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Manuel Negri
La cantiga 343: un caso di indemoniato
loquace
DOI 10.1515/zrp-2017-0007
0 Introduzione
Il Diavolo è protagonista di un nutrito numero di Cantigas de Santa Maria,1
raccolta di liriche a sfondo religioso composte in lingua galego-portoghese nella
Promosso da: Questo lavoro è stato realizzato nell’ambito del progetto di ricerca Las Cantigas de
Santa Maria: De la edición a la interpretación (Ref.: FFI2014-52710), finanziato dal MINECO
(Ministerio de Economía y Competitividad) e diretto da Elvira Fidalgo Francisco dell’Universidade
de Santiago de Compostela.
Indirizzo di corrispondenza: Dr. Manuel Negri, Via I Maggio 16, Boara Pisani, I-35040 Padova /
Rúa do Francés 19, E-15787 Santiago de Compostela, E-Mail: manuel.negri@usc.es
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seconda metà del XIII secolo nello scriptorium del re Alfonso X Il Saggio. La sua
presenza, come principale antagonista di Dio e – specialmente in questi testi di
carattere mariano – come avversario diretto della Vergine Maria, è inoltre garanti-
ta dalla stessa struttura delle CSM narrative. Quest’ultime, spesso organizzate da
una griglia bipartita, accolgono sovente nella prima macro-sequenza il suo inter-
vento sulla scena, volto essenzialmente ad infrangere l’ordine naturale (quindi
divino) delle cose, finendo con l’essere la causa stessa di tale disordine;2 nella
seconda sezione, invece, la dinamica accolta si rivela opposta, con la Vergine
che, grazie al suo potere e alle sue facoltà di carattere intercessorio, si rende
protagonista di un intervento in extremis volto a ristabilire l’ordine perduto o
parzialmente incrinato della vita umana.3
Grazie ad una struttura come questa, caratterizzata dunque da un forte
dualismo di fondo, le CSM veicolano spesso un’idea alquanto popolare – dunque
accessibile – del cristianesimo arrivando perfino a proporre violenti episodi di
lotta e contesa tra le forze del male e quelle del bene. Si tratta di una rivalità
descritta di frequente con materiali narrativi connotati da concretezza e fisicità
(anche nel campo lessicale), dove Satana e i suoi demoni non esitano a spingersi
fino agli esiti più estremi di tali contrapposizioni, coinvolgendo fisicamente
anche gli stessi esseri umani. Se, da un lato, quando ciò accade, l’entrare in
contatto con essi attraverso generiche tentazioni o cambiamenti di identità è solo
una delle modalità meno violente, dall’altro lato la possessione diabolica costitui-
sce il punto più elevato di questa escalation di malvagità; situazione che, in
seguito, può trovare soluzione unicamente in un esorcismo diretto dalle alte sfere,
unico rimedio efficace a qualsiasi tentativo secolare fallimentare di riparazione.4
Tra le circa 40 CSM dove il diavolo o i demoni mostrano la loro presenza e il
loro stato di concreta e profonda interazione con gli esseri umani che popolano i
testi alfonsini, solo due CSM raccontano un vero e proprio caso di possessione
diabolica – ovvero un’intrusione di un’entità sovrannaturale nella sua vittima,
nonché spazio ove agisce il diabo che andremo ad analizzare –, mentre solo una
di esse presenta, in aggiunta, nella seconda parte della narrazione, anche un
1 D’ora in avanti, per riferirsi alle Cantigas de Santa Maria, si usa l’acronimo CSM.
2 Sul forte legame del reale col soprannaturale in questo tipo di letteratura miracolistica, al quale
anche le CSM possono essere ascritte, cf. Bertolucci (1963, 42).
3 Per un’analisi più approfondita in merito alla struttura comune, cf. Fidalgo (1990).
4 Cf. Fidalgo (2013, 233). Le CSM mostrano il lato più popolare della demonologia medievale,
caratterizzato da una forte ed esibita fisicità, sebbene la loro produzione si inserisca nella seconda
metà del XIII secolo quando la teologia ufficiale più autorevole afferma la totale natura incorporea
del Diavolo anche nel campo delle possessioni (o delle mere influenze). Per una sintesi sulla
questione demonologica relativa alla corporeità diabolica, cf. Soto-Posada (2005, 34). In merito
alla presenza dei demoni nella cultura medievale, cf. Minois (2002, 53).
