercia pensosa, io piú non amo, | Poi che cedesti
al capo de gl’insani | Eversor di cittadi il mite ramo. || Né te, lauro infecondo, ammiro o bramo, | Che mènti e insulti, o
che i tuoi verdi e strani | Orgogli accampi in mezzo al verno gramo | O in fronte a calvi imperador romani. || Amo te, vite,

101
minți și ’nsulți când în trudita iarnă | Ți-arăți trufia verde și ciudată | Sau stai pe frunți pleșuve de’mpărați.
|| Tu, viță, îmi ești dragă, că ’ntre curpeni | Râzi lângă stânci și-mi pârguiești cucernic | Uitarea înțeleaptă a
vieții. || Dar și mai drag mi-e bradul, că-mi închide | În patru scânduri – raclă luminoasă – | Tot zbuciumul
și visul meu zadarnic.208

Boul209 || Mi-ești drag, bou blând, și simțământul sfânt | Al păcii și puterii mă pătrunde | În suflet, când
solemn ca monumentul | Privești ogorul roditor și liber, || Sau când în jug, plecându-te supus, | Urmezi grav
munca sprintenă a omului: | El te îndeamnă și te biciuește, | Iar tu-i răspunzi rotindu-ți ochii pașnici. || Prin
nara umedă și neagră, duhul | Îți fumegă, și ca un vesel imn | În linul aer mugetu-ți se pierde. || Și’n verdea,
grava ochiului blândețe, | Se oglindește ’ntinsă liniștită, | Divina câmpului tăcere verde.210

Comuna rustică211 || Ori că ’ntre fagi și brazi, sihastra umbră | Pe câmpuri de smerald se ’ntipărește | În
soarele din zori curat și sprinten – | Ori că întunecă nemișcătoare | În spartul zilei vilele răslețe | Dinspre
biserica sau cimitirul. || Tăcut – o, nuci din Carnia, adio! | Visând, prin crengi îmi rătăcește gândul | La
umbrele din vremea ce a fost. | Nu’nfricoșări de morți sau vreo ’ntrunire | De draci stângaci cu stranii
vrăjitoare, | Ci a comunei rustică virtute, || În verdele nestrăveziu, la adunare, | Pe vremea păstoritului, o
văd | În zi de sărbătoare, după slujbă. | Punându-și mânile pe sfânta cruce | Și pe pistol, un consul cuvântează
| – impart cu voi, vedeți, acea pădure || De brazi și pini, ce pare neagră’n zare. | Și-aveți să pașteți turma ce
mugește | Sau behăiește, pe acele piscuri. | Iar voi, când slavii năvălesc sau hunii, | O, fiilor, vă dau și lănci
și spade, | Și pentru libertate veți muri. || Umplea un freamăt de mândrie piepturile, | Iar capetele se ’nălțau;
pe frunțile | Aleșior, lovea mărețul soare. | Femeile, plângând pe sub marame, | Rugau pe Maica Precista
din ceruri | Iar consulul urma, cu mâna’ntinsă: || În numele lui Crist și al Mariei, | Așa vă poruncesc și vrau
să fie. | – Așa! – stringa cu mâna‚ sus poporul. | Și juncile roșcate din livadă | Vedeau trecând senatu-acela
mic, | Pe când sclipea în codri miezul zilei.212

Per quanto riguarda la traduzione de Il comune rustico, Constantinescu si preoccupa di


arricchire il suo lavoro con sei note di commento.
Nella prima nota specifica la collocazione geografica, nel contesto italiano, della Carnia:
„Carnea este partea nordică a Veneției Iulia: Alpii Carnici sau Iulieni din cari izvorăsc Taghiamento
și Isonzo, - alcătuiesc hotarul natural dintre Austria și platoul italian Carso”.213 (È interessante vedere
l’errore con cui denomina «Taghiamento» il fiume «Tagliamento»).

che tra bruni sassi | Pampinea ridi, ed a me pia maturi | Il sapïente de la vita oblio. || Ma piú onoro l’abete: ei fra quattr’assi,
| Nitida bara, chiuda al fin li oscuri | Del mio pensier tumulti e il van desio”.
208
Giosuè Carducci, De vorbă cu copacii, traducere din limba italiană de Pimen Constantinescu, in «Blajul», anno II,
numero 8-9, settembre 1935, pp. 373-374.
209
Cfr. pp. 61-62.
210
Giosuè Carducci, Boul, traducere din limba italiană de Pimen Constantinescu, in «Blajul», anno II, numero 8-9,
settembre 1935, p. 374.
211
OEN, vol. III, p. 302: “O che tra faggi e abeti erma su i campi | Smeraldini la fredda ombra si stampi | Al sole del
mattin puro e leggero, | O che foscheggi immobile nel giorno | Morente su le sparse ville intorno | A la chiesa che prega
o al cimitero || Che tace, o noci de la Carnia, addio! | Erra tra i vostri rami il pensier mio | Sognando l’ombre d’un tempo
che fu. | Non paure di morti ed in congreghe | Diavoli goffi con bizzarre streghe, | Ma del comun la rustica virtú ||
Accampata a l’opaca ampia frescura | Veggo ne la stagion de la pastura | Dopo la messa il giorno de la festa. | Il consol
dice, e poste ha pria le mani | Sopra i santi segnacoli cristiani: | — Ecco, io parto fra voi quella foresta || D’abeti e pini
ove al confin nereggia. | E voi trarrete la mugghiante greggia | E la belante a quelle cime là. | E voi, se l’unno o se lo slavo
invade, | Eccovi, o figli, l’aste, ecco le spade, | Morrete per la nostra libertà. — || Un fremito d’orgoglio empieva i petti,
| Ergea le bionde teste; e de gli eletti | In su le fronti il sol grande feriva. | Ma le donne piangendo sotto i veli | Invocavan
la madre alma de’ cieli. | Con la man tesa il console seguiva: || — Questo, al nome di Cristo e di Maria, | Ordino e voglio
che nel popol sia. — | A man levata il popol dicea, Sí. | E le rosse giovenche di su ’l prato | Vedean passare il piccolo
senato, | Brillando su gli abeti il mezzodí”.
212
Giosuè Carducci, Comuna rustică, traducere din limba italiană de Pimen Constantinescu, in «Blajul», anno II, numero
10, ottobre 1935, pp. 457-458.
213
Cfr. Ivi, p. 457: “La Carnea è la parte del Nord del Venezia Iulia: le Alpi Carniche o Giulie da cui nascono il
Taghiamento [Tagliamento, ndt] e l’Isonzo – formano il confine naturale tra l’Austria e la pianura italiana del Carso”.
[traduzione nostra]

102
Nella seconda, invece, commentando la seconda strofa, sottolinea come „Carducci din spirit de
frondă împotriva romanticilor, amintește aici că nu va descrie, ca poeții nordici, fantazii îngrozitoare
și misterioase, cu fantome, cu diavoli și vrăjitoare”,214 dando notizia quindi dello spirito antiromantico
del Nostro.
La terza nota dà invece conto del motivo per cui Carducci sceglie il nome console e commenta
la terza strofa: „Numele de consul, pentru capul Comunei, este ales de poet ca să dea instituției cât
mai multă coloare romană, în opoziție cu incultura barbarilor”.215
La quarta nota, commentando il «voi» della quarta strofa (v. 22) specifica: „Poetul se adresează
acelora dintre munteni cari sunt aleși, adică destinați pentru apărarea Comunei”.216
La quinta nota vuole specificare la reazione di pianto delle donne, messa in evidenza dal poeta
nella quinta strofa: „Femeile izbucneanu în plâns numai când se gândeau la grozăvia unei năvăliri de
huni, de slavi, de unguri...”.217
L’ultima nota, infine, vuole spiegare il senso della parola «senato» (v.35): „Micul consiliu al
Comuniei este numit senat tot spre a surgera perpetuarea latinității instituțiilor, rin aceste meleaguri
răsăritene: comuna, consulatul, senatul”.218
Dalle note di commento, possiamo vedere come Constantinescu desiderasse che il senso
profondo del testo e della poetica dell’autore giungessero al pubblico romeno, senza tralasciare
nessun tipo di dettaglio, storico, geografico e linguistico.
Sempre in riferimento al 1935, segnaliamo che il già citato Giuseppe Cifarelli pubblica la
traduzione delle Odi barbare a Bucarest, con una prefazione di Alexandru Marcu.219

II – TRADUZIONI DELLE PROSE

“Il gran merito della Romania – evidenzia Maria Dell’Isola – è d’aver intrapreso, dopo le
versioni poetiche, dopo i lavori critici, una serie di versioni delle prose, da cui è lecito sperare un

214
Ibid. “Carducci, con spirito di indignazione verso i romantici, ricorda qui che non descriverà, come i poeti del nord,
fantasticherie spaventose e misteriose con fantasmi, diavoli e streghe”. [traduzione nostra]
215
Ibid. “Il nome consule, per il capo del comune, è scelto dal poeta in modo da dare all’istituzione maggior colore
romano, in opposizione con la cultura dei barbari”. [traduzione nostra]
216
Cfr. Ivi, p. 458: “Il poeta si riferisce agli abitanti della montagna, prescelti, ovvero quelli destinati a proteggere il
comune”. [traduzione nostra]
217
Ibid. “Le donne scoppiavano a piangere soltanto al pensiero di un attacco da parte degli slavi, degli ungheresi, degli
unni”. [traduzione nostra]
218
Ibid. “Il piccolo consiglio del comune è chiamato senato sempre per suggerire la continuità delle istituzioni latine, in
questi luoghi dell’est: il comune, il consiglio e il senato” [traduzione nostra].
219
Cfr. Giosuè Carducci, Ode barbare – in romaneste de Giuseppe Cifarelli cu o prefata de Alexandru Marcu, Publicatiile
Gruparii Intelectuale Thesis, București, 1935.

103
doppio risultato: divulgare i bellissimi scritti filologici del Carducci; far sì che la conoscenza del
prosatore aiuti la comprensione del poeta”. 220
Secondo la studiosa, nessun’altra nazione si è curata di presentare anche Carducci prosatore,
anche perché la preferenza rimane ancora per la poesia. “Non si potrà dunque abbastanza lodare
l’iniziativa romena, che parte dall’università, incoraggiando i promotori a proseguirla
metodicamente”.221
Alexandru Marcu (1894-1955), laureato in lettere nel 1919, ha studiato italianistica a Roma; è
stato allievo di Ramiro Ortiz e “gli succederà nella cattedra di letteratura italiana di Bucarest, quando
Ortiz lascerà nel 1933”.222
Traduttore di Dante, di Gabriele D’Annunzio e profondo amante della lingua e della letteratura
italiana, ha contribuito alla diffusione degli studi italianistici in Romania, con numerosi studi, corsi e
pubblicazioni.223 Nel gennaio 1921 pubblica la traduzione del discorso di Carducci L’opera di Dante
sulla rivista «Roma», traduzione che sarà riproposta nel 1921 su «Gazeta Transilvaniei», il 27 giugno,
firmata da un anonimo A. O.224
Nel 1927, invece, sempre sulla rivista «Roma», nel numero di luglio-settembre, Marcu pubblica
una versione della commemorazione di Goffredo Mameli.225
È sempre la rivista di Ortiz, «Roma», a pubblicare, nel numero di ottobre-dicembre del 1930,
la traduzione di alcuni passi dei Discorsi sullo svolgimento della letteratura italiana,226 compiuta da
Antonio Maria Zanetti, e, nello stesso numero, è contenuto il testo Petrarca scriitor latin [Petrarca
scrittore latino]227 sempre tratto dai Discorsi sullo svolgimento della letteratura italiana, tradotto
stavolta da Flora Gravilla.228
Stan Șerban, invece, è autore della traduzione romena del discorso Per l’inaugurazione d’un
monumento a Virgilio a Pietole.229

3.3.2 Opere di critica letteraria romena su Carducci

220
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 185.
221
Ibid.
222
Lorenzo Renzi, Ramiro Ortiz fra Italia e Romania, cit., p. 2.
223
Cfr. Veronica Turcuș, Italianistica din București, Contribuția lui Alexandru Marcu [L’Italianistica a Bucarest, il
contributo di Alexandru Marcu] in «Orizonturi culturale italo-române/Orizzonti culturali italo-romeni», anno II, numero
4, aprile 2012, www.orizonturiculturale.ro (consultato il 19 novembre 2019).
224
Cfr. Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 185.
225
Cfr. OEN, vol. VII, p. 425
226
Cfr. Ivi, pp. 1-129.
227
Cfr. Ibid.
228
Cfr. Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 293.
229
OEN, vol. VII, p. 163.

104
La prima opera di critica in lingua romena sull’opera di Carducci è un saggio di una sessantina
di pagine redatto da Nicolae Iorga nel 1895 dal titolo Amintiri din Italia – Giosue Carducci [Ricordi
dall’Italia – Giosue Carducci].230
L’unico luogo dove il testo è custodito in Italia, con collocazione stanza 5b, scaffale ‘v’, numero
57, è la biblioteca di “Casa Carducci” a Bologna.231
Nicolae Iorga (1871-1940) nacque a Botoșani il 17 giugno 1871. Terminato il liceo a Iași,
frequentò la Scuola Normale Superiore di Iași e si laureò in filosofia a Lipsia. Nell’ottobre 1894 vinse
la cattedra di storia a Bucarest; divenne direttore della rivista «Semănătarul» e segretario della Liga
Culturală, fondata a Bucarest nel 1891.232
Per stringere in modo sempre più forte i legami con i paesi occidentali, fondò l’Accademia
Romena, la Casa Romena di Venezia, la Scuola Romena di Francia e l’Istituto Romeno di
Archeologia di Santi in Albania. Dal 1921 fu professore aggiunto alla Sorbona, tenendo annualmente
conferenze a Venezia, Milano e Roma. Divenne rettore dell’Università di Bucarest (1928-1929) e
professore aggiunto di Cluj. 233
Di formazione nazionalista, Iorga fu attivo in politica anche al fianco di Alexandru Cuza. Nel
1918 presiedette l’assemblea che proclamò l’unione di tutti i romeni; fu presidente del Consiglio e
Minisitro dell’Istruzione nel 1931 e dal 1938 ministro di Stato e Consigliere Regale.
Fu ucciso il 28 novembre 1940 da un gruppo di Legionari della Guardia di Ferro, poco dopo la
caduta del regno di re Carol II.234
Autore di una quarantina di drammi teatrali, di varie prose, ha lasciato scritti in ricordo dei suoi
numerosi viaggi in Europa; in questo senso il più celebre è senz’altro L’Italia vista da un romeno
(1930). Da un punto di vista accademico è autore di una Istoria literaturii românești [Storia della
letteratura romena, 1925-1928] e della Istoria literaturii românești contemporane [Storia della
letteratura romena contemporanea, 1935]. L’opera storica più imponente è certamente la Istoria
românilor [Storia dei romeni, 1935-1939] in dieci ponderosi volumi. La raccolta delle sue poesie fu
pubblicata nel 1940 con il titolo Toate poeziile lui Nicolae Iorga [Tutte le poesie di Nicolae Iorga].
Nicolae Iorga è da considerarsi a tutti gli effetti uno degli autori più importanti della Romania
fra Ottocento e Novecento. “Oppostamente giudicato dai contemporanei – afferma Gino Lupi –
nessuno potrà certo prescindere dalla sua opera nello studio dello sviluppo culturale romeno del
periodo che chiude il diciannovesimo e inizia il ventesimo secolo”.235

230
Cfr. Nicolae Iorga, Amintiri din Italia – Giosue Carducci, Steinberg, București, 1895.
231
Cfr. www.opac.sb.it (consultato il 19 novembre 2019).
232
Cfr. Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., p. 274.
233
Cfr. Ivi, p. 275.
234
Ivi, p. 287.
235
Ivi, p. 288.

