Sei sulla pagina 1di 20

ZrP 2017; 133(1): 175–194

Manuel Negri
La cantiga 343: un caso di indemoniato
loquace

DOI 10.1515/zrp-2017-0007

Abstract: In the Galician-Portuguese Cantigas de Santa Maria, written at the court


of Alfonso X in the second half of the XIIIth century, the Devil has an important
role. In one cantiga, where a case of possession is narrated, the Devil gives a
talkative possessed girl the power of revealing the unconfessed sins of the people
who stand in front of her. We do not know of a direct source for this particular
narrative in the field of Marian miracles. However, the theme of the diabolical
revelation of sins is shared by some exempla, such as some stories in Caesarius of
Heisterbach’s Dialogus Miraculorum or Etienne de Bourbon’s Tractatus de diversiis
materiis predicabilibus. Through a contextualized reading of cantiga 343 and a
comparison with these other narratives showing the working of the talkative
possessed, this paper aims to show the strict relations between the cantiga and
the beliefs of the time, as well as Alfonso’s shrewdness in incorporating topical
themes into the cantigas, as part of his overall aim of conveying a doctrinal
message while contributing to the entertainment of his Court.

Keywords: Cantigas de Santa Maria, Galician-Portuguese, demonology, exempla,


Alfonso X the Wise

Parole chiave: Cantigas de Santa Maria, galego-portoghese, demonologia, exem-


pla, Alfonso X il Saggio

0 Introduzione
Il Diavolo è protagonista di un nutrito numero di Cantigas de Santa Maria,1
raccolta di liriche a sfondo religioso composte in lingua galego-portoghese nella

Promosso da: Questo lavoro è stato realizzato nell’ambito del progetto di ricerca Las Cantigas de
Santa Maria: De la edición a la interpretación (Ref.: FFI2014-52710), finanziato dal MINECO
(Ministerio de Economía y Competitividad) e diretto da Elvira Fidalgo Francisco dell’Universidade
de Santiago de Compostela.

Indirizzo di corrispondenza: Dr. Manuel Negri, Via I Maggio 16, Boara Pisani, I-35040 Padova /
Rúa do Francés 19, E-15787 Santiago de Compostela, E-Mail: manuel.negri@usc.es
176 Manuel Negri

seconda metà del XIII secolo nello scriptorium del re Alfonso X Il Saggio. La sua
presenza, come principale antagonista di Dio e – specialmente in questi testi di
carattere mariano – come avversario diretto della Vergine Maria, è inoltre garanti-
ta dalla stessa struttura delle CSM narrative. Quest’ultime, spesso organizzate da
una griglia bipartita, accolgono sovente nella prima macro-sequenza il suo inter-
vento sulla scena, volto essenzialmente ad infrangere l’ordine naturale (quindi
divino) delle cose, finendo con l’essere la causa stessa di tale disordine;2 nella
seconda sezione, invece, la dinamica accolta si rivela opposta, con la Vergine
che, grazie al suo potere e alle sue facoltà di carattere intercessorio, si rende
protagonista di un intervento in extremis volto a ristabilire l’ordine perduto o
parzialmente incrinato della vita umana.3
Grazie ad una struttura come questa, caratterizzata dunque da un forte
dualismo di fondo, le CSM veicolano spesso un’idea alquanto popolare – dunque
accessibile – del cristianesimo arrivando perfino a proporre violenti episodi di
lotta e contesa tra le forze del male e quelle del bene. Si tratta di una rivalità
descritta di frequente con materiali narrativi connotati da concretezza e fisicità
(anche nel campo lessicale), dove Satana e i suoi demoni non esitano a spingersi
fino agli esiti più estremi di tali contrapposizioni, coinvolgendo fisicamente
anche gli stessi esseri umani. Se, da un lato, quando ciò accade, l’entrare in
contatto con essi attraverso generiche tentazioni o cambiamenti di identità è solo
una delle modalità meno violente, dall’altro lato la possessione diabolica costitui-
sce il punto più elevato di questa escalation di malvagità; situazione che, in
seguito, può trovare soluzione unicamente in un esorcismo diretto dalle alte sfere,
unico rimedio efficace a qualsiasi tentativo secolare fallimentare di riparazione.4
Tra le circa 40 CSM dove il diavolo o i demoni mostrano la loro presenza e il
loro stato di concreta e profonda interazione con gli esseri umani che popolano i
testi alfonsini, solo due CSM raccontano un vero e proprio caso di possessione
diabolica – ovvero un’intrusione di un’entità sovrannaturale nella sua vittima,
nonché spazio ove agisce il diabo che andremo ad analizzare –, mentre solo una
di esse presenta, in aggiunta, nella seconda parte della narrazione, anche un

1 D’ora in avanti, per riferirsi alle Cantigas de Santa Maria, si usa l’acronimo CSM.
2 Sul forte legame del reale col soprannaturale in questo tipo di letteratura miracolistica, al quale
anche le CSM possono essere ascritte, cf. Bertolucci (1963, 42).
3 Per un’analisi più approfondita in merito alla struttura comune, cf. Fidalgo (1990).
4 Cf. Fidalgo (2013, 233). Le CSM mostrano il lato più popolare della demonologia medievale,
caratterizzato da una forte ed esibita fisicità, sebbene la loro produzione si inserisca nella seconda
metà del XIII secolo quando la teologia ufficiale più autorevole afferma la totale natura incorporea
del Diavolo anche nel campo delle possessioni (o delle mere influenze). Per una sintesi sulla
questione demonologica relativa alla corporeità diabolica, cf. Soto-Posada (2005, 34). In merito
alla presenza dei demoni nella cultura medievale, cf. Minois (2002, 53).
La cantiga 343: un caso di indemoniato loquace 177

esorcismo operato dalla Madre di Dio.5 La prima di queste CSM, ovvero la n. 298
(«Como Santa Maria de Seixon guariu ũa moller de demonio») non sarà oggetto
del nostro studio, poiché presenta una situazione abbastanza comune nell’ambito
della possessione. Essa infatti ospita il classico tema medievale dell’obsessa
abitata da un diavolo che sarà poi definito nel corso del testo mediante le sue
macchinazioni, volte ad evidenziare le due caratteristiche tradizionalmente più
note in merito alla sua essenza: l’inclinazione all’inganno e al tradimento.6 Il tipo
di diavolo presentato – insieme alla storia nel suo complesso – trova inoltre un
sicuro precedente nella collezione di miracoli mariani di Soisson composta da
Ugo Farsito nel XII secolo, nonché una «fonte» cronologicamente più vicina nella
famosa collezione Thott (miracolo n. 46) della seconda metà del secolo XIII.7
L’intera tradizione può vantare inoltre vari precedenti biblici – o appigli dottrinali
funzionali ad una sua legittimazione sul piano tradizionale – dove viene molto
probabilmente descritto un caso di epilessia (Mt 17:14–20; Mc 9:14–29; Lc 9:37–
43).8
Al contrario, la CSM 343 presenta ben due tipi di demoni, uno nella rubrica
(demonio mudo) e uno nel corpo narrativo della stessa CSM, il quale si rivela
estremamente interessante e peculiare nel suo comportamento. Ed è proprio
quest’ultimo – un diavolo cioè capace di rendere eccessivamente «prolissa» la
sua vittima – che in realtà agisce concretamente nella storia. Per questa narrazio-
ne, che nella rubrica viene rimandata al santuario di Rocamadour, non è possibile
individuare una fonte diretta nella vasta collezione di miracoli del santuario
francese composta attorno all’anno 1172, e, più in generale, nemmeno nel restante
serbatoio a noi noto dei miracoli mariani. La raccolta francese, scritta progressi-
vamente e probabilmente in un breve lasso di tempo,9 ma concepita come un
insieme unitario di varie sezioni corrispondenti ai vari periodi di pellegrinaggio
dei fedeli a Rocamadour, è attualmente trasmessa da tre miscellanee: nessuna di
loro contiene una storia simile, nei contenuti e nella struttura, a quella versificata

5 Sul concetto di intrusione, cf. Russell (1987, 28); Fidalgo (2013, 242). Questa concezione all’inse-
gna della fisicità sembra avere la sua migliore occorrenza nei Vangeli, in particolare in quello di
Marco nell’episodio dell’indemoniato di Gerasa (Mc 5:1–20). Cf. Caciola (2003, 36 s.).