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esorcismo operato dalla Madre di Dio.5 La prima di queste CSM, ovvero la n. 298
(«Como Santa Maria de Seixon guariu ũa moller de demonio») non sarà oggetto
del nostro studio, poiché presenta una situazione abbastanza comune nell’ambito
della possessione. Essa infatti ospita il classico tema medievale dell’obsessa
abitata da un diavolo che sarà poi definito nel corso del testo mediante le sue
macchinazioni, volte ad evidenziare le due caratteristiche tradizionalmente più
note in merito alla sua essenza: l’inclinazione all’inganno e al tradimento.6 Il tipo
di diavolo presentato – insieme alla storia nel suo complesso – trova inoltre un
sicuro precedente nella collezione di miracoli mariani di Soisson composta da
Ugo Farsito nel XII secolo, nonché una «fonte» cronologicamente più vicina nella
famosa collezione Thott (miracolo n. 46) della seconda metà del secolo XIII.7
L’intera tradizione può vantare inoltre vari precedenti biblici – o appigli dottrinali
funzionali ad una sua legittimazione sul piano tradizionale – dove viene molto
probabilmente descritto un caso di epilessia (Mt 17:14–20; Mc 9:14–29; Lc 9:37–
43).8
Al contrario, la CSM 343 presenta ben due tipi di demoni, uno nella rubrica
(demonio mudo) e uno nel corpo narrativo della stessa CSM, il quale si rivela
estremamente interessante e peculiare nel suo comportamento. Ed è proprio
quest’ultimo – un diavolo cioè capace di rendere eccessivamente «prolissa» la
sua vittima – che in realtà agisce concretamente nella storia. Per questa narrazio-
ne, che nella rubrica viene rimandata al santuario di Rocamadour, non è possibile
individuare una fonte diretta nella vasta collezione di miracoli del santuario
francese composta attorno all’anno 1172, e, più in generale, nemmeno nel restante
serbatoio a noi noto dei miracoli mariani. La raccolta francese, scritta progressi-
vamente e probabilmente in un breve lasso di tempo,9 ma concepita come un
insieme unitario di varie sezioni corrispondenti ai vari periodi di pellegrinaggio
dei fedeli a Rocamadour, è attualmente trasmessa da tre miscellanee: nessuna di
loro contiene una storia simile, nei contenuti e nella struttura, a quella versificata
5 Sul concetto di intrusione, cf. Russell (1987, 28); Fidalgo (2013, 242). Questa concezione all’inse-
gna della fisicità sembra avere la sua migliore occorrenza nei Vangeli, in particolare in quello di
Marco nell’episodio dell’indemoniato di Gerasa (Mc 5:1–20). Cf. Caciola (2003, 36 s.).
6 Sulla categoria obsessa, cf. Newman (1998, 738); Caciola (2003, 57).
7 Cf. Poncelet (1902, 265). Sulla collezione Thott, rappresentata dal Ms. 128 conservato alla
Biblioteca Reale di Copenaghen, cf. Carrera de la Red/Carrera de la Red (2000, 32).
8 Questo racconto è tràdito anche dal Liber Marie di Gil de Zamora, probabilmente compilazione
dalla gestazione quasi contemporanea rispetto alle CSM (tract. XVI, cap. 4, mir. 14). Per il testo, cf.
Fita (1885, 139). Il racconto di Gil deriva dalla versione più estesa di Ugo Farsito. Per quest’ultimo
aspetto, cf. Dexter (1926, 184). Sul caso di epilessia, cf. Fidalgo (2013, 242).
9 Sulla datazione della raccolta, cf. Bull (1999, 39–63).
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dalla CSM 343.10 Non la si trova neppure nella più piccola collezione rappresenta-
ta dai Mss. Rivipullense 193 e Alcobacense 39,11 che, nella loro seconda sezione,
riportano alcuni miracoli connessi al medesimo santuario, sebbene organizzati e
composti probabilmente in un’altra area.12 Allo stato attuale delle conoscenze,
tali lacune complicano dunque le cose, rendendo quindi praticamente impossibi-
le un inquadramento di questa peculiarità demoniaca attraverso l’impiego di un
metodo comparativo tra le fonti che avrebbero potuto influenzare direttamente –
ovvero mot à mot – la CSM 343. Questo tuttavia non significa che tale occorrenza
sia destinata a rimanere isolata nel panorama della demonologia delle CSM. Al
contrario, questo verrà smentito intraprendendo una strada diversa, ovvero adot-
tando un punto di vista più allargato su possibili realizzazioni o motivi di dominio
dottrinale e popolare. La caratterizzazione nonché la giustificazione di tale demo-
ne loquace nel contesto della poesia mariana galego-portoghese – scopo di
questo contributo – verranno infatti perseguite inserendo la CSM 343 e il diabo in
essa agente in un preciso contesto letterario e storico dal quale potrebbe ricevere
ulteriore chiarezza, prescindendo dunque dalle fonti materiali ad oggi non dispo-
nibili, ma basandosi comunque su testi che avrebbero potuto guidare il confezio-
namento di alcuni miracula anche a livello di raccolte locali, come quella di
Rocamadour. Ma prima di procedere in questo senso, è bene spendere qualche
parola sulla relazione tra la rubrica e il testo della CSM, visto che la prima non
anticipa affatto quanto effettivamente accade nei versi del componimento, cosa
che ci consentirà man mano anche di illustrare i contenuti della narrazione.
10 MSS. Par. Lat. 16,565 (ultima parte del XII secolo), Par. Lat. 12,593 (inizio del XIII secolo) e Par.
Lat. 17,491 (XIII secolo). Queste miscellanee contengono altre collezioni locali di miracoli mariani,
come quella di Ugo Farsito o i miracula di Ermanno di Laon. Per la data e le caratteristiche dei
Miracles de Rocamadour, cf. Albe (1907); Nascimento (2004).