105
Il merito principale di Iorga fu quello di aver inserito la cultura e la storia romena nella cultura
e nella storia d’Europa; portava avanti questo suo impegno con le opere pubblicate e le conferenze,
che teneva con un’arte oratoria magistrale, dense di citazioni e di rimandi culturali.236
La stima di Iorga per Carducci è stata già messa in evidenza anche da Șerban Cioculescu, nel
saggio Le savent roumain Nicolae Iorga et l’Italie.237 Nel suo testo, infatti, possiamo leggere:

C’est cependant au grand poète que fut Carducci, que le jeune Iorga consacre simultanément une étude
étendue et fort poussée, tout en s’excusant que ce n’est pas «la recherche large et complète dont est digne
le plus grand des écrivains italiens vivants, l’initiateur d’un mouvement poétique qui n’a pas dépassé les
frontières de son pays, mais qui a donné la vie à la nouvelle littérature italienne», et encore, d’après
Hildebrand, celui qui serait «le plus grand poète paru en Europe après Heine». Dès ses Juvenilia et jusqu’à
nos jours, Carducci a battu en brèche l’école romantique italienne. En «sautant au-dessus» des imitateurs
de Manzoni, Carducci s’est attacché à Leopardi, son contemporain, et à des prédecesseurs immédiats, tels
que Foscolo, Monti et Parini, remontant plus haut à l’Arioste, à Pétrarque et à Dante. Se dressant contre le
romantisme «Carducci personnifie la révolte, en élevant l’ancien et glorieux drapeau du classicisme».238

Il lavoro di Iorga, a detta di Maria Dell’Isola, “importante per la priorità, […] ci si raccomanda
inoltre per una sua peculiare larghezza di vedute. Oltrepassa qua e là i limiti d’uno studio carducciano
per entrare, per esempio, in piena indagine del romanticismo europeo”.239
Iorga vede nel Carducci l’iniziatore di un movimento letterario che, avendo fra i suoi precursori
Foscolo, Monti, Parini, Leopardi, Ariosto, Petrarca e Dante, dà un nuovo impulso alla poesia
italiana.240
Secondo l’autore romeno, in Italia e Germania, a differenza della Francia, nel romanticismo
viene innestato l’elemento religioso, valorizzandolo con maggiore serietà, maggiore equilibrio e un
profondo senso della misura, assente altrove; contro il romanticismo si scaglia Carducci nei suoi versi
giovanili. Nei Juvenilia abbiamo la rivolta contro gli avvenimenti italiani dell’epoca e qui il poeta si
prefigge lo scopo di restaurare la coscienza nazionale.241

L’invettiva acre, violenta contro il cattolicesimo è ricondotta dal Iorga ai modesti limiti d’una profonda
avversione contro il prete. Che si spiegherebbe nel seguente modo: il prete romano, il cui orientamento
spirituale è sostenuto dal puro interesse, è necessariamente cosmopolita, quindi ostile al conseguimento
dell’unità italiana; peggio ancora, in quella Roma eterna che forma l’oggetto d’un amore eroico e devoto
di tanti suoi figli, egli, il prete, non vede e non cura che gli stranieri.242

236
Cfr. Ivi, p. 287.
237
Cfr. Șerban Cioculescu, Le savent roumain Nicolae Iorga et l’Italie, in «Columna – Annuario dell’Accademia di
Romania in Roma», cit., pp. 54-60.
238
Ivi, p. 55.
239
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 176.
240
Cfr. Nicolae Iorga, Amintiri din Italia – Giosue Carducci [Ricordi dall’Italia – Giosue Carducci], cit., pp. 15-30.
241
Cfr. Ivi, pp. 31-36.
242
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 177.

106
I Levia gravia documentano la lotta, secondo Iorga, combattuta nell’animo del poeta: Carducci
percepisce quanto l’umanità sia fatta per condividere l’esistenza nella pace e nel rispetto reciproco,
ma questa tensione all’equilibrio e all’accoglienza, presente nell’uomo, è ostacolata da troppe tensioni
e livori eccessivi.243
Un segno di grande rispetto per gli sforzi umani è invece l’Inno a Satana, uno dei componimenti
più belli mai composti, mentre risulta scarsa e artificiale, nella produzione del Carducci, l’espressione
dell’amore. Iorga vede solo nella lirica Maggio e Novembre un esempio di sentimento vero, mentre
autentico e sincero è il componimento Pianto antico.244
Secondo il critico romeno, sintetizza Dell’Isola

Le Rime nuove s’impongono alfine alla generale ammirazione. Superiori a Giambi ed epodi, alcune soltanto
fra le Odi barbare possono reggere con esse il confronto per la squisitezza dell’arte. E nelle Primavere
elleniche, supremamente belle, d’una bellezza carducciana tutta personale, l’eternità degli dei pagani è
affermata non pure esteticamente, bensì filosoficamente.245

Le Rime nuove esprimono le sofferenze e le speranze dell’uomo moderno, toccando anche il


tema della morte, temuta da Carducci, perché, a detta di Iorga, con essa cessa la possibilità di essere
toccati dal sole e dalla bellezza della vita.246
Le Odi barbare sono viste da Iorga come l’opera della maturità di Carducci, intrisa di
classicismo e testimone della malinconia della vecchiaia, che mette da parte l’ardore patriottico per
lasciare spazio al pessimismo.247
Per Nicolae Iorga il pessimismo nell’opera carducciana è visto come universale,248 impressione
questa – a detta di Maria Dell’Isola – tutta soggettiva del critico, che contraddice sé stesso e le pagine
nelle quali esaltava lo spirito patriottico di Carducci, formatore della coscienza nazionale.249

Riassumiamo le conclusioni: l’opera del Carducci è ricca e sarà duratura. L’elevazione del pensiero non vi
attinge sempre la forza del sentimento né l’armoniosa sobrietà della forma. Classica, in quanto ha di
migliore il classicismo, gusto e misura, ma con felice innesto di movimenti moderni nella loro maggiore
delicatezza, e visione larga, profonda dell’uomo, della vita. Nella corrente letteraria europea seguita al
cadere del romanticismo, il Carducci cammina di pari passo coi novatori: per quanto i suoi versi di
giovinezza non tocchino le vette dell’arte, chè manca ad essi il dono della serenità per quanto egli ci si
mostri meno delicato di Tennyson, meno largamente dotato di fantasia epica che Leoconte di Lisle, il posto
che gli compete è di capo, non d’eguale fra loro. La sua opera, dopo quella di Monti, Leopardi, Manzoni,
dimostra che in Italia l’attività poetica creatrice non è diminuita, qualunque possano essere le circostanze
politiche; momentanee vi sono le eclissi del gusto; nell’eredità di antiche armonie che i suoi poeti

243
Cfr. Nicolae Iorga, Amintiri din Italia – Giosue Carducci [Ricordi dall’Italia – Giosue Carducci], cit., pp. 37-49.
244
Cfr. Ivi, pp. 49-51.
245
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., pp. 177-178.
246
Cfr. Nicolae Iorga, Amintiri din Italia – Giosue Carducci [Ricordi dall’Italia – Giosue Carducci], cit., pp. 52-67.
247
Cfr. Ivi, pp. 67-68.
248
Cfr. Ivi, pp. 69-72.
249
Cfr. Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 179.

107
tramandano agli stranieri, ciò che s’impone e conquide è la misura, la limpidità, che fanno sole le opere
eterne.250

Nel mese di marzo del 1903 viene pubblicato un altro saggio, su «Revista idealistă», da
Benedetto De Luca col titolo Mișcarea literară în Italia – Intre bătrâni și tineri: Carducci, Chiarini,
Marradi [Movimenti letterari in Italia – Fra tradizioni e innovazioni: Carducci, Chiarini, Marradi].
L’opera carducciana ha, per De Luca, un carattere universale, per quanto i suoi componimenti
rimangano testimonianza d’un’anima prettamente italiana.251
Sul numero di agosto 1905 della rivista «Luceafărul», Duiliu Zamfirescu, nella rubrica Scrisori
romane [Scrittori romani] cita Carducci, ne presenta la poetica e l’importanza, utilizzando la sua ode
Alle fonti del Clitumno come mirabile esempio delle Odi barbare.252
Nicolae Iorga, sulla rivista «Floarea Darurilor», nel marzo 1907, offre al pubblico romeno un
secondo articolo nel quale presenta la lotta di Carducci contro la decadenza letteraria, una lotta portata
avanti dal Nostro con la creazione del suo Satana come forma di culto per la libertà.253
Contemporaneamente all’articolo di Iorga su «Floarea Darurilor», su «Luceafărul» vengono
pubblicate tre pagine di critica che ripercorrono tutta la carriera di Carducci. Nell’articolo, dove
erroneamente si data la nascita del poeta al 1836 mentre Carducci nacque nel 1835, viene sintetizzato
il pensiero del Nostro con particolare attenzione al suo amore per l’Italia; nelle pagine della rivista è
ripercorsa la sua produzione poetica, con cenni all’esperimento delle Odi barbare e all’esperienza
dell’Inno a Satana.254
È sempre del 1907, in concomitanza con la morte del poeta, l’articolo di Ovid Densușianu
pubblicato su «Vieața Noua» nel quale critica Carducci per il suo temperamento impetuoso e
l’eloquenza classica;255 nello stesso anno, in aprile, in giugno e in novembre, sono pubblicati su
«Viața Românească» rispettivamente una recensione dell’intervento di Chiarini sugli ultimi anni di
Carducci, una recensione dell’articolo di Julien Luchaire sul Carducci pubblicato su «Revue latine»
e il saggio Carducci e la Francia.256
Se, dopo le lezioni di Ramiro Ortiz a Bucarest del 1909, il decennio dal 1910 al 1920 ha visto
il fiorire di versioni e traduzioni delle poesie di Carducci, è nel 1920 e 1921 che possiamo collocare
due interventi critici di Nicolae Iorga. Il primo, pubblicato nel III volume della sua Istoria literaturilor
romanice în desvoltarea și legăturile lor [Storia della letteratura romena nel suo svolgimento e nei

250
Ivi, pp. 179-180.
251
Ivi, cit., p. 180.
252
Cfr. Duiliu Zamfirescu, Scrisori romane, in «Luceafărul», anno IV, numero 15-16, 15 agosto 1905, p. 299.
253
Cfr. Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., pp. 180-181.
254
Cfr. AA. VV., Giosuè Carducci, in «Luceafărul», anno VI, numero 4-5, [Sibiu], 1907, pp. 83-85.
255
Cfr. Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 181.
256
Cfr. Ivi, p. 291.

108
suoi collegamenti] ha titolo Notizia sul Carducci ed occupa cinque buone pagine del testo;257il
secondo, dal titolo O carte despre literatura italiană [Un’eco sulla letteratura italiana], è stato
pubblicato il 27 giugno 1921 sulla «Gazeta Transilvaniei».258
Il numero di giugno della rivista «Transilvania», interamente dedicato all’opera di Iorga, riporta
i suoi studi e la sua passione per Carducci; Iorga avrebbe scritto „admirabilele pagini asupra lui
Giosue Carducci” [“pagine ammirevoli su Giosue Carducci”]259 e fin dalla giovinezza ne ha
apprezzato il pensiero e la produzione poetica dedicando, nell’arco della sua carriera, numerosi studi
al Nostro.260
Sono del 1923 quattro contributi che vale la pena citare. Anita Belciugățeanu, assistente di
Ramiro Ortiz a Bucarest,261 comparatista romena, che ha dedicato studi alla ricezione di Leopardi in
Romania262 e studi trasversali di letteratura comparata fra letteratura romena, italiana e francese,263ha
pubblicato in quest’anno due contributi carducciani: uno, sulla rivista «Roma», ha titolo Despre
critica lui Carducci [Sulla critica di Carducci], l’altro, dato alle stampe su Istoria literaturii italieni,
si intitola Notizia sul Carducci.264
“Alla medesima studiosa – dice sempre Maria Dell’Isola – dobbiamo pure un raffronto tra la
critica del Carducci e quella del Saint Beuve e del Taine […]. Tutta l’opera del Carducci rivela, nello
scienziato, l’artista. Pagine penetranti, illustrate dall’autrice con opportuni esempi, alle quali si
domanderebbe forse una veduta più sintetica”.265
Sempre sul numero di giugno 1923 della rivista «Roma», Eugen Porn pubblica un articolo dal
titolo La moartea lui Carducci [La morte di Carducci] e Napoleone Crețu affronta la relazione fra
Eminescu e Carducci in un suo studio dato alle stampe sulla rivista di Ortiz nei mesi di agosto e
settembre;266 difatti “benchè i due poeti – Eminescu e Carducci – differiscano profondamente per la
concezione della vita e del mondo, si potrebbe indagare a fondo quali e quante affinità si riscontrino
in tali artisti, entrambi ricchissimi di contenuto lirico”.267

257
Cfr. Ivi, p. 188.
258
Cfr. Ibid.
259
Valentina Borgea, Iorga ca istorice al literaturilor romanice, in «Transilvania», Anno LII, Numero 6, giugno 1921,
p. 424.
260
Cfr. Ibid.
261
Cfr. Violeta Popescu, Eminescu e l’esegesi italiana, in www.culturaromena.it (consultato il 19 novembre 2019).
262
Cfr. Luminitza Beiu-Paladi, Leopardi nella visione di una comparatista romena: Anita Belciugățeanu, in Giacomo
Leopardi e la sua presenza nelle culture est-europee. Atti del Convegno internazionale di București (2-5 luglio 1998),
Editura Fundației Culturale Române, București, 1999, pp. 32-39.
263
Cfr. Anita Belciugățeanu, Carpe rosam: tema poetică a trandafirului în literatura italiană și franceză a Renașterii.
Socec, București, 1931.
264
Cfr. Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 292.
265
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 191.
266
Cfr. Napoleone Crețu, Un motiv comun în Eminescu și Carducci in «Roma», numero agosto-settembre, [București],
1923.
267
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 191.

109
Nel 1924 Alexandru Marcu, nel volume Romanticii italieni și români [Romantici italiani e
romeni] pubblica un saggio dal titolo Notizia sul Carducci, nel quale “ci fornisce alcune notizie
curiose e vive circa l’interesse destato in Romania dal poeta”,268 dando cenni alla conferenza di Pier
Emilio Bosi da noi analizzata nel secondo capitolo.
Di Nicolae I. Herescu (1906-1961) sono “tutta una serie di ricerche carducciane, sei studietti
che ne riportano varie fattezze”,269 pubblicati nel 1925 su «Adevărul».
È del 10 maggio lo studio di Herescu Giosuè Carducci. Linia clasică în literatura italiană
modernă [Giosuè Carducci. La corrente classica nella letteratura italiana moderna], uscito il 17
maggio, nonché i contributi Leagănul poeziei lui Carducci [L’origine della poesia di Carducci],
Ideologia lui Carducci [L’ideologia di Carducci] e Poezia lui Carducci [La poesia di Carducci],
apparsi il 17 maggio, il 24 maggio e rispettivamente il 31 maggio.
Sempre Herescu dedica uno studio alla presenza di Orazio e Virgilio nella poesia carducciana
dal titolo Horațiu și Virgiliu in poezia lui Carducci [Orazio e Virgilio nella poesia di Carducci],
pubblicato sulla rivista Favonius nel settembre 1927.270
Nel 1931 Duiliu Zamfirescu offre al pubblico romeno un’ulteriore monografia nel volume
Studii și documente literare [Studi e documenti letterari], dove inserisce un contributo dal titolo
Notizie sul Carducci.
Dalla metà degli anni trenta in poi è riscontrabile un vistoso calo del materiale sulla poesia
carducciana in Romania.
Il Carducci viene rammentato da alcuni studiosi, riferendosi ad esempio a studi già compiuti da
romeni sul poeta maremmanno – come la traduzione de Il bove di Casian Munteanu riportata in un
saggio sul traduttore redatto da Nicolae Roșu e pubblicato nel 1936271 – oppure citando studi di critica
del Carducci stesso – come ad esempio da Dumitru Panaitescu nel suo contributo su Parini, dove
menziona alcuni saggi del Nostro sul poeta lombardo.272
Risale alla fine degli anni cinquanta un riassunto romeno del saggio Carducci senza retorica di
Luigi Russo273e del 1957 uno studio di Nina Façon dal titolo Carducci critic militant [Carducci
critico militante].274 Un saggio sull’epistolario carducciano è invece stato pubblicato, sempre da Nina
Façon, nel 1960.275

268
Ivi, p. 190.
269
Ivi, p. 191.
270
Ivi, p. 297.
271
Cfr. Nicolae Roșu, Casian Munteanu, in «Luceăfarul», anno II, numero 1, gennaio 1936, p. 40.
272
Cfr. Dumitru Panaitescu, Giuseppe Parini poet social, in «Revista Fundațiilor Regale», anno XIII, numero 6, giugno
1946, pp. 375-378.
273
Cfr. Ștefan Rîmniceanu, Confluențe, in «Steaua», anno IX, numero 9, [Cluj], 1958, pp. 115-125.
274
Cfr. Nina Façon, Carducci critic militant, in «Seria Sociale», numero 10, [București], 1957, pp. 115-127.
275
Cfr. Nina Façon, Carducci în epistolarul său, in «Revista de filologie romanică și germanică», anno 4, numero 1,
1960, pp. 58-72.

