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L’ulivo tra

storia e
geografia

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Introduzione

L’olea europea, albero sacro radicato nel mito, pieno di simbologie e ricco di
tradizione religiosa e poetica, costituisce da molti secoli l’elemento più tipico e
prezioso del paesaggio mediterraneo. La pianta dal caratteristico fusto contorto e
spesso cariato, con rami assurgenti, chioma rada, leggera, irregolare e scorza grigio-
chiaro, assume con il tempo forme suggestive e drammatiche che le conferiscono un
che di umano per il tormento fisico che essa esprime. Per questo l’immagine offerta
dall’olivo va al di là di una ricerca dell’utile, per assumere una valenza estetica di
elevato valore. Questo rapporto stretto tra utile e bello è alla base della nostra
riflessione intorno all’olivo così come lo conosciamo noi per diretta visione: il gigante
della Puglia.

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Capitolo 1

L’olivo tra Storia e Geografia

L’olivo è una delle poche piante coltivate che può vantare una storia di molti millenni
che si integra perfettamente con quella delle antiche civiltà mediterranee, la sua
presenza, infatti, ha costantemente accompagnato i popoli che hanno costruito la
loro storia sulla sponda del mar Mediterraneo. La nascita dell’olivo, non ancora
definitivamente accertata, si suole far risalire ad epoca preistorica; si ritiene che
12000 anni prima di Cristo la specie fosse già presente. L’ipotesi più accreditata
pone la zona di origine di questa pianta nell’ampia fascia geografica medio-orientale
dell’Asia minore compresa tra l’Armenia, il Turkestan e il Pamir. Da qui per
successivi spostamenti
avrebbe raggiunto il
Mediterraneo (nella foto
uliveto in Tunisia)
diffondendosi
gradatamente in 5000
anni circa, nei diversi
paesi che si affacciano
sul mare, insediandosi
stabilmente in ampie
fasce di territorio costiero
e sub-costiero, laddove
condizioni di clima e terreno lo hanno permesso. Attualmente si calcola che il
patrimonio mondiale sia di oltre 800 milioni di piante distribuite su una superficie di 9
milioni e mezzo di ettari, dei quali oltre 9 milioni si trovano nel bacino del
Mediterraneo con 715 milioni di olivi.
Nel contesto del Mediterraneo i paesi con maggiore superficie olivicola sono la
Spagna e l’Italia, seguite dalla Tunisia, dal Portogallo, dalla Turchia e dalla Grecia. In
stretto rapporto con la superficie destinata alla coltura è la produzione di olio d’oliva.

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Produzione olio in migliaia di tonnellate
600 Algeria
Argentina
500
Grecia
400 Italia
Libia
300 Marocco
200
Portogallo
Spagna
100 Siria
Tunisia
0

Ritornando alla storia, testimonianza certa di coltivazione dell’olivo si riscontrano a


Creta durante l’età minoica (3000 – 1500 a.C.) ove reperti archeologici (macine per
la molitura ed orci oleari) presenti nel palazzo di Knossos indicano chiaramente che
l’olivo nell’isola aveva assunto un rilevante interesse agricolo. Nel 2000 a. C. è
presente in Egitto e mille anni dopo compare in Palestina. Tra il IX e l’VIII secolo a.
C. ad opera dei Fenici, viene introdotto nella Grecia continentale, a Cartagine, in
Cirenaica e in Spagna. Gli stessi Fenici prima e i Greci poi lo diffondono in Sicilia,
dove 500 anni prima di Cristo si trova coltivato estensivamente. Un secolo dopo si
insedia nella penisola italica, prima nel Lazio da dove progressivamente si estende
nel centro-sud (nella foto
uliveti sulla costa
pugliese) ed anche verso
nord, dove le coltivazioni
ambientali lo consentono.
In tarda età romana
giunge in Sardegna e nel
meridione della Francia,
nella stessa epoca
propaggini olivicole di
piccola entità si riscontrano anche nel sud dell’Inghilterra e nel Galles. Presso i
Romani, comunque, si assiste ad un così notevole sviluppo della coltivazione
dell’olivo, da far nascere l’esigenza di una regolamentazione. La

