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Quodsi liber populus deliget quibus se committat, deligetque si modo salvus

esse vult optimum quemque, certe in optimorum conciliis posita est civitatium
salus, praesertim cum hoc natura tulerit, non solum ut summi virtute et animo
praeesse inbecillioribus, sed ut hi etiam parere summis velint. Verum hunc
optimum statum pravis hominum opinionibus eversum esse dicunt, qui
ignoratione virtutis, quae cum in paucis est tum a paucis iudicatur et cernitur,
opulentos homines et copiosos, tum genere nobili natos esse optimos putant.
Hoc errore vulgi cum rem publicam opes paucorum, non virtutes tenere
coeperunt, nomen illi principes optimatium mordicus tenent, re autem carent
eo nomine. Nam divitiae, nomen, opes vacuae consilio et vivendi atque aliis
imperandi modo dedecoris plenae sunt et insolentis superbiae, nec ulla
deformior species est civitatis quam illa in qua opulentissimi optimi putantur.
Virtute vero gubernante rem publicam, quid potest esse praeclarius? Cum is
qui imperat aliis servit ipse nulli cupiditati, cum quas ad res civis instituit et
vocat, eas omnis complexus est ipse, nec leges inponit populo quibus ipse non
pareat, sed suam vitam ut legem praefert suis civibus.

Se un popolo libero sceglierà coloro ai quali si affiderà, e sceglierà tutti i


migliori se solo vorrà essere incolume, di certo ai consessi di questi migliori è
stato affidato il benessere dei cittadini, soprattutto dopo che avrà portato
questa conformazione naturale, non solo tale che i migliori in virtù e coraggio
vogliano essere superiori rispetto ai più deboli, ma tale che anche questi
vogliano mettersi a disposizione dei migliori. Dicono che questo autentico
optimus stabilito dalle cattive opinioni degli uomini sia stato rovesciato, questi,
per ignoranza della virtù, che essendo in pochi allora è giudicata e distinta da
pochi, cioè uomini opulenti e ricchi, da ciò ne consegue che questi ritengono
che i migliori siano nati da una stirpe nobile. Dappoiché per questo errore del
popolo comune, le ricchezze dei pochi e non le virtù iniziarono a possedere lo
stato, quei “principes” tengono coi denti il nome di “optimates”, eppure nella
sostanza mancano di questo nome. Infatti la ricchezza, il nome, gli averi sono
privi di assennatezza e quanto al vivere ed al comandare sugli altri sono pieni
solo di disonori e di insolente superbia, e quella specie non è più sconcia per i
cittadini di quanto lo è quella in cui gli “optimi” sono considerati ricchissimi. Ma
quando la virtù guida lo stato, che può essere più illustre? Poiché chi è a capo
degli altri -proprio lui- non bada ad alcuna cupidigia, con le quali organizza e
appella alle questioni civili, abbraccia con tutto se stesso solo questi desideri, e
non impone al popolo leggi alle quali lui stesso non obbedirà, ma antepone la
sua stessa vita come legge per i cittadini.

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