110
Se, consultando gli archivi, non è possibile reperire materiale risalente agli anni settanta, ottanta
e novanta del Novecento,276 in questa rapida rassegna degli studi carducciani in Romania, è doveroso
citare le due opere di Ioan Adam su Duiliu Zamfirescu dei primi anni duemila.
La prima opera, di carattere monografico, dedica un ampio spazio del testo alla sua passione
per Carducci;277 la seconda, esplicitamente dedicata alla relazione Zamfirescu-Carducci, consta di un
saggio, pubblicato in tre puntate sulla rivista «Adevărul literar și artistic», e affronta il passaggio dalle
Odi barbare del Nostro agli Inni pagani dell’autore romeno.278
Questo testo può essere considerato una testimonianza dell’attenzione riservata al Nostro in
ambito accademico romeno anche in anni recenti.

3.4 La letteratura romena e Giosue Carducci: vicinanza di temi e di forme poetiche

Come ultimo passaggio del nostro lavoro, cercheremo di vedere come temi e componimenti di
Giosue Carducci possano aver ispirato o arricchito idee e lavori di letterati romeni.
Indagheremo anzitutto possibili vicinanze fra Giosue Carducci e Mihai Eminescu, il più
importante poeta romeno dell’Ottocento. Il lavoro di ricerca effettuato sembra provare come non sia
dimostrabile una diretta discendenza dei testi emineschiani da quelli carducciani; tuttavia resta
presente una bibliografia da noi consultata che tenta di mettere in relazioni motivi di ispirazione e
rese retoriche simili nei due poeti.
Successivamente ci occuperemo delle influenze del Nostro su Duiliu Zamfirescu; qui la parte
della poetica dell’autore romeno sembra derivare in modo evidente da Carducci e questa derivazione
risulta essere ben sostenuta dalla critica.
Infine, come ultimo esempio, studieremo il caso di Octavian Goga: letterato e uomo politico
della Romania di inizio Novecento, sono sue alcune traduzioni del Nostro ed è possibile vedere in
alcune sue poesie la diretta impronta dell’opera del poeta-professore.

3.4.1 Giosue Carducci e Mihai Eminescu

Mihai Eminescu, nato Eminovici, nacque a Botoșani (Moldavia settentrionale) il 20 dicembre


1849 da Gheorghe Eminovici, amministratore di terre, e Raluca Iurașcu.

276
Cfr. ad es. www.bicucluj.ro (consultato il 19 novembre 2019).
277
Cfr. Ioan Adam, Oglinda și modelele: ideologia literară a lui Duiliu Zamfirescu [Specchi e modelli: l’ideologia
letteraria di Duiliu Zamfirescu], Editura Gramar, Bucarești, 2001.
278
Cfr. Ioan Adam, De la Ode barbare la Imnuri păgâne: Giosue Carducci-Duiliu Zamfirescu [Dalle Odi barbare agli
inni pagani: Giosue Carducci-Duiliu Zamfirescu], in «Adevărul literar și artistic», [București], 2001.

111
Dopo un’infanzia serena trascorsa nei possedimenti paterni, fu mandato a Cernăuți, nella
Bucovina austriaca, dove frequentò le scuole elementari tedesche e poi alcune classi del ginnasio
inferiore.279
Abbandonati gli studi, fu dapprima membro della compagnia drammatica di Fanny Tardini di
Cernăuți, poi copista al tribunale di Botoșani (ottobre 1864-marzo 1865). Compose i primi versi nel
gennaio 1866, in morte del maestro Aron Pumnul, da lui molto amato; è di questo periodo la
romanizzazione del cognome, da Eminovici ad Eminescu, ad opera di Iosif Vulcan, direttore della
rivista «Familia» sulla quale Mihai pubblicò alcuni suoi versi nella primavera del 1866.280
Viaggiò molto attraverso le province contadine della Romania e della Transilvania, divenendo
suggeritore nella compagnia di Iorgu Caragiale e in quella di Pascali (1867-1868). Dal 1869 si recò
a Vienna dove si iscrisse come uditore alla facoltà di filosofia.281
Proprio da Vienna, inviò la poesia Venere și Madona [Venere e Madonna] al «Convorbiri
literare», divenendo, nel frattempo, membro della società studentesca România Jună. Conobbe gli
junimisti e fu grazie al loro patrocinio che potè iscriversi all’Università di Berlino; Titu Maiorescu,
allora ministro dell’istruzione, voleva che conseguisse il titolo per affidargli la cattedra di filosofia
all’Università di Iași. In questo periodo iniziò la relazione amorosa con Veronica Micle (1850-1889)
all’epoca coniugata con l’avvocato Ștefan Micle.282
Tornato in Romania nel 1870 senza una laurea, fu direttore della biblioteca di Iași e poi ispettore
scolastico. Terminata questa esperienza, iniziò la sua carriera giornalistica come redattore al
«Curierul de Iași» e poi al «Timpul» di Bucarest. Agli inzi del 1883 dette le dimissioni dagli incarichi
giornalisitici e, il 10 luglio 1883, fu ricoverato in un sanatorio per malattie mentali di Bucarest.283
Non guarì mai più del tutto. Fece viaggi in Austria, per riuscire a riprendersi, ma gli ultimi anni
furorno trascorsi dal poeta nella precarietà psichica, fino alla morte, sopraggiunta il 15 giugno
1889.284
“Ciò che distingue Eminescu – sottolinea Ramiro Ortiz – da qualsiasi altro poeta romeno è la
sua musicalità; musicalità profondamente ed intimamente romena come quella della ‘doina’, il dolce
canto d’amore e di dolore caratteristico del popolo romeno, e, nello stesso tempo, tutta sua particolare,
visto che non coincide con quella di nessun altro poeta”.285

279
Cfr. Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., pp. 147-148.
280
Ibid.
281
Cfr. Ivi, p. 148.
282
Ibid.
283
Cfr. Ivi, p. 151.
284
Ibid.
285
Ramiro Ortiz, Letteratura romena, cit., p. 80.

112
Autore di prose (abbozzi, schemi di novelle, un romanzo incompiuto, progetti di drammaturgia,
epopee e articoli di giornale), Eminescu è conosciuto soprattutto come poeta.
“I primi versi pubblicati tra il 1866 e il 1869 sono componimenti giovanili con influssi di
Bolintineanu, Alexandrescu e Alecsandri”;286 già in questi componimenti vi si trovano alcuni concetti
che ispirano l’opera della maturità: l’amore alla propria terra, l’indignazione contro la gioventù
incapace di nobili azioni e la descrizione di romantici amori sono tutti temi presenti nell’Eminescu
giovane come in quello più maturo.
L’attività poetica più intensa è comunque circoscrivibile agli anni 1870-1883, dopo la
pubblicazione sulle «Convorbiri literare» di Venere și Madonă [Venere e Madonna], che “porta in sé
il contrasto fra il demone della carne e la purezza dell’anima”.287 Sono dei primi anni settanta poesie
come Mortua est, Înger de pază [Angelo custode], Noaptea [La notte], Înger și demon [Angelo e
demone] e Floare albastră [Fiore azzurro].
Nel 1876 appaiono su «Convorbiri literare» le poesie dal titolo Melancolie, Crăiasa din povești
[La regina delle fiabe], Lacul [Il lago], Dorința [Il desiderio], nel 1878, invece, Povesta codrului [La
fiaba del bosco], Singurătate [Solitudine], Departe sunt de tine [Sono lontano da te].288
Eminescu compone anche delle epistole in versi: sul finire degli anni settanta e ottanta, scrive
quattro Scrisori [Epistole] di argomento politico ed esistenziale, con una quinta epistola, pubblicata
postuma, sulla incapacità da parte della donna di comprendere gli ideali dell’uomo.289
Nel 1883 pubblica uno dei suoi capolavori, Luceafărul [Lucifero o Espero], che si ispira alla
fiaba popolare Fata în grădina de aur [La fanciulla nel giardino d’oro]. Dalle sue prime poesie a
questo poema, l’evoluzione della poesia di Eminescu è piuttosto evidente: la scelta lessicale e metrica
rendono perfettamente le sensazioni uditive e visive, conservando il magico incantesimo delle fiabe
popolari.290
Dal primo affacciarsi della malattia alla morte, Eminescu pubblica molte poesie composte in
precedenza, nelle quali l’amore risulta essere non più esaltazione dei sensi e dello spirito, ma
solamente un ricordo e un rimpianto. Questi i temi di S-a dus amorul [È finito l’amore, 1883], Când
aminitirile [Quando i ricordi, 1883] e Ce e amorul [Che cos’è l’amore, 1883], Sara pe deal [La ser
sul poggio, 1884] e Kamadeva.291
Come già abbiamo visto, nel settembre 1923, sulla rivista «Roma», Napoleone Crețu pubblica
un suo studio dal titolo Eminescu și Carducci [Eminescu e Carducci], nel quale, sappiamo da Maria

286
Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., p.153.
287
Ibid.
288
Cfr. Ivi, pp. 154-155.
289
Cfr. Ivi, pp. 156-157.
290
Cfr. Ivi, pp. 173-174.
291
Cfr. Ivi, p. 176.

113
Dell’Isola, il critico “offre uno spunto appassionante di letteratura comparata, occupandosi d’un
motivo poetico ch’ebbero in comune Eminescu e Carducci”.292
In questo studio, come ci informa Ortiz, Crețu sostiene la tesi secondo la quale, sia Carducci
che Eminescu, si siano entrambi ispirati a Henric Heine per comporre delle loro poesie di
ambientazione naturalistica. La vicinanza dei due poeti, il Nostro e il poeta romeno, per quanto non
possibile direttamente per ragioni anagrafiche, sarebbe quindi dovuta a fonti letterarie comuni.293
Nella sua letteratura Ortiz rivede questa posizione, che confessa comunque di aver abbracciato,
e sostiene invece:

L’affinità spirituale tra i due poeti in uno stato d’animo analogo senza pretender di parlar di fonti e di
dipendenze, nè dirette nè indirette. Un sentimento nostalgico del passato spreme due lagrime a due poeti
che mai si conobbero (nè potevano, visto che vissero in tempi diversi); queste due lagrime si trasformano
per la magia dell’arte in due perle meravigliose dai riflessi iridati e di splendore diverso, se pure analogo.
Ciò basta alla nostra consolazione di lettori e di ammiratori del bello.294

La riflessione dell’Ortiz scaturisce dal confronto fra una poesia di Eminescu e Davanti san
Guido295 di Carducci, con la quale il testo romeno avrebbe “qualche accento comune […] soprattutto
nel desiderio accorato di tornare a vivere gli anni inesorabilmente trascorsi della fanciullezza e della
gioventù”.
Proviamo adesso a confrontare la poesia di Eminescu con quella di Carducci per individuare
nel dettaglio le affinità riscontrate da Ortiz.
La poesia in questione è O rămâi [Oh resta] del 1879, le cui vicinanze con Carducci sono state
notate anche da Gino Lupi.296 Ecco il testo della poesia nell’originale romeno:

"O, rămâi, rămâi la mine – | Te iubesc atât de mult! | Ale tale doruri toate | Numai eu știu să le-ascult; || În
al umbrei întuneric | Te asamăn unui prinț, | Ce se uit-adânc în ape | Cu ochi negri și cuminți; || Și prin
vuietul de valuri, | Prin mișcarea naltei ierbi, | Eu te fac s-auzi în taină | Mersul cârdului de cerbi || Eu te văd
răpit de farmec | Cum îngâni cu glas domol, | În a apei strălucire | Întinzând piciorul gol || Și privind în luna
plină | La văpaia de pe lacuri, | Anii tăi se par ca clipe, | Clipe dulci se par ca veacuri." || Astfel zise lin
pădurea, | Bolți asupră-mi clătinând - | Șuieram l-a ei chemare | Ș-am ieșit în câmp râzând. || Astăzi chiar
de m-aș întoarce | A-nțelege n-o mai pot... | Unde ești, copilărie, | Cu pădurea ta cu tot?297

Questa invece è la traduzione di Ramiro Ortiz


— «Oh, resta, resta con me, | t’amo così forte! | Le tue tristezze tutte | so comprenderle io solo; || nella
tenebra dell’ombra | t’assomiglio a un fiore [lett. ‘principe’] | che guardi nel profondo dell’acque | con occhi
tristi e buoni; || e tra il crosciar dell’onda | e il muoversi dell’erbe alte, | son io che ti fo sentire | passar le
mandre dei cervi. || Ti veggo rapito, estatico, | sussurrar con accento tranquillo, | ti veggo stendere il piede
| nudo nell’acqua lucente, || e, guardando a luna piena | nella bruma dei laghi, | gli anni tuoi sembran

292
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 191.
293
Cfr. Ramiro Ortiz, Letteratura romena, cit., p. 85.
294
Ibid.
295
OEN, vol. III, p. 280.
296
Cfr. Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., p.172.
297
Mihai Eminescu, Poezii, Editura Pentru Literatura, București, 1969, p. 454.

114
momenti, | dolci momenti che paion secoli». || Così dice lene il bosco, | agitandomi i rami sul capo; |
zufolavo al suo invito, | e uscivo ridendo tra i campi. || Oggi..., quand’anco tornassi, | non lo potrei intendere
più. | Dove sei... o fanciullezza, | col bosco tuo, con... tutto?298

Anche in Davanti san Guido, poesia composta da Carducci fra il 1874 e il 1886 e tradotta in
romeno solo nel 1923 da Adolf Stern,299 il Nostro dialoga con degli alberi, i cipressi, che lo invitano
a rimanere («Perché non scendi? Perché non ristai?» v. 7), dichiarando una conoscenza dell’anima e
della storia del poeta profonda e intima, molto vicina alle parole del bosco in Eminescu.
A questo proposito si confrontino i versi di Carducci «A la querce ed a noi qui puoi contare |
l’umana tua tristezza e il vostro duol» (vv. 41-42) con «Ale tale doruri toate | Numai eu știu să le-
ascult» [«Le tue tristezze tutte | so comprenderle io solo» vv. 2-3]: in entrambi i distici il mondo della
natura si apre all’anima del poeta, manifestando vicinanza e comprensione con espressioni molto
vicine.
L’invito a rimanere, poi, è presente nella poesia di Eminescu «O, rămâi, rămâi la mine – | Te
iubesc atât de mult!» [«Oh, resta, resta con me, | t’amo così forte!» vv. 1-2] come nella poesia di
Carducci («Nidi portiamo ancor di rosignoli, | deh, perchè fuggi rapido così? | Le passere la sera
intreccian voli | a noi dintorno ancora. Oh, resta qui!» vv. 13-16), vicinanza questa già notata da
Ramiro Ortiz.300
Oltre a questa poesia, considerata «tra le più caratteristiche»,301 un discorso a parte lo merita il
poema Luceafărul [Lucifero], vicino, per anni di composizione e per temi, all’Inno a Satana302 di
Carducci.303
Già Giuseppe Manitta, autore di vari studi di italianistica, ha fornito un confronto fra il testo di
Eminescu e quello di Carducci nel suo saggio Mihai Eminescu e la «Letteratura Italiana» che
contiene l’intervento L’«ange dechu» e la modernità letteraria. Eminescu e Carducci.
Vale la pena ricordare il lavoro di Manitta, integrando le sue considerazioni con una
presentazione puntuale dei due testi.
Il titolo romeno del poema di Eminescu è stato anche tradotto in italiano L’astro,304 ma
facciamo nostra la più recente traduzione italiana di Sauro Albisani305 che rende il termine romeno
Luceafărul quasi letteralmente con Lucifero. Fra la versione di Ramiro Ortiz e quella di Albisani, in

298
Ramiro Ortiz, Letteratura romena, cit., p. 84.
299
Cfr. Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 188.
300
Cfr. Ramiro Ortiz, Letteratura romena, cit., p. 84.
301
Ibid.
302
OEN, vol. II, p. 377.
303
Cfr. Giuseppe Manitta, Mihai Eminescu e la «Letteratura Italiana», Il Convivio, Castiglione di Sicilia, 2017, pp. 87-
103.
304
Cfr. Ramiro Ortiz, Letteratura romena, cit., p. 89.
305
Cfr. Mihai Eminescu, Lucifero, a cura di Marin Mincu, traduzione di Sauro Albisani, Scheiwiller, Milano, 1989.