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commercializzazione dell’olio porta alla necessità, per esempi, di creare una specie
di “borsa” dove erano trattati i prezzi di compravendita. Di pari passo si sviluppano le
macchine per produrlo e, in special modo, i cosiddetti torchi oleari. Le ville rustiche
erano, infatti, provviste di tre stanze per compiere le operazioni di spremitura delle
olive. Un locale veniva utilizzato come deposito, uno ospitava le macine e il torchio e,
nell’ultima stanza, confluivano in due vasche diverse l’olio e l’acqua di vegetazione. A
testimonianza di ciò nei pressi della colonia romana di Auximum sul versante
meridionale del colle Montetorto, a poca distanza dall’abitato di Casenove (in Osimo
– Marche) è stato scavato un notevole impianto di produzione agricola, pertinente ad
una villa romana. La mola olearia o macina
(nella foto a destra) era composta da una
base rotonda e fissa, nel centro era
incastrato il braccio di una macina a ruota
che girava intorno al suo asse.
Il trapetum, che costituiva una variante, era
composto da una grossa pila o mortaio in cui
giravano due macine semisferiche attorno ad
un asse verticale. Entrambe le macine,
rinvenute nelle isole greche di Chios e
Olythos e risalenti al V - VI secolo a. C.
servivano per la molitura o frangitura delle
olive. Riguardo al torchio per la spremitura
della pasta di olive quello descritto da Catone (Tuscolo 234 – Roma 149 a. C.)
rimase in funzione fino alla metà del I secolo a. C. sostituito da quello poi descritto da
Plinio il vecchio (Como 23 – Stabia 79 d. C.) Anche nell’alto Medioevo, pur nei
periodi di più diffuso degrado delle campagne, il frumento, la vite e l’olivo
continuarono a prosperare nelle località che si affacciavano sul Mediterraneo. Nel
537- 538 d. C. Cassiodoro descrive l’Istria come una regione coperta di ulivi. Gli
uliveti nell’alto Medioevo prosperavano nelle regioni dell’Europa meridionale e vari
documenti, tratti dai cartolai, parlano di olium, di olibe colligere et oleum inde facere,
di olibetum, dei trappeta pro olivis, anche in diverse località della Campania.

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La documentazione diventa ancora più abbondante se ci spostiamo nella penisola
iberica. Nel regno dei Visigoti, l’ulivo era talmente apprezzato che era abbattuto
dolorosamente, il colpevole doveva pagare una multa di cinque soldi, mentre per gli
altri alberi da frutto si pagavano solo tre soldi. Negli ultimi decenni del XII secolo, il
commercio dell’olio d’oliva, nei traffici tra la Spagna e il Portogallo, è documentato
dalle carte che indicavano le tariffe del pedaggio dei prodotti alimentari, zona per
zona. L’Italia, data la grande quantità di cartolari conservati negli archivi delle
abbazie e delle cattedrali, nonché delle istituzioni laiche, può vantare una
eccezionale documentazione, che si estende a ogni angolo della penisola; fra tutte le
regioni spicca in modo particolare la Toscana. Spicca, fra gli altri, il territorio
marchigiano di Senigallia che nell’antico stemma del comune (1280) aveva un albero
di ulivo sradicato verde con rami e foglie.
Analizzando le carte alto-medievali, comunque, appare chiaro che gli uliveti erano
diffusi non solo nelle regioni ubicate sotto il fiume Po, ma anche nelle zone che
beneficiavano del clima favorevole dei laghi prealpini. A tal proposito la
documentazione non si basa sugli abituali cartari che forniscono dati frammentari,
ma sui polittici che hanno una forma più articolata. Dall’analisi del polittico del
monastero di Santa Giulia di Brescia (879-906) traspare che dei 73 possessi
registrati nell’inventario, 11 erano dotati di uliveti. In epoca comunale vi fu un grande
interesse per il commercio dell’olio, tanto che il comune di Firenze vietò che l’olio
d’oliva fosse venduto senza l’apposita licenza, che nessun venditore tenesse più di
quattro orci e che l’olio non fosse trasportato fuori dal contado senza precisa
autorizzazione. Il proprietario delle terre,che da feudatario era diventato, nel tardo
Medioevo, cittadino borghese, trovava conveniente l’investimento in uliveti e li
incrementava volentieri tanto che la coltura dell’olivo si estese fino alle valli alpine e
verso il nord, fino alle rive della Senna.
È del Trecento poi il primo testo di scienza agraria che insegnava le pratiche di
coltura dell’olivo, e autore dell’opera fu il borghese Pietro de Crescenzi. Per il
trasporto dell’olio si costruirono navi apposite, le macillare, imbarcazioni leggere a
fondo piatto, lunghe 18 m. e larghe 8, con prua bassa e capaci di trasportare fino a
500 botti. I commercianti veneziani erano, di solito, diretti verso il sud della penisola
per collegarsi con le zone dell’area salentina, dove si produceva una grande quantità