6 Sulla categoria obsessa, cf. Newman (1998, 738); Caciola (2003, 57).
7 Cf. Poncelet (1902, 265). Sulla collezione Thott, rappresentata dal Ms. 128 conservato alla
Biblioteca Reale di Copenaghen, cf. Carrera de la Red/Carrera de la Red (2000, 32).
8 Questo racconto è tràdito anche dal Liber Marie di Gil de Zamora, probabilmente compilazione
dalla gestazione quasi contemporanea rispetto alle CSM (tract. XVI, cap. 4, mir. 14). Per il testo, cf.
Fita (1885, 139). Il racconto di Gil deriva dalla versione più estesa di Ugo Farsito. Per quest’ultimo
aspetto, cf. Dexter (1926, 184). Sul caso di epilessia, cf. Fidalgo (2013, 242).
9 Sulla datazione della raccolta, cf. Bull (1999, 39–63).
178 Manuel Negri

dalla CSM 343.10 Non la si trova neppure nella più piccola collezione rappresenta-
ta dai Mss. Rivipullense 193 e Alcobacense 39,11 che, nella loro seconda sezione,
riportano alcuni miracoli connessi al medesimo santuario, sebbene organizzati e
composti probabilmente in un’altra area.12 Allo stato attuale delle conoscenze,
tali lacune complicano dunque le cose, rendendo quindi praticamente impossibi-
le un inquadramento di questa peculiarità demoniaca attraverso l’impiego di un
metodo comparativo tra le fonti che avrebbero potuto influenzare direttamente –
ovvero mot à mot – la CSM 343. Questo tuttavia non significa che tale occorrenza
sia destinata a rimanere isolata nel panorama della demonologia delle CSM. Al
contrario, questo verrà smentito intraprendendo una strada diversa, ovvero adot-
tando un punto di vista più allargato su possibili realizzazioni o motivi di dominio
dottrinale e popolare. La caratterizzazione nonché la giustificazione di tale demo-
ne loquace nel contesto della poesia mariana galego-portoghese – scopo di
questo contributo – verranno infatti perseguite inserendo la CSM 343 e il diabo in  

essa agente in un preciso contesto letterario e storico dal quale potrebbe ricevere
ulteriore chiarezza, prescindendo dunque dalle fonti materiali ad oggi non dispo-
nibili, ma basandosi comunque su testi che avrebbero potuto guidare il confezio-
namento di alcuni miracula anche a livello di raccolte locali, come quella di
Rocamadour. Ma prima di procedere in questo senso, è bene spendere qualche
parola sulla relazione tra la rubrica e il testo della CSM, visto che la prima non
anticipa affatto quanto effettivamente accade nei versi del componimento, cosa
che ci consentirà man mano anche di illustrare i contenuti della narrazione.

10 MSS. Par. Lat. 16,565 (ultima parte del XII secolo), Par. Lat. 12,593 (inizio del XIII secolo) e Par.
Lat. 17,491 (XIII secolo). Queste miscellanee contengono altre collezioni locali di miracoli mariani,
come quella di Ugo Farsito o i miracula di Ermanno di Laon. Per la data e le caratteristiche dei
Miracles de Rocamadour, cf. Albe (1907); Nascimento (2004).
11 Sul MS. Rivipullense 193, cf. Baraut (1956, 127–160). Sul MS. Alcobacense 39, cf. Nascimento
(2004). Il primo venne scritto nel corso del XIII secolo, mentre il secondo è una compilazione del
XIV. Probabilmente, entrambi procedono da un comune antigrafo. Presentano una piccola
collezione divisa in due parti: la prima contiene un gruppo di miracoli «universali», la seconda
mostra un piccolo nucleo di narrazioni a carattere locale.
12 L’elemento che induce a ritenere questa compilazione al di fuori della zona d’influenza del
famoso santuario francese è contenuto nel prologo presente solamente nel ms. portoghese, dove i
monaci del santuario ricevono pesanti critiche. Non si esclude, inoltre, l’ipotesi di appartenenza a
una collezione più vasta, probabilmente quella in cui era contenuta pure la narrazione corrispon-
dente alla CSM 343.
La cantiga 343: un caso di indemoniato loquace 179

1 Il demone della «rubrica»


Come già osservato, nel Ms. E (El Escorial, J.b.2) – il solo codice delle CSM che
trasmette la CSM 343, compilato tra gli anni ’70 ed ’80 del XIII secolo – il testo
viene preceduto dalla seguente epigrafe (c. 307r): «Como Santa Maria de Rocama-
dor guariu hũa manceba demoniada de demonio mudo e fez que falasse» (Come
Santa Maria di Rocamadour guarì una giovane indemoniata di demonio muto e lo
fece parlare).13 Tuttavia, come si è già anticipato, la CSM 343 presenta una
situazione opposta. Si veda, a tal proposito, il secondo verso del refran, ovvero
quella parte del testo – probabilmente cantato alternativamente alle cobras
narrative – spesso deputata al disvelamento dell’orizzonte dottrinale dei miracula
alfonsini: «A Madre do que o demo fez no mudo que falasse, / fezo a outro diabo
fazer como se calasse» (La Madre di colui che fece parlare il demone nel muto, /
fece smettere di parlare un altro diavolo).
La rubrica presenta dunque un demo che impedisce all’indemoniata di espri-
mersi ed entrare così in relazione con altri membri della comunità. La tipologia di
demonio e quindi di possessione a cui si fa accenno, oltre a ricordare i casi delle
obsessae, rimanda strettamente ad alcune occorrenze bibliche: in Mc 9:14–29 ad
esempio, prima dell’esorcismo operato da Gesù, l’agire del demonio rivela una
particolare tipologia di demoni costrittori – derivanti dalla tradizione giudaica –
che saranno poi inseriti in un preciso sistema di classificazione delineato agli inizi
dell’ XI secolo dal filosofo Michele Psello nella famosa opera intitolata De Opera-
tione Daemonum. Psello, influenzato da concezioni neoplatoniche, in una sezione
del suo trattato di demonologia indica infatti una precisa classe di diavoli chiama-
ti misophaes (dal greco, ‘odiatori della luce’), i quali non solo vengono descritti
come i responsabili della possessione fisica, ma anche come coloro i quali provo-
cano nel posseduto «a relaxation of his whole system», bloccando «his utteran-
ce».14 In particolare, essi detengono l’abilità di rendere il posseduto muto o
sordo.15 Questo è dunque il demone a cui si fa riferimento solamente nella rubrica.
Stando agli elementi che si prenderanno in considerazione, si può affermare
fin da ora che l’informazione epigrafica della CSM 343 suggerisce non già l’ipotesi
di una prima intenzione a livello narrativo poi mutata in corso d’opera, bensì

13 Cf. Mettmann (1989, 194). Sulla tradizione manoscritta delle CSM, cf. Fernández (2009, 323–
348).
14 Cf. Mettmann (1989, 194). Su Michele Psello, cf. Boisonnade/Gaulmin (1964). Demoni muti,
procedenti dai Vangeli, sembrano entrare nella religiosità popolare grazie all’influenza e al
contributo dei trattati medievali che esponevano, in una forma più semplificata dal punto di vista
concettuale, credenze religiose più complesse.
15 Cf. Russell (1987, 22).
180 Manuel Negri