115
lingua italiana il capolavoro romeno è stato tradotto da Rosa Del Conte, Marco Cugno e Geo
Vasile.306
La composizione può dirsi un poema breve o un poemetto di 392 versi divisi in 92 quartine.
Uscito nel 1883, si ispira, come abbiamo già affermato, alla fiaba Fata în grădina de aur [La fanciulla
nel giardino d’oro], rielaborata da Eminescu grazie ad un testo tedesco di Richard Kunisch.

La bellissima principessa Catalina, innamorata dell’astro lucente Hyperion, ardentemente lo invoca; esso
per lei si trasforma in un pallido giovane dagli occhi ardenti, ma si sente da lei respinto perché troppo
diversa è la loro natura. Per essere amato chiede a Dio di divenire mortale, ma l’Essere supremo in risposta
gli fa scorgere tra i fiori la principessa abbracciata a un paggio.307

Il poema conserva il filo narrativo specifico del mondo favolistico: una bellissima fanciulla e
l’astro Espero-Iperione si incontrano in un amore che supera le leggi umane e della natura, ma il poeta
inserisce gli eventi in una dimensione onirica, inesistente nella fiaba d’origine.
L’astro subirà due metamorfosi (tra l’altro, il “sovrano”, il “giovane voivoda”, dall’aspetto
sempre spettrale, marmoreo, toccato dall’ala della morte, è un’ipostasi paradigmatica del genio
nell’opera emineschiana), metamorfosi in seguito alle quali si presenterà come figlio degli elementi
primordiali (il cielo e il mare, il sole e la notte), invitando la fanciulla a seguirlo, prima nei “palazzi
di corallo” dell’oceano e poi “nei suoi cieli”.
Al primo invito segue il primo rifiuto; al secondo, la fanciulla chiede a Espero di rinunciare alla
sua immortalità. L’astro è sul punto di accettare, però la lezione della Divinità, a cui egli è salito con
un volo cosmico a ritroso nel tempo, gli ricorda la sua natura eccezionale di spirito puro, di Iperione.
Isolato nella sua “fredda immortalità”, egli rifiuterà l’amore umano, dopo aver assistito
all’idillio della fanciulla, chiamata ora Catalina, con il paggio Catalino, che le ha fatto dimenticare il
“sogno d’astri”.
Il più famoso degli inni di Carducci, invece, fu composto nel 1863, uscì nel novembre 1865 e,
in polemica con l’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano I, sulla rivista Il popolo l’8 dicembre
1869, per poi essere incluso nel 1881 in Levia Gravia.
Con ‘Satana’ Carducci intende “tutto ciò che di nobile e bello e grande hanno scomunicato gli
asceti e i preti con la formola Vade retro Satana; cioè la disputa dell’uomo, la resistenza all’autorità
e alla forza, la materia e la forma degnamente nobilitate”.308 Per lui ‘Satana’ incarna il libero pensiero,
il progresso, la natura. Il Nostro scrive, in risposta a Quirico Filopanti su «Il popolo» il 10 dicembre
1869:

306
Cfr. Giuseppe Manitta, Mihai Eminescu e la «Letteratura Italiana», cit., pp. 77-78.
307
Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., p.173.
308
L, vol. III, p. 378.

116
Satana per gli asceti è la bellezza, l’amore, il benessere la felicità. […] Ecco, nella caricatura ridicola della
leggenda, quel feroce ascetismo che rinnegò la natura, la famiglia, la repubblica, l’arte, la scienza, il genere
umano; che soppresse, a profitto della vita futura, la vita presente; che, per amore dell’anima, flagellò,
scorticò, abbrustolì, agghiadò il corpo.309

Nell’inno A Satana si fondono per la prima volta l’ispirazione classica, o neopagana, e l’anelito
civile e politico. Il testo “rappresenta in modo pieno la svolta intellettuale dei primi anni bolognesi
[…]. Diventò, per eccellenza, un inno libertario, possibilmente connotato da riferimenti cripto-
massonici, l’espressione dell’affrancamento contro ogni forma di potere, resa nella forma, già cara a
Carducci, del brindisi”.310
L’inno si conclude con l’immagine del treno, propria di molte poesie di Carducci: si pensi al
treno come simbolo di progresso – proprio come in A Satana – in La vaporiera e Alle fonti del
Clitumno, come elemento che descrive la fugacità della vita (Alla stazione in una mattina d’autunno
e Davanti San Guido), oppure come luogo dal quale sono descritti molti paesaggi carducciani
(Traversando la Maremma toscana).311
La figura del Diavolo, di Lucifero, l’angelo decaduto, ha abitato opere importanti della
letteratura occidentale, dalla Divina Commedia di Dante al Baldus di Teofilo Folengo, dal Paradiso
perduto di Milton al Faust di Goethe e “nel dibattito critico italiano sulla letteratura del secondo
Ottocento si vede, proprio in questi anni, la ricerca di una modernità letteraria, se non la
contemporaneità di autori come Carducci”.312
Sia Carducci che Eminescu affrontano con spirito contemporaneo il tema della
rappresentazione dell’ange déchu e stravolgono una tradizione che viene fatta propria da molta
letteratura occidentale. Non si può dimostrare che il testo di Carducci abbia fatto da ipotesto al
Luceafărul di Eminescu, ma entrambi i componimenti rinnovano la visione di Satana nella letteratura
europea, con punti di contatto molto importanti.
L’impostazione metrica e strofica delle due opere risulta essere simile: Carducci utilizza l’inno-
brindisi – cinquanta quartine di quinari sdruccioli e piani alternati («A te, de l’essere | principio
immenso, | materia e spirito | ragione e senso […]» vv. 1-4) – Eminescu l’ode classica («A fost odată
ca-n povești, | A fost ca niciodată, | Din rude mari împărătești, | O prea frumoasă fată» - «Ci fu come
nelle leggende, | ci fu una volta sola, | di celebri re discendente | una spledida figliola» trad. di Sauro
Albisani). Entrambi i poeti, in ogni caso, distribuiscono il testo in quartine.313

309
OEN, vol. II, p. 89.
310
Francesco Benozzo, Carducci, cit., p. 122.
311
Cfr. Ivi, pp. 123-124; Francesca Strazzi, «Ora eccoti Satana». Il treno nella poesia carducciana, in «Studi sul
Settecento e l’Ottocento», anno II, 2007, pp. 73-84.
312
Giuseppe Manitta, Mihai Eminescu e la «Letteratura Italiana», cit., p. 90.
313
Cfr. Ivi, p. 91.

117
Da un punto di vista contenutistico, Mihai Eminescu inserisce nel suo poema risvolti filosofici
non presenti in Carducci e che attingono – come ha dimostrato Marco Cugno – allo gnosticismo, a
Scoto Eriugena, facendo del poeta romeno un autore molto vicino a Leopardi, capace di interiorizzare,
grazie ad una profonda interreligiosità, la lotta fra divino ed umano.314
È nella coscienza del personaggio – come scrive Dumitru Popovici – che “si svolge il conflitto
fra divino e umano, tra cielo e terra, che incontriamo spesso nella letteratura ‘titanica’ del
romanticismo”.315
Il così detto ‘titanismo’, il conflitto cioè fra divino e umano, tema proprio del poema romeno,
è presente anche nell’inno di Carducci, riflettendo così, in entrambi i componimenti, “un momento
letterario europeo caratterizzato da una crisi della coscienza romantica stessa”.316
Nell’ inno A Satana al conflitto emineschiano corrisponde un senso cosmico della poesia, che
critica – per dirla con Carducci – quella “caricatura ridicola della leggenda, quel feroce ascetismo che
rinnegò la natura, la famiglia, la repubblica, l’arte, la scienza, il genere umano; che soppresse, a
profitto della vita futura, la vita presente”.317
Tuttavia se “la concezione di Eminescu è mitica e onirica, romantica si può dire, la dimensione
di Carducci è razionale e meno visionaria […]. I poeti risentono ambedue di caratteri comuni e molti
aspetti dei due inni sono similari”.318
In entrambi i poemi l’angelo decaduto è ente della materia incorporea: è invocato da Carducci
con un verso che si «disfrena», cioè, è ‘libero da ogni freno’, e capace, per Eminescu, di oltrepassare
il vetro per raggiungere la donna che lo invoca.319
Sia Luceafărul che A Satana sono messi in relazione da una forte carica amorosa ed erotica;
“tutto il poema di Eminescu – infatti – possiede la carica seduttrice della giovane che cerca di
conquistare Luceafărul”320 e, nell’inno carducciano, a Satana “ferveano | le danze e i cori, | […] i
virginei | canididi amori” (vv. 77-80).
Se Satana di Carducci compare su un carro di fuoco (“Passa benefico | di loco in loco | su
l’infrenabile | carro del foco” vv. 189-192), il Lucifero di Eminescu rimanda a Iperione che generò,
con la sorella, il sole e la luna.
Il Luceafărul-Iperione di Eminescu esce dal mare, oltrepassa gli oggetti corporei (“E l’acqua
dov’egli è caduto | vortica a mulinello | e dall’abisso sconosciuto | esce un giovane bello. || Poi lieve

314
Cfr. Marco Cugno, Mihai Eminescu: nel laboratorio di ‘Luceafărul’, Ed. Dell’Orso, Alessandria, 2007.
315
Dumitru Popovici, Poezia lui Mihai Eminescu [1947-1948], Ed. Tineretului, București, 1969.
316
Giuseppe Manitta, Mihai Eminescu e la «Letteratura Italiana», cit., p. 94.
317
OEN, vol. XXIV, p. 91.
318
Giuseppe Manitta, Mihai Eminescu e la «Letteratura Italiana», cit., p. 97.
319
Cfr. Ivi, pp. 97-98.
320
Ibid.

118
attraversa il vetro | della finestra come una soglia | e tiene nel pugno uno scettro | circondato di foglie”.
Trad. di Sauro Albisani), come in Carducci “un bello e orribile | mostro si sferra, | corre gli oceani |
corre la terra” (vv. 168-172).321

La rappresentazione marina e terrena di Lucifero corrisponde ad altri due elementi dell’immaginario dei
poeti. Il personaggio in ambedue gli inni non viene rappresentato nella dimensione negativa della letteratura
medievale […] ma vive tutto il desiderio di libertà. Non a caso la descrizione del volare e dell’essere in
libertà è ampiamente presente.322

La decadenza di Lucifero è affrontata da entrambi i poeti con termini simili, ma da personaggi


diversi: Iperione di Eminescu “vola, nuota, | pensier che la voglia soverchia, | fin quando scompare
nel vuoto”; il treno di Carducci “sorvola i baratri; | poi si nasconde | per antri incogniti | per vie
profonde”.
Anche l’aspetto conviviale è egualmente trattato in entrambi i poemi: in Carducci “mentre ne’
calici | il vin scintilla | sì come l’anima | ne la pupilla” (vv. 9-12), in Eminescu compare il personaggio
di Catalino “un paggio astuto ed abile | che riempie le coppe di vino | ai commensali a tavola” (trad.
di Sauro Albisani). Anche Venere che nasce dalla spuma del mare, presente in Carducci con l’epiteto
«Anadiomene» (v.72), è richiamata da Eminescu nel Luceafărul dove si presenta il rito della
fecondazione richiamando alla spuma del mare.323
Nelle poesie, tradotte in italiano, di Mihai Eminescu che Ramiro Ortiz pubblica in Italia nel
1927, ne possiamo leggere una (la numero LXIX) dal titolo Odă în metru antic [Ode in metrico
antico, 1883].324
Nell’ode, in strofa saffica, il poeta, arricchendo il testo con riferimenti mitologici («Jalnic ard
de viu chinuit ca Nessus, | Ori ca Hercul înveninat de haina-i» – «Miseramente ardo nei tormenti di
Nesso | o, come Ercole, avvelenato dalla camicia fatale» vv. 9-10), descrive una imminente
sensazione di morte, alla quale non era abituato prima.
Il testo, datato 1883 – lo stesso anno della pubblicazione di Luceafărul – è impaginato secondo
lo schema della strofa saffica minore, così come fa Carducci nelle sue Odi barbare, la cui prima
edizione risale a sei anni prima.

Nu credeam să învăț a muri vrodată;


Pururi tânăr, înfășurat în manta-mi,
Ochii mei nălțam visător la steaua
Singurătății.

321
Cfr. Ivi, pp. 98-99.
322
Ibid.
323
Cfr. Ivi, p. 101.
324
Cfr. Mihai Eminescu, Poesie, tradotte da Ramiro Ortiz, Sansoni, Firenze, 1927, p. 117.

119
5 Când deodată tu răsăriși în cale-mi,
Suferință tu, dureros de dulce...
Pân-în fund băui voluptatea morții
Nendurătoare.

Jalnic ard de viu chinuit ca Nessus,


10 Ori ca Hercul înveninat de haina-i;
Focul meu a-l stinge nu pot cu toate
Apele mării.

De-al meu propriu vis, mistuit mă vaiet,


Pe-al meu propriu rug, mă topesc în flăcări...
15 Pot să mai renviu luminos din el ca
Pasărea Phoenix?

Piară-mi ochii turburători din cale,


Vino iar în sân, nepăsare tristă;
Ca să pot muri liniștit, pe mine
20 Mie redă-mă!325

La traduzione di Ramiro Ortiz segue l’originale:

Non avrei creduto mai d’imparare a morire:


eternamente giovine, avvolto nel mio mantello,
gli occhi sognanti fiducioso alzavo alla stella
della solitudine.

5 Quand’ecco che tu apparisti sulla mia strada,


tu, o Sofferenza, dolorosamente dolce....
e tutta io bevvi la voluttà della morte
inesorata!

Miseramente ardo nei tormenti di Nesso


10 o, come Ercole, avvelenato dalla camicia fatale,
nè il mio fuoco spegner posson tutte
l' acque del mare.

Consumato dal mio stesso sogno mi lamento,


e sul mio stesso rogo svanisco tra le fiamme....
15 potrò da esse risorger lieto come
l' uccel Fenice?

Via dalla mia strada, voi, occhi ammaliatori!


Tornami nell’animo, triste indifferenza,
fa’ di ridare, perch’io muoia in pace,
20 me a me stesso!326

In fondo al volume, Ramiro Ortiz offre ai lettori un ampio commento all’ode, nel quale cerca
di ricostruire quali elementi, nella formazione di Eminescu, possano avergli fornito l’ispirazione per
la stesura di un testo in metro antico. Ortiz scrive così:

325
Mihai Eminescu, Poezii, cit., p. 573.
326
Mihai Eminescu, Poesie, tradotte da Ramiro Ortiz, Sansoni, Firenze, 1927, p. 117.