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di olio. Per fare fronte alle pressanti richieste dei mercanti europei, la Puglia si
trasformò in un grande uliveto e le ampie distese di Capo di Leuca furono messe a
coltura dai frati olivetani e cistercensi e in ogni porto (Brindisi, Taranto, Gallipoli,
Otranto) furono impiantati fondachi veneziani, toscani, genovesi, russi, germanici e
inglesi i cui rappresentanti acquistavano partite d’olio da inviare ai propri paesi. La
situazione cambiò nel XVI secolo: i continui mutamenti politici, le guerre, il crollo del
sistema economico, colpirono sia la coltivazione degli uliveti, sia il commercio
dell’olio.
La dominazione spagnola aumentò il carico fiscale su questa produzione e ne
scoraggiò la coltura con contratti a termine. La resa non compensava più il lavoro e
gli uliveti cominciarono ad essere abbandonati. Un ritorno all’incremento della coltura
dell’olivo in Italia, specialmente al Sud, si ebbe a partire dal XVII secolo; nuove leggi
liberarono gli impianti degli uliveti da precedenti carichi feudali e li esentarono da
tasse per 40 anni.
Nel 1830 una nota di Pio VII garantiva il premio di un paolo (compenso di una
giornata di lavoro di un bracciante) per ogni olivo piantato e curato fino a 18 mesi; fu
così che in Umbria, dal 1830 al 1840, furono piantati 38000 olivi. Nello stesso
periodo in Liguria gli uliveti, in maggioranza coltivati nella zona occidentale,
occupavano il 20% della superficie totale. Nel 1944 un decreto del re Umberto vietò
l’abbattimento delle piante d’ulivo. In età moderna con le esportazioni spagnole e
portoghesi del XVI secolo, l’olivo dal Mediterraneo viene portato in Sud-America
(Argentina, Perù, Cile) e successivamente giunse nel sud degli USA (California); nel
secolo scorso, sempre ad opera degli Europei raggiunse il Sud-Africa. Possiamo,
invece, considerare storia attuale il tentativo di diffusione dell’olivo in Oriente (Cina,
India, Giappone, Corea del sud e Pakistan). In Cina l’olivicoltura, seppur giovane di
appena trent’anni, si può considerare una realtà economica, visto che sono stati
ormai piantati 10 milioni di olivi.

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Capitolo 2

La sacralità dell’ulivo

Da millenni le genti che sono venute a contatto con l’ulivo hanno finito col
considerarlo una entità vitale oltre i suoi limiti biologici per fargli assumere talvolta
significato mitico e religioso. Il valore divino riconosciuto all’ulivo dagli antichi popoli
mediterranei probabilmente non dipese solo dal culto pagano degli alberi.
L’olivo è il simbolo della ripresa della vita e dell’inizio delle civiltà occidentali, dopo gli
sconvolgenti avvenimenti cui è rimasta eco nell’Antico Testamento, come il Diluvio
universale. Presso il popolo d’Israele l’ulivo era tenuto in grande considerazione e la
sua origine era fatta ad Adamo che superati i 930 anni e sentendo avvicinarsi al
morte, chiese al Signore l’olio della Misericordia promesso, e mandò il figlio Seth a
cercarlo nel Paradiso Terrestre. Un angelo diede a Seth tre semi da porre tra le
labbra del patriarca non appena fosse morto. Poco dopo la sepoltura di Adamo sul
monte Tabor, sulla tomba germogliarono tre arboscelli: un cedro, un cipresso e un
ulivo.
Presso i popoli fenici e cretesi l’olio aveva funzioni iniziatiche ed era soprattutto fonte
di luce. Furono proprio i Fenici a diffondere l’uso della lampada ad olio. In Egitto
l’olio, unito ad altre essenze profumate, era usato come unguento e come offerta
sacrificale agli dei.
Ad Efeso agitando fronde d’ulivo levate verso il cielo, in atto di implorazione, si
credeva di poter scongiurare ogni pericolo: epidemie, carestie…e sempre qui era
venerato presso il quale Latona aveva partorito Apollo. I Romani dedicarono l’ulivo a
Minerva e a Giove e usavano incoronare con i suoi rami i cittadini meritevoli per aver
onorato la patria, gli sposi nel giorno delle nozze e i morti prima della sepoltura, a
significare che essi erano vincitori nelle lotte della vita umana. L’olio era impiegato
anche per ungere la lama dell’aratro, per invocare un prospero raccolto.
I Greci portarono dall’Egitto, insieme al culto di Minerva, l’olivo e premiavano con
corone di olivo i vincitori ai giochi di Elide, provincia del Peloponneso; ne fecero così
il simbolo della salvezza, dell’abbondanza e della pace e ad un tempo anche della
mestizia. Col suo legno i Romani facevano gli scettri dei loro re e Plinio dice che era