11 Sul MS. Rivipullense 193, cf. Baraut (1956, 127–160). Sul MS. Alcobacense 39, cf. Nascimento
(2004). Il primo venne scritto nel corso del XIII secolo, mentre il secondo è una compilazione del
XIV. Probabilmente, entrambi procedono da un comune antigrafo. Presentano una piccola
collezione divisa in due parti: la prima contiene un gruppo di miracoli «universali», la seconda
mostra un piccolo nucleo di narrazioni a carattere locale.
12 L’elemento che induce a ritenere questa compilazione al di fuori della zona d’influenza del
famoso santuario francese è contenuto nel prologo presente solamente nel ms. portoghese, dove i
monaci del santuario ricevono pesanti critiche. Non si esclude, inoltre, l’ipotesi di appartenenza a
una collezione più vasta, probabilmente quella in cui era contenuta pure la narrazione corrispon-
dente alla CSM 343.
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13 Cf. Mettmann (1989, 194). Sulla tradizione manoscritta delle CSM, cf. Fernández (2009, 323–
348).
14 Cf. Mettmann (1989, 194). Su Michele Psello, cf. Boisonnade/Gaulmin (1964). Demoni muti,
procedenti dai Vangeli, sembrano entrare nella religiosità popolare grazie all’influenza e al
contributo dei trattati medievali che esponevano, in una forma più semplificata dal punto di vista
concettuale, credenze religiose più complesse.
15 Cf. Russell (1987, 22).
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quella di una lettura parziale dei versi della CSM 343 da parte di un rubricatore, o
di chi, nello scriptorium, era preposto all’indicizzazione dei testi in una fase
successiva alla ripartizione delle liriche nelle varie carte del codice E. La discre-
panza si sarebbe potuta produrre durante il processo interno di compilazione e
non propriamente durante la precedente fase di collezione dei materiali narrativi
da versificare.16 Il rubricatore – forse per fretta o per una semplice svista –
potrebbe essere stato tratto in inganno dalle allusioni bibliche dell’exordium, dai
primi versi del refran, o dai vv. 5–6 («Ca diz eno Evangeo dun ome que non
falava / en que jazia o demo», «che si dice nel Vangelo di un uomo che non
parlava / nel quale giaceva il demonio»), ed aver perpetrato così un’informazione
che, se da un lato – anche nella sua percezione e per la portata culturale – godeva
di grande autorità, dall’altro però finiva per non riflettere adeguatamente i
contenuti (convinto forse che anche solo una lettura iniziale e parziale sarebbe
bastata per aver chiaro il contenuto della narrazione). A conferma di questa
ipotesi generativa interna, risulta importante notare in primis la marcata somi-
glianza tra il secondo emistichio del primo verso del refran («fez no mudo que
falasse») con la sintassi e gli stessi termini dell’ultima parte della rubrica («mudo
e fez que falasse»). Risulta oltremodo probabile che l’errore rifletta uno stadio
anteriore, corrispondente ad un esemplare di lavoro poi riprodotto meccanica-
mente in alcune sezioni, visto che nel Ms. E si sono riscontrate discrepanze tra
l’indice iniziale e le relative epigrafi in apertura dei testi dove il copista, citando
Schaffer, «errs in giving subject status to both agent and beneficiary».17
Inoltre, oltre al già indicato peso d’autorità rappresentato dall’allusione
biblica, pure un altro elemento relativo ad un’errata percezione del testo – conse-
guente a tale sorta di indicizzazione alla cieca – avrebbe potuto concorrere alla
produzione dell’incongruenza tra epigrafe e contenuto. Si tratta infatti di una
probabile suggestione letteraria più prossima temporalmente rispetto a quella
rappresentata dall’episodio biblico, relativa al miracolo n. 35 del primo libro della
collezione di Rocamadour, che riporta uno dei pochi casi di esorcismo presenti
nella raccolta a noi nota del santuario francese. In esso, infatti, si narra di un
posseduto reso muto dal demone che lo ha abitato (De demonioso liberato a
demonio).18 È possibile dunque che pure questa attestazione del motivo da parte
cum aliis, membra Domini nostri Jhesu Christi jurans, quantum in ipso erat vilitenebat, Matrem-
que ejus Dominam nostram Gloriosam inglorius verbis indecentibus inhonorerabat [...]».
19 Si sposa qui la posizione teoretica esposta in Russell (1987, 6), quanto ad un’analisi che
mantiene come costante punto di riferimento non già un moderno e razionale (nonché reale)
punto di vista del fenomeno, ma che adotta, per la sua disamina in campo letterario, il filtro più
vicino all’ottica della società medievale e di quel preciso momento storico, soprattutto per quanto
concerne la credenza popolare in merito a diavoli, possessioni demoniache ed esorcismi.
20 Dopo il testo critico, si riporta una proposta di traduzione in italiano.
21 Cf. Mettmann (1989, 194).
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Come si può leggere ai vv. 16–17, tale referente demoniaco agisce fin dall’inizio
mediante una marcata fisicità. La specificazione «que trilla aos seus» riferita
proprio al comportamento del diavolo disvela un potente atto di danneggiamento
nei confronti dei peccatori. Nella lirica profana galego-portoghese il verbo trilhar
indica un’azione non certo astratta, traducibile col significato di «calcare/pesta-
re».22 Nelle CSM esso non sembra perdere del tutto parte di questa concretezza.