quella di una lettura parziale dei versi della CSM 343 da parte di un rubricatore, o
di chi, nello scriptorium, era preposto all’indicizzazione dei testi in una fase
successiva alla ripartizione delle liriche nelle varie carte del codice E. La discre-
panza si sarebbe potuta produrre durante il processo interno di compilazione e
non propriamente durante la precedente fase di collezione dei materiali narrativi
da versificare.16 Il rubricatore – forse per fretta o per una semplice svista –
potrebbe essere stato tratto in inganno dalle allusioni bibliche dell’exordium, dai
primi versi del refran, o dai vv. 5–6 («Ca diz eno Evangeo dun ome que non
falava / en que jazia o demo», «che si dice nel Vangelo di un uomo che non
parlava / nel quale giaceva il demonio»), ed aver perpetrato così un’informazione
che, se da un lato – anche nella sua percezione e per la portata culturale – godeva
di grande autorità, dall’altro però finiva per non riflettere adeguatamente i
contenuti (convinto forse che anche solo una lettura iniziale e parziale sarebbe
bastata per aver chiaro il contenuto della narrazione). A conferma di questa
ipotesi generativa interna, risulta importante notare in primis la marcata somi-
glianza tra il secondo emistichio del primo verso del refran («fez no mudo que
falasse») con la sintassi e gli stessi termini dell’ultima parte della rubrica («mudo
e fez que falasse»). Risulta oltremodo probabile che l’errore rifletta uno stadio
anteriore, corrispondente ad un esemplare di lavoro poi riprodotto meccanica-
mente in alcune sezioni, visto che nel Ms. E si sono riscontrate discrepanze tra
l’indice iniziale e le relative epigrafi in apertura dei testi dove il copista, citando
Schaffer, «errs in giving subject status to both agent and beneficiary».17
Inoltre, oltre al già indicato peso d’autorità rappresentato dall’allusione
biblica, pure un altro elemento relativo ad un’errata percezione del testo – conse-
guente a tale sorta di indicizzazione alla cieca – avrebbe potuto concorrere alla
produzione dell’incongruenza tra epigrafe e contenuto. Si tratta infatti di una
probabile suggestione letteraria più prossima temporalmente rispetto a quella
rappresentata dall’episodio biblico, relativa al miracolo n. 35 del primo libro della
collezione di Rocamadour, che riporta uno dei pochi casi di esorcismo presenti
nella raccolta a noi nota del santuario francese. In esso, infatti, si narra di un
posseduto reso muto dal demone che lo ha abitato (De demonioso liberato a
demonio).18 È possibile dunque che pure questa attestazione del motivo da parte

16 Sui concetti di collezione e composizione nelle CSM, cf. Parkinson/Jackson (2006).


17 Su quest’ultimo aspetto, e per la citazione, cf. Schaffer (1990–1991, 66).
18 Si riportano di seguito le prime righe del testo del miracolo capaci di fornire un’idea sulla
cornice narrativa che qui si rivela del tutto diversa rispetto a quella della CSM 343. All’inizio della
narrazione, infatti, viene fornita la giustificazione per l’imminente possessione diabolica ai danni
del protagonista (un armiger): un peccato di blasfemia, che lo espone così alla mercé del maligno.
Cf. Albe (1907, 130 s.): «Armiger quidam nobilis de Mout Roial, unigenitus matris sue, ludendo

La cantiga 343: un caso di indemoniato loquace 181

di un’autorità più recente, forse ricordata indirettamente proprio con la menzione


del santuario di Rocamadour, abbia potuto supportare la creazione della «falsa»
rubrica; e come questa dunque, pur essendo il risultato di un processo del tutto
interno, si sia giovata di alcune reminiscenze più o meno prossime presenti
nell’orecchio o nella cultura di chi era preposto all’indicizzazione.

2 Il diavolo della «cantiga»


Anche se, come si è visto, per la CSM una fonte diretta non è disponibile, tuttavia
un particolare ambiente religioso del XII e XIII secolo, permeato dalla presenza
letteraria di una speciale tipologia di demoni che si caratterizza per l’uso spropo-
sitato della parola con il fine di portare in superficie i segreti inconfessabili dei
presenti, può contribuire ugualmente a gettare luce anche sulla tipologia di
diabolus che agisce nella CSM 343. Inoltre, in via però del tutto contingente,
questa possibilità di confronto potrebbe oltremodo contribuire al suggerimento di
una legittimità del récit in merito ai contenuti della CSM (e non della sua «falsa»
rubrica), proprio grazie a questa individuazione della tradizione di riferimento;
escludendo pertanto l’ipotesi di una paternità alfonsina del motivo interno al
testo. Si può iniziare ad inserire questa CSM nel contesto sopra menzionato
partendo proprio dall’analisi dell’entità demoniaca che agisce in essa.19 In questa
CSM, il Diavolo entra in scena nella terza cobra, a partire dai vv. 15–18:20

Ond’ avẽo en Caorce dũa moller que ssa filla


ouve mui grande fremosa; mais o diabo, que trilla
aos seus, fillou-a fortemente a gran maravilla,
e dizia toda cousa a quen lla enpreguntasse.21

Ove avvenne a Cahors di una donna che sua figlia


aveva molto bella; ma il diavolo, che sottomette
i suoi, la prese con forza alla sprovvista,
e diceva di tutto a chi le rivolgesse parola.

cum aliis, membra Domini nostri Jhesu Christi jurans, quantum in ipso erat vilitenebat, Matrem-
que ejus Dominam nostram Gloriosam inglorius verbis indecentibus inhonorerabat [...]».
19 Si sposa qui la posizione teoretica esposta in Russell (1987, 6), quanto ad un’analisi che
mantiene come costante punto di riferimento non già un moderno e razionale (nonché reale)
punto di vista del fenomeno, ma che adotta, per la sua disamina in campo letterario, il filtro più
vicino all’ottica della società medievale e di quel preciso momento storico, soprattutto per quanto
concerne la credenza popolare in merito a diavoli, possessioni demoniache ed esorcismi.
20 Dopo il testo critico, si riporta una proposta di traduzione in italiano.
21 Cf. Mettmann (1989, 194).
182 Manuel Negri

Come si può leggere ai vv. 16–17, tale referente demoniaco agisce fin dall’inizio
mediante una marcata fisicità. La specificazione «que trilla aos seus» riferita
proprio al comportamento del diavolo disvela un potente atto di danneggiamento
nei confronti dei peccatori. Nella lirica profana galego-portoghese il verbo trilhar
indica un’azione non certo astratta, traducibile col significato di «calcare/pesta-
re».22 Nelle CSM esso non sembra perdere del tutto parte di questa concretezza.
Pur conoscendo un impiego in un contesto ovviamente più spirituale, esso viene
infatti utilizzato per inquadrare la relazione di «sottomissione» del Diavolo da
parte di Dio e soprattutto di Maria (a volte anche espressa con una sfumatura di
violenza) o, in un altro contesto, in riferimento a peccatori castigati da parte della
divinità. Tale concretezza si fa ancor maggiore nella CSM 343 dove il soggetto di
trillar è, stavolta, lo stesso Diavolo, figura certamente meno celeste e spirituale
rispetto ai difensori dei fedeli sopra menzionati. Qui il verbo trillar suggerisce,
infatti, l’atto concreto della «vessazione» nei confronti di tutti i peccatori, la quale
può avere anche ripercussioni sulla sfera fisica della vittima.23
All’interno del v. 17 viene inoltre descritto, sebbene con poche parole, l’atto
della possessione: «fillou-a fortemente». Se il verbo trillar, come appena visto,
nella CSM 343 si riferisce ad una generale attitudine del diavolo nei confronti
dell’umanità, il verbo fillar, («prendere/cogliere/impossessarsi di qualcosa o
qualcuno») sempre caricato di connotazioni fisiche, esprime la relazione violenta
di privazione di libertà e di costrizione che viene ad instaurarsi a livello partico-
lare tra la forza del male e la vittima designata. Il verbo qui riflette pertanto la
più comune e condivisa concezione medievale di tipo fisiologico riguardo la
possessione, intesa come una vera e propria intrusione operata a livello corpora-
le da parte del diavolo di turno, il quale, grazie alle sue abilità metamorfiche