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vietato adoperarlo ad usi profani. La dea della pace portava in mano un ramo d’ulivo
e i popoli che chiedevano la pace, ne portavano, per segnale, un ramo; così una
corona o un rametto di olivo portavano gli ambasciatori che chiedevano o portavano
al pace. Un ramo di olivo in mano all’imperatore indicava la pace data o conservata
ed il re romano Numa Pompilio si rappresenta con un ramo di olivo in mano, per
denotare il suo pacifico regno. Quest’albero veniva piantato in prossimità dei templi e
vi si appendevano le offerte e le vecchie armi dei prodi. E vi è una pianta, quale io
non udii esistere in terra d’Asia, né nella grande isola doria di Pelope, albero non
piantato da mani d’uomo, che da sé ricresce, terrore delle lance nemiche, che nutre i
nostri figli. E nessun uomo, giovane o vecchio, lo distruggerà, sradicando con forza
poiché sotto il suo sguardo lo tiene l’occhio di Zeus (nella foto a sinistra) protettore e
Atena (nella foto a destra) dagli occhi glauchi.
(Sofocle, “Edipo a Colono”, vv. 695-705). Questo
passo recitato dal coro della tragedia sofoclea,
probabilmente il più antico testo letterario sull’ulivo, è
rappresentativo
della percezione
che il sistema
culturale ateniese
del V secolo aveva
della pianta.
Il coro leva, infatti,
un canto di lode all’indomabile pianta che da se
stessa si rigenera, ricelebrando l’antico mito di
fondazione della città, sorta in seguito alla contesa
tra Atena e Poseidone per il possesso dell’Attica. L’episodio è raccontato da Ovidio
nelle “Metamorfosi” (VI, vv. 70-82) e da Apollodoro di Atene (“Sugli Dei”, III, 14, 1).
Quando Cecopre figlio di Gea metà uomo e metà serpente, ebbe finito di costruire
una magnifica e grande città, tutti gli dei furono chiamati a raccolta per chiamarla col
nome di colui che avrebbe fatto agli uomini il dono più utile. Subito Poseidone
avanzò per sé il titolo di maggiore benefattore per aver creato il cavallo grazie al
quale nessuna distanza sarebbe stata più tanto grande da non poter essere percorsa

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in breve tempo, ma Atena con un semplice gesto fece spuntare dal suolo una pianta
mai vista: aveva un tronco robusto su cui si innestavano rami nodosi, coperti da
minute foglie di colore verde pallido, ai rami erano appesi piccoli frutti ovali dalla
polpa spessa e scura. Cecrope scelse il dono della dea a da quel giorno la sua città
venne chiamata Atene. Lo stesso ulivo dopo due giorni dall’incendio causato
dall’invasione persiana, gettò un nuovo virgulto e tornò miracolosamente a
germogliare; la fonte è Erodoto (“Le Storie”, VIII v. 55). Ad Atene, da allora quando
nasceva un cittadino maschio, si ornava la porta di casa con una corona intrecciata
di rami d’ulivo. In
Attica, ma anche a
Creta, l’olivo oltre ad
identificarsi con la dea
simboleggia il giovane
maschio, il futuro
cittadino al quale la
città affida il suo
destino. Piantando
nella terra un ulivo
chiamato a crescere,
ogni nuovo cittadino
manifesta la propria integrazione nello spazio coltivato della città, in termini che
prolungano l’antico legame tra il germoglio umano ed un albero fruttifero come l’ulivo.
Anche la religione ebraica e quella cristiana assegnarono
all’ulivo un significato mistico: nella Genesi si legge che Noè, durante il diluvio
universale, fece uscire più volte la colomba dall’arca per capire se le acque si erano
ritirate; solo quando la colomba tornò con un ramoscello fresco di ulivo nel becco,
Noè capì che la terra era riemersa e che Dio si era riappacificato con gli uomini
facendo rivegetare l’olivo. L’olivo ha assunto, da allora, un significato simbolico di
amore, fratellanza e di pace. Chi viene paragonato all’ulivo è sotto la protezione
divina: io invece, sono come un ulivo verdeggiante nella casa di Dio; mi sono
rifugiato nella divina misericordia in eterno e per sempre. (“Salmi”, 52, 10). Un tempo
Israele era chiamato “ulivo verde, maestoso”, ma poi a causa della sua infedeltà