120
La cultura classica di Eminescu pare fosse più estesa di quanto dalle sue poesie non appaia. Lo Stefanelli,
scrive a questo proposito: “Orazio dovè piacergli molto, giacché spesso, quand’eravamo tutti e due studenti
all’Università di Vienna, mi recitava a memoria odi intere di questo poeta e specialmente: Beatus iile qui
procul negotiis e Eheu! fugaces, Postume, Postume, labuntur anni! ed inoltre qualche strofa del Carmen
Saeculare. S’era anche approfondito nei metri antichi e gl’intenditori leggono con piacere l’ode: Non avrei
mai creduto d’imparare a morire scritta nel più rigoroso metro saffico”. Per quanto a me non sembri che
questo tentativo di Eminescu sia troppo riuscito, e ritenga che l’idea di rinnovare in questa poesia un metro
classico gli sia venuta piuttosto dalla poesia tedesca, ch’egli conosceva a menadito, che direttamente da
Orazio; pur nondimeno esso ha la sua importanza anche perchè, che io sappia, è rimasto isolato.327

Come vedremo, a differenza di quanto scrive Ortiz, l’esperimento di Eminescu non rimarrà
isolato, perchè proverà a scrivere in metro antico Duiliu Zamfirescu, che andrà ad attingere proprio
alle barbare carducciane.
Quello che interessa è vedere come, questo esperimento di Eminescu, prenda le mosse, a detta
di Ortiz, «dalla poesia tedesca»,328 che ha fornito ispirazione allo stesso Carducci per la composizione
delle sue Odi barbare.329 Di fatti, il Nostro scrisse in una lettera a Chiarini del primo gennaio 1874:
“Ho voglia di fare delle elegie in esametri e pentametri come Goethe. Non so perché quel che egli
fece col duro tedesco non possa farsi col flessibile italiano”.330
Negli stessi anni settanta in cui Carducci metteva insieme le sue Odi barbare per poi
pubblicarne la prima edizione nel 1877, Eminescu si trovava a Berlino per i suoi studi accademici,
finanziati dal Maiorescu, in quella Germania che ispirava sia in lui sia nel poeta professore italiano
l’esperimento della trasposizione nelle lingue contemporanee del metro antico.
Per quanto concerne Mihai Eminescu, quindi, non è possibile dimostrare, almeno al momento,
che conoscesse direttamente Carducci e si sia ispirato al Nostro per comporre i suoi capolavori. È
stato possibile vedere, però, come temi comuni abbiano animato entrambi gli autori, rendendo la
sensibilità del poeta maremanno molto vicina a quella del più importante poeta romeno dell’Ottocento
ed è altresì possibile notare come questa sensibilità comune si sia espressa con figure letterarie e un
lessico molto simile nelle poesie di Eminescu e in quelle di Carducci.
Soprattutto la comune passione per la letteratura tedesca, testimoniata dalla nota dell’Ortiz,
avvicina il poeta romeno a quello italiano; entrambi, infatti, hanno trovato, nei medesimi testi e negli
stessi anni, la fonte per sperimentare il ritmo del metro antico in poesie composte in lingue moderne.
Inoltre sono testimoniati gli sforzi della critica passata (si pensi al testo di Napoleone Crețu e
alle considerazioni di Ramiro Ortiz) e presente (si considerino le analisi di Giuseppe Minnitta) di
mettere in relazione più o meno diretta Mihai Eminescu e Giosue Carducci.

327
Ivi, p. 157.
328
Ibid.
329
Cfr. Francesco Benozzo, Carducci, cit., pp. 170-171.
330
L, vol. IX, p. 5.

121
Dall’analisi proposta ne consegue una condivisibile visione di un giudizio di Maria Dell’Isola:
“benchè i due poeti differiscano profondamente per la concezione della vita e del mondo, si potrebbe
indagare a fondo quali e quante affinità si riscontrino in tali artisti, entrambi ricchissimi di contenuto
lirico”.331

3.4.2 Giosue Carducci e Duiliu Zamfirescu

Duiliu Zamfirescu nacque a Plăinești il 30 ottobre 1858. Dopo la laurea in legge a Bucarest nel
1880, cominciò a dedicarsi al giornalismo avvicinandosi dapprima alla rivista «Literatorul», per poi
passare ai junimisti, avendo già iniziato la collaborazione con «Convorbiri literare».
Fu inviato come segretario diplomatico a Roma nel 1888, dove sposò Enrichetta Allievi. “I più
begli anni – mette in evidenza Alexandru Săndulescu nel suo saggio su Zamfirescu e Roma – e anche
i più fecondi dello scrittore e del diplomatico romeno si collegano al fascino di Roma; egli seppe
svegliare l’interesse dei suoi compatrioti per la madre Roma e in generale per l’Italia, matrice di
latinità, culla del Rinascimento e quindi della cultura europea moderna”. 332
Fatta eccezione per un breve soggiorno ad Atene, rimase a Roma fino al 1906. Rientrò in
Romania nel 1908, dove rivestì vari incarichi diplomatici e culturali, fino a diventare presidente della
società degli scrittori romeni nel 1916, ministro degli Esteri, deputato e senatore. Morì il 3 giugno
1922.333
Nell’arco della sua vasta attività letteraria pubblica raccolte di poesie come Fără titul [Senza
titolo, 1883], Alte orizonturi [Altri orizzonti, 1884] Lunile [I mesi] Imnuri păgâne [Inni pagani],
Poezii nouă [Nuove poesie], Pe marea neagră [Sul mar Nero].
Zamfirescu è stato scrittore anche di romanzi; ne sono un esempio Viața la țară [Vita in
campagna, 1893], Tănase Scatiu 1895; În război, [In guerra, 1897], Îndreptări [Migliorameti, 1901]
e Anna del 1910.334
Il suo primo volume di poesie, Fără titul [Senza titolo], apparso nel 1883, comprende poemetti,
liriche e poesie per album; nella raccolta Alte orizonturi [Altri orizzonti], del 1894, sono pubblicati
dei componimenti influenzati “dall’opera del Leopardi e più ancora del Carducci, specialmente per
quanto riguarda ricerca di rime e varietà di ritmi di ispirazione classica”.335

331
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 191.
332
Alexandru Săndulescu, Duiliu Zamfirescu e Roma, in «Columna – Annuario dell’Accademia di Romania in Roma»,
cit., p. 99.
333
Cfr. Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., pp. 244-245.
334
Cfr. Ivi, pp.244-254.
335
Ivi, p. 245.

122
Nel componimento De la villa Tuscolana imitò l’esametro barbaro, “e lo fece magistralmente,
meglio di qualsivoglia altro poeta romeno”;336 c’è da dire, in via preliminare, che la traduzione della
metrica barbara “è impossibile in qualsiasi lingua che non comporta poesia basata sull’accento”,337
ma “la prosodia romena accoglie i metri antichi e si presta meglio alla trasposizione dell’ode
carducciana”. 338
Addirittura, prima di riportare il componimento, Zamfirescu definisce il metro, parlando di
dactili și trochei [dattili e trochei], cioè esametri dattilici e trocaici, secondo la dicitura classica e la
ricostruzione barbara poi fatta da Carducci, utilizzata nelle sue Odi barbare.
Riportiamo, seguendo l’impaginazione originale per mettere meglio in evidenza la
corrispondenza fra il metro carducciano e quello del poeta romeno, i primi versi di De la villa
Tuscolana, tradotti in italiano da Alexandru Săndulescu.

Tristele umbre se lasă pe văi de sus de pe dealuri


Singure, palide, pline de-o lume vie de basme:
Bradul, umbrela și-o-ntinde pe muchea arsei coline;
Mierla șăgalnică țipă prin grase tufe de lauri.
Cicero, vechiule stâlp al acestor clasice locuri,
Scoală din pulberea vremilor. Uite: colo, pe valea
Tibrului, urmele Romei antice tremură încă.

[…]

Astfel grăiește un glas din ruine. Nimeni n-aude.


Brațe vânjoase întind Apeninii către cetate
Roma din vale privește pe gânduri coamele ninse.
Soarele moare prelung în adâncul mărilor Tusce.339

Ecco la traduzione:

Le ombre tristi scendono sulle valli dalle colline


sole, pallide, piene di una viva luce da favola:
il pino stenede il suo ombrello sul margine dell’arso colle,
il merlo grida scherzoso tra i grassi cespugli d’alloro
sporgenti dalla polvere dai tempi. Guarda: là, sulla valle
del Tevere, le orme dell’antica Roma tremolano ancora.

[…]

Così parla una voce dalle rovine. Nessuno la sente.


Gli appennini tendono forti le braccia verso la città,
Roma dalla valle guarda pensierosa le cime nevose.
Il sole muore a lungo nel profondo dei mari Tuschi.340

336
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 171.
337
Ivi, p. 264.
338
Ivi, p. 270.
339
Duiliu Zamfirescu, Opere, vol. I, Editura Minerva, București, 1970, p. 64.
340
Alexandru Săndulescu, Duiliu Zamfirescu e Roma, in «Columna – Annuario dell’Accademia di Romania in Roma»,
cit., p. 97.

123
Sarà sufficiente confrontare l’andamento ritmico del testo romeno con un brano in esametro
barbaro di Carducci per apprezzare la vicinanza prosodica e l’esito felice dell’esperimento.
Altre poesie di Zamfirescu sono ispirate da componimenti carducciani che celebrano i
monumenti del passato. Poesie come la precedente o La Villa Aldobrandini341 e Castel fusano
[Castello fusano]342 – tutti inseriti nella raccolta del 1894 – risentono di testi quali Dinanzi alle terme
di Caracalla, Davanti al Castel vecchio di Verona; componimenti come Anienul [L’aniene] di Alle
fonti del Clitumno mentre Ursul [L’orso] di A Giuseppe Garibaldi e Alle Valchirie.343
Nella poesia Boul [Il bove] “conserva la sua individualità poetica, anche quando prende di sana
pianta al Carducci il tema della sua composizione”.344
Ecco il testo romeno:

De-a pururi trist, în mijlocul câmpiei, | Voinicul bou privește înainte, | Cu ochii mari, cu sufletul cuminte,
Ca un simbol antic al poeziei. || Și parcă-ar vrea să spuie prin cuvinte | Că a rămas el paznicul moșiei, | Căci
toți s-au dus în lumea veciniciei, | Iar Lațiul e țară de morminte. || Trec norii, trec, spre asfințit de soare, |
Înveșmântând senina lui tăcere | Într-un mister de umbre călătoare. || El pleacă trist să cate mângâiere |
Urmând pe jos un lung șir de cucoare | Ce cântă-n zbor o notă de durere.345

Questa, invece, è la traduzione riportata da Maria Dell’Isola:

Sempre triste in mezzo alla campagna | il bove robusto guarda a sé d’innanzi| co’suoi grandi occhi, con la
sua espressione intelligente | egli sembra un simbolo antico della poesia. || Come s’ei volesse esprimere nel
linguaggio umano | che è qui rimasto, a custodia di questo territorio. | Poiché tutto era scomparso
nell’eternità | ed il Lazio è il paese delle tombe. || Le nuvole s’avviano verso il sole cadente | avvolgendo il
sereno silenzio | d’un mistero d’ombre trascorrenti. || Egli se ne va tristemente a cercar riposo, | seguendo,
all’orizzonte, una lunga fila di gru | che gettano nell’aria una nota di dolore.346

Secondo la Dell’Isola, poi, “l’analisi della struttura profonda dell’ode Pe Acropole [Su
Acropoli]347 sembra avvicinarla maggiormente al Carducci”,348 per quanto sia evidente il richiamo a
Renan.349 È l’apostrofe direttamente indirizzata a Minerva che, secondo la saggista, richiamerebbe
dei componimenti carducciani di argomento classico.

Ah! ajută-mă acuma, tu, Minervă înțeleaptă, | Să găsesc printre atâtea lucruri nouă ce mă mint, | Drumul
către Salamina și navarcul ce așteaptă | Să mă-ntoarcă la Megara, Eleusis și Corint. (vv. 21-25)350

341
Duiliu Zamfirescu, Opere, cit., p. 67.
342
Ivi, p. 72.
343
Cfr. Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., pp. 171-172.
344
Ivi, p. 172.
345
Duiliu Zamfirescu, Opere, cit., p. 69.
346
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 172.
347
Duiliu Zamfirescu, Opere, cit., p. 63.
348
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 174.
349
Ibid.
350
Duiliu Zamfirescu, Opere, cit., p. 63, traduzione in Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 174:
«Oh! Aiutami ora, tu, sapiente Minerva, | Trova tra tante cose nuove che mi colpiscono, | La strada per Salamina e la nave
che mi aspetta | Il mio Ritorno a Megara, Eleusis e Corinto».

124
In questo autore, a differenza di quanto visto per Eminescu, dove le somiglianze erano
tematiche e stilistiche ma non vi era nell’autore romeno una derivazione diretta dal Nostro, è invece
evidente come siano i testi carducciani e l’esperimento delle Odi barbare la matrice originaria di una
parte della poesia di Zamfirescu.
I testi composti a Roma nel 1894, il rifacimento del Bove, le traduzioni in romeno di Fantasia
e Alle fonti del Clitumno, con la corposa nota introduttiva sulla modalità di traduzione, sono elementi
che dimostrano un attento interesse dell’autore di Viața la țară [Vita in campagna] per Carducci e
testimoniano come, anche attraverso di lui, il poeta-vate sia giunto in Romania con stima e
considerazione.

