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Sommario
i. l’italia nelle sue grandezze 4
1. L’interazione dialettica dell’interno con l’esterno 5
2. Superare l’aneddotica 8
Da: Storia d’Italia, vol. 2**, Dalla caduta dell’Impero romano al secolo xviii, Giulio Ei-
naudi Editore, Torino 1974.
terrogativi che questi due secoli di storia italiana pongono, come è d’al-
tronde destino d’ogni conclusione.
i.
l’italia nelle sue grandezze.
Nel corso dei secoli vi sono stati tre momenti di evidente, indiscuti-
bile grandezza italiana: i tempi remoti di Roma; il periodo dagli inizi del
secolo xii fino alla metà del secolo xiv, il primo Rinascimento, quello
vero, secondo Armando Sapori; e il secondo Rinascimento, nel senso
corrente e largo del termine, fiorito fra la metà del Quattrocento sino
al principio, o meglio sino alla metà del Seicento. C’è tuttavia da chie-
dersi se non ci sia stato, dal secolo xii al xvii, un solo e medesimo mo-
vimento.
Piú tardi, nel secolo xix e nel secolo xx, troviamo, importante ma di-
screto, quasi sperduto nel vociare artificioso della grande storia, il va-
sto dispendio umano dell’emigrazione italiana, senza che la penisola ab-
bia potuto ricavarne un brillante profitto. Ma questa emigrazione, a par-
tire dall’ultimo scorcio dell’Ottocento, ha validamente contribuito, col
rinnovarne la sostanza, al decollo umano delle Americhe: quella porto-
ghese, quella spagnola, quella anglosassone. Su scala mondiale non si è
trattato di un magro servizio. Semplice inizio? La questione rimane aper-
ta. Per parte mia, mi pongo fra coloro che sono colpiti dal vigore attua-
le dell’Italia, dalla sua spinta vitale in ascesa, in letteratura come in ar-
te o nel cinema. Ma è ancora troppo presto per poter dare un giudizio
valido a lunga scadenza. Né va dimenticato che la «grandezza» è una
misura molto particolare cui forse potrebbe aspirare l’Europa unita, ma
che non si addice né all’Italia, né alla Francia d’oggi, perché essa è le-
gittimata soltanto da un irradiamento di civiltà, da un primato verso al-
tri. Si tratta in questo campo di una relatività evidente e necessaria.
Nessun dubbio, peraltro, che uno studio delle grandezze italiane, dal
1450 al 1650, non sia da illustrare attraverso una seria comparazione
con altre esperienze realizzate nel corso di una storia plurisecolare, per
quanto esse possano essere diverse e lontane nel tempo. Per la verità,
quella che cosí verrebbe giudicata a proposito dell’Italia sarebbe la «gran-
dezza in sé», valore molteplice, vario, piú misterioso e complicato di
quel che possa apparire a prima vista, quantunque vi siano tanti esem-
pi moderni: la grandezza della Spagna del Cinquecento, quella dell’Olan-
da del Seicento, quelle dell’Inghilterra e della Francia del Settecento, e
cosí via, come ciascuno sa. In queste grandezze, la forza si incontra con
1 Cfr. a. sapori, Studi di storia economica (secoli xiii, xiv, xv), Firenze 1955, p. 933, nota 2.
2. Superare l’aneddotica.
3 e. lavagnino, Gli artisti italiani in Germania, in L’opera del genio italiano all’estero, Roma
1943, III, p. 13.
4 g. procacci, Studi sulla fortuna del Machiavelli, Roma 1965.
morte (1527), la grande diffusione della sua opera, Machiavelli verrà let-
to, riletto e interpretato senza fine, secondo il gusto dei lettori e degli
utilizzatori. Ciò che l’inquietante fiorentino offre agli uni e agli altri è
uno strumento, un mezzo per agire, per tentare fortuna: una certa
«virtú», quella forza che porta al potere, qualunque esso sia. Lo spa-
gnolo Ginès de Sepúlveda definiva la «virtú»: «Vis enim seu facultas
insita ad finem qualemcumque propositum perveniendi, virtus solet ap-
pellari»5. Oggi chiameremmo «ragion di Stato» questo modo d’agire,
quasi nient’altro esistesse fuorché l’interesse del principe; ma non fu
Machiavelli che fissò questa espressione destinata al successo: fu, piú
tardi, un altro italiano, Giovanni Della Casa, in un discorso a Carlo V
del 15476. In ogni caso, soltanto l’Italia, con le sue evolute forme poli-
tiche tanto differenziate, con le complicazioni e le lezioni tratte dalla
sua storia, poteva elevarsi a questa raffinatezza politica sulla soglia del-
la prima modernità del mondo. E proprio a questa maturità si deve la
fortuna di tanti famosi italiani sul piano politico: come spiegare, altri-
menti, il fatto che essi abbiano tante volte salito i gradini del potere in
paesi stranieri? Vale la pena almeno di ricordare la breve carriera di Con-
cini, il maresciallo d’Ancre, quel Mazzarino non riuscito, e arriverem-
mo al 24 aprile 1617, giorno del suo assassinio. Cosí pure, le date dei
successi splendidi, inverosimili, quasi scandalosi di Mazzarino offrono
punti di riferimento non trascurabili: quando scompare nel 1661, anche
per le colonie di mercanti italiani in Francia è l’ora della fine. È il tra-
monto della «Toscana francese»7. Ben presto comincerà altrove, piú fol-
gorante e altrettanto sorprendente, la carriera di Alberoni (1664-1752),
il figlio di un semplice ortolano di Parma, che governò la Spagna di Fi-
lippo V e dell’inquieta e inquietante Elisabetta Farnese: una prova, se
ce ne fosse bisogno, del fatto che la penisola iberica, in questo inizio del
secolo xviii, rimane nonostante tutto aperta agli influssi e alle avventu-
re provenienti d’Italia.
E ancora, sarebbe senza dubbio necessario individuare, cartografa-
re la diffusione della stessa lingua italiana, questo elemento persistente
di ogni cultura europea. Chi mai avrà la pazienza di mettere uno accanto
all’altro migliaia di minuscoli indizi, di rapide immagini, peraltro tutte
12 Archivio di Cracovia, Tt. 382. Cfr. f. braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di
Filippo II, Torino 1976, I, p. 203, nota 8.Cit, da c. barbagallo, Storia universale, Torino 1938,
vol. IV, p. 232.