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all’alleanza, i suoi rami sono stati bruciati (“Geremia”, 11, 16). Secondo una
similitudine dell’apostolo Paolo l’umanità pagana è un ramo di oleastro che Dio ha
innestato sull’ulivo nobile d’Israele (“Lettera ai Romani”, 11, 17). Nell’Apocalisse i
profeti testimoni di Dio appaiono nell’immagine fornita dall’Antico Testamento come
due ulivi che stanno davanti al Signore (“Apocalisse di Giovanni”, 11, 3-4). Il Vangelo
racconta che Cristo visse l’ultima notte della sua vita terrena nell’orto del Getsemani
sotto la chioma degli ulivi, alcuni dei quali si ritiene siano ancora presenti a
testimonianza di un evento che ha sconvolto l’umanità.
Questo valore spirituale è ancora oggi integralmente vivo nel mondo cristiano: la
Domenica delle Palme, chiamata Pasqua fiorita, rami d’ulivo benedetti vengono
distribuiti in chiesa ai fedeli con un rito che si ripete a simboleggiare pace e fraternità
e in ricordo dell’entrata trionfante di Gesù Cristo a Gerusalemme osannato dai
proseliti. (Nella foto affresco di Pietro Lorenzetti 1320 nella Basilica di S. Francesco,
Assisi).
Particolarmente benefiche contro i
temporali le palme benedette
vengono poi esposte ai vetri delle
finestre, per allontanare i fulmini e
placare l’ira devastatrice della
grandine. Le palme benedette non
vanno mai buttate via, ma sempre
bruciate per ottenere la cenere da
dare sul capo ai fedeli durante il
Mercoledì delle Ceneri dell’anno
successivo o da spargere per i
campi e tenere così lontane le sciagure. Non soltanto l’olivo, ma anche il suo
prodotto, l’olio, assume sia nel Vecchio sia nel Nuovo Testamento un valore
simbolico e insieme al frumento e al vino costituisce l’elemento con cui il Dio biblico
nutre il suo popolo fedele. Integro questo pensiero si è tramandato nella religione
cattolica attraverso regole precise che determinano ancora oggi l’uso dell’olio nei
sacramenti.

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Vengono le vertigini a pensare che gli ulivi con i loro fusti attorcigliati dal vento,
possano raccontare ; uno in particolare piantato nell’anno 1000, simbolo di pace e di
prosperità, ma anche muto testimone delle peggiori sofferenze e ingiustizie: a
Monopoli, in provincia di Bari, i crociati che lo videro, lo chiamarono “albero di Gesù”.
Oggi è il gioiello di un albergo e per abbracciarlo servono quattro uomini; ha visto
guerre, pesti e carestie.

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Capitolo 3

L’ulivo nella letteratura

Il valore religioso e mitologico insieme all’antichissima tradizione agronomica che


vanta l’olivo, hanno determinato la produzione di una vasta letteratura sia artistico-
letteraria sia tecnico-scientifica e spesso la pianta, nel corso dei millenni è stata
oggetto di rappresentazioni da parte di scrittori e pittori che hanno assegnato ad essa
la funzione di albero della pace, di espressione di benessere o di simbolo mitologico
e religioso. Spiriti eletti come Platone, Aristotele, Omero, Orazio ed altri nei secoli
successivi hanno scritto dell0olivo. Virgilio, Columella, Catone e Marrone hanno
lasciato trattati sulla coltivazione di questa specie; ciò indica inequivocabilmente
l’importanza agronomica della pianta già dai tempi antichi.
Omero nell’Odissea fa costruire ad Ulisse, con le sue mani, il talamo nuziale da un
tronco di olivo ultracentenario che egli stesso impreziosisce con intarsi di metalli
nobili ed avorio. Columella afferma: “olea prima arborum” assegnando così alla
pianta il primato tra gli alberi coltivati. Imberciadori, storico dei nostri giorni, definisce
l’olivo: “forza produttrice di un alimento straordinariamente utile”, mentre Marinucci,
insigne studioso di olivicoltura del secolo scorso, con trasposizione poetica
attribuisce all’ulivo addirittura una facies umana, considerandolo come il più umano
degli alberi. Ed ecco come descrive la pianta: “
al pari dell’uomo la sua natura è sommamente ricca di contrasti: la cima si erge
splendente, ma il tronco è nodoso ed i rame contorti, la foglia è gentile e aguzza,
l’aspetto è dolce e racchiude la forma di vita di secoli; tenero è il frutto dal nocciolo
durissimo e dalla liquida essenza” e conclude dicendo: “la più sublime spiritualità e i
più teneri aspetti si fondono adunque nell’olivo; per questo è l’albero dell’uomo”.
Recentemente Arpino scrive:
“l’olivo è lo stesso volto dell’uomo”
ed aggiunge
“il tormento fisico che c’è in un olivo è il nostro”.
Già ai tempi della Chanson de Roland, quando i paladini incrociavano le loro armi
con quelle dei Saraceni, l’olivo ricordava loro le terre del Sud:

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Sotto alti olivi ora Gano cavalca
coi messaggeri pagani s’accompagna.
Disse il pagano: che uomo grande è Carlo!
Preso ha la Puglia e tutta la Calabria.
(XXVIII, 168 -169)

Il poeta latino Virgilio canta nelle Georgiche: “Al contrario non c’è nessuna coltura per
gli olivi. Essi non attendono la roncola ricurva e i rastrelli resistenti, quando hanno
attecchito sui campi e sopportano le brezze. Da sola alle piante offre umore
bastevole la terra se aperta con un dente adunco, e se arata con vomere darà frutti
pesanti, perciò fai crescere il pingue olivo caro alla Pace” (II, 420-425).
Seguendo l’esempio del suo maestro anche Dante parla dell’olivo e nella Divina
Commedia paragona se stesso ad un messaggero che porta in mano o in testa olivo
o rami d0olivo come era usanza quando la notizia era di allegrezza, come a seguito
di vittoria ottenuta in battaglia o come segno di avvenuta pace o come acquisizione
di terre e altre simili occasioni.

E come a messagger che porta ulivo


tragge la gente per udir novelle,
e di calar nessun si mostra schivo,
così al viso mio s’affisar quelle
quasi obliando d’ire a farsi belle.
(Purgatorio, II, 70 -75).

Passando a poeti decisamente più moderni anche Pascoli e D’Annunzio hanno dato
il loro contributo alla santificazione dell’ulivo:

hanno compiuto in questi dì gli uccelli


il nido (oggi è la festa dell’ulivo)
di foglie secche, radiche, fuscelli;
quel sul cipresso, questo sull’alloro,
al bosco, lungo un chioccolo d’un rivo,
nell’ombra mossa d’un tremolio d’oro.

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E covano sul musco e sul lichene
Fissando muti il cielo cristallino,
con improvvisi palpiti se viene
un ronzio d’ape, un vol di maggiolino.
(G. Pascoli. La Domenica dell’ulivo)

il Pascoli dichiarò che questa poesia scaturì dalla citazione del proverbio che recita:
la domenica dell’ulivo ogni uccello fa il suo nido. Venne pubblicata, per al prima volta,
il 4 maggio 1890 nella “Vita Nova”.
Nella più famosa “Sera Fiesolana”, D’Annunzio recita:

Laudata sii pel tuo viso di perla,


o sera e pe’ tuoi grandi occhi umidi ove si tace
l’acqua del cielo!
Dolci le mie parole ne la sera
Ti sien come la pioggia che bruiva
Tepida e fuggitiva,
commiato lacrimoso de la primavera,
sui gelsi e sugli olmi e su le viti
e sui pini dai novelli rosei diti
che giocano con l’aura che si perde,
e su il grano che non è biondo ancora e non è verde,
e su ‘l fieno che già patì la falce
e trascolora,
e su gli olivi, su i fratelli olivi
che fan di santità pallidi i clivi
e sorridenti.

Anche per D’Annunzio, come per altri poeti e scrittori, il paesaggio da non intendersi
con una notazione naturalistica, sente, patisce, parla come una creatura vivente. Ai
vv. 29-30, in particolare, gli olivi sono definiti fratelli e associati all’idea di una santità
pallida e sorridente. L’immagine è francescana: l’ulivo, albero sacro fin dall’antichità,
diviene nella simbologia evangelica e cristiana, albero santo, simbolo di pace, e con

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il colore pallido delle sue foglie ricopre i colli di Fiesole, rendendoli sorridenti e
argentei.
Anche l’arte ha inteso onorare la pianta dell’ulivo immortalandola in varie forme nella
tela o su affreschi: ad esempio nella Basilica di San Nicola a Talentino (Marche)
sull’altare è posta una tela raffigurante la Madonna della Pace (o dell’ulivo) eseguita
nel 1810 da Giuseppe Lucatelli (1751-1828). La composizione è equilibrata, piena di
leggiadria e di grazia e si avvicina allo stile del Correggio delle cui opere, questo
pittore fu profondo conoscitore per aver copiato, in seguito a una commissione avuta
da Napoleone Bonaparte, gli affreschi di S. Paolo e della chiesa di S. Giovanni
evangelista di Parma.
Nella chiesa della Pace nella frazione omonima nei pressi di Macerata si può
ammirare il dipinto della Madonna della Pace con il ramoscello di olivo in mano. Nel
1323, sedate le lotte tra Guelfi e Ghibellini nella Marca, il primo vescovo della
diocesi, Federico, fece costruire, in ricordo del lieto avvenimento, una cappella in
onore della Madonna. Ancora oggi si conserva presso il comune di Macerata una
lapide che ricorda il fausto evento e i nomi di coloro che ne curarono la costruzione.
Nella seconda metà del ‘700 poi, il maceratese Costanzo Alberti vi dipinse
l’immagine che ancora oggi si venera.