22 Nel campo lirico profano, entrambe le occorrenze riscontrate si rifanno al mondo agricolo e
contadino, descrivendo azioni quali la pigiatura delle olive o l’incedere pesante dei buoi. Cf.
457.13 «e virdes as azeitonas jazer per esses lagares / trilha-las-edes [ena] pia con esses ca[l]canh
[a]res»; 1574.29 «ca ja nen un boi non trilha / en Oscos». Per le citazioni si rimanda al database
GPMPGP (2014).
23 Un’occorrenza speculare, quanto al soggetto, si rileva nella CSM 367 (vv. 21–22) dove si
inquadra il ruolo di Maria come vessatrice del Diavolo («de que guariu por aquela que trilla / mui
mal o demo cheo de perfia»). Col valore di ‘punire’ (anche fisicamente), cf. CSM 19, v. 18 («ca Deus
os trillou, o que os maos trilla»), dove tre cavalieri macchiatisi di un omicidio davanti ad un altare
dedicato a Maria vengono colpiti da fiamme scagliate dal cielo. Una forte accezione fisica si ha
anche nella CSM 189 (v. 2) dove si allude allo scontro tra Dio e il Diavolo, quest’ultimo evocato in
due sue famose trasfigurazioni: «pois madr’é do que trillou o basilisqu’e o dragon». Il verbo
compare inoltre nelle CSM 354 (v. 33) riferito ad un cavallo che calca il terreno, unica accezione in
cui il suo uso rimanda al mondo agreste delle CSM profane e non utilizzato quindi in un contesto
connotato in senso dottrinale.
La cantiga 343: un caso di indemoniato loquace 183

permesse dal suo corpo «aereo», può insidiarsi nelle regioni cave del corpo
umano.24
Quest’ultima concezione, alla quale dunque nemmeno la CSM 343 fa eccezio-
ne, può trovare una delle più chiare conferme già tra la fine dell’XI e l’inizio del
XII secolo nella letteratura esemplare, spesso modello di riferimento immediato
anche per la poesia narrativa mariana galego-portoghese. Giraldo Cambrense,
infatti, nella sua Gemma Ecclesiastica, mette in scena nell’exemplum n. 18 un
diavolo che si rivolge ad un uomo utilizzando il corpo di una posseduta. In questa
narrazione, il messaggio del diavolo non può essere certo frainteso e riflette tutta
una serie di credenze già profondamente radicate in ambienti più popolari.
Quest’ultimo, infatti, nella finzione letteraria del testo, dice di aver potere esclusi-
vamente sul corpo e non sull’anima della ragazza che invano i presenti cercano di
esorcizzare attraverso la somministrazione dell’eucaristia: «Stulti, nihil est quod
agitis, non enim cibus est corporis quod ei datis sed spiritus; mihi vero non in
animam ejus sed in corpus est data potestas».25 Nel corso del XIII secolo, oltre ad
osservare la ripresa di questo medesimo exemplum nel Liber Exemplorum compi-
lato in Irlanda da un anonimo monaco francescano,26 altre raccolte di exempla di
più vasta diffusione continuano ad offrire un riscontro di tale concezione della
possessione, data ormai per consolidata. Essa, infatti, viene descritta anche dai
tre più importanti domenicani che, con le loro opere nel campo della letteratura
esemplare, hanno saputo fornire un contributo significativo alla diffusione della
demonologia del XIII secolo, capace anche di penetrare – in virtù delle mediazio-
ni dei predicatori che di quelle opere si servivano per la loro attività – soprattutto
tra gli strati più popolari. Vincent de Beauvais (in particolare con lo Speculum
Naturale), Caesarius di Heisterbach e Thomas de Cantimpré affermano, infatti,
che solo l’ispirazione divina si realizza attraverso un controllo diretto dell’anima
da parte di un Dio che può inserirvisi in esclusiva, mentre ribadiscono per il
diavolo o i suoi demoni la sola capacità di abitare nelle zone periferiche del corpo,
come l’apparato digerente o le viscera; approfittando dunque di tali spazi vuoti
per governare letteralmente – come un burattinaio con una marionetta – le
intenzioni del posseduto, nonché influenzare le finalità del suo comportamento
spesso alterato.27

24 Cf. Fidalgo (2013, 242).


25 Cf. Brewer (1862, 53 s.).

26 Cf. Jones (2011, 36).


27 Cf. Caciola (2000, 279–285). La forza del Diavolo appare rafforzata anche dalla presenza
dell’avverbio fortemente che appare diviso dalla cesura del v. 17, mentre la sua spavalderia
nonché imprevedibilità, quest’ultima vera e propria spia di quel timor diaboli particolarmente in
184 Manuel Negri

Se l’atto della possessione in questa CSM può essere descritto dunque senza
particolari difficoltà esegetiche in merito al fenomeno descritto, e con un verbo
(fillar) la cui concretezza non deve certo stupire, le cose cambiano leggermente
con i dettagli che il testo fornisce in seguito, e che hanno a che fare con il
comportamento esibito dalla posseduta. Su questo punto le cose sono più difficili
da definire, proprio in virtù di uno statuto ambiguo che riguarda quest’ultima,
divisa, di fatto, tra uno stato di vera possessione ed uno di apparente ispirazione.
Il peculiare atteggiamento che riguarda l’indemoniata viene reso noto a partire
dal v. 18, dove si specifica che, in preda ad una sorta di iperattività, non smette di
rivolgere la parola ai presenti, agendo dunque senza limitazioni: «e dizia toda
cousa a quen lla enpreguntasse». Il diabo che possiede la giovane nella CSM 343
non causa dunque nessuna limitazione fisica (come il già citato mutismo), ma le
fornisce quello che Caciola, in relazione ad altri contesti letterari abitati da
demoni, chiama un «heightened level of activity» ed un incontrollato uso della
sua facoltà di parola nel rivelare ai presenti informazioni occulte; mantenendola
inoltre – questo almeno solo per la fase iniziale – a contatto con i membri della
sua comunità che assistono allo spettacolo diabolico fino ad interagire con essa.28
Entrando ora nel merito della narrazione della CSM 343, dopo un primo
tentativo di esorcismo da parte del capelan (che non andrà a buon fine in quanto
poi, come lo stesso diavolo rivelerà, il suo stato di scomunica non può garantirgli
alcun potere nel procedere a neutralizzare la forza del male) le azioni e i compor-
tamenti della giovane ricevono un ulteriore chiarimento. Essa, infatti, inizia a
rivelare ai presenti accorsi in chiesa non già segreti generici o astruse profezie, ma
qualcosa di già noto ad essi (almeno, in cuor loro): i loro peccati. Questo passo

auge nel XIII secolo, vengono evidenziate nell’ultima parte del verso mediante il sintagma a gran
maravilla. Quest’ultimo sottolinea proprio tale capacità di attaccare il peccatore alla sprovvista.
28 Per le citazioni e le definizioni, cf. Caciola (2003, 45–48); Fidalgo (2013, 243). Durante il
medioevo possessioni ed esorcismi sono intimamente connessi alla dimensione sociale e dunque
pubblica; ed è proprio questa dimensione pubblica, che funge anche da autorità definitoria, a
contribuire infine alla loro percezione come fenomeni certamente reali e spiegabili. Essa inoltre
determina, attraverso il filtro della religione e tenendo conto della gerarchia sociale dei posseduti
(uomo-donna; credente-ateo), se di possessione si poteva parlare o se quello che si aveva davanti
era solamente un caso di santo misticismo. La sua frenetica gesticulatio unita alla paura da parte
della madre di un’azione sconsiderata, come quella di gettarsi tra le fiamme, esprime con brevità
ed enfasi il suo disordine interiore (vv. 22–23). In tale paventata azione autolesionistica si può
scorgere una credenza tipica del XIII secolo dove il fuoco assume un valore metonimico per le
fiamme infernali. Agli inizi del XIII secolo, in merito all’azione di gettarsi nel fuoco da parte degli
indemoniati, cf. ad esempio la Vita di Cristina the Astonishing (1150–1224) scritta da Thomas de
Cantimpré. Qui Thomas racconta come la donna, ritenuta una posseduta da vicini ed amici, era
solita gettarsi tra le fiamme in via episodica, comportamento che già di per sé bastava a
convalidarne la possessione.
La cantiga 343: un caso di indemoniato loquace 185

merita un’attenzione del tutto particolare nell’economia del racconto per mettere
a confronto il testo della CSM 343 con altri exempla che si reggono sullo stesso
motivo; delineando dunque un retroterra comune (non solo letterario, ma anche
dottrinale e culturale) che sottostà probabilmente pure all’ignota versione legata
a Rocamadour. Si riporta di seguito il passo di nostro interesse che illustra quanto
appena detto (vv. 35–38):29

Poi-lo capelan foi ido, a todos quantos entravan


por vee-la lles dizia aquelo en que pecavan;
ond’ avian gran vergonna e poren se receavan
tanto dela, que apẽas achavan quen y entrasse.30

Dopo che il cappellano se ne andò, a tutti quelli che entravano


per vederla gli diceva quello in cui peccavano;
di ciò ne avevano grande vergogna e per questo ne avevano
così tanto timore, che appena incontravano chi lì entrasse.