Pur conoscendo un impiego in un contesto ovviamente più spirituale, esso viene
infatti utilizzato per inquadrare la relazione di «sottomissione» del Diavolo da
parte di Dio e soprattutto di Maria (a volte anche espressa con una sfumatura di
violenza) o, in un altro contesto, in riferimento a peccatori castigati da parte della
divinità. Tale concretezza si fa ancor maggiore nella CSM 343 dove il soggetto di
trillar è, stavolta, lo stesso Diavolo, figura certamente meno celeste e spirituale
rispetto ai difensori dei fedeli sopra menzionati. Qui il verbo trillar suggerisce,
infatti, l’atto concreto della «vessazione» nei confronti di tutti i peccatori, la quale
può avere anche ripercussioni sulla sfera fisica della vittima.23
All’interno del v. 17 viene inoltre descritto, sebbene con poche parole, l’atto
della possessione: «fillou-a fortemente». Se il verbo trillar, come appena visto,
nella CSM 343 si riferisce ad una generale attitudine del diavolo nei confronti
dell’umanità, il verbo fillar, («prendere/cogliere/impossessarsi di qualcosa o
qualcuno») sempre caricato di connotazioni fisiche, esprime la relazione violenta
di privazione di libertà e di costrizione che viene ad instaurarsi a livello partico-
lare tra la forza del male e la vittima designata. Il verbo qui riflette pertanto la
più comune e condivisa concezione medievale di tipo fisiologico riguardo la
possessione, intesa come una vera e propria intrusione operata a livello corpora-
le da parte del diavolo di turno, il quale, grazie alle sue abilità metamorfiche
22 Nel campo lirico profano, entrambe le occorrenze riscontrate si rifanno al mondo agricolo e
contadino, descrivendo azioni quali la pigiatura delle olive o l’incedere pesante dei buoi. Cf.
457.13 «e virdes as azeitonas jazer per esses lagares / trilha-las-edes [ena] pia con esses ca[l]canh
[a]res»; 1574.29 «ca ja nen un boi non trilha / en Oscos». Per le citazioni si rimanda al database
GPMPGP (2014).
23 Un’occorrenza speculare, quanto al soggetto, si rileva nella CSM 367 (vv. 21–22) dove si
inquadra il ruolo di Maria come vessatrice del Diavolo («de que guariu por aquela que trilla / mui
mal o demo cheo de perfia»). Col valore di ‘punire’ (anche fisicamente), cf. CSM 19, v. 18 («ca Deus
os trillou, o que os maos trilla»), dove tre cavalieri macchiatisi di un omicidio davanti ad un altare
dedicato a Maria vengono colpiti da fiamme scagliate dal cielo. Una forte accezione fisica si ha
anche nella CSM 189 (v. 2) dove si allude allo scontro tra Dio e il Diavolo, quest’ultimo evocato in
due sue famose trasfigurazioni: «pois madr’é do que trillou o basilisqu’e o dragon». Il verbo
compare inoltre nelle CSM 354 (v. 33) riferito ad un cavallo che calca il terreno, unica accezione in
cui il suo uso rimanda al mondo agreste delle CSM profane e non utilizzato quindi in un contesto
connotato in senso dottrinale.
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permesse dal suo corpo «aereo», può insidiarsi nelle regioni cave del corpo
umano.24
Quest’ultima concezione, alla quale dunque nemmeno la CSM 343 fa eccezio-
ne, può trovare una delle più chiare conferme già tra la fine dell’XI e l’inizio del
XII secolo nella letteratura esemplare, spesso modello di riferimento immediato
anche per la poesia narrativa mariana galego-portoghese. Giraldo Cambrense,
infatti, nella sua Gemma Ecclesiastica, mette in scena nell’exemplum n. 18 un
diavolo che si rivolge ad un uomo utilizzando il corpo di una posseduta. In questa
narrazione, il messaggio del diavolo non può essere certo frainteso e riflette tutta
una serie di credenze già profondamente radicate in ambienti più popolari.