Capitolo 4

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Curiosità e spigolature intorno ad una pianta di olivo

Un tempo gli ulivi erano lisci e dritti come pioppi. Quando Gesù fu condannato a
morte, Caifa, il sommo sacerdote, mandò in campagna degli sgherri a cercare un
albero adatto per fare la croce. Questi si diressero verso il bosco che, come investito
da un uragano, cominciò ad agitarsi. Quando gli sgherri vi giunsero pesava intorno
un gran silenzio, né si muoveva una foglia; ogni albero pregava perché fosse
risparmiato da un così terribile destino. Uno degli sgherri disse: -né palma, né cedro
fanno per il nostro caso! Ci vuole l’olivo!- Cedri e palme trassero un respiro di
sollievo. Gli olivi, disperati, tentarono di sradicarsi dal terreno, si torsero, ingobbirono,
si spaccarono. Infine rimasero fermi impotenti a fuggire, ma anche inutili per costruire
la croce. Invano gli sgherri cercarono un olivo dritto! Da allora, l’albero dalle foglie
d’argento vive felice di essere brutto. Oltre che di questo significativa leggenda l’ulivo
è protagonista di molti proverbi che testimoniano la stretta convivenza che l’uomo ha
con questa pianta.

“Palma ‘sciutta, grigna molla”.

Il detto vuole indicare che se la Domenica delle Palme si presenta come una
giornata asciutta, il grembiule sarà colmo per l’abbondanza di frutti.

“San Francesco su la via, l’ojo bocca ‘nte l’uliva”.

Quando giunge il giorno di S. Francesi, il 4 ottobre, l’oliva comincia a maturare e


dentro di essa comincia a generarsi l’olio.

“San Silvestro, l’oliva nel canestro


A Ognissanti le scale giù pe’ li campi”.

Fin dai primi di novembre si vedono le scale per i campi perché qualche contadino
inizia già il lavoro della raccolta delle olive.
“Passata Santa Caterina

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comincia a r’coje l’ulia,
bianca o nera che sia”.

Passato il 25 novembre ha inizio la raccolta dell’oliva di ogni qualità e colore.

“L’ulivo benedetto l’arde verde e secco”.

Il legno di olivo è duro e resistente, preferito per il camino perché brucia a fuoco
lento: sia fresco sia secco, il suo fuoco mantiene molto ed emana un buon calore.
La filastrocca dell’olio e dell’oliva di Betto Salvucci;

Fiore di ghianda, fiore d’oliva


dimmi la tua, ti dico la mia.
Fiore d’oliva, fiore di ghianda
dico la mia, tu dammi la canna.
Dammi una canna che sbatto l’oliva,
faccio l’olio per darlo a Maria,
faccio l’olio laggiù da Muscè
bruschetta e pane e bicchieri di vin.
Pane e bruschetta e fiaschi di vino
Questa è la vita dei frantoiani;
frantoi e frantoiani
dentro l’olio ci inzuppa il pane.
Ora qualche indovinello con l’oliva dentro:
La signora dell’alto palazzo
bianca sono e nera mi faccio
casco in terra e non mi schiaccio
vado in chiesa e lume mi faccio.

L’olivo e il suo frutto entra anche nei nostri sogni e secondo le credenze popolari
assume vari significati:
- olivo inteso come albero denota dignità e onore (12-68)

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- olivo fiorito denota amicizia, gioia e prosperità (31)
- oliva intesa come frutto denota tranquillità (48-58)
- oliva acerba significa pazienza perché arriverà il momento opportuno (48)
- olio denota abbondanti raccolti (40-8).

Un ulteriore modo per onorare l’olivo è quello di renderlo oggetto di collezionismo


nella filatelia e nella numismatica; lo testimoniano i francobolli da 40 centesimi di lira,
25 lire, 750 lire e 900 lire delle poste italiane;
e le seguenti monete greche:

- Tetradramma del periodo 486-461 a. C. nel dritto porta la scritta Messenion


che circonda la lepre che corre verso destra; mentre nel verso reca una biga
trainata da muli e guidata da un uomo; nell’esergo (semicerchio) reca una
foglia di olivo.
- Moneta di Eraclea del periodo 433-272 a. C. moneta d’oro che mostra nel
verso una civetta su un ramoscello di olivo.
- Tetradramma del 420-405 a. C. raffigurante foglie e rami d’ulivo.
- Tetradramma del 400 a. C.
- Monete del Peloponneso occidentale.
- Digrammi d’argento risalenti al 360-320 a. C.