In un suo recente lavoro, la medievista Nancy Caciola sottolinea giustamente che,


per il Medioevo, «intellectual, as well as physical, effects frequently were reported
of demoniacs» e che i demoni «induce a state of trance, in which the victim might
receive visions and hear revelations that mingle truth and falsehood».31 Questa
idea procede, senza alcun dubbio, direttamente dagli stessi Vangeli canonici. La
si può individuare, ad esempio, nei passi relativi a Mc 1:24 e Lc 4:41 quando
Cristo ottiene un riconoscimento della sua natura divina da parte di un possedu-
to.32 Questa situazione narrativa è ovviamente diversa da quella presente nella
CSM 343, ma suggerisce non solo la facoltà introspettiva garantita a (certe) forze
demoniache nelle concezioni del tempo, ma soprattutto la possibilità di arrogarsi
alcune facoltà generalmente destinate alle forze del bene, come appunto quelle
delle rivelazioni o della confessione.
Questo principio verrà in seguito adottato dalla dottrina ufficiale – sebbene
dai contorni alquanto sfumati – specialmente da Sant’Agostino nel suo trattato

29 Si ritiene che, nel caso di fonti sconosciute, non individuate o semplicemente perdute
(soprattutto quando si tratta di collezioni a carattere locale) questo approccio che si basa sulla
focalizzazione di un referente culturale e letterario più generale comune alle CSM e alle raccolte
esemplari, possa contribuire (almeno in via del tutto orientativa, per alcuni temi) alla definizione
di un’area di influenza degli stessi motivi contenuti in diverse narrazioni.
30 Il soggetto indicato, di fatto, è il Diavolo. Egli parla attraverso la posseduta, ma la donna e
l’entità malvagia vengono raggruppate in una medesima entità, anche a livello grammaticale.
Questo aspetto non costituisce un’eccezione nel campo della demonologia, ma riflette una visione
culturale specifica tipica dell’epoca. Su quest’ultima questione, cf. Caciola (2003, 129).
31 Cf. Caciola (2003, 48).
32 Cf. Minois (2002, 41).
186 Manuel Negri

De divinatione daemonum, scritto agli inizi del V secolo (406–410 ca.). Qui, il


famoso religioso ipponense sottolinea una speciale capacità conoscitiva riservata
ai demoni, partecipanti, per loro stessa definizione, ad una «doppia» natura:
«multa ante cognita praenuntiant vel nuntiant, quae homines pro sensus terreni
tarditate mirentur» (3,7).33 Alla fine del secolo XI il canonista Ivo di Chartres nel
trattato intitolato Panormia (1092–1095 ca.) riprende il medesimo concetto agosti-
niano (8,68).34 Si configura dunque come un concetto di larga diffusione, se si
considera anche il fatto che lo stesso Anselmo – ultimo tra queste auctoritas di
larga considerazione anche nel XIII secolo – arriverà a convalidare queste specia-
li capacità di introspezione intellettuale da parte dei demoni, sebbene parta da
un’idea di possessione meno connotata sul piano fisico, e dunque più astratto.35
Ma qui, nel testo alfonsino, si ha davanti qualcosa di molto più specifico e
circoscritto, che poco ha a che fare con presunte capacità divinatorie o conoscen-
ze meramente proiettate verso il futuro, sebbene il tutto sembri essere sempre
permesso dalle posizioni teologiche sopracitate. Nella CSM 343 sono infatti i
peccati degli astanti ad essere oggetto di rivelazione, non già profezie del tutto
staccate dall’esperienza individuale. Sembra dunque che questo terreno concet-
tuale basato su occorrenze bibliche e teologiche si scontri, in questo passo delle
CSM, con nuove esigenze di tipo storico e soprattutto dottrinale; esigenze che, in
particolare, potrebbero inserirsi appieno in quel clima di generale rinnovamento –
iniziato proprio durante il XIII secolo – che spinge alla «promozione» di questi
curiosi «diavoli loquaci» per far passare importanti messaggi di tipo dottrinale,
soprattutto per quanto riguarda l’importanza sempre maggiore data all’esercizio
della confessione (indiscutibile leitmotiv del XIII secolo europeo) e alla lotta al
dualismo dell’eresia catara.

33 Cf. capitolo terzo: Daemonum divinatio tribus est causis. Acrimonia sensus, celeritate motus, et
diuturna rerum experientia praepollent. Non ideo daemones praeponendos esse hominibus. Per
l’edizione di riferimento, cf. Migne (1863, 584); Ceriotti (1995, 647–783).
34 Cf. capitolo lxviii, anche se qui ci si sofferma poi sulle capacità divinatorie dei demoni: Quot
modis daemones futura praenoscunt. Per l’edizione di riferimento, cf. Migne (1853, 1322). Graziano,
nel suo Decretum, ovvero la prima compilazione del Diritto Canonico (1140–1142 ca.), riporta lo
stesso passo. Come si può vedere dunque, anche per il XII secolo, tale idea di fondo in merito a
straordinarie facoltà divinatorie possedute dai demoni conosce una larga diffusione nonché una
sicura accettazione. Sull’ampia ricezione del trattato agostiniano nel medioevo, soprattutto dagli
inizi del XII secolo, cf. Schlapbach (2013, 132–134).
35 Cf. Soto-Posada (2005, 35–41).
La cantiga 343: un caso di indemoniato loquace 187

3 CSM 343 ed «exempla»


Di fatto, dopo il IV Concilio Lateranense del 1215, l’idea crescente dell’importanza
di quello che Newman chiama «l’efficacia del sacramento della penitenza» («the
efficacy of the sacrament of penance») nonché il desiderio di ridimensionare
l’eretico dualismo dei Catari anche nel campo della demonologia36 – con una
conseguente idea di un controllo maggiore della forza diabolica da parte di Dio
promossa dalla dottrina ufficiale – sembrerebbe giustificare e spiegare anche
l’incremento di questa particolare manifestazione letteraria; rivelazione che, se
da un lato contribuisce ad una sorta di messa in ridicolo della componente
diabolica o demoniaca, dall’altro la identifica come un mero strumento passivo,
sfruttabile da parte della divinità e dunque pienamente controllabile per scopi
edificanti.37
Ed è proprio negli exempla – oltre che nella CSM 343 – che questi demoni
irrompono, in via quasi del tutto esclusiva, con le loro rivelazioni sui peccati
commessi o non adeguatamente confessati da parte dei protagonisti; dunque, in
un tipo particolare di narrative brevi che acquistano una loro piena funzione
proprio nell’attività di predicazione. Esse condividono inoltre con le CSM non solo
una precisa struttura di tipo retorico-stilistico, ma anche temi e situazioni dal
gusto popolare e folclorico.38 In un primo momento, proprio come accade nella
CSM, in tali narrazioni il posseduto non è rifiutato o emarginato dalla comunità
per questa propria mancanza di autocontrollo; una situazione questa che però
cambierà drasticamente sul finale, a causa della vergogna provata dai presenti
nel sentire le proprie malefatte rivelate in pubblico. Dal XII al XIV secolo, ovvero
dal periodo che va dall’attività letteraria di Eadmer, fino ad arrivare allo Specchio
di vera penitenza del frate italiano Iacopo Passavanti, si possono registrare più di