Quest’ultimo, infatti, nella finzione letteraria del testo, dice di aver potere esclusi-
vamente sul corpo e non sull’anima della ragazza che invano i presenti cercano di
esorcizzare attraverso la somministrazione dell’eucaristia: «Stulti, nihil est quod
agitis, non enim cibus est corporis quod ei datis sed spiritus; mihi vero non in
animam ejus sed in corpus est data potestas».25 Nel corso del XIII secolo, oltre ad
osservare la ripresa di questo medesimo exemplum nel Liber Exemplorum compi-
lato in Irlanda da un anonimo monaco francescano,26 altre raccolte di exempla di
più vasta diffusione continuano ad offrire un riscontro di tale concezione della
possessione, data ormai per consolidata. Essa, infatti, viene descritta anche dai
tre più importanti domenicani che, con le loro opere nel campo della letteratura
esemplare, hanno saputo fornire un contributo significativo alla diffusione della
demonologia del XIII secolo, capace anche di penetrare – in virtù delle mediazio-
ni dei predicatori che di quelle opere si servivano per la loro attività – soprattutto
tra gli strati più popolari. Vincent de Beauvais (in particolare con lo Speculum
Naturale), Caesarius di Heisterbach e Thomas de Cantimpré affermano, infatti,
che solo l’ispirazione divina si realizza attraverso un controllo diretto dell’anima
da parte di un Dio che può inserirvisi in esclusiva, mentre ribadiscono per il
diavolo o i suoi demoni la sola capacità di abitare nelle zone periferiche del corpo,
come l’apparato digerente o le viscera; approfittando dunque di tali spazi vuoti
per governare letteralmente – come un burattinaio con una marionetta – le
intenzioni del posseduto, nonché influenzare le finalità del suo comportamento
spesso alterato.27
Se l’atto della possessione in questa CSM può essere descritto dunque senza
particolari difficoltà esegetiche in merito al fenomeno descritto, e con un verbo
(fillar) la cui concretezza non deve certo stupire, le cose cambiano leggermente
con i dettagli che il testo fornisce in seguito, e che hanno a che fare con il
comportamento esibito dalla posseduta. Su questo punto le cose sono più difficili
da definire, proprio in virtù di uno statuto ambiguo che riguarda quest’ultima,
divisa, di fatto, tra uno stato di vera possessione ed uno di apparente ispirazione.
Il peculiare atteggiamento che riguarda l’indemoniata viene reso noto a partire
dal v. 18, dove si specifica che, in preda ad una sorta di iperattività, non smette di
rivolgere la parola ai presenti, agendo dunque senza limitazioni: «e dizia toda
cousa a quen lla enpreguntasse». Il diabo che possiede la giovane nella CSM 343
non causa dunque nessuna limitazione fisica (come il già citato mutismo), ma le
fornisce quello che Caciola, in relazione ad altri contesti letterari abitati da
demoni, chiama un «heightened level of activity» ed un incontrollato uso della
sua facoltà di parola nel rivelare ai presenti informazioni occulte; mantenendola
inoltre – questo almeno solo per la fase iniziale – a contatto con i membri della
sua comunità che assistono allo spettacolo diabolico fino ad interagire con essa.28
Entrando ora nel merito della narrazione della CSM 343, dopo un primo
tentativo di esorcismo da parte del capelan (che non andrà a buon fine in quanto
poi, come lo stesso diavolo rivelerà, il suo stato di scomunica non può garantirgli
alcun potere nel procedere a neutralizzare la forza del male) le azioni e i compor-
tamenti della giovane ricevono un ulteriore chiarimento. Essa, infatti, inizia a
rivelare ai presenti accorsi in chiesa non già segreti generici o astruse profezie, ma
qualcosa di già noto ad essi (almeno, in cuor loro): i loro peccati. Questo passo
auge nel XIII secolo, vengono evidenziate nell’ultima parte del verso mediante il sintagma a gran
maravilla. Quest’ultimo sottolinea proprio tale capacità di attaccare il peccatore alla sprovvista.
28 Per le citazioni e le definizioni, cf. Caciola (2003, 45–48); Fidalgo (2013, 243). Durante il
medioevo possessioni ed esorcismi sono intimamente connessi alla dimensione sociale e dunque
pubblica; ed è proprio questa dimensione pubblica, che funge anche da autorità definitoria, a
contribuire infine alla loro percezione come fenomeni certamente reali e spiegabili. Essa inoltre
determina, attraverso il filtro della religione e tenendo conto della gerarchia sociale dei posseduti
(uomo-donna; credente-ateo), se di possessione si poteva parlare o se quello che si aveva davanti
era solamente un caso di santo misticismo. La sua frenetica gesticulatio unita alla paura da parte
della madre di un’azione sconsiderata, come quella di gettarsi tra le fiamme, esprime con brevità
ed enfasi il suo disordine interiore (vv. 22–23). In tale paventata azione autolesionistica si può
scorgere una credenza tipica del XIII secolo dove il fuoco assume un valore metonimico per le
fiamme infernali. Agli inizi del XIII secolo, in merito all’azione di gettarsi nel fuoco da parte degli
indemoniati, cf. ad esempio la Vita di Cristina the Astonishing (1150–1224) scritta da Thomas de
Cantimpré. Qui Thomas racconta come la donna, ritenuta una posseduta da vicini ed amici, era
solita gettarsi tra le fiamme in via episodica, comportamento che già di per sé bastava a
convalidarne la possessione.
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merita un’attenzione del tutto particolare nell’economia del racconto per mettere
a confronto il testo della CSM 343 con altri exempla che si reggono sullo stesso
motivo; delineando dunque un retroterra comune (non solo letterario, ma anche
dottrinale e culturale) che sottostà probabilmente pure all’ignota versione legata
a Rocamadour. Si riporta di seguito il passo di nostro interesse che illustra quanto
appena detto (vv. 35–38):29
29 Si ritiene che, nel caso di fonti sconosciute, non individuate o semplicemente perdute
(soprattutto quando si tratta di collezioni a carattere locale) questo approccio che si basa sulla
focalizzazione di un referente culturale e letterario più generale comune alle CSM e alle raccolte
esemplari, possa contribuire (almeno in via del tutto orientativa, per alcuni temi) alla definizione
di un’area di influenza degli stessi motivi contenuti in diverse narrazioni.