3.4.3 Giosue Carducci e Octavian Goga

Octavian Goga nacque a Rășinari il 1° aprile 1881. Passò l’infanzia nel paese natio, per poi
frequentare il liceo ungherese a Sibiu, dove svolse attività irredentista fra gli studenti romeni. Offeso
da una lezione di storia di un professore ungherese, che denigrava i suoi sentimenti nazionali, passò
al liceo romeno di Brașov, poi alla facoltà di Lettere e Filosofia di Budapest che frequentò fino al
1904.351
In questo periodo (1902) fonda la rivista «Luceafărul», lavorando nella piccola tipografia
sotterranea e sfidando la polizia magiara. Trasferitosi all’Università di Berlino e poi di Parigi, dovette
abbandonare gli studi a causa della morte del padre (1905) e ritornò in patria, portando comunque
avanti la sua campagna irredentista fino al carcere a Seghedino.352
Divenne membro del Comitato Nazionale Romeno (1914), portò avanti la causa transilvana
anche durante gli anni della prima guerra mondiale. Nel 1919, terminato il conflitto, divenne membro
del consiglio direttivo della Transilvania e poi ministro dell’Istruzione nel governo dell’Unione
Nazionale, dei Culti (1920) e degli Interni (1926) nei governi di Alexandru Averescu.
Nel 1923 fu eletto membro dell’Accademia e nel 1924 ottenne il premio nazionale di poesia,
conseguendo nel 1932 la laurea ad honorem presso l’Università di Cluj. Ebbe l’incarico di formare il
governo, in qualità di membro del Partito Nazionale Cristiano, e di indire le elezioni (1937), che
perse, ciò che causò le sue dimissioni (1938). Morì improvvisamente nella sua villa di Cluj il 7 maggio
1938, dove venne sepolto.353

351
Cfr. Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., pp. 320-321.
352
Ibid.
353
Ibid.

125
Definito da Ortiz «cantore dei Romeni di Transilvania»,354 ancora fanciullo rimase turbato dalle
incarcerazioni e condanne seguite al Memorandum, il memoriale con cui nel 1892 i Romeni di
Transilvania si rivolsero all’imperatore d’Austria per denunciare la loro condizione di popolo
oppresso; da allora l’irredentismo costituì la cifra portante della sua poesia e della sua vita.355
Il primo volume, intitolato Poezii [Poesie, 1905], è ispirato dalla vita di un villaggio, sintesi –
secondo Goga – della stirpe romena.
Numerose, poi, sono le liriche singole comparse su rivista, in particolar modo su «Luceafărul»:
nel 1904 vi pubblicò Noi e Oltul, nel 1905 De la noi [Dalle nostre parti], che esprime la sofferenza
del popolo oppresso, la poesia Plugarii [I contadini oratori] e un poemetto sui contadini soggetti a
servitù della gleba nel latifondo [Clăcașii] che collega il volume di poesie del 1905 al secondo del
1909, Ne chiamă pământul [La terra ci chiama], nel quale sono contenute anche liriche di argomento
amoroso.356
Il terzo volume, Din umbra zidurilor [Dall’ombra dei muri, 1913], “esprime l’oppressione di
chi, lasciato il villaggio, è costretto a vivere nell’ambiente corrotto della città”.357 Un altro volume di
testi ha titolo Poezii [Poesie, 1921], mentre l’ultimo, pubblicato postumo, è intitolato Din larg [Dal
largo, 1939].
Come abbiamo già visto,358 Octavian Goga è autore di una traduzione della poesia carducciana
Profonda solitaria immensa notte, pubblicata prima su «Luceafărul», col titolo Noapte [Notte], nei
numeri 4-5 del 1907 (dove compare, nella firma, solo l’iniziale «G.»), 359 poi in «Flacăra» nel maggio
1915, dove la firma dell’autore compare per esteso.360
Se andiamo a leggere la poesia Oltul possiamo vedere, come nota Lupi, che “è probabile che il
giovane Goga conoscesse l’ode del Carducci Alle fonti del Clitumno […] perché alcuni atteggiamenti
la richiamano”.361
L’ode, come già abbiamo accennato, è stata pubblicata sulla rivista «Luceafărul» nel febbraio
1904362 ed è stata poi tradotta in italiano da Ramiro Ortiz.363
I contenuti dell’ode sono così riassunti da Lupi:

L’antico fiume Olt ispira al poeta concetti e figurazioni vigorose, espressi in una lingua quasi religiosa.
Dalla Transilvania l’Olt scende, attraverso i Carpazi, in Valacchia e in Oltenia, unendo da tempi

354
Ramiro Ortiz, Letteratura romena, cit., p. 150.
355
Cfr. Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., p. 322.
356
Cfr. Ivi, p. 324.
357
Ivi, p. 325.
358
Infra, p. 32.
359
[Octavian] G[oga], Noapte, in «Luceafărul», anno VI, numero 4-5, [Sibiu], 1905, p. 65.
360
Cfr. Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 291.
361
Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., p. 323.
362
Cfr. Octavian Goga, Oltul, in «Luceafărul», anno III, numero 4, [București], 1904, pp. 91-92.
363
Cfr. Ramiro Ortiz, Letteratura romena, cit., pp. 151-152.

126
immemorabili i destini di tutti i Romeni. I nostri canti, dice il poeta, dormono nelle tue acque profonde, ma
vi ribolle anche lo sdegno dei sogni infranti. Al tramonto vengono a te le fanciulle, all’alba le spose succinte
e vengono pastori con la cappa bianca, cantando sul piffero la loro nostalgia. Tu porti ora con te, nel tuo
corso, il dolore di una stirpe che attende giustizia, ma un tempo eri il padre di giovani fieri che a un tuo
grido di rivolta uscivano dai boschi e armati soltanto di scuri vincevano eserciti di cavalieri dalle armi
fulgenti. Ora tu sei impotente, ma se noi dovessimo tutti perire, vendicaci straripando impetuoso e portando
in altro paese le ceneri delle nostre tombe.364

Tenendo in considerazione che l’ode carducciana Alle fonti del Clitumno giunse in Romania
tradotta da Duiliu Zamfirescu – collaboratore saltuario di «Luceafărul» – nel 1894, è possibile che
Goga l’abbia letta, tenuta a mente e vi abbia trovato ispirazione.
Riportiamo il testo romeno dell’ode con la traduzione di Ramiro Ortiz; avendo già presentato
nel nostro lavoro il testo di Alle fonti del Clitumno non lo riproponiamo, richiamando solamente i
versi utili al confronto col testo di Goga.
Ecco il testo dell’ode di Octavian Goga in romeno:

Mult iscusita vremii slovă | Nu spune clipa milostivă | Ce ne-a-nfrățit pe veci necazul | Și veselia
deopotrivă... | Mărită fie dimineața | Ce-a săvârșit a noastră nuntă, | Bătrâne Olt! - cu buza arsă | Îți sărutăm
unda căruntă. || În cetățuia ta de apă | Dorm cântecele noastre toate | Și fierbe tăinuita jale | A visurilor
sfărâmate. | Tu împletești în curcubeie |Comoara lacrimilor noastre, | Și cel mai scump nisip tu-l duci | În
vadul Dunării albastre. || La sânul tău vin, în amurguri, | Sfioase, fetele fecioare, | Și dimineața vin neveste
| Cu șorțul prins în cingătoare - | Și vin păstori cu gluga albă, | Din fluier povestindu-și dorul - | Și câte
cântece și lacrimi | Nu duce valul, călătorul... || Drumeț, bătut de gânduri multe, | Ne lași atât de greu pe
noi, | Îmbrățișându-ne câmpia, | Te uiți adesea înapoi. | Așa domol te poartă firea, | Căci duce unda-ți
gânditoare: | Durerea unui neam ce-așteaptă | De mult o dreaptă sărbătoare. || Demult, în vremi mai mari la
suflet, | Erai și tu haiduc, moșnege, | Când domni vicleni jurau pe spadă | Să sfarme sfânta noastră lege; |
Tu, frate plânsetelor noastre | Și răzvrătirii noastre frate, | Urlai tăriilor amarul | Mâniei tale-nfricoșate. ||
Cum tresăreau încremenite, | În jocurile lor buiestre, | Oștiri cu coifuri de aramă | Și roibi cu aur pe căpestre
| Când la strigarea ta de tată | Grăbeau din codri la poiene, | Strângând săcuri a subțioară, | Feciorii mândrei
Cosânzene. || Zdrobită-n praf, murea arama, | Și codrul chiotea, viteazul; | Iar tu, frăține, mare meșter, |
Biruitor frângeai zăgazul | Și,-mbujorându-te la față, | Treceai prin văile afunde, | Încovoindu-ți îndărătnic
| Mărețul tău grumaz de unde. || Slăvite fărmituri a vremii, | De mult v-am îngropat văleatul... | Neputincios
pari și tu astăzi - | Te-a-ncins cu lanțuri împăratul. | Ca unda ta strivită, gemem | Și noi, tovarășii tăi buni, |
Dar de ne-om prăpădi cu toții, | Tu, Oltule, să ne răzbuni! || Să verși păgân potop de apă | Pe șesul holdelor
de aur; | Să piară glia care poartă | Înstrăinatul nost' tezaur; | Țărâna trupurilor noastre | S-o scurmi de unde
ne-ngropară | Și să-ți aduni apele toate - | Să ne mutăm în altă țară!365

Questa, invece, è la traduzione di Ramiro Ortiz:


L’Olt. | Le sacre cronache de’ tempi andati | non ricordan l’attimo fatidico | che ci rese comuni per sempre
| affanni e gioia ugualmente... | Glorioso sia il mattino | che celebrò le nostre nozze, | vecchio Olt! Con
labbra sitibonde | baciamo l’onda tua canuta. || Rinchiusi nella tua rocca acquea | dormon tutti i nostri canti
| e ferve l’ascoso dolore | dei sogni infranti. | Tu intrecci in arcobaleni | il tesoro delle nostre lagrime, | e la
più preziosa rena tu porti | al guado del Danubio azzurro. || Al tuo seno vengono, al tramonto, | timide le
pure fanciulle, | ed al mattino vengono le spose | colle gonne ripiegate alla cintura. | E vengono i pastori dal
bianco mantello | raccontando colla zampogna il nostro dolore, | e vengon canti e lagrime, quanti | non può
trasportare il flutto errante... || Viandante tormentato da molti pensieri, | tu ci lasci indietro a malincuore, |
ed abbracciando le nostre pianure | spesso ti volti indietro. | Cosi calmo ti rende la natura | perchè l’onda
pensosa ti porta: | ti porta il dolore di un popolo che attende | da molto un meritato giorno di festa.||
Anticamente, in tempi di più ampio respiro, | eri anche tu «haidùc», o vegliardo! | Quando perfidi Signori
giuravan sulla spada | d’infranger la nostra santa legge, | tu, fratello dei nostri pianti, | e delle nostre rivolte

364
Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., p. 323.
365
Octavian Goga, Opere, Editura Minerva, București, 1967, vol. I, pp. 10-12.

127
fratello, | muggivi nella forza dolorosa | della tua terribile ira || Come stupefatti trasalivano | nei loro ludi
vittoriosi | gli eserciti dagli elmi di rame | ed i sauri dalle redini dorate, | quando al tuo paterno richiamo |
irrompevan dai boschi nelle radure | stringendo la scure sotto il braccio | i figli della fiera Cozinzeana. || In
frantumi cadeva il rame degli elmi | e ne esultava il bosco valoroso: | e tu, fratello, gran maestro di vittoria,
| rompevi gli argini potenti | e rosseggiante in volto | passavi attraverso i flutti profondi | curvando indomita
| la tua superba cervice di onde! || Gloriosi attimi del tempo | da tanto tempo la vostra vita è sepolta... |
Impotente, vecchio Olt, appari anche tu oggi, | che con catene t’avvinse l’Imperatore. | E come l’onda tua
oppressa gemiamo | anche noi, tuoi buoni amici, | ma, anche se tutti dovessimo morire, | tu, Olt, vendicaci!
|| Inonda con la tua impetuosa massa d’acqua | la distesa dei campi dorati; | scompaia la terra che porta | il
nostro tesoro divenuto straniero; | la cenere dei nostri corpi | rapisci dalle tombe dove ci seppelliranno; |
raccogli tutte le tue acque | ed emigriamo in un’altra terra!366

Già dalla struttura generale, è possibile notare una impostazione dell’ode da parte di Goga
piuttosto vicina a quella di Carducci: se in Alle fonti del Clitumno abbiamo “una introduzione
descrittiva, […] una serie d’evocazioni storiche”,367 con un passaggio brusco al presente («Tutto ora
tace», v. 104), anche in Oltul Octavian Goga loda le rive del fiume e descrive, in una corposa parte
di testo, i fatti storici di cui il corso d’acqua è stato testimone, passando, infine a descrivere, come
Carducci, gli eventi del tempo presente. („Când domni vicleni jurau pe spadă […] Slăvite fărmituri a
vremii” – “Quando perfini signori giuravan sulla spada […] Impotente, vecchio Olt, apparti anche tu
oggi”).
La prima parte delle due odi, poi, è molto simile. Carducci, nel descrivere le rive del Clitumno,
dedica sei strofe alla vita agreste del luogo: le greggi scendono al fiume, un «umbro fanciullo» (v. 6)
immerge nelle fonti una pecora, mentre «una poppante […] dal viso | tondo sorride» (vv. 9 -12), in
braccio alla «madre adusta | che scalza siede al casolare e canta» (vv. 9.10) e il «pensoso padre […]
regge il dipinto plaustro e la forza | de’ bei giovenchi» (vv.15-16).
Goga sintetizza tutto nella terza strofa: al fiume non viene il carducciano «umbro fanciullo»,
ma, al plurale: „La sânul tău vin, în amurguri, | Sfioase, fetele fecioare” (“Vengono, al tramonto, |
timide le pure fanciulle” vv. 17-18); invece della «madre adusta, […] scalza», ci sono „Și dimineața
vin neveste | Cu șorțul prins în cingătoare” (“Spose | colle gonne ripiegate alla cintura” vv.19-20); al
posto del «pensoso padre, di caprine pelli | l’anche ravvolto», alle acque dell’Olt scendono „Și vin
păstori cu gluga albă, | Din fluier povestindu-și dorul” («i pastori dal bianco mantello | raccontando
colla zampogna il […] dolore» vv.21-22).
Se Carducci dedica una ventina di strofe (vv. 25-103) agli eventi storici di cui il fiume umbro
è stato testimone, Goga rievoca i tempi delle invasioni straniere e dipinge l’Olt come alleato dei
romeni. In Carducci, la «torda buccina», la ‘tromba militare ricurva’, con un «grido» (vv.53-54),
richiamava gli abitanti del luogo alla lotta ai tempi delle guerre puniche: «O tu che pasci i buoi […],
che i proni colli ari […] e tu che i boschi abbatti […] corri, corri, corri! Con la scure | corri e co’

366
Octavian Goga, L’olt, traduzione di Ramiro Ortiz, in Ramiro Ortiz, Letteratura romena, cit., pp. 151-152.
367
Maria Dell’Isola, Carducci nella letteratura europea, cit., p. 173.

128
dardi, con la clava e l’asta: | corri!» (vv. 57-68); in Goga è l’Olt stesso a richiamare alla guerra il
popolo, descritto in una forma molto vicina a quella usata da Carducci:

Tu, frate plânsetelor noastre | Și răzvrătirii noastre frate, | Urlai tăriilor amarul | Mâniei tale-nfricoșate. ||
Cum tresăreau încremenite, | În jocurile lor buiestre, | Oștiri cu coifuri de aramă | Și roibi cu aur pe căpestre
| Când la strigarea ta de tată | Grăbeau din codri la poiene, | Strângând săcuri a subțioară, | Feciorii mândrei
Cosânzene (vv. 37-48)368

Come Carducci, dopo la rievocazione degli eventi storici, anche Goga dipinge la desolazione
contemporanea del luogo e della condizione sociale con termini molto vicini a quelli carducciani.
Basta confrontare versi quali “Tutto ora tace, o vedovo Clitumno | […] | Non più perfuso del tuo
fiume sacro | menano i tori, vittime orgogliose, trofei romani a i templi aviti: Roma | più non trionfa”
(vv. 105-112) con „Neputincios pari și tu astăzi Te-a-ncins cu lanțuri împăratul. | Ca unda ta strivită,
gemem | Și noi, tovarășii tăi buni” (“Impotente vecchio Olt appari anche tu oggi | che con catene
t’avvinse l’Imperatore. | E come l’onda tua oppressa gemiamo | anche noi, tuoi buoni amici” vv. 60-
64) per notare la vicinanza di immagini e di retorica.
Scorrendo le raccolte di poesie di Goga è possibile poi notare dei titoli di opere molto vicini a
testi di Carducci: nella raccolta Ne chiamă pământul [La terra ci chiama, 1909] vi sono due
componimenti dedicati alla forma poetica del sonetto dal titolo Sonet [Sonetto], appunto, proprio
come le due poesie dal medesimo titolo, anch’esse dedicate alla struttura metrica lentiniana, che
Carducci compose fra il 1865 e il 1870, inserendole nelle Rime nuove.
Gino Lupi, infine, nota che “In Din larg (Dal largo, 1939) pubblicato postumo, il poeta si
raccoglie in sé stesso e rievoca il suo passato, presentendo prossima la fine. La lirica che dà il titolo
al volume fa pensare a La piccolezza pascoliana, meno concisa e quindi meno efficace; mentre Poetul
può aver preso spunto da Il poeta carducciano, pur restando molto inferiore”.369

3.5 Conclusioni

In questo terzo capitolo abbiamo cercato di dare forma a tutta quelle serie di intuizioni emerse
nella prima parte del nostro lavoro.
Già scorrendo la storia letteraria romena erano comparsi punti di contatto fra autori della
Romania e le opere di Carducci e, leggendo attentamente l’intervento di Maria Dell’Isola, è possibile

368
Octavian Goga, Opere, cit., p. 11. Traduzione in Ramiro Ortiz, Letteratura romena, cit., p 152: “[…] tu (Olt), fratello
dei nostri pianti, | e delle nostre rivolte fratello, | muggivi nella forza dolorosa, | della tua terribile ira come stupefatti
trasalivano | nei loro ludi vittoriosi | gli eserciti dagli elmi di rame | ed i sauri dalle redini dorate, | quando al tuo paterno
richiamo | irrompevan dai boschi nelle radure | stringendo la scure sotto il braccio | i figli della fiera Cosînzeana”.
369
Gino Lupi, Storia della letteratura romena, cit., p. 300.