Tra le monete romane vanno ricordate quelle che fece coniare l’imperatore dell’anno
69 Otone posto su un cavallo con in mano un’asta e un ramo d’olivo con lo scettro;
quelle coniate da Vitellio imperatore nello stesso anno, raffigurato su sesterzi e uri
con un ramo di olivo ed uno scettro con sopra una cornucopia o un’aquila. E ancora
l’olivo in ramoscelli, palme o corone è presente nella monetazione di Nerva, Traiano,
Adriano e Antonino Pio ed infine il sesterzio commemorativo coniato dopo la morte di
quest’ultimo che reca nel dritto la testa e la scritta DIVUS ANTONINUS e nel
rovescio l’imperatore, assiso su un carro trainato da 4 elefanti, mentre regge scettro
e un ramo di ulivo.

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Tante sono state anche le monetazioni fatte realizzare dai Papi in epoca medievale
riportanti l’impronta dell’olivo, ma omettendo la descrizione per ragioni di spazio
passiamo a veder le monete del XX secolo:

- La 10 lire coniata dalla Zecca dello stato di Roma ad iniziare da 1946 fino al
1950 col rovescio raffigurante un ramo d’olivo.
- Le 2 lire del 1953-1959 sempre recante un ramo d’olivo nel rovescio.
- Le 100 lire ad iniziare dal 1953 fino al 1967 che recano nel rovescio Minerva
in piedi presso un albero di olivo.
- Le 100 lire italiane per celebrare la FAO dal 1945 al 1995 che recano sul
verso un rametto di olivo e la spiga di grano.
- Le 100 lire dal 1997 recante nel verso un delfino, un rametto d’ulivo e una
spiga di grano.
- I 5 centesimi di Città del Vaticano
- Il franco francese
- I 5 franchi e i 10 centesimi di franco francesi
- I 5 scellini austriaci
- I 50 centesimi di marco tedesco.

Non poteva certo fare eccezione l’araldica che, invece, prende in considerazione
l’ulivo come pianta simbolo: il comune marchigiano do Colmurano, per esempio, ha
come stemma comunale uno scudo sormontato da una corona, all’interno dello
scudo è presente un alberello di ulivo che sorge dalle rocce e reca in alto una croce
greca. La stemma è circondato da un rametto d’olivo legato da un fiocco con un altro
ramoscello.
Ben più rilevante è lo stemma della regione Puglia costituito da uno scudo sannitico,
cioè rettangolare con il lato inferiore a forma di graffa. Al centro è raffigurato l’ulivo,
principale risorsa agricola della regione, racchiusa da un ottagono rosso che ricorda
la forma di Castel del Monte.
Hanno adottato l’ulivo due comuni pugliesi limitrofi che basano la loro economia su
questa pianta: Ceglie Messapica e Villa Castelli.

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Lo stemma di Ceglie è costituito da una torre merlata sormontata da una corona e
circondata in basso da un rametto di olivo e una pianta di ceci legati insieme da un
fiocco.
Nel XVI secolo le torri erano tre e su quella maggiore c’era una civetta; nel tardo
Ottocento al posto della civetta compare una Pallade Atena armata con l’iscrizione
greco-messapica “Kailinon” ossia dei Cegliesi. Il gonfalone di Villa Castelli presenta,
invece, uno stemma su fondo azzurro con sopra raffigurati un castello merlato a due
torri ed un albero di olivo racchiusi in uno scudo sormontato da una corona e cinto da
un ramo di olivo e da un leccio tenuti insieme, al centro in basso, da un fiocco. Un
brevissimo accenno alla politica solo per dire che l’ulivo e divenuto un partito politico
e che a proposito della presentazione delle liste per le elezioni comunali del 2002 a
Macerata “Il Messaggero” di giovedì 25 aprile recita: “L’ Ulivo ha scelto i suoi frutti”.
Uliveto è anche il nome di un’acqua minerale.
In provincia di Macerata c’è il ristorante “Giardino degli ulivi”, mentre immerso nel
verde, sulla strada provinciale Villa Castelli-Ceglie sorge il ristorante “Parco degli
ulivi”.
Ed infine, a conclusione della carrellata sui diversi utilizzi della parola-simbolo
dell’ulivo, degno di nota è il titolo del film “Non c’è pace tra gli ulivi” con Raf Vallone
del 1950.

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