30 Il soggetto indicato, di fatto, è il Diavolo. Egli parla attraverso la posseduta, ma la donna e
l’entità malvagia vengono raggruppate in una medesima entità, anche a livello grammaticale.
Questo aspetto non costituisce un’eccezione nel campo della demonologia, ma riflette una visione
culturale specifica tipica dell’epoca. Su quest’ultima questione, cf. Caciola (2003, 129).
31 Cf. Caciola (2003, 48).
32 Cf. Minois (2002, 41).
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33 Cf. capitolo terzo: Daemonum divinatio tribus est causis. Acrimonia sensus, celeritate motus, et
diuturna rerum experientia praepollent. Non ideo daemones praeponendos esse hominibus. Per
l’edizione di riferimento, cf. Migne (1863, 584); Ceriotti (1995, 647–783).
34 Cf. capitolo lxviii, anche se qui ci si sofferma poi sulle capacità divinatorie dei demoni: Quot
modis daemones futura praenoscunt. Per l’edizione di riferimento, cf. Migne (1853, 1322). Graziano,
nel suo Decretum, ovvero la prima compilazione del Diritto Canonico (1140–1142 ca.), riporta lo
stesso passo. Come si può vedere dunque, anche per il XII secolo, tale idea di fondo in merito a
straordinarie facoltà divinatorie possedute dai demoni conosce una larga diffusione nonché una
sicura accettazione. Sull’ampia ricezione del trattato agostiniano nel medioevo, soprattutto dagli
inizi del XII secolo, cf. Schlapbach (2013, 132–134).
35 Cf. Soto-Posada (2005, 35–41).
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36 Quindi, contro il sempre presente «riesgo del sistema dualista». Cf. Minois (2002, 42).
37 Per la citazione, cf. Newman (1998, 749ss.). La studiosa analizza questa categoria nella
letteratura del XIII secolo, affermando come tale tipologia di demoni conosca un incremento
importante proprio in questo secolo in molte raccolte di exempla. Tuttavia, occorre ribadire che la
loro presenza è attestata anche nei secoli precedenti, come nella Vita di San Dunstano scritta da
Eadmer. Non si tratta dunque di una invenzione del «secolo enciclopedico», ma la sua crescita
quanto ad attestazioni è unicamente giustificata da esigenze del tutto temporali e religiose. Per
una sintesi su quest’aspetto, cf. Minois (2002, 74). La componente umoristica di questo esempio
demoniaco nella CSM 343 era già stata colta in Callcott (1923, 92).
38 Cf. Newman (1998, 733). In merito alla definizione di exempla, occorre ricordare che, oltre al
loro valore estetico e dunque narrativo, essi detengono in primis una generale funzione omiletica,
non trascurabile, configurandosi quindi come letteratura accessoria e dipendente. Su tali questio-
ni, cf. Tiliette (1998, 65); von Moos (1988, 70).
188 Manuel Negri
39 Cf. Stubbs (1874, 235). La precocità dell’attestazione di tale prodigio in area anglosassone non
deve stupire: presso le comunità religiose insulari precoce fu infatti il valore dato alla pratica della
confessione e dunque ad exempla che potessero consigliare tale pratica presso i fedeli per evitare
brutte sorprese. Questo racconto verrà poi ripreso da Arnaldo di Liegi nel suo Alphabetum
Narrationum (n. 171) e nello Specchio di vera penitenza di Jacopo Passavanti (n. 26) nel XIV secolo.
Per quest’ultimi, rispettivamente, cf. Brilli/Ribaucourt (2015, 101) e Varanini/Baldassarri (1993,
587).
40 Per il testo, cf. Legendre (2005, 267 s.). Si precisa che le ultime attestazioni in ordine temporale
sono spesso una ripresa tout court degli exempla dei secoli precedenti con minime variazioni.
41 Il tutto può essere rimandato al motivo V29.2 del Motif-Index (Monks shrive selves clean under
threat of complete exposure of their sins by brother possessed of friend); cf. Thompson (1955–1958).
Quest’ultimo si rifà all’exemplum n. 171 dell’Alphabetum Narrationum di Arnoldo di Liegi. Da
notare invece come nell’agiografia irlandese la facoltà di rivelare peccati nascosti appaia confina-
ta ai santi (cf. motivo V223.3 Saint can perceive the thoughts of another man and reveal hidden sins).