129
osservare come, a livello accademico e culturale, il Nostro sia penetrato nel contesto intellettuale
romeno tramite conferenze, lezioni e studi specifici.
La prima parte del capitolo, interamente dedicata all’opera di Ramiro Ortiz, ha messo in
evidenza come sia proprio Carducci il primo autore della letteratura italiana affrontato in un corso
specifico dell’Università di Bucarest; l’analisi di successive opere di Ortiz dedicate al poeta
maremmano ha permesso di constatare la cura con la quale nel contesto accademico romeno sia stata
approfondita e divulgata la produzione del poeta vate, permettendo così che il Nostro venisse
apprezzato e conosciuto in Romania.
La seconda parte del capitolo, realizzata prendendo spunto dalle intuizioni di Maria Dell’Isola,
poi approfondite con la consultazione dei testi dell’epoca, dà testimonianza di come gli intellettuali
romeni abbiano recepito Carducci, lo abbiano tradotto e commentato: dalle fatiche di Zamfirescu nel
tradurre con perizia Alle fonti del Clitumno, alle altre numerose traduzioni compiute da intellettuali
del calibro di Octavian Goga, la Romania di fine Ottocento e inizio Novecento è sede di una vasta e
complessa accoglienza del vate d’Italia. Questa ricezione spicca, come abbiamo visto, per aver
tradotto anche prose e non solo poesie di Carducci.
La divulgazione scientifica sul Nostro ha poi inizio con la monografia di Nicolae Iorga del
1894: la Romania conosce Carducci e lo celebra come grande poeta dodici anni prima che vinca il
Premio Nobel, grazie a esponenti di spicco del mondo culturale romeno che riconoscono e apprezzano
l’importanza del poeta-professore.
Abbiamo cercato anche di ricostruire la quantità e la natura degli studi su Carducci che si
susseguono in Romania, constatando un sensibile calo di interesse verso la poesia carducciana dalla
seconda metà degli anni trenta.
Tuttavia non si spegne nel mondo romeno – ne danno testimonianza gli studi citati di Nina
Façon degli anni cinquanta e sessanta, nonché i recentissimi lavori di Ioan Adam – la consapevolezza
del ruolo che Carducci ha avuto a livello europeo e, in riferimento agli studi di Adam, sull’opera di
autori romeni come Duiliu Zamfirescu.
L’ultima parte del capitolo, poi, è stata riservate ad alcune chiare e manifeste imitazioni di
Carducci in opere letterarie romene.
Se per l’opera di Eminescu non si può parlare di una filiazione diretta di alcuni suoi
componimenti da poesie carducciane – per quanto sia possibile, invece, rilevare alcuni comuni motivi
di ispirazione e una bibliografia che testimonia un interesse per la comparazione dell’opera

130
emineschiana con quella carducciana370– è invece possibile rilevare un’impronta importante di
Carducci, ad esempio, in Duiliu Zamfirescu e Octavian Goga.
Duiliu Zamfirescu riesce addirittura a ricostruire il metro barbaro in lingua romena, prendendo
spunto da temi e stili carducciani per alcune sue poesie ambientate a Roma come De la villa
Tuscolana o La Villa Aldobrandini; Octavian Goga, dal canto suo, scrive la poesia Oltul quasi
certamente tenendo presente la struttura e le forme di Alle fonti del Clitumno, per non parlare delle
poesie che si intitolano Sonet [Sonetto], vicine, per tema e impostazione, alle celebrazioni carducciane
del sonetto inserite nelle Rime nuove.
Carducci, quindi, non viene solo studiato quale autore della letteratura italiana e ricordato in
concomitanza di eventi di rilievo come l’assegnazione del Nobel o la sua morte, ma viene apprezzato
e tradotto già nella prima parte degli anni novanta dell’Ottocento, fino al terzo decennio del ventesimo
secolo.
Egli suscita un interesse tale da far sorgere inevitabili imitazioni della sua opera, contribuendo
così ad arricchire ed aumentare il già prezioso patrimonio della letteratura romena.

370
Cfr. Napoleone Crețu, Un motiv comun în Eminescu și Carducci in «Roma», agosto-settembre, [București], 1923; Cfr.
Giuseppe Manitta, Mihai Eminescu e la «Letteratura Italiana», cit., pp. 77-78.

131
CONCLUSIONI

Il percorso di studio e ricerca che abbiamo delineato in questa tesi, con una metodologia di
indagine che è andata procedendo dal generale al particolare, ha preso le mosse da un primo capitolo
compilativo, in cui è stata riassunta la storia civile e letteraria romena fra Ottocento e Novecento. Già
a questo livello dell’indagine è stato tuttavia possibile individuare degli intellettuali romeni interessati
alla figura di Carducci e impegnati in una sua divulgazione in Romania. I manuali consultati
associano i nomi di Ramiro Ortiz, Duiliu Zamfirescu, Octavian Goga, Ștefan Octavian Iosif e molti
altri alla poesia carducciana e forniscono indizi per una ricognizione sviluppata nei capitoli successivi
del nostro lavoro.
Nel secondo capitolo si è cercato di ricostruire, per quanto possibile in modo completo, il
rapporto che intercorreva fra Carducci e la Romania.
Indispensabile, per fornire un quadro ampio e accurato, è la ricostruzione della biografia e della
produzione letteraria di Carducci, con gli espliciti riferimenti alla Romania nelle sue opere in poesia
e in prosa.
Particolarmente pregevoli a tale fine sono i volumi di Maria Chițiu con le traduzioni
dell’Inferno e del Purgatorio di Dante Alighieri, inviati da lei stessa al poeta nel 1888, insieme a una
lettera autografa, da noi trascritta, di stima e apprezzamento da parte della traduttrice verso Carducci.
Questo primo contatto testimonia la conoscenza e la stima per il Nostro da parte del mondo romeno
fin dalla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento.
Sicuramente fondamentale per il del nostro lavoro è l’autografo di Giosue Carducci inviato a
Vasile Alexandrescu Urechia datato 11 giugno 1894 e oggi conservato nel volume Voci latine.
Ricostruendo l’intero contesto storico e cercando di collocare la figura di Urechia nel panorama
intellettuale romeno dell’epoca, è possibile dimostrare come Carducci abbia partecipato fattivamente
alle sorti dei romeni transilvani, non solo con un messaggio espressamente inviato ma anche
informandosi precedentemente – si notino a questo proposito i volumi rinvenuti a “Casa Carducci” –
e negli anni successivi al 1894, come testimoniano i numeri di «Liga Română» conservati nel museo
bolognese.
Il cartoncino, datato 1902, con la traduzione de Il bove ad opera di Nicolae Ținc e il bozzetto
di Ludovic Bassarab è l’ultimo contatto diretto fra la Romania e Carducci reperibile nella casa del
poeta. Abbiamo trascritto il testo romeno e abbiamo fornito una traduzione letterale del rifacimento
di Ținc, identificando sia la figura del traduttore sia quella del pittore Bassarab. La direzione di “Casa
Carducci” ha autorizzato la stampa del cartoncino suddetto nel presente lavoro, lasciando ai lettori la
possibilità di apprezzarne il pregio e la rara cura.

132
Questo materiale reperito, tuttavia, non esclude che Carducci possa aver avuto altri contatti con
la Romania. Il fatto che l’edizione nazionale delle lettere, curata da Manara Valgimigli, «nella scarsa
attendibilità filologica dei testi pubblicati»,
1
non riporti eventuali risposte del poeta a Maria Chițiu, Vasile Alexandrescu Urechia, Nicolae
Ținc, Ludovic Bassarab, non permette di dire con certezza che, cercando negli archivi romeni, non
sia possibile trovare ulteriore materiale manoscritto, prezioso per questa nostra ricerca.
Nel museo bolognese, non sono nemmeno attestati messaggi o lettere a Nicolae Iorga, per
quanto sia conservata a casa sua – e solamente lì sul territorio italiano – la prima monografia dedicata
a Carducci in Romania, Amintiri din Italia [Ricordi dall’Italia], pubblicata a Bucarest nel 1895.
Il secondo capitolo prosegue presentando materiale affine alla romenistica posseduto da
Carducci, ma non prodotto e consegnato al poeta da esponenti culturali romeni.
Il poemetto Italia e Romania di Severino Attilj è un gustoso testo poetico in strofa alcaica che
si apre citando i monti Carpazi, proprio come Carducci fa, pensando al popolo romeno, in una strofa
di Sicilia e rivoluzione.
Più ricco di dettagli e di storia è la conferenza di Pier Emilio Bosi tenuta a Bucarest il 27
febbraio 1901. Nel ricostruire il rapporto fra il tenente dei bersaglieri Bosi e Giosue Carducci è stato
possibile leggere e trascrivere in questa sede le lettere autografe del primo dove esplicitamente egli
parla della Romania al poeta.
La lettera del 28 maggio 1901 informa il Nostro dell’elogio a lui dedicato a Bucarest ed è
seguita dal testo della conferenza che il Bosi accompagna a una dedica autografa e invia al Carducci
nel corso del 1902.
Il poeta, come abbiamo visto, risponde a Pier Emilio Bosi il 7 dicembre 1902 ed esprime
gratitudine per le parole espresse dal tenente in Romania.
Nel ripercorrere la conferenza, tenuta nel prestigioso Ateneul Român, è stato possibile leggere
come Pier Emilio Bosi abbia dedicato a Giosue Carducci cospicue pagine di critica letteraria,
presentando a quel pubblico avveduto della capitale romena la poesia Piemonte; inoltre Bosi ha
ribadito in una nota del testo che l’uditorio si è alzato in piedi ad applaudire il nome di Carducci.2
Anche sulla figura di Pier Emilio Bosi rimangono aperte delle domande su aspetti che
potrebbero rivelari interessanti rispetto alla ricezione del Carducci in Romania: è possibile ricostruire
una sua accurata biografia? Cosa l’ha spinto ad andare a Bucarest? Chi lo ha aiutato in questa
impresa? Come è riuscito a tenere una conferenza nell’Ateneul Român? Solo un percorso di ricerca

1
Francesco Benozzo, Carducci, cit., p. 224.
2
Cfr. Pier Emilio Bosi, Italia e Romania: conferenza tenuta a Bucarest, lì 27 febbraio 1901, cit., p. 24, nota 1.

133
a Bucarest e in Romania può permettere di sciogliere queste domande che sorgono spontanee dinanzi
al materiale reperito, per arricchire così un cammino di studi iniziato con il presente lavoro.
Il terzo capitolo, infine, è quello che più contiene informazioni utili ai fini della nostra ricerca
da un punto di vista letterario-comparatistico. I tre paragrafi che lo costituiscono vogliono indicare in
sintesi i canali di ingresso dell’opera carducciana in Romania: l’attività accademica, le traduzioni e
la critica letteraria, nonché l’imitazione da parte di poeti romeni.
L’attività accademica più fiorente su Carducci in Romania agli inizi del Novecento è certamente
quella di Ramiro Ortiz. Primo docente di letteratura italiana all’Università di Bucarest, Ramiro Ortiz
ha dedicato il suo corso di apertura proprio a Carducci. Abbiamo avuto la possibilità di trovare il testo
in italiano di suddetto corso e di ripercorrerne i contenuti, nonché di elencare, d’altro canto, grazie al
contributo di Maria Dell’Isola, testi di critica letteraria da lui pubblicati su riviste di cultura romene.
La biblioteca dell’Università di Cluj-Napoca, che ha digitalizzato numerose riviste dell’epoca, ha
fornito un prezioso contributo per la nostra ricerca. Abbiamo potuto reperire nei suoi cataloghi e
consultare i numeri della rivista Sburătorul dove Ramiro Ortiz ha pubblicato, nel 1920, il suo corso
di letteratura italiana sulla poesia di Carducci. Abbiamo così ripercorso i contenuti delle lezioni,
scritte in romeno, e apprezzato l’attività letteraria poliedrica e multiforme da lui compiuta in terra
romena.
Le traduzioni di opere carducciane da noi riportate sono quelle in gran parte segnalate da Maria
Dell’Isola nel suo saggio. Abbiamo suddiviso il percorso per decenni, questo per facilitare una
collocazione nel tempo dei lavori di traduzione.
Le prime opere riportate sono di Duiliu Zamfirescu, che offre due traduzioni, una di Fantasia
e una di Alle fonti del Clitumno, con annessa nota di traduzione. Successivamente sono rese note nel
nostro lavoro le traduzioni di Octavian Goga di Profonda solitaria immensa notte e quella de Il bove
di Zaharia Bârsan, entrambe del 1907, nonchè la versione del 1909, di Colloqui con gli alberi di
Ștefan Octavian Iosif.
Per completezza di trattazione abbiamo riportato le due strofe di Jaufrè Rudel tradotta da
Alexandru Naum nel 1915 e, in chiusura, le traduzioni di Pimen Constantinescu del 1935 pubblicate
sulla rivista Blajul in occasione del centenario carducciano, di Allegoria, Profonda solitaria immensa
notte, Colloqui con gli alberi, Il bove e Il comune rustico.
Uno spazio adeguato lo abbiamo dedicato alle considerazini di Maria Dell’Isola sul volume di
traduzioni carducciane di Giuseppe Cifarelli del 1928, traduzioni ristampate nel 1997 dal «Jurunanul
literar» di Bucarest.
In chiusura di questa sezione ci siamo soffermati sul caso singolare della cultura romena, in cui
appaiono tradotte non solo poesie ma un cospicuo numero di prose.

134
Contestualmente abbiamo così segnalato i lavori di Alexandru Marcu, Antonio Maria Zanetti,
Flora Gravilla, Stan Șerban.
Nel dover scegliere opere di critica letteraria romena che hanno affrontato la figura di Giosue
Carducci, ci siamo soffermati sul testo di Nicolae Iorga del 1895, Amintiri din Italia [Ricordi
dall’Italia], conservato a “Casa Carducci”. Altre opere di argomento carducciano edite in Romania
sono state elencate e brevemente illustrate nella tesi, dagli inizi del Novecento fino ai lavori di Ioan
Adam del 2001.
Ovviamente una ricerca più prolungata in Romania potrebbe arricchire notevolmente il
materiale fin qui reperito bibliografico reperito fino ad ora e presentato in questo lavoro, che è stato
poco o nulla analizzato in studi precedenti sia in Romania, sia in Italia.
Sarebbe quindi auspicabile la consultazione delle riviste non digitalizzate, la fedele trascrizione
di ulteriori traduzioni di poesie carducciane in romeno con un attento commento linguistico.
Ciò sarebbe il proseguimento naturale di un lavoro che ha già dato fin qui risultati, speriamo,
fruttuosi e interessanti.
L’ultima sezione di questo capitolo si occupa di ricercare eventuali imitazioni della poesia
carducciana in tre poeti della letteratura romena: Mihai Eminescu, Duiliu Zamfirescu e Octavian
Goga.
In Mihai Eminescu non è possibile al momento, con certezza, stabile un fondando influsso
carducciano: esiste una bibliografia essenziale che abbiamo ripercorso che mette in relazione
Eminescu e Carducci ed offre spunti per stabilire fonti e motivi ispiratori comuni. L’imitazione della
metrica classica, ripresa da Carducci e da Eminescu dal mondo letterario tedesco, ha ispirato le Odi
barbare carducciane e l’ Odă in metru antic del poeta romeno, così come ha notato già Ramiro Ortiz;
alcuni spunti comuni sono stati poi individuati fra il celebre Inno a Satana e il Luceafărul
emineschiano.
In Duiliu Zamfirescu, invece, la presenza di Carducci è certa e capitale: lo scrittore romeno non
solo ha tradotto Fantasia e Alle fonti del Clitumno, ma ha imitato in romeno l’esametro barbaro
carducciano, scrivendo poesie quali Pe Acropoli, De la villa Aldobrandini, De la villa Tuscolana, che
riproducono lo stile poetico di Carducci e attingono ai testi del Nostro per spunti e motivi di
composizione.
In Ocatavian Goga, infine, è stato possibile, seguendo un suggerimento di Gino Lupi, vedere
come l’ode Alle fonti del Clitumno sia stata imitata nella stesura della poesia Oltul. Abbiamo così
fornito un confronto serrato fra il testo di Carducci e la poesia di Goga proprio per dimostrare
l’influenza del primo sul secondo.