36 Quindi, contro il sempre presente «riesgo del sistema dualista». Cf. Minois (2002, 42).
37 Per la citazione, cf. Newman (1998, 749ss.). La studiosa analizza questa categoria nella
letteratura del XIII secolo, affermando come tale tipologia di demoni conosca un incremento
importante proprio in questo secolo in molte raccolte di exempla. Tuttavia, occorre ribadire che la
loro presenza è attestata anche nei secoli precedenti, come nella Vita di San Dunstano scritta da
Eadmer. Non si tratta dunque di una invenzione del «secolo enciclopedico», ma la sua crescita
quanto ad attestazioni è unicamente giustificata da esigenze del tutto temporali e religiose. Per
una sintesi su quest’aspetto, cf. Minois (2002, 74). La componente umoristica di questo esempio
demoniaco nella CSM 343 era già stata colta in Callcott (1923, 92).
38 Cf. Newman (1998, 733). In merito alla definizione di exempla, occorre ricordare che, oltre al
loro valore estetico e dunque narrativo, essi detengono in primis una generale funzione omiletica,
non trascurabile, configurandosi quindi come letteratura accessoria e dipendente. Su tali questio-
ni, cf. Tiliette (1998, 65); von Moos (1988, 70).
188 Manuel Negri

una ventina di racconti che narrano di un posseduto capace di rivelare i peccati


dei suoi concittadini o di chi si trova nei paraggi.
Gran parte di tali accenni o narrazioni si trova dopo il XII secolo, ma, a
conferma di una effettiva progressione nella crescita del motivo poi particolar-
mente promosso per fini dottrinali dopo tale periodo, una delle prime attestazioni
la si può trovare nella Vita Sancti Dunstani scritta da Eadmer tra l’XI e il XII secolo
per onorare la memoria del famoso religioso di Canterbury vissuto nel X secolo.
Qui viene raccontato di come un giovane monaco indemoniato rivelasse i peccati
di quanti si erano confessati con leggerezza durante la messa presieduta da San
Costanzo: «gravis peccati [...] necdum confessi erant in cordis secreto».39 Tra i
primi exempla a noi noti, degno di essere ricordato è pure il n. 10 contenuto nella
quarta parte dell’anonimo Collectaneum Clarevallense, compilato tra il 1165 e il
1181. In questa lunga narrazione, uno dei due indemoniati, condotto a Santiago
de Compostela per poter essere guarito da uno stato di possessione, è il protago-
nista della rivelazione di alcuni peccati.40
A partire dal XIII secolo compreso, periodo in cui dunque anche la CSM 343
viene ad inserirsi con la sua versificazione, il motivo conosce una diffrazione
maggiore, spia di una circolazione altrettanto aumentata. Tra gli autori più
significativi che hanno dato spazio a questa tematica spiccano Cesario di Heister-
bach e il ben noto inquisitore domenicano Stefano di Borbone. Nei loro exempla,
sebbene la cornice narrativa si riveli tuttavia diversa da quella della CSM 343, i
vari protagonisti agiscono però tutti nella modalità già descritta per il testo in
versi galego-portoghese e manifestano questa loro capacità sempre in presenza di
altri fedeli o curiosi. A tal proposito, di seguito vengono messe in evidenza le tre
fasi che contribuiscono a definire la sua dinamica interna, le stesse che si possono
riscontrare per il comportamento della posseduta nella CSM 343:41

39 Cf. Stubbs (1874, 235). La precocità dell’attestazione di tale prodigio in area anglosassone non
deve stupire: presso le comunità religiose insulari precoce fu infatti il valore dato alla pratica della
confessione e dunque ad exempla che potessero consigliare tale pratica presso i fedeli per evitare
brutte sorprese. Questo racconto verrà poi ripreso da Arnaldo di Liegi nel suo Alphabetum
Narrationum (n. 171) e nello Specchio di vera penitenza di Jacopo Passavanti (n. 26) nel XIV secolo.
Per quest’ultimi, rispettivamente, cf. Brilli/Ribaucourt (2015, 101) e Varanini/Baldassarri (1993,
587).
40 Per il testo, cf. Legendre (2005, 267 s.). Si precisa che le ultime attestazioni in ordine temporale

sono spesso una ripresa tout court degli exempla dei secoli precedenti con minime variazioni.
41 Il tutto può essere rimandato al motivo V29.2 del Motif-Index (Monks shrive selves clean under
threat of complete exposure of their sins by brother possessed of friend); cf. Thompson (1955–1958).
Quest’ultimo si rifà all’exemplum n. 171 dell’Alphabetum Narrationum di Arnoldo di Liegi. Da
notare invece come nell’agiografia irlandese la facoltà di rivelare peccati nascosti appaia confina-
ta ai santi (cf. motivo V223.3 Saint can perceive the thoughts of another man and reveal hidden sins).
La cantiga 343: un caso di indemoniato loquace 189

a. Non isolamento del posseduto da parte della comunità;


b. Rivelazione pubblica dei peccati;
c. Isolamento del posseduto (o del peccatore) dalla comunità.

Esaminando ora la prima collezione, si può vedere come è nella terza distinctio
del Dialogus Miraculorum di Cesario di Heisterbach che ci vengono offerti alcuni
esempi significativi in merito a tale dinamica di rivelazione.42 Se l’exemplum n. 2
si rende testimone di questa capacità diabolica «in negativo», raccontando cioè la
storia di un prete adultero che, prima di entrare in contatto con un indemoniato
specializzato nel rivelare i segreti di chi gli compare davanti, pensa bene di
confessarsi presso uno scudiero («quidam obsessus esset, in quo daemonium tam
nequam erat, ut coram astantibus improperaret peccata, quae per confessionem
veram non fuissent tecta»),43 nell’exemplum n. 6 dello stesso compilatore – sem-
pre nel libro III dell’opera – si vede chiaramente realizzata la dinamica sopra
schematizzata.44 Dopo aver riportato la storia di un demone che, insidiando una
ragazza attraverso piacevoli sembianze umane, ne sfrutta la presenza per effet-
tuare i suoi disvelamenti (con una caratterizzazione dunque molto simile tra
l’altro a quella dell’indemoniata protagonista della CSM 343):

Eratque tam nequam idem spiritus, ut praesentium peccata detegeret, crimina improperaret,
nec aliquod peccatum eum lateret, nisi quod vera confessio tegeret. Ostendit et alia signa
nequitiae suae,

Caesarius passa ad illustrare infine al suo Novicius un altro exemplum volto a


dimostrare l’importanza della contrizione affinché la confessione risulti efficace e
non si rischi di finire in balìa delle rivelazioni di qualche diavolo (o indemoniato).
Ed è qui che entra in scena un uomo del Brabante che, incuriosito dal demonio
rivelatore, desidera entrare in contatto con lui (fase a, dunque non isolamento
dell’indemoniato): «qui supradictum daemonem audire nimis desiderans».45 Se-
guirà poi la fase b, ovvero la rivelazione pubblica dei peccati una volta che l’uomo
entra in contatto con l’entità diabolica (qui confessati in via preventiva per evitare

42 Le parti del testo che qui si raccolgono sono state tratte dal database Césaire de Heisterbach En
Ligne (CEL): <http://betula.annexus.ehess.fr/sdx/cesaire/index.xsp> [consultato in data 21 no-
vembre 2015]. Per l’edizione cartacea di riferimento, cf. Strange (1851).
43 L’exemplum verrà poi ripreso e versificato in italiano nel XIV secolo da Iacopo Passavanti nel
suo Specchio di vera penitenza (n. 28). Cf. Varanini/Baldassarri (1993, 589–591).
44 Simile all’exemplum n. 2 è il successivo che tratta di un caso di adulterio.
45 L’indemoniato non verrà isolato nemmeno successivamente. Ne è prova il fatto che dopo la
confessione l’uomo torna alla casa ove il demone risiede, il quale appare circondato da un gran
numero di persone («circumsedentibus»).
190 Manuel Negri

spiacevoli sorprese, ma non confessati con vera contrizione): «Et statim coram
omnibus omnia eius peccata turpia, licet confessa, prodidit». Si riporta il testo per
intero:

Fuit in vicino vir quidam, qui supradictum daemonem audire nimis desiderans, propter
turpia quaedam quae commiserat peccata, appropinquare non audebat, timens sibi illa
coram omnibus improperari. Et veniens ad sacerdotem, confessus est universa, voluntate
tamen peccandi retenta. Factusque ex eadem confessione securior, ad domum venit. Mira
res. Mox ut limen attigit, et introspexit, daemon in acre clamavit: Amice, veni huc, veni,
certe bene te dealbasti. Et statim coram omnibus omnia eius peccata turpia, licet confessa,
prodidit, in tantum illum confundens, ut eadem hora esse voluisset in ortu solis. Tristis
effectus, et conscientia accusante in se reversus, ad sacerdotem rediit, quae gesta sunt
retulit, confessionem iteravit, et quia de reliquo emendatius vivere vellet, de corde pollicitus
est Deo et sacerdoti. Tunc sacerdos: Modo, inquit, revertere securus, non te confundet
amplius. Et fecit sic. Intrante eo domum, quidam ex circumsedentibus daemoni dixerunt:
Ecce amicus tuus iterum venit. Quibus ille respondit: Quis est? Ille, inquiunt, cui paulo ante
tam turpia peccata improperasti. Respondit daemon: Ego nihil illi improperavi, neque
aliquid de eo novi mali. Et mirati sunt daemonem mentitum fuisse, hi qui hominis ignorave-
runt confessionem.