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Esaminando ora la prima collezione, si può vedere come è nella terza distinctio
del Dialogus Miraculorum di Cesario di Heisterbach che ci vengono offerti alcuni
esempi significativi in merito a tale dinamica di rivelazione.42 Se l’exemplum n. 2
si rende testimone di questa capacità diabolica «in negativo», raccontando cioè la
storia di un prete adultero che, prima di entrare in contatto con un indemoniato
specializzato nel rivelare i segreti di chi gli compare davanti, pensa bene di
confessarsi presso uno scudiero («quidam obsessus esset, in quo daemonium tam
nequam erat, ut coram astantibus improperaret peccata, quae per confessionem
veram non fuissent tecta»),43 nell’exemplum n. 6 dello stesso compilatore – sem-
pre nel libro III dell’opera – si vede chiaramente realizzata la dinamica sopra
schematizzata.44 Dopo aver riportato la storia di un demone che, insidiando una
ragazza attraverso piacevoli sembianze umane, ne sfrutta la presenza per effet-
tuare i suoi disvelamenti (con una caratterizzazione dunque molto simile tra
l’altro a quella dell’indemoniata protagonista della CSM 343):
Eratque tam nequam idem spiritus, ut praesentium peccata detegeret, crimina improperaret,
nec aliquod peccatum eum lateret, nisi quod vera confessio tegeret. Ostendit et alia signa
nequitiae suae,
42 Le parti del testo che qui si raccolgono sono state tratte dal database Césaire de Heisterbach En
Ligne (CEL): <http://betula.annexus.ehess.fr/sdx/cesaire/index.xsp> [consultato in data 21 no-
vembre 2015]. Per l’edizione cartacea di riferimento, cf. Strange (1851).
43 L’exemplum verrà poi ripreso e versificato in italiano nel XIV secolo da Iacopo Passavanti nel
suo Specchio di vera penitenza (n. 28). Cf. Varanini/Baldassarri (1993, 589–591).
44 Simile all’exemplum n. 2 è il successivo che tratta di un caso di adulterio.
45 L’indemoniato non verrà isolato nemmeno successivamente. Ne è prova il fatto che dopo la
confessione l’uomo torna alla casa ove il demone risiede, il quale appare circondato da un gran
numero di persone («circumsedentibus»).
190 Manuel Negri
spiacevoli sorprese, ma non confessati con vera contrizione): «Et statim coram
omnibus omnia eius peccata turpia, licet confessa, prodidit». Si riporta il testo per
intero:
Fuit in vicino vir quidam, qui supradictum daemonem audire nimis desiderans, propter
turpia quaedam quae commiserat peccata, appropinquare non audebat, timens sibi illa
coram omnibus improperari. Et veniens ad sacerdotem, confessus est universa, voluntate
tamen peccandi retenta. Factusque ex eadem confessione securior, ad domum venit. Mira
res. Mox ut limen attigit, et introspexit, daemon in acre clamavit: Amice, veni huc, veni,
certe bene te dealbasti. Et statim coram omnibus omnia eius peccata turpia, licet confessa,
prodidit, in tantum illum confundens, ut eadem hora esse voluisset in ortu solis. Tristis
effectus, et conscientia accusante in se reversus, ad sacerdotem rediit, quae gesta sunt
retulit, confessionem iteravit, et quia de reliquo emendatius vivere vellet, de corde pollicitus
est Deo et sacerdoti. Tunc sacerdos: Modo, inquit, revertere securus, non te confundet
amplius. Et fecit sic. Intrante eo domum, quidam ex circumsedentibus daemoni dixerunt:
Ecce amicus tuus iterum venit. Quibus ille respondit: Quis est? Ille, inquiunt, cui paulo ante
tam turpia peccata improperasti. Respondit daemon: Ego nihil illi improperavi, neque
aliquid de eo novi mali. Et mirati sunt daemonem mentitum fuisse, hi qui hominis ignorave-
runt confessionem.
Qui, infine, l’isolamento del demone non avviene (in quanto non vi è nessun atto
di esorcismo, come del resto, in quasi nessun exemplum di questo tipo), ma il
peccatore si isola ricorrendo all’aiuto del sacerdote, non prima di aver provato
vergogna per l’accaduto: «Tristis effectus, et conscientia accusante in se reversus,
ad sacerdotem rediit».46 Nella seconda metà del secolo invece, tali demoni rivela-
tori si rendono protagonisti dell’exemplum n. 1012 del Titulus IV nel Tractatus de
diversis materiis praedicabilibus di Stefano di Borbone. Qui, un posseduto, come
indicato chiaramente nel testo, rivela i peccati di quelli che lo vanno a visitare,
come si può leggere dal passo riportato di seguito. Esso, pur posto sotto l’autorità
di Jacques de Vitry (della qual cosa però non si trova ad oggi un riscontro preciso),
ricorda quello già raccolto da Caesarius nella terza Distinctio:47
46 L’exemplum di Caesarius de Heisterbach viene poi ripreso agli inizi del XIV secolo dal
compilatore Arnaldo di Liegi (n. 176) e poi da Jacopo Passavanti (n. 27) in pieno XIV secolo nello
Specchio di vera penitenza. Per quest’ultimo, cf. Varanini/Baldassarri (1993, 587 s.). La seconda
parte dell’exemplum narra di una giovane peccatrice che, non avendo confessato la perdita della
sua verginità prima del matrimonio, viene svergognata dall’indemoniato in presenza della madre.
Tornerà a confessarsi con vera contrizione e solo successivamente il demonio dichiarerà di non
riconoscere in lei alcun peccato e di non ricordarsi di aver pronunciato sentenze nei suoi
confronti, secondo una modalità molto diffusa volta a sottolineare il valore della contrizione
affinché la confessione possa risultare efficace.