135
Alla fine di questo nostro percorso, quindi, è possibile osservare, con un certo stupore, la
feconda attenzione da parte della cultura romena per Giosue Carducci; un’attenzione che passa
attraverso la vita accademica, l’attività critica e la produzione letteraria e che giunge fino ai nostri
giorni.
È utile ancora precisare, a riprova di quanto abbiamo appena affermato, che perfino nel numero
di dicembre della rivista bilingue «Orizonturi culturale italo-române/Orizzonti culturali italo-romeni»
è possibile leggere un intervento critico di Roberto Pasanisi, in cui presenta al pubblico l’opera di
Giosue Carducci con un saggio dal titolo Carducci, una poesia per sempre, offrendo un riassunto
essenziale dell’esperienza poetica del Nostro.3
Anche nel 2019 il nome di Giosue Carducci ha una sua eco nei territori romeni e suscita stima
e interesse; l’avere ricostruito i suoi contatti con la Romania e la ricezione della sua opera fra i
«Romani d’oltre ai Carpazi»4 è stato per noi un gradito servizio ai fine della migliore conoscenza di
Carducci all’estero, che ci auguriamo contribuisca a colmare una mancanza nell’ambito della ricerca
accademica dedicata a tali tematiche, nonché un sentito e omaggio «alla nobile e fraterna gente
rumena».5

3
Roberto Pasanisi, Carducci, una poesia per sempre, in «Orizonturi culturale italo-române/Orizzonti culturali italo-
romeni», anno IX, n. 12, dicembre 2019, in www.orizzonticulturali.it (consultato il 22 dicembre 2019).
4
OEN, vol. XXVIII, p. 281.
5
L, vol. XXI, p. 99.

136
TAVOLE

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Tavola 1 – Copertina del testo di V. A. Urechia, Voci latine, Socecù, Bucarest, 1894.

137
Marele şi gloriosul poet al Italiei moderne Giosue Carducci, ne-a
trămis admirabilul autograf ce dăm aci.

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Tavola 2 – Autografo di Giosue Carducci in V. A. Urechia, Voci latine, Socecù, Bucarest, 1894, p. 17

138
Tavola 3: Cartoncino con la traduzione de Il Bove – dicembre 1902; parte esterna. Fonte: Casa Carducci.

139
Tavola 4: Cartoncino con la traduzione de Il Bove – dicembre 1902; parte interna. Fonte: Casa Carducci

140
BIBLIOGRAFIA

BIBLIOGRFIA PRIMARIA

Carducci, Giosuè, Alegoria, Profundă noapte, De vorbă cu copacii, Boul, traducere din limba italiană
de Pimen Constantinescu, in «Blajul», anno II, numero 8-9, settembre 1935, pp. 372-374.
Carducci Giosue, Boul, traducere din limba italiană de Zaharia Bârsan, in «Luceafărul», Anno VI, nr.
8, 15 aprile 1907, [Pecuraru, Sibiu], p. 145.
Carducci, Giosue, Către copaci, traducere din limba italiană de Ștefan Octavian Iosif, in «Tălmăciri»,
[București], 1909, p. 259.
Carducci, Giosuè, Comuna rustică, traducere din limba italiană de Pimen Constantinescu, in
«Blajul», anno II, numero 10, ottobre 1935, pp. 457-458.
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[abbreviato L].
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«Luceafărul», anno VI, numeri 4-5, [Pecurariu, Sibiu], 1° marzo 1907, p. 158.
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Marcu, Publicațiile Grupării Intelectuale Thesis, București, 1935. [Seconda edizione, 1997].
Carducci, Giosue, Opere scelte, a cura di Mario Saccenti, UTET, Torino, 1993.
Carducci, Giosuè–Pascoli, Giovanni–D’annunzio, Gabriele, Poeme - versiune românească de
Giuseppe Cifarelli, Jurnalul literar, București, 1997.
Carducci, Giosue, Poesie, Zanichelli, Bologna, 1906.
Carducci, Giosue, Rime nuove, a cura di Pietro Paolo Trompeo e Giambattista Salinari, Zanichelli,
Bologna, 1961.
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BIBLIOGRAFIA SECONDARIA

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Attilj, Severino, Prima mostra artistica postelegrafonica al teatro nazionale di Roma: discorso
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Attilj, Severino, Romania e Italia, Loescher, Roma, 1891.
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150
RINGRAZIAMENTI

Sempre nell’anima
Mi sta quel giorno,
Che con un nuvolo
D’amici intorno
D’Eccellentissimo
Comprai divisa,
E malinconico
Lasciai di Pisa
La baraonda
Tanto gioconda.

Giuseppe Giusti, Le memorie di Pisa

Al termine di questo percorso sono doverosi alcuni ringraziamenti. La stesura di questo lavoro
e il conseguimento del desiderato titolo accademico non sarebbero mai avvenute se, durante la mia
vita, non avessi incontrato voi.
Anzitutto grazie a babbo Francesco e a mamma Gabriella, per avermi dato la vita e avermi
sostenuto in ogni mia scelta; grazie a Giacomo, mio fratello, con cui condivido la casa, la storia, le
gioie e i dolori, assieme ad Ilaria e ai loro progetti. Grazie anche alla nonna Livia, per il suo affetto
semplice e fedele, per me un vero esempio; grazie anche al nonno Mario, al nonno Aldo e alla nonna
Aurelia, che mi ridono dal cielo.
Grazie al mondo della scuola; grazie ai miei insegnati di ieri, al caro Giampiero e a Daniela,
amica fidata, a Filiberto, prezioso sostegno nel cammino umano e di studio, e ai miei professori di
oggi, che, esame dopo esame, mi hanno portato fin qui.
Agli anni del liceo devo gran parte di quello che sono: sono gli anni in cui ho incontrato gli
amici miei più cari, fratelli e compagni di cammino. Grazie Massimo per la tua bontà e le
appassionate discussioni, i viaggi verso la Francia e le gare sull’Autostrada con la Duna Rossa, le
multe che non arrivano e i panini che ci mangiano i gabbiani; grazie Cesco per i tuoi silenzi e le tue
riflessioni; grazie Matteo per il tuo cuore e il tuo coraggio; grazie Fabio per quel cubetto di ghiaccio
nel mio collo ad Edimburgo; grazie Alessandro per il tuo affetto, riservato e fedele, sei per me un
esempio di costanza e tenacia, so che i miei figli possono contare su un bravo pediatra e anche io,
visto che, per certi aspetti, non riesco a smettere di essere bambino.
Grazie anche all’Università di Pisa, che mi ha regalato incontri indimenticabili: grazie Lorenza,
grazie Valentina per il percorso della triennale condiviso insieme, grazie Maria, la prima coetanea
veramente donna che abbia mai incontrato, hai una forza incredibile e allo stesso tempo un desiderio
di bene sorprendente, non avrei scritto questa tesi serenamente senza di te! Grazie Viviana, che hai
sempre creduto in me anche quando io per primo non riuscivo a darmi fiducia, sei una persona d’oro
e come l’oro, chi può dire davvero quant’è il tuo valore! Grazie davvero Mariapia, insieme abbiamo
151
condiviso sofferenze e gioie di questi anni di magistrale, mi mancherà stare seduto in biblioteca al
Matteucci e sentirti urlare col bibliotecario, malgrado tu pensi sia il tuo normale timbro di voce, come
mi mancherà passeggiare con te sulle rive dell’Arno a parlare di psicologia, amore, vita,
insegnamento, sogni, delusioni e mi mancherà anche il mio ventilatore, che hai sottoposto a
imprevista eutanasia senza il mio permesso, pensami ogni volta che d’estate gronderai di sudore. Però
tutto questo può continuare no? Magari per la festa patronale di Canosa, sempre che trovi il posto
giusto per parcheggiare o qualche bus di linea non mi rapisca per il traffico di organi. Nonostante
tutto saperti al mio fianco mi fa vivere più sereno, sei una ragazza vera, e in un mondo così finto è un
dono prezioso trovare qualcuno di vero!
Grazie anche a Maria Beatrice, con Andrea e Anna, che mi ha insegnato a leggere le stelle e
a contemplare il cielo; ogni tanto in quel cielo ci rimani troppo e debbo riportarti sulla terra, come
per i verbi di latino, ma la nostra amicizia è fatta così, un po’ di terra e un po’ di cielo, come le cose
belle della vita.
Grazie Irma, che da Roma mi hai sempre sostenuto, manifestandomi affetto e vicinanza. La
nostra amicizia nasce in mezzo al mare, in un giorno qualsiasi di un’estate lontana; condividere
insieme questi traguardi vuol dire dare una forma a quel mare e collocare nel tempo quel giorno fra
tanti.
Grazie Francesca, la tua competenza e la tua generosità sono state per me fonte di coraggio in
tempi non facili. La bella Parigi ti ospita e ha ospitato anche me, sei un dono prezioso per la capitale
francese e la cultura tutta e il nostro rapporto, intellettuale e umano, un privilegio che custodisco con
onore.
Grazie Valeria, amica torinese, che condivide con me la passione per le lettere e le domande
di vita: queste poche righe sono ben poco rispetto al bene che hai fatto a me!
Grazie Chiara, amica svizzera, che vivi lontano e hai condiviso con me qualche mese di questa
pazza magistrale. Sei un bene per tutti e sono certo che ogni persona che ti incontrerà potrà scoprire
quanto tu sia un dono unico e insostituibile come posso averlo intuito io.
Grazie anche al mondo della Chiesa, al quale sono molto legato, soprattutto grazie per l’avermi
aiutato a scoprire il mio posto nel mondo: grazie al vescovo Giovanni e al caro don Nello, che
seguono la mia vita dal Regno e al vescovo Roberto, col quale ho proseguito il mio cammino. Grazie
a don Francesco, don Gianluca, don Fabiano, don Valerio, al mio parroco don Gianni e a tutti gli
altri preti, in particolare don Luca Carlesi, che mi supportano e sopportano nel mio percorso di vita.
Grazie anche agli amici del Seminario di Lucca: a Gigi, Ciccio Parello, Samuele, Revocat,
Dieudonnè, al Rettore don Luca, al vice-rettore don Riccardo e al padre spirituale don Alberto.
Dopo di me avete pensato bene di chiudere il Seminario, avete perso le speranze; vi invito a non

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essere così pessimisti e a continuare a sperare, forse qualcuno abbastanza matto da stare con voi potete
ancora trovarlo. (Sapete che scherzo, ovviamente!).
Grazie anche al mio amico Marco Meucci, compagno di avventure, che con sua moglie
Francesca e la loro Margherita è sempre riuscito a trovare la parola giusta al momento giusto, forse
solo i gavettoni li faceva nei momenti sbagliati.
Grazie a Giovanni Pasquinelli, amico e fratello di viaggio che con me ha condiviso dubbi e
scelte: speriamo che questo momento sia l’inizio di una vita d’amicizia spesa per il bene dei ragazzi!
Un caro grazie alle suore di Nostra Signora della Chiesa, alla superiora suor Maria Grazia,
l’unica suora alla quale è Dio ad aver fatto voto di obbedienza e non viceversa, suor Maria Rosa e
suor Martina; la vostra spiritualità è stata per me un nutrimento prezioso in tempi non semplici e
una palestra per fortificare le mie scelte e realizzare i miei sogni. Con voi ho conosciuto un Dio che
ama i nostri sogni e li fa suoi; oggi si è realizzato un primo piccolo sogno d’amore dei tanti che ho
nel cuore. Presto, ne sono certo, se ne realizzeranno altri. Grazie.
Un forte sentimento di gratitudine lo nutro per Diana Maria Pavel e Iulia Elena Marin, i miei
angeli custodi romeni che hanno speso tempo e fatiche nell’aiutarmi a tradurre testi e poesie: siete
state un dono a cui devo molto per la nascita di questo lavoro che vuole valorizzare il vostro popolo
e la vostra storia. Va multumesc!
Grazie anche a “Casa Carducci” a Bologna e alla direttrice, la dott.ssa Simonetta Santucci, per
la disponibilità nell’accogliere le mie richieste e nell’agevolare le mie ricerche.
Se ho ringraziato tanti, forse non proprio tutti per motivi di spazio, devo ancora dire a chi,
invece questo lavoro è dedicato.
Le energie che ho speso, le risorse che ho utilizzato, i viaggi che ho compiuto, tutto è stato fatto
pensando ai miei ex-studenti ed ex-colleghi del Liceo “Coluccio Salutati” di Montecatini Terme.
Grazie ragazzi, grazie al preside, Graziano Magrini, alla vice-preside Anna Maria Ponziani, a
Carlotta Benigni, a Alessandra Baldacci, con Luca e il mio amico Tommaso, a Valeria Arezzi, a
Beatrice Cappelli, Barbara Carapellese, Emanuele Coppola, Sara, Valentina, Nicola, Claudia,
Eleonora, Sabrina e grazie a voi, primi volti giovani che ho incontrato nella scuola. Se torno con
questa tesi stampata e la dono al “nostro” liceo, lo faccio perché voglio che vediate che nella vita vale
la pena sognare e darsi da fare per i propri sogni. I ‘sogni’, da semplici ‘desideri’, possono diventare
‘sogni d’amore’ se la finiamo di sognare solo per noi stessi e cominciamo a sognare anche per gli
altri. Scrivendo queste pagine ho sognato e sogno di diventare un professore libero, adulto e maturo,
capace di far venire fuori dai cuori di chi incontrerò sui banchi di scuola le meraviglie nascoste nel
cuore. Auguro a ciascuno di voi di realizzare i propri ‘sogni d’amore’ e spero possiate incontrare sul
vostro cammino tante persone preziose come voi, cari ragazzi, siete stati per me.

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Grazie anche a Te, che diventerai mia moglie. Non so chi sei, non so dove vivi e non conosco
il colore dei tuoi occhi o il timbro della tua voce, ma so che esisti, che in un angolo della terra ti stai
inconsapevolmente preparando ad incontrarmi. Non avrei mai trovato la forza di fare tutto questo
senza sperare che un giorno questa tesi ci farà famiglia e sarà uno strumento per costruire il nostro
sogno d’amore. Quando leggerai queste righe riderai, ma sai è un giorno speciale e voglio che, anche
solo come un sogno, tu possa esserci. Prendimi per pazzo se vuoi, non mi offendo, lo sono! Cosa ci
vuoi fare? Abituati.
Grazie infine a Giosue Carducci, vero protagonista di tutto il lavoro: caro Maestro, aver scritto
di lei è per me ancora un piacere; mi auguro che la sua poesia possa tornare ad essere amata, non si
preoccupi che, per questo, mi darò da fare!
Se tu che stai leggendo non vedi scritto il tuo nome fra i ringraziamenti ma senti il tuo volto
colorarsi di un vivido sorriso, allora fra i tanti nomi che hai letto, devi mettere anche il tuo: grazie di
aver realizzato con me questo lavoro e di accompagnarmi nel cammino della vita.
«Che è mai la vita? | È l’ombra di un sogno fuggente, | la favola breve è finita | il vero immortale
è l’amor», scriveva Carducci, negli ultimi anni del suo percorso, e forse aveva ragione: ciò che è
immortale, ciò che non svanisce, è l’amore, che ci lega e spero possa unirci anche negli anni a venire.
Grazie!

Monsummano Terme, 24 dicembre 2019


Vigilia di Natale

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