Qui, infine, l’isolamento del demone non avviene (in quanto non vi è nessun atto
di esorcismo, come del resto, in quasi nessun exemplum di questo tipo), ma il
peccatore si isola ricorrendo all’aiuto del sacerdote, non prima di aver provato
vergogna per l’accaduto: «Tristis effectus, et conscientia accusante in se reversus,
ad sacerdotem rediit».46 Nella seconda metà del secolo invece, tali demoni rivela-
tori si rendono protagonisti dell’exemplum n. 1012 del Titulus IV nel Tractatus de
diversis materiis praedicabilibus di Stefano di Borbone. Qui, un posseduto, come
indicato chiaramente nel testo, rivela i peccati di quelli che lo vanno a visitare,
come si può leggere dal passo riportato di seguito. Esso, pur posto sotto l’autorità
di Jacques de Vitry (della qual cosa però non si trova ad oggi un riscontro preciso),
ricorda quello già raccolto da Caesarius nella terza Distinctio:47

46 L’exemplum di Caesarius de Heisterbach viene poi ripreso agli inizi del XIV secolo dal
compilatore Arnaldo di Liegi (n. 176) e poi da Jacopo Passavanti (n. 27) in pieno XIV secolo nello
Specchio di vera penitenza. Per quest’ultimo, cf. Varanini/Baldassarri (1993, 587 s.). La seconda

parte dell’exemplum narra di una giovane peccatrice che, non avendo confessato la perdita della
sua verginità prima del matrimonio, viene svergognata dall’indemoniato in presenza della madre.
Tornerà a confessarsi con vera contrizione e solo successivamente il demonio dichiarerà di non
riconoscere in lei alcun peccato e di non ricordarsi di aver pronunciato sentenze nei suoi
confronti, secondo una modalità molto diffusa volta a sottolineare il valore della contrizione
affinché la confessione possa risultare efficace.
47 Cf. Berlioz (2006, 468) per la questione della fonte.
La cantiga 343: un caso di indemoniato loquace 191

Item, dicebat magister Iacobus de Vitriaco quod cum quidam demon daret responsum in
quadam fouea et peccata hominum reuelaret ibi aduenientium, duo episcopi ibi uenientes
ad eum adiurandum, ne eos de peccatis suis confunderet, ad inuicem sunt confessi, postea
de multis sunt eum allocuti. Tunc cum unus quereret ab eo: «Et de nobis, quid dicis?»,
respondit: «Statim habuissem de uobis, si tales essetis quales huc uenistis; sed in aduentu
uestro totum amisi quod contra uos de uobis habebam».48

In definitiva, prendendo in considerazione questi exempla tra i più significativi, si


può dunque notare una marcata somiglianza tra questo elemento nucleare nella
CSM 343 e quello che fornisce l’argomento principale agli exempla riportati. An-

che se non si può parlare di riflessi precedenti o successivi di uno stesso racconto
o exemplum (le situazioni e i contesti narrativi sono del tutto diversi nei testi presi
in esame) si può comunque constatare la condivisione di uno stesso motivo che,
dunque, li lega a livello concettuale; lo stesso tema del diavolo loquace – o,
meglio, dell’indemoniato loquace – che, almeno in via ipotetica, sarebbe stato
presente, in una forma narrativa più prossima alla CSM, in un racconto contenuto
in un manoscritto perduto, orbitante attorno al santuario di Rocamadour. Quindi,
anche se una fonte diretta non è determinabile, alcune conclusioni parziali
possono comunque essere tratte sulla base del panorama esemplare (che è
dunque panorama motivico e letterario) sommariamente delineato.

4 Osservazioni finali
Da queste comparazioni risulta infatti un quadro omogeneo riguardo una certa
concezione sui possibili comportamenti degli indemoniati (nonché sulla loro
percezione) tra XII e, soprattutto, XIII secolo. Di questo quadro fa parte dunque
anche la CSM 343, trovandovi inoltre una propria legittimità sul piano dei conte-
nuti; legittimità dunque che si può far forza di una tradizione già iniziata nel
XII secolo e rafforzatasi dopo il IV Concilio Laterano del 1215, e non erroneamen-
te – come si sarebbe portati a pensare per via di una attuale non conoscenza di
una fonte diretta – di una invenzione totalmente alfonsina.
Il merito del Sabio e dei suoi letterati – se proprio lo si vuole ricercare –
sarebbe invece da trovarsi proprio nell’ottica di quel quadro d’insieme, e nella
capacità di far entrare nella raccolta delle CSM un motivo particolarmente «alla
moda» ed ampiamente contemporaneo nella sua valenza dottrinale (lasciando

48 Cf. Berlioz (2006, 107, 468). Pur non riguardando un caso di possessione, il tema sembra
trovare una relazione, quanto alla conoscenza diabolica dei peccati dei fedeli, col tema del libro
del diavolo. Cf. il gruppo di exempla in Berlioz (2006, 101 s.).

192 Manuel Negri

peraltro a margine quello dei demoni muti).49 E questo anche grazie alla program-
matica posizione letteraria e, più ampiamente, culturale assunta dal sovrano
castigliano-leonese e dal suo gruppo di sapienti poeti e religiosi, non restia a
pescare da serbatoi mariologici non canonici, o del tutto paralleli a quelli più
comunemente riproposti da chierici e compilatori nell’ambito della mariologia;
non escludendo quindi quello esemplare non marianizzato o da poco marianizza-
to, proprio come il presunto caso dell’ignota collezione di Rocamadour al quale
questa CSM pare far riferimento. Raccolta, quest’ultima, molto probabilmente
posteriore a quella fin’ora conosciuta e andata perduta, e per la quale la triste
ipotesi di una distruzione in seguito alle avverse vicissitudini che hanno riguarda-
to il santuario non è del tutto da escludere.50

5 Bibliografia
Agostino di Ippona, De divinatione daemonum liber unus, in: Migne, Jacques Paul (ed.), Sancti
Aurelii Augustini, hipponensis episcopi. Opera Omnia, post lovaniensium theologorum
recensionem castigata denuo ad manuscriptos codices gallicos, vaticanos, belgicos, etc.,
necnon ad editiones antiquiores et castigatiores, vol. 6, Parisiis, excudebatur et venit apud
J.-P. Migne editorem, 1863, 581–590.
Albe, Edmond, Les Miracles de Notre-Dame de Roc-Amadour, au XIIe siècle. Texte et traduction
d’après les manuscrits de la Bibliothèque Nationale avec une introduction des notes
historiques et géographiques, Paris, Champion, 1907.
Arnoldo di Liegi, Alphabetum Narrationum, edd. Elisa Brilli/Colette Ribaucourt, Turnhout,
Brepols, 2015.
Baraut, Cebrià, Un recull de miracles de Santa Maria, procedent de Ripoll, i les Cantigues d’Alfons
el Savi, Scripta e Documenta 6 (1956), 127–160.
Berlioz (2006) → Stefano di Borbone.