47 Cf. Berlioz (2006, 468) per la questione della fonte.
La cantiga 343: un caso di indemoniato loquace 191
Item, dicebat magister Iacobus de Vitriaco quod cum quidam demon daret responsum in
quadam fouea et peccata hominum reuelaret ibi aduenientium, duo episcopi ibi uenientes
ad eum adiurandum, ne eos de peccatis suis confunderet, ad inuicem sunt confessi, postea
de multis sunt eum allocuti. Tunc cum unus quereret ab eo: «Et de nobis, quid dicis?»,
respondit: «Statim habuissem de uobis, si tales essetis quales huc uenistis; sed in aduentu
uestro totum amisi quod contra uos de uobis habebam».48
che se non si può parlare di riflessi precedenti o successivi di uno stesso racconto
o exemplum (le situazioni e i contesti narrativi sono del tutto diversi nei testi presi
in esame) si può comunque constatare la condivisione di uno stesso motivo che,
dunque, li lega a livello concettuale; lo stesso tema del diavolo loquace – o,
meglio, dell’indemoniato loquace – che, almeno in via ipotetica, sarebbe stato
presente, in una forma narrativa più prossima alla CSM, in un racconto contenuto
in un manoscritto perduto, orbitante attorno al santuario di Rocamadour. Quindi,
anche se una fonte diretta non è determinabile, alcune conclusioni parziali
possono comunque essere tratte sulla base del panorama esemplare (che è
dunque panorama motivico e letterario) sommariamente delineato.
4 Osservazioni finali
Da queste comparazioni risulta infatti un quadro omogeneo riguardo una certa
concezione sui possibili comportamenti degli indemoniati (nonché sulla loro
percezione) tra XII e, soprattutto, XIII secolo. Di questo quadro fa parte dunque
anche la CSM 343, trovandovi inoltre una propria legittimità sul piano dei conte-
nuti; legittimità dunque che si può far forza di una tradizione già iniziata nel
XII secolo e rafforzatasi dopo il IV Concilio Laterano del 1215, e non erroneamen-
te – come si sarebbe portati a pensare per via di una attuale non conoscenza di
una fonte diretta – di una invenzione totalmente alfonsina.
Il merito del Sabio e dei suoi letterati – se proprio lo si vuole ricercare –
sarebbe invece da trovarsi proprio nell’ottica di quel quadro d’insieme, e nella
capacità di far entrare nella raccolta delle CSM un motivo particolarmente «alla
moda» ed ampiamente contemporaneo nella sua valenza dottrinale (lasciando
48 Cf. Berlioz (2006, 107, 468). Pur non riguardando un caso di possessione, il tema sembra
trovare una relazione, quanto alla conoscenza diabolica dei peccati dei fedeli, col tema del libro
del diavolo. Cf. il gruppo di exempla in Berlioz (2006, 101 s.).
192 Manuel Negri
peraltro a margine quello dei demoni muti).49 E questo anche grazie alla program-
matica posizione letteraria e, più ampiamente, culturale assunta dal sovrano
castigliano-leonese e dal suo gruppo di sapienti poeti e religiosi, non restia a
pescare da serbatoi mariologici non canonici, o del tutto paralleli a quelli più
comunemente riproposti da chierici e compilatori nell’ambito della mariologia;
non escludendo quindi quello esemplare non marianizzato o da poco marianizza-
to, proprio come il presunto caso dell’ignota collezione di Rocamadour al quale
questa CSM pare far riferimento. Raccolta, quest’ultima, molto probabilmente
posteriore a quella fin’ora conosciuta e andata perduta, e per la quale la triste
ipotesi di una distruzione in seguito alle avverse vicissitudini che hanno riguarda-
to il santuario non è del tutto da escludere.50
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49 Nelle precedenti collezioni di miracoli mariani il mutismo è perlopiù presentato come una
limitazione fisica senza particolari connotazioni che rimandino ad una causa demoniaca. Cf. i
miracoli del gruppo di Villa-Sirga (CSM 234) e della nota collezione relativa a Rocamadour (I, 6; I,
26; I, 33; I, 49; I, 45; II, 5). Il solo caso di mutismo dovuto ad una possessione è quello che è già
stato citato (I, 35). Al contrario, negli exempla il mutismo è una conseguenza comune del rifiuto di
Cristo o, più in generale, punizione per un rifiuto della stessa religione; ma il diavolo non viene
quasi mai nominato in modo esplicito. Uno dei pochi casi in cui avviene tale menzione si ha nella
Vita prima di una ragazza milanese scritta da Arnoldo di Bonneval, nella quale si narra di una
limitazione dei sensi (quindi anche della parola) causata dal diavolo. Possessione e malattia però,
soprattutto nel XIII secolo, non sono sempre e comunque interscambiabili; cf. Newman (1998,
737).
50 Per questa peculiarità di Alfonso X, cf. Bétérous (1983–1984, 435). Su Rocamadour e il caso
dell’incendio degli archivi, cf. Bull (1999).
La cantiga 343: un caso di indemoniato loquace 193
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