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Gli antichi camuni si stabilirono nella vallata a partire dal neolitico (IV millennio
a.C.). Si sa poco su questo antico popolo, famoso per le incisioni rupestri (oltre
300.000 graffiti), che fanno della Valle Camonica il maggior centro d’arte rupestre in
Europa.
Dal 1979 la zona di massima concentrazione di graffiti è stata dichiarata sito protetto
dall’UNESCO.
La valle era anche abitata da donne capaci di usare le erbe che crescevano
spontaneamente in quei luoghi. Esse erano considerate streghe come testimoniano gli
atti dei processi intentati contro di loro dall’Ordine dei Francescani, tra il cinque e il
seicento.
Presumibilmente legato alla presenza di queste donne è un ampio santuario dedicato a
Minerva Medica situato sotto la Concarena e il Pizzo Badile e portato alla luce da
recenti scavi archeologici.
La crescita del settore del benessere ha generato una forte richiesta di erbe officinali
da parte del mercato (25.000 ton/anno) rispetto alla quale oggi si è in grado di
rispondere solo per il 10%; il restante 90% deve essere importato (essenzialmente
dall’est Europa).
Alchemilla, achillea, lippia, lavanda, malva, melissa, menta piperita sono solo alcune
delle erbe officinali prodotte nella Valcamonica.
II legame con l’ambiente è molto forte perché per la produzione sono utilizzati latte
crudo e lattonnesto naturale (ottenuto per acidificazione spontanea del latte del giorno
prima). Ciò permette la conservazione e lo sviluppo della microflora autoctona
naturalmente presente nella materia prima.
Negli anni Sessanta la pecora sopravissana era la razza ovina più diffusa: ne
esistevano circa 1.200.000 esemplari.
Successivamente razze più produttive, come la pecora sarda allevata in stalla, sono
state preferite alla sopravissana.
Questo ha determinato negli anni una drastica diminuzione del numero di esemplari
di sopravissana. Ad oggi sono circa 3.000 e rientrano ormai nelle specie a rischio di
estinzione.
Oggi gli allevatori registrati sono 50, distribuiti in 5 regioni dell’Italia centrale.
La forte riduzione di esemplari comporta anche un impoverimento della diversità
genetica a causa dei ridotti scambi tra allevatori.
A conferma del decaduto ruolo della pecora sopravissana sta il fatto che oggi la
maggior parte della produzione di pecorino romano origina dal latte della pecora
sarda e il Consorzio per la tutela del pecorino romano ha sede a Macomer (Nuoro).
Inoltre, il 40% del consumo nazionale di abbacchi è coperto da agnelli provenienti
dai paesi dell’est europeo.
I due più importanti fattori per un deciso incremento della razza sopravissana sono:
il mantenimento del territorio: l’allevamento della pecora allo stato brado porta a una
costante opera di “pulizia” del territorio da parte degli ovini;
l’attrattività turistica/gastronomica: valorizzazione sia della tradizione secolare
dell’allevamento transumante da parte delle comunità montane sia delle particolarità
dei prodotti alimentari come il pecorino romano originale e l’abbacchio dalla carne
più saporita e nutriente.
PANE DELLA GARFAGNANA
In Garfagnana è ancora viva la tradizione del pane di patate, chiamato anche
“garfagnino”: una variante ingentilita di un pane di mistura diffuso un tempo in tutta
l’Europa continentale soprattutto nelle annate con scarsa produzione di granturco e
altri cereali.
Risalgono al 1800 testimonianze sull’estensione della coltivazione della patata in
Garfagnana e del suo utilizzo come ingrediente nella preparazione del pane, ma si
ritiene che la sua produzione abbia radici ancora più antiche.
La ricetta prevede, oltre alla farina di grano, un 20% di patate lesse e schiacciate,
semola e sale marino; la lievitazione è fatta con lievito madre (tradizionalmente si
tramandava nella famiglia e talvolta si scambiava all’interno della comunità).
Le patate, provenienti da coltivazioni locali, rendono il pane particolarmente morbido
e saporito. La cottura avviene in forno a legna.
Il valore organolettico e la specificità della ricetta non sono le uniche ragioni per cui è
importante preservare il pane della Garfagnana. Questo pane è fortemente legato ai
prodotti dell’agricoltura locale (le patate, il frumento) per cui è ancora possibile
ricostruire in Garfagnana una filiera che ricolleghi aziende agricole, mulini a pietra e
forni a legna.
La tutela della biodiversità agraria è uno dei più importanti impegni che la Regione
Toscana ha assunto dal 1997 con la prima legge regionale sulla tutela delle risorse
genetiche autoctone di interesse agricolo, zootecnico e forestale.
La comunità montana della Garfagnana opera in tal senso tutelando i prodotti locali e
promuovendo lo sviluppo integrato.
NOCE DI MONTAGNA (Appennino campano)
Il noce è un albero ricco di tradizioni. Una di esse lo vede legato al mondo della
magia e delle streghe.
Proprio da questi legami tra streghe, Diana e l’area campana si pensa derivi il termine
“ianare” che in dialetto beneventano indica streghe.
Il noce con la sua folta chioma che dà riparo e i suoi frutti gustosi e nutrienti è un
albero vitale, legato alla sopravvivenza dell’uomo.
Il noce era molto diffuso nella’area del Regio Tratturo Pescasseroli-Candela, parte di
quella rete di “sentieri d’erba” che attraversavano l’Italia meridionale.
Febbraio 2011