49 Nelle precedenti collezioni di miracoli mariani il mutismo è perlopiù presentato come una
limitazione fisica senza particolari connotazioni che rimandino ad una causa demoniaca. Cf. i
miracoli del gruppo di Villa-Sirga (CSM 234) e della nota collezione relativa a Rocamadour (I, 6; I,
26; I, 33; I, 49; I, 45; II, 5). Il solo caso di mutismo dovuto ad una possessione è quello che è già
stato citato (I, 35). Al contrario, negli exempla il mutismo è una conseguenza comune del rifiuto di
Cristo o, più in generale, punizione per un rifiuto della stessa religione; ma il diavolo non viene
quasi mai nominato in modo esplicito. Uno dei pochi casi in cui avviene tale menzione si ha nella
Vita prima di una ragazza milanese scritta da Arnoldo di Bonneval, nella quale si narra di una
limitazione dei sensi (quindi anche della parola) causata dal diavolo. Possessione e malattia però,
soprattutto nel XIII secolo, non sono sempre e comunque interscambiabili; cf. Newman (1998,
737).
50 Per questa peculiarità di Alfonso X, cf. Bétérous (1983–1984, 435). Su Rocamadour e il caso
dell’incendio degli archivi, cf. Bull (1999).
La cantiga 343: un caso di indemoniato loquace 193

Bertolucci, Valeria, Contributo allo studio della letteratura miracolistica, Miscellanea di studi
ispanici 6 (1963), 5–72.
Bétérous, Paule, Alphonse le Sage. Caractère non essentiellement clérical des «Cantigas». Un
conteur plus disert qu’éloquent. Flou et variations dans les «Cantigas», in: ib., Les collec-
tions de miracles de la Vierge en gallo et ibéro-roman au XIIIe siècle. Étude comparée.
Thèmes et structures, Dayton (OH), University of Dayton, 1983–1984, 434–446.
Boissonade/Gaulmin (1964) → Michele Psello.
Brewer (1862) → Giraldo Cambrense.
Brilli/Ribaucourt (2015) → Arnoldo di Liegi.
Bull, Marcus Graham, The Miracles of Our Lady of Rocamadour. Analysis and Translation,
Rochester, New York, The Boydell Press, 1999.
Caciola, Nancy, Mystics, demoniacs, and the physiology of spirit possession in medieval Europe,
Comparative Studies in Society and History 42:2 (2000), 268–306.
Caciola, Nancy, Discerning Spirits. Divine and Demonic Possession in the Middle Ages, Ithaca
and London, Cornell University Press, 2003.
Callcott, Frank, The Supernatural in Early Spanish Literature. Studied in the Works of the Court of
Alfonso X, el Sabio, New York, Instituto de las Españas, 1923.
Carrera de la Red, Avelina/Carrera de la Red, Fátima, Miracula Beate Marie Virginis (Ms. Thott
128 de Copenhague). Una fuente paralela a los Milagros de Nuestra Señora de Gonzalo de
Berceo, Instituto de Estudios Riojanos, Gobierno de La Rioja, Logroño, 2000.
Ceriotti, Giancarlo (ed.), Opera omnia di sant’Agostino. Edizione latino-italiana, Roma, Nuova
biblioteca agostiniana, 1995.
Cesario di Heisterbach, Dialogus Miraculorum, ed. Joseph Strange, Coloniae, Sumptibus
J. M. Heberle, 1851.

Dexter, Elise Forsythe, Sources of the Cantigas of Alfonso el Sabio. A thesis submitted to the
Graduate School of the University of Wisconsin in partial fulfillment of the requirements for
the degree of Doctor of Philosophy, 1926.
Fernández, Laura, Cantigas de Santa María: fortuna de sus manuscritos, Alcanate. Revista de
estudios alfonsíes 6 (2009), 323–348.
Fidalgo, Elvira, La estructura narrativa de las Cantigas Marianas de Alfonso X. Aproximación e
distintos tipos de análisis, Bulletin of the Cantigueiros de Santa Maria 3 (1990), 5–15.
Fidalgo, Elvira, El Diablo en las «Cantigas de Santa María», in: Martínez Pérez, Antonia/Alvar
Ezquerra, Carlos/Flores Arroyuelo, Francisco José (edd.), Uno de los buenos del reino.
Homenaje al prof. Fernando D. Carmona, San Millán de la Cogolla, Cilengua, 2013, 229–248.
Fita, Fidel, Cincuenta leyendas por Gil de Zamora, combinadas con las Cantigas de Alfonso el
Sabio, Boletín de la Real Academia de la Historia 7 (1885), 54–144.
Giraldo Cambrense, Gemma Ecclesiastica, ed. John Sherren Brewer, in: Brewer, John Sherren/
Dimock, James Francis, Giraldi Cambrensis Opera, vol. 2, London, Longman, Green, Long-
man and brothers, 1862.
GPMPGP = Ferreiro, Manuel (dir.), Glosario da poesía medieval profana galego-portuguesa,
Universidade da Coruña, 2014, <http://glossa.gal> [ultima consultazione: 29/11/2015].
Iacopo Passavanti, Specchio di vera penitenza, in: Varanini, Giorgio/Baldassarri, Guido (edd.),
Racconti esemplari di predicatori del Due e trecento, vol. 2, Roma, Salerno Editrice, 1993.
Ivo di Chartres, Panormia, in: Migne, Jacques Paul (ed.), Sancti Ivonis carnotensis episcopi.
Opera Omnia. Post Joannis Frontonis cura, suppletis quae in ejus editione desiderabantur,
Panormia videlicet et Epistolis nonnullis, prelis denuo mandantur numeris omnibus absolu-
ta, vol. 1, Parisiis, Garnier, 1853, 1037–1344.
194 Manuel Negri

Jones, David (ed.), Friars’ Tales. Thirteenth-century exempla from the British Isles, selected
sources translated and annotated with an introduction, Manchester/New York, Manchester
University Press, 2011.
Legendre, Olivier (ed.), Collectaneum exemplorum et visionum Clarevallense e codice Trecensi
946, Turnhout, Brepols, 2005.
Mettmann, Walter (ed.), Alfonso X, el Sabio. Cantigas de Santa María. Edición, introducción y
notas, vol. 3, Madrid, Castalia, 1989.
Michele Psello, De operatione daemonum, edd. Jean François Boissonade/Gilbert Gaulmin,
Amsterdam, Hakkert, 1964.
Migne (1853) → Ivo di Chartres.
Migne (1863) → Agostino di Ippona.
Minois, Georges, Breve Historia del Diablo, Madrid, Espasa Calpe, 2002.
Nascimento, Aires Augusto, Milagres medievais numa colectânea mariana alcobacense, Lisboa,
Colibri, 2004.
Newman, Barbara, Possessed by the spirit: devout women, demoniacs, and the apostolic life in
thirteenth century, Speculum 73:3 (1998), 733–770.
Parkinson, Stephen/Jackson, Deirdre, Collection, Composition and Compilation in the «Cantigas
de Santa Maria», Portuguese Studies 22:2 (2006), 159–172.
Poncelet, Albert, Index miraculorum Beatae Virginis Mariae quae saec. VI–XV latine conscripta
sunt, Analecta Bollandiana 21 (1902), 242–360.
Russell, Jeffrey Burton, Il diavolo nel medioevo, Roma, Laterza, 1987.
Schaffer, Martha, Epigraphs as a clue to the conceptualization and organization of the Cantigas
de Santa Maria, La Corónica 19:2 (1990–1991), 57–88.
Schlapbach, Karin, De divinatione daemonum, in: Pollmann, Karla/Otten, Willemien (edd.),
Oxford Guide to the Historical Reception of Augustine, vol. 1, Oxford, Oxford University
Press, 2013.
Soto-Posada, Gonzalo, El Demonio: su naturaleza y esencia, in: Arboleda Mora, Carlos Ángel
(ed.), Diablo y posesion diabolica, Medellin-Colombia, Universidad Pontificia Bolivariana,
Facultad de Teologia, 2005, 14–42.
Stefano di Borbone, Tractatus de diversis materiis predicabilibus, ed. Jacques Berlioz, vol. 3,
Turnhout, Brepols, 2006.
Strange (1851) → Cesario di Heisterbach.
Stubbs, William, Memorials of Saint Dunstan, archbishop of Canterbury, London, Longman &
Co., 1874.
Thompson, Stith, Motif-Index of folk-literature. A classification of narrative elements in folktales,
ballads, myths, fables, mediaeval romances, exempla, fabliaux, jest-books, and local
legends. Revised and enlarged edition, Bloomington, Indiana University Press, 1955–1958.
Tilliette, Jean-Yves, L’exemplum rhétorique: questions de définition, in: Berlioz, Jacques/Polo de
Beaulieu, Marie-Anne (edd.), Les exempla médiévaux: nouvelles perspectives, Paris, Cham-
pion, 1998, 43–65.
Varanini/Baldassarri (1993) → Iacopo Passavanti.
von Moos, Peter, L’exemplum et les exempla des prêcheurs, in: Berlioz, Jacques/Polo de Beau-
lieu, Marie-Anne (edd.), Les exempla médiévaux: nouvelles perspectives, Paris, Honoré
Champion Éditeur, 1998, 67–81.

Potrebbero piacerti anche